Stuck in a (im)perfect day

di micRobs
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo 1. ***


Stuck cap 1 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Commedia/Introspettivo/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 1/7
Note D’autore: Tante e alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!


                                                                           *o*
 



Capitolo 1.


I raggi del sole penetrarono dalle imposte chiuse, gettando luce indesiderata sulle sagome ancora profondamente addormentate.
Sebastian aprì gli occhi, anticipando di qualche istante il suono della sveglia ma decidendo di trattenersi a letto per permettere alle ultime tracce di sonno di abbandonare il suo viso.
La stanza era immersa nel silenzio e, dal suo respiro regolare e cadenzato, Sebastian immaginò che Harwood stesse ancora dormendo.
Si passò una mano fra i capelli e, sbadigliando assonnato, si alzò lentamente dal letto, agognando una meritata doccia calda. Io mi alzo per primo, io decido quanto tempo sto in bagno.
Aveva fatto un sogno strano quella notte, ma adesso che si era svegliato gli risultava difficile afferrarne i dettagli e richiamarlo alla mente.
Fece una smorfia constatando che, a conti fatti, non gliene importava granché.
Dal momento che non si era curato di portare con sé la divisa, uscì dal bagno sistemandosi un asciugamano intorno ai fianchi e sperando di trovare Harwood sveglio solo per il piacere di poter iniziare la giornata con la sua impagabile espressione fintamente scandalizzata.
La buona sorte evidentemente era dalla sua parte.
Thad era in piedi accanto alla scrivania intento a sistemare la cartella per le lezioni del giorno, i vestiti diligentemente piegati sul letto in attesa di essere indossati.
Quando Sebastian uscì dal bagno, voltò leggermente il capo verso di lui senza prestargli particolare attenzione.
«La prossima volta farai bene a portarti un cruciverba, se hai intenzione di metterci tanto» propose.
Sebastian ghignò, incrociando le braccia al petto. «La prossima volta puoi venire in bagno con me, se ti scoccia aspettare.»
Thad si voltò, sgranando leggermente gli occhi alla vista che gli si parò davanti, ma ricomponendosi immediatamente per evitare che l’altro se ne accorgesse.
Ma l’altro se n’era accorto, eccome.
Sebastian ghignò, avviandosi verso l’armadio per recuperare i suoi vestiti. «Dicevi, Thad?»
Quello sbuffò, afferrando i suoi, «Ti creerebbe tanto disturbo evitare di andare in giro mezzo nudo?» borbottò, arrossendo leggermente.
Sebastian scosse il capo. «A me no. A te crea disturbo che io vada in giro mezzo nudo?» Ribatté.
Thad roteò gli occhi sparendo nel bagno e lasciando a Sebastian il tempo di ghignare a sufficienza, prima di finirsi di preparare.
Era inutile, più lui si innervosiva più a Sebastian veniva voglia di stuzzicarlo.
Thad uscì velocemente, mormorando frasi sconnesse e comportandosi come se Sebastian non fosse affatto lì.
«Reciti le tue preghiere mattutine?» Domandò, ironicamente.
Thad lo ignorò, afferrando un quaderno dalla scrivania e sfogliandolo febbrilmente prima di chiuderlo e continuare a parlottare fra sé.
Sebastian scrollò le spalle, afferrando la tracolla e uscendo dalla camera prima di lui. «Parlare da soli è il primo sintomo di pazzia» gli fece notare.
«Anche darsi più importanza di quanta non se ne possieda» ribatté Thad.
«Quella non è pazzia Thaddy» lo corresse, «si chiama presunzione.»
«Dunque ammetti di essere presuntuoso?»
«E tu ammetti di essere pazzo?»
Thad sbuffò per l’ennesima volta, aumentando il passo e mormorando qualcosa che somigliava vagamente ad un «e comunque abbiamo il compito di biologia.»
Ecco spiegato il motivo della sua preoccupante stranezza: Harwood e la biologia erano come i broccoli e il gelato alla stracciatella.

Quando giunse all’aula di storia – la prima lezione della giornata – Thad era già lì e chiacchierava con David e Flint in attesa che la campanella suonasse. Sebastian gli passò accanto, salutandoli con un cenno del capo e appoggiandosi al muro accanto a loro.
«Sebastian, la riunione con i Warblers è anticipata alle cinque» lo informò David.
«Sì» aggiunse Flint, «avrebbe dovuto dirtelo Thad, ma a quanto pare gli è uscito di mente.»
Sebastian si rivolse direttamente al suo compagno di stanza. «Evidentemente era troppo impegnato ad inventare un modo per giustificare a casa il suo prossimo fallimento in biologia» suppose. «Non essere così duro con lui.»
Sebastian non seppe cosa Thad fosse sul punto di dire. La campanella suonò e furono tutti costretti a porre fine a quel divertente siparietto: lui, David e Flint entrarono nell’aula di storia e Thad e Jeff si recarono in quella di Letteratura proprio lì accanto. Si sarebbero poi rivisti direttamente a biologia.
Sfortunatamente si ritrovò seduto al fianco di David e ciò voleva dire che, per le successive due ore, il massimo della distrazione sarebbe stato voltarsi per chiedergli il temperamatite.
David era una delle persone più stoiche ed impassibili che conosceva. Non vi era alcun divertimento nel provare ad infastidirlo, dal momento che il massimo della sua reazione sarebbe stato un concitato “shh” che, con ogni probabilità, gli avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene.
La lezione passò più velocemente di quanto Sebastian si aspettasse. Aveva continuato a prendere appunti diligentemente, assistendo a qualche suo compagno che veniva interrogato a tradimento e sbuffando annoiato di tanto in tanto.
Prima di rendersene conto, si ritrovò in un’altra aula, seduto accanto a Nick Duvall, intento a trasferire su un pezzo di carta tutte le sue conoscenze sull’apparato digerente.
Si compiacque del fatto che quella giornata sembrava stare passando più rapidamente del previsto e, senza indugiare, passò a rispondere alla domanda successiva, immaginando già quante sfumature rosse avrebbe avuto la A che avrebbe presto troneggiato sul suo compito.
«Smythe» chiamò sottovoce Nick al suo fianco. Sebastian finse di non sentirlo e continuò a dedicarsi alla sua accurata descrizione di una ghiandola endocrina.
«Smythe» ripeté l’altro, puntellandogli la penna nel gomito.
«Cosa diavolo vuoi, Duvall?» Ringhiò fra i denti, senza staccare gli occhi dal foglio.
«Che cos’è il peritoneo?» Domandò quello, concitatamente.
Sebastian roteò gli occhi. «È ciò che ti arriverà in bocca tra due minuti se non taci.»
Nick sbuffò e per un attimo tacque, così l’altro immaginò che si fosse arreso alla sua ignoranza.
Inutile dire che si sbagliava.
«Dimmelo» protestò di nuovo, «so che lo sai. Tuo padre è un fottuto medico. Le mangiavi a colazione queste cose.»  
«Certo» rispose seccato, «per questo sono venuto su bello e intelligente.»
«Smythe, hai riempito tutto il foglio, non fare lo stronzo.»
«La prossima volta studia.»
La professoressa si schiarì la voce eloquentemente ed entrambi tornarono a rivolgere la loro attenzione al proprio foglio per evitare richiami più espliciti.
Sebastian sorrise soddisfatto, completando il compito e pregustando già l’imminente successo. Gettò uno sguardo all’aula, ma i suoi compagni erano ancora intenti a scribacchiare freneticamente, lottando contro il tempo.
La sua attenzione venne catturata dalla gamba di Thad che tamburellava freneticamente a terra. Sembrava piuttosto in difficoltà a guardarlo.
Scrollò le spalle, controllando che tutto fosse in ordine, e proprio quando stava per alzarsi e consegnare, la campanella suonò e l’insegnante annunciò che il tempo era scaduto.
«Grazie tante» gli sibilò Nick.
«Figurati» rispose, ghignando.


Era davvero seccante ascoltare le loro chiacchiere inutili, ma Sebastian immaginò di non poterne fare a meno dal momento che David sembrava così ansioso di metterlo al corrente delle sue idee per la prossima esibizione da non poter aspettare la riunione di quel pomeriggio.
«…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
«Io non l’ho mai capito quell’affare» disse Trent, «come fa a piacerti, Jeff?»
Quello scrollò le spalle, «mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress» spiegò.
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose Sebastian. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
«Se tu fossi un po’ meno stronzo e pieno di te, magari non ci sarebbe bisogno di importunarti» ribatté Nick.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me, non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con l’ossigenazione» commentò Sebastian.
«Adesso basta» intervenne, risoluto, Flint. «Conservate le energie per le prove.»
Jeff sbuffò, lanciando un’occhiata truce a Sebastian e rivolgendosi a Thad con un enorme sorriso in viso.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta. «Ovviamente sarò dei vostri, che domande!»
Nick esultò e Trent si sporse per passare un braccio intorno alle spalle di Harwood e sussurrargli qualcosa all’orecchio che lo fece ridere.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche se continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che stava parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto non saresti venuto.»
«Oh» si sorprese, «la prima decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino» annuì Sebastian, «ma questa non è certo una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti va?» Si infervorò Nick.
«Di certo più di te in queste condizioni» rispose prontamente Sebastian.
«Non potevi evitare di mettere altra carne a cuocere, David?» Domandò Flint, esasperato da quel triste siparietto.
David alzò le mani in segno di resa.
Nick provò a ribattere ma un cenno della testa di Thad gli fece cambiare idea, così la discussione cadde e il tragitto fino alla mensa proseguì in maniera relativamente tranquilla.


La riunione dei Warblers fu più delirante del solito perché era Venerdì ed essendo l’ultimo giorno della settimana erano tutti esagitati in vista del week end di relax. In realtà non vi erano particolari motivazioni per tenere una riunione, dal momento che non vi erano ordini del giorno di importanza vitale da discutere, quindi avevano trascorso i primi venti minuti cercando di richiamare l’attenzione dei presenti e i successivi venti ad impedire a Jeff di rompersi qualche arto per mostrare quel passo che alla prossima esibizione proprio non poteva mancare.
Per Sebastian era stata una settimana sfiancante e tutto ciò che desiderava era tornare in camera, farsi una doccia e dormire.
Ascoltare le chiacchiere inutili di Duvall o assistere allo spettacolino improvvisato da Sterling decisamente non erano in cima alla sua lista di cose da fare prima della fine della giornata.  
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei provini seri per decidere il solista delle competizioni» buttò lì Trent.
Sebastian si voltò a guardarlo, «Seri?» Domandò retorico, «quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo, altrimenti non saremmo qui.»
«Oh, ma andiamo!» Sbottò il diretto interessato, «sappiamo tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian si voltò a guardarlo, assottigliando gli occhi, «Forse il problema è che siete voi a non riuscire a starmi dietro.»
«E tu non saresti presuntuoso?» Continuò Thad. «Sebastian ti conviene scendere dal piedistallo, perché l’aria che respiri lassù ti sta fottendo il cervello.»
Quella era una questione personale. Sebastian lo aveva intuito sin dalla prima parola di Thad.
Non erano soliti discutere in questo modo anche perché di solito Thad evitava di prendere parte alle questioni per non trovarsi costretto a doversi schierare da una parte o dall’altra.
Invece stavolta si schierava eccome. Chiaramente contro di lui. Ma se la stava prendendo per qualcosa che Sebastian non riusciva a comprendere e che non aveva niente a che fare con quell’argomento.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito di utilizzarlo a sproposito.»
«Eviti di utilizzarlo e basta» lo corresse quello, sbuffando.
«Thad?» Chiamò, cautamente, Jeff.
Quello si voltò di scatto, sgranando leggermente gli occhi nel rendersi conto di aver attirato gli sguardi di tutti su di sé.
Jeff gli domandò con gli occhi quale fosse il problema, ma Thad scosse la testa e Sebastian inarcò un sopracciglio a quel commovente quadretto di amore fraterno.
«In ogni caso» intervenne Flint, molto cautamente, «la proposta di Trent è da prendere in considerazione, ma magari non adesso» si affrettò ad aggiungere notando già che l’ambiente si stava scaldando di nuovo.
Il resto della riunione proseguì senza esaltanti colpi di scena. Sembravano tutti emozionati per questo misterioso qualcosa che sarebbero andati a fare il giorno dopo, ma Sebastian non aveva davvero voglia di pensarci o di dargli la soddisfazione di essersela presa per il loro mancato invito quando a conti fatti non era così.
Thad aveva continuato a chiacchierare con Jeff e Trent, evidentemente senza dare troppo peso al loro innocente battibecco, tanto che Sebastian suppose di essersi sbagliato e di averlo solo immaginato il risentimento e l’astio che sembravano offuscargli la vista.

Rientrò in camera dopo essere passato in biblioteca a consegnare un libro. Harwood doveva essere appena uscito dalla doccia perché l’aria era incredibilmente calda e profumata.
«Magari la prossima volta porta un paio di patate e qualche cetriolo con te, almeno la zuppa saprà di qualcosa di decente.»  
L’altro non rispose, afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò sul letto immergendosi nella lettura.
Sebastian lo fissò scettico. D’accordo, come voleva lui.
Si diresse direttamente in bagno permettendo ai muscoli di rilassarsi e alla mente di svuotarsi sotto il getto dell’acqua calda. Non poteva tornare a casa quel weekend e, per quanto aveva appreso, i ragazzi sarebbero tutti stati fuori. Ciò voleva dire che, finalmente, avrebbe avuto un po’ di tempo per sé senza dover dar retta a stupide pulci fastidiose o a ballerini ossigenati rincretiniti.
Quando uscì dal bagno, Thad era esattamente come Sebastian lo aveva lasciato.
«Hai perso la voglia di fare lo spiritoso?» Domandò, iniziando a vestirsi per andare a dormire.
Thad roteò gli occhi. «Qual è il tuo problema, Sebastian?» Sbottò, senza alzare lo sguardo dalla pagina.
L’altro ghignò. «Il mio problema, al momento, sei tu.»
«Okay» ribatté Thad, «perfetto. Tornatene sul tuo piedistallo dorato e smettila di respirare la mia aria infetta.»
Sebastian inarcò un sopracciglio, «Si può sapere qual è il tuo di problema?»
Thad si produsse in una risata bassa e isterica. «Al momento sei tu il mio problema.»
«Beh» ragionò Sebastian, «io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito non te la prendi così tanto.»
Thad chiuse il libro, mettendosi seduto e voltandosi a guardarlo. «Solo perché non passo le mie giornate ad offendere e sminuire gli altri, non vuol dire che io non me la prenda.»
«È questo il problema?» Chiese Sebastian, continuando a capirci poco e nulla in tutta quella faccenda. «Ti senti sminuito da me?»  
«No» lo contraddisse Thad. «Sei tu che ti senti superiore a me. È questo il problema.»
«Non vedo come questo possa esserti d’impiccio, Harwood.»
«Non lo metto in dubbio, Sebastian. Il tuo ego ti appanna la vista a tal punto che non so come tu faccia a sistemarti il ciuffo la mattina.»
Vi era qualcosa di stonato in quella conversazione. Ormai avevano trovato una sorta di equilibrio per evitare di pestarsi eccessivamente i piedi a vicenda, ma Thad non era mai apparso così desideroso di litigare con lui e Sebastian non comprendeva per quale motivo quella sera dovesse essere diversa dalle altre.
D’accordo, il battibecco ci stava anche, la discussione costruttiva pure, ma da dopo le Regionali doveva ammettere che il loro rapporto era leggermente migliorato e questa sfuriata insensata proprio non sapeva spiegarsela.
«Credo tu sia l’ultima persona a potermi dare dell’egoista, sai?» Gli fece notare.
Thad tacque per un attimo. Distolse lo sguardo, mordendosi un labbro e mormorando un «a volte però ti comporti proprio come tale» che fece scattare definitivamente i nervi di Sebastian.
«Se non sbaglio sei stato proprio tu a riempirmi di moine e complimenti durante le Regionali» gli ricordò. «“allora non sei cattivo”, “cantare per qualcuno ti fa onore”, “non credevo che fossi così”» gli fece il verso. Non pensava di ricordare così bene quelle parole, ma dovette ammettere a se stesso che probabilmente la motivazione era che gli aveva fatto piacere che qualcuno fosse arrivato a guardare più a fondo di quanto lui permettesse di solito. Forse era per quello che conservava un ricordo abbastanza vivido di quella chiacchierata.
«Non mi sto rimangiando nulla» chiarì Thad.
«No, certo che no» rispose, «sei qui a darmi dell’egoista quando neanche un mese fa eri sul punto di consegnarmi in lacrime il Nobel per la pace.»
E il problema dov’è?
«E di che ti stupisci? Non è che tu abbia fatto molto per solidificare quell’impressione.»
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» si ritrovò a constatare.
«E forse è proprio questo il punto, sai?» la sua voce si ridusse di parecchie ottave mentre le sue mani si abbandonavano lungo i fianchi. «Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non sapere nulla di me.»
Sebastian avrebbe dovuto decisamente rispondere qualcosa, ma lo sguardo accusatorio e ferito di Thad era insopportabile e lui continuava a sentirsi come se gli dovesse qualcosa in cambio.
«Non credo di doverti nulla» rispose, «non credevo che la tua gentilezza avesse un prezzo.»
«No, infatti» concordò Thad, «ma dovresti farlo perché ti fa piacere, non perché ti senti debitore nei miei confronti.»
«Non mi sento debitore infatti.»
Thad annuì, distogliendo lo sguardo. «Perfetto» decise. «Allora direi che siamo a posto così.»
Tacque un attimo, probabilmente in attesa che Sebastian aggiungesse qualcosa.
Quando l’altro ragazzo non si mosse, annuì e sospirò. «Buonanotte, Sebastian» fu l’ultima cosa che disse.
Si voltò scostando le coperte e sdraiandosi velocemente, dopodiché si allungò e spense la luce sul comodino.
Sebastian rimase in piedi per un attimo a riflettere su quanto appena accaduto e a sforzarsi, per quanto gli era possibile, di dargli un senso.
Aveva una strana sensazione e qualcosa gli diceva che no, non fossero a posto per nulla.

*°*°*°


Quando Sebastian aprì gli occhi, la stanza versava ancora nella semioscurità e ciò voleva dire che, l’unico giorno a settimana in cui poteva dormire di più, il suo orologio biologico aveva deciso di tradirlo. Si voltò dall’altra parte, cercando di riprendere sonno, per nulla intenzionato a lasciare il letto così presto.
Qualche istante dopo però, la sveglia suonò e lui si vide costretto a tirarsi a sedere e fissarla con sguardo truce. Ricordava distintamente di averla disattivata la sera prima.
Gettò un’occhiata all’altro letto dove Harwood poltriva ancora profondamente. Se quello era uno scherzo, faceva meglio a dire addio al suo bel faccino pulito.
Afferrò saldamente il cuscino e con un lancio ben calibrato lo spedì direttamente laddove avrebbe dovuto trovarsi la testa di Thad.
Quello soffocò un urlo, alzandosi e voltandosi a guardarlo. «Ma ti sei bevuto il cervello?» Lo apostrofò, con voce ancora assonnata.
«Ti facevo più maturo, Harwood» rispose Sebastian, «non pensavo fossi tipo da giochetti così infantili e scontati.»
L’altro alzò un sopracciglio, scostando le coperte e alzandosi in piedi. «Ma di cosa diavolo stai parlando?»
D’accordo, una cosa era volersi vendicare, seppur in maniera puerile e immatura, un’altra era negare spudoratamente quando le prove indicavano chiaramente la sua colpevolezza.
«Sto parlando di te che ti impicci nei miei affari e tocchi la mia roba.»
Thad alzò le mani in segno di resa, scuotendo il capo allibito. Dopodiché si diresse all’armadio e ne estrasse la divisa.
«Pensa quello che vuoi, io vado a prepararmi» e, così dicendo, si chiuse la porta del bagno alle spalle lasciando Sebastian da solo nella camera.
Questo sbuffò, nervoso non solo per essere stato svegliato in anticipo, ma anche e soprattutto per il dover avere a che fare con gli sciocchi comportamenti del suo coinquilino.
Andò a riprendersi il cuscino, deciso più che mai a recuperare il sonno perduto, e si sdraiò nuovamente chiudendo gli occhi.
Sentì la porta aprirsi e immaginò che Thad fosse uscito dal bagno, ma non gli diede molta importanza.
«Ti conviene muoverti se non vuoi fare tardi.»
«E per cosa, di grazia?» Sbuffò Sebastian in risposta.
«Bah» meditò l’altro, «non saprei proprio, magari per le lezioni?»
Sebastian scostò le coperte, voltandosi a guardarlo. Thad se ne stava in piedi al centro della stanza, la divisa perfettamente indossata e un quaderno aperto in mano.
«Harwood» iniziò paziente, «hai preso le tue medicine stamattina? Guarda che oggi è Sabato.»
Thad roteò gli occhi al cielo, soffocando una risata. «Mi dispiace contraddirti» agitò il quaderno in aria, «ma oggi è Venerdì.»
E no, quello era decisamente troppo strano.
«Cosa diavolo vai blaterando?» Domandò, mettendosi a sedere, «ieri era Venerdì, oggi è sicuramente Sabato.»
Thad ghignò, infilando il quaderno in borsa e mettendosi la tracolla sulle spalle. «Vorrei che tu avessi ragione, Smythe. Significherebbe che avrei già fatto il compito di Biologia, ma purtroppo non è così.»
Sebastian sgranò gli occhi. «Ma lo abbiamo già fatto ieri!» Gli fece notare.
L’altro arricciò le labbra. «Quanto hai bevuto ieri sera?» Domandò, pratico.
Sebastian si passò stancamente una mano sugli occhi, massaggiandosi le tempie. «Harwood ero con te ieri sera» gli ricordò. Avevano litigato come non mai, non poteva essersene dimenticato!
«Sì» concordò Thad, «ma quando sono andato a dormire non c’eri. Solo tu sai cosa hai fatto dopo.»
E no, quello non aveva alcun senso.
Aveva studiato in camera con Thad quella sera e poi era uscito prima che lui andasse a dormire. Ed era vero.
Solo che era successo Giovedì.
Sebastian ne era assolutamente certo.
C’era decisamente qualcosa che non quadrava in tutta quella faccenda.
 


 




Pentagramma!
Devo per forza chiamarlo così, dal momento che le note sono davvero troppe oggi!
Innanzitutto, grazie per essere arrivati fin qui, non avete idea di quanta sia la mia soddisfazione a questo punto.
Tengo moltissimo a questa storia e spero di riuscire a farla piacere a voi almeno quanto ho adorato io scriverla (anche se credo che arrivata a questo punto la continuerei a postare anche se la leggessi solo io!)
In ogni caso, iniziamo con le note!
-    Nota numero 1. La cosa più importante da sapere è che la presente mini-long si comporrà di 6 capitoli + un epilogo e che la metà di questi sono già stati scritti. Gli aggiornamenti avverranno con ogni probabilità una volta a settimana e ogni volta che posterò un nuovo capitolo risponderò alle eventuali recensioni del precedente. Avevo pensato di iniziare a postarla solo una volta averla terminata, ma poi la voglia ha preso il sopravvento ed io mi sono trovata a cedere prima ancora di rendermene conto. La cosa fondamentale, però, è che Vals mi ha promesso che mi prenderà a randellate nel remoto caso in dovessi decidere di abbandonarla incompiuta, quindi non dovete preoccuparvi di questo!
-    Nota numero 2. Uno degli svantaggi di avere un OTP composto da due personaggi che non si sono mai neanche parlati ufficialmente, è il fatto che la maggior parte della loro caratterizzazione sia composta da head canon.
Per la caratterizzazione di Sebastian mi sono attenuta al personaggio presentatoci dallo show, in tutte le sue sfaccettature e da ogni punto di vista da cui lo abbiamo potuto osservare. Per la caratterizzazione di Thad la questione è lievemente differente, dal momento che di Thad non sappiamo nulla (a parte che non dobbiamo prenderci gioco di lui e che “questa canzone nella tonalità di Blaine è anche migliore di quella originale” anche se non ci è dato sapere di che canzone si stesse parlando). In ogni caso, per scrivere su di lui io mi sono basata principalmente su quel po’ che sappiamo di Eddy Martin e sull’idea fanon che Thad sia una persona meravigliosa, tanto zucchero e  miele ma capace di tenere testa a Sebastian.
Ad onor del vero, parte di questa caratterizzazione, così come l’idea di loro due come compagni di stanza, deriva dall’Agenda di Somo, pioniera di questo pairing e prima fanwriter a scrivere una long su loro due.
-    Nota numero 3. In questo capitolo Sebastian è uscito un po’ stronzo ed io mi sono resa conto di aver davvero abbondato con i dettagli inutili: sia chiaro che niente di tutto ciò è messo qui a caso ma che tutto avrà un’importanza fondamentale per il futuro.
-    Nota numero 4. Questa storia non sarebbe qui senza il prezioso contributo di tre meravigliose persone che io devo assolutamente ringraziare.

•    SereIlu: lei che c’era quella sera che “Sere vado un attimo a cena” e poi, mezz’ora dopo “oddio mi è appena venuta l’idea per una fic che devo assolutamente scrivere”. Lei che mi ha sostenuto in ogni istante, lei che mi ha spronato, che ha letto ogni capitolo, che mi ha fatto le sue considerazioni, che mi ha pregato di proseguire e mi ha mostrato tutto l’entusiasmo di cui avevo bisogno per poter continuare a scrivere. Senza Sere questa storia non sarebbe qui, senza Sere io mi sarei arresa ancor prima di scrivere il primo rigo.
•    Somo: un ringraziamento speciale a lei che ha ascoltato ogni mio delirio che mi ha invogliato a scrivere anche quando non ne avevo voglia, che mi ha sostenuta quando volevo mollare e che ha condiviso con me le difficoltà di farsi ubbidire da Sebastian! Lei che ha letto ogni capitolo e poi “Ho delle teorie” e giù a parlare di cosa sarebbe accaduto, di pensieri e sensazioni, di paure e aspettative. L’entusiasmo e l’approvazione di Somo erano il miglior toccasana di cui avessi bisogno perché avere il consenso di lei, che è stata la pioniera di questo pairing, per me era fondamentale.
•    Vals: la mia Vals. Potrei stare a parlare per ore di come ogni sua parola sia stata indispensabile per la stesura di questa storia e non riuscirei a farvi capire neanche lontanamente quanto lei sia speciale. Lei che mi ha ascoltata, che mi ha consigliata, che mi ha fatta gongolare come poche cose al mondo, che mi ha aiutata a rendere più fluidi tutti i passaggi che stonavano, che ha plottato interi capitoli con me la sera per sms e nel letto. Senza lei non solo questa storia, ma molte altre non avrebbero visto la luce e sento davvero il bisogno di ringraziarla per tutto quello che è ma, soprattutto, per tutto quello che sono io da quando la conosco.
-    Nota numero 5. Un contributo fondamentale mi è giunto, seppur inconsapevolmente, dalle TrollGirls di Twitter: passare intere serate a sclerare e trollare con voi è stato davvero capace di ispirarmi più e più volte. Siete speciali ed siete la mia dose giornaliera di buon umore!
-    Nota numero 6. Ulteriore ringraziamento a SereIlu per essere l’autrice del meraviglioso poster di questa storia!


Vi lascio un paio di "indirizzi utili" ai quali rintracciarmi per qualsivoglia genere di informazione! Facebook (per deliri in compagnia, quattro chiacchiere, eventuali spoiler, novità sugli aggiornamenti e quant'altro) e Twitter (per trollare tutti insieme appassionatamente ed assistere alle mie figuracce internazionali)

Null’altro, davvero ho detto fin troppo! Ci vediamo al prossimo aggiornamento e wow, siete davvero arrivati fin qui? Lasciatevi fare i miei complimenti *offre pan di stelle*

Thalia.

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Capitolo 2
*** Capitolo 2. ***


Stuck 2 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Commedia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 2/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!




                                               *o*






Capitolo 2.

Una volta Sebastian aveva fatto sesso con una ragazza. Insomma, “fare sesso” era un’espressione esagerata. Diciamo che si era infilato dentro di lei e poi si era comportato esattamente come se lei fosse un uomo. Era stato tutto molto umido e… rumoroso e fin troppo veloce. Sebastian non ricordava neanche che faccia avesse lei, ma aveva ben impressa l’espressione basita di suo cugino quando gli aveva comunicato di aver raggiunto e superato la terza base.
Era stata un’esperienza strana e assolutamente da non ripetere. Si era sentito come se si trovasse nel posto sbagliato al momento sbagliato ed era una sensazione disagevole ed inappropriata. Inutile dire che dopo quello aveva avuto l’assoluta certezza di essere gay, se mai ne avesse avuto qualche dubbio.
Comunque, era stata forse l’esperienza più deprimente e angosciante della sua vita, ma era nulla in confronto a ciò che gli stava accadendo in quel momento.
Perché si trovava nell’aula di storia e Jordan era di nuovo interrogato e di nuovo non ricordava la data della distruzione di Pearl Harbor.
Le cose erano due. O Jordan era un idiota (come gli stava di nuovo facendo notare il professore) oppure tutta la scuola si era mobilitata per giocargli il più diabolico degli scherzi. O lui stava impazzendo, terza opzione ma assolutamente non ponderabile.
Decidere di non credere ad Harwood si era rivelato completamente inutile quando la prima campanella era suonata ricordando loro che entro mezz’ora sarebbero iniziate le lezioni.
Si era visto costretto ad alzarsi e prepararsi, assecondando quella follia collettiva che non riusciva a spiegarsi. L’unica soluzione plausibile che era riuscito a trovare consisteva nel convincersi che si fosse trattato di un sogno e che lui in realtà non aveva mai vissuto quel giorno. Ecco spiegato perché sembrasse l’unico a preoccuparsi del fatto che, con ogni logica, avrebbe dovuto essere Sabato.
Inutile dire che l’ipotesi del sogno si era screditata da sola non appena David gli aveva annunciato che la riunione dei Warblers era stata anticipata. Quella non poteva essere una coincidenza e neanche tutta la discussione che ne era seguita.
La giornata era iniziata da neanche due ore e Sebastian aveva già la testa che gli girava. Grandioso.
«David» chiamò sottovoce.
Quello si voltò con un’espressione stizzita in viso – sì, David era di nuovo il suo compagno di banco. «Dimmi, Sebastian» bisbigliò in risposta.
«Che giorno è oggi?» Buttò lì.
David aggrottò la fronte rivolgendogli un’occhiata scettica. «È il 16 marzo» rispose, dubbioso.
Sebastian sbuffò. Rivolse un’occhiata al professore, ancora intento a ricordare nuovamente a Jordan quanto fosse inetto, prima di proseguire. «Intendevo che giorno della settimana è» specificò.
Se David pensò che Sebastian fosse impazzito, non lo diede a vedere. Si limitò ad alzare un sopracciglio e a rispondere un concitato «Venerdì?» che fece deprimere maggiormente Sebastian.
Quest’ultimo si voltò nuovamente verso la cattedra, annuendo leggermente e cercando di non pensare a quanto sembrasse sempre più reale e concreta la terza opzione.


