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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo 1. ***
Capitolo 2: *** Capitolo 2. ***
Capitolo 3: *** Capitolo 3. ***
Capitolo 4: *** Capitolo 4. ***
Capitolo 5: *** Capitolo 5. ***
Capitolo 6: *** Capitolo 6. ***
Capitolo 7: *** Epilogo. ***
Capitolo 1 *** Capitolo 1. ***
Stuck cap 1
Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Commedia/Introspettivo/Sovrannaturale (?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 1/7
Note D’autore: Tante e alla fine.
Note di Betaggio: L’intera storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Capitolo 1.
I raggi del sole penetrarono dalle imposte chiuse, gettando luce indesiderata sulle sagome ancora profondamente addormentate.
Sebastian aprì gli occhi, anticipando di qualche istante il
suono della sveglia ma decidendo di trattenersi a letto per permettere
alle ultime tracce di sonno di abbandonare il suo viso.
La stanza era immersa nel silenzio e, dal suo respiro regolare e
cadenzato, Sebastian immaginò che Harwood stesse ancora dormendo.
Si passò una mano fra i capelli e, sbadigliando assonnato, si
alzò lentamente dal letto, agognando una meritata doccia calda. Io mi alzo per primo, io decido quanto tempo sto in bagno.
Aveva fatto un sogno strano quella notte, ma adesso che si era
svegliato gli risultava difficile afferrarne i dettagli e richiamarlo
alla mente.
Fece una smorfia constatando che, a conti fatti, non gliene importava granché.
Dal momento che non si era curato di portare con sé la divisa,
uscì dal bagno sistemandosi un asciugamano intorno ai fianchi e
sperando di trovare Harwood sveglio solo per il piacere di poter
iniziare la giornata con la sua impagabile espressione fintamente
scandalizzata.
La buona sorte evidentemente era dalla sua parte.
Thad era in piedi accanto alla scrivania intento a sistemare la
cartella per le lezioni del giorno, i vestiti diligentemente piegati
sul letto in attesa di essere indossati.
Quando Sebastian uscì dal bagno, voltò leggermente il capo verso di lui senza prestargli particolare attenzione.
«La prossima volta farai bene a portarti un cruciverba, se hai intenzione di metterci tanto» propose.
Sebastian ghignò, incrociando le braccia al petto. «La
prossima volta puoi venire in bagno con me, se ti scoccia
aspettare.»
Thad si voltò, sgranando leggermente gli occhi alla vista che
gli si parò davanti, ma ricomponendosi immediatamente per
evitare che l’altro se ne accorgesse.
Ma l’altro se n’era accorto, eccome.
Sebastian ghignò, avviandosi verso l’armadio per recuperare i suoi vestiti. «Dicevi, Thad?»
Quello sbuffò, afferrando i suoi, «Ti creerebbe tanto
disturbo evitare di andare in giro mezzo nudo?» borbottò,
arrossendo leggermente.
Sebastian scosse il capo. «A me no. A te crea disturbo che io vada in giro mezzo nudo?» Ribatté.
Thad roteò gli occhi sparendo nel bagno e lasciando a Sebastian
il tempo di ghignare a sufficienza, prima di finirsi di preparare.
Era inutile, più lui si innervosiva più a Sebastian veniva voglia di stuzzicarlo.
Thad uscì velocemente, mormorando frasi sconnesse e comportandosi come se Sebastian non fosse affatto lì.
«Reciti le tue preghiere mattutine?» Domandò, ironicamente.
Thad lo ignorò, afferrando un quaderno dalla scrivania e
sfogliandolo febbrilmente prima di chiuderlo e continuare a parlottare
fra sé.
Sebastian scrollò le spalle, afferrando la tracolla e uscendo
dalla camera prima di lui. «Parlare da soli è il primo
sintomo di pazzia» gli fece notare.
«Anche darsi più importanza di quanta non se ne possieda» ribatté Thad.
«Quella non è pazzia Thaddy» lo corresse, «si chiama presunzione.»
«Dunque ammetti di essere presuntuoso?»
«E tu ammetti di essere pazzo?»
Thad sbuffò per l’ennesima volta, aumentando il passo e
mormorando qualcosa che somigliava vagamente ad un «e comunque
abbiamo il compito di biologia.»
Ecco spiegato il motivo della sua preoccupante stranezza: Harwood e la
biologia erano come i broccoli e il gelato alla stracciatella.
Quando giunse all’aula di storia – la prima lezione
della giornata – Thad era già lì e chiacchierava
con David e Flint in attesa che la campanella suonasse. Sebastian gli
passò accanto, salutandoli con un cenno del capo e appoggiandosi
al muro accanto a loro.
«Sebastian, la riunione con i Warblers è anticipata alle cinque» lo informò David.
«Sì» aggiunse Flint, «avrebbe dovuto dirtelo
Thad, ma a quanto pare gli è uscito di mente.»
Sebastian si rivolse direttamente al suo compagno di stanza.
«Evidentemente era troppo impegnato ad inventare un modo per
giustificare a casa il suo prossimo fallimento in biologia»
suppose. «Non essere così duro con lui.»
Sebastian non seppe cosa Thad fosse sul punto di dire. La campanella
suonò e furono tutti costretti a porre fine a quel divertente
siparietto: lui, David e Flint entrarono nell’aula di storia e
Thad e Jeff si recarono in quella di Letteratura proprio lì
accanto. Si sarebbero poi rivisti direttamente a biologia.
Sfortunatamente si ritrovò seduto al fianco di David e
ciò voleva dire che, per le successive due ore, il massimo della
distrazione sarebbe stato voltarsi per chiedergli il temperamatite.
David era una delle persone più stoiche ed impassibili che
conosceva. Non vi era alcun divertimento nel provare ad infastidirlo,
dal momento che il massimo della sua reazione sarebbe stato un
concitato “shh” che, con ogni probabilità, gli
avrebbe fatto ribollire il sangue nelle vene.
La lezione passò più velocemente di quanto Sebastian si
aspettasse. Aveva continuato a prendere appunti diligentemente,
assistendo a qualche suo compagno che veniva interrogato a tradimento e
sbuffando annoiato di tanto in tanto.
Prima di rendersene conto, si ritrovò in un’altra aula,
seduto accanto a Nick Duvall, intento a trasferire su un pezzo di carta
tutte le sue conoscenze sull’apparato digerente.
Si compiacque del fatto che quella giornata sembrava stare passando
più rapidamente del previsto e, senza indugiare, passò a
rispondere alla domanda successiva, immaginando già quante
sfumature rosse avrebbe avuto la A che avrebbe presto troneggiato sul
suo compito.
«Smythe» chiamò sottovoce Nick al suo fianco.
Sebastian finse di non sentirlo e continuò a dedicarsi alla sua
accurata descrizione di una ghiandola endocrina.
«Smythe» ripeté l’altro, puntellandogli la penna nel gomito.
«Cosa diavolo vuoi, Duvall?» Ringhiò fra i denti, senza staccare gli occhi dal foglio.
«Che cos’è il peritoneo?» Domandò quello, concitatamente.
Sebastian roteò gli occhi. «È ciò che ti arriverà in bocca tra due minuti se non taci.»
Nick sbuffò e per un attimo tacque, così l’altro immaginò che si fosse arreso alla sua ignoranza.
Inutile dire che si sbagliava.
«Dimmelo» protestò di nuovo, «so che lo sai.
Tuo padre è un fottuto medico. Le mangiavi a colazione queste
cose.»
«Certo» rispose seccato, «per questo sono venuto su bello e intelligente.»
«Smythe, hai riempito tutto il foglio, non fare lo stronzo.»
«La prossima volta studia.»
La professoressa si schiarì la voce eloquentemente ed entrambi
tornarono a rivolgere la loro attenzione al proprio foglio per evitare
richiami più espliciti.
Sebastian sorrise soddisfatto, completando il compito e pregustando
già l’imminente successo. Gettò uno sguardo
all’aula, ma i suoi compagni erano ancora intenti a scribacchiare
freneticamente, lottando contro il tempo.
La sua attenzione venne catturata dalla gamba di Thad che tamburellava
freneticamente a terra. Sembrava piuttosto in difficoltà a
guardarlo.
Scrollò le spalle, controllando che tutto fosse in ordine, e
proprio quando stava per alzarsi e consegnare, la campanella
suonò e l’insegnante annunciò che il tempo era
scaduto.
«Grazie tante» gli sibilò Nick.
«Figurati» rispose, ghignando.
Era davvero seccante ascoltare le loro chiacchiere inutili, ma
Sebastian immaginò di non poterne fare a meno dal momento che
David sembrava così ansioso di metterlo al corrente delle sue
idee per la prossima esibizione da non poter aspettare la riunione di
quel pomeriggio.
«…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho dovuto
lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a non
volersi muovere ed io avevo fame.»
«Io non l’ho mai capito quell’affare» disse Trent, «come fa a piacerti, Jeff?»
Quello scrollò le spalle, «mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress» spiegò.
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose Sebastian. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
«Se tu fossi un po’ meno stronzo e pieno di te, magari non
ci sarebbe bisogno di importunarti» ribatté Nick.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me, non
sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di
importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con l’ossigenazione» commentò Sebastian.
«Adesso basta» intervenne, risoluto, Flint. «Conservate le energie per le prove.»
Jeff sbuffò, lanciando un’occhiata truce a Sebastian e rivolgendosi a Thad con un enorme sorriso in viso.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta. «Ovviamente sarò dei vostri, che domande!»
Nick esultò e Trent si sporse per passare un braccio intorno
alle spalle di Harwood e sussurrargli qualcosa all’orecchio che
lo fece ridere.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche se
continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che stava
parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto non saresti
venuto.»
«Oh» si sorprese, «la prima decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino» annuì
Sebastian, «ma questa non è certo una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti va?» Si infervorò Nick.
«Di certo più di te in queste condizioni» rispose prontamente Sebastian.
«Non potevi evitare di mettere altra carne a cuocere,
David?» Domandò Flint, esasperato da quel triste
siparietto.
David alzò le mani in segno di resa.
Nick provò a ribattere ma un cenno della testa di Thad gli fece
cambiare idea, così la discussione cadde e il tragitto fino alla
mensa proseguì in maniera relativamente tranquilla.
La riunione dei Warblers fu più delirante del solito
perché era Venerdì ed essendo l’ultimo giorno della
settimana erano tutti esagitati in vista del week end di relax. In
realtà non vi erano particolari motivazioni per tenere una
riunione, dal momento che non vi erano ordini del giorno di importanza
vitale da discutere, quindi avevano trascorso i primi venti minuti
cercando di richiamare l’attenzione dei presenti e i successivi
venti ad impedire a Jeff di rompersi qualche arto per mostrare quel
passo che alla prossima esibizione proprio non poteva mancare.
Per Sebastian era stata una settimana sfiancante e tutto ciò che
desiderava era tornare in camera, farsi una doccia e dormire.
Ascoltare le chiacchiere inutili di Duvall o assistere allo
spettacolino improvvisato da Sterling decisamente non erano in cima
alla sua lista di cose da fare prima della fine della giornata.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei provini
seri per decidere il solista delle competizioni» buttò
lì Trent.
Sebastian si voltò a guardarlo, «Seri?»
Domandò retorico, «quelli fatti fino ad ora
cos’erano? Gare di freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi
l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche
provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo
appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo, altrimenti
non saremmo qui.»
«Oh, ma andiamo!» Sbottò il diretto interessato,
«sappiamo tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian si voltò a guardarlo, assottigliando gli occhi,
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire a starmi
dietro.»
«E tu non saresti presuntuoso?» Continuò Thad.
«Sebastian ti conviene scendere dal piedistallo, perché
l’aria che respiri lassù ti sta fottendo il
cervello.»
Quella era una questione personale. Sebastian lo aveva intuito sin dalla prima parola di Thad.
Non erano soliti discutere in questo modo anche perché di solito
Thad evitava di prendere parte alle questioni per non trovarsi
costretto a doversi schierare da una parte o dall’altra.
Invece stavolta si schierava eccome. Chiaramente contro di lui. Ma se
la stava prendendo per qualcosa che Sebastian non riusciva a
comprendere e che non aveva niente a che fare con quell’argomento.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito di utilizzarlo a sproposito.»
«Eviti di utilizzarlo e basta» lo corresse quello, sbuffando.
«Thad?» Chiamò, cautamente, Jeff.
Quello si voltò di scatto, sgranando leggermente gli occhi nel
rendersi conto di aver attirato gli sguardi di tutti su di sé.
Jeff gli domandò con gli occhi quale fosse il problema, ma Thad
scosse la testa e Sebastian inarcò un sopracciglio a quel
commovente quadretto di amore fraterno.
«In ogni caso» intervenne Flint, molto cautamente,
«la proposta di Trent è da prendere in considerazione, ma
magari non adesso» si affrettò ad aggiungere notando
già che l’ambiente si stava scaldando di nuovo.
Il resto della riunione proseguì senza esaltanti colpi di scena.
Sembravano tutti emozionati per questo misterioso qualcosa che
sarebbero andati a fare il giorno dopo, ma Sebastian non aveva davvero
voglia di pensarci o di dargli la soddisfazione di essersela presa per
il loro mancato invito quando a conti fatti non era così.
Thad aveva continuato a chiacchierare con Jeff e Trent, evidentemente
senza dare troppo peso al loro innocente battibecco, tanto che
Sebastian suppose di essersi sbagliato e di averlo solo immaginato il
risentimento e l’astio che sembravano offuscargli la vista.
Rientrò in camera dopo essere passato in biblioteca a
consegnare un libro. Harwood doveva essere appena uscito dalla doccia
perché l’aria era incredibilmente calda e profumata.
«Magari la prossima volta porta un paio di patate e qualche
cetriolo con te, almeno la zuppa saprà di qualcosa di
decente.»
L’altro non rispose, afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò sul letto immergendosi nella lettura.
Sebastian lo fissò scettico. D’accordo, come voleva lui.
Si diresse direttamente in bagno permettendo ai muscoli di rilassarsi e
alla mente di svuotarsi sotto il getto dell’acqua calda. Non
poteva tornare a casa quel weekend e, per quanto aveva appreso, i
ragazzi sarebbero tutti stati fuori. Ciò voleva dire che,
finalmente, avrebbe avuto un po’ di tempo per sé senza
dover dar retta a stupide pulci fastidiose o a ballerini ossigenati
rincretiniti.
Quando uscì dal bagno, Thad era esattamente come Sebastian lo aveva lasciato.
«Hai perso la voglia di fare lo spiritoso?» Domandò, iniziando a vestirsi per andare a dormire.
Thad roteò gli occhi. «Qual è il tuo problema,
Sebastian?» Sbottò, senza alzare lo sguardo dalla pagina.
L’altro ghignò. «Il mio problema, al momento, sei tu.»
«Okay» ribatté Thad, «perfetto. Tornatene sul
tuo piedistallo dorato e smettila di respirare la mia aria
infetta.»
Sebastian inarcò un sopracciglio, «Si può sapere qual è il tuo di problema?»
Thad si produsse in una risata bassa e isterica. «Al momento sei tu il mio problema.»
«Beh» ragionò Sebastian, «io sono il problema
di tutti, a quanto pare, ma tu di solito non te la prendi così
tanto.»
Thad chiuse il libro, mettendosi seduto e voltandosi a guardarlo.
«Solo perché non passo le mie giornate ad offendere e
sminuire gli altri, non vuol dire che io non me la prenda.»
«È questo il problema?» Chiese Sebastian,
continuando a capirci poco e nulla in tutta quella faccenda. «Ti
senti sminuito da me?»
«No» lo contraddisse Thad. «Sei tu che ti senti superiore a me. È questo il problema.»
«Non vedo come questo possa esserti d’impiccio, Harwood.»
«Non lo metto in dubbio, Sebastian. Il tuo ego ti appanna la
vista a tal punto che non so come tu faccia a sistemarti il ciuffo la
mattina.»
Vi era qualcosa di stonato in quella conversazione. Ormai avevano
trovato una sorta di equilibrio per evitare di pestarsi eccessivamente
i piedi a vicenda, ma Thad non era mai apparso così desideroso
di litigare con lui e Sebastian non comprendeva per quale motivo quella
sera dovesse essere diversa dalle altre.
D’accordo, il battibecco ci stava anche, la discussione
costruttiva pure, ma da dopo le Regionali doveva ammettere che il loro
rapporto era leggermente migliorato e questa sfuriata insensata proprio
non sapeva spiegarsela.
«Credo tu sia l’ultima persona a potermi dare dell’egoista, sai?» Gli fece notare.
Thad tacque per un attimo. Distolse lo sguardo, mordendosi un labbro e
mormorando un «a volte però ti comporti proprio come
tale» che fece scattare definitivamente i nervi di Sebastian.
«Se non sbaglio sei stato proprio tu a riempirmi di moine e
complimenti durante le Regionali» gli ricordò.
«“allora non sei cattivo”, “cantare per
qualcuno ti fa onore”, “non credevo che fossi
così”» gli fece il verso. Non pensava di ricordare
così bene quelle parole, ma dovette ammettere a se stesso che
probabilmente la motivazione era che gli aveva fatto piacere che
qualcuno fosse arrivato a guardare più a fondo di quanto lui
permettesse di solito. Forse era per quello che conservava un ricordo
abbastanza vivido di quella chiacchierata.
«Non mi sto rimangiando nulla» chiarì Thad.
«No, certo che no» rispose, «sei qui a darmi
dell’egoista quando neanche un mese fa eri sul punto di
consegnarmi in lacrime il Nobel per la pace.»
E il problema dov’è?
«E di che ti stupisci? Non è che tu abbia fatto molto per solidificare quell’impressione.»
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» si ritrovò a constatare.
«E forse è proprio questo il punto, sai?» la sua
voce si ridusse di parecchie ottave mentre le sue mani si abbandonavano
lungo i fianchi. «Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma
sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non
sapere nulla di me.»
Sebastian avrebbe dovuto decisamente rispondere qualcosa, ma lo sguardo
accusatorio e ferito di Thad era insopportabile e lui continuava a
sentirsi come se gli dovesse qualcosa in cambio.
«Non credo di doverti nulla» rispose, «non credevo che la tua gentilezza avesse un prezzo.»
«No, infatti» concordò Thad, «ma dovresti
farlo perché ti fa piacere, non perché ti senti debitore
nei miei confronti.»
«Non mi sento debitore infatti.»
Thad annuì, distogliendo lo sguardo. «Perfetto»
decise. «Allora direi che siamo a posto così.»
Tacque un attimo, probabilmente in attesa che Sebastian aggiungesse qualcosa.
Quando l’altro ragazzo non si mosse, annuì e
sospirò. «Buonanotte, Sebastian» fu l’ultima
cosa che disse.
Si voltò scostando le coperte e sdraiandosi velocemente,
dopodiché si allungò e spense la luce sul comodino.
Sebastian rimase in piedi per un attimo a riflettere su quanto appena
accaduto e a sforzarsi, per quanto gli era possibile, di dargli un
senso.
Aveva una strana sensazione e qualcosa gli diceva che no, non fossero a posto per nulla.
*°*°*°
Quando Sebastian aprì gli occhi, la stanza versava ancora
nella semioscurità e ciò voleva dire che, l’unico
giorno a settimana in cui poteva dormire di più, il suo orologio
biologico aveva deciso di tradirlo. Si voltò dall’altra
parte, cercando di riprendere sonno, per nulla intenzionato a lasciare
il letto così presto.
Qualche istante dopo però, la sveglia suonò e lui si vide
costretto a tirarsi a sedere e fissarla con sguardo truce. Ricordava
distintamente di averla disattivata la sera prima.
Gettò un’occhiata all’altro letto dove Harwood
poltriva ancora profondamente. Se quello era uno scherzo, faceva meglio
a dire addio al suo bel faccino pulito.
Afferrò saldamente il cuscino e con un lancio ben calibrato lo
spedì direttamente laddove avrebbe dovuto trovarsi la testa di
Thad.
Quello soffocò un urlo, alzandosi e voltandosi a guardarlo.
«Ma ti sei bevuto il cervello?» Lo apostrofò, con
voce ancora assonnata.
«Ti facevo più maturo, Harwood» rispose Sebastian,
«non pensavo fossi tipo da giochetti così infantili e
scontati.»
L’altro alzò un sopracciglio, scostando le coperte e
alzandosi in piedi. «Ma di cosa diavolo stai parlando?»
D’accordo, una cosa era volersi vendicare, seppur in maniera
puerile e immatura, un’altra era negare spudoratamente quando le
prove indicavano chiaramente la sua colpevolezza.
«Sto parlando di te che ti impicci nei miei affari e tocchi la mia roba.»
Thad alzò le mani in segno di resa, scuotendo il capo allibito.
Dopodiché si diresse all’armadio e ne estrasse la divisa.
«Pensa quello che vuoi, io vado a prepararmi» e,
così dicendo, si chiuse la porta del bagno alle spalle lasciando
Sebastian da solo nella camera.
Questo sbuffò, nervoso non solo per essere stato svegliato in
anticipo, ma anche e soprattutto per il dover avere a che fare con gli
sciocchi comportamenti del suo coinquilino.
Andò a riprendersi il cuscino, deciso più che mai a
recuperare il sonno perduto, e si sdraiò nuovamente chiudendo
gli occhi.
Sentì la porta aprirsi e immaginò che Thad fosse uscito dal bagno, ma non gli diede molta importanza.
«Ti conviene muoverti se non vuoi fare tardi.»
«E per cosa, di grazia?» Sbuffò Sebastian in risposta.
«Bah» meditò l’altro, «non saprei proprio, magari per le lezioni?»
Sebastian scostò le coperte, voltandosi a guardarlo. Thad se ne
stava in piedi al centro della stanza, la divisa perfettamente
indossata e un quaderno aperto in mano.
«Harwood» iniziò paziente, «hai preso le tue
medicine stamattina? Guarda che oggi è Sabato.»
Thad roteò gli occhi al cielo, soffocando una risata. «Mi
dispiace contraddirti» agitò il quaderno in aria,
«ma oggi è Venerdì.»
E no, quello era decisamente troppo strano.
«Cosa diavolo vai blaterando?» Domandò, mettendosi a
sedere, «ieri era Venerdì, oggi è sicuramente
Sabato.»
Thad ghignò, infilando il quaderno in borsa e mettendosi la
tracolla sulle spalle. «Vorrei che tu avessi ragione, Smythe.
Significherebbe che avrei già fatto il compito di Biologia, ma
purtroppo non è così.»
Sebastian sgranò gli occhi. «Ma lo abbiamo già fatto ieri!» Gli fece notare.
L’altro arricciò le labbra. «Quanto hai bevuto ieri sera?» Domandò, pratico.
Sebastian si passò stancamente una mano sugli occhi,
massaggiandosi le tempie. «Harwood ero con te ieri sera»
gli ricordò. Avevano litigato come non mai, non poteva essersene
dimenticato!
«Sì» concordò Thad, «ma quando sono
andato a dormire non c’eri. Solo tu sai cosa hai fatto
dopo.»
E no, quello non aveva alcun senso.
Aveva studiato in camera con Thad quella sera e poi era uscito prima che lui andasse a dormire. Ed era vero.
Solo che era successo Giovedì.
Sebastian ne era assolutamente certo.
C’era decisamente qualcosa che non quadrava in tutta quella faccenda.
Pentagramma!
Devo per forza chiamarlo così, dal momento che le note sono davvero troppe oggi!
Innanzitutto, grazie per essere arrivati fin qui, non avete idea di quanta sia la mia soddisfazione a questo punto.
Tengo moltissimo a questa storia e spero di riuscire a farla piacere a
voi almeno quanto ho adorato io scriverla (anche se credo che arrivata
a questo punto la continuerei a postare anche se la leggessi solo io!)
In ogni caso, iniziamo con le note!
- Nota numero 1.
La cosa più importante da sapere è che la presente
mini-long si comporrà di 6 capitoli + un epilogo e che la
metà di questi sono già stati scritti. Gli aggiornamenti
avverranno con ogni probabilità una volta a settimana e ogni
volta che posterò un nuovo capitolo risponderò alle
eventuali recensioni del precedente. Avevo pensato di iniziare a
postarla solo una volta averla terminata, ma poi la voglia ha preso il
sopravvento ed io mi sono trovata a cedere prima ancora di rendermene
conto. La cosa fondamentale, però, è che Vals mi ha
promesso che mi prenderà a randellate nel remoto caso in dovessi
decidere di abbandonarla incompiuta, quindi non dovete preoccuparvi di
questo!
- Nota numero 2. Uno
degli svantaggi di avere un OTP composto da due personaggi che non si
sono mai neanche parlati ufficialmente, è il fatto che la
maggior parte della loro caratterizzazione sia composta da head canon.
Per la caratterizzazione di Sebastian mi sono attenuta al personaggio
presentatoci dallo show, in tutte le sue sfaccettature e da ogni punto
di vista da cui lo abbiamo potuto osservare. Per la caratterizzazione
di Thad la questione è lievemente differente, dal momento che di
Thad non sappiamo nulla (a parte che non dobbiamo prenderci gioco di
lui e che “questa canzone nella tonalità di Blaine
è anche migliore di quella originale” anche se non ci
è dato sapere di che canzone si stesse parlando). In ogni caso,
per scrivere su di lui io mi sono basata principalmente su quel
po’ che sappiamo di Eddy Martin e sull’idea fanon che Thad
sia una persona meravigliosa, tanto zucchero e miele ma capace di
tenere testa a Sebastian.
Ad onor del vero, parte di questa caratterizzazione, così come
l’idea di loro due come compagni di stanza, deriva dall’Agenda di Somo, pioniera di questo pairing e prima fanwriter a scrivere una long su loro due.
- Nota numero 3.
In questo capitolo Sebastian è uscito un po’ stronzo ed io
mi sono resa conto di aver davvero abbondato con i dettagli inutili:
sia chiaro che niente di tutto ciò è messo qui a caso ma
che tutto avrà un’importanza fondamentale per il futuro.
- Nota numero 4. Questa storia non sarebbe qui senza il prezioso contributo di tre meravigliose persone che io devo assolutamente ringraziare.
• SereIlu:
lei che c’era quella sera che “Sere vado un attimo a
cena” e poi, mezz’ora dopo “oddio mi è appena
venuta l’idea per una fic che devo assolutamente
scrivere”. Lei che mi ha sostenuto in ogni istante, lei che mi
ha spronato, che ha letto ogni capitolo, che mi ha fatto le sue
considerazioni, che mi ha pregato di proseguire e mi ha mostrato
tutto l’entusiasmo di cui avevo bisogno per poter continuare a
scrivere. Senza Sere questa storia non sarebbe qui, senza Sere io
mi sarei arresa ancor prima di scrivere il primo rigo.
• Somo: un
ringraziamento speciale a lei che ha ascoltato ogni mio delirio che mi
ha invogliato a scrivere anche quando non ne avevo voglia, che mi ha
sostenuta quando volevo mollare e che ha condiviso con me le
difficoltà di farsi ubbidire da Sebastian! Lei che ha letto ogni
capitolo e poi “Ho delle teorie” e giù a
parlare di cosa sarebbe accaduto, di pensieri e sensazioni,
di paure e aspettative. L’entusiasmo e l’approvazione di
Somo erano il miglior toccasana di cui avessi bisogno
perché avere il consenso di lei, che è stata la pioniera
di questo pairing, per me era fondamentale.
• Vals:
la mia Vals. Potrei stare a parlare per ore di come ogni sua parola sia
stata indispensabile per la stesura di questa storia e non riuscirei a
farvi capire neanche lontanamente quanto lei sia speciale. Lei che
mi ha ascoltata, che mi ha consigliata, che mi ha fatta gongolare come
poche cose al mondo, che mi ha aiutata a rendere più fluidi
tutti i passaggi che stonavano, che ha plottato interi capitoli
con me la sera per sms e nel letto. Senza lei non solo questa
storia, ma molte altre non avrebbero visto la luce e sento davvero
il bisogno di ringraziarla per tutto quello che è ma,
soprattutto, per tutto quello che sono io da quando la conosco.
- Nota numero 5. Un
contributo fondamentale mi è giunto, seppur inconsapevolmente,
dalle TrollGirls di Twitter: passare intere serate a sclerare e
trollare con voi è stato davvero capace di ispirarmi più
e più volte. Siete speciali ed siete la mia dose giornaliera di
buon umore!
- Nota numero 6. Ulteriore ringraziamento a SereIlu per essere l’autrice del meraviglioso poster di questa storia!
Vi lascio un paio di "indirizzi utili" ai quali rintracciarmi per qualsivoglia genere di informazione! Facebook (per deliri in compagnia, quattro chiacchiere, eventuali spoiler, novità sugli aggiornamenti e quant'altro) e Twitter (per trollare tutti insieme appassionatamente ed assistere alle mie figuracce internazionali)
Null’altro, davvero ho detto fin troppo! Ci vediamo al prossimo
aggiornamento e wow, siete davvero arrivati fin qui? Lasciatevi fare i
miei complimenti *offre pan di stelle*
Thalia.
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Capitolo 2 *** Capitolo 2. ***
Stuck 2
Pairing:
Sebastian/Thad
Genere:
Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Commedia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti:
Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 2/7
Note D’autore: Alla
fine.
Note di Betaggio: L’intera
storia è stata puntigliosamente betata dalla straordinaria
Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 2.
Una volta Sebastian aveva fatto sesso con una ragazza. Insomma,
“fare sesso” era un’espressione
esagerata. Diciamo che si era infilato dentro di lei e poi si era
comportato esattamente come se lei fosse un uomo. Era stato tutto molto
umido e… rumoroso e fin troppo veloce. Sebastian non
ricordava neanche che faccia avesse lei, ma aveva ben impressa
l’espressione basita di suo cugino quando gli aveva
comunicato di aver raggiunto e superato la terza base.
Era stata un’esperienza strana e assolutamente da non
ripetere. Si era sentito come se si trovasse nel posto sbagliato al
momento sbagliato ed era una sensazione disagevole ed inappropriata.
Inutile dire che dopo quello aveva avuto l’assoluta certezza
di essere gay, se mai ne avesse avuto qualche dubbio.
Comunque, era stata forse l’esperienza più
deprimente e angosciante della sua vita, ma era nulla in confronto a
ciò che gli stava accadendo in quel momento.
Perché si trovava nell’aula di storia e Jordan era
di nuovo interrogato e di nuovo non ricordava la data della distruzione
di Pearl Harbor.
Le cose erano due. O Jordan era un idiota (come gli stava di nuovo
facendo notare il professore) oppure tutta la scuola si era mobilitata
per giocargli il più diabolico degli scherzi. O lui stava
impazzendo, terza opzione ma assolutamente non ponderabile.
Decidere di non credere ad Harwood si era rivelato completamente
inutile quando la prima campanella era suonata ricordando loro che
entro mezz’ora sarebbero iniziate le lezioni.
Si era visto costretto ad alzarsi e prepararsi, assecondando quella
follia collettiva che non riusciva a spiegarsi. L’unica
soluzione plausibile che era riuscito a trovare consisteva nel
convincersi che si fosse trattato di un sogno e che lui in
realtà non aveva mai vissuto quel giorno. Ecco spiegato
perché sembrasse l’unico a preoccuparsi del fatto
che, con ogni logica, avrebbe dovuto essere Sabato.
