Like Davy Jones_6
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IN PIECES
BEHIND THE LEGEND, #02
Da quando
avevano messo piede su quell’isola, Nami non aveva
visto nemmeno uno scorcio di sole.
Erano ore, ormai, che vagavano senza
una meta precisa nel bel mezzo di quel bosco, e della città
che avrebbero
dovuto raggiungere in meno di metà giornata non
c’era neanche l’ombra, tanto
che stava cominciando persino a credere che si fossero persi
esattamente
com’era accaduto a Sanji e Zoro. Ad ogni occhiata che si
lanciava intorno, le
sembrava di vedere sempre lo stesso e identico paesaggio, dalle piante
grasse
che sbucavano timidamente fra le foglie secche sul terreno alle
cortecce degli
alberi ricoperte di muschio; i monumenti di pietra che si
ergevano a metà
nel terreno erano l’unico punto di riferimento che aveva, per
quanto non fosse
del tutto certa che non si trattasse sempre degli stessi. Robin aveva
persino
tentato di decifrarne le scritte incise, spinta come sempre dalla sua
insaziabile voglia di conoscenza, ma aveva ben presto scosso il capo,
afflitta,
mormorando che erano troppo logorate dal tempo per riuscire a leggere
anche
solo una riga. E si erano quindi ritrovati a riprendere il cammino
nella
speranza di ritrovare il sentiero, per quanto ormai si stessero
rassegnando
all’idea che non sapessero più dov’erano
diretti.
«Non ce la faccio
più», esalò
d’improvviso Rufy in un fil di voce, richiamando su di
sé l’attenzione di tutti
i presenti, che si accigliarono nel vederlo accasciato su se stesso.
Era raro,
difatti, che il Capitano si lamentasse per la stanchezza, ma
bastò il borbottio
del suo stomaco a far capire la causa di quella bizzarra mancanza di
forze.
Beh, almeno aveva resistito senza cibo più di quanto si
erano aspettati,
bisognava ammetterlo.
«Credo sia meglio fare una
pausa, a
questo punto», propose Nami, per quanto l’idea di
fermarsi in quel posto anche
solo per cinque minuti non la allettasse per niente. «Abbiamo
bisogno di
rimetterci in forze, dopotutto».
«Si mangia!» Rufy fu
il primo ad
aprire una delle borse che si erano portati dietro per fiondarsi sul
cibo, per
quanto Usopp avesse inutilmente tentato di sottrarla dalle sue grinfie
per non
rischiare che le scorte sparissero in meno di qualche secondo; ben
presto,
all’affamato Capitano si aggiunse anche Brook, desideroso di
mettere a sua
volta qualcosa nello stomaco, pur essendosi premurato di ricordar loro,
ridendo
come suo solito, che lui uno stomaco non l’aveva, essendo uno
scheletro. In
meno di mezz’ora, le scorte che Sanji aveva così
diligentemente preparato si
volatilizzarono, anche quelle contenute nella borsa del cuoco, finita
nelle
mani di Usopp poiché quest’ultimo non glielo aveva
più restituito. E la cosa
peggiore era che adesso non avevano più nulla, nel caso in
cui fossero stati
costretti a passare più tempo del dovuto in quella foresta.
«Ah! Adesso sì che
sto bene!»
esclamò Rufy tutto contento, battendosi una mano sul grosso
stomaco di gomma
mentre con il mignolo dell’altra ripuliva gli spazi fra i
denti. «Sanji è il
migliore!»
Nami storse il naso, incrociando le
braccia al di sotto del seno prosperoso prima di lasciarsi sfuggire un
lungo
sospiro. «Che tipo... rimpinzarti in quel modo pur sapendo
che Zoro e Sanji a
quest’ora potrebbero essere nei guai. Non sei preoccupato
nemmeno un po’?»
Calcandosi il cappello di paglia in
testa, Rufy le sorrise al di sotto della tesa. «Mi fido
ciecamente di loro»,
ribatté come se fosse la cosa più naturale del
mondo. «Zoro e Sanji sono forti.
Sapranno cavarsela benissimo».
«Rufy-san ha
ragione», si intromise
Robin, sorridendo benevola. «Ovunque siano, sanno di sicuro
che cosa fare. E
poi dovremmo preoccuparci anche per noi stessi... potremmo perderci nel
bosco,
non riuscire a tornare indietro e morire di stenti per mancanza di cibo
e
acqua. Oppure quei mostri, approfittando di un nostro momento di
debolezza,
potrebbero decidere di attaccarci e ammazzarci tutti».