Vi era qualcosa che continuava a non tornare in tutta quella faccenda.
E Sebastian non si riferiva solo al fatto che sapeva esattamente quali domande sarebbero uscite al compito di biologia.
Voltò il foglio freneticamente, cercando un indizio che gli facesse iniziare a sperare di non essere completamente uscito di testa.
Vi era un’unica, ultima, speranza alla quale appellarsi.
Siccome ormai aveva assodato che non poteva aver già sognato quel giorno, ciò che rimaneva era che probabilmente stava sognando un giorno già vissuto.
Era un ragionamento assurdo e, come se non bastasse, non riusciva a capacitarsi del fatto che il suo subconscio doveva essere davvero alla frutta per giocargli un tiro così meschino.
Eppure non poteva che essere così, non vi erano altre spiegazioni.
Sospirò, rassegnandosi a quella ridicola messa in scena del suo cervello e sperando che almeno finisse presto. Era come guardare un film già visto: sai già cosa accadrà e non hai più motivo per essere in ansia o farti delle aspettative. Era noioso.
«Smythe.»
No, Duvall no.
Si impose di non rispondere per evitare di veder andare in fumo quel po’ di autocontrollo che ancora gli era rimasto e continuò a concentrarsi sul foglio di carta che si ritrovava a riempire per inerzia.
«Smythe» ripeté Nick, puntellandogli il gomito con la penna.
«Cosa diavolo vuoi, Duvall?»
Ed era assurdo perché lui sapeva esattamente cosa Nick volesse, eppure non aveva potuto fare a meno di sentirsi obbligato a domandarglielo, dal momento che lo aveva già fatto e che sapeva di doverlo fare.
Che cos’è il peritoneo?
«Che cos’è il peritoneo?»
Sarebbe stata una giornata infernale.
«È ciò che ti arriverà in bocca tra due minuti se non taci.»
E di nuovo, aveva parlato sapendo di doverlo fare e di dover assecondare Duvall nel suo discorso delirante. Come se Nick gli avesse servito la battuta di un copione già studiato e lui avesse dovuto per forza rispondere così perché così era scritto.
L’ultima cosa che notò, prima che la campanella suonasse, fu la gamba di Thad che tamburellava freneticamente a terra. Di nuovo. E di nuovo non poté fare a meno di pensare che Thad sembrava davvero in difficoltà.
Si alzò in piedi, fiondandosi fuori dall’aula con il preciso intento di sfuggire al placcaggio degli altri Warblers per evitare eventuali siparietti spiacevoli. A quanto sembrava però, quella giornata surreale, era stata programmata per essere identica a quella precedente, così non poté evitare di imbattersi in David e in tutti gli altri diretti a mensa.
Dovette ammettere, comunque, che per essere un sogno era davvero realistico. Di solito non era così padrone di se stesso e delle sue azioni; di solito non poteva controllare i suoi comportamenti, riflettere o pensare alcunché. Era un sogno ben strutturato dopotutto. Si congratulò con la sua mente intanto che David procedeva nell’illustrargli i futuri programmi dei Warblers. Come se non li sapesse già.
«…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
Cristo, Sterling, ancora?
«Io non l’ho mai capito quell’affare» disse Trent, «come fa a piacerti, Jeff?»
Ecco, pensò Sebastian, ci risiamo.
Quello scrollò le spalle, «mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress» spiegò.
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose Sebastian. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
E ancora, le parole lasciarono le sue labbra prima che lui riuscisse a decidere di pensare ad altro. Però aveva assodato che aveva pieno possesso delle sue facoltà mentali, per quale motivo allora non riusciva a controllare ciò che diceva?
«Se tu fossi un po’ meno stronzo e pieno di te, magari non ci sarebbe bisogno di importunarti» ribatté Nick.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me, non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con l’ossigenazione» commentò Sebastian pensando che, purtroppo, la testa girava anche a lui.
E non vi era modo per cambiare quel benedetto discorso. Loro servivano la battuta e Sebastian si ritrovava a rispondere esattamente come aveva già fatto e come sapeva di dover fare.
Ascoltò distrattamente Flint cercare di portare l’ordine tra di loro, Jeff chiedere a Thad se sarebbe stato dei loro il giorno dopo e Thad rispondere affermativamente e con entusiasmo.
E poi di nuovo, una provocazione da parte di Sterling e Sebastian che si ritrovava battibeccare con lui e a rispondere a David e a Nick, di nuovo.
Ed era noioso, era maledettamente noioso e asfissiante.
Sapere di avere il controllo sui propri pensieri ma non poter esercitare lo stesso potere sulle proprie parole e le proprie azioni.
Sperò con tutto il cuore che il suo cervello decidesse presto di porre fine a quella ridicola farsa e di passare a qualcosa di più interessante. Oppure che la stanza andasse a fuoco e Thad lo svegliasse urlando.
Qualunque cosa, ma non quello strazio.


Non vi era un modo piacevole di mandare giù la pillola. Sebastian se ne era reso conto nel momento esatto in cui Jeff aveva iniziato a ballare.
Si era rassegnato a dover prendere parte nuovamente alla riunione dei Warblers, senza poter fare nulla per sottrarsi a quella tortura indesiderata.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei provini seri per decidere il solista delle competizioni» buttò lì Trent.
Sebastian si voltò a guardarlo esasperato. «Seri?» Domandò retorico. «Quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di freccette?»
Dovette ammettere, però, che quell’insinuazione lo aveva fatto arrabbiare davvero e che, con ogni probabilità, avrebbe risposto così anche se le sue parole non fossero state dotate di vita propria.
Difendere il suo ruolo da solista dalle frecciatine di Sterling e Duvall non era esattamente il modo in cui aveva intenzione di impiegare il pomeriggio, a maggior ragione se poteva prevedere quasi con esattezza cosa avrebbero detto in ogni momento. Era frustrante ed era decisamente inutile stare a litigare con loro quando poteva tranquillamente svegliarsi e godersi il suo weekend di meritato risposo.
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse comunque» gli fece notare Thad.
E Thad sembrava ancora avercela con lui per dei motivi apparentemente ignoti. E di nuovo Sebastian ebbe l’impressione che non fosse solo quella la motivazione del risentimento e dell’astio che gli sporcavano la voce. Anche in relazione alla litigata che avrebbero avuto di lì a poche ore, la reazione di Thad era decisamente eccessiva e Sebastian non aveva né la voglia né il motivo di mettersi a sindacare e a fare supposizioni azzardate su quale fosse il vero problema di fondo.
Si voltò a guardarlo, assottigliando gli occhi. «Forse il problema è che siete voi a non riuscire a starmi dietro» rispose stancamente.
E sapeva ciò che Thad stava per obiettare e sapeva ciò che lui stava per rispondere perché era inevitabile discutere con Thad. Era inevitabile rispondere alle sue insinuazioni, così come gli era impossibile non provocarlo. E non era neanche il fatto che con ogni probabilità le parole gli sarebbero venute fuori comunque in quel modo, era proprio una questione di principio. Il volergli rispondere e il dovergli rispondere a tutti i costi in quel modo.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito di utilizzarlo a sproposito.»
Vero, il suo cervello era molto più fantasioso e si divertiva di gran lunga a fargli vivere un maledetto déjà-vu dalla durata chilometrica senza una ragione apparente.
Si passò una mano sul viso, convincendosi che mancava poco e che poi, finalmente, avrebbe riaperto gli occhi con l’intenzione di non chiuderli mai più se rischiava di andare di nuovo incontro a tutto quello.
Quando i ragazzi annunciarono la fine della riunione, Sebastian si alzò e, assecondando il suo cervello, si recò direttamente in biblioteca a consegnare di nuovo quel maledetto libro.
Nella sua mente la consolazione che finalmente mancava solo l’ultimo atto a porre fine a quella ridicola commedia e che, sapendo già a cosa andava incontro, avrebbe avuto un vantaggio non indifferente su Harwood.
Almeno si sarebbe svegliato di buon umore.

 
Fissò la porta della camera per una manciata di secondi, preparandosi a ciò che sarebbe accaduto di lì a poco. Non aveva senso procrastinare, ma l’idea di dover ascoltare di nuovo Thad dargli dell’egoista lo mandava in bestia. Meglio arrivare preparati, dal momento che questa volta doveva obbligatoriamente trovare un modo per avere l’ultima parola. Ecco, anche questo lo infastidiva. L’idea di dover rivivere quella scena allo stesso modo della volta precedente implicava che, seppur in minima parte, ne sarebbe uscito sconfitto. E la cosa era inconcepibile.
Sospirò, abbassando la maniglia e lasciandosi ingabbiare da quella cappa di profumo e calore che regnava sovrana in quella stanza.
«Magari la prossima volta porta un paio di patate e qualche cetriolo con te, almeno la zuppa saprà di qualcosa di decente.»  
E non avrebbe voluto iniziarla così la conversazione ma, davvero, a che temperatura usava l’acqua quello lì? Se stava cercando di ustionarsi era decisamente sulla giusta via.
Thad non rispose. Si limitò ad afferrare un libro dalla scrivania e a stendersi sul letto. Di nuovo.
Sebastian roteò gli occhi, assecondando i suoi piedi e dirigendosi in bagno con l’intenzione di farsi una doccia rilassante. Insomma, era esattamente quello che doveva fare, no?
Quando uscì dal bagno non si stupì di trovare l’altro esattamente come lo aveva lasciato. Ma che problema aveva?
Prima lo attaccava come se fosse il Nemico Pubblico Numero 1 e poi si barricava dietro un improvvisato muro del silenzio facendo la parte dell’indifferente?
«Hai perso la voglia di fare lo spiritoso?» Domandò, iniziando distrattamente a vestirsi per la notte.
«Qual è il tuo problema, Sebastian?»
Sebastian ghignò. Rispondergli era così maledettamente semplice.
«Il mio problema, al momento, sei tu.»
Eppure era quella la parte più divertente: lui sapeva esattamente cosa Thad stava per rispondere, mentre Thad non aveva la minima idea di quello a cui andava incontro rispondendogli in quel determinato modo. Era esaltante, Dio se lo era. Sapere di avere il completo controllo sulla conversazione e sulla situazione. Un parte di lui gli ricordò che non era affatto in pieno possesso delle redini di quella storia, dal momento che sembrava destinata a svolgersi esattamente nello stesso identico modo della volta precedente, ma Sebastian si costrinse a zittirla perché il vedere Thad in difficoltà era già abbastanza appagante. Gli avrebbe fatto pagare il giorno dopo l’arroganza di aver avuto l’ultima parola.
«Okay» ribatté Thad, «perfetto. Tornatene sul tuo piedistallo dorato e smettila di respirare la mia aria infetta.»
Era inutile. Quelle parole trasudavano ostilità e rancore da ogni poro e per quanto si sforzasse non riusciva proprio a ricordare di aver offeso Harwood in maniera tale da meritare tutto quell’accanimento nei suoi confronti.
«Si può sapere qual è il tuo di problema?» Sbottò, sinceramente interessato.
E poco importava che Thad gli avrebbe risposto che al momento il suo problema era lui. Aveva bisogno di una giustificazione sensata a quell’avversione che non sentiva di meritare.
‹‹Beh» ragionò Sebastian, «io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito non te la prendi così tanto.» Ed era effettivamente vero.
Thad chiuse il libro, mettendosi seduto e voltandosi a guardarlo. «Solo perché non passo le mie giornate ad offendere e sminuire gli altri, non vuol dire che io non me la prenda.»
«È questo il problema?» Chiese Sebastian, continuando a capirci poco e nulla in tutta quella faccenda. In che modo quello avrebbe potuto rappresentare un problema per Thad? Lui non aveva mai cambiato il suo modo di comportarsi, anzi. Era sempre stato coerente con se stesso, agendo esattamente come ci si aspettava da lui. Thad lo sapeva, lo aveva sempre saputo e non ne aveva mai fatto una tale tragedia. Per questo era portato a credere che in realtà ci fosse qualcos’altro. «Ti senti sminuito da me?»  
«No» lo contraddisse Thad. «Sei tu che ti senti superiore a me. È questo il problema.»
«Non vedo come questo possa esserti d’impiccio, Harwood.»
«Non lo metto in dubbio, Sebastian. Il tuo ego ti appanna la vista a tal punto che non so come tu faccia a sistemarti il ciuffo la mattina.»
E l’Oscar per la conversazione più insensata va a… Thad Harwood!
Sebastian si passò stancamente una mano sugli occhi.
Discutere con Thad era sfiancante. Dio, avrebbe avuto bisogno di un’altra dormita, una volta svegliatosi da quella.
Continuava a parlare per inerzia, rispondendo alle sue insinuazioni con la testa completamente immersa in altri pensieri. Ragionava sul fatto che quel sogno fosse davvero realistico e che il suo cervello dovesse essere davvero sopraffino per essere riuscito a memorizzare ogni dettaglio di quella giornata e averglielo riproposto in maniera così vivida e precisa.
Altra prova che non lasciava spazio a dubbi su chi fosse superiore a chi.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» si ritrovò a constatare nuovamente.
«E forse è proprio questo il punto, sai?» Mormorò Thad a bassa voce, abbandonando le mani lungo i fianchi. «Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non sapere nulla di me.»
So il minimo indispensabile da non desiderare di sapere altro.
«Non credo di doverti nulla» sbuffò, esasperato, «non immaginavo che la tua gentilezza avesse un prezzo.»
Dai che manca poco.
«No, infatti» concordò Thad, «ma dovresti farlo perché ti fa piacere, non perché ti senti debitore nei miei confronti.»
«Non mi sento debitore infatti.»
Thad annuì, distogliendo lo sguardo. «Perfetto» decise. «Allora direi che siamo a posto così.»
Cazzo, sì! Adesso siamo davvero a posto così.
Strinse il pugno, desiderando come non mai di aprire gli occhi, svegliarsi e scoprire di avere la stanza libera e la prospettiva di una giornata di assoluto relax.
«Buonanotte, Sebastian.»
Sebastian sorrise, guardandosi intorno e attendendo che un misterioso qualcosa lo risucchiasse fuori da quella distorta dimensione onirica e lo riportasse finalmente nel suo letto.
Si avvicinò al comodino e, ripetendo le stesse azioni della volta precedente, afferrò la sveglia e schiacciò l’apposito pulsante per disattivare l’allarme.
Dopodiché si sdraiò, incrociando le mani dietro la testa e attendendo.


*°*°*°
Quando riaprì gli occhi, il silenzio della stanza era interrotto solo dal respiro regolare del suo compagno. Si trattenne a letto, passandosi una mano sugli occhi per scacciare le ultime tracce di quel sogno assurdo e agognando una meritata doccia calda come premio per la nottata appena trascorsa.
Mai più. A costo di settare l’allarme ogni ora per svegliarsi da eventuali sogni molesti, non avrebbe più vissuto un’esperienza del genere.
Quando qualche istante dopo la sveglia suonò, Sebastian sbarrò gli occhi, il cuore che gli martellava nel petto e il respiro accelerato.
Si tirò a sedere, afferrando precipitosamente il cellulare dal comodino e sentendo l’aria abbandonargli i polmoni nel leggere la data sul display.
Non poteva essere il 16 Marzo.
Non di nuovo.







Noticine carine carine.
Una settimana precisa, visto che brava?
Bando alle ciance, salve!
Innanzitutto, grazie per essere giunti fin qui! Mi rendo conto del fatto che questo capitolo sia un po’ statico e fin troppo introspettivo, però avevo davvero bisogno di esplorare la testa di Sebastian e di soffermarmi su ciò che è accaduto al suo interno! Vi garantisco e prometto che il prossimo capitolo sarà notevolmente più attivo e …interessante! #ParoladiLupetto
Anyway, vi ringrazio per l’entusiasmo con il quale avete accolto me e la mia storia! Siete stati un toccasana per la mia ispirazione e vi meritate tutta la puntualità che posso darvi con i miei aggiornamenti! Grazie dunque a tutti coloro che hanno seguito, ricordato, preferito e recensito la mia bimba! Come annunciato, passo immediatamente a rispondervi!

Vi ricordo un paio di indirizzi utili al quale cercarmi per qualsivoglia genere di informazione o sclero: Facebook e Twitter

E nulla più, siete talmente tanti che mi avete finito tutti i Pan di stelle! xD
Bon, vi ho preparato un tiramisù al volo, tanto per gradire! *offre fettina di dolce*
Al prossimo capitolo,

Thalia!




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Capitolo 3
*** Capitolo 3. ***


Stuck 3 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 3/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!




                                            *o*


 
Capitolo 3.

«Che cos’è il peritoneo?»
Sebastian deglutì lentamente, stringendo le mani al bordo del banco tanto forte da farsi sbiancare le nocche.
Respirò una, due, tre volte, prima di sospirare e mormorare concitatamente la sua risposta.
«È ciò che ti arriverà in bocca tra due minuti se non taci.»
Non ascoltò ciò che ribatté Duvall, non ne aveva bisogno e non gli interessava minimamente.
Voleva solo svegliarsi e porre fine a quell’inferno.
Una volta stabilito che non poteva trattarsi di un sogno, vi era solo un’alternativa concepibile: doveva essere un incubo. Un vivido e macabro incubo.
Non uno di quelli in cui sei inseguito dal cattivo di turno e muori in mille modi diversi. Uno di quelli asfissianti, in cui ti manca l’aria e i polmoni esplodono. Uno di quelli che ti fanno avere paura di addormentarti, per l’angoscia e il terrore che ti lasciano addosso. Uno di quelli che non abbandoni la mattina sul cuscino, ma che ti accompagnano durante tutta la giornata.
Eppure Sebastian sapeva di mentire a se stesso, sapeva di cercare appigli scivolosi ad una situazione che gli stava sfuggendo inesorabilmente di mano.
Una volta scartate le ipotesi razionali, ciò che rimane deve essere indubbiamente la verità. Per quanto improbabile e sfuggente.
Sebastian ci aveva provato a scendere a patti con se stesso e a non lasciarsi corrompere da quei pensieri impossibili, ma era davvero difficile mantenere la calma quando il resto del mondo era convinto di essersi tranquillamente svegliato in un soleggiato Venerdì di marzo, mentre lui si accingeva a vivere quel giorno per la terza volta di seguito.
Continuava a rispondere a Nick come già aveva fatto le altre volte e come ormai sapeva di dover fare, mentre la sua mente correva veloce ed i suoi occhi si spostavano frenetici nell’aula.
Intorno a lui vi erano solo teste chine e mani nervose. Il grattare delle penne sul foglio era l’unico rumore che scandiva il tempo e i suoi respiri affannosi stonavano con la tranquillità che apparentemente regnava nell’aula.
«Ti conviene scrivere qualcosa, se non vuoi essere rimandato.»
La voce di Nick gli arrivava lontana e distorta e riusciva a comprendere solo in parte ciò che stava dicendo, sebbene fosse a pochi centimetri da lui. Gettò uno sguardo sul foglio, constatando che era ancora candido e immacolato come gli era stato consegnato due ore prima e riflettendo sul fatto che in quel momento l’eventuale bocciatura in biologia era l’ultimo dei suoi problemi.
Le sinapsi del suo cervello dovevano essere particolarmente surriscaldate, perché quando si rese conto di ciò che era appena accaduto, Nick lo fissava preoccupato e in attesa di una risposta.
Ci mise relativamente poco a raddrizzarsi e a sbattere le palpebre perplesso, mentre i vari tasselli di quello sconcertante puzzle andavano a posto.
«Cosa hai detto?» Domandò, il tono serio e la gola improvvisamente secca.
Nick gli rivolse un’occhiata perplessa, ma Sebastian non se ne curò particolarmente. «Ti ho caldamente invitato a scrivere qualcosa altrimenti puoi anche dire addio alla tua media perfetta» ripeté quello.
L’altro non rispose. Si limitò a spostare nuovamente lo sguardo umettandosi le labbra pensieroso.
Il piede di Thad tamburellava ancora a terra e Sebastian si ritrovò ad imitarlo, fissando la sua gamba che si muoveva a ritmo ma senza in realtà vederla.
Si rendeva solo in parte conto di ciò che era successo, perché la sua mente lavorava in maniera talmente frenetica da non riuscire ad afferrare agevolmente un pensiero prima di passare al successivo.
Aveva cambiato qualcosa.
Aveva impedito che la conversazione si svolgesse nello stesso modo delle due volte precedenti e lo aveva fatto perché era cambiato il suo modo di comportarsi.
Tutto ciò doveva avere un senso, e l’unico che riusciva a trovarci Sebastian faceva venire mal di testa solo a pensarci.
Era riuscito a cambiare la conversazione e lo aveva fatto perché aveva cambiato il suo comportamento. Il suo comportamento però era cambiato a causa di quel ripetersi infinito di quello stesso giorno. Era come il gatto che si mordeva la coda ed era poco, molto poco, ma era già qualcosa.
Forse poteva non impazzire. O forse era impazzito già e quello era uno dei pochi momenti di lucidità che gli rimanevano prima di tornare nell’oblio dei sensi.
Riflettendoci poi, non era neanche la prima volta che accadeva. Il giorno prima era stato troppo occupato a trovare un modo per giustificare quella bizzarra situazione per rendersi conto che più volte aveva avuto occasione di modificare il corso degli eventi.
Ad esempio, la discussione con Thad avuta quella mattina. La chiacchierata con David durante l’ora di storia, di nuovo Thad gli chiedeva se si sentiva bene poche ore prima, e adesso Duvall che si preoccupava della sua media.
Questa nuova consapevolezza, unita al ricordo di come si sentisse obbligato a rispondere in determinati modi, portava ad un’unica e chiara soluzione.
Ovvero, che se evitava di fare in modo che gli eventi prendessero la piega stabilita, forse poteva modificarli ed impedire che la giornata si svolgesse sempre allo stesso modo.
Insomma, doveva essere quello il punto, no? Cambiare qualcosa e porre fine a quello strazio una volta e per sempre.
Come in quel film di Natale in cui, fino a che il cinico e anti-natalizio protagonista non ebbe detto “vorrei che fosse sempre Natale”, aveva continuato a rivivere quel giorno all’infinito.
Forse il punto era quello.
«Vorrei che fosse sempre Venerdì» borbottò a mezza voce, ostentando un entusiasmo fittizio.
Si guardò intorno, in attesa di un qualunque segnale mistico e profetico, ma l’unica cosa che accadde fu che la campanella suonò e che l’insegnante annunciò che il tempo era finito.
Sebastian sospirò afflitto ma, prima di avere il tempo di pensare ad alcunché, un’idea gli attraversò improvvisamente la mente e lui si ritrovò a fiondarsi fuori dall’aula alla ricerca di David.
Se voleva – e doveva – cambiare quella giornata, da qualche parte bisognava pur iniziare.


David lo aveva guardato con un sopracciglio inarcato, probabilmente domandandosi se Sebastian stesse bene, prima di chiedere spiegazioni e meditare attentamente sulla proposta.
Non era esattamente usuale proporre di annullare una riunione dei Warblers con così poco preavviso, ma le motivazioni che Sebastian adduceva erano convincenti e il suo sorriso persuasivo non poteva di certo essere ignorato.
«Fidati di me» disse, «non abbiamo motivo di tenere una riunione, dal momento che non abbiamo ordini del giorno importanti e la prossima esibizione è lontana. Finiremo con il perdere tempo inutile che potremmo utilizzare per dedicarci ad altro.»
E Dio solo sapeva quanto fosse assolutamente certo di quanto affermava.
Comunicarlo agli altri non fu tanto difficile, dal momento che Sebastian era perfettamente a conoscenza del fatto che si sarebbero incontrati per andare a mensa.
La notizia fu accolta con più entusiasmo di quanto il ragazzo si aspettasse. Fuori era una bella giornata e la maggior parte di loro non vedeva l’ora di concedersi un paio d’ore di meritato relax. Tanto più che era, neanche a dirlo, Venerdì ed essendo l’ultimo giorno della settimana non avevano poi molto da dirsi alla riunione. Naturalmente Sebastian sapeva che avevano perfettamente ragione, ma si guardò bene dal dirlo ad alta voce.
Jeff propose di organizzare un pomeriggio all’insegna del risposo e annunciò a tutti che lui e Nick avrebbero volentieri messo a disposizione la loro tv e la loro console di videogame per chiunque avesse voluto approfittarne. Inutile dire che Trent fu il primo ad essere favorevole alla proposta e Nick obbligò anche Thad a partecipare a quel loro passatempo ad alto livello intellettuale.
David annunciò che avrebbe trascorso quel paio d’ore portandosi avanti con i compiti, per tenersi libero il week-end, e Flint rivelò che un punching-ball e un paio di guantoni da boxe fossero tutto ciò di cui aveva bisogno per impiegare il pomeriggio.
Sebastian constatò che quella fosse l’idea migliore che avessero partorito fino a quel momento e decise di unirsi a lui per provare a sfogare quella maledetta rabbia repressa che lo stava annichilendo in quei due giorni. Almeno avrebbe svuotato la mente e sarebbe stato capace di analizzare la situazione in maniera distaccata e razionale.

