there's room for two six feet under the stars cap3
Quando mi sveglio è pomeriggio inoltrato, la faccia mi tira
e la
stanza è vuota. Della luce filtra dalla tapparella
semialzata,
le lenzuola accanto a me sono sfatte e fredde e nella confusione del
dormiveglia mi rendo conto che alcuni libri mancano all'appello dalla
libreria. Alex dev'essere andato a scuola, alla fine.
Mi tiro a sedere e mi
sento lo sguardo pesante; spero non si senta in
colpa per avermi lasciato qui. Non può passare la vita
standomi
sempre dietro, non è giusto e non gli fa bene in nessun
modo. «Lo porti giù, Jack». Afferro la
chitarra e suono.
Certe volte quando sono
lucido mi chiedo come sia cominciato tutto.
Come abbia fatto ad innamorarmi di Alex, come me ne sia accorto la
prima volta, come sia riuscito ad affrontare quell'oceano di veleno che
mi sentivo sgusciare sottopelle ogni volta che lo vedevo con una
ragazza, quando non ci avevo ancora fatto il callo; e in pochi istanti
i come invadono la mia mente, accucciandosi in ogni meandro libero e
occupando lo spazio degli altri ricordi, scacciandoli sgarbatamente a
loro piacimento; e quando succede non ho altra scelta che mettermi in
disparte e lasciarmi trasportare da quella massa di pensieri decisi e
indipendenti, per di più domande senza risposta e
convinzioni
che di vero hanno solo la paura. Posso solo sedermi, intrecciare le
dita e chiudere gli occhi, accarezzando silenziosamente quella
processione di dubbi e insicurezze, sperando che presto le risposte
emergano di loro spontanea volontà. Potrei dire che in quei
momenti la mia mente non mi appartiene e avrei solo ragione -
è
come se per un tempo che può variare dai dieci secondi alle
due
ore Jack smettesse di esistere e al suo posto comparisse
un'entità in grado di far finta di rilassarsi, respirare e
sembrare normale, ma che in realtà non ha nessun potere su
ciò che succede nel suo subconscio, le sue intenzioni
fievoli
soffi di vento allontanati dalla marcia decisa dei sogni interrotti, e
tutto ciò che mi rimane da fare mentre nel mio cervello
divampa
il caos è trovarmi un posto comodo e perdermi nella
sinuosità della distruzione, trasportato dal suo essere
surrealmente affascinante. E quando tutto finisce, quando la pazzia si
assopisce e la ragione ritrova la via di casa, non sono mai io a
raccogliere del tutto i cocci - non senza aiuto almeno. Ed è
così complicato ottenere aiuto quando non sai spiegare
nemmeno a
te stesso cosa stia succedendo dentro la tua testa; ed è
così pesante guardarsi attorno per cercare una mano e
vedersi
rispondere con occhi crucciati e sopracciglia aggrottate quando tutto
ciò di cui avresti bisogno è un abbraccio; ed
è
così assurdo trovarsi davanti alla possibilità di
non
avere nessuno a sostenerti tranne chi ti fa perdere in maniera
così sregolata il controllo giorno dopo giorno; ed
è
così normale finire col rifiutare ogni comodità
pur di
non esporre lui alla pazzia, pur di tenerlo al di fuori di
ciò
che ti sta divorando l'anima sempre di più, fino a farti
desiderare di essere qualcos'altro.
Quando la
realtà comincia a fondersi con l'immaginazione e
inizio a perdere il controllo dei sensi faccio sempre in modo di
allontanarmi da tutti, per non arrecare danno a nessuno. La gente non
capisce e non capirebbe neanche se mi prendessi un attimo e glielo
spiegassi in tutta tranquillità, quindi meglio non farle
proprio
venire in mente nulla e starmene sulle mie finché l'attacco
non
finisce, come se fosse la cosa più normale del mondo e non
ci
fosse nulla di sbagliato in me. Credo di non averne mai parlato neanche
ad Alex e non riesco a non essere felice della mia decisione,
perché in questo modo lui è salvo e
continuerà ad esserlo a lungo, senza doversi arrovellare il
cervello pure su quest'imprevisto. Che poi anche se volessi non saprei
come fare - non riesco a capirmi da solo, figuriamoci se posso
pretendere che qualcun altro, seppur sia il mio migliore amico da tutta
la vita, mi metta le mani sulle spalle, mi guardi dritto negli occhi e
mi dica 'so cosa fare'. Utopia allo stato puro, al punto che non
è neanche utopia, è solo un'altra espressione
della
follia. E io non sono folle, non sono pazzo, sono solo stanco e
bisognoso d'affetto, alla ricerca di un qualcosa che possa rendermi
felice ed essere solo mio in ogni istante del giorno; e forse la cosa
che mi ferisce di più è l'essere consapevole di
aver
trovato quel qualcosa di speciale, ma sapere anche che non
sarò mai la sua unica speranza. Quanto doloroso
può
diventare un amore disilluso?
Sono le cinque e mezza
ormai, ho preso le mie medicine da un paio d'ore
e di Alex ancora nessuna traccia. Spero che non l'abbiano messo in
detenzione e che sia solo uscito coi ragazzi, cogliendo l'occasione per
andare a farsi una passeggiata e prendere una sana boccata d'aria dopo
giorni di poltrire e combattere la febbre. Ho cominciato a leggere
quattro libri e tre ne ho abbandonati, per noia o perché non
mi
piacevano; e questo si sta salvando così a lungo solo
perché faccio fatica a mantenere lo sguardo focalizzato
sulle
parole e quindi non riesco a concentrarmi abbastanza per trovarci dei
difetti. Con uno sbuffo, mi sporgo e lo lascio cadere sul comodino,
tornando a scompigliarmi i capelli con le mani. L'attesa mi lacera.
«C'è
qualcuno in casa?» colgo finalmente la sua voce; il mio cuore
ha un guizzo e mi tiro a sedere.
«Occhio a
tutti,
sta arrivando l'infermiera» mi urla da di sotto, sfilandosi
la
giacca e lanciandola sul divano. Sale le scale in mezzo minuto,
canticchiando qualcosa fra i denti, e quando entra in camera
è
decisamente pimpante e di buonumore.
«Allora»
esclama, sprizzando radiosità da ogni dove «ti
senti meglio?».
Annuisco e lui fa un
sorriso enorme, portandosi le mani ai fianchi. «Be',
meraviglioso, perché domani sera usciamo!»
«Wo, wo, wo,
frena un attimo, cosa?» controbatto, aggrottando le
sopracciglia e rimanendoci di sasso. Cosa cavolo?
«Mi rendo
conto
che siamo ancora convalescenti e che non è l'idea
più
geniale del mondo, ma ho parlato con la dottoressa oggi e ha detto che
vista la velocità con cui mi è passato tutto non
dovremmo
preoccuparci, si tratta solo di una forma un po' più
violenta
dell'influenza che sta girando in questi ultimi tempi. Ha detto che
prendere una boccata d'aria ti avrebbe fatto bene e che un po' di cibo
alla griglia sarebbe stato più invitante rispetto al brodo;
mi
ha praticamente costretto a prometterle che ti ci avrei
portato» spiega abbozzando una risata, sedendosi ai piedi del
letto.
«E dove
dovresti portarmi scusa?» dico, senza sapere come comportarmi.
«Come 'dove'?
Jack domani c'è la festa di quartiere e siamo invitati, te
ne sei dimenticato?» ride.
«In ogni caso
l'ultima parola l'avrai tu, però credo che di medicina lei
ne
sappia molto più di noi due messi insieme e che dovremmo
darle
retta; chissà, magari ci divertiamo pure»
aggiunge,
sorridendo francamente. Oddio che carino che è.
«Hu, er, va
bene» acconsento, preso alla sprovvista «ma da chi
si fa? Dai coniugi Cross come l'anno scorso?»
«Hai presente
quella signora ansiosa che incontriamo spesso quando prendiamo il
caffè al bar alla fine della strada? A quanto pare
è la
moglie del signor Harroway, quello che ci saluta sempre quando
c'incontra in giro, e a quanto pare è lei che organizza
tutto e
offre il giardino» risponde liscio, massaggiandosi i palmi e
battendoseli sulle cosce.
«Ah, hu,
grandioso» commento, aggiungendo un annuire piuttosto vago.
Non ho la minima idea di chi stia parlando.
«Com'è
andata oggi a scuola?» domando per cambiare argomento.
«Be' oddio
avrebbe potuto essere migliore» espira lui, per niente
colpito «però
sono stati tutti molto carini e mi hanno fatto le feste quando mi hanno
visto entrare. Hanno subito detto che erano preoccupatissimi, che
volevano chiamare per avere mie notizie ma che avevano paura di
disturbare, che nel frattempo non erano andati molto avanti e che se
avessi voluto mi avrebbero prestato i loro appunti, che erano
estremamente contenti di rivedermi e che gli dispiaceva fossi stato
male così a lungo. Poi quando la folla è defluita
Nick mi
ha chiesto come stessi e si è offerto di venirti a trovare,
ma
gli ho detto che eri contagioso e che probabilmente non era il caso di
andare a gettarsi nella tana del lupo senza protezioni; mi è
sembrato un po' deluso ma ha capito e non ha insistito più,
anche se ha detto che chiamerà per sapere
qualcos'altro».
«Oddio ma
perché a me» piagnucolo, e Alex scuote la testa
con un piccolo sorriso.
«Si direbbe
che gli manchi immensamente» commenta pacioso
«dovresti
tenertelo stretto, non trattarlo male». Lo guardo per un paio
di
secondi e l'idea che mi stia comportando come Nick ai suoi occhi mi
sfiora con la delicatezza di una farfalla e la velenosità
viscosa di una salamandra - spero davvero di non essere opprimente
quanto lui o intimamente ne soffrirei da morire, sarebbe l'ultima cosa
che vorrei mai accadesse fra noi due. Alex mi guarda, i suoi occhi
hanno un guizzo di vitalità e ride di colpo, scacciando
l'idea
che mi si era dipinta in viso con la mano.
«Non
intendevo farti la morale, puoi comportarti come meglio
credi» ride spontaneamente, coprendosi la
bocca. «Sta
a vedere se ora sono in grado di stare lì a dirti
dove
sbagli e cosa invece dovresti migliorare; figurati».
Mi sento più
leggero ma il dubbio rimane, così lo metto a tacere
abbozzando un sorriso. «Bene, a parte quest'ultimo
particolare, che mi dici? Com'è andata la tua
giornata?» mi chiede quindi.
«Così
così, ho preso le mie medicine, letto e fissato fuori dalla
finestra» butto lì con una scrollata di spalle.
«Se vuoi puoi
studiare con me la lezione della Tidell per domani, così la
finisci di annoiarti» scherza tirando fuori il libro.
«Guarda,
soffro molto nel dirtelo, ma credo sia meglio se studi da solo,
così non posso distrarti» mi fingo addolorato.
«Ma no
guarda, mi
farebbe un piacere infinito invece, così non sarò
l'unico
a godere di una simile fortuna» insiste.
«Sei proprio
un
pollo» scherzo, lanciando il libro sulla scrivania. Sappiamo
entrambi che non lo apriremo mai e proprio per questo ripetiamo la
scenetta tutte le volte, come a convincerci che in realtà ci
proviamo, solo che a causa d'imprevisti che non dipendono da noi alla
fine non è mai aria e lo studio passa sempre in secondo
piano;
ma non è davvero colpa nostra.
«Credo sia
meglio che tu rimanga a casa da scuola domani» riflette Alex,
buttandosi con la schiena sul letto «così
almeno limitiamo un po' i rischi. Sei sicuro di farcela domani sera?
Non dirmi di sì per farmi contento, non voglio che tu stia
male».
«Non
preoccuparti, ce la faccio benissimo» sorrido «al
massimo mi prendo una sdraio e mi faccio una bella dormita».
«Se ti
dovessi
sentir male dimmelo però - giriamo i tacchi all'istante e
torniamo a casa a guardarci un film».
«Rilassati,
non sto andando a morire» scherzo, lui mi spinge la spalla.
«Certo che si
vede proprio che sei guarito» ridacchia alzando gli occhi al
cielo. Io abbozzo un sorriso.
«Ci saranno
anche
gli altri?» chiedo dopo un paio di minuti di silenzio. Si
gira a
guardarmi, aggrottando le sopracciglia.
«Sai che non
ne ho idea?» risponde, cadendo dalle nuvole
«però
immagino di sì, ci sono sempre in queste occasioni.
Di
solito dove c'è una festa ci sono loro, e poi per te
potrebbe
anche essere l'occasione per conoscere nuova gente, visto che di questi
tempi ti stai chiudendo da morire. Da quant'è che non mi
parli
di ragazze - sei mesi? Sette mesi? Non è da te, amico. Okay
che
non ci s'innamora tutti i giorni, ma qualche tipa l'avrai pur
notata».
So che sta scherzando
ma un brivido mi gela la schiena. «Sarà che ho
notato tutto il notabile» mormoro, pallido.
«Oh, andiamo,
è impossibile. C'è sempre qualcuno da notare,
soprattutto
se si parla di ragazze. Questa sera almeno ci sarà di
sicuro;
dovrebbero venire un paio di amiche della figlia della padrona di casa,
oltre a lei, quindi nuovi pesci entrano nel lago» ridacchia
«e la caccia si fa più divertente».
Sento lo stomaco
stringermisi e annodarsi ai polmoni, fa improvvisamente un freddo
terribile.
Poi di colpo scoppia a
ridere. «Dio, mi sento un imbecille a parlare
così» dice con un sorriso raggiante «fa
così film scadente e ammuffito che non riesco a immaginare
chi
ci crede davvero così. Cioè, è
assurdo, no?»
Mugugno fievolmente, so
che non si aspetta conferma. «Però davvero,
stasera sarà divertente. Lascerà il
segno».
Annuisco
fra me e me,
preoccupato. Non c'è niente di speciale nella festa,
è un
party a base di barbecue che si svolge una o due volte l'anno a casa di
qualcuno del quartiere, che si offre di fornire vitto e alloggio in
cambio di una quindicina di dollari a partecipante; e non
c'è
niente di speciale neanche nella signora che l'organizza, senza offesa
per il marito. Forse si riferisce alle ragazze che la loro figlia ha
invitato, ma se non le conosce neanche di vista come fa a sapere che
stasera non andrà in bianco quando ci proverà con
loro? E
se non sa neanche se i nostri amici vengono a cazzeggiare e a bersi una
birra con noi, perché mai dovrebbe essere così
eccitato
all'idea di andarci?
Realizzarlo
è come venire colpito in faccia da un asteroide rovente.
Ci va per vedere
qualcuna di preciso, qualcuna a cui basta che si
avvicini per sentirsi meglio, qualcuna che è per lui
ciò
che lui è per me; ci va per vedere qualcuna di preciso e non
posso fare niente per cambiare i suoi sentimenti.
Mi sono trovato in
questa situazione tante volte in questi mesi, ma
ogni volta la nausea è difficile da trattenere. Le lacrime
ancora ancora, basta che ti concentri ardentemente su qualcos'altro,
pretendi di star sbadigliando e te le asciughi con qualche grugnito, in
modo da sembrare naturale; ma la nausea non ti colpisce a scoppio
ritardato e non può essere scambiata per qualcos'altro,
è
il dettaglio che più di tutti colpisce chi ti sta di fronte.
E
in questo momento Alex è sdraiato accanto a me, non ha
ancora la
testa fra le nuvole e io sto sprofondando verso il centro della terra,
silenziosamente, mentre tutto in questa stanza perde
vitalità.
Ogni volta mi sembra di morire, trovarmi a fianco qualcuno che mi
disidrata goccia per goccia, senza risparmiarmi le torture
più
traumatiche; e ogni volta mi trovo a desiderare che sia vero, piuttosto
che dover rimanere lì a guardare Alex innamorarsi e
disinnamorarsi, impotente e conscio della mia posizione. Sono due tipi
di morte, il risultato raggiunto è lo stesso; ma come lo
raggiungi è totalmente diverso e la cosa più
importante.
