01
Il
mangiatore di sogni
|| 02 - indagini
||
Il soffio leggero
del vento entrava dalla finestra e lo raggiungeva sul letto, dove gli
solleticava la pelle. Il cuscino pareva più morbido del
solito, e lui era reduce da un bel sogno, quindi non trovava proprio il
bisogno di alzarsi. Gli occhi socchiusi e la mente impiastricciata di
sonno gli mostravano lui e Akira che, dopo essere riusciti a risolvere
un caso senza essere ancora investigatori, ottenevano lodi e
riconoscimenti di ogni genere. Non era male come prospettiva, ma i
gustosi residui di quella fantasia si eclissarono quando sua madre
spalancò la porta della stanza.
« Seidou! » Era tutta esaltata e lo scuoteva con
veemenza per svegliarlo. « C'è una ragazza qua
sotto che ti cerca, è una tua compagna di classe. Mado,
quella di cui parli sempre! »
Il ragazzo cercò di fare chiarezza nella sua testa, si mise
a sedere e borbottò un « io non parlo sempre di
lei! »
Si lavò in fretta e furia e prese i primi vestiti che gli
capitarono a tiro. Quando scese trovò Akira seduta in cucina
in compagnia di Seina.
« Sei in ritardo » disse Akira appena scorse la sua
figura davanti alla porta.
« Non avevamo alcun appuntamento. » Il giorno prima
si erano lasciati dicendosi che si sarebbero messi d'accordo, nessuno
aveva accennato a lei che avrebbe fatto irruzione a casa sua alle otto
del mattino.
Mado tirò fuori dalla borsa la cartella del ghoul.
« Dove ci mettiamo? »
"Vieni nella mia stanza" fu la risposta più imbarazzante che
potesse dire. Forse per il modo in cui formulò la frase, o
per il sorrisetto malizioso che si accese sulle labbra di Seina; in
ogni caso riuscì a percepire il viso andargli a fuoco.
« Allora » cominciò la ragazza,
poggiando il fascicolo sulla scrivania. Seidou non la smetteva di
guardarsi attorno, lieto d'esser sempre stato ordinato in vita sua.
« Lo chiamano Baku perché la sua maschera ricorda
un tapiro e, in particolare, il Baku della mitologia. Leggi tu stesso
comunque, la CCG aveva già raccolto alcune informazioni.
»
Fece come gli era stato ordinato e scoprì che i casi
associati per certo a Baku erano accaduti nel corso dell'ultimo
decennio. Poi erano descritti altri avvenimenti, ma si posizionavano
più distanti nel passato, fino a trent'anni prima, e
venivano suggeriti nel fascicolo senza alcuna certezza.
« Purtroppo » fece Akira, notando dove si erano
fermati i suoi occhi, « non sono riuscita a trovare
informazioni sui casi più vecchi. »
« Non c'è problema » disse Seidou
all'improvviso, alzandosi e andando a curiosare nella sua libreria. Lei
lo guardò interrogativa finché lui non fu di
ritorno con dei quaderni in mano. Li poggiò sulla scrivania,
li aprì e rivelò una quantità
spropositata di ritagli di giornale. Erano catalogati per tipologia,
suddivisi in base a quelli risolti e irrisolti. Alcuni articoli
risalivano a parecchi anni fa, e quelli più recenti avevano
come protagonista l'investigatore della CCG Kishou Arima.
« Quando da bambino ho deciso che sarei diventato un
investigatore ho iniziato a cercare giornali e notizie ovunque. Li
chiedevo ai vicini, ai miei zii, ai nonni, e poi passavo il tempo
così. Ho ripreso a farlo quando sono entrato nell'accademia,
ma concentrandomi solo sui casi riguardanti i ghoul. » Quella
rivelazione lo faceva apparire un po' sfigato, così si
apprestò ad aggiungere: « Sì, ero un
bambino annoiato ».
Ma Akira parve non interessarsene, sfogliava le pagine rapita,
concentrata, soffermandosi sui casi per cui lei non era riuscita a
reperire informazioni.
« Notevole » disse poi, senza distogliere lo
sguardo dal quaderno.
« Tutto qui? Sai, potresti sforzarti di più quando
vuoi complimentarti con qualcuno. » Sorrise con presunzione.
« Non mi complimento con chi si mette la maglietta al
contrario. » Seidou sussultò, controllò
il colletto della sua polo e vi trovò l'etichetta che
sarebbe dovuta essere sul retro. Sbuffò, imbarazzato.
Avrebbe volentieri sotterrato la testa da qualche parte in quel momento.
« Alcuni di questi casi non parlano dell'intervento di un
ghoul, ma di armi o veleni. Non capisco perché glieli
abbiano associati. » Akira parve entrare in una meditazione
profonda, poi scosse la testa.