Inutile dire che l’ipotesi del sogno si era screditata da
sola non appena David gli aveva annunciato che la riunione dei Warblers
era stata anticipata. Quella non poteva essere una coincidenza e
neanche tutta la discussione che ne era seguita.
La giornata era iniziata da neanche due ore e Sebastian aveva
già la testa che gli girava. Grandioso.
«David» chiamò sottovoce.
Quello si voltò con un’espressione stizzita in
viso – sì, David era di nuovo il suo compagno di
banco. «Dimmi, Sebastian» bisbigliò in
risposta.
«Che giorno è oggi?» Buttò
lì.
David aggrottò la fronte rivolgendogli un’occhiata
scettica. «È il 16 marzo» rispose,
dubbioso.
Sebastian sbuffò. Rivolse un’occhiata al
professore, ancora intento a ricordare nuovamente a Jordan quanto fosse
inetto, prima di proseguire. «Intendevo che giorno della
settimana è» specificò.
Se David pensò che Sebastian fosse impazzito, non lo diede a
vedere. Si limitò ad alzare un sopracciglio e a rispondere
un concitato «Venerdì?» che fece
deprimere maggiormente Sebastian.
Quest’ultimo si voltò nuovamente verso la
cattedra, annuendo leggermente e cercando di non pensare a quanto
sembrasse sempre più reale e concreta la terza opzione.
Vi era qualcosa che continuava a non tornare in tutta quella faccenda.
E Sebastian non si riferiva solo al fatto che sapeva esattamente quali
domande sarebbero uscite al compito di biologia.
Voltò il foglio freneticamente, cercando un indizio che gli
facesse iniziare a sperare di non essere completamente uscito di testa.
Vi era un’unica, ultima, speranza alla quale appellarsi.
Siccome ormai aveva assodato che non poteva aver già sognato
quel giorno, ciò che rimaneva era che probabilmente stava
sognando un giorno già vissuto.
Era un ragionamento assurdo e, come se non bastasse, non riusciva a
capacitarsi del fatto che il suo subconscio doveva essere davvero alla
frutta per giocargli un tiro così meschino.
Eppure non poteva che essere così, non vi erano altre
spiegazioni.
Sospirò, rassegnandosi a quella ridicola messa in scena del
suo cervello e sperando che almeno finisse presto. Era come guardare un
film già visto: sai già cosa accadrà e
non hai più motivo per essere in ansia o farti delle
aspettative. Era noioso.
«Smythe.»
No, Duvall no.
Si impose di non rispondere per evitare di veder andare in fumo quel
po’ di autocontrollo che ancora gli era rimasto e
continuò a concentrarsi sul foglio di carta che si ritrovava
a riempire per inerzia.
«Smythe» ripeté Nick, puntellandogli il
gomito con la penna.
«Cosa diavolo vuoi, Duvall?»
Ed era assurdo perché lui sapeva esattamente cosa Nick
volesse, eppure non aveva potuto fare a meno di sentirsi obbligato a
domandarglielo, dal momento che lo aveva già fatto e che
sapeva di doverlo fare.
Che cos’è il peritoneo?
«Che cos’è il peritoneo?»
Sarebbe stata una giornata infernale.
«È ciò che ti arriverà in
bocca tra due minuti se non taci.»
E di nuovo, aveva parlato sapendo di doverlo fare e di dover
assecondare Duvall nel suo discorso delirante. Come se Nick gli avesse
servito la battuta di un copione già studiato e lui avesse
dovuto per forza rispondere così perché
così era scritto.
L’ultima cosa che notò, prima che la campanella
suonasse, fu la gamba di Thad che tamburellava freneticamente a terra.
Di nuovo. E di nuovo non poté fare a meno di pensare che
Thad sembrava davvero in difficoltà.
Si alzò in piedi, fiondandosi fuori dall’aula con
il preciso intento di sfuggire al placcaggio degli altri Warblers per
evitare eventuali siparietti spiacevoli. A quanto sembrava
però, quella giornata surreale, era stata programmata per
essere identica a quella precedente, così non
poté evitare di imbattersi in David e in tutti gli altri
diretti a mensa.
Dovette ammettere, comunque, che per essere un sogno era davvero
realistico. Di solito non era così padrone di se stesso e
delle sue azioni; di solito non poteva controllare i suoi
comportamenti, riflettere o pensare alcunché. Era un sogno
ben strutturato dopotutto. Si congratulò con la sua mente
intanto che David procedeva nell’illustrargli i futuri
programmi dei Warblers. Come se non li sapesse già.
«…e quindi ci ho provato due volte ma alla fine ho
dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro continuava a
non volersi muovere ed io avevo fame.»
Cristo, Sterling, ancora?
«Io non l’ho mai capito
quell’affare» disse Trent, «come fa a
piacerti, Jeff?»
Ecco, pensò Sebastian, ci risiamo.
Quello scrollò le spalle, «mi rilassa e mi aiuta a
scaricare lo stress» spiegò.
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose Sebastian.
«Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
E ancora, le parole lasciarono le sue labbra prima che lui riuscisse a
decidere di pensare ad altro. Però aveva assodato che aveva
pieno possesso delle sue facoltà mentali, per quale motivo
allora non riusciva a controllare ciò che diceva?
«Se tu fossi un po’ meno stronzo e pieno di te,
magari non ci sarebbe bisogno di importunarti»
ribatté Nick.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me,
non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di
importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con
l’ossigenazione» commentò Sebastian
pensando che, purtroppo, la testa girava anche a lui.
E non vi era modo per cambiare quel benedetto discorso. Loro servivano
la battuta e Sebastian si ritrovava a rispondere esattamente come aveva
già fatto e come sapeva di dover fare.
Ascoltò distrattamente Flint cercare di portare
l’ordine tra di loro, Jeff chiedere a Thad se sarebbe stato
dei loro il giorno dopo e Thad rispondere affermativamente e con
entusiasmo.
E poi di nuovo, una provocazione da parte di Sterling e Sebastian che
si ritrovava battibeccare con lui e a rispondere a David e a Nick, di
nuovo.
Ed era noioso, era maledettamente noioso e asfissiante.
Sapere di avere il controllo sui propri pensieri ma non poter
esercitare lo stesso potere sulle proprie parole e le proprie azioni.
Sperò con tutto il cuore che il suo cervello decidesse
presto di porre fine a quella ridicola farsa e di passare a qualcosa di
più interessante. Oppure che la stanza andasse a fuoco e
Thad lo svegliasse urlando.
Qualunque cosa, ma non quello strazio.
Non vi era un modo piacevole di mandare giù la pillola.
Sebastian se ne era reso conto nel momento esatto in cui Jeff aveva
iniziato a ballare.
Si era rassegnato a dover prendere parte nuovamente alla riunione dei
Warblers, senza poter fare nulla per sottrarsi a quella tortura
indesiderata.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei
provini seri per decidere il solista delle competizioni»
buttò lì Trent.
Sebastian si voltò a guardarlo esasperato.
«Seri?» Domandò retorico.
«Quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di
freccette?»
Dovette ammettere, però, che quell’insinuazione lo
aveva fatto arrabbiare davvero e che, con ogni probabilità,
avrebbe risposto così anche se le sue parole non fossero
state dotate di vita propria.
Difendere il suo ruolo da solista dalle frecciatine di Sterling e
Duvall non era esattamente il modo in cui aveva intenzione di impiegare
il pomeriggio, a maggior ragione se poteva prevedere quasi con
esattezza cosa avrebbero detto in ogni momento. Era frustrante ed era
decisamente inutile stare a litigare con loro quando poteva
tranquillamente svegliarsi e godersi il suo weekend di meritato risposo.
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse
comunque» gli fece notare Thad.
E Thad sembrava ancora avercela con lui per dei motivi apparentemente
ignoti. E di nuovo Sebastian ebbe l’impressione che non fosse
solo quella la motivazione del risentimento e dell’astio che
gli sporcavano la voce. Anche in relazione alla litigata che avrebbero
avuto di lì a poche ore, la reazione di Thad era decisamente
eccessiva e Sebastian non aveva né la voglia né
il motivo di mettersi a sindacare e a fare supposizioni azzardate su
quale fosse il vero problema di fondo.
Si voltò a guardarlo, assottigliando gli occhi.
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire
a starmi dietro» rispose stancamente.
E sapeva ciò che Thad stava per obiettare e sapeva
ciò che lui stava per rispondere perché era
inevitabile discutere con Thad. Era inevitabile rispondere alle sue
insinuazioni, così come gli era impossibile non provocarlo.
E non era neanche il fatto che con ogni probabilità le
parole gli sarebbero venute fuori comunque in quel modo, era proprio
una questione di principio. Il volergli rispondere e il dovergli
rispondere a tutti i costi in quel modo.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito
di utilizzarlo a sproposito.»
Vero, il suo cervello era molto più fantasioso e si
divertiva di gran lunga a fargli vivere un maledetto
déjà-vu dalla durata chilometrica senza una
ragione apparente.
Si passò una mano sul viso, convincendosi che mancava poco e
che poi, finalmente, avrebbe riaperto gli occhi con
l’intenzione di non chiuderli mai più se rischiava
di andare di nuovo incontro a tutto quello.
Quando i ragazzi annunciarono la fine della riunione, Sebastian si
alzò e, assecondando il suo cervello, si recò
direttamente in biblioteca a consegnare di nuovo quel maledetto libro.
Nella sua mente la consolazione che finalmente mancava solo
l’ultimo atto a porre fine a quella ridicola commedia e che,
sapendo già a cosa andava incontro, avrebbe avuto un
vantaggio non indifferente su Harwood.
Almeno si sarebbe svegliato di buon umore.
Fissò la porta della camera per una manciata di secondi,
preparandosi a ciò che sarebbe accaduto di lì a
poco. Non aveva senso procrastinare, ma l’idea di dover
ascoltare di nuovo Thad dargli dell’egoista lo mandava in
bestia. Meglio arrivare preparati, dal momento che questa volta doveva
obbligatoriamente trovare un modo per avere l’ultima parola.
Ecco, anche questo lo infastidiva. L’idea di dover rivivere
quella scena allo stesso modo della volta precedente implicava che,
seppur in minima parte, ne sarebbe uscito sconfitto. E la cosa era
inconcepibile.
Sospirò, abbassando la maniglia e lasciandosi ingabbiare da
quella cappa di profumo e calore che regnava sovrana in quella stanza.
«Magari la prossima volta porta un paio di patate e qualche
cetriolo con te, almeno la zuppa saprà di qualcosa di
decente.»
E non avrebbe voluto iniziarla così la conversazione ma,
davvero, a che temperatura usava l’acqua quello
lì? Se stava cercando di ustionarsi era decisamente sulla
giusta via.
Thad non rispose. Si limitò ad afferrare un libro dalla
scrivania e a stendersi sul letto. Di nuovo.
Sebastian roteò gli occhi, assecondando i suoi piedi e
dirigendosi in bagno con l’intenzione di farsi una doccia
rilassante. Insomma, era esattamente quello che doveva fare, no?
Quando uscì dal bagno non si stupì di trovare
l’altro esattamente come lo aveva lasciato. Ma che problema
aveva?
Prima lo attaccava come se fosse il Nemico Pubblico Numero 1 e poi si
barricava dietro un improvvisato muro del silenzio facendo la parte
dell’indifferente?
«Hai perso la voglia di fare lo spiritoso?»
Domandò, iniziando distrattamente a vestirsi per la notte.
«Qual è il tuo problema, Sebastian?»
Sebastian ghignò. Rispondergli era così
maledettamente semplice.
«Il mio problema, al momento, sei tu.»
Eppure era quella la parte più divertente: lui sapeva
esattamente cosa Thad stava per rispondere, mentre Thad non aveva la
minima idea di quello a cui andava incontro rispondendogli in quel
determinato modo. Era esaltante, Dio se lo era. Sapere di avere il
completo controllo sulla conversazione e sulla situazione. Un parte di
lui gli ricordò che non era affatto in pieno possesso delle
redini di quella storia, dal momento che sembrava destinata a svolgersi
esattamente nello stesso identico modo della volta precedente, ma
Sebastian si costrinse a zittirla perché il vedere Thad in
difficoltà era già abbastanza appagante. Gli
avrebbe fatto pagare il giorno dopo l’arroganza di aver avuto
l’ultima parola.
«Okay» ribatté Thad,
«perfetto. Tornatene sul tuo piedistallo dorato e smettila di
respirare la mia aria infetta.»
Era inutile. Quelle parole trasudavano ostilità e rancore da
ogni poro e per quanto si sforzasse non riusciva proprio a ricordare di
aver offeso Harwood in maniera tale da meritare tutto
quell’accanimento nei suoi confronti.
«Si può sapere qual è il tuo di
problema?» Sbottò, sinceramente interessato.
E poco importava che Thad gli avrebbe risposto che al momento il suo
problema era lui. Aveva bisogno di una giustificazione sensata a
quell’avversione che non sentiva di meritare.
‹‹Beh» ragionò Sebastian,
«io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito
non te la prendi così tanto.» Ed era
effettivamente vero.
Thad chiuse il libro, mettendosi seduto e voltandosi a guardarlo.
«Solo perché non passo le mie giornate ad
offendere e sminuire gli altri, non vuol dire che io non me la
prenda.»
«È questo il problema?» Chiese
Sebastian, continuando a capirci poco e nulla in tutta quella faccenda.
In che modo quello avrebbe potuto rappresentare un problema per Thad?
Lui non aveva mai cambiato il suo modo di comportarsi, anzi. Era sempre
stato coerente con se stesso, agendo esattamente come ci si aspettava
da lui. Thad lo sapeva, lo aveva sempre saputo e non ne aveva mai fatto
una tale tragedia. Per questo era portato a credere che in
realtà ci fosse qualcos’altro. «Ti senti
sminuito da me?»
«No» lo contraddisse Thad. «Sei tu che ti
senti superiore a me. È questo il problema.»
«Non vedo come questo possa esserti d’impiccio,
Harwood.»
«Non lo metto in dubbio, Sebastian. Il tuo ego ti appanna la
vista a tal punto che non so come tu faccia a sistemarti il ciuffo la
mattina.»
E l’Oscar per la conversazione più insensata va
a… Thad Harwood!
Sebastian si passò stancamente una mano sugli occhi.
Discutere con Thad era sfiancante. Dio, avrebbe avuto bisogno di
un’altra dormita, una volta svegliatosi da quella.
Continuava a parlare per inerzia, rispondendo alle sue insinuazioni con
la testa completamente immersa in altri pensieri. Ragionava sul fatto
che quel sogno fosse davvero realistico e che il suo cervello dovesse
essere davvero sopraffino per essere riuscito a memorizzare ogni
dettaglio di quella giornata e averglielo riproposto in maniera
così vivida e precisa.
Altra prova che non lasciava spazio a dubbi su chi fosse superiore a
chi.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood» si
ritrovò a constatare nuovamente.
«E forse è proprio questo il punto,
sai?» Mormorò Thad a bassa voce, abbandonando le
mani lungo i fianchi. «Io mi sforzo tanto di provare a capire
te, ma sono più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu
continui a non sapere nulla di me.»
So il minimo indispensabile da non desiderare di sapere altro.
«Non credo di doverti nulla» sbuffò,
esasperato, «non immaginavo che la tua gentilezza avesse un
prezzo.»
Dai che manca poco.
«No, infatti» concordò Thad,
«ma dovresti farlo perché ti fa piacere, non
perché ti senti debitore nei miei confronti.»
«Non mi sento debitore infatti.»
Thad annuì, distogliendo lo sguardo.
«Perfetto» decise. «Allora direi che
siamo a posto così.»
Cazzo, sì! Adesso siamo davvero a posto così.
Strinse il pugno, desiderando come non mai di aprire gli occhi,
svegliarsi e scoprire di avere la stanza libera e la prospettiva di una
giornata di assoluto relax.
«Buonanotte, Sebastian.»
Sebastian sorrise, guardandosi intorno e attendendo che un misterioso
qualcosa lo risucchiasse fuori da quella distorta dimensione onirica e
lo riportasse finalmente nel suo letto.
Si avvicinò al comodino e, ripetendo le stesse azioni della
volta precedente, afferrò la sveglia e schiacciò
l’apposito pulsante per disattivare l’allarme.
Dopodiché si sdraiò, incrociando le mani dietro
la testa e attendendo.
*°*°*°
Quando riaprì gli occhi, il silenzio della stanza era
interrotto solo dal respiro regolare del suo compagno. Si trattenne a
letto, passandosi una mano sugli occhi per scacciare le ultime tracce
di quel sogno assurdo e agognando una meritata doccia calda come premio
per la nottata appena trascorsa.
Mai più. A costo di settare l’allarme ogni ora per
svegliarsi da eventuali sogni molesti, non avrebbe più
vissuto un’esperienza del genere.
Quando qualche istante dopo la sveglia suonò, Sebastian
sbarrò gli occhi, il cuore che gli martellava nel petto e il
respiro accelerato.
Si tirò a sedere, afferrando precipitosamente il cellulare
dal comodino e sentendo l’aria abbandonargli i polmoni nel
leggere la data sul display.
Non poteva essere il 16 Marzo.
Non di nuovo.
Noticine carine carine.
Una settimana precisa, visto che brava?
Bando alle ciance, salve!
Innanzitutto, grazie per essere giunti fin qui! Mi rendo conto del
fatto che questo capitolo sia un po’ statico e fin troppo
introspettivo, però avevo davvero bisogno di esplorare la
testa di Sebastian e di soffermarmi su ciò che è
accaduto al suo interno! Vi garantisco e prometto che il prossimo
capitolo sarà notevolmente più attivo e
…interessante! #ParoladiLupetto
Anyway, vi ringrazio per l’entusiasmo con il quale avete
accolto me e la mia storia! Siete stati un toccasana per la mia
ispirazione e vi meritate tutta la puntualità che posso
darvi con i miei aggiornamenti! Grazie dunque a tutti coloro che hanno
seguito, ricordato, preferito e recensito la mia bimba! Come
annunciato, passo immediatamente a rispondervi!
Vi ricordo un paio di indirizzi utili al quale cercarmi per
qualsivoglia genere di informazione o sclero: Facebook
e Twitter
E nulla più, siete talmente tanti che mi avete finito tutti
i Pan di stelle! xD
Bon, vi ho preparato un tiramisù al volo, tanto per gradire!
*offre fettina di dolce*
Al prossimo capitolo,
Thalia!
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Capitolo 3 *** Capitolo 3. ***
Stuck 3
Pairing:
Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti:
Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 3/7
Note D’autore:
Alla fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 3.
«Che cos’è il
peritoneo?»
Sebastian deglutì lentamente, stringendo le mani al bordo
del banco tanto forte da farsi sbiancare le nocche.
Respirò una, due, tre volte, prima di sospirare e mormorare
concitatamente la sua risposta.
«È ciò che ti arriverà in
bocca tra due minuti se non taci.»
Non ascoltò ciò che ribatté Duvall,
non ne aveva bisogno e non gli interessava minimamente.
Voleva solo svegliarsi e porre fine a quell’inferno.
Una volta stabilito che non poteva trattarsi di un sogno, vi era solo
un’alternativa concepibile: doveva essere un incubo. Un
vivido e macabro incubo.
Non uno di quelli in cui sei inseguito dal cattivo di turno e muori in
mille modi diversi. Uno di quelli asfissianti, in cui ti manca
l’aria e i polmoni esplodono. Uno di quelli che ti fanno
avere paura di addormentarti, per l’angoscia e il terrore che
ti lasciano addosso. Uno di quelli che non abbandoni la mattina sul
cuscino, ma che ti accompagnano durante tutta la giornata.
Eppure Sebastian sapeva di mentire a se stesso, sapeva di cercare
appigli scivolosi ad una situazione che gli stava sfuggendo
inesorabilmente di mano.
Una volta scartate le ipotesi razionali, ciò che rimane deve
essere indubbiamente la verità. Per quanto improbabile e
sfuggente.
Sebastian ci aveva provato a scendere a patti con se stesso e a non
lasciarsi corrompere da quei pensieri impossibili, ma era davvero
difficile mantenere la calma quando il resto del mondo era convinto di
essersi tranquillamente svegliato in un soleggiato Venerdì
di marzo, mentre lui si accingeva a vivere quel giorno per la terza volta di
seguito.
Continuava a rispondere a Nick come già aveva fatto le altre
volte e come ormai sapeva di dover fare, mentre la sua mente correva
veloce ed i suoi occhi si spostavano frenetici nell’aula.
Intorno a lui vi erano solo teste chine e mani nervose. Il grattare
delle penne sul foglio era l’unico rumore che scandiva il
tempo e i suoi respiri affannosi stonavano con la
tranquillità che apparentemente regnava nell’aula.
«Ti conviene scrivere qualcosa, se non vuoi essere
rimandato.»
La voce di Nick gli arrivava lontana e distorta e riusciva a
comprendere solo in parte ciò che stava dicendo, sebbene
fosse a pochi centimetri da lui. Gettò uno sguardo sul
foglio, constatando che era ancora candido e immacolato come gli era
stato consegnato due ore prima e riflettendo sul fatto che in quel
momento l’eventuale bocciatura in biologia era
l’ultimo dei suoi problemi.
Le sinapsi del suo cervello dovevano essere particolarmente
surriscaldate, perché quando si rese conto di ciò
che era appena accaduto, Nick lo fissava preoccupato e in attesa di una
risposta.
Ci mise relativamente poco a raddrizzarsi e a sbattere le palpebre
perplesso, mentre i vari tasselli di quello sconcertante puzzle
andavano a posto.
«Cosa hai detto?» Domandò, il tono serio
e la gola improvvisamente secca.
Nick gli rivolse un’occhiata perplessa, ma Sebastian non se
ne curò particolarmente. «Ti ho caldamente
invitato a scrivere qualcosa altrimenti puoi anche dire addio alla tua
media perfetta» ripeté quello.
L’altro non rispose. Si limitò a spostare
nuovamente lo sguardo umettandosi le labbra pensieroso.
Il piede di Thad tamburellava ancora a terra e Sebastian si
ritrovò ad imitarlo, fissando la sua gamba che si muoveva a
ritmo ma senza in realtà vederla.
Si rendeva solo in parte conto di ciò che era successo,
perché la sua mente lavorava in maniera talmente frenetica
da non riuscire ad afferrare agevolmente un pensiero prima di passare
al successivo.
Aveva cambiato qualcosa.
Aveva impedito che la conversazione si svolgesse nello stesso modo
delle due volte precedenti e lo aveva fatto perché era
cambiato il suo modo di comportarsi.
Tutto ciò doveva avere un senso, e l’unico che
riusciva a trovarci Sebastian faceva venire mal di testa solo a
pensarci.
Era riuscito a cambiare la conversazione e lo aveva fatto
perché aveva cambiato il suo comportamento. Il suo
comportamento però era cambiato a causa di quel ripetersi
infinito di quello stesso giorno. Era come il gatto che si mordeva la
coda ed era poco, molto poco, ma era già qualcosa.
Forse poteva non impazzire. O forse era impazzito già e
quello era uno dei pochi momenti di lucidità che gli
rimanevano prima di tornare nell’oblio dei sensi.
Riflettendoci poi, non era neanche la prima volta che accadeva. Il giorno prima era
stato troppo occupato a trovare un modo per giustificare quella
bizzarra situazione per rendersi conto che più volte aveva
avuto occasione di modificare il corso degli eventi.
Ad esempio, la discussione con Thad avuta quella mattina. La
chiacchierata con David durante l’ora di storia, di nuovo
Thad gli chiedeva se si sentiva bene poche ore prima, e adesso Duvall
che si preoccupava della sua media.
Questa nuova consapevolezza, unita al ricordo di come si sentisse obbligato a
rispondere in determinati modi, portava ad un’unica e chiara
soluzione.
Ovvero, che se evitava di fare in modo che gli eventi prendessero la
piega stabilita, forse poteva modificarli ed impedire che la giornata
si svolgesse sempre allo stesso modo.
Insomma, doveva essere quello il punto, no? Cambiare qualcosa e porre
fine a quello strazio una volta e per sempre.
Come in quel film di Natale in cui, fino a che il cinico e
anti-natalizio protagonista non ebbe detto “vorrei che fosse
sempre Natale”, aveva continuato a rivivere quel giorno
all’infinito.
Forse il punto era quello.
«Vorrei che fosse sempre Venerdì»
borbottò a mezza voce, ostentando un entusiasmo fittizio.
Si guardò intorno, in attesa di un qualunque segnale mistico
e profetico, ma l’unica cosa che accadde fu che la campanella
suonò e che l’insegnante annunciò che
il tempo era finito.
Sebastian sospirò afflitto ma, prima di avere il tempo di
pensare ad alcunché, un’idea gli
attraversò improvvisamente la mente e lui si
ritrovò a fiondarsi fuori dall’aula alla ricerca
di David.
Se voleva – e doveva – cambiare quella giornata, da
qualche parte bisognava pur iniziare.
David lo aveva guardato con un sopracciglio inarcato,
probabilmente domandandosi se Sebastian stesse bene, prima di chiedere
spiegazioni e meditare attentamente sulla proposta.
Non era esattamente usuale proporre di annullare una riunione dei
Warblers con così poco preavviso, ma le motivazioni che
Sebastian adduceva erano convincenti e il suo sorriso persuasivo non
poteva di certo essere ignorato.
«Fidati di me» disse, «non abbiamo motivo
di tenere una riunione, dal momento che non abbiamo ordini del giorno
importanti e la prossima esibizione è lontana. Finiremo con
il perdere tempo inutile che potremmo utilizzare per dedicarci ad
altro.»
E Dio solo sapeva quanto fosse assolutamente certo di quanto affermava.
Comunicarlo agli altri non fu tanto difficile, dal momento che
Sebastian era perfettamente a conoscenza del fatto che si sarebbero
incontrati per andare a mensa.
La notizia fu accolta con più entusiasmo di quanto il
ragazzo si aspettasse. Fuori era una bella giornata e la maggior parte
di loro non vedeva l’ora di concedersi un paio
d’ore di meritato relax. Tanto più che era,
neanche a dirlo, Venerdì ed essendo l’ultimo
giorno della settimana non avevano poi molto da dirsi alla riunione.
Naturalmente Sebastian sapeva che avevano perfettamente ragione, ma si
guardò bene dal dirlo ad alta voce.
Jeff propose di organizzare un pomeriggio all’insegna del
risposo e annunciò a tutti che lui e Nick avrebbero
volentieri messo a disposizione la loro tv e la loro console di
videogame per chiunque avesse voluto approfittarne. Inutile dire che
Trent fu il primo ad essere favorevole alla proposta e Nick
obbligò anche Thad a partecipare a quel loro passatempo ad
alto livello intellettuale.
David annunciò che avrebbe trascorso quel paio
d’ore portandosi avanti con i compiti, per tenersi libero il
week-end, e Flint rivelò che un punching-ball e un paio di
guantoni da boxe fossero tutto ciò di cui aveva bisogno per
impiegare il pomeriggio.
Sebastian constatò che quella fosse l’idea
migliore che avessero partorito fino a quel momento e decise di unirsi
a lui per provare a sfogare quella maledetta rabbia repressa che lo
stava annichilendo in quei due giorni. Almeno avrebbe svuotato la mente
e sarebbe stato capace di analizzare la situazione in maniera
distaccata e razionale.
Sebastian uscì dagli spogliatoi della palestra
già in tenuta sportiva. Posò
l’asciugamano su di una panca, avvicinandosi a Flint che era
già accanto al sacco da boxe.
«Facciamo a turno?» Domandò
quest’ultimo non appena Sebastian fu sufficientemente vicino.
Sebastian annuì. «Comincia tu» propose,
indossando i guantoni e afferrando il sacco di fronte a lui per
permettere a Flint di colpirlo agevolmente.
Flint si mise in posizione, alzando la guardia e sferrando un pugno
dopo l’altro, facendo vacillare impercettibilmente Sebastian.
Fissava l’obiettivo senza distogliere lo sguardo,
visualizzando il bersaglio e caricando il suo destro in maniera precisa
ed efficace.
«Sei bravo» constatò Sebastian. E lo era
davvero.
Flint ghignò, alzando lo sguardo su di lui.
«Ognuno ha i propri metodi per sfogarsi» rispose,
colpendo il sacco ancora una volta e passandosi il guantone sulla
fronte per asciugare il sudore.
Sebastian si morse un labbro, aumentando la presa e incassando il
colpo. «Sembri piuttosto motivato» notò,
«chi stai immaginando di prendere a pugni?»
Domandò.
L’altro non rispose. Si limitò a sferrarne un
altro paio, alternando l’equilibrio con un discreto gioco di
gambe.
Doveva avere anche lui una storia interessante da raccontare. Sebastian
ne era certo, ma non si era mai preoccupato di scoprire chi in
realtà Flint fosse e cosa si nascondesse dietro
quell’espressione tranquilla e posata e quello sguardo
tranquillizzante e maturo. Flint era un tipo a posto, insomma. E tanto
bastava a far passare a Sebastian la voglia di infastidirlo. Un
po’ come David: non gli avrebbero dato alcuna soddisfazione e
per Sebastian non c’era sfizio ad essere ignorato con sguardo
di sufficienza.
«Deve per forza essere qualcuno?» Flint lo
richiamò dai suoi pensieri. «Tu non hai
semplicemente voglia di sfogarti?» Quasi ringhiò,
colpendo con forza il sacco.
Voglia di sfogarsi? Voleva prenderlo in giro? Con tutto ciò
che aveva per la testa alla fine avrebbero dovuto procurarsi un altro
sacco!
«Ognuno ha i suoi metodi» rise Sebastian.
Flint si fermò, asciugandosi la fronte e cedendogli il posto.
Sebastian respirò profondamente, prendendo posizione e
iniziando a dirigere il suo pugno laddove fino a poco prima si era
scagliato quello Flint. Si sentì immediatamente meglio.
Flint sorrise stringendo il sacco. «Neanche a te mancano le
motivazioni, vedo» commentò.
«Non ne hai idea» ringhiò
l’altro, colpendo ancora e ancora e sentendo
l’energia aumentare ad ogni pugno.
«Decisamente meglio questo che un videogioco»
constatò Flint, alludendo probabilmente al passatempo degli
altri Warblers.
«Già» concordò Sebastian,
dissimulando l’affanno che iniziava a sentire e asciugandosi
la fronte ormai umida. «Cosa ti aspettavi» un altro
pugno, «da Sterling e Duvall?»
Flint ridacchiò. «Anche loro ci danno dentro,
quando vogliono.»
«Non oso immaginare in che modo» insinuò
Sebastian senza però fermarsi.
L’altro ciondolò il capo, incassando
l’ennesimo colpo. «Nessun doppio senso»
si difese, «Nick e Thad boxano spesso.»
«Harwood?» Si stupì Sebastian, il
respiro affannoso a causa dello sforzo, «chi
l’avrebbe mai detto.»
Flint inarcò un sopracciglio. «Ma voi due non
parlate?» Domandò, dubbioso.
