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Autore: Pwhore    24/06/2013    7 recensioni
Prima che partiate coi film mentali, sappiate che non ho un passato di violenze, che non mi ha mai molestato nessuno se non qualche matto sull'autobus che da dietro mi aveva scambiato per una ragazza per poi pensar bene di fare qualche bel massaggio al mio simpatico fondoschiena, che a scuola i bulli non mi pestano e che non sono mai stato gettato in un secchio della spazzatura poco prima dell'inizio delle lezioni, come succede a tutti i ragazzi dei telefilm che passano in TV durante le vacanze estive. No, gente, mi dispiace ma Jack Barakat non ha mai dovuto affrontare niente del genere e ringrazia il cielo per la vita che ha passato finora, coi suoi alti e bassi, i suoi pregi e difetti. No, il mio problema è un altro, e penso si possa riassumere con una sola parola: me.
Genere: Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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there's room for two six feet under the stars cap3 Quando mi sveglio è pomeriggio inoltrato, la faccia mi tira e la stanza è vuota. Della luce filtra dalla tapparella semialzata, le lenzuola accanto a me sono sfatte e fredde e nella confusione del dormiveglia mi rendo conto che alcuni libri mancano all'appello dalla libreria. Alex dev'essere andato a scuola, alla fine.
Mi tiro a sedere e mi sento lo sguardo pesante; spero non si senta in colpa per avermi lasciato qui. Non può passare la vita standomi sempre dietro, non è giusto e non gli fa bene in nessun modo. «Lo porti giù, Jack». Afferro la chitarra e suono.

Certe volte quando sono lucido mi chiedo come sia cominciato tutto. Come abbia fatto ad innamorarmi di Alex, come me ne sia accorto la prima volta, come sia riuscito ad affrontare quell'oceano di veleno che mi sentivo sgusciare sottopelle ogni volta che lo vedevo con una ragazza, quando non ci avevo ancora fatto il callo; e in pochi istanti i come invadono la mia mente, accucciandosi in ogni meandro libero e occupando lo spazio degli altri ricordi, scacciandoli sgarbatamente a loro piacimento; e quando succede non ho altra scelta che mettermi in disparte e lasciarmi trasportare da quella massa di pensieri decisi e indipendenti, per di più domande senza risposta e convinzioni che di vero hanno solo la paura. Posso solo sedermi, intrecciare le dita e chiudere gli occhi, accarezzando silenziosamente quella processione di dubbi e insicurezze, sperando che presto le risposte emergano di loro spontanea volontà. Potrei dire che in quei momenti la mia mente non mi appartiene e avrei solo ragione - è come se per un tempo che può variare dai dieci secondi alle due ore Jack smettesse di esistere e al suo posto comparisse un'entità in grado di far finta di rilassarsi, respirare e sembrare normale, ma che in realtà non ha nessun potere su ciò che succede nel suo subconscio, le sue intenzioni fievoli soffi di vento allontanati dalla marcia decisa dei sogni interrotti, e tutto ciò che mi rimane da fare mentre nel mio cervello divampa il caos è trovarmi un posto comodo e perdermi nella sinuosità della distruzione, trasportato dal suo essere surrealmente affascinante. E quando tutto finisce, quando la pazzia si assopisce e la ragione ritrova la via di casa, non sono mai io a raccogliere del tutto i cocci - non senza aiuto almeno. Ed è così complicato ottenere aiuto quando non sai spiegare nemmeno a te stesso cosa stia succedendo dentro la tua testa; ed è così pesante guardarsi attorno per cercare una mano e vedersi rispondere con occhi crucciati e sopracciglia aggrottate quando tutto ciò di cui avresti bisogno è un abbraccio; ed è così assurdo trovarsi davanti alla possibilità di non avere nessuno a sostenerti tranne chi ti fa perdere in maniera così sregolata il controllo giorno dopo giorno; ed è così normale finire col rifiutare ogni comodità pur di non esporre lui alla pazzia, pur di tenerlo al di fuori di ciò che ti sta divorando l'anima sempre di più, fino a farti desiderare di essere qualcos'altro.
Quando la realtà comincia a fondersi con l'immaginazione e inizio a perdere il controllo dei sensi faccio sempre in modo di allontanarmi da tutti, per non arrecare danno a nessuno. La gente non capisce e non capirebbe neanche se mi prendessi un attimo e glielo spiegassi in tutta tranquillità, quindi meglio non farle proprio venire in mente nulla e starmene sulle mie finché l'attacco non finisce, come se fosse la cosa più normale del mondo e non ci fosse nulla di sbagliato in me. Credo di non averne mai parlato neanche ad Alex e non riesco a non essere felice della mia decisione, perché in questo modo lui è salvo e continuerà ad esserlo a lungo, senza doversi arrovellare il cervello pure su quest'imprevisto. Che poi anche se volessi non saprei come fare - non riesco a capirmi da solo, figuriamoci se posso pretendere che qualcun altro, seppur sia il mio migliore amico da tutta la vita, mi metta le mani sulle spalle, mi guardi dritto negli occhi e mi dica 'so cosa fare'. Utopia allo stato puro, al punto che non è neanche utopia, è solo un'altra espressione della follia. E io non sono folle, non sono pazzo, sono solo stanco e bisognoso d'affetto, alla ricerca di un qualcosa che possa rendermi felice ed essere solo mio in ogni istante del giorno; e forse la cosa che mi ferisce di più è l'essere consapevole di aver trovato quel qualcosa di speciale, ma sapere anche che non sarò mai la sua unica speranza. Quanto doloroso può diventare un amore disilluso?

Sono le cinque e mezza ormai, ho preso le mie medicine da un paio d'ore e di Alex ancora nessuna traccia. Spero che non l'abbiano messo in detenzione e che sia solo uscito coi ragazzi, cogliendo l'occasione per andare a farsi una passeggiata e prendere una sana boccata d'aria dopo giorni di poltrire e combattere la febbre. Ho cominciato a leggere quattro libri e tre ne ho abbandonati, per noia o perché non mi piacevano; e questo si sta salvando così a lungo solo perché faccio fatica a mantenere lo sguardo focalizzato sulle parole e quindi non riesco a concentrarmi abbastanza per trovarci dei difetti. Con uno sbuffo, mi sporgo e lo lascio cadere sul comodino, tornando a scompigliarmi i capelli con le mani. L'attesa mi lacera.
«C'è qualcuno in casa?» colgo finalmente la sua voce; il mio cuore ha un guizzo e mi tiro a sedere.
«Occhio a tutti, sta arrivando l'infermiera» mi urla da di sotto, sfilandosi la giacca e lanciandola sul divano. Sale le scale in mezzo minuto, canticchiando qualcosa fra i denti, e quando entra in camera è decisamente pimpante e di buonumore.
«Allora» esclama, sprizzando radiosità da ogni dove «ti senti meglio?».
Annuisco e lui fa un sorriso enorme, portandosi le mani ai fianchi. «Be', meraviglioso, perché domani sera usciamo!»
«Wo, wo, wo, frena un attimo, cosa?» controbatto, aggrottando le sopracciglia e rimanendoci di sasso. Cosa cavolo?
«Mi rendo conto che siamo ancora convalescenti e che non è l'idea più geniale del mondo, ma ho parlato con la dottoressa oggi e ha detto che vista la velocità con cui mi è passato tutto non dovremmo preoccuparci, si tratta solo di una forma un po' più violenta dell'influenza che sta girando in questi ultimi tempi. Ha detto che prendere una boccata d'aria ti avrebbe fatto bene e che un po' di cibo alla griglia sarebbe stato più invitante rispetto al brodo; mi ha praticamente costretto a prometterle che ti ci avrei portato» spiega abbozzando una risata, sedendosi ai piedi del letto.
«E dove dovresti portarmi scusa?» dico, senza sapere come comportarmi.
«Come 'dove'? Jack domani c'è la festa di quartiere e siamo invitati, te ne sei dimenticato?» ride.
«In ogni caso l'ultima parola l'avrai tu, però credo che di medicina lei ne sappia molto più di noi due messi insieme e che dovremmo darle retta; chissà, magari ci divertiamo pure» aggiunge, sorridendo francamente. Oddio che carino che è.
«Hu, er, va bene» acconsento, preso alla sprovvista «ma da chi si fa? Dai coniugi Cross come l'anno scorso?»
«Hai presente quella signora ansiosa che incontriamo spesso quando prendiamo il caffè al bar alla fine della strada? A quanto pare è la moglie del signor Harroway, quello che ci saluta sempre quando c'incontra in giro, e a quanto pare è lei che organizza tutto e offre il giardino» risponde liscio, massaggiandosi i palmi e battendoseli sulle cosce.
«Ah, hu, grandioso» commento, aggiungendo un annuire piuttosto vago. Non ho la minima idea di chi stia parlando.
«Com'è andata oggi a scuola?» domando per cambiare argomento.
«Be' oddio avrebbe potuto essere migliore» espira lui, per niente colpito «però sono stati tutti molto carini e mi hanno fatto le feste quando mi hanno visto entrare. Hanno subito detto che erano preoccupatissimi, che volevano chiamare per avere mie notizie ma che avevano paura di disturbare, che nel frattempo non erano andati molto avanti e che se avessi voluto mi avrebbero prestato i loro appunti, che erano estremamente contenti di rivedermi e che gli dispiaceva fossi stato male così a lungo. Poi quando la folla è defluita Nick mi ha chiesto come stessi e si è offerto di venirti a trovare, ma gli ho detto che eri contagioso e che probabilmente non era il caso di andare a gettarsi nella tana del lupo senza protezioni; mi è sembrato un po' deluso ma ha capito e non ha insistito più, anche se ha detto che chiamerà per sapere qualcos'altro».
«Oddio ma perché a me» piagnucolo, e Alex scuote la testa con un piccolo sorriso.
«Si direbbe che gli manchi immensamente» commenta pacioso «dovresti tenertelo stretto, non trattarlo male». Lo guardo per un paio di secondi e l'idea che mi stia comportando come Nick ai suoi occhi mi sfiora con la delicatezza di una farfalla e la velenosità viscosa di una salamandra - spero davvero di non essere opprimente quanto lui o intimamente ne soffrirei da morire, sarebbe l'ultima cosa che vorrei mai accadesse fra noi due. Alex mi guarda, i suoi occhi hanno un guizzo di vitalità e ride di colpo, scacciando l'idea che mi si era dipinta in viso con la mano.
«Non intendevo farti la morale, puoi comportarti come meglio credi» ride spontaneamente, coprendosi la bocca. «Sta a vedere se ora sono in grado di stare lì a dirti dove sbagli e cosa invece dovresti migliorare; figurati».
Mi sento più leggero ma il dubbio rimane, così lo metto a tacere abbozzando un sorriso. «Bene, a parte quest'ultimo particolare, che mi dici? Com'è andata la tua giornata?» mi chiede quindi.
«Così così, ho preso le mie medicine, letto e fissato fuori dalla finestra» butto lì con una scrollata di spalle.
«Se vuoi puoi studiare con me la lezione della Tidell per domani, così la finisci di annoiarti» scherza tirando fuori il libro.
«Guarda, soffro molto nel dirtelo, ma credo sia meglio se studi da solo, così non posso distrarti» mi fingo addolorato.
«Ma no guarda, mi farebbe un piacere infinito invece, così non sarò l'unico a godere di una simile fortuna» insiste.
«Sei proprio un pollo» scherzo, lanciando il libro sulla scrivania. Sappiamo entrambi che non lo apriremo mai e proprio per questo ripetiamo la scenetta tutte le volte, come a convincerci che in realtà ci proviamo, solo che a causa d'imprevisti che non dipendono da noi alla fine non è mai aria e lo studio passa sempre in secondo piano; ma non è davvero colpa nostra.
«Credo sia meglio che tu rimanga a casa da scuola domani» riflette Alex, buttandosi con la schiena sul letto «così almeno limitiamo un po' i rischi. Sei sicuro di farcela domani sera? Non dirmi di sì per farmi contento, non voglio che tu stia male».
«Non preoccuparti, ce la faccio benissimo» sorrido «al massimo mi prendo una sdraio e mi faccio una bella dormita».
«Se ti dovessi sentir male dimmelo però - giriamo i tacchi all'istante e torniamo a casa a guardarci un film».
«Rilassati, non sto andando a morire» scherzo, lui mi spinge la spalla.
«Certo che si vede proprio che sei guarito» ridacchia alzando gli occhi al cielo. Io abbozzo un sorriso.
«Ci saranno anche gli altri?» chiedo dopo un paio di minuti di silenzio. Si gira a guardarmi, aggrottando le sopracciglia.
«Sai che non ne ho idea?» risponde, cadendo dalle nuvole «però immagino di sì, ci sono sempre in queste occasioni. Di solito dove c'è una festa ci sono loro, e poi per te potrebbe anche essere l'occasione per conoscere nuova gente, visto che di questi tempi ti stai chiudendo da morire. Da quant'è che non mi parli di ragazze - sei mesi? Sette mesi? Non è da te, amico. Okay che non ci s'innamora tutti i giorni, ma qualche tipa l'avrai pur notata».
So che sta scherzando ma un brivido mi gela la schiena. «Sarà che ho notato tutto il notabile» mormoro, pallido.
«Oh, andiamo, è impossibile. C'è sempre qualcuno da notare, soprattutto se si parla di ragazze. Questa sera almeno ci sarà di sicuro; dovrebbero venire un paio di amiche della figlia della padrona di casa, oltre a lei, quindi nuovi pesci entrano nel lago» ridacchia «e la caccia si fa più divertente».
Sento lo stomaco stringermisi e annodarsi ai polmoni, fa improvvisamente un freddo terribile.
Poi di colpo scoppia a ridere. «Dio, mi sento un imbecille a parlare così» dice con un sorriso raggiante «fa così film scadente e ammuffito che non riesco a immaginare chi ci crede davvero così. Cioè, è assurdo, no?»
Mugugno fievolmente, so che non si aspetta conferma. «Però davvero, stasera sarà divertente. Lascerà il segno».
Annuisco fra me e me, preoccupato. Non c'è niente di speciale nella festa, è un party a base di barbecue che si svolge una o due volte l'anno a casa di qualcuno del quartiere, che si offre di fornire vitto e alloggio in cambio di una quindicina di dollari a partecipante; e non c'è niente di speciale neanche nella signora che l'organizza, senza offesa per il marito. Forse si riferisce alle ragazze che la loro figlia ha invitato, ma se non le conosce neanche di vista come fa a sapere che stasera non andrà in bianco quando ci proverà con loro? E se non sa neanche se i nostri amici vengono a cazzeggiare e a bersi una birra con noi, perché mai dovrebbe essere così eccitato all'idea di andarci?
Realizzarlo è come venire colpito in faccia da un asteroide rovente.
Ci va per vedere qualcuna di preciso, qualcuna a cui basta che si avvicini per sentirsi meglio, qualcuna che è per lui ciò che lui è per me; ci va per vedere qualcuna di preciso e non posso fare niente per cambiare i suoi sentimenti.