« Comunque, avevo già fatto delle ricerche per
conto mio e ristretto la cerchia degli indiziati a tre persone. Ci sono
state delle interviste registrate, e in alcune di queste c'è
stata gente presente più di una volta sullo sfondo o in
primo piano. Curioso, no, trovarsi sulla scena del crimine
ripetutamente? Ho chiesto in giro, ho cercato su internet, ho iniziato
a indagare su di loro, ma mentre di due sono riuscita a scoprire nome e
cognome – e si tratta di persone che sembrano vivere ai
margini della società –, della terza, pur
riuscendo ad avvicinarla – era il ragazzo con cui mi hai
visto ieri – ho scoperto poco e niente. »
-
—∞— -
La
loro prima indiziata era una cinquantenne che viveva in un quartiere
malfamato. La sua era una casa microscopica, dai muri coperti di sacchi
dell'immondizia, e pullulava di gatti a destra e a manca. Indagarono a
fondo, ma scoprirono soltanto che era una persona sola, tradita dal
marito e abbandonata dalla figlia. La gente che la conosceva ne parlava
con compassione o disgusto, ma in ogni caso non era il soggetto che
cercavano.
Quello dopo era un uomo, un muratore pensionato. Scoprirono che era
coinvolto in traffici di droga, lo segnalarono alla polizia
dopodiché se ne disinteressarono (non era compito loro
sistemare la faccenda).
E poi c'era Sanjiro, il ragazzo misterioso che in più di
un'intervista appariva correre sullo sfondo. Era Akira che si occupava
delle indagini su di lui, continuando a uscirci e a fingere un
sentimento amoroso nei suoi confronti. Eppure al di là del
nome non erano riusciti a scoprire altro. Non diceva nulla su di
sé e seguirlo, considerando i quartieri e i vicoli che
frequentava, era troppo rischioso.
Lavorare assieme era strano. Si trovavano quasi sempre in disaccordo, e
in particolar modo Seidou non sopportava che le sue deduzioni venissero
riprese da Akira in quanto inesatte. I momenti di intensa
serietà si alternavano con infantili battibecchi. Eppure
continuarono a darsi da fare per più di una settimana,
facendo molte ricerche e ricavando tante di quelle informazioni che la
CCG li avrebbe potuti assumere seduta stante.
In fondo, si ritrovò a pensare Takizawa, non era poi
così male fare squadra con Akira. Ormai durante lo studio si
trovava a lanciare occhiate allo schermo del cellulare in
continuazione, sperando in un messaggio da lei con qualche
novità sul caso o una richiesta di aiuto.
Si accorse presto di non riuscire a pensare ad altro che al caso
– o ad Akira? Forse era a lei che non smetteva di pensare.
Un giorno erano assieme a quel bar a Shinagawa. Nonostante all'esame
mancasse sempre meno loro erano lì a trascrivere le
deduzioni e le ricerche sul caso al computer.
« Baku, lo chiamano » fece Akira sovrappensiero. Se
c'era una cosa che Seidou aveva imparato era che capitava che la sua
compagna di classe pensasse ad alta voce. Quando succedeva lui iniziava
a osservarla in attesa.
« E intendono la creatura mitologica. Stando alla descrizione
la sua maschera somiglia più a quella che a un tapiro
qualunque. »
Seidou cercò nella cartella quell'informazione, come se non
l'avesse già letta migliaia di volte.
« E allora? Questo lo sapevamo già. Ora stavamo
cercando di capire in che modo sono collegati gli omicidi. Dopotutto,
se il colpevole è Sanjiro non può aver agito
trent'anni fa. »
« Appunto » disse lei. Era come se vedesse oltre un
orizzonte che lui non riusciva a superare, cosa che lo irritava in
continuazione. Lo faceva quasi sentire inferiore, seppur lui fosse
più che certo di non esserlo.
« Sai qual è la leggenda di Baku? »
Lui annuì. « Allontana il male. »
« Sì Seidou, ma in che modo? Cos'è che
elimina? »
Parve pensarci per un po'. « Gli incubi? » Disse,
con tono fine e incerto.
« "Cedo il
mio sogno al Baku perché lo mangi",
è quel che si dice dopo un incubo per scacciarlo via.
»
Continuò a guardarla senza capire.
« Forse è forzata come interpretazione, ma si
può dedurre che il Baku si nutre dei sogni. E guarda un po'
gli omicidi che gli sono stati associati. » Gli spinse il
quaderno con i ritagli di giornale sotto gli occhi.
Natsuko Ishikawa, uccisa prima dell'inaugurazione del suo orfanotrofio.
Haruki Sato, morto dopo l'apertura dell'atteso bar a Kabukicho.
