Destiny Heart (Part I) di aniasolary (/viewuser.php?uid=109910)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1 ***
Capitolo 2: *** 2 ***
Capitolo 3: *** 3 ***
Capitolo 4: *** 4 ***
Capitolo 5: *** 5 ***
Capitolo 6: *** 6 ***
Capitolo 7: *** 7 ***
Capitolo 8: *** 8 ***
Capitolo 9: *** 9 ***
Capitolo 10: *** 10 ***
Capitolo 11: *** 11 ***
Capitolo 12: *** 12 ***
Capitolo 13: *** 13 ***
Capitolo 14: *** 14 ***
Capitolo 15: *** 15 ***
Capitolo 16: *** 16 ***
Capitolo 17: *** 17 ***
Capitolo 18: *** 18 ***
Capitolo 19: *** 19 ***
Capitolo 20: *** 20 ***
Capitolo 21: *** 21 ***
Capitolo 22: *** 22 ***
Capitolo 23: *** 23 ***
Capitolo 24: *** 24 ***
Capitolo 25: *** 25 ***
Capitolo 26: *** 26 ***
Capitolo 27: *** 27 ***
Capitolo 28: *** 28 ***
Capitolo 29: *** 29 ***
Capitolo 30: *** 30 ***
Capitolo 31: *** 31 ***
Capitolo 32: *** 32 ***
Capitolo 33: *** 33 ***
Capitolo 34: *** 34 ***
Capitolo 35: *** 35 ***
Capitolo 36: *** 36 ***
Capitolo 37: *** 37 ***
Capitolo 38: *** 38 ***
Capitolo 39: *** 39 ***
Capitolo 40: *** 40 ***
Capitolo 41: *** 41 ***
Capitolo 42: *** 42 ***
Capitolo 43: *** 43 ***
Capitolo 44: *** 44 ***
Capitolo 45: *** 45 ***
Capitolo 46: *** 46 ***
Capitolo 47: *** 47 ***
Capitolo 48: *** 48 ***
Capitolo 49: *** 49 ***
Capitolo 50: *** 50 ***
Capitolo 51: *** 51 ***
Capitolo 52: *** 52 ***
Capitolo 53: *** 53 ***
Capitolo 54: *** 54 ***
Capitolo 55: *** 55 ***
Capitolo 56: *** 56 ***
Capitolo 1 *** 1 ***
1 dh
Io, Jacob Black, non avevo
speranze.
Forse se non ci fossi mai stato sarebbe stato meglio, meglio per me.
Bella mi camminava incontro. Era sempre la stessa, la stessa camminata, lo
stesso viso, lo stesso modo di storcere le labbra; il suo sguardo non era
cambiato. Eppure io non avevo ancora perso la speranza di darle tutto me
stesso, tutta la mia vita e di aiutarla ad essere felice. Mi ricordavo sempre
quella scena prima di dormire. Era bellissima, vestita di bianco e intorno a
noi c'erano tante persone eleganti e spensierate. Era un matrimonio ma
non il nostro.
Quella sera ballammo insieme e fu una buona occasione per sognare ad occhi
aperti un’altra volta, ancora una volta.
Più avanti, se lei avesse fatto una scelta diversa, forse ci sarei stato
in quella veste. Era così che la ricordavo: felice, carina, maldestra, piccola.
Bella era fatta così, mi deludeva in continuazione, mi faceva più male di un
coltello affilato, ma non ne era consapevole, era in cerca dell’amore: non
aveva mai capito che ce l’aveva sempre avuto di fronte, mentre giocava a fare
le torte di fango. Sorrido quando ci penso. Ma non ero perfetto, non lo sono
mai stato e non riuscivo a cambiare nemmeno per la persona che amavo di più al
mondo, ero impulsivo e a volte… non andavo bene per niente. Ma Bella, Bella
cercava la perfezione e credeva di averla trovata in Edward, che fatico ancora
a chiamare per nome, che fatico ancora a considerare come persona, ma lei lo
amava e forse era per questo che non ci vedeva difetti. Era rimasta
accecata dall’amore e tutto ciò che vedeva non valeva la pena di essere
guardato, se insieme a lei c’era lui. Anche quella sera riemersero i miei
difetti, lei voleva una vera luna di miele… Non riuscivo neanche a
immaginare che la toccasse. Sapevo che se l’avesse fatto probabilmente avrei
perso le staffe, anche se non c'entravo niente ormai, per lei non ero niente. Aveva
fatto la sua scelta e io non riuscivo ancora ad accettarla. E’ possibile che un
sentimento sia così forte da far perdere completamente la ragione? Da far
perdere completamente il senso di ogni cosa ? Mi era capitato e sapevo che
nessun’altra a parte lei mi avrebbe fatto perdere la testa. Partì e il periodo
in cui non era a Forks la pensavo sempre, e mi faceva male. Cercai di stare il
più possibile con i ragazzi, erano divertenti e riuscivano a farmi cambiare la
prospettiva del pensiero almeno per un po', solo per un po’. Ma in fondo era
quello che voleva e io non potevo farci nulla. Poteva stare con lui quanto le
pareva, ma sapere che presto sarebbe diventata una di loro mi disgustava, non
volevo. Immaginarla pallida, priva dei suoi occhi color cioccolato, e assetata
di sangue mi dava i brividi . Non sarebbe più stata la Bella di sempre, la
ragazza di cui ero innamorato e anche se lei non ricambiava i miei sentimenti,
non volevo che cambiasse. Quel momento si avvicinava sempre di più e ne fui
completamente consapevole quando tornò dal suo viaggio di nozze. Più pallida
del solito, debole e con la pancia deformata. Stava male e per colpa sua…
Volevo ucciderlo, non aveva il diritto di toglierle la vita, la famiglia,
l’amicizia, di toglierle tutto. Non poteva. Ma davanti a lei non riuscii a
muovere un dito, il suo aspetto occupò la mia mente e quell’immagine non voleva
saperne di lasciare spazio alla mia volontà. La andavo a trovare ogni giorno.
Che stupido, il momento era arrivato, la mia più grande paura stava prendendo
forma. Sarebbe stato meglio vederla morta? Una volta l’avevo detto e pensato,
ma non poteva morire, non dopo tutto questo. Bella non dava segni di paura,
soffriva, stava male e man mano le difficoltà aumentavano, ma nei suoi occhi
c’era la volontà di reagire, di continuare a lottare per quella cosa che
lei chiamava “bambino”. Un mostro invece, un mostro che le stava succhiando via
la vita. Ma lei non era spaventata, guardava la sua pancia con speranza. Edward
insieme a lei la accarezzava con uno sguardo incerto. Lui aveva una sola cosa
buona: desiderava che rimanesse in vita da umana e non voleva trasformarla. Non
voleva perderla, così come io non volevo che andasse via per sempre, e ciò
sarebbe successo in due modi: con la morte o con la trasformazione. Per la
prima volta mi accorsi che anche Edward aveva dei punti deboli. Lui non poteva
offrirle niente a parte se stesso e non riusciva più a immaginarsi senza Bella
accanto. Era questo il problema, il suo amore per lei e viceversa, i loro sentimenti
erano sbagliati… ma giusti per i loro cuori. Ogni giorno era un inferno, Bella
doveva nutrirsi di sangue per far crescere quel mostro e lo faceva come se
fosse naturale per lei, e poi quando cercava un nome da dargli... solo al
pensiero mi veniva il vomito. Fu allora che uscii da casa Cullen con la testa
che mi scoppiava. Edward mi diede le chiavi di un’auto in garage. Riemerse dal
fondo l’ultima alternativa, l’ultimo modo per lasciare Bella in pace, e per
rasserenare me stesso: l’imprinting.
Una forza ancor più forte della gravità ti porta a quell’essere e tu non puoi
far altro che essere tutto quello di cui ha bisogno. Io non l’avrei mai avuto e
non volevo averlo, ma forse in quel modo tutto sarebbe stato più tranquillo.
Destinazione: Seattle. Lì avrei incontrato la ragazza per me, ma tutto, ogni
cosa mi ricordava Bella, capelli,occhi,risate, tutto. Stavo per tornare a Forks
quando una ragazza con leggere lentiggini sul naso con i capelli castani
chiari, e grandi occhi color nocciola mi chiese informazioni sulla macchina che
stavo per guidare. Era bella, socievole, disponibile, si interessava di auto e
si aspettava che la portassi a fare un giro. Qualcosa mi bloccava, mi diceva
che dovevo tornare a casa, ma perché dovevo sempre essere così sciocco? Perché
dovevo sempre soffrire per colpa degli altri? Sarebbe finito tutto, ogni
dolore. «Mi chiamo Lizzy. »mi disse
«Jacob. » le risposi.
Adorava quella macchina, parlò di motori,velocità e sentivo che sarebbero
cambiate molte cose, era un presentimento. Stavo per salutarla e andare via ma
all’improvviso mi voltai e le chiesi il suo numero: le dissi che l’avrei
chiamata al più presto. Continuai fino all’ultimo secondo a sperare che
l’imprinting avvenisse in quell’istante. Non avevo trovato quello che cercavo
ma almeno c’era la speranza che qualcosa potesse cambiare.
*
*
*
*
Ciao
a tutti, lettori. Questa storia risale al settembre 2010, due anni fa.
A marzo il mio account è stato sabotato, e la mia storia fu
cancellata dal sito fino al capitolo 56, cioè quelli che avevo
pubblicato all'ora. Ho deciso di ripostarla tutta dall'inizio senza
modifiche, per dar modo a chi vorrà di leggerla, e anche
perché è un bellissimo ricordo per me, visto che è
la mia prima storia. Non è assolutamente perfetta, anzi, molte
cose oggi le cambierei, ma è una parte di me <3 E se non
avessi scritto questa storia, non credo che tutto il resto sarebbe
nato. Quindi perdonatemi per qualche errore e se l'impaginazione non
sarà delle migliori. Se sarete tanto fiduciosi da leggerla lo
stesso e andare avanti ve ne sarò davvero grata, anche
perché all'inizio i capitoli sono un po' corti ma poi diventano
più corposi e quindi anche più curati :)
Pubblicherò un bel po' di capitoli alla volta, perché la
storia è molto lunga. Verranno pubblicati dei capitoli in questa
prima parte della storia, e poi inserirò il link per leggere i
capitoli che sono già stati pubblicati.
Grazie
a tutti quelli che leggeranno, rileggeranno, e vorranno lasciarmi due
paroline per rendermi tanto felice *w* Grazie, grazie davvero. E spero
che vogliate seguirmi fino alla fine per vedere come ho immaginato la
vita di Jacob in questa What if :)
Grazie
infinite. Grazie a J, Caterina, Virginia, Noemi, Sara, Maria, Steffy,
Teresa, fufe, e mi dispiace di non scrivere tutti i vostri nomi ma vi
abbraccerei uno per uno. E se la Meyer vi vuole regalare una
macchina... io vi regalo una carta di credito illimatata da spendere
alla feltrinelli :D
Grazie.
Vostra Ania.
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Capitolo 2 *** 2 ***
2 dh
Anche quella volta non
potei fare a meno di andare da Bella, un‘ ulteriore conferma della mia pazza e
incosciente condotta. Parcheggiai la macchina davanti a casa Cullen e vi
entrai. Una visione agghiacciante, terribilmente agghiacciante, che mi fece desiderare
di non essere mai nato solo per non vederla soffrire in quel modo. Ma nei suoi
occhi non c’era sofferenza… c’era solo morte, la vedevo riflessa nei suoi
occhi, era di fronte a lei in quel momento e si stava preparando per portarla
via dalle nostre vite, per sempre. Tutti intorno la trascinarono al piano di
sopra in agonia. Questo era il vero inferno, mi sentivo bruciare, soffocare,
morire. La stavo guardando morire e non potevo fare nulla. In quel momento
tante parole sensate uscirono dalle bocche dei vampiri centenari della stanza,
ma che non mi furono rese comprensibili per via dell’incredibile afflusso di
paura, che mi faceva battere il cuore e scoppiare il cervello. Sangue, sangue
dappertutto, su di lei, su di me, che cercavo invano di aiutarla. Quella cosa
stava uscendo dalla sua pancia e la stava uccidendo . Oh no, Dio non poteva
farla morire, e tutto l’amore, tutto l’amore che l’aveva portata fin qui dove
sarebbe andato a finire? Bella doveva vivere, Edward prese un siringa di un
materiale trasparente al cui interno vi era un liquido, il suo ago toccò il
cuore di Bella, portandoci all’interno il suo veleno. Veleno. Era finita, era
finita davvero. Mi girai verso il muro, osservando le mie mani sporche di
sangue, sangue versato per quel figlio che non sarebbe mai nato, se in questo
mondo le cose fossero normali come sembrano. La fine, la fine. Era già
arrivata, dovevo andarmene oppure potevo continuare la mia lotta e cominciare
una vendetta. Scesi le scale e la bionda aveva in braccio il mostro, ci giocherellava
come se fosse un bambino vero, volevo ucciderlo, quello che l’aveva ammazzata,
quello che non meritava di vivere. Ma nei miei pensieri tornò la Bella di
sempre, carina e sorridente e la Bella che avevo visto prima di andare a
Seattle, desiderosa di avere quel figlio. Non sapevo se sarebbe sopravissuta
alla trasformazione, ma il mio cuore mi diceva una cosa, di lasciarla
andare dovunque fosse la sua destinazione, e con lei tutti quelli che le
appartenevano. Mi diressi verso la porta, che sporcai con il suo sangue di cui
ancora si sentiva il nauseante odore . La richiusi, camminai veloce e
guardai indietro. "Addio, Bella" pensavo. Ma non te l’ho mai detto davvero. "Addio, speranza" . Non
sarei più ritornato in quel posto, in quella casa, in quella foresta. Sentivo i
brividi su tutto il corpo e le lacrime, che senza il movimento degli occhi mi
rigavano il viso. Andai a casa mia, anche se sapevo che non mi sarei sentito a
mio agio neanche lì, non mi sentivo più a mio agio nel mondo, in questo mondo.
Quando entrai in casa mio padre era sulla sua sedia rotelle, addormentato,
presi una coperta e lo coprii bene, si sentiva ancora l’aria della pioggia. Mi
stesi sul mio letto a pensare. Dovevo rifarmi una vita, dovevo vivere una vita
normale. Anche se nel mio sangue c’era quel gene che mi portava a trasformarmi,
potevo essere come qualunque altro ragazzo. Ormai avevo raggiunto il mio
massimo controllo e potevo allontanarmi dal branco. Ma come avrei potuto
raccontare la mia decisione ai ragazzi? E a mio padre? Mi comportai da codardo,
lo so, ma era l’unico modo, l’unico modo per ricominciare. Presi un foglio di
carta dalla stanza di mia sorella, sulla sua scrivania c’era ancora tutto il
suo materiale per la scuola. Presi una penna nera e scrissi :
"Devo andarmene, mi
dispiace, da oggi in poi non farò più parte del branco, non rintracciatemi al
cellulare. Seth, prenditi cura di Billy, non ha nessuno, lo sai. Leah, per
favore non arrabbiarti, hai sempre conosciuto i miei pensieri e sai cosa sto
provando, voglio solo cercare di stare bene e di vivere una vita normale. Papà,
scusami, starò a Seattle da zia Josie, dirà di sì, sai che dice sempre di sì.
Puoi venirmi a trovare quando vuoi, i ragazzi ti daranno una mano. Lasciate
fuori i Cullen .
Vi voglio bene .
Jacob"
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Capitolo 3 *** 3 ***
3 dh
Ero pazzo? Probabile.
Ero un vigliacco? Nel vero senso della parola e l’avevo scoperto dopo quasi
diciassette anni di vita… Stavo facendo la cosa giusta? Forse, speravo almeno
di migliorare le cose. Riempii la valigia di tutta la roba che avevo
nell’armadio, i libri non servivano, zia Josie ne aveva un’infinità. Mentre
stavo guardando nel mio cassetto, trovai una foto che mi faceva pensare ai
vecchi ricordi. Eravamo io e Bella, potevamo avere sette o otto anni, sporchi
di fango e sorridenti. La nostra infanzia estiva. La portai con me, non me la
sentivo di lasciarla lì, forse era tutto quello che rimaneva di noi due, tutto
quello che poteva ricordarmi di lei come volevo ricordarla. Infilai tutto nella
mia Golf, chiamai zia Josie per avvisarla. Come al solito disse di sì e mi
diressi verso l’autostrada per andare a Seattle. Non sapevo quello che facevo,
non sapevo a cosa andavo incontro, non sapevo che strada stavo percorrendo, non
sapevo niente, ma dovevo andare. Ero ancora lo stesso? lo stesso Jacob? Lo
speravo, lo speravo tanto. Durante il viaggio ascoltai musica rock, non perché
fosse il mio genere preferito, ma per distrarmi, fu un buon modo per farlo,
chitarra elettrica e batteria erano i migliori strumenti per distogliere la
concentrazione e i pensieri. Mi sembrò di arrivare a Seattle in cinque minuti,
parcheggiai la Golf davanti al giardino della casa di zia Josie. La zia aveva
una casa molto grande piena di camere per gli ospiti. Aveva all’incirca
cinquant’ anni ed era molto gentile e premurosa, somigliava molto a mia madre,
la ricordava tanto, aveva i capelli castano scuro e gli occhi ambrati. Zio Carl
era un tipo molto simpatico con i capelli brizzolati e una corporatura robusta.
Avevano quattro figli: Sonia aveva ventisette anni e viveva nel Maine con il
marito, Kayle ventiquattro anni gestiva un negozio di auto in città e viveva in
un appartamento con la sua ragazza, Hanna ventuno anni frequentava il college
in Florida e Nick tredici anni, che viveva ancora con i miei zii. Era un
ragazzino sveglio e passare un po’ di tempo con lui mi avrebbe fatto piacere.
Non ero ancora uscito dalla macchina, quando vidi la zia correre con il
grembiule da cucina addosso verso di me.
«Tesoro! sei diventato
così bello! »mi diede un bacio sulla guancia, per il quale fui costretto ad
abbassarmi.
«Ciao zia, spero di non
disturbarti, non so per quanto rimarrò qui… »
« Oh Jacob, puoi stare
qui tutto il tempo che vuoi, qui la scuola è ottima e potresti sempre usare i
libri di Hanna, nessun problema, caro. »
Entrato in casa lasciai
le valigie nel soggiorno dove c’erano lo zio Carl e Nick, ci salutammo e poi la
zia mi portò nella stanza che sarebbe diventata camera mia. Era perfetta, molto
più bella di quella che avevo a casa, che nonostante tutto mi mancava
infinitamente. Sentivo addirittura la nostalgia dell’aria umida della
pioggia.
«Non ho avuto molto
tempo per sistemarla.»aggiunse.
«Zia, non
preoccuparti, è molto più bella di quella che ho a casa, starò benissimo.»
«Bene, non immagini quanto
sia felice che tu sia qui vado a
preparare la cena , tu fai con comodo, non avere fretta. »
Sistemai la roba
nell’armadio della stanza, non ero mai stato ordinato, ma quella non era casa
mia e quindi dovetti sforzarmi un po’. Quando la valigia fu vuota, vi trovai la
foto di Bella e me da piccoli, la guardai con nostalgia e la riposi in un
cassetto, quanto mi mancava, quanto volevo tornare indietro nel tempo.
Ma basta nostalgia, basta
tristezza, basta malinconia. Quello non era il vero Jacob, e l’originale stava
per tornare presto. Sì certo, ma non ero mai stato bravo a mentire… e di
conseguenza non potevo mentire a me stesso. Misi una mano nella tasca dei
jeans, c’era il numero di Lizzy, prima o poi l’avrei chiamata, ne ero certo. La
cena fu buonissima, lo era sempre quando cucinava zia Josie, andai a dormire
con serenità. Non dovevo pensarci, non dovevo, non dovevo. Ero libero,
finalmente libero.
Tutto
divenne più complicato quando chiusi gli occhi. Il suo viso prese forma nella
mia mente come sempre, come ogni sera, come ogni volta che i miei occhi si
chiudevano. I capelli scuri dai riflessi ramati, gli occhi dolci e le labbra
carnose. Bella. Nonostante me ne
fossi andato via, nonostante fossi andato via dal suo mondo, che ormai era
anche nostro, non smettevo di immaginarla, di pensarla... anche se non faceva
altro che torturarmi. Chissà se quell’agonia sarebbe finita un giorno. Sapevo
che non l’avrei più rivista, non avrei mai più rivisto la persona che amavo,
piangere,sorridere, arrabbiarsi, ridere spensierata. Perché soffrivo così tanto?
perché mi ero meritato tutto questo? La risposta non esisteva oppure era tutta
colpa mia, in fondo chi poteva innamorarsi di me…
Grazie a tutti quelli che
stanno leggendo questa storia per la prima volta :) Nel frattempo, vi
ringrazio tanto. E se decideste di lasciarmi il vostro pensiero, sarò lieta di
rispondervi per messaggio, visto che con il tempo EFP ci ha dato questa
possibilità <3 Grazie davvero a tutti Grazie a Caterina e Ilaria per averlo
recensito per la prima volta <3
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Capitolo 4 *** 4 ***
jake 4
Il giorno dopo mi
alzai verso le nove e mezza e mia zia aveva preparato la colazione, omelette e pancetta.
<< Buon
giorno caro hai dormito bene? >> mi chiese gentilmente.
<< Sì benissimo, zia>> mentii.
<< Sai bene
che fra pochi giorni inizia la scuola, fino a quando sarai qui, ci andrai
perché zio Carl ti ha appena iscritto. >>
Rimasi senza parole, questo non l’avevo
previsto
<< Non immaginavi di rimanere qui e poltrire tutto il tempo vero
Jacob? >>
Disse Nick seduto
accanto a me. Gli diedi una gomitata leggera.
<< Ok va bene, ci vado >> Avevo un aria molto sorpresa, non pensavo che sarebbe
successo tutto così in fretta, e poi non volevo causare problemi a zia Josie.
Passai i due giorni precedenti alla scuola nel negozio di Kayle, vendeva sia
auto nuove che usate, e gli diedi una mano a riparare le auto che avevano
bisogno di qualcosa Mi divertii e
Kayle era molto simpatico. Riscontrai la stessa difficoltà ogni sera, la stessa
storia, la stessa persona, ma di giorno il problema si faceva minore
fortunatamente. Primo giorno di scuola, liceo di Seattle arrivavo, chi sarei
diventato? lo sfigato, il campione di basket o il cervellone? Nessuno di
questi ruoli mi stava bene. Avevo il mio zaino rosso sulle spalle e indossavo
la mia maglietta nera. Era una giornata soleggiata, una di quelle che tanto si
desiderano a Forks e che non arrivano mai. All’incirca sette metri da me c’era una
ragazza dai capelli castani chiarissimi quasi biondi con una frontiera marrone.
Mi sembrava familiare, mi avvicinai a lei, era circondata da parecchie
ragazze, sorridenti e un tantino isteriche, direi. Si guardavano intorno con
un’aria sfacciata.
Una
ragazza dai
capelli color caramello e lo sguardo furbo mi fissò, prima con
sorpresa e poi, poi, insomma con interesse … Non ero abituato a
quel tipo di cose, a
Forks tutti si conoscevano e nella
riserva la scuola era ancora più piccola. Era strano ma divertente e mi feci
scappare un sorriso, in realtà io sorridevo sempre, anche quando dentro stavo
morendo, quindi non c’era alcuna differenza a parte la luce che potevano emanare
i miei occhi. Solo chi ti conosce veramente capisce quando stai male, anche
quando sorridi.
<< Girati,
guarda quel ragazzo >> disse la ragazza toccando con forza la spalla della
ragazza che aveva attirato la mia attenzione. Lei la ascoltò e
si voltò verso di me.
Era proprio la
persona che stavo cercando, anche se non lo sapevo ancora e me ne accorsi subito
dopo aver incontrato il suo sguardo.
Era Lizzy, la
ragazza che avevo conosciuto quando portavo la macchina dei Cullen.
<< Ciao Jacob >> disse con immensa sorpresa
<< Ciao >>
<< Non credevo che venissi a scuola qui
,mi avevi detto che vivevi a Forks >>
<< Sì infatti,
ma mi sono trasferito da poco a casa di mia zia, ho avuto dei problemi a casa, quindi verrò a scuola qui. >>
<< Ma è fantastico >>
<< Già è
fantastico, cioè voglio dire che è fantastico che ci vedremo tutti i giorni,
non che è fantastica la scuola >>
<< Certo era
scontato >> mi disse ridendo.
<< Già …
>>
La campanella suonò
e io non sapevo da che parte andare .
<< Se frequentiamo
lo stesso corso di Inglese dovremmo andare nella stessa aula, lasciami vedere
il foglio … sì infatti è lo stesso corso >> disse lei con sicurezza.
<< Non sono
mai stato così fortunato >>
<< Sì ... ma se non andiamo subito a lezione,
la tua fortuna si esaurirà molto presto, sai qui se sei in ritardo, hai una nota disciplinare, anche
il primo giorno di scuola >>
<< Questo già
lo sapevo >> le dissi con finta autorità.
Ci allontanammo,
fra gli sguardi invidiosi che guardavano Lizzy. Ecco, quello era un liceo, in
fondo non mi ero perso chissà che cosa.
Fu un normale giorno di scuola, incontrai due ragazzi molto simpatici
Mark e Walter, amici di Lizzy, e parlai con altre due ragazze, Dina e Lucy.
Stavamo uscendo da
scuola, quando mi soffermai a guardare Lizzy, era davvero carina… e aveva
dei begli occhi, ricchi di vitalità e allegria, quella che avevo un po’ perso
per strada nell’ultimo periodo.
*
Grazie a tutti per leggere <3
|
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Capitolo 5 *** 5 ***
jake 5
<< Sei libera
Venerdì sera? >>
Esitò un
istante. << Sì sono libera,
perché? >>
<< Non so, potremmo passare un po’ di
tempo insieme, potremmo andare al cinema o insomma… >>
<< Per me va bene tutto, decidi tu, sarà
divertente, ora devo scappare scusa, hai sempre il mio numero? >>
<< Sì, sì certo >>
<< Mandami un
messaggio così memorizzo il tuo. Ci vediamo, Jake >> E corse via; non sapevo dove, non sapevo con
chi, non sapevo cosa scatenasse la sua fretta, ma mi dispiaceva che se ne
andasse via.
Quello fu il mio
primo giorno normale dopo un anno. Era tutto così bello, così elettrizzante
e così normale, perché ormai niente poteva essere considerato normale, quando
entravano in ballo licantropi, vampiri e vecchie leggende, che si dimostravano
vere. Passai il pomeriggio a ripassare alcune materie, come un qualunque
studente che vuole cominciare bene l’anno scolastico, ma le mie paure non
erano ancora andate via, i mie pensieri fissi erano sempre gli stessi. Avevo
bisogno di tempo, ma quanto? Quanto tempo? Quanto tempo è necessario per far
finire un amore ? quanto tempo è necessario per far passare tutto? Domande,
domande, domande e le risposte ? Chi le ha trovate per favore mi avvisi perché
io sono stanco di domande senza risposte. La
sera dopo aver cenato, visto la
tv e fatto una doccia mi coricai sul letto. Si ripeté sempre la
stessa storia,
Bella, solo Bella nella mia testa, come se lei fosse stata
l’unica cosa che
conoscevo, l’unica persona a cui avevo parlato nella mia vita.
Nella mia
mente non esisteva altro. Mi tormentavo da solo, ero un vero
masochista. Ricordavo sempre a me stesso quello che non avrei mai
potuto avere e quello
che con era mai stato mio. Ma mi stava facendo bene questa lontananza ?
chi
poteva saperlo meglio di me... sarebbe arrivata la risposta a questa
domanda? Io
la aspettavo.
‘Bella ti penso ,
anche se non dovrei , mi manchi e questo l’hai sempre saputo .’
I giorni seguenti
furono sempre uguali, nessuna novità in particolare. Mark e Walter si
dimostravano sempre più simpatici e Lizzy all’uscita della scuola scappava sempre
via. Arrivò Venerdì, dovevo uscire con Lizzy. Quel giorno non ebbi il tempo di
incrociarla neanche per un istante, non avevamo nessun corso in comune, e
all’uscita corse via come faceva sempre. Così quel pomeriggio presi in mano il
telefonino, che ormai non usavo da quando ero arrivato a Seattle. Accenderlo fu
una maledizione, messaggi e chiamate senza risposta. Tutte di Seth, Leah,Sam,
papà e Emily, nessuna dalla persona da cui volevo con tutto il cuore ricevere
notizie.
“ Jacob sei pazzo?
Torna subito a casa!!!!!” Leah.
“Ma ti è dato di
volta il cervello?? Spero che ti passi presto” Seth.
“Jacob per favore
torna a casa, non penserai di risolvere le cose in questo modo …” papà.
“ Jacob ma cosa ti
è preso? Lasciare i ragazzi così, di
punto in bianco!!! Torna a Forks ti prego. “ Emily.
“ Non mi posso
opporre alla tua scelta, fa quello che ti senti, ma ci sono cose che devi
sapere: Bella ha avuto una figlia, ha un nome strano, non me lo ricordo. Non è
pericolosa, potrà restare in vita, Seth va a trovarla spesso. Quello che
avremmo voluto impedire noi tutti è successo, ma tu hai dato il permesso a
Edward di fare un' eccezione quindi non posso fare niente. Anche tu sei un
capo alfa. Questo significa che è viva. ma non nel modo in cui speravi,
non ha più bisogno di respirare, di
dormire , e non la vedrai più piangere. Lo so che stai male ma
per favore torna, qui c’è chi ti vuole bene, chi ti
aspetta, chi ti cerca.” Sam.
Era
successo.
Davvero. Adesso la ragazza che vedevo ogni volta che chiudevo gli occhi
non
c’era più, non esisteva più. L’avevo lasciata
per sempre . Lei mi aveva
lasciato per sempre . Non c’era più, eppure continuava a
ferirmi . “Bella ,
Bella , che delusione enorme, quanta sofferenza, quanto dolore per te.
Per
te che non mi hai mai capito”. Ora non arrossiva più, non
piangeva più . No, non potevo continuare a pensarci . Allora
cosa c’era da fare ? Lasciare tutto
alle spalle. Definitivamente.
Passai un ‘ ora in
silenzio a ripercorrere ogni mio ricordo, bello, imbarazzante, stupido, importante e non, ma tutto era importante se
riguardava lei, un suo sorriso era la mia vittoria più grande. Quella era
davvero l’ultima volta, di tutte le volte che avevo detto addio. ‘ Sei contenta
di avermi fatto così male ? sei contenta di aver causato tutto questo per la
tua perversa storia? Vorrei odiarti, odiarti! Non immagini quanto… ma non ce
la faccio.’