Sebastian sbuffò, scostandosi i capelli ormai bagnati dalla
fronte. «Il minimo indispensabile»
riferì, con sincerità.
L’altro scrollò le spalle.
«Strano» commentò, «eppure
Thad chiacchiera parecchio.»
«Forse non gli sono simpatico» sbuffò,
seccato. Stava mentendo spudoratamente e lo sapeva. Thad gli aveva
dimostrato più volte di avere tutte le intenzioni di provare
ad essergli amico nonostante le frecciatine e le battutine pungenti. Ma
davvero stava affrontano quel discorso con Flint?
Quest’ultimo fece spallucce. «Può darsi,
sai? Credo abbia immaginato più volte la tua faccia su
questo sacco» sorrise, cercando probabilmente di essere
divertente.
Addirittura?
«Addirittura?» Si ritrovò a domandare.
Nonostante tutto, davvero non credeva che Thad ce l’avesse
con lui fino a quel punto e adesso sentiva davvero il bisogno
– oltre alla curiosità crescente – di
sapere quale fosse il motivo di fondo.
«Senti un po’» provò,
sfregando i guantoni tra di loro prima di dirigere un destro dritto
sull’obbiettivo. «Sai per caso che problema
ha?»
«Thad?» Volle accertarsi Flint.
Sebastian annuì e l’altro fece una smorfia.
«Mah» meditò, «non saprei.
Perché non ne parli con lui?»
L’altro roteò gli occhi, il respiro affannoso e il
sudore che gli scivolava lungo la schiena. «Ti sembro il tipo
che va a domandare cose del genere?»
Flint non rispose subito. Si prese un attimo per riflettere e poi
parlò di nuovo. «Forse Thad se lo aspetterebbe,
siete compagni di stanza dopotutto.»
«Appunto» chiarì Sebastian,
«siamo compagni di stanza. Lui se la fa con gente come Duvall
e Sterling, non con me.»
«E allora perché ti interessa?» Si
incuriosì Flint.
Sebastian fece schioccare la lingua, non sapendo neanche lui cosa
rispondergli. Perché gli interessava così tanto?
«Per quieto vivere» si decise poi.
Per un po’ nessuno parlò e l’unico
rumore fu quello dei guantoni che si scontravano con la pelle dura del
sacco. Sebastian fermò il suo oscillare, afferrandolo e
dando il cambio a Flint che non ci mise molto a ricominciare a colpirlo.
«Comunque non lo so» riprese questo, dopo un
attimo, «Thad di certe cose non parla spesso. Ma comunque,
dubito che il problema sia tu.»
Sebastian sollevò lo sguardo, incontrando gli occhi di Flint
e trovandoli seri a fissarlo con eloquenza. «È un
perfezionista, immagino sia semplicemente sotto pressione»
suppose quello, tornando poi a colpire il sacco con forza. Non seppe
spiegare il perché, ma per un attimo lo sollevò
sapere che Thad non ce l’avesse con lui direttamente. E
doveva essersene accorto anche Flint, visto il modo con cui continuava
ad osservarlo con interesse.
«Che c’è?» sbottò
Sebastian più brusco di quanto intendesse essere. Sembrava
che Flint gli stesse leggendo con una facilità disarmante e
Sebastian non poteva permettere che qualcuno, oltre alla sua immagine
riflessa, lo fissasse con quello sguardo così soddisfatto e
quel sorriso sornione in viso.
L’altro scrollò le spalle, tornando a concentrarsi
sul sacco da boxe e mormorando un «Forse dovresti seriamente
provare a parlarci» che Sebastian preferì di gran
lunga ignorare.
Avrebbe dovuto schiarirsi le idee, non aggiungere altri pensieri ai
troppi che già gli affollavano la mente.
Sebastian ritornò nel dormitorio un paio
d’ore dopo, il tempo di fare la doccia e indossare nuovamente
la divisa dell’Accademia
La prima cosa che gli venne in mente, mentre fissava la porta della sua
camera, fu che quella sera non vi sarebbe dovuta essere nessuna
sfiancante discussione ad attenderlo al di là di essa.
Sì, maledettamente sfiancante.
A ben pensarci, oltre all’idiozia di Jordan, il litigio con
Thad era l’unica cosa che si era ripetuta sempre uguale a
sé stessa in entrambi i giorni precedenti. Sebbene per Thad
fosse sempre la prima volta che la affrontava, per Sebastian quella
sarebbe stata la terza volta e non era sicuro di riuscire a mantenere
la calma necessaria per evitare di scaricargli addosso tutta la
frustrazione e la rabbia che stava pericolosamente accumulando e che la
boxe aveva in parte lenito. Solo in parte.
Quando abbassò la maniglia ed entrò, la stanza
non profumava e non era innaturalmente calda e umida. Strinse il pugno
vittorioso, notando che la situazione stava prendendo una piega
favorevole ai suoi scopi.
Gli ci volle poco per rendersi conto che la camera non recava i segni
della presenza di Thad perché, effettivamente, Thad non
c’era affatto.
Probabilmente
è ancora in camera di Nick e Jeff, si disse non
senza provare un leggero fastidio nel constatare che una parte di lui
aveva quasi sperato di trovarlo lì come ogni sera.
Si guardò intorno, non sapendo esattamente cosa fare per
impiegare il tempo. Di solito rientrava, faceva la doccia, discuteva
con Thad e poi andava a dormire nella speranza che
quell’epopea finalmente terminasse. Adesso invece, non solo
si era già fatto la doccia dopo l’allenamento, ma
Thad non era neanche lì e Sebastian continuava ad osservare
il letto in attesa che il suo cervello comprendesse che prima andava a
dormire e prima poteva sperare di svegliarsi il giorno dopo. Il vero giorno dopo.
Continuava a fissare l’uscio della stanza, domandandosi
quando il suo coinquilino sarebbe rientrato e se, una volta fatto, la
discussione sarebbe degenerata come al solito. Si impose di convincersi
che questo fosse l’unico motivo per il quale se ne stava
lì ad aspettare Thad, incapace di ammettere e accettare che
le parole di Flint gli avevano messo una pulce nell’orecchio
difficile da ignorare.
Thad faceva boxe.
Thad chiacchierava parecchio.
Thad era un perfezionista del cavolo.
Thad era sotto pressione. Per
cosa poi?
Sebastian non aveva voglia di dedicare la sua attenzione a questioni
che avrebbe potuto affrontare qualsiasi altro giorno
dell’anno, ma in quel momento sembrava quasi doveroso domandarsi
per quale motivo non si fosse mai posto il problema di conoscere il suo
compagno di stanza.
La serratura scattò e Sebastian alzò lo sguardo
per vedere Thad che rientrava nella stanza sorridendo.
«Alla buon ora» non poté fare a meno di
commentare.
Thad inarcò un sopracciglio, il sorriso che gli si spegneva
sul viso. «Problemi a riguardo?»
Sebastian fece schioccare la lingua, incrociando le braccia al petto.
«Non credevo che fossi il tipo da lasciarsi risucchiare da un
videogame.»
L’altro fece una smorfia, «Ed
esattamente» iniziò, «che tipo credevi
che fossi?»
La risposta esatta sarebbe stata qualcosa di molto simile a
«Fino a due ore fa non mi ero mai posto il
problema» ma perché caricare il povero Harwood di
un’ulteriore fonte di stress e preoccupazione, che non
sarebbe certamente riuscito a contenere senza pensare in ogni istante
della giornata a cosa avesse voluto dire Sebastian con quelle parole?
In quel momento, però, qualunque risposta sembrava quella
sbagliata, così Sebastian optò per la soluzione
apparentemente più semplice.
Fece spallucce. «Non vedo per quale motivo dovrebbe
interessarmi» rispose semplicemente. Negare. Negare fino alla
morte qualsiasi coinvolgimento da parte sua nelle faccende di Harwood.
Thad rise amaramente. «Ovviamente»
commentò.
Sebastian si immobilizzò, stringendo il pugno e cercando di
non esplodere. Sapeva cosa stava per dire, sapeva perfettamente cosa
stava per insinuare. Naturalmente per Thad non vi era nulla di male nel
rinfacciargli quanto egoista lui fosse, dal momento che quella
conversazione non era mai avvenuta prima. Eppure Sebastian ricordava
come era giunto a litigare con lui nei giorni precedenti e quello era
esattamente il momento in cui Thad sembrava sul punto di gettargli
addosso il suo risentimento nei confronti del suo dilagante
egocentrismo.
Ma Sebastian non aveva alcuna voglia di ascoltare Thad. Né
tantomeno aveva voglia di continuare a domandarsi da quando il parere
di Thad fosse così importante.
«Sai cosa?» Si ritrovò a meditare,
«credo che andrò a fare due passi.»
Thad arricciò le labbra e annuì,
dopodiché prese le sue cose e si diresse in bagno senza
aggiungere altro.
Sebastian rimase per qualche istante a fissare il vuoto, riflettendo su
quanto appena accaduto. Quando udì lo scrosciare
dell’acqua, decise che aveva indugiato anche troppo. Si
riscosse velocemente e, gettando un ultimo sguardo in direzione del
bagno, aprì la porta e lasciò la stanza.
Sebastian si morse un labbro, svoltando in un corridoio e
affondando le mani nelle tasche.
Più della situazione al limite del paranormale,
ciò che lo mandava fuori di testa era
l’incredibile quantità di emozioni che aveva
provato nel giro di appena poche ore.
Dallo sconcerto, alla confusione, alla rabbia. Passando per la
curiosità, il sollievo, la determinazione, la delusione.
Quella che provava adesso non sapeva come classificarla né
come chiamarla, dal momento che era certo di non essersi mai sentito
così prima.
Riferirsi a lei come “il modo in cui mi sento, quando Harwood
riesce a farmi venire i sensi di colpa, anche se so che non ho fatto
nulla di male” era decisamente problematico e poco agevole,
così Sebastian decise che per la sua salute mentale e per la
salvaguardia dei suoi nervi a fior di pelle sarebbe stato meglio
smettere di pensare a qualunque cosa che non riguardasse la fine di
quella spiacevole situazione.
Farlo non era però semplice come affermarlo e lui se ne rese
conto nel momento esatto in cui realizzò di star continuando
a pensare a Thad, alle loro discussioni, alle parole di Flint e al
fatto che, nonostante tutto, Thad era stata l’unica costante
in quei tre giorni infernali. Beh, oltre a Jordan certo, ma quello non
era poi così importante.
Proprio mentre era sul punto di domandarsi se non era lui stesso la
causa della presenza di Thad nelle sue giornate, i suoi sensi captarono
la presenza di qualcuno nelle sue immediate vicinanze.
A giudicare dalle ombre, si trattava di almeno due persone. Le sagome
erano troppo basse per essere reali, così Sebastian suppose
che chiunque vi fosse al di là del muro dovesse essere
seduto a terra.
Non seppe perché, ma non aveva alcuna voglia di farsi vedere
e dare inizio ad un altro esilarante siparietto, che gli avrebbe
lasciato più pensieri che altro.
Si sporse appena oltre l’angolo, sopraffatto dalla
curiosità, ghignando alla scena che gli si
presentò davanti.
Aveva ragione, constatò.
Erano due, erano seduti ed erano insieme.
Anche se la posizione non era delle più panoramiche,
Sebastian non ebbe alcuna difficoltà nel riconoscerli.
Sterling sedeva sull’ultimo gradino di una delle scalinate
dei dormitori, le spalle appoggiate al muro e una gamba piegata sullo
scalino sottostante.
Di fronte lui, Duvall lo fissava con sguardo serio ed espressione
indecifrabile in volto.
Apparentemente stavano in silenzio e Sebastian li ringraziò
mentalmente per questo.
In ogni caso, ciò che era degno di nota non era tanto il
fatto che qualcuno fosse riuscito a zittirli, quanto
l’inequivocabile presenza delle loro mani intrecciate posate
sul grembo di Jeff.
Sebastian aveva sempre avuto il sospetto che fra quei due vi fosse
qualcosa, come tutti del resto, ma erano sempre state supposizioni
campate in aria e mai nulla di più concreto di uno sguardo
più lungo o di un sorriso impacciato.
Averne finalmente la prova schiacciante lo esaltava come poche cose al
mondo.
«Credi che abbia torto?» Domandò Jeff
all’improvviso.
L’altro scosse la testa e Sebastian fu grato alla sua
posizione un po’ defilata, che gli permetteva di non essere
visto ma di osservare sufficientemente bene la scena.
«È che quello che ha detto David mi ha fatto
male» proseguì.
«Lo so, Jeff, ma lui non aveva intenzione di farlo»
gli fece notare Nick con dolcezza.
Sebastian non aveva la minima idea di cosa stessero parlando,
né di cosa c’entrasse David in tutta quella
faccenda, così rimase fermo e immobile cercando di acquisire
quante più informazioni possibili.
«Ti ha solo esposto la sua opinione e gli hai chiesto tu di
farlo» addusse Nick, avvicinandosi maggiormente a lui.
«Non possiamo semplicemente dirglielo?» Chiese
Jeff. «Mi sento in colpa.»
Nick chiuse gli occhi, sospirando. «Ne abbiamo già
parlato, Jeff» rispose, risoluto, «non
ancora».
«Ma Thad è il mio migliore amico» si
infervorò l’altro.
Sebastian non poté ignorare come, al sentire quel nome, il
suo interesse verso quella tresca amorosa crebbe di livello.
Perché erano tutti così maledettamente
intenzionati a ricordargli quanto poco sapesse del suo compagno di
stanza?
«Shhh» lo zittì Nick, «abbassa
la voce se non vuoi che lo sappia nel peggiore dei modi.»
Jeff sbuffò, portando l’altra mano a coprire le
loro dita intrecciate e accarezzandole dolcemente.
«È che non mi va proprio che lui non sappia quello
che ci sta accadendo.»
«Pensi che io ne sia entusiasta?»
Domandò di rimando Nick, «io voglio solo evitare
che lui ci stia male.»
Okay, era piuttosto chiaro ormai che la faccenda segretissima di cui
Harwood era all’oscuro riguardasse l’idillio
romantico di quei due, ma Sebastian non vedeva alcuna ragione per
nascondergli una notizia del genere, dal momento che era certo fossero
amici per la pelle o qualcosa del genere.
O almeno, una motivazione c’era, ma Sebastian si
vietò fermamente di prenderla in considerazione.
«Neanche io lo voglio, ma non possiamo proteggerlo per
sempre.»
«Ma hai visto anche tu come stava oggi. Sta passando un
brutto periodo. Che senso ha dirgli anche questo?»
Harwood era davvero interessato a uno di quei due? Era questa la
ragione?
Doveva trattarsi indubbiamente di Nick. Jeff era troppo scemo per Thad.
Sebastian si rifiutava categoricamente di credere che potesse avere
gusti del genere.
Non sapeva neanche gli piacessero i ragazzi, poi!
Anche se, in effetti, quella giornata gli stava dimostrando che, da
quel punto di vista, avrebbe dovuto lavorare un bel po’.
Jeff annuì e Nick gli passò la mano fra i capelli
con un gesto che fece desiderare a Sebastian di non avere gli occhi.
Lui non si sarebbe mai comportato così
con nessuno, non avrebbe mai guardato così nessuno
e con ogni probabilità non avrebbe mai amato così
nessuno.
«Domani proverò a parlarci di nuovo»
propose Jeff.
«A che scopo?» Volle sapere Nick.
Jeff scrollò le spalle. «Farlo parlare e basta. Ne
ha bisogno, anche se non lo ammette.»
Nick sorrise, avvicinandosi a lui e baciandolo in un modo che non
lasciava spazio ad altri dubbi circa la loro storia. E Harwood era
innamorato di uno così? Dio, questo Sebastian non se lo
aspettava proprio.
A pensarci, adesso tutto aveva un senso. Il suo malumore e le sue
risposte stizzite, la sua suscettibilità. Era sotto
pressione e non poteva parlarne con nessuno perché il suo
migliore amico se la faceva con il tipo per cui provava qualcosa.
Almodovar ne avrebbe ricavato un film che avrebbe sbancato i
botteghini! Drammi, giovani gay innamorati e tradimenti: sarebbe stato
oro colato!
Per questo mi tengo
fuori da questo genere di questioni, pensò
mentre ritornava in camera, è
decisamente meglio evitare coinvolgimenti da entrambe le parti.
«Sei innamorato di Duvall?»
«Cosa?»
Thad lo fissò con un’espressione allucinata. Okay,
forse esordire così non era stato molto ortodosso, ma
Sebastian non era riuscito a trattenersi dal domandarglielo.
«Non c’è bisogno di fingere con me,
ormai so tutto» ribatté.
Thad si infilò la maglia del pigiama, sospirando.
«Ed io ripeto: cosa?»
«Che vuoi farti Duvall» spiegò
Sebastian, «anche se, nel tuo caso di neo-gay alle prese con
la sua cotta da dodicenne in calore, il termine esatto sarebbe qualcosa
a che fare con l’amore, gli unicorni e lo zucchero
filato.»
«Quanto hai bevuto?»
Sebastian ghignò, iniziando a prepararsi per andare a
dormire. «Tanto non hai speranze» lo
informò. Non sapeva per quale motivo si stesse comportando
così.
L’idea che Thad fosse interessato a Nick era assolutamente
inconcepibile e Sebastian voleva solo cercare di farlo notare anche a
lui. Oltretutto Nick non era assolutamente il genere di ragazzo adatto
ad Harwood. Certo, sempre meglio di Sterling, ma Thad poteva avere di
meglio se voleva. E
voleva?
«Non mi piace Nick» iniziò Thad con
pazienza. «È uno dei miei migliori
amici.»
«Tanto sta con il biondo.»
Essere così brutale era necessario. Come quando vuoi
togliere un cerotto: più velocemente lo fai, meno dolore
senti. E Sebastian, per qualche strana ragione, ignota anche a lui,
stava davvero cercando di evitare che Thad soffrisse più del
dovuto. Insomma, non poteva essere un caso che quel giorno avesse
parlato con Flint e ascoltato i discorsi di quei due, e tutti e tre
fossero stati concordi nell’affermare che Thad stava passando
un brutto periodo.
Thad si infilò sotto le coperte, spegnendo la luce sul
comodino e sdraiandosi comodamente. «Che Nick e Jeff
provassero qualcosa l’uno per l’altro, è
sempre stato innegabile» lo informò pacatamente,
«ma ti garantisco che oltre a tanta gioia, io non provo altri
sentimenti nei loro confronti. Buonanotte, Sebastian.»
Sebastian rimase a fissare la sua figura immobile per un tempo non
quantificabile.
Quando il suo cervello gli ricordò che dormire equivaleva a
svegliarsi, tolse l’allarme alla sveglia e si
sdraiò a sua volta con la testa colma di pensieri vorticanti.
Forse, quella era finalmente la volta buona.
*°*°*°
Naturalmente, si sbagliava.
Quando la sveglia suonò, Sebastian seppe che quella sarebbe
stata un’altra lunga giornata.
Noticine
carine carine.
Wow, a volte mi stupisco di me stessa. Tre su tre è un
record anche per me, direi! W la puntualità!
Dunque, tornando seri..
Salve!
Grazie di nuovo per essere arrivati fin qui! Dei tre postati, questo
era il capitolo più lungo e ci tengo davvero a ringraziarvi
per non esservi lasciati annoiare dalla mia prolissità e di
essere giunti fino alla fine.
In molti avete convenuto con me che lo scorso capitolo fosse un tantino
noioso e statico, per cui spero di essermi fatta perdonare con questo
che credo, e spero, sia più interessante.
La storia inizia ad entrare più nel vivo e forse alcune cose
iniziano a risultate maggiormente chiare adesso. E sì,
Sebastian è sempre più provato da questa
situazione e inizia a riportare effetti deleteri sulla sua salute
mentale xD
Come sempre, vi ringrazio per le recensioni e per
l’entusiasmo che mi dimostrate: davvero non mi aspettavo che
la storia vi prendesse tanto! *manda bacetti*
Riguardo questo capitolo in particolare, comunque, ho due precisazioni
da fare:
La prima è che la Niff ci voleva. Era universalmente
necessario che quei due stessero insieme ed era impensabile che non li
inserissi in questa storia.
La seconda è che un po’ di fan service non ha mai
ucciso nessuno e che il Flint che fa boxe è un mio regalo a
SereILU che adora questo personaggio! <3
Nota importante!
Il prossimo capitolo sarà IL capitolo. Normalmente non ve lo
direi (o forse sì? xD) ma oggi necessito del vostro parere.
Appunto perché è così importante, mi
è decisamente scappata la mano ed ora il suddetto capitolo
è qualcosa di molto simile ad un poema epico-cavalleresco,
tant’è vero che conta all’incirca 7500
parole.
La mia domanda è la seguente: preferite che lo tagli
è lo posti in due volte, oppure per voi non è un
problema sciropparvi il super capitolo tutto martedì
prossimo? Vi avviso, però, che tutte e tre le mie fide
lettrici di anteprime hanno convenuto con me che è impossibile
tagliarlo sapientemente e che inevitabilmente la prima parte finirebbe
appesissima. Lascio a voi la decisione, fatemi sapere xD
Vi ricordo un paio di indirizzi utili al quale cercarmi per
qualsivoglia genere di informazione o sclero: Facebook
e Twitter
A martedì,
Thalia.
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Capitolo 4 *** Capitolo 4. ***
Stuck 4
Pairing: Sebastian/Thad
Genere:
Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 4/7
Note D’autore: Alla
fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 4.
Stava sbagliando qualcosa. Non vi erano altre spiegazioni.
O quello, oppure qualcuno lo aveva avvelenato con la segale cornuta e
quella era l’ennesima delle deliranti allucinazioni da essa
causate.
La testa gli scoppiava e Sebastian si impose di non aprire gli occhi
perché la consapevolezza di ciò che sarebbe
accaduto nelle successive quindici ore lo destabilizzava come poche
altre cose al mondo.
Un fruscio ed un cigolio di molle gli fecero intuire che il suo
compagno di stanza si fosse alzato. Perfetto, almeno lui avrebbe
affrontato quella giornata senza eccessive preoccupazioni. Non aveva
neanche finito di formulare questo pensiero, che il ricordo di tutto
ciò che era accaduto il giorno prima gli piombò
addosso, stordendolo.
Dio, sarebbe stato un inferno. Si passò una mano sugli
occhi, sospirando in preda alla frustrazione.
«Sebastian?» Chiamò Thad, la voce ancora
assonnata. «Tutto bene?»
Quanto sarebbe stato semplice rispondergli di no?
Voltò la testa di lato, sbuffando. Thad era seduto sul bordo
del letto con il suo pigiama troppo celeste, i suoi piedi troppo scalzi
e gli occhi troppo assonnati. E no, quella visione non avrebbe affatto
dovuto sembrargli così piacevole.
«Quel pigiama è sempre stato così
ridicolo?» Si costrinse a domandare.
Thad rise, stropicciandosi gli occhi in un modo che Sebastian
immaginò non dovesse essere assolutamente programmato per
fermargli il fiato in gola. «Non so come ho fatto a vivere
fino ad ora senza il tuo prezioso giudizio» rispose quello.
Sebastian si alzò in piedi, dirigendosi in bagno desideroso
come non mai di una doccia. Possibilmente fredda.
«Lieto di riempirti le giornate»
commentò ghignando.
Lasciò che l’acqua lavasse le tracce di quel
giorno, di quei giorni, che gli purificasse i pensieri e che gli
facesse chiarezza.
Cosa stava sbagliando?
Ormai era chiaro che se continuava a rivivere quella giornata era
perché il karma, o chi per lui, stava cercando di fargli
correggere qualcosa. Ma cosa? Perché doveva essere
così criptico e misterioso?
Si vestì meccanicamente, la testa persa in pensieri rumorosi
e le orecchie che gli fischiavano fastidiosamente.
Era claustrofobico e asfissiante. Sebastian sentiva che stava per
esplodere, che le mani gli pizzicavano ad ogni frase uguale a se stessa
e che la rabbia gli montava dentro ad ogni avvenimento immutato.
Però non poteva, era un lusso che non poteva permettersi.
Respirò profondamente, chiudendo gli occhi e lasciando che
l’aria gli riempisse i polmoni, richiamando alla mente
l’immagine di un bambino spaventato e di una signora dal
sorriso gentile.
Una volta aveva avuto un attacco di panico. Aveva sei anni e Maddy era
nata da poco. Sua madre lo aveva trovato nell’armadio dei
giochi, le ginocchia strette al petto e le lacrime a rigargli le
guance. Lo aveva stretto e gli aveva detto di respirare, di chiudere
gli occhi e di concentrarsi su ciò che lo circondava. E
Sebastian lo aveva fatto, perché glielo diceva la sua mamma
e perché era tanto che non lo abbracciava così.
Gli aveva sussurrato che gli voleva bene e che, anche se adesso era
arrivata Maddy, lui rimaneva sempre il suo ometto. Sebastian voleva
bene a sua madre, anche quando viziava sua sorella e non lui, anche
quando lo trascurava per stare con lei, anche quando erano tornati in
America perché Madeline doveva crescere in un ambiente con
la mentalità aperta.
Prese l’ennesimo respiro, convenendo di essersi calmato
abbastanza, e uscì dal bagno perfettamente vestito.
Thad era sul letto. Sedeva a gambe incrociate e sfogliava attentamente
un quaderno mormorando a bassa voce.
«Tutto tuo» esordì Sebastian, avviandosi
alla scrivania.
Thad non rispose ma Sebastian lo sentì alzarsi e dirigersi
in bagno, probabilmente con il quaderno al seguito.
Sorrise a quell’immagine, prima di scuotere la testa e
continuare a preparare la cartella.
Prima o poi avrebbe dovuto fare i conti con se stesso e con quegli
immotivati pensieri scomodi.
La prima volta aveva creduto che fosse un sogno, la seconda
che si trattasse di un incubo, la terza stava iniziando seriamente a
fare i conti con il fatto che tutto quello fosse maledettamente reale.
Raggiunse l’aula di storia ignorando le chiacchiere di
Sterling e Duvall dietro di lui e facendo appello al suo proverbiale
autocontrollo per trovare un modo di porre fine a quello che era
iniziato come uno scherzo simpatico ma che adesso si era rivelato
essere un piano sadico e machiavellico. Per cosa poi? Sebastian non ne
aveva la minima idea.
«Sebastian?» Chiamò David.
Sebastian scosse la testa estraniandosi dai suoi pensieri.
«Sì, scusa.»
«Niente, volevo informarti che la riunione con i Warblers
è anticipata alle cinque» disse David.
Sebastian annuì avvilito. «Sì, lo
so» rispose distrattamente.
«Lo sai?» Flint inarcò un sopracciglio e
Sebastian si rese conto di ciò che aveva detto senza pensare.
«Sì» borbottò, cercando un
modo per uscire da quella situazione. «Me lo ha detto
Harwood» gli rese noto.
I ragazzi si voltarono verso il diretto interessato. «Avevi
detto che te ne eri dimenticato» ragionò David.
«Infatti» borbottò Thad, cercando
Sebastian con gli occhi.
«Evidentemente la sua memoria inizia a fare
cilecca» lo apostrofò Sebastian, «prova
con il fosforo: di solito funziona.»
La campanella spense eventuali altre frecciatine e Sebastian si
ritrovò a seguire David e Flint all’interno
dell’aula, congedandosi da un ancora sconcertato Thad.
Raggiunse il suo posto – naturalmente vicino a David
– sperando che quella giornata volgesse presto al termine e
che il suo malumore la smettesse di annebbiargli i sensi al punto di
fargli dire cose che assolutamente non avrebbe dovuto dire,
né sapere.
Il professore si sedette alla cattedra e fece l’appello.
Sebastian ghignò, guardando i suoi compagni che ripetevano a
bassa voce e che si agitavano sperando di non essere interrogati. Dio,
quanto lo elettrizzava quella sensazione di potere e
superiorità. Vedere i ragazzi intorno a lui mordicchiarsi
nervosamente le unghie e sfogliare febbrilmente i libri cercando di
richiamare alla mente più nozioni possibili e intanto
crogiolarsi nella confortante consapevolezza che quel giorno lui era
salvo.
Si girò indietro, facendo attenzione a non farsi vedere dal
professore e allungando il collo per cercare
quell’inconfondibile zazzera rossa.
«Psss» chiamò,
«Jordan!»
Il ragazzo alzò lo sguardo dubbioso: Sebastian non era
decisamente il tipo da intrattenersi in discussioni cordiali e aride
frasi di circostanza.
«Mhhh?» fu la risposta di quello.
Sebastian ghignò: ciò che stava per fare andava
contro ad ogni suo principio morale, ma indubbiamente i suoi neuroni ne
avrebbero giovato e quindi si poteva dire che lo faceva per
sé e non per Jordan.
«Mi diresti quando c’è stato
l’attacco di Pearl Harbor? Temo di aver dimenticato il
libro.»
Jordan spalancò la bocca piuttosto stupidamente, poi
annuì sfogliando le pagine a casaccio alla ricerca
dell’informazione per Sebastian.
«7 Dicembre 1941» mormorò dopo un attimo.
Sebastian sorrise accondiscendente. «Non so proprio come
ringraziarti» rispose fintamente grato. «Tu lo
ricordi, sì?» Domandò poi.
L’altro lo fissò dubbioso. «Credo di
sì» concesse.
«Tienilo a mente» consigliò Sebastian,
prima di voltarsi e prestare attenzione alla lezione.
Forse la sua sanità mentale era salva. O forse no.
La giornata era iniziata da neanche due ore e già aveva,
nell’ordine, quasi fatto saltare la sua copertura da
viaggiatore nel tempo, salvato il culo a Harwood – dopo
averlo messo nei casini – ed evitato a Jordan
un’insufficienza in storia.
Per un attimo sperò di non aver seriamente compromesso il
continuum spazio-temporale con quelle macchinazioni improvvisate, ma
poi rifletté che doveva essere davvero alla frutta per porsi
problemi del genere quando si ritrovava a rivivere lo stesso giorno per
la quarta maledetta volta e ancora non era riuscito a capire
perché.
Sospirò afflitto, abbandonandosi allo schienale della sedia
e assistendo impotente a quel noioso spettacolo che conosceva ormai a
memoria. Si compiacque del fatto che Jordan non fallì
completamente quell’interrogazione e sperò che
questa piccola attenzione nei confronti del compagno lo aiutasse a
porre fine a quel delirio.
La consapevolezza lo colpì in maniera tanto forte quando
improvvisa. Era una punizione? Un modo per fargliela pagare per
qualcosa che aveva fatto e che non ricordava neanche? In tal caso la
situazione si complicava ulteriormente: non ne sarebbe mai uscito vivo.
Vi erano talmente tante cose che per lui erano all’ordine del
giorno ma che avrebbero potuto essere considerate sbagliate dai
più. Ci sarebbero voluti mesi per scandagliare tutto
ciò che aveva detto e fatto quel Venerdì e
cercare di porvi rimedio.
Era nei casini, Dio se lo era.
«Sebastian?»
La voce di David lo riportò velocemente alla
realtà.
«Mhh?» Domandò, voltandosi verso di lui.
David era in piedi, la borsa sulla spalla e un’espressione
preoccupata in viso.