Morire psicologicamente è mille volte peggio di morire
fisicamente, perché anche se ti senti al pieno delle forze,
anche se sai che il tuo corpo è perfettamente in grado di
reggere il colpo, sai che la tua anima non ce la fa, che la tua mente
è ormai allo stremo e che i tuoi sentimenti implorano
pietà secondo dopo secondo; ti ritrovi a desiderare le cose
sbagliate per te e chi ti circonda, perdi la cognizione del tempo e
della realtà, e tutto ciò che ha a che fare con
te
diventa una trappola, un altro modo del mondo per sottometterti; e ti
stanca così tanto, così tanto, che a un certo
punto le
tue difese crollano per forza, e con loro crolli anche tu e tutto
ciò in cui hai sempre creduto. Ti senti così
vuoto,
così nero, così sfruttato e abbandonato che non
riesci
neanche a descrivere i tuoi sentimenti; arrivi al punto di non riuscire
a pensare ad altro che a cose brutte, a cui non vorresti pensar mai,
che vorresti rinnegare ed esiliare nella parte più remota
della
tua mente, e da lì è solo una strada in discesa
con
qualche accenno di risalita ogni tanto, e la distruzione acquista un
significato molto più viscerale; un significato che non puoi
esprimere a voce, che non puoi comunicare con le parole, che solo chi
l'ha provato è in grado di capire; e quando arrivi a
provarlo
daresti qualsiasi cosa per tornare nell'ignoranza, qualsiasi.
Ma in questo momento
non è la cosa a lungo termine che
m'interessa, è quest'attimo, l'ora, l'abbraccio sgraziato
dei
brividi e la patina opaca della paura, il suo sguardo che sonda il
soffitto e potrebbe posarsi su di me in qualsiasi istante; è
questo senso d'irrimediabile piccolezza che mi debilita, questa
costante insufficienza che mi sgomenta; è come se tutto
ciò che facessi non fosse mai la mossa corretta, come se
dicessi
le cose giuste troppo sgarbatamente o troppo presto, come se non
riuscissi mai a cogliere l'occasione adatta al momento adatto. Mi sento
così fuori luogo, come se non fossi neanche in gara per
lottare
per un pezzo del suo cuore, e questo continuo sminuirmi mi ferisce,
manco fossi la persona più cattiva del mondo. Sono un
ragazzo
onesto, che cerca di non ferire mai nessuno e quando gli capita fa
sempre la buona azione; mi faccio in quattro per aiutare e far ridere
gli altri, non litigo coi miei ogni santo giorno e non mi presento a
lezione vestito in modo indecente; faccio a botte con chi se lo merita
e difendo i miei amici ad ogni costo, a mensa non tiro il pranzo contro
gli altri, non rubo i soldi ai ragazzi più piccoli e quando
me
lo chiedono dispenso pure consigli - ho tanti pregi in confronto ad
altre persone della mia età, sono un ragazzo perfettamente
normale. E chissenefrega se sono gay, chissenefrega se sono etero,
chissenefrega se sono bi - vorrei solo essere amato dall'unica persona
capace di dare un senso a tutta questa sofferenza, dall'unica persona
in grado di farmi sentire una fenice quando in realtà sono
solo
un altro ragazzino con la testa piena di sogni e le tasche piene di
sassi. Ma invece quella persona è innamorata di un'altra, e
tra
poco più di ventisei ore saranno assieme, respireranno la
stessa
aria e condivideranno la stessa risata, prestandosi un sorriso a
vicenda quando non ci sarà più bisogno delle
parole; e io
sarò a pochi metri di distanza da loro, invischiandomi
sempre di
più nella loro rete man mano che proverò a
scappare, e
corteggerò tutta la sera un bicchiere d'alcolico sempre
pieno,
costringendomi poi a passare il resto della notte abbracciato al bagno,
in compagnia dei rimorsi più neri. A una cert'ora
smetterò di vomitare, m'infilerò nel letto
accanto a lui
e guarderò il buio scivolare dietro le palpebre, lasciando
spazio a una luce man mano più sobria e disinfettata; e
mentre
l'alba dipingerà la stanza, il rimorso diventerà
troppo
opprimente e mi renderò conto di cosa mi sto facendo, ma
scuoterò la testa e penserò ad altro.
Aspetterò
che l'intera città prenda vita attraverso le sue mansioni
cicliche, poi, dopo essermi assicurato che i pericoli della notte siano
stati debellati del tutto, chiuderò gli occhi e
cadrò in
un sonno leggero, simile al dormiveglia; sentirò Alex
muoversi
al mio fianco e a seconda del significato dei suoi gesti
metterò
in atto qualcosa di diverso ma familiare, che da sempre tranquillizza
entrambi. E quando saremo entrambi svegli, inventerò una
scusa
per il mio bere recidivo e lo convincerò che volevo solo
divertirmi, senza cercare di dimenticare nulla; lui mi
guarderà
negli occhi, io sosterrò il suo sguardo con uno finto e lui
espirerà dal naso, senza insistere ulteriormente. Oppure
salterà quest'ultimo passaggio e mi racconterà
della sua
serata, troppo emozionato per collegare la mia devastazione fisica alla
sua riottenuta felicità, frutto improvviso di un'impresa
azzardata, e io sorriderò con lui, condividendo la sua
gioia, mentre
dentro appassirò e mi accartoccerò su me stesso,
dilaniato dal mio
stesso salvatore.
Ma
questo domani, dopo che avrò avuto l'occasione di rovinarmi
e
risparmiarmi i particolari più dolorosi della serata - ora
c'è solo la
paura di quello che potrà accadere, di quello che
potrà esser fatto, di
quello da cui non potrò fuggire; e mentre la paura banchetta
con le
infinite possibilità del futuro io sono lasciato qui, in
preda a me
stesso, alla deriva da ogni forma di aiuto che possa circondarmi in
questo momento, e tutto mi sembra così senza speranza,
così ghiacciato,
così lontano. Vorrei slanciarmi di lato, stringere la mano
di Alex con
tutta la forza che ho in corpo e strizzare gli occhi fino a piangere,
senza dovergli poi spiegar nulla, ma il pensiero mi scivola davanti con
la placida consapevolezza che non mi aiuterebbe in nessun modo e lascio
che si sciolga assieme al resto dei miei deliri. Gli piace qualcuna. E
non qualcuna di così, passeggera, una persona che a vederla
ti rimane
impressa per i primi tre minuti e poi comincia a svanire; ma una
persona che noti in mezzo a una folla di migliaia di ragazzi, che ti
dà
l'energia per restare in vita centinaia d'anni con un sorriso, che ti
modella come vuole con uno sguardo e che col suo profumo scandisce il
ritmo delle tue giornate; una persona di cui è impossibile
fare a meno,
che al solo pensiero di poterci passare una serata insieme ti fa
bollire il sangue nelle vene e salire gli ormoni a mille. Una persona
come Alex insomma. Ha trovato una ragazza alla sua altezza e domani
sera la incontrerà, le offrirà da bere, ci
parlerà e si convincerà
sempre di più che è quella giusta, quella apposta
per lui, e allora
ciao ciao Jack, perfino i film mentali ti diranno arrivederci. Oddio -
non ce la posso fare.
«Sembra che
sulla tua testa ci sia un raduno di nuvole nere, si può
sapere che hai?» chiede di colpo.
Lo
guardo roteando le pupille e senza spostarmi, con la miglior 'faccia da
persona impassibile che non stava pensando a nulla in particolare' che
possiedo, poi sbatto le palpebre e torno a fissare il soffitto.
«Niente,
temo sia stato uno scherzo della tua immaginazione. Qui va tutto alla
grande, non c'è niente che potrebbe andare meglio. Tutto
okay» commento.
«Sicuro?»
insiste, un po' destabilizzato.
«Come che la
Terra gira» ribatto, aggiungendoci un pugnetto contro le
nocche per tranquillizzarlo.
«Vuoi che
chiami e
dica che non veniamo più? Non hai affatto una bella
cera» propone, ignorando il pugnetto.
«Ehi,
calmati, va tutto bene» mi affretto a rispondere
«l'hai
detto tu, domani lascerà un segno; non andarci è
del tutto fuori
questione. Va tutto per il meglio, quindi non preoccuparti, okay?
Sarà
una serata a dir poco grandiosa». Esita.
«Chi
è il mio campione?» scherzo con una voce buffa,
porgendogli un'altra volta il pugno. Suo malgrado ride.
«Barakitty,
sei
proprio un idiota» scrolla la testa, io abbozzo un sorriso.
Guardarlo mi fa venire da piangere, ma non devo.
«Ti va se
chiamo i
ragazzi e gli chiedo che fanno?» propongo, tirandomi a sedere
e
guardandolo di sfuggita. Annuisce.
«Mi sembra
un'ottima idea» commenta storcendo le labbra in una smorfia
d'approvazione «io
intanto vado in bagno». Lo guardo uscire, aspetto che la
porta
del bagno si chiuda dietro di lui e mi alzo in piedi, raccattando il
cellulare dal tavolo e dirigendomi giù per le scale; esito
un
attimo, urlo che sto uscendo un secondo e vado a sedermi sul
marciapiede davanti al loro cancello, dando le spalle alla porta in
modo da accorgermi se qualcuno esce. Rimango immobile per qualche
secondo, lo sguardo perso nel vuoto, poi le lacrime cominciano a uscire
ed io a tremare, strizzando gli occhi in silenzio. Vorrei che il
cemento che mi circonda mi mangiasse e mi digerisse, senza lasciar
nulla ma un guscio vuoto impossibile da ferire. Piango a dirotto per
forse mezzo minuto, poi mi obbligo a smettere, mi asciugo gli occhi e
chiamo Zack.
«Jack, bello,
che
mi dici? Stai meglio?» mi accoglie subito la sua voce,
sinceramente felice di sentirmi. Tiro su col naso.
«Tutto bene,
sì... che mi sai dire del barbecue del vicinato? Ci
vieni?» domando, passandomi una mano sulla faccia.
«Quello di
domani dici? Penso di sì, perché?»
chiede.
«Bho,
così, veniamo anche noi ma volevo sapere un po' con chi
avrei passato la serata» rispondo.
«Be' con lui,
mi pare ovvio» ride «oppure ha in mente una notte
di sesso sfrenato?»
«Non so
riguardo al sesso, ma qualcuna in mente ce l'ha» mormoro,
inumidendomi le labbra. Zack smette di ridere.
«Ah, cazzo.
Bello, mi dispiace, scusa, non avevo idea» farfuglia
«senti,
se vuoi possiamo andare a farci un giro e sti gran cazzi della festa;
ci appalesiamo giusto il primo quarto d'ora e poi chi s'è
visto
s'è visto, giriamo i tacchi».
«Non sarebbe
una cattiva idea» commento, poi resto un attimo in silenzio e
tiro su col naso, espirando lentamente. «Ma
così mi tormenterei pensando a cosa sia successo, non credo
sia
il caso...». Lo sento annuire attraverso il telefono.
«Certo,
sì,
ho capito, hai più che ragione... però non credo
che
stargli attorno ti aiuti molto di più» nota con
gentilezza.
«Lo so,
è
che... se lo vedo almeno so cosa aspettarmi, capisci? Se invece sono da
un'altra parte non posso sapere cosa succede, cosa non succede,
praticamente mi getto da un aereo senza paracadute» sospiro,
disegnando dei cerchi nel selciato con le dita. «D'altra
parte se non lo vedo posso pure illudermi, ma se succede qualcosa e lo
vengo a sapere da qualche voce sarà molto peggio di averlo
visto
con i miei occhi».
Zack sospira
sonoramente, credo stia scuotendo la testa o quantomeno cercando
un'altra via d'uscita. «Aspettati compagnia domani»
dice alla fine «non ti lasceremo solo un secondo».
Annuisco e abbozzo un sorriso.
«Grazie Zack.
Ci
vediamo domani» mormoro, poi chiudo la chiamata e poso le
braccia
sulle ginocchia, accoccolandoci la testa sopra; respiro nel silenzio
per un po', poi sospiro, mi siedo per bene e compongo svogliatamente il
numero di Rian.
«Jack,
ehi, come
stai?» mi risponde al quinto squillo con voce affaticata;
probabilmente ha appena finito gli allenamenti.
«Tutto
okay, mi chiedevo se saresti venuto domani» dico,
mordicchiandomi distaccatemente il labbro. Ci pensa su.
«Massì
dai, perché no? Ci becchiamo lì?»
propone, schiarendosi la gola.
«Andata. A
domani» lo saluto, lui attacca e io rimango fermo per un
altro
po' a rigirarmi il cellulare fra le dita, poi decido che è
passato troppo tempo, mi tiro in piedi e rientro in casa, fermandomi a
pulirmi le scarpe sul tappetino. Nell'ingresso vuoto rimbomba l'eco
della voce di Alex, al telefono con qualcuno. Faccio un po' di casino
per fargli capire che ci sono e lui riattacca sbrigativamente con un
'mi manchi anche tu, a domani', al che si affaccia sulle scale e mi
sorride.
«Allora? Che
hanno detto?» domanda, affrettandosi a scendere.
«Vengono
tutti, ci vediamo direttamente là» rispondo,
cercando di eliminare quel 'mi manchi' dalla memoria «per te
va bene o preferisci che gli dia un altro appuntamento,
chessò, prima di andare?»
«No no,
è perfetto» si sbriga a chiarire, poi si calma.
«Vuoi vedere qualcosa?» propone, allegro.
«Veramente
vorrei prendere un'altra boccata d'aria» dico, sentendomi
addosso una stanchezza infinita «per te è
okay?»
«A me va
benissimo, basta che non ti allontani troppo o ti sentirai
male» poi esita un attimo: «ce l'hai il telefono?»
«Sì,
non preoccuparti» mormoro «in caso ti
chiamo». Lui annuisce, mi dà una pacca sulla
spalla e abbozza un sorriso.
«A dopo
allora» mi saluta «vedi
di non strafare». Ricambio il saluto e mi dirigo nuovamente
verso
la porta, facendo uno sforzo immenso per non strascicare i piedi
durante il tragitto; ma quando me la chiudo alle spalle non mi sento
per niente meglio. Un alito di vento mi sfiora il viso ma lo sento a
malapena, avvolto dai pensieri come sono, così barcollo
verso
destra e proseguo alla cieca, guidato passivamente dai miei piedi. Quel
'mi manchi anche tu' potrebbe anche essere rivolto a qualcun altro, non
necessariamente a una ragazza; d'altra parte chi lo dice che a
un
maschio non possano mancare anche i ragazzi? Magari si riferiva a un
altro suo amico che per puro caso domani si troverà alla
festa,
e visto che non si vedono da tanto tempo a causa dell'influenza non
vedono l'ora di rincontrarsi e scambiarsi le ultime novità
su,
che ne so, chitarre, dischi, videogiochi, partite di football, roba del
genere. Nessuno lo vieta, no? Quindi calmati nasone, potrebbe esser
stato chiunque, non per forza lei - anzi, ti pare che siano
già
arrivati a quel punto senza che nessuno ne abbia detto nulla? Va tutto
bene, non preoccuparti, sei solo spaventato; vedrai che è
solo
suggestione.
Mi prendo la punta del
naso fra le dita e mi fermo per fare dei respiri
profondi, cercando di calmarmi. Non può esserci una ragazza,
Alex te l'avrebbe sicuramente detto se si fosse innamorato; quindi
tranquillo, respira, vedrai che nel giro di tre giorni non ci penserai
neanche più su; va tutto per il meglio, va tutto bene, devi
solo
calmarti e respirare, re-spi-ra-re.
Quando riapro gli occhi
mi rendo conto di star piangendo. E fanculo
tutto, mi sposto dalla strada, mi accascio in un punto seminascosto da
una siepe e piango finché le lacrime non si stufano di
uscire;
poi mi alzo, mi tolgo la polvere dai pantaloni, mi asciugo gli occhi e
torno sui miei passi, svuotato. Spero che non mi stia aspettando.
