Capitolo
ventinove
" Quello che non abbiamo"
«Dov’è
che dorme il bandolero? – le chiese Simone
ridacchiando sotto i baffi – Gli aprirai le porte della tua
alcova… e non solo
quelle?»
«Dacci
un taglio o ti picchio seriamente! – sibilò Lou
fulminandolo con gli occhi – Sei disgustoso.»
«Oh,
quanto la fai lunga… prima o poi dovrai togliere le
ragnatele alla “Bella Addormentata”;
tanto vale farlo con chi già è passato da quella
porta, no?»
– rincarò lui
sbattendo le ciglia e sgranando gli occhioni.
«Dico
sul serio. Finiscila.»
«Ti
serve fare sesso: sei acida come un limone scaduto... Ops!
Ma tu lo sei sempre stata.»
«Simone.
Esci da questa stanza, per cortesia?»
Per
tutta risposta lui si sedette sul bordo della vasca da
bagno, accavallando le gambe e incrociandoci sopra le mani in maniera
composta,
con lentezza esagerata.
Lou
alzò gli occhi al cielo esasperata e tornò a
guardarsi
allo specchio tentando invano di sistemarsi i capelli, ora corti e
castano
scuro.
Simone
la guardava attentamente attraverso lo specchio,
stringendo gli occhi grigi.
«Che
c’è?»
– sbottò lei
dopo qualche minuto di silenzio
pesante.
Simone
che ciarlava e la rimbrottava era snervante, ma il
Simone silenzioso che la fissava era inquietante.
«Tu
abbassi la media di questo palazzo.»
Lou
si girò fissandolo, perplessa.
Il
più delle volte non capiva i discorsi complicati del suo
migliore amico e dove volesse andare a parare.
«Sai
che non ho la più pallida idea di cosa tu stia parlando,
vero?»
«Sto
dicendo che sei l’unica in questo palazzo che non fa
sesso regolarmente da… quanto? Due anni? Insomma,
è imbarazzante. E anche
deprimente.»
«Sono
tre anni e mezzo e me ne strafrego della tua media.»
«Tre
anni e mezzo?! Oh, porca merda! – Simone si portò
una
mano al cuore – È ancora più
grave!»
«Non
tutti abbiamo la tua soddisfacente vita sessuale e il
tuo appetito.»
«Sì,
certo. Quattro anni fa non eri di questo avviso.»-
disse
noncurante fissandosi le unghie.
«Quattro
anni fa ero diversa.»
«No,
quattro anni fa eri normale.»
«Senti,
la vuoi finire? - Lou
sbattè violentemente il mascara sul
ripiano facendo crollare la
pila di creme e tubetti ben allineati – Mi hai stancata. La
mia vita sessuale
non ti riguarda. Anzi:
la mia intera
vita non è affar tuo! Smettila di impicciarti e farmi le
ramanzine per ogni
cosa che faccio o non faccio!»
Simone
non batté ciglio e continuò a fissarsi
intensamente le
unghie perfette.
«La
tua vita mi interessa. Se non ci penso io a te, se non mi
preoccupo io di cosa ti rende più o meno felice, chi lo
fa?»
vIo
sto bene. Non devi preoccuparti per me.»-
rispose Lou
più
dolcemente.
«Ti
piace crederlo. Ti piace che noi ci crediamo. Entrambi
sappiamo bene che non è così… Grace,
fa qualcosa per favore. Qualsiasi cosa! Da
quanto tempo non facciamo una follia? Da quanto non la fai
tu?»
«L’ultima
volta che ho fatto una follia ho combinato solo
casini. No, grazie. Mi spiace essere una delusione per te, ma dovrai
rassegnarti…»
«Andare
a letto con uno che ti piace tu la chiami follia? Rilassarti
per un paio d’ore con i tuoi amici, è stata
follia? Lasciarti andare come un
normale essere umano la chiami follia? Dio, sei patetica! Non sei
morta, non
sei in lutto, non sei una monaca, eppure ti comporti come
tale!»
«Ho
litigato con Nur per questa mia follia.»
«Capirai!
La stronza piena di sé che ogni volta che un uomo
preferisce te a lei, si inalbera! Bell’amica e bella stronza!
Lo sapevano anche
i muri che il bandolero avrebbe camminato sui carboni ardenti pur di
averti.