Sebastian uscì dagli spogliatoi della palestra già in tenuta sportiva. Posò l’asciugamano su di una panca, avvicinandosi a Flint che era già accanto al sacco da boxe.
«Facciamo a turno?» Domandò quest’ultimo non appena Sebastian fu sufficientemente vicino.
Sebastian annuì. «Comincia tu» propose, indossando i guantoni e afferrando il sacco di fronte a lui per permettere a Flint di colpirlo agevolmente.
Flint si mise in posizione, alzando la guardia e sferrando un pugno dopo l’altro, facendo vacillare impercettibilmente Sebastian.
Fissava l’obiettivo senza distogliere lo sguardo, visualizzando il bersaglio e caricando il suo destro in maniera precisa ed efficace.
«Sei bravo» constatò Sebastian. E lo era davvero.
Flint ghignò, alzando lo sguardo su di lui. «Ognuno ha i propri metodi per sfogarsi» rispose, colpendo il sacco ancora una volta e passandosi il guantone sulla fronte per asciugare il sudore.
Sebastian si morse un labbro, aumentando la presa e incassando il colpo. «Sembri piuttosto motivato» notò, «chi stai immaginando di prendere a pugni?» Domandò.
L’altro non rispose. Si limitò a sferrarne un altro paio, alternando l’equilibrio con un discreto gioco di gambe.
Doveva avere anche lui una storia interessante da raccontare. Sebastian ne era certo, ma non si era mai preoccupato di scoprire chi in realtà Flint fosse e cosa si nascondesse dietro quell’espressione tranquilla e posata e quello sguardo tranquillizzante e maturo. Flint era un tipo a posto, insomma. E tanto bastava a far passare a Sebastian la voglia di infastidirlo. Un po’ come David: non gli avrebbero dato alcuna soddisfazione e per Sebastian non c’era sfizio ad essere ignorato con sguardo di sufficienza.
«Deve per forza essere qualcuno?» Flint lo richiamò dai suoi pensieri. «Tu non hai semplicemente voglia di sfogarti?» Quasi ringhiò, colpendo con forza il sacco.
Voglia di sfogarsi? Voleva prenderlo in giro? Con tutto ciò che aveva per la testa alla fine avrebbero dovuto procurarsi un altro sacco!
«Ognuno ha i suoi metodi» rise Sebastian.
Flint si fermò, asciugandosi la fronte e cedendogli il posto.
Sebastian respirò profondamente, prendendo posizione e iniziando a dirigere il suo pugno laddove fino a poco prima si era scagliato quello Flint. Si sentì immediatamente meglio.
Flint sorrise stringendo il sacco. «Neanche a te mancano le motivazioni, vedo» commentò.
«Non ne hai idea» ringhiò l’altro, colpendo ancora e ancora e sentendo l’energia aumentare ad ogni pugno.
«Decisamente meglio questo che un videogioco» constatò Flint, alludendo probabilmente al passatempo degli altri Warblers.
«Già» concordò Sebastian, dissimulando l’affanno che iniziava a sentire e asciugandosi la fronte ormai umida. «Cosa ti aspettavi» un altro pugno, «da Sterling e Duvall?»
Flint ridacchiò. «Anche loro ci danno dentro, quando vogliono.»
«Non oso immaginare in che modo» insinuò Sebastian senza però fermarsi.
L’altro ciondolò il capo, incassando l’ennesimo colpo. «Nessun doppio senso» si difese, «Nick e Thad boxano spesso.»
«Harwood?» Si stupì Sebastian, il respiro affannoso a causa dello sforzo, «chi l’avrebbe mai detto.»
Flint inarcò un sopracciglio. «Ma voi due non parlate?» Domandò, dubbioso.
Sebastian sbuffò, scostandosi i capelli ormai bagnati dalla fronte. «Il minimo indispensabile» riferì, con sincerità.
L’altro scrollò le spalle. «Strano» commentò, «eppure Thad chiacchiera parecchio.»
«Forse non gli sono simpatico» sbuffò, seccato. Stava mentendo spudoratamente e lo sapeva. Thad gli aveva dimostrato più volte di avere tutte le intenzioni di provare ad essergli amico nonostante le frecciatine e le battutine pungenti. Ma davvero stava affrontano quel discorso con Flint?
Quest’ultimo fece spallucce. «Può darsi, sai? Credo abbia immaginato più volte la tua faccia su questo sacco» sorrise, cercando probabilmente di essere divertente.
Addirittura?
«Addirittura?» Si ritrovò a domandare. Nonostante tutto, davvero non credeva che Thad ce l’avesse con lui fino a quel punto e adesso sentiva davvero il bisogno – oltre alla curiosità crescente – di sapere quale fosse il motivo di fondo.
«Senti un po’» provò, sfregando i guantoni tra di loro prima di dirigere un destro dritto sull’obbiettivo. «Sai per caso che problema ha?»
«Thad?» Volle accertarsi Flint.
Sebastian annuì e l’altro fece una smorfia. «Mah» meditò, «non saprei. Perché non ne parli con lui?»
L’altro roteò gli occhi, il respiro affannoso e il sudore che gli scivolava lungo la schiena. «Ti sembro il tipo che va a domandare cose del genere?»
Flint non rispose subito. Si prese un attimo per riflettere e poi parlò di nuovo. «Forse Thad se lo aspetterebbe, siete compagni di stanza dopotutto.»
«Appunto» chiarì Sebastian, «siamo compagni di stanza. Lui se la fa con gente come Duvall e Sterling, non con me.»
«E allora perché ti interessa?» Si incuriosì Flint.
Sebastian fece schioccare la lingua, non sapendo neanche lui cosa rispondergli. Perché gli interessava così tanto? «Per quieto vivere» si decise poi.
Per un po’ nessuno parlò e l’unico rumore fu quello dei guantoni che si scontravano con la pelle dura del sacco. Sebastian fermò il suo oscillare, afferrandolo e dando il cambio a Flint che non ci mise molto a ricominciare a colpirlo.
«Comunque non lo so» riprese questo, dopo un attimo, «Thad di certe cose non parla spesso. Ma comunque, dubito che il problema sia tu.»
Sebastian sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di Flint e trovandoli seri a fissarlo con eloquenza. «È un perfezionista, immagino sia semplicemente sotto pressione» suppose quello, tornando poi a colpire il sacco con forza. Non seppe spiegare il perché, ma per un attimo lo sollevò sapere che Thad non ce l’avesse con lui direttamente. E doveva essersene accorto anche Flint, visto il modo con cui continuava ad osservarlo con interesse.
«Che c’è?» sbottò Sebastian più brusco di quanto intendesse essere. Sembrava che Flint gli stesse leggendo con una facilità disarmante e Sebastian non poteva permettere che qualcuno, oltre alla sua immagine riflessa, lo fissasse con quello sguardo così soddisfatto e quel sorriso sornione in viso.
L’altro scrollò le spalle, tornando a concentrarsi sul sacco da boxe e mormorando un «Forse dovresti seriamente provare a parlarci» che Sebastian preferì di gran lunga ignorare.
Avrebbe dovuto schiarirsi le idee, non aggiungere altri pensieri ai troppi che già gli affollavano la mente.  

Sebastian ritornò nel dormitorio un paio d’ore dopo, il tempo di fare la doccia e indossare nuovamente la divisa dell’Accademia
La prima cosa che gli venne in mente, mentre fissava la porta della sua camera, fu che quella sera non vi sarebbe dovuta essere nessuna sfiancante discussione ad attenderlo al di là di essa.
Sì, maledettamente sfiancante.
A ben pensarci, oltre all’idiozia di Jordan, il litigio con Thad era l’unica cosa che si era ripetuta sempre uguale a sé stessa in entrambi i giorni precedenti. Sebbene per Thad fosse sempre la prima volta che la affrontava, per Sebastian quella sarebbe stata la terza volta e non era sicuro di riuscire a mantenere la calma necessaria per evitare di scaricargli addosso tutta la frustrazione e la rabbia che stava pericolosamente accumulando e che la boxe aveva in parte lenito. Solo in parte.
Quando abbassò la maniglia ed entrò, la stanza non profumava e non era innaturalmente calda e umida. Strinse il pugno vittorioso, notando che la situazione stava prendendo una piega favorevole ai suoi scopi.
Gli ci volle poco per rendersi conto che la camera non recava i segni della presenza di Thad perché, effettivamente, Thad non c’era affatto.
Probabilmente è ancora in camera di Nick e Jeff, si disse non senza provare un leggero fastidio nel constatare che una parte di lui aveva quasi sperato di trovarlo lì come ogni sera.
Si guardò intorno, non sapendo esattamente cosa fare per impiegare il tempo. Di solito rientrava, faceva la doccia, discuteva con Thad e poi andava a dormire nella speranza che quell’epopea finalmente terminasse. Adesso invece, non solo si era già fatto la doccia dopo l’allenamento, ma Thad non era neanche lì e Sebastian continuava ad osservare il letto in attesa che il suo cervello comprendesse che prima andava a dormire e prima poteva sperare di svegliarsi il giorno dopo. Il vero giorno dopo.
Continuava a fissare l’uscio della stanza, domandandosi quando il suo coinquilino sarebbe rientrato e se, una volta fatto, la discussione sarebbe degenerata come al solito. Si impose di convincersi che questo fosse l’unico motivo per il quale se ne stava lì ad aspettare Thad, incapace di ammettere e accettare che le parole di Flint gli avevano messo una pulce nell’orecchio difficile da ignorare.
Thad faceva boxe.
Thad chiacchierava parecchio.
Thad era un perfezionista del cavolo.
Thad era sotto pressione. Per cosa poi?
Sebastian non aveva voglia di dedicare la sua attenzione a questioni che avrebbe potuto affrontare qualsiasi altro giorno dell’anno, ma in quel momento sembrava quasi doveroso domandarsi per quale motivo non si fosse mai posto il problema di conoscere il suo compagno di stanza.
La serratura scattò e Sebastian alzò lo sguardo per vedere Thad che rientrava nella stanza sorridendo.
«Alla buon ora» non poté fare a meno di commentare.
Thad inarcò un sopracciglio, il sorriso che gli si spegneva sul viso. «Problemi a riguardo?»
Sebastian fece schioccare la lingua, incrociando le braccia al petto. «Non credevo che fossi il tipo da lasciarsi risucchiare da un videogame.»
L’altro fece una smorfia, «Ed esattamente» iniziò, «che tipo credevi che fossi?»
La risposta esatta sarebbe stata qualcosa di molto simile a «Fino a due ore fa non mi ero mai posto il problema» ma perché caricare il povero Harwood di un’ulteriore fonte di stress e preoccupazione, che non sarebbe certamente riuscito a contenere senza pensare in ogni istante della giornata a cosa avesse voluto dire Sebastian con quelle parole?
In quel momento, però, qualunque risposta sembrava quella sbagliata, così Sebastian optò per la soluzione apparentemente più semplice.
Fece spallucce. «Non vedo per quale motivo dovrebbe interessarmi» rispose semplicemente. Negare. Negare fino alla morte qualsiasi coinvolgimento da parte sua nelle faccende di Harwood.
Thad rise amaramente. «Ovviamente» commentò.
Sebastian si immobilizzò, stringendo il pugno e cercando di non esplodere. Sapeva cosa stava per dire, sapeva perfettamente cosa stava per insinuare. Naturalmente per Thad non vi era nulla di male nel rinfacciargli quanto egoista lui fosse, dal momento che quella conversazione non era mai avvenuta prima. Eppure Sebastian ricordava come era giunto a litigare con lui nei giorni precedenti e quello era esattamente il momento in cui Thad sembrava sul punto di gettargli addosso il suo risentimento nei confronti del suo dilagante egocentrismo.
Ma Sebastian non aveva alcuna voglia di ascoltare Thad. Né tantomeno aveva voglia di continuare a domandarsi da quando il parere di Thad fosse così importante.
«Sai cosa?» Si ritrovò a meditare, «credo che andrò a fare due passi.»
Thad arricciò le labbra e annuì, dopodiché prese le sue cose e si diresse in bagno senza aggiungere altro.
Sebastian rimase per qualche istante a fissare il vuoto, riflettendo su quanto appena accaduto. Quando udì lo scrosciare dell’acqua, decise che aveva indugiato anche troppo. Si riscosse velocemente e, gettando un ultimo sguardo in direzione del bagno, aprì la porta e lasciò la stanza.

Sebastian si morse un labbro, svoltando in un corridoio e affondando le mani nelle tasche.
Più della situazione al limite del paranormale, ciò che lo mandava fuori di testa era l’incredibile quantità di emozioni che aveva provato nel giro di appena poche ore.
Dallo sconcerto, alla confusione, alla rabbia. Passando per la curiosità, il sollievo, la determinazione, la delusione.
Quella che provava adesso non sapeva come classificarla né come chiamarla, dal momento che era certo di non essersi mai sentito così prima.
Riferirsi a lei come “il modo in cui mi sento, quando Harwood riesce a farmi venire i sensi di colpa, anche se so che non ho fatto nulla di male” era decisamente problematico e poco agevole, così Sebastian decise che per la sua salute mentale e per la salvaguardia dei suoi nervi a fior di pelle sarebbe stato meglio smettere di pensare a qualunque cosa che non riguardasse la fine di quella spiacevole situazione.
Farlo non era però semplice come affermarlo e lui se ne rese conto nel momento esatto in cui realizzò di star continuando a pensare a Thad, alle loro discussioni, alle parole di Flint e al fatto che, nonostante tutto, Thad era stata l’unica costante in quei tre giorni infernali. Beh, oltre a Jordan certo, ma quello non era poi così importante.
Proprio mentre era sul punto di domandarsi se non era lui stesso la causa della presenza di Thad nelle sue giornate, i suoi sensi captarono la presenza di qualcuno nelle sue immediate vicinanze.
A giudicare dalle ombre, si trattava di almeno due persone. Le sagome erano troppo basse per essere reali, così Sebastian suppose che chiunque vi fosse al di là del muro dovesse essere seduto a terra.
Non seppe perché, ma non aveva alcuna voglia di farsi vedere e dare inizio ad un altro esilarante siparietto, che gli avrebbe lasciato più pensieri che altro.
Si sporse appena oltre l’angolo, sopraffatto dalla curiosità, ghignando alla scena che gli si presentò davanti.
Aveva ragione, constatò.
Erano due, erano seduti ed erano insieme.
Anche se la posizione non era delle più panoramiche, Sebastian non ebbe alcuna difficoltà nel riconoscerli.
Sterling sedeva sull’ultimo gradino di una delle scalinate dei dormitori, le spalle appoggiate al muro e una gamba piegata sullo scalino sottostante.
Di fronte lui, Duvall lo fissava con sguardo serio ed espressione indecifrabile in volto.
Apparentemente stavano in silenzio e Sebastian li ringraziò mentalmente per questo.
In ogni caso, ciò che era degno di nota non era tanto il fatto che qualcuno fosse riuscito a zittirli, quanto l’inequivocabile presenza delle loro mani intrecciate posate sul grembo di Jeff.
Sebastian aveva sempre avuto il sospetto che fra quei due vi fosse qualcosa, come tutti del resto, ma erano sempre state supposizioni campate in aria e mai nulla di più concreto di uno sguardo più lungo o di un sorriso impacciato.
Averne finalmente la prova schiacciante lo esaltava come poche cose al mondo.
«Credi che abbia torto?» Domandò Jeff all’improvviso.
L’altro scosse la testa e Sebastian fu grato alla sua posizione un po’ defilata, che gli permetteva di non essere visto ma di osservare sufficientemente bene la scena.
«È che quello che ha detto David mi ha fatto male» proseguì.
«Lo so, Jeff, ma lui non aveva intenzione di farlo» gli fece notare Nick con dolcezza.
Sebastian non aveva la minima idea di cosa stessero parlando, né di cosa c’entrasse David in tutta quella faccenda, così rimase fermo e immobile cercando di acquisire quante più informazioni possibili.  
«Ti ha solo esposto la sua opinione e gli hai chiesto tu di farlo» addusse Nick, avvicinandosi maggiormente a lui.
«Non possiamo semplicemente dirglielo?» Chiese Jeff. «Mi sento in colpa.»
Nick chiuse gli occhi, sospirando. «Ne abbiamo già parlato, Jeff» rispose, risoluto, «non ancora».
«Ma Thad è il mio migliore amico» si infervorò l’altro.
Sebastian non poté ignorare come, al sentire quel nome, il suo interesse verso quella tresca amorosa crebbe di livello. Perché erano tutti così maledettamente intenzionati a ricordargli quanto poco sapesse del suo compagno di stanza?
«Shhh» lo zittì Nick, «abbassa la voce se non vuoi che lo sappia nel peggiore dei modi.»
Jeff sbuffò, portando l’altra mano a coprire le loro dita intrecciate e accarezzandole dolcemente. «È che non mi va proprio che lui non sappia quello che ci sta accadendo.»
«Pensi che io ne sia entusiasta?» Domandò di rimando Nick, «io voglio solo evitare che lui ci stia male.»
Okay, era piuttosto chiaro ormai che la faccenda segretissima di cui Harwood era all’oscuro riguardasse l’idillio romantico di quei due, ma Sebastian non vedeva alcuna ragione per nascondergli una notizia del genere, dal momento che era certo fossero amici per la pelle o qualcosa del genere.
O almeno, una motivazione c’era, ma Sebastian si vietò fermamente di prenderla in considerazione.
«Neanche io lo voglio, ma non possiamo proteggerlo per sempre.»
«Ma hai visto anche tu come stava oggi. Sta passando un brutto periodo. Che senso ha dirgli anche questo?»
Harwood era davvero interessato a uno di quei due? Era questa la ragione?
Doveva trattarsi indubbiamente di Nick. Jeff era troppo scemo per Thad. Sebastian si rifiutava categoricamente di credere che potesse avere gusti del genere.  
Non sapeva neanche gli piacessero i ragazzi, poi!
Anche se, in effetti, quella giornata gli stava dimostrando che, da quel punto di vista, avrebbe dovuto lavorare un bel po’.
Jeff annuì e Nick gli passò la mano fra i capelli con un gesto che fece desiderare a Sebastian di non avere gli occhi. Lui non si sarebbe mai comportato così con nessuno, non avrebbe mai guardato così nessuno e con ogni probabilità non avrebbe mai amato così nessuno.
«Domani proverò a parlarci di nuovo» propose Jeff.
«A che scopo?» Volle sapere Nick.
Jeff scrollò le spalle. «Farlo parlare e basta. Ne ha bisogno, anche se non lo ammette.»
Nick sorrise, avvicinandosi a lui e baciandolo in un modo che non lasciava spazio ad altri dubbi circa la loro storia. E Harwood era innamorato di uno così? Dio, questo Sebastian non se lo aspettava proprio.
A pensarci, adesso tutto aveva un senso. Il suo malumore e le sue risposte stizzite, la sua suscettibilità. Era sotto pressione e non poteva parlarne con nessuno perché il suo migliore amico se la faceva con il tipo per cui provava qualcosa.
Almodovar ne avrebbe ricavato un film che avrebbe sbancato i botteghini! Drammi, giovani gay innamorati e tradimenti: sarebbe stato oro colato!
Per questo mi tengo fuori da questo genere di questioni, pensò mentre ritornava in camera, è decisamente meglio evitare coinvolgimenti da entrambe le parti.  


«Sei innamorato di Duvall?»
«Cosa?»
Thad lo fissò con un’espressione allucinata. Okay, forse esordire così non era stato molto ortodosso, ma Sebastian non era riuscito a trattenersi dal domandarglielo.
«Non c’è bisogno di fingere con me, ormai so tutto» ribatté.
Thad si infilò la maglia del pigiama, sospirando. «Ed io ripeto: cosa?»
«Che vuoi farti Duvall» spiegò Sebastian, «anche se, nel tuo caso di neo-gay alle prese con la sua cotta da dodicenne in calore, il termine esatto sarebbe qualcosa a che fare con l’amore, gli unicorni e lo zucchero filato.»
«Quanto hai bevuto?»
Sebastian ghignò, iniziando a prepararsi per andare a dormire. «Tanto non hai speranze» lo informò. Non sapeva per quale motivo si stesse comportando così.
L’idea che Thad fosse interessato a Nick era assolutamente inconcepibile e Sebastian voleva solo cercare di farlo notare anche a lui. Oltretutto Nick non era assolutamente il genere di ragazzo adatto ad Harwood. Certo, sempre meglio di Sterling, ma Thad poteva avere di meglio se voleva. E voleva?
«Non mi piace Nick» iniziò Thad con pazienza. «È uno dei miei migliori amici.»
«Tanto sta con il biondo.»
Essere così brutale era necessario. Come quando vuoi togliere un cerotto: più velocemente lo fai, meno dolore senti. E Sebastian, per qualche strana ragione, ignota anche a lui, stava davvero cercando di evitare che Thad soffrisse più del dovuto. Insomma, non poteva essere un caso che quel giorno avesse parlato con Flint e ascoltato i discorsi di quei due, e tutti e tre fossero stati concordi nell’affermare che Thad stava passando un brutto periodo.  
Thad si infilò sotto le coperte, spegnendo la luce sul comodino e sdraiandosi comodamente. «Che Nick e Jeff provassero qualcosa l’uno per l’altro, è sempre stato innegabile» lo informò pacatamente, «ma ti garantisco che oltre a tanta gioia, io non provo altri sentimenti nei loro confronti. Buonanotte, Sebastian.»
Sebastian rimase a fissare la sua figura immobile per un tempo non quantificabile.
Quando il suo cervello gli ricordò che dormire equivaleva a svegliarsi, tolse l’allarme alla sveglia e si sdraiò a sua volta con la testa colma di pensieri vorticanti.
Forse, quella era finalmente la volta buona.


*°*°*°

Naturalmente, si sbagliava.
Quando la sveglia suonò, Sebastian seppe che quella sarebbe stata un’altra lunga giornata.














Noticine carine carine.
Wow, a volte mi stupisco di me stessa. Tre su tre è un record anche per me, direi! W la puntualità!
Dunque, tornando seri..
Salve!
Grazie di nuovo per essere arrivati fin qui! Dei tre postati, questo era il capitolo più lungo e ci tengo davvero a ringraziarvi per non esservi lasciati annoiare dalla mia prolissità e di essere giunti fino alla fine.
In molti avete convenuto con me che lo scorso capitolo fosse un tantino noioso e statico, per cui spero di essermi fatta perdonare con questo che credo, e spero, sia più interessante.
La storia inizia ad entrare più nel vivo e forse alcune cose iniziano a risultate maggiormente chiare adesso. E sì, Sebastian è sempre più provato da questa situazione e inizia a riportare effetti deleteri sulla sua salute mentale xD
Come sempre, vi ringrazio per le recensioni e per l’entusiasmo che mi dimostrate: davvero non mi aspettavo che la storia vi prendesse tanto! *manda bacetti*
Riguardo questo capitolo in particolare, comunque, ho due precisazioni da fare:
La prima è che la Niff ci voleva. Era universalmente necessario che quei due stessero insieme ed era impensabile che non li inserissi in questa storia.
La seconda è che un po’ di fan service non ha mai ucciso nessuno e che il Flint che fa boxe è un mio regalo a SereILU che adora questo personaggio! <3
Nota importante!
Il prossimo capitolo sarà IL capitolo. Normalmente non ve lo direi (o forse sì? xD) ma oggi necessito del vostro parere. Appunto perché è così importante, mi è decisamente scappata la mano ed ora il suddetto capitolo è qualcosa di molto simile ad un poema epico-cavalleresco, tant’è vero che conta all’incirca 7500 parole.
La mia domanda è la seguente: preferite che lo tagli è lo posti in due volte, oppure per voi non è un problema sciropparvi il super capitolo tutto martedì prossimo? Vi avviso, però, che tutte e tre le mie fide lettrici di anteprime hanno convenuto con me che è impossibile tagliarlo sapientemente e che inevitabilmente la prima parte finirebbe appesissima. Lascio a voi la decisione, fatemi sapere xD

 
Vi ricordo un paio di indirizzi utili al quale cercarmi per qualsivoglia genere di informazione o sclero: Facebook e Twitter

A martedì,

Thalia.


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Capitolo 4
*** Capitolo 4. ***


Stuck 4 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 4/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!




                                             *o*


Capitolo 4.

Stava sbagliando qualcosa. Non vi erano altre spiegazioni.
O quello, oppure qualcuno lo aveva avvelenato con la segale cornuta e quella era l’ennesima delle deliranti allucinazioni da essa causate.
La testa gli scoppiava e Sebastian si impose di non aprire gli occhi perché la consapevolezza di ciò che sarebbe accaduto nelle successive quindici ore lo destabilizzava come poche altre cose al mondo.
Un fruscio ed un cigolio di molle gli fecero intuire che il suo compagno di stanza si fosse alzato. Perfetto, almeno lui avrebbe affrontato quella giornata senza eccessive preoccupazioni. Non aveva neanche finito di formulare questo pensiero, che il ricordo di tutto ciò che era accaduto il giorno prima gli piombò addosso, stordendolo.
Dio, sarebbe stato un inferno. Si passò una mano sugli occhi, sospirando in preda alla frustrazione.
«Sebastian?» Chiamò Thad, la voce ancora assonnata. «Tutto bene?»
Quanto sarebbe stato semplice rispondergli di no?
Voltò la testa di lato, sbuffando. Thad era seduto sul bordo del letto con il suo pigiama troppo celeste, i suoi piedi troppo scalzi e gli occhi troppo assonnati. E no, quella visione non avrebbe affatto dovuto sembrargli così piacevole.
«Quel pigiama è sempre stato così ridicolo?» Si costrinse a domandare.
Thad rise, stropicciandosi gli occhi in un modo che Sebastian immaginò non dovesse essere assolutamente programmato per fermargli il fiato in gola. «Non so come ho fatto a vivere fino ad ora senza il tuo prezioso giudizio» rispose quello.
Sebastian si alzò in piedi, dirigendosi in bagno desideroso come non mai di una doccia. Possibilmente fredda.
«Lieto di riempirti le giornate» commentò ghignando.
Lasciò che l’acqua lavasse le tracce di quel giorno, di quei giorni, che gli purificasse i pensieri e che gli facesse chiarezza.
Cosa stava sbagliando?
Ormai era chiaro che se continuava a rivivere quella giornata era perché il karma, o chi per lui, stava cercando di fargli correggere qualcosa. Ma cosa? Perché doveva essere così criptico e misterioso?
Si vestì meccanicamente, la testa persa in pensieri rumorosi e le orecchie che gli fischiavano fastidiosamente.
Era claustrofobico e asfissiante. Sebastian sentiva che stava per esplodere, che le mani gli pizzicavano ad ogni frase uguale a se stessa e che la rabbia gli montava dentro ad ogni avvenimento immutato. Però non poteva, era un lusso che non poteva permettersi. Respirò profondamente, chiudendo gli occhi e lasciando che l’aria gli riempisse i polmoni, richiamando alla mente l’immagine di un bambino spaventato e di una signora dal sorriso gentile.
Una volta aveva avuto un attacco di panico. Aveva sei anni e Maddy era nata da poco. Sua madre lo aveva trovato nell’armadio dei giochi, le ginocchia strette al petto e le lacrime a rigargli le guance. Lo aveva stretto e gli aveva detto di respirare, di chiudere gli occhi e di concentrarsi su ciò che lo circondava. E Sebastian lo aveva fatto, perché glielo diceva la sua mamma e perché era tanto che non lo abbracciava così. Gli aveva sussurrato che gli voleva bene e che, anche se adesso era arrivata Maddy, lui rimaneva sempre il suo ometto. Sebastian voleva bene a sua madre, anche quando viziava sua sorella e non lui, anche quando lo trascurava per stare con lei, anche quando erano tornati in America perché Madeline doveva crescere in un ambiente con la mentalità aperta.
Prese l’ennesimo respiro, convenendo di essersi calmato abbastanza, e uscì dal bagno perfettamente vestito.
Thad era sul letto. Sedeva a gambe incrociate e sfogliava attentamente un quaderno mormorando a bassa voce.
«Tutto tuo» esordì Sebastian, avviandosi alla scrivania.
Thad non rispose ma Sebastian lo sentì alzarsi e dirigersi in bagno, probabilmente con il quaderno al seguito.
Sorrise a quell’immagine, prima di scuotere la testa e continuare a preparare la cartella.
Prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con se stesso e con quegli immotivati pensieri scomodi.

La prima volta aveva creduto che fosse un sogno, la seconda che si trattasse di un incubo, la terza stava iniziando seriamente a fare i conti con il fatto che tutto quello fosse maledettamente reale.
Raggiunse l’aula di storia ignorando le chiacchiere di Sterling e Duvall dietro di lui e facendo appello al suo proverbiale autocontrollo per trovare un modo di porre fine a quello che era iniziato come uno scherzo simpatico ma che adesso si era rivelato essere un piano sadico e machiavellico. Per cosa poi? Sebastian non ne aveva la minima idea.
«Sebastian?» Chiamò David.
Sebastian scosse la testa estraniandosi dai suoi pensieri. «Sì, scusa.»
«Niente, volevo informarti che la riunione con i Warblers è anticipata alle cinque» disse David.
Sebastian annuì avvilito. «Sì, lo so» rispose distrattamente.
«Lo sai?» Flint inarcò un sopracciglio e Sebastian si rese conto di ciò che aveva detto senza pensare.
«Sì» borbottò, cercando un modo per uscire da quella situazione. «Me lo ha detto Harwood» gli rese noto.
I ragazzi si voltarono verso il diretto interessato. «Avevi detto che te ne eri dimenticato» ragionò David.
«Infatti» borbottò Thad, cercando Sebastian con gli occhi.
«Evidentemente la sua memoria inizia a fare cilecca» lo apostrofò Sebastian, «prova con il fosforo: di solito funziona.»
La campanella spense eventuali altre frecciatine e Sebastian si ritrovò a seguire David e Flint all’interno dell’aula, congedandosi da un ancora sconcertato Thad.
Raggiunse il suo posto – naturalmente vicino a David – sperando che quella giornata volgesse presto al termine e che il suo malumore la smettesse di annebbiargli i sensi al punto di fargli dire cose che assolutamente non avrebbe dovuto dire, né sapere.
Il professore si sedette alla cattedra e fece l’appello. Sebastian ghignò, guardando i suoi compagni che ripetevano a bassa voce e che si agitavano sperando di non essere interrogati. Dio, quanto lo elettrizzava quella sensazione di potere e superiorità. Vedere i ragazzi intorno a lui mordicchiarsi nervosamente le unghie e sfogliare febbrilmente i libri cercando di richiamare alla mente più nozioni possibili e intanto crogiolarsi nella confortante consapevolezza che quel giorno lui era salvo.
Si girò indietro, facendo attenzione a non farsi vedere dal professore e allungando il collo per cercare quell’inconfondibile zazzera rossa.
«Psss» chiamò, «Jordan!»
Il ragazzo alzò lo sguardo dubbioso: Sebastian non era decisamente il tipo da intrattenersi in discussioni cordiali e aride frasi di circostanza.
«Mhhh?» fu la risposta di quello.
Sebastian ghignò: ciò che stava per fare andava contro ad ogni suo principio morale, ma indubbiamente i suoi neuroni ne avrebbero giovato e quindi si poteva dire che lo faceva per sé e non per Jordan.
«Mi diresti quando c’è stato l’attacco di Pearl Harbor? Temo di aver dimenticato il libro.»
Jordan spalancò la bocca piuttosto stupidamente, poi annuì sfogliando le pagine a casaccio alla ricerca dell’informazione per Sebastian.
«7 Dicembre 1941» mormorò dopo un attimo.
Sebastian sorrise accondiscendente. «Non so proprio come ringraziarti» rispose fintamente grato. «Tu lo ricordi, sì?» Domandò poi.
L’altro lo fissò dubbioso. «Credo di sì» concesse.
«Tienilo a mente» consigliò Sebastian, prima di voltarsi e prestare attenzione alla lezione.
Forse la sua sanità mentale era salva. O forse no.
La giornata era iniziata da neanche due ore e già aveva, nell’ordine, quasi fatto saltare la sua copertura da viaggiatore nel tempo, salvato il culo a Harwood – dopo averlo messo nei casini – ed evitato a Jordan un’insufficienza in storia.  
Per un attimo sperò di non aver seriamente compromesso il continuum spazio-temporale con quelle macchinazioni improvvisate, ma poi rifletté che doveva essere davvero alla frutta per porsi problemi del genere quando si ritrovava a rivivere lo stesso giorno per la quarta maledetta volta e ancora non era riuscito a capire perché.
Sospirò afflitto, abbandonandosi allo schienale della sedia e assistendo impotente a quel noioso spettacolo che conosceva ormai a memoria. Si compiacque del fatto che Jordan non fallì completamente quell’interrogazione e sperò che questa piccola attenzione nei confronti del compagno lo aiutasse a porre fine a quel delirio.
La consapevolezza lo colpì in maniera tanto forte quando improvvisa. Era una punizione? Un modo per fargliela pagare per qualcosa che aveva fatto e che non ricordava neanche? In tal caso la situazione si complicava ulteriormente: non ne sarebbe mai uscito vivo. Vi erano talmente tante cose che per lui erano all’ordine del giorno ma che avrebbero potuto essere considerate sbagliate dai più. Ci sarebbero voluti mesi per scandagliare tutto ciò che aveva detto e fatto quel Venerdì e cercare di porvi rimedio.
Era nei casini, Dio se lo era.
«Sebastian?»
La voce di David lo riportò velocemente alla realtà.
«Mhh?» Domandò, voltandosi verso di lui. David era in piedi, la borsa sulla spalla e un’espressione preoccupata in viso.
«La lezione è finita» gli fece notare.
Sebastian si guardò intorno scorgendo i suoi compagni di classe che lasciavano l’aula chiacchierando del più e del meno. Si alzò, raccogliendo i libri e infilandoli frettolosamente nella tracolla, la testa ancora persa fra mille pensieri.
«Sei sicuro di stare bene?» Si interessò David. «Sei un po’ pallido.»
Sebastian si voltò. «Sto benissimo, grazie» mentì.
David scrollò le spalle e fece per andarsene.
«Ripensandoci» lo richiamò Sebastian, «in realtà credo di stare covando qualcosa.»
L’espressione di David era confusa e dubbiosa ma, quando parlò, Sebastian immaginò che quel ragazzo fosse davvero troppo ingenuo e buono per avere a che fare con lui.
«In effetti questo è il periodo dell’influenza stagionale» ponderò, «forse ti ha contagiato Richard.»
Sebastian sorrise. «Probabile. Credo che andrò in camera a riposare un po’.»
David annuì, poi parve ripensarci. «Ma non hai il compito di biologia?» Domandò.
Sebastian ghignò, «La mia media è immacolata» chiarì, «parlerò con la professoressa e le spiegherò la situazione.»
Probabilmente dormire era la soluzione adatta, spegnere il cervello e allontanarsi dal mondo. È risaputo che la notte porta consiglio e, anche se non era esattamente notte, Sebastian immaginò che lo stesso discorso valesse anche per un paio d’ore di meritato riposo. Sicuramente si sarebbe svegliato con le idee più chiare e con un efficace piano d’azione da mettere in atto.


