Harry
sollevò la bacchetta d’ebano. Prese un bel
respiro, eseguì un
movimento rotatorio con il polso e pensò con forza Expelliarmus.
Ci fu un lampo, e il pezzo di legno stretto nel pugno del manichino
davanti a lui volò lontano.
«Non
male.» commentò Lavr. «Mi stupisce
però che non avessi ancora
provato questo incantesimo. Mi sembri piuttosto interessato agli
incantesimi di difesa.»
Harry
non rispose. Ripose con estrema cura la bacchetta nella tasca del
mantello e focalizzò la sua attenzione sul manichino, il
quale –
sicuramente grazie a Lavr- aveva di nuovo impugnato la finta
bacchetta. Non era la prima volta quell’estate che si
esercitava in
questo modo. Sperimentava, cercava di comprendere il perché
fosse
l’unico tra i suoi compagni a usare la magia senza bacchetta.
Aveva
provato a eseguire senza l’ausilio della sua fedele bacchetta
d’ebano incantesimi che Lavr gli aveva insegnato da piccolo,
e non
aveva incontrato difficoltà. Il contrario, per qualche
sconosciuto,
frustrante motivo, era più difficile. Anche ora, non
riusciva a
disarmare il manichino senza bacchetta, forse perché non
riusciva a
far a meno di scacciare dal sua mente quella parola. Expelliarmus.
Aveva
chiesto a Lavr se conoscesse una spiegazione per questo fenomeno, ma
il demone non era un grande esperto di magia umana. Aveva
però
acconsentito a sottoporsi a un piccolo esperimento: aveva provato a
eseguire lo stesso incantesimo prima al suo solito modo, ovvero con
il solo pensiero, poi con la bacchetta di Harry, e non aveva
riscontrato differenze. Era anche riuscito a effettuare
l’incantesimo
usando una combinazione dei due metodi: senza bacchetta ma enunciando
la formula, cosa che a Harry non era mai riuscita. La cosa aveva
incuriosito molto Harry, mentre Lavr non si era mostrato interessato
alla faccenda, né si era scomposto quando il suo protetto
gli aveva
parlato della sua paura che il suo grande potere fosse dovuto solo
all’influenza del demone. L’indifferenza del suo
tutore verso un
argomento che lo riguardava e che lo tormentava tanto aveva lasciato
Harry ferito. Lavr sembrava incapace di capire quanto fosse
importante per lui scoprire l’origine dei suoi poteri; se
erano
veramente i suoi, o se non erano che un riflesso del potere del
demone, e lui, Harry, non era niente di speciale.
Questi
dubbi lo avevano ossessionato da quando era tornato a Palazzo. Visto
che Lavr aveva liquidato le sue domande con una scrollata di spalle,
aveva deciso di fare da sé. Non era una ricerca facile. Per
scoprire
da dove venivano i suoi poteri, dove prima cogliere l’essenza
stessa della magia. Era sicuro di poter trovare delle risposte
nell’immensa biblioteca del Palazzo, ma gran parte dei testi
erano
scritti in lingue a lui incomprensibili e, come se non bastasse, il
Palazzo sembrava restio a rivelare i segreti della biblioteca.
Più
di una volta, Harry aveva vagato per ore nel dedalo di corridoi
divisi da alti scaffali, solo per ritrovarsi all’ingresso.
Era
snervante. Si era persino chiesto se non fosse Lavr a mettergli i
bastoni tra le ruote, ma aveva dismesso il pensiero. Non era nello
stile del demone un atteggiamento tanto puerile; se non avesse voluto
che Harry frugasse tra i suoi libri glielo avrebbe semplicemente
detto. No, era il Palazzo che lo ostacolava, e il ragazzo aveva
un’idea del perché. Il Palazzo cambiava
continuamente,
inesorabilmente, approfittando dell’indifferenza del suo
padrone.
L’unica parte che rimaneva immutata, statica, era la
biblioteca.
Harry aveva la sensazione che questa fosse il centro del Palazzo, non
il cuore pulsante, perché era Lavr con la sua magia che lo
alimentava, ma il cervello.