«La lezione è finita» gli fece notare.
Sebastian si guardò intorno scorgendo i suoi compagni di
classe che lasciavano l’aula chiacchierando del
più e del meno. Si alzò, raccogliendo i libri e
infilandoli frettolosamente nella tracolla, la testa ancora persa fra
mille pensieri.
«Sei sicuro di stare bene?» Si interessò
David. «Sei un po’ pallido.»
Sebastian si voltò. «Sto benissimo,
grazie» mentì.
David scrollò le spalle e fece per andarsene.
«Ripensandoci» lo richiamò Sebastian,
«in realtà credo di stare covando
qualcosa.»
L’espressione di David era confusa e dubbiosa ma, quando
parlò, Sebastian immaginò che quel ragazzo fosse
davvero troppo ingenuo e buono per avere a che fare con lui.
«In effetti questo è il periodo
dell’influenza stagionale» ponderò,
«forse ti ha contagiato Richard.»
Sebastian sorrise. «Probabile. Credo che andrò in
camera a riposare un po’.»
David annuì, poi parve ripensarci. «Ma non hai il
compito di biologia?» Domandò.
Sebastian ghignò, «La mia media è
immacolata» chiarì, «parlerò
con la professoressa e le spiegherò la situazione.»
Probabilmente dormire era la soluzione adatta, spegnere il cervello e
allontanarsi dal mondo. È risaputo che la notte porta
consiglio e, anche se non era esattamente notte, Sebastian
immaginò che lo stesso discorso valesse anche per un paio
d’ore di meritato riposo. Sicuramente si sarebbe svegliato
con le idee più chiare e con un efficace piano
d’azione da mettere in atto.
Neanche a dirlo, non aveva dormito.
Si era sdraiato, aveva fissato il soffitto per un tempo
sufficientemente lungo a fargli venire un esaurimento nervoso e poi si
era alzato.
Camminare gli era sembrata la soluzione più ovvia in quel
momento. Percorrere a grandi falcate la stanza, andare avanti e
indietro nella speranza che la forza centrifuga del movimento gli
comprimesse i neuroni e gli servisse su un piatto d’argento
una soluzione che sembrava troppo difficile da trovare in metodi
ortodossi.
Si sentiva come in un episodio di Doctor
Who. Solo che in televisione era tutto più
entusiasmante e curioso, mentre lui aveva la sensazione di trovarsi in
gabbia e pronto ad esplodere.
Si lasciò cadere sul letto, ritornando con la mente al
giorno prima e domandandosi se anche quel suo ammutinamento nei
confronti del karma malefico sarebbe valso come pallido tentativo di
cambiare il corso degli eventi.
Forse, se si trincerava in camera fingendo che nulla stesse accadendo,
chiunque muoveva le pedine di quel simpatico teatrino si sarebbe
stancato della sua inattività e avrebbe smesso di
importunarlo dedicandosi ad altri passatempi.
Sospirò, affondando la testa nel cuscino e fissando il letto
di Harwood senza una motivazione precisa. A quell’ora il
compito di biologia sarebbe dovuto essere finito. Non ebbe motivo di
chiedersi come gli era andato, dal momento che era perfettamente a
conoscenza delle difficoltà del suo compagno con quella
materia. Per un momento si sentì in colpa. Aveva aiutato
Jordan con storia e non aveva neanche pensato di suggerire casualmente
a Thad gli argomenti da ripetere, sebbene li conoscesse alla perfezione.
Sbuffò, domandandosi da dove saltasse fuori quel rimorso e
quel senso di colpa ingiustificato, ma prima di riuscire a darsi
dell’idiota perché era la terza volta che pensava
ad Harwood nella stessa giornata, la porta si aprì. E
naturalmente Thad Harwood entrò.
Si fissarono per un attimo, il tempo sufficiente a Sebastian di
domandarsi cosa ci facesse lì.
«Che ci fai qui?»
Thad sbuffò. «Ti ho portato qualcosa da
mangiare» spiegò, pratico, «David mi ha
detto che non ti eri sentito bene e
così…»
Parve leggermente a disagio e Sebastian se ne compiacque non poco.
Però era stato carino a preoccuparsi per lui, doveva
ammetterlo.
Si mise a sedere, la schiena poggiata alla testata del letto,
ringraziando che in quel momento si trovasse effettivamente sdraiato:
sarebbe stato complicato giustificare ad Harwood la sua malattia se lo
avesse trovato a passeggiare nella stanza.
L’altro si avvicinò, chiudendo la porta e posando
un involucro di carta e plastica sul comodino di Sebastian.
«Ti ho preso un paio di panini» disse.
«Il resto non sapevo come trasportarlo.»
Sebastian rise, colpito da quella gentilezza apparentemente gratuita.
Thad era un ragazzo strano. Prima si erano ignorati, poi erano andati
d’accordo per un po’, poi avevano smesso di
parlarsi. In tutto ciò, Sebastian non aveva fatto altro che
comportarsi da stronzo e Thad non aveva smesso un attimo di provare ad
essergli amico.
E non aveva senso domandargli se voleva qualcosa in cambio,
perché Harwood era sempre così dannatamente
gentile che Sebastian a volte malediceva il caso che li aveva voluti
compagni di stanza, perché quel ragazzo era praticamente il
suo opposto e non faceva altro che dimostrargli che erano decisamente
troppo diversi e che non avrebbero potuto andare d’accordo
neanche se Sebastian si fosse mostrato meno stronzo e Thad meno carino.
«Torno dai ragazzi» annunciò Thad,
avviandosi verso la porta.
Sebastian fece una smorfia. «Puoi anche restare, non ti
mangio mica» rispose, afferrando un panino: nonostante tutto,
gli era venuta fame continuando a spremersi le meningi.
Thad si voltò. «Mi stai chiedendo di farti
compagnia?» Domandò, scettico.
Sebastian fece una smorfia, addentando il panino e mugugnando un
«come ti pare» molto poco elegantemente.
Per un po’ nessuno parlò, Thad si
sdraiò sul suo letto e si immerse nella lettura di uno di
quei libri che Sebastian gli aveva visto sfogliare tante volte.
«Hai pranzato?» Domandò dopo un
po’. Non ci stava realmente pensando, ma il dubbio lo aveva
colto alla sprovvista e si era sentito quasi obbligato ad interessarsi
a lui. Non che gli dispiacesse così tanto, poi.
Thad alzò gli occhi verso di lui, poi scosse la testa.
Sebastian sbuffò. «Ma quanto sei cretino,
Harwood?» Dio, era rimasto lì nonostante fosse
digiuno? Quella era idiozia, non gentilezza.
«Mangerò stasera» commentò
quello.
«Prendi un panino.»
«Mangerò stasera, davvero.»
«Non te lo sto chiedendo, prendi un panino.»
Thad si alzò, avvicinandosi al letto di Sebastian e
afferrando un involucro di carta giallognola.
«Grazie» mormorò.
«Non voglio averti sulla coscienza»
ribatté Sebastian.
Thad parve sul punto di aggiungere qualcosa, poi però
annuì semplicemente, avviandosi verso il proprio letto.
«Come è andato il compito di biologia?»
Si sentì particolarmente stronzo nel chiederlo, ma in quel
momento desiderava fare conversazione e gli argomenti scarseggiavano
pericolosamente.
L’altro si sedette sul letto. «Non lo so»
rispose sinceramente. «Spero bene.»
Sebastian diede un morso al panino senza curarsi particolarmente di
ribattere alcunché. Che senso aveva? Sapeva che quel compito
era andato male, non aveva motivo di domandare se era difficile o meno
– dal momento che lo aveva già fatto anche lui
– e non aveva voglia di infierire con battute e prese in giro
perché i sensi di colpa gli impedivano di farlo agevolmente.
«Verrai alla riunione dei Warblers?»
Esordì Thad qualche minuto dopo.
L’altro fece spallucce. «Sarà una
perdita di tempo, oggi più del solito»
commentò.
Thad ridacchiò. «La risposta esatta sarebbe stata
che sei ancora malato.»
«Quello non mi impedisce di alzarmi da questo
letto» ragionò Sebastian. «Cerco solo di
salvaguardare la mia sanità mentale tenendomi fuori dalle
idiozie del tuo amico biondo.»
«Non è così male»
ridacchiò Thad. «Devi solo farci
l’abitudine e sintonizzarti sul suo stesso canale. Dopo un
po’ ti viene naturale.»
La voce di Thad era tranquilla e rilassata e Sebastian pensò
che sembrava davvero convinto di ciò che diceva. Sapeva
perfettamente quanto fossero amici lui e la pertica, ma non si mai
fermato a ragionare sul rapporto che in realtà li legava.
Thad gli aveva dimostrato più volte di essere un buon amico,
ma lui aveva sempre dato per scontato che il bisogno degli amici fosse
superfluo e decisamente sopravvalutato e che fosse notevolmente
più pratico e proficuo avere a che fare solo con se stessi.
Forse si sbagliava.
«Sarà» commentò,
«ma non sono nello spirito adatto per avere a che fare con
lui e con il suo compare.»
«Già» lo assecondò Thad,
«a volte è fastidioso vederli tubare
così spudoratamente.»
«Prima o poi finiranno insieme» Sebastian ricordava
perfettamente il discorso origliato sulle scale, il modo in cui quei
due stavano cercando di tenere Thad all’oscuro delle loro
macchinazioni mefistofeliche. Forse provare a metterlo in guardia non
era un’idea così sbagliata.
«Sempre che non siano già finiti
insieme.»
Sebastian lo fissò stupito e Thad ricambiò lo
sguardo con un’alzata di spalle. «Non li hai gli
occhi?» Domandò con malcelata ironia.
«È chiaro che ci nascondono qualcosa.»
Non sai
quant’è vero, pensò
Sebastian
«Con scarsi risultati, direi» obiettò
quindi.
Thad inarcò un sopracciglio.
«Ho ascoltato per sbaglio una loro conversazione qualche sera fa»
spiegò, tenendosi vago sul giorno e il luogo.
Thad annuì, poggiando la schiena al muro e mettendosi
seduto. «Siamo amici» mormorò,
«chissà perché non me l’hanno
detto.»
Sebastian ghignò. «Credo a causa della tua
travolgente e peccaminosa passione per Duvall.»
Thad quasi si strozzò. «Sei improvvisamente
impazzito?» Tossicchiò. «Di scemenze ne
hai dette tante, ma questa le batte tutte.»
Sembrava sincero, constatò Sebastian. E poi era la seconda
volta che negava quell’insinuazione. Forse aveva davvero
preso un granchio e non era quello il motivo per cui la notizia non
potesse trapelare.
«Io mi limito a riportare i fatti» lo
informò, «è quello che hanno detto
loro.»
Thad sgranò impercettibilmente gli occhi. «Lo
dubito fortemente, Sebastian. Nick e Jeff sanno perfettamente
chi-» sì schiarì la voce mentre le sue
gote si coloravano appena, «insomma, sanno che non provo
sentimenti di questo genere per nessuno dei due. Fidati.»
Sebastian fece una smorfia ma annuì. «Come
preferisci» dichiarò.
Thad non rispose, ma si alzò in piedi, pulendosi dalle
briciole e avviandosi verso la porta.
«Scappi?»
Quello sbuffò. «Non siamo tutti fortunati come
te» gli fece notare. «Io ho lezione il
Venerdì pomeriggio.»
Sebastian incrociò le mani dietro la testa. «Non
ho bisogno di seguire Francese io»
«Riponi il tuo ego, Robespierre, nessuno ha affermato il
contrario» ridacchiò, mentre afferrava un paio di
quaderni dalla scrivania lì accanto.
«Precisamente» approvò Sebastian,
«ragion per cui me ne rimarrò qui ad assaporare la
meravigliosa sensazione del dolce far niente, mentre tu andrai a
romperti la schiena su un paio di bon
jour e au
revoir.»
Thad parve leggermente a disagio e Sebastian si ritrovò a
ghignare a quella piccola scoperta. Sorrise.
«Se non altro poi avrò il week-end per riposarmi a
dovere» rispose Thad.
Sempre che ci sia un
week-end.
«Già» concordò Sebastian.
«Sembra passato un secolo dall’ultimo» e
Thad non sapeva quanto era vero.
«Settimana impegnativa?» Domandò.
Sebastian scrollò le spalle. «Settimana
noiosa» ribatté pacato.
L’altro ridacchiò. «Domani almeno ti
riposi» constatò.
«Speriamo» mormorò Sebastian, senza
pensare.
Thad scosse il capo. «Noi Warblers abbiamo in programma una
gita» iniziò, leggermente a disagio, «se
ti va puoi unirti a noi» buttò lì.
Sebastian alzò gli occhi. «Una riunione dei
Warblers di più di due ore? E chi vi
sopporterebbe?»
L’altro sbuffò allargando le braccia esasperato.
«L’ho detto per cortesia, gli altri neanche
volevano invitarti.»
«Non avevi motivo di farlo tu allora, gli altri non ne
sarebbero felici.»
Ancora una volta, Thad era quello gentile e lui quello stronzo,
però proprio non ce la faceva a non rispondergli a tono, era
più forte di lui. Oltretutto doveva combattere con
quell’improvvisa voglia di trascorrere il week-end in
compagnia di qualcuno che proprio non poteva assecondare. Irritazione,
poi. I ragazzi non lo volevano e lui non voleva loro però
con Thad era diverso perché, per qualche strana ragione,
l’opinione di Thad era più importante di quella
degli altri.
«Loro ci provano a darti
un’opportunità» ribatté
quello. «Sei tu che sei sempre così cinico e
scostante.»
Stare sdraiato lo faceva sentire impotente e vulnerabile,
così Sebastian si mise seduto, passandosi una mano sugli
occhi. «Sono semplicemente me stesso» gli fece
presente. «Se agli altri non va bene, che si
fottano.»
Thad arricciò le labbra, «Fingi che non ti abbia
detto nulla» propose, avvilito. «Ho
l’impressione che tu non sia abituato ad avere a che fare con
altre persone a parte te stesso, uh?» Aggiunse poi.
«Solo perché non mi sono mostrato entusiasta
all’idea della gita fuori porta?» Si finse offeso
Sebastian. «Mi deludi, Harwood, pensavo tu fossi quello che
capiva la gente.»
In realtà la risposta esatta sarebbe stata “quanto
cazzo mi conosci bene?” ma Sebastian non era pronto ad
ammettere, né a se stesso e né tantomeno a
qualcun altro, che quella pulce molesta e silenziosa aveva passato i
precedenti sei mesi a carpire informazioni su di lui per poi
ritorcergliele contro in quei momenti. E lui gli aveva permesso di
farlo perché, probabilmente, Thad era l’unico del
quale avrebbe mai ascoltato ed accettato il giudizio.
«Appunto» sentenziò Thad, la sua mano
lasciò la maniglia della porta e lui si accomodò
nuovamente sul suo letto. «Direi di avere raccolto
sufficienti dati su di te per sapere piuttosto chiaramente con chi ho a
che fare.»
Sebastian ghignò. «Dovresti saperlo che con me i
modelli non funzionano» ammiccò. «Posso
sconvolgerti quando voglio.»
Thad distolse lo sguardo imbarazzato e Sebastian pensò che
sarebbe stato un piacere vedergli sempre quell’espressione in
viso. Non sembrava neanche più tanto arrabbiato con lui.
Insomma, stavano parlando da parecchio tempo ormai e non erano ancora
finiti a litigare e a dirsene di tutti i colori. Ciò gli
fece inevitabilmente pensare che la causa scatenante della sua rabbia
dovesse essere ricercata nella riunione dei Warblers di quel
pomeriggio. Non vi erano altre alternative contemplabili e, in tutta
onestà, Sebastian non aveva voglia di scervellarsi riguardo
un problema non più così imminente: stavano
parlando con tranquillità adesso, al resto ci avrebbe
pensato poi. Thad adesso sorrideva e, nonostante tutto, era bello
pensare che forse era lui la causa di quel sorriso.
«Comunque, io adesso vado» Thad si alzò
nuovamente dal letto e si avviò verso la porta.
Sebastian lanciò un’occhiata al comodino.
«Direi che sei un po’ in ritardo per la
lezione» constatò. Neanche più di tanto
poi, se correva poteva sperare che la professoressa chiudesse un occhio.
«Se corro arrivo in tempo.»
Appunto.
«E ti conviene?» E questa risposta da dove gli era
uscita? «La professoressa penserà che sei uno
studente negligente e lavativo e deciderà di interrogarti
per mostrare alla classe come vengono puniti gli indisciplinati come
te.» E quest’altra?
D’accordo, forse chiacchierare con Thad si stava rivelando
stranamente piacevole, ma di certo non al punto da esporsi
così tanto e inventare ipotesi così palesemente
improbabili.
«E la colpa di chi sarebbe?» Sbottò
quello all’improvviso. «Sei tu che ti sei messo a
fare il prezioso e mi hai fatto perdere tempo.»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Prego? Io cerco
di salvarti il culo e tu mi attacchi gratuitamente. Quanta
gentilezza.»
L’espressione sul volto di Thad gli fece comprendere che
sì, il momento del litigio era inevitabilmente giunto.
Quello sbuffò, gettando la borsa sul letto e passandosi una
mano fra i capelli. «Fanculo» sospirò.
«Odio i Venerdì.»
Sebastian si produsse in una bassa risata amara. «Anche
io» si associò, sinceramente concorde.
«Perché non vai a casa per il week-end?»
Domandò Thad, più tranquillo rispetto a poco
prima. «Insomma, potresti seguire le lezioni della mattina e
poi andare via.»
«Mi stai cacciando?» Sebastian inarcò un
sopracciglio, la sua mente che lavorava veloce per trovare una risposta
adeguata da fornirgli.
Thad alzò gli occhi al cielo, ruotando una sedia verso il
letto di Sebastian e sedendosi a cavallo dello schienale.
«Era solo curiosità» chiarì.
Sebastian fece schioccare la lingua, distogliendo lo sguardo da
quell’immagine che stava minando seriamente il suo
autocontrollo e portandolo poi nuovamente su di lui.
«Preferisco stare qui» spiegò,
«c’è più… movimento.»
«Non sei il benvenuto a casa?» ridacchiò
Thad. «Sei tipo la pecora nera della famiglia?»
Thad era troppo occupato a fare supposizioni azzardate su di lui per
rendersi conto che lo sguardo di Sebastian si era fatto improvvisamente
serio.
«Dubito di dover dare conto a te dei miei rapporti
interpersonali» gli fece notare, impassibile.
L’altro tacque all’istante e il suo sguardo
raggiunse immediatamente quello di Sebastian.
«Davvero?» Domandò scettico,
«sei tipo in reclusione volontaria?»
Sebastian fece una smorfia ma non rispose. Thad lo fissò
qualche istante prima di sospirare e commentare. «Sai,
è più facile avere a che fare con i Warblers che
con la propria famiglia. Dovresti provare.»
Sebastian alzò lo sguardo su di lui. «È
per questo che ti ostini a stare con loro?»
Quello scrollò le spalle. «Può
darsi» ammise, «ma ciò non vuol dire che
non gradisca la loro compagnia.»
«Non l’ho mai messo in dubbio»
approvò Sebastian, «mi domandavo solo quanto
indicibili debbano essere i tuoi drammi familiari da farti preferire i
deliri di quella manica di esaltati.»
Era una situazione strana perché Sebastian si rendeva solo
vagamente conto di essere davvero interessato a quella storia, di voler
realmente ascoltare ciò che Thad aveva da dirgli e,
nonostante questo, non poteva fare a meno di essere indisponente, di
difendersi come meglio poteva da quella strana sensazione che gli
stringeva lo stomaco. Il rispondergli a tono e l’essere
insolenti avevano il potere di farlo sentire un gradino superiore, di
riuscire a fargli mantenere il controllo della situazione e di non
sentirsi coinvolto da quella conversazione più di quanto
già non fosse.
«Neanche poi così diversi da quelli della maggior
parte delle persone» commentò Thad,
«però mi piace pensare di aver trovato quindici
fratelli acquisiti con i Warblers.»
«Dio, questo è veramente stucchevole» e
lo era davvero, insomma! «Non hai fratelli tuoi,
Harwood?»
Thad ridacchiò, passandosi una mano fra i capelli
e… Dio, cosa aveva appena fatto quella lingua alle sue
labbra? Sebastian si costrinse a distogliere lo sguardo. Urgeva una
bella chiacchierata con sé stesso. Il prima possibile.
«Sì, uno e non è poi così
male» la voce di Thad lo richiamò dai suoi
pensieri, «se non fosse che è abbastanza
più grande di me e lo vedo praticamente solo durante le
vacanze.»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Quindi sei
quello coccolato e viziato da tutti?» Domandò,
sentendo la rabbia montargli dentro al pensiero di Thad paragonato a
sua sorella.
Thad si produsse una risata amara. «Magari»
rispose, «sono quello perennemente sotto pressione, quello
che deve impegnarsi al massimo per eguagliare lui. Sono quello che non
può fare una cazzo di scelta senza che mi dicano
“Wayne non lo avrebbe fatto”.»
Sebastian notò che Thad sembrava davvero amareggiato.
Indubbiamente quella situazione doveva pesargli non poco e davvero lui
si chiedeva come avesse fatto a condividere con lui la stanza, senza in
realtà approfondire mai la loro conoscenza.
«Non sapevo avessi un fratello così figo,
Harwood» si ritrovò a commentare. E no, non
avrebbe voluto farlo perché, per qualche strana ragione, gli
risultava difficile credere che Thad potesse avere un fratello
così apparentemente perfetto. E non per
l’impossibilità della cosa in sé, ma
perché già di per sé Thad era sempre
così preciso ed impeccabile: essere migliori di lui era
quasi impensabile.
«Ma non è poi tanto figo»
alzò le spalle, «o forse sì»
precisò, «sembrano tutti concordi sul fatto che
lui sia la cosa migliore capitata alla nostra famiglia da
generazioni.»
«Beh» Sebastian si grattò la guancia,
«in tal caso direi che quello anormale è
lui» provò, «non tutte le ciambelle
escono col buco.»
Thad sorrise e Sebastian si sentì appena un pochino meglio.
«Anormale o no» proseguì,
«Wayne è all’ultimo anno di college e
con ogni probabilità il prossimo anno verrà
assunto in un prestigioso studio legale e passerà le sue
giornate a scongiurare conflitti internazionali con il suo charme e il
suo carisma.»
«Che gran rottura di coglioni» fu il sincero
commento di Sebastian, «uno così
arriverà a trent’ anni domandandosi cosa cazzo ha
fatto nella sua vita.»
«Io ho cantato in un coro» gli fece notare Thad.
«Forse lui può aspirare a qualcosa di
meglio.»
«Tu hai respirato anche qualcosa che non sia
l’odore delle pagine dei libri» ribatté
Sebastian, «forse da grande avrai qualche ricordo piacevole oltre a
noiose nozioni di dubbia utilità.»
«Certo» acconsentì Thad, «i
ricordi piacevoli mi terranno compagnia quando sarò
costretto a vivere sotto un ponte, perché la mia mancanza di
nozioni inutili mi avrà impedito di trovare un lavoro
soddisfacente.»
Sebastian scosse il capo, ridacchiando. «Quanto sei una
lagna?» Domandò con ironia. «Nessuno ti
vieta di iscriverti al college e diventare un paladino della giustizia,
sai?»
Thad annuì pensieroso. «Non credo sia quello a cui
aspiro» meditò, «ma forse potrebbe
essere un’interessante alternativa al ponte
fatiscente.»
L’altro rise sincero e Thad si alzò in piedi.
«Se non mi muovo rischio di saltare anche la riunione dei
Warblers» annunciò.
Il clima nella camera era più sereno e rilassato. Sebastian
non sapeva come classificare quella sgradevole sensazione alla bocca
dello stomaco che lo aveva preso nell’udire quelle parole. La
verità era che stava bene e che quella era la prima volta
che riusciva a chiacchierare con qualcuno con tranquillità,
senza filtri e senza barriere. Solo sincerità e qualche
battutina pungente che non guastava mai. Thad non era così
male, constatò, e gli dispiaceva che se ne dovesse andare
proprio adesso che sembravano starsi sintonizzando sulla stessa
lunghezza d’onda.
«Sicuro che non te la senti di venire?»
Domandò un’ultima volta, ormai
sull’uscio.
Sebastian annuì. «Mai stato più
sicuro» rispose, sdraiandosi nuovamente, «non
voglio rischiare un’ulcera prematuramente.»
«Come preferisci» lo assecondò Thad,
«a dopo» e, detto questo, uscì dalla
camera chiudendosi la porta alle spalle.
Sebastian rimase per un attimo a fissare il punto in cui, fino ad un
attimo prima, si trovava la figura di Thad.
«A dopo» mormorò al nulla.
Quando Sebastian aprì gli occhi, la stanza
versava nella semioscurità. Rimase immobile nel letto, gli
occhi sbarrati e il cuore a rimbombargli nelle orecchie, in attesa di
sapere se quella sarebbe stata l’ennesima giornata infernale
oppure se era finalmente uscito da quel tunnel alienante.
Aspettò un paio di minuti e quando fu sufficientemente certo
che la sveglia non sarebbe suonata, si tirò a sedere.
Si accorse subito che c’era qualcosa che non andava. In primo
luogo, Thad non era nel suo letto e poi, come se quello non fosse
già un indizio evidente, il cielo fuori la finestra sembrava
ben lontano dall’albeggiare.
«Ma cosa diav-» afferrò il cellulare dal
comodino, illuminando lo schermo, e represse un lamento frustrato.
Bene, il motivo per cui Thad non c’era e fuori sembrava il
crepuscolo era che aveva dormito appena due ore.
Si alzò dal letto, passandosi una mano fra i capelli e
avvicinandosi al davanzale.
Per un attimo aveva davvero sperato di essere fuori da
quell’incubo, ma poi si era ricordato che non si era
addormentato volontariamente, ma che aveva deciso di riposare gli occhi nell’attesa
che Thad tornasse.
Già, Thad. La riunione con i Warblers doveva essere ormai
quasi conclusa e Sebastian si chiedeva se il ragazzo sarebbe tornato in
camera oppure sarebbe andato direttamente a cena.
Provava sentimenti contrastanti nei suoi confronti che non sapeva come
classificare e catalogare.
Lo aveva sorpreso, questo era chiaro, aveva scoperto che gli piaceva
parlare con lui e che non
gli dispiaceva averlo intorno. Però non poteva
permettersi di aprirsi più di tanto con lui
perché doveva continuare a mantenere le redini della
situazione e a condurre il gioco. Sempre che fosse un gioco poi.
Aveva sentito qualcosa, qualcosa che non aveva idea di come chiamare,
qualcosa che gli aveva fatto venire i brividi lungo la schiena e che
gli aveva fatto sperare che non se ne andasse. Non ricordava in che
momento fosse accaduto, anche perché aveva
l’impressione che tutta quella conversazione lo avesse
scosso, ma sapeva che non era stato esattamente spiacevole. E sapeva
che per quelle poche ore che avevano chiacchierato, Thad era riuscito a
fargli dimenticare la disavventura che stava vivendo e lo aveva tenuto
ancorato a quella camera con il solo ausilio delle parole.
Thad lo confondeva e Sebastian non poteva permettere che ciò
accadesse. Oltretutto non sapeva come dover interpretare il
comportamento di Harwood. Prima si arrabbiava con lui e sparava a mille
su argomenti chiaramente fuori luogo, poi era gentile e
accondiscendente, poi ancora sembrava quasi imbarazzato e
così stupidamente felice di stare in quella camera con lui.
Sebastian lo aveva notato in un paio di occasioni, quel sorriso che gli
aveva increspato le labbra e illuminato gli occhi e che gli aveva fatto
venire voglia di continuare a parlare con lui anche solo per poterlo
scorgere di nuovo.
Si passò una mano sugli occhi, lasciandosi andare ad un
sospiro rassegnato e convenendo che quella situazione gli stava
lentamente portando via la ragione.
La serratura scattò e la porta si aprì. Sebastian
si voltò appena in tempo per scorgere Thad che varcava
l’uscio con la testa evidentemente altrove.
«Buonasera» lo salutò.
Thad alzò lo sguardo sorridendo appena. «Vedo che
stai meglio» convenne.
Sebastian ghignò con malizia. «Ci sono poche cose
in grado di tenermi a letto per più di due ore.» E tu potresti essere una di
quelle.
Scosse la testa, allontanando quel pensiero fastidioso che si era
dovuto trattenere dal non trasformare in parole.
Thad parve capire l’antifona, tant’è che
si leccò un labbro a disagio e Sebastian si costrinse a
mantenersi a quella finestra per non andargli incontro ed assecondare
quei bassi istinti che lo stavano attaccando in quel momento. Se fosse
stato qualcun altro, magari non si sarebbe fatto tutti quei problemi a
mostrargli dettagliatamente le varie motivazioni per cui era meglio che
evitava di umettarsi le labbra in quel modo. Però quello era
Thad e Sebastian aveva recentemente compreso che con lui non poteva
comportarsi come se non contasse nulla, dal momento che era chiaro che
contava qualcosa eccome. Doveva solo capire cosa. E quanto.
Thad si avvicinò, sfilandosi il blazer e posandolo sul
letto. Dopodiché si sporse accanto a lui, incrociando le
braccia sul davanzale.
«Come è andata la riunione?»
Domandò Sebastian.
In tutta risposta, quello scrollò le spalle e
mormorò un «Al solito» che fece ridere
Sebastian.
«Avevi ragione» aggiunse, «sarebbe stato
meglio non farla.»
«Già, mi capita spesso»
gongolò l’altro, «peccato che tu sia
troppo ligio al dovere per decidere di darmi retta.»
Thad mise su una finta espressione indignata. «Porto solo a
termine un impegno che ho preso.»
«Disse colui che ha appena confessato di aver trovato una
seconda famiglia tra i Warblers.»
«Il fatto che io abbia deciso di confidartelo non ti
autorizza ad utilizzarlo contro di me» gli fece notare Thad.
Non era arrabbiato, Sebastian ne era certo.
«E come hai intenzione di impedirmelo?» Domanda
retorica, ma Thad che arrossiva in maniera così
semplicemente deliziosa era una visione troppo ghiotta per non
approfittarne.
Thad si riservò di non rispondere, probabilmente
perché aveva ben chiaro che quel gioco con Sebastian non lo
avrebbe portato da nessuna parte.
«Comunque l’invito per domani è ancora
valido» disse invece.
«Mi sembrava di essere stato abbastanza chiaro
prima» ribatté Sebastian, anche se adesso
l’idea di trascorrere la giornata con loro non gli faceva
più così
ribrezzo.
Thad si mosse a disagio sul posto. «Lo so»
iniziò, «ma poi abbiamo chiacchierato e tu hai
detto che anche tu odi i Venerdì e…»
… e sembrava talmente incerto e imbarazzato che Sebastian
non poté impedirsi di sorridere a quella visione
così genuina e semplice.
«… e quindi ho pensato che almeno potresti rifarti
con i Sabato e venire a divertirti con noi.»
Thad tacque e si voltò lentamente verso Sebastian.
«Perché odi i Venerdì?»
