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♦
Nel
mondo degli shinigami non esisteva un modo per misurare il tempo, non
c'era nessuna stella attorno a cui girare per alternare periodi di luce
a periodi di buio; era atemporale, quasi un'astrazione per la mente
umana.
Gli dei
della morte solevano utilizzare espressioni quali "ieri, oggi, domani,
tra un anno" e così via, riferendosi però al
pezzo di Terra a loro assegnato. Era così che Ken poteva
affermare con sicurezza che da quando aveva combinato quel guaio erano
trascorse dieci notti e dieci giorni.
Da quando
era successo Ken aveva vissuto nell'ansia, aveva atteso che accadesse
qualcosa, pur non sapendo neanche lui che cosa... Ma nulla era
accaduto, tutto nella sua routine era rimasto immutato.
Era vero che
uno shinigami viene vincolato solo se un umano utilizza il suo death
note, ma lui sembrava quasi ossessionato dall'idea che dovesse comunque
succedere qualcosa, come se non gli andasse giù di aver
corso un rischio senza ottenere conseguenze considerabili negative.
Pareva così disperato che si sarebbe accontentato di tutto
pur di dare una svolta a quella monotonia che da sempre lo accompagnava.
Una parte di
lui bramava la novità con tutti i pericoli che essa
comportava; dall'altra parte, però, Ken scuoteva la testa
non convinto, accorgendosi di quanto imprudenti quei pensieri potessero
essere.
Era bloccato
in un limbo, malamente in equilibrio su un piede sulla punta di un
precipizio, con il martellante dubbio: mi butto o no?
Durante quel
tempo aveva svolto con apparente tranquillità il suo lavoro,
aveva chiacchierato con gli altri shinigami e, in special modo, con
Touka, con la quale aveva il tacito accordo del far finta che nulla
fosse mai accaduto. Insomma, un dubbio di qua, un dubbio di
là, e alla fine Ken non si era spostato dalla punta di quel
precipizio neanche un po'. Due forze eguali si erano scontrare e
annullate a vicenda, facendo sì che rimanesse fermo,
immobile, senza alcuna novità apportata nella sua esistenza.
O meglio, in realtà un cambiamento c'era stato: oltre che le
solite attività, ora passava molto tempo in più a
osservare, attraverso un portale, gli abitanti della Terra e, per
essere precisi, un abitante della Terra in particolare.
Il guerriero
dai capelli di luce – così l'aveva ribattezzato
– gli era rimasto così impresso che possibilmente
neanche dopo altre cinque generazioni si sarebbe scordato di lui. Ogni
tipo di umano era interessante ai suoi occhi, ma Hideyoshi pareva
esserlo più di tutti.
Era
straordinario, sembrava uscito da uno di quei libri di avventura che
Ken apprezzava tanto. Non era il classico eroe, dalle
abilità fisiche insuperabili da chiunque altro, ma aveva il
suo modo di essere speciale: incoraggiava sempre tutti, anche quando
l'esito della battaglia sembrava negativo e in quanto guerriero, non
essendo molto poderoso, si occupava per lo più dell'aspetto
strategico. E non era solo dotato di una grande logica, era pure molto
gentile. Non era privo di paure, ma se doveva salvare qualcuno non si
tirava indietro facilmente.
Una delle
scene più belle a cui Ken aveva assistito era di Hide che
trovava un suo compagno a terra che ancora respirava, se lo caricava
sulla spalla e lo accompagnava fino al villaggio nonostante le proteste
prive di speranza dell'altro. Alla fine quell'uomo era morto, e Hide si
era scusato con tutti per non essere riuscito a tenerlo in vita, come
se fosse stata colpa sua.
Ken non
poteva comprendere che significasse rischiare la propria vita per
salvare quella altrui, eppure Hideyoshi lo faceva per professione.
Proprio il contrario del suo lavoro.
Ken voleva
rivederlo, al di là delle promesse che aveva fatto a Touka.
Sapeva che rischiava, ma aveva avuto modo di assaggiare la
novità, il pericolo e ora non poteva di colpo tornare
indietro.
Si mise in
piedi e osservò il portale davanti a sé con
intensità. Era solo, nessuno del suo gruppo di shinigami
quel giorno era a fargli compagnia in quello spiazzo in cui lavoravano.
Nessuno avrebbe potuto testimoniare che Ken era andato nell'altro
pianeta.
Si
avvicinò al portale, sfiorò prudente l'altra
dimensione con la punta delle dita, chiuse gli occhi e
iniziò ad assaporare nella sua mente i caldi colori della
Terra.
