Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: anneboleyn94    31/12/2013    6 recensioni
Quando Harry Potter scompare all'età di sette anni, l'intero mondo magico si affanna per cercarlo e portarlo in salvo, ma alla fine anche Silente è costretto ad arrendersi all'evidenza: Il Bambino che è Sopravvissuto è perduto per sempre...
O forse no?
All'insaputa di tutti, Harry arriva ad Hogwarts per il suo primo anno sicuro del suo talento e delle sue ambizioni, ma ha ancora tanto da imparare sul mondo dei maghi, e la Guerra nonostante tutto incombe.
E questa volta potrebbero non essere solo i maghi a scendere in campo.
Genere: Avventura | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Potter, Nuovo personaggio, Severus Piton, Tom Riddle/Voldermort
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Harry sollevò la bacchetta d’ebano. Prese un bel respiro, eseguì un movimento rotatorio con il polso e pensò con forza Expelliarmus. Ci fu un lampo, e il pezzo di legno stretto nel pugno del manichino davanti a lui volò lontano.

«Non male.» commentò Lavr. «Mi stupisce però che non avessi ancora provato questo incantesimo. Mi sembri piuttosto interessato agli incantesimi di difesa.»

Harry non rispose. Ripose con estrema cura la bacchetta nella tasca del mantello e focalizzò la sua attenzione sul manichino, il quale – sicuramente grazie a Lavr- aveva di nuovo impugnato la finta bacchetta. Non era la prima volta quell’estate che si esercitava in questo modo. Sperimentava, cercava di comprendere il perché fosse l’unico tra i suoi compagni a usare la magia senza bacchetta. Aveva provato a eseguire senza l’ausilio della sua fedele bacchetta d’ebano incantesimi che Lavr gli aveva insegnato da piccolo, e non aveva incontrato difficoltà. Il contrario, per qualche sconosciuto, frustrante motivo, era più difficile. Anche ora, non riusciva a disarmare il manichino senza bacchetta, forse perché non riusciva a far a meno di scacciare dal sua mente quella parola. Expelliarmus.

Aveva chiesto a Lavr se conoscesse una spiegazione per questo fenomeno, ma il demone non era un grande esperto di magia umana. Aveva però acconsentito a sottoporsi a un piccolo esperimento: aveva provato a eseguire lo stesso incantesimo prima al suo solito modo, ovvero con il solo pensiero, poi con la bacchetta di Harry, e non aveva riscontrato differenze. Era anche riuscito a effettuare l’incantesimo usando una combinazione dei due metodi: senza bacchetta ma enunciando la formula, cosa che a Harry non era mai riuscita. La cosa aveva incuriosito molto Harry, mentre Lavr non si era mostrato interessato alla faccenda, né si era scomposto quando il suo protetto gli aveva parlato della sua paura che il suo grande potere fosse dovuto solo all’influenza del demone. L’indifferenza del suo tutore verso un argomento che lo riguardava e che lo tormentava tanto aveva lasciato Harry ferito. Lavr sembrava incapace di capire quanto fosse importante per lui scoprire l’origine dei suoi poteri; se erano veramente i suoi, o se non erano che un riflesso del potere del demone, e lui, Harry, non era niente di speciale.

Questi dubbi lo avevano ossessionato da quando era tornato a Palazzo. Visto che Lavr aveva liquidato le sue domande con una scrollata di spalle, aveva deciso di fare da sé. Non era una ricerca facile. Per scoprire da dove venivano i suoi poteri, dove prima cogliere l’essenza stessa della magia. Era sicuro di poter trovare delle risposte nell’immensa biblioteca del Palazzo, ma gran parte dei testi erano scritti in lingue a lui incomprensibili e, come se non bastasse, il Palazzo sembrava restio a rivelare i segreti della biblioteca. Più di una volta, Harry aveva vagato per ore nel dedalo di corridoi divisi da alti scaffali, solo per ritrovarsi all’ingresso. Era snervante. Si era persino chiesto se non fosse Lavr a mettergli i bastoni tra le ruote, ma aveva dismesso il pensiero. Non era nello stile del demone un atteggiamento tanto puerile; se non avesse voluto che Harry frugasse tra i suoi libri glielo avrebbe semplicemente detto. No, era il Palazzo che lo ostacolava, e il ragazzo aveva un’idea del perché. Il Palazzo cambiava continuamente, inesorabilmente, approfittando dell’indifferenza del suo padrone. L’unica parte che rimaneva immutata, statica, era la biblioteca. Harry aveva la sensazione che questa fosse il centro del Palazzo, non il cuore pulsante, perché era Lavr con la sua magia che lo alimentava, ma il cervello.