Chiese quest’ultimo. Non sapeva perché, ma sentiva
la necessità di porgli quella domanda: aveva come la
sensazione di essere un passo più vicino a risolvere quel
grande enigma che era Thad.
L’altro si morse un labbro. «Non
c’è una ragione precisa»
spiegò, «sono utili solo a rovinarti il
week-end» dovette scorgere la confusione nello sguardo di
Sebastian, perché si affrettò a continuare,
«insomma, puntualmente accade qualcosa che ti compromette il
relax che avevi sperato e ti ritrovi costretto a trascorrere quei due
giorni con la testa persa fra mille preoccupazioni che prima di
Venerdì non avevi!»
Sebastian ridacchiò: solo Thad poteva trovare una
motivazione così assurda per detestare quel giorno.
«E oggi cosa è successo?» Si
ritrovò a domandare.
Thad parve pensarci un po’ su, poi rispose: «Il
compito di biologia è andato male.»
«Seriamente, Harwood?» Si sorprese Sebastian.
«Passerai il week-end a rimuginare su questa cosa?»
Quello scrollò le spalle. «Ci tengo a fare le cose
per bene» commentò semplicemente.
Sebastian ebbe l’impressione che tutto quel discorso fosse da
ricollegarsi alla spinosa questione del suo fratello perfetto. Doveva
essere piuttosto dura crescere in un ambiente che non fa altro che
metterti sotto pressione e il ragazzo non poté fare a meno
di constatare quanto, dopotutto, quella situazione fosse simile alla
sua.
«Credi che se eccelli in ogni materia riceverai
l’approvazione dei tuoi genitori?»
Thad fece una smorfia. «Forse» mormorò,
«a volte vorrei solo che apprezzassero gli sforzi che faccio,
piuttosto che elogiare sempre lui. È frustrante.»
«Posso immaginare» annuì Sebastian.
«E poi» continuò quello, «io e
lui andiamo anche d’accordo e mi sento in colpa a sentirmi
così nei suoi confronti.»
«Sai» meditò Sebastian, «ho la
netta impressione che tu ti faccia troppi problemi, Harwood.»
Thad rise. «Sì, è quello che penso
anche io, ma mi risulta difficile non stressarmi in questo
modo.»
«Questo perché sei un maledetto perfezionista del
cavolo.»
«È solo che» iniziò incerto,
«sono sempre stato l’eterno secondo, sempre alla
sua ombra. Poi sono venuto qui e mi sono trovato uniformato alla massa,
tutti uguali, tutti al primo posto, e ho pensato che, se mi fossi
impegnato seriamente, sarei stato in grado di diventare qualcuno.
Così ho iniziato a studiare tanto, ho fatto il provino per i
Warblers e sono entrato nel Consiglio.»
Sebastian aveva quasi paura di farla quella domanda perché
temeva il senso di tutto quel discorso.
«E poi cos’è accaduto?»
Thad sospirò, passandosi una mano alla base del collo.
«Poi sei arrivato tu e ci hai messi tutti in ombra di
nuovo.»
E Sebastian non poté dire di non aspettarselo.
Aprì la bocca per ribattere, ma Thad lo interruppe.
«Ed era così incredibilmente demotivante,
perché sembrava che tutto ti riuscisse alla perfezione e che
noi fossimo semplicemente l’ombra delle luci della tua
ribalta, e ti garantisco che non era difficile odiarti per tutto
questo, dal momento che non ti mettevi esattamente d’impegno
per mostrarti amichevole.»
Prese fiato, distogliendo lo sguardo e ciondolando il capo.
«E adesso viene fuori che sei anche simpatico e che io e te
siamo in grado di fare una conversazione sensata senza urlarci addosso
di tutto.»
«E ti dispiace?» Le parole gli caddero dalle
labbra, prima ancora di riuscire a pensare a ciò che stava
per dire. Lentamente i tasselli di quell’intricato puzzle
stavano andando a posto e la figura che ne risultava gli mostrava
chiaramente tutti gli sbagli che aveva fatto da che aveva messo piede
in quella scuola.
Thad si voltò a guardarlo, risoluto.
«No» rispose fermamente. «Hai solo
confermato ciò che ho sempre pensato.»
«E cioè?» Mormorò Sebastian,
incontrando il suo sguardo.
Thad deglutì incerto e Sebastian riuscì a
scorgere le sue guance colorarsi leggermente di rosso. «Che
sei più di quello che ti sforzi di sembrare agli altri, che
ciò che mi hai mostrato oggi era qualcosa che credo somigli
finalmente al vero Sebastian. E mi piace.»
Sebastian boccheggiò un paio di volte, non riuscendo a
comprendere esattamente il significato di quella frase. O meglio, lo
comprendeva fin troppo bene, ma aveva paura di domandare spiegazioni a
se stesso per il modo in cui stava reagendo a quelle tre parole, lo
stomaco stretto in una morsa che gli impediva di respirare agevolmente
e il cuore da qualche parte fra la gola e il pomo d’Adamo.
«Quindi» provò a dire, ma la voce gli
uscì bassa e roca e non era esattamente quello il tono che
voleva usare, «devo dedurre che non sia stato un
Venerdì così brutto?»
Non sapeva chi dei due si fosse avvicinato all’altro, fatto
sta che adesso Thad era sorprendentemente vicino e Sebastian temeva che
non sarebbe mai riuscito a distogliere lo sguardo da quegli occhi
così neri e profondi.
Thad scosse la testa lievemente. «Affatto» rispose,
la voce ridotta ad un sussurro quasi inudibile, «direi che
è stato un bel Venerdì.»
Sebastian annuì, alternando lo sguardo fra i suoi occhi e le
sue labbra schiuse. Qualcosa gli diceva che se ne sarebbe pentito per
tutta la vita, ma lui preferì ignorarlo in favore delle sue
palpebre pesanti e del suo cuore accelerato, che gli suggerivano invece
che quella era esattamente la cosa giusta da fare.
Si sporse verso di lui, attendendo un qualsiasi cenno di Thad che gli
facesse capire che aveva frainteso l’intera faccenda, anche
se comunque dubitava che sarebbe riuscito a tirarsi indietro in tale
eventualità.
Thad non si mosse e Sebastian gettò un ultimo sguardo ai
suoi occhi prima di mormorare un «Hai ragione» e
posare le labbra sulle sue.
La bocca di Thad era timida ed incerta e si muoveva sotto la sua
delicatamente. Sebastian ci mise poco a portare una mano alla sua
guancia e ad adattarsi al ritmo che sembrava stare dettando lui. Era
una sensazione diversa dal solito, perché Thad era qualcuno
di diverso dal solito, e Sebastian si stupì di trovare
così confortante il pensiero che il giorno dopo Thad sarebbe
stato ancora lì e non sarebbe sparito fra la calca di un
locale affollato, lasciandolo con poco più del ricordo di un
volto.
Accarezzò con la lingua il suo labbro inferiore, prima di
portare una mano al suo fianco e attirarlo maggiormente a
sé. Il respiro di Thad era caldo e piacevole e i gemiti
bassi che gli uscivano dalla bocca scivolavano direttamente lungo la
schiena di Sebastian, lasciandolo piacevolmente scosso.
Quando si allontanò da lui, cercò istintivamente
i suoi occhi e ciò che vide gli fermò il respiro
in gola. Il suo sguardo era limpido e sorpreso e le sue labbra, ancora
umide e arrossate, erano piegate in un sorriso luminoso e sereno.
Sebastian avrebbe voluto dire qualunque cosa per apparire un
po’ meno stupito per quanto era avvenuto, così
aprì la bocca per parlare, ma ogni potenziale pensiero fu
sostituito velocemente da un’unica e improvvisa domanda.
Quindi sono sempre stato
io il tuo problema?
Thad era silenzioso. Sebastian si preparò per
andare a dormire, gettando rapide e discrete occhiate nella sua
direzione.
Aveva sorriso e si era allontanato dalla finestra, mormorando parole
sconnesse e chiudendosi in bagno. Sebastian aveva inarcato un
sopracciglio divertito, ma non aveva aggiunto altro, un po’
perché non aveva stranamente voglia di prenderlo in giro, un
po’ perché non era sicuro di riuscire a mantenere
la voce ferma abbastanza per formulare una frase di senso compiuto.
Era strano perché non riusciva a smettere di pensare a
quanto accaduto ed era ancora più strano perché
non riusciva ad impedirsi di desiderare che accadesse ancora.
Thad si infilò la maglietta del pigiama – del suo
pigiama ancora troppo celeste – senza dire una parola e
Sebastian pensò che non era salutare continuare a rimuginare
alle motivazioni per cui aveva eretto quel muro del silenzio.
Era un bacio come tanti altri, eppure lo aveva coinvolto come
pochissimi e Sebastian aveva la testa piena di interrogativi, che
temeva sarebbero rimasti privi di risposta.
Thad si voltò improvvisamente verso di lui, mordendosi un
labbro e torturandosi le mani in grembo.
«Allora domani vieni?» Domandò
d’un fiato.
Sebastian rimase spiazzato dal suo tono di voce basso ed incerto ma,
nonostante ciò, si ritrovò ad annuire senza
rendersene conto.
Thad sorrise. «D’accordo» concesse,
«allora a domani»
E detto ciò si voltò, stendendosi e sistemandosi
sotto le coperte. Sebastian stette ad osservarlo un lungo istante,
prima di finirsi di preparare ed imitarlo.
Non appena si stese, la stanchezza lo assalì e lui si
allungò per spegnere la luce e togliere l’allarme
della sveglia, agognando una lunga notte di meritato riposo.
«Buonanotte, Sebastian.»
La sua voce lo raggiunse mentre la realtà sfumava, lasciando
il posto all’oblio dei sensi. Non si era reso conto di essere
così stanco.
«’Notte, Thad» mormorò
inconsciamente.
*°*°*°
Riusciva a percepire il momento esatto in cui la dimensione
dei sogni svaniva e il mondo riacquistava concretezza. Quel momento in
cui i sensi sono ancora ben lontani dallo svegliarsi e la tua mente non
è ancora vigile ed operativa.
I suoni gli arrivavano attutiti e la luce penetrava blandamente
attraverso le palpebre chiuse. Era giorno, di quello Sebastian stava
iniziando a prendere coscienza. Era giorno e lui si era svegliato.
La testa gli vorticava furiosamente e faceva una gran fatica ad aprire
gli occhi. Vi era qualcosa che gli sfuggiva, qualcosa che non riusciva
ad afferrare, ma che sapeva di dover ricordare il prima possibile.
Fu un attimo, un attimo incredibilmente veloce e al contempo infinito,
nel quale le sinapsi del suo cervello entrarono in contatto e i suoi
neuroni presero a lavorare a pieno regime.
Un attimo in cui i suoi occhi si spalancarono e l’aria gli
abbandonò i polmoni.
Un attimo in cui la realtà gli piombò addosso,
asfissiante e improvvisa, palesandosi nel sottile e fastidioso allarme
di una sveglia.
Noticine
carine carine.
Innanzitutto, vi annuncio che da oggi in poi gli aggiornamenti saranno
anticipati al lunedì: il martedì torno troppo
tardi dall’università e non sono certa di riuscire
a postare con puntualità, per cui ho convenuto effettuare
questa modifica per evitare eventuali ritardi.
Dunque, avete deciso che preferivate che postassi il super- capitolo
tutto in una volta, così vi ho accontentato. Sono
esattamente 7524 parole ed io non vi ringrazierò mai
abbastanza per essere arrivati fin qui. Dire che questo capitolo
è il mio preferito, è poco. Dire che ci tengo da
morire, è un eufemismo. Dire che ci ho riversato sangue,
sudore e lacrime, non rende neanche lontanamente l’idea.
Ci ho lavorato tantissimo per farlo venire esattamente come era nella
mia testa e ho lottato con quei due idioti che non ne volevano sapere
di collaborare! Si può dire che ci ho messo più
tempo a scrivere questo unico capitolo che i tre precedenti. E non
è assolutamente un’esagerazione.
Di solito non lo faccio, ma stavolta vi chiedo sinceramente di farmi
sapere cosa ne pensate perché… boh, io ne vado
stranamente soddisfatta e spero sinceramente di essere riuscita a
trasmettere qualcosa!
Un grazie immenso a Vals, Sere e Somo che mi sono state addosso per
farmelo scrivere e che hanno sopportato i miei deliri e le mie
insicurezze senza farmele mai pesare.
Adesso passo subitissimo a rispondere alle vostre recensioni e vi
ringrazio ancora per l’entusiasmo che mi state dimostrando!
Vi ricordo gli indirizzi a cui potete trovarmi per qualunque genere di
informazione: Facebook e Twitter.
E niente, vado rintanarmi in un angolino a farmi mangiare viva
dall’ansia! xD
A lunedì prossimo,
Thalia.
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Capitolo 5 *** Capitolo 5. ***
Stuck 4
Pairing: Sebastian/Thad
Genere: Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti: Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 5/7
Note D’autore:
Alla fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 5.
Era come tuffarsi. Era esattamente
come tuffarsi.
Raccogliere il coraggio a quattro braccia e saltare. Sentire il proprio
corpo infrangere la liscia superficie dell’acqua e, da un
momento all’altro, ritrovarsi da solo.
Isolato dal mondo, dal rumore, dalla luce e da qualunque cosa che non
sia l’acqua. Sopra di te, intorno a te, addirittura dentro di te. Ed
è asfissiante perché fa male e tutto
ciò che vorresti fare e riemergere e tornare a respirare, ma
rimani lì, mentre l’aria abbandona lentamente i
tuoi polmoni e gli occhi bruciano e la realtà si fa sempre
più lontana.
Era come immergersi, un’apnea indesiderata che ti impedisce
di respirare agevolmente e ti blocca i pensieri, permettendoti di
percepire solamente il rumore rimbombante selle solide pareti
d’acqua che premono su di te.
Ed in effetti il rumore c’era, solo che era scrosciante e
confortante, ovattato dalla presenza della porta che separava le due
camere e irregolare a causa della presenza di un corpo solido e vivo a
ostacolare la caduta naturale delle gocce.
Thad aveva provato a domandare cautamente se vi fosse qualche problema,
Sebastian aveva scosso il capo, incapace anche solo di parlare, e
l’altro ragazzo aveva pensato bene di lasciar perdere la
questione e dirigersi direttamente in bagno.
Sedeva sul letto, Sebastian, lo sguardo perso nel vuoto i piedi ben
piantatati a terra, unico contatto con quella realtà che
lentamente gli scivolava dalle dita.
Thad gli aveva dato il buongiorno sorridente come al solito, aveva
afferrato un quaderno dalla scrivania e lo aveva sfogliato
febbrilmente, come al solito.
E probabilmente era proprio quello il problema. Thad si era comportato
esattamente come aveva fatto ogni maledetta mattina in quella settimana
e Sebastian sentiva che stava per impazzire perché non vi
era niente, niente,
che facesse presupporre che qualcosa di diverso vi era stato eccome la
sera prima.
Alzò gli occhi al cielo, respirando affannosamente ed
impedendosi categoricamente di lasciarsi andare proprio in quel momento.
«Cosa devo fare?» Mormorò esasperato.
Thad uscì dal bagno perfettamente vestito e il nodo alla
gola di Sebastian si strinse giusto un po’.
«Puoi andare» annunciò, sistemando
accuratamente la borsa. E Sebastian annuì semplicemente,
perché dire qualunque cosa, in quel momento, sarebbe
equivalso ad afferrare Thad e costringerlo ad ammettere che ricordava
distintamente quello che era accaduto appena qualche ora prima.
«Sei sicuro di star bene?» Chiese gentilmente.
Sebastian si costrinse a distogliere l’attenzione dai propri
pensieri e a piazzarsi un mezzo sorriso in faccia. «Mai stato
meglio» mentì.
Thad lo fissò dubbioso ma non aggiunse altro,
così Sebastian si congedò da lui e si
rifugiò tra le calde pareti del bagno.
Qualcuno ce l’aveva con lui, ormai era chiaro.
Ci era andato vicinissimo stavolta, ma non era stato abbastanza. Si
stava aprendo con lui, gli stava permettendo di guardargli dentro senza
filtri, si era mostrato vulnerabile per una volta, si era sentito
felice per un attimo. Ma evidentemente gli era negato, la
felicità era un concetto che gli era precluso in quel
calvario insensato.
Lasciò che l’acqua lavasse via i suoi pensieri,
che gli donasse l’energia necessaria per affrontare
nuovamente quella giornata. Quella giornata così simile alla
precedente, eppure così diversa.
Quando uscì dal bagno, aveva recuperato un po’ di
quello smalto che il risveglio di quella mattina gli aveva scalfito.
Avrebbe trovato un modo per porre fine a quello strazio, ne era certo.
Thad era seduto sul letto e Sebastian si costrinse ad ignorare quel
formicolio lungo la schiena che gli suggeriva di avvicinarsi a lui e
mandare al diavolo ogni buon proposito accumulato fino a quel momento.
«Andiamo?» Domandò, alzando lo sguardo.
Sebastian scrollò le spalle. «Potevi anche
avviarti» rispose.
Thad roteò gli occhi e afferrò la tracolla.
«Qualcuno si è svegliato di cattivo
umore» constatò, aprendo la porta e sparendo nel
corridoio.
Sebastian avrebbe voluto fargli notare che era statisticamente
improbabile che qualcuno si svegliasse di buon umore nel bel mezzo di
una crisi mistica di quell’entità.
Sospirò, immergendosi nella caotica fiumana di studenti che
si dirigevano a lezione e sperando, mai come quella volta, che la
giornata terminasse quanto prima.
Alzò gli occhi in tempo per scorgere la testa platinata di
Sterling sfrecciargli accanto e gettarsi all’inseguimento del
suo moro amico, fidanzato o quello che era.
E fu un attimo. Prima di avere il tempo di collegare il cervello alle
sue labbra, lo aveva già chiamato e costretto ad arrestarsi.
Vi era una cosa che forse poteva fare, una cosa che sapeva di dover fare e che si
rendeva conto solo in quel momento di voler anche fare.
«Sono in ritardo, Sebastian, di che hai bisogno?»
Quello lo fissò scettico. «Io da te? Proprio di
nulla» lo informò tranquillo.
Jeff si passò una mano fra i capelli spazientito.
«Prova a fare pace con il cervello, Smythe, e poi
chiamami.»
Fece per allontanarsi, ma la voce di Sebastian lo richiamò
indietro. «Non ho finito» annunciò. Jeff
non si voltò, ma ormai erano rimasti solo loro nel corridoio
e Sebastian sapeva che era in ascolto.
«Diciamo che potrei aver accidentalmente saputo della tua
toccante storia d’amore clandestina»
iniziò, pacato. Avvertì Jeff irrigidirsi e,
ghignando, continuò. «E diciamo che io muoia dalla
voglia di metterne al corrente anche una determinata persona»
il fatto che lo avesse fatto già un paio di volte e che Thad
sembrasse già essere informato di quel segreto di Stato
erano dettagli assolutamente irrilevanti, «se capisci cosa
intendo.»
Jeff si voltò. «Cosa vuoi?»
Sputò fuori.
«Un’ora del tuo tempo»
contrattò, ma all’espressione perplessa di Jeff si
affrettò a spiegarsi. «Prima del compito,
Sterling, avete un’ora buca» sbuffò,
esasperato dalla mancanza di senso pratico in quel ragazzo. Quello
annuì, evidentemente più attento al filo del
discorso.
«Dagli una mano a ripetere e potrei evitare di dirgli che i
suoi migliori amici lo tengono all’oscuro delle inaspettate svolte
della loro vita privata.»
E Jeff parve capire all’istante, tant’è
che sgranò gli occhi facendo innervosire maggiormente
Sebastian.
«Perché?» Domandò
semplicemente.
«Non devo dare spiegazioni a te» gli fece notare,
seccato, «tu assicurati che per l’inizio del
compito sappia il sistema endocrino e quello digerente, come sa
l’inno alla nazione, e il tuo segreto sarà al
sicuro con me.»
Jeff fece schioccare la lingua. «Tu cosa ci
guadagni?» Domandò sospettoso.
Ma Sebastian la sua parte l’aveva fatta, così si
incamminò verso l’aula, evitando quella domanda
che lo aveva profondamente irritato. «Tu non eri in
ritardo?» Ribatté invece.
Sterling lo seguì poco distante ma ormai il discorso era
caduto.
Sapeva che lo avrebbe fatto: ci teneva troppo a Thad per rischiare che
venisse a sapere di quella storia da qualcuno che non era lui.
Non era molto, ma almeno poteva sperare di mettere a tacere parte dei
suoi sensi di colpa e permettere a Thad di trascorrere un bel fine
settimana.
Odio i
Venerdì … sono utili solo a rovinarti il week-end.
Giunse all’aula di storia trovandoli già tutti
lì, limitandosi a rispondere alle domande di David come
aveva sempre fatto e come sapeva ormai di dover fare.
Che senso aveva provare a cambiare le cose, se poi ricominciava
inevitabilmente tutto daccapo? Tanto valeva accettare passivamente lo
svolgersi degli eventi e sperare almeno di sopravvivere ad essi.
Sebastian distolse lo sguardo dalla finestra, riportandolo nuovamente
sul suo compito e sospirando per l’ennesima volta in quella
giornata.
Tanto il giorno dopo sarebbe stato di nuovo seduto a quel banco, di
nuovo davanti a quel foglio, di nuovo accanto a Duvall. La biologia
poteva anche aspettare, in quel momento aveva problemi ben maggiori a
cui pensare.
Aveva provato ad affrontarla in ogni modo che conosceva, sviscerando la
questione da qualunque punto di vista e analizzandola da ogni
prospettiva. Si era ritrovato puntualmente con un pugno vuoto, talmente
vicino a stringere tra le mani la soluzione di quell’arcano
da poterla quasi saggiare con i sensi. Eppure non era mai riuscito ad
afferrarla concretamente, vi era sempre qualcosa che gli sfuggiva e che
gli impediva di osservare la situazione nell’insieme
piuttosto che nei singoli dettagli.
Aveva rovesciato sul tavolo una quantità non indifferente di
tesserine colorate ma, adesso che doveva riunirle e formare una figura
di senso logico, non sapeva da quale iniziare. Aveva come
l’impressione che mancasse qualcosa, un qualcosa, il qualcosa
che le tenesse insieme e che impedisse all’intero puzzle di
crollare al suolo. E Sebastian non aveva idea di cosa fosse
né sapeva in che modo potessero essere legate fra loro la
chiacchierata con Flint, la conversazione di Sterling e Duvall,
ciò che era accaduto con Thad. Tutto ciò
che era accaduto con Thad.
Sarebbe stato un insulto alla sua intelligenza affermare che non avesse
ancora compreso che Thad fosse il punto fondamentale di tutta quella
storia, dal momento che ogni cosa accaduta in quei giorni non aveva
fatto altro che mettere l’accento su quanto poco conoscesse
il suo compagno di stanza. Ebbene, aveva posto rimedio alla cosa.
Avevano parlato, si erano conosciuti meglio ed erano andati oltre
ciò che entrambi erano soliti vedere. Evidentemente,
però, il bandolo della matassa non doveva essere quello,
visto che si trovava per la quarta volta davanti a quel fottuto compito
di biologia e non aveva ancora idea del perché.
Duvall continuava ad importunarlo alla sua destra, ma Sebastian non
aveva alcuna voglia di aiutarlo. Domani,
si ripeté, tanto
domani staremo di nuovo qua.
Scribacchiò un paio di righi sul foglio, onde evitare che
gli venisse fatto notare quanto pericolosamente vicino si trovasse
all’essere rimandato in quella materia. Dopodiché,
fece schioccare un paio di volte il collo e permise al suo sguardo di
vagare in giro per l’aula. La sua attenzione venne
immediatamente attirata da Thad. Aveva la testa china sul foglio e
scriveva. Sembrava piuttosto concentrato e, cosa ancor più
importante, la sua gamba non tremava. Sebastian sorrise appena nel
constatare che, magari, Sterling aveva fatto il suo dovere e il
week-end di Thad non sarebbe stato poi così male. Si
sorprese nuovamente di quel pensiero assolutamente non da lui,
convenendo con sé stesso che quel discorso ormai non potesse
più essere rimandato. Ed era strano, perché era
incredibile quanto fosse cambiato il suo modo di vedere le cose nel
giro di pochi giorni. Pochi giorni, poi. Visto da fuori il suo
cambiamento sarebbe sembrato immotivato ed improvviso, dal momento che,
fino a prova contraria, era avvenuto dalla sera alla mattina. Non aveva
senso e pensarci gli faceva venire mal di testa, così
Sebastian decise che, da quel momento in poi, avrebbe affrontato le
cose esattamente nel modo in cui gli si presentavano, senza pensieri e
senza troppi ragionamenti alienanti. Quando la campanella
suonò, si alzò velocemente, consegnò
il compito e si avviò fuori dall’aula, certo che
le chiacchiere entusiaste ed esaltate degli altri Warblers lo avrebbero
raggiunto fin troppo presto.
Ed infatti non si sbagliava. Il parlare calmo e ragionato di David lo
distrasse per un po’ dai suoi pensieri, Sebastian finse di
interessarsi alla conversazione come aveva fatto le volte precedenti,
non potendo impedire a sé stesso di rispondere ad ogni
domanda e commentare ogni supposizione o idea. Lo aveva già
fatto, sapeva di doverlo fare e non aveva alcuna voglia di mettersi a
combattere contro le parole che premevano per lasciargli la bocca
contro la sua volontà.
«…e quindi ci ho provato due volte ma
alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di vetro
continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.»
E di cosa diamine stava parlando Sterling? Dio, aveva ascoltato quella
frase quante? Due? Tre volte? Aveva meno senso ogni volta che la
pronunciava.
«Io non l’ho mai capito
quell’affare» disse Trent, «come fa a
piacerti, Jeff?»
E Nixon gli dava anche corda, come ogni maledetta volta. Ed ora il
biondo rispondeva…
«Mi rilassa e mi aiuta a scaricare lo stress»
spiegò.
Oh, ma guarda! Punto per
Sebastian!
«Puoi prendere a pugni Duvall» propose come al
solito. «Almeno la smetterebbe di importunarmi.»
Roteò gli occhi al pensiero della ridicola discussione che
stava per affrontare. Prima Sterling, poi Duvall.
«Ma se io fossi un po’ meno stronzo e pieno di me,
non sarei quello che sono e tu non avresti alcun motivo di
importunarmi.»
«Mi gira la testa» ammise Jeff.
«Probabilmente hai esagerato con
l’ossigenazione» commentò Sebastian.
Poi di nuovo Sterling e lui che ribatteva a tono. E Flint che provava a
fare da paciere. Illuso.
Forse, se si fosse impegnato, un modo per evitare quello strazio lo
avrebbe anche trovato. Bastava fare un’altra strada per
raggiungere la mensa, oppure proporre un argomento di conversazione
differente prima che loro iniziassero a blaterare di quelle idiozie.
Magari era un’idea da prendere in considerazione per il
giorno successivo. Avrebbe potuto procurarsi un pacco di fazzoletti per
otturare le loro prolifiche cavità orali, in alternativa. Un
modo per farli tacere c’era per forza.
«Quindi per domani che hai deciso?»
Quella domanda lo richiamò dal suo mondo di piani
machiavellici e lo riportò brutalmente in
quell’elegante corridoio dell’Accademia.
Domani. Il domani a cui era stato invitato da Thad appena poche ore
prima, il domani che improvvisamente gli interessava vivere, il domani
che sembrava così lontano.
Noi Warblers abbiamo in
programma una gita.
Thad parve pensarci un po’ su, ma poi rispose entusiasta.
«Ovviamente sarò dei vostri, che
domande!»
Se ti va puoi unirti a
noi.
Era come vivere una scena al rallentatore, come se lui fosse
l’inerme spettatore di una commedia messa in scena da attori
scialbi e inconsistenti.
Nick che esultava, Thad che sorrideva e il braccio di Flint che si
posava intorno alle sue spalle.
Le mani di Sebastian che si chiusero a pungo, la sua gola che ingoiava
un ringhio, la sua pelle che tremava.
Fastidio. Bruciante e logorante fastidio che gli scuoteva le membra e
gli annebbiava la vista.
Flint che gli sussurrava qualcosa all’orecchio e Thad che
sorrideva.
Thad con cui non aveva mai avuto quella chiacchierata, Thad che
continuava ad avercela con lui, Thad che non aveva avuto modo di
confermare i suoi pensieri. Ed era tutto così fottutamente
demotivante. Thad che non gli parlava, ma che si era lasciato baciare
la sera prima.
«A te non abbiamo detto nulla» proruppe Jeff. Anche
se continuava a guardare avanti a sé, Sebastian sapeva che
stava parlando con lui. «Perché sapevamo che tanto
non saresti venuto.»
Sebastian fece una smorfia.
Ma poi abbiamo
chiacchierato e tu hai detto che anche tu odi i Venerdì
e…
E Thad voleva che andasse con loro, nonostante gli altri se ne
fregassero di lui e di quello che pensava. Glielo aveva chiesto ben tre
volte, perché era importante, perché ci
teneva… perché
gli piaceva.
«Oh» rispose meccanicamente, «la prima
decisione sensata della tua testolina bionda, sono ammirato.»
David sospirò rassegnato, «Sarebbe stato almeno
carino chiederglielo, Jeff.»
«Già, Jeff, sei stato poco carino»
annuì Sebastian, «ma questa non è certo
una novità.»
«Vediamo quanto sarai carino tu con un occhio nero, ti
va?» si infervorò Nick.
Ed ovviamente Duvall non poteva fare a meno di difendere il suo
ragazzo. Sebastian sospirò frustrato per
l’ennesima volta. La sola prospettiva di dover rivivere
quello strazio all’infinito lo mandava al manicomio.
«Di certo più di te in queste
condizioni» rispose prontamente.
E poi Flint, e ancora David e poi Nick che veniva opportunamente
zittito da Thad. E sembrava davvero che quella giornata non dovesse mai
finire.
Il divanetto in pelle, quel pomeriggio, era più fastidioso
del solito.
Sebastian si ritrovò a muoversi per l’ennesima
volta a disagio, alla ricerca di una posizione comoda che non sembrava
essere in grado di trovare.
Costrinse sé stesso ad evitare di far caso a Sterling che si
muoveva in mezzo alla sala, convenendo che i suoi neuroni fossero
già abbastanza provati da quell’esperienza: era
inutile stressarli ancora.
Era strano però. Sebastian sapeva che quello sarebbe stato
l’esatto momento in cui intervenire per cambiare
l’esito di quella riunione, eppure non ne aveva la
benché minima voglia. Come per tutto il resto in quella
giornata, stava semplicemente assecondando il corso degli eventi,
facendoseli scivolare addosso e fingendo che non lo riguardassero
più di tanto.
Magari sarebbe servito a qualcosa.
Si guardò un attimo intorno, notando che Duvall si era
ammutolito e che Sterling si era acquietato.
Ecco, quello era il momento in cui Nixon apriva la bocca e il suo
autocontrollo andava a puttane.
«Sarebbe divertente se la prossima volta facessimo dei
provini seri per decidere il solista delle competizioni.»