Qualcuno lo
chiamò.
«
Ken » ripeté la voce e lui si voltò di
scatto, colto in flagrante. Rabbrividì, il suo interlocutore
non era nientepopodimeno che Arima.
Il re
esaurì i pochi metri che li separavano e lo
guardò dall’alto in basso con i suoi occhi
glaciali e inespressivi.
I pensieri
di Ken si annullarono del tutto, e come di riflesso si
inchinò.
«
Sire » disse. Perché mai Arima era lì
da lui? Quando era arrivato poi?
«
È da un po' che non ci si vede » esordì
il re. Ken giurò quasi di aver scorto l'ombra di un sorriso
al di là di quello sguardo austero che lo pietrificava ogni
volta.
Arima
incuteva timore in molti di loro, ma non perché fosse un re
cattivo o malvagio, tutt'altro, semplicemente perché tutti
erano a conoscenza di quanto fosse potente. C'erano stati altri re in
passato, ma nessuno si era mai guadagnato tanto rispetto quanto lui.
Era capitato che gli shinigami abusassero del loro potere sugli umani,
creando forti squilibri, o che addirittura si mischiassero all'altra
specie al puro scopo di divertirsi creando piccoli o grandi casini.
Sotto il regno di Arima nulla di tutto di ciò era mai
successo e mai sarebbe accaduto. Da quando era il re, fra gli shinigami
scorreva ordine e disciplina, anche se lui non aveva mai fatto nulla in
particolare per guadagnarsi tutto ciò.
Ken pensava
che forse era bastato il suo sguardo, così vuoto, tremendo e
desolato che magari era l'inferno stesso in cui precipitavano gli umani
dopo la vita. Forse era il suo essere totalmente bianco, come il colore
della morte, dai capelli alle vesti. Era un'anima in bianco che vagava
solitaria in quel mondo grigio di abitanti in nero.
Eppure Ken
oltre che con Touka aveva flebili legami anche con lui. Si poteva dire
che fossero in ottimi rapporti, dato che Arima nutriva in lui tutta la
fiducia che non gli davano gli altri shinigami.
«
Purtroppo il lavoro mi ha tenuto molto occupato, così come
immagino sia stato per te. » Ken si limitò ad
annuire. Forse era passato un secolo dall'ultima volta che si erano
visti.
Arima si
mise a suo fianco, e iniziò ad osservare un orizzonte che
non esisteva.
«
Ricordi quello che è successo nell'ultima generazione, no?
Ecco, sono felice che tu abbia messo a tacere le voci che circolavano
su di te. »
Ken non
aveva idea di cosa dire, così continuò ad annuire
silenziosamente. Arima proseguì il suo monologo: «
Voglio che tu lo sappia, Ken. Non sono riuscito a dirtelo prima,
quindi, anche se ora le acque si sono calmate, te lo riferisco adesso:
non ho mai dubitato di te. » Lo disse e nella sua espressione
apatica non mutò nulla. Anzi, intensificò lo
sguardo con Ken, come se cercasse nei suoi occhi un guizzo che
smentisse quel che aveva appena rivelato.
«
So che sei spesso il soggetto del cortile tra shinigami a causa del tuo
difetto, ciononostante sei sempre stato uno dei migliori lavoratori
qui, e so che ciò resterà invariato. Il caos non
è inevitabile e arriverà, ma so che non sarai tu
a portarlo. Dico bene? »
Ken rimase
in silenzio per qualche secondo. Tutti quei discorsi così
all'improvviso dopo quel che era accaduto dieci giorni prima erano
piuttosto sospetti, ma Arima non poteva mica controllare e sapere tutto
e di certo Touka non aveva rotto il patto prima che lo potesse fare
Ken. Forse che il re degli shinigami venisse a parlargli proprio ora
era semplicemente un caso, oppure qualcuno di anche superiore a loro
gli aveva mandato un segno, una sorta di coscienza che gli ricordasse
cosa fosse giusto fare e cosa no.
«
Sì, sire » disse infine, non credendo a
quell'affermazione neanche un po'.
«
Il tuo difetto Ken, te l'ho già detto, ma lo ribadisco, non
si ripercuote in alcun modo sulla tua natura. È solo un
futile dettaglio, non farti condizionare. Senza dubbio tu sei un ottimo
shinigami, uno dei migliori. Gli altri vogliono solo metterti in ombra,
ma tu non lasciarglielo fare. Continua a svolgere il tuo lavoro e,
soprattutto, non farti coinvolgere da cose più grandi di te.