La navigatrice rabbrividì,
strofinandosi le mani sulle braccia nel tentativo di scacciare
l’orribile
sensazione provocatale dalle parole dell’archeologa, dette in
tono così
tranquillo e semplice da spaventarla. «Quando la smetterai di
dire cose così
raccapriccianti?» le domandò, rimediandoci
unicamente una divertita scrollata
di spalle. Beh, almeno lei si divertiva, accidenti.
Ripresero la traversata in silenzio,
ognuno attento al minimo suono che avrebbero potuto captare. Non
avevano la
benché minima intenzione di farsi cogliere impreparati dai
mostri che
infestavano l’isola e, al tempo stesso, speravano di cogliere
qualche segnale
che avesse potuto indicare loro la direzione della nave o il luogo in
cui si
trovavano i loro compagni. Per quanto ci provasse, però,
nemmeno Chopper era
riuscito a fiutare la loro presenza, pur annusando il terreno in
continuazione
con la speranza di individuare l’odore di Zoro o quello di
Sanji. Era come se
l’intera foresta fosse inodore, poiché non sentiva
nemmeno quello degli animali
che avrebbero dovuto abitare quel luogo.
Si ritrovarono ben presto dinanzi ad
una grossa galleria scavata nella roccia, e facendo scorrere lo sguardo
dalle
pareti alle stalattiti che pendevano pericolosamente dal soffitto in
pietra,
l’archeologa si fece pensierosa. «A quanto pare
è una caverna», costatò,
guadagnandoci da Nami un’occhiata di traverso.
«L’avevamo notato
anche da soli,
Robin».
«Questa caverna mi trasmette
proprio
una brutta sensazione...» mormorò di rimando
Usopp, sentendo un brivido
corrergli lungo la schiena. Di solito quando qualcosa non andava non
sbagliava
mai, e, anche se forse quel posto era meno pericoloso di quanto
credeva, aveva
imparato a sue spese che bisognava andarci cauti, quando si trattava di
posti
sospetti. A maggior ragione adesso che si trovavano nel Nuovo Mondo. E
fu
proprio a quel pensiero che si voltò rapido verso lo
scheletro, puntando un
dito in direzione dell’entrata. «Brook,
va’ a dare un’occhiata! Tu puoi
dividere la tua anima dal resto del corpo, no? Va’ e
torna!»
«Non credevo che
l’avrei mai detto,
Usopp... ma hai avuto proprio un’ottima idea», lo
elogiò la navigatrice,
pentendosene qualche attimo dopo quando il cecchino, blaterando come
suo
solito, divenne fin troppo orgoglioso e parve dimenticarsi che fino a
poco
prima non aveva fatto altro che tremare come una foglia al solo
pensiero di
mettere piede in quel posto. Chi lo capiva era bravo, sul serio.
Spronato dalle due ragazze, Brook
separò la propria anima e si insinuò
silenziosamente nella caverna buia e
fredda, sparendo alla vista; i minuti che trascorsero dalla sua
scomparsa al
suo ritorno sembrarono i più lunghi e ansiosi che la ciurma
avesse mai vissuto,
e fu alquanto difficile starsene là fuori con le braccia
incrociate e lo
sguardo puntato verso l’oscurità della grotta, che
sembrava quasi volerli
risucchiare al suo interno. Cominciarono persino a preoccuparsi quando
non
videro tornare in fretta lo scheletro, lasciandosi sfuggire un sospiro
di
sollievo solo quando il suo fantasma fluttuante apparve nella penombra.
«Allora? Cosa
c’è lì dentro?» gli
domandò Nami non appena ebbe fatto ritorno nel suo corpo,
vedendolo grattarsi
l’afro per un attimo prima di volgere lo sguardo verso di
lei.
«Nulla di preoccupante,
Nami-san»,
parve rassicurarla poi, sollevando distrattamente gli occhiali da sole
come se
volesse osservarla meglio in viso, per quanto ormai non possedesse
più i bulbi
oculari per farlo. «Piuttosto... le dispiacerebbe mostrarmi
le sue mutandine
per infondermi un po’ di coraggio?» le
domandò in tono allegro e cantilenante,
e Nami non ci pensò due volte a colpirlo con un pugno ben
assestato al capo.
Rischiò quasi di crepare il teschio già mezzo
rotto di suo, però sembrò non
interessarle per niente.