Sapeva
di aver bisogno dell’aiuto del suo mentore se voleva avere
delle
risposte, ma lo seccava insistere quando l’altro gli aveva
fatto
capire di non essere minimamente interessato alla questione. Visto
che non riusciva a trovare informazioni tra i libri, si era messo a
testare il suo potere.
Ed
ecco perché giorno dopo giorno si ritrovava lì,
bacchetta alla
mano, a provare ogni sorta di incantesimi sul manichino. Se le sue
ricerche sulla magia si erano rivelate infruttuose, almeno poteva
consolarsi pensando a tutti gli incantesimi che aveva imparato, molti
dei quali avanzati per la sua età.
Eppure
era frustrante! Possibile che nessun altro si fosse posto il
problema? Perché a Hogwarts, anziché sommergerli
di temi inutili,
non gli spiegavano come funzionava la magia? Perché nessuno
si
sforzava di usare la magia senza bacchetta, quando la maggior parte
delle creature magiche la padroneggiavano senza difficoltà?
Colto
da un pensiero improvviso, chiese a Lavr: «Perché
i vampiri non
riescono a usare la magia, anche quelli che da vivi erano
maghi?»
Il
demone lo guardò, impenetrabile come di consueto.
«Dopo qualche
secolo, necessario per riacquistare un minimo di controllo sui loro
impulsi, riescono nuovamente a usarla».
«Ma
in maniera estremamente limitata. Persino Veles può solo
Smaterializzarsi e usare il Fascino, e lui è il Signore dei
vampiri».
«Non
ho risposte, Harry.» disse Lavr placidamente.
«Come
fai a non avere risposte?!?» esplose finalmente il ragazzo,
esprimendo i pensieri che lo avevano tormentato tutta
l’estate.
Senza curarsi di abbassare la voce, continuò: «Tu
sei un demone,
puoi tutto, non c’è niente che
tu non sia in
grado di fare. Io mi sto dannando a imparare incantesimi, ho passato
tutta l’estate cavandomi gli occhi su libri giganteschi che
divenivano bianchi o sparivano con un puf
non
appena trovavo qualcosa di interessante. E tu, tu non puoi non
saperlo. E se anche non lo sai, ti basterebbe schioccare le dita per
avere tutte le risposte!». Si fermò per riprendere
fiato. Si
sentiva accaldato e probabilmente aveva il volto paonazzo.
Lavr
non era trasalito, né aveva mutato espressione. Quando
parlò, lo
fece con la sua solita voce.
Piatta,
priva di emozioni. Irritante.
«Credo
che ti stai scontrando con un problema troppo vasto. Se vuoi ottenere
delle risposte, devi fare domande più specifiche, esaminare
un
problema alla volta. Sei ancora molto giovane, persino per i canoni
umani, e ci sono molte cose che non sai. Mi chiedi perché i
vampiri
non
sono in
grado di usare la magia come i maghi, sebbene un tempo lo fossero.
Non lo so. Non mi sono mai interessato alla questione. Del resto io
non sono un vampiro. Lo so,» aggiunse, vedendo che stava
aprendo
bocca per replicare, forse per rimettersi a urlare «non
capisci,
perché tu sei curioso, hai milioni di domande in testa e ti
affanni
alla ricerca delle risposte. Ma devi capire che io non sono
così,
non sono mosso dalla tua frenesia; queste domande non me le pongo.
Adesso che l’hai formulata tu, potrei provare a rispondere,
ma
dubito che troveresti le mie ipotesi soddisfacenti, perché
si
baserebbero su informazioni che tu non possiedi. Ed è questo
il
problema. Come puoi chiederti come funziona la magia, e avvalerti
dell’esempio di una razza per formulare un’ipotesi,
se su di essa
sai poco e niente?»
Harry
rimase in silenzio, mordendosi il labbro. Una parte di lui trovava il
discorso di Lavr profondamente ingiusto. Lui non era ignorante in
materia di vampiri, ne sapeva più della maggior parte dei
maghi,
almeno stando ai discorsi che sentiva a Hogwarts. Del
resto pensò
risentito, per
lui non ha importanza se sono il migliore del mio corso, o se conosco
incantesimi del quarto e quinto anno. Non sono al suo livello, sono
solo una formica.