Fortunatamente quando
rientro è in camera che studia per
l'interrogazione a tappeto di matematica - non che capisca i
procedimenti, però almeno così la teoria sa
ripeterla -
così posso scivolare in bagno senza doverlo prima
incontrare. Mi
lavo velocemente la faccia con dell'acqua fredda ed evito di osservarmi
allo specchio - so benissimo che aria devo avere, posso sistemarmi un
po' i capelli ma sicuramente non si vedono tracce di pianto. Questa
è una cosa bella del mio corpo, posso piangere e disperarmi
quanto mi pare ma guardandomi in faccia non me lo si vedrà
mai
addosso, mai. È tanto una benedizione quanto una sfortuna,
perché non posso contare su una pacca solidale da parte dei
miei
amici se prima non mi hanno visto piangere o comunque buttarmi
giù, e a volte ce ne vuole una inaspettata.
«Com'è
andata la tua passeggiata?» mi chiede Alex quando rientro in
camera, io scrollo le spalle e mi siedo sul letto.
«Bho,
normale» rispondo «sono arrivato fino alla curva e
mi sono seduto ad osservare il cielo per un po'».
«E
com'era?» sorride.
«Sembrava
dipinto con degli acquerelli» sorrido a mia volta.
«Ragazzi,
sono a casa» urla invece Isobel dal piano di sotto, lasciando
cadere delle buste sul tavolo.
«Ciao
mamma» grida di rimando Alex, lasciando il libro di
matematica sul tavolo «vuoi che scendiamo?»
«Ma
sì dai,
facciamo un po' di conversazione» risponde, Alex mi fa un
cenno
allegro con la testa e ci dirigiamo in cucina, senza però
scapicollarci giù per le scale. «Come
va?» domanda lei, bevendo un bicchier d'acqua.
«State meglio?»
«Huh-uh,
molto meglio» rispondo, abbozzando un sorriso.
«Ah
sì? Mi fa piacere sentirlo» dice, posando il
bicchiere nel lavello «ma forse è meglio se domani
stai a casa».
«Gliel'ho
detto
anch'io, poi comunque domani andiamo al barbecue quindi è
meglio
se è riposato» interviene Alex.
«Da quando
t'intendi di medicina, tu?» ribatte Isobel, sorniona, e lui
le fa la linguaccia.
«A che ora
programmate di uscire?» domanda quindi, tirandosi indietro i
capelli con una molletta.
«Sette e
mezza, otto penso» butta sul vago Alex «tanto
comunque lì c'è già gente, quindi non
ci annoiamo».
«E i vostri
amici a che ora arrivano?» s'informa, lo sguardo di Alex cade
su di me.
«Ah, er,
verso le sette e mezza anche loro mi sembra» rispondo, senza
averne la più pallida idea.
«E verso che
ora contate di tornare?» domanda. Alex scrolla le spalle,
come a dire che non ci aveva ancora pensato.
«Non lo so,
l'una, le due» propone, ma lei boccia il tutto con un gesto
secco della mano, scuotendo il capo.
«Non se ne
parla neanche» ribatte decisa «sei
appena guarito e Jack è ancora sull'orlo del ricaderci,
sarei
un'incosciente a lasciarvi andare e star fuori così a lungo
di
punto in bianco. A mezzanotte e mezza, l'una meno un quarto
massimo, dovete essere qui, meglio se ce la fate prima ma assolutamente
non un minuto dopo o finite nei guai; ci siamo capiti?»
Annuisco.
Può sembrare severissima dai toni che assume, ma alla fine
Isobel è una donna che ti viene molto incontro per fortuna.
«Tu non
vieni?» domando e lei mi guarda con aria intenerita.
«Questi
barbecue
sono organizzati soprattutto per voi giovani, noi adulti facciamo una
cena un po' più calma alla fine della strada, quindi non
credo
c'incontreremo» risponde, e improvvisamente mi ricordo che
è così da almeno sette anni.
«Forse
è meglio se domani non torniamo a mezzanotte e tre
quarti» ride Alex.
«E va bene
via, i
dettagli più importanti li abbiamo sistemati»
espira
Isobel con soddisfazione, annuendo vistosamente «ora avete la
facoltà di apparecchiare, mentre io metto su l'acqua e cerco
d'inventarmi un sugo».
La cena passa
velocemente, senza argomenti degni di nota, e presto
torna il mio momento preferito del giorno: l'andare a dormire. In
realtà sono già sotto le coperte e sull'orlo
dell'addormentarmi da parecchio, ma non ho idea di dove sia andato a
finire Alex quindi cerco di rimanere sveglio con tutte le mie forze. La
casa è silenziosa - dal salotto ogni tanto arriva l'eco di
uno
sparo ma per il resto l'unico segno di vita è dato dal
danzare
delle luci della televisione contro il muro subito attaccato alle scale
- ma mi fa strano pensare che sia uscito in giardino. Voglio dire,
è appena guarito da una brutta influenza, sarebbe stupido
rischiare subito di riprendersela a causa di una passeggiatina
notturna, tanto più che non ha neanche il bisogno di fumare
o,
o... o fare una telefonata importante in santa pace. Okay, questo
è maledettamente plausibile. Cazzo. Mi stringo il cuscino
sulla
faccia per evitare di urlare e grazie al cielo dopo un po' mi
addormento, risparmiandomi il dolore dell'attesa. Quando mi risveglio
però lui c'è.
Lancio un'occhiata
all'orologio sul comodino e noto stancamente che
sono quasi le quattro; dovrei andare in bagno ma sono troppo impastato
dal sonno per volermi alzare e spingere lontano dal letto, quindi
mugolo e scaccio l'idea. Muovo leggermente le dita e con mio grande
sollievo incontro quelle di Alex, che mi stringono premurosamente. Man
mano che riacquisto sensibilità mi accorgo che non
sono
solo le mie mani a essere strette dalle sue, ma tutto il mio corpo -
senza essermene accorto per la stanchezza, ho dormito dandogli la
schiena, circondato dalle sue braccia, e ora che l'ho notato non posso
evitare di sentirmi bollente ovunque. Avvampo totalmente e poggio
nuovamente la testa sul cuscino, il sangue che mi pompa sonoramente
nelle tempie - si è addormentato abbracciandomi, cazzo,
abbracciando me, Jack, il nasone; il sottoscritto, cazzo. Sto per
esplodere di gioia, non posso farcela. Lo guardo con la coda
dell'occhio e vedo che sta dormendo placidamente, soffiando
silenziosamente fuori le brutte sensazioni e inspirando invece
tranquillità, e non riesco a capacitarmi del fatto di essere
qui, fra le sue braccia, mentre qualche ora fa era con la testa su un
altro pianeta, troppo impegnato a pensare a qualche altra ragazza per
darmi la minima attenzione. Gli stringo più forte la mano e
chiudo gli occhi, sorridendo. L'idea che stia abbracciando me
perché non può abbracciare lei non mi sfiora
neanche per
un attimo e mi addormento felice, avvolto dal suo calore.
La mattina dopo quando
si alza per andare a scuola inciampa e si
aggrappa alla sedia, facendo abbastanza rumore per svegliarmi; esita
qualche secondo ma vedendo che continuo a tenere gli occhi serrati tira
un sospiro di sollievo e va in bagno, rimettendosi le cuffie. Torna in
camera dopo forse cinque minuti, senza maglietta. Lo guardo armeggiare
con le ante dell'armadio e rovistare fra i cassetti alla ricerca di
qualcosa di carino, ma più che sui vestiti mi concentro sul
suo
petto magro, esitando all'altezza del bacino. Strizzo le palpebre e mi
giro dall'altra parte. Torna a dormire, Jack.
Passo la mattinata a
leggere e scarabocchiare pezzi di canzoni sul
quaderno di letteratura, sovrappensiero. Ora che ho dormito e
metabolizzato leggermente la cosa, il fatto che Alex possa essersi
innamorato di qualcuna e che non veda l'ora di andare alla festa per
incontrarla non mi sembra più l'unica opzione plausibile.
Certo,
rimane la più probabile, ma non dev'essere necessariamente
così; alla fine potrebbe davvero trattarsi di una vecchia
amica
o di un amico perso di vista, oppure di un parente o di comunque
qualcuno che ha cambiato città ma prima viveva qui nei
dintorni.
Cioè, dai, perché no? In fondo è
sempre più
frequente che la gente si sposti per lavoro o perché un
parente
sta male, quindi non è così impossibile che sia
successo
anche con questa persona; che poi vogliano parlarsi al riparo da
qualsiasi paio d'orecchie è ancora più normale, a
nessuno
piace che gli altri origlino le proprie conversazioni. Quindi credo di
poter prendere un respiro profondo e rilassarmi, magari stasera non
sarà poi così grave. La speranza prima di tutto,
no?
«Vieni
qui» mormoro, sporgendomi e abbracciando la chitarra. Magari
riesco a finire la canzone.
«I said I'd
never
forget your face, vaulted away inside my head, and memories never seem
to fade» muovo lentamente le dita sulla tastiera, alla
ricerca
degli accordi giusti. Ho sognato questa scena, so già cosa
fare.
«You were the best
part of my life, my last regret» la chitarra esita sotto il
mio
tocco insicuro, ma le parole sembrano scritte per suonare bene solo se
accompagnate da queste corde, non mi sento a disagio. «Now
I've walked this line a thousand times before, it hurts too much to
bear» il suono si fa più forte, ho già
provato
questa parte abbastanza da saperla riprodurre a occhi chiusi.
«For
you I'd tear out my own heart and write our names together»
la
mia voce si abbassa per un istante ma l'attimo dopo sono di nuovo
sicuro dell'intonazione che devo prendere. «Your
love is the barrel of a gun so tell me, am I on the right end? I could
be nothing but a memory to you» senza volerlo, comincio a
tremare
e in pochi secondi sto piangendo violentemente, stringendo la chitarra
fino a farmi male. Rimango curvo sullo strumento per un tempo che non
riesco a decifrare, poi soffio via una lacrima che mi sta per cadere
dal naso e deglutisco, tenendo
lo sguardo basso «don't let this memory fade away».
Lascio
andare la chitarra, la poso sul letto accanto a me e faccio un respiro
profondo, mordendomi il labbro. Esito qualche secondo, poi deglutisco
di nuovo, mi alzo e vado a farmi una doccia. Sarà di ritorno
presto, andrà tutto bene. Tutto bene.
«Jack!»
urla rientrando in casa, lanciando freneticamente lo zaino all'ingresso
e affrettandosi a raggiungermi.
«Ehilà,
come mai così di buon'umore?» domando, mettendo
giù il libro.
«Non
indovinerai mai chi ho incontrato per strada» esclama
eccitato con un sorriso a trentadue denti.
«Il tuo
cervello forse?» dico, lui alza gli occhi al cielo e scuote
la testa, senza farsi rovinare la giornata.
«Molto
simpatico ma non ci sei andato neanche vicino. Te lo dico?»
aspetta un attimo, poi esclama: «Lisa!».
Devo aver fatto una faccia diversa da quella che si aspettava,
perché mi chiede se me la ricordo; rispondo di sì
e lui
torna a sorridere, felice. «Cioè
non so se mi abbia visto ma era lì, cavolo, era proprio
lei» continua, scavalcando il bracciolo del divano con un
salto e
venendomisi a sedere accanto «a qualcosa come cinque, sei
metri da me, capisci?»
«Figata, ma
questo dove?» lo assecondo.
«Proprio
quaggiù, a mezzo chilometro da casa» risponde
adrenalinico «chissà che ci fa qui, non ci viene
mai».
«Magari ha
qualche amico nei paraggi oppure sta semplicemente cazzeggiando in
giro» suppongo, e lui annuisce.
«Già,
dev'essere così; però che figata, eh?»
gongola,
lasciandosi cadere pesantemente contro lo schienale del divano.
«In effetti
era parecchio che non si faceva sentire» realizzo.
«Vero?
Dev'essere stata parecchio impegnata ultimamente, chi lo sa»
conviene Alex, riflettendoci.
«Be' dai,
è una gran bella cosa» esclamo «speriamo
venga anche lei alla festa di domani, sarebbe bello
rivederla».
«Più
che
bello direi, non le parliamo seriamente da un casino di
tempo»
s'infervora, eccitato. Comincia a parlare ma ben presto stacco l'audio,
so per esperienza che il suo monologo durerà ancora almeno
una
mezz'oretta.
Lisa è una
ragazza della nostra età che prima veniva a
scuola con noi e usciva col nostro gruppetto tutto il tempo, ma poi i
suoi genitori hanno trovato un lavoro più retribuito in
un'altra
città e sono andati a vivere lì, portandola via
con loro.
Credo sia passato qualche mese dall'ultima volta che i suoi riccioli
biondi hanno messo piede a Baltimora, e decisamente più
tempo
dall'ultima volta in cui ha fatto un giro nel nostro quartiere. Non
è che ci siano stati grossi rancori fra noi, ma tempo fa
Alex mi
ha convinto a uscirci perché a quanto pare le piacevo
parecchio,
solo che alla fine c'è finito a letto mentre noi
cominciavamo
finalmente a conoscerci, quindi diciamo che è un po' saltato
tutto. Non so dire fino a che punto ci sia rimasto male, ma alla fine
mi è passata. Siamo ancora migliori amici, scherziamo
ancora,
facciamo ancora battute sporche e se capita commentiamo pure le ragazze
che ci passano sotto il naso. Insomma, tutto okay. Però a
differenza mia, che quando la vedo rimango assolutamente indifferente,
per qualche motivo Alex si emoziona ancora a incontrarla per strada
quando non se lo aspetta. Sarà che era particolarmente brava
sotto le coperte e gli è difficile non ricordarselo quando
la
vede, non saprei; ma non mi è sembrata una ragazza poi
così eccezionale neanche la prima volta che l'ho vista,
figuriamoci ora. Però adesso è tornata, quindi
immagino
tornerà con noi. Chi lo sa.
«Ah, per
pranzo
abbiamo dell'insalata di riso» mi ricordo, anche se so che
è l'ultima cosa a cui sta pensando adesso.
«Ma certo che
sì» dice infatti, da tutt'altra parte con la
testa «sono sicuro che sarà
più che felicissima di rivederti».
«Be'
sì, in effetti faccio spesso colpo sulle insalate»
sorrido sotto i baffi mentre rimugina.
«Credi che le
andrà bene se proverò a avvicinarla? Dopotutto
non ci
vediamo da secoli ed eravamo buoni amici prima».
«Non vedo
perché non dovrebbe andarle bene» ammetto
«alla fine non credo che le sia dispiaciuto».
Si gira a guardarmi
come se se lo fosse appena ricordato e mi rendo
conto della gaffe; ma ci ride sopra prima che possa farlo
io. «Figurati se è quello il
problema» dice mettendosi la mano davanti alla
bocca «quello le è piaciuto
sicuro».
«Troppa
sicurezza fa male» lo sfotto «ma
credo comunque che non esista proprio il problema. Voglio dire, non le
hai fatto niente di male, perché non dovrebbe volerti
vedere?»
Scrolla le
spalle. «Le conosci le ragazze, non si capisce mai
come ragionino» commenta, franco.
«Secondo me
se le regali un fiore la conquisti anche stavolta» scherzo;
lui scuote la testa e ride di nuovo.
«Probabilmente
hai
ragione, la situazione non è così
tragica» ammette
rincuorato, tirandosi su dopo aver fatto leva sulle ginocchia
«dai,
andiamo a vedere un po' cosa ci ha lasciato mamma, ho una fame che non
ti dico». Si avvia verso la cucina e lo seguo, alzando gli
occhi
al cielo. Il mio pollo preferito.
«L'insalata
di riso è nel primo ripiano, sopra i noodles
precotti» lo informo entrando nella stanza.
«Ah davvero?