Sapeva di aver bisogno dell’aiuto del suo mentore se voleva avere delle risposte, ma lo seccava insistere quando l’altro gli aveva fatto capire di non essere minimamente interessato alla questione. Visto che non riusciva a trovare informazioni tra i libri, si era messo a testare il suo potere.

Ed ecco perché giorno dopo giorno si ritrovava lì, bacchetta alla mano, a provare ogni sorta di incantesimi sul manichino. Se le sue ricerche sulla magia si erano rivelate infruttuose, almeno poteva consolarsi pensando a tutti gli incantesimi che aveva imparato, molti dei quali avanzati per la sua età.

Eppure era frustrante! Possibile che nessun altro si fosse posto il problema? Perché a Hogwarts, anziché sommergerli di temi inutili, non gli spiegavano come funzionava la magia? Perché nessuno si sforzava di usare la magia senza bacchetta, quando la maggior parte delle creature magiche la padroneggiavano senza difficoltà?

Colto da un pensiero improvviso, chiese a Lavr: «Perché i vampiri non riescono a usare la magia, anche quelli che da vivi erano maghi?»

Il demone lo guardò, impenetrabile come di consueto. «Dopo qualche secolo, necessario per riacquistare un minimo di controllo sui loro impulsi, riescono nuovamente a usarla».

«Ma in maniera estremamente limitata. Persino Veles può solo Smaterializzarsi e usare il Fascino, e lui è il Signore dei vampiri».

«Non ho risposte, Harry.» disse Lavr placidamente.

«Come fai a non avere risposte?!?» esplose finalmente il ragazzo, esprimendo i pensieri che lo avevano tormentato tutta l’estate. Senza curarsi di abbassare la voce, continuò: «Tu sei un demone, puoi tutto, non c’è niente che tu non sia in grado di fare. Io mi sto dannando a imparare incantesimi, ho passato tutta l’estate cavandomi gli occhi su libri giganteschi che divenivano bianchi o sparivano con un puf non appena trovavo qualcosa di interessante. E tu, tu non puoi non saperlo. E se anche non lo sai, ti basterebbe schioccare le dita per avere tutte le risposte!». Si fermò per riprendere fiato. Si sentiva accaldato e probabilmente aveva il volto paonazzo.

Lavr non era trasalito, né aveva mutato espressione. Quando parlò, lo fece con la sua solita voce.

Piatta, priva di emozioni. Irritante.

«Credo che ti stai scontrando con un problema troppo vasto. Se vuoi ottenere delle risposte, devi fare domande più specifiche, esaminare un problema alla volta. Sei ancora molto giovane, persino per i canoni umani, e ci sono molte cose che non sai. Mi chiedi perché i vampiri non sono in grado di usare la magia come i maghi, sebbene un tempo lo fossero. Non lo so. Non mi sono mai interessato alla questione. Del resto io non sono un vampiro. Lo so,» aggiunse, vedendo che stava aprendo bocca per replicare, forse per rimettersi a urlare «non capisci, perché tu sei curioso, hai milioni di domande in testa e ti affanni alla ricerca delle risposte. Ma devi capire che io non sono così, non sono mosso dalla tua frenesia; queste domande non me le pongo. Adesso che l’hai formulata tu, potrei provare a rispondere, ma dubito che troveresti le mie ipotesi soddisfacenti, perché si baserebbero su informazioni che tu non possiedi. Ed è questo il problema. Come puoi chiederti come funziona la magia, e avvalerti dell’esempio di una razza per formulare un’ipotesi, se su di essa sai poco e niente?»