«Ma ti sembrano cose da
chiedere in
un momento simile?!» berciò nervosa,
incamminandosi all’interno della grotta
con Robin al seguito, che si era comunque lasciata sfuggire una
risatina alla
scena che avevano regalato loro. Dal canto suo, invece, Brook se
n’era rimasto
lungo disteso sul terreno umido, lo sguardo perso verso lo scorcio di
cielo
grigio che si intravedeva a malapena attraverso le fronde degli alberi.
«Oh, credevo di
morire»,
esalò con un fil di voce, ridacchiando qualche attimo dopo
nello scattare in
piedi più vivace che mai, «anche se io lo sono
già, yo-hohoho!
Skull joke!» esclamò, venendo
stavolta colpito da Usopp con
un’imprecazione. Non era giornata, decisamente.
Guardandosi intorno con attenzione,
i ragazzi seguirono le compagne con fare circospetto, come se si
aspettassero
di veder spuntare fuori dal nulla qualunque cosa; dal canto suo, Nami
gettava
di tanto in tanto loro un’occhiata per tenerli
d’occhio, sapendo fin troppo
bene di che cosa fossero capaci quando venivano abbandonati a loro
stessi. E
lei di guai ne aveva fin sopra i capelli, se proprio doveva essere
sincera.
Passandosi entrambe le mani sulle
braccia, la navigatrice cominciò a far scorrere lo sguardo
sulle pareti di
pietra che li circondavano, prestando orecchio allo scrosciare lontano
di un
ruscelletto; il suono dell’acqua risuonava quasi assordante e
sembrava
rimbombare in tutta la grotta, dandole la sensazione di trovarsi sul
fondale
marino anziché all’interno di una caverna. Era una
sensazione alquanto
bizzarra, ma si ritrovò ben presto a concentrarsi su altro
quando arrivarono in
prossimità di una lunga galleria, terminante in un vasto
spazio roccioso che la
lasciò a bocca aperta per la scoperta che fece.
«Oh, mio...»
sussurrò, con il cuore
palpitante di gioia. Quelli che stava osservando erano dei forzieri,
dei
forzieri rifiniti in oro sicuramente
purissimo che contenevano tesori
formidabili, ne era certa. Perché prendersi la briga di
lasciare dei bauli
proprio nel bel mezzo di una foresta infestata di mostri, per di
più in una
grotta così nascosta, se non si aveva intenzione di tenere
al sicuro il proprio
bottino? Senza nemmeno rifletterci su un secondo di più,
Nami si fiondò
pimpante su uno dei forzieri sotto lo sguardo sconcertato di tutti, con
in viso
un’espressione così elettrizzata da far invidia a
Rufy stesso quando si
trattava di avventura; nello spalancarlo con foga, però,
restò sbigottita nel
vedere solo il fondo di legno, chiudendo il baule con un tonfo sordo.
«U-Un
momento! Cosa diavolo significa?! È vuoto! Completamente
vuoto!» Corse svelta
verso il secondo forziere, e, rischiando di inciampare in una crepa sul
terreno, si tenne al coperchio robusto per evitare di cadere,
spalancandolo
qualche attimo dopo con fare irritato prima di imprecare contro il
nulla.
«Anche questo,
dannazione!» sbottò incredula, lanciando
un’occhiata di
fuoco al povero cecchino, che sussultò prima ancora che la
ragazza potesse
anche solo aprire bocca. «Usopp, datti una mossa e controlla
anche quelli!»
«O-Ohi, aspetta!
Perché dovrei...»
«Muoviti!»
La voce di Nami
risuonò contro le pareti della caverna in tutta la sua
autorità, tanto che
riuscì a convincere in men che non si dica il cecchino a
fare quanto gli era
stato detto; sotto il suo sguardo severo, Usopp raggiunse i forzieri
restanti e
li spalancò tutti ad uno ad uno, venendo ben presto aiutato
anche dal Capitano,
che si era stranamente dimostrato molto più euforico del
compagno.
«Ci sono degli abiti,
qui», borbottò
Usopp, infilando una mano nel baule per frugare fra la stoffa alla
ricerca di
qualche oggetto luccicante, non trovando niente come invece aveva
sperato, «ma
nessuna traccia di qualcosa di valore».
«Qui ci sono delle
ossa!» esclamò di
rimando Rufy, sventolando in aria quello che aveva tutta
l’aria di essere un
femore mordicchiato da qualche animale. Vi erano rimasti attaccati
anche
brandelli di carne ormai rinsecchita, e a quella visione Nami storse il
naso,
assumendo un’espressione a dir poco schifata prima di
distogliere lo sguardo e
scuotere il capo. Afflitta e ormai demoralizzata, si
allontanò dai bauli a
passi strascicati, lasciandosi cadere pesantemente seduta su una roccia
con la
testa abbandonata fra le mani.