Grande» esclama tirando fuori la vaschetta dal frigo
«ce
n'è una quantità industriale, ci
durerà per
mesi». Apro la credenza e metto due piatti sul tavolo,
aggiungendo due tovaglioli e due forchette; ai bicchieri ci pensa Alex,
che poi comincia a mettersi un po' d'insalata nel piatto, dopo avermi
chiesto se volevo essere il primo a mangiare.
«Che avete
fatto oggi a scuola?» domando quando ha finito di servirsi
«ti ha più interrogato matematica?»
«Non ci ha
neanche provato» scuote la testa masticando un primo boccone
«meglio perché non mi ricordavo nulla».
«Per il resto
tutto okay?» chiedo, abbassandomi per evitare di far cadere
troppo riso.
«Nick chiede
come stai e ti manda i suoi più calorosi saluti»
mi sfotte abbozzando un sorriso. Mi rannuvolo.
«E i ragazzi
hanno detto che si faranno trovare alle sette e mezza vicino al tavolo
del punch» aggiunge, addolcito.
«Questa
è una gran bella cosa» commento, riprendendomi
«e magari hai chiesto anche a qualcun altro?»
«In
realtà no, tanto alla fine ci si ritrova tutti, volenti o
nolenti» ammette, giocherellando col cibo.
«Mi sembra
giusto» annuisco «e, hum, nient'altro da
aggiungere?»
«C'è
un
raduno per coppie miste questo week-end, un paio di quartieri
più a est, lo organizza la chiesa giù
all'angolo... credo
che tu e Nick sareste molto ben accetti» scherza, godendosi
la
mia espressione contrariata.
«Dio, parlare
di queste cose con te è bellissimo» ride di gusto
«abbocchi
sempre al primo colpo; non importa quanto sia cliché
ciò
che dico, abbocchi ogni singola volta. Sempre, sempre, sempre. Dio,
Jack, sei meraviglioso, cazzo».
Non è che mi
senta molto lusingato ma ammetto che ha tutta la ragione del mondo
dalla sua. Abbozzo un sorriso.
«Comunque,
seriamente parlando, è andato tutto come al solito. Tidell
che
spiega e viene ignorata, ore successive in un coma irreversibile,
ricreazione troppo corta e troppo affollata, bagni schifosi e
caffè troppo annacquato» commenta.
«Insomma,
solita roba. Lauren si è beccata una nota perché
si
rifaceva il trucco al posto di ascoltare la lezione, e credo ci siano
stati dei problemi fra lei e il ragazzo perché
oggi flirtava con mezza classe».
«Come se ci
fosse qualcuno pronto a sfidare le ire di un quaterback simile per
entrare nelle sue mutande» ribatto.
«Hai centrato
il punto» conviene divertito «dovevi
vedere la sua faccia mentre si voltavano tutti dall'altra parte, non
credo si sia mai sentita così indesiderata in vita
sua».
Scoppio a ridere assieme a lui, non credo le sia mai successo.
«E alla
ricreazione? Avete seguito le sue tracce per un po'?»
domando, tornando a masticare.
«Guarda, ti
basta sapere che si è slacciata un po' i bottoni della
camicia e sono scappati tutti» ridacchia.
«Oddio e
lei?» non ce la vedo proprio, soffoco al solo pensiero.
«Lei niente,
s'incazzava e persisteva, umiliandosi ancora di
più»
risponde allegro, servendosi un'altra forchettata.
«E a voi non
ha detto nulla?»
«Be' no,
ecco, una
cosa l'ha detta» resta un attimo in silenzio, annuendo fra
sé con l'aria mezzo rassegnata di chi è abituato
ad avere
a che fare con i pettegolezzi più assurdi e non sa come
prenderli «ci ha
provato spudoratamente con Ri ma è passata Cassadee che l'ha
uccisa con lo sguardo, quindi ha lasciato perdere. Zack si è
girato dall'altra parte con un'aria da 'ommioddio questo muro
è
veramente interessantissimo' così non ha neanche potuto
tentare,
poi ha visto me, ha fatto una smorfia e ha detto 'ma che ci provo a
fare, tanto questo è frocio', poi se n'è
andata».
L'atmosfera si
è improvvisamente raffreddata. «Oh»
è l'unica cosa che riesco a spiccicare «mi
spiace».
Scrolla le spalle,
indolente «Non importa. Non c'è nulla di sbagliato
nell'essere gay, non lo prendo come un insulto».
Però riesco
a vedere che c'è rimasto male. «Se ti
può consolare crede che io sia un ermafrodito»
dico.
«Ma sappiamo
entrambi che non c'è proprio vicina» ribatte,
abbozzando un sorriso.
«Okay, questo
era decisamente gay» esclamo, ridendo sotto i baffi
«ma
tanto sticazzi di quello che dice Lauren, alla fine la cagano solo
perché la dà facilmente. Se gli altri perdessero
un solo
secondo ad ascoltarla, si ritroverebbe sola».
«Hai
anche ragione» ammette, ma devo aver mascherato male la mia
apprensione perché poi sorride e aggiunge:
«è
tutto okay, davvero. Non preoccuparti. Può dire quel che le
pare
su di me, sono cavoli miei chi e cosa mi piace - di sicuro non vado a
farmi influenzare da quello che pensa una ragazza del
genere».
Annuisco, un po' rassicurato.
«E gli altri
che hanno fatto?» domando.
«Si sono
girati
entrambi con gli occhi sgranati e sono rimasti senza parole con me; poi
dopo un po' che lei aveva girato l'angolo Zack si è portato
una
mano alla fronte e ha detto 'be', adesso le ho proprio sentite
tutte'» abbozza un sorriso «ora che ci penso,
è stato un commento simpatico. Ebbravo Zack».
«Certo che un
pacco di affari suoi ogni tanto non le farebbe male»
commento, piccato.
«'Se devi
dire
cose sgradevoli tanto vale che non apri bocca'» conviene
Alex,
alzandosi per portare il piatto sporco nel lavandino «tanto
più che su di lei ci si potrebbero scrivere delle trilogie
intere senza trovare un dettaglio carino».
Seguo il suo esempio
mentre apre l'acqua «Tanto quest'anno non lo supera di sicuro
coi voti che si ritrova» dico.
«Non vedo
l'ora di
lasciarmela alle spalle» soffia, e so per certo che per lui
la
situazione in classe è più pesante. Io me la cavo
un po'
meglio perché sono il pagliaccio della situazione, quindi la
gente mi tollera più facilmente, ma quella che ho scelto io
è la strada facile, fra noi due quello speciale è
Alex.
Essendo il ragazzo amabile che è, anche se non parla molto
pian
piano si sta facendo apprezzare anche dagli individui più
falsi
e superficiali dell'istituto; ma per ora fa fatica a integrarsi in
classe perché non ha molto in comune con quelli che ci
circondano, che non esitano a metterlo da parte e cercarlo la maggior
parte delle volte solo per tornaconto, visto che con loro non si
arrabbia mai. Dice che non gli interessa particolarmente star simpatico
'a quell'inutile banda di piccioni' e che quindi possono trattarlo come
gli pare, ma probabilmente non riuscire a fare amicizia lo fa sentire
un po' diverso e solo, ed è un pensiero brutto
perché
è tutto ciò che vorrei essere e dovrebbe essere
amato.
Lo osservo trafficare
distrattamente con bicchieri e posate sotto il
getto d'acqua fredda, poi quando chiude il rubinetto e si volta verso
di me mi limito ad aprire le braccia e invitarlo con un cenno del capo.
Non dice nulla ma si avvicina e si stringe a me, lo circondo e
rimaniamo avvolti così per un po', a respirare assieme nel
silenzio totale.
«Non mi era
mai
successo prima» mormora dopo un po', sento le ciglia muoversi
lentamente su e giù lungo il mio petto.
«È
un'infame» ribatto, accarezzandogli i capelli «i
tuoi sentimenti, qualunque essi siano, riguardano solo te».
Non ha il respiro
affannato, ma so che si sente pesantissimo. «La gente non
dovrebbe giudicare dall'aspetto» sussurra.
«Non
è colpa tua se lo fa, purtroppo i pregiudizi esistono da
sempre» soffio, senza fermare le dita «e
poi mica è un difetto avere il senso dei colori, non sai
quante
ragazze darebbero un rene per avere un fidanzato che se ne
intenda».
Ride per qualche
secondo. «Secondo te sono troppo effemminato,
Jack?» chiede poi.
«Devo essere
sincero? Per niente; sei perfetto così, è Lauren
che non
ci capisce un cazzo» rispondo, e lui sorride.
«Grazie»
mormora dolcemente «Lauren può anche farsi
fottere».
«Credimi, ci
sta
sicuramente provando in tutti i modi» scherzo, in tutta
risposta
lui mi stringe fino a togliermi il fiato.
«Ouff»
esalo, spalancando gli occhi; poi allenta la presa e ricomincio a
respirare, lasciandogli una mano fra i capelli.
«Alex, Cristo
santo, non farlo mai più» squittisco «a
momenti vomitavo la milza».
Ride e lo stringo
più forte, posando la testa sulla sua. «Non
importa quello che dice Lauren, tu sei e rimarrai fantastico, okay? Sei
etero? Tanto meglio per le ragazze, guadagnano un gran bel premio.
Preferisci i maschi? Perfetto, li avrai comunque tutti ai tuoi piedi.
Non devi preoccuparti di quello che pensano gli altri, puoi essere
felice in ogni caso».
«E tu e gli
altri sareste felici se fossi gay? Non avreste paura?» soffia.
«Paura di
cosa? Se
all'improvviso ti svegliassi e ti piacessero i maschi sarebbero affari
tuoi, non nostri; e le cose fra noi rimarrebbero comunque le stesse -
forse riusciremmo perfino a convincere Ri ad accompagnarti per locali,
pensa».
Lo sento sorridere.
«E tu saresti felice?» chiede, alzando lo sguardo
verso di me.
«La persona
più felice del mondo. A me basta che tu riesca a essere te
stesso e contento di ciò che sei, il resto conta
poco o
niente» lo tranquillizzo dolcemente, tornando ad
accarezzargli i
capelli. Dio, sarei felice da morire.
«Certo che
Lauren
è proprio sfortunata» commenta dopo qualche
secondo, arricciando le labbra in una smorfia soddisfatta
«anche
se fossi gay riuscirei a essere più felice di quanto
è
lei nei suoi sogni più sfrenati. Mi spiace per
lei».
Rimango in silenzio
alla frase - devo ammetterlo, mi ero fatto un gran
bel film mentale su lui che faceva coming out fra le mie braccia, io
che gli dicevo che avevo anch'io qualcosa da dirgli e mi dichiaravo e
lui che mi diceva che provava le stesse cose per me, poi ci baciavamo e
aiuto a cuccia cuore. Alex lo nota, ride e mi guarda.
«Jack? Tutto
okay?» scherza, io mi sbrigo ad annuire.
«Assolutamente,
ogni tanto mi prende» mi paro il culo, lui ride di nuovo e mi
sorride.
«Sei proprio
un tipo strano tu» commenta «sarà per
questo che siamo sempre stati amici».
Gli do un pizzicotto
allo stomaco e si piega in avanti con una risata «Strano a
chi?» lo stuzzico, continuando.
«Strano chi?
Chi?». Continua a ridere e si aggrappa alla mia maglietta -
non
me l'aspetto così inciampo su di lui.
«Ommioddio
Jack levamiti di dosso, pesi un quintale» esclama riprendendo
fiato, ancora vittima della ridarella.
«Ma senti chi
parla, perché non hai idea di quanto pesi tu!»
ribatto, divertito.
«Sicuramente
meno
di te, manco na trebbiatrice riuscirebbe a superarti» mi
sfotte
mettendomi una mano sotto il petto e spingendo verso l'alto,
sollevandomi di qualche centimetro. Mugugno perché mi
è
difficile respirare, ma da così il suo viso mi sembra ancora
più bello quindi tengo la bocca chiusa finché il
braccio
non gli crolla e cado di nuovo su di lui.
«Attenzione,
atterraggio numero due riuscito» distorco la voce, lui mi
spinge
di lato con una risata e rimane sdraiato. Mi tiro sui gomiti e mi volto
a guardarlo, questa situazione mi sembra stranamente buffa.
«Sai Jack,
vorrei che momenti così durassero per sempre» si
volta verso di me «io, te e quest'infinità di
risate».
Sorrido. «Lo
faranno, non ho la minima intenzione di abbandonarti».
«Ne
sono felice» sorride sinceramente «non
sopravviverei».
«Grazie di
esistere, lex» mormoro, improvvisamente avvolto da un'ondata
di calore e felicità «senza
di te il mondo sarebbe terribilmente grigio». Allunga la mano
verso di me e la stringo stretta, poi rimaniamo zitti per un po',
sdraiati sul pavimento ad osservare i giochi di luce che si riproducono
sul soffitto. Tutto attorno a noi è chiaro e di buonumore -
mi
sento come se in questo momento potessi fare tutto senza mai fallire e
quando guardo le nostre dita intrecciate non posso non pensare che in
effetti non ho bisogno di tentare nulla, la gioia ce l'ho
già
accanto.
«Alex?»
lo chiamo dopo un po', si gira a guardarmi.
«Dimmi»
risponde, squadrandomi.
«Se mai te ne
andassi, ti rincorrerei e ti porterei indietro». Sorride
dolcemente.
«Grazie
Jack» mormora «non potrei sperare di
meglio».
Torno a fissare il
soffitto con un sorriso ancora più grande
dipinto sulle labbra. Qualcosa mi dice che non lo perderò
mai, e
voglio credere in questo qualcosa con tutte le forze che abbia mai
posseduto, senza esitazioni.
Dopo un po' Alex si
alza e mi tira su con sé, si dirige verso il
salotto e si spaparanza con un sospiro soddisfatto sulla poltrona
dell'altroieri, invitandomi a fare lo stesso con un gesto del capo.
Obbedisco e mi siedo sulla poltrona dirimpetto alla sua, poi mi
stiracchio e mi metto comodo, tentato dal sistemarmi coi piedi verso
l'alto e la testa al loro posto.
«Abbiamo
quattro ore prima di andare al barbecue» conta sulle dita
«che facciamo?»
«Ti va di
provare un po'?» propongo dopo averci pensato su.
«Ci
sta» conviene Alex annuendo «vado a prendere le
chitarre, così magari mi musichi pure la canzone».
Si alza e corre su per
le scale, mentre io rotolo giù dalla
poltrona e mi sistemo in una posizione normale; ricompare dopo due
minuti e mi porge la chitarra acustica di prima, poi posa sul tavolo
una ventina di fogli bianchi e di spartiti da riempire, assieme a una
penna e a una matita, e mi guarda tutto allegro.
«Così
magari butti giù le note e la mettiamo nel raccoglitore con
le altre» dice e io annuisco.
«Preferisci
che
prima scriva o suoni?» domando, più per guadagnare
tempo
che altro - so già come risponderà.
«Suona,
così se qualcosa non ti convince del tutto possiamo
rivederla
assieme» dice infatti, sedendosi sul bracciolo. Annuisco,
imbraccio lo strumento e comincio a pizzicare le corde, dopo aver
controllato di non aver scordato la chitarra dopo il mio set di
stamattina; decido di non alzare lo sguardo per non rischiare di
scoppiare a piangere inutilmente e dopo un attimo di esitazione
comincio, deglutendo.
«Ho fatto un
sogno
stanotte, e quando mi sono svegliato avevo le parole per la prima
parte. Sii cattivo, mi piacerebbe se diventasse una buona
canzone» mormoro, finendo di suonare le note iniziali.
Attacco a
cantare premendo gli occhi sulla tastiera - l'imbarazzo in questi
momenti è qualcosa di inevitabile anche se in effetti ci
siamo
sempre messi a nudo per quanto riguarda i sentimenti, ma più
che
altro ho paura di lasciarmi scappare qualcosa senza rendermene conto -
quindi non so che espressione possa aver assunto. Non credo di volerlo
sapere.