Senza rispondere, Harry lasciò la stanza.
Quella
sera, Lavr si Smaterializzò alla Corte. Notò con
una vaga punta di
fastidio che Veles non era solo. Nella grande stanza dei ricevimenti
gruppetti di vampiri si affaccendavano da una parte all’altra
,
bisbigliavano concitati, scoccando occhiate furtive al loro Signore.
La stanza, arredata in stile antico, era occupata da un lungo tavolo
dove il Signore dei vampiri era solito tenere i consigli di guerra.
Veles era seduto a capotavola; un vampiro non molto alto era chinato
su di lui, e gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Lavr
aspettò
che Veles lo congedasse, prima di avvicinarglisi.
Forse
non era in grado di capire cosa passasse per la testa di Harry
– in
quel periodo meno che mai – ma conosceva Veles da
più di un
millennio, e sapeva leggerne l’espressione. Se non era
inusuale
vedere il Signore dei vampiri scuro in volto, l’espressione
distante e riflessiva, le rughe sulla fronte aggrottata e la posa
forzatamente rilassata non comparivano spesso. Solitamente, quando
qualcosa lo turbava, Veles non si faceva remore a mostrarlo: il viso
diventava la maschera di una belva, urlava e distruggeva qualsiasi
cosa – o persona – gli si avvicinasse. In quel
momento, invece,
sembrava far appello a tutte le sue forze per mantenere la calma. La
mano sinistra giocherellava distratta con le ciocche bionde che
ricadevano sul viso, dandogli un’aria noncurante, ma Lavr non
mancò
di notare la mano destra che, sotto il tavolo, apriva e chiudeva il
pugno, le unghie conficcate nella carne fino a farla sanguinare. Era
successo qualcosa, qualcosa di molto grave.
Veles
dovette accorgersi del suo sguardo, perché lasciò
ricadere entrambe
le mani. Obbedendo a un ordine non espresso, tutti i vampiri
lasciarono la sala, lasciandoli soli.
«Oggi
sembra proprio che non riuscirò ad avere un po’ di
pace.»
commentò Lavr, sedendosi affianco all’amico.
«Oggi
sembra non esserci pace per nessuno. Anche se mi domando cosa possa
mai turbare l’eterna quiete del tuo Palazzo».
«Harry».
«Ah.»
fece Veles, comprensivo.
Sorprendentemente,
Lavr elaborò senza essere sollecitato. «In questo
periodo è
particolarmente irrequieto. E’ afflitto da molte domande, e
cerca
disperatamente le risposte».
«E
cosa vorrebbe sapere esattamente?»
«L’origine
e il perché del cosmo, a quanto ho capito».
Un
accenno di sorriso distese l’espressione del vampiro.
«Capisco.
Ambizioso, il poppante».
«Fin
troppo.» convenne Lavr, con un tono rammaricato che fece
ridacchiare
il vampiro.
«Non
ti invidio, sai. Ho idea che la tua leggendaria e seccante pazienza
sarà messa a dura prova. Adesso ha dodici anni…
tra poco, ti
ritroverai per casa un adolescente in preda agli ormoni».
«Non
credo sarà così tragica».
«Questo,
vecchio mio, perché non hai idea di ciò che ti
aspetta. Comunque,
se vuoi passare un po’ di tempo lontano da quel buco di
Palazzo,
potresti darmi una mano».
«Ah,
sì, ho notato un certo fermento…che è
successo?»
L’espressione
di Veles si rabbuiò. Si alzò in piedi e gli disse
di seguirlo.
Uscirono dalla
sala e imboccarono il corridoio che portava ai sotterranei. Scesero,
giù, sempre più giù, lungo un stretto
corridoio da cui si aprivano
delle celle, dove erano tenuti i prigionieri. All’interno, si
intravedevano figure accasciate, attrezzi da tortura e bare, decine
di bare. L’aria era impregnata dall’odore del
sangue.
Proseguirono il loro cammino a lungo avvolti da buio impenetrabile.