«Vuoti... tutti
vuoti», mormorò,
sospirando affranta. Tutta quella strada per trovare solo dei miseri
ammassi di
legno e ferro che non contenevano né oro né
gioielli,
solo qualche inutile
vestito ammuffito e un mucchio d’ossa. Che quella traversata
in
quell’isola
dimenticata dalla civiltà si fosse rivelata solo
un’inutile perdita di tempo?
Beh, probabilmente era davvero così, visto che sarebbero di
sicuro tornati a
casa a mani vuote. Accidenti, perché Rufy, nella foga della
battaglia contro quegli strani
Uomini Pesce, aveva perduto
quel medaglione d’oro? Almeno avrebbero avuto un bottino con
cui
far ritorno,
anziché un mucchio di stracci.
«Uhm...
interessante».
Nami sollevò lo sguardo verso
l’archeologa, per quanto avesse ancora dipinta in viso
un’aria decisamente
devastata. Non le era mai
piaciuto il
modo in cui Robin pronunciava quelle semplici parole, nemmeno due anni
addietro. E tutto perché poteva significare solo due cose:
luoghi che avrebbero
provocato loro un mucchio di guai, oppure civiltà misteriose
che sarebbero
comunque state fonte di guai. Di bene in meglio, insomma. E la sua era
pura
ironia. «Che cosa c’è, Robin?»
si ritrovò lo stesso a chiederle, mettendo da
parte la depressione per raggiungerla e osservare le pietre che stava
esaminando con meticolosa attenzione. «E quelle cosa
sono?»
«Testimonianze. Testimonianze
di
pirati e marinai che sono stati qui prima di noi».
Carezzò con la punta delle
dita le incisioni presenti sulla pietra come se si fosse trattato di
qualcosa di
decisamente raro e prezioso, sfregando via dai polpastrelli la polvere
accumulatasi. «Alcune risalgono addirittura a due secoli
fa... nessuno di loro
è riuscito a sopravvivere su quest’isola
più di tre giorni».
Nami si accigliò.
«Cosa? E la gente
di cui parlava quel vecchio?»
«Qui non
c’è scritto niente che
faccia supporre che quell’uomo dicesse la
verità».
«Che senso aveva
mentirci?»
«Forse voleva semplicemente
gettarci
in pasto a quelle creature... o dietro a tutta questa storia
c’è qualcosa di
molto più complesso». Accovacciandosi dinanzi alle
pietre, Robin spolverò le
incisioni più vecchie e si fece più vicina per
riuscire a leggere con maggior
facilità, liberando la roccia dall’edera che vi si
era intrecciata intorno. «Molte
scritte sono rovinate, dunque è alquanto difficile capire a
cosa si riferissero
questi uomini con “spettro”,
“diavolo” e “patto di
sangue”... ma da ciò che si
evince da queste testimonianze, posso affermare di sicuro che andarsene
non
sarà facile».
«Che cosa intendi
dire?» Per quanto
Nami avesse cercato in tutti i modi di non porre quella domanda - aveva
difatti
imparato a sue spese che, molto spesso e volentieri, era di sicuro
meglio
restare nell’ignoranza -, non riuscì comunque ad
evitarlo, e lo sguardo che le
venne rivolto da Robin la raggelò seduta stante.
«Ci troviamo su una rotta
maledetta».
Tutto avrebbe
voluto sentirsi dire tranne quelle parole.
Nami ci stava rimuginando su dal momento in cui avevano lasciato la
grotta e si
erano infiltrati nuovamente fra la boscaglia, più che decisi
a ritrovare la
strada e a tornare alla nave per abbandonare quell’isola una
volta per tutte,
rotta maledetta o meno. C’erano due problemi,
però: il primo, e sicuramente il
più importante, era riuscire a ricongiungersi con i compagni
perduti, sperando
al contempo che stessero bene; l’altro era capire effettivamente dove
fossero e come fare per raggiungere la Sunny, giacché non
avevano la benché
minima idea di quanto avessero camminato e quanti percorsi avessero
imboccato,
essendo quella foresta pressoché identica. Erano ad un punto
morto,
praticamente.