Mi sono trovato in questa situazione tante volte in questi mesi, ma ogni volta la nausea è difficile da trattenere. Le lacrime ancora ancora, basta che ti concentri ardentemente su qualcos'altro, pretendi di star sbadigliando e te le asciughi con qualche grugnito, in modo da sembrare naturale; ma la nausea non ti colpisce a scoppio ritardato e non può essere scambiata per qualcos'altro, è il dettaglio che più di tutti colpisce chi ti sta di fronte. E in questo momento Alex è sdraiato accanto a me, non ha ancora la testa fra le nuvole e io sto sprofondando verso il centro della terra, silenziosamente, mentre tutto in questa stanza perde vitalità. Ogni volta mi sembra di morire, trovarmi a fianco qualcuno che mi disidrata goccia per goccia, senza risparmiarmi le torture più traumatiche; e ogni volta mi trovo a desiderare che sia vero, piuttosto che dover rimanere lì a guardare Alex innamorarsi e disinnamorarsi, impotente e conscio della mia posizione. Sono due tipi di morte, il risultato raggiunto è lo stesso; ma come lo raggiungi è totalmente diverso e la cosa più importante. Morire psicologicamente è mille volte peggio di morire fisicamente, perché anche se ti senti al pieno delle forze, anche se sai che il tuo corpo è perfettamente in grado di reggere il colpo, sai che la tua anima non ce la fa, che la tua mente è ormai allo stremo e che i tuoi sentimenti implorano pietà secondo dopo secondo; ti ritrovi a desiderare le cose sbagliate per te e chi ti circonda, perdi la cognizione del tempo e della realtà, e tutto ciò che ha a che fare con te diventa una trappola, un altro modo del mondo per sottometterti; e ti stanca così tanto, così tanto, che a un certo punto le tue difese crollano per forza, e con loro crolli anche tu e tutto ciò in cui hai sempre creduto. Ti senti così vuoto, così nero, così sfruttato e abbandonato che non riesci neanche a descrivere i tuoi sentimenti; arrivi al punto di non riuscire a pensare ad altro che a cose brutte, a cui non vorresti pensar mai, che vorresti rinnegare ed esiliare nella parte più remota della tua mente, e da lì è solo una strada in discesa con qualche accenno di risalita ogni tanto, e la distruzione acquista un significato molto più viscerale; un significato che non puoi esprimere a voce, che non puoi comunicare con le parole, che solo chi l'ha provato è in grado di capire; e quando arrivi a provarlo daresti qualsiasi cosa per tornare nell'ignoranza, qualsiasi.
Ma in questo momento non è la cosa a lungo termine che m'interessa, è quest'attimo, l'ora, l'abbraccio sgraziato dei brividi e la patina opaca della paura, il suo sguardo che sonda il soffitto e potrebbe posarsi su di me in qualsiasi istante; è questo senso d'irrimediabile piccolezza che mi debilita, questa costante insufficienza che mi sgomenta; è come se tutto ciò che facessi non fosse mai la mossa corretta, come se dicessi le cose giuste troppo sgarbatamente o troppo presto, come se non riuscissi mai a cogliere l'occasione adatta al momento adatto. Mi sento così fuori luogo, come se non fossi neanche in gara per lottare per un pezzo del suo cuore, e questo continuo sminuirmi mi ferisce, manco fossi la persona più cattiva del mondo. Sono un ragazzo onesto, che cerca di non ferire mai nessuno e quando gli capita fa sempre la buona azione; mi faccio in quattro per aiutare e far ridere gli altri, non litigo coi miei ogni santo giorno e non mi presento a lezione vestito in modo indecente; faccio a botte con chi se lo merita e difendo i miei amici ad ogni costo, a mensa non tiro il pranzo contro gli altri, non rubo i soldi ai ragazzi più piccoli e quando me lo chiedono dispenso pure consigli - ho tanti pregi in confronto ad altre persone della mia età, sono un ragazzo perfettamente normale. E chissenefrega se sono gay, chissenefrega se sono etero, chissenefrega se sono bi - vorrei solo essere amato dall'unica persona capace di dare un senso a tutta questa sofferenza, dall'unica persona in grado di farmi sentire una fenice quando in realtà sono solo un altro ragazzino con la testa piena di sogni e le tasche piene di sassi. Ma invece quella persona è innamorata di un'altra, e tra poco più di ventisei ore saranno assieme, respireranno la stessa aria e condivideranno la stessa risata, prestandosi un sorriso a vicenda quando non ci sarà più bisogno delle parole; e io sarò a pochi metri di distanza da loro, invischiandomi sempre di più nella loro rete man mano che proverò a scappare, e corteggerò tutta la sera un bicchiere d'alcolico sempre pieno, costringendomi poi a passare il resto della notte abbracciato al bagno, in compagnia dei rimorsi più neri. A una cert'ora smetterò di vomitare, m'infilerò nel letto accanto a lui e guarderò il buio scivolare dietro le palpebre, lasciando spazio a una luce man mano più sobria e disinfettata; e mentre l'alba dipingerà la stanza, il rimorso diventerà troppo opprimente e mi renderò conto di cosa mi sto facendo, ma scuoterò la testa e penserò ad altro. Aspetterò che l'intera città prenda vita attraverso le sue mansioni cicliche, poi, dopo essermi assicurato che i pericoli della notte siano stati debellati del tutto, chiuderò gli occhi e cadrò in un sonno leggero, simile al dormiveglia; sentirò Alex muoversi al mio fianco e a seconda del significato dei suoi gesti metterò in atto qualcosa di diverso ma familiare, che da sempre tranquillizza entrambi. E quando saremo entrambi svegli, inventerò una scusa per il mio bere recidivo e lo convincerò che volevo solo divertirmi, senza cercare di dimenticare nulla; lui mi guarderà negli occhi, io sosterrò il suo sguardo con uno finto e lui espirerà dal naso, senza insistere ulteriormente. Oppure salterà quest'ultimo passaggio e mi racconterà della sua serata, troppo emozionato per collegare la mia devastazione fisica alla sua riottenuta felicità, frutto improvviso di un'impresa azzardata, e io sorriderò con lui, condividendo la sua gioia, mentre dentro appassirò e mi accartoccerò su me stesso, dilaniato dal mio stesso salvatore.
Ma questo domani, dopo che avrò avuto l'occasione di rovinarmi e risparmiarmi i particolari più dolorosi della serata - ora c'è solo la paura di quello che potrà accadere, di quello che potrà esser fatto, di quello da cui non potrò fuggire; e mentre la paura banchetta con le infinite possibilità del futuro io sono lasciato qui, in preda a me stesso, alla deriva da ogni forma di aiuto che possa circondarmi in questo momento, e tutto mi sembra così senza speranza, così ghiacciato, così lontano. Vorrei slanciarmi di lato, stringere la mano di Alex con tutta la forza che ho in corpo e strizzare gli occhi fino a piangere, senza dovergli poi spiegar nulla, ma il pensiero mi scivola davanti con la placida consapevolezza che non mi aiuterebbe in nessun modo e lascio che si sciolga assieme al resto dei miei deliri. Gli piace qualcuna. E non qualcuna di così, passeggera, una persona che a vederla ti rimane impressa per i primi tre minuti e poi comincia a svanire; ma una persona che noti in mezzo a una folla di migliaia di ragazzi, che ti dà l'energia per restare in vita centinaia d'anni con un sorriso, che ti modella come vuole con uno sguardo e che col suo profumo scandisce il ritmo delle tue giornate; una persona di cui è impossibile fare a meno, che al solo pensiero di poterci passare una serata insieme ti fa bollire il sangue nelle vene e salire gli ormoni a mille. Una persona come Alex insomma. Ha trovato una ragazza alla sua altezza e domani sera la incontrerà, le offrirà da bere, ci parlerà e si convincerà sempre di più che è quella giusta, quella apposta per lui, e allora ciao ciao Jack, perfino i film mentali ti diranno arrivederci. Oddio - non ce la posso fare.
«Sembra che sulla tua testa ci sia un raduno di nuvole nere, si può sapere che hai?» chiede di colpo.
Lo guardo roteando le pupille e senza spostarmi, con la miglior 'faccia da persona impassibile che non stava pensando a nulla in particolare' che possiedo, poi sbatto le palpebre e torno a fissare il soffitto. «Niente, temo sia stato uno scherzo della tua immaginazione. Qui va tutto alla grande, non c'è niente che potrebbe andare meglio. Tutto okay» commento.
«Sicuro?» insiste, un po' destabilizzato.
«Come che la Terra gira» ribatto, aggiungendoci un pugnetto contro le nocche per tranquillizzarlo.
«Vuoi che chiami e dica che non veniamo più? Non hai affatto una bella cera» propone, ignorando il pugnetto.
«Ehi, calmati, va tutto bene» mi affretto a rispondere «l'hai detto tu, domani lascerà un segno; non andarci è del tutto fuori questione. Va tutto per il meglio, quindi non preoccuparti, okay? Sarà una serata a dir poco grandiosa». Esita.
«Chi è il mio campione?» scherzo con una voce buffa, porgendogli un'altra volta il pugno. Suo malgrado ride.
«Barakitty, sei proprio un idiota» scrolla la testa, io abbozzo un sorriso. Guardarlo mi fa venire da piangere, ma non devo.
«Ti va se chiamo i ragazzi e gli chiedo che fanno?» propongo, tirandomi a sedere e guardandolo di sfuggita. Annuisce.
«Mi sembra un'ottima idea» commenta storcendo le labbra in una smorfia d'approvazione «io intanto vado in bagno». Lo guardo uscire, aspetto che la porta del bagno si chiuda dietro di lui e mi alzo in piedi, raccattando il cellulare dal tavolo e dirigendomi giù per le scale; esito un attimo, urlo che sto uscendo un secondo e vado a sedermi sul marciapiede davanti al loro cancello, dando le spalle alla porta in modo da accorgermi se qualcuno esce. Rimango immobile per qualche secondo, lo sguardo perso nel vuoto, poi le lacrime cominciano a uscire ed io a tremare, strizzando gli occhi in silenzio. Vorrei che il cemento che mi circonda mi mangiasse e mi digerisse, senza lasciar nulla ma un guscio vuoto impossibile da ferire. Piango a dirotto per forse mezzo minuto, poi mi obbligo a smettere, mi asciugo gli occhi e chiamo Zack.
«Jack, bello, che mi dici? Stai meglio?» mi accoglie subito la sua voce, sinceramente felice di sentirmi. Tiro su col naso.
«Tutto bene, sì... che mi sai dire del barbecue del vicinato? Ci vieni?» domando, passandomi una mano sulla faccia.
«Quello di domani dici? Penso di sì, perché?» chiede.
«Bho, così, veniamo anche noi ma volevo sapere un po' con chi avrei passato la serata» rispondo.
«Be' con lui, mi pare ovvio» ride «oppure ha in mente una notte di sesso sfrenato?»
«Non so riguardo al sesso, ma qualcuna in mente ce l'ha» mormoro, inumidendomi le labbra. Zack smette di ridere.
«Ah, cazzo. Bello, mi dispiace, scusa, non avevo idea» farfuglia «senti, se vuoi possiamo andare a farci un giro e sti gran cazzi della festa; ci appalesiamo giusto il primo quarto d'ora e poi chi s'è visto s'è visto, giriamo i tacchi».
«Non sarebbe una cattiva idea» commento, poi resto un attimo in silenzio e tiro su col naso, espirando lentamente. «Ma così mi tormenterei pensando a cosa sia successo, non credo sia il caso...». Lo sento annuire attraverso il telefono.
«Certo, sì, ho capito, hai più che ragione... però non credo che stargli attorno ti aiuti molto di più» nota con gentilezza.
«Lo so, è che... se lo vedo almeno so cosa aspettarmi, capisci? Se invece sono da un'altra parte non posso sapere cosa succede, cosa non succede, praticamente mi getto da un aereo senza paracadute» sospiro, disegnando dei cerchi nel selciato con le dita. «D'altra parte se non lo vedo posso pure illudermi, ma se succede qualcosa e lo vengo a sapere da qualche voce sarà molto peggio di averlo visto con i miei occhi».
Zack sospira sonoramente, credo stia scuotendo la testa o quantomeno cercando un'altra via d'uscita. «Aspettati compagnia domani» dice alla fine «non ti lasceremo solo un secondo». Annuisco e abbozzo un sorriso.
«Grazie Zack. Ci vediamo domani» mormoro, poi chiudo la chiamata e poso le braccia sulle ginocchia, accoccolandoci la testa sopra; respiro nel silenzio per un po', poi sospiro, mi siedo per bene e compongo svogliatamente il numero di Rian.
«Jack, ehi, come stai?» mi risponde al quinto squillo con voce affaticata; probabilmente ha appena finito gli allenamenti.
«Tutto okay, mi chiedevo se saresti venuto domani» dico, mordicchiandomi distaccatemente il labbro. Ci pensa su.
«Massì dai, perché no? Ci becchiamo lì?» propone, schiarendosi la gola.
«Andata. A domani» lo saluto, lui attacca e io rimango fermo per un altro po' a rigirarmi il cellulare fra le dita, poi decido che è passato troppo tempo, mi tiro in piedi e rientro in casa, fermandomi a pulirmi le scarpe sul tappetino. Nell'ingresso vuoto rimbomba l'eco della voce di Alex, al telefono con qualcuno. Faccio un po' di casino per fargli capire che ci sono e lui riattacca sbrigativamente con un 'mi manchi anche tu, a domani', al che si affaccia sulle scale e mi sorride.
«Allora? Che hanno detto?» domanda, affrettandosi a scendere.
«Vengono tutti, ci vediamo direttamente là» rispondo, cercando di eliminare quel 'mi manchi' dalla memoria «per te va bene o preferisci che gli dia un altro appuntamento, chessò, prima di andare?»
«No no, è perfetto» si sbriga a chiarire, poi si calma. «Vuoi vedere qualcosa?» propone, allegro.
«Veramente vorrei prendere un'altra boccata d'aria» dico, sentendomi addosso una stanchezza infinita «per te è okay?»
«A me va benissimo, basta che non ti allontani troppo o ti sentirai male» poi esita un attimo: «ce l'hai il telefono?»
«Sì, non preoccuparti» mormoro «in caso ti chiamo». Lui annuisce, mi dà una pacca sulla spalla e abbozza un sorriso.
«A dopo allora» mi saluta «vedi di non strafare». Ricambio il saluto e mi dirigo nuovamente verso la porta, facendo uno sforzo immenso per non strascicare i piedi durante il tragitto; ma quando me la chiudo alle spalle non mi sento per niente meglio. Un alito di vento mi sfiora il viso ma lo sento a malapena, avvolto dai pensieri come sono, così barcollo verso destra e proseguo alla cieca, guidato passivamente dai miei piedi. Quel 'mi manchi anche tu' potrebbe anche essere rivolto a qualcun altro, non necessariamente a una ragazza; d'altra parte chi lo dice che a un maschio non possano mancare anche i ragazzi? Magari si riferiva a un altro suo amico che per puro caso domani si troverà alla festa, e visto che non si vedono da tanto tempo a causa dell'influenza non vedono l'ora di rincontrarsi e scambiarsi le ultime novità su, che ne so, chitarre, dischi, videogiochi, partite di football, roba del genere. Nessuno lo vieta, no? Quindi calmati nasone, potrebbe esser stato chiunque, non per forza lei - anzi, ti pare che siano già arrivati a quel punto senza che nessuno ne abbia detto nulla? Va tutto bene, non preoccuparti, sei solo spaventato; vedrai che è solo suggestione.