«Jack,
perché non li componi tu i nostri pezzi?» dice
semplicemente quando poso la chitarra e respiro a fondo.
«Perché
abbiamo il miglior compositore della contea e sostituirlo sarebbe una
gran cazzata» ribatto, imbarazzatissimo.
«Dico sul
serio, è da paura» insiste «e dire che
l'hai pure sognata, cioè io non ne sarei capace».
«Smettila e
aiutami a trascrivere le note» faccio goffamente, sporgendomi
per prendere i fogli e la penna.
Ride sotto i baffi e
prende la chitarra dal mio grembo, lasciandomi libero di scrivere, poi
ci ripensa e mi dà indietro lo strumento, prendendosi i
fogli
«Dimenticavo che non so le note, suona tu e io
trascrivo».
In una mezz'oretta ce
la caviamo - ci avremmo messo anche meno ma una pausa caffè
ci stava eccome.
«Pausa
gelato?» propongo, ho ancora un languorino.
«Aspetta,
idea migliore» m'interrompe, poi tace un attimo
«pausa affogato».
«Meraviglia,
vado
a prendere i soldi» esclamo, saltando in piedi e dirigendomi
in
camera. Raccatto cinque dollari da una tasca della borsa e torno
giù di corsa, Alex fa un sorrisone e si avvia verso la porta
con
le chiavi in mano.
«Oggi mi
sembra una giornata magnifica» commenta, annuisco e ci
lanciamo verso la gelateria.
Le sette e mezza
arrivano dopo un pomeriggio passato all'insegna di
chitarre riaccordate ogni due secondi, fogli che volano via col vento,
affogati al caffé rovesciati sugli spartiti appena compilati
e
risate fin troppo contagiose. Arriviamo nel giardino del party che gli
invitati sono ancora pochi - noto con delusione che i ragazzi non sono
ancora qui.
«Alex,
Jack!» ci chiama la padrona di casa, smettendo di parlare con
una donna.
«Buonasera»
salutiamo, avvicinandoci, e in un lampo mi accorgo di non avere la
minima idea di quale sia il suo nome.
«Purtroppo
non
sono molti quelli ad essere già arrivati, però se
volete
potete tranquillamente cominciare a mangiare» dice con un
sorriso
«o fare un giro in casa, come volete. Fate come se foste da
voi, d'accordo?»
Ringraziamo e lei torna
dalla sua amica, che nel frattempo l'ha
aspettata sorseggiando un bicchiere di punch. Mi guardo intorno e ho
come l'impressione di essere già stato qui, anche se sono
sicuro
che questa sia la prima volta che ci metto piede; guardo Alex e penso
che forse prova la stessa cosa anche lui. Non glielo chiedo e comincio
a camminare verso destra, curiosando un po' in giro; lui mi segue
docilmente - non abbiamo nulla da fare ma sarebbe scortese andarcene e
tornare più tardi ora che la padrona di casa ci ha visti e
salutati, quindi non è che abbiamo molte altre alternative.
«Come te la
cavi dietro a un barbecue?» domando dopo un po'.
«Non lo so e
non lo voglio sapere» risponde francamente «non
credo sarei molto bravo».
«Forse hanno
bisogno d'aiuto in cucina» suppongo «andiamo a
impicciarci?»
«Sicuramente
farà passare il tempo» conviene Alex, avviandosi
con me all'interno della sala.
Alla fine non
c'è alcun bisogno di noi, però ficchiamo il
naso nel salotto e decretiamo che i divani sono abbastanza comodi per i
nostri gusti, e che se non li soddisfano appieno poco ci manca;
così quando usciamo almeno quindici minuti sono passati di
gente
ce n'è parecchia. Troviamo i ragazzi vicino al tavolo e ci
avviciniamo, salutandoli.
«Allora
è vero che sei guarito» esclama un Rian
soddisfatto, servendosi un bicchiere di punch.
«Grazie al
cielo
sì, mi sembrava di vivere sulle montagne russe»
rido. Con
la coda dell'occhio noto Cassadee alle spalle del fidanzato che
chiacchiera con una sua amica, mi sporgo verso di lei e le faccio un
allegro «ciao anche a te Cass!».
Si gira e mi
nota, mi rivolge uno stupitissimo «ommioddio Jack non ti
avevo
proprio visto!», mi afferra per il braccio e mi trascina
verso di
sé: «devo assolutamente presentarti qualcuno,
è un miracolo che ti sia fatto trovare così
presto!».
Non faccio resistenza
ma mi lancio un paio di occhiate disperate alle
spalle mentre vengo portato verso il tavolo del cibo,
ricevendo in
cambio risate e qualche pollice alzato; nel frattempo Cass getta parole
al vento, parlando di qualcosa di cui ho perso da tempo il soggetto, e
scoppia in qualche risatina per mettermi a mio agio. Arriviamo al
tavolo, si riavvia rapidamente i capelli, sorride prima a me poi a una
ragazza, poi ci avvicina.
«Jack, questa
è Kailey, una mia compagna di corso. Kailey, questo
è Jack» miagola, presentandoci.
«Er,
ciao» mormoro porgendole goffamente la mano «come
va?»
«Bene grazie,
tu?» ribatte lei, stringendomela saldamente. Rispondo con un
'sì, anch'io tutto bene' e Cass s'illumina.
«Bene, vedo
che il ghiaccio è rotto» trilla «vi
lascio a conoscervi, ci vediamo dopo».
La guardo scomparire un
po' spaesato, mi volto a guardare Kailey e noto che sta sorridendo
radiosamente verso di me.
«E
così...» mormoro, senza sapere come continuare.
Odio quando Cass mi combina appuntamenti a mia insaputa.
«Hmm, vediamo
un po'» rimugina un po' lei «tu studi letteratura
assieme a Ri, giusto?»
Annuisco lentamente,
mantenendo il silenzio. «Ecco, mi sembrava di averti
già visto» esclama abbozzando un altro sorriso
«e per caso abiti alla fine della strada?»
«Non proprio,
un paio di case a destra giù all'incrocio»
rispondo, a disagio.
«Oh be', ci
sono andata vicina» ride, mentre io abbozzo un sorriso e tiro
su col naso.
«Tu invece
dove
stai?» mi sento in dovere di chiedere, più che
altro per
limitare le ire di Cass quando saprà che i suoi sforzi sono
andati come al solito tutti a monte e che non ho combinato niente anche
stavolta.
«Hai presente
il supermercatino indiano vicino alla rotonda? Terzo piano»
risponde allegramente, al che annuisco.
«Fate spesa
lì?» chiedo, lo sguardo perso oltre le sue spalle.
«In
realtà non ci passiamo mai, non ci piace troppo la cucina
speziata» ammette con un velo d'imbarazzo.
«A me
piacciono molto i burrito» dico, cercando di scorgere i
ragazzi dietro di lei.
«Davvero?»
esclama, come se fosse una vera scoperta «piacciono
tantissimo anche a me, e pure i nachos!»
«Non saprei
esprimermi sui nachos» commento «ma i burrito sono
il culmine dello sviluppo umano».
«Qualcosa mi
dice che sei un cliente affezionato di Tacobell» ride
«io invece preferisco cucinarmeli da sola».
«Ammetto di
essere un po' pesaculo per quanto riguarda la cucina» dico,
alzandomi sulle punte «ma
d'altra parte se possono prepararmelo altri ad un costo più
che
conveniente non vedo perché non dovrei accettare».
«Chissà
che ci mettono dentro» mi fa notare, e finalmente scorgo Alex.
«Qualsiasi
cosa sia, quello che crea è il paradiso» ribatto,
cercando di capire cosa stia facendo.
«Fa strano
sentirti parlare di cibo, sei magro come uno stecco» dice
allegra
mentre io strizzo le palpebre per riuscire a distinguere meglio le due
silohuette nella penombra - è una donna quella che gli sta
facendo compagnia?
«Questione di
metabolismo; quando crescerò probabilmente
diventerò un
panzone» commento mantenendo il distacco - Alex sta offrendo
da
bere alla ragazza, lei accetta e ridono assieme.
«Speriamo di
no» esclama con aria mesta «ma
almeno tu non vivi perennemente a dieta», si circonda la
pancia
con le braccia e guarda in basso con una smorfia. Alex e la tipa si
avvicinano un po' a noi, lei gli mette la mano sul braccio.
«È
uno spreco di tempo, stai benissimo così» la
tranquillizzo, il cuore che accelera «anzi,
sicura di non voler mettere qualcosa sotto i denti?»
aggiungo,
avvicinandomi al cibo e quindi alla coppietta.
«Non si
rifiuta
ciò che è gratis» commenta, seguendomi
docilmente
con un'aria più che felice. Mi riempio il piatto senza
guardare,
girato verso di loro, poi sento Kailey ridere e mi volto verso di lei
aggrottando la fronte.
«Non ci
credo, ti piace quella roba?» ridacchia, indicando qualcosa
di giallognolo che sovrasta la mia carne.
«Lo
trovo meraviglioso» mento, senza capire cosa
sia «dovresti assaggiarlo».
«Forse
lo farò» sorride, servendosi uno spiedino. Alex e
la tipa sono più vicini, troppo vicini.
«Hmm, quefto
fpiedino è davvewo buoniffimo» bofonchia Kailey
dopo un
morso, io annuisco distrattamente. Me lo sto immaginando o lei ha la
mano attorno al suo fianco?
«Ma tu non
hai fame?» domanda, costringendomi a distogliere lo sguardo.
«Eh? No
sì
sì, è solo che penso di aver visto qualcuno che
conosco
laggiù e non riesco a capire se sia davvero lui».
«Probabilmente
lo
è, è stato invitato tutto il vicinato»
ragiona dopo
aver mandato giù il boccone.
«Già,
probabilmente hai ragione» convengo, addentando la mia
robaccia giallastra «buono».
«Sì?»
ribatte con un'aria poco convinta.
«Sì,
dovresti provare» insisto, avvicinandole il piatto. Mentre
lei lo
fissa con disgusto e curiosità assieme, torno a spiare i
movimenti dei due e scopro con sgomento che non sono più
dove mi
aspettavo di trovarli. Setaccio velocemente tutto il giardino con gli
occhi, terrorizzato, e li ritrovo a chiacchierare in un angolino,
separati dagli altri.
«Hmm, hai
ragione, è davvero buono» mormora lei
restituendomi il piatto.
«Vero?»
concordo senza guardare, le previsioni più catastrofiche che
mi affollano la mente.
«Mi chiedo
cosa sia, forse peperoni» butta lì - Alex si
sporge verso la sua accompagnatrice e ride di nuovo.
«I peperoni
hanno
un gusto più deciso, probabilmente è verza
bollita»
rispondo, lo stomaco che mi si chiude.
«T'intendi di
cucina?» domanda stupita.
«Quel che
basta per sopravvivere, i miei non sono mai a casa» dico.
«Davvero non
ci sono mai? Ma è terribile, mi dispiace tanto» si
stupisce «se vuoi posso ospitarti io ogni tanto».
«Grazie mille
ma non è un problema, praticamente vivo a casa di
Alex» ribatto, osservandolo insistentemente.
«E sua mamma
non si arrabbia?» chiede mentre mi stringo la punta del naso.
«Eh? Ah no
no, è molto disponibile invece» dico «mi
vuole bene, a volte l'aiuto a cucinare».
«E hai la tua
camera pure da loro?» insiste, sinceramente interessata. La
tipa ha di nuovo la mano sul suo fianco.
«No, mi
sistemano un materasso in camera di Alex e dormo
lì» rispondo, sempre più spaventato.
«Caspita,
dev'essere dura» mormora, impressionata.
«Potrebbe
essere
più facile» convengo, mordendomi il labbro.
È lei
che doveva incontrare, che non posso sconfiggere.
«E quando
Alex non può che cosa fai?» domanda, inclinando la
testa.
«Sto a
casa» dico distrattamente «mi mangio un film,
guardo una pizza, passo il tempo».
«Ti mangi un
film?» ride «è divertente come
cosa?»
«Abbastanza,
diciamo che ti tiene occupato» rispondo - la mano di lei non
è più sul suo fianco, ma solo perché
ha trovato
qualcosa di meglio da fare sulla sua spalla. Mi stringo di nuovo la
punta del naso, deglutendo.
«Jack, ti
senti bene?» chiede lei, sfiorandomi apprensivamente il
braccio con le dita «tutto a posto?»
«No, in
realtà no» mormoro, portandomi una mano alla testa
«è
meglio se vado a sedermi. Grazie della compagnia Kailey, ora
è
meglio che vada». Apre la bocca per dire qualcosa ma mi
allontano
prima che possa articolare nulla, dirigendomi verso il giardino e
scontrandomi con tutti quelli che incontro. Quando sono abbastanza
isolato dagli altri mi lascio cadere su una panchina di legno e tiro un
pugno contro il bracciolo, ottenendo un'ulteriore conferma del fatto
che non sono arrabbiato con loro, solo terribilmente ferito e
dolorante; e rimango fermo con le mani penzoloni per un po', a radunare
i pensieri e cercare di non piangere - cosa difficile, avendoli proprio
davanti agli occhi.
Ma forse quello che fa
più male è sapere di aver
avuto ragione ancora una volta, di aver riconosciuto i segni
premonitori della tempesta senza però averci potuto far
nulla,
di essere stato solo uno spettatore paralizzato in quello che potrebbe
essere l'atto tragico più importante della mia vita. Non che
ci
sia stato niente che avrei potuto fare e non ho fatto - le cose sono
andate come dovevano andare e non c'è niente che avrei
potuto
cambiare per far sì che in questo momento loro due non
fossero
insieme - ma anche quando sai di essere ininfluente non riesci a
perdonarti i risultati.
La cosa vitale
è che lui è lì, a venti,
venticinque metri da me, e al suo fianco c'è una ragazza,
una
ragazza con cui ride, scherza, beve e si diverte, una ragazza che non
si fa problemi a mettergli la mano sul fianco o sulla spalla, una
ragazza che a quanto pare trova piacevolissimo aggrapparglisi al
braccio e non lasciarlo più andare.
Sono tentato dal
piangere, tanto da qui non mi vedrebbe nessuno, ma
scuoto la testa e mi limito a spostare lo sguardo sull'erba che mi
cresce tutt'intorno, ricoperta da un sottile velo di giallo e
movimentata dal passaggio di qualche insetto che non sono in grado di
captare. Affondo il viso fra le dita e in qualche modo il calore mi
dà un po' di sollievo, anche se non rimango in questa
posizione
a lungo.
«Posso
sedermi?». Zack si sistema accanto a me dandomi solo una
breve occhiata. Si concentra sulla coppia.
«È
lei?» domanda, senza aver davvero bisogno di una risposta.
«Temo proprio
di sì» dico comunque, tornando ad osservarli
mestamente. Respira sonoramente.
«È
bella» commenta, tirando le labbra.
«È
il suo tipo» metto a fuoco il suo pensiero, abbassando gli
occhi.
«Te l'ha
presentata?» domanda ancora, cercando di scorgerle qualche
dettaglio del viso.
«No, sono
stato rapito da Cassadee e sono caduto vittima di uno dei suoi
appuntamenti a sorpresa».
«Meglio
così allora» soffia, espirando dal naso. Sposta lo
sguardo
da me a lei, poi si sofferma sul buio della notte.
«Vuoi che
andiamo ad impicciarci?» propone, ma io scuoto la testa.
«Preferisco
guardarlo da un posto sicuro e non espormi, così non
dovrò perdere».
Rimane in silenzio e
apprezzo, annaspando di nuovo fra le onde di pensieri che mi
sbilanciano la mente.
«Zack,
potresti prendere qualcosa da bere?» domando flebilmente, lui
annuisce e si avvia.
L'eco della musica e
delle risate mi arriva attutita e rimbalza contro
il mio scudo di vetro, scivolandomi via lungo la pelle, e per un
secondo mi chiedo se non sia meglio andare da loro e trasformare la
coppia in un trio caciarone; poi scuoto la testa e lascio perdere -
solo perché la mia serata fa schifo non deve star male pure
Alex.