Non per i loro occhi, comunque. Finalmente,
Veles si fermò davanti a una cella. A differenza delle
altre, questa
non era chiusa da una sbarra di ferro, ma da una porta di pietra.
«In
queste celle, ci sono gli ospiti
di cui mi voglio occupare personalmente.» spiegò
Veles. Come aprì
la porta, un fetore insopportabile assalì le narici di Lavr.
Bastò
a fargli capire che l’abitante della prigione era un essere
umano.
Nella stanza, oltre alla tipiche
immondezze umane
che fecero storcere il naso al demone, c’erano solo una bara
nera e
una figura vestita di stracci rannicchiata a terra, scossa da brividi
e singhiozzi. Veles si avvicinò all’uomo, lo
afferrò senza alcun
riguardo e lo sollevò in piedi, mostrandolo al demone. Era
un uomo
di mezza età, alto, anche se era difficile notarlo ora che
stava
curvo e si reggeva a malapena in piedi. I vestiti che indossava erano
talmente sporchi che era impossibile indovinarne il colore originario
ed erano strappati in più punti. Un tempo dovevano essere
della
misura giusta, ma adesso ricadevano disarmonicamente sulla figura
scheletrica.
«Basta,
basta, vi prego. Non so niente, non so niente.»
esclamò il
prigioniero, la voce roca di uno che ha urlato troppo. La faccia era
una maschera di sangue e non riusciva ad aprire gli occhi pesti.
«Lo
so che non sai niente, pezzo di idiota! È per questo che ti
trovi
qui. Ti aiuterò a ricordare. Collaborerai, e tutto
sarà finito.»
disse Veles aspramente. Lo scaraventò dall’altra
parte della
stanza, mandandolo a cozzare contro il muro. L’uomo si
accasciò a
terra, senza rialzarsi.
«E’
svenuto.» constatò Veles, nonostante non fosse
necessario. Sia lui
che Lavr potevano sentire distintamente i battiti del cuore del
prigioniero nel silenzio della stanza. «Tre mesi fa, mi
è giunta
voce che un rinnegato, scappato dalla corte, di nome Alexander, si
trovava in Bosnia. Mandai alcuni uomini a occuparsi di lui, avevamo
un grosso conto in sospeso, noi due. I miei uomini tornarono senza
essere riusciti a catturarlo, e portando notizie quanto mai
allarmanti. Come ti ho già detto, la situazione
nell’Est sta
diventando spinosa. Ci sono stati diversi raid, sono state create
squadre di Cacciatori. Pare che il governo abbia promulgato una legge
per obbligare i vampiri a registrarsi presso il Ministero e obbedire
alle leggi dei maghi.», rise sprezzante. «Fin qui
niente di nuovo,
non è la prima volta che sento farneticazioni simili da
parte dei
maghi. Ma poi vengo a sapere che negli ultimi due anni Alexander ha
collaborato con uomo di nome Andrej Kakanovic. Un Auror e un
Cacciatore, nonché un eroe locale, per essersi liberato di
un paio
di vampiri molesti. Ovviamente, la voce di quest’insolita
alleanza
mi ha fatto preoccupare, soprattutto considerato che Alexander mi
aveva derubato di alcuni testi dal valore incommensurabile. Libri che
non possono finire nelle mani dei maghi».
«Ossia?»
Veles
fece un gesto seccato con la mano. «Non è
importante. Ciò che
conta, è che sono andato di persona a esprimere tutto il mio
disappunto ad Alexander…»
Lavr
gettò uno sguardo verso la bara, dalla quale provenivano
gemiti
soffocati.