Mi prendo la punta del naso fra le dita e mi fermo per fare dei respiri profondi, cercando di calmarmi. Non può esserci una ragazza, Alex te l'avrebbe sicuramente detto se si fosse innamorato; quindi tranquillo, respira, vedrai che nel giro di tre giorni non ci penserai neanche più su; va tutto per il meglio, va tutto bene, devi solo calmarti e respirare, re-spi-ra-re.
Quando riapro gli occhi mi rendo conto di star piangendo. E fanculo tutto, mi sposto dalla strada, mi accascio in un punto seminascosto da una siepe e piango finché le lacrime non si stufano di uscire; poi mi alzo, mi tolgo la polvere dai pantaloni, mi asciugo gli occhi e torno sui miei passi, svuotato. Spero che non mi stia aspettando.

Fortunatamente quando rientro è in camera che studia per l'interrogazione a tappeto di matematica - non che capisca i procedimenti, però almeno così la teoria sa ripeterla - così posso scivolare in bagno senza doverlo prima incontrare. Mi lavo velocemente la faccia con dell'acqua fredda ed evito di osservarmi allo specchio - so benissimo che aria devo avere, posso sistemarmi un po' i capelli ma sicuramente non si vedono tracce di pianto. Questa è una cosa bella del mio corpo, posso piangere e disperarmi quanto mi pare ma guardandomi in faccia non me lo si vedrà mai addosso, mai. È tanto una benedizione quanto una sfortuna, perché non posso contare su una pacca solidale da parte dei miei amici se prima non mi hanno visto piangere o comunque buttarmi giù, e a volte ce ne vuole una inaspettata.
«Com'è andata la tua passeggiata?» mi chiede Alex quando rientro in camera, io scrollo le spalle e mi siedo sul letto.
«Bho, normale» rispondo «sono arrivato fino alla curva e mi sono seduto ad osservare il cielo per un po'».
«E com'era?» sorride.
«Sembrava dipinto con degli acquerelli» sorrido a mia volta.
«Ragazzi, sono a casa» urla invece Isobel dal piano di sotto, lasciando cadere delle buste sul tavolo.
«Ciao mamma» grida di rimando Alex, lasciando il libro di matematica sul tavolo «vuoi che scendiamo?»
«Ma sì dai, facciamo un po' di conversazione» risponde, Alex mi fa un cenno allegro con la testa e ci dirigiamo in cucina, senza però scapicollarci giù per le scale. «Come va?» domanda lei, bevendo un bicchier d'acqua. «State meglio?»
«Huh-uh, molto meglio» rispondo, abbozzando un sorriso.
«Ah sì? Mi fa piacere sentirlo» dice, posando il bicchiere nel lavello «ma forse è meglio se domani stai a casa».
«Gliel'ho detto anch'io, poi comunque domani andiamo al barbecue quindi è meglio se è riposato» interviene Alex.
«Da quando t'intendi di medicina, tu?» ribatte Isobel, sorniona, e lui le fa la linguaccia.
«A che ora programmate di uscire?» domanda quindi, tirandosi indietro i capelli con una molletta.
«Sette e mezza, otto penso» butta sul vago Alex «tanto comunque lì c'è già gente, quindi non ci annoiamo».
«E i vostri amici a che ora arrivano?» s'informa, lo sguardo di Alex cade su di me.
«Ah, er, verso le sette e mezza anche loro mi sembra» rispondo, senza averne la più pallida idea.
«E verso che ora contate di tornare?» domanda. Alex scrolla le spalle, come a dire che non ci aveva ancora pensato.
«Non lo so, l'una, le due» propone, ma lei boccia il tutto con un gesto secco della mano, scuotendo il capo.
«Non se ne parla neanche» ribatte decisa «sei appena guarito e Jack è ancora sull'orlo del ricaderci, sarei un'incosciente a lasciarvi andare e star fuori così a lungo di punto in bianco. A mezzanotte e mezza, l'una meno un quarto massimo, dovete essere qui, meglio se ce la fate prima ma assolutamente non un minuto dopo o finite nei guai; ci siamo capiti?» Annuisco. Può sembrare severissima dai toni che assume, ma alla fine Isobel è una donna che ti viene molto incontro per fortuna.
«Tu non vieni?» domando e lei mi guarda con aria intenerita.
«Questi barbecue sono organizzati soprattutto per voi giovani, noi adulti facciamo una cena un po' più calma alla fine della strada, quindi non credo c'incontreremo» risponde, e improvvisamente mi ricordo che è così da almeno sette anni.
«Forse è meglio se domani non torniamo a mezzanotte e tre quarti» ride Alex.
«E va bene via, i dettagli più importanti li abbiamo sistemati» espira Isobel con soddisfazione, annuendo vistosamente «ora avete la facoltà di apparecchiare, mentre io metto su l'acqua e cerco d'inventarmi un sugo».

La cena passa velocemente, senza argomenti degni di nota, e presto torna il mio momento preferito del giorno: l'andare a dormire. In realtà sono già sotto le coperte e sull'orlo dell'addormentarmi da parecchio, ma non ho idea di dove sia andato a finire Alex quindi cerco di rimanere sveglio con tutte le mie forze. La casa è silenziosa - dal salotto ogni tanto arriva l'eco di uno sparo ma per il resto l'unico segno di vita è dato dal danzare delle luci della televisione contro il muro subito attaccato alle scale - ma mi fa strano pensare che sia uscito in giardino. Voglio dire, è appena guarito da una brutta influenza, sarebbe stupido rischiare subito di riprendersela a causa di una passeggiatina notturna, tanto più che non ha neanche il bisogno di fumare o, o... o fare una telefonata importante in santa pace. Okay, questo è maledettamente plausibile. Cazzo. Mi stringo il cuscino sulla faccia per evitare di urlare e grazie al cielo dopo un po' mi addormento, risparmiandomi il dolore dell'attesa. Quando mi risveglio però lui c'è.
Lancio un'occhiata all'orologio sul comodino e noto stancamente che sono quasi le quattro; dovrei andare in bagno ma sono troppo impastato dal sonno per volermi alzare e spingere lontano dal letto, quindi mugolo e scaccio l'idea. Muovo leggermente le dita e con mio grande sollievo incontro quelle di Alex, che mi stringono premurosamente. Man mano che riacquisto sensibilità mi accorgo che non sono solo le mie mani a essere strette dalle sue, ma tutto il mio corpo - senza essermene accorto per la stanchezza, ho dormito dandogli la schiena, circondato dalle sue braccia, e ora che l'ho notato non posso evitare di sentirmi bollente ovunque. Avvampo totalmente e poggio nuovamente la testa sul cuscino, il sangue che mi pompa sonoramente nelle tempie - si è addormentato abbracciandomi, cazzo, abbracciando me, Jack, il nasone; il sottoscritto, cazzo. Sto per esplodere di gioia, non posso farcela. Lo guardo con la coda dell'occhio e vedo che sta dormendo placidamente, soffiando silenziosamente fuori le brutte sensazioni e inspirando invece tranquillità, e non riesco a capacitarmi del fatto di essere qui, fra le sue braccia, mentre qualche ora fa era con la testa su un altro pianeta, troppo impegnato a pensare a qualche altra ragazza per darmi la minima attenzione. Gli stringo più forte la mano e chiudo gli occhi, sorridendo. L'idea che stia abbracciando me perché non può abbracciare lei non mi sfiora neanche per un attimo e mi addormento felice, avvolto dal suo calore.

La mattina dopo quando si alza per andare a scuola inciampa e si aggrappa alla sedia, facendo abbastanza rumore per svegliarmi; esita qualche secondo ma vedendo che continuo a tenere gli occhi serrati tira un sospiro di sollievo e va in bagno, rimettendosi le cuffie. Torna in camera dopo forse cinque minuti, senza maglietta. Lo guardo armeggiare con le ante dell'armadio e rovistare fra i cassetti alla ricerca di qualcosa di carino, ma più che sui vestiti mi concentro sul suo petto magro, esitando all'altezza del bacino. Strizzo le palpebre e mi giro dall'altra parte. Torna a dormire, Jack.

Passo la mattinata a leggere e scarabocchiare pezzi di canzoni sul quaderno di letteratura, sovrappensiero. Ora che ho dormito e metabolizzato leggermente la cosa, il fatto che Alex possa essersi innamorato di qualcuna e che non veda l'ora di andare alla festa per incontrarla non mi sembra più l'unica opzione plausibile. Certo, rimane la più probabile, ma non dev'essere necessariamente così; alla fine potrebbe davvero trattarsi di una vecchia amica o di un amico perso di vista, oppure di un parente o di comunque qualcuno che ha cambiato città ma prima viveva qui nei dintorni. Cioè, dai, perché no? In fondo è sempre più frequente che la gente si sposti per lavoro o perché un parente sta male, quindi non è così impossibile che sia successo anche con questa persona; che poi vogliano parlarsi al riparo da qualsiasi paio d'orecchie è ancora più normale, a nessuno piace che gli altri origlino le proprie conversazioni. Quindi credo di poter prendere un respiro profondo e rilassarmi, magari stasera non sarà poi così grave. La speranza prima di tutto, no?
«Vieni qui» mormoro, sporgendomi e abbracciando la chitarra. Magari riesco a finire la canzone.
«I said I'd never forget your face, vaulted away inside my head, and memories never seem to fade» muovo lentamente le dita sulla tastiera, alla ricerca degli accordi giusti. Ho sognato questa scena, so già cosa fare. «You were the best part of my life, my last regret» la chitarra esita sotto il mio tocco insicuro, ma le parole sembrano scritte per suonare bene solo se accompagnate da queste corde, non mi sento a disagio. «Now I've walked this line a thousand times before, it hurts too much to bear» il suono si fa più forte, ho già provato questa parte abbastanza da saperla riprodurre a occhi chiusi. «For you I'd tear out my own heart and write our names together» la mia voce si abbassa per un istante ma l'attimo dopo sono di nuovo sicuro dell'intonazione che devo prendere. «Your love is the barrel of a gun so tell me, am I on the right end? I could be nothing but a memory to you» senza volerlo, comincio a tremare e in pochi secondi sto piangendo violentemente, stringendo la chitarra fino a farmi male. Rimango curvo sullo strumento per un tempo che non riesco a decifrare, poi soffio via una lacrima che mi sta per cadere dal naso e deglutisco, tenendo lo sguardo basso «don't let this memory fade away». Lascio andare la chitarra, la poso sul letto accanto a me e faccio un respiro profondo, mordendomi il labbro. Esito qualche secondo, poi deglutisco di nuovo, mi alzo e vado a farmi una doccia. Sarà di ritorno presto, andrà tutto bene. Tutto bene.

«Jack!» urla rientrando in casa, lanciando freneticamente lo zaino all'ingresso e affrettandosi a raggiungermi.
«Ehilà, come mai così di buon'umore?» domando, mettendo giù il libro.
«Non indovinerai mai chi ho incontrato per strada» esclama eccitato con un sorriso a trentadue denti.
«Il tuo cervello forse?» dico, lui alza gli occhi al cielo e scuote la testa, senza farsi rovinare la giornata.
«Molto simpatico ma non ci sei andato neanche vicino. Te lo dico?» aspetta un attimo, poi esclama: «Lisa!». Devo aver fatto una faccia diversa da quella che si aspettava, perché mi chiede se me la ricordo; rispondo di sì e lui torna a sorridere, felice. «Cioè non so se mi abbia visto ma era lì, cavolo, era proprio lei» continua, scavalcando il bracciolo del divano con un salto e venendomisi a sedere accanto «a qualcosa come cinque, sei metri da me, capisci?»
«Figata, ma questo dove?» lo assecondo.
«Proprio quaggiù, a mezzo chilometro da casa» risponde adrenalinico «chissà che ci fa qui, non ci viene mai».
«Magari ha qualche amico nei paraggi oppure sta semplicemente cazzeggiando in giro» suppongo, e lui annuisce.
«Già, dev'essere così; però che figata, eh?» gongola, lasciandosi cadere pesantemente contro lo schienale del divano.
«In effetti era parecchio che non si faceva sentire» realizzo.
«Vero? Dev'essere stata parecchio impegnata ultimamente, chi lo sa» conviene Alex, riflettendoci.
«Be' dai, è una gran bella cosa» esclamo «speriamo venga anche lei alla festa di domani, sarebbe bello rivederla».
«Più che bello direi, non le parliamo seriamente da un casino di tempo» s'infervora, eccitato. Comincia a parlare ma ben presto stacco l'audio, so per esperienza che il suo monologo durerà ancora almeno una mezz'oretta.
Lisa è una ragazza della nostra età che prima veniva a scuola con noi e usciva col nostro gruppetto tutto il tempo, ma poi i suoi genitori hanno trovato un lavoro più retribuito in un'altra città e sono andati a vivere lì, portandola via con loro. Credo sia passato qualche mese dall'ultima volta che i suoi riccioli biondi hanno messo piede a Baltimora, e decisamente più tempo dall'ultima volta in cui ha fatto un giro nel nostro quartiere. Non è che ci siano stati grossi rancori fra noi, ma tempo fa Alex mi ha convinto a uscirci perché a quanto pare le piacevo parecchio, solo che alla fine c'è finito a letto mentre noi cominciavamo finalmente a conoscerci, quindi diciamo che è un po' saltato tutto. Non so dire fino a che punto ci sia rimasto male, ma alla fine mi è passata. Siamo ancora migliori amici, scherziamo ancora, facciamo ancora battute sporche e se capita commentiamo pure le ragazze che ci passano sotto il naso. Insomma, tutto okay. Però a differenza mia, che quando la vedo rimango assolutamente indifferente, per qualche motivo Alex si emoziona ancora a incontrarla per strada quando non se lo aspetta. Sarà che era particolarmente brava sotto le coperte e gli è difficile non ricordarselo quando la vede, non saprei; ma non mi è sembrata una ragazza poi così eccezionale neanche la prima volta che l'ho vista, figuriamoci ora. Però adesso è tornata, quindi immagino tornerà con noi. Chi lo sa.
«Ah, per pranzo abbiamo dell'insalata di riso» mi ricordo, anche se so che è l'ultima cosa a cui sta pensando adesso.
«Ma certo che sì» dice infatti, da tutt'altra parte con la testa «sono sicuro che sarà più che felicissima di rivederti».
«Be' sì, in effetti faccio spesso colpo sulle insalate» sorrido sotto i baffi mentre rimugina.
«Credi che le andrà bene se proverò a avvicinarla? Dopotutto non ci vediamo da secoli ed eravamo buoni amici prima».
«Non vedo perché non dovrebbe andarle bene» ammetto «alla fine non credo che le sia dispiaciuto».
Si gira a guardarmi come se se lo fosse appena ricordato e mi rendo conto della gaffe; ma ci ride sopra prima che possa farlo io. «Figurati se è quello il problema» dice mettendosi la mano davanti alla bocca «quello le è piaciuto sicuro».
«Troppa sicurezza fa male» lo sfotto «ma credo comunque che non esista proprio il problema. Voglio dire, non le hai fatto niente di male, perché non dovrebbe volerti vedere?»
Scrolla le spalle. «Le conosci le ragazze, non si capisce mai come ragionino» commenta, franco.
«Secondo me se le regali un fiore la conquisti anche stavolta» scherzo; lui scuote la testa e ride di nuovo.