Con un sospiro afflitto, Nami
aumentò il
passo e si
accostò il più possibile ai suoi compagni, come
per
timore di perdere di vista
anche loro; i rami degli alberi avevano cominciato a divenire
più radi e il
cielo in lontananza aveva iniziato a schiarirsi, per quanto non fosse
ancora
del tutto certa che fosse a causa dell’avvicinarsi
dell’alba oppure un semplice
scherzo della luce. Era stanca, le palpebre minacciavano di abbassarsi
ad ogni
passo che faceva e ormai i polpacci gridavano pietà, ma era
unicamente l’adrenalina
e il timore di venire attaccata durante il sonno che riuscivano a
tenerla in
qualche modo sveglia. E a quanto sembrava era così anche per
gli
altri. Robin,
a pochi passi davanti a lei, si detergeva di tanto in tanto il sudore
dalla
fronte con un fazzoletto e si passava due dita sugli occhi, osservando
i
dintorni con minuziosa attenzione come se sperasse di vedere qualcosa
che
potesse richiamare la sua attenzione e svegliarla; al suo fianco,
Franky aveva
nascosto le occhiaie con le lenti nere e aveva incurvato le spalle, a
dimostrazione della fiacchezza che animava anche lui come tutti gli
altri. Probabilmente avrebbe anche dovuto fare rifornimento di cola, ma
in quel
momento non avevano proprio niente; Usopp e Chopper, a differenza di
Rufy -
come suo solito in testa al gruppo, per quanto non sapesse minimamente
dove
andare -, se ne stavano il più possibile vicino agli alberi,
come se essi
potessero in qualche modo fungere da barriera naturale contro eventuali
mostri.
Chopper stava persino continuando ad annusare il terreno, per quanto i
suoi
sforzi stessero dando risultati scarsi e insoddisfacenti.
«Che cosa ne pensi di tutta
questa storia, Robin?»
chiese di punto in bianco Franky, rompendo il silenzio che, da un
po’ di tempo
a quella parte, era calato su di loro come un velo.
L’archeologa gli lanciò una
rapida occhiata, stringendosi nelle spalle.
«Metterci in guardia da quegli
esseri e poi tenerci
all’oscuro di certe informazioni non avrebbe avuto
senso». Stava cercando di
essere razionale, però, per quanto si sforzasse, non
riusciva a capire cosa ci
fosse esattamente sotto tutta quella bizzarra situazione.
«Sarebbe stato molto
più facile non dirci niente e lasciare che andassimo
impreparati contro il
nostro destino».
«Forse chi comanda quei mostri
contava proprio
sull’informazione», ipotizzò Chopper,
voltando il muso verso di lei. «Se il
vecchio non ci avesse detto niente, noi ce ne saremmo tornati subito
alla
Sunny, no?»
«Ottima osservazione,
Chopper». Robin incrociò le
braccia sotto il seno e si picchiettò il labbro inferiore
con due dita di una
terza mano, pensosa. «Avremmo ripreso tranquillamente il
largo per cercare
un’isola su cui fare rifornimento, e avremmo in questo modo
ridotto in cenere i
loro piano, qualunque esso sia. Sempre se c’è un
piano, dietro tutta questa
storia... però, visto come si sono svolti i fatti finora, mi
sembra più che
plausibile».
Nami, che se n’era rimasta in
silenzio ad ascoltarla
fino a quel momento, la superò agitando le mani, come se
volesse scacciare
unicamente in quel modo il discorso che archeologa e dottore stavano
intrattenendo. «Piano o meno, io propongo di trovare il
più in fretta possibile
la Sunny. Forse anche Zoro e Sanji la stanno cercando e si stanno
dirigendo lì».
«Sono più che
d’accordo con Nami», asserì Usopp,
gettando
una rapida occhiata alle sue spalle per osservare i compagni.
«Non sono così
sicuro di voler incontrare qualche strano mostro a tre teste o degli
Uomini
Pesce alti come giganti», dovette ammettere, tornando a
guardare avanti;
imprecò a denti stretti quando per farlo andò a
sbattere contro qualcosa di
duro che sulle prime non aveva minimamente notato, rendendosi conto
troppo
tardi che quello era un torace e che il volto che stava adesso
osservando aveva
una mascella squadrata e squamosa. «Oh, desolato»,
disse con un certo
imbarazzo, sbiancando seduta stante quando si accorse che il tipo che
gli aveva
regalato un ghigno divertito era proprio uno di quegli strani Uomini
Pesce che
avrebbe tanto voluto evitare.