«…
e così ho scoperto che la situazione era peggiore di quanto
pensassi. Alexander ha rivelato ad Andrej alcuni tra i più
importanti segreti della nostra razza, segreti che potrebbero
metterci in pericolo. E come se non bastasse, ha fatto dono a questo
auror, a questo sudicio ammasso di escrementi, del libro più
prezioso della mia biblioteca. ». Accecato dalla rabbia,
Veles prese
una ciotola di acqua sporca da terra e ne gettò il contenuto
sul
prigioniero, facendolo rinvenire. «Ma io ancora pensavo ci
fosse
speranza;» continuò il vampiro, con tono sempre
più alto,
afferrando nuovamente il prigioniero – questa volta per i
capelli –
e trascinandolo ai piedi di Lavr, ignorando i suoi lamenti in lingua
slava. «perché Alexander mi aveva garantito,
mentre con grande
piacere gli staccavo le sue infide dita a una a una, che Andrej non
aveva ancora condiviso con nessuno le sue scoperte, perché
è un
piccolo bastardo ambizioso, e contava di usarle per diventare
ministro. Allora mi precipito nuovamente in Bosnia, per chiudere una
volta per tutte questa storia. E come arrivo lì, cosa trovo?
Questo
relitto inutile, che non ricorda nemmeno il suo nome, figuriamoci
dove ha nascosto il mio libro!»
«Ha
perso la memoria.» comprese Lavr.
«Non
ha perso la memoria!» urlò Veles, piantandosi a
pochi centimetri
dal demone. «Gliel’hanno cancellata! Capisci cosa
significa?»
«Dovresti
mantenere la calma.» commentò Lavr, senza muoversi.
«Al
diavolo!» esclamò Veles, facendo un passo
indietro. «Sono passati
due mesi, e gli idioti che mi circondano non hanno trovato il minimo
indizio su chi possa aver Obliviato questo tizio, e io continuo a
torturare un involucro vuoto, che sa solo implorare e pisciarsi
addosso!»
«Arrabbiarti
non servirà a niente. Quello che devi fare, è
mantenere la calma e
ragionare. Usciamo da qui». Prese il braccio di Veles e
Smaterializzò entrambi negli appartamenti privati del
vampiro.
Dal
giorno in cui aveva alzato la voce con Lavr, non c'erano più
stati
episodi simili. Harry avvertiva un certo disagio intorno al demone, e
anche una punta di risentimento, ma era sicuro che fossero sentimenti
unilaterali, del resto probabilmente per il demone non era stato
nulla di importante. Harry, al contrario, aveva ripensato alle parole
di Lavr più volte nelle settimane successive. Ora che si era
calmato, doveva ammettere che il suo tutore aveva ragione. Interruppe
la sua ricerca, concentrandosi invece su quello che l'aspettava una
volta a Hogwarts. Era andato a Diagon Alley a prendere tutto
l'occorrente; Lavr non l'aveva accompagnato questa volta -
ultimamente passava più tempo alla Corte che a Palazzo - ma
lì
aveva incontrato Daphne con la famiglia.
La
mattina del primo settembre, Lavr lo accompagnò sino alla
stazione
di King Kross, affollata come di consueto. Harry si guardò
intorno,
per vedere se riconosceva qualcuno tra la folla di Babbani, ma era
ancora presto, e poi probabilmente le famiglie dei suoi amici
Serpeverde si Smaterializzavano direttamente al binario 9 e tre
quarti. Quanto a Philippe, si erano sentiti via gufo
quell’estate,
ma era un sistema di corrispondenza abbastanza lento, soprattutto
perché per leggere le lettere che gli mandava l'amico dove
chiedere
a Lavr di portargliele dalla loro casa di copertura di Londra. Per
questo motivo, non sapeva come sarebbe arrivato l'amico al binario;
probabilmente si sarebbero incontrati direttamente sul treno, ma gli
sarebbe piaciuto conoscere Remus Lupin.
«Ora
sarà meglio che vada.» disse, rivolto verso il
demone.
Lavr
annuì. Lo salutò – senza abbracciarlo
– ma quando lo vide
girarsi verso il binario parlò. «Eri potente anche
quando ti ho
conosciuto».
Harry
si girò, incredulo. «Come?»
«Avevi
del potenziale, una magia molto simile a quella di Merlino. E Merlino
praticava magia senza bacchetta da molto prima che le nostre strade
si incrociassero. Se la sua magia non era una conseguenza della mia
vicinanza, nemmeno la tua lo è. Forse ti ho influenzato, ma
in
minima parte. Il tuo potere è tuo e tuo soltanto. Tienilo
bene a
mente».