Neanche a dirlo, non aveva dormito.
Si era sdraiato, aveva fissato il soffitto per un tempo sufficientemente lungo a fargli venire un esaurimento nervoso e poi si era alzato.
Camminare gli era sembrata la soluzione più ovvia in quel momento. Percorrere a grandi falcate la stanza, andare avanti e indietro nella speranza che la forza centrifuga del movimento gli comprimesse i neuroni e gli servisse su un piatto d’argento una soluzione che sembrava troppo difficile da trovare in metodi ortodossi.
Si sentiva come in un episodio di Doctor Who. Solo che in televisione era tutto più entusiasmante e curioso, mentre lui aveva la sensazione di trovarsi in gabbia e pronto ad esplodere.
Si lasciò cadere sul letto, ritornando con la mente al giorno prima e domandandosi se anche quel suo ammutinamento nei confronti del karma malefico sarebbe valso come pallido tentativo di cambiare il corso degli eventi.
Forse, se si trincerava in camera fingendo che nulla stesse accadendo, chiunque muoveva le pedine di quel simpatico teatrino si sarebbe stancato della sua inattività e avrebbe smesso di importunarlo dedicandosi ad altri passatempi.
Sospirò, affondando la testa nel cuscino e fissando il letto di Harwood senza una motivazione precisa. A quell’ora il compito di biologia sarebbe dovuto essere finito. Non ebbe motivo di chiedersi come gli era andato, dal momento che era perfettamente a conoscenza delle difficoltà del suo compagno con quella materia. Per un momento si sentì in colpa. Aveva aiutato Jordan con storia e non aveva neanche pensato di suggerire casualmente a Thad gli argomenti da ripetere, sebbene li conoscesse alla perfezione.
Sbuffò, domandandosi da dove saltasse fuori quel rimorso e quel senso di colpa ingiustificato, ma prima di riuscire a darsi dell’idiota perché era la terza volta che pensava ad Harwood nella stessa giornata, la porta si aprì. E naturalmente Thad Harwood entrò.
Si fissarono per un attimo, il tempo sufficiente a Sebastian di domandarsi cosa ci facesse lì.
«Che ci fai qui?»
Thad sbuffò. «Ti ho portato qualcosa da mangiare» spiegò, pratico, «David mi ha detto che non ti eri sentito bene e così…»
Parve leggermente a disagio e Sebastian se ne compiacque non poco.
Però era stato carino a preoccuparsi per lui, doveva ammetterlo.
Si mise a sedere, la schiena poggiata alla testata del letto, ringraziando che in quel momento si trovasse effettivamente sdraiato: sarebbe stato complicato giustificare ad Harwood la sua malattia se lo avesse trovato a passeggiare nella stanza.
L’altro si avvicinò, chiudendo la porta e posando un involucro di carta e plastica sul comodino di Sebastian. «Ti ho preso un paio di panini» disse. «Il resto non sapevo come trasportarlo.»
Sebastian rise, colpito da quella gentilezza apparentemente gratuita. Thad era un ragazzo strano. Prima si erano ignorati, poi erano andati d’accordo per un po’, poi avevano smesso di parlarsi. In tutto ciò, Sebastian non aveva fatto altro che comportarsi da stronzo e Thad non aveva smesso un attimo di provare ad essergli amico.
E non aveva senso domandargli se voleva qualcosa in cambio, perché Harwood era sempre così dannatamente gentile che Sebastian a volte malediceva il caso che li aveva voluti compagni di stanza, perché quel ragazzo era praticamente il suo opposto e non faceva altro che dimostrargli che erano decisamente troppo diversi e che non avrebbero potuto andare d’accordo neanche se Sebastian si fosse mostrato meno stronzo e Thad meno carino.
«Torno dai ragazzi» annunciò Thad, avviandosi verso la porta.
Sebastian fece una smorfia. «Puoi anche restare, non ti mangio mica» rispose, afferrando un panino: nonostante tutto, gli era venuta fame continuando a spremersi le meningi.
Thad si voltò. «Mi stai chiedendo di farti compagnia?» Domandò, scettico.
Sebastian fece una smorfia, addentando il panino e mugugnando un «come ti pare» molto poco elegantemente.
Per un po’ nessuno parlò, Thad si sdraiò sul suo letto e si immerse nella lettura di uno di quei libri che Sebastian gli aveva visto sfogliare tante volte.
«Hai pranzato?» Domandò dopo un po’. Non ci stava realmente pensando, ma il dubbio lo aveva colto alla sprovvista e si era sentito quasi obbligato ad interessarsi a lui. Non che gli dispiacesse così tanto, poi.  
Thad alzò gli occhi verso di lui, poi scosse la testa. Sebastian sbuffò. «Ma quanto sei cretino, Harwood?» Dio, era rimasto lì nonostante fosse digiuno? Quella era idiozia, non gentilezza.
«Mangerò stasera» commentò quello.
«Prendi un panino.»
«Mangerò stasera, davvero.»
«Non te lo sto chiedendo, prendi un panino.»
Thad si alzò, avvicinandosi al letto di Sebastian e afferrando un involucro di carta giallognola. «Grazie» mormorò.
«Non voglio averti sulla coscienza» ribatté Sebastian.
Thad parve sul punto di aggiungere qualcosa, poi però annuì semplicemente, avviandosi verso il proprio letto.
«Come è andato il compito di biologia?»
Si sentì particolarmente stronzo nel chiederlo, ma in quel momento desiderava fare conversazione e gli argomenti scarseggiavano pericolosamente.
L’altro si sedette sul letto. «Non lo so» rispose sinceramente. «Spero bene.»
Sebastian diede un morso al panino senza curarsi particolarmente di ribattere alcunché. Che senso aveva? Sapeva che quel compito era andato male, non aveva motivo di domandare se era difficile o meno – dal momento che lo aveva già fatto anche lui – e non aveva voglia di infierire con battute e prese in giro perché i sensi di colpa gli impedivano di farlo agevolmente.
«Verrai alla riunione dei Warblers?» Esordì Thad qualche minuto dopo.
L’altro fece spallucce. «Sarà una perdita di tempo, oggi più del solito» commentò.
Thad ridacchiò. «La risposta esatta sarebbe stata che sei ancora malato.»
«Quello non mi impedisce di alzarmi da questo letto» ragionò Sebastian. «Cerco solo di salvaguardare la mia sanità mentale tenendomi fuori dalle idiozie del tuo amico biondo.»
«Non è così male» ridacchiò Thad. «Devi solo farci l’abitudine e sintonizzarti sul suo stesso canale. Dopo un po’ ti viene naturale.»
La voce di Thad era tranquilla e rilassata e Sebastian pensò che sembrava davvero convinto di ciò che diceva. Sapeva perfettamente quanto fossero amici lui e la pertica, ma non si mai fermato a ragionare sul rapporto che in realtà li legava. Thad gli aveva dimostrato più volte di essere un buon amico, ma lui aveva sempre dato per scontato che il bisogno degli amici fosse superfluo e decisamente sopravvalutato e che fosse notevolmente più pratico e proficuo avere a che fare solo con se stessi. Forse si sbagliava.
«Sarà» commentò, «ma non sono nello spirito adatto per avere a che fare con lui e con il suo compare.»
«Già» lo assecondò Thad, «a volte è fastidioso vederli tubare così spudoratamente.»
«Prima o poi finiranno insieme» Sebastian ricordava perfettamente il discorso origliato sulle scale, il modo in cui quei due stavano cercando di tenere Thad all’oscuro delle loro macchinazioni mefistofeliche. Forse provare a metterlo in guardia non era un’idea così sbagliata.
«Sempre che non siano già finiti insieme.»
Sebastian lo fissò stupito e Thad ricambiò lo sguardo con un’alzata di spalle. «Non li hai gli occhi?» Domandò con malcelata ironia. «È chiaro che ci nascondono qualcosa.»
Non sai quant’è vero, pensò Sebastian
«Con scarsi risultati, direi» obiettò quindi.
Thad inarcò un sopracciglio.
«Ho ascoltato per sbaglio una loro conversazione qualche sera fa» spiegò, tenendosi vago sul giorno e il luogo.
Thad annuì, poggiando la schiena al muro e mettendosi seduto. «Siamo amici» mormorò, «chissà perché non me l’hanno detto.»
Sebastian ghignò. «Credo a causa della tua travolgente e peccaminosa passione per Duvall.»
Thad quasi si strozzò. «Sei improvvisamente impazzito?» Tossicchiò. «Di scemenze ne hai dette tante, ma questa le batte tutte.»
Sembrava sincero, constatò Sebastian. E poi era la seconda volta che negava quell’insinuazione. Forse aveva davvero preso un granchio e non era quello il motivo per cui la notizia non potesse trapelare.
«Io mi limito a riportare i fatti» lo informò, «è quello che hanno detto loro.»
Thad sgranò impercettibilmente gli occhi. «Lo dubito fortemente, Sebastian. Nick e Jeff sanno perfettamente chi-» sì schiarì la voce mentre le sue gote si coloravano appena, «insomma, sanno che non provo sentimenti di questo genere per nessuno dei due. Fidati.»
Sebastian fece una smorfia ma annuì. «Come preferisci» dichiarò.
Thad non rispose, ma si alzò in piedi, pulendosi dalle briciole e avviandosi verso la porta.
«Scappi?»
Quello sbuffò. «Non siamo tutti fortunati come te» gli fece notare. «Io ho lezione il Venerdì pomeriggio.»
Sebastian incrociò le mani dietro la testa. «Non ho bisogno di seguire Francese io»
«Riponi il tuo ego, Robespierre, nessuno ha affermato il contrario» ridacchiò, mentre afferrava un paio di quaderni dalla scrivania lì accanto.
«Precisamente» approvò Sebastian, «ragion per cui me ne rimarrò qui ad assaporare la meravigliosa sensazione del dolce far niente, mentre tu andrai a romperti la schiena su un paio di bon jour e au revoir
Thad parve leggermente a disagio e Sebastian si ritrovò a ghignare a quella piccola scoperta. Sorrise.
«Se non altro poi avrò il week-end per riposarmi a dovere» rispose Thad.
Sempre che ci sia un week-end.
«Già» concordò Sebastian. «Sembra passato un secolo dall’ultimo» e Thad non sapeva quanto era vero.
«Settimana impegnativa?» Domandò.
Sebastian scrollò le spalle. «Settimana noiosa» ribatté pacato.
L’altro ridacchiò. «Domani almeno ti riposi» constatò.
«Speriamo» mormorò Sebastian, senza pensare.
Thad scosse il capo. «Noi Warblers abbiamo in programma una gita» iniziò, leggermente a disagio, «se ti va puoi unirti a noi» buttò lì.
Sebastian alzò gli occhi. «Una riunione dei Warblers di più di due ore? E chi vi sopporterebbe?»
L’altro sbuffò allargando le braccia esasperato. «L’ho detto per cortesia, gli altri neanche volevano invitarti.»
«Non avevi motivo di farlo tu allora, gli altri non ne sarebbero felici.»
Ancora una volta, Thad era quello gentile e lui quello stronzo, però proprio non ce la faceva a non rispondergli a tono, era più forte di lui. Oltretutto doveva combattere con quell’improvvisa voglia di trascorrere il week-end in compagnia di qualcuno che proprio non poteva assecondare. Irritazione, poi. I ragazzi non lo volevano e lui non voleva loro però con Thad era diverso perché, per qualche strana ragione, l’opinione di Thad era più importante di quella degli altri.
«Loro ci provano a darti un’opportunità» ribatté quello. «Sei tu che sei sempre così cinico e scostante.»
Stare sdraiato lo faceva sentire impotente e vulnerabile, così Sebastian si mise seduto, passandosi una mano sugli occhi. «Sono semplicemente me stesso» gli fece presente. «Se agli altri non va bene, che si fottano.»
Thad arricciò le labbra, «Fingi che non ti abbia detto nulla» propose, avvilito. «Ho l’impressione che tu non sia abituato ad avere a che fare con altre persone a parte te stesso, uh?» Aggiunse poi.
«Solo perché non mi sono mostrato entusiasta all’idea della gita fuori porta?» Si finse offeso Sebastian. «Mi deludi, Harwood, pensavo tu fossi quello che capiva la gente.»
In realtà la risposta esatta sarebbe stata “quanto cazzo mi conosci bene?” ma Sebastian non era pronto ad ammettere, né a se stesso e né tantomeno a qualcun altro, che quella pulce molesta e silenziosa aveva passato i precedenti sei mesi a carpire informazioni su di lui per poi ritorcergliele contro in quei momenti. E lui gli aveva permesso di farlo perché, probabilmente, Thad era l’unico del quale avrebbe mai ascoltato ed accettato il giudizio.
«Appunto» sentenziò Thad, la sua mano lasciò la maniglia della porta e lui si accomodò nuovamente sul suo letto. «Direi di avere raccolto sufficienti dati su di te per sapere piuttosto chiaramente con chi ho a che fare.»
Sebastian ghignò. «Dovresti saperlo che con me i modelli non funzionano» ammiccò. «Posso sconvolgerti quando voglio.»
Thad distolse lo sguardo imbarazzato e Sebastian pensò che sarebbe stato un piacere vedergli sempre quell’espressione in viso. Non sembrava neanche più tanto arrabbiato con lui. Insomma, stavano parlando da parecchio tempo ormai e non erano ancora finiti a litigare e a dirsene di tutti i colori. Ciò gli fece inevitabilmente pensare che la causa scatenante della sua rabbia dovesse essere ricercata nella riunione dei Warblers di quel pomeriggio. Non vi erano altre alternative contemplabili e, in tutta onestà, Sebastian non aveva voglia di scervellarsi riguardo un problema non più così imminente: stavano parlando con tranquillità adesso, al resto ci avrebbe pensato poi. Thad adesso sorrideva e, nonostante tutto, era bello pensare che forse era lui la causa di quel sorriso.
«Comunque, io adesso vado» Thad si alzò nuovamente dal letto e si avviò verso la porta.
Sebastian lanciò un’occhiata al comodino. «Direi che sei un po’ in ritardo per la lezione» constatò. Neanche più di tanto poi, se correva poteva sperare che la professoressa chiudesse un occhio.
«Se corro arrivo in tempo.»
Appunto.
«E ti conviene?» E questa risposta da dove gli era uscita? «La professoressa penserà che sei uno studente negligente e lavativo e deciderà di interrogarti per mostrare alla classe come vengono puniti gli indisciplinati come te.» E quest’altra?
D’accordo, forse chiacchierare con Thad si stava rivelando stranamente piacevole, ma di certo non al punto da esporsi così tanto e inventare ipotesi così palesemente improbabili.
«E la colpa di chi sarebbe?» Sbottò quello all’improvviso. «Sei tu che ti sei messo a fare il prezioso e mi hai fatto perdere tempo.»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Prego? Io cerco di salvarti il culo e tu mi attacchi gratuitamente. Quanta gentilezza.»
L’espressione sul volto di Thad gli fece comprendere che sì, il momento del litigio era inevitabilmente giunto.
Quello sbuffò, gettando la borsa sul letto e passandosi una mano fra i capelli. «Fanculo» sospirò. «Odio i Venerdì.»
Sebastian si produsse in una bassa risata amara. «Anche io» si associò, sinceramente concorde.
«Perché non vai a casa per il week-end?» Domandò Thad, più tranquillo rispetto a poco prima. «Insomma, potresti seguire le lezioni della mattina e poi andare via.»
«Mi stai cacciando?» Sebastian inarcò un sopracciglio, la sua mente che lavorava veloce per trovare una risposta adeguata da fornirgli.
Thad alzò gli occhi al cielo, ruotando una sedia verso il letto di Sebastian e sedendosi a cavallo dello schienale. «Era solo curiosità» chiarì.
Sebastian fece schioccare la lingua, distogliendo lo sguardo da quell’immagine che stava minando seriamente il suo autocontrollo e portandolo poi nuovamente su di lui. «Preferisco stare qui» spiegò, «c’è più… movimento
«Non sei il benvenuto a casa?» ridacchiò Thad. «Sei tipo la pecora nera della famiglia?»
Thad era troppo occupato a fare supposizioni azzardate su di lui per rendersi conto che lo sguardo di Sebastian si era fatto improvvisamente serio.
«Dubito di dover dare conto a te dei miei rapporti interpersonali» gli fece notare, impassibile.
L’altro tacque all’istante e il suo sguardo raggiunse immediatamente quello di Sebastian. «Davvero?» Domandò scettico, «sei tipo in reclusione volontaria?»
Sebastian fece una smorfia ma non rispose. Thad lo fissò qualche istante prima di sospirare e commentare. «Sai, è più facile avere a che fare con i Warblers che con la propria famiglia. Dovresti provare.»
Sebastian alzò lo sguardo su di lui. «È per questo che ti ostini a stare con loro?»
Quello scrollò le spalle. «Può darsi» ammise, «ma ciò non vuol dire che non gradisca la loro compagnia.»
«Non l’ho mai messo in dubbio»  approvò Sebastian, «mi domandavo solo quanto indicibili debbano essere i tuoi drammi familiari da farti preferire i deliri di quella manica di esaltati.»
Era una situazione strana perché Sebastian si rendeva solo vagamente conto di essere davvero interessato a quella storia, di voler realmente ascoltare ciò che Thad aveva da dirgli e, nonostante questo, non poteva fare a meno di essere indisponente, di difendersi come meglio poteva da quella strana sensazione che gli stringeva lo stomaco. Il rispondergli a tono e l’essere insolenti avevano il potere di farlo sentire un gradino superiore, di riuscire a fargli mantenere il controllo della situazione e di non sentirsi coinvolto da quella conversazione più di quanto già non fosse.
«Neanche poi così diversi da quelli della maggior parte delle persone» commentò Thad, «però mi piace pensare di aver trovato quindici fratelli acquisiti con i Warblers.»
«Dio, questo è veramente stucchevole» e lo era davvero, insomma! «Non hai fratelli tuoi, Harwood?»
Thad ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli e… Dio, cosa aveva appena fatto quella lingua alle sue labbra? Sebastian si costrinse a distogliere lo sguardo. Urgeva una bella chiacchierata con sé stesso. Il prima possibile.
«Sì, uno e non è poi così male» la voce di Thad lo richiamò dai suoi pensieri, «se non fosse che è abbastanza più grande di me e lo vedo praticamente solo durante le vacanze.»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Quindi sei quello coccolato e viziato da tutti?» Domandò, sentendo la rabbia montargli dentro al pensiero di Thad paragonato a sua sorella.
Thad si produsse una risata amara. «Magari» rispose, «sono quello perennemente sotto pressione, quello che deve impegnarsi al massimo per eguagliare lui. Sono quello che non può fare una cazzo di scelta senza che mi dicano “Wayne non lo avrebbe fatto”.»
Sebastian notò che Thad sembrava davvero amareggiato. Indubbiamente quella situazione doveva pesargli non poco e davvero lui si chiedeva come avesse fatto a condividere con lui la stanza, senza in realtà approfondire mai la loro conoscenza.
«Non sapevo avessi un fratello così figo, Harwood» si ritrovò a commentare. E no, non avrebbe voluto farlo perché, per qualche strana ragione, gli risultava difficile credere che Thad potesse avere un fratello così apparentemente perfetto. E non per l’impossibilità della cosa in sé, ma perché già di per sé Thad era sempre così preciso ed impeccabile: essere migliori di lui era quasi impensabile.
«Ma non è poi tanto figo» alzò le spalle, «o forse sì» precisò, «sembrano tutti concordi sul fatto che lui sia la cosa migliore capitata alla nostra famiglia da generazioni.»
«Beh» Sebastian si grattò la guancia, «in tal caso direi che quello anormale è lui» provò, «non tutte le ciambelle escono col buco.»
Thad sorrise e Sebastian si sentì appena un pochino meglio. «Anormale o no» proseguì, «Wayne è all’ultimo anno di college e con ogni probabilità il prossimo anno verrà assunto in un prestigioso studio legale e passerà le sue giornate a scongiurare conflitti internazionali con il suo charme e il suo carisma.»
«Che gran rottura di coglioni» fu il sincero commento di Sebastian, «uno così arriverà a trent’ anni domandandosi cosa cazzo ha fatto nella sua vita.»
«Io ho cantato in un coro» gli fece notare Thad. «Forse lui può aspirare a qualcosa di meglio.»
«Tu hai respirato anche qualcosa che non sia l’odore delle pagine dei libri» ribatté Sebastian, «forse da grande avrai qualche ricordo piacevole oltre a noiose nozioni di dubbia utilità.»
«Certo» acconsentì Thad, «i ricordi piacevoli mi terranno compagnia quando sarò costretto a vivere sotto un ponte, perché la mia mancanza di nozioni inutili mi avrà impedito di trovare un lavoro soddisfacente.»
Sebastian scosse il capo, ridacchiando. «Quanto sei una lagna?» Domandò con ironia. «Nessuno ti vieta di iscriverti al college e diventare un paladino della giustizia, sai?»
Thad annuì pensieroso. «Non credo sia quello a cui aspiro» meditò, «ma forse potrebbe essere un’interessante alternativa al ponte fatiscente.»
L’altro rise sincero e Thad si alzò in piedi. «Se non mi muovo rischio di saltare anche la riunione dei Warblers» annunciò.
Il clima nella camera era più sereno e rilassato. Sebastian non sapeva come classificare quella sgradevole sensazione alla bocca dello stomaco che lo aveva preso nell’udire quelle parole. La verità era che stava bene e che quella era la prima volta che riusciva a chiacchierare con qualcuno con tranquillità, senza filtri e senza barriere. Solo sincerità e qualche battutina pungente che non guastava mai. Thad non era così male, constatò, e gli dispiaceva che se ne dovesse andare proprio adesso che sembravano starsi sintonizzando sulla stessa lunghezza d’onda.
«Sicuro che non te la senti di venire?» Domandò un’ultima volta, ormai sull’uscio.
Sebastian annuì. «Mai stato più sicuro» rispose, sdraiandosi nuovamente, «non voglio rischiare un’ulcera prematuramente.»
«Come preferisci» lo assecondò Thad, «a dopo» e, detto questo, uscì dalla camera chiudendosi la porta alle spalle.
Sebastian rimase per un attimo a fissare il punto in cui, fino ad un attimo prima, si trovava la figura di Thad.
«A dopo» mormorò al nulla.