*
Ringrazio di cuore tutti quelli che seguono la mia storia. Grazie mille :)
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Capitolo 6 *** 6 ***
Jake 6
Dopo essermi
ripreso, non completamente ma almeno riuscivo a nascondere quello che mi era
successo, chiamai Lizzy. Non era una ruota di scorta, quando stavo con lei non
pensavo più alle cose che avevo lasciato a casa, e mi faceva stare bene. Quando
ero con lei ero felice, anche a scuola, luogo di depressione per eccellenza,
anche quando si parlava di matematica, non mi era mai entrata in testa.
<< Pronto >>
<< Ciao, Lizzy. Sono Jacob >>
<< Ciao Jake,
stavo aspettando che mi chiamassi … >>
<< Quindi ,
vorresti uscire con me sta sera? >>
<< Sì certo,
mi hanno già chiamato Lucy e Mark, vanno al cinema con Dina e Walter, tu
vorresti andarci? >>
Volevo rimanere
solo con lei, ma sarebbe stata una cosa troppo seria, così decisi di andare con
loro.
<< Fantastico
allora ci vediamo alle otto a stasera >>
<< Hey Lizzy
aspetta, potrei venirti a prendere da casa… >>
<< Sei sicuro
? non voglio farti perdere tempo… >>
<< Ma tu non
mi fai perdere tempo… ok vengo a prenderti, dove abiti esattamente? >>
Mi disse il suo
indirizzo, lo conoscevo, era nei dintorni del negozio di Kyle.
<< Allora a
stasera >>
<< A stasera >>
Alle otto meno cinque ero
già di fronte a casa sua, aveva una piccolo giardinetto con un ‘ altalena
rossa. Era una casa molto bella. Aspettai qualche minuto in macchina e quando
la lancetta del mio orologio raggiunse il numero otto, mi diressi verso la porta. Si
sentivano le risatine di una bambina e il suono di una televisione accesa.
Suonai il campanello e non feci in tempo a prendere fiato un attimo che una
bambina in pigiama venne ad aprire la porta. Aveva i capelli rossicci, grandi
occhi azzurri e le guancie rosee. Mi guardava in silenzio con un’aria di
aspettativa, così fui io il primo a salutare. E se avessi sbagliato casa?
<< Ciao …
Abita qui Lizzy Audley? >> La bambina sorrise, sentii il rumore di alcuni
passi veloci. Lizzy arrivò dalla parte destra della casa, con un giubbotto
bianco, jeans e capelli sciolti. Era splendida.
<< Ciao Jake , sono in ritardo? >>
<< No no, sei
puntuale per essere un ragazza, mi ero programmato di aspettare all’incirca
mezz’ora… >>
<< Non sai
con chi hai ha che fare allora. >> disse con un finto tono minaccioso
che mi fece scoppiare in una risata, che contagiò lei per prima e poi la sua
sorellina.
<< Non mi
presenti il tuo amico? >> disse la bambina con aria diplomatica.
<< Sì … lui è
Jacob >> disse sconcertata , colta di sorpresa forse.
<< Mi chiamo
Silvya >>
<< E' una
piacere conoscerti Silvya … >>le dissi con tono austero.
<< Ora si sta
facendo tardi … dobbiamo andare >>
<< Non fare tardi
Lizzy! >> disse una voce anziana dall’interno.
<< Sì
nonna! >> rispose.
<< Mi dispiace
che ti perderai la sua croccante e deliziosa pizza Lizzy … stai soffrendo
vero!!! >>
<< Sil sei la
solita … non andare a dormire tardi >>
<< Ok
… >> Si diedero un bacio sulla guancia e poi uscimmo di casa.
Avevo dimenticato
quanto bello fosse il suo sorriso, o forse non l’avevo mai notato prima, era alta all'incirca un metro e settanta forse anche meno, ma l’altezza non è mai
stato fra i miei canoni in una ragazza. In fondo ero io il gigante…
<< Questa è la
tua macchina?! >> disse con il tono di una domanda, ma sembrava più un
esclamazione, e sul suo viso c’era una leggera espressione di ammirazione
<< Sì , questa
è la mia Golf >>
<< E l’hai
messa a posto tu!! l’hai messa a posto tutto da solo? >>
<< Sì … non è
stato difficile … >> Aprii lo sportello e le dissi.
<< Prego
signorina >> Mi guardò con un’aria esterrefatta.
<< Dove vuole
andare? >>
<< Mi fido
dell’autista >>Parcheggiai la macchina nei dintorni del cinema. Non ebbi
il tempo di chiedere e pensare a quale film stessimo per andare a vedere. perché
passammo tutto il tempo del tragitto a parlare dell’imbranataggine di Mark,
delle esclamazioni della nostra professoressa di francese e a cantare a
squarcia gola una canzone, che entrambi adoravamo. Incontrammo i ragazzi e
arrivai alla conclusione che avremmo dovuto vedere una commedia romantica…
<< No… niente cose romantiche per favore perché non vediamo quell’altro
film? Quello con ... >>
<< Ti prego, ti
prego, Jake, fallo per me , mi hanno detto che è divertente , anzi nelle
commedie romantiche non c’è niente di davvero romantico… >>
<< Ma… >>
<< Per
favore >> Mi guardò con uno sguardo dolce a cui non seppi resistere …
<< Andiamo per
la commedia romantica… ma da oggi sei debito con me >>
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Capitolo 7 *** 7 ***
jake 7
Il film non era
male, Lucy tirò verso di lei Lizzy, che si sedette accanto a lei e io mi trovai
accanto a Walter, che era raffreddato e tossiva spesso. Ogni tanto portavo lo
sguardo verso Liz, che mi ricambiava. Dopo il film andammo a prendere un
frullato tutti insieme e ci raccontammo gli episodi della nostra settimana
scolastica: la prima F di Walter avuta nella prima settimana di scuola,
l’incarico di rappresentante di Dina, progetti,club, cheerleader, domande
sulla piccola cittadina di Forks alle quali risposi solo per i cinque per cento correttamente.
Portai Lizzy a casa sua, che alle ventitrè aveva già tutte le luci spente.
L’accompagnai sulla porta di casa.
<< E’ stato bello stasera >> le dissi.
<< Già, mi sono divertita molto ma avrei voluto
sedermi accanto a te al cinema >>
La sua frase mi
sorprese, ma allo stesso tempo mi fece molto piacere, perché anche io volevo lo
stesso. Rimasi un po’ in silenzio per pensare a cosa dire, ma subito lei
aggiunse che era soltanto disturbata dalla risata di Lucy.
<< Anche io avrei voluto sedermi accanto a te al
cinema, ma la tosse di Walter non c’entra.
>> Lei ebbe la mia stessa reazione.
Mi avvicinai a lei.
<< Ci sarà una prossima volta? >> Lizzy annuì imbarazzata.
<< Certo che ci sarà … >>
Mi stavo
avvicinando sempre di più a lei e non ero veramente sicuro di quello che
volessi fare, ma qualunque cosa fosse, volevo farla. La luce sopra di noi si
accese, e con quella tutte quelle del piano di sotto. Ci allontanammo di
soprassalto.
<< Lizzy vieni dentro, l’aria è fredda >> esclamò sua nonna.
<< Sì
nonna sto entrando … ci vediamo Jake >>
<< Ci vediamo
>>
Stavo per baciarla, oddio stavo per baciarla!! Ma cosa mi era passato per la testa?? Lizzy mi
piaceva, e mi piaceva spaventosamente. Questo non era nei miei programmi. No,
no era impossibile, avrei cercato di rimanere suo amico, già solo un amico.
Quando tornai a
casa erano tutti davanti alla tv ,zia Josie, zio Carl e Nick.
Quando mi coricai
sul letto, pensavo ancora a Bella, ma non con la rabbia di tutte le altre
volte. La sua immagine cominciò a sbiadirsi, come se tutti i momenti passati con
lei, tutto il dolore provato per lei, fossero stati solo sogni passati. Così mi
addormentai e le ferite del cuore che lei mi aveva procurato sembravano
migliorare, sembravano guarire. Forse momentaneamente, ma almeno il mio dolore si era affievolito. Le ferite del cuore sono
le più lente a guarire o forse in realtà non guariscono mai. Sono le illusioni
dolorose, che solo un sentimento forte come l’amore può causare.
Tutto il fine
settimana lo passai a studiare, e al negozio di Kyle per distrarmi, anche se
mi sentii al telefono con Walter a cui piaceva Lucy, nominava Lizzy continuamente perché era la sua
migliore amica. Non mi lamentai, non
volevo dare nessun sospetto.
Quando tornai a
scuola la rincontrai, e questo non potette non farmi piacere. Lei non parlò di
quello che stava per succedere Venerdì ser , ma passavamo tutti i momenti
liberi insieme, anche se nella mia testa ripetevo sempre << Lascia stare
Jake , ti stai mettendo nei guai >> Ma io amavo i guai, insomma nessuno
riusciva a persuadermi dall’immischiarmi in cose complicate. Ormai uscivo tutti
i fine settimana con lei e con i ragazzi, ma evitai di accompagnarla a casa,
visto che conoscendomi avrei avuto lo stesso comportamento di quella sera.
IlVenerdì non avevamo nessun corso in comune purtroppo, così mi
allontanai per dirigermi nell’aula di Chimica. Il cuore mi batteva forte come…
come quando abbracciavo Bella, al’incirca 6 mesi prima.
Bella ora non c’entrava.
Fra me e Lizzy si era
creato un bel rapporto di amicizia, ci chiamavamo per i compiti o per
organizzare una serata fra amici. Sapevo che quando stavo con lei sentivo il
cuore battere nel petto più velocemente, e che mi faceva evadere per un po’ da
tutti i miei tristi pensieri. Ci eravamo molto legati in quei mesi e sentivo
che le carte in tavola sarebbero cambiate da un momento all’altro. Non sapevo
se fidarmi della mia deduzione, ma in fondo quanto può essere importante un
presentimento?
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Capitolo 8 *** 8 ***
jake 9
A Seattle pioveva
meno che a Forks, ma le giornate piovose non mancavano ed era sempre prudente
portarsi un ombrello nello zaino. Non risposi ai messaggi di Leah ,Seth ,Sam e
Emily. Ero sicuro che se avessi mandato loro un messaggio, mi avrebbero
richiamato per convincermi a tornare a casa. Così non li sentii per tutto
l’autunno e anche se mi mancavano tanto, riconoscevo il fatto che la situazione
stava migliorando davvero, e il mio piano stava funzionando. Non esattamente
come avevo pensato, in un modo diverso forse, però stava funzionando, e per
la prima volta dopo un anno mi sentivo di nuovo bene con me stesso e con le
persone attorno a me. Il ventuno Dicembre quell’anno era di Sabato, e le vacanze
natalizie erano già iniziate, i
ragazzi
si aspettavano che Lizzy sarebbe uscita e con loro anch’io, ma
ciò non accadde.
Io le avevo già preparato una cosa e volevo dargliela quella
sera. Erano le ventitrè passate e nella tasca dei Jeans avevo il
suo regalo. Un ciondolo in
legno a forma di cuore, il nastro rosso che lo manteneva poteva essere
accorciato per diventare un braccialetto. Non era una collanina
qualunque, ma
aveva una storia molto importante . Significava davvero tanto per me.
Quella sera era
fredda, anche se non nevicava da quattro giorni, ma non sentivo molto la bassa
temperatura a causa della mia temperatura corporea di quarantadue gradi.
Mi sentivo uno
stupido, avrei disturbato tutti in quella casa solo per darle quel ciondolo,
ma volevo che avesse qualcosa che le ricordasse di me, che le ricordasse che un
giorno io c’ero stato. Una luce al piano di sotto era accesa e senza pensarci
due volte suonai il campanello. Era davvero una bella casa e fuori era addobbata
da decorazioni natalizie .
La porta si aprì.
<< Jake ? >> esclamò Liz sulla porta, con una
vestaglia grigia chiara e i capelli raccolt , era sorpresa ma sembrava felice
di vedermi.
<< Ciao scusa per l’orario >>
<< è successo qualcosa? >>
<< No no niente , oggi è il tuo compleanno …
Auguri >>
<< Grazie … sei venuto qui a quest’ora per
farmi gli auguri ? >> mi chiese sorridendo e un po’
scettica.
<< No … io ti ho fatto un regalo >> le dissi quasi tremando, forse
perché aveva cominciato a nevicare, i fiocchi di neve cadevano sul mio
giubbotto nero. Estrassi il ciondolo dalla tasca e glielo posai nel palmo della
sua mano.
<< Oh Jake … >>
<< Non ti piace?
>>
<< Mi piace è… è bellissimo davvero … dove
l’avrai trovato ? non si vende niente del genere da queste parti… >>
<< E' una
storia lunga ma l’importante è che ti piace >>
<< Entra non rimanere qui fuori, sta nevicando
e poi vorrei tanto ascoltare questa storia
>>
Mi tolsi il
giubbotto e mi sedetti sul divano in pelle bordeux accanto a Lizzy.
<< Potrei
annoiarti >> le dissi.
<< Non mi annoierai >> rispose fiduciosa.
<< Ok … se
proprio vuoi… >> Presi un bel respiro e cominciai a parlare.
<< Questo
ciondolo significa tanto per me. Lo comprò mia sorella Rachel alla morte di mia
madre Sarah, di lì a poco sarebbe stata la festa della mamma e lei l’aveva
comprato ancor prima che morisse in quell’incidente. Il giorno della festa
tornò in quel negozio per comprare un frontino. Erano rimasti altri due
ciondoli dai nastri rosa e gialli. Comprò i due ciondoli al posto di quel che
le serviva e li regalò a mia sorella Rebecca e a me, io avevo 9 anni. Lei mi
diede questo qui con il nastrino rosso ,quello che avrebbe dovuto regalare a
mia madre. >>
<< Jacob, tu vuoi darlo a me ? >>
<< Sì Liz,
voglio che lo abbia tu >>
<< Non so se posso accettarlo … >>
<< Invece tu lo accetti Liz >>
Mi abbracciò all’
improvviso, fu uno degli abbracci più belli che avessi mai ricevuto, uno di
quelli abbracci che si vuole far durare in eterno. Lizzy aveva le lacrime agli
occhi.
<< Mi dispiace tanto Jake, ti manca … lo so >>
Certo che mi
mancava, mi mancava il suo profumo, la sua voce, il suo sorriso, anche i suoi
rimproveri, la sua mania dell’ordine, e mi manca ancora. Tutto di lei. Ma mi
aveva insegnato una cosa, quella di non arrendersi mai, mai davanti a una
difficoltà, di combattere fino all’ultimo per un sogno.
<< Sì , mi manca … ma so che se lei potesse
parlarmi, mi direbbe di vivere senza stare male per lei, non ne parlo mai,
non mi piace … >>
<< Anche mia madre è morta, avevo nove anni e
Silvya ne aveva due … un incidente. >>
<< Mi dispiace tanto … >> Era incredibile, ci eravamo tanto
legati, eppure nessuno aveva avuto il coraggio di parlarne.
<< Jake, mio
padre lavora sulle piattaforme, torna qui solo due volte l’anno, non c’è mai.
Mi aveva promesso di essere qui oggi per il mio compleanno, e invece no, non
c’è … Jake è per questo che corro sempre via quando terminano le lezioni. Mia
sorella non sopporta di stare sola, mia nonna viene verso il tardo pomeriggio
e a volte rimane qui a dormire, io le facciola colazione, il pranzo e le
racconto le fiabe prima di dormire. Sono l’unica persona che c’è sempre stata
quando aveva bisogno, ma per me … >>
Mentre parlava le
scendevano le lacrime, per poco avrebbe fatto piangere anche me.
<< Io per te ci sarò sempre Liz non dimenticarlo
mai! >>
Le asciugai una
lacrima con la mia mano. Vederla soffrire così mi faceva scoppiare, non lo
sopportavo.
<< Scusa >>
mi disse mentre si asciugava il viso con un fazzoletto.
<< Non devi scusarti Lizzy … tu hai sofferto
tanto ma nonostante tutto il dolore che hai provato non ti sei mai arresa e sei diventata la persona meravigliosa che ho avuto
l’opportunità di conoscere, ed ora non piangere … sei molto più bella quando sorridi. >>
il viso ormai era perfettamente asciutto, nei
suoi occhi c’era una luce di speranza e guardandomi mi sorrise. All’improvviso mi sentii fortunato. In tanti
dicono che dopo la pioggia c’è sempre l’arcobaleno. Era lei il mio arcobaleno.
<< Lizzy, non riesco a dormire >> disse Silvya ancora sulle scale.
<< Io dovrei … andare da lei >> accennò Liz a bassa voce.
<< Sì certo >> le risposi.
<< Ci vediamo presto >> mi disse, ed io andai a casa con la
convinzione di essere completamente spacciato, nei guai fino al collo.
Mi ero innamorato
di lei.
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Capitolo 9 *** 9 ***
jake -- 9
Per
la prima volta
dopo tante sere non vidi più il volto di Bella. Anzi, lo vidi,
ma in un modo
diverso. Il suo volto pallido si sbiadiva sempre di più,
sembrava quasi nebbia, poi esso si tramutò in
qualcos’altro. C’era Lizzy. I capelli castani chiari
quasi dorati, le guancie rosee, gli occhi grandi e color nocciola, e
l’incantevole sorriso. C’era lei e non avrei mai potuto
vedere altro.
Quel pomeriggio di
dicembre, del ventidue dicembre i viali erano ricoperti dalla neve.
Arrivarono a casa
tutti i miei cugini per il Natale, e fu molto bello rivederli dopo tanto tempo.
I regali furono tutti messi sotto l’albero, che zia Josie faceva ogni anno con
lo stesso impegno e accuratezza.
Kyle ne aveva
dimenticato qualcuno in negozio e mi chiese di andare a prenderli. Mi diede le
chiavi e mi ci recai a piedi. La neve era troppo alta per usare la macchina.
Presi i pacchi
dall’ufficio e uscii .
Con sorpresa vidi
Lizzy camminare sul marciapiede di fronte al mio. La chiamai da lontano e lei
mi rispose con un cenno e si avvicinò.
Ero parecchio
nervoso ma non volevo perdere un occasione per stare un po’ di tempo con lei.
<< Stavo andando a fare un giro al parco e tu
cosa fai da queste parti? >> mi
chiese curiosa.
<< Oh … Kyle aveva dimenticato dei regali nel
suo ufficio, e sono venuto a prenderli …
>>
<< Perché non vieni a prenderli più tardi? E’
una così bella serata, è un peccato passarla a casa >>
C’era da pensare ? certo che ci andai. Lasciai i pacchi nel negozio sul
pavimento.
Il parco era
completamente innevato. Bellissimo. Mi sentivo di nuovo bambino.
Lei mi precedette,
perché, mentre ero distratto a respirare la fredda aria pomeridiana, Lizzy mi
lanciò una palla di neve che diede via a una vera e propria battaglia.
Ok lo ammetto era
una cosa stupida ma … insomma al diavolo le cose serie. E’ così che gli adulti
invecchiano, è così che i bambini crescono, quando si accorgono che ci sono
cose più importanti, cose più da grandi. Ogni tanto bisogna lasciar giocare il
bambino che abbiamo dentro e così feci.
La lasciai vincere, da vero gentiluomo.
Seduti sulla neve,
vicino a un albero, non riuscivamo a smettere di ridere. Era uno di quei
momenti in cui per un po’ dimentichi le cose che ti hanno fatto stare male,
che ti hanno fatto piangere, che ti hanno fatto sentire diverso. Camminammo
nel parco e parlammo tanto.
Ormai era buio e
noi due eravamo illuminati dalle luci dei lampioni.
Ci guardammo in
silenzio per qualche secondo.
<< Lizzy io … vorrei dirti una cosa … è molto
importante … >> Una cosa che non dovevo dire e che dovevo
tenere per me.
<< Anch’io , io… ti ascolto >>
<< Liz io…
non so come ma … >> esitai un attimo. << Tu sei speciale, grazie a te ho
ripreso a vivere, mi hai fatto vivere … e non so cosa avrei fatto senza di te,
probabilmente sarei caduto in depressione o non so cosa … oppure sarei diventato
uno di quei ragazzi sempre vestiti di nero e ultrasensibili che tutti odiano o
sarei diventato un barbone pazzo oppure …
>>
Liz rise, era una
risata dolce. << Non saresti mai diventato così Jake … >>
<< Oh sì invece … tu, tu mi
hai salvato, mi hai salvato da tutto e credo che … io voglia essere più … di
un amico per te.>> dopo aver detto questa frase ci fu un attimo di silenzio.
<< Anche per me è lo stesso… sei l’unico che mi
ha compreso del tutto fino ad ora e che mi ha accettato per quella che sono… >> mi disse guardandomi negli occhi
imbarazzata e felice allo stesso tempo.
Le presi il viso
fra le mani, entrambi chiudemmo gli occhi e avvicinammo le nostre labbra. Fu
un bacio vero, un bacio che bruciava tanto era forte il sentimento che provavo
per lei… e forse che provava anche lei.
Quando tornai a
casa avevo dimenticato di prendere i regali. Lizzy era riuscita a farmi sviare
completamente di strada.
L’avevo baciata, ci
eravamo baciati ed ero sicuro che non avrei rivisto più nessun’altra a parte
lei, ne ero sicuro, ero finalmente felice ma sapevo che niente sarebbe stato
facile.
Mi sentivo
bruciare, era come un fiamma che ardeva dentro il mio cuore e non si poteva più fermare.
Un vero incendio doloso che non volevo spegnere.
Il Natale passò
velocemente e non furono i regali a rendermi il ragazzo più felice del mondo,
sicuramente perché ero ancora inconsapevole di quello che stavo facendo. Volevo
essere sincero con lei, volevo raccontarle tutto senza avere paura. Ma c’era
una cosa di cui avevo terrore ed essa faceva parte della mia stessa natura. Ero
un licantropo, temperatura corporea di 42 gradi, forte per uccidere i vampiri
e veloce per rincorrerli. Volevo, volevo essere sincero con lei . Ma mi
avrebbe mai creduto? Insomma nessuno crederebbe a una cosa simile “Ciao scusa
ti volevo solo dire che sono un licantropo”. Perché? Perché? Perché ero nato
così? Perché la vita è così ingiusta? Sarebbe scappata via e io non l’avrei
biasimata.
Ero nella mia stanza coricato sul mio letto. Squillò
il telefono
Era Seth. Oddio, un
problema dopo l’altro, non finivano mai … dovevo rispondere? dovevo lasciare
squillare il telefono? No, non questa volta.
<< Pronto
>>
<< Jake devi venire subito >>
<< Seth lo sai >>
<< Jacob è importante, potremmo morire tutti,
Io, Edward, Bella, Renesmee… >>
<< Renesmee?
>>
<< Non
c’è tempo per spiegare adesso, vieni Jake, i volturi
stanno venendo per applicare la loro legge, per ucciderli…
>>
Che fare? In quel
momento c’era solo Lizzy e nessuno poteva togliermela dalla testa ma vedere
Bella proprio in quel momento mi sembrava davvero inappropriato. Ma l’avevo
amata, Il mio primo amore, e la mia prima e sfortunata causa persa. Anche lei
mi voleva bene e mi sentivo in dovere di fare la mia parte. Sì la volevo
aiutare. Non lo facevo solo per lei, ma per i ragazzi che nonostante tutto non
mi avevano mai voltato le spalle.
Presi la golf, anche
se trasformandomi sarei arrivato più velocemente. Il ghiaccio ricopriva ancora
alcune parti della strada ed io premevo costantemente l’acceleratore, anche se
avevo oltrepassato il limite di velocità. I miei amici erano lì ad aspettarmi
ed io non li avevo mai dimenticati, così come non avrei mai dimenticato la
ragazza che mi stava riportando alla vita, che mi stava riportando a sperare.
Avrei fatto il
possibile per aiutarli ma non mi sarei trattenuto per molto. C’era un nuova
vita che aspettava di essere vissuta.
Questo capitolo è stato recensito per la prima volta da Ila_sgu, Many8 e Wolfgirl.
Grazie a tutti voi per leggere <3
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Capitolo 10 *** 10 ***
Jake 10
Il
ghiaccio e la
velocità messi insieme fecero sviare l’auto, facendola
andare a sbattere contro
qualcosa che non potetti vedere. Ero terrorizzato, non avevo mai avuto
un
incidente in tutta la mia vita e mi sembrò di buttare via la
vita che Lizzy mi
stava insegnando a ricostruire. La parte laterale dell’auto era
completamente
distrutta, il colpo la fece rimbalzare, portandola al centro della
strada. Il
mio braccio destro era sanguinante. I vetri dei finestrini si erano
spaccati in
tante piccole schegge che mi avevano provocato parecchie ferite e mi
avevano graffiato. Tutte le auto intorno si fermarono ed io dolorante avevo
sprecato un ultima occasione per fare qualcosa di buono.
Un uomo calvo e in
sovrappeso si avvicinò per chiedermi se stavo bene e cominciò a chiamare
l’ambulanza. Era vestito con un abbigliamento da ufficio. Sulla giacca aveva
una targhetta con scritto il suo nom , cominciava con la J ma non riuscii a
leggerlo bene, sapevo che era un avvocato, uno dei più importanti di tutta la
città. Finanziatori e gestori di aziende si rivolgevano a lui per qualunque
evenienza. L’uomo era sudato e si asciugava la fronte con un fazzoletto. Le
ferite bruciavano ma sapevo che sarebbero guarite velocemente, molto più
velocemente in confronto a qualunque altro.
<< No , non lo faccia! >>
dissi dal mio posto. Andare all’ospedale
mi avrebbe causato problemi a non
finire.
<< Hai bisogno di un’ambulanza, potresti
esserti rotto qualcosa e … perdi sangue … >>
<< Non è niente davvero basterà una medicazione >> aggiunsi.
<< Che ti farà un medico curante >> rispose l’uomo dirimpetto.
La rabbia e la
paura stavano prendendo il sopravvento, che cosa avrebbe detto il medico se si
fosse trovato a visitare un ragazzo apparentemente con la febbre a 42? Saperlo
non mi interessava così …
<< Mio zio è un medico, verrà lui a prendermi >> In quella circostanza mentire era di vitale importanza.
L’uomo mise giù il
telefono. Le persone intorno avevano creato una specie di cerchio che cominciò
a disfarsi.
Poi una soffiata di
vento mi colpì il viso. Un odore nauseante, un profumo insopportabile.
Vampiro, e proveniva da una macchina ad ultima generazione appena passata.
L’avvocato fece per girarsi, sembrava sicuro di conoscere il proprietario della
macchina, molto di più di me. Era impossibile. Strano. Come avrebbe potuto
conoscere la famiglia Cullen? Loro non avevano nessun contatto con la città di
Seattle. Sicuramente era stato attirato dalla moderna autovettura.
Non feci nulla.
Carlisle ? Alice? Chiunque fosse non c’era più niente da fare, era tardi, lo
sapevo. Seth non mi avrebbe mai chiamato se la situazione non fosse stata
urgente, pericolosa e agli sgoccioli. Non potevo più aiutarli. Maledivo me
stesso per non essermi trasformato, fu l’unica volta in cui ero grato di
essere quello che ero.
Quando zio Carl venne a
prendermi le ferite facevano meno male ed
erano meno evidenti. A casa zia Josie mi disinfettò le ferite e mi mise dei
cerotti, ma solo dopo avermi riempito la testa di quanto l’avessi fatta
spaventare. La mia golf? Ripararla sarebbe costato più del comprarla usata. Quindi non la rividi
mai più. La macchina non si poteva recuperare. Anni di fatica andati in fumo.
Pregai zia Josie di non avvertire mio padre dell’incidente. L’avevo già
chiamato per Natale e non volevo che si preoccupasse. E Liz? Non doveva sapere
niente, si sarebbe solo preoccupata inutilmente. Non feci in tempo a dirlo a
zia Josie che il campanello suonò. Era proprio Lizzy.
<< Salve >> disse timidamente e con il viso
contorto dalla preoccupazione.
<< Prego Lizzy entra pure >> disse zio Carl gentilmente.
Entrò quasi in
punta di piedi, come se avesse dovuto entrare in una vasca d’acqua fredda invece
che in una calda e accogliente casa. Quando incontrai suoi occhi mi sentii come
se l’incidente non fosse mai accaduto, il dolore delle ferite sembrava sparire, il motivo per cui
mi ero ferito il braccio sembrava non ronzare più fra i miei pensieri.
Zio Carl e zia
Josie uscirono dalla stanza socchiudendo la porta. Lei corse ad abbracciarmi.
<< Non immagini cosa mi hai fatto passare … >> mi disse buttandomi le braccia al
collo dolcemente, per paura di farmi male.
<< Liz... mi dispiace...>> quelle scuse mi venivano dal profondo del cuore. Ero stato un
irresponsabile.
<< Non puoi neanche immaginare come mi sono
sentita , io … io non voglio perderti, non posso, non posso >>
Le avrei voluto
dire tutto quello che mi passava per la testa in quel momento, che avevo
bisogno di lei, che un giorno senza di lei sarebbe stato solo vuoto e triste;
Ma ebbi solo la forza di baciarla.
<< Non farlo mai più >> mi sussurrò all’orecchio mentre era
ancora abbracciata a me. Non sarebbe successo mai più lo sapevo, ne ero certo
come non lo ero mai stato prima. Le ferite guarirono in fretta, sparirono dopo
neanche una settimana. Era iniziato un nuovo anno ed il solo proposito che mi
ero posto era quello di non farla mai soffrire, aveva sofferto troppo. E non
avrei mai lasciato che succedesse di nuovo a causa mia.
Dopo le vacanze
natalizie, ricominciai ad andare a scuola normalmente, tutti potevano intuire
che io e Lizzy stavamo insieme. Era tutto perfetto, sembrava perfetto, ma non
potevo nascondermi a lungo, non potevo nascondere me stesso. Almeno non per
molto. Quella era l’unica cosa negativa dell’essermi innamorato di lei.
Eppure quando stavamo insieme mi sentivo così felice,
così normale ... mi sembrava che tutto il mondo potesse finire
lì in un solo istante, con un suo sorriso o con un suo bacio.
Grazie a Many 8, Ila_sgu, Sara 71 e Uchina Chan per aver recensito questo capitolo per la prima volta :)
E grazie a tutti voi che leggete :)
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Capitolo 11 *** 11 ***
jake 11
Dopo le vacanze
natalizie, ricominciai ad andare a scuola normalmente, tutti potevano intuire
che io e Lizzy stavamo insieme. Era tutto perfetto, sembrava perfetto, ma non
potevo nascondermi a lungo, non potevo nascondere me stesso. Almeno non per
molto. Quella era l’unica cosa negativa dell’essermi innamorato di lei .