Stavano
insieme? Non mi pare!
Julian
è sempre stato cotto di te e lei è una stupida
egoista
e immatura. Lui ti ha seguita qui, per la miseria! Lo sappiamo tutti
che era
una scusa la mostra che ci teneva tanto a vedere, andiamo!»
«Non
è così e lo sai. Non è per Julian o
perché sono stata a
letto con lui: è perché ho…
perché non ho combattuto per quello che volevo
davvero, per aver combinato un casino dopo
l’altro… Perché ho mollato la mia
vita lì.»
«Cazzate.
E ad ogni modo anche se non era contenta delle tue
scelte, così come non lo è stato nessuno di noi,
tranne il beneficiario, ossia
il bandolero tonto, non aveva motivi per troncare i rapporti con te.
Non
giustificarla, perché non è classificabile! E a
fare la martire ci pensi già da
sola e sei anche piuttosto brava, senza il bisogno che lei calcasse la
mano!»
Aveva
cercato spiegazioni sul comportamento di Nur in quegli
anni, dopo i vani tentativi di dialogo da parte sua, ma Simone aveva
ragione.
Niente
poteva spiegare il modo di fare di Nur.
E
come ogni cosa che non riusciva a gestire o capire, alla
fine lei si era arresa e aveva smesso di cercare di parlare con la sua
amica.
«Dov’era
la tua Nur quando tu eri disperata per Ville, per
Mara e quello che stava succedendo qui? Quello che succedeva a te?
Dov’era
quando avevi bisogno di una vera amica che non fosse con te solo per
fare
shopping e parlare di uomini? Ho sempre pensato che fosse una donna
estremamente egoista e presuntuosa, ma per il tuo bene me la facevo
piacere.
Alla fine si è dimostrata per quella che è
davvero, quindi smettila di avere
quella faccia piena di rimpianto: si è comportata di merda.
Punto.»
«Santo
cielo! Smettila di polemizzare su tutto oggi! Ma non
hai niente di meglio da fare?»
– esplose esasperata.
Simone
increspò le labbra e rimase in silenzio, con le
braccia incrociate sul petto.
«Allora…
farai sesso o no, con lo spagnolo?»
«’Fanculo.»
******
«Ricordi
la prima volta siamo venuti qui?»
«Certo
che lo ricordo, Julian…»
La
luce del tramonto infiammava il cielo di Roma.
Era
uno di quei rari momenti in cui amava quella città troppo
calda, troppo caotica e rumorosa per lei.
Era
il momento in cui sembrava che la città si fermasse per
tirare un sospiro prima di rituffarsi nel caos della notte, con le sue
luci
dorate e gialle e in continuo movimento.
Stavano
passeggiando uno accanto all’altra sul Ponte Fabricio e
Julian guardava con un sorriso verso l’isola Tiberina.
Certo
che lo ricordava bene.
Ricordava
che quella sera era più triste del solito, che ogni
minuto che passava lontana da Ville le mozzava il respiro.
Ricordava
gli sforzi di Simone e Beppe di tenerla occupata,
ricordava il senso d’impotenza verso la malattia di Mara.
Si
chiedeva cosa stesse sbagliando perché ogni cosa nel suo
mondo si fosse ribaltato e avesse preso una piega così
dolorosa.
Si
chiedeva perché il mondo intorno a lei e gli eventi
turbinassero
così velocemente da non riuscire a trovare un appiglio cui
tenersi per non
cadere giù.
Ricordava
che Julian era arrivato a Roma proprio nel bel
mezzo di tutto quel casino e che in qualche modo lei gli si era
aggrappata.
La
sua innata allegria, il suo modo di farla sentire
protetta, il solo fatto di esserci e non starle addosso con continue
domande
sulle scelte che aveva fatto, avevano fatto sì che fosse
l’unico con cui si
sentisse a suo agio e non giudicata.
Quella
famosa sera erano usciti tutti insieme, lei e Julian
con Beppe e Simone e altri amici della coppia: per la prima volta dopo
mesi lei
sentiva quel peso sul cuore meno opprimente e si era lasciata
trascinare
dall’entusiasmo contagioso di Julian e dei pazzi amici di
Simone.
Julian
le camminava di fianco, sorridendole in continuazione,
ogni scusa buona per tenerle la mano o passarle un braccio intorno alle
spalle.