Quando Sebastian aprì gli occhi, la stanza versava nella semioscurità. Rimase immobile nel letto, gli occhi sbarrati e il cuore a rimbombargli nelle orecchie, in attesa di sapere se quella sarebbe stata l’ennesima giornata infernale oppure se era finalmente uscito da quel tunnel alienante.
Aspettò un paio di minuti e quando fu sufficientemente certo che la sveglia non sarebbe suonata, si tirò a sedere.
Si accorse subito che c’era qualcosa che non andava. In primo luogo, Thad non era nel suo letto e poi, come se quello non fosse già un indizio evidente, il cielo fuori la finestra sembrava ben lontano dall’albeggiare.
«Ma cosa diav-» afferrò il cellulare dal comodino, illuminando lo schermo, e represse un lamento frustrato. Bene, il motivo per cui Thad non c’era e fuori sembrava il crepuscolo era che aveva dormito appena due ore.
Si alzò dal letto, passandosi una mano fra i capelli e avvicinandosi al davanzale.
Per un attimo aveva davvero sperato di essere fuori da quell’incubo, ma poi si era ricordato che non si era addormentato volontariamente, ma che aveva deciso di riposare gli occhi nell’attesa che Thad tornasse.
Già, Thad. La riunione con i Warblers doveva essere ormai quasi conclusa e Sebastian si chiedeva se il ragazzo sarebbe tornato in camera oppure sarebbe andato direttamente a cena.
Provava sentimenti contrastanti nei suoi confronti che non sapeva come classificare e catalogare.
Lo aveva sorpreso, questo era chiaro, aveva scoperto che gli piaceva parlare con lui e che non gli dispiaceva averlo intorno. Però non poteva permettersi di aprirsi più di tanto con lui perché doveva continuare a mantenere le redini della situazione e a condurre il gioco. Sempre che fosse un gioco poi.
Aveva sentito qualcosa, qualcosa che non aveva idea di come chiamare, qualcosa che gli aveva fatto venire i brividi lungo la schiena e che gli aveva fatto sperare che non se ne andasse. Non ricordava in che momento fosse accaduto, anche perché aveva l’impressione che tutta quella conversazione lo avesse scosso, ma sapeva che non era stato esattamente spiacevole. E sapeva che per quelle poche ore che avevano chiacchierato, Thad era riuscito a fargli dimenticare la disavventura che stava vivendo e lo aveva tenuto ancorato a quella camera con il solo ausilio delle parole.
Thad lo confondeva e Sebastian non poteva permettere che ciò accadesse. Oltretutto non sapeva come dover interpretare il comportamento di Harwood. Prima si arrabbiava con lui e sparava a mille su argomenti chiaramente fuori luogo, poi era gentile e accondiscendente, poi ancora sembrava quasi imbarazzato e così stupidamente felice di stare in quella camera con lui.
Sebastian lo aveva notato in un paio di occasioni, quel sorriso che gli aveva increspato le labbra e illuminato gli occhi e che gli aveva fatto venire voglia di continuare a parlare con lui anche solo per poterlo scorgere di nuovo.
Si passò una mano sugli occhi, lasciandosi andare ad un sospiro rassegnato e convenendo che quella situazione gli stava lentamente portando via la ragione.
La serratura scattò e la porta si aprì. Sebastian si voltò appena in tempo per scorgere Thad che varcava l’uscio con la testa evidentemente altrove.
«Buonasera» lo salutò.
Thad alzò lo sguardo sorridendo appena. «Vedo che stai meglio» convenne.
Sebastian ghignò con malizia. «Ci sono poche cose in grado di tenermi a letto per più di due ore.» E tu potresti essere una di quelle.
Scosse la testa, allontanando quel pensiero fastidioso che si era dovuto trattenere dal non trasformare in parole.
Thad parve capire l’antifona, tant’è che si leccò un labbro a disagio e Sebastian si costrinse a mantenersi a quella finestra per non andargli incontro ed assecondare quei bassi istinti che lo stavano attaccando in quel momento. Se fosse stato qualcun altro, magari non si sarebbe fatto tutti quei problemi a mostrargli dettagliatamente le varie motivazioni per cui era meglio che evitava di umettarsi le labbra in quel modo. Però quello era Thad e Sebastian aveva recentemente compreso che con lui non poteva comportarsi come se non contasse nulla, dal momento che era chiaro che contava qualcosa eccome. Doveva solo capire cosa. E quanto.
Thad si avvicinò, sfilandosi il blazer e posandolo sul letto. Dopodiché si sporse accanto a lui, incrociando le braccia sul davanzale.
«Come è andata la riunione?» Domandò Sebastian.
In tutta risposta, quello scrollò le spalle e mormorò un «Al solito» che fece ridere Sebastian.
«Avevi ragione» aggiunse, «sarebbe stato meglio non farla.»
«Già, mi capita spesso» gongolò l’altro, «peccato che tu sia troppo ligio al dovere per decidere di darmi retta.»
Thad mise su una finta espressione indignata. «Porto solo a termine un impegno che ho preso.»
«Disse colui che ha appena confessato di aver trovato una seconda famiglia tra i Warblers.»
«Il fatto che io abbia deciso di confidartelo non ti autorizza ad utilizzarlo contro di me» gli fece notare Thad. Non era arrabbiato, Sebastian ne era certo.
«E come hai intenzione di impedirmelo?» Domanda retorica, ma Thad che arrossiva in maniera così semplicemente deliziosa era una visione troppo ghiotta per non approfittarne.
Thad si riservò di non rispondere, probabilmente perché aveva ben chiaro che quel gioco con Sebastian non lo avrebbe portato da nessuna parte.
«Comunque l’invito per domani è ancora valido» disse invece.
«Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro prima» ribatté Sebastian, anche se adesso l’idea di trascorrere la giornata con loro non gli faceva più così ribrezzo.
Thad si mosse a disagio sul posto. «Lo so» iniziò, «ma poi abbiamo chiacchierato e tu hai detto che anche tu odi i Venerdì e…»
… e sembrava talmente incerto e imbarazzato che Sebastian non poté impedirsi di sorridere a quella visione così genuina e semplice.
«… e quindi ho pensato che almeno potresti rifarti con i Sabato e venire a divertirti con noi.»
Thad tacque e si voltò lentamente verso Sebastian.  
«Perché odi i Venerdì?» Chiese quest’ultimo. Non sapeva perché, ma sentiva la necessità di porgli quella domanda: aveva come la sensazione di essere un passo più vicino a risolvere quel grande enigma che era Thad.
L’altro si morse un labbro. «Non c’è una ragione precisa» spiegò, «sono utili solo a rovinarti il week-end» dovette scorgere la confusione nello sguardo di Sebastian, perché si affrettò a continuare, «insomma, puntualmente accade qualcosa che ti compromette il relax che avevi sperato e ti ritrovi costretto a trascorrere quei due giorni con la testa persa fra mille preoccupazioni che prima di Venerdì non avevi!»
Sebastian ridacchiò: solo Thad poteva trovare una motivazione così assurda per detestare quel giorno. «E oggi cosa è successo?» Si ritrovò a domandare.
Thad parve pensarci un po’ su, poi rispose: «Il compito di biologia è andato male.»
«Seriamente, Harwood?» Si sorprese Sebastian. «Passerai il week-end a rimuginare su questa cosa?»
Quello scrollò le spalle. «Ci tengo a fare le cose per bene» commentò semplicemente.
Sebastian ebbe l’impressione che tutto quel discorso fosse da ricollegarsi alla spinosa questione del suo fratello perfetto. Doveva essere piuttosto dura crescere in un ambiente che non fa altro che metterti sotto pressione e il ragazzo non poté fare a meno di constatare quanto, dopotutto, quella situazione fosse simile alla sua.
«Credi che se eccelli in ogni materia riceverai l’approvazione dei tuoi genitori?»
Thad fece una smorfia. «Forse» mormorò, «a volte vorrei solo che apprezzassero gli sforzi che faccio, piuttosto che elogiare sempre lui. È frustrante.»
«Posso immaginare» annuì Sebastian.
«E poi» continuò quello, «io e lui andiamo anche d’accordo e mi sento in colpa a sentirmi così nei suoi confronti.»
«Sai» meditò Sebastian, «ho la netta impressione che tu ti faccia troppi problemi, Harwood.»
Thad rise. «Sì, è quello che penso anche io, ma mi risulta difficile non stressarmi in questo modo.»
«Questo perché sei un maledetto perfezionista del cavolo.»
«È solo che» iniziò incerto, «sono sempre stato l’eterno secondo, sempre alla sua ombra. Poi sono venuto qui e mi sono trovato uniformato alla massa, tutti uguali, tutti al primo posto, e ho pensato che, se mi fossi impegnato seriamente, sarei stato in grado di diventare qualcuno. Così ho iniziato a studiare tanto, ho fatto il provino per i Warblers e sono entrato nel Consiglio.»
Sebastian aveva quasi paura di farla quella domanda perché temeva il senso di tutto quel discorso.
«E poi cos’è accaduto?»
Thad sospirò, passandosi una mano alla base del collo. «Poi sei arrivato tu e ci hai messi tutti in ombra di nuovo.»
E Sebastian non poté dire di non aspettarselo. Aprì la bocca per ribattere, ma Thad lo interruppe.
«Ed era così incredibilmente demotivante, perché sembrava che tutto ti riuscisse alla perfezione e che noi fossimo semplicemente l’ombra delle luci della tua ribalta, e ti garantisco che non era difficile odiarti per tutto questo, dal momento che non ti mettevi esattamente d’impegno per mostrarti amichevole.»
Prese fiato, distogliendo lo sguardo e ciondolando il capo. «E adesso viene fuori che sei anche simpatico e che io e te siamo in grado di fare una conversazione sensata senza urlarci addosso di tutto.»
«E ti dispiace?» Le parole gli caddero dalle labbra, prima ancora di riuscire a pensare a ciò che stava per dire. Lentamente i tasselli di quell’intricato puzzle stavano andando a posto e la figura che ne risultava gli mostrava chiaramente tutti gli sbagli che aveva fatto da che aveva messo piede in quella scuola.
Thad si voltò a guardarlo, risoluto. «No» rispose fermamente. «Hai solo confermato ciò che ho sempre pensato.»
«E cioè?» Mormorò Sebastian, incontrando il suo sguardo.
Thad deglutì incerto e Sebastian riuscì a scorgere le sue guance colorarsi leggermente di rosso. «Che sei più di quello che ti sforzi di sembrare agli altri, che ciò che mi hai mostrato oggi era qualcosa che credo somigli finalmente al vero Sebastian. E mi piace.»
Sebastian boccheggiò un paio di volte, non riuscendo a comprendere esattamente il significato di quella frase. O meglio, lo comprendeva fin troppo bene, ma aveva paura di domandare spiegazioni a se stesso per il modo in cui stava reagendo a quelle tre parole, lo stomaco stretto in una morsa che gli impediva di respirare agevolmente e il cuore da qualche parte fra la gola e il pomo d’Adamo.
«Quindi» provò a dire, ma la voce gli uscì bassa e roca e non era esattamente quello il tono che voleva usare, «devo dedurre che non sia stato un Venerdì così brutto?»
Non sapeva chi dei due si fosse avvicinato all’altro, fatto sta che adesso Thad era sorprendentemente vicino e Sebastian temeva che non sarebbe mai riuscito a distogliere lo sguardo da quegli occhi così neri e profondi.
Thad scosse la testa lievemente. «Affatto» rispose, la voce ridotta ad un sussurro quasi inudibile, «direi che è stato un bel Venerdì.»
Sebastian annuì, alternando lo sguardo fra i suoi occhi e le sue labbra schiuse. Qualcosa gli diceva che se ne sarebbe pentito per tutta la vita, ma lui preferì ignorarlo in favore delle sue palpebre pesanti e del suo cuore accelerato, che gli suggerivano invece che quella era esattamente la cosa giusta da fare.
Si sporse verso di lui, attendendo un qualsiasi cenno di Thad che gli facesse capire che aveva frainteso l’intera faccenda, anche se comunque dubitava che sarebbe riuscito a tirarsi indietro in tale eventualità.
Thad non si mosse e Sebastian gettò un ultimo sguardo ai suoi occhi prima di mormorare un «Hai ragione» e posare le labbra sulle sue.
La bocca di Thad era timida ed incerta e si muoveva sotto la sua delicatamente. Sebastian ci mise poco a portare una mano alla sua guancia e ad adattarsi al ritmo che sembrava stare dettando lui. Era una sensazione diversa dal solito, perché Thad era qualcuno di diverso dal solito, e Sebastian si stupì di trovare così confortante il pensiero che il giorno dopo Thad sarebbe stato ancora lì e non sarebbe sparito fra la calca di un locale affollato, lasciandolo con poco più del ricordo di un volto.
Accarezzò con la lingua il suo labbro inferiore, prima di portare una mano al suo fianco e attirarlo maggiormente a sé. Il respiro di Thad era caldo e piacevole e i gemiti bassi che gli uscivano dalla bocca scivolavano direttamente lungo la schiena di Sebastian, lasciandolo piacevolmente scosso.
Quando si allontanò da lui, cercò istintivamente i suoi occhi e ciò che vide gli fermò il respiro in gola. Il suo sguardo era limpido e sorpreso e le sue labbra, ancora umide e arrossate, erano piegate in un sorriso luminoso e sereno.
Sebastian avrebbe voluto dire qualunque cosa per apparire un po’ meno stupito per quanto era avvenuto, così aprì la bocca per parlare, ma ogni potenziale pensiero fu sostituito velocemente da un’unica e improvvisa domanda.
Quindi sono sempre stato io il tuo problema?
 

Thad era silenzioso. Sebastian si preparò per andare a dormire, gettando rapide e discrete occhiate nella sua direzione.
Aveva sorriso e si era allontanato dalla finestra, mormorando parole sconnesse e chiudendosi in bagno. Sebastian aveva inarcato un sopracciglio divertito, ma non aveva aggiunto altro, un po’ perché non aveva stranamente voglia di prenderlo in giro, un po’ perché non era sicuro di riuscire a mantenere la voce ferma abbastanza per formulare una frase di senso compiuto.
Era strano perché non riusciva a smettere di pensare a quanto accaduto ed era ancora più strano perché non riusciva ad impedirsi di desiderare che accadesse ancora.
Thad si infilò la maglietta del pigiama – del suo pigiama ancora troppo celeste – senza dire una parola e Sebastian pensò che non era salutare continuare a rimuginare alle motivazioni per cui aveva eretto quel muro del silenzio.
Era un bacio come tanti altri, eppure lo aveva coinvolto come pochissimi e Sebastian aveva la testa piena di interrogativi, che temeva sarebbero rimasti privi di risposta.
Thad si voltò improvvisamente verso di lui, mordendosi un labbro e torturandosi le mani in grembo.
«Allora domani vieni?» Domandò d’un fiato.
Sebastian rimase spiazzato dal suo tono di voce basso ed incerto ma, nonostante ciò, si ritrovò ad annuire senza rendersene conto.
Thad sorrise. «D’accordo» concesse, «allora a domani»
E detto ciò si voltò, stendendosi e sistemandosi sotto le coperte. Sebastian stette ad osservarlo un lungo istante, prima di finirsi di preparare ed imitarlo.
Non appena si stese, la stanchezza lo assalì e lui si allungò per spegnere la luce e togliere l’allarme della sveglia, agognando una lunga notte di meritato riposo.
«Buonanotte, Sebastian.»
La sua voce lo raggiunse mentre la realtà sfumava, lasciando il posto all’oblio dei sensi. Non si era reso conto di essere così stanco.
«’Notte, Thad» mormorò inconsciamente.

*°*°*°

Riusciva a percepire il momento esatto in cui la dimensione dei sogni svaniva e il mondo riacquistava concretezza. Quel momento in cui i sensi sono ancora ben lontani dallo svegliarsi e la tua mente non è ancora vigile ed operativa.
I suoni gli arrivavano attutiti e la luce penetrava blandamente attraverso le palpebre chiuse. Era giorno, di quello Sebastian stava iniziando a prendere coscienza. Era giorno e lui si era svegliato.
La testa gli vorticava furiosamente e faceva una gran fatica ad aprire gli occhi. Vi era qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che non riusciva ad afferrare, ma che sapeva di dover ricordare il prima possibile.
Fu un attimo, un attimo incredibilmente veloce e al contempo infinito, nel quale le sinapsi del suo cervello entrarono in contatto e i suoi neuroni presero a lavorare a pieno regime.
Un attimo in cui i suoi occhi si spalancarono e l’aria gli abbandonò i polmoni.
Un attimo in cui la realtà gli piombò addosso, asfissiante e improvvisa, palesandosi nel sottile e fastidioso allarme di una sveglia.





Noticine carine carine.
Innanzitutto, vi annuncio che da oggi in poi gli aggiornamenti saranno anticipati al lunedì: il martedì torno troppo tardi dall’università e non sono certa di riuscire a postare con puntualità, per cui ho convenuto effettuare questa modifica per evitare eventuali ritardi.
Dunque, avete deciso che preferivate che postassi il super- capitolo tutto in una volta, così vi ho accontentato. Sono esattamente 7524 parole ed io non vi ringrazierò mai abbastanza per essere arrivati fin qui. Dire che questo capitolo è il mio preferito, è poco. Dire che ci tengo da morire, è un eufemismo. Dire che ci ho riversato sangue, sudore e lacrime, non rende neanche lontanamente l’idea.
Ci ho lavorato tantissimo per farlo venire esattamente come era nella mia testa e ho lottato con quei due idioti che non ne volevano sapere di collaborare! Si può dire che ci ho messo più tempo a scrivere questo unico capitolo che i tre precedenti. E non è assolutamente un’esagerazione.
Di solito non lo faccio, ma stavolta vi chiedo sinceramente di farmi sapere cosa ne pensate perché… boh, io ne vado stranamente soddisfatta e spero sinceramente di essere riuscita a trasmettere qualcosa!
Un grazie immenso a Vals, Sere e Somo che mi sono state addosso per farmelo scrivere e che hanno sopportato i miei deliri e le mie insicurezze senza farmele mai pesare.
Adesso passo subitissimo a rispondere alle vostre recensioni e vi ringrazio ancora per l’entusiasmo che mi state dimostrando!

Vi ricordo gli indirizzi a cui potete trovarmi per qualunque genere di informazione: Facebook e Twitter.
E niente, vado rintanarmi in un angolino a farmi mangiare viva dall’ansia! xD
A lunedì prossimo,

Thalia.

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Capitolo 5
*** Capitolo 5. ***


Stuck 4 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 5/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!



                                    *o*


Capitolo 5.

Era come tuffarsi. Era esattamente come tuffarsi.
Raccogliere il coraggio a quattro braccia e saltare. Sentire il proprio corpo infrangere la liscia superficie dell’acqua e, da un momento all’altro, ritrovarsi da solo.
Isolato dal mondo, dal rumore, dalla luce e da qualunque cosa che non sia l’acqua. Sopra di te, intorno a te, addirittura dentro di te. Ed è asfissiante perché fa male e tutto ciò che vorresti fare e riemergere e tornare a respirare, ma rimani lì, mentre l’aria abbandona lentamente i tuoi polmoni e gli occhi bruciano e la realtà si fa sempre più lontana.
Era come immergersi, un’apnea indesiderata che ti impedisce di respirare agevolmente e ti blocca i pensieri, permettendoti di percepire solamente il rumore rimbombante selle solide pareti d’acqua che premono su di te.
Ed in effetti il rumore c’era, solo che era scrosciante e confortante, ovattato dalla presenza della porta che separava le due camere e irregolare a causa della presenza di un corpo solido e vivo a ostacolare la caduta naturale delle gocce.
Thad aveva provato a domandare cautamente se vi fosse qualche problema, Sebastian aveva scosso il capo, incapace anche solo di parlare, e l’altro ragazzo aveva pensato bene di lasciar perdere la questione e dirigersi direttamente in bagno.
Sedeva sul letto, Sebastian, lo sguardo perso nel vuoto i piedi ben piantatati a terra, unico contatto con quella realtà che lentamente gli scivolava dalle dita.
Thad gli aveva dato il buongiorno sorridente come al solito, aveva afferrato un quaderno dalla scrivania e lo aveva sfogliato febbrilmente, come al solito.
E probabilmente era proprio quello il problema. Thad si era comportato esattamente come aveva fatto ogni maledetta mattina in quella settimana e Sebastian sentiva che stava per impazzire perché non vi era niente, niente, che facesse presupporre che qualcosa di diverso vi era stato eccome la sera prima.
Alzò gli occhi al cielo, respirando affannosamente ed impedendosi categoricamente di lasciarsi andare proprio in quel momento.
«Cosa devo fare?» Mormorò esasperato.
Thad uscì dal bagno perfettamente vestito e il nodo alla gola di Sebastian si strinse giusto un po’.
«Puoi andare» annunciò, sistemando accuratamente la borsa. E Sebastian annuì semplicemente, perché dire qualunque cosa, in quel momento, sarebbe equivalso ad afferrare Thad e costringerlo ad ammettere che ricordava distintamente quello che era accaduto appena qualche ora prima.
«Sei sicuro di star bene?» Chiese gentilmente.
Sebastian si costrinse a distogliere l’attenzione dai propri pensieri e a piazzarsi un mezzo sorriso in faccia. «Mai stato meglio» mentì.
Thad lo fissò dubbioso ma non aggiunse altro, così Sebastian si congedò da lui e si rifugiò tra le calde pareti del bagno.
Qualcuno ce l’aveva con lui, ormai era chiaro.
Ci era andato vicinissimo stavolta, ma non era stato abbastanza. Si stava aprendo con lui, gli stava permettendo di guardargli dentro senza filtri, si era mostrato vulnerabile per una volta, si era sentito felice per un attimo. Ma evidentemente gli era negato, la felicità era un concetto che gli era precluso in quel calvario insensato.
Lasciò che l’acqua lavasse via i suoi pensieri, che gli donasse l’energia necessaria per affrontare nuovamente quella giornata. Quella giornata così simile alla precedente, eppure così diversa.
Quando uscì dal bagno, aveva recuperato un po’ di quello smalto che il risveglio di quella mattina gli aveva scalfito. Avrebbe trovato un modo per porre fine a quello strazio, ne era certo.
Thad era seduto sul letto e Sebastian si costrinse ad ignorare quel formicolio lungo la schiena che gli suggeriva di avvicinarsi a lui e mandare al diavolo ogni buon proposito accumulato fino a quel momento.
«Andiamo?» Domandò, alzando lo sguardo.
Sebastian scrollò le spalle. «Potevi anche avviarti» rispose.
Thad roteò gli occhi e afferrò la tracolla. «Qualcuno si è svegliato di cattivo umore» constatò, aprendo la porta e sparendo nel corridoio.
Sebastian avrebbe voluto fargli notare che era statisticamente improbabile che qualcuno si svegliasse di buon umore nel bel mezzo di una crisi mistica di quell’entità.
Sospirò, immergendosi nella caotica fiumana di studenti che si dirigevano a lezione e sperando, mai come quella volta, che la giornata terminasse quanto prima.
Alzò gli occhi in tempo per scorgere la testa platinata di Sterling sfrecciargli accanto e gettarsi all’inseguimento del suo moro amico, fidanzato o quello che era.
E fu un attimo. Prima di avere il tempo di collegare il cervello alle sue labbra, lo aveva già chiamato e costretto ad arrestarsi.
Vi era una cosa che forse poteva fare, una cosa che sapeva di dover fare e che si rendeva conto solo in quel momento di voler anche fare.
«Sono in ritardo, Sebastian, di che hai bisogno?»
Quello lo fissò scettico. «Io da te? Proprio di nulla» lo informò tranquillo.
Jeff si passò una mano fra i capelli spazientito. «Prova a fare pace con il cervello, Smythe, e poi chiamami.»
Fece per allontanarsi, ma la voce di Sebastian lo richiamò indietro. «Non ho finito» annunciò. Jeff non si voltò, ma ormai erano rimasti solo loro nel corridoio e Sebastian sapeva che era in ascolto.
«Diciamo che potrei aver accidentalmente saputo della tua toccante storia d’amore clandestina» iniziò, pacato. Avvertì Jeff irrigidirsi e, ghignando, continuò. «E diciamo che io muoia dalla voglia di metterne al corrente anche una determinata persona» il fatto che lo avesse fatto già un paio di volte e che Thad sembrasse già essere informato di quel segreto di Stato erano dettagli assolutamente irrilevanti, «se capisci cosa intendo.»
Jeff si voltò. «Cosa vuoi?» Sputò fuori.
«Un’ora del tuo tempo» contrattò, ma all’espressione perplessa di Jeff si affrettò a spiegarsi. «Prima del compito, Sterling, avete un’ora buca» sbuffò, esasperato dalla mancanza di senso pratico in quel ragazzo. Quello annuì, evidentemente più attento al filo del discorso.
«Dagli una mano a ripetere e potrei evitare di dirgli che i suoi migliori amici lo tengono all’oscuro delle inaspettate svolte della loro vita privata.»
E Jeff parve capire all’istante, tant’è che sgranò gli occhi facendo innervosire maggiormente Sebastian.
«Perché?» Domandò semplicemente.
«Non devo dare spiegazioni a te» gli fece notare, seccato, «tu assicurati che per l’inizio del compito sappia il sistema endocrino e quello digerente, come sa l’inno alla nazione, e il tuo segreto sarà al sicuro con me.»
Jeff fece schioccare la lingua. «Tu cosa ci guadagni?» Domandò sospettoso.
Ma Sebastian la sua parte l’aveva fatta, così si incamminò verso l’aula, evitando quella domanda che lo aveva profondamente irritato. «Tu non eri in ritardo?» Ribatté invece.
Sterling lo seguì poco distante ma ormai il discorso era caduto.
Sapeva che lo avrebbe fatto: ci teneva troppo a Thad per rischiare che venisse a sapere di quella storia da qualcuno che non era lui.
Non era molto, ma almeno poteva sperare di mettere a tacere parte dei suoi sensi di colpa e permettere a Thad di trascorrere un bel fine settimana.
Odio i Venerdì … sono utili solo a rovinarti il week-end.
Giunse all’aula di storia trovandoli già tutti lì, limitandosi a rispondere alle domande di David come aveva sempre fatto e come sapeva ormai di dover fare.
Che senso aveva provare a cambiare le cose, se poi ricominciava inevitabilmente tutto daccapo? Tanto valeva accettare passivamente lo svolgersi degli eventi e sperare almeno di sopravvivere ad essi.

Sebastian distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo nuovamente sul suo compito e sospirando per l’ennesima volta in quella giornata.
Tanto il giorno dopo sarebbe stato di nuovo seduto a quel banco, di nuovo davanti a quel foglio, di nuovo accanto a Duvall. La biologia poteva anche aspettare, in quel momento aveva problemi ben maggiori a cui pensare.
Aveva provato ad affrontarla in ogni modo che conosceva, sviscerando la questione da qualunque punto di vista e analizzandola da ogni prospettiva. Si era ritrovato puntualmente con un pugno vuoto, talmente vicino a stringere tra le mani la soluzione di quell’arcano da poterla quasi saggiare con i sensi. Eppure non era mai riuscito ad afferrarla concretamente, vi era sempre qualcosa che gli sfuggiva e che gli impediva di osservare la situazione nell’insieme piuttosto che nei singoli dettagli.
Aveva rovesciato sul tavolo una quantità non indifferente di tesserine colorate ma, adesso che doveva riunirle e formare una figura di senso logico, non sapeva da quale iniziare. Aveva come l’impressione che mancasse qualcosa, un qualcosa, il qualcosa che le tenesse insieme e che impedisse all’intero puzzle di crollare al suolo. E Sebastian non aveva idea di cosa fosse né sapeva in che modo potessero essere legate fra loro la chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall, ciò che era accaduto con Thad. Tutto ciò che era accaduto con Thad.
Sarebbe stato un insulto alla sua intelligenza affermare che non avesse ancora compreso che Thad fosse il punto fondamentale di tutta quella storia, dal momento che ogni cosa accaduta in quei giorni non aveva fatto altro che mettere l’accento su quanto poco conoscesse il suo compagno di stanza. Ebbene, aveva posto rimedio alla cosa. Avevano parlato, si erano conosciuti meglio ed erano andati oltre ciò che entrambi erano soliti vedere. Evidentemente, però, il bandolo della matassa non doveva essere quello, visto che si trovava per la quarta volta davanti a quel fottuto compito di biologia e non aveva ancora idea del perché.
Duvall continuava ad importunarlo alla sua destra, ma Sebastian non aveva alcuna voglia di aiutarlo. Domani, si ripeté, tanto domani staremo di nuovo qua.
Scribacchiò un paio di righi sul foglio, onde evitare che gli venisse fatto notare quanto pericolosamente vicino si trovasse all’essere rimandato in quella materia. Dopodiché, fece schioccare un paio di volte il collo e permise al suo sguardo di vagare in giro per l’aula. La sua attenzione venne immediatamente attirata da Thad. Aveva la testa china sul foglio e scriveva. Sembrava piuttosto concentrato e, cosa ancor più importante, la sua gamba non tremava. Sebastian sorrise appena nel constatare che, magari, Sterling aveva fatto il suo dovere e il week-end di Thad non sarebbe stato poi così male. Si sorprese nuovamente di quel pensiero assolutamente non da lui, convenendo con sé stesso che quel discorso ormai non potesse più essere rimandato. Ed era strano, perché era incredibile quanto fosse cambiato il suo modo di vedere le cose nel giro di pochi giorni. Pochi giorni, poi. Visto da fuori il suo cambiamento sarebbe sembrato immotivato ed improvviso, dal momento che, fino a prova contraria, era avvenuto dalla sera alla mattina. Non aveva senso e pensarci gli faceva venire mal di testa, così Sebastian decise che, da quel momento in poi, avrebbe affrontato le cose esattamente nel modo in cui gli si presentavano, senza pensieri e senza troppi ragionamenti alienanti. Quando la campanella suonò, si alzò velocemente, consegnò il compito e si avviò fuori dall’aula, certo che le chiacchiere entusiaste ed esaltate degli altri Warblers lo avrebbero raggiunto fin troppo presto.

Ed infatti non si sbagliava. Il parlare calmo e ragionato di David lo distrasse per un po’ dai suoi pensieri, Sebastian finse di interessarsi alla conversazione come aveva fatto le volte precedenti, non potendo impedire a sé stesso di rispondere ad ogni domanda e commentare ogni supposizione o idea. Lo aveva già fatto, sapeva di doverlo fare e non aveva alcuna voglia di mettersi a combattere contro le parole che premevano per lasciargli la bocca contro la sua volontà.
 «…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
E di cosa diamine stava parlando Sterling? Dio, aveva ascoltato quella frase quante? Due? Tre volte? Aveva meno senso ogni volta che la pronunciava.
«Io non l’ho mai capito quell’affare» disse Trent, «come fa a piacerti, Jeff?»
E Nixon gli dava anche corda, come ogni maledetta volta. Ed ora il biondo rispondeva…
«Mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress» spiegò.
Oh, ma guarda! Punto per Sebastian!
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose come al solito. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
Roteò gli occhi al pensiero della ridicola discussione che stava per affrontare. Prima Sterling, poi Duvall.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me, non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con l’ossigenazione» commentò Sebastian.
Poi di nuovo Sterling e lui che ribatteva a tono. E Flint che provava a fare da paciere. Illuso.
Forse, se si fosse impegnato, un modo per evitare quello strazio lo avrebbe anche trovato. Bastava fare un’altra strada per raggiungere la mensa, oppure proporre un argomento di conversazione differente prima che loro iniziassero a blaterare di quelle idiozie. Magari era un’idea da prendere in considerazione per il giorno successivo. Avrebbe potuto procurarsi un pacco di fazzoletti per otturare le loro prolifiche cavità orali, in alternativa. Un modo per farli tacere c’era per forza.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Quella domanda lo richiamò dal suo mondo di piani machiavellici e lo riportò brutalmente in quell’elegante corridoio dell’Accademia.
Domani. Il domani a cui era stato invitato da Thad appena poche ore prima, il domani che improvvisamente gli interessava vivere, il domani che sembrava così lontano.
Noi Warblers abbiamo in programma una gita.
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta. «Ovviamente sarò dei vostri, che domande!»
Se ti va puoi unirti a noi.
Era come vivere una scena al rallentatore, come se lui fosse l’inerme spettatore di una commedia messa in scena da attori scialbi e inconsistenti.
Nick che esultava, Thad che sorrideva e il braccio di Flint che si posava intorno alle sue spalle.
Le mani di Sebastian che si chiusero a pungo, la sua gola che ingoiava un ringhio, la sua pelle che tremava.
Fastidio. Bruciante e logorante fastidio che gli scuoteva le membra e gli annebbiava la vista.
Flint che gli sussurrava qualcosa all’orecchio e Thad che sorrideva.
Thad con cui non aveva mai avuto quella chiacchierata, Thad che continuava ad avercela con lui, Thad che non aveva avuto modo di confermare i suoi pensieri. Ed era tutto così fottutamente demotivante. Thad che non gli parlava, ma che si era lasciato baciare la sera prima.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche se continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che stava parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto non saresti venuto.»
Sebastian fece una smorfia.
Ma poi abbiamo chiacchierato e tu hai detto che anche tu odi i Venerdì e…
E Thad voleva che andasse con loro, nonostante gli altri se ne fregassero di lui e di quello che pensava. Glielo aveva chiesto ben tre volte, perché era importante, perché ci teneva… perché gli piaceva.
«Oh» rispose meccanicamente, «la prima decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino» annuì Sebastian, «ma questa non è certo una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti va?» si infervorò Nick.
Ed ovviamente Duvall non poteva fare a meno di difendere il suo ragazzo. Sebastian sospirò frustrato per l’ennesima volta. La sola prospettiva di dover rivivere quello strazio all’infinito lo mandava al manicomio.
«Di certo più di te in queste condizioni» rispose prontamente.
E poi Flint, e ancora David e poi Nick che veniva opportunamente zittito da Thad. E sembrava davvero che quella giornata non dovesse mai finire.

