Capitolo 12
A
volte la vita, quando vede che non prendi decisioni chiare, decide per
te. È
una lezione che ho imparato in modo netto e lapidario.
Era
trascorso qualche giorno dal nostro pigiama party e continuavo ad avere
in
mente mia sorella: sempre più s’insinuava in me il
desiderio di rivederla e
parlarle, finché un giorno quest’esigenza divenne d’improvviso
impellente e mi decisi a fare il
passo per incontrarla. Ma non volevo chiamarla e sentirmi accusare per
telefono, volevo prenderla di sorpresa e costringerla ad affrontarmi e non volevo nemmeno
andare a casa dei miei
genitori col rischio di vedere anche loro… così
chiamai Stè, che di sicuro
sapeva tutti i movimenti di Simona e avrebbe saputo dirmi dove potevo
raggiungerla.
Attesi tutto il tempo della chiamata ma non mi rispose, probabilmente
aveva lasciato
il cellulare lontano da sé… proprio quel giorno
in cui avevo fretta!
Quel
giorno sentii una strana ansia, d‘un tratto vedere mia
sorella diventò qualcosa
di vitale per me e non riuscii a spiegarmi il motivo di questa
sensazione così angosciante.
Ero immersa in quelle fosche elucubrazioni quando mi arrivò
un sms:
Vieni
immediatamente in ospedale, Simona sta male!
Mi
si ghiacciò il sangue nelle vene: il messaggio di
Stè era serio, molto serio,
il che significava che mia sorella era davvero in pericolo! Chiesi
immediatamente l’auto a Rita e mi fiondai
all’ospedale, arrivai
all’accettazione e chiesi dov’era ricoverata, salii
di corsa le scale con il
cuore in gola: probabilmente c’erano anche i miei genitori ed
io non volevo
vederli, ma in quel momento era più importante vedere mia
sorella e sapere come
stava, il resto sarebbe venuto da solo!
Quando
raggiunsi il corridoio che portava alla sua stanza, vidi il mio amico
che mi
veniva incontro: aveva lo sguardo stravolto e le lacrime gli rigavano
il volto.
«Stè
cosa diavolo...»
«Ero
con lei…mi stava aiutando con matematica, come al
solito… è svenuta
all’improvviso! È arrivata qui
incosciente… Non posso credere che sia accaduto!
Era con me due ore fa! Ed ora…»
Corsi
immediatamente alla porta della camera dove avevo visto il mio amico un
attimo
prima e vidi che era vuota.
«Stè….cosa
significa… dov’è Simona?!»
«Non
ce l’ha fatta Pasi… Simona se
n’è andata.»
Sentii
il mio corpo perdere calore e consistenza, il mondo ruotava intorno a
me ed io
non riuscivo a muovermi, congelata in quel momento mentre la mia mente
assimilava il significato delle parole di Stè.
«No!
Non può essere! Non è vero! Cosa mi stai
dicendo!?» alzai
il tono della voce e il mio amico si
avvicinò per abbracciarmi:
«Ha
avuto un infarto Pasi e non si è ripresa
più.»
«No…
non è possibile! Un infarto! A ventitré anni?!
No! Dov’è mia sorella? La voglio
vedere! Dov’è?!»
Mi
divincolai dall’abbraccio di Stè e corsi senza una
meta in tutto il corridoio
nella speranza di trovare la stanza di Simona, finché non mi
fermò di nuovo:
«Simona
non è qui, la stavano operando quando non ce l’ha
fatta… la staranno portando
in camera mortuaria ora.»
Ero
in uno stato di allucinazione: sentivo la mia voce gridare e tremavo
tutta… non
c’era posto nella mia testa per alcun pensiero lucido a parte
uno:
«Voglio
vederla! Portami da lei!»