E
per qualche ora anche lei era stata bene: sentire il calore
di un corpo maschile accanto a sé, il senso di protezione,
quella sorta di
complicità che si crea tra due persone che hanno condiviso
qualcosa di bello,
in un altro tempo e in un altro luogo e ritrovarlo lì, in un
paese diverso.
Lou
si sentiva più leggera e aveva dimenticato tutto
ciò che
si stava sgretolando dentro di lei.
Così
con il passare dei minuti non si era più sentita in
colpa nei confronti di Ville e il braccio di Julian intorno alle sue
spalle non
le era più sembrato fuori luogo.
E
ridere non le faceva più dolere i muscoli del viso come
quando si sforzava di mostrare agli altri che stava bene; quella sera
le era
venuto naturale, grazie anche ai numerosi shottini che Julian
continuava a
metterle sotto il naso.
Beppe,
che era diventato il suo angelo custode la teneva
d’occhio preoccupato, al contrario di Simone che gongolava
perché per una
volta, dopo mesi lei rideva e si divertiva.
Non
le aveva mai chiesto nulla di Ville, ma sembrava
intuire meglio di chiunque altro ciò che lei non diceva. E
lei dal canto suo,
percepiva una sintonia diversa da quella che aveva con chiunque altro.
In
un certo senso erano simili e complementari più di quanto
lo fosse con Simone.
La
osservava con la fronte aggrottata, spiando il suo viso e
gli shottini che continuava a buttare giù uno dopo
l’altro, ma si era guardato
bene dal fermarla o intervenire.
Anche
quando tutti insieme si erano stesi sui ciottoli ancora
caldi del sole appena tramontato sulla punta settentrionale
dell’Isola Tiberina
ad ascoltare musica dal vivo e godersi la vista del Tevere in fiamme e
lei si
era ritrovata con Julian seduto dietro di lei, incastrata tra le sue
lunghe
gambe mentre la stringeva a sé, con le mani intrecciate alle
sue e il viso
contro il suo collo, Beppe le aveva lanciato un lungo sguardo prima di
tornare a
prestare la sua attenzione a Simone che la esigeva per sé.
La
brezza, l’euforia da alcool e la voglia di sentirsi per un
istante di nuovo viva e desiderata avevano avuto la meglio sul senso di
colpa
per i baci che Julian le stava dando alla base del collo.
Lou
aveva chiuso gli occhi, alzando lo sguardo verso il
cielo: troppo coperto dalla foschia e nascoste dalle luci della
città non si
vedeva una stella.
“Ville è lontano anni
luce da me, non ci sono soltanto 2.879 chilometri tra noi,
c’è un abisso: non
ho mai fatto parte del suo mondo fino in fondo, non come
Amy…
E per quanto io
possa
sforzarmi di capire la sua vita, di stargli accanto, di condividere con
lui
qualcos’altro oltre ad una gatta viziata, non sarò
mai parte del suo mondo, non
lo capirò mai appieno e verrò sempre dopo la sua
musica…”.
Ville
che non sapeva di Mara, non sapeva che lei ogni giorno
stringeva a sé la piccola Lily, fingendo che fosse sua, non
sapeva che nonostante
lui le avesse spiegato cosa fosse successo, il messaggio di Amy e la
stessa che
rispondeva al cellulare di Ville come se fosse normale, lei aveva il
tarlo del
dubbio che cresceva di giorno in giorno.
Un
tarlo che scavava dentro e a fondo, lentamente ma
inesorabile.
Ville
non poteva starle accanto in quel momento: aveva la sua
vita, la sua band, la sua musica e lei non era parte di quel mondo. E
non era solo la presenza di Amy nella vita quotidiana di
Ville a riempirla di dubbi: era il fatto che lì a Roma,
lontana da tutto,
lontana da lui, avesse preso coscienza che non sarebbe mai stata brava
a stare
accanto a Ville, come forse lui si aspettava.
Che
l’illusione di un futuro con lui era svanito con il
passare dei giorni.
Lì
con la sua famiglia e i suoi amici, nella frenetica vita
quotidiana di persone comuni, il pensiero di Ville si faceva sempre
più flebile
e lui sempre più lontano.
Non
era fatta per dividere la persona amata con milioni di
altre donne.
Sapeva
di non poter reggere la pressione di essere sotto una
lente d’ingrandimento.