Il divanetto in pelle, quel pomeriggio, era più fastidioso del solito.
Sebastian si ritrovò a muoversi per l’ennesima volta a disagio, alla ricerca di una posizione comoda che non sembrava essere in grado di trovare.
Costrinse sé stesso ad evitare di far caso a Sterling che si muoveva in mezzo alla sala, convenendo che i suoi neuroni fossero già abbastanza provati da quell’esperienza: era inutile stressarli ancora.
Era strano però. Sebastian sapeva che quello sarebbe stato l’esatto momento in cui intervenire per cambiare l’esito di quella riunione, eppure non ne aveva la benché minima voglia. Come per tutto il resto in quella giornata, stava semplicemente assecondando il corso degli eventi, facendoseli scivolare addosso e fingendo che non lo riguardassero più di tanto.
Magari sarebbe servito a qualcosa.
Si guardò un attimo intorno, notando che Duvall si era ammutolito e che Sterling si era acquietato.
Ecco, quello era il momento in cui Nixon apriva la bocca e il suo autocontrollo andava a puttane.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei provini seri per decidere il solista delle competizioni.»
E la velata ironia che gli sporcava la voce aveva il potere di irritare Sebastian come solo le camicie stropicciate, la pioggia quando devi uscire e i rumori improvvisi di notte riuscivano a fare.
Non si voltò neanche a guardarlo. «Seri?» domandò stancamente, «quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo, altrimenti non saremmo qui.»
Ma quei due parlavano sempre in coppia? Non vi era affermazione fatta da uno a cui non seguisse inevitabilmente un commento da parte dell’altro. Cristo, era così che speravano di nascondere la loro storia? Stavano sempre ad appoggiarsi l’un l’altro, a sorridersi complici e a guardarsi di sottecchi. Era un bene se non gli avevano già preparato un addio al celibato con tanto di strette di mano e auguri di prolifica progenie!
«Oh, ma andiamo!» rispose, «sappiamo tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian strinse il pugno, continuando a fissare Duvall che lo osservava a sua volta. Non sapeva cosa ci avrebbe trovato in quello sguardo, ma non aveva alcuna voglia di controllare.
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire a starmi dietro» fu costretto a ribattere.
I ragazzi erano silenziosi e vigili. Sebastian li vedeva spostare lo sguardo dall’uno all’altro, trattenendo il fiato e rimanendo in attesa degli sviluppi di quel dibattito.
Non voleva girarsi, non poteva permetterselo. Strinse il pungo, continuando a fingere di stare semplicemente ignorando il suo interlocutore e non di star invece fuggendo dal suo sguardo.
«E tu non saresti presuntuoso?» continuò Thad, «Sebastian, ti conviene scendere dal piedistallo, perché l’aria che respiri lassù ti sta fottendo il cervello.»
E fu inevitabile. Fu inevitabile avvertire lo stomaco chiudersi, fu inevitabile sentire il respiro lasciargli i polmoni e le mani pizzicargli. Fu inevitabile voltarsi a guardarlo.
…e ti garantisco che non era difficile odiarti per tutto questo, dal momento che non ti mettevi esattamente d’impegno per mostrarti amichevole.
Thad lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure e un’espressione severa e dura che non gli si addiceva per nulla. Sebastian si sentì attraversato da quello sguardo e non poté fare a meno di sentirsi vacillare, per un attimo, a causa della nostalgia che aveva di quegli occhi scuri e luminosi e che gli avevano scavato dentro in poco più di mezza giornata.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito di utilizzarlo a sproposito» le parole gli lasciarono le labbra senza che lui potesse fare qualcosa di efficace per impedirglielo. E si sentiva sconfitto e messo al muro, la testa piena delle loro chiacchiere della sera prima e gli occhi che bruciavano.
Thad sbuffò e Sebastian provò a ricercare, in quei lineamenti e in quelle parole, i segni del ragazzo che aveva conosciuto davanti alla finestra della loro stanza, il ragazzo che si era aperto con lui, che gli aveva sorriso cordiale e lo aveva fatto sentire appena un po’ più giusto.
«Eviti di utilizzarlo e basta.»
E adesso viene fuori che sei anche simpatico e che io e te siamo in grado di fare una conversazione sensata senza urlarci addosso di tutto.
Non più, a quanto pare.

La restante parte della riunione, trascorse senza eclatanti colpi di scena, come al solito. Quando David annunciò che potevano andare, Sebastian si alzò, mantenendo la postura elegante e regale che lo caratterizzava, e si avviò verso l’uscita.
Il peso della sua tracolla gli ricordò che aveva un libro da consegnare in biblioteca, ma il suo umore sotto i piedi lo convinse a rimandare quella pratica inutile. Ci avrebbe pensato un altro giorno.
Per nulla desideroso di tornare in camera, camminò con quanta più flemma possibile, canticchiando il motivetto di una canzone a caso e lasciando che la mente gli si svuotasse automaticamente.
Fu richiamato dai suoi pensieri solo quando, sul punto di voltare l’angolo per arrivare alla sua camera, fu raggiunto da due voci concitate.
Decisamente non aveva voglia di origliare un’altra conversazione privata: l’ultima volta gli era bastato e avanzato. Mosse un passo in quella direzione, ma ciò che sentì lo convinse a immobilizzarsi sul posto.
«Non è colpa mia, Jeff.»
Harwood.
Sebastian si mosse appena, sporgendosi nel corridoio per controllare la situazione. Thad era poggiato allo stipite della porta della loro stanza e sembrava piuttosto abbattuto. Di fronte a lui, Sterling lo guardava severo, le braccia incrociate al petto e la testa inclinata di lato.
«No» commentò, «certo che no.»
Thad sbuffò, appoggiando la testa al legno e guardando altrove. «Non lo sopporto» sbottò, «e poi lo vedo e mi dimentico che non lo sopporto.»
Jeff roteò il capo. «Sì, direi che ci siamo accorti tutti di quanto poco lo sopporti» gli fece notare.
Sebastian ritornò alla sua posizione originaria, privandosi della vista di quella scena, ma restando comunque in ascolto.
Aveva un fastidioso presentimento, ma si costrinse a metterlo da parte e a immagazzinare quante più informazioni possibili. Maledette conversazioni origliate, maledetti Warblers che si appartavano a due a due e maledetto il suo tempismo perfetto.
«Lo odio» proseguì Harwood. «E credo che anche lui odi me a questo punto, però a entrambi importa ciò che sta facendo l’altro. A me di sicuro» sospirò, « e boh, lui mi fissa e non capisco cosa accidenti voglia da me e lo odio anche per questo.»
Sebastian sentì Jeff ridacchiare e, per qualche motivo a lui ignoto, si ritrovò a sorridere con lui. Riusciva quasi ad immaginare l’espressione di Harwood mentre pronunciava quelle parole, le guance arrossate e gli occhi che si muovevano veloci. Bastava una parola, una parola che trasformasse quel presentimento in realtà, che confermasse il suo sospetto, e non ci avrebbe pensato due volte a congedare Sterling e a chiudersi in camera con lui per tutta la sera.
«Tu» iniziò il biondo, «cerca solo di essere meno ovvio» lo ammonì, «altrimenti, se se ne accorge, ti darà il tormento per il resto dell’anno.»
«Come sempre i tuoi consigli sono utili e costruttivi, Jeff.»
«Felice di esserti d’aiuto» rispose l’altro.
Thad ridacchiò e Jeff gli disse qualcosa che Sebastian non riuscì a capire ma che doveva averlo fatto indignare parecchio, viste le proteste che ne seguirono.
«Vado» annunciò Sterling, «Nick mi aspetta per studiare.»
Certo, studiare.
«A dopo» lo salutò l’altro, «e, Jeff?»
«Sì» lo anticipò l’altro, «lo so: acqua in bocca.»
«Grazie.»
«Nulla.»
Una serratura che scattava ed una porta che si apriva e poi chiudeva velocemente.
Sebastian rimase qualche altro minuto al suo posto, ringraziando il caso che non avesse fatto passare nessuno in quel momento, prima di sollevarsi dalla parete e incamminarsi finalmente verso la propria camera.
Rimase a fissare la porta per un attimo, raccogliendo le energie sufficienti per affrontare nuovamente quella sfiancante discussione che non aveva alcuna voglia di rivivere. Quando si decise ad abbassare la maniglia, la scena che lo sorprese oltre la lucida superficie di legno era diversa dalle precedenti.
Thad non c’era. O, almeno, Thad era ancora a fare la sauna: lo scroscio dell’acqua della doccia era abbastanza indicativo a riguardo.
Ma quanto accidenti si lavava quel tipo?
Sebastian si tolse la tracolla e il blazer dell’Accademia, arrotolando le maniche della camicia fino al gomito e sedendosi sul letto.
In genere trovava già lì Thad una volta rientrato in camera e di solito era lui a dare inizio alla discussione. Forse stavolta poteva evitarlo, doveva solo riuscire a tenersi per lui quella prima frase incriminata, in modo tale che Thad non potesse ribattere e lui non si ritrovasse intrappolato nuovamente in quella spirale di parole non dette e da dire obbligatoriamente.
Thad uscì dal bagno portando con sé una cappa di aria calda e il profumo del bagnoschiuma all’arancia che usava in abbondanza. Si immobilizzò sulla porta nel notare la presenza di Sebastian nella stanza e per un attimo rimasero a fissarsi senza sapere cosa dire o cosa fare.
Sarebbe stato facile dare un taglio a quella pagliacciata e giocarsi tutto, una volta e per sempre, ma Sebastian non poteva permettersi di vacillare. Non di nuovo. Ammettere che Thad lo aveva sconvolto gli costò più fatica di quanta ne immaginasse e il pensiero che fosse stato lui a permetterglielo era intollerabile.
Thad afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò sul letto come ogni volta.
A quel punto Sebastian avrebbe esordito a suo modo, infischiandosene di tutto e desideroso solo di far innervosire Thad e vedere fino a che punto riusciva a stargli dietro, ma non quella sera. Era forse l’unico momento di quella giornata in cui aveva il pieno controllo della situazione.
Si schiarì la voce, ricercando le parole adatte per iniziare. Voleva solo… parlare. Senza urlare o tirare giù i vari Santi dal Paradiso.
«Dunque» esordì, «che leggi?»
Thad alzò lo sguardo per un attimo, rivolgendo un’occhiata scettica al suo compagno di stanza, prima di riabbassarlo sulle pagine dinanzi a sé.
«Un libro» rispose lapidario.
Sebastian roteò gli occhi. «Ma dai? Avrei detto che fosse una lista della spesa!»
Sì, ciao ciao, conversazione tranquilla, ciao.
Thad sbuffò. «Sei tu che fai domande inutili, Sebastian.»
«Cercavo di fare conversazione» gli fece notare l’altro.
Thad si mise a sedere, mettendo da parte il libro e fissando Sebastian. «E perché lo faresti?» volle sapere.
Sebastian sbuffò. «Ma si può sapere qual è il tuo problema?»
Thad si produsse in una risata bassa ed amara. «Al momento sei tu il mio problema.»
E Sebastian lo sapeva e nonostante ciò continuava a girare il dito nella piaga. Perché poteva essere stanco, annoiato e spaventato da quella situazione, ma improvvisamente fu tutto troppo chiaro.
Il tassello mancante, ciò che legava la chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall e tutto ciò che era accaduto con Thad fino a quel momento. Ciò che permetteva a tutto di acquistare un senso, non singolarmente ma nell’insieme.
Quindi sono sempre stato io il tuo problema?
E lui lo aveva capito la sera prima, ma non era stato abbastanza sveglio da collegarlo a tutto il resto.
Thad lo fissava con sguardo attento e severo. Sembrava ferito da qualcosa e Sebastian – con l’ausilio di questa nuova consapevolezza – non aveva difficoltà ad immaginare cosa fosse che gli faceva così male, che lo faceva scattare così ogni volta che parlavano, che lo portava a rinfacciargli di tutto e a essere così rancoroso nei suoi confronti.  
«Beh» si ritrovò a dire Sebastian, «io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito non te la prendi così tanto.»
No, no, no, no. No. Doveva per forza dire quelle parole esatte? E per quale motivo finivano puntualmente a litigare?
Sembrava che non vi fosse alcun modo per cambiare quella serata. Per un motivo o per un altro, la conclusione era sempre la stessa. Tranne la sera precedente.
Continuava a rispondergli contro la sua volontà e a domandarsi cosa avesse sbagliato ancora e se vi sarebbe stato un modo per premere il tasto pausa e impossessarsi nuovamente della sua vita.
Thad era arrabbiato per delle ragioni che adesso Sebastian riusciva a comprende più a fondo, ma che comunque non giustificavano quell’astio nei suoi confronti.
Lui cosa ne poteva sapere? Si era sempre comportato allo stesso modo con tutti, non poteva immaginare che da parte sua ci fosse dell’altro. La colpa non era assolutamente sua.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» disse.
E sì, aveva capitolo più cose Thad di lui che Sebastian stesso. Se ne era rimasto in un angolo, una pulce silenziosa e furba che gli era entrata dentro poco a poco, arrivando a rivoltarlo come un calzino senza che Sebastian riuscisse a rendersene conto.
Sei più di quello che ti sforzi di sembrare agli altri.
Perché Thad era andato oltre e, nonostante tutto, Sebastian gli era grato per questo
«Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non sapere nulla di me.»
E cazzo, quello non era giusto, non lo era per nulla. Ci aveva messo un po’, ma alla fine ci era arrivato.
Lo aveva ascoltato parlare del suo fratello perfetto, sapeva che era un maledetto perfezionista del cavolo, che boxava di tanto in tanto, che odiava i Venerdì, che cercava di eccellere continuamente, che odiava la biologia e che gli piaceva leggere. Poco importava che aveva appreso tutto nella stessa fottuta giornata! Lui ci aveva messo tutta la sua buona volontà, quel trattamento era ingiusto. E fanculo che Thad non avesse idea di tutto quello, Sebastian si era stufato di quella cazzo di presa per il culo.
Non sapeva in quale momento di quella discussione si erano alzati in piedi, fatto sta che adesso se ne stavano entrambi al centro della stanza: Sebastian con il pugno serrato e la rabbia che premeva per esplodere, Thad con le braccia incrociate al petto e l’espressione delusa in viso.
«Buonanotte, Sebastian» disse, prima di voltarsi e scostare le coperte.
E fu un attimo. Prima ancora di riuscire a ragionarci, Sebastian era scattato in avanti e gli aveva afferrato il braccio costringendolo a voltarsi nella sua direzione.
«Ti piacerebbe» quasi gli ringhiò. «Cristo, adesso mi ascolti.»
Avvertì Thad trattenere il respiro e per un attimo si bloccò, diviso fra l’incertezza di non sapere in realtà cosa dire e la paura di stargli facendo male. Thad aveva gli occhi leggermente sgranati e Sebastian avvertiva il suo respiro accelerato sul viso, tanto erano vicini.
«Ti permetti di startene qui» iniziò, duramente, «con il tuo pigiama troppo celeste e il tuo bagnoschiuma all’arancia che normalmente troverei disgustoso su chiunque, e mi fai fare pensieri che di solito non farei e dire cose che assolutamente non direi e agire in modi che non sono assolutamente da me, e poi mi accusi di essere un egocentrico del cazzo ed un egoista della peggior specie e di non conoscerti affatto e altre puttanate che ho evitato di ascoltare.»
E lo sapeva che prima o poi sarebbe scoppiato, solo che non voleva che accadesse così. E, soprattutto, non per queste ragioni. Ma si sentiva frustrato e maledettamente nervoso: riversare la sua rabbia repressa su Thad sembrava la soluzione più semplice, in quel momento.
«E per cosa, poi?» continuò, impassibile allo sguardo sconcertato dell’altro. «Per farmi sentire in colpa per delle ragioni che solo tu sembri conoscere? Ma vaffanculo, allora.»
Thad boccheggiò appena, ma Sebastian finse di non notarlo e proseguì a briglia sciolta, la presa sul suo braccio sempre più salda e la voce che cresceva ad ogni parola.
«Ti comporti come se io fossi quello cattivo, quando sei tu che continui a spalarmi merda addosso solo perché speravi che fossi più bravo ad interpretare i tuoi segnali confusi e a capire che hai una cotta per me? Ma quanto cazzo sei egoista?»
E aveva giocato sporco, lo sapeva, ma Thad non poteva avercela con lui per quello. Quello sleale era lui.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, fuggendo gli occhi di Sebastian e concentrandosi sulle sue dita strette ancora intorno alla stoffa del pigiama.
Quando lo rialzò, non vi era traccia di indecisione sul suo viso e la sua voce era sicura e ferma non appena parlò.
«Di cosa mi stai accusando esattamente, Sebastian?» domandò, «Di sentire qualcosa per te, oppure di essermi ricordato di possedere un amor proprio e di aver provato a convincermi che tu non fossi per niente la persona adatta per cui provare qualsiasi genere di sentimento?»
Sebastian aprì la bocca per rispondere e fargli notare che, ancora una volta, non aveva centrato il punto del discorso, ma quello lo interruppe immediatamente.
«No, perché voglio essere certo di difendermi dall’accusa giusta e di evitare di sputtanarmi più di quanto io non abbia già fatto.»
Si stava mettendo totalmente in gioco e Sebastian avvertì la sua stretta indebolirsi nel constatare che, ancora una volta, Thad sembrava il più forte tra i due.
«E se ti dicessi» iniziò, mascherando l’incertezza nella sua voce, «se ti dicessi che non mi danno fastidio i tuoi sentimenti?»
Tanto valeva giocarsi il tutto per tutto e prendere a calci l’orgoglio. Male che andava, il giorno dopo avrebbe rivissuto tutto daccapo e nessuno avrebbe conservato il ricordo di quella conversazione. Tranne lui, ovviamente.
«Mi stai incoraggiando a farmi del male, Sebastian?»
Sebastian rise amaramente, spostando le mani sui fianchi di Thad e avvertendolo rabbrividire a quel contatto.
«Thad, ce ne stiamo qui in piedi, al buio, a parlare di sentimenti e a urlarci addosso tutto quello che ci passa per la testa» gli fece notare, sorridendo. «Se avessi voluto farti del male, avrei trovato modi molto più fantasiosi, non credi?»
Thad si morse un labbro, spostando lo sguardo altrove. Sebastian si prese un attimo per osservarlo e rafforzare la presa su di lui per rendere inequivocabilmente chiaro il concetto.
«Cosa è cambiato da ieri?» Domandò infine, riportando lo sguardo su di lui.
Sebastian avrebbe voluto rispondere che, tecnicamente, era passato ben più di un giorno, ma decise che quella considerazione poteva anche tenersela per sé.
«Dio, Thad, mi hai fottuto il cervello!» Si esasperò. «Cos’altro hai bisogno di sapere?»
E Thad rise, mentre le sue guance si coloravano di rosso e la sua testa si abbassava leggermente. «Suppongo che per adesso potrei anche farmelo bastare» commentò.
Sebastian si chiese se sarebbe stato perfetto come la sera precedente e se Thad si sentisse abbastanza coinvolto da lasciarsi andare nuovamente con lui.
Si sporse in avanti, trattenendo il respiro e avvertendo la pelle fremere per quel contatto che aveva bramato per tutta la giornata e che gli era così inspiegabilmente mancato tanto.
Thad non si mosse e Sebastian si ritrovò a perdersi per un attimo nei suoi occhi scuri e profondi prima di accarezzare quella ridicola distanza che ancora li separava e posare le labbra sulle sue.
Le trovò esattamente come le ricordava, morbide ed incerte. Si muovevano sotto le sue lentamente e senza fretta, assecondandone il ritmo e lasciandosi guidare completamente.  
Sebastian gli passò un braccio dietro la schiena, attirandolo maggiormente a sé e approfondendo quel bacio di cui aveva un bisogno urgente e disperato.
In un attimo le braccia di Thad erano intorno al suo collo, in un movimento naturale e fluido che Sebastian percepì direttamente sulla pelle, un brivido lungo la schiena che lo fece perdere momentaneamente. Perdere fra le sue labbra schiuse, la sua lingua che si intrecciava alla sua e i suoi gemiti bassi che sentiva scorrere direttamente nelle vene.
Ti prego, questo non te lo dimenticare.
E in quel momento seppe di essere fottuto davvero.













Noticine carine carine
Dunque, eccoci alla fine di un altro, mastodontico, capitolo. Spero non me ne vogliate e spero che la lettura sia stata almeno piacevole.
Il male di vivere che mi ha preso quando ho iniziato a scrivere questo capitolo è stato più difficile del previsto da affrontare. Mi sentivo male io per Sebastian e il pensiero di ciò che sarebbe accaduto mi ha spinto a rimandare la scrittura del capitolo più che ho potuto. Poi mi sono decisa a buttarlo giù e amen.
Aneddoti simpatici riguardo il capitolo 5 di Stuck:
1-    Il presente capitolo è dedicato a due personcine speciali speciali. La prima è Somo che gli ha gentilmente fatto da madrina, spingendomi a scrivere quando non ne avevo voglia, consigliandomi laddove Sebastian cercava di boicottarmi e leggendolo pezzo per pezzo mano a mano che lo scrivevo. La seconda è la mia Vals per dei motivi che passerò a spiegare nel punto 2.
2-    La mia adorata metà mi ha autorizzata ad inserire in questo capitolo il testo di un sms che mi ha inviato qualche tempo fa. Io ne sono stata entusiasta perché si adattava perfettamente alla mia trama e lei si merita la dedica per la persona speciale che è. Non credo vi dirò qual è il pezzo in questione, ma vi basti sapere che è anche merito suo se il capitolo ha preso questa piega.
3-    La scrittura dell’intero capitolo, anzi, dell’intera storia, ruotava  intorno al mio desiderio di far dire a Sebastian che Thad gli ha fottuto il cervello. È interessante notare che, giunti al capitolo 5, questa frase è l’unica di cui ho dovuto praticamente forzare l’inserimento. Arrivati alla fine del capitolo mi sono accorta che non ci stava più – rispetto a come volevo inserirla io – e stavo quasi per tagliarla fuori. Poi mi sono convinta e ho deciso di metterla lo stesso, anche se ho dovuto adattarla e alla fine non è venuta come volevo. Un classico, lo so.
4-    Mentre scrivevo di Sebastian che “si perdeva”, nelle mie orecchie Eddy Martin cantava Lost ed io sono una personcina tanto romantica e simpatica e ho iniziato a scuoriciare come non mai. Solo per farvelo sapere.
5-     Lo avete letto in 3 capitoli mi pare ed io sono stata abbastanza attenta da non dirlo ancora ma, qualcuno ha idea di cosa accidenti stia parlando Jeff quando dice  “…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.” ??? No, perché alla fine nel suo contesto è una cosa che ha pure senso, LOL. Bon, lo saprete nel prossimo xD
6-    Non ho niente contro i pigiami celesti, anzi, l’azzurro è il mio colore preferito. LOL

Comunque, la storia volge quasi al termine, sigh, ormai mancano solo un capitolo e l’epilogo e già so che piangerò molto pateticamente alla fine.  
In ogni caso, vorrei ringraziarvi sentitamente per l’entusiasmo che avete riversato allo scorso capitolo: sapevate quanto ci tenevo e vedere che vi è piaciuto mi riempie di gioia!

Vi ricordo ancora una volta eventuali luoghi ameni in cui trovarmi: Twitter e Facebook
Bene, la smetto di blaterare, a lunedì prossimo,

Thalia.




 

 







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Capitolo 6
*** Capitolo 6. ***


Stuck 6 Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 6/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!




                                        *o*

 
Capitolo 6.

Sebastian fu svegliato da un fruscio indistinto, da un rumore fragoroso e disordinato e da un’irrefrenabile voglia di far saltare qualche testa.
Scattò a sedere, i battiti accelerati a riempirgli le orecchie, e sbatté un paio di volte le palpebre per permettere agli occhi di abituarsi al buio. La stanza versava nella semioscurità ma non gli fu difficile individuare e riconoscere i lineamenti della figura che si muoveva poco distante da lui.
«Cosa diamine hai intenzione di fare?»
Un sospiro e un rumore sommesso. «Cercavo di non svegliarti» fu la confusa spiegazione che gli giunse dal buio.
Sebastian ridacchiò. «Non oso immaginare cosa avresti fatto in caso contrario.»
Allungò una mano sul comodino e cercò a tentoni l’interruttore dell’abat-jour per portare un po’ di luce in quella camera. Strizzò gli occhi per ripararsi dal repentino cambio di luminosità, dopodiché si voltò a guardare nuovamente il suo interlocutore.
Thad se ne stava in piedi accanto al suo letto e reggeva fra le mani i pezzi di quella che, fino a poco prima, doveva essere stata una lampada molto simile a quella di Sebastian.
«Cosa stavi cercando di fare?» Domandò con uno sbadiglio.
Aveva il cervello anchilosato e, forse per il brusco risveglio, doveva ancora carburare bene e mettere in moto quella sequenza di causa-effetto che lo avrebbe portato a comprendere che vi era decisamente qualcosa fuori posto.
Thad spostò il peso da un piede all’altro, posando ciò che restava della sua abat-jour sul letto e allargando le braccia arrendevole.
«Avevo intenzione di andare a prepararmi» buttò fuori d’un fiato, «e lasciarti dormire un altro po’.»
Sebastian aggrottò la fronte, ma quando la consapevolezza si fece lentamente strada dentro di lui, sgranò gli occhi e scostò velocemente le coperte. Non era possibile…
«Che giorno è oggi?» chiese cautamente.
Quello inarcò un sopracciglio. «Sabato?» Rispose con uno sbadiglio.
La bocca di Sebastian si spalancò in un’espressione piuttosto comica e il ragazzo si affrettò a raggiungere il suo cellulare per accertarsi della veridicità di quelle parole.
Sabato, 17 Marzo.
Era una sensazione strana perché era convinto che, se mai fosse riuscito a venir fuori da quell’incubo, la sua reazione sarebbe stata diametralmente opposta. Immaginava esultanze e manifestazioni di gioia in grande stile. Invece se ne stava lì, seduto sul bordo del letto, il cellulare stretto tra le mani e lo sguardo perso nel vuoto, a domandarsi il perché.
Già, perché?
Cosa era cambiato rispetto alle volte precedenti?
Alzò gli occhi su Thad e lo trovò esattamente come lo aveva lasciato, intento a restituirgli lo sguardo. Sospirò sereno, non potendo impedire alle sue labbra di piegarsi in un sorriso sincero.
Vi era qualcosa di cui dovevano assolutamente parlare. Sebastian lo ricordava e sapeva che era una questione che andava affrontata il prima possibile perché non voleva rischiare che le cose prendessero una piega indesiderata e la situazione gli si ritorcesse contro un’altra volta.
Thad si alzò, iniziando a frugare nel suo armadio alla ricerca, probabilmente, di qualcosa da indossare. Sebastian si passò stancamente una mano fra i capelli, avvertendo distintamente il nodo che sentiva allo stomaco sparire. Si sentiva sollevato, libero da quell’opprimente peso sul petto che lo aveva asfissiato in quei giorni. Voltò il capo verso Thad e si ritrovò inspiegabilmente a sorridere al ricordo di tutto ciò che era accaduto il giorno prima. Perché Thad lo ricordava, vero?
«Senti» iniziò improvvisamente quello, «noi Warblers abbiamo in programma una gita.»
Il cuore di Sebastian perse un battito.
«Lo so» rispose esitante. «Non fate altro che parlarne» gli fece notare, «è piuttosto fastidioso in effetti.»
Thad ridacchiò, riemergendo a fatica dall’armadio. «Sei ancora in tempo per venire, se ti va.»
Sebastian le aveva contate. Quella era la quarta volta che glielo chiedeva, sarebbe stata finalmente quella definitiva? Scosse il capo nel constatare che Thad doveva tenerci davvero tanto che andasse con loro.
«Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di venire?» Domandò, comunque.
Thad boccheggiò un paio di volte e Sebastian si accorse delle sue guance che si coloravano di rosso. «Nulla, immagino» balbettò, «solo che, boh, dubito tu abbia programmi migliori.»
Touché.
«Quindi stai ammettendo anche tu che se venissi sarebbe solo perché non ho niente di meglio da fare?››
L’altro scrollò le spalle, recandosi in bagno. «Mettila come vuoi» concesse.
«E dov’è che si andrebbe?» Volle informarsi Sebastian. Aveva sentito così tanto parlare di quella fantomatica gita che era assurdo che ancora non avesse la benché minima idea di quale fosse la destinazione.
«Vogliamo andare a sciare» rispose Thad, arrestandosi sull’uscio.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «A metà marzo?» Domandò scettico.
Thad annuì. «Bisogna salire un po’, ma ci hanno garantito che la neve c’è ancora.»
L’altro fece una smorfia ma non rispose. Thad lo osservò un altro paio di secondi, poi sospirò deluso e fece per chiudersi la porta alle spalle.
«Temo di non avere l’attrezzatura da sci» buttò lì Sebastian, concentrandosi sul cellulare che ancora stringeva tra le mani.  
E non aveva bisogno di guardarlo per sapere che Thad aveva recepito il messaggio e che, con ogni probabilità, adesso stava sorridendo.
Udì la porta chiudersi e, istintivamente, si lasciò cadere sul letto fissando il soffitto: esperienza sovrannaturale o meno, si sentiva riposato come non mai.