Harry
guardò stupefatto il demone Smaterializzarsi senza
aggiungere altro,
sentendosi commosso, non solo per le parole di Lavr, ma anche
perché
non si aspettava che questi arrivasse a comprendere così
bene quello
che l'affliggeva da dire le parole più giuste per
rassicurarlo. Con
un sorriso, si diresse verso il muro che separava i binari 9 e 10,
ricordando divertito quanti problemi aveva avuto l'anno precedente a
trovare il treno. Si guardò attorno per assicurarsi che
nessuno gli
stesse prestando attenzione, e spinse il carrello contro il muro.
Immediatamente,
gli giunse il rumore di centinaia di voci; davanti a lui si stagliava
l'Espresso per Hogwarts, lucido e magnifico come lo ricordava. Si
avvicinò al treno, cercando tra la folla Philippe, ma una
voce
conosciuta lo chiamò a gran voce.
«Montblanc,
ehi Montblanc!»
Con
un sospiro, Harry si girò, e si trovò davanti la
famiglia Malfoy al
completo. «Ciao, Draco.» disse, rassegnato.
«Henri,
ti presento i miei genitori. Mamma, padre, vi presento Henri
Montblanc. Quello di cui vi ho parlato».
«La
star della squadra di Serpeverde.» commentò
Lucius, mellifluo,
stringendogli la mano e scrutandolo intensamente. Somigliava molto al
figlio, e la sua figura emanava autorità. Sicuramente, era
un uomo
che intimidiva, soprattutto
se avevi dodici
anni; anche Draco sembrava stare sulle spine in sua presenza, ma
Harry viveva con un demone onnipotente. La signora Malfoy invece era
una bella donna, e sorprese Harry rivolgendogli un tiepido sorriso
«Sono contenta di conoscere un amico di Draco.»
disse. Nei volti di
Harry e Draco affiorò una smorfia dubbiosa, ma entrambi si
affrettarono a nasconderla. Lucius comunque doveva averla notata,
perché ghignò leggermente. La conversazione con i
Malfoy non durò
a lungo. Dopo qualche raccomandazione la coppia li
accompagnò al
treno, e li aiutò a mettere i bagagli in un vagone. Poi i
Malfoy
salutarono il loro unico figlio.
Forse
fu solo un'impressione, dovuta alla non eccelsa opinione che aveva di
Malfoy Senior, ma Harry ebbe la sensazione che il mago fosse
distratto. Mentre Narcissa abbracciava Draco, Lucius continuava a
scoccare occhiate verso la piattaforma, come in cerca di qualcosa.
Come fu il suo turno di salutare il figlio, gli posò una
mano sulla
spalla, e guardandolo dritto negli occhi sussurrò
semplicemente «Mi
raccomando». L'intensità con cui lo disse, la
serietà con cui
Draco annuì - la serietà di uno che si trova
davanti a una grande
responsabilità e ne è fiero - e il modo in cui
Narcissa guardava i
suoi due uomini diedero da pensare a Harry. Era come se in quelle due
semplici parole fosse racchiuso un mondo di frasi non dette, che solo
lui non era riuscito a intuire. Dopo avergli nuovamente stretto la
mano, i Malfoy uscirono dal treno.
Draco
sprofondò nei sedili con aria compiaciuta, che scomparve non
appena
vide Harry dirigersi verso la porta dello scompartimento.
«Dove stai
andando?» chiese.
«A
cercare Philippe.»
«Non
ce n'è bisogno, ti troverà lui.»
«Sì,
ma...» cercò di obiettare Harry.
«Possiamo
fare il viaggio insieme.» lo interruppe Draco.
Non
avendo voglia di discutere, Harry si sedette vicino al finestrino,
scrutando la piattaforma. Dopo una decina di minuti, la porta del
vagone si aprì e Tiger e Goyle fecero per entrare, ma Malfoy
li
bloccò. «Andate a cercare un altro
scompartimento.» ordinò
perentorio.