«Probabilmente hai ragione, la situazione non è così tragica» ammette rincuorato, tirandosi su dopo aver fatto leva sulle ginocchia «dai, andiamo a vedere un po' cosa ci ha lasciato mamma, ho una fame che non ti dico». Si avvia verso la cucina e lo seguo, alzando gli occhi al cielo. Il mio pollo preferito.
«L'insalata di riso è nel primo ripiano, sopra i noodles precotti» lo informo entrando nella stanza.
«Ah davvero? Grande» esclama tirando fuori la vaschetta dal frigo «ce n'è una quantità industriale, ci durerà per mesi». Apro la credenza e metto due piatti sul tavolo, aggiungendo due tovaglioli e due forchette; ai bicchieri ci pensa Alex, che poi comincia a mettersi un po' d'insalata nel piatto, dopo avermi chiesto se volevo essere il primo a mangiare.
«Che avete fatto oggi a scuola?» domando quando ha finito di servirsi «ti ha più interrogato matematica?»
«Non ci ha neanche provato» scuote la testa masticando un primo boccone «meglio perché non mi ricordavo nulla».
«Per il resto tutto okay?» chiedo, abbassandomi per evitare di far cadere troppo riso.
«Nick chiede come stai e ti manda i suoi più calorosi saluti» mi sfotte abbozzando un sorriso. Mi rannuvolo.
«E i ragazzi hanno detto che si faranno trovare alle sette e mezza vicino al tavolo del punch» aggiunge, addolcito.
«Questa è una gran bella cosa» commento, riprendendomi «e magari hai chiesto anche a qualcun altro?»
«In realtà no, tanto alla fine ci si ritrova tutti, volenti o nolenti» ammette, giocherellando col cibo.
«Mi sembra giusto» annuisco «e, hum, nient'altro da aggiungere?»
«C'è un raduno per coppie miste questo week-end, un paio di quartieri più a est, lo organizza la chiesa giù all'angolo... credo che tu e Nick sareste molto ben accetti» scherza, godendosi la mia espressione contrariata.
«Dio, parlare di queste cose con te è bellissimo» ride di gusto «abbocchi sempre al primo colpo; non importa quanto sia cliché ciò che dico, abbocchi ogni singola volta. Sempre, sempre, sempre. Dio, Jack, sei meraviglioso, cazzo».
Non è che mi senta molto lusingato ma ammetto che ha tutta la ragione del mondo dalla sua. Abbozzo un sorriso.
«Comunque, seriamente parlando, è andato tutto come al solito. Tidell che spiega e viene ignorata, ore successive in un coma irreversibile, ricreazione troppo corta e troppo affollata, bagni schifosi e caffè troppo annacquato» commenta. «Insomma, solita roba. Lauren si è beccata una nota perché si rifaceva il trucco al posto di ascoltare la lezione, e credo ci siano stati dei problemi fra lei e il ragazzo perché oggi flirtava con mezza classe».
«Come se ci fosse qualcuno pronto a sfidare le ire di un quaterback simile per entrare nelle sue mutande» ribatto.
«Hai centrato il punto» conviene divertito «dovevi vedere la sua faccia mentre si voltavano tutti dall'altra parte, non credo si sia mai sentita così indesiderata in vita sua». Scoppio a ridere assieme a lui, non credo le sia mai successo.
«E alla ricreazione? Avete seguito le sue tracce per un po'?» domando, tornando a masticare.
«Guarda, ti basta sapere che si è slacciata un po' i bottoni della camicia e sono scappati tutti» ridacchia.
«Oddio e lei?» non ce la vedo proprio, soffoco al solo pensiero.
«Lei niente, s'incazzava e persisteva, umiliandosi ancora di più» risponde allegro, servendosi un'altra forchettata.
«E a voi non ha detto nulla?»
«Be' no, ecco, una cosa l'ha detta» resta un attimo in silenzio, annuendo fra sé con l'aria mezzo rassegnata di chi è abituato ad avere a che fare con i pettegolezzi più assurdi e non sa come prenderli «ci ha provato spudoratamente con Ri ma è passata Cassadee che l'ha uccisa con lo sguardo, quindi ha lasciato perdere. Zack si è girato dall'altra parte con un'aria da 'ommioddio questo muro è veramente interessantissimo' così non ha neanche potuto tentare, poi ha visto me, ha fatto una smorfia e ha detto 'ma che ci provo a fare, tanto questo è frocio', poi se n'è andata».
L'atmosfera si è improvvisamente raffreddata. «Oh» è l'unica cosa che riesco a spiccicare «mi spiace».
Scrolla le spalle, indolente «Non importa. Non c'è nulla di sbagliato nell'essere gay, non lo prendo come un insulto».
Però riesco a vedere che c'è rimasto male. «Se ti può consolare crede che io sia un ermafrodito» dico.
«Ma sappiamo entrambi che non c'è proprio vicina» ribatte, abbozzando un sorriso.
«Okay, questo era decisamente gay» esclamo, ridendo sotto i baffi «ma tanto sticazzi di quello che dice Lauren, alla fine la cagano solo perché la dà facilmente. Se gli altri perdessero un solo secondo ad ascoltarla, si ritroverebbe sola».
«Hai anche ragione» ammette, ma devo aver mascherato male la mia apprensione perché poi sorride e aggiunge: «è tutto okay, davvero. Non preoccuparti. Può dire quel che le pare su di me, sono cavoli miei chi e cosa mi piace - di sicuro non vado a farmi influenzare da quello che pensa una ragazza del genere». Annuisco, un po' rassicurato.
«E gli altri che hanno fatto?» domando.
«Si sono girati entrambi con gli occhi sgranati e sono rimasti senza parole con me; poi dopo un po' che lei aveva girato l'angolo Zack si è portato una mano alla fronte e ha detto 'be', adesso le ho proprio sentite tutte'» abbozza un sorriso «ora che ci penso, è stato un commento simpatico. Ebbravo Zack».
«Certo che un pacco di affari suoi ogni tanto non le farebbe male» commento, piccato.
«'Se devi dire cose sgradevoli tanto vale che non apri bocca'» conviene Alex, alzandosi per portare il piatto sporco nel lavandino «tanto più che su di lei ci si potrebbero scrivere delle trilogie intere senza trovare un dettaglio carino».
Seguo il suo esempio mentre apre l'acqua «Tanto quest'anno non lo supera di sicuro coi voti che si ritrova» dico.
«Non vedo l'ora di lasciarmela alle spalle» soffia, e so per certo che per lui la situazione in classe è più pesante. Io me la cavo un po' meglio perché sono il pagliaccio della situazione, quindi la gente mi tollera più facilmente, ma quella che ho scelto io è la strada facile, fra noi due quello speciale è Alex. Essendo il ragazzo amabile che è, anche se non parla molto pian piano si sta facendo apprezzare anche dagli individui più falsi e superficiali dell'istituto; ma per ora fa fatica a integrarsi in classe perché non ha molto in comune con quelli che ci circondano, che non esitano a metterlo da parte e cercarlo la maggior parte delle volte solo per tornaconto, visto che con loro non si arrabbia mai. Dice che non gli interessa particolarmente star simpatico 'a quell'inutile banda di piccioni' e che quindi possono trattarlo come gli pare, ma probabilmente non riuscire a fare amicizia lo fa sentire un po' diverso e solo, ed è un pensiero brutto perché è tutto ciò che vorrei essere e dovrebbe essere amato.
Lo osservo trafficare distrattamente con bicchieri e posate sotto il getto d'acqua fredda, poi quando chiude il rubinetto e si volta verso di me mi limito ad aprire le braccia e invitarlo con un cenno del capo. Non dice nulla ma si avvicina e si stringe a me, lo circondo e rimaniamo avvolti così per un po', a respirare assieme nel silenzio totale.
«Non mi era mai successo prima» mormora dopo un po', sento le ciglia muoversi lentamente su e giù lungo il mio petto.
«È un'infame» ribatto, accarezzandogli i capelli «i tuoi sentimenti, qualunque essi siano, riguardano solo te».
Non ha il respiro affannato, ma so che si sente pesantissimo. «La gente non dovrebbe giudicare dall'aspetto» sussurra.
«Non è colpa tua se lo fa, purtroppo i pregiudizi esistono da sempre» soffio, senza fermare le dita «e poi mica è un difetto avere il senso dei colori, non sai quante ragazze darebbero un rene per avere un fidanzato che se ne intenda».
Ride per qualche secondo. «Secondo te sono troppo effemminato, Jack?» chiede poi.
«Devo essere sincero? Per niente; sei perfetto così, è Lauren che non ci capisce un cazzo» rispondo, e lui sorride.
«Grazie» mormora dolcemente «Lauren può anche farsi fottere».
«Credimi, ci sta sicuramente provando in tutti i modi» scherzo, in tutta risposta lui mi stringe fino a togliermi il fiato.
«Ouff» esalo, spalancando gli occhi; poi allenta la presa e ricomincio a respirare, lasciandogli una mano fra i capelli.
«Alex, Cristo santo, non farlo mai più» squittisco «a momenti vomitavo la milza».
Ride e lo stringo più forte, posando la testa sulla sua. «Non importa quello che dice Lauren, tu sei e rimarrai fantastico, okay? Sei etero? Tanto meglio per le ragazze, guadagnano un gran bel premio. Preferisci i maschi? Perfetto, li avrai comunque tutti ai tuoi piedi. Non devi preoccuparti di quello che pensano gli altri, puoi essere felice in ogni caso».
«E tu e gli altri sareste felici se fossi gay? Non avreste paura?» soffia.
«Paura di cosa? Se all'improvviso ti svegliassi e ti piacessero i maschi sarebbero affari tuoi, non nostri; e le cose fra noi rimarrebbero comunque le stesse - forse riusciremmo perfino a convincere Ri ad accompagnarti per locali, pensa».
Lo sento sorridere. «E tu saresti felice?» chiede, alzando lo sguardo verso di me.
«La persona più felice del mondo. A me basta che tu riesca a essere te stesso e contento di ciò che sei, il resto conta poco o niente» lo tranquillizzo dolcemente, tornando ad accarezzargli i capelli. Dio, sarei felice da morire.
«Certo che Lauren è proprio sfortunata» commenta dopo qualche secondo, arricciando le labbra in una smorfia soddisfatta «anche se fossi gay riuscirei a essere più felice di quanto è lei nei suoi sogni più sfrenati. Mi spiace per lei».
Rimango in silenzio alla frase - devo ammetterlo, mi ero fatto un gran bel film mentale su lui che faceva coming out fra le mie braccia, io che gli dicevo che avevo anch'io qualcosa da dirgli e mi dichiaravo e lui che mi diceva che provava le stesse cose per me, poi ci baciavamo e aiuto a cuccia cuore. Alex lo nota, ride e mi guarda.
«Jack? Tutto okay?» scherza, io mi sbrigo ad annuire.
«Assolutamente, ogni tanto mi prende» mi paro il culo, lui ride di nuovo e mi sorride.
«Sei proprio un tipo strano tu» commenta «sarà per questo che siamo sempre stati amici».
Gli do un pizzicotto allo stomaco e si piega in avanti con una risata «Strano a chi?» lo stuzzico, continuando.
«Strano chi? Chi?». Continua a ridere e si aggrappa alla mia maglietta - non me l'aspetto così inciampo su di lui.
«Ommioddio Jack levamiti di dosso, pesi un quintale» esclama riprendendo fiato, ancora vittima della ridarella.
«Ma senti chi parla, perché non hai idea di quanto pesi tu!» ribatto, divertito.
«Sicuramente meno di te, manco na trebbiatrice riuscirebbe a superarti» mi sfotte mettendomi una mano sotto il petto e spingendo verso l'alto, sollevandomi di qualche centimetro. Mugugno perché mi è difficile respirare, ma da così il suo viso mi sembra ancora più bello quindi tengo la bocca chiusa finché il braccio non gli crolla e cado di nuovo su di lui.
«Attenzione, atterraggio numero due riuscito» distorco la voce, lui mi spinge di lato con una risata e rimane sdraiato. Mi tiro sui gomiti e mi volto a guardarlo, questa situazione mi sembra stranamente buffa.
«Sai Jack, vorrei che momenti così durassero per sempre» si volta verso di me «io, te e quest'infinità di risate».
Sorrido. «Lo faranno, non ho la minima intenzione di abbandonarti».
«Ne sono felice» sorride sinceramente «non sopravviverei».
«Grazie di esistere, lex» mormoro, improvvisamente avvolto da un'ondata di calore e felicità «senza di te il mondo sarebbe terribilmente grigio». Allunga la mano verso di me e la stringo stretta, poi rimaniamo zitti per un po', sdraiati sul pavimento ad osservare i giochi di luce che si riproducono sul soffitto. Tutto attorno a noi è chiaro e di buonumore - mi sento come se in questo momento potessi fare tutto senza mai fallire e quando guardo le nostre dita intrecciate non posso non pensare che in effetti non ho bisogno di tentare nulla, la gioia ce l'ho già accanto.
«Alex?» lo chiamo dopo un po', si gira a guardarmi.
«Dimmi» risponde, squadrandomi.
«Se mai te ne andassi, ti rincorrerei e ti porterei indietro». Sorride dolcemente.
«Grazie Jack» mormora «non potrei sperare di meglio».
Torno a fissare il soffitto con un sorriso ancora più grande dipinto sulle labbra. Qualcosa mi dice che non lo perderò mai, e voglio credere in questo qualcosa con tutte le forze che abbia mai posseduto, senza esitazioni.
Dopo un po' Alex si alza e mi tira su con sé, si dirige verso il salotto e si spaparanza con un sospiro soddisfatto sulla poltrona dell'altroieri, invitandomi a fare lo stesso con un gesto del capo. Obbedisco e mi siedo sulla poltrona dirimpetto alla sua, poi mi stiracchio e mi metto comodo, tentato dal sistemarmi coi piedi verso l'alto e la testa al loro posto.
«Abbiamo quattro ore prima di andare al barbecue» conta sulle dita «che facciamo?»
«Ti va di provare un po'?» propongo dopo averci pensato su.
«Ci sta» conviene Alex annuendo «vado a prendere le chitarre, così magari mi musichi pure la canzone».
Si alza e corre su per le scale, mentre io rotolo giù dalla poltrona e mi sistemo in una posizione normale; ricompare dopo due minuti e mi porge la chitarra acustica di prima, poi posa sul tavolo una ventina di fogli bianchi e di spartiti da riempire, assieme a una penna e a una matita, e mi guarda tutto allegro.
«Così magari butti giù le note e la mettiamo nel raccoglitore con le altre» dice e io annuisco.
«Preferisci che prima scriva o suoni?» domando, più per guadagnare tempo che altro - so già come risponderà.
«Suona, così se qualcosa non ti convince del tutto possiamo rivederla assieme» dice infatti, sedendosi sul bracciolo. Annuisco, imbraccio lo strumento e comincio a pizzicare le corde, dopo aver controllato di non aver scordato la chitarra dopo il mio set di stamattina; decido di non alzare lo sguardo per non rischiare di scoppiare a piangere inutilmente e dopo un attimo di esitazione comincio, deglutendo.