»
L'ultima
frase suonava quasi come un avvertimento. Come se davvero Arima
già sapesse e fosse venuto lì per fargli da
sapiente coscienza.
«
Ora devo andare, arrivederci. »
«
Arrivederci. »
Ken
restò fermo sul posto mentre guardava Arima che si
allontanava. Non poteva essere un caso che fosse venuto a dirgli tutto
quello proprio ora.
Si
voltò verso il portale alle sue spalle e sospirò.
Era vero che aveva promesso il contrario, e ora anche a più
di una persona, ma necessitava ardentemente di scendere sulla Terra.
Come se le parole di Arima lo avessero trapassato senza colpirlo.
La
verità era che sì, voleva rischiare, ma nel
peggiore dei casi i danni si sarebbero ripercossi su di lui, non sulla
sua popolazione. E questo era facilmente accettabile.
Sapeva
contro cosa andava, sapeva cosa voleva fare e cosa non doveva fare.
Aveva già deciso del suo destino, e neanche l'amicizia con
Touka, le parole di Arima, né la leggenda dello shinigami
Shuu l'avrebbero fatto desistere.
Non
combinerò nulla, si disse, lasciando scivolare il suo corpo
all'interno del portale. Non sapendo però se anche
quest'ultima promessa con se stesso sarebbe stata infranta.
♦
♦ ♦
Arrivò
sulla terra e la prima cosa che fece fu assumere forma umana. Era
apparso nello stesso punto dell'ultima volta, ma gli ci volle un po'
per capirlo, dato che adesso i colori erano variati: era sera, non
c'era luce che filtrava tra i rami degli alberi, non c'era quel verde
acceso che primeggiava su tutto, ma un tenue bluastro che abbracciava
ogni cosa. I ciottoli del sentiero parevano splendere sotto la pallida
luce della luna, e Ken camminò osservando tutto rapito
quello scintillio.
La notte non
era ancora calata, ma la sentiva gravare su di sé, la
sentiva sussurrargli all'orecchio di sbrigarsi ad arrivare al villaggio
prima che il buio lo inghiottisse.
Il suo
camminare era così incerto improvvisamente, eppure stava
seguendo lo stesso percorso dell'altra volta. Forse le parole di Arima
lo avevano colpito in ritardo, e solo ora stava dubitando delle sue
azioni. Eppure non gli passava per la mente neanche per un secondo di
girarsi e tornare indietro. E anzi, più cominciava a
intravedere le luci del villaggio più qualche misteriosa
forza lo spingeva in avanti, dibattendosi con la sua riluttanza. Aveva
paura, ma era esaltato. Gli pareva che le fantasie che aveva fatto in
quei giorni stessero germogliando tutto in un colpo, e sentiva nel
petto una sensazione che forse un libro avrebbe definito "adrenalina".
Arrivò
al villaggio e constatò che questa volta il via vai di gente
era diminuito. Tra le stradine in cui si affacciavano le case c'erano
torce che illuminavano la via e di tanto in tanto qualche adulto o
ragazzo, ma nessun bambino e nessuna donna in giro.
La gente lo
squadrava come fosse un fantasma, un intruso, e in effetti non li si
poteva biasimare, ma Ken non si fece intimorire – correva
meno rischi lui con loro, che loro con la sua presenza. Era uno
shinigami, d'altronde. Piuttosto si gustò con gli occhi la
colorazione che assumeva il villaggio a quell'ora, come il fuoco delle
torce tinteggiava i muri in mattoni con schizzi di giallo, o come quei
misteriosi fiori di gemme brillassero ancor di più, creando
giochi di luce sul terreno. Tutto era cambiato simultaneamente, tutto
era diverso, ma lo era nello stesso modo di prima.
Ken
arrivò nella piazza principale. Anche se era sera rimaneva
l'ambiente più vivace. Certo, non si poteva paragonare a
com'era fitto di gente la mattina, ma comunque la maggior parte delle
persone del villaggio si concentravano là.
C'erano vari
gruppetti di adulti che chiacchieravano, e le torce erano appese per il
colonnato circolare. C'era una quiete generale che avvolgeva tutto,
forse dovuta all'assenza delle urla dei bambini e dei mercanti.
Ken
guardò la fontana che torreggiava al centro e vi si
avvicinò. Osservò il flusso continuo dell'acqua e
ripensò a quando aveva conosciuto quell'umano, Hideyoshi.