«Andate
da qualche parte, ragazzi?» domandò
cordialmente, e forse fu proprio questo a spaventare Usopp, che si
affrettò ad
allontanarsi il più possibile da lui.
«Merda! Ci hanno
trovati!» gridò Franky, puntando uno
dei cannoni verso l’Uomo Pesce appena apparso, che non fece
una piega; si limitò
semplicemente a scrutarli ad uno ad uno con attenzione da capo a piedi,
come se
stesse scavando nella loro anima. Ad un suo schiocco di dita, alle sue
spalle
comparvero altri Uomini Pesce dall’aria minacciosa, la
maggior parte pronti ad
affrontarli a mani nude.
«Phatt, Fokke. Affido a voi il
comando». Sorrise,
mettendo
bellamente in mostra i denti acuminati prima di fare qualche passo
indietro,
come se volesse farsi da parte. «E ricordate che li voglio
vivi»,
puntualizzò, sollevando un braccio verso
l’alto; a quel suo
gesto, gli Uomini Pesce dietro di lui si gettarono
all’attacco
con un grido
disarticolato, costringendo la ciurma ad indietreggiare per contenere
almeno in
parte quell’assalto improvviso.
«Phatt! Occupati della donna!» A quel richiamo,
fatto da
quello che aveva tutta l’aria di essere un enorme crostaceo, un
uomo dalle fattezze di squalo si mise sull’attenti e
lanciò uno sguardo all’archeologa,
scroccando le grosse dita palmate. Gli occhi piccoli e ferini
controllavano
ogni suo movimento, e prima ancora che Robin potesse anche solo tentare
di
usare il suo potere, Phatt gli fu addosso, bloccandola sul terreno.
«Robin!» esclamò Nami, correndo verso di
lei; trasse
un sospiro di sollievo nel vedere con la coda dell’occhio che
l’amica era
riuscita a liberarsi e che aveva costretto Phatt a chinarsi a mezzo
busto con
la sua tecnica di sopraffazione, per quanto fosse ormai sul punto di
cedere. E sarebbe
anche andata a darle una mano se un Uomo Pesce non le si fosse parato
dinanzi e
non avesse arrestato la sua corsa, facendola imprecare a denti stretti.
Dannazione! «Questo
succede ogni volta
che senti odore di avventura, Rufy!» Afferrando
un’estremità del bastone che
portava appeso alla cintola, Nami si affrettò a puntarlo
verso l’avversario,
investendolo con un getto d’aria pressurizzato; lo vide
volare via con
un’imprecazione sommessa e si voltò verso il
Capitano, che aveva appena
centrato un altro Uomo Pesce con un pugno. «La prossima volta
si fa come dico io!
Si resta sulla nave!»
«Ma così non
è divertente!» obiettò Rufy,
scansandosi
appena in tempo dalla traiettoria del suo avversario; evitò
per un pelo un
pugno diretto al suo viso e si appiattì contro il terreno,
allungando un
braccio in maniera spropositata fino ad avvolgerlo intorno al corpo
dell’Uomo
Pesce per attirarlo contro di sé, e così facendo
si accorse degli uomini che correvano
verso Brook, approfittando del fatto che lo scheletro desse loro la
schiena. «Brook!
Alla tua destra!» esclamò, gettando lontano da
sé il proprio avversario.
Con rapidità disarmante, a
quell’avvertimento Brook
sfoderò la propria arma e si fece largo fra le file di
nemici, muovendo la lama
con un movimento rotatorio del polso così rapido che agli
occhi degli Uomini
Pesce parve non muoversi affatto. «Hanauta
Sanchou». Rallentò a poco a poco,
uno, due, tre passi, la spada nuovamente
infilata nel fodero, «Yahazu
Giri!»
Se in un primo momento i suoi avversari erano rimasti immobili e
perplessi, si
accasciarono su se stessi qualche istante dopo, le bocche spalancate in
un
grido senza voce e il sangue che scorreva copioso dalle ferite a loro
inferte,
per quanto non si fossero nemmeno resi conto d’essere stati
colpiti.
«Ragazzi!»
urlò Phatt, distraendosi; con un’imprecazione,
lasciò perdere l’avversario contro cui stava
combattendo e sguainò la spada, correndo
svelto verso lo scheletro. «Me la pagherai!»
«Io non credo
proprio». Robin gli si parò davanti,
arrestando la sua corsa. «Ocho
Fleur».