Zack torna dopo tre
minuti con in mano due bottiglie di birra, me ne passa una e posa
l'altra sull'erba, sedendosi.
«Cosa pensi
di fare?» chiede dopo un po', girandosi verso di me. Poso la
bottiglia e mi asciugo le labbra.
«Non ne ho
idea» mormoro «aspetterò che si separino
un attimo e mi appolperò ad Alex, immagino».
Tacciamo insieme,
mentre io torno a bere.
I due stanno ancora
chiacchierando, muovono le mani con convinzione e
sembrano spassarsela parecchio. Ridono spesso, soprattutto lui, anche
se è lei quella che cerca più di tutti il
contatto
fisico, e questo mi dà un po' di speranza. Forse Alex non
è davvero convinto di quello che fa, forse è
davvero solo
un'amica di vecchia data.
Continuo
a guardarli e l'idea mi muore davanti, cerco con le dita l'altra
bottiglia e lenisco la paura con il sapore aspro della birra, conscio
che senza mangiare qualcosa mi ubriacherò presto. Mando
giù un altro lungo sorso. Non so cosa sarebbe meglio, se
diventare così ubriaco da non capire più nulla e
soffrire
domani anche per oggi o rimanere sobrio e domani soffrire un po' di
meno perché qualcosa l'ho già data. Nel dubbio
finisco la
birra, mi alzo barcollando un po' e mi trascino verso il banchetto del
cibo, dove il mio piatto giace abbandonato ancora praticamente
intoccato. Zack mi segue e bada per me a dove cammino, stringendomi il
braccio quando metto un piede in fallo, e sembra felice quando mi vede
buttar giù un po' di carne, oltre all'alcol. Quando finisco
la
salsiccia e poso il piatto sul tavolo lo afferra e me lo rimette
davanti, pregandomi con gli occhi di mangiare qualcos'altro; abbasso lo
sguardo e obbedisco docilmente, senza protestare, poi afferro un'altra
bottiglia di birra e me la porto alle labbra. So che non gli piace
quando bevo per lasciar fuori l'immagine di Alex che si diverte con
qualche ragazza, ma mi aiuta a non impazzire.
«Jack, che ne
dici di farci una passeggiata?» propone in alternativa.
Scuoto la testa.
«Non posso
allontanarmi, potrebbe succedere di tutto».
«Anche se
stai qui a guardarli non potrai fare nulla per impedirlo» mi
ricorda preoccupato.
«Lo so
ma...» non so cosa dire ma qualcosa devo spiccicarla.
«Rimaniamo, per piacere. Non posso permettermelo».
Sospira sonoramente, me
la dà vinta e riempie il piatto con altro cibo, indica la
panchina e lo ringrazio con gli occhi.
«Jack,
ehi!» mi chiama qualcuno, non riesco a capacitarmi sia Alex.
«Ehi»
ribatto, voltandomi e cadendo dalle nuvole.
«Si
può sapere dove ti eri cacciato?» mi domanda,
visibilmente felice.
«Cass mi
aveva organizzato un appuntameno a sorpresa» rispondo, lui
scoppia a ridere.
«Davvero? Ci
prova ancora?» esclama «certo che è
proprio assurdo». Abbozzo un sorriso. Felice che sia felice.
«Piuttosto,
senti qua» s'interrompe di punto in bianco
«c'è una persona che voglio farti
vedere».
Spero non abbia notato
che ho stretto la mano di Zack con tutte le mie forze. Lui mugola
sottovoce e chiude gli occhi.
«Ah
sì?» dico, fingendomi stupito «e
chi?»
«È
una
sorpresa» gongola, poi mi prende e mi trascina via dopo un
velocissimo 'ciao Zack!'. Ci fermiamo accanto al tavolo del punch ma
per fortuna non c'è nessuna ragazza ad aspettarci,
così
lui si gratta la nuca, stupito.
«Non riesco a
capire, le avevo detto di aspettarmi qui» mormora, e qualcuno
ci
assale alle spalle con un 'boo'. Trasale visibilmente e si gira di
scatto, portandosi la mano al petto.
«Non te
l'aspettavi vero?» ride una ragazza, non mi va di girarmi a
guardarla in faccia.
«Sei
un'infame, lo
sai che queste cose con me funzionano sempre» si arrabbia per
finta lui, lasciando spazio a un enorme sorriso sulle labbra fine. Lei
ride e mi sento improvvisamente seppellir vivo, vorrei morire sul colpo.
Poi un telefono
squilla, sento un 'merda' sottovoce e lei che risponde
con un 'pronto' squillante, per poi fare cenno ad Alex di aspettarla un
attimo, perché la telefonata è importante e non
può proprio rimandare.
«Fa' pure con
calma Noel» la tranquillizza lui, guardandola allontanarsi
con una sicurezza felice, rilassata.
In un istante mi torna
in mente una delle sue vecchie canzoni, una di
quelle di cui non vuole svelare il significato perché
evidentemente sono troppo personali per essere raccontate apertamente,
e la sensazione di prima si ripropone, più decisa e
violenta.
Annaspo per un po' d'aria ma non riesco a trovarne, così
mormoro
un 'torno subito' e scappo via prima che possa dirmi nulla,
andandomi a sedere nel buio sul prato opposto a loro, le
ginocchia
tirate su contro il petto e le mani a coprirmi il volto. Non sto
piangendo né voglio farlo, ma mi sento così
terribilmente
pesante e lacerato che non riesco a fare altro che nascondermi da tutto
e tutti, intenzionato a evitare tutto il più possibile. Mi
sposto i capelli dalla faccia e respiro, incrociando le gambe e
posandoci sopra i gomiti, mi reggo la fronte coi palmi e cerco di
rallentare i battiti, ormai fuori controllo.
Okay, quella
è la Noel della canzone, quella dal ruolo
così importante che potrebbe distruggere il legame fra due
migliori amici, quella che si deduce essere andata a letto con Alex
all'interno di una macchina e che a quanto pare è il mix
perfetto per mandarlo su di giri, quella che aspettava con ansia e che
ha finalmente rivisto, che io non eguaglierò mai e che
osserverò sempre dal basso in alto senza osare un confronto,
perché so che se ci provassi verrei stracciato su tutti i
fronti
- è quella Noel ed è qui, a qualche ventina di
metri di
distanza, e ad Alex mancava, mancava così tanto che era su
di
giri solo nel dirmi che saremmo andati alla festa, e io non so che
fare, perché è tornata e lui è felice,
e io voglio
che sia felice lui, non io, ma non riesco ad esserlo nel vederlo ridere
e la cosa mi lacera, e più di tutto ho paura,
perché ora
che è tornata starà solo con lei e
cesserò di
esistere, e anche se esisterò non sarà
più come
prima, e cazzo, ho un fiume in piena nel cervello, mi sento travolgere
e trascinare e non riesco a far nulla. Non riesco a far nulla neppure
quando Alex mi si appalesa alle spalle e mi abbraccia, neppure quando
lei si avvicina a noi e lui le fa segno di andar via - rimango come
sono e tremo, tremo da morire, finché lui non mi tira su di
peso
e mi sistema premurosamente sul suo grembo, avvolgendomi con le braccia
e posando il viso sulla mia spalla. Vorrei guardarlo ma non ce la
faccio, fa male, e nel frattempo mi sento bruciare ovunque, senza
sapere se è colpa della birra o dell'amore. Alex mi mette
una
mano sulla fronte e non riesco a vedere la sua espressione, ma so di
essere piuttosto pallido.
«Ti porto a
casa Jack» dice immediatamente, sfilandosi il giacchetto e
posandomelo in fretta sulle spalle,
cerca di farmi alzare ma invece di mettermi in piedi scoppio a piangere
e lo mando nel panico - comincia ad accarezzarmi il braccio ma
più mi tocca più i singhiozzi diventano forti,
percepisco
la paura nelle sue dita.
«Jack, calmo,
va tutto bene» farfuglia, inginocchiandosi davanti a me e
stringendomi la testa contro il petto «ora ce ne andiamo
okay? Va tutto bene, si sistemerà tutto te lo giuro, va
tutto bene». Continuo a singhiozzare disperatamente per un
altro paio di minuti, mentre lui cerca
di calmarmi e mi stringe il più forte possibile, poi a un
certo
punto mi fermo e mi ricompongo, smettendo di tremare. Alex mi guarda
ancora più spaventato e mi porta una mano sul collo, come a
controllare che sia ancora vivo, e non trattiene un sospiro di sollievo
nel sentire il battito, impazzato che sia. Mi stringe la testa contro
il suo petto ancora più forte e mi bacia la nuca, poi si
stacca
e mi tira su con sé, passandosi il mio braccio sinistro
attorno
al collo e sistemandomi saldamente una mano sull'anca destra.
«Va tutto
bene, okay Jack? Ti sto portando a casa»
dice voltandosi verso di me, io annuisco flebilmente e comincia a
camminare lentamente verso l'uscita, sorreggendomi. Scorge il profilo
di Zack e devia verso di lui, facendolo voltare.
«Zack, quanto
ha
bevuto?» chiede, lanciandomi un'occhiata di preoccupato
rimprovero. Guardo dall'altra parte e poi abbasso lo sguardo,
respirando silenziosamente. Zack scruta le mie occhiaie e deglutisce,
poi scuote la testa.
«Quando stava
con
me due bottiglie e mezzo al massimo, ma ha mangiato»
risponde, e
sento lo sguardo di entrambi premermi contro. C'è un attimo
di
silenzio e so che Alex è incazzato, quindi riapro gli occhi
e li
fisso su Zack, pregandolo tacitamente. Lui capisce, respira
sonoramente, s'inumidisce le labbra e si scompiglia i capelli.
«Senti, era
con me, avrei dovuto tenerlo d'occhio io» dice «lo
riporto io a casa. Tu rimani pure, c'è una ragazza che non
fa
altro che girare chiamandoti, forse è il caso che tu vada da
lei
piuttosto. Tanto stavo per andarmene, non mi costa nulla allungare di
qualche chilometro e lasciarlo a casa». Lo guarda arcuando le
sopracciglia e lo guardo anch'io, Alex sembra ragionarci ma poi scuote
violentemente la testa.
«No, no non
se ne parla» nega «l'ho trascinato qui io ed
è giusto che ora stia con lui».
Abbasso lo sguardo, mi
sento sempre più debole. Zack mi guarda apprensivo e lo
prego di nuovo, ma stavolta esita.
«Dico
davvero,
sembra una pazza, forse è davvero il caso che tu vada a
cercarla. Resto io con Jack, torniamo a casa, se necessario vomitiamo e
poi andiamo a dormire; non è un problema. Non guastarti la
festa» insiste.
«Guardalo in
faccia e dimmi che posso non preoccuparmi» ribatte Alex,
guardandomi in preda all'ansia «è gentile da parte
tua ma non posso lasciarlo solo, se sta così è
anche colpa mia».
Zack è
costretto ad annuire, io deglutisco. Non avevo pensato sarebbe successa
una cosa del genere.
«Dico agli
altri
che ce ne andiamo e ci avviamo, okay?» mi avverte abbozzando
un
sorriso, poi chiede un attimo a Zack di sorreggermi e corre ad
avvertire gli altri, probabilmente solo Noel e Ri. Zack rimane in
silenzio per un po', poi si passa una mano sulla faccia e s'inumidisce
nuovamente le labbra, guardando l'orizzonte.
«Era questo
il tuo piano?» chiede. Mi vergogno come un cane.
«No»
soffio flebilmente «non avevo nessun piano. Non mi era mai
successo».
«Seriamente,
quanto hai bevuto?» insiste.
«Due e mezzo,
massimo tre. Non progettavo nulla, davvero». Lo guardo e
deglutisce davanti al mio pallore.
«Sarà
ma è un bel casino» commenta «sembri sul
punto di tirare le cuoia».
«A volte lo
spero tanto» mormoro. Zack pianta gli occhi nei miei e non
riesco a sorreggere il suo sguardo.
«Dici che
Alex mi odia?» domando, sospirando rassegnatamente.
«No, non
credo proprio» sospira a sua volta «ti
vuole un bene dell'anima, è solo preoccupato. Solo che se
stavolta non è riuscito ad arrivare fino in fondo con quella
ragazza, non illuderti che la prossima volta la cosa si
ripeta».
«Già,
lo so...» mormoro, le palpebre improvvisamente di cemento
«vedo tutto sfocato».
«Fra poco
sarai a
letto a dormire, non preoccuparti» sorride con dolcezza,
spostandomi delicatamente una ciocca dalla fronte e sistemandomela
dietro l'orecchio «Cristo santo, sembri un cadavere ma sudi
come un maiale».
Qualche minuto dopo
Alex è di ritorno, si riavvolge il mio braccio attorno al
collo e mi sorride affettuosamente.
«Ora ti porto
a
casa Jack, va tutto bene» mi dice, poi cominciamo ad
avviarci.
Ringrazio solo che abita così vicino.
Quando mi risveglio
sono sul divano con una coperta di pile addosso e
una busta del ghiaccio sulla testa, accerchiato da un paio di cuscini,
un termometro e una scatola di fazzoletti. Pensavo che mi avrebbe
pulsato terribilmente la testa, ma stranamente la birra non mi ha dato
problemi, quindi riesco a ragionare abbastanza lucidamente. Sento delle
voci ovattate provenire dalla cucina, una è sicuramente
quella
di Alex. Sono tentato dall'alzarmi e raggiungerlo di là, poi
mi
ricordo che gli ho rovinato la serata e lascio perdere, probabilmente
non vuole vedermi.
«E ora cosa
conti di fare?» dice una voce che non coincide con quella di
Isobel.
«Non lo so,
ma così non può più andare»
risponde Alex.
Improvvisamente la
paura prende il sopravvento e realizzo che avevo ragione, lui qualcosa
sa.
«Sono
d'accordo ma non puoi parlargliene così all'improvviso,
rischi di rovinare il vostro rapporto» obietta.
Il cuore smette di
battermi e la cassa toracica mi si restringe fino a togliermi il
respiro. Sa che mi piace.
«Cosa dovrei
fare allora? Ho aspettato il più possibile ma le cose non
sono migliorate affatto» ribatte.
«Io... hai
ragione, solo che non mi sembra il momento adatto. Voglio dire, hai
visto come sta, no?»
«Posso anche
aspettare a farlo, ma alla fine l'effetto sarà sempre lo
stesso» le fa notare.
Oddio, vuole dirmi che
nonostante tutto non mi ricambia.
«Lo so, ma
adesso ha bisogno di te come non mai, Alex».
«Oh andiamo
Lisa,
non è questo il punto. Anch'io ho bisogno di lui, ma prima
di
tutto ho bisogno di sapere che possiamo davvero fidarci l'uno
dell'altro, e se non ne parliamo non potrò mai davvero
mettermi
l'anima in pace». Sembra stanco oltre ogni dire, non riesco a
non
odiarmi per avergli rovinato anche questa giornata. Gli occhi mi si
riempiono di lacrime ma cerco di ricacciarle indietro a forza, mi tiro
a sedere e mi tolgo la borsa del ghiaccio dalla testa, lasciandogliela
sul tavolino. Non voglio continuare a fare il peso, è meglio
se
torno a casa e lo lascio vivere. Mi tolgo di dosso la sua felpa, la
piego e la sistemo ai piedi del divano, mi metto in piedi e vengo
accolto da un capogiro improvviso. Aspetto che passi, stringo i denti e
vacillo fino alla porta - le voci dalla cucina si sono abbassate
ancora, ma dal tono che riesco a recepire capisco che non è
una
chiacchierata rose e fiori -, appoggio la mano sulla maniglia e apro la
porta. Mi accoglie una ventata di aria fresca e mio malgrado
rabbrividisco, ma non voglio ripensarci e mi richiudo silenziosamente
la porta alle spalle, poi prendo un respiro profondo e arranco verso
casa mia. Dev'essere ancora piuttosto presto, perché sento
gli
schiamazzi della festa e almeno quindici finestre hanno la luce accesa,
ma per strada ho la fortuna di non incontrare nessuno. Mi sento la
testa leggera e il corpo pesante, sono a metà strada quando
tutto si spegne. All'inizio sento un freddo terribile avvolgermi e
chiudermi nella sua morsa, poi più niente. Grazie.