Ammetteva che una delle sue più grandi speranze era quella
di rivederlo, anche se neanche lui sapeva il perché
– del resto non si erano lasciati in un bel modo l'ultima
volta, ma rincontrarlo era una delle fantasie più vivide e
frequenti che aveva abitato nella sua mente.
Fece un
mezzo sorriso e si diede dello stupido. Non c'erano poi così
tante probabilità che lo incontrasse, anzi, forse proprio
nessuna – considerando l'orario soprattutto. E anche se
avesse incrociato il suo sguardo caldo non avrebbe avuto il coraggio di
avvicinarglisi, né sicuramente il guerriero dai capelli di
luce l'avrebbe fatto. All'improvviso capì che tutto quel
gran guaio, tutte quelle situazioni assurde, tutto quel pericolo, erano
per lo più nella sua mente e da nessun altra parte. E lui
era lì, come uno sciocco ad aspettare ancora una volta il
nulla.
Si sedette
avvilito sul bordo del monumento e sospirò, l'entusiasmo di
prima era stato preso a pugni dalla realtà. Ecco, la
verità dunque era solo quella: era malato, era uno shinigami
anomalo che si era fatto intrappolare dalle stupide e dolorose
congetture umane, dai loro pensieri fini solo all'autodistruzione.
Ken si
sentì svuotato, non com'era abituato a provare, ma molto
peggio. Il vuoto di prima era qualcosa che aveva sempre avuto e che
attendeva di venire riempito; quello di ora era il vuoto dopo essersi
sentito completo e pieno per una volta, e questo lasciava un buco in
lui anche più profondo. Prima di concreto non aveva nulla su
cui disperarsi, ora sì.
Guardò
la gente che passeggiava davanti a lui trattenendo numerosi sospiri,
osservò i loro volti per lui anonimi, i loro sorrisi, il
divertimento, la rabbia, la tristezza. Li invidiò per quel
che potevano possedere.
A un certo
punto accadde l'impensabile: di uno di quei gruppetti che gli passavano
davanti faceva parte proprio Hideyoshi. Ken lo guardò
intensamente, come se sperasse di essere notato o fosse solo rimasto
rapito dalla sua visione, sentì ogni muscolo immobilizzarsi,
la gola diventare secca.
Hideyoshi
chiacchierava con altri ragazzi della sua età, amici o
colleghi, con un sorriso stampato sul volto. Ken avrebbe voluto
chiamarlo, gridare un "ehi!", ma sarebbe stato stupido farlo. Di certo
Hide non si ricordava di lui, non aveva motivo di farlo,
così Ken si limitò a fare quel che faceva sempre
anche nel suo mondo: lo osservò in silenzio, da una vetrina,
da una teca di vetro che li avrebbe separati per sempre. A un certo
punto l'umano incrociò il suo sguardo, e Ken in un barlume
di desiderio si chiese se l'avesse riconosciuto. Purtroppo passarono
pochi secondi prima che Hide distogliesse gli occhi e riprendesse la
sua attività. Ken ancora una volta si rimproverò
mentalmente per le speranze che aveva nutrito con follia. Non riusciva
più a ricordarsi per quale motivo fosse sceso sulla Terra, e
aveva una voglia matta di tornare nel suo pianeta, come se
lì la situazione avesse potuto migliorare. Si mise in piedi
sentendo le gambe intorpidite e deboli, e iniziò ad
allontanarsi dalla fontana pur non avendo una meta. Ci aveva provato,
non c'era riuscito... Fine.
«
Keeeen! » quell'urlò squarciò la quiete
e Ken si voltò di scatto, senza avere neanche il tempo
materiale di comprendere cosa fosse accaduto. Si ritrovò di
colpo con la schiena a terra, dolorante, e un peso non trascurabile
addosso che gli impediva di rialzarsi.
Durante
l'impatto per istinto aveva chiuso gli occhi, e dovette superare un po'
di paura prima di aprirli.
«
Ken! » su di lui troneggiava Hideyoshi, con uno dei sorrisi
più esaltati che gli aveva mai visto in viso – o
forse era il vederlo dal vivo che lo faceva sembrare tale.
Ken era
ancora troppo confuso per aprire bocca, e metabolizzò
l'accaduto solo qualche secondo dopo. Aveva così tanti e
vorticosi pensieri in quel momento che guizzavano via dalla sua presa
come pesciolini; quel che più lo disturbava, al di
là del violento impatto con il terreno, era il contatto
fisico. Gli umani possedevano una temperatura corporea molto, molto
più alta di quella degli shinigami, e percepire quel calore
contro di sé non sapeva dire se gli facesse senso o paura.