E la velata ironia che gli sporcava la voce aveva il potere di irritare
Sebastian come solo le camicie stropicciate, la pioggia quando devi
uscire e i rumori improvvisi di notte riuscivano a fare.
Non si voltò neanche a guardarlo.
«Seri?» domandò stancamente,
«quelli fatti fino ad ora cos’erano? Gare di
freccette?»
Nick sbuffò. «Beh, se tu non monopolizzassi
l’attenzione su di te magari potremmo anche farlo qualche
provino» constatò.
«Non sei il solo a saper cantare, Sebastian» lo
appoggiò Jeff, «siamo tutti in grado di farlo,
altrimenti non saremmo qui.»
Ma quei due parlavano sempre in coppia? Non vi era affermazione fatta
da uno a cui non seguisse inevitabilmente un commento da parte
dell’altro. Cristo, era così che speravano di
nascondere la loro storia? Stavano sempre ad appoggiarsi l’un
l’altro, a sorridersi complici e a guardarsi di sottecchi.
Era un bene se non gli avevano già preparato un addio al
celibato con tanto di strette di mano e auguri di prolifica progenie!
«Oh, ma andiamo!» rispose, «sappiamo
tutti che sono il membro più competente.»
«Ma se non sbaglio le Regionali le abbiamo perse
comunque» gli fece notare Thad.
Sebastian strinse il pugno, continuando a fissare Duvall che lo
osservava a sua volta. Non sapeva cosa ci avrebbe trovato in quello
sguardo, ma non aveva alcuna voglia di controllare.
«Forse il problema è che siete voi a non riuscire
a starmi dietro» fu costretto a ribattere.
I ragazzi erano silenziosi e vigili. Sebastian li vedeva spostare lo
sguardo dall’uno all’altro, trattenendo il fiato e
rimanendo in attesa degli sviluppi di quel dibattito.
Non voleva girarsi, non poteva permetterselo. Strinse il pungo,
continuando a fingere di stare semplicemente ignorando il suo
interlocutore e non di star invece fuggendo dal suo sguardo.
«E tu non saresti presuntuoso?» continuò
Thad, «Sebastian, ti conviene scendere dal piedistallo,
perché l’aria che respiri lassù ti sta
fottendo il cervello.»
E fu inevitabile. Fu inevitabile avvertire lo stomaco chiudersi, fu
inevitabile sentire il respiro lasciargli i polmoni e le mani
pizzicargli. Fu inevitabile voltarsi a guardarlo.
…e ti
garantisco che non era difficile odiarti per tutto questo, dal momento
che non ti mettevi esattamente d’impegno per mostrarti
amichevole.
Thad lo fissava con gli occhi ridotti a due fessure e
un’espressione severa e dura che non gli si addiceva per
nulla. Sebastian si sentì attraversato da quello sguardo e
non poté fare a meno di sentirsi vacillare, per un attimo, a
causa della nostalgia che aveva di quegli occhi scuri e luminosi e che
gli avevano scavato dentro in poco più di mezza giornata.
«Io almeno ce l’ho un cervello, Harwood, ed evito
di utilizzarlo a sproposito» le parole gli lasciarono le
labbra senza che lui potesse fare qualcosa di efficace per
impedirglielo. E si sentiva sconfitto e messo al muro, la testa piena
delle loro chiacchiere della sera prima e gli occhi che bruciavano.
Thad sbuffò e Sebastian provò a ricercare, in
quei lineamenti e in quelle parole, i segni del ragazzo che aveva
conosciuto davanti alla finestra della loro stanza, il ragazzo che si
era aperto con lui, che gli aveva sorriso cordiale e lo aveva fatto
sentire appena un po’ più giusto.
«Eviti di utilizzarlo e basta.»
E adesso viene fuori che
sei anche simpatico e che io e te siamo in grado di fare una
conversazione sensata senza urlarci addosso di tutto.
Non più, a quanto pare.
La restante parte della riunione, trascorse senza eclatanti colpi di
scena, come al solito. Quando David annunciò che potevano
andare, Sebastian si alzò, mantenendo la postura elegante e
regale che lo caratterizzava, e si avviò verso
l’uscita.
Il peso della sua tracolla gli ricordò che aveva un libro da
consegnare in biblioteca, ma il suo umore sotto i piedi lo convinse a
rimandare quella pratica inutile. Ci avrebbe pensato un altro giorno.
Per nulla desideroso di tornare in camera, camminò con
quanta più flemma possibile, canticchiando il motivetto di
una canzone a caso e lasciando che la mente gli si svuotasse
automaticamente.
Fu richiamato dai suoi pensieri solo quando, sul punto di voltare
l’angolo per arrivare alla sua camera, fu raggiunto da due
voci concitate.
Decisamente non aveva voglia di origliare un’altra
conversazione privata: l’ultima volta gli era bastato e
avanzato. Mosse un passo in quella direzione, ma ciò che
sentì lo convinse a immobilizzarsi sul posto.
«Non è colpa mia, Jeff.»
Harwood.
Sebastian si mosse appena, sporgendosi nel corridoio per controllare la
situazione. Thad era poggiato allo stipite della porta della loro
stanza e sembrava piuttosto abbattuto. Di fronte a lui, Sterling lo
guardava severo, le braccia incrociate al petto e la testa inclinata di
lato.
«No» commentò, «certo che
no.»
Thad sbuffò, appoggiando la testa al legno e guardando
altrove. «Non lo sopporto» sbottò,
«e poi lo vedo e mi dimentico che non lo sopporto.»
Jeff roteò il capo. «Sì, direi che ci
siamo accorti tutti di quanto poco lo sopporti» gli fece
notare.
Sebastian ritornò alla sua posizione originaria, privandosi
della vista di quella scena, ma restando comunque in ascolto.
Aveva un fastidioso presentimento, ma si costrinse a metterlo da parte
e a immagazzinare quante più informazioni possibili.
Maledette conversazioni origliate, maledetti Warblers che si
appartavano a due a due e maledetto il suo tempismo perfetto.
«Lo odio» proseguì Harwood. «E
credo che anche lui odi me a questo punto, però a entrambi
importa ciò che sta facendo l’altro. A me di
sicuro» sospirò, « e boh, lui mi fissa e
non capisco cosa accidenti voglia da me e lo odio anche per
questo.»
Sebastian sentì Jeff ridacchiare e, per qualche motivo a lui
ignoto, si ritrovò a sorridere con lui. Riusciva quasi ad
immaginare l’espressione di Harwood mentre pronunciava quelle
parole, le guance arrossate e gli occhi che si muovevano veloci.
Bastava una parola, una parola che trasformasse quel presentimento in
realtà, che confermasse il suo sospetto, e non ci avrebbe
pensato due volte a congedare Sterling e a chiudersi in camera con lui
per tutta la sera.
«Tu» iniziò il biondo, «cerca
solo di essere meno ovvio» lo ammonì,
«altrimenti, se se ne accorge, ti darà il tormento
per il resto dell’anno.»
«Come sempre i tuoi consigli sono utili e costruttivi,
Jeff.»
«Felice di esserti d’aiuto» rispose
l’altro.
Thad ridacchiò e Jeff gli disse qualcosa che Sebastian non
riuscì a capire ma che doveva averlo fatto indignare
parecchio, viste le proteste che ne seguirono.
«Vado» annunciò Sterling,
«Nick mi aspetta per studiare.»
Certo, studiare.
«A dopo» lo salutò l’altro,
«e, Jeff?»
«Sì» lo anticipò
l’altro, «lo so: acqua in bocca.»
«Grazie.»
«Nulla.»
Una serratura che scattava ed una porta che si apriva e poi chiudeva
velocemente.
Sebastian rimase qualche altro minuto al suo posto, ringraziando il
caso che non avesse fatto passare nessuno in quel momento, prima di
sollevarsi dalla parete e incamminarsi finalmente verso la propria
camera.
Rimase a fissare la porta per un attimo, raccogliendo le energie
sufficienti per affrontare nuovamente quella sfiancante discussione che
non aveva alcuna voglia di rivivere. Quando si decise ad abbassare la
maniglia, la scena che lo sorprese oltre la lucida superficie di legno
era diversa dalle precedenti.
Thad non c’era. O, almeno, Thad era ancora a fare la sauna:
lo scroscio dell’acqua della doccia era abbastanza indicativo
a riguardo.
Ma quanto accidenti si lavava quel tipo?
Sebastian si tolse la tracolla e il blazer dell’Accademia,
arrotolando le maniche della camicia fino al gomito e sedendosi sul
letto.
In genere trovava già lì Thad una volta rientrato
in camera e di solito era lui a dare inizio alla discussione. Forse
stavolta poteva evitarlo, doveva solo riuscire a tenersi per lui quella
prima frase incriminata, in modo tale che Thad non potesse ribattere e
lui non si ritrovasse intrappolato nuovamente in quella spirale di
parole non dette e da dire obbligatoriamente.
Thad uscì dal bagno portando con sé una cappa di
aria calda e il profumo del bagnoschiuma all’arancia che
usava in abbondanza. Si immobilizzò sulla porta nel notare
la presenza di Sebastian nella stanza e per un attimo rimasero a
fissarsi senza sapere cosa dire o cosa fare.
Sarebbe stato facile dare un taglio a quella pagliacciata e giocarsi
tutto, una volta e per sempre, ma Sebastian non poteva permettersi di
vacillare. Non di nuovo. Ammettere che Thad lo aveva sconvolto gli
costò più fatica di quanta ne immaginasse e il
pensiero che fosse stato lui a permetterglielo era intollerabile.
Thad afferrò un libro dalla scrivania e si sdraiò
sul letto come ogni volta.
A quel punto Sebastian avrebbe esordito a suo modo, infischiandosene di
tutto e desideroso solo di far innervosire Thad e vedere fino a che
punto riusciva a stargli dietro, ma non quella sera. Era forse
l’unico momento di quella giornata in cui aveva il pieno
controllo della situazione.
Si schiarì la voce, ricercando le parole adatte per
iniziare. Voleva solo… parlare. Senza urlare o tirare
giù i vari Santi dal Paradiso.
«Dunque» esordì, «che
leggi?»
Thad alzò lo sguardo per un attimo, rivolgendo
un’occhiata scettica al suo compagno di stanza, prima di
riabbassarlo sulle pagine dinanzi a sé.
«Un libro» rispose lapidario.
Sebastian roteò gli occhi. «Ma dai? Avrei detto
che fosse una lista della spesa!»
Sì, ciao ciao, conversazione tranquilla, ciao.
Thad sbuffò. «Sei tu che fai domande inutili,
Sebastian.»
«Cercavo di fare conversazione» gli fece notare
l’altro.
Thad si mise a sedere, mettendo da parte il libro e fissando Sebastian.
«E perché lo faresti?» volle sapere.
Sebastian sbuffò. «Ma si può sapere
qual è il tuo problema?»
Thad si produsse in una risata bassa ed amara. «Al momento
sei tu il mio problema.»
E Sebastian lo sapeva e nonostante ciò continuava a girare
il dito nella piaga. Perché poteva essere stanco, annoiato e
spaventato da quella situazione, ma improvvisamente fu tutto troppo
chiaro.
Il tassello mancante, ciò che legava la chiacchierata con
Flint, la conversazione di Sterling e Duvall e tutto ciò che
era accaduto con Thad fino a quel momento. Ciò che
permetteva a tutto di acquistare un senso, non singolarmente ma
nell’insieme.
Quindi sono sempre stato
io il tuo problema?
E lui lo aveva capito la sera prima, ma non era stato abbastanza
sveglio da collegarlo a tutto il resto.
Thad lo fissava con sguardo attento e severo. Sembrava ferito da
qualcosa e Sebastian – con l’ausilio di questa
nuova consapevolezza – non aveva difficoltà ad
immaginare cosa fosse che gli faceva così male, che lo
faceva scattare così ogni volta che parlavano, che lo
portava a rinfacciargli di tutto e a essere così rancoroso
nei suoi confronti.
«Beh» si ritrovò a dire Sebastian,
«io sono il problema di tutti, a quanto pare, ma tu di solito
non te la prendi così tanto.»
No, no, no, no. No.
Doveva per forza dire quelle parole esatte? E per quale motivo finivano
puntualmente a litigare?
Sembrava che non vi fosse alcun modo per cambiare quella serata. Per un
motivo o per un altro, la conclusione era sempre la stessa. Tranne la
sera precedente.
Continuava a rispondergli contro la sua volontà e a
domandarsi cosa avesse sbagliato ancora e se vi sarebbe stato un modo
per premere il tasto pausa e impossessarsi nuovamente della sua vita.
Thad era arrabbiato per delle ragioni che adesso Sebastian riusciva a
comprende più a fondo, ma che comunque non giustificavano
quell’astio nei suoi confronti.
Lui cosa ne poteva sapere? Si era sempre comportato allo stesso modo
con tutti, non poteva immaginare che da parte sua ci fosse dell’altro.
La colpa non era assolutamente sua.
«Pensavo avessi capito qualcosa di me, Harwood»
disse.
E sì, aveva capitolo più cose Thad di lui che
Sebastian stesso. Se ne era rimasto in un angolo, una pulce silenziosa
e furba che gli era entrata dentro poco a poco, arrivando a rivoltarlo
come un calzino senza che Sebastian riuscisse a rendersene conto.
Sei più di
quello che ti sforzi di sembrare agli altri.
Perché Thad era andato oltre e, nonostante tutto, Sebastian
gli era grato per questo
«Io mi sforzo tanto di provare a capire te, ma sono
più di sei mesi che dividiamo la stanza e tu continui a non
sapere nulla di me.»
E cazzo, quello non era giusto, non lo era per nulla. Ci aveva messo un
po’, ma alla fine ci era arrivato.
Lo aveva ascoltato parlare del suo fratello perfetto, sapeva che era un
maledetto perfezionista del cavolo, che boxava di tanto in tanto, che
odiava i Venerdì, che cercava di eccellere continuamente,
che odiava la biologia e che gli piaceva leggere. Poco importava che
aveva appreso tutto nella stessa fottuta giornata! Lui ci aveva messo
tutta la sua buona volontà, quel trattamento era ingiusto. E
fanculo che Thad non avesse idea di tutto quello, Sebastian si era
stufato di quella cazzo di presa per il culo.
Non sapeva in quale momento di quella discussione si erano alzati in
piedi, fatto sta che adesso se ne stavano entrambi al centro della
stanza: Sebastian con il pugno serrato e la rabbia che premeva per
esplodere, Thad con le braccia incrociate al petto e
l’espressione delusa in viso.
«Buonanotte, Sebastian» disse, prima di voltarsi e
scostare le coperte.
E fu un attimo. Prima ancora di riuscire a ragionarci, Sebastian era
scattato in avanti e gli aveva afferrato il braccio costringendolo a
voltarsi nella sua direzione.
«Ti piacerebbe» quasi gli ringhiò.
«Cristo, adesso mi ascolti.»
Avvertì Thad trattenere il respiro e per un attimo si
bloccò, diviso fra l’incertezza di non sapere in
realtà cosa dire e la paura di stargli facendo male. Thad
aveva gli occhi leggermente sgranati e Sebastian avvertiva il suo
respiro accelerato sul viso, tanto erano vicini.
«Ti permetti di startene qui» iniziò,
duramente, «con il tuo pigiama troppo celeste e il tuo
bagnoschiuma all’arancia che normalmente troverei disgustoso
su chiunque, e mi fai fare pensieri che di solito non farei e dire cose
che assolutamente non direi e agire in modi che non sono assolutamente
da me, e poi mi accusi di essere un egocentrico del cazzo ed un egoista
della peggior specie e di non conoscerti affatto e altre puttanate che
ho evitato di ascoltare.»
E lo sapeva che prima o poi sarebbe scoppiato, solo che non voleva che
accadesse così. E, soprattutto, non per queste ragioni. Ma
si sentiva frustrato e maledettamente nervoso: riversare la sua rabbia
repressa su Thad sembrava la soluzione più semplice, in quel
momento.
«E per cosa, poi?» continuò, impassibile
allo sguardo sconcertato dell’altro. «Per farmi
sentire in colpa per delle ragioni che solo tu sembri conoscere? Ma
vaffanculo, allora.»
Thad boccheggiò appena, ma Sebastian finse di non notarlo e
proseguì a briglia sciolta, la presa sul suo braccio sempre
più salda e la voce che cresceva ad ogni parola.
«Ti comporti come se io
fossi quello cattivo, quando sei tu
che continui a spalarmi merda addosso solo perché speravi
che fossi più bravo ad interpretare i tuoi segnali confusi e
a capire che hai una cotta per me? Ma quanto cazzo sei
egoista?»
E aveva giocato sporco, lo sapeva, ma Thad non poteva avercela con lui
per quello. Quello sleale era lui.
Il ragazzo abbassò lo sguardo, fuggendo gli occhi di
Sebastian e concentrandosi sulle sue dita strette ancora intorno alla
stoffa del pigiama.
Quando lo rialzò, non vi era traccia di indecisione sul suo
viso e la sua voce era sicura e ferma non appena parlò.
«Di cosa mi stai accusando esattamente, Sebastian?»
domandò, «Di sentire qualcosa per te, oppure di
essermi ricordato di possedere un amor proprio e di aver provato a
convincermi che tu non fossi per niente la persona adatta per cui
provare qualsiasi genere di sentimento?»
Sebastian aprì la bocca per rispondere e fargli notare che,
ancora una volta, non aveva centrato il punto del discorso, ma quello
lo interruppe immediatamente.
«No, perché voglio essere certo di difendermi
dall’accusa giusta e di evitare di sputtanarmi più
di quanto io non abbia già fatto.»
Si stava mettendo totalmente in gioco e Sebastian avvertì la
sua stretta indebolirsi nel constatare che, ancora una volta, Thad
sembrava il più forte tra i due.
«E se ti dicessi» iniziò, mascherando
l’incertezza nella sua voce, «se ti dicessi che non
mi danno fastidio i tuoi sentimenti?»
Tanto valeva giocarsi il tutto per tutto e prendere a calci
l’orgoglio. Male che andava, il giorno dopo avrebbe rivissuto
tutto daccapo e nessuno avrebbe conservato il ricordo di quella
conversazione. Tranne lui, ovviamente.
«Mi stai incoraggiando a farmi del male, Sebastian?»
Sebastian rise amaramente, spostando le mani sui fianchi di Thad e
avvertendolo rabbrividire a quel contatto.
«Thad, ce ne stiamo qui in piedi, al buio, a parlare di
sentimenti e a urlarci addosso tutto quello che ci passa per la
testa» gli fece notare, sorridendo. «Se avessi
voluto farti del male, avrei trovato modi molto più
fantasiosi, non credi?»
Thad si morse un labbro, spostando lo sguardo altrove. Sebastian si
prese un attimo per osservarlo e rafforzare la presa su di lui per
rendere inequivocabilmente chiaro il concetto.
«Cosa è cambiato da ieri?»
Domandò infine, riportando lo sguardo su di lui.
Sebastian avrebbe voluto rispondere che, tecnicamente, era passato ben
più di un giorno, ma decise che quella considerazione poteva
anche tenersela per sé.
«Dio, Thad, mi hai fottuto il cervello!» Si
esasperò. «Cos’altro hai bisogno di
sapere?»
E Thad rise, mentre le sue guance si coloravano di rosso e la sua testa
si abbassava leggermente. «Suppongo che per adesso potrei
anche farmelo bastare» commentò.
Sebastian si chiese se sarebbe stato perfetto come la sera precedente e
se Thad si sentisse abbastanza coinvolto da lasciarsi andare nuovamente
con lui.
Si sporse in avanti, trattenendo il respiro e avvertendo la pelle
fremere per quel contatto che aveva bramato per tutta la giornata e che
gli era così inspiegabilmente mancato tanto.
Thad non si mosse e Sebastian si ritrovò a perdersi per un
attimo nei suoi occhi scuri e profondi prima di accarezzare quella
ridicola distanza che ancora li separava e posare le labbra sulle sue.
Le trovò esattamente come le ricordava, morbide ed incerte.
Si muovevano sotto le sue lentamente e senza fretta, assecondandone il
ritmo e lasciandosi guidare completamente.
Sebastian gli passò un braccio dietro la schiena,
attirandolo maggiormente a sé e approfondendo quel bacio di
cui aveva un bisogno urgente e disperato.
In un attimo le braccia di Thad erano intorno al suo collo, in un
movimento naturale e fluido che Sebastian percepì
direttamente sulla pelle, un brivido lungo la schiena che lo fece
perdere momentaneamente. Perdere fra le sue labbra schiuse, la sua
lingua che si intrecciava alla sua e i suoi gemiti bassi che sentiva
scorrere direttamente nelle vene.
Ti prego, questo non te
lo dimenticare.
E in quel momento seppe di essere fottuto davvero.
Noticine carine carine
Dunque, eccoci alla fine di un altro, mastodontico, capitolo. Spero non
me ne vogliate e spero che la lettura sia stata almeno piacevole.
Il male di vivere che mi ha preso quando ho iniziato a scrivere questo
capitolo è stato più difficile del previsto da
affrontare. Mi sentivo male io per Sebastian e il pensiero di
ciò che sarebbe accaduto mi ha spinto a rimandare la
scrittura del capitolo più che ho potuto. Poi mi sono decisa
a buttarlo giù e amen.
Aneddoti simpatici
riguardo il capitolo 5 di Stuck:
1- Il presente capitolo è
dedicato a due personcine speciali speciali. La prima è Somo
che gli ha gentilmente fatto da madrina, spingendomi a scrivere quando
non ne avevo voglia, consigliandomi laddove Sebastian cercava di
boicottarmi e leggendolo pezzo per pezzo mano a mano che lo scrivevo.
La seconda è la mia Vals per dei motivi che
passerò a spiegare nel punto 2.
2- La mia adorata metà mi ha
autorizzata ad inserire in questo capitolo il testo di un sms che mi ha
inviato qualche tempo fa. Io ne sono stata entusiasta perché
si adattava perfettamente alla mia trama e lei si merita la dedica per
la persona speciale che è. Non credo vi dirò qual
è il pezzo in questione, ma vi basti sapere che è
anche merito suo se il capitolo ha preso questa piega.
3- La scrittura dell’intero
capitolo, anzi, dell’intera storia, ruotava intorno
al mio desiderio di far dire a Sebastian che Thad gli ha fottuto il
cervello. È interessante notare che, giunti al capitolo 5,
questa frase è l’unica di cui ho dovuto
praticamente forzare l’inserimento. Arrivati alla fine del
capitolo mi sono accorta che non ci stava più –
rispetto a come volevo inserirla io – e stavo quasi per
tagliarla fuori. Poi mi sono convinta e ho deciso di metterla lo
stesso, anche se ho dovuto adattarla e alla fine non è
venuta come volevo. Un classico, lo so.
4- Mentre scrivevo di Sebastian che
“si perdeva”, nelle mie orecchie Eddy Martin
cantava Lost ed io sono una personcina tanto romantica e simpatica e ho
iniziato a scuoriciare come non mai. Solo per farvelo sapere.
5- Lo avete letto in 3 capitoli
mi pare ed io sono stata abbastanza attenta da non dirlo ancora ma,
qualcuno ha idea di cosa accidenti stia parlando Jeff quando
dice “…e quindi ci ho provato due volte
ma alla fine ho dovuto lasciare perdere perché il coso di
vetro continuava a non volersi muovere ed io avevo fame.” ???
No, perché alla fine nel suo contesto è una cosa
che ha pure senso, LOL. Bon, lo saprete nel prossimo xD
6- Non ho niente contro i pigiami
celesti, anzi, l’azzurro è il mio colore
preferito. LOL
Comunque, la storia volge quasi al termine, sigh, ormai mancano solo un
capitolo e l’epilogo e già so che
piangerò molto pateticamente alla fine.
In ogni caso, vorrei ringraziarvi sentitamente per
l’entusiasmo che avete riversato allo scorso capitolo:
sapevate quanto ci tenevo e vedere che vi è piaciuto mi
riempie di gioia!
Vi ricordo ancora una volta eventuali luoghi ameni in cui trovarmi: Twitter e Facebook
Bene, la smetto di blaterare, a lunedì prossimo,
Thalia.
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Capitolo 6 *** Capitolo 6. ***
Stuck 6
Pairing:
Sebastian/Thad
Genere:
Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti:
Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 6/7
Note D’autore: Alla
fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
Capitolo 6.
Sebastian fu svegliato da un fruscio indistinto, da un rumore fragoroso
e disordinato e da un’irrefrenabile voglia di far saltare
qualche testa.
Scattò a sedere, i battiti accelerati a riempirgli le
orecchie, e sbatté un paio di volte le palpebre per
permettere agli occhi di abituarsi al buio. La stanza versava nella
semioscurità ma non gli fu difficile individuare e
riconoscere i lineamenti della figura che si muoveva poco distante da
lui.
«Cosa diamine hai intenzione di fare?»
Un sospiro e un rumore sommesso. «Cercavo di non
svegliarti» fu la confusa spiegazione che gli giunse dal buio.
Sebastian ridacchiò. «Non oso immaginare cosa
avresti fatto in caso contrario.»
Allungò una mano sul comodino e cercò a tentoni
l’interruttore dell’abat-jour per portare un
po’ di luce in quella camera. Strizzò gli occhi
per ripararsi dal repentino cambio di luminosità,
dopodiché si voltò a guardare nuovamente il suo
interlocutore.
Thad se ne stava in piedi accanto al suo letto e reggeva fra le mani i
pezzi di quella che, fino a poco prima, doveva essere stata una lampada
molto simile a quella di Sebastian.
«Cosa stavi cercando di fare?» Domandò
con uno sbadiglio.
Aveva il cervello anchilosato e, forse per il brusco risveglio, doveva
ancora carburare bene e mettere in moto quella sequenza di
causa-effetto che lo avrebbe portato a comprendere che vi era
decisamente qualcosa fuori posto.
Thad spostò il peso da un piede all’altro, posando
ciò che restava della sua abat-jour sul letto e allargando
le braccia arrendevole.
«Avevo intenzione di andare a prepararmi»
buttò fuori d’un fiato, «e lasciarti
dormire un altro po’.»
Sebastian aggrottò la fronte, ma quando la consapevolezza si
fece lentamente strada dentro di lui, sgranò gli occhi e
scostò velocemente le coperte. Non era possibile…
«Che giorno è oggi?» chiese cautamente.
Quello inarcò un sopracciglio. «Sabato?»
Rispose con uno sbadiglio.
La bocca di Sebastian si spalancò in
un’espressione piuttosto comica e il ragazzo si
affrettò a raggiungere il suo cellulare per accertarsi della
veridicità di quelle parole.
Sabato, 17 Marzo.
Era una sensazione strana perché era convinto che, se mai
fosse riuscito a venir fuori da quell’incubo, la sua reazione
sarebbe stata diametralmente opposta. Immaginava esultanze e
manifestazioni di gioia in grande stile. Invece se ne stava
lì, seduto sul bordo del letto, il cellulare stretto tra le
mani e lo sguardo perso nel vuoto, a domandarsi il perché.
Già,
perché?
Cosa era cambiato rispetto alle volte precedenti?
Alzò gli occhi su Thad e lo trovò esattamente
come lo aveva lasciato, intento a restituirgli lo sguardo.
Sospirò sereno, non potendo impedire alle sue labbra di
piegarsi in un sorriso sincero.
Vi era qualcosa di cui dovevano assolutamente parlare. Sebastian lo
ricordava e sapeva che era una questione che andava affrontata il prima
possibile perché non voleva rischiare che le cose
prendessero una piega indesiderata e la situazione gli si ritorcesse
contro un’altra volta.
Thad si alzò, iniziando a frugare nel suo armadio alla
ricerca, probabilmente, di qualcosa da indossare. Sebastian si
passò stancamente una mano fra i capelli, avvertendo
distintamente il nodo che sentiva allo stomaco sparire. Si sentiva
sollevato, libero da quell’opprimente peso sul petto che lo
aveva asfissiato in quei giorni. Voltò il capo verso Thad e
si ritrovò inspiegabilmente a sorridere al ricordo di tutto
ciò che era accaduto il giorno prima. Perché Thad
lo ricordava, vero?
«Senti» iniziò improvvisamente quello,
«noi Warblers abbiamo in programma una gita.»
Il cuore di Sebastian perse un battito.
«Lo so» rispose esitante. «Non fate altro
che parlarne» gli fece notare, «è
piuttosto fastidioso in effetti.»
Thad ridacchiò, riemergendo a fatica dall’armadio.
«Sei ancora in tempo per venire, se ti va.»
Sebastian le aveva contate. Quella era la quarta volta che glielo
chiedeva, sarebbe stata finalmente quella definitiva? Scosse il capo
nel constatare che Thad doveva tenerci davvero tanto che andasse con
loro.
«Cosa ti fa pensare che io abbia voglia di venire?»
Domandò, comunque.
Thad boccheggiò un paio di volte e Sebastian si accorse
delle sue guance che si coloravano di rosso. «Nulla,
immagino» balbettò, «solo che, boh,
dubito tu abbia programmi migliori.»
Touché.
«Quindi stai ammettendo anche tu che se venissi sarebbe solo
perché non ho niente di meglio da
fare?››
L’altro scrollò le spalle, recandosi in bagno.
«Mettila come vuoi» concesse.
«E dov’è che si andrebbe?»
Volle informarsi Sebastian. Aveva sentito così tanto parlare
di quella fantomatica gita che era assurdo che ancora non avesse la
benché minima idea di quale fosse la destinazione.
«Vogliamo andare a sciare» rispose Thad,
arrestandosi sull’uscio.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «A
metà marzo?» Domandò scettico.
Thad annuì. «Bisogna salire un po’, ma
ci hanno garantito che la neve c’è
ancora.»
L’altro fece una smorfia ma non rispose. Thad lo
osservò un altro paio di secondi, poi sospirò
deluso e fece per chiudersi la porta alle spalle.
«Temo di non avere l’attrezzatura da sci»
buttò lì Sebastian, concentrandosi sul cellulare
che ancora stringeva tra le mani.
E non aveva bisogno di guardarlo per sapere che Thad aveva recepito il
messaggio e che, con ogni probabilità, adesso stava
sorridendo.
Udì la porta chiudersi e, istintivamente, si
lasciò cadere sul letto fissando il soffitto: esperienza
sovrannaturale o meno, si sentiva riposato come non mai.
Erano partiti con due macchine e con più entusiasmo di
quanto nove persone potessero normalmente contenere.
Sebastian si era goduto le espressioni sorprese e basite degli altri
Warblers quando Thad li aveva informati che si sarebbe unito a loro, ma
era stato troppo occupato a notare il modo delizioso con cui Harwood
continuava a torcersi le dita, per preoccuparsene realmente.
Dopo un attimo di sconcerto generale, però, si erano
mostrati tutti piuttosto esaltati all’idea di allargare
l’allegra combriccola e Sebastian si era trovato a domandarsi
di quali droghe facessero uso per essere così pieni di
energia di prima mattina.
Sterling aveva messo in chiaro che, poiché si era aggiunto
all’ultimo minuto, non era autorizzato a mettere in disordine
i loro piani e che quindi, che gli piacesse o no, sarebbe stato nella
“macchina noiosa”.