Harry rimase in silenzio, mordendosi il labbro. Una parte di lui trovava il discorso di Lavr profondamente ingiusto. Lui non era ignorante in materia di vampiri, ne sapeva più della maggior parte dei maghi, almeno stando ai discorsi che sentiva a Hogwarts. Del resto pensò risentito, per lui non ha importanza se sono il migliore del mio corso, o se conosco incantesimi del quarto e quinto anno. Non sono al suo livello, sono solo una formica. Senza rispondere, Harry lasciò la stanza.


Quella sera, Lavr si Smaterializzò alla Corte. Notò con una vaga punta di fastidio che Veles non era solo. Nella grande stanza dei ricevimenti gruppetti di vampiri si affaccendavano da una parte all’altra , bisbigliavano concitati, scoccando occhiate furtive al loro Signore. La stanza, arredata in stile antico, era occupata da un lungo tavolo dove il Signore dei vampiri era solito tenere i consigli di guerra. Veles era seduto a capotavola; un vampiro non molto alto era chinato su di lui, e gli sussurrava qualcosa all’orecchio. Lavr aspettò che Veles lo congedasse, prima di avvicinarglisi.

Forse non era in grado di capire cosa passasse per la testa di Harry – in quel periodo meno che mai – ma conosceva Veles da più di un millennio, e sapeva leggerne l’espressione. Se non era inusuale vedere il Signore dei vampiri scuro in volto, l’espressione distante e riflessiva, le rughe sulla fronte aggrottata e la posa forzatamente rilassata non comparivano spesso. Solitamente, quando qualcosa lo turbava, Veles non si faceva remore a mostrarlo: il viso diventava la maschera di una belva, urlava e distruggeva qualsiasi cosa – o persona – gli si avvicinasse. In quel momento, invece, sembrava far appello a tutte le sue forze per mantenere la calma. La mano sinistra giocherellava distratta con le ciocche bionde che ricadevano sul viso, dandogli un’aria noncurante, ma Lavr non mancò di notare la mano destra che, sotto il tavolo, apriva e chiudeva il pugno, le unghie conficcate nella carne fino a farla sanguinare. Era successo qualcosa, qualcosa di molto grave.

Veles dovette accorgersi del suo sguardo, perché lasciò ricadere entrambe le mani. Obbedendo a un ordine non espresso, tutti i vampiri lasciarono la sala, lasciandoli soli.

«Oggi sembra proprio che non riuscirò ad avere un po’ di pace.» commentò Lavr, sedendosi affianco all’amico.

«Oggi sembra non esserci pace per nessuno. Anche se mi domando cosa possa mai turbare l’eterna quiete del tuo Palazzo».

«Harry».

«Ah.» fece Veles, comprensivo.

Sorprendentemente, Lavr elaborò senza essere sollecitato. «In questo periodo è particolarmente irrequieto. E’ afflitto da molte domande, e cerca disperatamente le risposte».

«E cosa vorrebbe sapere esattamente?»

«L’origine e il perché del cosmo, a quanto ho capito».

Un accenno di sorriso distese l’espressione del vampiro. «Capisco. Ambizioso, il poppante».

«Fin troppo.» convenne Lavr, con un tono rammaricato che fece ridacchiare il vampiro.

«Non ti invidio, sai. Ho idea che la tua leggendaria e seccante pazienza sarà messa a dura prova. Adesso ha dodici anni… tra poco, ti ritroverai per casa un adolescente in preda agli ormoni».

«Non credo sarà così tragica».

«Questo, vecchio mio, perché non hai idea di ciò che ti aspetta. Comunque, se vuoi passare un po’ di tempo lontano da quel buco di Palazzo, potresti darmi una mano».

«Ah, sì, ho notato un certo fermento…che è successo?»