«
Ma dove diamine sei sparito in questi giorni? Io ti aspettavo, e tu sei
scomparso nel nulla! » quella rivelazione lo
stupì, ma gli fece piacere in fondo. Hide aveva corrugato le
sopracciglia fingendo un'espressione offesa, premendo le mani contro le
sue spalle. Ken tuttavia non aprì bocca, ancora confuso e
inconsapevole di quali fossero le intenzioni dell'altro.
«
Amico, oddio, stai tremando! » Hide si alzò di
colpo da lui. « Scusa, ti ho fatto male? È per
questo che tremi? »
Ken
deglutì. « N-No... » mormorò.
L'altro si
prese il mento tra pollice e indice assumendo un'espressione pensosa.
« Ah! » fece all'improvviso, sorridendo come se
fosse giunto a una soluzione. « Ti ho per caso spaventato?
»
La
verità era che sì, Ken si era spaventato per
numerosi fattori: primo, all'inizio non aveva capito che era successo;
secondo, era accaduto tutto troppo in fretta; terzo, sì, lo
affascinavano gli umani, ma preferiva tenersi da loro a debita
distanza. Ciononostante non sapeva il perché ma non voleva
rivelare di aver provato paura.
«
No... Non ho avuto paura, ma... fai sempre così? »
chiese invece.
Hide rise.
« Eh già! All'inizio sconvolgo un po', ma vedrai,
i miei amici ci hanno fatto l'abitudine, e ce la farai anche tu!
»
Il tutto
suonava come un "ci vedremo altre volte" e Ken si chiese se fosse
davvero finita così.
«
Scusami amico, comunque, ho esagerato. Cercherò di andarci
piano. » Gli tese la mano per aiutarlo a mettersi in piedi.
«
Sto bene » ribadì Ken, rifiutando l'aiuto e
facendo forza sulle braccia per alzarsi.
Ci fu
qualche attimo di silenzio imbarazzante, poi Hide aprì bocca.
«
Ho così tante cose da chiederti, sono così
curioso, e vorrei raccontarti tanto anche io. Ma ho davvero paura che
fuggirai come l'ultima volta; sarà così?
» chiese con gli occhi che brillavano di aspettativa.
Ken era
lì proprio per continuare quel da cui era scappato la scorsa
volta, ma doveva ammettere che ora tutto sembrava più
spaventoso di quanto avesse immaginato. Cosa gli avrebbe chiesto Hide?
Di cosa potevano parlare un umano e uno shinigami che si fingeva tale?
«
Cercherò di non scappare » promise.
Hideyoshi
gli sorrise ancora, rassicurante. Vederlo senza armatura, con una
semplice maglia leggera addosso faceva risaltare il suo fisico, non
possente, ma di certo più allenato di quello di Ken da umano.
«
Se provi ad abbandonarmi di nuovo sarò molto offeso la
prossima volta! » fece una sorta di broncio. Si comportava
così con naturalezza, quasi fosse un bambino e come se
conoscesse Ken da più tempo di quel fugace scambio di parole
dell'altra volta.
«
Okay, beh, allora cominciamo... Seguimi! » Hide gli diede una
pacca sulla schiena per invitarlo a seguirlo. Ken fece come gli era
stato richiesto tenendosi però a debita distanza.
«
Primo di tutto, come mai non ti avevo mai notato prima? È
davvero solo la seconda volta che vieni in questa piazza? »
Ken
annuì.
«
Ma sei di qui, no? Sei di Anteiku? O vieni da un altro villaggio?
»
Ken
deglutì, e cercò di non rimanere in silenzio per
troppo, ma non voleva dire cavolate.
«
Ecco, vengo da un villaggio accanto, ma adesso vivo qui con mio... con
mio zio » improvvisò.
«
Vero? Come si chiama? Forse lo conosco. »
Ken
iniziò a guardarsi intorno a disagio. « Non penso
che tu lo conosca. Viviamo lontani dal centro del villaggio, lui si
occupa di pesca e commerci marittimi. » Lo shinigami
ringraziò la conoscenza appresa dai libri.
«
Oh capisco, quindi tu imparerai il suo mestiere? Ma, aspetta, prima
ancora, quanti anni hai? »
Ken rimase
in silenzio per qualche attimo. « Tu? » chiese.