Bloccò le gambe di Phatt, leggendo lo sconcerto sul suo viso
quando, incredulo,
si vide spuntare su spalle e schiena altri due paia di arti che gli
fermarono
collo e schiena. «Clutch!»
esclamò,
incrociando le braccia al petto; le mani che fino a quel momento
avevano tenuto
stretto il collo del suo avversario lo afferrarono saldamente e glielo
ruppero
con un sonoro scricchiolar di ossa, facendo lo stesso con la spina
dorsale
prima che lo lasciassero del tutto
andare, sparendo in un turbinio di petali; l’uomo si
accasciò inerme sul
terreno umido, gli occhi spalancati e ormai privi di vita, ma Robin non
lo
degnò nemmeno di uno sguardo e tornò
all’attacco, così da poter dare manforte
ai suoi amici. Se il nemico voleva il gioco duro, il gioco duro avrebbe
avuto.
«Cuerpo Fleur»,
mormorò, facendo fiorire il proprio busto sulla schiena e
sulle cosce dell’Uomo
Pesce contro cui stava combattendo Franky; allungando le braccia, gli
bloccò
gli arti superiori e il collo, aggrottando la fronte per concentrarsi e
stringere, con la ferma intenzione di frantumargli le ossa, per quanto
robuste
potessero essere. Quel tipo aveva cominciato a divincolarsi e
rinserrare la
presa stava diventando un’impresa ardua, però,
prima ancora che quest’ultimo si
liberasse, fu Franky stesso ad andare in suo aiuto, colpendolo con i
missili
che teneva riposti nella spalla sinistra; l’Uomo Pesce
andò a schiantarsi con
un rantolo doloroso contro il tronco di un albero, che si
spezzò fino a
cadergli addosso e schiacciarlo.
«Phatt!» esclamò Fokke nel vedere quella
scena, e
arricciò le labbra, rabbioso.
«Maledetti!» berciò, sguainando le zanne
nello
gettarsi contro uno di loro. Approfittando della sua distrazione,
afferrò il
cecchino per le spalle e lo sbatté con forza contro il
terreno, facendogli sputare
sangue; lo vide spalancare gli occhi e sentì intorno a
sé le urla dei suoi
amici che lo chiamavano, ma lui lo colpì con un destro allo
stomaco,
strappandogli via dalle mani quella strana fionda che impugnava per
gettarla
lontano. Usopp provò a biascicare qualcosa e ad allungarsi
verso il suo kabuto,
strisciando nella sua direzione; venne però ben presto
tirato all’indietro e il
viso gli venne spiaccicato nuovamente sulla terra umida, prima che un
pugno lo
colpisse diretto al viso; sentì lo zigomo spaccarsi e il
sangue colare lungo la
guancia, e a nulla valse l’aiuto di Robin, che aveva fatto
fiorire sul corpo dell’Uomo
Pesce una moltitudine di braccia per bloccarlo.
Con uno scatto secco, Fokke si
liberò con facilità e
si avventò ancora una volta contro Usopp, afferrandolo per
il collo e
sollevandolo a mezz’aria, mozzandogli il fiato nei polmoni;
tirò il braccio all’indietro
e caricò il montante, sorridendo all’idea di
fracassare il capo di quel tizio
dal naso lungo. L’avrebbe fatto per tutti i compagni che
aveva perduto a causa
di quella ciurma, ripagandola con la loro stessa moneta. Si
fermò a pochi
centimetri dal suo viso, però, con gli occhi fuori dalle
orbite e la bocca
spalancata. I denti aguzzi sembravano fremere e il suo intero corpo
tremava,
come se tutto d’un tratto avesse visto o percepito qualcosa
che l’aveva
spaventato a morte. «Ritirata!»
esclamò in preda al panico, mollando Usopp e dando le spalle
al gruppo di
pirati per correre via, sparendo fra la vegetazione con quei pochi
uomini che
riuscivano ancora a reggersi sulle proprie gambe.
La ciurma rimase senza parole, attonita
ad osservare
il punto in cui erano letteralmente scomparsi, come se fossero stati
inglobati
negli alberi stessi. «Ma che... perché sono
scappati?» Quella di Rufy suonò come
una lamentela, e forse fu proprio per quel motivo che il resto
dell’equipaggio
si voltò verso di lui solo per fulminarlo con lo sguardo,
facendolo sentire
minuscolo; persino Usopp, che si era rimesso in piedi a fatica proprio
in quel
momento, non si risparmiò dal guardarlo male, ma fu
reggendosi sulle gambe
malferme che alzò teatralmente un braccio, battendosi
debolmente una mano sul
petto.