L’espressione di Veles si rabbuiò. Si alzò in piedi e gli disse di seguirlo. Uscirono dalla sala e imboccarono il corridoio che portava ai sotterranei. Scesero, giù, sempre più giù, lungo un stretto corridoio da cui si aprivano delle celle, dove erano tenuti i prigionieri. All’interno, si intravedevano figure accasciate, attrezzi da tortura e bare, decine di bare. L’aria era impregnata dall’odore del sangue. Proseguirono il loro cammino a lungo avvolti da buio impenetrabile. Non per i loro occhi, comunque. Finalmente, Veles si fermò davanti a una cella. A differenza delle altre, questa non era chiusa da una sbarra di ferro, ma da una porta di pietra. «In queste celle, ci sono gli ospiti di cui mi voglio occupare personalmente.» spiegò Veles. Come aprì la porta, un fetore insopportabile assalì le narici di Lavr. Bastò a fargli capire che l’abitante della prigione era un essere umano. Nella stanza, oltre alla tipiche immondezze umane che fecero storcere il naso al demone, c’erano solo una bara nera e una figura vestita di stracci rannicchiata a terra, scossa da brividi e singhiozzi. Veles si avvicinò all’uomo, lo afferrò senza alcun riguardo e lo sollevò in piedi, mostrandolo al demone. Era un uomo di mezza età, alto, anche se era difficile notarlo ora che stava curvo e si reggeva a malapena in piedi. I vestiti che indossava erano talmente sporchi che era impossibile indovinarne il colore originario ed erano strappati in più punti. Un tempo dovevano essere della misura giusta, ma adesso ricadevano disarmonicamente sulla figura scheletrica.

«Basta, basta, vi prego. Non so niente, non so niente.» esclamò il prigioniero, la voce roca di uno che ha urlato troppo. La faccia era una maschera di sangue e non riusciva ad aprire gli occhi pesti.

«Lo so che non sai niente, pezzo di idiota! È per questo che ti trovi qui. Ti aiuterò a ricordare. Collaborerai, e tutto sarà finito.» disse Veles aspramente. Lo scaraventò dall’altra parte della stanza, mandandolo a cozzare contro il muro. L’uomo si accasciò a terra, senza rialzarsi.

«E’ svenuto.» constatò Veles, nonostante non fosse necessario. Sia lui che Lavr potevano sentire distintamente i battiti del cuore del prigioniero nel silenzio della stanza. «Tre mesi fa, mi è giunta voce che un rinnegato, scappato dalla corte, di nome Alexander, si trovava in Bosnia. Mandai alcuni uomini a occuparsi di lui, avevamo un grosso conto in sospeso, noi due. I miei uomini tornarono senza essere riusciti a catturarlo, e portando notizie quanto mai allarmanti. Come ti ho già detto, la situazione nell’Est sta diventando spinosa. Ci sono stati diversi raid, sono state create squadre di Cacciatori. Pare che il governo abbia promulgato una legge per obbligare i vampiri a registrarsi presso il Ministero e obbedire alle leggi dei maghi.», rise sprezzante. «Fin qui niente di nuovo, non è la prima volta che sento farneticazioni simili da parte dei maghi. Ma poi vengo a sapere che negli ultimi due anni Alexander ha collaborato con uomo di nome Andrej Kakanovic. Un Auror e un Cacciatore, nonché un eroe locale, per essersi liberato di un paio di vampiri molesti. Ovviamente, la voce di quest’insolita alleanza mi ha fatto preoccupare, soprattutto considerato che Alexander mi aveva derubato di alcuni testi dal valore incommensurabile. Libri che non possono finire nelle mani dei maghi».

«Ossia?»

Veles fece un gesto seccato con la mano. «Non è importante. Ciò che conta, è che sono andato di persona a esprimere tutto il mio disappunto ad Alexander…»

Lavr gettò uno sguardo verso la bara, dalla quale provenivano gemiti soffocati.