Takizawa procedette con la lettura. C'era un caso su un ragazzo che
aveva inventato un robot che limitava gli sprechi energetici, e anche
lui, prima che il suo progetto venisse lanciato, era stato ucciso. Uno
su una nuova linea ferroviaria per lo Shinkansen, il cui finanziatore
aveva fatto la stessa fine. E tanti altri articoli dello stesso tipo,
fino ad arrivare a quelli più vecchi che escludevano
l'intervento di un ghoul. In quello più datato vi era
raffigurata la foto di tre scienziati che avevano fatto un'importante
scoperta. Takizawa prese a osservarla assorto.
« Tutti loro sono stati fermati prima di iniziare la loro
attività. Come se avessero appena realizzato il loro sogno
per vederlo svanire subito dopo. »
« Baku ha mangiato i loro sogni... »
mormorò Seidou. « Che Ghoul egocentrico.
»
« Così sembra. »
Sospirò e prese a guardare fuori. La sera stava calando, il
cielo era tinto di arancio e viola e puntellato qua e là da
cirri.
« Ma perché alcuni di questi casi parlano dell'uso
di armi? Se ci fai caso gli omicidi di questo genere trent'anni fa si
susseguono per dieci anni con una certa cadenza, poi si bloccano di
colpo – uno stacco di quasi vent’anni – e
ora riprendono sempre più assidui. Non capisco. »
Akira guardò il fascicolo. « Non lo so »
fece, « ma sono abbastanza convinta che sia sempre Baku a
c'entrare, me lo dice il mio istinto. »
Notato l'orario, uscirono dal bar e s'incamminarono verso la stazione,
ognuno diretto verso la propria casa.
Regnava un fastidioso silenzio, ma Takizawa non sapeva di cosa potesse
parlare con Akira. Dopotutto, prima che iniziassero a indagare assieme
si rivolgevano la parola di rado, e quando lo facevano era per
litigare. E ora il loro argomento principale erano le indagini,
alternato a momenti in cui si stuzzicavano a vicenda.
Si ricordò di quanto l'avesse sempre sopportata ben poco, di
come le lodi dei professori che si meritava lui le ricevesse lei, di
come Akira lo battesse sul tempo ogni volta che c'era da rispondere a
una domanda aperta. Non gli era mai piaciuta la sua capacità
di metterlo in ombra.
Oltre all'accademia non avevano altro in comune, ma non gli pareva una
buona idea chiederle come le stesse andando con lo studio,
così scelse la via del silenzio, nonostante fosse la
più imbarazzante.
« Senti » fece a un certo punto Akira.
« Hmm? »
« Mio padre non è a casa e non ho voglia di
cucinare. Mi faresti compagnia a mangiare fuori? »
« Ehm, sì, c-certo » disse, fin troppo
repentino.
Akira inarcò un sopracciglio nella sua direzione, come se
non si fosse aspettata quella risposta. Dopotutto era stato troppo
gentile rispetto al solito, così provò a
sistemare le cose: « così possiamo, ehm, parlare
del caso ».
« O potremo mangiare e basta » suggerì
Akira.
« Certo. » Cos'era quella balbuzie improvvisa?
Perché si sentiva tanto agitato?
Akira stava sorridendo con una punta di divertimento, cosa che lo
turbò.
Entrarono nel primo ristorante che capitò loro a tiro, si
sedettero, ordinarono e attesero.
Seidou si pentì amaramente di aver accettato la proposta
della ragazza, perché l'atmosfera si era fatta anche
più scomoda ora che si trovavano l'uno di fronte all'altra.
I loro occhi si incrociarono più di una volta e altrettanto
spesso si distolsero per non aumentare l'imbarazzo della situazione.
« Manca sempre meno all'esame e io non ho ancora fatto nulla
di concreto » ruppe il silenzio Akira.
« Nulla? »
« Nulla. L'idea di risolvere questo caso mi ha
così assorbita che ho aperto i libri sì e no due
volte. »
Seidou normalmente sarebbe stato lieto di una notizia del genere,
invece non sentì nessun compiacimento, come se l'idea di
ottenere lui il massimo dei risultati non gli importasse più.
« Anch'io ho messo un po' da parte lo studio »
rivelò. « Ora che ci stiamo occupando di questo
caso, è come se tutta la teoria non servisse a niente.
»
Portarono loro quel che avevano ordinato, così poterono
cominciare a mangiare.
« Perché hai deciso di diventare
un’investigatrice di ghoul? C'entra tuo padre? »
chiese di botto.
Lei alzò lo sguardo e lo fissò.
« Anche mia madre, a dire il vero. Avrai già
sentito dire il suo nome in giro, qualsiasi professore mi
avrà paragonata a lei almeno una volta, ma probabilmente non
sai che lei è morta. »
« Oh » fece Takizawa, come se gli avessero appena
dato uno schiaffo. « Non lo sapevo, mi dispiace. »
Si sentì in colpa per aver tirato in ballo quell'argomento e
distolse lo sguardo. La ragazza alzò le spalle,
mandò giù un altro boccone e poi
chiarì: « Non hai bisogno di preoccuparti.