«Avranno avuto paura del
temibile potere del
sottoscritto!» si vantò tra un colpo di tosse e
l’altro, sebbene si vedesse
anche a miglia di distanza che stava tremando. Per quanto forte fosse
diventato, il suo cranio non era indistruttibile, e se il colpo di
quell’Uomo
Pesce fosse andato a segno per lui sarebbe stata la fine. O, nel
peggiore dei
casi, gli avrebbe anche potuto spezzare il collo e lasciarlo morto sul
terreno.
Qualsiasi cosa fosse successa, doveva ringraziare che se ne fossero
andati e
che se la fosse cavata semplicemente con qualche contusione e uno
zigomo
spaccato.
«Per una volta piantiamola di
dire idiozie e vediamo
di muoverci», asserì Nami, non prima di aver
rifilato un bel pugno sulla testa
del cecchino e del Capitano. «Sono scappati, dovremmo
approfittare di questa
chance e darcela a gambe levate anche noi».
«Concordo», si
intromise Robin, scansandosi qualche
ciocca di capelli che le era disordinatamente caduta sugli occhi.
«Non possiamo
sapere cosa li ha spaventati, e ci converrebbe lasciare questo posto
prima di
scoprirlo».
«Prima devo medicare
Usopp!» rimbeccò Chopper. Si era
già tolto lo zaino dalle spalle e stava frugando al suo
interno, alla ricerca
di ago, filo, disinfettante e garze.
«Chopper, troviamo un posto
sicuro e poi pensiamo ad
Usopp. È ancora vivo, no?»
«Ohi! Sei senza cuore,
Nami!»
«Whoa! Ragazzi,
guardate là!» Il grido euforico di Rufy
richiamò l’attenzione di entrambi, e lo
videro con gli occhi rivolti verso l’alto. «Una
nave volante!»
«Non dire sciocchezze, Rufy, le navi non...» Nami
non
riuscì a finire di formulare quella frase, poiché
un’ombra scura passò proprio
sulle loro teste e la costrinse ad alzare lo sguardo verso il cielo,
lasciandola letteralmente a bocca aperta. Lassù,
galleggiando come se si
trovasse nel bel mezzo dell’oceano e non in un mare di nubi,
un imponente
veliero cavalcava i venti che sferzavano gli stracci neri che un tempo
erano
state delle vele, facendo al contempo sventolare la malridotta bandiera
pirata;
lo scafo distrutto mostrava lo scheletro interno della nave e le botti
incrostate di sudiciume accatastate sul fondo, e Nami temette che, a
causa della brusca virata che la nave compì proprio in quel
momento, i barili
rotolassero fuori e cadessero loro addosso; il legno di cui erano
composte le travi
della chiglia, l’albero maestro e il castello di prua erano
così marce da
apparire verdognole, dando la sensazione che il veliero brillasse di
una luce
oltremodo spettrale. A ben guardarla somigliava maledettamente alla
nave di
Decken, però... accidenti,
per quanto
Brook avesse affermato che quella che avevano visto nelle
profondità
dell’oceano fosse vera, non reggeva il paragone con quella
che stava osservando
lei in quello stesso momento e con la sensazione negativa che essa
trasmetteva.
Quella nave era diretta verso qualcosa,
e quel
qualcosa si sarebbe sicuramente ritrovato in grossi guai.
_Note conclusive (E
inconcludenti) dell'autrice
Come
detto in precedenza, avevo scritto dei capitoli spin off che avrei
postato a parte, e questo che avete appena finito di leggere era uno di
quelli.
Ho
pensato che sarebbe stato stupido dividerli dalla storia
principale, dato che seguono comunque quella trama, quindi eccoli qua
nella loro interezza. Spesso e volentieri faccio bene a scrivere le
storie con i capitoli spin off che possono essere usati comunque nella
storia stessa, anche se al principio non sembra affatto *rotola
avendolo già fatto con Oceani
in Burrasca e Under
a bloody sky*
Tornando a noi: tutti i nodi verranno finalmente al pettine? I nostri
eroi riusciranno a cavarsela ancora una volta oppure ci rimetteranno le
penne? E la Pride la smetterà di complicare la vita a se
stessa
e ai lettori con storie in cui non si capisce un accidenti di niente e
i capitoli anziché cancellare i dubbi ne fanno crescere
altri?
Lo scopriremo solo continuando ad immergerci nella lettura!
Sclero a parte, al prossimo capitolo.
♥
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