«… e così ho scoperto che la situazione era peggiore di quanto pensassi. Alexander ha rivelato ad Andrej alcuni tra i più importanti segreti della nostra razza, segreti che potrebbero metterci in pericolo. E come se non bastasse, ha fatto dono a questo auror, a questo sudicio ammasso di escrementi, del libro più prezioso della mia biblioteca. ». Accecato dalla rabbia, Veles prese una ciotola di acqua sporca da terra e ne gettò il contenuto sul prigioniero, facendolo rinvenire. «Ma io ancora pensavo ci fosse speranza;» continuò il vampiro, con tono sempre più alto, afferrando nuovamente il prigioniero – questa volta per i capelli – e trascinandolo ai piedi di Lavr, ignorando i suoi lamenti in lingua slava. «perché Alexander mi aveva garantito, mentre con grande piacere gli staccavo le sue infide dita a una a una, che Andrej non aveva ancora condiviso con nessuno le sue scoperte, perché è un piccolo bastardo ambizioso, e contava di usarle per diventare ministro. Allora mi precipito nuovamente in Bosnia, per chiudere una volta per tutte questa storia. E come arrivo lì, cosa trovo? Questo relitto inutile, che non ricorda nemmeno il suo nome, figuriamoci dove ha nascosto il mio libro!»

«Ha perso la memoria.» comprese Lavr.

«Non ha perso la memoria!» urlò Veles, piantandosi a pochi centimetri dal demone. «Gliel’hanno cancellata! Capisci cosa significa?»

«Dovresti mantenere la calma.» commentò Lavr, senza muoversi.

«Al diavolo!» esclamò Veles, facendo un passo indietro. «Sono passati due mesi, e gli idioti che mi circondano non hanno trovato il minimo indizio su chi possa aver Obliviato questo tizio, e io continuo a torturare un involucro vuoto, che sa solo implorare e pisciarsi addosso!»

«Arrabbiarti non servirà a niente. Quello che devi fare, è mantenere la calma e ragionare. Usciamo da qui». Prese il braccio di Veles e Smaterializzò entrambi negli appartamenti privati del vampiro.


Dal giorno in cui aveva alzato la voce con Lavr, non c'erano più stati episodi simili. Harry avvertiva un certo disagio intorno al demone, e anche una punta di risentimento, ma era sicuro che fossero sentimenti unilaterali, del resto probabilmente per il demone non era stato nulla di importante. Harry, al contrario, aveva ripensato alle parole di Lavr più volte nelle settimane successive. Ora che si era calmato, doveva ammettere che il suo tutore aveva ragione. Interruppe la sua ricerca, concentrandosi invece su quello che l'aspettava una volta a Hogwarts. Era andato a Diagon Alley a prendere tutto l'occorrente; Lavr non l'aveva accompagnato questa volta - ultimamente passava più tempo alla Corte che a Palazzo - ma lì aveva incontrato Daphne con la famiglia.

La mattina del primo settembre, Lavr lo accompagnò sino alla stazione di King Kross, affollata come di consueto. Harry si guardò intorno, per vedere se riconosceva qualcuno tra la folla di Babbani, ma era ancora presto, e poi probabilmente le famiglie dei suoi amici Serpeverde si Smaterializzavano direttamente al binario 9 e tre quarti. Quanto a Philippe, si erano sentiti via gufo quell’estate, ma era un sistema di corrispondenza abbastanza lento, soprattutto perché per leggere le lettere che gli mandava l'amico dove chiedere a Lavr di portargliele dalla loro casa di copertura di Londra. Per questo motivo, non sapeva come sarebbe arrivato l'amico al binario; probabilmente si sarebbero incontrati direttamente sul treno, ma gli sarebbe piaciuto conoscere Remus Lupin.

«Ora sarà meglio che vada.» disse, rivolto verso il demone.

Lavr annuì. Lo salutò – senza abbracciarlo – ma quando lo vide girarsi verso il binario parlò. «Eri potente anche quando ti ho conosciuto».

Harry si girò, incredulo. «Come?»

«Avevi del potenziale, una magia molto simile a quella di Merlino. E Merlino praticava magia senza bacchetta da molto prima che le nostre strade si incrociassero. Se la sua magia non era una conseguenza della mia vicinanza, nemmeno la tua lo è. Forse ti ho influenzato, ma in minima parte. Il tuo potere è tuo e tuo soltanto. Tienilo bene a mente».