«Jack!
Jack!»
Alex mi sta chiamando e apro gli occhi a fatica, indolenzito. Si piega
su di me e mi tira su il torace, guardandomi terrorizzato «Si
può sapere che cazzo ti passa per la testa? Che cazzo stai
facendo?»
Una ragazza si avvicina
ma non riesco a metterla bene a fuoco, anche se
credo sia Lisa. Ha l'aria spaventata quando si china sul marciapiede e
incontra il mio sguardo vago, ma forse è un'impressione.
«Aiutami a
portarlo dentro, ha le labbra blu» sento esclamare Alex, che
nel
frattempo mi ha caricato sulla schiena e ha cominciato a correre verso
casa «porca miseria Jack, saresti potuto morire assiderato,
te ne rendi conto?»
Chiudo gli occhi,
tenerli aperti mi costa un'energia indicibile. «Non voglio
essere un peso» mugolo.
«Tu non sei
affatto un peso Jack, che diavolo ti viene in mente?» esclama.
«Ti ho
sentito prima» mormoro, le parole escono lentamente
«non voglio rovinare il nostro rapporto».
Alex trasale ma prima
che possa dirmi qualcosa chiudo un'altra volta gli occhi e mi
riaddormento, distrutto.
Stavolta quando mi
sveglio sono le quattro del mattino e sono nel letto
di Alex, con la borsa dell'acqua calda fra le gambe e il busto cinto
dalle sue braccia. A fatica noto che questa non è la
maglietta
con cui sono uscito e avvampo nel pensare ad Alex che mi spoglia e mi
riveste, poi il ricordo della chiacchierata fra lui e la ragazza mi
colpisce e rimango immobile ad assorbire il fatto, conscio che questa
potrebbe essere l'ultima notte in cui dormiamo insieme. Lo stomaco mi
si arriccia e cerco di mandar giù il groppo che mi si
è
venuto a creare in gola, ma non riesco a sentirmi meglio. Mi tiro su
coi gomiti e noto un'altra sagoma, dall'altra parte della stanza. Lisa.
Dorme nel letto che Isobel ha preparato per me, quindi Alex ha
preferito di concedermi un'ultima notte felice prima di mettere le cose
in chiaro fra di noi. Mio malgrado non riesco a non sorridere della sua
gentilezza, mi rimetto giù e mi addormento fra le sue
braccia.
Fosse anche l'ultima
volta, ma sono felice.
Mi risveglio per
l'ultima volta quest'oggi che sono le nove del mattino
e la luce del sole filtra nella camera. Lisa se n'è
già
andata - se a fare colazione o proprio del tutto non ne ho idea,
però riesco a vedere che il suo letto è vuoto -
mentre
Alex è ancora a letto accanto a me, il viso illuminato da un
raggio e i capelli scompigliati dal sonno. So che è sveglio.
«Ehi»
lo saluto con un tono da scuse.
«Ehi»
ribatte, posando lo sguardo su di me. «Stai meglio?»
«Scusa per
ieri» mormoro «non volevo rovinare niente. Sono un
coglione».
«Avresti
potuto
evitare di scappare di casa a maniche corte e in preda alla febbre a
mezzanotte meno venti, quello sì, ma non hai rovinato
nulla» ribatte dolcemente «stavi male, portarti a
casa e metterti a letto era il minimo».
«Però
così non può più andare»
concludo, le parole
mi mozzano il fiato. Alex deglutisce e abbassa lo sguardo.
«Vedi,
è che...» esita qualche
secondo, come a sciogliere le parole «a me piace starti
accanto e
mi fa sentir bene svegliarmi la mattina e vederti dormire al mio
fianco, ma allo stesso tempo mi fa morire dentro sempre di
più». Tace e io vorrei solo scoppiare a piangere -
so
benissimo dove vuole arrivare ma ho paura di sentirglielo dire.
«Non
sei tu il problema, dio solo sa quanto non lo sei, ma io non... non
riesco più ad andare avanti così. Fa troppo
male».
Respira a lungo prima di continuare, mi viene da pensare che forse
è il mio turno di aprir bocca ma prima che possa farlo
riprende
e s'inumidisce le labbra. «A
volte mi sveglio e penso 'fanculo tutto, posso benissimo continuare in
questo modo', ma ci sono giorni in cui apro gli occhi e cade tutto a
pezzi, e io non sono abbastanza forte da piegarmi e raccogliere i
cocci. E so che non è la cosa giusta da dire o da fare
perché hai i tuoi casini e sono mille volte peggio di quello
che
sto passando io, ma non ce la faccio davvero a tenermi tutto dentro.
Più vado avanti e più le cose diventano serie,
più
siamo vicini più mi sembra che sia la cosa sbagliata, e non
è giusto perché sei il mio migliore amico e
significhi
così maledettamente tanto per me e io non... non... non
riesco
ad andare avanti. Significhi l'universo per me, eppure ogni volta
c'è questa cosa che mi blocca, che m'impedisce di essere me
stesso fino in fondo, e mi distrugge, perché il nostro
rapporto
si è sempre basato sulla sincerità completa e ora
non ci
riesco più, e so che è la cosa sbagliata ed
è
tutta colpa mia. Mi sveglio la mattina, ti guardo e ho questa
consapevolezza dentro al petto, e più i giorni passano
più non so come dovrei comportarmi, e più la
ignoro
più è difficile andare avanti ed è
così,
così... indescrivibile, pesante, mi si piazza addosso e non
riesco a pensare, parlare o fare niente, e l'unico modo di uscirne
è parlarne con te, ma così rischio tutto per
qualcosa che
non so neanche quanto possa aiutarmi e io.. io non so più
che
fare. Sei il mio universo e ti stai richiudendo su di me, qualunque
cosa io faccia, e ho paura che non ci sia una vera via d'uscita se non
la cosa che più mi spaventa al mondo, e non voglio arrivare
a
quello. Non voglio perderti, non sopravviverei. Vorrei solo che tutto
tornasse come prima e che tutto questo non fosse mai accaduto,
così saremmo gli amici di sempre con i problemi di sempre, e
ora
io non dovrei esser qui a parlarti di una cosa che mi lascia
completamente spiazzato e lacerato dentro e che ho paura mi
porterò dietro per sempre». Fa una pausa per
annaspare
alla ricerca di un po' d'aria, si morde le labbra. «Io
non... non so come dirtelo, non so come dirmelo, non ho la minima idea
di cosa fare, ma ogni giorno che passa vedo che questa cosa diventa
più forte, e ho paura di essere arrivato a un punto in cui
non
posso più combatterla. È troppo per me, non ce la
faccio
davvero. E so che non è colpa tua, come del resto non
è
colpa di nessuno, solo che non so più come fare, ma le cose
non
possono andare avanti così, io non... devono
cambiare».
Stavolta tace a lungo
anche se vedo che cerca le parole, e il suo sguardo è un
misto di paura, ansia e dolore.
«Io...
eliminerò tutto alla radice, vedrai» mormoro
«ma ho bisogno che tu mi perdoni un'ultima cosa».
Ho capito dove vuole
andare a parare, ormai non ho più nulla da perdere. Ho perso
lui.
Mi giro verso il suo
viso, metto via la mia parte razionale e lo bacio.
Così, senza aggiungere altro o guardarlo negli occhi, una
mano
sul cuscino e l'altra sul materasso accanto al mio bacino - poggio le
labbra sulle sue e lo bacio, dimenticando il resto. Non so se per lo
stupore, per lasciarmi un bel ricordo di lui o perché lo
vuole
davvero, ma schiude le labbra e lascia che le nostre lingue
s'incontrino e si riconoscano, e per la manciata di secondi
più
belli della mia vita mi asseconda e lascia che la sua bocca diventi la
mia, mentre il mio cuore batte come non ha mai fatto prima e tutto
perde significato. Quando mi stacco apro gli occhi e incontro il suo
sguardo, ma ne scappo subito.
Non dice niente, si
accoccola contro il mio petto e porta la mano all'altezza del mio
cuore, poi mi guarda.
«Rifallo»
mormora. Gli passo una mano dietro al collo e lo avvicino a me, ma
stavolta partecipa anche lui al bacio, mi divora le labbra e mi
tranquillizza i sensi, mentre io divento un'insieme di esplosioni e
reazioni chimiche troppo fuori controllo per essere calmate. Si stacca
dopo un po', e so che stavolta devo guardarlo per forza.
«Credo di
star per
piangere» soffia, posa di nuovo il viso contro il mio petto e
sento due gocce bagnarmi, seguite da altre due e due ancora. Rimaniamo
lì così, lui che piange in silenzio e io che
fisso il
muro, senza riuscire a realizzare niente di quello che è
successo, e per un po' nessuno parla, il silenzio rotto solo dai nostri
respiri. Ho baciato il ragazzo della mia vita, lui mi ha chiesto di
rifarlo e ora piange, e non sono sicuro del perché.
«Alex, io...
Scusa» mormoro, le lacrime che mi offuscano la vista. «Ho rovinato tutto.
Ti prego, non odiarmi».
Alza il viso dal mio
petto, mi guarda e mi sorride come non faceva da anni, mentre due
lacrime gli rotolano lungo le guance. «Jack, sei la cosa
più bella che potesse capitarmi» dice, e sento che
è sincero.
Strizzo le palpebre e
lascio che la cosa mi avvolga, piangendo sofficemente, lui mi stringe e
mi bagna il braccio.
«Alex, ti amo
da
morire» dico passandomi una mano sul viso, lui non risponde
ma lo
sento sorridere, e per la prima volta da tanto tempo sono felice per
davvero, in ogni angolo del mio essere. Stringo Alex a me con una mano
e con l'altra mi asciugo inutilmente gli occhi, deglutendo per
calmarmi, e mi sembra improvvisamente tutto così radioso e
pieno
di gioia che non riesco a non scoppiare a ridere. Piangendo, stretto al
ragazzo della mia vita, rido e tremo, e tutto ciò che ci
circonda mi sembra la cosa più bella del pianeta, bella
quasi
quanto lui.
«Barakitty»
mormora, e io lo guardo «senza
di te non sopravviverei». Sorride e mi bacia, in un attimo
che
registro come il nostro primo vero bacio, e se il tempo si è
mai
fermato davvero, dev'essere successo in questo istante.
Rompiamo il
bacio quando qualcuno bussa alla porta - facciamo appena in tempo a
separarci che entra una ragazza.
«Noel?»
suppongo, senza riconoscere i capelli castani fermati da un cappello.
«Maddai,
conosci
il mio secondo nome?» si stupisce lei con una risata, mentre
Alex
si alza e mi lascia a letto da solo, stropicciandosi decisamente gli
occhi con le mani per nasconderle i segni del pianto e fingere che vada
tutto bene.
«Ma che cosa,
non capisco» farfuglio aggrottando le sopracciglia, lei passa
il cappello ad Alex e torna a guardarmi.
«Ma come, non
mi
riconosci? Okay che mi sono tinta i capelli, ma non mi sono trasferita
da neanche sei mesi e la mia faccia e la mia voce sono rimaste le
stesse» finge di offendersi, mi si accende una lampadina in
testa
e sussulto.
«Lisa»
boccheggio, sgranando gli occhi «non ci credo, ti prego dimmi
che non sto sognando».
«Sei bell'e
sveglio Barakat, mi dispiace per te» ride «e hai
più che bisogno di rimediare alla gaffe il più
presto possibile».
«Aspetta, eri
tu con cui--» ricollego la sua faccia a ieri sera e trasalgo
«ommioddio».
«Già,
ommioddio» commenta lei con un sorriso «non ti
è bastato sentirti male e scappare da casa per
evitarmi».
«Ommioddio,
non ci credo» ripeto «vi prego ditemi che
ieri non ho interrotto niente».
Alex mi guarda con una
faccia divertita da 'che cosa vuoi aver interrotto?', Lisa scoppia a
ridere.
«Certo che
sei
proprio lento di comprendonio» soffia, poi frega un'altra
volta
il cappello ad Alex e torna verso la porta.
«Ero venuta a
dirvi che Isobel vi vieta di portare altre ragazze a dormire dopo le
feste se lei non è a casa e non offrite loro la camera degli
ospiti, e che la colazione è pronta; se siete interessati
sapete
dove trovarla» ride, poi esce e se ne va. Resto a guardare la
porta decisamente spaesato, Alex abbozza un sorriso e si siede sulle
mie gambe incrociate, prendendomi le mani fra le sue.
«Quindi
quello di ieri non era un appuntamento?» chiedo.
«No»
sorride, guardandomi negli occhi. Mormoro un 'oh' e deglutisco.
«Allora devo
scusarmi due volte» dico «ho bevuto
perché non riuscivo a vedervi ridere».
«Non fa
niente» ribatte «io mi sono messo con un sacco di
ragazze diverse per ingelosirti».
«Vuoi dire
che non ti piaceva Syv?» chiedo.
«Sì
che mi piaceva, ma come amica» precisa «non
c'è mai stato niente di fisico fra noi. Solo quando ero
ubriaco».
Abbozza un sorriso.
«Peccato che non sembrassi mai geloso».
«Lo
ero» ammetto «ma non avrei mai pensato di poterti
fare ingelosire». Sorride.
«E io invece
non
riuscivo a guardarti chiacchierare con nessuno. Però con
Nick ti
ci vedo bene davvero» scherza.
«Passo oltre
solo perché ora non potrà più girarmi
attorno» ribatto.
«E
perché non dovrebbe?» domanda, baciandomi a stampo.
«Perché
sennò Alex, meglio conosciuto come Abbie, gli
spaccherà
il culo» rispondo fra un bacio e l'altro.
«Whoa, frena,
perché dovrei farlo?» ride «io sono per
la pace».
«Perché
altrimenti Jean cederà alle avances di Lauren»
rispondo, ricattandolo «Seriamente, non ti dà
fastidio che mi stia sempre attaccato? Io m'incazzerei come una
bestia».
«Visto quanto
ti sta simpatico non vedo perché dovrei considerarlo un
rivale» dice, baciandomi.
«Tu
allontanalo e basta, il perché non ha importanza»
taglio corto, lui ride e poi tace.
«Fallo di
nuovo» mormora, io sorrido e vengo accolto dalle sue labbra
schiuse. Lisa apre la porta con un 'avete tutto il giorno per
amoreggiare, venite a far colazione' e Alex le lancia un libro, ridendo
senza staccarsi da me. Lei evita il lancio socchiudendo la porta e
ride, ma poi la riapre e vi si appoggia.
«Seriamente
ragà, Isobel si sta scazzando» insiste divertita
«fareste
meglio a scendere prima che salga lei a prendervi a calci in
culo». Rimette la mano sul pomello e fa per andarsene, poi si
rigira verso di noi. «Jack,
dammi retta e cambia maglietta, quella macchia umida sembra molto
equivoca». Stavolta sono io a lanciarle un libro, ma lei ride
comunque.
«Dai, avete
cinque minuti contati» ci sollecita «vi aspettiamo
in giardino».
Se ne va per davvero e
rimaniamo a fissare la porta divertiti, poi Alex mi prende il viso fra
le mani e mi bacia a stampo.
«Forza,
andiamo a cambiarci» dice, alzandosi e trascinandomi per il
braccio «non voglio rovinarmi la giornata».