Furono
i due mesi più belli della mia vita e anche se volevo che non finissero mai,
sapevo che il tempo era il peggior nemico per il nostro amore… e per il mio
segreto.
Era un monotono
giorno di aprile per me, ma così non era per tutti. Era il giorno della partita
di basket più importante dell’anno, la classificazione ai campionati regionali.
Le ragazze avevano colorato bandiere verdi e viola con imperativi di vittoria
verso la nostra squadra, i “ Seattle Dragons “. I ragazzi si erano legati a
modo di bandana dei fazzoletti relativi alla partita. Io ce l’avevo legato al
polso, non ero così entusiasta come tutti gli altri. Per l’occasione Walter si
era tinto i capelli di un verde simile a quelli del drago sul logo. Era impossibile
non notarlo, e lui andava fiero della sua chioma come il capitano di una
squadra dovrebbe andare fiero della sua vittoria.
Nonostante questo
non aveva perso il fascino spavaldo che faceva sempre attirare l’attenzione
delle ragazze del primo anno. Aveva i capelli dello stesso colore dei suoi
occhi, e il suo ciuffo lungo gli dava l’aria di uno spazzolone. Avrebbe potuto
fare la mascotte al posto di quel costume sbiadito e tutto impolverato che
andava a soffocare il ragazzo che lo stava indossando. Nessuno a parte lui fece
delle modifiche al proprio look. Dina non avrebbe mai rovinato i suoi capelli
caramellati e non si sarebbe mai dipinta la faccia di pitture varie. Lucy si
era tagliata i capelli castani con un taglio quasi maschile una settimana prima
per il matrimonio di una sua lontana cugina e non per l’evento scolastico e
Lizzy era rimasta sempre la stessa, anche se ogni volta che la guardavo mi
sorprendevo per le cose più banali.
Assistemmo alla
partita nella palestra del nostro liceo che era il più grande della città, era
un evento importantissimo e mi sembrò quasi di essere interessato davvero. La
partita finì nel modo migliore. Aspettammo che tutti gli atleti uscissero dagli
spogliatoi per fare i complimenti a Mark che giocava in difesa. Le cheerleader
gli guastavano i lisci capelli biondo miele e tentavano di aggrapparsi alle sue
spalle. Mark non aveva mai avuto un debole per le cheerleader e non si sarebbe mai
ceduto a loro, di fronte alla ragazza che gli interessava. Dina. Forse tutti lo
sapevano tranne lei.
Io e Lizzy eravamo all’uscita
della scuola e tutti gli altri studenti ormai se n’erano andati, salutammo i
ragazzi; Mark portò con sé Dina nella vecchia macchina che gli aveva prestato
suo zio per l’occasione e Lucy andò via con Walter sulla sua moto. Io e Lizzy
non avevamo un mezzo di trasporto e mio zio dopo l’incidente non si fidava
ancora a darmi la sua auto … Stranamente
Lizzy non voleva correre via dalla sua sorellina, sembrava che fosse
sicura che
Silvya quel giorno ce l’avrebbe fatta anche senza di lei, mi
prese la mano
sorridente. Era sicuramente più bello andare a piedi, se avessi
dovuto guidare
non avrei potuto prenderle la mano, contatto che in quel momento mi
fece sentire vivo e felice come non mai. Eravamo dalle parti
dell’uscita posteriore
della palestra, quando incontrammo direttamente sul nostro marciapiede
le
cheerleader della nostra scuola, con la puzza sotto il naso e
l’aria di
superiorità che le caratterizza.
Ero sicuro che non
avrei mai avuto contatti con quel genere di ragazze, neanche un saluto.
Immaginavo che anche Lizzy la pensasse così .
Le sette
cheerleader si fermarono di fronte a noi di scatto, come se avessero appena
visto una barriera che stesse loro impedendo di passare. Tre ragazze dal centro, avanzarono di qualche
passo e si fermarono. Avevano tutte la stessa divisa, la gonnellina a pieghe
blu, il top viola con il logo dei “ Seattle Dragons “, gli scalda muscoli neri
e le scarpe bianche dello stesso modello, ma le ragazze di fronte a noi erano
certamente le più appariscenti. La
ragazza a sinistra , dai capelli neri , ricci e con la pelle ambrata masticava
assiduamente una gomma da masticare, quella a destra con i capelli rosso fuoco, lisci e
non naturali e la pelle pallida ,ma non come la tipologia che avevo conosciuto
io, si sistemava il suo liscio ciuffo che le copriva quasi metà del viso e quella al centro, dalle carnagione dorata,
con i capelli scuri e le estenxions rosa si mise le mani sui fianchi con
decisione. Erano carine ma facevano
notare la loro eccessiva arroganza.
<< Lizzy !!
>> dissero in coro con finto entusiasmo e si fermarono a
salutarla. Liz sembrava imbarazzata. Non avrei mai immaginato che si potessero
conoscere
<< E’ incredibile quanto tempo è passat… >> disse la ragazza dai capelli ricci.
<< Ti trovo bene … >> disse quella con i capelli rossi.
<< Non hai cambiato colore di capelli vero
? >> disse la ragazza con le
exstencions rosa.
<< No …
>>
<< Molto meglio, ho sempre adorato il tuo
colore…
>>
<< E lui è un tuo cugino ? >> disse la ragazza a sinistra.
<< No…
>> rispose lei, sembrava molto infastidita dalla loro presenza.
Loro la guardavano con aria di superiorità, convinte di chissà quale
affermazione. Le misi il mio braccio destro intorno alle sue spalle e risposi al
suo posto.
<< Sono il suo ragazzo. >> dissi io sicuro. Erano davvero
sorprese e sembrava che non volessero credere a quello che avevano sentito.
Sembrava che non volessero credere a quello che loro stesse stavano guardando.
Ci fu uno sguardo distante.
<< Si è più saputo qualcosa di Ronnie ? >> chiese Liz sul chiasso stridulo che
facevano le ragazze. Le risatine smisero all’istante per lasciare spazio a un
silenzio quasi tombale. I sorrisi forzati si trasformarono in un espressione di
tristezza.
<< Nient …
>> rispose la ragazza con le estexions, il silenzio continuò a dominare
per i secondi successivi .
<< Ragazze andiamo, l’umidità mi rovina i
capelli.>> disse la ragazza dai capelli ricci e
voluminosi.
<< Certo, Laura.>> risposero in coro,
<< Ciao, Lizzy.
>> dissero insieme guardandola con uno sguardo fulminante . Si
allontanarono, camminando in modo sincronizzato.
Liz era immobile e
non sembrava intenta a parlare. Aveva lo sguardo perso nel vuoto, stava
pensando. Volevo entrare nei suoi pensieri , volevo sapere cosa la assillava
tanto e perché delle ragazze così superficiali come quelle appena incontrate
l’avessero potuta condizionare in qualche modo. Lei era così diversa, era
migliore, anche se sapevo che non l’avrebbe mai ammesso.
<< Chi sono ?
>> le chiesi
Lei sospirò
<< Erano mie amiche… erano.
>> specificò l’ultima
parola come se fosse stata la più importante della frase.
<< Mi sembra molto strano, voi siete così … >>
<< Differenti >>
<< Sì , non riesco a capire come >>
<< Non mi sono mai trovata davvero bene con
loro… è una storia lunga >> nel frattempo ci stavamo dirigendo
verso casa
<< Se non vuoi raccontarla non importa, infondo
guardale , non hanno niente a che vedere con te, non c’è paragone … in senso
positivo naturalmente >> le dissi accarezzandole il viso
<< No … >> continuò a camminare guardando
di fronte a sè << Io avevo una
cara amica . Stavamo sempre insieme. Sempre. Era una bellissima amicizia. A
volte desideravo essere come lei, quei capelli così scuri e così lisci e
lucenti. Aveva una bella carnagione che la faceva sembrare abbronzata tutto
l’anno, il naso alla francese, gli occhi neri e il fisico statuario. La sua
foto è sull’annuario scolastico, in prima pagina. Lei mi diceva di volere i
miei stessi riccioli sparsi per la chioma … così irregolari … e le piacevano i
miei occhi. Ci dicevamo sempre ogni cosa. Era come una sorella. >>
<< Poi cosa è successo ? >> lei era sempre più triste
<< Ad una festa abbiamo conosciuto Laura, la
ragazza con i capelli ricci, Cassie la ragazza al centro con i ciuffi rosa e
Claude la ragazza con i capelli rossi. Non mi sono mai trovata davvero a mio
agio con loro. Ma evidentemente non era lo stesso per lei.
Voleva
fare la ballerina e quando le proposero di entrare nella squadra delle
cheerleader non esitò. Ero felice per lei, anche se ci vedevamo
molto meno. Uscii con loro qualche volta, ma non mi piacevano.>>
Sospirò, stavo per
chiederle di lasciare perdere quando …
<< Smisi
di frequentarle e Ronnie stava molto tempo sempre con loro, anche se
ogni volta che potevamo riuscivamo a vederci e poi lei aveva un
ragazzo, Peter. Ci guardavamo tra un banco e l’altro chiedendoci
perché, ma nessuna aveva mai il coraggio di chiederlo davvero,
nessuno aveva
mai il coraggio di rispondere. Mi dispiaceva
tanto, volevo che le cose tornassero come erano prima, così le chiesi se voleva
passare da casa mia dopo la scuola, quella sera, per parlare e passare un po’ di tempo
insieme. Nello stesso istante si avvicinò Cassie che la
prese per il braccio. Lei cambiò completamente espressione e mi rispose che
aveva già degli impegni, che ci sarebbe stata un'altra occasione.
Quell’occasione non
ci fu mai … >>
Mi pentii di
averglielo fatto raccontare. Sembrava che tutto stesse accadendo in quel
medesimo istante. Chissà quanto era stata importante per lei quell’amicizia,
non aveva mai davvero avuto un attimo di tregua nel soffrire?
<< Ronnie non era fra loro … >> dissi
<< No
>> rispose all’istante. Come se non poteva essere altro che così.
<< Liz, tu non devi stare male per una persona
così, non devi davvero … >>
<< Quell’occasione non ci fu mai … e mai ci sarà
>>
Non riuscivo a
capire, non riuscivo a comprendere del tutto quello che intendeva dire quando
prima di quel momento era stato tutto così semplice …
<< E' scomparsa il tre Maggio di un anno fa,
nessuno l’ha più ritrovata, lei non è
più tornata … qualcuno l’ha presa … non
lo so … qualcuno ce l’ha portata via e non so chi, non so come. In quel periodo
tante persone sparivano nel nulla, si parlava di un serial killer, alcune non
si sono mai trovate ,come lei , altre sono state trovate morte … lei era la mia
migliore amica … ed era buona … lei non meritava tutto questo, anche se niente
era più come prima … >>
L’abbracciai forte,
mi sentivo così incolpa.
Sapevo, sapevo
tutto , sapevo quello che era successo a Ronnie. La storia del serial killer
era tutta una farsa, era tutto falso.
E lei non sarebbe
ritornata mai più.
Forse l’avevo
uccisa io… con le mie stesse mani, durante la battaglia.
Come potevo sentirmi
un assassino? Avevo fatto la cosa giusta per proteggere tutti. E se fosse
successo a lei? Poteva, poteva succedere!! Poteva morire !!! uccisa da i
vampiri neonati che … Victoria … quella succhiasangue aveva creato. Edward!!
non aveva mai fatto niente di buono … Liz , Liz, nessuno me l’avrebbe portata
via adesso.
Sentivo di avere un
enorme peso sulla coscienza, invisibile ma pesante come la pietra, migliaia di
tonnellate sul mio petto.
Povera Lizzy.
Chissà se avrebbe sopportato di sapere chi ero veramente … e che la sua
migliore amica era diventata un mostro con il solo scopo di uccidere.
Anche se ero sicuro
che avrebbe portato a qualcosa di tragico, lei non meritava di essere
ingannata. Sapevo che il momento della verità era vicino, sapevo che lo avrei provocato io
stesso .
Ero preparato a
vedermi abbandonare ancora, come tanti avevano fatto , come una persona aveva
fatto con me… Bella. Lei che mi aveva fatto amare per la prima volta, lei che
mi aveva abituato ad essere rifiutato, ingannato e illuso. Potevo odiarla per
questo, ma forse era anche grazie a lei se ero cresciuto, anche grazie
a lei se ero diventato più forte. Aveva
fatto lo stesso anche con il mio cuore, calpestato e gettato al
vento … che crudele
mi mostrò come era stato ridotto, come l’amore era
riuscito a polverizzarmi. Però c' era qualcosa di molto diverso
in quel momento, l'amore per Lizzy mi avrebbe dato la forza per lottare
e per andare avanti.
*
Ciaoooo,
in questo capitolo abbiamo scoperto qualcosa di innaspettato. E dopo
aver ascoltato il racconto di Lizzy per Jake sarà molto
difficile andare avanti senza dire nulla. Sappiamo che lui
è una persona sincera e adesso Liz è la persona
più importante per lui. Cosa farà? Correrà il
rischio ? Lo scopriremo nel prossimo capitolo !!! =)=)=)
Grazie a Many8, Sara71, Wolfgirl e 4lb1c0cc4 per averlo recensito per la prima volta. Grazie a chi legge :)
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Capitolo 12 *** 12 ***
jake 12
Cercai la foto di
Ronnie sull’annuario. La trovai e le mie deduzioni si dimostrarono vere. Ronnie
Parker, bella, con il sorriso sulle labbra, i pon pon agitati. Nessuno
l’avrebbe mai riconosciuta … se l’avesse vista come l’avevo vista io.
Con gli occhi rossi
di sete, i vestiti rovinati e la bocca contorta in un urlo di battaglia. Fu Sam
a ucciderla, si buttò verso di lei con forza … e quella che sembrava una
vampira coraggiosa e combattiva, si dimostrò debole e indifesa.
Fece la fine di
tutti gli altri.
Lizzy mi vedeva
strano, si stava accorgendo che c’era qualcosa che non andava ed io facevo
sempre finta di niente.
Fu una settimana
orrenda, mi sembrava di dover recitare su un palco davanti alle persone che più
mi volevano bene, ed io non sapevo recitare.
Lei non ci diede
molto peso, anche perché stando con lei dimenticavo quasi ogni problema che mi
assillasse.
La sua migliore
amica era morta e non c’era niente che potessi fare per riportarla in vita,
niente che mi aiutasse a cambiare il passato. Se ne fossi stato capace il mio
sarebbe stato certamente diverso ma non avevo poteri magici o quant’altro. Il
passato rimaneva passato, e nessuno poteva cancellarlo.
Eravamo nel parco a
fare una delle tante passeggiate che amavamo fare.
Cominciò a piovere
e fortunatamente entrambi avevamo degli ombrelli nello zaino. Eravamo appena
tornati da una riunione studentesca nel pomeriggio e non avevo alcuna intenzione di prendere
l’ombrello. Liz mi guardava perplessa mentre la pioggia aumentava. Era così
bella. Lei era sempre meravigliosa e il
dispiacere che riempiva il mio cuore in quel momento era indescrivibile.
La mia impulsività
mi diceva che stava per succedere.
<< Jake andiamo!
Ci inzupperemo i vestiti! >> disse
Lizzy.
<< Devo dirti una cosa >>
<< Per favore, andiamo a casa … >> Non
riuscivo a capire come potesse sempre essere gentile e amorevole. La mia dolce
Liz
Ormai il parco era
deserto.
La guardai con
tutta la serietà che avevo in corpo ,che dopo tanta fatica riuscii a trovare .
Lei si riparava con il suo ombrello viola, io ormai , nonostante il cappuccio
del mio giubbotto nero ero quasi completamente bagnato.
Lizzy aveva un’aria
preoccupata.
<< Lizzy io
so che quando saprai … non vorrai più stare con me >> dissi con sforzo
<< Jacob di cosa stai parlando? >> mi chiese con agitazione
<< Mi dispiace Liz … >> ogni parola era un dolore atroce,
ogni parola mi avvicinava al momento in cui lei avrebbe saputo.
<< Jake …
>>
<< Io so di
Ronnie >> le dissialzando il tono
di voce. Lei rimase in silenzio senza neanche respirare ed io insieme a lei non
riuscivo a muovere un muscolo. Poi cominciò a dire qualcosa.
<< Come puoi
… >>
<< So cosa è
successo a Ronnie ed io non sono quello che hai sempre pensato. Non posso
partecipare alle gare scolastiche perché batterei tutti senza sforzo, evito di
correre perché se mi lascio andare supero gli altri di metri e metri,La mia
temperatura corporea supera i 40 gradi , le mie ferite guariscono a una
velocità anormale e so, so cosa è successo a Ronnie >>
Mentre dicevo questo
salivo sulla scalinata che portava nella parte bassa del parco e Lizzy impietrita
non mi seguì , rimase immobile a guardarmi. Voleva capire.
<< Posso
scendere da qui con un salto senza farmi male
>>Compivo ogni azione senza riflettere perché mi sarei bloccato ed
io non volevo continuare a vivere in quel modo. Feci un salto di circa sette
metri , Liz stava per urlare ed io non mi feci un graffio. Lasciò l’ombrello e
mi abbracciò spaventata nonostante tutto quello che aveva visto e sentito.
<< Jake
sei pazzo? Ma che ti prende? >>
<< Ti sto
dicendo la verità ! In questo mondo esistono cose che nessuna persona con la
testa sulle spalle potrebbe mai pensare come possibili >> Stava smettendo
di piovere ma lei ormai era bagnata quanto me.
<< Sono
un licantropo e uccido le sole cose a cui siamo autorizzati a uccidere … i
vampiri, Ronnie la tua migliore amica, è successo tutto per colpa loro … è
morta Liz >> Dissi con difficoltà
e forza allo stesso tempo . I due elementi combinati insieme le fecero capire
quanto stavo male. E lei con le lacrime agli occhi era stata distrutta. Ancora
una volta.
Mi tolsi il
giubbotto , lo gettai per terra.
<< Devi vedermi , questo è quello che sono e
nessuno potrà mai cambiare le cose …
>> Doveva sapere, era giusto così anche se faceva male, anche se
faceva soffrire.
Corsi più
velocemente che potevo … sentivo il vento nei capelli , l’aria ghiacciata
toccarmi il viso … e mi trasformai.
Mi girai per
guardarla , era appena venuta a conoscenza che la sua migliore amica era morta,
la sua speranza di rivederla era svanita ed io? L’unica fra tante persone di
cui si fidava ciecamente? cosa avrebbe pensato di me? Un mostro , solo un
mostro , non mi avrebbe voluto più. Sarei sopravissuto anche a questo? Il mio
cuore non sarebbe stato capace di battere ancora come prima. E lei? Non urlava,non
parlava, ma sapevo, ero certo che in quel momento stesse soffrendo in un modo
disumano, e tutto per colpa mia.
Mi guardava
incredula , all’inizio impaurita, poi fu lei ad avvicinarsi a me, avevo paura
che mi toccasse, avevo paura di farle del male … anche se sapevo che non avrei
mai potuto fare una cosa del genere. Mi accarezzò il pelo ed io, senza
rendermene conto, ripresi le mie sembianze umane. Si girò imbarazzata perché
non avevo i vestiti addosso .Nello zaino avevo portato con me un cambio.
Mi vestii
velocemente e poi tornai a guardarla, Liz mi fissava con un espressione
indecifrabile, in silenzio con i capelli umidi che le incorniciavano il suo
bellissimo viso.
Si mise a sedere
sul prato bagnato. Fra quegli alberi ormai lontani dalla parte disolito
frequentata. I suoi Jeans erano bagnati fino al ginocchio e il suo giubbotto
era lungo fino a metà coscia. Non si sarebbe bagnata ancora ed io non riuscivo
a credere che non fosse ancora scappata via.
Io mi misi a sedere
accanto a lei. Aspettando qualcosa. Aspettando il peggio.
Lei invece con il
viso rigato di lacrime mi abbracciò con tutta la forza che le era rimasta.
<< Avresti dovuto scappare >> le dissi
<< No… >> disse singhiozzando.
<< Vuoi lasciarmi, lo so che vuoi, sai dovresti… >> le sussurrai all’orecchio
<< No
>> fu l’immediata risposta
<< Non hai paura?
>>
<< Tu non
potresti mai farmi del male >>
L’abbracciai forte
, aveva i capelli fradici.
<< Io ti
credo Jake, ma non mi importa … io voglio stare con te >> diceva mentre
era ancora tra le mie braccia.
<< Anch'io Liz, anch'io >> le risposi
<< Se mi
rimani abbracciata ti asciugherai prima… >>
Non potevo
crederci. Era ancora lì, con me. Dopo tutto quello che le avevo detto. Dopo
tutto quello che aveva saputo. Lei era lì. La cosa più preziosa che avessi. Se
avesse voluto l’avrei lasciata andare via. L’avrei lasciata andare.Così doveva
essere.
Liz invece era
ancora avvinghiata a me. Mi dava ancora fiducia e non aveva avuto paura.
L’amore, ecco cos’era. Era esso che ci univa, era esso che ci teneva insieme ed
io non sapevo più chi altro ringraziare per aver avuto lei che era la
giustificazione per ogni mia buona azione.
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Capitolo 13 *** 13 ***
jake 13
Eravamo ancora
abbracciati, lei appoggiata sul mio petto mi stava facendo provare un emozione
che non avevo mai conosciuto prima. Volevo rassicurarla e volevo dirle tutto
quello che provavo per lei ma non sapevo da dove cominciare, poi i mie pensieri
furono interrotti dalla sua voce.
<<Liz, sarò sempre qui … per te
>> “ fino a quando lo vorrai “ ripetevo nella mia mente. Volevo stringerla
ancora più forte a me.
Poi il silenzio.
Sentivo solo il suo melodioso respiro su di me.
<< Ronnie è morta ? >> mi chiese.
<< Mi dispiace, Liz, ma nessuno poteva impedire
che succedesse >> sul mio petto, sentivo scendere le sue
lacrime calde.
<< Non sarà questo ad allontanarci … >> disse Lizzy decisa.
<< Forse tu non sai quello che dici >> dissi. Nonostante io fossi felice
che non fosse scappata via non potevo non ammettere che se fosse fuggita
avrebbe evitato di essere esposta a molti pericoli.
<< Lo so invece … so che non mi feriresti mai,
so che non mi diresti mai bugie, oggi mi hai dato la conferma … e so che …
>>
<< Tu non sai tante cose >> dissi con aria di rassegnazione << E non sai in che situazione ti ho messa
raccontandoti tutto questo … >> continuai. Era la verità, ma se ci avessi
riflettuto a lungo prima forse non le avrei mai detto nulla.
<< E’ stata la scelta più difficile che io
abbia fatto in tutta la mia vita … perché raccontarti tutto significava essere
del tutto sincero con te ed era quello che volevo ma … avevo paura che tu mi
considerassi un mostro … e poi Ronnie
>>
<< Non riesco a capire perché tu possa pensare
una cosa simile >>
<< Perché tu … >> presi fiato << Sei la persona più bella che io abbia mai
conosciuto, troppo per me , io non ti merito per quello che sono,
… sono impulsivo e a volte infantile … sono così >>
<< Jake … >> sussurrò prendendomi le mani e intrecciandole
alle sue
<< E’ tutto vero >>
<< Sei straordinario … semplicemente
straordinario >> Come poteva dire
questo di me ? Io non ero nessuno , nessuno.
Continuò.
<< Sei umile , generoso, solare, responsabile
e promettimi che non mi lascerai per questo
>> Fece un respiro profondo , io l’ascoltavo attento anche se
sentire quelle parole mi rese felice e nello stesso tempo imbarazzato. Ci
furono alcuni secondi di silenzio in cui l’unico sottofondo erano i nostri
respiri.
<< Ti amo, Jake >> mi disse
Il mio cuore cominciò
a battere velocemente. Quelle sue parole mi resero il ragazzo più felice al
mondo. Io la ricambiavo in tutto e per tutto, e anche se non riuscivo a
spiegarmi come questo fosse possibile non riuscivo a smettere di guardarla con
ammirazione e incanto.
<< Ti amo, Liz
>> le risposi nel modo più dolce che io potessi conoscere.A volte
dubitavo del fatto che non fosse capace di leggermi nel pensiero, perché era la
stessa cosa che volevo dirle anche io. Forse l’amavo dal primo giorno in cui i
miei occhi incontrarono i suoi, ma non me ne ero ancora reso conto.
<< Promettimi che fino a quando mi amerai non mi
lascerai >>
Glie lo promisi ,
Lei era la mia vita , quando non ero con lei mi sembrava di essere incompleto.
Mi sentivo uno di quei puzzle di cui non si trovano i pezzi e lei era l’unica a
possederli e a potermi fare sentire in paradiso. Per stare con lei avrei
rinunciato davvero a tutto. Era la seconda volta che mi innamoravo, il
sentimento però sembrava non smettere mai di crescere e avrebbe continuato fino
a quando il mio cuore non avesse avuto la forza di sopportarlo. Ma per lei ,per
lei avrei sopportato tutto. Era la seconda volta che mi innamoravo , ma al
contrario della prima ero più conscio di quello che provavo. Ero consapevole
dell’incredibile dono che il cielo mi aveva donato senza che io lo meritassi.
L’accompagnai a
casa sua dove c’era ad attenderla la sua sorellina. Io non facevo altro che
pensare a lei e al giorno seguente, in cui l’avrei rivista e non avrei avuto
più niente da nasconderle.
Dopo essere uscito
allo scoperto, era normale che Lizzy ne volesse sapere di più. Così le
raccontai in generale chi eravamo e cosa facevamo. La questione di Victoria? Sì
le raccontai anche quella, tralasciando un piccolo particolare. Quando Lizzy mi
chiese il motivo per cui la vampira aveva creato quell’esercito, le dissi che
parlarne mi faceva male, e che riguardava una persona che non era più la stessa
ormai.
Sapeva che i
vampiri brillavano come diamanti al sole e che non erano come quelli che si
descrivono nei romanzi.
Non fece molte
domande su di loro, aveva paura anche solo di nominarli e le sembrava così
surreale che esistessero davvero … e che io esistessi. Per lei erano solo coloro
che le avevano portato via la sua migliore amica . Assassini.
Bella faceva parte del passato, non avrei mai
dimenticato i nostri momenti insieme, non avrei mai dimenticato quello che
avevo provato nei suoi confronti, l’avrei sempre ricordata; ma avevo voltato
pagina, e il suo nome non sarebbe mai stato presente.
Raccontare tutto
questo fortunatamente non mise in pericolo Liz, che non ne parlò mai con
nessuno. Non ci fu nemmeno il bisogno che glie lo dicessi, era come se capisse
ogni cosa senza che parlassi.
Mantenere il
segreto per lei non si rivelò un peso, anzi da quel momento mi sentivo legato a
lei più che mai, come se separarmene sarebbe diventato un dolore troppo forte
per me.
Quando mi rivelai a
lei fu la prima volta che le dissi che l’amavo, e anche se non eravamo una di
quelle coppie sdolcinate che se lo ripetono sempre, io avevo quelle due parole
sempre in testa. Era semplicemente quello che provavo per lei ,ma era quasi
impossibile che un sentimento così grande, uno di quelli che riescono a consumarti ,possa essere racchiuso in due
parole. Io però quando le sentì nominare dalle sue labbra le considerai le più
meravigliose che potessero mai esserci
al mondo.
Non c’era niente di
più bello e di più sentito di quel semplice ma vero “ Ti Amo “.
In
questo capitolo non ci sono svolte vere e proprie negli avvenimenti
della storia ma ho dato molto importanza ai sentimenti dei personaggi.
Spero tanto che vi sia piaciuto =)=)
Grazie a
4lb1c0cc4
Many8
Katia24
Sara71
Wolfgirl
Budinss
Virginia
Ila_sgu
Per averlo recensito per la prima volta
E grazie a voi che mi leggete :) Se volete lasciarmi due parole mi rendereste tanto felice <3
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Capitolo 14 *** 14 ***
jake 13
La scuola continuò
normalmente ed anche se riscontravo delle difficoltà nelle materie scientifiche, riuscii
a cavarmela. Anche per questo dovetti ringraziare Lizzy, era una salvezza.
Ogni volta scoprivo
qualcosa di nuovo, mentre lei invece sapeva ogni cosa sul mio conto. Alla fine
della scuola zia Josie fu soddisfatta della mia pagella. Certo non ero il
migliore fra gli studenti , ma avevo una maggioranza di B e una A in educazione
fisica. La ottenni senza il minimo sforzo. Zia Josie chiamò mio padre per
informarlo e dopo tanti mesi sentì di nuovo la sua voce, lei mi lasciò solo
nella stanza con la voce di mio padre, una voce che avrei potuto riconoscere
ovunque.
<< Come stai figliolo? >> mi chiese
<< Sto bene papà… e tu? >>
mi
tremava la voce
e vedevo le immagini appannarsi per via degli occhi lucidi. Era mio
padre, non credevo che quel momento sarebbe arrivato molto presto.
<< Come sempre
>> rispose . Ci fu un momento di silenzio, avevo talmente tante
cose da dirgli che non sapevo da dove cominciare.
<< Volevo solo dirti che sono molto orgoglioso
di te. >> era la cosa più bella
che potessi sentire da mio padre, anche se non me ne sentivo all’altezza, per
nulla all’altezza.
<< Tutto questo, tutto quello che stai vivendo è
un tuo diritto, hai diciassette anni, sei indipendente ma ti chiedo solo una
cosa. >>
<< Tutto.
>> dissi nervoso
<< Torna,
torna Jacob, solo per un po’, vieni a trovarmi ti prego … tu ci manchi tanto.
>> disse nervosamente, mio padre esprimeva i sentimenti di affetto con
gli abbracci, ma erano rare le occasioni in cui diceva “ti voglio bene”.
<< Sì … >> risposi a stento.
<< Quando vuoi figliolo, noi siamo qui ad
aspettarti. >>
<< Ciao papà … ti voglio bene >>
<< Anch’io ti voglio bene Jake. >>
Chiusi la
telefonata, ero felice di averlo sentito, ero felice che si fosse interessato a
me ma gli avevo promesso di tornare. Non era stata una vera e propria promessa
ma nel profondo, sentivo il dovere di andare da lui, di soddisfare la sua
richiesta. Mio padre non era una di quelle persone che chiedono aiuto per ogni
minima difficoltà, lui faceva tutto da solo, sempre. Sarei ritornato, lo
sapevo, una voce dentro di me lo ripeteva ed io, io sentivo che sarebbe andato
tutto bene. Avevo deciso ormai, sarei tornato a Forks, ma solo per poco. La
scuola era finita e le vacanze estive sarebbero state un occasione per
festeggiare la mia serenità ritrovata. Non ci sarei andato da solo, Lizzy
sarebbe venuta con me, se lo voleva. Non l’avrei mai costretta, ma ormai lei
faceva del tutto parte della mia vita, era la mia vita ed era giusto che nel
momento in cui avessi incontrato i mie vecchi amici e la mia famiglia, lei ci
fosse stata.