Lei
che schivava la vita mondana persino lì tra i suoi amici,
che famosi non erano, figuriamoci con Ville.
E
poi, quando si proiettava mentalmente nel mondo di Ville,
un mondo che la terrorizzava, fatto di fan pazze di lui, che lo
idolatravano
quasi come un dio sceso in terra e si vedeva al suo fianco…
sarebbe stato come
abbinare un paio di scarpe di tela sotto un elegante abito di seta.
Poteva
sembrare interessante e inusuale, ma non sarebbero mai
stati fatti l’uno per l’altra, sarebbero sempre
stati stonati visti insieme, da
occhi esterni.
Ed
era quello che pensava di loro due insieme: due mondi
diversi che al di fuori di una casa minuscola in un quartiere di
Helsinki, non
avevano niente da condividere.
Niente.
Ville
che si era sempre accompagnato a ragazze stupende,
famose e a loro agio in qualsiasi contesto.
Ragazze
come Nur.
Non
lei… che si sentiva a disagio anche su un autobus.
Che
cosa mai avrebbe potuto pretendere da lui?
Che
corresse a tenerla stretta mentre lei vedeva Mara
spegnersi di giorno in giorno?
Una
parte di lei lo aveva sperato: lo immaginava scendere i
tre scalini che portavano alla spiaggia e raggiungerla.
Oppure
di trovarselo davanti nei luoghi e momenti più
inaspettati, così come succedeva spesso quando era a
Helsinki. Si dava della
stupida da sola.
Ville
non era un uomo del genere: era stata poco, così poco,
tempo insieme a lui ma sapeva bene quali fossero i suoi limiti.
Era
uno che non correva dietro a nessuno.
Figuriamoci
a una banale ragazza neanche tanto speciale, qual
era lei.
O
pensava di vederlo giocare a fare da padre alla piccola
Lilly, come lei faceva finta di esserne la madre?
Da
quel poco che Ville aveva fatto intendere, non escludeva
un giorno di avere figli.
E
lei non avrebbe mai potuto dargliene.
Si
era illusa di poter dire addio a Ville facendosi consolare
da Julian, illudendosi di poter riprendere la sua vita dal punto in cui
si era
interrotta con lui.
Ci
aveva provato, ma il giorno dopo svegliandosi con un mal
di testa e una nausea post sbronza tremendi accanto a Julian ancora
addormentato, si era sentita per la prima volta nella sua vita sporca e
sleale.
Era
schizzata fuori dal letto sfatto e si era fiondata sotto
l’acqua cercando invano di lavare via i ricordi della notte
passata.
Ancora
intontita dalla sbornia, si era accasciata sul
pavimento scivoloso della doccia nascondendo la testa fra le ginocchia.
Non
erano soltanto i postumi dell’alcool a farle girare
vorticosamente la testa e quel groppo che andava su e giù
non era dovuto agli
innumerevoli bicchieri che aveva ingurgitato la sera precedente.
La
regola del chiodo schiaccia chiodo valeva solo per quelli
come Nur e Simone.
Non
per lei.
Lei
era brava a recitare la parte del chiodo schiacciato,
quello sì.
Le
veniva benissimo.
Ed
era proprio in quel modo che si sentiva: schiacciata,
contorta e intrappolata nel muro di illusioni che si era costruita da
sola.
L’acqua
batteva violentemente sulla sua schiena e sulla
testa, aumentando ancora di più il senso di nausea.
“Lavami
via ogni cosa…
via… via…”.
Per
quanto sarebbe potuta rimanere sotto il getto dell’acqua,
niente avrebbe lavato via i ricordi e ciò che aveva fatto in
un momento di
debolezza.
Avrebbe
dovuto pagarne il prezzo per il futuro a venire.
******
«Non
la dimenticherò mai…»
– la
voce di Julian tremò per un
solo istante prima che si schiarisse la gola.
«Già,
lo immagino.»
Lui
la fissò ghignando.
«E
non per quello cui stai pensando tu. Cioè anche per
quello. Ma perché per qualche ora ho finto, mi sono illuso
è meglio dire, che
tu fossi mia. Ho visto come sarebbe potuto essere se ci fossimo
conosciuti
prima… prima di Ville.»
Lou
si detestò con tutte le forze per aver trasalito al
sentire il suo nome.
Anche
Julian lo notò.