Hideyoshi
rimase un po' sorpreso quando la domanda gli venne rigirata senza
ottenere risposta, ma non insistette. « Io ne ho venti.
»
«
Anche io » disse all'improvviso.
«
Oh, ti facevo più piccolo, anche se di poco. Quindi davvero
non hai ancora un lavoro? » Hide sembrava molto sorpreso, e
negativamente.
Ken non
sapeva cosa dire, poi improvvisò ancora: «
È per questo che gironzolo in città di recente...
»
Hide
bloccò di colpo la sua camminata tra le stradine del
villaggio. Ken si accorse solo a quel punto d’essersi
lasciato guidare senza prestare attenzione a quel che li circondava,
dato che erano in un’area della città mai vista
prima.
«
Ken, davvero, non ti arruolare. Non lo dico per offenderti, ma-
»
Lo shinigami
sospirò. « Nessuna offesa, ma non voglio
arruolarmi, te l'ho già detto. »
Hide sorrise
rassicurato. « Lo dico per il tuo bene, non farebbe per te un
lavoro del genere. Pensa, anche io sono totalmente fuori luogo in quel
settore, immagina te! Ehm, senza offesa di nuovo.
«
Ecco, avrei preferito fare il mercante magari, credo che avrei convinto
con facilità chiunque a comprare i miei prodotti. E invece
eccomi qua, il destino ha scelto altro per me. Ma tu, fintanto che puoi
scegliere, fallo con coscienza. »
A Ken parve
di vedere un barlume di tristezza negli occhi del suo interlocutore, ma
non indagò oltre. Continuò a farsi guidare e
continuarono a parlare del più e del meno. Più
personali erano le domande, più Ken le evitava. Naturalmente
la conversazione andava avanti solo grazie a Hideyoshi, che sembrava
non esaurire mai la sua curiosità né la
parlantina. Gli raccontò di alcuni aneddoti della sua vita,
di come da più di tre anni era rimasto senza genitori, e di
come per sopravvivere era entrato a far parte dell'esercito ereditando
l'armatura che gli aveva lasciato il padre. Gli narrò dei
nemici che minacciavano Anteiku in quel periodo e del tempo di pace che
pareva essersi stabilito da poco che gli avrebbe permesso di riposarsi
un po'.
Ken lo
ascoltava rapito, sperando che il suo turno di parlare non dovesse mai
arrivare.
Hideyoshi lo
portò un po' in giro, gli indicò qualche locanda
qua è la, gli fece vedere da lontano la sua abitazione, gli
mostrò dove a fine settimana di tanto in tanto andava a bere
con i suoi colleghi per rilassarsi.
Infine
avevano preso un sentiero che si allontana mano a mano dalla citta, e
ora camminavano in mezzo ad alberi e vegetazione. Ken non sapeva dove
Hideyoshi lo stesse portando, e il buio crescente non faceva che
peggiorare le cose. Eppure continuava a farsi guidare da lui,
nonostante il timore che custodiva dentro.
«
Siamo quasi arrivati! » annunciò Hideyoshi,
scostando dei cespugli che gli impedivano il passaggio. Tese la mano a
Ken.
«
Vieni, su » lo sollecitò. Ken titubante questa
volta afferrò quella mano molto più calda della
sua.
Si
ritrovarono in uno spiazzo senza più alberi né
cespugli, solo terra. Era un po' piccolino e terminava con un dirupo.
Tuttavia era magnifico, perché quel che c'era in basso,
qualche metro sotto, era sabbia e, un po' più avanti, il
mare. Il mare di cui aveva letto tanto nei libri, magnifico ancor
più di come veniva descritto.
«
Oggi siamo fortunati, la luna è piena e più
luminosa del solito e non è ancora notte fonda, ma presto
potrebbe anche sembrare un anonima distesa nera. » Disse
Hide, ma Ken non lo stava più ad ascoltare. Osservava i
delicati raggi della luna che si increspavano con l'acqua. Quel flebile
riflesso diradato e la luce crescente delle stelle al di sopra.
«
È stupendo » soffiò, incantato da
quello spettacolo. L'aria sembrava più fresca di prima e gli
accarezzava la pelle con gentilezza. Lo scroscio delle onde era quanto
di più rilassante potesse esistere.
Hideyoshi
sorrise soddisfatto. « Lo dici come se non avessi mai visto
il mare prima, pur vivendo con un mercante »
ridacchiò. « Devo ammettere che non sono mai stato
al porto io, ma immagino che una visione così bella del mare
ci sia qui e da nessun altra parte. »
Ken si
risvegliò da quella intensa contemplazione.