Andai a casa sua,
era tardi ma non importava , così come
io c’ero sempre per lei , lei c’era sempre per me e poi Lizzy non andava mai a
dormire prima di una determinata ora. Quando non eravamo insieme passava sempre
le sere a leggere o a guardare film.
Non volevo suonare
il campanello, Lizzy sarebbe stata costretta a scendere le scale e ad aprirmi,
quando io potevo raggiungerla in un modo molto più facile. Così feci una cosa
che non facevo da più di un anno. Saltai sul tetto e mi avvicinai alla sua
finestra. Bussai sul vetro ma lei era sul suo letto a pancia
in giù, con un libricino aperto e gli auricolari nelle orecchie. Indossava un
pigiama bianco di lino e i capelli lunghi le scendevano sulle spalle come seta.
Come avevo previsto non riuscì a sentirmi. Così entrai nella stanza lentamente,
non sapevo esattamente come muovermi perché non volevo spaventarla. La mia Liz.
Mi avvicinai e lei sembrava non percepire nulla di quello che le stesse
succedendo intorno. Le tolsi delicatamente un auricolare dal suo orecchio.
Allora lei mi guardò in viso, con la sorpresa viva nei suoi occhi che mi
ricordavano tanto uno splendido tramonto per quanto fossero ricchi di luce.
<< Jake che ci fai qui? >> Mi disse a bassa voce
<< Scusa Liz, ti volevo chiedere un cosa e non
volevo aspettare a domani … posso andare se non vuoi, lo so è tardi , sono uno
stupido non dovevo venire … >>
dissi anch’io a voce bassa
<< No no rimani, non andartene … è solo che... >> sussurrava sempre più a bassa voce e
anche io con lei abbassavo il mio tono.
<< Cosa? >>
Qualcuno bussò alla
porta << Elizabeth posso entrare
? >> era una voce maschile e
adulta
<< Solo un momento papà … >>
<< Papà ? >> esclamai sorpreso ma sempre a
bassa voce
<< Ti spiegherò tutto più tardi … nasconditi da
qualche parte io trovo il modo per non farlo entrare >>
Mi nascosi sotto il
suo letto, lo so non era chissà quale nascondiglio , ma dove altro potevo
andare? Dalla mia posizione riuscivo a vedere i piedi di Liz nelle sue
ciabattine rosse. Poi intravidi un asciugamano verde mela coprire le sue
caviglie.
<< Scusa papà non sono vestita … hai bisogno di
qualcosa ? >> La porta fu aperta a metà.
<< No, volevo
solo darti la buonanotte …
>>
<< Buona notte allora. >> sentii il suono
di un piccolo bacio sulla guancia.
<< Sei cresciuta così tanto, all’incirca dieci
centimetri dall’ultima volta che ti ho vista … >>
<< Era più di un anno fa papà. >> disse Liz
rassegnata
<< Buonanotte >> disse
<< Buonanotte >>
Lizzy chiuse la
porta e ci rimase appiccicata. Sentì il suo sussurro … <<
Puoi uscire adesso >>
rotolai fuori e mi alzai veloce. Lizzy si era messa un accappatoio e mi
guardava emozionata.
<< Dopo un anno e più mio padre è tornato a casa
per il compleanno di Silvya
>> Le sorrisi
<< Credo proprio che la magia esista >>
<< Forse >> Le dissi
<< Cosa volevi dirmi ? >>
<< Oh … niente, niente davvero … >>
Suo padre era
tornato dopo tanto tempo e io avrei dovuto portarla via ? No non avrei mai
fatto una cosa simile.
<< Niente?
>> chiese Lizzy incredula
<< Volevo
stare con te >> in parte era vero
anche questo. Si alzò in punta di piedi per baciarmi e io la ricambiai.
<< Vado in bagno un attimo … non scappare
>>
<< Ti aspetto,
non preoccuparti >> le risposi con voce emozionata.
Non avevo nessuna
intenzione di rimanere lì tutta la notte, anche se era tardi volevo stare con
lei per un po’, era bello, se avessi potuto, avrei passato le mie giornate solo
ad abbracciarla e a sentire il suo profumo.
Ero seduto sul suo
letto ad aspettarla. Ero nervoso e come sempre avevo caldo. Zia Josie mi
costringeva sempre a mettere una canottiera sotto la maglietta ed io l’avevo
ascoltata. Tolsi la maglia e rimasi con la mia canotta. Liz arrivò presto , con
i capelli scompigliati e il sorriso felice che mi aveva sempre colpito di lei.
Corse ad abbracciarmi.
<< Vorrei gridare … >> mi sussurrò
all’orecchio
<< Gridare ? >> le chiesi incredulo
<< Vorrei
urlare quanto sono felice a tutto il mondo >>
<< Vorrei
tanto farlo anche io … ma in fondo non ce n’è bisogno … >> le risposi
<< Perché
? >> Mi chiese
<< Perché smetterei di respirare al solo pensiero
di sentire la tua voce, non è necessario esternarlo a tutti. E se sei felice, lo sono anch'io >> I suoi
occhi in quell’istante diventarono qualcosa di incredibilmente meraviglioso.
Così meraviglioso che sarei rimasto a guardarli per tutta la notte, sarei
rimasto a guardarla, per tutta la notte. Si avvicinò alle mie labbra ed io
senza riflettere cominciai a baciarla.
Io e lei. Bastava
solo questo, niente avrebbe potuto competere con quel momento.
Mi addormentai
accanto a lei, sul suo letto, anche se mi ero promesso di andare via presto. Quella
sera capì una cosa. Lizzy era come l’aria, senza di lei non sarei più
sopravissuto al mondo di fuori e a me stesso.
Ciaooo
spero che questo capitolo vi sia piaciuto :):), avrà molta
importanza il personaggio di Liz, e i suoi sentimenti con quelli di
Jake insieme a tutti gli avvenimenti emergeranno fra tutti.
Spero che la storia vi stia piacendo =)=)
Grazie a
WolfGirl
O r n Y
4lb1c0cc4
budinss
Katia24
Many8
sara71
Virginia
per aver recensito la prima volta :) Grazie a voi che leggete <3
|
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Capitolo 15 *** 15 ***
Jake 15
Mi alzai presto con
accanto il più bell’angelo che il cielo potesse mai desiderare.
I capelli dorati le
incorniciavano il viso, mentre dormiva serena fra le mie braccia. Erano le
cinque passate e anche se volevo rimanere con lei, decisi di alzarmi.
Delicatamente tolsi il braccio dalle sue spalle e mi rimisi la maglietta che mi
ero tolto la sera prima. Le accarezzai un ultima volta le guancie. Lei era il
mio raggio di luce, era tutto. Sulla sua scrivania c’era un foglietto bianco su
cui scrissi un messaggio per quando si sarebbe svegliata :
"Spero che tu abbia
dormito bene, sono andato via presto, non volevo svegliarti. Ti amo."
Indossai la mia giacca
di jeans, la guardai un ultima volta, aprii la finestra e scesi agilmente sul
suo prato. Il cielo era ancora buio e mentre tornavo a casa a piedi riuscii a
vedere l’aurora nel cielo. Quel cielo che mi sembrava improvvisamente
meraviglioso, improvvisamente perfetto come la persona di cui mi ero
innamorato.
Preferii entrare
dalla finestra anche questa volta, a quell’ora zia Josie era già in piedi e se
avesse saputo che avevo passato tutta la notte fuori, avrebbe avuto una
reazione non molto favorevole nei miei confronti. Dormii solo un paio d’ore
poiché il sabato mattina andavo sempre a dare una mano al negozio di Kyle, mi
dava 10 dollari , non volevo chiedere soldi a zia Josie per cose come il cinema
o i biglietti per andare a vedere una partita di baseball. Le chiedevo qualcosa
solo quando era prettamente necessario. Così anche quella mattinata la passai
al lavoro, ero stranamente felice, soddisfatto e le domande di Kyle non mancarono.
<< Ti è
successo qualcosa, Jake? >>
<< Niente Kyle , va tutto bene , puoi passarmi
la chiave inglese ? >> le mie
risposte erano sempre di questo genere.
Mentre tornavo a casa
per il pranzo presi in mano il mio telefonino per chiamare Liz, avevo un
incontrollato bisogno di sentire la sua voce. Non feci in tempo a digitare il
suo numero , che tra l’altro sapevo a memoria , che il telefono squillò. Era
lei
<< Pronto
Liz >> la mia voce era emozionata.
<< Ciao
Jake >> la sua era emozionata
quanto la mia.
<< Stavo per
chiamarti, mi hai preceduto … >>
<< Siamo telepatici adesso allora >>
<< Sembra di
sì, oggi sono stato al lavoro da Kyle e tu cosa hai fatto stamattina? >>
<< Ho passato
un po’ di tempo con mio padre, vorrei che tu lo conoscessi Jake … >>
Mi aveva colto di
sprovvista, non riuscivo quasi a parlare e la respirazione era diventata
affannata.
<< E’ molto
importante … >> disse lei
<< Va bene >> disse velocemente anche se ero
insicuro di quello che stavo dicendo
<< Allora ci vediamo stasera a casa mia , alle sette
ok? >>
<< Certo , a stasera >>
<< a stasera >>
Non chiudeva ancora il telefono … e io non
volevo riattaccare
<< sai che sarà difficile starti lontano vero
? >>
<< vieni prima allora, lascio la finestra
aperta >>
<< A dopo >>
<< A
dopo >>
Ero davvero
nervoso, forse non ero mai stato così nervoso in tutta la mia vita e forse
stavo diventando paranoico. Cosa avrei dovuto indossare? Dilemma. Dovevo
sembrare un ragazzo rispettabile. Non sapevo che cosa sarebbe successo e anche
se non avevo mai il controllo della situazione “quella sera” non potevo agire
istintivamente. Dovevo essere perfetto , anche se sarebbe stato impossibile,
anche se sfiguravo accanto a Lizzy, anche se ero di natura tutto fuor che
perfetto.
L’unico modo fu
chiedere aiuto a zia Josie che al solo pensiero che sarei stato presentato
ufficialmente come “ fidanzato “ gioiva come una bambina. Mi aiutò lei a
scegliere i vestiti.
Mentre mi recavo a
piedi a casa di Lizzy ero terribilmente nervoso, così tanto che non sapevo se
sarei riuscito a dire qualcosa di sensato. Camminai a passo veloce, sapevo che
vedere Liz mi avrebbe fatto bene. Questa volta entrai dalla porta d’ingresso,
entrare dalla finestra mi sembrava a dir poco troppo invadente soprattutto nel
caso in cui suo padre mi avesse “ sorpreso “ lì. Non gli avrei dato nessuna buona
impressione.
Suonai il
campanello e come sempre venne ad aprire Lizzy. Era splendida, forse se non
fossi stato così teso, sarei caduto sulle ginocchia per quanto fosse
incantevole. Un angelo o una fata. Ecco quello che sembrava. Aveva i capelli
raccolti che le lasciavano le spalle scoperte. Indossava un vestito che le
arrivava quasi al ginocchio del colore dell’aurora che avevo visto quella
mattina.
<< Ciao
>> mi disse sfoggiando il suo bellissimo sorriso
<< Ciao
>> dissi , ma sembrava più che stessi sospirando che parlando.
Mi fece entrare.
<< Sei fantastica >>
<< Grazie …
>> mi disse arrossendo. Arrossiva per qualunque complimento anche
a qualcosa del tipo, “ oggi a lezione sei andata bene”; era così dolce, anche
se mi sembrava strano che arrossisse per una cosa così ovvia.
<< Anche tu stai benissimo >> mi disse quasi incantata e anche a lei
mancava il fiato, non riuscivo a trovare una risposta logica al suo
comportamento, ma non mi importava, mi sembrava di vedere l’infinito nei suoi
occhi, un tramonto la fine di un giorno, e un’alba un nuovo inizio.
<< Credevo di essere un po’ troppo in anticipo,
immaginavo di dover aspettare che tu fossi pronta … >>
<< Sai bene che quando si tratta di puntualità,
nessuno può mettersi contro di me
>> mi disse.
<< Già è vero … è sempre vero >> le risposi. Poi ricominciai a
parlare.
<< Tuo padre ?
>>
<< E’ uscito con alcuni suoi amici , sarà qui
fra un ora credo … >>
<< Credi ? vuoi dire che … lui non sa che sono
qui ? >>
<< Non ne ho ancora parlato … >>
<< Quindi non sa neanche che esisto ? >>
<< Lo so Jake, scusami, non mi è mai successa
una cosa simile , non sapevo cosa dirgli esattamente, allora ho pensato … che
quando tornerà a casa … >>
<< Verrà tutto da sé … >>
<< Sì, intendevo questo, non me ne intendo di
queste cose lo sai … scusami >>
<< Non mi chiedere scusa , non hai fatto niente
di male >>
<< Voglio solo che mio padre sappia, vorrei
inserirlo almeno un po’ nella mia vita anche se ci vediamo poco. >>
<< Sì … è normale che tu voglia questo >>
Mi ringraziò anche
se non sapevo esattamente di cosa mi stesse ringraziando, era il minimo che
potessi fare anche se farlo mi costava un certo sforzo. Ma lo facevo per lei,
la ragazza che amavo, l’unica al mondo,e non sapevo come ma provava lo stesso
per me.
<< Vieni. Ti
faccio vedere una cosa … >> mi
disse
Mi diresse nella
sua camera tenendomi per mano, da un cassetto prese delle piccole scatole di
scarpe.
<< Non sono scarpe >> mi disse <<
Qui ci metto i nostri album fotografici
>>
Ne uscì fuori uno
dalla copertina viola, lo aprì delicatamente come se avesse paura di romperlo
da un momento all’altro, come se fosse prezioso e di inestimabile valore.
Mi mostrò la prima
foto. Una donna dai capelli rosso mogano, la pelle rosata e i suoi stessi occhi
color nocciola. Accanto a lei un uomo alto, dai capelli color miele e gli occhi
azzurro cielo. In mezzo a loro c’era una bambina di circa 8 otto anni, bionda e sorridente, e in braccio alla donna dai
capelli rossi c’era una bambina di circa una anno con i capelli del suo stesso
colore e gli occhi azzurri.
<< Questi sono i miei genitori, questa bambina
sono io e la piccolina è Silvya, un anno prima dell’incidente. All’epoca mio
padre tornava molto più spesso e poi c’era mia madre e con lei mi sentivo
sempre al sicuro. >>
<< Vi somigliate molto >>
<< So che se fosse qui sarebbe molto felice di
conoscerti … >>
Le sorrisi
<< Tua madre
sarebbe fiera di te, lo sai questo vero ?
>>
La tenevo
abbracciata e lei si strisciava contro il mio petto, scompigliandosi i capelli
<< Io so che
lei è sempre vicino a te, come la mia , ed è orgogliosa di avere una figlia
così >>
<< Scusa se ti assillo … ti sarai annoiato a
morte >> mi disse lei.
<< Non dire così , non è vero! >> L’esclamazione venne fuori come se
fosse stata pronunciata da un bambino capriccioso. Ridemmo entrambi.
Poi mi fece vedere
i suoi disegni, fu così che scoprii che oltre a essere bella, intelligente,
brava a scuola, comprensiva e gentile, sapeva disegnare. Era brava davvero. Mi
aveva fatto un ritratto e sembrava un mia foto in bianco e nero. Sembrava
impossibile, impossibile che lei fosse così, così fuori dal comune, così
speciale. C’erano disegni di paesaggi e ritratti di personaggi famosi.
<< Non mi hai mai parlato di tutto questo … >> le dissi prendendo in mano il
ritratto che aveva fatto alla sua sorellina.
<< E’ un mio
piccolo segreto … >> la guardai
scettico << se così si può chiamare >> aggiunse timidamente.
<< Non vuoi che i ragazzi lo sappiano giusto
? >>
<< sì … >>
non riuscivo a capirla, davvero , se avessi saputo fare quello che lei
riusciva a fare e se avessi avuto il suo talento, l’avrei mostrato al mondo
intero. Lei invece lo aveva mostrato… a me.
<< Qualcun’altro ha già visto questi lavori ?
>>
<< no …
>> fu la risposta. Proprio come immaginavo. Tutti in fondo al cuore,
tutti in fondo all’anima hanno dei sogni che desiderano realizzare, ma spesso
abbiamo paura di esternarli per non essere derisi. Non capiamo invece che è
solo esternandoli che capiremo se il nostro desiderio può essere realizzato.
<< Credo di voler fare questo da grande, vorrei
fare qualcosa nell’ambito artistico … tu
cosa ne pensi? >>
<< Penso che hai davvero talento >> lo dicevo perché lo pensavo davvero.
<< e so per
certo che ce la farai >> le dissi
accarezzandole i capelli.
Poco prima mi aveva
spiegato che la sua sorellina era da una sua amica. Quindi in casa eravamo soli
ma non lo saremmo stati ancora per molto. Sentimmo il rumore di una macchina
che parcheggiava.
<< è lui
>> disse emozionata e sorridente. Mi tirò fuori dalla stanza verso
qualcosa che non avevo mai affrontato.
Non sapevo cosa
aspettarmi, non sapevo niente di quella situazione, eppure mi ci ero trovato
dentro. Se era quello che voleva lei, l’avrei fatto. Qualunque cosa andava bene
se serviva a renderla felice.
Non doveva mai
essere triste, nella vita non c’è tempo per esserlo, ed anche se io avevo
passato davvero molto tempo a ripercuotere i miei dolori, non avrei mai
lasciato che Liz stesse male come lo ero stato io in passato.
Ciaooo spero che questo capitolo vi sia piaciuto :):):) aspetto i vostri commenti mi raccomando. Baciii Grazie a
kandy_angel
WolfGirl
Katia24
Many8
sara71
virgyblackina
4lb1c0cc4
per aver recensito la prima volta <3 Grazie a tutti voi che leggete :))
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Capitolo 16 *** 16 ***
Mioooo
Eravamo entrambi
davanti alla porta di ingresso ed io avrei voluto sprofondare sotto terra. Le
mie esperienze in passato … mi correggo, la mia esperienza in passato non mi
aveva mai portato ad affrontare una situazione del genere.
<< Forse è meglio che vai in salotto >> mi disse veloce , non avevo neanche
la forza di muovere un dito ma lo feci. Mi sedetti sul suo divano bordeux , quello
della sera del ventuno dicembre,quello della sera in cui capii di aver
ricominciato ad amare, ancora.
Mi chinai per
guardarla, il campanello suonò.
Vidi Lizzy incerta
ma poi aprì la porta con disinvoltura.
<< Ciao papà
>>
<< Ciao bellissima >>
Si stava recando
verso l’altra parte della stanza.
<< Papà
aspetta! >>
<< Si ? >>
<< Vorrei presentarti un persona … >> Sentivo mentre cercavo incano di
sistemarmi la giacca.
Mi alzai di scatto.
Com’ero? Che impressione avrebbe avuto di me ? e che cosa … ah giusto, non ebbi
il tempo di pormi la domanda numero tre che me li ritrovai davanti. Lizzy e …
suo padre. Un uomo alto quanto me, la stessa persona della foto che avevo visto
poco prima, solo con nove anni in più.
Mi feci coraggio.
<< Signor Audley … >> Gli strinsi la mano <<
Mi chiamo Jacob Black >>
<< Piacere signor Black >> mi disse cortesemente e con un
sorriso cordiale.
Si sedette sulla
poltrona accanto al divano e si sistemò i polsini della camicia
Lizzy mi prese la
mano, sentii una scossa elettrica.
<< Papà, io e Jacob stiamo insieme >>
Fece una faccia
sorpresa, incredula.
<< Oh e da
quando ? >>
Da quando? Non
credevo che gli interessasse quanto tempo. Ero convinto che mi avrebbe
sottoposto a una specie di interrogatorio.
Rimasi perplesso.
<< Da sei mesi … >> disse Liz
<< Praticamente
niente >>
Niente ? ! niente??
<< Come ?
>> disse Liz incredula, nessuno di noi due si aspettava una risposta
simile.
<< Sta sera
non starò a casa … vado a cambiarmi
>> disse alzandosi dalla poltrona. Il suo viso aveva assunto un
espressione strana, come se fosse tornato alla realtà da chissà quanto tempo,
come se qualcuno gli avesse portato via qualcosa all’improvviso.
Lizzy si alzò con
lui.
<< Papà ?!! ma non capisci? >>
L’uomo si voltò guardandola
negli occhi e Lizzy cominciò a parlare
<< ti ho presentato il mio ragazzo , ti portato a conoscenza di
una cosa che forse non avevi neanche il diritto di sapere visto che non ti
interessi mai a me … e tu ? tu mi dici che non è niente ? niente!! Che
significa niente per te? E che significa avere due figlie … per te? Ha un
significato? Ti ricordi di essere un padre ?
>>
<< Lizzy tu
non puoi parlarmi in questo modo!
>> gli disse con un tono di austerità nella voce che non riusciva
a nascondere il suo imbarazzo. Non riuscivo a capire quale cosa avesse potuto
scaturirlo.
<< Mai una
telefonata, un biglietto di auguri, mai un pranzo o una cena di natale, mai
niente … >>
<< E’ il mio lavoro Elizabeth, non posso buttare
tutto all’aria, è la mia vita … >>
<< Non hai mostrato un minimo interesse! Sei
stato indifferente! E se la tua vita non è qui perché sei venuto? Perché? La
mamma non lo avrebbe voluto … >>
Aveva gli occhi
lucidi ed era sul punto di piangere, la conoscevo e sapevo tante cose di lei ,
cose che forse neanche suo padre conosceva.
<< Liz lascia stare … >> le dissi mentre
le mettevo una mano sulla spalla.
Mi guardò con aria
sofferente.
<< Va pure
con lui … >> disse il signor Audley.
Stavo perdendo la
pazienza … ma per chi l’aveva presa ? chi era ? un padre ? no … un padre
avrebbe torturato me.
<< Lizzy aspettami fuori per favore … >>
Mi ascoltò e si portò una mano sul viso, stava per scoppiare. Mise il suo copri
spalle e chiuse la porta d’ingresso.
<< Qual è il suo problema? Potrebbe spiegare
… >> cominciai a dire.
<< Non ho
niente da spiegare, ti dico una cosa …
>>
Si avvicinò puntandomi il dito contro …
<< Lizzy non deve soffrire , ha già sofferto
troppo per la sua età, il suo cuore si è già spezzato una volta e non lascerò
che succeda di nuovo, capito bene?
>>
<< Ma come ha potuto parlarle in quel modo … è
come se non esistesse per lei >>
<< Elizabeth è fragile, sensibile e non è …
pronta per questo … se mi sono comportato in quel modo l’ho fatto per un
motivo. Ha già un ragazzo … sta crescendo troppo in fretta … >>
<< Sua figlia
non è cresciuta solo in altezza dall’ultima volta che l’ha vista, è molto più
matura di molte altre ragazze della sua stessa età, mi creda, forse se fosse
stato più presente se ne sarebbe accorto … dovrebbe imparare a conoscerla
meglio, a conoscere sua figlia >>
<< Lo so bene >> disse
rassegnato
<< Lizzy mi
sta aspettando fuori … >> mi
diressi verso la porta, il signor Audley rimase sul posto mentre si toccava le
tempie con la testa. Mi voltai verso di lui.
<< Ci sarò
sempre per Lizzy, sempre, potrà sempre contare su di me … non rimarrà mai più
sola >> L’uomo annuì tristemente , pentito della sua lunga assenza.
Non immaginavo che
quella serata sarebbe finita così, eppure non avevo neanche il coraggio di criticarlo,
neanche il coraggio di pensare qualcosa di negativo su di lui.
Ero certo che il
suo comportamento avesse delle motivazioni. Era un uomo, sì, un padre, ma era
fragile davvero, sembrava che fosse stato percosso da qualcosa di troppo
grande, sembrava che qualcosa lo avesse segnato. Forse un giorno avrei capito.
Chiusi la porta
alle mie spalle. Il vento si era alzato e mi accarezzava la giacca e i capelli.
Liz era seduta a gambe incrociate sul prato con i capelli al vento. Si
sistemava il braccialetto che le avevo regalato. Le presi la mano per farla
alzare e la accolsi fra le mie braccia. Pensavo alle mie ultime parole “Ci sarò
sempre, sempre, potrà sempre contare su di me … non rimarrà mai più sola “ era
vero e sarebbe stato così fino a quando lei me lo avrebbe permesso. Mi sentivo
sempre in paradiso ogni volta che l’abbracciavo, ogni volta che la sfioravo,
ogni volta che le nostre labbra si toccavano. Tutto quello che era successo
poco prima sembrò scomparire in un istante. Non riesco ancora a definire la
gioia di quei momenti ma quando li si incontra bisogna viverli intensamente. Non
serve che abbiano un aggettivo, basta che siano … semplicemente vissuti.
*
Grazie mille per leggere <3
|
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Capitolo 17 *** 17 ***
Jake 17
La temperatura era
scesa e il vento non sembrava diventare meno forte . Io avrei fatto tutto fuor
che lasciare Lizzy lì a casa sua.
Avevo sempre le
chiavi del negozio di Kyle nella tasca ed anche se non era un posto in cui di
solito un ragazzo porta la sua fidanzata, mi sembrava quello più veloce da
raggiungere per metterla al riparo dal vento. In quel momento mi sembrava così
fragile, così impaurita , come se leggera come una piuma sarebbe stata
trasportata via dal vento.
Aprii la porta
vitrea. All’interno come sempre c’erano
tutte le auto coperte da dei teloni. Qualunque altra ragazza mi avrebbe lasciato
in un modo isterico e infastidito se l’avessi portata in una posto del genere,
lei invece continuava a stringermi la mano e non mostrava in nessun modo alcun
disaccordo.
La portai nello
studio di mio cugino dove c’era un enorme divano a tre posti verde dove lei
sarebbe stata comoda. La feci accomodare.
<< Fa freddo
e non volevo che ti raffreddasti allora ti ho portato nel posto più vicino che
conoscevo … >>
<< Va benissimo, l’importante è che ci sei
tu >>
Quanto era bella
quando mi diceva quelle parole, così bella che mi sembrava che non fosse reale,
così tanto che avevo timore di stringerla per paura che scomparisse.
La baciai e lei
ricambiò il mio bacio con intensità. Non volevo più fermarmi, non volevo più
staccarmi da lei ma quando mi accorsi che tutti e due stavamo per perdere tutto
il nostro fiato mi fermai .
<< Scusa
>>
<< Non ti scusare >>
e si stese sul mio petto. Eravamo tutti e due sdraiati sul divano e lei
scivolò lentamente verso il mio braccio che le copriva le spalle.
Sentivo il suo
dolce profumo e le baciai l’orecchio accarezzandole i capelli.
<< Mi dispiace per stasera >>
Mi disse affranta.
<< Non è colpa tua, non è colpa di nessuno
>> le risposi.
<< Non so , non pensavo che mio padre mi avrebbe
risposto in quel modo >>
<< Credo di
sapere perché … >> mi guardò con
uno sguardo desideroso di sapere
<< Penso che
tuo padre non voglia che tu soffra, lui sta sempre via e non sa che mentre lui
non c’era tu sei cresciuta tanto … sì io credo che sia questo … la tua crescita
lo ha spiazzato >>
Liz sospirò.
<< Tu hai un'altra idea ? >> le chiesi
<< No …
credo anch’io che sia così
>>
<< Elizabeth … è così che ti chiama sempre
lui >> le sussurrai all’orecchio
Accennò un sorriso.
<< Forse
perché era il nome che scelse mia madre per me … me l’hanno raccontato tante
volte … mio padre voleva chiamarmi Katherine come mia nonna ma mia madre
insistette >>
<< Quindi Elizabeth >>
<< Sì Elizabeth Elle Audley >> pronunciò ogni lettera in modo
preciso.
<< è davvero bellissimo >>
<< è un nome da principessa >>
<< Sì … davvero
>> le dissi.
Mi strinse a se.
<< Elizabeth Elle >>
pronunciai ancora.
<< Jacob Black >> Mi rispose lei con un
sorriso.
<< Il mio
nome è orribile >>
<< No non lo
è >> mi contraddisse. << E' bellissimo
>> aggiunse, preferii
lasciarla alla sua convinzione.
Poteva avere il
nome più orribile del mondo ma mi sarebbe sempre sembrato il più meraviglioso
solo perché ce l’aveva lei, forse anche per lei era lo stesso.
“ Grazie, grazie
per tutto Liz, per il tuo amore, per i tuoi sorrisi, per i tuoi baci per il tuo
aiuto. Sento battere il cuore ad una velocità anormale ma è impossibile. Ormai
è solo tuo e potrà appartenere soltanto a te, anche quando non lo vorrai più,
anche quando capirai che amarmi è sbagliato. La sola tua esistenza è la ragione
più importante che ho per andare avanti in questo mondo che non sa più che cosa
è bene e cosa è male. “
Ci addormentammo
abbracciati l’un l’altro. La luce del
sole fu il nostro risveglio. Illuminò i nostri visi e ci fece prendere almeno
un po’ il senso della realtà.
Lizzy mi guardò con
un sorriso che non durò a lungo.
<< Che ore sono ? >> chiese nervosa..
<< Le sei …
>> dissi guardando l’orologio appeso alla parete
<< Devo andarmene subito >>
<< Ok … ti accompagno >>
Uscimmo dal negozio dove mezz’ora dopo
sarebbe andato Kyle e ci dirigemmo verso casa sua.
Lei alzava il passo
ed io che ero ancora stanco notavo che avevo un po’ di fatica nel seguirla.
Lei riprese un
passo meno sostenuto e ci ritrovammo l’uno accanto all’altro. Lizzy mi prese la
mano.
<< Scusami è che non so che reazione possa avere
mio padre >>
<< Non ti preoccupare hai ragione >>
Non lo dissi per
assecondarla ma perché lo pensavo davvero. Aveva passato tutta la notte fuori e
suo padre sapeva benissimo che era con me, il suo ragazzo. Qualunque ragazza
sarebbe stata preoccupata.
<< Andrà
tutto bene … >> le sussurrai.
Una volta arrivati
di fronte alla sua abitazione l’accompagnai fino alla porta.