Giungemmo
di corsa e senza parlare alla camera mortuaria, ma il solo sentire mia
madre
che piangeva, mi bloccò il respiro: ad un tratto persi tutte
le forze e il
coraggio e fuggii come una forsennata, come una preda che vuole
scampare alla
morte, come un delinquente che vuole fuggire dalle manette…
Fuggii
senza guardare dove andavo, senza rendermi conto delle persone che
urtavo,
consapevole solo dell’odore nauseante delle medicine e la
sensazione di soffocamento
che mi chiudeva la gola… Arrivai all’esterno senza
sapere come, senza nemmeno
rendermi conto se Stè mi avesse seguito o meno. Come un
automa cercai l’auto e
una volta dentro, mi chiusi lì e piansi, piansi fino a
sconquassarmi il petto,
fino a sentirmi svenire. Piansi per quella sorella che non avevo mai
avuto, che
non avevo mai capito… piansi per il nostro rapporto
condizionato dalla rabbia,
per quello che sognavo di avere e che non avrei mai potuto
realizzare… Piansi
perché mi sentivo colpevole di averla abbandonata a se
stessa e la mia
punizione l’aveva pagata lei con la sua vita!
*****
«Sì
è qui con me ora, l’abbiamo trovata nella mia
auto, era immobile, non parlava e
non ascoltava, così Stefano l’ha presa in braccio
e l’ha messa al lato
passeggero ed io l’ho riportata a casa…
Sì, era distrutto anche lui, non so di
chi mi devo preoccupare di più, è una notizia
terribile!»
Non
ricordo come tornai a casa di Rita, avevo solo la vaga sensazione di
qualcuno
che mi prendeva in braccio e mi portava a casa… ero sul
divano nella cucina
dell’appartamento dalla sera precedente, non avevo voluto
spostarmi per dormire
con la mia amica, volevo solo stare sdraiata su quel divano e non
pensare…
volevo solo dormire e sognare mia sorella che mi prendeva per mano e mi
parlava
dei suoi sogni e mi raccontava dei ragazzi e mi chiedeva di
Stè… volevo solo
stare con lei, nient’altro era importante, né il
cibo né le parole... Non
volevo sentire, non volevo vedere… il mio unico desiderio
era stare con Simona
mei miei sogni. Rita ogni tanto si avvicinava e mi chiedeva se volessi
qualcosa, cercava di farmi parlare, mi chiedeva se avessi voluto
sfogarmi con
lei… non ci riuscivo. Non ero in grado di parlare,
l’unico segno che fossi
ancora viva era dato dal mio alzarmi per andare in bagno, poi tornavo a
sdraiarmi sul divano in posizione fetale a piangere e a cercare di
sognare mia
sorella.
Trascorsi
in quel modo tre giorni, davanti ai miei occhi si alternarono i volti
di Fede,
Rita e Sofia… Stè non era mai apparso e immaginai
che il suo stato non dovesse
essere migliore del mio... ma nulla in quel momento aveva importanza
perché mia
sorella non c’era più. Non ebbi la forza di andare
nemmeno al funerale, restai
lì su quel divano a piangere… finché
ricevetti una visita che non mi sarei mai
immaginata di avere.
Nel
pomeriggio di quel quarto giorno di catalessi, qualcuno
bussò alla porta e mentre
Rita andò ad aprire iniziai
a pensare a
chi tra Fede e Sofia potesse essere a quel punto; ma invece delle
solite
espressioni preoccupate dei miei amici,
ritrovai davanti ai miei occhi, il volto di Emile.
«Pasi...
ho saputo solo ieri, quando ho chiamato mio padre.»
Emile
era lì davanti a me! Invece
di essere in
tour era lì... com’era possibile!?
«Che
ci fai qui?» parlai in tono piatto, come un automa, per pura
reazione ad una
tale sorpresa, senza nemmeno alzare la testa dal divano.
«Sono
venuto appena ho saputo: ho preso il primo aereo e sono arrivato
direttamente
qui… Federico mi ha detto dov’eri.»
già, Emile aveva il numero di Fede…
Poggiò
una mano sulle mie:
«Posso
fare qualcosa per te?»
Il
contatto con la sua mano, quel calore improvviso che a discapito di
tutto, mi
diede una gioia immensa, sciolse il velo di ghiaccio che stava
rivestendo il
mio cuore ed esplosi in un pianto a dirotto:
«Se
n’è andata via Emile! Simona è andata
via, mi ha lasciato qui prima che potessi
parlarle, prima che potessimo diventare sorelle! Dovevamo
riconciliarci! Non
doveva andare via così! Dovevamo essere sorelle davvero!
Perché se n’è andata
via? Perché?! L’ho abbandonata Emile!