Sebastian non aveva idea di cosa volesse dire, ma si era
incredibilmente trovato a dargli ragione quando, qualche minuto dopo,
si erano messi in viaggio.
Adesso sedeva accanto a Ethan, Flint era alla guida e James sul sedile
del passeggero e no, la situazione non era delle più
divertenti.
A quanto pare, l’altra macchina era di Duvall ed era chiaro
che i suoi fidi compari – Sterling, Nixon e Harwood
– sarebbero andati con lui. Dubbie erano, invece, le
motivazioni per cui anche David si era unito a loro, ma Sebastian
immaginò che, a conti fatti, non gliene importava
granché.
«Siamo arrivati» annunciò Flint dopo
quelli che parvero secoli di viaggio.
Sebastian scese dalla macchina, stringendosi nel giubbotto nel
constatare che, con quel freddo, era ovvio che la neve non si fosse
ancora sciolta. Gli altri arrivarono dopo qualche minuto e, una volta
che si furono riuniti, David propose di raggiungere subito la stazione
sciistica per evitare di perdere ulteriore tempo.
Sebastian si sentiva un pinguino all’equatore. Non si era mai
mostrato molto amichevole con loro, tant’è vero
che adesso non sapeva bene come comportarsi. Sapeva solo che aveva
bisogno di parlare con Thad e che, fino a che le sue guardie del corpo
avessero vigilato su di lui, gli sarebbe stato impossibile farlo.
Sterling stava ciarlando di qualche scemenza, come suo solito, ed era
snervante vedere come Duvall e Nixon gli dessero sempre retta senza
riserve.
«E se la prossima volta andassimo in un posto
caldo?» Propose Nixon all’improvviso.
Sebastian roteò gli occhi.
«Nessuno ti ha obbligato a venire, Trent» gli
ricordò Jeff.
Thad rise e Nick si passò una mano sulla faccia, sconsolato.
«Sarei dovuto rimanere da solo a scuola di sabato!»
Ribatté, indignato, quello.
«L’Accademia non ha solo dieci studenti,
sai?» Gli fece notare Flint.
Quello sbuffò. «Ma si dia il caso che quelli
più interessanti sono qui.»
«Stai cercando di comprarci?» Domandò
Nick, alzando un sopracciglio.
«Sta assolutamente cercando di comprarci» rispose
Thad. Sebastian ridacchiò nell’osservare il modo
in cui sembrava così perfettamente inserito in quella
situazione. Avere quindici fratelli era meglio che non averne nessuno,
ragionò. Forse Harwood non aveva tutti i torti, dopotutto.
«Tanto non ti portiamo al bioparco»
chiarì David, aprendo la porta della piccola struttura al
limitare della pista da scii e permettendo agli altri di entrare.
Trent mise il broncio. «Posso andarci anche da
solo.»
«L’ultima volta non ne eri così
convinto» ricordò Flint, ottenendo immediatamente
l’appoggio di Sterling.
«Vero» concordò quest’ultimo,
«non so ancora come tu abbia fatto a litigare con quella
papera.»
Sebastian sgranò gli occhi. No, forse aveva capito male:
nessuno poteva essere così idiota.
«In realtà credo che fosse la papera ad aver
litigato con lui» suppose Thad.
Le signorine al bancone consegnarono loro l’attrezzatura da
sci che avevano affittato e così la conversazione si
spostò dall’accogliente ingresso
dell’edificio in legno, agli spogliatoi sterili e
monocromatici.
Continuarono a chiacchierare come se nulla fosse accaduto, depositando
borse e giacche e indossando guanti e cappelli. A quanto aveva capito
Sebastian, i proprietari della stazione sciistica erano parenti di
Ethan, il che voleva dire che tutto ciò che avevano
affittato non gli era costato un dollaro.
«Ho solo provato a darle da mangiare»
spiegò Trent, litigando con uno scarpone, «mi
è sembrato poco carino il modo in cui mi ha…
azzannato.»
«Dubito che le papere abbiano le zanne»
«E dubito che le papere gradiscano i panini al chili e salame
piccante.»
Sebastian ridacchiò, scuotendo il capo: il clima che si
respirava in quella stanza era talmente leggero e tranquillo che per un
attimo, ma solo per un attimo, si pentì di aver sempre
dubitato della buona compagnia degli Warblers. Alzò lo
sguardo, prestando marginale attenzione alle giustificazioni che
adduceva Trent e cercando Thad con gli occhi.
Era seduto accanto a James, le guance arrossate e il cappello calato
sulla fronte. Sebastian non ebbe il tempo di domandarsi, per
l’ennesima volta, se conservasse qualche ricordo della sera
precedente, che quello alzò lo sguardo spazzando via
qualunque suo dubbio.
«La prossima volta eviterò di essere
gentile» borbottò Trent.
«La prossima volta sarà lei a fare una visita
turistica alla Dalton» ipotizzò Sebastian, lo
sguardo fisso ancora su Thad, «visti gli esemplari che la
popolano.»
Ebbe la vaga impressione che si stesse per scatenare uno scontro senza
precedenti sulla sua poca predisposizione al dialogo civile, ma
fortunatamente Flint richiamò tutti all’ordine
precedendoli fuori dagli spogliatoi.
Sebastian si appuntò mentalmente di evitare di smarrirsi
nuovamente negli occhi liquidi e profondi di Harwood per scongiurare
eventuali conflitti internazionali causati dalla leggendaria ironia
made in Smythe.
Forse.
Forse farlo non sarebbe stato semplice quanto dirlo.
Mezz’ora dopo, Sebastian si ritrovò
inspiegabilmente a dare ragione a Trent: faceva freddo, faceva
maledettamente freddo.
La seggiovia, che li aveva portati fino in cima, aveva rifatto il giro
completo un numero imprecisato di volte e loro erano ancora
lì. A quanto pareva, nessuno era poi così
desideroso di iniziare la discesa.
Se ne stavano tutti al limitare del pendio, spronandosi a vicenda a
lanciarsi di sotto e stringendo convulsamente chi lo snowboard e chi le
racchette da scii.
«D’accordo» esordì James con
fare spavaldo, «Fatevi da parte che vi mostro come si
fa.»
«Sì» ridacchiò Flint,
«a rompersi tutti i legamenti.»
James gli fece una smorfia e Jeff gli batté una mano sulla
spalla. «Facci vedere, campione» ghignò.
Il ragazzo si mise in posizione, facendo la linguaccia a Flint e
dandosi la spinta con le racchette, dopodiché si
lasciò scivolare giù. Gli altri lo osservarono
fare un lieve slalom nel nulla e poi fermarsi molto poco elegantemente
più a valle.
Trent batté confusamente le mani, perdendo la presa sulle
racchette e rischiando di perdere l’equilibrio.
Fortunatamente Nick e David erano lì vicino per sorreggerlo.
«Dio, Nixon, sei un pericolo pubblico»
constatò Sebastian.
«Perdonaci se non siamo tutti aggraziati e leggiadri come
te» ribatté quello, riacquistando
stabilità.
Sebastian agitò le mani con fare ovvio. «Sei
scusato» concesse.
Flint cedette il posto a David, così quest’ultimo
poté seguire lo stesso percorso di James verso la valle e
spianare ulteriormente la strada a Nick e Ethan che si lanciarono
immediatamente dopo.
Sebastian ebbe come l’impressione che Flint fosse rimasto
lì in cima per supervisionarli ed estinguere eventuali
battibecchi causati dalla sua presenza insieme a Sterling e Nixon, ma
non ebbe modo di fargli notare di non aver bisogno della balia,
perché fu distratto da altro.
L’occasione giusta.
Il momento giusto e il posto giusto. Forse le persone non erano
esattamente le più adatte, ma i numeri erano dalla sua parte
e tre piaghe erano decisamente meglio di sette.
Thad se ne stava un po’ in disparte e fissava diffidente la
pista, stringendo le mani intorno alla liscia superficie dello
snowboard perché – a detta di Ethan
– “se sei un principiante, è
meglio che inizi con lo snowboard”.
Sebastian piantò il suo nella neve e si avvicinò
silenziosamente a lui da dietro. Quando gli fu abbastanza vicino,
avvolse le braccia intorno al suo collo, facendo aderire la sua schiena
al proprio petto. Lo sentì sussultare a quel contatto
inaspettato e, senza rendersene conto, mormorò un
«Sono io» direttamente al suo orecchio.
Thad era piccolo, notò Sebastian, era piccolo anche con
tutti quegli strati di stoffa e piume addosso.
Si tranquillizzò, nonostante Sebastian avvertisse
distintamente il suo cuore battere frenetico contro il suo.
Sterling e Nixon erano troppo occupati a decidere chi dovesse essere il
prossimo, per prestare attenzione a loro, e Flint era apparentemente
preso dalla loro infantile discussione e non sembrava preoccuparsi
degli strani movimenti alle sue spalle.
Sebastian non sapeva come spiegarsi quell’insensato bisogno
che aveva di sentirlo lì, reale e concreto, in quel momento.
Seppe solo che, senza poter fare nulla per impedirlo, le sue labbra si
mossero fino a trovare la pelle sensibile del collo di Thad, il suo
naso ad accarezzargli la mascella fredda e arrossata.
«Sebastian» la decisione nella sua voce era solo
apparente. Il ragazzo se ne convinse per evitare di doversi
interrompere contro la sua volontà.
Thad piantò il suo snowboard nella neve, portando le mani
alle braccia di Sebastian, ancora intorno al suo collo, e respirando
profondamente.
«Sebastian» ripeté, «che cosa
stai facendo?»
Quello rise contro la sua pelle. «Mi sembra piuttosto ovvio,
Harwood» rispose.
«No» proseguì l’altro.
«Intendevo, cosa stai facendo… con me?»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Credevo ti
facesse piacere» ragionò, stringendo la presa su
di lui. Perché tutte quelle domande? Dio, non poteva solo
tacere e lasciargli fare?
«A me sì» puntualizzò Thad,
«ma a te?»
Sebastian non poté impedirlo: prima di rendersene conto,
Thad si era voltato nel suo abbraccio ed ora reggeva il suo sguardo
esattamente come aveva fatto la sera prima.
E certo che gli faceva piacere, altrimenti non avrebbe portato avanti
tutta quella farsa, no?
Thad abbassò il capo, forse fraintendendo il silenzio
dell’altro.
«Non credo di essere pronto a diventare il tuo “amico
speciale”» chiarì, la voce
appena udibile.
E Sebastian sorrise, sconclusionatamente e senza una ragione precisa.
Rise e basta.
«Siamo mai stati realmente amici, Thaddy?»
domandò, sornione.
L’altro aggrottò la fronte e aprì la
bocca per ribattere, ma Sebastian glielo impedì.
«Credo che avrebbe dovuto essermi chiaro fin
dall’inizio» spiegò, una sicurezza nella
voce che non sentiva affatto, «che tra noi sarebbe sempre
stato o tutto o niente.»
Avvertì Thad immobilizzarsi e si perse, momentaneamente, a
studiare il suo respiro che si condensava tra i loro volti vicini.
«Ti sembra così strano che io adesso voglia
tutto?»
E divenne improvvisamente reale non appena lo disse.
Boccheggiò, nel realizzare, da un momento
all’altro, di poter avere chiunque, ma di volere lui. Ogni
cosa di lui.
E non avrebbe chiesto, non avrebbe aspettato permessi che sarebbero
comunque giunti. Non stavolta e non in quel momento.
Aveva voglia di baciarlo e fu esattamente quello che fece.
Era stato più semplice lasciarsi andare dopo.
Sebastian si sentiva più leggero e lo snowboard non faceva
più così tanta paura. Si era ritrovato a ridere
insieme agli altri alla ridicola caduta di Trent, a lasciar passare il
pupazzo di neve di dubbio gusto costruito da Sterling e Duvall che
“non è esattamente uguale a Sebastian?”
e a mostrarsi più indulgente riguardo la loro idiozia
galoppante.
Si strinse nel giubbotto, maledicendo quel freddo che gli stava
congelando il cervello e intirizzendo le ossa. Non vedeva
l’ora di lasciarsi avvolgere dal piacevole tepore dello
chalet e mettere sotto i denti qualcosa di caldo e ricostituente.
«Smythe, se non ti muovi ad entrare, tra un po’
dovremmo amputarti qualche arto.»
Sebastian voltò lo sguardo alla sua destra, anche se quella
voce era inconfondibile.
«Sterling, dove hai lasciato la tua amorevole
metà?»
Jeff rise. «Suppongo sia insieme alla tua.»
Sebastian gli riservò un’occhiata capace di
sciogliere la neve circostante, ma quella non doveva essere la sua
giornata fortunata, dal momento che non ebbe l’effetto
sperato.
Jeff inarcò un sopracciglio. «Puoi darla a bere a
chiunque, ma io li ho gli occhi, sai?»
«Perché ti stai comportando come se il tuo parere
mi interessasse?» Volle sapere Sebastian.
L’altro scrollò le spalle.
«Perché so che è
così.»
«Brutti scherzi che gioca il freddo, eh?»
Jeff non rispose, ma si limitò a lanciargli
un’occhiata alla come-vuoi-tu. Continuarono a camminare
l’uno accanto all’altro, ma Sebastian non gli stava
prestando molta attenzione.
«Ci tiene davvero a te» esordì Jeff,
poco dopo. «Per cui cerca di non fare stronzate o ti
garantisco che verrò a prendere a calci il tuo francesissimo
culo in qualsiasi parte del mondo tu sia.»
Sebastian rise amaramente. «Credi di spaventarmi,
Sterling?» Ghignò. «Mi sembra di averti
appena fatto notare che ciò che pensi tu non è di
mio interesse.»
E Jeff rise di nuovo e Sebastian ebbe davvero voglia di prenderlo a
pugni per quell’ilarità gratuita.
«Dici tante cazzate» iniziò Jeff,
«ma tanto lo so che anche tu tieni a lui allo stesso
modo.»
L’altro sbuffò ironicamente. «Quanta
saggezza» constatò, «dovresti farti
Duvall più spesso: ti rende docile e quasi
piacevole.»
«Lascia Nick fuori da questa conversazione» lo
ammonì Jeff.
Sebastian roteò gli occhi. «Non
c’è bisogno di marcare il territorio: è
tutto tuo.»
Per un po’ nessuno parlò e l’unico
rumore fu quello sommesso dei loro passi che si infrangevano nella neve.
«Non credevo che fossi capace di mettere qualcuno al primo
posto» confessò Jeff, la voce seria e lo sguardo
dritto davanti a sé. «Mi hai sorpreso, lo
ammetto»
Sebastian aprì la bocca per ribattere ma, proprio quando era
sul punto di intimargli di farsi gli affari suoi, un altro pensiero si
sostituì al primo.
«Che cos’hai detto?» Domandò,
cautamente.
Jeff si morse un labbro. «Che mi hai sorpreso»
ripeté.
Sebastian sbuffò. «La parte prima,
Sterling» puntualizzò.
Jeff aggrottò la fronte. «Mi hai chiesto di
aiutarlo per il compito» spiegò,
«è stato carino da parte tua. Non lo avrei mai
detto.»
E non poteva essere quello. Sebastian si ripeté mentalmente
che non era assolutamente quella la ragione e che, soprattutto, la
soluzione non poteva essergli giunta dalla brutta copia di Zac Efron.
Mettere qualcun altro al
primo posto.
Dio, era così semplice?
Non che ci si fosse impegnato particolarmente, insomma. Alla fine era
stato anche piuttosto naturale fare qualcosa per Thad. Se lo meritava e
Sebastian lo sapeva.
Poteva arrivarci prima, però. Si sarebbe risparmiato
numerosi mal di testa e, forse, la sua salute mentale ne avrebbe anche
giovato.
Con Jordan ci era anche andato particolarmente vicino, ma forse in
quell’occasione la sua buona azione non era stata del
tutto… disinteressata, ecco.
«Comunque gliel’ho detto.»
La fastidiosa voce di Sterling lo richiamò prepotentemente
dai suoi pensieri.
«Di che accidenti stai parlando?» lo
interrogò Sebastian.
Jeff scrollò le spalle. «Io e Nick abbiamo deciso
di dirgli che stiamo insieme, quindi tu non avevi più
motivazioni valide per ricattarmi.»
Sebastian sgranò leggermente gli occhi.
«Tu… cosa?»
Quello non era decisamente previsto.
E il ghigno sul viso dell’altro non prometteva nulla di
buono. «Che sarà mai»
ridacchiò, «è stato un gesto carino,
è giusto che lo sappia.»
«Tu» iniziò Sebastian, le mani strette a
pugno e la salivazione azzerata. Sterling non era affidabile, avrebbe
dovuto saperlo che a contare su di lui non ne avrebbe ricavato che
rogne.
E, intanto, le cose da giustificare a Thad aumentavano a dismisura.
Ma andava bene così: si sarebbe tranquillizzato, avrebbe
mangiato ed avrebbe impedito a chiunque di rovinargli quella giornata
di meritato e guadagnato riposo.
Intanto, Sterling era comunque un uomo morto, ma forse la sua
esecuzione poteva essere rimandata di un paio di giorni.
Avevano pranzato continuando a ridere, scherzare e, occasionalmente,
anche cantare. Sembrava che ogni parola o frase richiamasse alla mente
esilaranti ricordi e imbarazzanti aneddoti e Sebastian si era
più volte domandato come aveva potuto pensare, anche solo
per un attimo, che quelle fossero persone normali. Non lo erano per
nulla.
Erano una folle e psicopatica manica di cretini e lui, per dei motivi
che avrebbe approfondito in seguito, si era trovato inspiegabilmente a
farne parte.
Trent aveva vinto il premio del "Miglior cazzaro della
giornata”, vista la quantità di idiozie che era
riuscito a sparare in neanche due ore, e Sterling e Duvall erano
finalmente usciti allo scoperto. Thad li aveva guardati per un attimo e
poi aveva scrollato le spalle con un'espressione alla
tanto-lo-sapevo-già. Jeff aveva sorriso e lo aveva
abbracciato e Sebastian si era ritrovato ad invidiare profondamente il
rapporto che li legava.
Non riusciva a definire "idiota" il modo in cui il biondo aveva
acconsentito a mantenere il segreto con il suo miglior amico,
nonostante questo gli causasse indicibili sensi di colpa e lo facesse
obbiettivamente stare male.
Probabilmente, Thad stava già passando un brutto periodo a
causa sua e i suoi migliori amici non volevano che la loro gioia gli
fosse motivo di ulteriori pensieri e, perché no, invidia.
Era quello che voleva dire mettere al primo posto qualcuno.
Qualcuno oltre te, a cui tieni come a te stesso e per cui vuoi fare
qualcosa a tutti i costi. Senza ricevere nulla in cambio, senza bisogno
che l'altro lo sappia, ma solo perché ti va e
perché ne senti il bisogno.
Sebastian non credeva di essere in grado di comportarsi in tale
maniera, eppure, stando a quello che gli aveva detto Jeff, era proprio
quello che aveva fatto e non riusciva a biasimarsi.
E ci erano voluti solo numerosi mal di testa e una mini-Odissea in
stile Christmas Carol per farglielo capire. Bene.
Però adesso Thad era di fronte a lui, Jeff gli teneva un
braccio intorno alle spalle e confabulava con lui di chissà
quali avvenimenti esaltanti. Ridacchiavano e si spintonavano, Sterling
si allungava a baciare Duvall sulle labbra e poi tornava immediatamente
dal suo migliore amico che scuoteva il capo rassegnato ma divertito.
E Sebastian rideva, sentendosi appena un po’ più
stupido.
"Mi raggiungi fuori?
Senza mammina e papino possibilmente. - S"
Sebastian aveva deciso di allontanarsi quando Ethan aveva domandato a
Nick e Jeff come avevano capito di voler stare insieme. Era una storia
che non gli interessava e che sapeva avrebbe sentito in tutte le salse
tante altre volte. Il suo benessere psicologico veniva prima di tutto
il resto.
Quella giornata si stava rivelando più rilassante e
tranquilla del previsto e Sebastian si era ritrovato a ringraziare
mentalmente Thad per aver insistito così tanto
affinché lui andasse.
«Ehi» la sua voce lo richiamò dai propri
pensieri, facendolo voltare e incontrare il suo sguardo.
Sorrideva serafico, stretto nella felpa, sull'uscio della porta del
piccolo disimpegno nel quale si trovava Sebastian. Aveva pensato di
uscire un po’ all'aria aperta, ma faceva davvero troppo
freddo, così il posto più lontano dalle
chiacchiere dei Warblers che era riuscito a trovare era un microscopico
salottino accanto all'ingresso dello chalet nel quale stavano
alloggiando.
«Ci hai messo un po’» constatò
Sebastian.
Thad rise. «Mica mi hai detto dov'eri?» gli fece
notare.
Sebastian scrollò le spalle, muovendo qualche passo verso di
lui e vedendolo arretrare fino a toccare il muro.
«Perché scappi?» ghignò.
Thad fece una smorfia. «Non sto scappando, mi sto mettendo
comodo.»
«Possiamo sederci, se vuoi.»
E Sebastian non voleva suonare così suadente, ma l'idea di
lui e Thad seduti sullo stesso divano in una stanza vuota mandava
sensazioni differenti e contrastanti in più parti del suo
corpo che non sapeva come affrontare e gestire.
L'altro parve pensarci un po’ su, poi annuì e si
allontanò da Sebastian, lasciandosi cadere sull'unico divano
presente nella stanza. Quello lo fissò un attimo, cercando
di allontanare dalla mente le immagini poco caste che la affollavano e
che comprendevano lui, Thad e una qualsiasi superficie piatta,
dopodiché, sospirò e andò a sedersi
accanto a lui. Thad sembrava di buon umore, notò.
Ridacchiava fievolmente, umettandosi le labbra di tanto in tanto e
spostando lo sguardo su qualunque cosa non fosse Sebastian. Sembrava
che si stesse sforzando di non ridere e Sebastian non riusciva a
comprendere il motivo di quella improvvisa ilarità.
«E, di grazia» sbuffò,
«cos’è che ti fa tanto ridere?»
Thad si voltò a guardarlo. Erano talmente vicini che
Sebastian si stupì di non aver ancora approfittato di quella
vicinanza e mandato all’aria ogni suo buon proposito.
Quello si morse un labbro. «Tu» rispose
semplicemente, ma poi, al repentino mutare dell’espressione
di Sebastian, si affrettò ad chiarire
«Cioè, questa situazione»
specificò.
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Devo continuare
a tirarti le parole dalla bocca con le pinze, oppure ti spieghi da
solo?»
Thad si mosse a disagio sul divano. «Non
fraintendermi» lo avvertì subito, «sono
felice di riuscire a stare… così con
te.»
«Così»
ghignò Sebastian, «seduti sullo stesso divano e
senza che io provi a strapparti i vestiti da dosso?»
Sorrise nel vedere il rossore spandersi sulle guance di Thad e,
inconsciamente, si ritrovò ad avvicinarsi maggiormente a
lui. Thad sospirò, incrociando il suo sguardo e facendo una
smorfia.
«È questo il problema»
puntualizzò, «come siamo arrivati a… a
questo in appena due giorni?»
E Sebastian lo sapeva che Thad meritava una spiegazione più
adeguata e soddisfacente ma, nonostante tutto, non si sentiva in grado
di fornirgliela. Né in quel momento e né, forse,
mai.
«Cosa vuoi che ti dica?» si ritrovò a
sussurrare, «Credevo che certe cose fosse meglio dimostrarle,
invece che esporle a parole.»
Non era pratico di quel genere di rapporti. Poteva basarsi solo sul
sentito dire e su una vasta gamma di cliché e luoghi comuni
inconsistenti e sterili.
Thad parve pensarci un po’ su; si accomodò meglio
sul divano, incrociando le mani nella tasca della felpa.
«È inutile che fai il finto tonto,
Harwood» lo ammonì Sebastian, seccato,
«so benissimo che Sterling ti ha raccontato tutto.»
Se Thad stava fingendo, Sebastian si appuntò mentalmente di
fargli recapitare un Oscar per la perfetta performance.
«Tutto cosa?» Domandò aggrottando la
fronte.
Sebastian roteò gli occhi. «Di me che gli chiedevo
di aiutarti a ripetere per il compito.»
Nel caso in cui Sebastian avesse ancora avuto qualche dubbio circa la
sincerità di Thad, in quel momento, la palese sorpresa
dipinta sul suo viso lo costrinse a credere alla sua buona fede.
«Sei stato tu?»
«Dio, non ne sapevi nulla?» E non era una domanda,
Sebastian non aveva bisogno di una risposta per sapere che avrebbe
decisamente dovuto trovare un modo per far passare a Sterling la voglia
di fare lo spiritoso.
Thad scosse il capo e Sebastian avrebbe davvero voluto sapere cosa gli
passava per la testa in quel momento.
«Io» iniziò incerto,
«cioè, suppongo di doverti ringraziare.»
Sebastian fece una smorfia. «Non lo so»
constatò, «immagino che il viver civile e le buone
maniere lo suggeriscano, sai?»
«Ma io non capisco» sbottò Thad,
improvvisamente, e Sebastian si ritrovò a pensare che magari
se lo avesse baciato fino a morire, poi non avrebbe avuto
più tutta quella voglia di parlare.
«Sentiamo» lo invitò sinteticamente a
continuare.
Thad scrollò le spalle. «Insomma»
mormorò, «fino a qualche giorno fa non potevo
aprire bocca senza che tu mi insultassi o prendessi in giro, non
passavi giorno senza darmi addosso e senza impegnarti al massimo per
rendermi la vita un inferno e, davvero, per un po’ ho creduto
che volessi sceglierla come professione perché sembravi
divertirti proprio tanto» tacque, prendendo un profondo
respiro e abbassando lo sguardo, «e poi… questo
e… e io non so come devo comportarmi.»
Sebastian si morse un labbro. Non sapeva bene come rispondere e come
giustificare quel repentino cambiamento di atteggiamento nei suoi
confronti. Era stato tutto troppo… avventato ed improvviso e
non riusciva a rendersi conto di quanto davvero sembrasse immotivato.
«Io» provò a spiegare, «volevo
solo… sentirti,
cazzo» buttò fuori, «sembrava che quello
fosse l’unico modo per averti un po’ per
me.»
E forse non voleva essere così sincero, ma non appena le
parole lasciarono le sue labbra, Sebastian si stupì di
quanto sembrassero reali e di quanto, probabilmente, era sempre stata
quella la verità.
Sentì distintamente Thad trattenere il respiro e si
compiacque per quella piccola ma significativa conquista.
«Un po’ bizzarro come modo»
considerò il ragazzo, la voce che tremava appena.
Sebastian gli rivolse la sua migliore occhiata scettica. «Non
mi pare che il risultato ti dispiaccia» gli fece notare.
Thad rise. «Sarebbe carino se tu provassi a farmi sentire
meno scemo, sai?»
«Per quanto io sia onnipotente, Thaddy, certe cose non si
possono proprio evitare» ribatté Sebastian. Era
una situazione insolita perché vi era quella strana
elettricità nell’aria che non sapeva come
classificare ma che non era affatto spiacevole. Se ne stavano seduti su
quel divano, talmente vicini da rendere impossibile stabilire dove
finisse Sebastian ed iniziasse Thad, a parlare di sentimenti e cose
stupide come se fosse la cosa più naturale del mondo.
«Lo sospettavo» sospirò Thad.
«Allora magari torniamo di là?»
Sebastian piegò un labbro, abbozzando un sorriso.
«Perché, a confronto con gli altri ti senti
più intelligente?»
«No» considerò Thad,
«perché sono veramente ansioso di scoprire i
dettagli della struggente storia d’amore di Nick e
Jeff.»
«Struggente e inaspettata» puntualizzò
Sebastian.
Thad si alzò in piedi. «Soprattutto
quello» concordò.
Sebastian lo raggiunse, continuando a sorridere e infilandosi le mani
nelle tasche. «Magari potrebbe essere divertente.»
Sarà, ma, mentre seguiva Thad fuori dalla sala, ebbe
l’impressione che, da quel momento in poi, parecchie cose gli
sarebbero sembrate divertenti.
Sebastian aveva perso la cognizione del tempo. Sapeva solo che il cielo
fuori dalle finestre si era fatto scuro e che presto il suo
fondoschiena avrebbe assunto la forma della poltrona su cui era seduto
da, quanto?, due ore?, non ne aveva idea.
Dopo pranzo, la voglia di ritornare in pista era scemata lentamente ed
avevano tutti preferito riunirsi nel salottino e riposarsi davanti a un
paio di cioccolate calde ed un camino acceso.
«No, più in basso.»
Sebastian alzò lo sguardo. Jeff condivideva una poltrona con
Trent. Quest’ultimo reggeva il cellulare tra le mani e ne
fissava lo schermo con ferma concentrazione.
«Jeff, maledizione, questo coso è
stupido» borbottò.
Sterling si chinò su di lui. «No, non lo
è» si difese. «Punta qui»
suggerì indicando un punto sul display.
Nick sedeva sul bracciolo e lanciava sguardi divertiti ai due,
chiacchierando di tanto in tanto con Thad, seduto sul divano
lì accanto.
Sebastian si rigirò la tazza tra le mani, accoccolandosi
maggiormente e cercando di combattere quella improvvisa stanchezza che
lo aveva colto a tradimento.
«Te lo avevo detto!» Il grido esultate di Sterling
lo riscosse dal suo stato di torpore.
«Si è mosso il coso di vetro?»
Domandò David, sinceramente divertito.
Jeff annuì soddisfatto e Sebastian si svegliò
definitivamente.
«Solo a te poteva piacere un gioco tanto idiota»
intervenne Ethan, scuotendo il capo.
«Ma no» concesse James, «neanche a me
dispiace, ma quella di Jeff credo sia una deformazione
mentale.»
«Ehi!» Si risentì Jeff. «La
smettete di parlare come se io non fossi qui?»
«Oh, ma noi sappiamo perfettamente che tu sei qui»
precisò Thad.
«È per questo che parliamo
così» gli diede man forte Flint.
Sebastian roteò gli occhi, non potendo impedire a se stesso
di sorridere. Sorriso che però gli scomparve del tutto dal
viso non appena Sterling parlò di nuovo.
«Non siate così cinici» disse,
«Angry Birds è un gioco di tutto
rispetto» dichiarò solenne.
Sebastian sbatté un paio di volte le palpebre. No, doveva
aver decisamente capito male.
«Angry Birds?» Volle accertarsi, sotto shock. Dio,
aveva passato giorni a scervellarsi e a domandarsi di cosa diavolo
stesse parlando e la risposta non poteva essere così...
deficiente. No, quello era troppo anche per il platinato.
Jeff annuì. «Vuoi provare?» Propose con
voce suadente.
Sebastian sbuffò. «Cosa ti fa pensare che io
voglia perdere tempo con giochetti così infantili?»
«Secondo me non sei capace» suggerì
cautamente Ethan.
«O forse sai di non poter eguagliare il record di
Jeff» annuì Flint.
Il diretto interessato roteò gli occhi. «O forse
semplicemente non mi va» ironizzò, un sorriso
compiaciuto in viso.
«O forse hai solo paura di perdere.»