<< Grazie
>> mi disse
<< Grazie? E per cosa? >> non mi aspettavo che mi dicesse
quelle parole
<< Per questo, per tutto, per ieri sera >>
<< Liz …
>> mentre pronunciavo il suo nome
mi abbracciò dolcemente.
<< Lo sai che non posso stare senza di te >> le dissi a bassa voce.
Io chinai la testa
verso destra, lei si alzò in punta di piedi ed io mi abbassai verso di lei. Le
nostre labbra si toccarono ed io non volevo più lasciarle, mai più.
Avrei voluto
fermare quel momento per tutta la vita.
La porta si aprì.
Noi ci allontanammo all’istante, sentivo ancora il suo sapore sulle labbra.
<< Ti sembra l’ora di rientrare Elizabeth ? >> disse il Signor Audley di fronte a
noi, vestito come il giorno prima e con l’aria stanca. Non aveva dormito.
<< E’ colpa mia signor Audley, non ci siamo resi
conto del tempo >>
<< Entra subito
>> disse a Lizzy con aria
severa.
<< Ti chiamo dopo >> mi disse.
<< Certo
>> risposi.
E l’uomo chiuse la
porta senza neanche salutare.
Trovai una reazione
simile da parte di mia zia e mio zio al mio ritorno. Inventai una scusa e andai
in camera mia a cambiarmi.
Quante cose erano
cambiate. Il padre di Lizzy era un estraneo che forse mi vedeva come un
ragazzino non adatto alla figlia. Al contrario i miei familiari mi apprezzavano
ed erano orgogliosi di me. Avevo trovato una ragazza che nonostante tutti i
miei difetti che odiavo io per primo, mi amava come nessuno aveva mai fatto
prima.
In precedenza il
padre della ragazza che mi aveva stravolto era un amico di famiglia, che si
fidava di me e non avrebbe voluto vedere altro che me al fianco di sua figlia e
i miei familiari e i miei amici a causa del mio carattere impulsivo avevano
imparato a trattarmi in un modo più duro. E la ragazza che amavo mi illudeva e
non provava minimamente gli stessi sentimenti che io provavo per lei.
Era tutto diverso
ma nonostante tutto non sarei mai tornato indietro.
Ero d’accordo sul
fatto che il signor Audley non mi vedesse bene per Lizzy ma non per i suoi
motivi. Nessuno a parte lei conosceva il mio segreto e suo padre non l’avrebbe
mai scoperto se lei non ne avesse fatto parola. E conoscendola, sapevo che non
avrebbe mai detto una parola a qualcuno che non fossi io su quell’argomento.
Dopo una mattinata
passata a ordinare la mia stanza che ormai non sembrava più neanche un camera
da letto, pranzai normalmente e come non mai sentivo la mancanza di Lizzy. Non
riuscivo quasi a respirare, era come se lei fosse il mio ossigeno.
Lizzy non chiamava,
ero preoccupato e volevo chiamarla io per primo ma non sarebbe servito a
niente, non volevo sentire solo la sua voce, ma … volevo vederla.
Ero davanti al suo
giardino e stavo per recarmi a bussare la porta quando sentii il telefonino
squillare. Era lei. Solo due squilli. In quei casi significava solo una cosa :
che non sarei entrato dalla porta d’ingresso ma da un’altra rientranza.
Una volta sul tetto
mi avvicinai alla sua finestra. Lizzy era in piedi con il telefono in mano, i
capelli raccolti in una treccia.
<< Hey Liz
>> le dissi una volta entrato
<< Jacob >>
corse da me abbracciandomi.
<< Ha deciso
di partire per la florida e porterà me e Silvya con lui. Gli ho detto che non
mi avrebbe fatto piacere partire e lui allora si è arrabbiato e mi ha detto che
tu non vai bene per me e che devo lasciarti perdere >> mi disse a voce smorzata . Sapevo che sarebbe successo, sapevo che tutto
era troppo perfetto per durare tanto a
lungo, sapevo che lei era troppo per uno come me e sapevo che suo padre non
ci aveva visto bene.
<< E tu ?
>> le chiesi
<< Non voglio Jake , non voglio !!! >> la strinsi forte.
<< Non sarà lui a separaci, lui non sa niente,
niente di noi due ! >>
<< Forse vuole questo solo perché è arrabbiato
per quello che è successo ieri sera …
>> le dissi.
<< Non lo so, è come se non lo conoscessi, è
come se avessi dimenticato com’è, è come se non avessi mai parlato con mio
padre >>
<< Tu gli hai detto quello che pensi ? >> le chiesi.
<< Sì … >>
<< Dovrà accettare la tua decisione, come tutte
quelle che prenderai in futuro. Non può impedirti niente >>
Erano nei momenti
così che mi consideravo egoista. Se non lo fossi stato le avrei detto di
lasciarmi e se lei non l’avesse voluto l’avrei fatto io. Era solo l’inizio.
Solo l’inizio di tutte le difficoltà che ci potevano capitare. Al disopra del
normale di qualunque altra coppia. Ma l’amavo così tanto e abbandonarla mi avrebbe ucciso al solo pensiero. Era impossibile
che stessimo lontani, se l’avesse voluto lei invece mi sarei lasciato
sbriciolare e avrei guardato la mia polvere volare via, nel cielo, accompagnato
dalla brezza. Solo perché lo voleva lei, solo perché lei continuava a esistere.
Ciaooo spero che questo capitolo vi sia piaciuto :):) In seguito ci
saranno dei capitoli che vi faranno capire meglio il comportamento e la
situazione del padre di Liz.
Grazie a chi legge e a chi deciderà di lasciarmi due parole <3
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Capitolo 18 *** 18 ***
jake 18
I preparativi per
la vacanza stavano avvenendo in pochissimo tempo tanto che mi ritrovai a
guardare il calendario perplesso per capire come il tempo prezioso volasse
sempre via.
<< Se pensa che un paio di settimane mi faranno
cambiare idea si sbaglia di grosso … >> diceva sempre Lizzy a proposito
della vacanza. Ed io ero completamente d’accordo con lei.
Prima di dormire
passavo sempre dalla sua camera. Era quasi un gesto abitudinario
<< Non ho nessuna intenzione di seguirlo in
Florida >>
<< Se ci venissi anch’io cambieresti idea? >>
<< Non mi piacciono le domande a trabocchetto
… >>
<< Non è una domanda a trabocchetto … è semplicemente una domanda >> Le dissi cingendole i fianchi.
<< La risposta è sì … ma tu non ci sarai quindi non so come farò
… >>
<< Andrà tutto bene >>
Non ne ero veramente sicuro, soprattutto per quanto riguardava me. Un
ora senza di lei passava a rallentatore, non osavo immaginare due settimane.
Non pensavo che
avrei mai aiutato una ragazza a fare le valige. Mi ricredetti subito.
La mattina della
partenza mi feci trovare davanti a casa sua.
Non avevo mai visto
la macchina del signor Audley, una Bmw grigia metallizzata.
Ero sempre stato un
appassionato di macchine e ormai tutti lo sapevano.
Lizzy aprì la porta
con in mano la sua valigia rossa, che avevamo preparato insieme.
Ero appoggiato alla
macchina di suo padre, appena la vidi mi ci staccai subito per andarle
incontro. Dietro di lei c’era suo padre.
<< Sei qui …
>> disse lei a bassa voce con un sorriso malizioso sulle labbra.
<< Ciao Liz, dammi la tua valigia è pesante
… >> Mi posò il manico fra le
mani, toccai le sue dita e sentii un brivido lungo la schiena. Non mi ci sarei
mai abituato …
<< Signor Audley … >> dissi a suo padre
prima di voltarmi e appoggiare la valigia nei pressi della macchina.
<< Signor Black
… >> mi rispose . A parte i professori, nessuno mi aveva mai
chiamato così. Certo era un modo rispettoso per chiamare una persona, e molto
di più per un ragazzo come me ma … sapevo che se mi chiamava così, non era
certamente per la stima che provava nei miei confronti, ma per mantenere un
rapporto di distanza, come lo sguardo freddo che mi lanciò prima e dopo essermi
voltato.
Silvya saltellava
qua e là, leggera senza alcun peso da portare, spensierata come qualunque
bambina dovrebbe essere.
Il signor Audley
aprì il cofano della macchina e mi permise di metterci la valigia di Lizzy.
Silvya ormai era in
macchina a cantare una canzoncina per bambini, contenta della vacanza che stava
per fare. Lizzy invece era incora immobile a guardarci … a guardarmi.
<< Grazie …
>> disse suo padre a stento.
<< si figuri … buon viaggio >> risposi io cortesemente.
<< Lizzy non rimanere là immobile come un statua
sali in macchina … >> le disse il
signor Audley prima di entrare nell’autovettura. Lei non gli rispose.
<< Non so come farò senza sentire la tua voce
… >> mi disse. Neanche io lo
sapevo , ma in quel momento ero il forte della situazione, che tra l’altro non
era neanche tanto grave. C’erano state cose molto peggiori, davvero.
<< C’è sempre il telefono, non è la stessa cosa
ma almeno … >> le dissi per poi
baciarla sulla fronte …
<< Se non sei stanca , chiamami appena arrivi
>>
<< non sarò stanca … >> mi rispose salendo in macchina e
lasciando dolcemente la sua mano intrecciata nella mia.
<< Ciao Jake …
>>
<< Ciao Liz …
>> volevo darle un ultimo
bacio prima che se ne andasse ma in presenza di suo padre non era molto
opportuno.
<< Fate una buona vacanza >> dissi con tutto l’entusiasmo che
trovai in corpo. Devo ammettere che non era molto. Silvya mi rispose
entusiasta, mentre Liz contava i secondi di lì alla nostra “ piccola
separazione “.
La macchina partì e
mi sembrò di viaggiare insieme a loro. Lizzy aveva rubato una piccola parte di
me e l’aveva portata con sé. Lo sapevo, non c’era nessun’altra spiegazione
all’asciutto vuoto che provai in quell’istante. Ma infondo era solo una
vacanza, ero sopravissuto a intemperie molto più lunghe e violente, ce l’avrei
fatta anche con questa.
Non ero mai stato
dipendente della tecnologia. A volte dimenticavo il telefonino a casa, e mi
ricordavo di non averlo più nella tasca dei jeans solo qualche giorno dopo.
Quando lo portavo a scuola il cellulare era impostato sul silenzioso e quando
tornavo a casa dimenticavo di cambiare opzione, così quasi nessuno riusciva a
chiamarmi e a rintracciarmi. Questo succedeva sempre con i miei amici di
scuola, quando sapevo che Lizzy mi avrebbe chiamato, era tutto diverso …
proprio come quelle due settimane. Avevo il telefonino sempre con me, in attesa
di un messaggio, in attesa di una chiamata, in attesa di un qualche segno che
mi portasse a lei.
Non che quando lei
si trovasse a Seattle fossimo sempre appiccicati, non sapevamo ogni movimento
dell’altro, ma questa volta eravamo veramente lontani. Ed io mi sentivo per la
prima volta minuscolo in una grande città come quelle in cui mi ero trasferito
all’incirca dieci mesi prima.
Chissà dov’era in
quel momento, chissà se si stava divertendo, chissà se mi stava pensando …
Ogni giorno
guardavo il calendario facendo il conto alla rovescia, ed ogni giorno passato
era un sollievo, sentivo che un forza forte come quella fra il metallo e la
calamita mi legava a lei, e più i giorni passavano più sapevo che lei era più
vicina, più sapevo che noi eravamo vicini. L’importante in quel momento era che
stesse bene, io non ero così importante. In quelle due settimane ero solo una
pedina messa un po’ da parte nella partita della sua vita, o forse la partita
non stava continuando … non si può mai sapere.
Ero affacciato alla
finestra, a guardare la luna, che nonostante gli alti palazzi che coprivano il
cielo era ancora ben visibile. Una luna bianca e lucente, una di quelle che
tolgono il respiro, una di quelle che si usano come paragone per fare un
complimento a una ragazza. Se Liz fosse stata lì con me mi sarei comportato
così. La luna era bellissima certo, ma quando pensavo alla persona che avevo
come fidanzata, mi sorgeva spontaneo un sorriso soddisfatto come per dire : La
luna venderebbe l’anima se ne avesse una, venderebbe il cuore se ne avesse uno,
per splendere come lei.
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Capitolo 19 *** 19 ***
jake 19
Preferivo i viaggi brevi, molto brevi. Anzi
quando potevo muovermi a piedi lo facevo sempre.
Le passeggiate mi avevano anche portato
fortuna. Io invece partivo per una vacanza, che in realtà non avrei mai definito
così, con mio padre e la mia sorellina Silvya.Non mi importava niente della
destinazione, non mi importava niente del posto in prima classe che mio padre
aveva prenotato. I miei interessi erano altri. Erano passati dieci anni da
quando non partivamo per una vacanza tutti insieme, ed il motivo per cui mio
padre aveva deciso di farci lasciare Seattle per un po’ mi faceva stare male e
mi rattristava molto. Ma non avevo il coraggio di dirgli, non avevo il coraggio
di rinfacciare tutti i suoi errori, tutti quelli che aveva fatto negli anni
passati,non avevo il coraggio di rinfacciargli tutte le sue assenze, non so
neanche perché. Forse perché nonostante tutto gli volevo bene. Nonostante
tutto.
<<
Lizzy guarda ti piace ? >> mi
chiese Silvya con in mano il suo album da disegni. Aveva disegnato dei gattini
in una cuccia.
<<
Molto bello, brava Sil >>
le dissi sorridendo, e anche se non si poteva considerare un opera d’arte, era
pur sempre un suo disegno e i bambini mettono il cuore in ogni cosa che fanno.
Il risultato non ha importanza.
Mio padre tornava dal bagno, attraversava il
corridoio. Ricordai di quando avevo sei anni e al posta di Silvya accanto a me
c’era mia madre, con in mano due delle mie care bamboline di pezza. Io avevo in
braccio la mia preferita, quella con le trecce rosse, lo stesso colore dei suoi
capelli. Mio padre tornava con due bibite per noi. Il the alla pesca per mia
madre e una merendina al cioccolato per me.
<<
Ecco qui qualcosa di buono per le mie signore >>
disse porgendomi il dolcetto. Ero contentissima, contentissima per così
poco. Sorridevo per così poco. Non mi accorgevo di quanto tutto fosse così
importante.
<< Frank ha già bevuto il latte al
cioccolato prima di partire! >>
disse la mamma prendendo la lattina del the con la cannuccia.
<<
Davvero Annie ? >>
<<
Sì davvero >>
<<
Non importa … cosa vuoi che sia >> disse mentre si sedeva accanto
a me, tenendo ancora per mano mia madre.
<<
Sarà un bellissima vacanza … >> disse mio padre.
<< dove andiamo papà? >> gli chiesi io curiosa.
<< In un posto bellissimo piccola, in
un posto bellissimo … >>
<<
Un posto dove ci sono castelli e principesse? >>
<<
Questo non lo so, non ti basta essere la principessina del tuo
papà? >>
<< Sì … >> gli dissi
abbracciandolo e con ancora la merendina in mano. Lui mi baciò la guancia con
dolcezza mentre mia madre mi accarezzava i capelli. Io mi porsi verso di lei
per ricevere un suo bacio che come sempre finiva con il solletico, il suo dolce
e leggero solletico.
Quel giorno, in aereo, io non avevo più sei
anni, accanto a me non c’era più mia madre e non ci sarebbe stata mai più. C’era
Sil la mia piccola sorellina che per il viso e i capelli la ricordava tanto, e
mio padre invecchiato di quasi dieci anni che percorreva il corridoio
dell’aereo a passo sostenuto, con il viso segnato, non dall’età che avanzava ma
da un profonda mancanza, che forse nessuno era mai riuscito a colmare. Mi
dispiaceva tanto per lui e fu così che capii come un uomo potesse essere forte
ma anche debole. Tanto debole da essere distrutto da una perdita d’amore.
Si sedette accanto a Silvya e la sua
espressione persa si tramutò in un sorriso verso la mia piccola sorellina e poi
verso di me.
Continuavo a volergli bene e sapevo che non
avrei smesso.
Altri venti minuti e saremmo arrivati a Tampa
in Florida, dove mio padre aveva deciso di passare quelle settimane.
C’erano tanti pensieri nella mia testa, ma
quello più importante era anche quello che più si allontanava fisicamente.
Jacob. Dire che mi mancava era poco e il desiderio di averlo lì accanto a me
era troppo forte per essere rinchiuso solo lì, nella mia testa e nel mio cuore.
Non potevo usare il telefonino sull’aereo, e non riuscivo a capire se era un
bene o un male. Se avessi potuto usarlo forse avrei riempito la sua scheda di
tutti i mie messaggi e questo era un po’ esagerato ma almeno ne ero cosciente e
poi sapevo che molti di quelli che avrei scritto non li avrei mai inviati. Era
come se dipendessi da lui e per chissà quale legge della natura anche per lui
era lo stesso. Me l’aveva ripetuto più volte ed io non ci avevo mai voluto
credere ma alla fine ci cascavo sempre. Perché Jake non diceva bugie, era
sincero, era una persona vera. Ed io l’amavo.
Credevo in noi, credevo in lui. Era il mio
primo ragazzo ma lui non me l’aveva mai fatto pesare, non si era mai
interessato alla mie esperienze sentimentali precedenti a lui, ed anche se a
volte pensavo a chi avesse potuto volere bene prima di me, non avevo ancora
avuto il coraggio di fargli una domanda su quell’argomento. Era quasi ovvio che
avesse avuto già delle esperienze, bello e dolce com’era … ma il passato non ci
interessava, era il presente la nostra priorità.
Il presente in quel momento era senza di lui
ma noi in realtà eravamo vicini, lo sentivo. Noi eravamo sempre
vicini. E se non vedevo l’ora di arrivare a Tampa non era per vedere la città …
era per lui. Avrei potuto finalmente accendere il telefono e chiamarlo, e
sentire la sua voce e parlare con lui.
Mi ero innamorata sul serio. Una volta che ci
cadi dentro non ne esci più e neanche vuoi uscirne. Jake, lui era ogni cosa, la
mia fonte di felicità, la mia fonte di vita ed io l’amavo davvero. Lui era
l’unico e sarebbe sempre, sempre stato lui, l’unico.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto :):):) come
avrete capito il narratore per ora è Lizzy. Questa è
stata un introduzione al viaggio. Molte di voi credevano che il
narratore sarebbe stato il padre di Lizzy bè io ho pensato che
raccontando le cose dal punto di vista di Liz avremmo capito i suoi
sentimenti per Jacob e anche come vedremo nei prossimi capitoli, il
padre.
Spero tanto che vi sia piaciuto.
Un bacio <3
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Capitolo 20 *** 20 ***
jake 20
Scesi dall’aereo quasi correndo con in mano
il telefono che non lasciavo dal momento della partenza.
Più volte mi ero chiesta se il nostro
rapporto potesse andare oltre il normale. Quando volevo vederlo lui voleva
vedermi. Quando volevo chiamarlo lui mi chiamava. Quando avevo qualcosa da dire
ce l’aveva anche lui. Era come se ci fosse una specie di correlazione che ci
tenesse uniti.
Non poteva essere diversamente.
Avevo composto il suo numero sulla tastiera,
ormai era l’unico numero che conoscessi a memoria e spesso dimenticavo anche il
mio. Stavo per schiacciare il tasto per avviare la chiamata quando il cellulare
cominciò a vibrare e poi a suonare e sullo schermo del mio telefonino apparve
la sua foto con il suo nome. Erano poche le volte in cui si faceva fotografare
da solo, ma le poche foto che avevo di lui erano bellissime, come del resto era
lui.
Non ebbi nemmeno il tempo di pensare molto a
quello che stavo per fare. Il gesto venne automatico e la mia voce non era
chiara come sempre per via dell’emozione.
<<
Jake >> dissi.
<< Ciao Liz … è andato bene il
viaggio? >>
<< Sì … è andato bene >> Chissà, avevo talmente tante cose da
dirgli che rimasi in silenzio a pensare per fare uscire ogni parola con una
frequenza logica. Non credevo che Jake stesse pensando alla stesse cose a cui
pensavo io in quel momento. Era molto più diretto di me, e spesso volevo avere
la sua stessa capacità.
<<
Vorrei tanto essere lì con te …
>> mi disse. La sua voce era così bella che l’avrei ascoltato
parlare per ore.
<< Anch’io Jake … >> gli risposi. Era il mio desiderio
più grande. Ancora silenzio,
<<
due settimane sono poche, non preoccuparti passeranno presto >> disse lui ottimista.
<< Lo spero … >> dissi cercando
di imitare un tono rassicurante simile al suo. Jake mi faceva sentire sempre sicura.
Nel frattempo mio padre e Silvya erano scesi
con me e mi guardavano impazienti, ma mio padre era certamente meno sorridente
della mia sorellina.
Mentre al telefono dicevo a Jacob la mia ultima
frase mio padre mi incitava a chiudere il telefono.
<< Jake scusami tanto ma, sono appena
atterrata e dovremmo andare a ritirare i bagagli e mio padre mi sta fissando … >> dissi diminuendo sempre di più il
tono di voce
<<
Ok, vai non preoccuparti >>
<<
Posso chiamarti più tardi ?
>> chiesi.
<< certo, ci sono sempre Liz >> mi rispose lui.
Il cuore mi batteva intensamente a un ritmo
indecifrabile. Mi faceva sentire leggera come una piuma quando mi parlava così.
“ Ci sono sempre Liz “ era solo una delle tante frasi che mi facevano volare
dall’emozione.
<< A dopo allora >> dissi con voce spensierata.
<< A dopo … >> mi rispose lui.
Velocemente prendemmo le nostre valige e mio
padre chiamò un taxi.
Il nostro hotel era molto carino, con piscine
e campi da tennis, ristorante e S.P.A. e poi era anche vicino al mare, non mi
spostavo da Seattle da anni ormai.
Vedendolo solo due volte l’anno e vestito con
vestiti semplici e comodi, dimenticavo quanto fosse agiata e benestante la
posizione di mio padre. Lo dimenticavo perché per me non era qualcosa di molto
rilevante, non quanto la sua presenza. Lui infatti spediva dall’Alaska i soldi
per il nostro mantenimento a nonna Rosie che si occupava dei pagamenti della
casa e di qualunque nostro bisogno. La nonna era un vero angelo, ma abitando
molto lontano dalla nostra abitazione ed essendo molto anziana era difficile
per lei raggiungerci spesso. Le volte in cui lo faceva però era sempre una
gioia.
Il denaro a mio padre non mancava e per
questo si era permesso di prenotare un intera suitte ricca di ogni confort e
agio.
All’inizio ne ero felice ma dopo poco mi
accorsi che tutto questo non avrebbe mai potuto compensare quello che mi
mancava. Jacob e … mio padre, che ormai era troppo lontano per riuscire ad
avvicinarsi a me come quando ero una bambina, come quando tutto era sereno.
Le camere erano luminose, moderne e
sofisticate. Io rimasi a guardare tutto in silenzio. Le tende blu in liscia
seta, le finestre ampie e bianche, i muri color avorio, i mobili intagliati, il
divano grande e pieno di cuscini. Silvya ci saltò subito sopra per saltarci.
Sorridendo, la guardavo. Era così carina.
<<
Eliza cosa c’è? Non ti piace?
>> presi la mia valigia e mi recai nella mia stanza da letto. Mio
padre mi seguiva attendendo una risposta.
<<
Sì … mi piace >> mi sedetti su un letto della camera. Ce n’erano
due, uno per me e uno per Silvya. La coperta rosa era soffice e liscia e mi sembrava
di sprofondarci dentro.
<<
Non ti vedo molto felice …
>> disse, come se non lo sapesse. Se avesse voluto organizzare
quella vacanza “ esclusivamente” per stare un po’ di tempo con me e Sil, ne
sarei stata felice. Avrei fatto i salti di gioia, avrei pianto dalla contentezza,
ma il motivo di quel soggiorno era ben diverso, e ormai ci avevo pensato così
tanto che i miei pensieri sarebbero usciti dalla mia testa per il poco spazio.
<< Papà lo sai … >>
<<
Cosa? >> se ora pensava di mettersi a fare il finto tonto con me
si sbagliava.
<< Ma … ma tu >> sibilai …
<< Papà andiamo al mare ? >> disse Silvya tirandolo per la
camicia.
<<
Andiamo papà! Andiamo! >>
ripeteva.
<< Certo … bambine mettete i costumi vi
porto in spiaggia … >> chiuse la
porta della stanza.
Fantastico. Il mare, il sole, non
coincidevano per niente con il mio “ depresso “ stato d’animo. Per niente.
Indossai comunque il mio bikini nero e scesi insieme a loro.
Silvya corse in mare con il suo salvagente
giallo mentre mio padre la rincorreva per spalmarle la protezione solare.
<<
Silvya aspetta devi metterti questa, ti fa male alla pelle! >>
<<
papà … voglio nuotare! E poi quella cosa è appiccicosa! >>
Ci vollero più di dieci minuti per convincerla
a stare ferma. Era divertente vederli così. E per un momento mi sembrava di
essere contenta quanto loro. Ma era solo un illusione.
Io ero stesa sullo sdraio sotto l’ombrellone
con il mio libro preferito in mano, “ Jane Eyer”.
Dal momento in cui ero arrivata in spiaggia
non ero ancora riuscita a leggerlo. C’era qualcosa che mi impediva di
concentrarmi. Mio padre si sedette sull’altro sdraio togliendosi gli occhiali
da sole.
<<
Che ti prende? >> chiese.
<< Sai benissimo cosa, sono stufa del
tuo finto interesse … >> forse era
una delle frasi più dirette che avessi mai detto a mio padre in tutta la mia
vita. Stranamente non si arrabbiò.
<<
Magari se mi spieghi potrei capire … >>
<<
Spiegami perché hai voluto fare questa vacanza >> gli dissi con un
tono freddo.
<< Sicuramente non per stare con noi,
ti sei appena svegliato papà? Sono diciassette anni che sei un padre e sono più
di dieci che non ti comporti come tale !
>>
<<
Eliza non qui per favore …
>>
<<
Se non vuoi che ne parli qui … perché me l’hai chiesto qui? Neanche io
ne avrei voluto parlare sai? >>
<<
Ok lascia stare … >>
<<
Non si può lasciare stare ogni cosa papà, quello che hai lasciato
indietro non si risolverà da solo … e Jacob? Cosa c’è che ti da fastidio in
lui? Lui è … è … un bravissimo ragazzo, è stato rispettoso con te e tu hai
voluto fare questa vacanza solo per allontanarci! >>
I motivi per cui voleva separarci erano
futili quanto stupidi. Ne ero sicura.. Jake era diverso, lui non era come tutti
gli altri … sotto molti punti di vista. Non ci potevo neanche credere quando lo
vidi trasformarsi in un enorme lupo davanti ai miei occhi, ma era lui ed io
l’avrei accettato. Non mi avrebbe mai, mai fatto del male. Ne ero fermamente
convinta e nessuno mi avrebbe fatto cambiare idea, anche perché nessuno ne
avrebbe avuto la possibilità. Ma io lo amavo, lo amavo con tutta me stessa e la
sua diversità non faceva una sola piega al mio sentimento nei suoi confronti.
Non era diverso, era speciale, straordinario e faceva parte della mia vita.
Sempre.
<<
Per favore Eliza, quel ragazzo … è troppo diverso da te, te ne accorgerai
presto … è una cosa passeggera e tu ti affezioni tanto alle persone … tanto e
subito. Lo faccio per te … non ho niente contro quel ragazzo. >> Disse con un tono paterno. Per lui
si era davvero fermato il tempo.
<< Tu non mi conosci papà … sei rimasto
a quando mi portavi a Parigi e piangevo mentre la mia bambola cadeva nel fiume
e nessuno poteva riportarmela … tu sei rimasto lì papà, io sono cresciuta e mi
sono innamorata. >>
<<
Sei sicura ? >>
<< Sì! Sì papà! >>
<<
Sei tutta tua madre, hai il suo stesso cuore >>
Mi avvicinai a lui e lo abbracciai.
<< E sei cresciuta >>
Sospirai.
<<
Sono stato un pessimo padre … tua madre non lo avrebbe voluto >>
Non potevo dirgli che non era vero ma non
potevo dirgli nemmeno che lo era stato.
<< Sei ancora in tempo … >> gli
dissi guardando Silvya che ci correva incontro.
<< Scusami Lizzy >> Mi disse con la voce rauca e triste.
Nessuno mi avrebbe restituito la mia
infanzia, nessuno, ma Silvya aveva ancora la possibilità di viverla in un modo
migliore.
***
Tutto passò serenamente, mi sembrò di vedere
realizzare dei mie vecchi desideri che ora erano quelli di mia sorella.
Mangiare il gelato alla vaniglia con mio
padre, giocare a palla con lui sulla spiaggia. Erano dei piccoli sogni che
anche io avrei tanto voluto veder realizzati per me. Era troppo tardi ma non
per Silvya, che aveva gli occhi colmi di gioia e felicità.
Così le due settimane passarono bene ed ebbi
la possibilità di parlare con mio padre come non avevo mai parlato nei dieci
anni passati.
Io e Jake ci chiamavamo anche più di una
volta al giorno ed io cercavo di non darglielo a vedere.
Non vedevo l’ora di tornare a casa solo per
lui.
Ero affacciata al balcone della mia camera
quando mio padre mi raggiunse e appoggiò le braccia sulla ringhiera proprio
come stavo facendo io.
Si mise a guardare la luna e le stelle con
me, come non aveva mai fatto prima. C’erano dei momenti in cui sembrava
diverso, sembrava tornare indietro nella sua giovinezza e mi trasmetteva tutte
le sensazioni felici di quel periodo. Guardava il cielo scuro con un sorriso tranquillo
e il suo viso era rilassato come non lo era mai stato prima.
Era con l’animo in pace. Così mi sembrò un
buon momento per parlare di lei. Di mia madre.
Perché era solo per lei se mio padre aveva
abbandonato la sua vita alla sofferenza.
<<
Papà? >> dissi.
<<
Dimmi tesoro >> mi rispose
spostando lo sguardo dal cielo su me, che avevo appoggiato i gomiti sulla
ringhiera in un modo sognante. Un leggero venticello muoveva il mio vestito
bianco in lino in un modo rilassante.
<<
La mamma ti manca vero? >>
Rimase in silenzio e fui dispiaciuta quando
vidi la sua espressione tramutare in quella che vedevo sempre, preoccupata e
triste.
<<
Sì … >>
<<
Anche a me manca tanto, mi manca tantissimo >>
<< Lo so >> rispose sospirando.