L’ho abbandonata a se stessa e mi ha
lasciato! È colpa mia, è tutta colpa
mia!»
Finalmente
diedi voce al mio senso di colpa e liberai il mio cuore dalla morsa in
cui lo
tenevo segregato; Emile mi fece sedere e mi tenne stretta a lui,
avvolgendomi
col suo abbraccio per non farmi andare in pezzi, nello stesso modo in
cui io
avevo cercato di tenerlo insieme il mese prima. Stretta in
quell’abbraccio,
finalmente diedi sfogo a tutto il mio dolore, piansi e urlai e
continuai ad
incolparmi per aver lasciato sola una persona che avrei voluto da
sempre
accanto a me.
Specularmente
a quanto avevo fatto per lui, Emile non lasciò la presa del
suo abbraccio
nemmeno quando il mio pianto terminò. Mi tenne accanto a
sé, mi poggiò una mano
sulla testa per darmi conforto ed io rimasi, per un tempo che mi parve
infinito, avvolta dal suo abbraccio. Quando riacquistai un
po’ di lucidità, osservai
lo zaino che aveva lasciato a terra accanto al divano e iniziai a
fargli le
domande che la mia mente aveva accantonato:
«Hai
abbandonato il tour per venire qui?»
«Era
il minimo che potessi fare, tu mi sei stata accanto quando sono caduto
a pezzi,
non potevo non ricambiare il tuo gesto.»
«Non
ce n’era bisogno.» grande bugia la mia; ero
abbastanza cosciente da rendermi
conto che la sua sola presenza era riuscita a scuotermi come non erano
riusciti
a fare tutti i miei amici… o quasi tutti…
«Non
puoi rinunciare al tour!»
«Infatti
non ci rinuncio, starò qui solo un giorno, domani
tornerò per finire il tour…
ma ti chiamerò ogni sera.»
Tutta
questa gentilezza mi sorprendeva, possibile che questo atteggiamento
fosse
dettato solo dalla riconoscenza?
«Non
preoccuparti, non ce n’è bisogno, non sono sola,
ho i ragazzi con me!»
«Non
vuoi sentirmi?» La voce di Emile sembrava quasi risentita, ma
non volevo
essergli di peso in alcun modo:
«Non
voglio che ti senta in dovere di fare alcunché,
già venire qui è stato tanto,
hai la tua carriera a cui pensare, non preoccuparti per me!»
Non
riuscivo a credere che quell’Emile che mi aveva detto
chiaramente che nella sua
vita c’era spazio solo per la musica, fosse disposto a fare
un gesto così
premuroso per me se non dettato dalla riconoscenza o dal sentirsi in
debito.
«Non
è un dovere Pasi… non lo è
affatto.» Mi strinsi più forte a lui, come se ad
un
tratto, avessi paura che andasse via.
«In
effetti non so se riuscirò a chiamarti ogni sera, ma quando
potrò lo farò di
sicuro, ok?» La sua voce era calma, bassa e dolce…
la sentivo rimbombare dalla
sua gabbia toracica, a cui ero appoggiata. Sembrava arrivarmi
direttamente
nelle ossa e cullarmi come una ninna nanna.
«Si,
ok.»
«Domani
passerò di nuovo prima di partire.»
«Non
andartene ora! Resta qui con me!» gli cinsi la vita con le
braccia, non potevo
sopportare l’idea di staccarmi da lui: era confortante la sua
presenza, mi dava
sollievo e bloccava per un po’ lo scorrere incessante delle
lacrime… Era come
un calore improvviso dopo una notte all’addiaccio, un camino
acceso dopo una
camminata nella neve… Non volevo tornare nel buio umido e
solitario del mio
dolore… almeno non subito!
«Non
preoccuparti, non vado da nessuna parte, resto qui con te.»
*****
Emile
rimase con me tutto il giorno, senza dirmi nulla, senza alcuna frase di
circostanza: era lì, mi teneva stretta tra le sue braccia e
m’incitava a
mangiare la frutta che Rita aveva sbucciato per me, rispondeva alle mie
parole
se gli chiedevo qualcosa e continuava ad accarezzarmi la testa. Era un
momento
tragico della mia vita, uno dei peggiori che avessi mai vissuto, eppure
un
angolo del mio cuore si stava beando di quel momento di dolcezza e
affetto che
avevo sempre bramato.