Erano partiti con due macchine e con più entusiasmo di quanto nove persone potessero normalmente contenere.
Sebastian si era goduto le espressioni sorprese e basite degli altri Warblers quando Thad li aveva informati che si sarebbe unito a loro, ma era stato troppo occupato a notare il modo delizioso con cui Harwood continuava a torcersi le dita, per preoccuparsene realmente.
Dopo un attimo di sconcerto generale, però, si erano mostrati tutti piuttosto esaltati all’idea di allargare l’allegra combriccola e Sebastian si era trovato a domandarsi di quali droghe facessero uso per essere così pieni di energia di prima mattina.
Sterling aveva messo in chiaro che, poiché si era aggiunto all’ultimo minuto, non era autorizzato a mettere in disordine i loro piani e che quindi, che gli piacesse o no, sarebbe stato nella “macchina noiosa”.
Sebastian non aveva idea di cosa volesse dire, ma si era incredibilmente trovato a dargli ragione quando, qualche minuto dopo, si erano messi in viaggio.
Adesso sedeva accanto a Ethan, Flint era alla guida e James sul sedile del passeggero e no, la situazione non era delle più divertenti.
A quanto pare, l’altra macchina era di Duvall ed era chiaro che i suoi fidi compari – Sterling, Nixon e Harwood – sarebbero andati con lui. Dubbie erano, invece, le motivazioni per cui anche David si era unito a loro, ma Sebastian immaginò che, a conti fatti, non gliene importava granché.  
«Siamo arrivati» annunciò Flint dopo quelli che parvero secoli di viaggio.
Sebastian scese dalla macchina, stringendosi nel giubbotto nel constatare che, con quel freddo, era ovvio che la neve non si fosse ancora sciolta. Gli altri arrivarono dopo qualche minuto e, una volta che si furono riuniti, David propose di raggiungere subito la stazione sciistica per evitare di perdere ulteriore tempo.
Sebastian si sentiva un pinguino all’equatore. Non si era mai mostrato molto amichevole con loro, tant’è vero che adesso non sapeva bene come comportarsi. Sapeva solo che aveva bisogno di parlare con Thad e che, fino a che le sue guardie del corpo avessero vigilato su di lui, gli sarebbe stato impossibile farlo.
Sterling stava ciarlando di qualche scemenza, come suo solito, ed era snervante vedere come Duvall e Nixon gli dessero sempre retta senza riserve.
«E se la prossima volta andassimo in un posto caldo?» Propose Nixon all’improvviso.
Sebastian roteò gli occhi.
«Nessuno ti ha obbligato a venire, Trent» gli ricordò Jeff.
Thad rise e Nick si passò una mano sulla faccia, sconsolato. «Sarei dovuto rimanere da solo a scuola di sabato!» Ribatté, indignato, quello.
«L’Accademia non ha solo dieci studenti, sai?» Gli fece notare Flint.
Quello sbuffò. «Ma si dia il caso che quelli più interessanti sono qui.»
«Stai cercando di comprarci?» Domandò Nick, alzando un sopracciglio.
«Sta assolutamente cercando di comprarci» rispose Thad. Sebastian ridacchiò nell’osservare il modo in cui sembrava così perfettamente inserito in quella situazione. Avere quindici fratelli era meglio che non averne nessuno, ragionò. Forse Harwood non aveva tutti i torti, dopotutto.
«Tanto non ti portiamo al bioparco» chiarì David, aprendo la porta della piccola struttura al limitare della pista da scii e permettendo agli altri di entrare.
Trent mise il broncio. «Posso andarci anche da solo.»
«L’ultima volta non ne eri così convinto» ricordò Flint, ottenendo immediatamente l’appoggio di Sterling.
«Vero» concordò quest’ultimo, «non so ancora come tu abbia fatto a litigare con quella papera.»
Sebastian sgranò gli occhi. No, forse aveva capito male: nessuno poteva essere così idiota.
«In realtà credo che fosse la papera ad aver litigato con lui» suppose Thad.
Le signorine al bancone consegnarono loro l’attrezzatura da sci che avevano affittato e così la conversazione si spostò dall’accogliente ingresso dell’edificio in legno, agli spogliatoi sterili e monocromatici.
Continuarono a chiacchierare come se nulla fosse accaduto, depositando borse e giacche e indossando guanti e cappelli. A quanto aveva capito Sebastian, i proprietari della stazione sciistica erano parenti di Ethan, il che voleva dire che tutto ciò che avevano affittato non gli era costato un dollaro.
«Ho solo provato a darle da mangiare» spiegò Trent, litigando con uno scarpone, «mi è sembrato poco carino il modo in cui mi ha… azzannato.»
«Dubito che le papere abbiano le zanne»
«E dubito che le papere gradiscano i panini al chili e salame piccante.»
Sebastian ridacchiò, scuotendo il capo: il clima che si respirava in quella stanza era talmente leggero e tranquillo che per un attimo, ma solo per un attimo, si pentì di aver sempre dubitato della buona compagnia degli Warblers. Alzò lo sguardo, prestando marginale attenzione alle giustificazioni che adduceva Trent e cercando Thad con gli occhi.
Era seduto accanto a James, le guance arrossate e il cappello calato sulla fronte. Sebastian non ebbe il tempo di domandarsi, per l’ennesima volta, se conservasse qualche ricordo della sera precedente, che quello alzò lo sguardo spazzando via qualunque suo dubbio.
«La prossima volta eviterò di essere gentile» borbottò Trent.
«La prossima volta sarà lei a fare una visita turistica alla Dalton» ipotizzò Sebastian, lo sguardo fisso ancora su Thad, «visti gli esemplari che la popolano.»
Ebbe la vaga impressione che si stesse per scatenare uno scontro senza precedenti sulla sua poca predisposizione al dialogo civile, ma fortunatamente Flint richiamò tutti all’ordine precedendoli fuori dagli spogliatoi.
Sebastian si appuntò mentalmente di evitare di smarrirsi nuovamente negli occhi liquidi e profondi di Harwood per scongiurare eventuali conflitti internazionali causati dalla leggendaria ironia made in Smythe.
Forse.
Forse farlo non sarebbe stato semplice quanto dirlo.


Mezz’ora dopo, Sebastian si ritrovò inspiegabilmente a dare ragione a Trent: faceva freddo, faceva maledettamente freddo.
La seggiovia, che li aveva portati fino in cima, aveva rifatto il giro completo un numero imprecisato di volte e loro erano ancora lì. A quanto pareva, nessuno era poi così desideroso di iniziare la discesa.
Se ne stavano tutti al limitare del pendio, spronandosi a vicenda a lanciarsi di sotto e stringendo convulsamente chi lo snowboard e chi le racchette da scii.
«D’accordo» esordì James con fare spavaldo, «Fatevi da parte che vi mostro come si fa.»
«Sì» ridacchiò Flint, «a rompersi tutti i legamenti.»
James gli fece una smorfia e Jeff gli batté una mano sulla spalla. «Facci vedere, campione» ghignò.
Il ragazzo si mise in posizione, facendo la linguaccia a Flint e dandosi la spinta con le racchette, dopodiché si lasciò scivolare giù. Gli altri lo osservarono fare un lieve slalom nel nulla e poi fermarsi molto poco elegantemente più a valle.
Trent batté confusamente le mani, perdendo la presa sulle racchette e rischiando di perdere l’equilibrio. Fortunatamente Nick e David erano lì vicino per sorreggerlo.
«Dio, Nixon, sei un pericolo pubblico» constatò Sebastian.
«Perdonaci se non siamo tutti aggraziati e leggiadri come te» ribatté quello, riacquistando stabilità.
Sebastian agitò le mani con fare ovvio. «Sei scusato» concesse.
Flint cedette il posto a David, così quest’ultimo poté seguire lo stesso percorso di James verso la valle e spianare ulteriormente la strada a Nick e Ethan che si lanciarono immediatamente dopo.
Sebastian ebbe come l’impressione che Flint fosse rimasto lì in cima per supervisionarli ed estinguere eventuali battibecchi causati dalla sua presenza insieme a Sterling e Nixon, ma non ebbe modo di fargli notare di non aver bisogno della balia, perché fu distratto da altro.
L’occasione giusta.
Il momento giusto e il posto giusto. Forse le persone non erano esattamente le più adatte, ma i numeri erano dalla sua parte e tre piaghe erano decisamente meglio di sette.
Thad se ne stava un po’ in disparte e fissava diffidente la pista, stringendo le mani intorno alla liscia superficie dello snowboard perché – a detta di Ethan –  “se sei un principiante, è meglio che inizi con lo snowboard”.
Sebastian piantò il suo nella neve e si avvicinò silenziosamente a lui da dietro. Quando gli fu abbastanza vicino, avvolse le braccia intorno al suo collo, facendo aderire la sua schiena al proprio petto. Lo sentì sussultare a quel contatto inaspettato e, senza rendersene conto, mormorò un «Sono io» direttamente al suo orecchio.
Thad era piccolo, notò Sebastian, era piccolo anche con tutti quegli strati di stoffa e piume addosso.
Si tranquillizzò, nonostante Sebastian avvertisse distintamente il suo cuore battere frenetico contro il suo.
Sterling e Nixon erano troppo occupati a decidere chi dovesse essere il prossimo, per prestare attenzione a loro, e Flint era apparentemente preso dalla loro infantile discussione e non sembrava preoccuparsi degli strani movimenti alle sue spalle.
Sebastian non sapeva come spiegarsi quell’insensato bisogno che aveva di sentirlo lì, reale e concreto, in quel momento. Seppe solo che, senza poter fare nulla per impedirlo, le sue labbra si mossero fino a trovare la pelle sensibile del collo di Thad, il suo naso ad accarezzargli la mascella fredda e arrossata.
«Sebastian» la decisione nella sua voce era solo apparente. Il ragazzo se ne convinse per evitare di doversi interrompere contro la sua volontà.
Thad piantò il suo snowboard nella neve, portando le mani alle braccia di Sebastian, ancora intorno al suo collo, e respirando profondamente.
«Sebastian» ripeté, «che cosa stai facendo?»
Quello rise contro la sua pelle. «Mi sembra piuttosto ovvio, Harwood» rispose.
«No» proseguì l’altro. «Intendevo, cosa stai facendo… con me?»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Credevo ti facesse piacere» ragionò, stringendo la presa su di lui. Perché tutte quelle domande? Dio, non poteva solo tacere e lasciargli fare?
«A me sì» puntualizzò Thad, «ma a te?»
Sebastian non poté impedirlo: prima di rendersene conto, Thad si era voltato nel suo abbraccio ed ora reggeva il suo sguardo esattamente come aveva fatto la sera prima.
E certo che gli faceva piacere, altrimenti non avrebbe portato avanti tutta quella farsa, no?
Thad abbassò il capo, forse fraintendendo il silenzio dell’altro.
«Non credo di essere pronto a diventare il tuo “amico speciale”» chiarì, la voce appena udibile.
E Sebastian sorrise, sconclusionatamente e senza una ragione precisa. Rise e basta.
«Siamo mai stati realmente amici, Thaddy?» domandò, sornione.
L’altro aggrottò la fronte e aprì la bocca per ribattere, ma Sebastian glielo impedì.
«Credo che avrebbe dovuto essermi chiaro fin dall’inizio» spiegò, una sicurezza nella voce che non sentiva affatto, «che tra noi sarebbe sempre stato o tutto o niente.»
Avvertì Thad immobilizzarsi e si perse, momentaneamente, a studiare il suo respiro che si condensava tra i loro volti vicini.
«Ti sembra così strano che io adesso voglia tutto?»
E divenne improvvisamente reale non appena lo disse. Boccheggiò, nel realizzare, da un momento all’altro, di poter avere chiunque, ma di volere lui. Ogni cosa di lui.
E non avrebbe chiesto, non avrebbe aspettato permessi che sarebbero comunque giunti. Non stavolta e non in quel momento.
Aveva voglia di baciarlo e fu esattamente quello che fece.

Era stato più semplice lasciarsi andare dopo.
Sebastian si sentiva più leggero e lo snowboard non faceva più così tanta paura. Si era ritrovato a ridere insieme agli altri alla ridicola caduta di Trent, a lasciar passare il pupazzo di neve di dubbio gusto costruito da Sterling e Duvall che “non è esattamente uguale a Sebastian?” e a mostrarsi più indulgente riguardo la loro idiozia galoppante.
Si strinse nel giubbotto, maledicendo quel freddo che gli stava congelando il cervello e intirizzendo le ossa. Non vedeva l’ora di lasciarsi avvolgere dal piacevole tepore dello chalet e mettere sotto i denti qualcosa di caldo e ricostituente.
«Smythe, se non ti muovi ad entrare, tra un po’ dovremmo amputarti qualche arto.»
Sebastian voltò lo sguardo alla sua destra, anche se quella voce era inconfondibile.
«Sterling, dove hai lasciato la tua amorevole metà?»
Jeff rise. «Suppongo sia insieme alla tua.»
Sebastian gli riservò un’occhiata capace di sciogliere la neve circostante, ma quella non doveva essere la sua giornata fortunata, dal momento che non ebbe l’effetto sperato.
Jeff inarcò un sopracciglio. «Puoi darla a bere a chiunque, ma io li ho gli occhi, sai?»
«Perché ti stai comportando come se il tuo parere mi interessasse?» Volle sapere Sebastian.
L’altro scrollò le spalle. «Perché so che è così.»
«Brutti scherzi che gioca il freddo, eh?»
Jeff non rispose, ma si limitò a lanciargli un’occhiata alla come-vuoi-tu. Continuarono a camminare l’uno accanto all’altro, ma Sebastian non gli stava prestando molta attenzione.
«Ci tiene davvero a te» esordì Jeff, poco dopo. «Per cui cerca di non fare stronzate o ti garantisco che verrò a prendere a calci il tuo francesissimo culo in qualsiasi parte del mondo tu sia.»
Sebastian rise amaramente. «Credi di spaventarmi, Sterling?» Ghignò. «Mi sembra di averti appena fatto notare che ciò che pensi tu non è di mio interesse.»
E Jeff rise di nuovo e Sebastian ebbe davvero voglia di prenderlo a pugni per quell’ilarità gratuita.
«Dici tante cazzate» iniziò Jeff, «ma tanto lo so che anche tu tieni a lui allo stesso modo.»
L’altro sbuffò ironicamente. «Quanta saggezza» constatò, «dovresti farti Duvall più spesso: ti rende docile e quasi piacevole.»
«Lascia Nick fuori da questa conversazione» lo ammonì Jeff.
Sebastian roteò gli occhi. «Non c’è bisogno di marcare il territorio: è tutto tuo.»
Per un po’ nessuno parlò e l’unico rumore fu quello sommesso dei loro passi che si infrangevano nella neve.
«Non credevo che fossi capace di mettere qualcuno al primo posto» confessò Jeff, la voce seria e lo sguardo dritto davanti a sé. «Mi hai sorpreso, lo ammetto»
Sebastian aprì la bocca per ribattere ma, proprio quando era sul punto di intimargli di farsi gli affari suoi, un altro pensiero si sostituì al primo.
«Che cos’hai detto?» Domandò, cautamente.
Jeff si morse un labbro. «Che mi hai sorpreso» ripeté.
Sebastian sbuffò. «La parte prima, Sterling» puntualizzò.
Jeff aggrottò la fronte. «Mi hai chiesto di aiutarlo per il compito» spiegò, «è stato carino da parte tua. Non lo avrei mai detto.»
E non poteva essere quello. Sebastian si ripeté mentalmente che non era assolutamente quella la ragione e che, soprattutto, la soluzione non poteva essergli giunta dalla brutta copia di Zac Efron.
Mettere qualcun altro al primo posto.
Dio, era così semplice?
Non che ci si fosse impegnato particolarmente, insomma. Alla fine era stato anche piuttosto naturale fare qualcosa per Thad. Se lo meritava e Sebastian lo sapeva.
Poteva arrivarci prima, però. Si sarebbe risparmiato numerosi mal di testa e, forse, la sua salute mentale ne avrebbe anche giovato.
Con Jordan ci era anche andato particolarmente vicino, ma forse in quell’occasione la sua buona azione non era stata del tutto… disinteressata, ecco.
«Comunque gliel’ho detto.»
La fastidiosa voce di Sterling lo richiamò prepotentemente dai suoi pensieri.
«Di che accidenti stai parlando?» lo interrogò Sebastian.
Jeff scrollò le spalle. «Io e Nick abbiamo deciso di dirgli che stiamo insieme, quindi tu non avevi più motivazioni valide per ricattarmi.»
Sebastian sgranò leggermente gli occhi. «Tu… cosa?»
Quello non era decisamente previsto.
E il ghigno sul viso dell’altro non prometteva nulla di buono. «Che sarà mai» ridacchiò, «è stato un gesto carino, è giusto che lo sappia.»
«Tu» iniziò Sebastian, le mani strette a pugno e la salivazione azzerata. Sterling non era affidabile, avrebbe dovuto saperlo che a contare su di lui non ne avrebbe ricavato che rogne.
E, intanto, le cose da giustificare a Thad aumentavano a dismisura.
Ma andava bene così: si sarebbe tranquillizzato, avrebbe mangiato ed avrebbe impedito a chiunque di rovinargli quella giornata di meritato e guadagnato riposo.
Intanto, Sterling era comunque un uomo morto, ma forse la sua esecuzione poteva essere rimandata di un paio di giorni.

 
Avevano pranzato continuando a ridere, scherzare e, occasionalmente, anche cantare. Sembrava che ogni parola o frase richiamasse alla mente esilaranti ricordi e imbarazzanti aneddoti e Sebastian si era più volte domandato come aveva potuto pensare, anche solo per un attimo, che quelle fossero persone normali. Non lo erano per nulla.
Erano una folle e psicopatica manica di cretini e lui, per dei motivi che avrebbe approfondito in seguito, si era trovato inspiegabilmente a farne parte.
Trent aveva vinto il premio del "Miglior cazzaro della giornata”, vista la quantità di idiozie che era riuscito a sparare in neanche due ore, e Sterling e Duvall erano finalmente usciti allo scoperto. Thad li aveva guardati per un attimo e poi aveva scrollato le spalle con un'espressione alla tanto-lo-sapevo-già. Jeff aveva sorriso e lo aveva abbracciato e Sebastian si era ritrovato ad invidiare profondamente il rapporto che li legava.
Non riusciva a definire "idiota" il modo in cui il biondo aveva acconsentito a mantenere il segreto con il suo miglior amico, nonostante questo gli causasse indicibili sensi di colpa e lo facesse obbiettivamente stare male.
Probabilmente, Thad stava già passando un brutto periodo a causa sua e i suoi migliori amici non volevano che la loro gioia gli fosse motivo di ulteriori pensieri e, perché no, invidia.
Era quello che voleva dire mettere al primo posto qualcuno.
Qualcuno oltre te, a cui tieni come a te stesso e per cui vuoi fare qualcosa a tutti i costi. Senza ricevere nulla in cambio, senza bisogno che l'altro lo sappia, ma solo perché ti va e perché ne senti il bisogno.
Sebastian non credeva di essere in grado di comportarsi in tale maniera, eppure, stando a quello che gli aveva detto Jeff, era proprio quello che aveva fatto e non riusciva a biasimarsi.
E ci erano voluti solo numerosi mal di testa e una mini-Odissea in stile Christmas Carol per farglielo capire. Bene.
Però adesso Thad era di fronte a lui, Jeff gli teneva un braccio intorno alle spalle e confabulava con lui di chissà quali avvenimenti esaltanti. Ridacchiavano e si spintonavano, Sterling si allungava a baciare Duvall sulle labbra e poi tornava immediatamente dal suo migliore amico che scuoteva il capo rassegnato ma divertito.
E Sebastian rideva, sentendosi appena un po’ più stupido.


"Mi raggiungi fuori? Senza mammina e papino possibilmente. - S"
Sebastian aveva deciso di allontanarsi quando Ethan aveva domandato a Nick e Jeff come avevano capito di voler stare insieme. Era una storia che non gli interessava e che sapeva avrebbe sentito in tutte le salse tante altre volte. Il suo benessere psicologico veniva prima di tutto il resto.
Quella giornata si stava rivelando più rilassante e tranquilla del previsto e Sebastian si era ritrovato a ringraziare mentalmente Thad per aver insistito così tanto affinché lui andasse.
«Ehi» la sua voce lo richiamò dai propri pensieri, facendolo voltare e incontrare il suo sguardo.
Sorrideva serafico, stretto nella felpa, sull'uscio della porta del piccolo disimpegno nel quale si trovava Sebastian. Aveva pensato di uscire un po’ all'aria aperta, ma faceva davvero troppo freddo, così il posto più lontano dalle chiacchiere dei Warblers che era riuscito a trovare era un microscopico salottino accanto all'ingresso dello chalet nel quale stavano alloggiando.
«Ci hai messo un po’» constatò Sebastian.
Thad rise. «Mica mi hai detto dov'eri?» gli fece notare.
Sebastian scrollò le spalle, muovendo qualche passo verso di lui e vedendolo arretrare fino a toccare il muro.
«Perché scappi?» ghignò.
Thad fece una smorfia. «Non sto scappando, mi sto mettendo comodo.»
«Possiamo sederci, se vuoi.»
E Sebastian non voleva suonare così suadente, ma l'idea di lui e Thad seduti sullo stesso divano in una stanza vuota mandava sensazioni differenti e contrastanti in più parti del suo corpo che non sapeva come affrontare e gestire.
L'altro parve pensarci un po’ su, poi annuì e si allontanò da Sebastian, lasciandosi cadere sull'unico divano presente nella stanza. Quello lo fissò un attimo, cercando di allontanare dalla mente le immagini poco caste che la affollavano e che comprendevano lui, Thad e una qualsiasi superficie piatta, dopodiché, sospirò e andò a sedersi accanto a lui. Thad sembrava di buon umore, notò. Ridacchiava fievolmente, umettandosi le labbra di tanto in tanto e spostando lo sguardo su qualunque cosa non fosse Sebastian. Sembrava che si stesse sforzando di non ridere e Sebastian non riusciva a comprendere il motivo di quella improvvisa ilarità.
«E, di grazia» sbuffò, «cos’è che ti fa tanto ridere?»
Thad si voltò a guardarlo. Erano talmente vicini che Sebastian si stupì di non aver ancora approfittato di quella vicinanza e mandato all’aria ogni suo buon proposito.
Quello si morse un labbro. «Tu» rispose semplicemente, ma poi, al repentino mutare dell’espressione di Sebastian, si affrettò ad chiarire «Cioè, questa situazione» specificò.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Devo continuare a tirarti le parole dalla bocca con le pinze, oppure ti spieghi da solo?»
Thad si mosse a disagio sul divano. «Non fraintendermi» lo avvertì subito, «sono felice di riuscire a stare… così con te.»
«Così» ghignò Sebastian, «seduti sullo stesso divano e senza che io provi a strapparti i vestiti da dosso?»
Sorrise nel vedere il rossore spandersi sulle guance di Thad e, inconsciamente, si ritrovò ad avvicinarsi maggiormente a lui. Thad sospirò, incrociando il suo sguardo e facendo una smorfia.
«È questo il problema» puntualizzò, «come siamo arrivati a… a questo in appena due giorni?»
E Sebastian lo sapeva che Thad meritava una spiegazione più adeguata e soddisfacente ma, nonostante tutto, non si sentiva in grado di fornirgliela. Né in quel momento e né, forse, mai.
«Cosa vuoi che ti dica?» si ritrovò a sussurrare, «Credevo che certe cose fosse meglio dimostrarle, invece che esporle a parole.»
Non era pratico di quel genere di rapporti. Poteva basarsi solo sul sentito dire e su una vasta gamma di cliché e luoghi comuni inconsistenti e sterili.
Thad parve pensarci un po’ su; si accomodò meglio sul divano, incrociando le mani nella tasca della felpa.
«È inutile che fai il finto tonto, Harwood» lo ammonì Sebastian, seccato, «so benissimo che Sterling ti ha raccontato tutto.»
Se Thad stava fingendo, Sebastian si appuntò mentalmente di fargli recapitare un Oscar per la perfetta performance.
«Tutto cosa?» Domandò aggrottando la fronte.
Sebastian roteò gli occhi. «Di me che gli chiedevo di aiutarti a ripetere per il compito.»
Nel caso in cui Sebastian avesse ancora avuto qualche dubbio circa la sincerità di Thad, in quel momento, la palese sorpresa dipinta sul suo viso lo costrinse a credere alla sua buona fede.
«Sei stato tu?»
«Dio, non ne sapevi nulla?» E non era una domanda, Sebastian non aveva bisogno di una risposta per sapere che avrebbe decisamente dovuto trovare un modo per far passare a Sterling la voglia di fare lo spiritoso.
Thad scosse il capo e Sebastian avrebbe davvero voluto sapere cosa gli passava per la testa in quel momento.
«Io» iniziò incerto, «cioè, suppongo di doverti ringraziare.»
Sebastian fece una smorfia. «Non lo so» constatò, «immagino che il viver civile e le buone maniere lo suggeriscano, sai?»
«Ma io non capisco» sbottò Thad, improvvisamente, e Sebastian si ritrovò a pensare che magari se lo avesse baciato fino a morire, poi non avrebbe avuto più tutta quella voglia di parlare.
«Sentiamo» lo invitò sinteticamente a continuare.
Thad scrollò le spalle. «Insomma» mormorò, «fino a qualche giorno fa non potevo aprire bocca senza che tu mi insultassi o prendessi in giro, non passavi giorno senza darmi addosso e senza impegnarti al massimo per rendermi la vita un inferno e, davvero, per un po’ ho creduto che volessi sceglierla come professione perché sembravi divertirti proprio tanto» tacque, prendendo un profondo respiro e abbassando lo sguardo, «e poi… questo e… e io non so come devo comportarmi.»
Sebastian si morse un labbro. Non sapeva bene come rispondere e come giustificare quel repentino cambiamento di atteggiamento nei suoi confronti. Era stato tutto troppo… avventato ed improvviso e non riusciva a rendersi conto di quanto davvero sembrasse immotivato.
«Io» provò a spiegare, «volevo solo… sentirti, cazzo» buttò fuori, «sembrava che quello fosse l’unico modo per averti un po’ per me.»
E forse non voleva essere così sincero, ma non appena le parole lasciarono le sue labbra, Sebastian si stupì di quanto sembrassero reali e di quanto, probabilmente, era sempre stata quella la verità.
Sentì distintamente Thad trattenere il respiro e si compiacque per quella piccola ma significativa conquista.
«Un po’ bizzarro come modo» considerò il ragazzo, la voce che tremava appena.
Sebastian gli rivolse la sua migliore occhiata scettica. «Non mi pare che il risultato ti dispiaccia» gli fece notare.
Thad rise. «Sarebbe carino se tu provassi a farmi sentire meno scemo, sai?»
«Per quanto io sia onnipotente, Thaddy, certe cose non si possono proprio evitare» ribatté Sebastian. Era una situazione insolita perché vi era quella strana elettricità nell’aria che non sapeva come classificare ma che non era affatto spiacevole. Se ne stavano seduti su quel divano, talmente vicini da rendere impossibile stabilire dove finisse Sebastian ed iniziasse Thad, a parlare di sentimenti e cose stupide come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Lo sospettavo» sospirò Thad. «Allora magari torniamo di là?»
Sebastian piegò un labbro, abbozzando un sorriso. «Perché, a confronto con gli altri ti senti più intelligente?»
«No» considerò Thad, «perché sono veramente ansioso di scoprire i dettagli della struggente storia d’amore di Nick e Jeff.»
«Struggente e inaspettata» puntualizzò Sebastian.
Thad si alzò in piedi. «Soprattutto quello» concordò.
Sebastian lo raggiunse, continuando a sorridere e infilandosi le mani nelle tasche. «Magari potrebbe essere divertente.»
Sarà, ma, mentre seguiva Thad fuori dalla sala, ebbe l’impressione che, da quel momento in poi, parecchie cose gli sarebbero sembrate divertenti.   

Sebastian aveva perso la cognizione del tempo. Sapeva solo che il cielo fuori dalle finestre si era fatto scuro e che presto il suo fondoschiena avrebbe assunto la forma della poltrona su cui era seduto da, quanto?, due ore?, non ne aveva idea.
Dopo pranzo, la voglia di ritornare in pista era scemata lentamente ed avevano tutti preferito riunirsi nel salottino e riposarsi davanti a un paio di cioccolate calde ed un camino acceso.
«No, più in basso.»
Sebastian alzò lo sguardo. Jeff condivideva una poltrona con Trent. Quest’ultimo reggeva il cellulare tra le mani e ne fissava lo schermo con ferma concentrazione.
«Jeff, maledizione, questo coso è stupido» borbottò.
Sterling si chinò su di lui. «No, non lo è» si difese. «Punta qui» suggerì indicando un punto sul display.
Nick sedeva sul bracciolo e lanciava sguardi divertiti ai due, chiacchierando di tanto in tanto con Thad, seduto sul divano lì accanto.
Sebastian si rigirò la tazza tra le mani, accoccolandosi maggiormente e cercando di combattere quella improvvisa stanchezza che lo aveva colto a tradimento.
«Te lo avevo detto!» Il grido esultate di Sterling lo riscosse dal suo stato di torpore.
«Si è mosso il coso di vetro?» Domandò David, sinceramente divertito.
Jeff annuì soddisfatto e Sebastian si svegliò definitivamente.
«Solo a te poteva piacere un gioco tanto idiota» intervenne Ethan, scuotendo il capo.
«Ma no» concesse James, «neanche a me dispiace, ma quella di Jeff credo sia una deformazione mentale.»
«Ehi!» Si risentì Jeff. «La smettete di parlare come se io non fossi qui?»
«Oh, ma noi sappiamo perfettamente che tu sei qui» precisò Thad.
«È per questo che parliamo così» gli diede man forte Flint.
Sebastian roteò gli occhi, non potendo impedire a se stesso di sorridere. Sorriso che però gli scomparve del tutto dal viso non appena Sterling parlò di nuovo.
«Non siate così cinici» disse, «Angry Birds è un gioco di tutto rispetto» dichiarò solenne.
Sebastian sbatté un paio di volte le palpebre. No, doveva aver decisamente capito male.
«Angry Birds?» Volle accertarsi, sotto shock. Dio, aveva passato giorni a scervellarsi e a domandarsi di cosa diavolo stesse parlando e la risposta non poteva essere così... deficiente. No, quello era troppo anche per il platinato.
Jeff annuì. «Vuoi provare?» Propose con voce suadente.
Sebastian sbuffò. «Cosa ti fa pensare che io voglia perdere tempo con giochetti così infantili?»
«Secondo me non sei capace» suggerì cautamente Ethan.
«O forse sai di non poter eguagliare il record di Jeff» annuì Flint.
Il diretto interessato roteò gli occhi. «O forse semplicemente non mi va» ironizzò, un sorriso compiaciuto in viso.
«O forse hai solo paura di perdere.»
Sebastian rivolse a Jeff un'occhiata particolarmente omicida. «Ripetilo» scandì lentamente.
«Ho detto» ghignò Jeff. «Che probabilmente hai paura di non riuscire a battere me.»
Un coro di patetici "ohhh" si levò dagli altri Warblers. Sebastian si leccò un labbro. «Mi stai sfidando, Sterling?»
Quello, in tutta risposta, fece una smorfia. Una sfida era pur sempre una sfida. Anche se patetica e non nel suo stile.
«A quanto pare sì» si intromise Nick.
Trent batté le mani festante. «Vogliamo vedere il sangue!» Si esaltò.
«Disse colui che sviene durante i prelievi» sghignazzò Thad.
«Per cortesia, Nixon» intervenne James, «nessuno di noi ha intenzione di portarti al pronto soccorso.»
«Dal momento che il più vicino è praticamente a Westernville.»
Trent ridacchiò, per nulla turbato da quelle bonarie prese in giro e Sebastian si ritrovò a pensare che le cose erano due: o era un imbecille, oppure gli voleva davvero tanto ma tanto bene.
«Ci stai, Smythe?» Lo sfidò Sterling. «Io contro di te.»
Sebastian ci pensò un po’ su. «Che ci giochiamo?» volle sapere.
«La virilità» suggerì qualcuno.
«Allora Jeff ha già perso» dichiarò Flint.
«Ehi!» lo ammonì Nick. «Bada a come parli al mio ragazzo!»
Sterling sorrise, tuffandosi, letteralmente, sulla bocca di Duvall e impedendo a entrambi di parlare per qualche secondo.
«Gente, prendetevi una camera» propose David. «Siete disgustosi.»
«È tutta invidia.»
«Chi perde eviterà di mettere il naso degli affari dell'altro» stabilì Jeff, una volta separatosi da Nick.
E l'occhiata eloquente che gli rivolse, unita al sorriso complice che gli regalò Thad, suggerì a Sebastian che sì, quella situazione era decisamente allettante.
«A noi due, biondina.»