Harry guardò stupefatto il demone Smaterializzarsi senza aggiungere altro, sentendosi commosso, non solo per le parole di Lavr, ma anche perché non si aspettava che questi arrivasse a comprendere così bene quello che l'affliggeva da dire le parole più giuste per rassicurarlo. Con un sorriso, si diresse verso il muro che separava i binari 9 e 10, ricordando divertito quanti problemi aveva avuto l'anno precedente a trovare il treno. Si guardò attorno per assicurarsi che nessuno gli stesse prestando attenzione, e spinse il carrello contro il muro.

Immediatamente, gli giunse il rumore di centinaia di voci; davanti a lui si stagliava l'Espresso per Hogwarts, lucido e magnifico come lo ricordava. Si avvicinò al treno, cercando tra la folla Philippe, ma una voce conosciuta lo chiamò a gran voce.

«Montblanc, ehi Montblanc!»

Con un sospiro, Harry si girò, e si trovò davanti la famiglia Malfoy al completo. «Ciao, Draco.» disse, rassegnato.

«Henri, ti presento i miei genitori. Mamma, padre, vi presento Henri Montblanc. Quello di cui vi ho parlato».

«La star della squadra di Serpeverde.» commentò Lucius, mellifluo, stringendogli la mano e scrutandolo intensamente. Somigliava molto al figlio, e la sua figura emanava autorità. Sicuramente, era un uomo che intimidiva, soprattutto se avevi dodici anni; anche Draco sembrava stare sulle spine in sua presenza, ma Harry viveva con un demone onnipotente. La signora Malfoy invece era una bella donna, e sorprese Harry rivolgendogli un tiepido sorriso «Sono contenta di conoscere un amico di Draco.» disse. Nei volti di Harry e Draco affiorò una smorfia dubbiosa, ma entrambi si affrettarono a nasconderla. Lucius comunque doveva averla notata, perché ghignò leggermente. La conversazione con i Malfoy non durò a lungo. Dopo qualche raccomandazione la coppia li accompagnò al treno, e li aiutò a mettere i bagagli in un vagone. Poi i Malfoy salutarono il loro unico figlio.

Forse fu solo un'impressione, dovuta alla non eccelsa opinione che aveva di Malfoy Senior, ma Harry ebbe la sensazione che il mago fosse distratto. Mentre Narcissa abbracciava Draco, Lucius continuava a scoccare occhiate verso la piattaforma, come in cerca di qualcosa. Come fu il suo turno di salutare il figlio, gli posò una mano sulla spalla, e guardandolo dritto negli occhi sussurrò semplicemente «Mi raccomando». L'intensità con cui lo disse, la serietà con cui Draco annuì - la serietà di uno che si trova davanti a una grande responsabilità e ne è fiero - e il modo in cui Narcissa guardava i suoi due uomini diedero da pensare a Harry. Era come se in quelle due semplici parole fosse racchiuso un mondo di frasi non dette, che solo lui non era riuscito a intuire. Dopo avergli nuovamente stretto la mano, i Malfoy uscirono dal treno.

Draco sprofondò nei sedili con aria compiaciuta, che scomparve non appena vide Harry dirigersi verso la porta dello scompartimento. «Dove stai andando?» chiese.

«A cercare Philippe.»

«Non ce n'è bisogno, ti troverà lui.»

«Sì, ma...» cercò di obiettare Harry.

«Possiamo fare il viaggio insieme.» lo interruppe Draco.

Non avendo voglia di discutere, Harry si sedette vicino al finestrino, scrutando la piattaforma. Dopo una decina di minuti, la porta del vagone si aprì e Tiger e Goyle fecero per entrare, ma Malfoy li bloccò. «Andate a cercare un altro scompartimento.» ordinò perentorio.