Il
giorno dopo come promesso, tornò a farmi visita prima di
tornare in Germania e
al suo tour: la sua presenza fu una benedizione per me
perché mi diede forza,
mi donò l’energia necessaria a smettere di
trascorrere le giornate come uno
zombie e iniziare a reagire. Quando arrivò a casa di Rita mi
trovò intenta a mangiare:
negli ultimi quattro giorni non avevo ingerito alcun alimento e il mio
stomaco
iniziava a far sentire le sue ragioni. Emile fu felice di vedermi
reagire, ma
contemporaneamente fu anche meno affettuoso del giorno prima, come se
il suo
lasciarsi andare fosse stato solo un modo per darmi forza e una volta
ottenuto
lo scopo, non fosse più necessario. Rimase per qualche ora,
finché arrivò il
momento di andar
via, dicendomi che mi
avrebbe chiamato appena avesse avuto un momento libero: prima di
congedarsi mi
guardò per con un’espressione indecifrabile, mi
diede un bacio sulla fronte e
mi disse:
«Sii
forte.» e se ne andò.
Ed
io quel giorno mi ripromisi di esserlo, forte. Per non deludere lui,
per non
deludere me, e perché c’era un’altra
persona che aveva terribilmente bisogno
della mia presenza.
*****
Andai
da Stè quel giorno stesso: non ero ancora pronta a
riprendere tutte le normali
attività, almeno finché non avessi affrontato del
tutto la situazione. E il
primo passo per l’accettazione di ciò che era
accaduto, era parlarne con Testa
di Paglia, che si era rinchiuso nel suo dolore quasi quanto avevo fatto
io.
Sua
madre mi accolse con un abbraccio e qualche frase di circostanza, mi
spiegò che
Stè trascorreva tutto il tempo in camera sua e che ne usciva
solo per mangiare
e per andare al cimitero. Fede e Sofia erano venuti anche da lui per
vedere
come stava, ma nonostante Stè fosse apparentemente in uno
stato migliore del
mio, le attenzioni esterne non avevano avuto alcun effetto sul suo
animo.
Quando
entrai in camera sua nemmeno si girò in mia direzione: era
seduto davanti alla
scrivania, con i libri di matematica aperti davanti agli appunti di
Simona e
continuava ad osservarli come se mia sorella potesse materializzarsi
attraverso
l’inchiostro. Mi avvicinai a lui e l’abbracciai
dalle spalle:
«La
solita scrittura precisa, eh?»
Iniziai
a commuovermi vedendo i numeri e le frasi tracciate dalla mano ferma e
decisa
di mia sorella: quante volte aveva cercato di aiutarmi a scuola in
quello
stesso modo?!
Stè
fece un cenno di assenso:
«La
matematica acquistava un altro aspetto spiegata da lei.»
Sentii la sua voce
tremare e poggiai la mia testa sulla sua spalla destra:
«Non
sarà lo stesso senza Simo.»
Stè
appoggiò una mano sulle mie:
«No
Testarossa, non sarà lo stesso…» e dopo
un attimo di silenzio aggiunse: «Sono
stato uno stupido!»
Le
lacrime ormai avevano preso vantaggio sul mio viso, e non feci nulla
per
fermarle:
«Allora
sei in buona compagnia Testa di Paglia, perché io sono stata
più stupida di te!»
«Mi
manca Pasi! Mi manca in modo orribile, sento un vuoto qui nel cuore e
sento una
rabbia terribile dentro di me! Perché non le ho mai detto
cosa provavo per lei?
Perché ho atteso e atteso… che cosa diavolo
attendevo Testarossa!? Ora non c’è
più, mi ha lasciato indietro e non saprà mai
quanto era importante per me!»
«Lo
so Stè, lo so! Ma almeno tu le sei stato accanto e sono
sicura che fossi una
presenza importante nella sua vita... non come me che l’ho
lasciata a se
stessa, senza darle la forza che m’invidiava, senza aprirmi a
lei, senza
diventare davvero sorelle! Io l’ho abbandonata
Stè! E questo non me lo
perdonerò mai!»