Il paesaggio scorreva sbiadito e monotono attraverso il finestrino dell’auto. Sebastian stava cercando di rimanere sveglio, ma l’andamento regolare del veicolo e le luci soffuse dell’autostrada, non contribuivano a rendere fattibile tale intento.
Alla fine, la giornata non era stata per nulla da dimenticare. Certo, magari un po’ delirante e sicuramente diversa dal solito, ma si erano divertiti tutti e Sebastian dovette ammettere a se stesso di essere stato bene.
Non vi era un modo carino per accertarlo, eppure lui si rendeva conto di voler davvero provare a far parte di quella famiglia. Certo, rimanendo comunque il Sebastian Smythe a cui tutti erano abituati, ma provando ad… andare in contro a quel fastidioso bisogno di avere qualcuno intorno che ogni tanto lo coglieva impreparato.
Il silenzio riempiva l’abitacolo dell’auto e Sebastian sospirò, posando il capo al poggiatesta dietro di sé e chiudendo gli occhi.
Si era ritrovato nella “macchina divertente”. Non sapeva ancora bene come, ma qualcosa gli diceva che ci fossero Chris Martin e Gwyneth Paltrow dietro quell’improvviso cambiamento. Fatto sta che adesso lui era insieme a Duvall e compari e David era in macchina con Flint.
Che poi, macchina divertente…
Eccezion fatta per Nick che era alla guida, erano crollati tutti, uno ad uno, ed ora il massimo divertimento consentito era contare i segnali stradali o le auto blu.
D’un tratto, poi, accaddero più cose contemporaneamente. L’auto frenò leggermente, Duvall imboccò una curva in maniera poco aggraziata e Sebastian si ritrovo la testa di Harwood sulla spalla.
Trattenne il fiato, analizzando velocemente la situazione e valutando se spostarlo o meno. Dall’altra parte, Nixon dormiva beato, la bocca leggermente schiusa e la testa poggiata scompostamente al finestrino.
Sebastian si sforzò di trovare fastidioso quel peso innaturale, eppure, nonostante le ragioni ci fossero tutte, non riusciva a considerare spiacevoli i capelli di Thad che gli solleticavano il collo o il suono del suo respiro regolare così vicino al suo.
Rimase immobile, non sapendo cosa fare e stando attento a non compiere movimenti bruschi per evitare di svegliarlo.
Un Thad Harwood addormentato era incredibilmente peggio di un Thad Harwood sveglio. Almeno per il delicato autocontrollo di Sebastian.
«Non si sveglierà.»
La voce di Duvall lo riportò nuovamente alla realtà e Sebastian si ritrovò ad incrociare i suoi occhi attraverso lo specchietto retrovisore.
«Ha il sonno pesante» proseguì quello, «credo che potrei anche dare fuoco all’auto e Thad continuerebbe a dormire come se il fatto non lo riguardasse.»
Sebastian piegò un angolo della bocca in una parvenza di sorriso e tornò a concentrarsi sul panorama alla sua sinistra. Quel ragazzo, forse, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
Per un po’ nessuno parlò e Sebastian iniziò a sentire gli occhi pesanti e il sonno ripresentarsi con prepotenza.
«Sebastian» proruppe Nick all’improvviso, «io lo so che ci tieni a lui-»
«Risparmiami la paternale» lo interruppe l’altro, «ci ha già pensato tua moglie.»
Duvall ridacchiò, gettando uno sguardo adorante al compagno addormentato al suo fianco.
«Jeff magari ha dei modi un po’… inappropriati» concesse, «ma ti garantisco che è animato dalle migliori intenzioni.»
Sebastian sbuffò. «Certo, farmi girare le palle. Ci riesce benissimo.»
Avvertì il sospiro avvilito di Nick e roteò gli occhi, preparandosi alla sfuriata che avrebbe seguito il “come hai osato offendere il mio amorino cicci-picci”. Era maledettamente frustrante.
«Jeff e Thad sono amici da un tempo infinito, Sebastian» riprese, «non puoi davvero pensare che lui ti conceda il suo beneplacito senza essersi prima accertato delle tue intenzioni.»
«È questo il problema, Duvall» chiarì Sebastian, «non ho bisogno del suo lasciapassare e non aspetterò certo di averlo. Se Harwood è quello che voglio, me lo prendo.»
Tacque, metabolizzando il significato di quelle parole e attendendo che anche Nick facesse altrettanto. Era indubbiamente la verità, ma non avrebbe voluto essere così brusco nel buttarla fuori.
«Lo vuoi?» Domandò l’altro.
Sebastian si morse un labbro. «Io.. sì» confessò. «E lui vuole me, quindi, cortesemente, evita di farmi notare quanto io sia egoista e prepotente.»
«Non era mia intenzione farlo» negò Nick, «so perfettamente che Thad è interessato a te, Sebastian. Siamo i suoi migliori amici, ricordi?»
L’altro sospirò pesantemente. «E allora perché stiamo ancora qui a parlarne?»
«Perché sono mesi che Thad ti muore dietro» spiegò, incrociando nuovamente il suo sguardo, «ma tu non hai mai mostrato di essere interessato a lui. Perdonaci se la cosa ci ha sorpreso.»  
Sebastian non rispose, si limitò ad abbassare il capo ed incontrare i lineamenti delicati di Thad. Forse era vero, stava sbagliando tutto con lui. Thad era esattamente il suo opposto, non avrebbero mai potuto costruire nulla di concreto con quelle basi.
«E comunque» continuò Nick, «per quello che può valere, ce l’hai.»
L’altro sbatté un paio di volte le palpebre, perplesso. «Cosa?»
Nick ridacchiò. «L’approvazione di Jeff. E anche la mia.»
Sebastian si morse l’interno della guancia per non ridere. «Credevo di averti detto che me ne infischio di quello che pensate voi.»
Non poteva vederlo in viso, dal momento che era seduto dietro di lui, ma Sebastian era sicuro che in quel momento l’espressione di Nick comprendesse un enorme sorriso compiaciuto.
«Lo hai fatto, è vero» argomentò sapientemente, «ma sappiamo entrambi che in realtà muori dalla voglia di sentirti dire che le cose tra voi possono funzionare.»
«Quanta saggezza» borbottò Sebastian. «Dovresti fare il moralizzatore, sai? Pagano bene.»
Nick scosse il capo e Sebastian si sentì inspiegabilmente più sollevato. Forse si stava solo facendo troppi problemi.
Thad continuava a dormire contro la sua spalla e Sebastian si chiese come sarebbe stato passargli un braccio dietro alla schiena e attirarlo a sé.
Fu innaturalmente semplice farlo. Sentire la consistenza del corpo di Thad contro il proprio e avere la certezza di essere nel posto giusto al momento giusto. Forse Thad non se ne sarebbe neanche accorto, ma non appena Sebastian gli cinse il braccio intorno alla vita e avvertì l’altro mugugnare soddisfatto, seppe che un’altra cosa era finalmente andata a posto.
Alzò lo sguardo allo specchietto retrovisore, incrociando immediatamente gli occhi di un Nick particolarmente sorridente.
«Stai zitto, Duvall» mormorò, sorridendo a sua volta.
 







Noticine carine carine.
Eccoci giunti alla fine. Da questo momento in poi, manca solo l’epilogo per salutare definitivamente questa storia. La cosa non mi sta facendo sprofondare in un baratro di disperazione e malinconia, assolutamente no.
Sono in ritardo e mi scuso profondamente. Avevo detto che l’aggiornamento sarebbe slittato di un paio di giorni, ma alla fine ho preferito rimandarlo direttamente a lunedì per mantenere una parvenza di regolarità.
Questo capitolo è stato difficile da scrivere perché avevo tante idee ma non sapevo bene come metterle su carta. I Warblers, Sebastian e Thad, i Niff, lo scioglimento della vicenda, il coso di vetro (a proposito, sorpresi? L’avevo detto io che aveva senso xD)… doveva rientrare tutto in questo capitolo e doveva farlo anche in maniera decente. Spero di non aver deluso nessuno, so che in molti aspettavate che la storia si risolvesse e, alla fine, mettere la soluzione in bocca a Jeff mi è sembrata la cosa più naturale.
Non vi nascondo che Sebastian mi ha parecchio fatto penare, comunque, ma questo è un classico ormai xD
Ad ogni modo, la dedica di questo capitolo è divisa in due parti:
Innanzitutto, un grazie immenso alla meravigliosa Vals che, oltre ad essere quello che è, mi ha autorizzata a sparpagliare in questo capitolo alcuni pezzi del nostro delirare. Sì, messaggiare con lei, fingendo di essere Sebastian e  Thad, a volte è particolarmente ispirante. In particolare, e a questo ci tengo, la frase “volevo solo…sentirti, cazzo. Sembrava che quello fosse l’unico modo per averti un po’ per me” è di sua proprietà, ma io l’ho adorata a tal punto da doverla inserire per forza!
La seconda parte della dedica, e chiamatemi pure pazza, e per la mia gatta malaticcia che in questi giorni mi sta facendo preoccupare in maniera immane. Ciccina, fai la brava che mammina ti vuole tanto bene.
Non ho altro da aggiungere, se non un enorme ringraziamento a tutti coloro che si fermano, anche non con una recensione, a farmi sapere cosa ne pensano della storia. Sto ricevendo davvero tante gratificazioni e non posso che esserne lusingata e sorpresa. Grazie mille a tutti!

Vi ricordo i soliti link utili a cui trovarmi: Facebook e Twitter

Angolino pubblicità: se qualcuno volesse leggere un paio di Thadastian divertenti e adorabili, vi linko quelle scritte della mia Vals che, a mio parere, meritano: Checkmate e Sleepwalking

A lunedì prossimo,
Thalia.


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Capitolo 7
*** Epilogo. ***


Stuck epilogo Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 7/7
Note D’autore: Alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del meraviglioso banner di questa storia!

                                  *o*


38 recensioni, 20 preferite, 3 ricordate, 33 seguite,
Grazie…


Epilogo.

Sebastian lo stava osservando da una decina di minuti.
Era carino, notò, con i capelli castani che gli cadevano spettinati sulla fronte e gli occhi che si illuminavano quando sorrideva. Sembrava anche messo bene fisicamente, poi. O almeno, così appariva dalla divisa dell’Accademia.
Aveva solo un piccolo, insignificante, fastidioso difetto. Stava parlando con Thad Harwood.
Sebastian non aveva idea da quanto tempo andasse avanti quel simpatico siparietto. Erano poggiati al bancone della caffetteria, ridacchiando e conversando amabilmente del più e del meno. E il tipo gli era troppo vicino. Troppo.
A guardarlo bene non era neanche così carino, poi. I suoi capelli erano troppo poco scuri e i suoi tratti troppo marcati per poter risultare interessanti. Anche se, c’è da dire, Sebastian dubitata che accanto a Thad qualcun altro sarebbe riuscito ad attirare la sua attenzione  per più di qualche minuto.
«Uh uh, qualcuno si sta godendo lo spettacolo.»
Sterling comparve al suo fianco senza che Sebastian potesse fare qualcosa di concreto per impedirglielo.
«Lascialo stare, Jeff, non vedi che è sul punto di esplodere?»
Altro lato, altra piaga.
«Signorine, vi pregherei di tenere i vostri nasi arcobalenosi fuori dalle questioni che non vi riguardano.»
Il biondo ridacchiò, sinceramente divertito e Sebastian si domandò quand’è che aveva permesso a quei due di gravitargli così vicino.
Ah, già. Era accaduto più o meno nello stesso istante in cui aveva permesso ad Harwood di entrare nella sua vita. E nel suo letto.
A quanto pare quei tre erano un pacchetto completo. Doveva essere la prima delle loro regolette da tredicenni amiche del cuore. Dove va una, vanno tutte.
Con gli opportuni limiti, ovviamente: Sebastian non aveva alcuna intenzione di fare entrare anche quei due nei suoi pantaloni.
«Stai per caricare?» Domandò Sterling.
«Ma figurati» obiettò Duvall, «Sebastian Smythe è un signore, non si abbasserebbe mai a scenate di gelosia così plateali.»
«Quindi convieni con me che si tratti di bruciante e corrosiva gelosia?» volle accertarsi l’altro, fingendo di pensarci su.
«Mi sembra logico, mio esimio collega, i sintomi ci sono tutti.»
Sebastian sbuffò, incrociando le braccia al petto, senza staccare gli occhi di dosso a Thad e al suo inopportuno amico.
«Duvall, ti conviene tacere se non vuoi essere tu quello ad avere tutti i sintomi. Di un trauma cranico, però.»
«Oh, siamo suscettibili! Nick, credo che tu abbia ragione.»
Ed era incredibile, perché voleva a tutti i costi liberarsi di quei due impiastri e fingere che la sua esistenza non fosse stata così tanto sconvolta, ma sapeva di non poterlo fare.
A quanto pareva, quei due erano troppo importanti per Thad e Sebastian voleva a tutti i costi evitare l’interminabile discussione che avrebbe seguito il “Nick e Jeff sono i miei migliori amici, che avevi per la testa?”. Si impose di non pensare al fatto che recentemente cercasse di evitare qualsiasi tipo di discussione con Thad, convenendo con sé stesso che sarebbe stato decisamente meglio se le dinamiche con cui quel paio di occhi scuri lo avevano scosso nel profondo fossero rimaste ignote.
Rimase un’altra manciata di secondi ad osservare Thad parlottare con quel tipo, ignorando le chiacchiere concitate di Sterling e Duvall e facendo violenza su sé stesso per non partire in quarta e andare a spaccare la faccia a quel moscerino.
Quando però il tipo in questione si sporse in avanti per sussurrargli qualcosa all’orecchio e Thad rise di rimando, Sebastian sentì distintamente il sangue ribollirgli nelle vene e il nodo al suo stomaco stringersi un po’ di più.
«Chi cazzo è?» Sibilò fra i denti, serrando il pugno e assottigliando gli occhi.
Percepì appena le risate scuotere il corpo di Jeff. Ci avrebbe pensato dopo, adesso aveva un problema più impellente da affrontare.
Sterling sembrava troppo impegnato a sbellicarsi dalle risate per rispondere, così fu Duvall a parlare. «Si chiama Alvaro, è del primo anno e credo sia tipo messicano o qualcosa del genere.»
Un essere inutile, insomma. Bene, cosa ci trovava Thad di così interessante?
«Oh, ci ho scambiato un paio di parole» intervenne Jeff, «è un tipo a posto, pare sia un fenomeno a giocare a scacchi e a suonare il violoncello.»
Sebastian si permise di rivolgere un’occhiata scettica ad entrambi. «State scherzando?»
Quelli scossero il capo, interdetti, e Sebastian si affrettò a spiegare. «Una persona sola non può essere così tanto noiosa! È contro natura.»
Duvall scrollò le spalle. «Mah» obiettò, «Thad sembra trovarlo piuttosto interessante.»
Ed era vero. Stavano ancora parlando di chissà quale argomento esaltante. Sebastian ingoiò il ringhio che gli era salito alla gola e si allontanò dal muro al quale era poggiato, intenzionato a porre fine a quella pagliacciata.
Era giunto il momento di combattere il fuoco con il fuoco. Dove con “fuoco” intendeva “Thad Harwood”.
Avanzò a grandi falcate, mentre il rumore delle loro chiacchiere aumentava e la sua pazienza raggiungeva i minimi storici.
Quando fu sufficientemente vicino, si appoggiò con nonchalance al legno scuro, dalla parte opposta rispetto a Thad, piazzandosi in faccia la sua miglior espressione da flirt.
«Albert» esordì con voce volutamente melliflua. Si chiamava così, sì?
Quello si voltò sconcertato. «Emm, Alvaro?» Lo corresse.
Sebastian ghignò. «Perdonami l’errore» sorrise , guardando Thad negli occhi. Quello sembrava essere leggermente a disagio e Sebastian se ne compiacque enormemente.
«Non credo abbiamo avuto il piacere di presentarci» proseguì, la voce provocante e lo sguardo di nuovo sul suo interlocutore. Quest’ultimo scosse il capo, non sicuro di ciò che stava accadendo.
Sebastian allungò una mano verso di lui. «Sebastian Smythe» si presentò. Il tipo la studiò titubante, prima di afferrarla e mormorare: «Alvaro De La Torre.»
In tutto ciò, Thad fissava la scena ammutolito, alternando lo sguardo dallo sconcerto di Alvaro al ghigno sul volto di Sebastian che non prometteva nulla di buono.
«Allora, Alfred-» iniziò.
«Alvaro» lo interruppe quello.
«Sì, come ti pare» lo assecondò Sebastian. «Cosa ti porta da queste parti?»
E sì, con “queste parti” voleva dire precisamente “così vicino a Thad, che non dovresti neanche guardare, figuriamoci pensare di parlarci” e che stava più o meno a significare “così pericolosamente prossimo all’amputazione di arti e attributi vari”.
Quello fece spallucce. «Prendevo un caffè con Thad» lo informò con tranquillità e con quel suo marcato e fastidioso accento spagnolo.
Bene, Arthur, risposta sbagliata.
Sebastian represse a stento l’impulso di farlo testa e bancone, per la sola colpa di aver osato pronunciare il suo nome come se fosse giusto così.
«Questo» scandì, tornando a fissare Thad, «lo vedo perfettamente» concluse con un sorriso tirato.
«Vuoi unirti a noi, Sebastian?» Provò Thad, incerto.
Sebastian piegò il capo di lato. «Mi pare di averlo già fatto» gli fece notare.
Il tipo lì si rendeva conto appena di quello che stava accadendo, continuava a sorseggiare il suo caffè come se quella non fosse altro che una piacevole alternativa ad un noioso pomeriggio di studio.
«Quindi» iniziò Sebastian con lascivia, tornando a rivolgersi a lui, «ho sentito che con il tuo cavallo fai magie
Quello lo fissò perplesso e, con la coda dell’occhio, Sebastian riuscì a notare l’imbarazzo di Harwood e le sue guance colorarsi di rosso.
Aveva iniziato lui, dopotutto.
Il tipo, comunque, annuì titubante e Sebastian ghignò di rimando. «Potrei mostrarti cosa sono capace di fare io con il mio alfiere» propose malizioso, «pare che io sia piuttosto bravo.»
E nulla, o il messicano era un idiota, oppure era uno di quelli che tendeva a vedere il buono in tutti, tant’è che annuì compiaciuto ed entusiasta a quella proposta.
«Alvaro» proruppe Thad, la voce più alta del normale e il viso sorprendentemente arrossato, «potresti scusarci un attimo?»
E così dicendo, sì alzò, afferrò Sebastian per un braccio e se lo trascinò dietro, allontanandosi dal ragazzo che lo salutò con un vivace «Ci vediamo dopo.»
 
Si fermarono qualche metro più in là. Thad incrociò le braccia al petto, voltandosi verso un Sebastian che, impassibile, si era accomodato sul bracciolo di un divano e lo fissava in attesa.
«Che ti è saltato in mente?» Lo apostrofò.
L’altro inarcò un sopracciglio. «Non ho idea di cosa tu stia parlando.»
Thad distolse lo sguardo, passandosi una mano fra i capelli.
«Lo stai tipo circuendo? Cosa avevi intenzione di fare?»
Sebastian si alzò in piedi, fronteggiandolo. «Pensavo ti facesse piacere» iniziò, «mi comportavo esattamente come te.»
Thad annuì, facendo schioccare la lingua. «Non stavo flirtando con lui, Sebastian» gli fece notare. «Stavamo solo parlando.»
L’altro ghignò di rimando. «Ti stai scusando di qualcosa di cui non ti ho accusato.»
Thad sbuffò. «Non pensavo che la nostra… relazione fosse esclusiva» ribatté, piccato.
Sebastian sbatté le palpebre un paio di volte, colto alla sprovvista da quell’affermazione.
Non pensava? Esclusiva? Relazione??
Ma a che gioco stava giocando?
Certo, Sebastian non era esattamente il tipo da passeggiate mano nella mano e sdolcinatezze varie, ma gli sembrava di essersi esposto con Thad più che con chiunque altro.
Possibile che questo non significasse nulla per lui?
Sebastian non riusciva a capire, era sicuro che Thad provasse qualcosa per lui, dal momento che glielo aveva detto chiaramente, e lui ci aveva messo settimane a scendere a patti con sé stesso e ad accettare il modo strano in cui si sentiva quando Thad gli era vicino. Perché adesso si tirava indietro?
D’accordo, non avevano mai parlato apertamente di alcun tipo di relazione, né si erano mai lasciati andare a pubbliche… manifestazioni d’affetto o cose del genere, ma Sebastian non pensava davvero di dover essere più esplicito di così.
«Credevo che il sesso di ieri pomeriggio» ribatté, «e quello di ieri mattina, e quello dell’altro ieri sera, e quello delle ultime settimane, fossero un indizio piuttosto chiaro circa l’esclusività della nostra relazione.»
«Quindi abbiamo una relazione?» Volle accertarsi Thad.
«Me lo chiedi, così se dico di no potrai tornare da Adrian?»
Thad roteò gli occhi. «Alvaro» lo corresse.
«È un nome idiota, è normale che non me lo ricordi.»
«Certo, come preferisci» lo assecondò.
«In ogni caso» iniziò Sebastian, alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui, «se Alvaro prova a mettere di nuovo gli occhi su ciò che è mio, proverà nuovi, fantasiosi, modi per utilizzare i pezzi degli scacchi. Tutti e trentadue, una ad uno su per il-»
Ma ogni successivo turpiloquio fu messo a tacere dalle labbra di Thad che si posarono velocemente su quelle di Sebastian.
E poco importava che fossero nella caffetteria dell’Accademia e che vi fossero decine di studenti che li fissavano curiosi, o che con ogni probabilità Sterling e Duvall si stavano dando il cinque, festanti. Sebastian fece scivolare le mani sui fianchi di Thad, attirandolo a sé e prendendo possesso di quella bocca che lo faceva impazzire. Percepì l’intraprendenza di Thad e, contemporaneamente, avvertì il bisogno di sentirlo di più. Più vicino, più a fondo, più suo.
Ed era strano perché Sebastian non vi era abituato.
Non era abituato a quella voglia di averlo sempre addosso, a quel bisogno di cercarlo con lo sguardo, a quel fastidio procurato dalla sua assenza. Non era abituato alla consapevolezza di saperlo lì e di volerlo lì.
Thad si allontanò da lui, mordendosi un labbro e distogliendo lo sguardo. Eppure sorrideva. Era venerdì e Thad sorrideva e Sebastian pensò che, dopotutto, andava bene così.
«Senti» esordì dopo un attimo, «ti va di… boh, fare qualcosa?»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Tu ed io? Insieme?»
Thad fece una smorfia. «No, ognuno per i fatti suoi e poi stasera ci vediamo in camera e ci raccontiamo le rispettive giornate.»
Sebastian sbuffò. «Quanto sei noiosamente casalingo» commentò, avviandosi verso l’uscita.
«Potrei sempre andare a giocare a scacchi con Alvaro» propose Thad. «Lui era noioso quanto me.»
Sebastian ridacchiò. «A me sembrava ti piacesse abbastanza chiacchierare con lui» lo accusò velatamente.
La risata di Thad si perse nel tiepido venticello primaverile, quando attraversarono il portone della Dalton.
«In effetti, potrei tornare dentro da lui» ragionò Thad, puntando il pollice dietro di sé.
«Non provocarmi, Harwood» ribatté Sebastian. «Sai che sono di parola.»
Thad rise di gusto, salutando con la mano Nick e Jeff che si avvicinavano. «Mi stai consigliando di stargli lontano per il suo bene
L’altro scrollò le spalle. «Uno ad uno» ripeté.


The End.






Noticine carine carine.
No, non sono pronta. Sembra ieri che ho iniziato a scriverla e non riesco a credere che sono già giunta a postare l’epilogo.
Avrei talmente tante cose da dire e persone da menzionare che non so da dove iniziare perché l’unica cosa che mi viene da dire è GRAZIE.
Grazie ad ognuno di voi, a chi ha seguito, a chi ha preferito, a chi ha ricordato, a chi ha recensito e a chi ha letto silenziosamente. Grazie a tutti coloro che hanno trovato il modo di farmi sapere cosa ne pensavano, su Twitter o tramite messaggi privati e post in bacheca su Facebook. Grazie a chi ha sopportato i miei scleri e mi ha sostenuta fino alla fine di questo piccolo ma significativo viaggio.
Non mi aspettavo un feedback tanto positivo e vi assicuro che l’entusiasmo e il calore con cui avete seguito me e la mia storia sono stato il miglior stimolante possibile. Mille volte, grazie, ad ognuno di voi.
Io sono felice, dico davvero. Eccezion fatta per la Seblaine Week, non ho mai concluso nulla ed ora spuntare quella fantomatica casellina mi riempie di soddisfazione e malinconia.
È stata dura, ma ce l’ho fatta!
Gestire Sebastian è stato allucinante, lo sapete. Ho cercato di mantenerlo IC fino alla fine e ho provato a farmi rispettare in tutti i modi che conoscevo: alla fine, le volte in cui ha fatto di testa sua ci sono, ma spero di essere riuscita a concludere qualcosa di soddisfacente da questo punto di vista.
Stuck mi mancherà da morire. È la mia bimba, nonostante tutto, e ci sono affezionatissima. Ci ho messo dentro tanti pezzetti di me e sono davvero entusiasta di essere riuscita a trasmettervi qualcosa ogni volta.
Di fare un seguito, ovviamente, non se ne parla neanche: si perderebbe quella che è l’idea della storia in sé e non avrebbe molto senso. Mi sono lasciata abbastanza campo aperto da poter scrivere eventualmente qualche missing moment, ma non credo che lo farò. Per quanto mi faccia male ammetterlo, Stuck è questo: 7 capitoli di idiozie, fluff e un po’ di angst. Non me la sento davvero di aggiungerci altro.
Che io smetta di scrivere su Sebastian e Thad, però, è assolutamente fuori discussione: li amo troppo per abbandonarli così.
Non vi nascondo che ci sono già altre idee che mi frullano in mente e vi annuncio già che mi ritroverete presto con un’altra long su di loro – che probabilmente sarà l’esatto opposto di questa. Non mi va di anticiparvi nulla, se non che sarà un po’ più long, un po’ più angst, un po’ più incasinata e un po’ più a rating rosso… oltre ad essere esageratamente più cliché di questa. xD
In ogni caso, ancora non ho iniziato a scriverla, quindi credo ci vorrà un po’ prima che io inizi a postarla: probabilmente, però, la settimana prossima inizierò a pubblicare un’altra mini-cosa un po’ scema e un po’ demente – sempre su di loro - per tenervi compagnia mentre scrivo l’altra. Avrete presto mie notizie. xD

Spero vivamente che l’epilogo vi abbia soddisfatto. Ho lasciato intendere che si svolgesse qualche settimana dopo lo svolgimento dei fatti ed era mia intenzione scrivere una cosa leggera e tranquilla giusto per capire che, dopo la fine del capitolo scorso, Sebastian e Thad stanno realmente insieme. E poi, ammettiamolo, la voglia di scrivere di un Sebastian geloso e che marca il territorio era fin troppa!! Spero di non aver deluso nessuno, io mi sono divertita tantissimo a scriverlo.
Mi sto effettivamente rendendo conto di star prolungando la stesura di queste note perché non mi va di salutare definitivamente questa storia. Non vogliatemene: sono una mamma gelosa!
Ed io non so cos’altro dire, quindi credo che mi ritirerò in un angolino a piangere tutte le mie lacrime.

Vi ricordo, per l’ultima volta, eventuali luoghi ameni in cui trovarmi: Twitter e Faceook.
E ci siamo, quindi io la smetto di parlare e vi saluto, ringraziandovi ancora.
A presto, ve lo prometto,

Thalia <3

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