«Ho fatto un sogno stanotte, e quando mi sono svegliato avevo le parole per la prima parte. Sii cattivo, mi piacerebbe se diventasse una buona canzone» mormoro, finendo di suonare le note iniziali. Attacco a cantare premendo gli occhi sulla tastiera - l'imbarazzo in questi momenti è qualcosa di inevitabile anche se in effetti ci siamo sempre messi a nudo per quanto riguarda i sentimenti, ma più che altro ho paura di lasciarmi scappare qualcosa senza rendermene conto - quindi non so che espressione possa aver assunto. Non credo di volerlo sapere.
«Jack, perché non li componi tu i nostri pezzi?» dice semplicemente quando poso la chitarra e respiro a fondo.
«Perché abbiamo il miglior compositore della contea e sostituirlo sarebbe una gran cazzata» ribatto, imbarazzatissimo.
«Dico sul serio, è da paura» insiste «e dire che l'hai pure sognata, cioè io non ne sarei capace».
«Smettila e aiutami a trascrivere le note» faccio goffamente, sporgendomi per prendere i fogli e la penna.
Ride sotto i baffi e prende la chitarra dal mio grembo, lasciandomi libero di scrivere, poi ci ripensa e mi dà indietro lo strumento, prendendosi i fogli «Dimenticavo che non so le note, suona tu e io trascrivo».
In una mezz'oretta ce la caviamo - ci avremmo messo anche meno ma una pausa caffè ci stava eccome.
«Pausa gelato?» propongo, ho ancora un languorino.
«Aspetta, idea migliore» m'interrompe, poi tace un attimo «pausa affogato».
«Meraviglia, vado a prendere i soldi» esclamo, saltando in piedi e dirigendomi in camera. Raccatto cinque dollari da una tasca della borsa e torno giù di corsa, Alex fa un sorrisone e si avvia verso la porta con le chiavi in mano.
«Oggi mi sembra una giornata magnifica» commenta, annuisco e ci lanciamo verso la gelateria.

Le sette e mezza arrivano dopo un pomeriggio passato all'insegna di chitarre riaccordate ogni due secondi, fogli che volano via col vento, affogati al caffé rovesciati sugli spartiti appena compilati e risate fin troppo contagiose. Arriviamo nel giardino del party che gli invitati sono ancora pochi - noto con delusione che i ragazzi non sono ancora qui.
«Alex, Jack!» ci chiama la padrona di casa, smettendo di parlare con una donna.
«Buonasera» salutiamo, avvicinandoci, e in un lampo mi accorgo di non avere la minima idea di quale sia il suo nome.
«Purtroppo non sono molti quelli ad essere già arrivati, però se volete potete tranquillamente cominciare a mangiare» dice con un sorriso «o fare un giro in casa, come volete. Fate come se foste da voi, d'accordo?»
Ringraziamo e lei torna dalla sua amica, che nel frattempo l'ha aspettata sorseggiando un bicchiere di punch. Mi guardo intorno e ho come l'impressione di essere già stato qui, anche se sono sicuro che questa sia la prima volta che ci metto piede; guardo Alex e penso che forse prova la stessa cosa anche lui. Non glielo chiedo e comincio a camminare verso destra, curiosando un po' in giro; lui mi segue docilmente - non abbiamo nulla da fare ma sarebbe scortese andarcene e tornare più tardi ora che la padrona di casa ci ha visti e salutati, quindi non è che abbiamo molte altre alternative.
«Come te la cavi dietro a un barbecue?» domando dopo un po'.
«Non lo so e non lo voglio sapere» risponde francamente «non credo sarei molto bravo».
«Forse hanno bisogno d'aiuto in cucina» suppongo «andiamo a impicciarci?»
«Sicuramente farà passare il tempo» conviene Alex, avviandosi con me all'interno della sala.
Alla fine non c'è alcun bisogno di noi, però ficchiamo il naso nel salotto e decretiamo che i divani sono abbastanza comodi per i nostri gusti, e che se non li soddisfano appieno poco ci manca; così quando usciamo almeno quindici minuti sono passati di gente ce n'è parecchia. Troviamo i ragazzi vicino al tavolo e ci avviciniamo, salutandoli.
«Allora è vero che sei guarito» esclama un Rian soddisfatto, servendosi un bicchiere di punch.
«Grazie al cielo sì, mi sembrava di vivere sulle montagne russe» rido. Con la coda dell'occhio noto Cassadee alle spalle del fidanzato che chiacchiera con una sua amica, mi sporgo verso di lei e le faccio un allegro «ciao anche a te Cass!».
Si gira e mi nota, mi rivolge uno stupitissimo «ommioddio Jack non ti avevo proprio visto!», mi afferra per il braccio e mi trascina verso di sé: «devo assolutamente presentarti qualcuno, è un miracolo che ti sia fatto trovare così presto!».
Non faccio resistenza ma mi lancio un paio di occhiate disperate alle spalle mentre vengo portato verso il tavolo del cibo, ricevendo in cambio risate e qualche pollice alzato; nel frattempo Cass getta parole al vento, parlando di qualcosa di cui ho perso da tempo il soggetto, e scoppia in qualche risatina per mettermi a mio agio. Arriviamo al tavolo, si riavvia rapidamente i capelli, sorride prima a me poi a una ragazza, poi ci avvicina.
«Jack, questa è Kailey, una mia compagna di corso. Kailey, questo è Jack» miagola, presentandoci.
«Er, ciao» mormoro porgendole goffamente la mano «come va?»
«Bene grazie, tu?» ribatte lei, stringendomela saldamente. Rispondo con un 'sì, anch'io tutto bene' e Cass s'illumina.
«Bene, vedo che il ghiaccio è rotto» trilla «vi lascio a conoscervi, ci vediamo dopo».
La guardo scomparire un po' spaesato, mi volto a guardare Kailey e noto che sta sorridendo radiosamente verso di me.
«E così...» mormoro, senza sapere come continuare. Odio quando Cass mi combina appuntamenti a mia insaputa.
«Hmm, vediamo un po'» rimugina un po' lei «tu studi letteratura assieme a Ri, giusto?»
Annuisco lentamente, mantenendo il silenzio. «Ecco, mi sembrava di averti già visto» esclama abbozzando un altro sorriso «e per caso abiti alla fine della strada?»
«Non proprio, un paio di case a destra giù all'incrocio» rispondo, a disagio.
«Oh be', ci sono andata vicina» ride, mentre io abbozzo un sorriso e tiro su col naso.
«Tu invece dove stai?» mi sento in dovere di chiedere, più che altro per limitare le ire di Cass quando saprà che i suoi sforzi sono andati come al solito tutti a monte e che non ho combinato niente anche stavolta.
«Hai presente il supermercatino indiano vicino alla rotonda? Terzo piano» risponde allegramente, al che annuisco.
«Fate spesa lì?» chiedo, lo sguardo perso oltre le sue spalle.
«In realtà non ci passiamo mai, non ci piace troppo la cucina speziata» ammette con un velo d'imbarazzo.
«A me piacciono molto i burrito» dico, cercando di scorgere i ragazzi dietro di lei.
«Davvero?» esclama, come se fosse una vera scoperta «piacciono tantissimo anche a me, e pure i nachos!»
«Non saprei esprimermi sui nachos» commento «ma i burrito sono il culmine dello sviluppo umano».
«Qualcosa mi dice che sei un cliente affezionato di Tacobell» ride «io invece preferisco cucinarmeli da sola».
«Ammetto di essere un po' pesaculo per quanto riguarda la cucina» dico, alzandomi sulle punte «ma d'altra parte se possono prepararmelo altri ad un costo più che conveniente non vedo perché non dovrei accettare».
«Chissà che ci mettono dentro» mi fa notare, e finalmente scorgo Alex.
«Qualsiasi cosa sia, quello che crea è il paradiso» ribatto, cercando di capire cosa stia facendo.
«Fa strano sentirti parlare di cibo, sei magro come uno stecco» dice allegra mentre io strizzo le palpebre per riuscire a distinguere meglio le due silohuette nella penombra - è una donna quella che gli sta facendo compagnia?
«Questione di metabolismo; quando crescerò probabilmente diventerò un panzone» commento mantenendo il distacco - Alex sta offrendo da bere alla ragazza, lei accetta e ridono assieme.
«Speriamo di no» esclama con aria mesta «ma almeno tu non vivi perennemente a dieta», si circonda la pancia con le braccia e guarda in basso con una smorfia. Alex e la tipa si avvicinano un po' a noi, lei gli mette la mano sul braccio.
«È uno spreco di tempo, stai benissimo così» la tranquillizzo, il cuore che accelera «anzi, sicura di non voler mettere qualcosa sotto i denti?» aggiungo, avvicinandomi al cibo e quindi alla coppietta.
«Non si rifiuta ciò che è gratis» commenta, seguendomi docilmente con un'aria più che felice. Mi riempio il piatto senza guardare, girato verso di loro, poi sento Kailey ridere e mi volto verso di lei aggrottando la fronte.
«Non ci credo, ti piace quella roba?» ridacchia, indicando qualcosa di giallognolo che sovrasta la mia carne.
«Lo trovo meraviglioso» mento, senza capire cosa sia «dovresti assaggiarlo».
«Forse lo farò» sorride, servendosi uno spiedino. Alex e la tipa sono più vicini, troppo vicini.
«Hmm, quefto fpiedino è davvewo buoniffimo» bofonchia Kailey dopo un morso, io annuisco distrattamente. Me lo sto immaginando o lei ha la mano attorno al suo fianco?
«Ma tu non hai fame?» domanda, costringendomi a distogliere lo sguardo.
«Eh? No sì sì, è solo che penso di aver visto qualcuno che conosco laggiù e non riesco a capire se sia davvero lui».
«Probabilmente lo è, è stato invitato tutto il vicinato» ragiona dopo aver mandato giù il boccone.
«Già, probabilmente hai ragione» convengo, addentando la mia robaccia giallastra «buono».
«Sì?» ribatte con un'aria poco convinta.
«Sì, dovresti provare» insisto, avvicinandole il piatto. Mentre lei lo fissa con disgusto e curiosità assieme, torno a spiare i movimenti dei due e scopro con sgomento che non sono più dove mi aspettavo di trovarli. Setaccio velocemente tutto il giardino con gli occhi, terrorizzato, e li ritrovo a chiacchierare in un angolino, separati dagli altri.
«Hmm, hai ragione, è davvero buono» mormora lei restituendomi il piatto.
«Vero?» concordo senza guardare, le previsioni più catastrofiche che mi affollano la mente.
«Mi chiedo cosa sia, forse peperoni» butta lì - Alex si sporge verso la sua accompagnatrice e ride di nuovo.
«I peperoni hanno un gusto più deciso, probabilmente è verza bollita» rispondo, lo stomaco che mi si chiude.
«T'intendi di cucina?» domanda stupita.
«Quel che basta per sopravvivere, i miei non sono mai a casa» dico.
«Davvero non ci sono mai? Ma è terribile, mi dispiace tanto» si stupisce «se vuoi posso ospitarti io ogni tanto».
«Grazie mille ma non è un problema, praticamente vivo a casa di Alex» ribatto, osservandolo insistentemente.
«E sua mamma non si arrabbia?» chiede mentre mi stringo la punta del naso.
«Eh? Ah no no, è molto disponibile invece» dico «mi vuole bene, a volte l'aiuto a cucinare».
«E hai la tua camera pure da loro?» insiste, sinceramente interessata. La tipa ha di nuovo la mano sul suo fianco.
«No, mi sistemano un materasso in camera di Alex e dormo lì» rispondo, sempre più spaventato.
«Caspita, dev'essere dura» mormora, impressionata.
«Potrebbe essere più facile» convengo, mordendomi il labbro. È lei che doveva incontrare, che non posso sconfiggere.
«E quando Alex non può che cosa fai?» domanda, inclinando la testa.
«Sto a casa» dico distrattamente «mi mangio un film, guardo una pizza, passo il tempo».
«Ti mangi un film?» ride «è divertente come cosa?»
«Abbastanza, diciamo che ti tiene occupato» rispondo - la mano di lei non è più sul suo fianco, ma solo perché ha trovato qualcosa di meglio da fare sulla sua spalla. Mi stringo di nuovo la punta del naso, deglutendo.
«Jack, ti senti bene?» chiede lei, sfiorandomi apprensivamente il braccio con le dita «tutto a posto?»
«No, in realtà no» mormoro, portandomi una mano alla testa «è meglio se vado a sedermi. Grazie della compagnia Kailey, ora è meglio che vada». Apre la bocca per dire qualcosa ma mi allontano prima che possa articolare nulla, dirigendomi verso il giardino e scontrandomi con tutti quelli che incontro. Quando sono abbastanza isolato dagli altri mi lascio cadere su una panchina di legno e tiro un pugno contro il bracciolo, ottenendo un'ulteriore conferma del fatto che non sono arrabbiato con loro, solo terribilmente ferito e dolorante; e rimango fermo con le mani penzoloni per un po', a radunare i pensieri e cercare di non piangere - cosa difficile, avendoli proprio davanti agli occhi.
Ma forse quello che fa più male è sapere di aver avuto ragione ancora una volta, di aver riconosciuto i segni premonitori della tempesta senza però averci potuto far nulla, di essere stato solo uno spettatore paralizzato in quello che potrebbe essere l'atto tragico più importante della mia vita. Non che ci sia stato niente che avrei potuto fare e non ho fatto - le cose sono andate come dovevano andare e non c'è niente che avrei potuto cambiare per far sì che in questo momento loro due non fossero insieme - ma anche quando sai di essere ininfluente non riesci a perdonarti i risultati.
La cosa vitale è che lui è lì, a venti, venticinque metri da me, e al suo fianco c'è una ragazza, una ragazza con cui ride, scherza, beve e si diverte, una ragazza che non si fa problemi a mettergli la mano sul fianco o sulla spalla, una ragazza che a quanto pare trova piacevolissimo aggrapparglisi al braccio e non lasciarlo più andare.
Sono tentato dal piangere, tanto da qui non mi vedrebbe nessuno, ma scuoto la testa e mi limito a spostare lo sguardo sull'erba che mi cresce tutt'intorno, ricoperta da un sottile velo di giallo e movimentata dal passaggio di qualche insetto che non sono in grado di captare. Affondo il viso fra le dita e in qualche modo il calore mi dà un po' di sollievo, anche se non rimango in questa posizione a lungo.
«Posso sedermi?». Zack si sistema accanto a me dandomi solo una breve occhiata. Si concentra sulla coppia.
«È lei?» domanda, senza aver davvero bisogno di una risposta.
«Temo proprio di sì» dico comunque, tornando ad osservarli mestamente. Respira sonoramente.
«È bella» commenta, tirando le labbra.
«È il suo tipo» metto a fuoco il suo pensiero, abbassando gli occhi.
«Te l'ha presentata?» domanda ancora, cercando di scorgerle qualche dettaglio del viso.
«No, sono stato rapito da Cassadee e sono caduto vittima di uno dei suoi appuntamenti a sorpresa».
«Meglio così allora» soffia, espirando dal naso. Sposta lo sguardo da me a lei, poi si sofferma sul buio della notte.
«Vuoi che andiamo ad impicciarci?» propone, ma io scuoto la testa.
«Preferisco guardarlo da un posto sicuro e non espormi, così non dovrò perdere».
Rimane in silenzio e apprezzo, annaspando di nuovo fra le onde di pensieri che mi sbilanciano la mente.
«Zack, potresti prendere qualcosa da bere?» domando flebilmente, lui annuisce e si avvia.