«Vedi?
Anche ora, dopo quattro anni tu annaspi solo se
qualcuno lo nomina.»
«Julian,
ti prego…»
«No,
devi farmi parlare adesso. Non l’ho mai fatto, non ti ho
mai chiesto nulla perché non volevo sapere,
perché egoisticamente l’unica cosa
a cui pensavo quando Nur mi ha detto che tra te e lui era finita e che
eri
tornata qui in Italia, era raggiungerti e provare a giocare le mie
carte.»
Sorrise
amaramente, abbassando gli occhi sulla punta dei
piedi.
«Era
troppo presto. Ho sbagliato, mi sono approfittato della
tua debolezza e ti chiedo scusa. Rimango pirata, mia Eva…
non sono un principe.
Non ho saputo essere corretto e ho provato a prendermi ciò
che desideravo.
Ho
peccato di presunzione sperando che tu smettessi di amare
Ville improvvisamente, innamorandoti di me.»
«Non
è stata colpa tua.»
«Cosa?»
– Julian alzò di nuovo gli occhi scuri,
piantandoglieli addosso.
Lou
vide che era sinceramente rammaricato.
«Non
ti sei approfittato di me. È stato il contrario, a dire
la verità. Sono stata io ad usare te, quella sera. Volevo
dimenticare tutto….
Dimenticare… lui. Ma non è servito.»
«Lo
so. Non sei quel tipo di donna, per quanto io lo abbia
desiderato. Ed è anche per questo che mi piaci
così tanto.»
A
quel punto fu Lou ad abbassare gli occhi, imbarazzata.
Non
che Julian le dicesse qualcosa di nuovo, del resto.
Glielo leggeva in faccia, eppure sentirglielo ribadire ancora una volta
la fece
sentire di nuovo sleale.
«Julian…»
-
iniziò a dire, quando lui la interruppe.
«Lo
so, lo so… non è il momento. –
sputò fuori ironicamente –
Sei poco egoista o forse lo sei troppo per dirmi che non
sarà mai il momento
giusto. Per dirmi
che non ci vuoi
neanche provare a stare con me. Non ci sarà mai occasione
migliore di questa,
di questo momento, ora e adesso, per noi due, Lou!»
Lou
continuava a scuotere la testa, tenendo gli occhi bassi.
«No
cosa? – le chiese Julian, prendendole la mano –
Guardami,
per favore…»
“Non
ora, non adesso.”.
«Non
è questo… - Lou alzò gli occhi a
guardarlo e quello che
vide non le piaceva. Non voleva essere lei la causa di quella delusione
mista a
speranza. – Non è… che non sia il
momento. Non sei tu…»
«Non sei tu, sono io!
– la prese in giro lui – Andiamo Eva, non rifilarmi
queste scuse, per carità.
Non da te, non le accetto. Sarei più soddisfatto se mi
dicessi che mi trovi
repellente.»
«Finiscila,
idiota… - Lou arrossì leggermente, guardandogli
le labbra – vicine, troppo vicine! – Sei tutto
fuorché repellente!»
“Accidenti
a lui! E
accidenti anche a me: è passato troppo tempo da quando un
uomo mi faceva
sentire in questo modo, stupida e con le gambe molli!”.
Più
che vederlo, sentì il sorriso da pirata di
Julian.
«Ma
non basta. Credo di essere giunta alla resa dei conti:
non sono brava nei rapporti a due.
Non
riesco a dire o fare la cosa giusta al momento giusto, le
scelte adatte, non riesco a gestire i miei sentimenti…
combino sempre dei gran
casini. Come con te.»
-
aggiunse d’un fiato.
«*Maldito
cabezota!»
–
sbottò Julian.
«Come?»
«Significa
che stai dicendo un sacco di cazzate, Eva… sei una
delle poche persone di mia conoscenza ad essere capace di grandi
sentimenti,
anche se non sempre li dimostri. –
sorrise di nuovo abbagliandola con il bianco dei denti perfetti,
stringendo la
presa sulle dita – E anche se combini casini o non fai le
scelte giuste, sei
adorabile.»
«Già.»
Cadde
un silenzio imbarazzato per Lou, mentre Julian sembrava
riflettere.
Intorno
a loro la notte romana portava con sé l’aria densa
d’umidità
senza dare refrigerio.