«
Lo penso anche io » disse.
«
Se lo dici tu che abiti accanto al mare, non posso che esserne felice.
»
«
Già. » disse Ken. Già.
Di colpo
però si voltò verso Hide. « Come mai mi
hai portato qui? » anche se la domanda più
corretta sarebbe stata "come mai mi parli anche se il nostro primo
incontro è stato un disastro e io sto palesemente inventando
tutto quel che ti dico e tu l'hai forse anche capito?"
Hide si
voltò verso di lui e sorrise. Sembrava quasi che quella
fosse la piega naturale delle sue labbra, come se non si stancasse mai
di tenerle tirate verso l’alto.
«
Perché ho trascorso una bella oretta a chiacchierare con te.
Sei un po' timido e un po' misterioso, ma sono stato bene con te. E a
dire la verità mi ispiri simpatia sin dal primo istante.
Perché? mi dirai, e io ti risponderò
semplicemente: istinto. Mi fido molto del mio istinto, e in genere non
sbaglio a farlo.
«
Ma più di tutto, il perché ti ho portato qui e
che volevo vedere sul tuo viso la sfumatura di un'emozione vera.
Speravo di strappartela io, ma non ci sono riuscito. Sono un po' geloso
delle doti del mare adesso, ma almeno ho ottenuto quel che volevo.
»
Ken lo
guardò confuso, tuttavia non disse nulla.
“Simpatia” non sapeva che fosse,
“istinto” non conosceva neanche quello. C'erano
tante cose che non capiva ancora di Hideyoshi, ma il tutto lo
affascinava anche di più.
"Perché
quegli occhi tristi?" si ricordò di quando si erano
conosciuti. Era stato l'istinto di Hide a suggerirgli che Ken fosse
triste?
«
Parli sempre così...? »
«
In un modo così assurdo e strano con frasi che
apparentemente non significano nulla? Eh sì, proprio
così, ti dovrai abituare anche a questo. »
ridacchiò. « Credo di starti spaventando con i
miei modi, è così? »
Mi piacciono i tuoi modi,
avrebbe voluto dire Ken, ma si limitò a negare con un gesto
del capo.
«
Meglio così. » sospirò Hide.
Ci fu
qualche attimo di silenzio, ma lo ruppe in fretta.
«
Ken, non prendertela, ma io penso che tu mi nascondi qualcosa. Ricordi
dieci giorni fa? Ti chiesi perché fossi triste, ma non
ottenni risposta. Tuttavia ne sono ancora convinto: tu sei triste, per
un motivo o per un altro. Non voglio che tu me lo dica, anche se magari
un giorno avrai voglia di rivelarmelo di tua volontà, ma
voglio aiutarti almeno un po' a superare il tutto. »
Il ragazzo
si sedette a terra e fece cenno all'altro di imitarlo. Ken lo raggiunse
titubante.
«
Ammesso che io sia triste, » cominciò Ken,
insicuro (come se uno shinigami potesse essere triste!) «
perché vuoi aiutarmi? »
Hide
guardò verso l'alto come si aspettasse che la risposta
cadesse dal cielo.
«
Istinto » rispose infine.
«
È quello che dici quando non hai una vera giustificazione?
» lo schernì Ken.
«
Molte delle mie azioni sembrano immotivate e senza giustificazione.
Così pensavo all'inizio, ma ora so che non è
proprio così. L'istinto è quel grido interiore
che ti obbliga a fare le cose senza pensarci troppo. Non che io non sia
saggio, ma a volte lo sento e basta che devo fare qualcosa. »
Ken
annuì. Istinto. Forse anche gli shinigami avevano un
istinto, ed era quello che aveva portato Ken a riscendere sulla Terra
nonostante tutto.
«
E come mi aiuterai? » chiese curioso.
«
Ah, questa è una bella domanda! Perché sai, non
ne ho idea. Però mi sembrava un buon modo per iniziare
questo qua. È il posto in cui mi rifugio quando ho bisogno
di quiete e silenzio, in cui posso affrontare i miei pensieri.
»
«
Io odio il silenzio » rivelò di colpo Ken, e
l'altro strabuzzò gli occhi.
«
Cosa? Non l'avrei mai detto. »
«
Io non avrei mai detto che a te potesse piacere. »
Hide
inarcò un sopracciglio. « Okay, sì,
sono un tipo rumoroso, ma anche io ho bisogno di calma ogni tanto! Ed
è sempre più arduo per me trovarla. »
Ken
ridacchiò. Gli venne spontaneo, e forse era il primo sorriso
che rivolgeva a Hideyoshi.