L'eco della musica e delle risate mi arriva attutita e rimbalza contro il mio scudo di vetro, scivolandomi via lungo la pelle, e per un secondo mi chiedo se non sia meglio andare da loro e trasformare la coppia in un trio caciarone; poi scuoto la testa e lascio perdere - solo perché la mia serata fa schifo non deve star male pure Alex.
Zack torna dopo tre minuti con in mano due bottiglie di birra, me ne passa una e posa l'altra sull'erba, sedendosi.
«Cosa pensi di fare?» chiede dopo un po', girandosi verso di me. Poso la bottiglia e mi asciugo le labbra.
«Non ne ho idea» mormoro «aspetterò che si separino un attimo e mi appolperò ad Alex, immagino».
Tacciamo insieme, mentre io torno a bere.
I due stanno ancora chiacchierando, muovono le mani con convinzione e sembrano spassarsela parecchio. Ridono spesso, soprattutto lui, anche se è lei quella che cerca più di tutti il contatto fisico, e questo mi dà un po' di speranza. Forse Alex non è davvero convinto di quello che fa, forse è davvero solo un'amica di vecchia data.
Continuo a guardarli e l'idea mi muore davanti, cerco con le dita l'altra bottiglia e lenisco la paura con il sapore aspro della birra, conscio che senza mangiare qualcosa mi ubriacherò presto. Mando giù un altro lungo sorso. Non so cosa sarebbe meglio, se diventare così ubriaco da non capire più nulla e soffrire domani anche per oggi o rimanere sobrio e domani soffrire un po' di meno perché qualcosa l'ho già data. Nel dubbio finisco la birra, mi alzo barcollando un po' e mi trascino verso il banchetto del cibo, dove il mio piatto giace abbandonato ancora praticamente intoccato. Zack mi segue e bada per me a dove cammino, stringendomi il braccio quando metto un piede in fallo, e sembra felice quando mi vede buttar giù un po' di carne, oltre all'alcol. Quando finisco la salsiccia e poso il piatto sul tavolo lo afferra e me lo rimette davanti, pregandomi con gli occhi di mangiare qualcos'altro; abbasso lo sguardo e obbedisco docilmente, senza protestare, poi afferro un'altra bottiglia di birra e me la porto alle labbra. So che non gli piace quando bevo per lasciar fuori l'immagine di Alex che si diverte con qualche ragazza, ma mi aiuta a non impazzire.
«Jack, che ne dici di farci una passeggiata?» propone in alternativa. Scuoto la testa.
«Non posso allontanarmi, potrebbe succedere di tutto».
«Anche se stai qui a guardarli non potrai fare nulla per impedirlo» mi ricorda preoccupato.
«Lo so ma...» non so cosa dire ma qualcosa devo spiccicarla. «Rimaniamo, per piacere. Non posso permettermelo».
Sospira sonoramente, me la dà vinta e riempie il piatto con altro cibo, indica la panchina e lo ringrazio con gli occhi.
«Jack, ehi!» mi chiama qualcuno, non riesco a capacitarmi sia Alex.
«Ehi» ribatto, voltandomi e cadendo dalle nuvole.
«Si può sapere dove ti eri cacciato?» mi domanda, visibilmente felice.
«Cass mi aveva organizzato un appuntameno a sorpresa» rispondo, lui scoppia a ridere.
«Davvero? Ci prova ancora?» esclama «certo che è proprio assurdo». Abbozzo un sorriso. Felice che sia felice.
«Piuttosto, senti qua» s'interrompe di punto in bianco «c'è una persona che voglio farti vedere».
Spero non abbia notato che ho stretto la mano di Zack con tutte le mie forze. Lui mugola sottovoce e chiude gli occhi.
«Ah sì?» dico, fingendomi stupito «e chi?»
«È una sorpresa» gongola, poi mi prende e mi trascina via dopo un velocissimo 'ciao Zack!'. Ci fermiamo accanto al tavolo del punch ma per fortuna non c'è nessuna ragazza ad aspettarci, così lui si gratta la nuca, stupito.
«Non riesco a capire, le avevo detto di aspettarmi qui» mormora, e qualcuno ci assale alle spalle con un 'boo'. Trasale visibilmente e si gira di scatto, portandosi la mano al petto.
«Non te l'aspettavi vero?» ride una ragazza, non mi va di girarmi a guardarla in faccia.
«Sei un'infame, lo sai che queste cose con me funzionano sempre» si arrabbia per finta lui, lasciando spazio a un enorme sorriso sulle labbra fine. Lei ride e mi sento improvvisamente seppellir vivo, vorrei morire sul colpo.
Poi un telefono squilla, sento un 'merda' sottovoce e lei che risponde con un 'pronto' squillante, per poi fare cenno ad Alex di aspettarla un attimo, perché la telefonata è importante e non può proprio rimandare.
«Fa' pure con calma Noel» la tranquillizza lui, guardandola allontanarsi con una sicurezza felice, rilassata.
In un istante mi torna in mente una delle sue vecchie canzoni, una di quelle di cui non vuole svelare il significato perché evidentemente sono troppo personali per essere raccontate apertamente, e la sensazione di prima si ripropone, più decisa e violenta. Annaspo per un po' d'aria ma non riesco a trovarne, così mormoro un 'torno subito' e scappo via prima che possa dirmi nulla, andandomi a sedere nel buio sul prato opposto a loro, le ginocchia tirate su contro il petto e le mani a coprirmi il volto. Non sto piangendo né voglio farlo, ma mi sento così terribilmente pesante e lacerato che non riesco a fare altro che nascondermi da tutto e tutti, intenzionato a evitare tutto il più possibile. Mi sposto i capelli dalla faccia e respiro, incrociando le gambe e posandoci sopra i gomiti, mi reggo la fronte coi palmi e cerco di rallentare i battiti, ormai fuori controllo.
Okay, quella è la Noel della canzone, quella dal ruolo così importante che potrebbe distruggere il legame fra due migliori amici, quella che si deduce essere andata a letto con Alex all'interno di una macchina e che a quanto pare è il mix perfetto per mandarlo su di giri, quella che aspettava con ansia e che ha finalmente rivisto, che io non eguaglierò mai e che osserverò sempre dal basso in alto senza osare un confronto, perché so che se ci provassi verrei stracciato su tutti i fronti - è quella Noel ed è qui, a qualche ventina di metri di distanza, e ad Alex mancava, mancava così tanto che era su di giri solo nel dirmi che saremmo andati alla festa, e io non so che fare, perché è tornata e lui è felice, e io voglio che sia felice lui, non io, ma non riesco ad esserlo nel vederlo ridere e la cosa mi lacera, e più di tutto ho paura, perché ora che è tornata starà solo con lei e cesserò di esistere, e anche se esisterò non sarà più come prima, e cazzo, ho un fiume in piena nel cervello, mi sento travolgere e trascinare e non riesco a far nulla. Non riesco a far nulla neppure quando Alex mi si appalesa alle spalle e mi abbraccia, neppure quando lei si avvicina a noi e lui le fa segno di andar via - rimango come sono e tremo, tremo da morire, finché lui non mi tira su di peso e mi sistema premurosamente sul suo grembo, avvolgendomi con le braccia e posando il viso sulla mia spalla. Vorrei guardarlo ma non ce la faccio, fa male, e nel frattempo mi sento bruciare ovunque, senza sapere se è colpa della birra o dell'amore. Alex mi mette una mano sulla fronte e non riesco a vedere la sua espressione, ma so di essere piuttosto pallido.
«Ti porto a casa Jack» dice immediatamente, sfilandosi il giacchetto e posandomelo in fretta sulle spalle, cerca di farmi alzare ma invece di mettermi in piedi scoppio a piangere e lo mando nel panico - comincia ad accarezzarmi il braccio ma più mi tocca più i singhiozzi diventano forti, percepisco la paura nelle sue dita.
«Jack, calmo, va tutto bene» farfuglia, inginocchiandosi davanti a me e stringendomi la testa contro il petto «ora ce ne andiamo okay? Va tutto bene, si sistemerà tutto te lo giuro, va tutto bene». Continuo a singhiozzare disperatamente per un altro paio di minuti, mentre lui cerca di calmarmi e mi stringe il più forte possibile, poi a un certo punto mi fermo e mi ricompongo, smettendo di tremare. Alex mi guarda ancora più spaventato e mi porta una mano sul collo, come a controllare che sia ancora vivo, e non trattiene un sospiro di sollievo nel sentire il battito, impazzato che sia. Mi stringe la testa contro il suo petto ancora più forte e mi bacia la nuca, poi si stacca e mi tira su con sé, passandosi il mio braccio sinistro attorno al collo e sistemandomi saldamente una mano sull'anca destra.
«Va tutto bene, okay Jack? Ti sto portando a casa» dice voltandosi verso di me, io annuisco flebilmente e comincia a camminare lentamente verso l'uscita, sorreggendomi. Scorge il profilo di Zack e devia verso di lui, facendolo voltare.
«Zack, quanto ha bevuto?» chiede, lanciandomi un'occhiata di preoccupato rimprovero. Guardo dall'altra parte e poi abbasso lo sguardo, respirando silenziosamente. Zack scruta le mie occhiaie e deglutisce, poi scuote la testa.
«Quando stava con me due bottiglie e mezzo al massimo, ma ha mangiato» risponde, e sento lo sguardo di entrambi premermi contro. C'è un attimo di silenzio e so che Alex è incazzato, quindi riapro gli occhi e li fisso su Zack, pregandolo tacitamente. Lui capisce, respira sonoramente, s'inumidisce le labbra e si scompiglia i capelli.
«Senti, era con me, avrei dovuto tenerlo d'occhio io» dice «lo riporto io a casa. Tu rimani pure, c'è una ragazza che non fa altro che girare chiamandoti, forse è il caso che tu vada da lei piuttosto. Tanto stavo per andarmene, non mi costa nulla allungare di qualche chilometro e lasciarlo a casa». Lo guarda arcuando le sopracciglia e lo guardo anch'io, Alex sembra ragionarci ma poi scuote violentemente la testa.
«No, no non se ne parla» nega «l'ho trascinato qui io ed è giusto che ora stia con lui».
Abbasso lo sguardo, mi sento sempre più debole. Zack mi guarda apprensivo e lo prego di nuovo, ma stavolta esita.
«Dico davvero, sembra una pazza, forse è davvero il caso che tu vada a cercarla. Resto io con Jack, torniamo a casa, se necessario vomitiamo e poi andiamo a dormire; non è un problema. Non guastarti la festa» insiste.
«Guardalo in faccia e dimmi che posso non preoccuparmi» ribatte Alex, guardandomi in preda all'ansia «è gentile da parte tua ma non posso lasciarlo solo, se sta così è anche colpa mia».
Zack è costretto ad annuire, io deglutisco. Non avevo pensato sarebbe successa una cosa del genere.
«Dico agli altri che ce ne andiamo e ci avviamo, okay?» mi avverte abbozzando un sorriso, poi chiede un attimo a Zack di sorreggermi e corre ad avvertire gli altri, probabilmente solo Noel e Ri. Zack rimane in silenzio per un po', poi si passa una mano sulla faccia e s'inumidisce nuovamente le labbra, guardando l'orizzonte.
«Era questo il tuo piano?» chiede. Mi vergogno come un cane.
«No» soffio flebilmente «non avevo nessun piano. Non mi era mai successo».
«Seriamente, quanto hai bevuto?» insiste.
«Due e mezzo, massimo tre. Non progettavo nulla, davvero». Lo guardo e deglutisce davanti al mio pallore.
«Sarà ma è un bel casino» commenta «sembri sul punto di tirare le cuoia».
«A volte lo spero tanto» mormoro. Zack pianta gli occhi nei miei e non riesco a sorreggere il suo sguardo.
«Dici che Alex mi odia?» domando, sospirando rassegnatamente.
«No, non credo proprio» sospira a sua volta «ti vuole un bene dell'anima, è solo preoccupato. Solo che se stavolta non è riuscito ad arrivare fino in fondo con quella ragazza, non illuderti che la prossima volta la cosa si ripeta».
«Già, lo so...» mormoro, le palpebre improvvisamente di cemento «vedo tutto sfocato».
«Fra poco sarai a letto a dormire, non preoccuparti» sorride con dolcezza, spostandomi delicatamente una ciocca dalla fronte e sistemandomela dietro l'orecchio «Cristo santo, sembri un cadavere ma sudi come un maiale».
Qualche minuto dopo Alex è di ritorno, si riavvolge il mio braccio attorno al collo e mi sorride affettuosamente.
«Ora ti porto a casa Jack, va tutto bene» mi dice, poi cominciamo ad avviarci. Ringrazio solo che abita così vicino.

Quando mi risveglio sono sul divano con una coperta di pile addosso e una busta del ghiaccio sulla testa, accerchiato da un paio di cuscini, un termometro e una scatola di fazzoletti. Pensavo che mi avrebbe pulsato terribilmente la testa, ma stranamente la birra non mi ha dato problemi, quindi riesco a ragionare abbastanza lucidamente. Sento delle voci ovattate provenire dalla cucina, una è sicuramente quella di Alex. Sono tentato dall'alzarmi e raggiungerlo di là, poi mi ricordo che gli ho rovinato la serata e lascio perdere, probabilmente non vuole vedermi.
«E ora cosa conti di fare?» dice una voce che non coincide con quella di Isobel.
«Non lo so, ma così non può più andare» risponde Alex.
Improvvisamente la paura prende il sopravvento e realizzo che avevo ragione, lui qualcosa sa.
«Sono d'accordo ma non puoi parlargliene così all'improvviso, rischi di rovinare il vostro rapporto» obietta.
Il cuore smette di battermi e la cassa toracica mi si restringe fino a togliermi il respiro. Sa che mi piace.
«Cosa dovrei fare allora? Ho aspettato il più possibile ma le cose non sono migliorate affatto» ribatte.
«Io... hai ragione, solo che non mi sembra il momento adatto. Voglio dire, hai visto come sta, no?»
«Posso anche aspettare a farlo, ma alla fine l'effetto sarà sempre lo stesso» le fa notare.
Oddio, vuole dirmi che nonostante tutto non mi ricambia.
«Lo so, ma adesso ha bisogno di te come non mai, Alex». 
«Oh andiamo Lisa, non è questo il punto. Anch'io ho bisogno di lui, ma prima di tutto ho bisogno di sapere che possiamo davvero fidarci l'uno dell'altro, e se non ne parliamo non potrò mai davvero mettermi l'anima in pace». Sembra stanco oltre ogni dire, non riesco a non odiarmi per avergli rovinato anche questa giornata. Gli occhi mi si riempiono di lacrime ma cerco di ricacciarle indietro a forza, mi tiro a sedere e mi tolgo la borsa del ghiaccio dalla testa, lasciandogliela sul tavolino. Non voglio continuare a fare il peso, è meglio se torno a casa e lo lascio vivere. Mi tolgo di dosso la sua felpa, la piego e la sistemo ai piedi del divano, mi metto in piedi e vengo accolto da un capogiro improvviso. Aspetto che passi, stringo i denti e vacillo fino alla porta - le voci dalla cucina si sono abbassate ancora, ma dal tono che riesco a recepire capisco che non è una chiacchierata rose e fiori -, appoggio la mano sulla maniglia e apro la porta. Mi accoglie una ventata di aria fresca e mio malgrado rabbrividisco, ma non voglio ripensarci e mi richiudo silenziosamente la porta alle spalle, poi prendo un respiro profondo e arranco verso casa mia. Dev'essere ancora piuttosto presto, perché sento gli schiamazzi della festa e almeno quindici finestre hanno la luce accesa, ma per strada ho la fortuna di non incontrare nessuno. Mi sento la testa leggera e il corpo pesante, sono a metà strada quando tutto si spegne. All'inizio sento un freddo terribile avvolgermi e chiudermi nella sua morsa, poi più niente. Grazie.