Harry alzò un sopracciglio, ma non commentò. Passarono alcuni minuti. Gli studenti rimasti sul binario si affrettarono a salire, e il treno finalmente partì. Davanti al loro scompartimento passarono diversi studenti, nessuno dei quali provo a entrare, e alla fine Harry vide Philippe. Lo salutò dall'altra parte del vetro, ma quando si accorse di Malfoy lo guardò perplesso. Il moro scrollò le spalle.

Draco, che stava guardando fuori dal finestrino, si accorse del francese e gli fece cenno di entrare. Con aria dubbiosa, Philippe lo fece, e si sedette vicino a Harry.

Nonostante tutto, il viaggio fu piacevole. Draco si comportò in maniera stranamente impeccabile, e passato il disagio iniziale i tre parlarono dell'estate, di Quidditch, delle lezioni che gli attendevano e dell'anno precedente. Draco si ingozzò di dolci e Harry gli diede manforte, mentre Philippe li guardava un filino schifato. Dopo diverse ore, la luce fuori dal finestrino iniziò ad affievolirsi, e Harry sentì montare l'eccitazione. Stavano arrivando a Hogwarts. Solo ora si rendeva pienamente conto di quanto gli era mancata.

Finalmente, il treno si fermò. Come scesero, videro il guardiacaccia chiamare i primini, mentre loro si diressero verso le carrozze. Draco si separò da loro per andare a cercare i suoi amici, così Philippe commentò: «Non trovi anche tu che sia stato strano?»

«Molto strano.» convenne Harry. «Dovrai fare attenzione con Malfoy quest'anno».

Philippe annuì, ma poi sorrise, deciso a lasciar cadere quell'argomento.

Salirono su una delle carrozze, dove vennero raggiunti da Daphne e Theo. I due parlarono tutto il tempo, mentre i due francesi rimasero silenziosi. Harry pensava a quanto fosse strano, ritrovarsi di nuovo in mezzo al fracasso degli studenti, dopo un'estate in cui aveva lasciato raramente il Palazzo. In quei mesi l'anno passato a Hogwarts gli era sembrato un sogno lontano, e ora invece era di nuovo lì. Si chiese quali sorprese gli riservasse quell'anno. Aveva una strana sensazione, dovuta forse all'incontro con Malfoy. Del resto, era strano essere presentati all'uomo che aveva organizzato il suo rapimento.

Senza che se ne accorgesse, erano già arrivati al castello. Scese, cercando di scacciare i pensieri e concentrarsi su quello che accadeva intorno a sé. Entrò nella Sala Grande e prese posto al tavolo di Serpeverde, insieme ai suoi accompagni. Seguì lo Smistamento con poco interesse, applaudendo meccanicamente quando qualcuno veniva smistati a Serpeverde, e ascoltando con un orecchio solo i commenti che i suoi compagni facevano su ogni primino: quello è di una famiglia illustre, quello deve essere un Sanguesporco, oh cielo, un'altra Weasley!

Il banchetto fu delizioso come al solito, e come al solito quando l'ultimo dolce scomparve dalla tavola Harry si sentiva piacevolmente sazio e assonato. Il preside prese la parola, e il silenzio cadde sulla sala. Fece i soliti avvisi, presentò il nuovo insegnante di Difesa contro le Arti Oscure – che fu accolto da grandi applausi, soprattutto da parte delle ragazze, e poi congedò gli studenti.

Serpeverde si diresse compatta verso i sotterranei, ma una volta giunti nella Sala Comune né Harry né Philippe si trattennero con i compagni, anche perché a breve sarebbe arrivato Piton per fare il discorso ai primini. Salirono nel loro dormitorio e si coricarono.




Eccomi di ritorno, chiedo venia per il ritardo. Questa università mi distrugge. Vi faccio tanti auguri per l'anno nuovo, nella mia lista di buoni propositi c'è anche non essere troppo cattiva con i miei  lettori e aggiornare,  spero riuscirò a mantenerlo. 

Per coloro che fossero interessati, alla fine ho deciso di pubblicare la piccola one shot che avevo scritto su Remus e i due Leroy. La trovate  qua http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=2360872&i=1 


  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: anneboleyn94