<< Papà, lo so che fa male, fa tanto
male ma la mamma ora vorrebbe che tu stia bene, vorrebbe che tutto sia semplice
come era una volta, vorrebbe che tu sia felice insieme a noi.
Se te ne sei andato era sicuramente perché
soffrivi, ma la vita non è solo scura e buia, nella vita c’è anche una luce,
c’è sempre stata, devi solo lasciare che ti illumini. E’ questo che vorrebbe la
mamma … >> mi abbracciò forte.
Vedevo la vista appannarsi per via delle lacrime.
Non avevo mai parlato di mia madre con mio
padre e le sensazioni nuove di quel momento mi provocarono un leggero pianto
che bagnava il mio viso e i miei ricordi che nonostante tutto rimasero saldi e
intatti. Nessuno avrebbe mai potuto cancellarli.
<<
Siete voi la mia luce >> la
voce di mio padre tremava, non volevo guardarlo in viso ma mi sembrava che
stesse piangendo …
<<
Vorrei tanto che tu mi perdonassi , so che non è possibile, mi sono
comportato in un modo inaccettabile. Quando tua madre è morta il mondo sotto i
miei piedi mi si è sbriciolato ed è come se fossi caduto in un vortice di
dolore. Ti guardavo e vedevo che non sarei mai riuscito a farti stare bene come
faceva Annie. Ti guardavo e vedevo i suoi occhi nei tuoi. Ti guardavo e vedevo
quello sguardo triste ed io mi sentivo impotente. Annie non mi avrebbe mai più
aspettato dopo il lavoro. Annie non ci sarebbe più stata a parlare con me, a
stare insieme ad organizzare le vacanze … a parlare dei tempi del college.
Ti sentivo piangere la notte, mentre io
soffocavo il mio pianto e non sapevo come consolarti.
Poi arrivò quella proposta di trasferirmi
fuori e pensai che vedendo di meno il posto in cui mi ero innamorato di tua
madre, di vedere meno il posto in cui siete cresciute voi mi avrebbe aiutato a
dimenticare.
Ogni volta che ci tornavo invece sentivo
ancora la sua mancanza, sentivo ancora la sua assenza.
Non credevo di essere così debole. Mi
dispiace tanto Liz davvero. Spero che mi perdonerai un giorno >>
<<
Ti ho già perdonato papà >> gli dissi sincera.
<<
Ti prometto che farò tutto il possibile per starvi vicino, te lo
prometto >>
<<
è una promessa >> dissi a bassa voce.
<< è una promessa >> mi rispose.
<<
Jacob è un ragazzo fortunato, non avrei mai dovuto pensare delle cose di
quel tipo >>
<<
Non preoccuparti, se non fossimo partiti non avremmo mai parlato
così >> Continuai a stringerlo, e
mentre i suoi occhi azzurri mi guardavano con tenerezza, mi sentii
improvvisamente a casa.
Così andammo entrambi a dormire serenamente.
Quella sera la mamma ci era accanto e ci aveva aiutato a far trapelare le
nostre paure.
Papà doveva aver patito un dolore troppo
grande. Immaginavo me nella sua stessa situazione. Non ce l’avrei fatta. Senza
Jacob io, io non sarei più esistita. Non avrei più continuato a vivere.
Povero papà. Amava così tanto la mamma.
Fortunatamente Jacob era al sicuro e mi stava
aspettando.
Così le due settimane volarono via, il tempo
finalmente si dissolse ed io mi ritrovai all’aereoporto di Seattle. La grande
città in cui avevo sempre vissuto e ad aspettarmi impaziente e con una margherita
fra le dita c’era Jake. Sorridente mi venne incontro. Io emozionata gli corsi
incontro e lo abbracciai.
<<
Ben tornata >> mi disse
infilandomi la margherita fra i capelli.
<<
grazie >> gli risposi
alzandomi in punta di piedi verso di lui per ricevere un suo bacio che mi
ricambiò senza esitazioni.
Mio padre veniva da dietro portando le
valige.
<<
Signor Audley >> disse subito Jacob appena vide mio padre. Assunse
una aria rispettosa ed educata che lo faceva sembrare ancora più bello. A volte
dimenticavo quanto lo fosse davvero.
<<
Ciao Jacob >> rispose mio
padre chiamandolo per la prima volta per nome. Jake rimase sconcertato ma non
si lasciò prendere di sorpresa.
<<
Vuole che l’aiuti a portare le valige ?
>> chiese.
<<
Certo >> rispose mio padre.
Jake mi fece l’occhiolino e il mio cuore cominciò a battere a mille. Mi sentivo
felice più che mai. Silvya mi raggiunse e mi prese la mano.
Mio padre e Jake ci seguirono con le nostre
valige mentre Silvya accanto a me saltellava ed io camminavo tenendo lo sguardo
fisso in avanti. Il mio impulso mi diceva di voltarmi ma cercai di reprimerlo.
Dietro di me non c’era solo Jacob, c’era anche mio padre e non volevo che mi
vedesse così.
Il crepuscolo era già sceso e la luce delle
stelle illuminava i capelli rossi di Silvya in un modo incantevole. Lei corse
subito in macchina mentre Jake aiutava mio padre a mettere i bagagli nel cofano
dell’auto.
<<
Noi due ci vediamo domani
>> dissi.
<<
Certo >> rispose.
Mio padre lo salutò e prese posto al volante.
Jake si avvicinò a me cingendomi i fianchi
con le braccia.
<<
Ti chiamo >> mi sussurrò.
<<
Sì … >> risposi con il suo
stesso sussurro
<<
Non vedo l’ora che arrivi domani >>
<<
Anch’ io >>
Ero andata a finire nel mondo dei sogni e
stavo dimenticando che mio padre mi stava aspettando.
Allora entrai nell’auto vettura e per tutto
il tragitto pensai a lui. A quanto quella piccola lontananza mi avesse legato a
lui in modo ancora più profondo. Eppure quella distanza non era stato niente di
rilevante. Lo amavo. Avrei rinunciato a qualunque cosa per stare con lui.
Jake mi rendeva felice e faceva fuoriuscire
il meglio di me stessa. Nel mio cuore ardeva una fiamma, che ardeva per via del
grande amore che provavo per lui.
Mi
aveva cambiato la vita. Forse era destino che ci dovessimo incontrare, forse
era destino che avessimo dovuto salvarci a vicenda dal nostro doloroso passato.
Sicuramente avremmo sempre combattuto per
stare insieme. Avevamo tutto il tempo del mondo e noi non avremmo perso neanche
un secondo per continuare a vivere la nostra storia.
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto :):):) e spero che vi abbia fatto capire meglio la situazione
del padre di Liz, quanto la perdita di sua moglie lo abbia
completamente distrutto, e come alla fine ha compreso Lizzy, inoltre
leggendo la storia dal suo punto di vista abbiamo compreso meglio anche
i suoi sentimenti nei confronti di Jake =)=) nel prossimo capitolo il
narratore continuerà ad essere Jacob :):)
Spero tanto che vi sia piaciuto =)=)
Ringrazio tanto chi legge :):):):)
Vostra Ania <3
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Capitolo 21 *** 21 ***
jake 21
I brividi che
sentii quando vidi Lizzy venirmi incontro all’aereoporto, erano qualcosa di
troppo grande , per poterli descrivere in due
parole, e quelli che sentii quando le nostre labbra si toccarono, erano qualcosa
che andava dal piacere alla gioia nello stesso momento.
In quelle due
settimane senza di lei a Seattle non ci fu niente di nuovo, passai i weekend
con i ragazzi Walter e Mark, la mattina rimanevo fra le fresche lenzuola del
mio letto a sognarla e la sera ci sentivamo al telefono.
Una volta tornata,
mi sembrò che la situazione stesse migliorando. Suo padre si mostrò molto
cordiale con me. Sicuramente si erano chiariti ed ero felicissimo che lei
avesse passato quel periodo in Florida senza preoccupazioni.
Quella mattina mi
alzai molto presto. Non vedevo l’ora di vedere Liz. La sera prima mi era
sembrato di essere vicino a lei più che mai, come se io avessi potuto vivere
senza cibo, senza acqua ma non senza di lei. Devo ammettere che era molto
strano …
Dopo aver fatto la
mia abituale colazione mi incamminai verso casa sua. Non dimenticai il mio
telefonino. Non l’avevo ancora chiamata ed anche se la rendevo sempre felice
quando andavo a casa sua senza preavviso, c’era sempre suo padre e mantenere
una posizione di massimo rispetto era molto importante.
Così percorsi la
strada che ormai conoscevo a memoria e con le mani nei jeans neri cominciai a
fantasticare. Stavo per dimenticare di chiamare Lizzy, quando il mio sguardo
incontrò un taxi, a quell’ora della mattina non passavano mai e mi sorpresi
quando sul sedile posteriore vidi proprio il Signor Audley.
Anch’egli mi vide e
l’auto accostò.
<< Jacob
>> mi disse mentre usciva dall’auto.
<< Signor Audley
>> risposi cortesemente .
Il taxista sembrava
impaziente di continuare il viaggio.
<< Sto per partire per l’Alaska, torno al mio
lavoro >> disse con chiarezza e
rassegnazione.
<< Davvero?
Credevo che si sarebbe trattenuto più a lungo … Buon viaggio allora >>
<< Non così in fretta signor Black >> disse con area austera, appoggiandosi
all’auto alle sue spalle.
<< Voglio che tu mi faccia una promessa >>
<< Certo
>> risposi.
<< Voglio solo che tu ti prenda cura di mia
figlia. Lizzy baderà a Silvya ma nessuno bada mai a lei ed io credo che sia
rimasta sola per troppo tempo a causa mia …
>>
<< Signor Audley … >> Sapevo benissimo cosa dire.
<< Gliel’ho già promesso la prima volta che
l’ho incontrata. Sua figlia è la ragazza che amo e non permetterei mai che
soffra, tantomeno che rimanga sola. Lei non sarà mai più sola, mai più. Ha la
mia parola. >>
<< Bene
>> rispose.
<< Il volo è fra venti minuti, devo affrettarmi.
Spero di rivederti presto Jacob >>
Annuii con il capo e il Signor Audley entrò nel
taxi che lo portò all’aereo porto.
Mi sentivo
leggermente diverso e … cresciuto. Credo che quella fosse stata la mia prima
dichiarazione d’amore ufficiale. Sì, lo era stata davvero.
Dopo qualche passo
soffermato a pensare alle mie ultime parole, di cui mi sentivo alquanto
orgoglioso, chiamai Lizzy.
Era sempre un
attesa incessante.
<< Pronto
>> disse dopo il primo squillo.
<< Ho voglia di vederti >> dissi subito.
<< Anch'io Jake … >>
Non mi ero reso
conto di aver appena raggiunto la sua abitazione. Ero esattamente di fronte a
casa sua.
<< Sei libera adesso? >>
<< Sì sono
libera … dovrei vestirmi … sono ancora in pigiama. >>
<< Ah non importa >>
<< Oh sì che importa! Sai non posso uscire
così >>
<< Non ti ho chiesto di uscire … >> nel frattempo mi ero arrampicato sul
suo tetto ed ero appoggiato alla sua finestra.
<< Perché non apri la finestra? credo che ci sia
qualcosa per te … >>
Sentii il rumore del respiro che faceva
quando sorrideva. Chiusi il telefono e lei si voltò verso di me, che ero al di
là della sua finestra vitrea.
Aprì la finestra
velocemente e mi fece entrare.
Io l’abbracciai per
assaporare il suo profumo.
<< Mi sei mancato >> mi disse.
<< Anche tu mi sei mancata >>
Io mi porsi verso
di lei e Liz si avvicinò a me per permettermi di baciarla.
Fu un bacio serio,
di quelli che non sembrano avere fine e che tolgono il respiro per tempi
prolungati. Uno di quei baci che sembrano bruciarti per quanto siano
travolgenti, ma che invece ti rendono ancora più forte di prima. Mi accorsi che
ci eravamo spostati leggermente dal nostro posto, solo quando il nostro fiato si
esaurì completamente e fummo costretti a separare le nostre labbra per ricominciare
a respirare.
Mi guardò negli
occhi prendendo fiato e si sedette sul letto.
<< Scusa, dovevo controllarmi … >> dissi sedendomi accanto a lei.
<< No, non devi … >> mi disse accarezzandomi i capelli
che portavo corti.
<< Va benissimo così … >> sussurrò con una voce melodiosa che
mi fece desiderare di chiedere un altro bacio, ma fermai il mio istinto. Sapevo
che se avessi ricominciato a baciarla non ci sarebbe più stata possibilità di
fermarmi.
Dopo qualche attimo
senza parlare decisi di rompere il silenzio.
<< Sei sola ?
>>
<< C’è Silvya che dorme nella sua stanza, mio
padre è partito >>
<< è andata bene la vacanza? >>
<< Sì, abbiamo parlato molto, di noi e … di te e
… abbiamo chiarito tutto e oggi ha spedito una lettera alla sua azienda per il
trasferimento. All’inizio del prossimo anno, se tutto va bene, lavorerà in zona >>
Ero felice che le
cose con suo padre fossero migliorate. Non poteva andare diversamente.
<< L’ho incontrato mentre venivo qui … >>
<< Ti ha detto qualcosa? >>
<< In realtà, Sì … >>
<< Davvero? È stato gentile? Cosa ti ha
detto? >> mi chiese agitata.
<< Sì è andato tutto bene, abbiamo fatto una
piccola chiaccherata, tutto qui …
>>
<< Ne sei sicuro ? >>
<< Abbiamo parlato … >> dissi io, ma Liz mi guardava come per
farmi uscire le parole di bocca.
<< Ho fatto un promessa … >> Liz rimase in silenzio. Chissà a
cosa pensava.
<< Ho promesso che non ti avrei mai lasciato
sola, che saresti stata sempre al sicuro e gli ho detto che ti amo >>
I suoi occhi si
illuminarono di una luce angelica.
<< Perché io ti amo davvero Liz >>
<< Anche io
ti amo davvero >>
Si appoggiò al mio
petto. Poteva rimanere lì per sempre. Bastava solo che fosse felice, bastava solo
che fosse serena. Io avrei potuto sopravvivere a qualunque cosa anche solo
sapendo che lei stava bene.
***
Verso la metà di luglio a Seattle veniva montato un Lunapark, per tutti sembrava una cosa
normale ma per me era davvero una novità. A Forks non facevano mai niente di
simile e non avevo mai lasciato la città per raggiungere un parco divertimenti
come molti invece facevano. Ero stato abituato ad accontentarmi di quello che
avevo e a non chiedere niente a cui si potesse rinunciare senza problemi.
Così
decisi di
andarci con Liz. Mi dispiaceva non portare anche la sua sorellina
Silvya così lasciai che venisse anche lei. Silvya a volte faceva
dei discorsi talmente complicati da
mettere in crisi un adulto … e da mettere in crisi anche me.
Nonostante tutte
le sue provocazioni, fu una bella serata. Mi controllai ancor
più del solito,
non potevo baciare Lizzy ogni volta che volevo davanti a Silvya, anche
se il mio
impulso me lo ripeteva sempre.
Se avessi potuto
scegliere avrei passato tutto il tempo a baciarla, ma non era possibile.
Non salimmo su
nessuna giostra pericolosa anche se Silvya lo richiedeva. Era una bambina molto
“ spericolata “ e molto vivace e sveglia.
Liz aveva un carattere leggermente diverso da lei, e mi piaceva così
com’era.
Fu una serata divertente
e piuttosto diversa da tutte le altre. Lizzy era felicissima di questo e si
mostrò molto grata per aver fatto partecipare anche Silvya a quell’uscita.
Anche lei era sempre da sola ed ero sicuro che stare un po’ di tempo con noi
sarebbe stato bello per lei.
Tornammo molto
tardi e la bambina era stanchissima, così dopo che Lizzy aprì la porta con la sua chiave, la bambina si girò verso di me per
darmi un bacio sulla guancia.
<< Grazie Jacob >>
<< Di niente Silvya è stato un piacere >>
<< Buonanotte
>>
<< Buona notte, Sil >> le risposi.
Così Silvya corse
sulle scale per recarsi in camera sua.
Lizzy guardava con
la punta dell’occhio che Silvya arrivasse a destinazione. Dopo essersi
assicurata che la bambina fosse salita uscì sul porticato socchiudendo la porta.
Eravamo illuminati
dalla luce che filtrava dai vetri delle finestre.
<< Grazie Jake
>> mi disse abbracciandomi.
<< Non devi ringraziarmi, Lizzy, non ho fatto
niente di difficile o faticoso …
>>
<< Se tu fossi stato un altro ragazzo, non
avresti mai fatto una cosa simile … una cosa così bella … >>
I suoi occhi erano
luminosi come gemme e avrei potuto stare lì a guardarla per ore e ore. Il suo
ringraziamento non serviva, non capiva che l’unico più grande regalo che
potesse farmi era la sua presenza, era la sua felicità.
<< Sei bellissima … >>
Sbuffò come non
faceva mai.
<< Non è vero …
>> mi contraddisse
<< E' vero invece … >>
<< Si è fatto tardi è meglio che vada … >>
Cercò di
allontanarsi per entrare in casa, poi la tirai per il braccio con delicatezza,
lei non mostrò nessuna resistenza. Forse stava aspettando che mi comportassi in
quel modo. Cadde fra le mie braccia con un sorriso meraviglioso che fu interrotto
da un mio bacio, che ricambiò senza esitare.
Lei sue mani mi
accarezzavano il viso e in quel momento non riuscivo a sentire altro che la sua
dolcezza. Avrei potuto continuare così per tutto il tempo del mondo. Poi lei si
staccò da me con delicatezza e mi diede un altro soffice bacio sulle labbra.
<< Buonanotte.>>
<< Buonanotte Liz >>
Così mi recai nella
casa in cui vivevo da ormai molti mesi. Quella casa che mi era sembrata un
estranea sin dal primo impatto ma che era stata luogo delle mie riflessioni e
dei miei dolori. Forse quelle mura avevano
ascoltato tutto, avevano capito tutto, da prima che io ne fossi cosciente.
Era lì che dovevo
andare. Ormai quella città, così grande e così diversa mi era diventata
familiare, quella città era stata il luogo della mia rinascita, e Lizzy era la
ragazza che aveva fatto sì che tutto fosse stato possibile. Era la persona che
mi aveva aiutato a vivere, perché ormai avevo dimenticato anche come si facesse.
Ogni notte era
dolce quando la sognavo, ed ogni giorno era bello perché l’avrei incontrata,
perché le avrei parlato, perché lei mi sarebbe stata vicina ed io avevo
ottenuto la forza per continuare a percorrere la strada della nostra vita.
Quella vita che
anche se difficile, con lei sarebbe stata affrontata in un modo diverso.
Nel modo in cui lei mi
aveva insegnato
Spero che questo capitolo
vi sia piaciuto =)=)=) come avete visto il narratore è tornato
ad essere Jacob :):)
Grazie a voi per leggere, se vi piace fatemi sapere con una recensione, per favore <3
Ania <3
|
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Capitolo 22 *** 22 ***
jake 22
Spesso si dice che
quando si sta bene il tempo passa in fretta. Non ci voleva molto per rendersi
conto del perché i giorni dell’anno precedente sembrassero molto più pesanti e
più lunghi di quello successivo.
Quell’estate fu
qualcosa di magico. Fu qualcosa di così bello da non sembrare reale.
Le mattinate in
piscina con i ragazzi, le commedie al cinema, il lavoro da Kyle, le nostre
passeggiate nel parco, il gelato alla vaniglia del bar di fronte alla nostra
scuola.
Tutto faceva parte
della mia vita. Finalmente non avevo nessun pretesto per chiedere altro e non
potevo che essere contento, di tutto quello che avevo.
Stavo bene come non
lo ero mai stato, amavo come non avevo mai amato e c’era qualcuno su questa
terra che era disposto a stare con me, accettandomi per quello che ero e non
per la persona che era opportuno che fossi.
Mi capitava spesso
di non riuscire a dormire. La realtà mi era troppo preziosa, per abbandonarmi ai
sogni. Allora rimanevo sul mio letto a riflettere e a sentire il vento che
accarezzava gli alberi accanto alla mia finestra, a sentire i battiti del
cuore accelerare, quando pensavo a lei. Avevo l’opportunità di ascoltare me
stesso.
Non avevo mai
vissuto un estate così e se la stavo vivendo era solo grazie a una persona, una
persona senza la quale non sarei più stato capace di esistere.
Stavamo
passeggiando nel parco quando cominciò a scendere una leggere pioggerella. Io e
Liz ci riparammo sotto una giostrina.
Una normale pioggia
estiva, sicuramente ben accetta, perché mi fece trovare un pretesto per abbracciarla
a me, con la scusa di ripararci dall’acqua che scendeva fitta.
Avevo avuto tanto
tempo per pensare, avevo avuto tanto tempo per avere la condizione di quanto la
mia vita fosse diversa in quell’istante, ma non avevo dimenticato niente di
quello che avevo lasciato alle mie spalle.
La
telefonata fatta
con mio padre mi circolava in testa, e non riuscivo a non considerare
quell’argomento. Era certo che se fossi tornato a Forks, anche
solo per poco,
avrei portato Lizzy con me. Non sapevo come presentarle la questione,
non
sapevo come chiederglielo. Mancava meno di un mese all’inizio
delle lezioni ed
una volta che la scuola fosse iniziata, non avremmo più potuto
andare a Forks. Rimaneva solo quel mese, quell’ultimo mese.
<< Sei silenzioso … c’è qualcosa che ti
assilla? >> mi chiese, mentre con
il braccio l’avvicinavo al mio fianco.
<< Sì … stavo pensando >>
<< E’
importante? >> mi chiese
interessata.
<< In realtà sì … qualche mese fa ho parlato al
telefono con mio padre, mi ha chiesto di andare a trovarlo … >> Non ero sicuro di quello che mi
avrebbe risposto, ma dovevo provarci.
<< Hai intenzione di andarci? >> mi chiese con un’aria rilassata.
<< Sì Liz, ma vorrei che tu venissi con me
… >> Intrecciò una sua mano nella
mia e cominciò a parlare.
<< Vuoi che venga con te? >>
<< Se non vuoi non importa, Forks è una città
noiosa … e piove senza tregua, non piace mai a nessuno. Ma è dove vive la mia
famiglia e non li vedo da quasi un anno … e l’ho promesso a mio padre >>
<< Jake, io voglio, verrò senz’altro … >> Forse avrei dovuto prevedere che mi
avrebbe risposto positivamente senza esitare, ma niente per me era banale quando
riguardava lei.
<< E la tua sorellina? >>
<< Non rimarrà sola non preoccuparti, in città
abbiamo dei parenti >>
<< Ne sei sicura? >> gli chiesi scettico, insomma che
cos’era quella piccolissima città?
Non aveva niente di
interessante a parte tutto quello che nessuno sapeva.
<< Certo … potremo usare la macchina di mio
padre per andarci … ma devi promettermi che sarai prudente >>
<< Sono sempre stato prudente >> mi guardò con un aria di
disapprovazione.
<< L’ultima volta era per colpa del ghiaccio
… >>
<< Sì certo … non sei mai stato bravo a mentire
Jacob Black >> non si sbagliava,
la sera in cui cercai di andare a Forks, superai il limite di velocità e la
strada era scivolosa per la neve.
<< Con te accanto non potrei mai fare nulla che
possa metterti in pericolo >> le
dissi con un sussurro. Quelle parole, quelle frasi, le pronunciavo senza sapere
davvero da dove provenissero, non sapevo se era la mia mente a suggerirmi le parole,
non sapevo se era il mio cuore a parlare, ma sapevo benissimo a chi erano
destinate, sapevo che ero io a pronunciarle e sapevo che potevano essere
indirizzate solo a lei. Smise di piovere, così potemmo uscire dal nostro
riparo e camminare sul prato bagnato.
In cielo apparve un
bellissimo arcobaleno, i colori pastello accompagnavano l’azzurro del cielo con
le nuvole spumose.
Era uno spettacolo
magico, ma lo era ancora di più,
perché le sue mani stringevano le mie e perché i miei occhi non potettero stare
più di pochi minuti a guardare il cielo, senza ammirare la bellezza della ragazza che avevo accanto, la sua
dolcezza, la sua disponibilità.
E i suoi baci timidi
e leggeri non potevano essere confrontati con nessun’altra cosa al mondo.
Saremmo partiti
presto, e non vedevo l’ora che le persone che mi avevano visto versare lacrime
per la persona che amavo, vedessero chi c'era in quel momento al mio fianco.
Spero che il capitolo vi
sia piaciuto =)=)=) il capitolo è un po' corto ma solo
perchè è una specie di introduzione a quello che
accadrà nei prossimi. Spesso alcune di voi mi hanno chiesto se
Jacob sarebbe mai ritorato a Forks, il momento si sta avvicinando.
Grazie mille a chi legge <3
Un bacio
|
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Capitolo 23 *** 23 ***
jake 23
Il sole abbagliava
i finestrini dell’auto lucida e pulita, Liz era appoggiata ad essa mentre io
infilavo nel cofano le nostre valige. Lei, con un paio di occhiali da sole
estivi, non aveva evidentemente la condizione che a Forks non si sarebbe mai
rivelato necessario il loro uso, ma non importava. Quella mattina era una
favola, gli occhiali da sole grigi le stavano bene come qualunque altra cosa e
la maglietta rossa e aderente le cadeva liscia come se fosse stata costruita su
di lei. Il rosso le stava bene in una maniera infinita.
Con i miei amici mi
divertivo sempre a sparare battutine stupide e inclementi, ma con Lizzy era
impossibile, per quanto mi impegnassi niente di lei mi faceva pensare a
qualcosa di simile. Aveva un potere magnetico, ed anche se con lei ero sempre
me stesso, il ragazzino che si divertiva a lanciare frecciatine, veniva
nascosto da qualcosa che non saprei descrivere.
Chiusi il
bagagliaio e mi avvicinai a lei diritto. Lei alzò lo sguardo e mi guardò in
viso.
Riuscivo a scorgere
i suoi occhi dietro le sottili lenti.
<< Andiamo?
>> mi chiese .
<< Certo … subito >> lei mi sorrise ed io ebbi
l’opportunità di baciarla un'altra volta, prima di cominciare il nostro piccolo
viaggio.
Il tocco delle sue
labbra non era mai cambiato, la scarica elettrica che mi trasmetteva avrebbe
potuto superare qualunque altra forza della natura.
Dopo aver
assaporato ancora il suo dolce sapore, lasciai le dita della sua mano con
delicatezza ed entrambi entrammo nell’autovettura.
Ci eravamo procurati
molti Cds per l’occasione, ma forse di questo se n’era occupata più Lizzy. Non
mi dispiaceva, ascoltavamo gli stessi generi di musica e lei risultava perfetta, in
una maniera sconvolgente e per lei ovvia, in ogni cosa che facesse. Così prese
il primo cd che le capitò fra le mani e lo inserì nello stereo della macchina.
Partì una ballata
rock, una fra le nostre preferite e insieme la canticchiavamo. Ogni tanto,
ridendo, mi incitava a non distrarmi ed io guardavo la strada con
concentrazione per non sviare lo sguardo verso di lei.
Durante il viaggio
in auto aveva tolto i suoi occhiali da sole e se avessi perso il controllo
anche per poco, sarei affondato nei suoi occhi caramellati.
Eravamo
sull’autostrada più vicina a Forks, quando dal suo silenzio mi accorsi che
qualcosa la teneva impegnata con la mente.
<< Siamo vicini.
>> le dissi con un tono rassicurante.
<< Già … >> mi rispose assorta.
<< C’è qualcosa che non va? >>
<< niente di importante … i tuoi amici sono
simpatici? >>
<< Sì molto, sono sicuro che ti piaceranno >>
In un intervallo di
pochi minuti ci ritrovammo nei pressi del bosco di Forks, verde e muschioso. I
ricordi che ripercossero la mia mente in quell’istante furono un uragano di
pensieri e riflessioni. Come il vento fa con il mare, essi agitavano il mio
piccolo equilibrio, mi sembrava di vederlo cadere. Poi però rallentai e guardai
Lizzy in viso, all’improvviso mi sentii sicuro e il vento nella mia mente
diminuì di intensità, lasciando spazio ad emozioni difficili da definire.
In quelle foglie
color arancio, poche fra i manti verdi, vidi il riflesso dei miei pensieri, ci vidi riflesso tutto il mio
passato. La voce degli alberi raccontava di me, come gli anziani parlano di
leggende con i giovani del villaggio. Quella foresta, mi chiamava a sé, mi chiamava
a casa.
Mi ricordai della
mia prima corsa, in sembianze da lupo, quando correvo, sentivo il vento
accarezzarmi il pelo, le pietre graffiare le zampe, l’affanno.
Mi ricordai di
quando nella parte più alta della montagna, decisi di andare a morire, lo
pensai perché la ragazza che amavo con tutto il cuore aveva scelto di sposare
un altro.
Un altro …
<< Se mi faccio uccidere non farebbe differenza
per te >>
<< No, Jake non andare resta qui! >> la voce di Bella rimbombava nella
mia testa, come un tonfo in una stanza completamente vuota. E mi graffiava il
cuore, come ogni cosa che mi aveva fatto, come ogni cosa che mi aveva costretto
a subire, per lei. Il castigo per aver amato.
<< Dammi una buona ragione per restare >>
<< Perché tu sei molto importante per me >> E di nuovo la voce assordante,
quella che mi lacerava i timpani, quella per la quale sarei morto una
volta...
<< Trovatene una migliore >> La mia voce era disgustata,
amareggiata, ferita, come ogni cosa che faceva parte di me. In ogni cosa che
dicevo, in ogni cosa che potesse essere pronunciata dalle mie tristi labbra si
scorgeva, anche in una modo quasi inudibile, il dolore. E avevo lasciato che mi
uccidesse.
E poi ancora,
parole, parole, e quel pianto che faceva sempre, quando aveva finito tutte le
cose da dire, e forse si accorgeva per una buona volta, di aver sbagliato
qualcosa.
E poi si avvicinava
con quel passo incerto, goffo, che mi faceva avvicinare a lei per paura che
cadesse, perché ero stupido ... e per quanto lei fosse egoista, io mi lasciavo
prendere dalle sue espressioni di affetto, affetto che non c’era. Dentro di lei
era nascosto il vero amore, il nostro, ma qualcosa di sovrannaturale era
riuscita ad annebbiarlo, a renderla incapace di far parlare quel sentimento, di
farlo urlare, come fa qualunque altra persona, quando è innamorata.
“ Lo so che mi ami,
perché non vuoi ammetterlo … sarebbe meglio per tutti “ pensavo ogni volta che ero con lei, che si
ostinava a voler essere un semplice amica.