Julian
teneva ancora lo sguardo puntato sull’Isola Tiberina
di fronte a loro, in apparenza rilassato, una delle mani nella tasca,
mentre
l’altra stringeva ancora quella di Lou, dondolando sui piedi.
«Sai…
- riprese lui dopo un po’,
tornando a guardarla – Ho
sempre invidiato Ville non solo perché stava con te,
perché ti stringeva ogni
notte o perché si svegliava con te accanto il mattino
successivo… non solo per
questo, intendo.
L’ho
sempre invidiato per come tu lo guardavi.
Per
come cambiavi espressione ogni volta che lui era nella
stessa stanza con te, come lo seguivi con lo sguardo o arrossivi se lui
ti
guardava in un certo modo.
Per
la profonda complicità che aveva con te, come se ti
conoscesse da sempre o sapesse esattamente cosa ti passasse per la
testa…»
Lou premette forte la mano libera sulla superficie irregolare
del muretto del ponte sotto di loro, fino a farsi male con le punte
delle
pietre aguzze.
Nessuno,
a parte Simone, le aveva mai detto in che modo
vedevano lei e Ville insieme.
E
quella Lou di cui parlava Julian adesso non c’era
più.
Non
c’era più nessuno che la facesse sentire come
Ville.
Si
sentì all’improvviso come quel mattino dopo la
sbronza di
tre anni prima con Julian ancora nel mondo dei sogni accanto a lei.
La
nausea le chiuse la bocca dello stomaco e la testa iniziò
a pesarle, girando vorticosamente.
Non
voleva pensare a quello che aveva perso, non voleva che
qualcuno le ricordasse chi era, cosa aveva e lasciato scorrere via.
Il
fatto che Julian nonostante tutto la considerasse
“adorabile”
era la ciliegina sulla torta dell’ipocrisia.
Lei
non era adorabile. Affatto. Il malessere aumentò,
togliendole il respiro.
Come
se fosse ubriaca, ma non lo era.
Era
lucidissima e quei quattro anni le pesavano sull’anima
come un macigno.
Pensò
a Ville, come non ci pensava da tanto, tanto
tempo…
Come
i primi giorni, alla prima volta che l’aveva baciata, a
loro due abbracciati davanti a quella finestra, alle mani di Ville
sulla sua nuca.
Le
sembrò quasi di sentirle tra i capelli corti.
Non
sentiva più i rumori della città intorno a loro,
non
sentiva più la voce di Julian accanto a lei.
Una
nostalgia struggente per Ville, ma soprattutto per quella
donna che Julian ricordava così innamorata, la sopraffece.
“Quante volte nella
nostra vita possiamo amare con tutto il cuore?
Una? Due? Dieci?
Conta la
quantità o la
qualità?
Quanti anni
dovranno
passare perché io torni sobria di te, Ville?
Tu sei come
una sbronza che non vuole mai passare.”.
"Angolo
dell'autrice:
Perdonate i miei tempi di aggiornamento pari alle ere geologiche.
Sto cercando di portare avanti troppe cose insieme probabilmente, ma
come ho detto a molte di voi che mi hanno scritto in privato, non ho
intenzione di abbandonare questa storia, che è quasi giunta
alla fine.
Questo capitolo era pronto da tempo immemore ma com'è nel
mio stile l'ho modificato innumerevoli volte... :D
Sembra che più il tempo passi, più io diventi
pignola all'inverosimile!
Prendetemi così come viene, insomma...
Ringrazio come sempre le mie due beta reader Deilantha e eleassar e
tutte le ragazze che continuano a seguirmi, nonostante tutto!
Lilith_s,
angelica78vf, Cyanidesun,
Lady Angel
2002, cla_mika, Izmargad, katvil, arwen85,
DarkViolet92, apinacuriosaEchelon,
LilyValo, AlexisRose, AngiK, angelinaPoe, saraligiorio1993,
sleepingwithghost, youaremyheaventonight85
.
Vi
abbraccio tutte una per una.
Buon anno! :)
*Heaven in versione ermetica e stringata*
Vi
aspetto nel Gruppo
Facebook
dedicato alle
discussioni e tutto ciò che ci passa per la testa, inclusi
insulti e minacce varie, intervallati a momenti d'ammmore per Lou e
Ville!
Siete
le benvenute.
Alla prossima!
Baci baci,
*H_T*
testo.
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