È una cosa più che normale morire, succede a
tutti ».
Rimase interdetto. « Non è comunque una bella
cosa, specie se succede a tua madre. »
Lei parve pensarci su. « Hai ragione, ma la natura ha dettato
queste leggi, e certi processi si possono solo velocizzare in base alla
professione che decidi di fare » pronunciò quella
frase con una freddezza tale che Seidou si chiese se fosse umana. Forse
dietro quello sguardo indifferente covava del dolore. Lui volle
sperarci, perché non si capacitava di come potesse reagire
così davanti alla morte. Takizawa, pur non avendo perso
molte persone, ne era terrorizzato. Se sua madre fosse morta, neanche
dopo anni avrebbe potuto parlarne così.
« Era una brava investigatrice » parlò
di colpo Akira. « Per questo decise di sacrificarsi.
È stato molto egoistico da parte sua, non trovi? »
Mando giù l'ennesimo bicchiere di birra. Se la prima
bottiglia era finita tanto facilmente e la seconda era a
metà era dovuto a lei.
« Egoista? Non direi. L'ha fatto per salvare tanta gente.
»
« Una donna con una famiglia non può decidere di
salvare tanta gente. » Seidou scorse negli occhi lucidi di
Akira quella punta di umanità che cercava. Forse l'alcol
aveva risvegliato qualcosa in lei, o l'aveva resa più
sincera.
« Comunque » disse, perché non gli
piaceva la piega che stava prendendo la conversazione. L’idea
che Akira potesse scoppiare a piangere da un momento all'altro
– specie perché non la finiva più di
bere – lo terrorizzava. « Anch’io ho
deciso di diventare un investigatore per mia madre. Una volta una sua
amica è stata vittima di un ghoul, e lei ne è
rimasta piuttosto sconvolta. Nella mia mente a quel punto è
scattato qualcosa, come se mi fossi accorto della spietatezza del mondo
solo in quell'istante. Così ho iniziato a prestare sempre
più attenzione alle notizie al telegiornale, e crescendo ho
capito di voler diventare un investigatore. »
Lei neanche lo ascoltava più, guardava la superficie del
tavolo come se fosse la cosa più interessante del mondo.
Takizawa sapeva che la sua storia non colpiva quanto quella di Akira e
mancava di dramma, ma perlomeno aveva posto fine a quella tristezza che
stava per soffocarli.
Finirono di mangiare e lui si propose di accompagnarla a casa. Era un
po' faticoso essere così gentile con lei (si trattava pur
sempre di una persona che non gli ispirava molta simpatia), ma non
poteva neanche lasciarla da sola in quello stato. Durante il tragitto
parlarono poco e niente e giunsi nell'appartamento della ragazza si
salutarono dandosi appuntamento al pomeriggio dopo.
Takizawa tornò a casa pensando ai suoi occhi lucidi,
passò per i quartieri bui e fu contento di non trovarvi
alcuna ombra sospetta. Mentre raggiungeva casa notò che il
signor Nakano era affacciato al balcone della sua abitazione; aveva lo
sguardo fisso nel vuoto, come se stesse pensando. Si accorse della sua
presenza e lo salutò.
« A quest'ora fuori, Seidou? » ridacchiò
con il suo solito sorriso affabile.
« Anche lei signore non scherza » rispose di
rimando, nonostante fosse complicato conversare dalla strada con un
uomo affacciato al secondo piano.
« Ho i miei buoni motivi. Sto aspettando mio figlio,
è uscito senza dirmi niente. Sono così in
pensiero. »
Seidou si accorse di non aver mai conosciuto il fantomatico figlio del
signor Nakano, era sempre fuori per un motivo o per un altro.
Realizzò all'improvviso anche che il suo vicino non era
l'unico ad aspettare il ritorno a casa di qualcuno.
« Cazzo » mormorò. Controllò
il telefono e trovò trentanove chiamate perse da sua madre,
cinque da sua sorella, e numerosi messaggi da entrambe.
« Arrivederci! » urlò all'uomo, prima di
mettersi a correre all'impazzata verso casa.
Aperta la porta trovò la luce della cucina accesa e sua
madre ad aspettarlo.
« Seidou! » urlò in tono di rimprovero.
« Mi sono preoccupata! »
Lui si scusò, consapevole delle ansie che la tormentavano e
che, con tutte le probabilità, aveva in parte ereditato
anche lui. Dopo averla rassicurata, salì in camera sua e,
nonostante l'orario, tirò fuori il libro che non aveva
completato di studiare.
Accese la luce della scrivania, lo sfogliò fino a giungere
alla pagina che gli interessava, cominciò a leggere e in
meno di cinque minuti si addormentò.
|