<< Baciami Jacob
>> Sospirò con enfasi.
<< Baciami e ritorna >> ed io ero ritornato. E mi aveva
toccato come volevo essere toccato, e mi aveva permesso di baciarla come avevo
sempre sognato, e mi aveva illuso di aver cambiato tutto con quel bacio. Mi
aveva illuso e basta. Perché quando i nostri respiri non bastavano più, io la
guardai intensamente, e nei suoi occhi colo cioccolato vidi qualcosa che non volevo comprendere.
Forse in quel momento aveva capito di amarmi, forse in quel momento aveva
capito tutti i suoi errori, ma nei suoi occhi c’era compassione, ed io non ebbi
il coraggio di ammetterlo. E la compassione non è amore, la compassione è
qualcosa per cui nessuno dice grazie, è qualcosa per cui nessuno è grato. E’
solo un modo per essere gentili, per sembrare buoni, quando i cuori sono duri e
di pietra, come il suo.
Perché la ragazza
di cui ero innamorato non era come tutte le altre, e non aveva bisogno che il
veleno di quelle creature le inondasse le vene, per avere un cuore di marmo,
perché anche se pulsava dentro il suo petto, qualcuno gliel’aveva rubato già da
tempo.
E me ne accorsi
solo quando vidi il suo sangue sulle mani. E me ne accorsi solo quando la vidi
chiudere gli occhi, abbassare le palpebre, fissare le labbra carnose in un
espressione di veglia. E me ne accorsi solo quando la guardai un ultima volta,
e lei mi disse << Addio >>
con la voce soffusa, roca, debole. L’ennesima tortura di tutto le volte che si
era lasciata amare da me, senza provare a fare lo stesso.
Quello fu quello
che vidi negli alberi della foresta, le mie lacrime erano rimaste intagliate
nelle cortecce insieme alla loro linfa. Ma ora era tutto diverso, perché
sbattendo gli occhi, quelle immagini tornarono al loro posto.Presi un bel
respiro e voltai la testa verso destra. Guardai Liz e pensai che, quel bacio,
quello che avevo sempre sognato di dare, l’avevo dato solo a lei.
***
Parcheggiai la Bmw
di fronte alla mia abitazione. Era rimasta la stessa che vedevo nei mie
ricordi. La stessa dell’ultima volta. Provai soggezione ad avvicinarmici, come
se ci fosse qualcosa a impedirmi di attraversare la soglia. Forse era solo
qualcosa che mi stavo creando da solo.
Suonai il
campanello. Dalla casa si potevano riuscire a sentire delle voce femminili da
mezzo soprano e delle risate maschili. Quando mi venne aperta la porta, stavano
ancora ridendo.
<< È mezzogiorno, chi sarà
a quest’ora? >> disse una voce
interna che aveva ancora l’aria adolescenziale.
Sicuramente nessuno
immaginava di vedermi proprio in quell’istante. Ed io davanti alla porta, con i
muscoli contratti, sentivo il battito del mio cuore nelle orecchie e Liz che mi
guardava, con la stessa emozione.
Seth era cresciuto
moltissimo. Era almeno venti centimetri più alto dall’ultima volta che ci
eravamo visti, il fisico si era scolpito e aveva sempre lo stesso sorriso.
Non mi salutò
nemmeno, non disse neanche una parola. Mi abbracciò. Mi abbracciò come se fossi
tornato da una battaglia pericolosa.
<< Hey Seth…
>> gli dissi.
<< Billy? Billy? Jacob è tornato! >> Si scaraventò nella sala da pranzo,
ed io, prendendo Lizzy per mano entrai in casa.
La casa non aveva
subito nessun cambiamento e mi sembrò di tornare indietro nel tempo con fra le
mani il mio presente.
Io e Lizzy
continuavamo a tenerci per mano e non avevo alcuna intenzione di lasciarla.
<< Sei emozionato … >>
non era una domanda, era una affermazione.
Nonostante ciò, mi sentii in dovere di risponderle. E non ero un
pezzo di ghiaccio, ero una persona vera che stava per rivedere le
persone a cui tanto voleva bene.
<< Sì …
>>
Mi avvicinai alla camera da pranzo. Anch’essa
era rimasta intatta, e fra le persone che la occupavano mancavo solo io.
Gli occhi colmi di
gioia di mio padre erano lo specchio della sua anima. Era sempre sulla sua
sedia a rotelle, non avevo dimenticato niente di quando lo aiutavo a spostarsi
o a muoversi da un posto all’altro. Non mi era mai costato un peso e non lo
sarebbe mai stato.
<< Jake … non posso crederci, avevo cominciato a
perdere le speranze >>
<< Ma sono qui adesso, ho mantenuto la promessa >> gli risposi.
Nella stanza c’era
anche Sue, la madre di Seth con cui avevo un bellissimo rapporto.
Mi abbracciò con
emozione, sarebbe scoppiata a piangere da un momento all’altro.
Nel frattempo Lizzy
era sulla soglia della stanza a guardarci incantata. Quando si accorse che la
stavo fissando, spostò lo sguardo imbarazzata.
Io mi avvicinai a
lei e la presi per mano.
<< Vorrei presentarvi la mia ragazza, Lizzy
Audley. >> dissi con tono austero.
Seth mi guardava
con felice soddisfazione, chissà a cosa pensava.
<< Ciao Lizzy, io sono Seth un amico di
Jake >>
<< è un piacere Seth >> gli rispose lei
stringendogli la mano.
Mio padre si
avvicinò a lei con la sedia a rotelle. Aveva assunto uno sguardo interessato e
indagatore. Nonostante ciò le porse la mano, che Lizzy strinse con emozione.
<< Sono molto felice di conoscerla Signor
Black >>
<< Il piacere è tutto mio Lizzy, sei la
benvenuta >> rispose con
gentilezza.
Sue si avvicinò a
Lizzy con cautela e si presentò a lei. Non sapevo che cosa
assillava le loro menti, ma sapevo che sarei stato posto ad un interrogatorio
degno di un commissariato di polizia.
Tutto era surreale, tutto sembrava venir fuori
da un libro di antiche leggende. Ero tornato nel mondo che mi aveva cresciuto.
Ero tornato nel luogo in cui tutto era iniziato. Pensavo. Pensavo a quante cose
fossero mutate in quell’arco di mesi. Ma loro? Cosa era accaduto dopo la mia
partenza? Non avevo mai avuto il coraggio di chiedere notizie, mai avuto il
coraggio di sentire ancora le loro voci rauche, eppure ero lì, in quella casa.
Appartenevo a quella foresta ed ero stato legato a quelle vite ancor prima che
potessi gemere nel mio primo pianto. La mia famiglia, ecco cos’erano, un posto
che, per quanto pericoloso e sinistro, mi faceva sentire al sicuro.
***
Ancora assorto fra
i miei pensieri non riuscivo a cogliere bene le parole che le persone attorno a
me si scambiavano.
<< Jacob perché non venite a pranzo da noi oggi? >>
All’improvviso
tornai al mondo reale e in pochi secondi riuscii ad assimilare quel che ci
voleva, per rispondere alla sua domanda.
<< Ehm … va bene Sue, se per te non è un
problema … >>
<< Sai Jacob che per me gli ospiti non sono mai
un problema … spero di vederti presto cara
>> disse rivolgendosi a Lizzy.
<< certo
>> rispose lei sorridendo.
<< Sto andando da Charlie, Billy mi accompagni? >>
<< Non so Sue, Jacob è appena arrivato … >>
<< Sì certo … allora passo a prenderti fra
mezz’ora. Vieni Lizzy, ti faccio vedere la stanza >>
Seth uscì un attimo
fuori ed io e mio padre rimanemmo soli. Come una volta.
Lui seduto sulla
sua sedia a rotelle, mi accolse nel suo abbraccio paterno, nel suo caro e
tenero abbraccio. Quanto mi era mancato, lui che anche senza dire una sola
parola, sapeva e capiva tutto.
<< Mi sei mancato tanto Jake >> mi disse mentre ancora mi stringeva
nelle sue braccia stanche. Ci lasciammo un attimo ed io rimasi alla sua stessa
altezza sostenendomi sui talloni.
<< Anche tu
mi sei mancato papà >>
<< Non immagini neanche, tu non puoi capire come
mi sono sentito in questi mesi …
>> mi disse rassegnato e a quel punto mi sentii davvero in colpa.
<< Mi dispiace tanto … >>
<< Non dispiacerti Jacob, hai fatto quello che
ti diceva il cuore >> forse era
quello che pensava, anche se non corrispondeva con la realtà dei fatti. Nel
momento il cui lasciai Forks, il cuore mi diceva tante cose, era un urlo
costante nei timpani e nella testa, e fra le tante cose mi diceva di restare,
perché non c’era nessun’altro posto per me. Ma io avevo combattuto contro me
stesso, contro i miei stessi pensieri, contro tutto quello che mi apparteneva.
<< Sono venuto
>> gli dissi accennando un sorriso, ma lui non fece lo stesso.
<< Sei cresciuto
>> io, che mi guardavo allo specchio ogni giorno, non potevo
accorgermi di quei piccoli cambiamenti che invece lui poteva notare.
<< Non sarò diventato più alto? >> gli chiesi sarcastico, ma lui non
sembrava vedere niente di divertente in quello che gli dicevo.
<< L’unica cosa che mi ha fatto star male, la
cosa che mi fa stare male adesso è che non ci sono stato, tu sei diventato un
uomo, ed io non ci sono stato. Pensavo a mio figlio e me lo immaginavo nello
stesso modo, in cui ti avevo visto per l’ultima volta.
Invece tu sei
diventato grande e non ti ho visto mentre lo diventavi, non ti ho visto mentre
capivi di esserti innamorato in maniera profonda, non ti ho visto quando hai
preso ogni decisione che poteva essere importante >>
<< Papà non dire così … >> riuscii a dire.
<< Quando due persone si vogliono bene, non
importa quanto possano essere lontane, sei mio padre non ti avrei mai
abbandonato >> continuai. Davvero mio padre era triste per quello che
non era riuscito a vedere? Mi sembrava quasi impossibile. Ma in fondo non c’era
molto da capire, io ero suo figlio e forse un giorno lo avrei compreso.
Mi abbracciò di
nuovo e sentii l’odore di menta del suo dopobarba, quello che a volte gli rubavo
dalle mani quando ero piccolo, e lui mi diceva
<< Sei troppo piccolo per usarlo Jake, potrai metterlo quando
sarai grande >>. Era sempre quello l’odore che accompagnava i nostri
abbracci, quando mi metteva a letto, quando mi faceva il solletico, ed io
pensavo che un giorno avrei avuto il suo stesso profumo, il profumo di mio
padre.
Sue entrò nella
stanza schiarendosi la gola, e quando mi voltai, la vidi in uno sguardo commosso
riprendere quel poco di contegno che riuscì a trovare.
<< Sei sicuro di non voler venire? >> chiese.
Mio padre mi guardò
un attimo.
<< Non preoccuparti papà, va’ >> gli dissi io. Mi alzai e lasciai che
Sue spingesse la sedia a rotelle al mio posto.
Socchiuse la porta,
e mentre li guardavo dall’interno, mentre si dirigevano da Charlie, sentii
qualcosa dentro, qualcosa che era sempre stato mio. Sentivo la nostalgia di
tutto quello che mi circondava e tutto quello che vedevo.
Ero tornato a casa.
Jacob è tornato a casa :):):) spero che questo capitolo
vi sia piaciuto, e vi dico solo una cosa, è solo l'inizio =)=)=)
Ringrazio infinitamente coloro che leggono =)=) grazieeee :):)
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Capitolo 24 *** 24 ***
jake 24
Sospirai e mentre
giravo per il corridoio senza sapere il perché, mi ricordai che Lizzy era in
camera delle mie sorelle a sistemare le sue cose. Così, a passi andanti, mi
diressi verso la sua stanza.
<< Hey …
>> le dissi, Liz stava sistemando qualcosa nella sua valigia.
Lei mi guardò e mi
sorrise. Mi sorrise semplicemente, e non avevo bisogno di grandi e articolati
discorsi da parte sua. Un sorriso, sì, solo quello, mi bastava.
<< Ti piace la stanza? >> le chiesi scettico, trasferendole
una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e poi sviando lo sguardo verso i
mobili bianchi della stanza.
<< Sì, è molto carina >> mi rispose lei.
<< è da un po’ che non ci mette piede nessuno,
ma è abbastanza spaziosa e … femminile
>> c’erano ancora i loro peluches sui due letti con le coperte
azzurre.
<< Andrà benissimo >> mi disse guardandomi
negli occhi.
<< Sono contenta di essere venuta. Andrà tutto
bene vedrai … >>
<< Lo spero …
>> le dissi io.
<< Hai forse qualche dubbio? >> mi chiese pretenziosa.
<< Assolutamente no, signorina Audley >>Lei si avvicinò al mio capo alzandosi
sulle punte e la baciai.
Ogni volta sentivo
gli stessi brividi, e non erano certamente brividi di freddo. Ogni volta che la
baciavo mi sentivo travolto da qualcosa di superiore ed impossibile da
controllare. Lei si era aggrappata al mio collo e mi accarezzava le spalle.
Improvvisamente
sentimmo il tossire di qualcuno. Ci allontanammo di qualche centimetro e vidi
il viso di Lizzy arrossire. Tenendola ancora per mano, mi voltai, e vidi che
appoggiato alla porta della stanza di Rachel e Rebecca c’era … Seth.
<< Sistemo le mie cose … >> disse Liz con l’imbarazzo nella voce.
<< Sì… io vado in cucina >>uscii dalla stanza e chiusi la porta.
<< Da quanto tempo eri lì? >>
<< Quanto basta per capire che ti sei messo nei
guai >>
Aveva capito tutto.
Intelligente per avere quindici anni. Mentre parlava si dirigeva verso le
cucina. Vi entrammo e lui prese posto sulla sedia a capo tavola.
Rimase a guardarmi
con un espressione buffa.
<< Che c’è?
>> gli chiesi infastidito.
<< Com’è stato?
>>
<< Bello, bello come sempre … >> farfugliai imbarazzato.
<< Non lo sbaciucchiamento, scemo! >> mi disse lui prendendo la sedia a
colpi di schiaffi.
Lo guardai con un'
espressione interrogativa. Che cosa voleva che gli spiegassi? Una teoria
dell’astrofisica?
<< L’imprinting
>> disse lui scandendo le sillabe una per una.
Oh no, oh no. Come
poteva pensare che avessi avuto l’imprinting? Io non ero come loro, non mi
sarei fatto incantare da quelle storielle.
Continuai a guardarlo
con disapprovazione, sperando che avrebbe capito.
Ma lui interpretò
il mio sguardo in un modo diverso.
<< Il vento ha cambiato direzione e … poi come
un ago di ferro sei stato attirato alla calamita. Intorno a te le persone
continuavano a camminare, ma tu non distoglievi lo sguardo di un attimo senza
chiudere gli occhi, perché … perché ti stavi rendendo conto di quello che era
successo … e poi... >>
<< Seth
>> riuscii a dire, prima di lasciarmi andare ad una grande risata. << Molto teatrale davvero >> continuai a dire, mentre mi alzavo
dalla sedia e mi dirigevo verso il lavandino, per versare dell’acqua nel
bicchiere di vetro trasparente.
Lui mi seguì,
correndo, come se fossi lontano un miglio.
<< Invece di prendermi in giro, come hai sempre
fatto, e vedo che neanche questa cosa è riuscita a farti cambiare carattere,
potresti anche raccontarmelo tu. Credevo che saresti stato più aperto con me
Jake, davvero, quando faccio delle domande a Sam, o a Quil, mi dicono che è una
cosa difficile da spiegare e non si sforzano nemmeno. Se vuoi prenderti gioco
di me, avvisami, non ho voglia di perdere tempo
>>
<< Non prendertela, Seth >>
<< Sì, sì certo, va bene >>
<< No Seth ascolta, non posso dirti come è
andato l’imprinting >> e dissi l’ultima parola con un enfasi tale da
farmi sorprendere delle mie innate doti di presentazione.
<< Perché?
>> mi chiese lui infastidito.
<< Perché … non c’è mai stato >>
A quel punto Seth
rimase in silenzio, si sedette al suo stesso posto, e rimase con il capo rivolto
verso il basso.
Forse avrei dovuto
capire prima il perché di così tante domande. Il motivo era il mondo a cui, io
come Seth, appartenevo, un mondo che nessuno conosceva, e che nessuno avrebbe
dovuto conoscere. Quel mondo che per una volta mi aveva fatto sentire libero.
Quel mondo che dava la possibilità di avere delle persone con cui condividere
la mia natura, quel mondo che però mi aveva maledetto per sempre.
<< E’ tutto diverso allora >> disse lui, schiarendosi la voce.
<< Sì, è diverso
>> gli dissi, rimanendo appoggiato alla cucina.
<< Che cosa le hai raccontato? >> Quello era il tasto dolente di tutta
la situazione.
<< Io …
>> mi sedetti anch’io sulla sedia alla sua destra, impegnandomi
nel non incrociare il suo sguardo.
<< Glie l’ho detto >>
<< Glie l’hai detto? >>
<< Glie l’ho detto! Non puoi capire Seth >>
<< No… io ti capisco >>
<< Non potevo continuare a stare con lei
costruendo bugie giorno dopo giorno e non potevo nasconderle tutto quello che
sono >>
<< Lo so …
>> rimanemmo in silenzio per poco. Poi lui ricominciò a parlare.
<< Mi sembra strano … sei sicuro di averle
raccontato tutto? Intendo … >>
Capivo
perfettamente che cosa intendeva e nessuno più di me poteva capirlo più in
fretta. Lui era uno di quelli che avevano assorbito i miei pensieri mentre
soffrivo e mi laceravo l’anima con l’amore per Bella.
<< No… sa la verità, ma di … Bella, no non sa
niente >>
<< Ah... va bene. E' la tua vita, decidi tu.>>
Non immaginavo che
sarebbe stato così comprensivo, ma la parte peggiore doveva ancora arrivare. Una volta rivisti
i ragazzi, non ci sarebbe voluto molto per essere schiacciato da tutti i loro
discorsi preoccupati. Non osavo neanche immaginare quello che mi avrebbero
detto.
<< Ti stavi impegnando prima eh? >>
<< Cosa?
>> gli chiesi. Non avevo colto il significato delle sue parole ed
ero ancora immerso fra i miei pensieri problematici.
<< Lizzy, la tua ragazza… >>
<< Oh … sì
>>
<< Dovresti darti una calmata, così rischi di
consumarla >>
Partì una risata
spontanea da tutti e due. Mi sentivo a casa.
<< E' ora, dovremmo andare >> disse Seth.
<< Sì… certo, vado a chiamare Lizzy >>
Mi diressi nella camera
in cui l’avevo lasciata e la trovai che piegava le sue magliette sul letto, con
gli auricolari nelle orecchie. Fortunatamente non aveva sentito niente.
<< Liz, dovremmo andare >> le dissi.
<< Ok
>> lasciò il suo lavoro e si avvicinò a me, mi sfiorò le braccia con le dita e uscì dalla
camera. Forse non se ne accorgeva, ma aveva decisamente capito come provocarmi.
Avveniva tutto in modo inconscio per lei.
Seth era in piedi davanti alla porta
d’ingresso ad aspettarci.
Io la aprii e mi
diressi verso la mia macchina.
<< Allora,
tu sei la ragazza di Jake …
>>
<< Sì, stiamo insieme >> rispose
<< Ehm... sentiamo da quanto tempo resisti con
questo esemplare accanto? >> le
chiese sbuffando.
<< Esemplare?
>> chiese lei, facendosi scappare una risata scettica.
<< Sopportarlo è difficile, lo so, ma sono sicuro
che ce la farai … hai tutto il mio appoggio Lizzy >> continuò a dire con il suo tono
ironico.
<< Vuoi che parli di te, Seth? >>
<< L’annoieresti, Jake … >>
<< Non credo… sai cosa c'è per
pranzo? >>
<< Non ne ho
la più pallida idea, ma sinceramente non ci faccio più caso … è sufficiente
riempire il mio stomaco >>
Il tratto da casa
mia a casa di Seth fu breve, ma passato con serenità.
Le sue battute
stupide facevano ridere Liz e le avevano fatto dimenticare il piccolo incidente
che era successo in camera delle mie sorelle. Non era niente di grave
naturalmente, ma lei si imbarazzava quasi per niente.
Il cielo nuvoloso
di Forks non poteva essere eguagliato ai nostri stati d’animo. Essi erano
splendenti. Non sapevo se la mia allegria sarebbe durata molto, ma fin quando
Liz era vicino a me, potevano succedere disastri e conflitti di qualsiasi
genere.
C’era lei ed in
quel momento tutto era più bello del solito.
C’era un amico che
aveva visto le lacrime rigare il mio viso, c’era un amico che mi aveva visto
mentre soffrivo e, da vero amico, dimostrava di essere felice per me.
Ma quel cielo
nuvoloso, che aveva sempre accompagnato ogni giorno della mia esistenza, quella
volta mi diede la sensazione che la mia vita dovesse affrontare tutti i
fantasmi che avevo abbandonato lì in quei dieci mesi.
Parcheggiai la
macchina di fronte a casa di Seth. Appena uscii dall’auto vidi tutti i miei
cari amici venirmi incontro felici. C’era Embry, Quil, Paul, Jared che mi abbracciarono
affettuosamente e mi riempivano di domande sulla fine che avevo fatto. Erano
rimasti proprio come li avevo lasciati, e al contrario di me, non avevano perso
l’abitudine di uscire a petto nudo.
Poi vidi uscire
dalla porta di casa Sam, mi guardava con uno sguardo distante e lentamente si
avvicinò a me a braccia conserte.
<< Jacob
>> mi disse.
<< Ciao Sam
>> gli risposi. Credo che lui fosse stato quello che aveva
ripudiato di più la mia partenza. Quello che ne era rimasto più deluso. Mi
sembrava lontano anni luce dall’amicizia che avevamo coltivato insieme.
Poi mi abbraccò per
pochi secondi e ci incitò ad entrare.
<< E la biondina? Chi è ? >> disse Paul.
Sam si girò di
scatto, evidentemente non aveva notato che Lizzy fosse lì.
Tutti rimasero
immobili a guardarmi, aspettando che dicessi qualcosa.
Mi schiarii la
voce.
<< Lei è Lizzy, la mia ragazza >> dissi mettendole il mio braccio
intorno alle spalle.
Tutti si guardarono
in modo complice, Sam mostrava uno sdegno che non si poteva percepire se non
con la sua espressione glaciale.
Nessuno parlò.
<< Loro sono Embry, Quil, Paul, Jared e Sam … >> dissi indicandoli con il braccio.
<< Ciao …
>> disse Liz timida.
<< è un
piacere Lizzy … >> dissero i
ragazzi riacquistando vitalità, Sam invece rispose con un segno.
Tutti in lontananza notammo che Emily stava arrivando dalla spiaggia.
<< Ciao Jake finalmente sei tornato >> mi disse abbracciandomi.
<< Emily lei è la mia ragazza … >>
<< Mi chiamo Lizzy >> disse lei.
<< Ciao Lizzy, è bello conoscerti, io sono
Emily, ho bisogno di un aiuto per sistemare delle cose in garage … >>
<< va bene
>> rispose Liz entusiasta.
<< torneremo presto >> disse Emily portando via Liz con la
mano.
Leah uscì di casa
con disinvoltura. Quando incontrò i miei occhi, assunse un atteggiamento freddo
e forse se io non l’avessi richiamata non mi avrebbe neanche salutato.
<< Ciao Leah
>> le dissi io.
<< ciao Jake …
>>
<< Non rimani
per pranzo ? >> le chiese Seth.
<< Non oggi
>> ribatté Leah.
Noi entrammo in casa.
Io fui l’ultimo ad entrare e Paul chiuse la porta per me. Non riuscii a capire
il motivo.
Sam fece il giro
della stanza per poi tornare di fronte a me, puntandomi il dito contro.
<< Perché sei tornato? >>
<< Per
rivedere mio padre e per voi >> Una fantastica, gentile e amichevole accoglienza.
Proprio come avevo immaginato.
<< Ti si è accesa la lampadina
all’improvviso? >>
<< Sam …
>>
<< Hai avuto l’imprinting con lei? >> mi chiese indifferente e guardando
fisso verso un' altra parte della stanza.
Mi venne quasi da
ridere … Io ? l’imprinting? No … non mi sarebbe mai accaduta una cosa simile. Io
e Lizzy ci eravamo innamorati nel modo che per tutti dovrebbe essere. Un
ragazzo e una ragazza si incontrano, parlano, si conoscono, si comprendono e …
senza nessuna spiegazione … si amano.
<< No, Sam
>> gli risposi, dopo essere rimasto in silenzio qualche secondo di
troppo.
<< Ti rendi conto di quello che stai
facendo? >>
<< Me ne rendo conto Sam >>
<< Se dovessi avere l’imprinting con qualcuno,
lei ne soffrirebbe moltissimo! Perché non pensi alle conseguenze delle tue
azioni prima di compierle? E’ già successo una volta … >>
<< Per favore Sam … l’imprinting non esiste, o
almeno non per me >>
Ero un mutaforma e
allora? Io mi ero innamorato in un modo banale e allora?
<< Non credi che sia troppo? Se credi che in
questo modo smetterai di amare Bella ti sbagli
>>
<< Io ho smesso da tempo >> dissi con austerità.
Il mormorio intorno
a noi tacque e lasciò spazio ad un silenzio terrificante.
<< Cosa significa? >> mi chiese.
<< Mi sono innamorato di lei Sam, non posso fare
niente per cambiare le cose >>
<< La metterai in pericolo, se venisse a
sapere >>
<< Sa già tutto
>> dissi io serio
<< Credevo che avessi un po’ più di
cervello >>
<< Non dirà mai niente a nessuno >>
<< Tu non saresti mai dovuto andare via, è
questo il tuo posto >>
<< Il mio posto è con lei >> dissi con veemenza.
<< Parli come se conoscessi che cos’è amare >>
<< So cos’è infatti >>
<< Jake non cominciare >>
<< Io ho amato Sam, e tu forse non potrai mai
capire come ci si sente a vivere nel nulla, nella speranza di sogni che non si
avvereranno mai. I miei sogni non erano qualcosa che con impegno e fatica si
sarebbero realizzati, con lei niente sarebbe stato realizzato. Mi ha graffiato
il cuore con le sue parole e i suoi comportamenti, mi ha fatto morire con lei,
quando ha detto addio alla sua vita. Non potevo continuare a vivere così. Me ne
sono andato per disperazione, per il dolore, un dolore che era troppo forte e
che non sarebbe mai scomparso se avessi visto com’era diventata, quando ancora
la amavo. Allora sono andato via, via da qui, via da lei e ho incontrato Lizzy.
L’ ho conosciuta,
mi ha compreso ed io ho compreso lei ed ho cominciato a volerle bene fino ad
innamorarmene perdutamente.
Senza di lei non
sarei sopravvissuto >>
Sam aveva gli occhi
tristi e colmi di risentimento.
<< Tu la ami. Stai bene ora? Sei sereno? >>
<< Sì Sam, ed era quello che cercavo da tanto
tempo >>
<< Va bene …
>> mi disse, dandomi una pacca sulla spalla.
<< Jacob, sappiamo che potrebbe essere
pericoloso, ma se tu ami Lizzy, non possiamo far altro che essere felici per
te >> disse Embry.
<< E' meglio così ragazzi, non poteva continuare
a stare male per lei >> aggiunse
Paul.
<< Grazie ragazzi >>
<< Hai lasciato tante cose qui … >> mi disse Seth avvicinandosi.
<< Davvero non vuoi sapere che fine ha
fatto? >> mi chiese. Sapevo bene a
cosa si riferiva.
Feci un cenno con
la testa.
<< Forse se la vedessi ora, non la
riconosceresti più. Sembra un'altra persona, è più sicura di sé, è diversa
…>> Sospirò.
<< Ha chiesto di te dopo essersi risvegliata >> aggiunse.
Forse
avrei detto qualcosa, qualcosa di insato e fuoriluogo, una delle tante
cose che avevo sempre detto. Oppure qualcosa di saggio, una di quelle
cose che dicono gli adulti davanti ai loro figli, quando fingono di
credere davvero a quello che dicono. Ma non dissi niente. E mi
sorpresi. Aprii bocca solo per far uscire il fiato trattenuto a quelle
parole. Il passato fa sempre un certo effetto, e il passato perso da
quella sensazione di vuoto che infastidisce. Aveva chiesto di me Bella,
forse quello era il suo nome, ma la ragazza che avevo incontrato io
quando ero bambino era scomparsa per sempre.
<< E’ grazie a lei se
siamo riusciti a cacciare via i Volturi
>>
Certo. Non avrei
mai potuto dimenticarlo. Seth mi aveva chiamato mesi prima per avere il mio
aiuto. Per combatterli. Ed io come uno stupido avevo corso così tanto con la
mia auto, da scivolare sul ghiaccio e fare un incidente.
<< Ha
un potere particolare. Nessun vampiro con
poteri mentali riesce ad attraversare il suo scudo. Lei ha uno scudo
che la
protegge da qualunque cosa … e quella volta lo ampliò
verso tutti gli altri. I Volturi non riuscirono a fare nulla, era come
se non avessero nessun potere.
Tornarono in Italia senza aver
combinato niente >>
Era difficile
pensare che quello che avevo temuto per tanto tempo fosse accaduto davvero.
Anche se ero innamorato di un'altra, anche se avevo smesso di soffrire per lei,
il mio cervello non era capace di volgere a una simile conclusione.
Assetata di vite
umane… un assassina. Era diventata così? I Cullen l’avevano rinchiusa da
qualche parte?
Non riuscivo a
vedere niente di buono in quella situazione. Era davvero quello che voleva? Era
davvero quello il suo sogno? Non sarei mai stato capace di comprendere tutto
questo.
<< Solo sua figlia ci riesce. Anche lei ha un
potere molto bizzarro … >>
Ci mancava solo un
bambino a completare quel quadro perfetto. Certo. Ma io non ci vedevo niente di
perfetto in quella visione di “ famiglia “.
Meglio non
continuare a pensarci.
<< Vivono tutti a casa dei Cullen? >> Chiesi. Avevo paura di vedere Bella.
Non sapevo esattamente il perché.
<< Sì vivono tutti lì.
Bella, Edward e Renèesme sono in viaggio per l’isola Esme. A breve sarà il loro
anniversario e volevano festeggiare.
>>
I Cullen volevano
sempre festeggiare. Per me invece non c’era nessun motivo per farlo.
Ma infondo se era
quello che voleva.