«
Ehi, ce l'ho fatta! » esclamò entusiasta l'altro
nel giro di pochi secondi. Si mise di scatto in piedi incurante della
manciata di terra che sollevò. «Ah, prendi questo
mare! Anche io suscito emozioni belle! » urlò
indicando la distesa di acqua.
Questo non
fece che far persistere il sorriso di Ken.
Hide si
sedette di nuovo sospirando.
«
Di’ la verità Ken, c'è qualche
questione amorosa dietro la tua ricerca del lavoro, eh?
Cos'è un amore proibito che tuo zio non è
disposto ad accettare ma che tu vuoi coronare a tutti i costi? Su non
fare il timido, chi è la ragazza in questione? »
ammiccò.
«
Eh? » Ken avvampò anche se non aveva motivo per
farlo. « No » sbottò mentre Hideyoshi
rideva. In realtà quel che lo fece imbarazzare
più di tutto era il viso di Touka che gli comparve per la
mente per qualche breve secondo.
«
E io che credevo che fossi un tipo romantico. Peccato, ti avrei chiesto
di invitarmi al tuo matrimonio e, anzi, ti avrei aiutato a realizzarlo!
» Hide pareva esaltato all'idea, come se già si
stesse immaginando l'intera scena.
Ken mantenne
lo sguardo verso il basso. Doveva ammettere che l'amore l'aveva sempre
incuriosito, ma era qualcosa che per come era fatta la sua natura non
avrebbe mai potuto conoscere al di fuori delle pagine di un libro.
«
E tu? » chiese al suo compagno « sei
sposato?»
Hide fece
una sorta di smorfia e un sorriso rammaricato.
«
No, e non penso lo sarò mai » asserì e
calò il silenzio, ma Ken non riuscì a trattenere
la curiosità.
«
Come mai? »
«
Tante cose. Primo di tutto sono troppo vecchio per trovare moglie e non
mi va di chiedere la mano di qualche figlia di un mio collega. Poi, non
ho voglia di avere figli, anche se così la stirpe della mia
famiglia si estinguerà. Sarà strano, ma se
dovessi avere una famiglia vorrei godermela e non sono nelle condizioni
di poterlo fare. Certo, non che disprezzi la compagnia delle ragazze,
anzi, ma... »
«
Come mai? » chiese di colpo Ken. « Come mai non sei
nelle condizioni di poterlo fare? »
Hide prese
un sospiro profondo e soppesò a lungo le parole. Pareva
essersi perso dentro qualche profondo universo di pensieri.
«
La morte. » disse all'improvviso e Ken sbiancò,
come se fosse appena stato accusato di qualcosa. « Questa
signora incombe su di me ogni giorno, mi affianca sul campo di
battaglia. Io cerco di evitarla, ma lei aspetta l'occasione propizia
per prendermi tra le sue gelide braccia. E, ahimè, sono
abbastanza convinto che ci riuscirà ben presto, dato finora
me la sono cavata troppo facilmente. »
Calò
un pesante silenzio. Ken non avrebbe mai giurato che il guerriero dai
capelli di luce potesse essere triste o spaventato. Vederlo
così cupo all'improvviso lo allarmò. Avrebbe
voluto regalargli parole di consolazione, ma lui, proprio lui, che
poteva dirgli?
Hideyoshi
rise come per scacciare lontano brutti presagi e pensieri. Si
voltò versò Ken e forzò un sorriso per
rassicurarlo, come se si vergognasse di aver lasciato cadere quell'aura
di coraggio e perfezione che lo avvolgeva sempre, come se lui fosse un
umano a cui le emozioni negative non fossero concesse.
«
Scusa » mormorò e Ken avrebbe voluto dirgli che
non aveva motivo di scusarsi. Il silenzio cadde su di loro come una
pesante pietra, poi Hide prese parola, con la voce tremante per la
prima volta.
«
E tu, Ken, hai paura della morte? »
Ken
deglutì, ma non rispose mai a quella domanda.
♦
♦ ♦
note: Sono
in ritardissimo, sorry! A quanto pare ci ho messo più del
dovuto e spero non ricapiti in futuro (ma non voglio fare promesse che
non sono in grado di mantenere).
Non ho nulla da dire su questo capitolo se non che mi farebbe piacere
sapere cosa ne state pensando.
ringrazio chi sta seguendo la storia♥
Saluti,
Eeureka
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