Sebastian rivolse a Jeff un'occhiata particolarmente omicida.
«Ripetilo» scandì lentamente.
«Ho detto» ghignò Jeff. «Che
probabilmente hai paura di non riuscire a battere me.»
Un coro di patetici "ohhh" si levò dagli altri Warblers.
Sebastian si leccò un labbro. «Mi stai sfidando,
Sterling?»
Quello, in tutta risposta, fece una smorfia. Una sfida era pur sempre
una sfida. Anche se patetica e non nel suo stile.
«A quanto pare sì» si intromise Nick.
Trent batté le mani festante. «Vogliamo vedere il
sangue!» Si esaltò.
«Disse colui che sviene durante i prelievi»
sghignazzò Thad.
«Per cortesia, Nixon» intervenne James,
«nessuno di noi ha intenzione di portarti al pronto
soccorso.»
«Dal momento che il più vicino è
praticamente a Westernville.»
Trent ridacchiò, per nulla turbato da quelle bonarie prese
in giro e Sebastian si ritrovò a pensare che le cose erano
due: o era un imbecille, oppure gli voleva davvero tanto ma tanto bene.
«Ci stai, Smythe?» Lo sfidò Sterling.
«Io contro di te.»
Sebastian ci pensò un po’ su. «Che ci
giochiamo?» volle sapere.
«La virilità» suggerì
qualcuno.
«Allora Jeff ha già perso»
dichiarò Flint.
«Ehi!» lo ammonì Nick. «Bada a
come parli al mio ragazzo!»
Sterling sorrise, tuffandosi, letteralmente, sulla bocca di Duvall e
impedendo a entrambi di parlare per qualche secondo.
«Gente, prendetevi una camera» propose David.
«Siete disgustosi.»
«È tutta invidia.»
«Chi perde eviterà di mettere il naso degli affari
dell'altro» stabilì Jeff, una volta separatosi da
Nick.
E l'occhiata eloquente che gli rivolse, unita al sorriso complice che
gli regalò Thad, suggerì a Sebastian che
sì, quella situazione era decisamente allettante.
«A noi due, biondina.»
Il paesaggio scorreva sbiadito e monotono attraverso il finestrino
dell’auto. Sebastian stava cercando di rimanere sveglio, ma
l’andamento regolare del veicolo e le luci soffuse
dell’autostrada, non contribuivano a rendere fattibile tale
intento.
Alla fine, la giornata non era stata per nulla da dimenticare. Certo,
magari un po’ delirante e sicuramente diversa dal solito, ma
si erano divertiti tutti e Sebastian dovette ammettere a se stesso di
essere stato bene.
Non vi era un modo carino per accertarlo, eppure lui si rendeva conto
di voler davvero provare a far parte di quella famiglia. Certo,
rimanendo comunque il Sebastian Smythe a cui tutti erano abituati, ma
provando ad… andare in contro a quel fastidioso bisogno di
avere qualcuno intorno che ogni tanto lo coglieva impreparato.
Il silenzio riempiva l’abitacolo dell’auto e
Sebastian sospirò, posando il capo al poggiatesta dietro di
sé e chiudendo gli occhi.
Si era ritrovato nella “macchina divertente”. Non
sapeva ancora bene come, ma qualcosa gli diceva che ci fossero Chris
Martin e Gwyneth Paltrow dietro quell’improvviso cambiamento.
Fatto sta che adesso lui era insieme a Duvall e compari e David era in
macchina con Flint.
Che poi, macchina divertente…
Eccezion fatta per Nick che era alla guida, erano crollati tutti, uno
ad uno, ed ora il massimo divertimento consentito era contare i segnali
stradali o le auto blu.
D’un tratto, poi, accaddero più cose
contemporaneamente. L’auto frenò leggermente,
Duvall imboccò una curva in maniera poco aggraziata e
Sebastian si ritrovo la testa di Harwood sulla spalla.
Trattenne il fiato, analizzando velocemente la situazione e valutando
se spostarlo o meno. Dall’altra parte, Nixon dormiva beato,
la bocca leggermente schiusa e la testa poggiata scompostamente al
finestrino.
Sebastian si sforzò di trovare fastidioso quel peso
innaturale, eppure, nonostante le ragioni ci fossero tutte, non
riusciva a considerare spiacevoli i capelli di Thad che gli
solleticavano il collo o il suono del suo respiro regolare
così vicino al suo.
Rimase immobile, non sapendo cosa fare e stando attento a non compiere
movimenti bruschi per evitare di svegliarlo.
Un Thad Harwood addormentato era incredibilmente peggio di un Thad
Harwood sveglio. Almeno per il delicato autocontrollo di Sebastian.
«Non si sveglierà.»
La voce di Duvall lo riportò nuovamente alla
realtà e Sebastian si ritrovò ad incrociare i
suoi occhi attraverso lo specchietto retrovisore.
«Ha il sonno pesante» proseguì quello,
«credo che potrei anche dare fuoco all’auto e Thad
continuerebbe a dormire come se il fatto non lo riguardasse.»
Sebastian piegò un angolo della bocca in una parvenza di
sorriso e tornò a concentrarsi sul panorama alla sua
sinistra. Quel ragazzo, forse, non avrebbe mai smesso di sorprenderlo.
Per un po’ nessuno parlò e Sebastian
iniziò a sentire gli occhi pesanti e il sonno ripresentarsi
con prepotenza.
«Sebastian» proruppe Nick all’improvviso,
«io lo so che ci tieni a lui-»
«Risparmiami la paternale» lo interruppe
l’altro, «ci ha già pensato tua
moglie.»
Duvall ridacchiò, gettando uno sguardo adorante al compagno
addormentato al suo fianco.
«Jeff magari ha dei modi un po’… inappropriati»
concesse, «ma ti garantisco che è animato dalle
migliori intenzioni.»
Sebastian sbuffò. «Certo, farmi girare le palle.
Ci riesce benissimo.»
Avvertì il sospiro avvilito di Nick e roteò gli
occhi, preparandosi alla sfuriata che avrebbe seguito il
“come hai osato offendere il mio amorino
cicci-picci”. Era maledettamente frustrante.
«Jeff e Thad sono amici da un tempo infinito,
Sebastian» riprese, «non puoi davvero pensare che
lui ti conceda il suo beneplacito senza essersi prima accertato delle
tue intenzioni.»
«È questo il problema, Duvall»
chiarì Sebastian, «non ho bisogno del suo
lasciapassare e non aspetterò certo di averlo. Se Harwood
è quello che voglio, me lo prendo.»
Tacque, metabolizzando il significato di quelle parole e attendendo che
anche Nick facesse altrettanto. Era indubbiamente la verità,
ma non avrebbe voluto essere così brusco nel buttarla fuori.
«Lo vuoi?» Domandò l’altro.
Sebastian si morse un labbro. «Io.. sì»
confessò. «E lui vuole me, quindi, cortesemente,
evita di farmi notare quanto io sia egoista e prepotente.»
«Non era mia intenzione farlo» negò
Nick, «so perfettamente che Thad è interessato a
te, Sebastian. Siamo i suoi migliori amici, ricordi?»
L’altro sospirò pesantemente. «E allora
perché stiamo ancora qui a parlarne?»
«Perché sono mesi che Thad ti muore
dietro» spiegò, incrociando nuovamente il suo
sguardo, «ma tu non hai mai mostrato di essere interessato a
lui. Perdonaci se la cosa ci ha sorpreso.»
Sebastian non rispose, si limitò ad abbassare il capo ed
incontrare i lineamenti delicati di Thad. Forse era vero, stava
sbagliando tutto con lui. Thad era esattamente il suo opposto, non
avrebbero mai potuto costruire nulla di concreto con quelle basi.
«E comunque» continuò Nick,
«per quello che può valere, ce
l’hai.»
L’altro sbatté un paio di volte le palpebre,
perplesso. «Cosa?»
Nick ridacchiò. «L’approvazione di Jeff.
E anche la mia.»
Sebastian si morse l’interno della guancia per non ridere.
«Credevo di averti detto che me ne infischio di quello che
pensate voi.»
Non poteva vederlo in viso, dal momento che era seduto dietro di lui,
ma Sebastian era sicuro che in quel momento l’espressione di
Nick comprendesse un enorme sorriso compiaciuto.
«Lo hai fatto, è vero»
argomentò sapientemente, «ma sappiamo entrambi che
in realtà muori dalla voglia di sentirti dire che le cose
tra voi possono funzionare.»
«Quanta saggezza» borbottò Sebastian.
«Dovresti fare il moralizzatore, sai? Pagano bene.»
Nick scosse il capo e Sebastian si sentì inspiegabilmente
più sollevato. Forse si stava solo facendo troppi problemi.
Thad continuava a dormire contro la sua spalla e Sebastian si chiese
come sarebbe stato passargli un braccio dietro alla schiena e attirarlo
a sé.
Fu innaturalmente semplice farlo. Sentire la consistenza del corpo di
Thad contro il proprio e avere la certezza di essere nel posto giusto
al momento giusto. Forse Thad non se ne sarebbe neanche accorto, ma non
appena Sebastian gli cinse il braccio intorno alla vita e
avvertì l’altro mugugnare soddisfatto, seppe che
un’altra cosa era finalmente andata a posto.
Alzò lo sguardo allo specchietto retrovisore, incrociando
immediatamente gli occhi di un Nick particolarmente sorridente.
«Stai zitto, Duvall» mormorò, sorridendo
a sua volta.
Noticine carine carine.
Eccoci giunti alla fine. Da questo momento in poi, manca solo
l’epilogo per salutare definitivamente questa storia. La cosa
non mi sta facendo sprofondare in un baratro di disperazione e
malinconia, assolutamente no.
Sono in ritardo e mi scuso profondamente. Avevo detto che
l’aggiornamento sarebbe slittato di un paio di giorni, ma
alla fine ho preferito rimandarlo direttamente a lunedì per
mantenere una parvenza di regolarità.
Questo capitolo è stato difficile da scrivere
perché avevo tante idee ma non sapevo bene come metterle su
carta. I Warblers, Sebastian e Thad, i Niff, lo scioglimento della
vicenda, il coso di vetro (a proposito, sorpresi? L’avevo
detto io che aveva senso xD)… doveva rientrare tutto in
questo capitolo e doveva farlo anche in maniera decente. Spero di non
aver deluso nessuno, so che in molti aspettavate che la storia si
risolvesse e, alla fine, mettere la soluzione in bocca a Jeff mi
è sembrata la cosa più naturale.
Non vi nascondo che Sebastian mi ha parecchio fatto penare, comunque,
ma questo è un classico ormai xD
Ad ogni modo, la dedica di questo capitolo è divisa in due
parti:
Innanzitutto, un grazie immenso alla meravigliosa Vals che, oltre ad
essere quello che è, mi ha autorizzata a sparpagliare in
questo capitolo alcuni pezzi del nostro delirare. Sì,
messaggiare con lei, fingendo di essere Sebastian e Thad, a
volte è particolarmente ispirante. In particolare, e a
questo ci tengo, la frase “volevo solo…sentirti,
cazzo. Sembrava che quello fosse l’unico modo per averti un
po’ per me” è di sua
proprietà, ma io l’ho adorata a tal punto da
doverla inserire per forza!
La seconda parte della dedica, e chiamatemi pure pazza, e per la mia
gatta malaticcia che in questi giorni mi sta facendo preoccupare in
maniera immane. Ciccina, fai la brava che mammina ti vuole tanto bene.
Non ho altro da aggiungere, se non un enorme ringraziamento a tutti
coloro che si fermano, anche non con una recensione, a farmi sapere
cosa ne pensano della storia. Sto ricevendo davvero tante
gratificazioni e non posso che esserne lusingata e sorpresa. Grazie
mille a tutti!
Vi ricordo i soliti link utili a cui trovarmi: Facebook
e Twitter
Angolino pubblicità: se qualcuno volesse leggere un paio di
Thadastian divertenti e adorabili, vi linko quelle scritte della mia
Vals che, a mio parere, meritano: Checkmate
e Sleepwalking
A lunedì prossimo,
Thalia.
|
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Capitolo 7 *** Epilogo. ***
Stuck epilogo
Pairing:
Sebastian/Thad
Genere:
Sentimentale/Romantico/Generale/Introspettivo/Comemdia/Sovrannaturale
(?)
Rating: Verde
Avvertimenti:
Slash/Mini-Long/AU
Capitoli: 7/7
Note D’autore: Alla
fine.
Note di Betaggio:
L’intera storia è stata puntigliosamente betata
dalla straordinaria Vale a cui vanno tutti i miei ringraziamenti!
Solito ringraziamento a SereILU per essere l’autrice del
meraviglioso banner di questa storia!
38 recensioni, 20 preferite, 3
ricordate, 33 seguite,
Grazie…
Epilogo.
Sebastian lo stava osservando da una decina di minuti.
Era carino, notò, con i capelli castani che gli cadevano
spettinati sulla fronte e gli occhi che si illuminavano quando
sorrideva. Sembrava anche messo bene fisicamente, poi. O almeno,
così appariva dalla divisa dell’Accademia.
Aveva solo un piccolo, insignificante, fastidioso difetto. Stava
parlando con Thad Harwood.
Sebastian non aveva idea da quanto tempo andasse avanti quel simpatico
siparietto. Erano poggiati al bancone della caffetteria, ridacchiando e
conversando amabilmente del più e del meno. E il tipo gli
era troppo vicino. Troppo.
A guardarlo bene non era neanche così carino, poi. I suoi
capelli erano troppo poco scuri e i suoi tratti troppo marcati per
poter risultare interessanti. Anche se, c’è da
dire, Sebastian dubitata che accanto a Thad qualcun altro sarebbe
riuscito ad attirare la sua attenzione per più di
qualche minuto.
«Uh uh, qualcuno si sta godendo lo spettacolo.»
Sterling comparve al suo fianco senza che Sebastian potesse fare
qualcosa di concreto per impedirglielo.
«Lascialo stare, Jeff, non vedi che è sul punto di
esplodere?»
Altro lato, altra piaga.
«Signorine, vi pregherei di tenere i vostri nasi arcobalenosi
fuori dalle questioni che non vi riguardano.»
Il biondo ridacchiò, sinceramente divertito e Sebastian si
domandò quand’è che aveva permesso a
quei due di gravitargli così vicino.
Ah, già. Era accaduto più o meno nello stesso
istante in cui aveva permesso ad Harwood di entrare nella sua vita. E
nel suo letto.
A quanto pare quei tre erano un pacchetto completo. Doveva essere la
prima delle loro regolette da tredicenni amiche del cuore. Dove va una, vanno tutte.
Con gli opportuni limiti, ovviamente: Sebastian non aveva alcuna
intenzione di fare entrare anche quei due nei suoi pantaloni.
«Stai per caricare?» Domandò Sterling.
«Ma figurati» obiettò Duvall,
«Sebastian Smythe è un signore, non si
abbasserebbe mai a scenate di gelosia così
plateali.»
«Quindi convieni con me che si tratti di bruciante e
corrosiva gelosia?» volle accertarsi l’altro,
fingendo di pensarci su.
«Mi sembra logico, mio esimio collega, i sintomi ci sono
tutti.»
Sebastian sbuffò, incrociando le braccia al petto, senza
staccare gli occhi di dosso a Thad e al suo inopportuno amico.
«Duvall, ti conviene tacere se non vuoi essere tu quello ad
avere tutti i sintomi. Di un trauma cranico, però.»
«Oh, siamo suscettibili! Nick, credo che tu abbia
ragione.»
Ed era incredibile, perché voleva a tutti i costi liberarsi
di quei due impiastri e fingere che la sua esistenza non fosse stata
così tanto sconvolta, ma sapeva di non poterlo fare.
A quanto pareva, quei due erano troppo importanti per Thad e Sebastian
voleva a tutti i costi evitare l’interminabile discussione
che avrebbe seguito il “Nick e Jeff sono i miei migliori
amici, che avevi per la testa?”. Si impose di non pensare al
fatto che recentemente cercasse di evitare qualsiasi tipo di
discussione con Thad, convenendo con sé stesso che sarebbe
stato decisamente meglio se le dinamiche con cui quel paio di occhi
scuri lo avevano scosso nel profondo fossero rimaste ignote.
Rimase un’altra manciata di secondi ad osservare Thad
parlottare con quel tipo, ignorando le chiacchiere concitate di
Sterling e Duvall e facendo violenza su sé stesso per non
partire in quarta e andare a spaccare la faccia a quel moscerino.
Quando però il tipo in questione si sporse in avanti per
sussurrargli qualcosa all’orecchio e Thad rise di rimando,
Sebastian sentì distintamente il sangue ribollirgli nelle
vene e il nodo al suo stomaco stringersi un po’ di
più.
«Chi cazzo è?» Sibilò fra i
denti, serrando il pugno e assottigliando gli occhi.
Percepì appena le risate scuotere il corpo di Jeff. Ci
avrebbe pensato dopo, adesso aveva un problema più
impellente da affrontare.
Sterling sembrava troppo impegnato a sbellicarsi dalle risate per
rispondere, così fu Duvall a parlare. «Si chiama
Alvaro, è del primo anno e credo sia tipo messicano o
qualcosa del genere.»
Un essere inutile, insomma. Bene, cosa ci trovava Thad di
così interessante?
«Oh, ci ho scambiato un paio di parole» intervenne
Jeff, «è un tipo a posto, pare sia un fenomeno a
giocare a scacchi e a suonare il violoncello.»
Sebastian si permise di rivolgere un’occhiata scettica ad
entrambi. «State scherzando?»
Quelli scossero il capo, interdetti, e Sebastian si affrettò
a spiegare. «Una persona sola non può essere così tanto
noiosa! È contro natura.»
Duvall scrollò le spalle. «Mah»
obiettò, «Thad sembra trovarlo piuttosto
interessante.»
Ed era vero. Stavano ancora parlando di chissà quale
argomento esaltante. Sebastian ingoiò il ringhio che gli era
salito alla gola e si allontanò dal muro al quale era
poggiato, intenzionato a porre fine a quella pagliacciata.
Era giunto il momento di combattere il fuoco con il fuoco. Dove con
“fuoco” intendeva “Thad
Harwood”.
Avanzò a grandi falcate, mentre il rumore delle loro
chiacchiere aumentava e la sua pazienza raggiungeva i minimi storici.
Quando fu sufficientemente vicino, si appoggiò con
nonchalance al legno scuro, dalla parte opposta rispetto a Thad,
piazzandosi in faccia la sua miglior espressione da flirt.
«Albert» esordì con voce volutamente
melliflua. Si chiamava
così, sì?
Quello si voltò sconcertato. «Emm,
Alvaro?» Lo corresse.
Sebastian ghignò. «Perdonami
l’errore» sorrise , guardando Thad negli occhi.
Quello sembrava essere leggermente a disagio e Sebastian se ne
compiacque enormemente.
«Non credo abbiamo avuto il piacere di
presentarci» proseguì, la voce provocante e lo
sguardo di nuovo sul suo interlocutore. Quest’ultimo scosse
il capo, non sicuro di ciò che stava accadendo.
Sebastian allungò una mano verso di lui.
«Sebastian Smythe» si presentò. Il tipo
la studiò titubante, prima di afferrarla e mormorare:
«Alvaro De La Torre.»
In tutto ciò, Thad fissava la scena ammutolito, alternando
lo sguardo dallo sconcerto di Alvaro al ghigno sul volto di Sebastian
che non prometteva nulla di buono.
«Allora, Alfred-» iniziò.
«Alvaro» lo interruppe quello.
«Sì, come ti pare» lo
assecondò Sebastian. «Cosa ti porta da queste
parti?»
E sì, con “queste parti” voleva dire
precisamente “così vicino a Thad, che non dovresti
neanche guardare, figuriamoci pensare di parlarci” e che
stava più o meno a significare “così
pericolosamente prossimo all’amputazione di arti e attributi
vari”.
Quello fece spallucce. «Prendevo un caffè con
Thad» lo informò con tranquillità e con
quel suo marcato e fastidioso accento spagnolo.
Bene, Arthur, risposta
sbagliata.
Sebastian represse a stento l’impulso di farlo testa e
bancone, per la sola colpa di aver osato pronunciare il suo nome come
se fosse giusto così.
«Questo» scandì, tornando a fissare
Thad, «lo vedo perfettamente» concluse con un
sorriso tirato.
«Vuoi unirti a noi, Sebastian?» Provò
Thad, incerto.
Sebastian piegò il capo di lato. «Mi pare di
averlo già fatto» gli fece notare.
Il tipo lì si rendeva conto appena di quello che stava
accadendo, continuava a sorseggiare il suo caffè come se
quella non fosse altro che una piacevole alternativa ad un noioso
pomeriggio di studio.
«Quindi» iniziò Sebastian con lascivia,
tornando a rivolgersi a lui, «ho sentito che con il tuo
cavallo fai magie.»
Quello lo fissò perplesso e, con la coda
dell’occhio, Sebastian riuscì a notare
l’imbarazzo di Harwood e le sue guance colorarsi di rosso.
Aveva iniziato lui, dopotutto.
Il tipo, comunque, annuì titubante e Sebastian
ghignò di rimando. «Potrei mostrarti cosa sono
capace di fare io con il mio alfiere» propose malizioso,
«pare che io sia piuttosto bravo.»
E nulla, o il messicano era un idiota, oppure era uno di quelli che
tendeva a vedere il buono in tutti, tant’è che
annuì compiaciuto ed entusiasta a quella proposta.
«Alvaro» proruppe Thad, la voce più alta
del normale e il viso sorprendentemente arrossato, «potresti
scusarci un attimo?»
E così dicendo, sì alzò,
afferrò Sebastian per un braccio e se lo trascinò
dietro, allontanandosi dal ragazzo che lo salutò con un
vivace «Ci vediamo dopo.»
Si fermarono qualche metro più in là. Thad
incrociò le braccia al petto, voltandosi verso un Sebastian
che, impassibile, si era accomodato sul bracciolo di un divano e lo
fissava in attesa.
«Che ti è saltato in mente?» Lo
apostrofò.
L’altro inarcò un sopracciglio. «Non ho
idea di cosa tu stia parlando.»
Thad distolse lo sguardo, passandosi una mano fra i capelli.
«Lo stai tipo circuendo? Cosa avevi intenzione di
fare?»
Sebastian si alzò in piedi, fronteggiandolo.
«Pensavo ti facesse piacere» iniziò,
«mi comportavo esattamente come te.»
Thad annuì, facendo schioccare la lingua. «Non
stavo flirtando con lui, Sebastian» gli fece notare.
«Stavamo solo parlando.»
L’altro ghignò di rimando. «Ti stai
scusando di qualcosa di cui non ti ho accusato.»
Thad sbuffò. «Non pensavo che la
nostra… relazione
fosse esclusiva» ribatté, piccato.
Sebastian sbatté le palpebre un paio di volte, colto alla
sprovvista da quell’affermazione.
Non pensava? Esclusiva? Relazione??
Ma a che gioco stava giocando?
Certo, Sebastian non era esattamente il tipo da passeggiate mano nella
mano e sdolcinatezze varie, ma gli sembrava di essersi esposto con Thad
più che con chiunque altro.
Possibile che questo non significasse nulla per lui?
Sebastian non riusciva a capire, era sicuro che Thad provasse qualcosa
per lui, dal momento che glielo aveva detto chiaramente, e lui ci aveva
messo settimane a scendere a patti con sé stesso e ad
accettare il modo strano in cui si sentiva quando Thad gli era vicino.
Perché adesso si tirava indietro?
D’accordo, non avevano mai parlato apertamente di alcun tipo
di relazione, né si erano mai lasciati andare a
pubbliche… manifestazioni d’affetto o cose del
genere, ma Sebastian non pensava davvero di dover essere più
esplicito di così.
«Credevo che il sesso di ieri pomeriggio»
ribatté, «e quello di ieri mattina, e quello
dell’altro ieri sera, e quello delle ultime settimane,
fossero un indizio piuttosto chiaro circa
l’esclusività della nostra relazione.»
«Quindi abbiamo una relazione?»
Volle accertarsi Thad.
«Me lo chiedi, così se dico di no potrai tornare
da Adrian?»
Thad roteò gli occhi. «Alvaro» lo
corresse.
«È un nome idiota, è normale che non me
lo ricordi.»
«Certo, come preferisci» lo assecondò.
«In ogni caso» iniziò Sebastian,
alzandosi in piedi e avvicinandosi a lui, «se Alvaro prova a
mettere di nuovo gli occhi su ciò che è mio,
proverà nuovi, fantasiosi, modi per utilizzare i pezzi degli
scacchi. Tutti e trentadue, una ad uno su per il-»
Ma ogni successivo turpiloquio fu messo a tacere dalle labbra di Thad
che si posarono velocemente su quelle di Sebastian.
E poco importava che fossero nella caffetteria dell’Accademia
e che vi fossero decine di studenti che li fissavano curiosi, o che con
ogni probabilità Sterling e Duvall si stavano dando il
cinque, festanti. Sebastian fece scivolare le mani sui fianchi di Thad,
attirandolo a sé e prendendo possesso di quella bocca che lo
faceva impazzire. Percepì l’intraprendenza di Thad
e, contemporaneamente, avvertì il bisogno di sentirlo di
più. Più vicino, più a fondo,
più suo.
Ed era strano perché Sebastian non vi era abituato.
Non era abituato a quella voglia di averlo sempre addosso, a quel
bisogno di cercarlo con lo sguardo, a quel fastidio procurato dalla sua
assenza. Non era abituato alla consapevolezza di saperlo lì
e di volerlo lì.
Thad si allontanò da lui, mordendosi un labbro e
distogliendo lo sguardo. Eppure sorrideva. Era venerdì e
Thad sorrideva e Sebastian pensò che, dopotutto, andava bene
così.
«Senti» esordì dopo un attimo,
«ti va di… boh, fare qualcosa?»
Sebastian inarcò un sopracciglio. «Tu ed io?
Insieme?»
Thad fece una smorfia. «No, ognuno per i fatti suoi e poi
stasera ci vediamo in camera e ci raccontiamo le rispettive
giornate.»
Sebastian sbuffò. «Quanto sei noiosamente
casalingo» commentò, avviandosi verso
l’uscita.
«Potrei sempre andare a giocare a scacchi con
Alvaro» propose Thad. «Lui era noioso quanto
me.»
Sebastian ridacchiò. «A me sembrava ti piacesse
abbastanza chiacchierare con lui» lo accusò
velatamente.
La risata di Thad si perse nel tiepido venticello primaverile, quando
attraversarono il portone della Dalton.
«In effetti, potrei tornare dentro da lui»
ragionò Thad, puntando il pollice dietro di sé.
«Non provocarmi, Harwood» ribatté
Sebastian. «Sai che sono di parola.»
Thad rise di gusto, salutando con la mano Nick e Jeff che si
avvicinavano. «Mi stai consigliando di stargli lontano per il suo bene?»
L’altro scrollò le spalle. «Uno ad
uno» ripeté.
The
End.
Noticine carine carine.
No, non sono pronta. Sembra ieri che ho iniziato a scriverla e non
riesco a credere che sono già giunta a postare
l’epilogo.
Avrei talmente tante cose da dire e persone da menzionare che non so da
dove iniziare perché l’unica cosa che mi viene da
dire è GRAZIE.
Grazie ad ognuno di voi, a chi ha seguito, a chi ha preferito, a chi ha
ricordato, a chi ha recensito e a chi ha letto silenziosamente. Grazie
a tutti coloro che hanno trovato il modo di farmi sapere cosa ne
pensavano, su Twitter o tramite messaggi privati e post in bacheca su
Facebook. Grazie a chi ha sopportato i miei scleri e mi ha sostenuta
fino alla fine di questo piccolo ma significativo viaggio.
Non mi aspettavo un feedback tanto positivo e vi assicuro che
l’entusiasmo e il calore con cui avete seguito me e la mia
storia sono stato il miglior stimolante possibile. Mille volte, grazie,
ad ognuno di voi.
Io sono felice, dico davvero. Eccezion fatta per la Seblaine Week, non
ho mai concluso nulla ed ora spuntare quella fantomatica casellina mi
riempie di soddisfazione e malinconia.
È stata dura, ma ce l’ho fatta!
Gestire Sebastian è stato allucinante, lo sapete. Ho cercato
di mantenerlo IC fino alla fine e ho provato a farmi rispettare in
tutti i modi che conoscevo: alla fine, le volte in cui ha fatto di
testa sua ci sono, ma spero di essere riuscita a concludere qualcosa di
soddisfacente da questo punto di vista.
Stuck mi mancherà da morire. È la mia bimba,
nonostante tutto, e ci sono affezionatissima. Ci ho messo dentro tanti
pezzetti di me e sono davvero entusiasta di essere riuscita a
trasmettervi qualcosa ogni volta.
Di fare un seguito, ovviamente, non se ne parla neanche: si perderebbe
quella che è l’idea della storia in sé
e non avrebbe molto senso. Mi sono lasciata abbastanza campo aperto da
poter scrivere eventualmente qualche missing moment, ma non credo che
lo farò. Per quanto mi faccia male ammetterlo, Stuck
è questo: 7 capitoli di idiozie, fluff e un po’ di
angst. Non me la sento davvero di aggiungerci altro.
Che io smetta di scrivere su Sebastian e Thad, però,
è assolutamente fuori discussione: li amo troppo per
abbandonarli così.
Non vi nascondo che ci sono già altre idee che mi frullano
in mente e vi annuncio già che mi ritroverete presto con
un’altra long su di loro – che probabilmente
sarà l’esatto opposto di questa. Non mi va di
anticiparvi nulla, se non che sarà un po’
più long, un po’ più angst, un
po’ più incasinata e un po’
più a rating rosso… oltre ad essere
esageratamente più cliché di questa. xD
In ogni caso, ancora non ho iniziato a scriverla, quindi credo ci
vorrà un po’ prima che io inizi a postarla:
probabilmente, però, la settimana prossima
inizierò a pubblicare un’altra mini-cosa un
po’ scema e un po’ demente – sempre su di
loro - per tenervi compagnia mentre scrivo l’altra. Avrete
presto mie notizie. xD
Spero vivamente che l’epilogo vi abbia soddisfatto. Ho
lasciato intendere che si svolgesse qualche settimana dopo lo
svolgimento dei fatti ed era mia intenzione scrivere una cosa leggera e
tranquilla giusto per capire che, dopo la fine del capitolo scorso,
Sebastian e Thad stanno realmente insieme. E poi, ammettiamolo, la
voglia di scrivere di un Sebastian geloso e che marca il territorio era
fin troppa!! Spero di non aver deluso nessuno, io mi sono divertita
tantissimo a scriverlo.
Mi sto effettivamente rendendo conto di star prolungando la stesura di
queste note perché non mi va di salutare definitivamente
questa storia. Non vogliatemene: sono una mamma gelosa!
Ed io non so cos’altro dire, quindi credo che mi
ritirerò in un angolino a piangere tutte le mie lacrime.
Vi ricordo, per l’ultima volta, eventuali luoghi ameni in cui
trovarmi: Twitter
e Faceook.
E ci siamo, quindi io la smetto di parlare e vi saluto, ringraziandovi
ancora.
A presto, ve lo prometto,
Thalia <3
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