«Jack! Jack!» Alex mi sta chiamando e apro gli occhi a fatica, indolenzito. Si piega su di me e mi tira su il torace, guardandomi terrorizzato «Si può sapere che cazzo ti passa per la testa? Che cazzo stai facendo?»
Una ragazza si avvicina ma non riesco a metterla bene a fuoco, anche se credo sia Lisa. Ha l'aria spaventata quando si china sul marciapiede e incontra il mio sguardo vago, ma forse è un'impressione.
«Aiutami a portarlo dentro, ha le labbra blu» sento esclamare Alex, che nel frattempo mi ha caricato sulla schiena e ha cominciato a correre verso casa «porca miseria Jack, saresti potuto morire assiderato, te ne rendi conto?»
Chiudo gli occhi, tenerli aperti mi costa un'energia indicibile. «Non voglio essere un peso» mugolo.
«Tu non sei affatto un peso Jack, che diavolo ti viene in mente?» esclama.
«Ti ho sentito prima» mormoro, le parole escono lentamente «non voglio rovinare il nostro rapporto».
Alex trasale ma prima che possa dirmi qualcosa chiudo un'altra volta gli occhi e mi riaddormento, distrutto.

Stavolta quando mi sveglio sono le quattro del mattino e sono nel letto di Alex, con la borsa dell'acqua calda fra le gambe e il busto cinto dalle sue braccia. A fatica noto che questa non è la maglietta con cui sono uscito e avvampo nel pensare ad Alex che mi spoglia e mi riveste, poi il ricordo della chiacchierata fra lui e la ragazza mi colpisce e rimango immobile ad assorbire il fatto, conscio che questa potrebbe essere l'ultima notte in cui dormiamo insieme. Lo stomaco mi si arriccia e cerco di mandar giù il groppo che mi si è venuto a creare in gola, ma non riesco a sentirmi meglio. Mi tiro su coi gomiti e noto un'altra sagoma, dall'altra parte della stanza. Lisa. Dorme nel letto che Isobel ha preparato per me, quindi Alex ha preferito di concedermi un'ultima notte felice prima di mettere le cose in chiaro fra di noi. Mio malgrado non riesco a non sorridere della sua gentilezza, mi rimetto giù e mi addormento fra le sue braccia.
Fosse anche l'ultima volta, ma sono felice.

Mi risveglio per l'ultima volta quest'oggi che sono le nove del mattino e la luce del sole filtra nella camera. Lisa se n'è già andata - se a fare colazione o proprio del tutto non ne ho idea, però riesco a vedere che il suo letto è vuoto - mentre Alex è ancora a letto accanto a me, il viso illuminato da un raggio e i capelli scompigliati dal sonno. So che è sveglio.
«Ehi» lo saluto con un tono da scuse.
«Ehi» ribatte, posando lo sguardo su di me. «Stai meglio?»
«Scusa per ieri» mormoro «non volevo rovinare niente. Sono un coglione».
«Avresti potuto evitare di scappare di casa a maniche corte e in preda alla febbre a mezzanotte meno venti, quello sì, ma non hai rovinato nulla» ribatte dolcemente «stavi male, portarti a casa e metterti a letto era il minimo».
«Però così non può più andare» concludo, le parole mi mozzano il fiato. Alex deglutisce e abbassa lo sguardo.
«Vedi, è che...» esita qualche secondo, come a sciogliere le parole «a me piace starti accanto e mi fa sentir bene svegliarmi la mattina e vederti dormire al mio fianco, ma allo stesso tempo mi fa morire dentro sempre di più». Tace e io vorrei solo scoppiare a piangere - so benissimo dove vuole arrivare ma ho paura di sentirglielo dire. «Non sei tu il problema, dio solo sa quanto non lo sei, ma io non... non riesco più ad andare avanti così. Fa troppo male». Respira a lungo prima di continuare, mi viene da pensare che forse è il mio turno di aprir bocca ma prima che possa farlo riprende e s'inumidisce le labbra. «A volte mi sveglio e penso 'fanculo tutto, posso benissimo continuare in questo modo', ma ci sono giorni in cui apro gli occhi e cade tutto a pezzi, e io non sono abbastanza forte da piegarmi e raccogliere i cocci. E so che non è la cosa giusta da dire o da fare perché hai i tuoi casini e sono mille volte peggio di quello che sto passando io, ma non ce la faccio davvero a tenermi tutto dentro. Più vado avanti e più le cose diventano serie, più siamo vicini più mi sembra che sia la cosa sbagliata, e non è giusto perché sei il mio migliore amico e significhi così maledettamente tanto per me e io non... non... non riesco ad andare avanti. Significhi l'universo per me, eppure ogni volta c'è questa cosa che mi blocca, che m'impedisce di essere me stesso fino in fondo, e mi distrugge, perché il nostro rapporto si è sempre basato sulla sincerità completa e ora non ci riesco più, e so che è la cosa sbagliata ed è tutta colpa mia. Mi sveglio la mattina, ti guardo e ho questa consapevolezza dentro al petto, e più i giorni passano più non so come dovrei comportarmi, e più la ignoro più è difficile andare avanti ed è così, così... indescrivibile, pesante, mi si piazza addosso e non riesco a pensare, parlare o fare niente, e l'unico modo di uscirne è parlarne con te, ma così rischio tutto per qualcosa che non so neanche quanto possa aiutarmi e io.. io non so più che fare. Sei il mio universo e ti stai richiudendo su di me, qualunque cosa io faccia, e ho paura che non ci sia una vera via d'uscita se non la cosa che più mi spaventa al mondo, e non voglio arrivare a quello. Non voglio perderti, non sopravviverei. Vorrei solo che tutto tornasse come prima e che tutto questo non fosse mai accaduto, così saremmo gli amici di sempre con i problemi di sempre, e ora io non dovrei esser qui a parlarti di una cosa che mi lascia completamente spiazzato e lacerato dentro e che ho paura mi porterò dietro per sempre». Fa una pausa per annaspare alla ricerca di un po' d'aria, si morde le labbra. «Io non... non so come dirtelo, non so come dirmelo, non ho la minima idea di cosa fare, ma ogni giorno che passa vedo che questa cosa diventa più forte, e ho paura di essere arrivato a un punto in cui non posso più combatterla. È troppo per me, non ce la faccio davvero. E so che non è colpa tua, come del resto non è colpa di nessuno, solo che non so più come fare, ma le cose non possono andare avanti così, io non... devono cambiare».
Stavolta tace a lungo anche se vedo che cerca le parole, e il suo sguardo è un misto di paura, ansia e dolore.
«Io... eliminerò tutto alla radice, vedrai» mormoro «ma ho bisogno che tu mi perdoni un'ultima cosa».
Ho capito dove vuole andare a parare, ormai non ho più nulla da perdere. Ho perso lui.
Mi giro verso il suo viso, metto via la mia parte razionale e lo bacio. Così, senza aggiungere altro o guardarlo negli occhi, una mano sul cuscino e l'altra sul materasso accanto al mio bacino - poggio le labbra sulle sue e lo bacio, dimenticando il resto. Non so se per lo stupore, per lasciarmi un bel ricordo di lui o perché lo vuole davvero, ma schiude le labbra e lascia che le nostre lingue s'incontrino e si riconoscano, e per la manciata di secondi più belli della mia vita mi asseconda e lascia che la sua bocca diventi la mia, mentre il mio cuore batte come non ha mai fatto prima e tutto perde significato. Quando mi stacco apro gli occhi e incontro il suo sguardo, ma ne scappo subito.
Non dice niente, si accoccola contro il mio petto e porta la mano all'altezza del mio cuore, poi mi guarda.
«Rifallo» mormora. Gli passo una mano dietro al collo e lo avvicino a me, ma stavolta partecipa anche lui al bacio, mi divora le labbra e mi tranquillizza i sensi, mentre io divento un'insieme di esplosioni e reazioni chimiche troppo fuori controllo per essere calmate. Si stacca dopo un po', e so che stavolta devo guardarlo per forza.
«Credo di star per piangere» soffia, posa di nuovo il viso contro il mio petto e sento due gocce bagnarmi, seguite da altre due e due ancora. Rimaniamo lì così, lui che piange in silenzio e io che fisso il muro, senza riuscire a realizzare niente di quello che è successo, e per un po' nessuno parla, il silenzio rotto solo dai nostri respiri. Ho baciato il ragazzo della mia vita, lui mi ha chiesto di rifarlo e ora piange, e non sono sicuro del perché.
«Alex, io... Scusa» mormoro, le lacrime che mi offuscano la vista. «Ho rovinato tutto. Ti prego, non odiarmi».
Alza il viso dal mio petto, mi guarda e mi sorride come non faceva da anni, mentre due lacrime gli rotolano lungo le guance. «Jack, sei la cosa più bella che potesse capitarmi» dice, e sento che è sincero.
Strizzo le palpebre e lascio che la cosa mi avvolga, piangendo sofficemente, lui mi stringe e mi bagna il braccio.
«Alex, ti amo da morire» dico passandomi una mano sul viso, lui non risponde ma lo sento sorridere, e per la prima volta da tanto tempo sono felice per davvero, in ogni angolo del mio essere. Stringo Alex a me con una mano e con l'altra mi asciugo inutilmente gli occhi, deglutendo per calmarmi, e mi sembra improvvisamente tutto così radioso e pieno di gioia che non riesco a non scoppiare a ridere. Piangendo, stretto al ragazzo della mia vita, rido e tremo, e tutto ciò che ci circonda mi sembra la cosa più bella del pianeta, bella quasi quanto lui.
«Barakitty» mormora, e io lo guardo «senza di te non sopravviverei». Sorride e mi bacia, in un attimo che registro come il nostro primo vero bacio, e se il tempo si è mai fermato davvero, dev'essere successo in questo istante.
Rompiamo il bacio quando qualcuno bussa alla porta - facciamo appena in tempo a separarci che entra una ragazza.
«Noel?» suppongo, senza riconoscere i capelli castani fermati da un cappello.
«Maddai, conosci il mio secondo nome?» si stupisce lei con una risata, mentre Alex si alza e mi lascia a letto da solo, stropicciandosi decisamente gli occhi con le mani per nasconderle i segni del pianto e fingere che vada tutto bene.
«Ma che cosa, non capisco» farfuglio aggrottando le sopracciglia, lei passa il cappello ad Alex e torna a guardarmi.
«Ma come, non mi riconosci? Okay che mi sono tinta i capelli, ma non mi sono trasferita da neanche sei mesi e la mia faccia e la mia voce sono rimaste le stesse» finge di offendersi, mi si accende una lampadina in testa e sussulto.
«Lisa» boccheggio, sgranando gli occhi «non ci credo, ti prego dimmi che non sto sognando».
«Sei bell'e sveglio Barakat, mi dispiace per te» ride «e hai più che bisogno di rimediare alla gaffe il più presto possibile».
«Aspetta, eri tu con cui--» ricollego la sua faccia a ieri sera e trasalgo «ommioddio».
«Già, ommioddio» commenta lei con un sorriso «non ti è bastato sentirti male e scappare da casa per evitarmi».
«Ommioddio, non ci credo» ripeto «vi prego ditemi che ieri non ho interrotto niente».
Alex mi guarda con una faccia divertita da 'che cosa vuoi aver interrotto?', Lisa scoppia a ridere.
«Certo che sei proprio lento di comprendonio» soffia, poi frega un'altra volta il cappello ad Alex e torna verso la porta.
«Ero venuta a dirvi che Isobel vi vieta di portare altre ragazze a dormire dopo le feste se lei non è a casa e non offrite loro la camera degli ospiti, e che la colazione è pronta; se siete interessati sapete dove trovarla» ride, poi esce e se ne va. Resto a guardare la porta decisamente spaesato, Alex abbozza un sorriso e si siede sulle mie gambe incrociate, prendendomi le mani fra le sue.
«Quindi quello di ieri non era un appuntamento?» chiedo.
«No» sorride, guardandomi negli occhi. Mormoro un 'oh' e deglutisco.
«Allora devo scusarmi due volte» dico «ho bevuto perché non riuscivo a vedervi ridere».
«Non fa niente» ribatte «io mi sono messo con un sacco di ragazze diverse per ingelosirti».
«Vuoi dire che non ti piaceva Syv?» chiedo.
«Sì che mi piaceva, ma come amica» precisa «non c'è mai stato niente di fisico fra noi. Solo quando ero ubriaco».
Abbozza un sorriso. «Peccato che non sembrassi mai geloso».
«Lo ero» ammetto «ma non avrei mai pensato di poterti fare ingelosire». Sorride.
«E io invece non riuscivo a guardarti chiacchierare con nessuno. Però con Nick ti ci vedo bene davvero» scherza.
«Passo oltre solo perché ora non potrà più girarmi attorno» ribatto.
«E perché non dovrebbe?» domanda, baciandomi a stampo.
«Perché sennò Alex, meglio conosciuto come Abbie, gli spaccherà il culo» rispondo fra un bacio e l'altro.
«Whoa, frena, perché dovrei farlo?» ride «io sono per la pace».
«Perché altrimenti Jean cederà alle avances di Lauren» rispondo, ricattandolo «Seriamente, non ti dà fastidio che mi stia sempre attaccato? Io m'incazzerei come una bestia».
«Visto quanto ti sta simpatico non vedo perché dovrei considerarlo un rivale» dice, baciandomi.
«Tu allontanalo e basta, il perché non ha importanza» taglio corto, lui ride e poi tace.
«Fallo di nuovo» mormora, io sorrido e vengo accolto dalle sue labbra schiuse. Lisa apre la porta con un 'avete tutto il giorno per amoreggiare, venite a far colazione' e Alex le lancia un libro, ridendo senza staccarsi da me. Lei evita il lancio socchiudendo la porta e ride, ma poi la riapre e vi si appoggia.
«Seriamente ragà, Isobel si sta scazzando» insiste divertita «fareste meglio a scendere prima che salga lei a prendervi a calci in culo». Rimette la mano sul pomello e fa per andarsene, poi si rigira verso di noi. «Jack, dammi retta e cambia maglietta, quella macchia umida sembra molto equivoca». Stavolta sono io a lanciarle un libro, ma lei ride comunque.
«Dai, avete cinque minuti contati» ci sollecita «vi aspettiamo in giardino».
Se ne va per davvero e rimaniamo a fissare la porta divertiti, poi Alex mi prende il viso fra le mani e mi bacia a stampo.
«Forza, andiamo a cambiarci» dice, alzandosi e trascinandomi per il braccio «non voglio rovinarmi la giornata».