Fruga nell'armadio e mi
lancia una maglietta, quindi ne prende una per
sé e se la infila velocemente, raccogliendo poi i pantaloni
da
terra; io mi metto i miei jeans e lo osservo cercare di darsi una
sistemata ai capelli, poi si arrende e mi fa cenno di scendere
giù per le scale. Arrivati in salotto l'eco di qualche
risata ci
raggiunge, accompagnato da quello di un cucchiaino che sbatte contro un
piatto, e nell'uscire in giardino la prima immagine che ci accoglie
è la tavola imbandita su cui fanno colazione le due donne,
una
col cappello e l'altra coi capelli legati.
«Alla
buon'ora!» esclama Lisa, esasperata «ancora un po'
e mi sarebbe cresciuta la barba!»
«Mi
sembra di conoscerla quella maglietta» scherza invece Isobel
mentre mi siedo davanti a lei «anche
se forse sta meglio a te che a Alex». Alex le fa la
linguaccia e
lei ricambia, passandogli la bottiglia del latte. «Avete
visto che giornata meravigliosa? Per fortuna il freddo di ieri sera
è durato appunto solo ieri sera».
«Sei passata
al forno stamattina?» domanda Alex, sporgendosi verso il cibo.
«Era tutto
chiuso, è inutile che cerchi i dolci» risponde
«però
se proprio vuoi c'è una torta a raffreddare giù
in
cucina, se è vado a prenderla. Voi ragazzi ne volete un
po'?»
«Be' oddio,
se proprio insisti» commenta felice Lisa «ti aiuto
a portarla qui?»
«Massì
dai, un po' di supporto morale non fa mai male» accetta
alzandosi da tavola «così porti la
panna».
Le due si allontanano e
la sensazione è che abbiano voluto
lasciarci da soli apposta, ma la cosa non mi dispiace affatto. Vedo che
Alex mi sorride e arrossisco, ricambiando impacciatamente, poi un
'oplà' ci annuncia l'arrivo della torta.
«Et
voilà» gioisce Isobel con soddisfazione,
spostandosi a
destra del suo capolavoro e tirando via il panno che ricopre una
scritta 'Jack + Alex', contorniata da un
enorme cuore di glassa al
cioccolato. Sgraniamo entrambi gli occhi ed esclamiamo all'unisono
'Isobel!' e 'mamma!', arrossendo. Lei sbuffa e si sposta una ciocca
dietro l'orecchio.
«Ammazza
quanto siete noiosi» commenta imbronciata mettendosi le mani
sui fianchi e inclinando la testa «ve
l'ho detto, mancate di avventura». Alex la guarda storto, io
abbasso lo sguardo perché la situazione m'imbarazza troppo.
«Non venitemi a dire che non è un'idea carina,
avanti» esclama quindi recuperando il sorriso «il
mio spirito avventuroso rimedia al vostro troppo pudico!»
«Vado a
sotterrarmi» commenta Alex prendendosi la testa fra le dita.
«Ah, ah, ah,
ma
come sei simpatico. Almeno quando ho avuto la mia avventura lesbo io
non c'ho messo tre anni a dichiararmi» ribatte lei facendogli
la
linguaccia, poi cambia tono «qualcuno vuole una fetta di
torta?»
Alex ripete un paio di
volte 'perché a me?', ma per non saper
né leggere né scrivere io una fetta la prendo
volentieri.
«Ecco, bravo
Jack che mi dà soddisfazione» esclama passandomi
il pezzo con su scritto 'Alex' «e tu Lisa?»
«Giusto un
assaggio, sono a dieta» risponde, sorridendo ma facendo cenno
di no con la mano.
«Ragazzi,
siete di una mosceria esemplare» sospira Isobel, addolorata
«ma che v'insegnano a scuola oggigiorno?»
«A non
diventare come te» risponde Alex, a cui lei ha appena passato
un piatto, e suo malgrado Isobel ride.
«Ragazzi,
sono
felice di non far parte della vostra generazione; ho paura mi annoierei
a morte» scherza. Poi si ferma a contemplarci e noi
ricambiamo lo
sguardo, bloccandoci nel bel mezzo delle nostre azioni - Alex che
giocherella col cibo, Lisa che sorride e io a bocca aperta con la
forchetta a mezz'aria - e lei ride.
«Siete
tremendi» commenta, e io riprendo a mangiare.
«Buona»
esordisco dopo un po', lei ferma la forchetta e la rimette nel piatto,
soddisfatta.
«Ohh,
finalmente qualcuno che mi apprezza!» esclama, io
arrossisco «comunque
ha chiamato Joyce, dice che sarà di ritorno
questo pomeriggio e che passerà a prenderti verso le tre e
mezza
quattro, quindi fatti trovare pronto».
Ci rimango male e dalla
sua faccia direi che pure Alex non è tanto contento.
«Dice che se
vuoi andare pure tu, sei il benvenuto» si rivolge al
figlio «e
in effetti mi pare una buona idea, una serata di
tranquillità e
relax non mi farebbe schifo per niente dopo questa settimana
allucinante». Alex sorride tanto.
«Dio, si vede
lontano un miglio che vi piacete» miagola prendendosi il viso
fra le mani «era ora che vi decideste».
«Sì,
grazie per la torta mamma» ribatte imbarazzato Alex alzandosi
da tavola «io
avrei da fare, ci vediamo quando ci vediamo, ciao ciao»
insiste,
andandosene senza rivolgerci le spalle fino all'ultimo. Quando se
n'è andato, Isobel ride.
«Oddio, vista
la reazione potrei prenderlo in giro per sempre» commenta
scuotendo la testa, poi mi guarda e indica la porta con un cenno del
capo, sorridendo «avanti, vai, aspetta solo te».
Guardo lei, Lisa e poi
la porta, afferro il piatto e mi affretto a
raggiungerlo. Finisco la torta per le scale e lascio piatto e forchetta
sul mobile fuori da camera sua, socchiudo la porta e lo trovo in piedi
davanti all'armadio aperto.
«Ecco dov'era
finita» mormoro notando la mia maglia dei Blink.
«La
rivuoi?» domanda, prendendola e passandomela.
«Preferisco
ce l'abbia tu» scuoto la testa, lui sorride e la rimette
dentro.
«Mia madre
è una pazza, ma in effetti avrei potuto farmi avanti mesi
fa» mormora.
«Averti ora
non mi fa schifo per niente» ribatto, lui si alza e mi
sorride, guardandomi negli occhi.
«Se mai
dovessi andartene, sappi che ti rincorrerei e ti riporterei
indietro» mi quota.
«Perché
senza di te non sopravviverei» concludo. Finiamo di guardarci
e
lo stringo, affondando il viso nella sua spalla.
«Ti amo
Jack» sussurra, ci stacchiamo e mi guarda di nuovo.
Mi prende il braccio, mi accarezza dolcemente i tagli e
sorride «riempiremo tutto questo vuoto e vinceremo
questa battaglia insieme, okay?»
Annuisco e mi sento il
petto esplodere di gioia. «Ripetilo»
soffio.
«Ti amo Jack.
Ti amo come nessun'altra cosa al mondo» mormora, mi passa una
mano dietro al collo e mi bacia.
Mi bacia, e io mi sento
la persona più importante del mondo. Tra
le braccia del ragazzo della mia vita, respiro e scoppio a piangere, e
divento la persona più importante del mondo per davvero,
mentre
tutto il resto perde di significato. Tra le braccia del ragazzo della
mia vita, tremo, chiudo gli occhi e mi sento un oceano, e ritrovo in
lui l'unica barca in grado di solcarmi e non venir ferita. Tremo, e
niente importa più, e la sua pelle chiara diventa il faro di
cui
ho sempre avuto bisogno, che mi accarezza e mi ricorda che posso
farcela, non sono uno spreco di tempo. Tremo, e sento il mio amore per
lui non finire mai, e in un attimo realizzo che non è
necessario
che il tempo si fermi davvero perché le cose rimangano
così per sempre, ma che c'è un universo a parte
che ci
circonda e accada quel che accada, saremo infiniti per
l'eternità. Tra le sue braccia vivo e muoio, eppure
esisterò per sempre, e quest'universo non
sbiadirà mai.
Diventeremo il cielo e la terra e resteremo abbracciati all'infinito, a
scambiarci messaggi d'amore e di speranza che nessun altro
potrà
captare ma che tutti sentiranno dentro, e così come le
foglie
cambiano colore, il nostro amore si farà più
intenso e
vivo, e il nostro ricordo vivrà per sempre negli occhi l'uno
dell'altro. E mentre tutti cercano il loro per sempre e non si godono
il presente, noi vivremo proiettati in uno spazio tutto nostro, dove il
tempo non conterà niente e girerà tutto attorno
ai nostri
tocchi e ai nostri pensieri, e più cercheranno di capirci
più ci avvolgeremo l'uno dentro l'altro e scompariremo nel
profumo dell'altro, in una danza infinita, sempre uguale e sempre
diversa; e quando gli altri si stuferanno di cercare di scoprire il
nostro punto debole, ci accasceremo su un mare di spartiti e ci
guarderemo negli occhi, e scoppieremo a ridere al pensiero di tutti
quelli che non sono in grado di vedere nella loro metà il
presente, il futuro e il passato, lo spazio e l'oceano, la musica e il
tremore, il respiro e la gioia; ci tenderemo la mano senza dire una
parola e la stringeremo con tutta la delicatezza che ci sarà
possibile, chiuderemo gli occhi e saremo nel sogno, in una
realtà dove non esiste null'altro che una lenta e dolce
melodia
arcana, ci stringeremo l'uno all'altro e balleremo fino a crollare per
la stanchezza, riducendoci a un fragile mucchio di baci e sospiri
portati via dal vento. Tra le sue braccia tutti gli universi nascono e
vivono, e con loro nasciamo e viviamo anche noi, morendo solo per
rinascere su un'altra stella, sempre incastrati l'uno all'altro, e
rinasceremo l'ultima volta come due sprazzi di energia, destinati a
rincorrersi e acchiapparsi fino alla fine dei tempi, in un arcobaleno
illuminato da colori mai scoperti e brividi mai provati, e quando
finalmente ci abbracceremo per l'ultima volta tutto si farà
chiaro e diventeremo una cosa sola, chiusi nel guscio di una goccia
d'acqua. Qualcuno si fermerà e ci osserverà, poi
se ne
andrà con l'impressione di aver sentito una melodia
sconosciuta,
stranamente dolce e lenta, e quando arriverà a casa
abbraccerà la sua metà, la bacerà e
non ci
penserà più, mentre lei giurerà
stranamente di
aver sentito una musica avvolgerle il petto e rischiararle la mente, e
comincerà a ballare e lo prenderà per la mano,
perdendosi
in piroette infinite e promesse taciute, e in quella frazione di
secondo in cui in tutti e due risuonerà la nostra melodia,
la
scintilla si riaccenderà e noi torneremo a rincorrerci,
nascondendoci nel vento e negli steli del fiori che ondeggiano sotto la
pioggia, piegati da quell'improvvisa ondata di musicalità e
luce, e tutto ciò che toccheremo comincerà a
cantare,
perdendosi in balli, sorrisi e frasi cominciate e mai finite, e tutto
ciò che riusciremo a dire sarà che ci amiamo, e
come una
stella che muore ci romperemo in mille pezzi e finiremo in ogni angolo
di mondo, senza mai separarci e lasciarci la mano.
Rinasceremo uno
dentro l'altro, una, due, infinite volte, e tutto ciò di cui
avremo mai bisogno sarà il tocco dell'altro, e nel momento
stesso in cui le nostre dita si riconosceranno fra mille, l'universo si
sarà fermato e avrà cominciato a ruotare
attorno a
noi, dando vita a tante altre piccole lamelle di luce, che a loro volta
salveranno persone e creeranno universi, e tutto ciò che
servirà a mandarli avanti sarà l'amore, e il
nostro
incontro è fuoco, amore mio, fuoco e speranza,
perché fra
noi nulla si scioglierà mai. Bruceremo all'infinito e
diventeremo cenere solo per dar vita e sostenere nuovi amori, e vivremo
e nasceremo all'infinito, per poi riaprire gli occhi e ritrovarci in
piedi nella nostra camera, mano nella mano, circondati dal mondo e
lontani da tutti, e guardandoci negli occhi non avremo bisogno di dirci
nulla, ci abbracceremo e ci salveremo ancora una volta, senza che
nessuno ci capisca mai. Tra le braccia di Alex tutto esiste e niente
importa, e attorno a noi si creano oceani di possibilità e
sfumature, e quando all'improvviso l'odore di salsedine
arriverà a stuzzicarci le narici ci guarderemo negli occhi e
ci scopriremo a casa, circondati dagli 'oh' degli altri, che per quanto
ci provino non capiranno mai quello schizzo di colore nelle strade e
quella punta di elettricità attorno a Baltimora, e mentre
loro si gratteranno le teste noi ci affretteremo nei sottopassaggi e
ruoteremo su noi stessi con le braccia al cielo, sfrecciando man mano
più veloci per ogni trillo di bicicletta e stella cadente
che percepiremo, e mentre il sole si tufferà nel cemento, ci
lasceremo cadere sulle tegole del tetto e ci ritroveremo nel sogno, a
dipingere buone azioni e colorare abbracci, per poi riaprire gli occhi
solo per scoprire che le pareti attorno a noi non sono mai state
così vive e pronte a sostenerci. Perché fra le
sue braccia, tutto nasce, si sviluppa e finisce, ma come ogni certezza
il nostro amore sarà l'eccezione che conferma la regola, e
mentre appassiremo l'uno negli occhi dell'altro, le luci esploderanno
una dopo l'altra in mille farfalle e fiammelle e avvolgeranno l'anima
di tutti in un manto di cotone e nuvole, trasportandoli in alto,
lontano dai loro problemi. E quando tutti apriranno i loro occhi per
davvero, sarà quando ci dissolveremo in uno stormo di
colombe e raggiungeremo la nostra vera libertà, librandoci
nell'infinito senza più dover tornare, tornando ad essere
l'energia primordiale che ha cominciato tutto e ci ha fatti conoscere.
Ma per ora siamo ancora
solo Jack e Alex, e tutto ciò a cui riesco a pensare
è che lo amo, e lo amerò sempre. Dal suo respiro
sento che per lui è lo stesso e mi basta per essere felice.
Jack e Alex, Alex e Jack - due nomi creati apposta per completarsi e
incastrarsi in modi sempre nuovi, per due persone che ora che si sono
trovate non usciranno più l'una dagli occhi dell'altra.
Potrei chiedere di più?
Forse un'altra fetta di
torta, ma non si può aver tutto dalla vita suppongo. Per ora
ho il ragazzo della mia esistenza, e direi che mi basta. Non sarebbe
potuta andarmi meglio. Gli passo le mani sulle guance e mi sorride.
«I won't let
this memory fade away». Lo stringo e chiudo gli occhi. Il
viaggio è appena iniziato, ma so che, nel bene e nel male,
saremo sempre una fiamma ardente e andrà tutto bene, fino
alla fine. E a me basta.
Cominciamo a ballare, e
tutto attorno a noi muta.
A me basta.
Angolo
dell'autrice:
se siete arrivati fino a qui sappiate che vi amo, mi sono affezionata a
questa ff come non mi succedeva da tanto tempo e tutte le recensioni
carine che ho ricevuto mi hanno fatta sentire la scrittrice
più brava del mondo, siete tutti delle personcine
meravigliose e potessi vi stropiccerei tutti -stropiccia-. Verso la
fine mi sono chiusa con Le Luci e credo si capisca fin troppo, ma anche
se stona col resto del racconto alla fine ho deciso di lasciare
quest'ultima parte perché non sono brava coi finali e mi
piacciono le cose in cui non si capisce mai fino in fondo quello che
vuole dire l'autore (forse dovrei darmi alle poesie ermetiche). Se ci
sono costrutti linguistici di dubbia correttezza è
perché leggo troppo in inglese e francese e ormai non so
più parlare bene nessuna lingua, quindi se ci sono casini vi
prego ditemelo che correggo cwc grazie mille per essere arrivati alla
fine, lo apprezzo tanto. Siete bellissimi.
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