Rimanemmo
per un po’ in quella posizione, confortandoci e sostenendoci,
poi iniziammo a
celebrare il nostro personale funerale parlando di Simona e di tutti i
nostri
ricordi legati a lei: non cercammo di consolarci a parole, entrambi ci
sentivamo arrabbiati con noi stessi per averla persa prima ancora di
stabilire
con lei il rapporto che sognavamo di avere e questo comune sentimento
ci univa
più di tante parole.
Dopo
qualche ora, Stè mi accompagnò alla tomba di
Simona: lui ci andava ogni giorno per
portarle un fiore e per stare in sua compagnia. Se quando mia sorella
era in
vita aveva dovuto trovare sempre qualche scusa per farlo, ora il mio
amico era
libero di andare da lei quando voleva e dirle tutto a cuore aperto,
sperando
che ovunque si trovasse ora, Simona recepisse le sue parole.
Vidi
la sua foto, la moltitudine di fiori che aveva ricevuto, i messaggi dei
colleghi di facoltà, osservai tutto il mondo di mia sorella
attraverso le testimonianze
di chi l’aveva amata e mi assalì
un’altra ondata di pianto per quella vita
spezzata così presto, prima che i suoi sogni potessero
davvero realizzarsi. Io
e Stè ci saremmo visti qui almeno una volta a settimana, per
stare insieme
tutti e tre: avremmo raccontato a Simo quello che facevamo,
l’avremmo resa
partecipe di tutta la nostra vita ed io le avrei raccontato tutte le
mie ansie
e le mie paure e i miei dubbi sullo strano rapporto che avevo con
Emile. Non le
avrei più nascosto nulla di me, sarei stata la sorella che
avrei voluto essere,
almeno quello lo potevo ancora fare.
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NDA
*Cammina timidamente
temendo ritorsioni*
Ehm... salve a tutti...
Ci siete ancora? *me pensa a due lettrici in particolare che
minacciano in continuazione di restarci secche* Spero di non avervi
traumatizzate troppo con questo capitolo drammatico; non
avevo nulla contro la povera Simona (le ho anche chiesto scusa per come
l'ho trattata ç_ç), ma la sua dipartita mi
è risultata necessaria: gli eventi tragici della vita ci
cambiano e sia Pasi che Emile hanno subito uno scossone dentro dopo
ciò che è accaduto, scossone che era necessario
ad entrambi per andare avanti e crescere.
Quindi PLEASE non
linciatemi e non mi morite, il prossimo capitolo sarà
più lieto, ve l'assicuro! *sbatte gli occhietti con fare
convincente*
L'Angolo dei Ringraziamenti
come sempre va alle mie sorelle (che spero siano sopravvissute alla
lettura): Iloveworld, Vale, Niky, Saretta
(sempre presenti con i loro commenti, l'incitamento a pubblicare e il
loro entusiasmo per me così prezioso <3), Cicci, Ely, Ana-chan e Concy (di cui
attendo con ansia di leggere il prossimo capitolo: sister
pubblicaaaaa!!!).
Sarò
ripetitiva, ma vi ringrazio sempre dal profondo del cuore per il vostro
sostegno, e per l'incoraggimanto che mi date ogni volta che
pubblico un capitolo.
GRAZIE GRAZIE
GRAZIE
<3
Grazie a tutti, voi che
vi fermate a leggere e che vi appassionate, aiutando questo racconto
(e i miei ragazzi) a vivere.
ARIGATOU GOZAIMASU!!!!
MESSAGGIO
PROMOZIONALE.
in
una FF
letta poco fa, ho trovato un annuncio che trovo
delizioso e ho pensato di postarlo qui:
Messaggio No Profit
Dona l'8% del tuo tempo
alla causa pro-recensioni.
Farai felici milioni di
scrittori.
Non
vuole essere una critica acida, bensì un messaggio simpatico
così come
è stato concepito, per sensibilizzare chi legge non alla mia
causa in
particolare, ma a quella di chiunque abbia mai scritto qualcosa in vita
sua.
E'
un messaggio che io stessa dovrò far mio in
qualità di
recensore, poichè dovrei essere più sensibile
alla causa in quanto io stessa autrice.
Fine
dello Spot xD
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