Fruga nell'armadio e mi lancia una maglietta, quindi ne prende una per sé e se la infila velocemente, raccogliendo poi i pantaloni da terra; io mi metto i miei jeans e lo osservo cercare di darsi una sistemata ai capelli, poi si arrende e mi fa cenno di scendere giù per le scale. Arrivati in salotto l'eco di qualche risata ci raggiunge, accompagnato da quello di un cucchiaino che sbatte contro un piatto, e nell'uscire in giardino la prima immagine che ci accoglie è la tavola imbandita su cui fanno colazione le due donne, una col cappello e l'altra coi capelli legati.
«Alla buon'ora!» esclama Lisa, esasperata «ancora un po' e mi sarebbe cresciuta la barba!»
«Mi sembra di conoscerla quella maglietta» scherza invece Isobel mentre mi siedo davanti a lei «anche se forse sta meglio a te che a Alex». Alex le fa la linguaccia e lei ricambia, passandogli la bottiglia del latte. «Avete visto che giornata meravigliosa? Per fortuna il freddo di ieri sera è durato appunto solo ieri sera».
«Sei passata al forno stamattina?» domanda Alex, sporgendosi verso il cibo.
«Era tutto chiuso, è inutile che cerchi i dolci» risponde «però se proprio vuoi c'è una torta a raffreddare giù in cucina, se è vado a prenderla. Voi ragazzi ne volete un po'?»
«Be' oddio, se proprio insisti» commenta felice Lisa «ti aiuto a portarla qui?»
«Massì dai, un po' di supporto morale non fa mai male» accetta alzandosi da tavola «così porti la panna».
Le due si allontanano e la sensazione è che abbiano voluto lasciarci da soli apposta, ma la cosa non mi dispiace affatto. Vedo che Alex mi sorride e arrossisco, ricambiando impacciatamente, poi un 'oplà' ci annuncia l'arrivo della torta.
«Et voilà» gioisce Isobel con soddisfazione, spostandosi a destra del suo capolavoro e tirando via il panno che ricopre una scritta 'Jack + Alex', contorniata da un enorme cuore di glassa al cioccolato. Sgraniamo entrambi gli occhi ed esclamiamo all'unisono 'Isobel!' e 'mamma!', arrossendo. Lei sbuffa e si sposta una ciocca dietro l'orecchio.
«Ammazza quanto siete noiosi» commenta imbronciata mettendosi le mani sui fianchi e inclinando la testa «ve l'ho detto, mancate di avventura». Alex la guarda storto, io abbasso lo sguardo perché la situazione m'imbarazza troppo. «Non venitemi a dire che non è un'idea carina, avanti» esclama quindi recuperando il sorriso «il mio spirito avventuroso rimedia al vostro troppo pudico!»
«Vado a sotterrarmi» commenta Alex prendendosi la testa fra le dita.
«Ah, ah, ah, ma come sei simpatico. Almeno quando ho avuto la mia avventura lesbo io non c'ho messo tre anni a dichiararmi» ribatte lei facendogli la linguaccia, poi cambia tono «qualcuno vuole una fetta di torta?»
Alex ripete un paio di volte 'perché a me?', ma per non saper né leggere né scrivere io una fetta la prendo volentieri.
«Ecco, bravo Jack che mi dà soddisfazione» esclama passandomi il pezzo con su scritto 'Alex' «e tu Lisa?»
«Giusto un assaggio, sono a dieta» risponde, sorridendo ma facendo cenno di no con la mano.
«Ragazzi, siete di una mosceria esemplare» sospira Isobel, addolorata «ma che v'insegnano a scuola oggigiorno?»
«A non diventare come te» risponde Alex, a cui lei ha appena passato un piatto, e suo malgrado Isobel ride.
«Ragazzi, sono felice di non far parte della vostra generazione; ho paura mi annoierei a morte» scherza. Poi si ferma a contemplarci e noi ricambiamo lo sguardo, bloccandoci nel bel mezzo delle nostre azioni - Alex che giocherella col cibo, Lisa che sorride e io a bocca aperta con la forchetta a mezz'aria - e lei ride.
«Siete tremendi» commenta, e io riprendo a mangiare.
«Buona» esordisco dopo un po', lei ferma la forchetta e la rimette nel piatto, soddisfatta.
«Ohh, finalmente qualcuno che mi apprezza!» esclama, io arrossisco «comunque ha chiamato Joyce, dice che sarà di ritorno questo pomeriggio e che passerà a prenderti verso le tre e mezza quattro, quindi fatti trovare pronto».
Ci rimango male e dalla sua faccia direi che pure Alex non è tanto contento.
«Dice che se vuoi andare pure tu, sei il benvenuto» si rivolge al figlio «e in effetti mi pare una buona idea, una serata di tranquillità e relax non mi farebbe schifo per niente dopo questa settimana allucinante». Alex sorride tanto.
«Dio, si vede lontano un miglio che vi piacete» miagola prendendosi il viso fra le mani «era ora che vi decideste».
«Sì, grazie per la torta mamma» ribatte imbarazzato Alex alzandosi da tavola «io avrei da fare, ci vediamo quando ci vediamo, ciao ciao» insiste, andandosene senza rivolgerci le spalle fino all'ultimo. Quando se n'è andato, Isobel ride.
«Oddio, vista la reazione potrei prenderlo in giro per sempre» commenta scuotendo la testa, poi mi guarda e indica la porta con un cenno del capo, sorridendo «avanti, vai, aspetta solo te».
Guardo lei, Lisa e poi la porta, afferro il piatto e mi affretto a raggiungerlo. Finisco la torta per le scale e lascio piatto e forchetta sul mobile fuori da camera sua, socchiudo la porta e lo trovo in piedi davanti all'armadio aperto.
«Ecco dov'era finita» mormoro notando la mia maglia dei Blink.
«La rivuoi?» domanda, prendendola e passandomela.
«Preferisco ce l'abbia tu» scuoto la testa, lui sorride e la rimette dentro.
«Mia madre è una pazza, ma in effetti avrei potuto farmi avanti mesi fa» mormora.
«Averti ora non mi fa schifo per niente» ribatto, lui si alza e mi sorride, guardandomi negli occhi.
«Se mai dovessi andartene, sappi che ti rincorrerei e ti riporterei indietro» mi quota. 
«Perché senza di te non sopravviverei» concludo. Finiamo di guardarci e lo stringo, affondando il viso nella sua spalla.
«Ti amo Jack» sussurra, ci stacchiamo e mi guarda di nuovo. Mi prende il braccio, mi accarezza dolcemente i tagli e sorride «riempiremo tutto questo vuoto e vinceremo questa battaglia insieme, okay?»
Annuisco e mi sento il petto esplodere di gioia. «Ripetilo» soffio.
«Ti amo Jack. Ti amo come nessun'altra cosa al mondo» mormora, mi passa una mano dietro al collo e mi bacia.
Mi bacia, e io mi sento la persona più importante del mondo. Tra le braccia del ragazzo della mia vita, respiro e scoppio a piangere, e divento la persona più importante del mondo per davvero, mentre tutto il resto perde di significato. Tra le braccia del ragazzo della mia vita, tremo, chiudo gli occhi e mi sento un oceano, e ritrovo in lui l'unica barca in grado di solcarmi e non venir ferita. Tremo, e niente importa più, e la sua pelle chiara diventa il faro di cui ho sempre avuto bisogno, che mi accarezza e mi ricorda che posso farcela, non sono uno spreco di tempo. Tremo, e sento il mio amore per lui non finire mai, e in un attimo realizzo che non è necessario che il tempo si fermi davvero perché le cose rimangano così per sempre, ma che c'è un universo a parte che ci circonda e accada quel che accada, saremo infiniti per l'eternità. Tra le sue braccia vivo e muoio, eppure esisterò per sempre, e quest'universo non sbiadirà mai. Diventeremo il cielo e la terra e resteremo abbracciati all'infinito, a scambiarci messaggi d'amore e di speranza che nessun altro potrà captare ma che tutti sentiranno dentro, e così come le foglie cambiano colore, il nostro amore si farà più intenso e vivo, e il nostro ricordo vivrà per sempre negli occhi l'uno dell'altro. E mentre tutti cercano il loro per sempre e non si godono il presente, noi vivremo proiettati in uno spazio tutto nostro, dove il tempo non conterà niente e girerà tutto attorno ai nostri tocchi e ai nostri pensieri, e più cercheranno di capirci più ci avvolgeremo l'uno dentro l'altro e scompariremo nel profumo dell'altro, in una danza infinita, sempre uguale e sempre diversa; e quando gli altri si stuferanno di cercare di scoprire il nostro punto debole, ci accasceremo su un mare di spartiti e ci guarderemo negli occhi, e scoppieremo a ridere al pensiero di tutti quelli che non sono in grado di vedere nella loro metà il presente, il futuro e il passato, lo spazio e l'oceano, la musica e il tremore, il respiro e la gioia; ci tenderemo la mano senza dire una parola e la stringeremo con tutta la delicatezza che ci sarà possibile, chiuderemo gli occhi e saremo nel sogno, in una realtà dove non esiste null'altro che una lenta e dolce melodia arcana, ci stringeremo l'uno all'altro e balleremo fino a crollare per la stanchezza, riducendoci a un fragile mucchio di baci e sospiri portati via dal vento. Tra le sue braccia tutti gli universi nascono e vivono, e con loro nasciamo e viviamo anche noi, morendo solo per rinascere su un'altra stella, sempre incastrati l'uno all'altro, e rinasceremo l'ultima volta come due sprazzi di energia, destinati a rincorrersi e acchiapparsi fino alla fine dei tempi, in un arcobaleno illuminato da colori mai scoperti e brividi mai provati, e quando finalmente ci abbracceremo per l'ultima volta tutto si farà chiaro e diventeremo una cosa sola, chiusi nel guscio di una goccia d'acqua. Qualcuno si fermerà e ci osserverà, poi se ne andrà con l'impressione di aver sentito una melodia sconosciuta, stranamente dolce e lenta, e quando arriverà a casa abbraccerà la sua metà, la bacerà e non ci penserà più, mentre lei giurerà stranamente di aver sentito una musica avvolgerle il petto e rischiararle la mente, e comincerà a ballare e lo prenderà per la mano, perdendosi in piroette infinite e promesse taciute, e in quella frazione di secondo in cui in tutti e due risuonerà la nostra melodia, la scintilla si riaccenderà e noi torneremo a rincorrerci, nascondendoci nel vento e negli steli del fiori che ondeggiano sotto la pioggia, piegati da quell'improvvisa ondata di musicalità e luce, e tutto ciò che toccheremo comincerà a cantare, perdendosi in balli, sorrisi e frasi cominciate e mai finite, e tutto ciò che riusciremo a dire sarà che ci amiamo, e come una stella che muore ci romperemo in mille pezzi e finiremo in ogni angolo di mondo, senza mai separarci e lasciarci la mano. Rinasceremo uno dentro l'altro, una, due, infinite volte, e tutto ciò di cui avremo mai bisogno sarà il tocco dell'altro, e nel momento stesso in cui le nostre dita si riconosceranno fra mille, l'universo si sarà fermato e avrà cominciato a ruotare attorno a noi, dando vita a tante altre piccole lamelle di luce, che a loro volta salveranno persone e creeranno universi, e tutto ciò che servirà a mandarli avanti sarà l'amore, e il nostro incontro è fuoco, amore mio, fuoco e speranza, perché fra noi nulla si scioglierà mai. Bruceremo all'infinito e diventeremo cenere solo per dar vita e sostenere nuovi amori, e vivremo e nasceremo all'infinito, per poi riaprire gli occhi e ritrovarci in piedi nella nostra camera, mano nella mano, circondati dal mondo e lontani da tutti, e guardandoci negli occhi non avremo bisogno di dirci nulla, ci abbracceremo e ci salveremo ancora una volta, senza che nessuno ci capisca mai. Tra le braccia di Alex tutto esiste e niente importa, e attorno a noi si creano oceani di possibilità e sfumature, e quando all'improvviso l'odore di salsedine arriverà a stuzzicarci le narici ci guarderemo negli occhi e ci scopriremo a casa, circondati dagli 'oh' degli altri, che per quanto ci provino non capiranno mai quello schizzo di colore nelle strade e quella punta di elettricità attorno a Baltimora, e mentre loro si gratteranno le teste noi ci affretteremo nei sottopassaggi e ruoteremo su noi stessi con le braccia al cielo, sfrecciando man mano più veloci per ogni trillo di bicicletta e stella cadente che percepiremo, e mentre il sole si tufferà nel cemento, ci lasceremo cadere sulle tegole del tetto e ci ritroveremo nel sogno, a dipingere buone azioni e colorare abbracci, per poi riaprire gli occhi solo per scoprire che le pareti attorno a noi non sono mai state così vive e pronte a sostenerci. Perché fra le sue braccia, tutto nasce, si sviluppa e finisce, ma come ogni certezza il nostro amore sarà l'eccezione che conferma la regola, e mentre appassiremo l'uno negli occhi dell'altro, le luci esploderanno una dopo l'altra in mille farfalle e fiammelle e avvolgeranno l'anima di tutti in un manto di cotone e nuvole, trasportandoli in alto, lontano dai loro problemi. E quando tutti apriranno i loro occhi per davvero, sarà quando ci dissolveremo in uno stormo di colombe e raggiungeremo la nostra vera libertà, librandoci nell'infinito senza più dover tornare, tornando ad essere l'energia primordiale che ha cominciato tutto e ci ha fatti conoscere.
Ma per ora siamo ancora solo Jack e Alex, e tutto ciò a cui riesco a pensare è che lo amo, e lo amerò sempre. Dal suo respiro sento che per lui è lo stesso e mi basta per essere felice. Jack e Alex, Alex e Jack - due nomi creati apposta per completarsi e incastrarsi in modi sempre nuovi, per due persone che ora che si sono trovate non usciranno più l'una dagli occhi dell'altra. Potrei chiedere di più?
Forse un'altra fetta di torta, ma non si può aver tutto dalla vita suppongo. Per ora ho il ragazzo della mia esistenza, e direi che mi basta. Non sarebbe potuta andarmi meglio. Gli passo le mani sulle guance e mi sorride.
«I won't let this memory fade away». Lo stringo e chiudo gli occhi. Il viaggio è appena iniziato, ma so che, nel bene e nel male, saremo sempre una fiamma ardente e andrà tutto bene, fino alla fine. E a me basta.
Cominciamo a ballare, e tutto attorno a noi muta.
A me basta.


Angolo dell'autrice: se siete arrivati fino a qui sappiate che vi amo, mi sono affezionata a questa ff come non mi succedeva da tanto tempo e tutte le recensioni carine che ho ricevuto mi hanno fatta sentire la scrittrice più brava del mondo, siete tutti delle personcine meravigliose e potessi vi stropiccerei tutti -stropiccia-. Verso la fine mi sono chiusa con Le Luci e credo si capisca fin troppo, ma anche se stona col resto del racconto alla fine ho deciso di lasciare quest'ultima parte perché non sono brava coi finali e mi piacciono le cose in cui non si capisce mai fino in fondo quello che vuole dire l'autore (forse dovrei darmi alle poesie ermetiche). Se ci sono costrutti linguistici di dubbia correttezza è perché leggo troppo in inglese e francese e ormai non so più parlare bene nessuna lingua, quindi se ci sono casini vi prego ditemelo che correggo cwc grazie mille per essere arrivati alla fine, lo apprezzo tanto. Siete bellissimi.
   
 
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