Harry
alzò un sopracciglio, ma non commentò. Passarono
alcuni minuti. Gli
studenti rimasti sul binario si affrettarono a salire, e il treno
finalmente partì. Davanti al loro scompartimento passarono
diversi
studenti, nessuno dei quali provo a entrare, e alla fine Harry vide
Philippe. Lo salutò dall'altra parte del vetro, ma quando si
accorse
di Malfoy lo guardò perplesso. Il moro scrollò le
spalle.
Draco,
che stava guardando fuori dal finestrino, si accorse del francese e
gli fece cenno di entrare. Con aria dubbiosa, Philippe lo fece, e si
sedette vicino a Harry.
Nonostante
tutto, il viaggio fu piacevole. Draco si comportò in maniera
stranamente impeccabile, e passato il disagio iniziale i tre
parlarono dell'estate, di Quidditch, delle lezioni che gli
attendevano e dell'anno precedente. Draco si ingozzò di
dolci e
Harry gli diede manforte, mentre Philippe li guardava un filino
schifato. Dopo diverse ore, la luce fuori dal finestrino
iniziò ad
affievolirsi, e Harry sentì montare l'eccitazione. Stavano
arrivando
a Hogwarts. Solo ora si rendeva pienamente conto di quanto gli era
mancata.
Finalmente,
il treno si fermò. Come scesero, videro il guardiacaccia
chiamare i
primini, mentre loro si diressero verso le carrozze. Draco si
separò
da loro per andare a cercare i suoi amici, così Philippe
commentò:
«Non trovi anche tu che sia stato strano?»
«Molto
strano.» convenne Harry. «Dovrai fare attenzione
con Malfoy
quest'anno».
Philippe
annuì, ma poi sorrise, deciso a lasciar cadere
quell'argomento.
Salirono
su una delle carrozze, dove vennero raggiunti da Daphne e Theo. I due
parlarono tutto il tempo, mentre i due francesi rimasero silenziosi.
Harry pensava a quanto fosse strano, ritrovarsi di nuovo in mezzo al
fracasso degli studenti, dopo un'estate in cui aveva lasciato
raramente il Palazzo. In quei mesi l'anno passato a Hogwarts gli era
sembrato un sogno lontano, e ora invece era di nuovo lì. Si
chiese
quali sorprese gli riservasse quell'anno. Aveva una strana
sensazione, dovuta forse all'incontro con Malfoy. Del resto, era
strano essere presentati all'uomo che aveva organizzato il suo
rapimento.
Senza
che se ne accorgesse, erano già arrivati al castello. Scese,
cercando di scacciare i pensieri e concentrarsi su quello che
accadeva intorno a sé. Entrò nella Sala Grande e
prese posto al
tavolo di Serpeverde, insieme ai suoi accompagni. Seguì lo
Smistamento con poco interesse, applaudendo meccanicamente quando
qualcuno veniva smistati a Serpeverde, e ascoltando con un orecchio
solo i commenti che i suoi compagni facevano su ogni primino:
quello è di una famiglia illustre, quello deve essere un
Sanguesporco, oh cielo, un'altra Weasley!
Il
banchetto fu delizioso come al solito, e come al solito quando
l'ultimo dolce scomparve dalla tavola Harry si sentiva piacevolmente
sazio e assonato. Il preside prese la parola, e il silenzio cadde
sulla sala. Fece i soliti avvisi, presentò il nuovo
insegnante di
Difesa contro le Arti Oscure – che fu accolto da grandi
applausi,
soprattutto da parte delle ragazze, e poi congedò gli
studenti.
Serpeverde
si diresse compatta verso i sotterranei, ma una volta giunti nella
Sala Comune né Harry né Philippe si trattennero
con i compagni,
anche perché a breve sarebbe arrivato Piton per fare il
discorso ai
primini. Salirono nel loro dormitorio e si coricarono.
Eccomi di ritorno, chiedo venia
per il ritardo. Questa università mi distrugge. Vi faccio
tanti auguri per l'anno nuovo, nella mia lista di buoni propositi
c'è anche non essere troppo cattiva con i miei
lettori e aggiornare, spero riuscirò a
mantenerlo.
Per coloro che fossero
interessati, alla fine ho deciso di pubblicare la piccola one shot che
avevo scritto su Remus e i due Leroy. La trovate qua http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2360872&i=1
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