Mi sentivo molto in
soggezione ad ascoltare le parole di Seth. Era come se in quell’anno fossero
cambiate troppe cose, troppe.
Ma forse era meglio
così. Era così che doveva andare.
Se io non avessi
deciso in quell’istante, con il sangue di Bella fra le mie mani, e le lacrime
di dolore che mi bagnavano il viso, di lasciare Forks, avrei vissuto in un
incubo.
E Liz? Non l’avrei
mai conosciuta. Lei sarebbe rimasta lì, nella sua casetta con Silvya, a
disegnare e magari a ritrarre qualcuno che non ero io. Si sarebbe innamorata di
un altro ragazzo. E le nostre vite non si sarebbero mai incontrate.
Forse la scelta di
Bella aveva condizionato la mia. Forse con la sua decisione mi aveva
indirizzato la strada da prendere. Mi aveva voltato gli occhi verso un percorso
sconosciuto, che mi incuteva timore, ma che alla fine era
stato la mia salvezza.
<< Credo proprio che Sue resterà a pranzo da
Charlie. Insomma ragazzi nessuno ha fame? La lasagna è nel forno ad aspettare …
>> disse Emily, entrando in casa con Lizzy.
<< Abbiamo
una fame da lupi! >> disse Embry.
<< Fantastico! Prendete posto allora … va’ pure
Lizzy, mi hai aiutato abbastanza prima in Garage >>
<< Non ci sono problemi Emily, non preoccuparti >>
<< Credo che abbia sentito la tua mancanza >> Le disse Emily a bassa voce, mentre
lei si girava verso di me.
Lizzy si avvicinò a
me ed io le presi la mano e mi alzai, mentre tutti gli altri sistemavano le
sedie.
<< Tutto bene?
>> le chiesi.
<< Benissimo
>> mi rispose lei, sorridendo.
Mi sembrò che
l’orologio della stanza avesse trasferito le sue lancette indietro di ore e
ore, di giorni e giorni, e addirittura di mesi. Mi sembrava di non essermene
mai andato. Mi sembrava di essere in posto a cui non avevo mai detto addio.
Tutto era tornato
come quando ogni cosa era perfetta.
Mi
voltai e mi
accorsi che quello che ricordavo non era perfetto. Mi voltai e mi
accorsi che
non avrei desiderato altro che vivere il presente. Mi voltai, e vidi
Liz,
felice e sorridente. Liz. Il mio presente. Il mio futuro. Il mio
destino. Presente e passato sovrapposti. Surreale come una magia.
***
Tornammo a casa
tardi, ci divertimmo moltissimo. Non passavo una serata così da tanto tempo.
Tornammo a casa felici e soddisfatti. Tutte le paure che avevo erano ormai
scomparse completamente.
<< Sono stata benissimo >> mi disse Liz, appoggiandosi a me.
<< Sono contento che ti sia divertita … >>
<< Mi chiedo come tu hai fatto a stare tutti
questi mesi senza i tuoi amici >>
<< In effetti è stata dura, ma c’eri tu >> chinai
il mio volto per baciarla e lei mi ricambiò. Le accarezzavo le braccia e lei
avvicinava sempre di più il suo corpo al mio. Il tocco delle sue labbra era
sempre intenso e dolce allo stesso tempo e mi faceva sentire un persona nuova.
Potevamo rimanere
lì tutta la notte e se fosse dipeso da
me, sarebbe anche successo.
Ancora immerso
nelle sue labbra, sentii il suo respiro sugli occhi.
<< Dobbiamo entrare … >> mi disse quando tenevo ancora gli
occhi chiusi e sognavo fra i suoi baci.
<< Sì …
>> riuscii a sospirare.
Liz uscì dall’auto
velocemente e si diresse verso la porta di casa. Io la seguii a passo più lento
e infilai la chiave nella serratura, mentre lei mi guardava con uno sguardo
incantato.
La feci entrare e
poi chiusi la porta alle mie spalle.
Stava andando verso
la camera delle mie sorelle per dormire, ma quella sera non volevo ancora
lasciarla. Allora proseguii sui suoi passi e quando fummo vicini alla camera
lei si voltò verso di me.
<< Buonanotte Jake >>
Era quasi
mezzanotte. Avanzai verso di lei con un andamento lento e pacato e la presi fra
le braccia. Respirai il suo profumo un'altra volta, mentre lei con gli occhi
chiusi aspettava qualcosa.
Le mie labbra
trovarono le sue e lei mi accolse con tutta la sua dolcezza … sembrava che
avessi imprigionato una piccola parte del tempo del mondo per fermarlo e
renderlo immutabile per noi, solo per noi due.
Così credevo, così
pensavo. Purtroppo quell’attimo dovette aspettare e dovette essere restituito
al suo padrone, che un giorno ce ne avrebbe riservato uno ancor più magico.
Sentimmo il
campanello della porta.
<< Sarà tuo padre >>
<< Sì … sicuramente sarà lui >>
<< Mi cambio e metto il pigiama … buonanotte Jake >>
<< Buona notte Liz. A domani >> le dissi dolcemente.
Avrei voluto
baciarla, ma preferii non farlo. Sarei ricaduto di nuovo in quel vortice
pericoloso, che tanto mi aveva conquistato.
Poi corsi verso la
porta, con i capelli corti scompigliati e la maglia nera guastata. Me la
sistemai un attimo prima di aprire.
Sicuramente mio
padre aveva passato tutta la giornata da Charlie a giocare a carte e a vedere
partite di Baseball. Mi dispiaceva non aver passato la giornata con lu,i ma
infondo sarei rimasto lì per almeno una settimana. C’era tempo per tutto.
Non seppi subito se
le mie deduzioni fossero vere, poiché la persona che vidi quando aprii la porta
non era mio padre. Non era Charlie che guidava la sua carrozzella.
Era una persona che
non mi sarei mai aspettato di vedere. Non a quell’ora, non in quel posto, non in
quelle circostanze. Leah.
Non avevo la più
pallida idea del perché si trovasse lì, davanti alla mia porta di casa, con il
braccio sinistro sul fianco e l’altro nella tasca della sua giacca giallo ocra, con il viso imbronciato.
Mi guardò negli
occhi senza dirmi una parola ed entrò in casa con passo lento.
Non mi prospettava
una bella serata, per la prima volta ne ero assolutamente certo.
Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto =)=)=) Non so se i vostri dubbi sono stati
risolti, spero di sì, potete fare anche qualche domanda se
volete, le risposte potrebbero esserci nei prossimi capitoli. Vi dico
solo che se le cose per ora sembrano tranquille, non lo saranno per
molto. Grazie a voi che leggete
Un bacione <3
|
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Capitolo 25 *** 25 ***
jake 25
Leah si tolse la
giacca con disinvoltura e la appoggiò sulla sedia della camera da pranzo, i capelli corti e neri, poi
tornò a guardarmi.
Si avvicinò a me
con passo autorevole e dopo due minuti di silenzio forzato, cominciò a parlare.
<< Tu mi devi delle spiegazioni >> mi disse con la rabbia nella voce.
Ero ancora reduce
di quello che stava accadendo, prima che venisse a bussare alla mia porta e non
coglievo le cose al volo.
<< Su cosa?
>> le chiesi, schiacciando i ciuffi fuori posto con la mano destra.
<< Che cosa ci fa qui quella ragazzina? >> mi chiese irritata.
<< Lizzy non è una ragazzina >> le dissi scanditamente. Bastava che
entrasse in ballo Lizzy per farmi prendere del tutto coscienza di una qualunque
situazione.
<< Non hai risposto alla mia domanda >> continuò. Conoscevo Leah da molto
tempo, spesso l’avevo vista entrare e uscire da casa mia, ma non ci eravamo mai
parlati e nessuno aveva avuto un particolare interesse per l’altro. Quando
subimmo la trasformazione i nostri rapporti cambiarono, o almeno furono costretti
a cambiare. Non sapevo se lei fosse stata una ragazza dolce, di quelle tutta
vestiti e cioccolatini, non lo sapevo, e non avrei mai potuto scoprirlo. Spesso
però sentivo i suoi pensieri, capivo tutto quello che cercava di nascondere con
quella sua scontrosità, e rimanevo in silenzio. In quel momento però, non
riuscivo a sopportare quel suo modo di non dare a vedere le sue sofferenze,
allora pensai che rispondere con la stessa carta le facesse bene.
<< Non ho nessun obbligo di darti una risposta.
Sei entrata qui in casa mia con la cortesia sotto i piedi, e ora pretendi che
ti racconti tutta la mia vita dal dieci settembre scorso. Vedi di trarre tu le
conclusioni >>
Rimase in silenzio.
Ero molto controllato, se mi fossi lasciato più andare avrei lasciato partire
delle cose che sarebbe stato difficile far tornare indietro.
<< Seth mi ha detto che lei sa tutto >> disse passandosi la mano fra i
capelli lisci, leggermente scompigliati.
<< Sì
>> le dissi con un tono indifferente. Lei mi guardò con
disapprovazione. Io mi ero appoggiato al muro con le mani conserte, e avrei
preferito che il nostro primo “vero” incontro insieme, fosse avvenuto in un modo un tantino più
pacifico.
<< Hai trovato una ruota di scorta Jake? Non è
bello usare le persone per stare meglio con se stessi non è corretto, e se tu
stai facendo come faceva lei … >>
Ecco. Sempre la
stessa storia.
<< Io non sto facendo … come faceva lei, io non sono lei.
Lizzy è tutto per
me, è tutto. >>
<< Un altra vittima innocente dei nostri
problemi. Tu non saresti mai dovuto andare via Jake, ti sei comportato da
vigliacco, un vigliacco! È questo quello che sei, vero Jacob? Sei scappato
dalla tua vita, sei scappato dalla tua famiglia, dal tuo futuro … come se fosse
davvero possibile >>
Dopo quelle parole,
andai veramente fuori di me. Come poteva dirmi una cosa simile? Credevo che mi
avrebbe capito.
<< Leah!? Riesci ad ascoltare quello che mi stai
dicendo? Hai cervello e bocca discordanti e lo sai perché? Perché tu vorresti
fuggire adesso, vorresti lasciare tutto, tutto e tutti. Al diavolo la famiglia,
al diavolo il branco. Abbandoneresti
tutto e tu sai benissimo il motivo. >>
<< Non è vero…
>>
<< Io un vigliacco? Io? Lo pensavo mentre
lasciavo Forks, ma non capisci che forse l’unico che può essere chiamato
vigliacco qui sei tu Leah. Preferisci ascoltare i pensieri del ragazzo che ami
verso un'altra, piuttosto che ricominciare da capo, piuttosto che cercare di
avere una vita normale. >>
Ero arrabbiato.
Arrabbiato come non lo ero mai stato prima e non mi ero accorto di aver ferito
i suoi sentimenti, non mi ero accorto che la persona che meglio sapeva quello
che stava passando era proprio lei, lei che sentiva il dolore sotto la pelle,
lei che sentiva il suo cuore spezzarsi per ogni parola d’amore… verso Emily.
Mi accorsi di tutto
questo ed ebbi la capacità di cominciare a pensarlo solo quando la vidi
piangere seduta sulla mia sedia di vimini.
<< No Leah no …
>> le dicevo, mentre le porgevo un fazzoletto preso dalla cucina.
<< Non fare così per favore >> Un guasta feste, un guastafeste
impulsivo, ecco quello che ero e quello che sarei sempre rimasto.
<< Mi dispiace tanto >> le dicevo mentre lei continuava a
piangere. Le sue lacrime erano fredde e facevano un enorme sbalzo sulla sua
pelle calda e abbronzata.
Perché? Piangeva
Leah. Leah Clearwater piangeva. Non parlava più lei. Non lanciava più
frecciatine, non diceva più cose irritanti, non ti infastidiva più. Era rimasta
in silenzio, mentre io cercavo di farla smettere. Era tutta colpa mia. Ma allora
perché mi aveva detto quelle cose? E io dovevo essere più intelligente e
reagire in modo diverso, ecco perché, perché non facevo mai niente nel modo in
cui doveva essere fatto.
Sembrava che
avrebbe continuato tutta la notte e non riuscivo a biasimarla.
L’avevo offesa, le
avevo detto qualcosa che non avrei mai dovuto dire, qualcosa che solo lei
poteva comprendere.
<< Infondo chi potrebbe amare una come me. Una
cocciuta ragazza che non si rassegna alle cose che il destino ha scritto per
lei. Una ragazza che non è neanche una ragazza.
>>
Aveva parlato. Per
la prima volta senza darmi dell’idiota, come faceva sempre.
<< Non dire così Leah, perché non è vero, tu sei
bella e intelligente, chiunque potrebbe innamorasi di te >> Mi sembrava una cosa carina da dire,
anche lei un giorno avrebbe trovato la felicità.
<< Vorrei tanto che fosse vero >>
<< è vero Leah, è vero devi solo avere il
coraggio di … farti trovare dall’amore
>>
<< No. Io sono innamorata di un ragazzo che non
mi guarderà mai. E sarà sempre così. Pensi che sia facile sentire la sua voce,
che dice “ ti amo”, “ ti proteggerò sempre” “ ti aspettavo da tutta la vita” ad
una ragazza, che non sono io? Se esistesse un metodo per rovinarsi la vita,
sarebbe proprio questo>>
<< Allora scappa Leah >> Mi abbracciò
forte. Era un abbraccio affettuoso, l’abbraccio di un’amica, l’abbraccio di una
sorella. Un abbraccio. Leah non l’aveva mai fatto prima. Le avevo detto di scappare, solo perché mi
sembrava l’unico modo per fingere di dimenticare tutto quello che le era
successo. Avrebbe mai smesso di soffrire, se fosse rimasta?
<< Non posso scappare Jacob, Sam è il capo
branco e tutti dobbiamo obbedirgli. Tu hai potuto lasciare Forks, perché anche
tu sei un maschi alfa. Io non posso, anche se non so che cosa sono >>
<< No, Leah. Tu puoi farlo.Non guardare indietro.
Guarda avanti, avanti c’è il futuro. Ti aspetta, Leah >>
Perchè. Quante volte mi ero posto una domanda del genere.
Qante volte mi ero ritrovato a non conoscere la risposta, a non averne
neanche un idea.
Quella
però erala prima volta che potevo sentire i pensieri di Leah,
senza sentirli davvero, senza ascoltarli. Guardavo nei suoi occhi
scuri, e nelle orecchie fu come avere il rimbombo della la sua voce
spenta... parlare.
" Non ce la faccio più a vivere così. Non
riesco neanche a guardarmi allo specchio. Non mi vedo più. Quando mi
guardo,vedo solo quello che è rimasto di me stessa. Sono tanti,
tanti cocci, ognuno per un dolce parola di Sam verso Emily, ognuno per ogni mio
pianto, ognuno per ogni volta che mi accorgo di quanto sto male. Sono cocci
affilati, mi graffiano. Non sono più neanche una donna. E non posso guardare il
mio riflesso, perché è questo quello che vedo. Non posso guardare i miei occhi,
perché me lo mostrano. Sono secoli che non li vedo sorridere i miei occhi. E’
la storia di una donna lupo, un’eterna strada chiusa, senza via d’uscita, senza
aiuti e soccorsi. Questa è Leah, e io so solo che voglio che tutto questo
finisca. Voglio essere una donna, e voglio vivere la vita per quella che dovrei
essere. Una ragazza di venti anni, con la vita che pulsa nel cuore. "
Avevo
trattenuto il
fiato. Non so per quanto tempo, forse della sua prima parola
all’ultima. A volte il silenzio vale più di ogni parola,
di un urlo. A volte il silenzio ti fa sentire cose, che altrimenti non
riusciresti mai a percepire.
Una
leggenda aveva cancellato tutto, aveva distrutto Leah. Ma lei sarebbe stata
forte. Lei avrebbe preso tutti i suoi cocci per rimetterli insieme, per unirli,
per tornare ad essere la persona che era. E’ orribile come l’amore possa
distruggere.
<< Mi dispiace
>> mi disse abbracciandomi.
<< Va tutto bene, Leah. Va tutto bene >>
Improvvisamente si
era liberata di un gran peso, finalmente aveva esternato i suoi timori per
combatterli. Si staccò da me e mi guardò con uno sguardo rassicurante, ma ancora pervaso dalle sue lacrime amare.
<< Che profumo è questo? Vaniglia e pesca? >>
<< No… io
>>
<< Credo che tu stessi molto appiccicato a
qualcuno con questo profumo. L’odore è forte, quindi recente. >>
<< Lizzy
>>
<< Già Lizzy…
>>
Indossò la giacca e
prese la sua borsa a tracolla rossa stile indiano. Si diresse verso la porta,
mi alzai dal mio posto e la seguii per chiudere la porta.
Sospirò,
poi mi
sfoderò un sorriso piccolo e dolce. Mi sforzai di pensare allo
sforzo enorme che aveva fatto. Sorridere, quando l'unica cosa spontanea
da fare è lasciarsi andare e piangere. Era un lato di Leah che
non conoscevo.
<< Buona notte Jacob >>
<< Buona notte
>> Dalla finestra della mia casa riuscii a vederla
camminare ferso la suo vecchio pick-up verde. Una lacrima brillava
sulla sua guancia, nel buoi della notte.
Sospirai.
Doveva essere stato penoso per Leah. Speravo che ritrovasse la serenità, proprio come era
successo a me.
Guardai l’orologio,
era mezzanotte passata e non vedevo l’ora di infilarmi nel mio letto.
Mi diressi allora
verso camera mia. Era impossibile andarci senza incontrare la porta della
camera di Liz. Una volta lì mi fermai di scatto e la aprii lentamente.
Dormiva con il viso
sereno e tranquillo.
Mi avvicinai a lei
e le designai i contorni del viso con le dita.
Dopo la mia carezza
si mosse un attimo. Sicuramente mi aveva percepito. Non volevo svegliarla, così
preferii uscire dalla stanza.
Raggiunsi il mio
vecchio letto e mi coricai. Nonostante tutta la stanchezza, non riuscivo a non
indirizzare il mio ultimo pensiero a Liz.
Era stata un
giornata pesante, ricca di alti bassi.Forse mi sarei arreso se non ci fosse
stata lei al mio fianco, se non ci fosse stata lei a infondermi forza.
Perché lei, lei era
la mia forza e mi dava il coraggio di continuare il mio cammino verso le mete
sconfinate della nostra vita.
***
Mi alzai presto per
preparare la colazione. Mio padre era rimasto a dormire da Charlie dopo una
partita di baseball. Mi aveva lasciato un messaggio sul telefonino.
Ero piuttosto
stanco, la sera prima ero andato a dormire molto tardi, ma nonostante
fossi ancora assonnato, mi accinsi a prepare qualcosa.
Volevo fare
qualcosa di carino, ma all’improvviso mi venne un dubbio. Io e Lizzy non
avevamo mai fatto colazione insieme e non avevamo mai parlato di cosa ci
piacesse mangiare. Che cosa stupida.
Parlavamo
moltissimo, ma non ci era mai capitato di fermarci a pensare su questo
argomento.
Allora cominciai a
cucinare le uova strapazzate con la pancetta accompagnate da un succo di frutta
all’arancia. Di solito quella era la mia colazione, ma se l’avesse voluta lei
non ci sarebbe stato alcun problema. Anche se latte e cereali non erano
esattamente quello che mangiavo per rimanere in forze tutta la giornata.
Feci un piccolo
pasticcio con le uova. Devo ammettere che non erano molto presentabili.
Stavo versando il
latte, che bollente riempiva la mia tazza arancione dal fondo, lasciando
uscire un vapore invitante, quando sentii dei passettini piccoli, timidi,
esitanti.
Mi voltati e la
vidi vicino alla porta con la sua vestaglia grigia e i capelli leggermente
guastati, e il sorriso, quel sorriso che aveva fatto scattare tutto .
<< Ciao
>> le dissi avvicinandomi a lei.
<< Ciao
>> mi rispose lei mentre incrociavo le sue mani alle mie.
Abbassai il capo
per arrivare alle sue labbra che mi accoglievano con delicatezza, dolcezza e
impazienza.
<< ho preparato la colazione … >> le dissi, mentre le mie labbra
sfioravano ancora la sua guancia.
<< Grazie Jake, non dovevi >> mi rispose, guardandomi con i suoi
occhi infiniti.
Mi fecero mancare
il fiato. Completamente.
Poi respirai.
<< Latte e cereali o uova e pancetta? >> fu la sola cosa che riuscii a dire.
In quel momento i miei ragionamenti profondi si erano nascosti bene.
<< Latte e cereali >> mi disse lei.
Si sedette e
cominciammo a consumare il cibo. Non ebbi il tempo di soffermarmi sulle sue
abitudini, se metteva prima tutti i cereali o se li inseriva un po' per volta...
Il campanello
suonò, mi alzai ed andai ad aprire la porta.
Seth mi guardava
con un espressione amichevole.
<< Alle undici venite a casa di Emily? >> mi chiese.
<< Ciao Seth …
>> gli dissi, ricordandogli che magari era buon uso salutare…
<< Sei contento di vedermi giusto amico? Dai
cosa dovete stare a fare qui tutti soletti?
Non ci sarebbe
niente di divertente >>
<< Va bene d’accordo … >>
<< Ti sei appena alzato da dormire vero
Jake? >>
<< Stavo facendo colazione infatti … >>
<< Hai perso molto allenamento allora >>
<< Sì, forse >>
<< Vi aspettiamo … A dopo >>
<< A dopo
>>
Ritornai di corsa
da Liz, che mi precedette in quello che
volevo dirle. Continuammo a mangiare e poi si offrì di lavare i piatti.
<< No, Liz, sei un ospite non puoi lavare i piatti
! >> le dissi con falsa aria
offesa.
<< Vuoi che io stia in ozio tutto il
giorno? >>
<< No… ma magari se facessi fare a me >>
<< Puoi aiutarmi, se proprio vuoi >> mi disse, riempendo il lavandino con
l’acqua.
Poteva sembrare
semplice dirle di no … eppure io non avevo la forza di farlo.
Così fra uno
schizzo e l’altro, fra una risata e un bacio, sistemammo la cucina insieme.
Devo dire che forse
da quando le mie sorelle si erano trasferite, non era mai stata così ordinata.
Quella giornata da
Emily fu molto bella. Lizzy si sentiva sempre più a suo agio con i ragazzi e mi
sembrava che fosse stata lì da sempre. Leah non c’era quasi mai, conoscevo
benissimo il motivo.
Ebbi anche la
possibilità di parlare con mio padre, della scuola, degli amici. Era felice per
me, era felice che io avessi trovato una ragazza come Lizzy.
Niente poteva farmi
sentire meglio.
<< Che cosa facevi nel tempo libero, oltre a
stare con i ragazzi? >> mi chiese
curiosa Lizzy, mentre ci stavamo dirigendo a casa di Seth.
<< Ci siamo inventati molti intrattenimenti
… >> dissi.
<< Di che
genere? >> continuò.
Io accennai un
sorriso malizioso.
<< Penso proprio che tu avresti paura a fare
quello che facevamo noi… >> dissi
con aria ironica.
<< Ah sì? Io non credo… >> mi rispose a tono, ma sapevamo tutti
e due che era una farsa. Ogni volta che cercavo di prenderla un po’ in giro, in
un modo o nell’altro, mi metteva sempre a posto. Riusciva ad avere sempre
l’ultima parola, e riusciva sempre a farmi desiderare di avvicinarmi a lei
sempre di più di abbracciarla, di averla sempre
con me.
<< Ti butteresti mai da quegli scogli? >> le chiesi, indicandole con lo
sguardo l’orizzonte.
<< Vuoi dire che voi… >> non riuscì neanche a finire la frase
che fermai la macchina velocemente.
<< Ti faccio vedere se vuoi >> le dissi uscendo.
Lei mi guardò divertita
e corse da me.
<< Fammi vedere allora >> mi disse scettica. Allora ai piedi del bosco la presi fra le braccia e cominciai a correre
fra gli alberi alti e suggestivi di Forks.
Il vento ci
guidava, mentre correvo Liz si stringeva a me sempre di più e non potei fare a
meno di sentirmi incredibilmente felice. Non potei fare a meno di desiderare di
fermarmi, subito. Per bloccare la mia
corsa e cominciare a cercare le sue labbra.
Non mi sarei mai
abituato a lei. Dire che il mio cuore batteva anche prima di amarla sarebbe
ovvio, dire che il mio cuore ha cominciato a pulsare amore, e felicità con lei, sarebbe più che vero.
Raggiungemmo
la
parte più alta del bosco, così la feci scendere. Facemmo
qualche passo e raggiungemmo l'altura . Era a qualche
metro dal bosco.
Liz
si sporse per
guardare l’oceano sotto di noi, io la guardavo a qualche metro di
distanza
ancora fra gli alberi. Ben presto ritornò indietro aggrappandosi
a me. << Ti sei buttato da qui? >> mi chiese.
<< Qualche volta >>
<< Non fare mai più una cosa del genere … >> mi disse.
<< Hai paura che mi faccia del male? >> le chiesi.
<< Sì… non potrei mai dirti una bugia su
questo >>
<< Non devi preoccuparti per me … lo sai >> le risposi.
<< Non credo che ci riuscirò >>
<< Come io non riuscirò mai a perdere il respiro,
ogni volta che mi guardi >>
le
dissi io. Era il momento di " Jacob e le sue mosse poetiche". Ma
mi piaceva parlarle così, non era una bugia. Era semplicissima
verità.
<< Credevo di essere la sola >> mi disse sospirando e avvicinando il
suo viso al mio.
Le mie mani le
cingevano i fianchi e le sue erano sulle
mie spalle.
Le nostre labbra aderirono fra loro in modo dannatamente perfetto ed io non avevo la forza
di lasciarla andare.
Mi spostai di
qualche centimetro e finii per inciampare nella radice di un albero.
Così vidi gli occhi
di Liz sui miei e il suo corpo a cavalcioni sul mio.
Ci scappò una
risata, poi chiusi gli occhi e sentii le sue labbra sulle mie, dolci, amorevoli
… incessanti.
Cominciai a sentire
un odore strano, diverso … troppo forte. Poi Liz si fermò.
<< C’è qualcosa che non va? >> le chiesi. Forse avevo sbagliato
qualcosa, forse stavo correndo troppo. E poi perché quel profumo? Forse, forse
…
<< No, Jake
>> mi disse guardandomi in viso.
<< Ho sentito un rumore … >>
Un fruscìo … ecco
cos’era, si fece sentire di nuovo. E quel profumo aumentava … aumentava. Era
insopportabile.
Ci alzammo, le mie
mani tenevano ancora le sue. La guardai un attimo perplesso. Cosa poteva essere
…
Mi avvicinai di
qualche metro alla radura verde e soffice, bagnata di rugiada.
L ‘ odore forte e
smielato si andò a mischiare con quello dell’erba fresca.
Non riuscivo a
vedere niente, niente, ma qualcosa mi spaventava, qualcosa mi diceva di non
allontanarmi, qualcosa mi diceva di non lasciarla sola. Liz, Lizzy! Non potevo
proseguire.
E quel profumo…
era troppo familiare, non ne sentivo uno così da tanto tempo, ma mi riconduceva
solo a una cosa.
Sentii un verso
strano proveniente dalla mie spalle. Come se Liz volesse parlare, dire qualcosa,
ma non ci riuscisse. Il profumo… sempre più forte, sempre
più nauseante.
Mi voltai di
scatto. Sentii il mondo cadermi a dosso, sentii tutto quello che avevo
costruito con lei cedere improvvisamente, sentii il mio cuore palpitare in un
modo inumano, sentii la voce della
disperazione urlare nella mia mente.
Un volto pallido,
quasi trasparente, dei capelli biondi e lucidi raccolti, due grandi occhi rosso
sangue e un mantello grigio … un vampiro. E quel vampiro teneva Lizzy fra le
sue braccia apparentemente esili, ma che avrebbero potuto ucciderla da un
momento all’altro.
Come avrei fatto?
Perché non avevano preso me? Perché ! Ed io non riuscivo a ragionare … non
riuscivo a fare nulla.
Accanto alla
vampira bionda si materializzarono altri vampiri con lo stesso mantello scuro e
con la pelle bianca.
Ma non potevo stare
a guardare … perché lo stavano facendo?! Dovevano lasciarla libera… lei non
aveva fatto niente di male.
<< Lasciatela!
>> riuscii a dire con rabbia e paura nella voce.
<< I figli della luna non possono darci ordini…
sei solo. Moriresti >> disse il
vampiro alto, dai capelli neri e i tratti duri.
<< Lascia fare a Jane, Felix… >> disse l’altro con i capelli castani
e dall’aria più infantile. Nonostante potesse sembrare così giovane, sapevo che
era su questa terra da secoli ormai.
Jane lasciò per un
attimo Lizzy, sembrò quasi volerla lasciare andare.
<< Jake! Jake!
>> urlava. La mia Liz… non riuscivo a farmene una ragione. Perché
le stava succedendo?
Felix la afferrò
per un braccio, Liz piangeva, guardandomi con lo sguardo implorante e mentre mi
chiamava, l’uomo dalla pelle bianca come la neve le coprì la bocca con la mano,
laddove affogarono le sue parole.
<< Deve essere nuovo… l’ultima volta non
c’era >> disse un altro
leggermente più alto di quello con l’aria infantile. Con lineamenti scolpiti e l’aria di un nobile del
millecinquecento.
Volevo
ucciderli …
tutti, ma qualcosa dentro il mio cuore mi diceva di fare altro. Ero
solo, non combattevo da tempo. Chi mi assicurava che dopo che avessi
cercato di affrontarli non avrebbero cercato di far del male a Liz? Per
la prima volta cercai di reprimere tutti i miei impulsi, cercai di
ascoltare i pensieri logici che la mia mente riuscì a concepire.
Non dovevo fare niente che potesse provocare una cosa simile. Non
me lo sarei mai perdonato, e Liz non aveva colpa di tutto questo.
<< Non fatele del male … >>
riuscii a dire… e mentre dicevo
quelle parole a voce alta, mi accorsi quanto la realtà poteva
farmi soffrire … come la realtà, crudele e generosa, mi
stava togliendo tutto quello che
avevo.
<< Vi proponiamo un patto >> La vampira bionda percorse qualche
passo.
<< Tu riavrai lei … viva, se farete una cosa per
noi >>
Ero esitante, ma
quando i miei occhi parlarono per me, vidi il vampiro che imprigionava Liz
stringere la presa… graffiandola. Era come se quei graffi venissero fatti da
unghie di cristallo sul mio petto.
<< Ti ascolto
>> le dissi, cercando di mantenere la calma.
<< Conosci i Cullen. Non è vero? >> Deglutii. Cercai di mantenere lo
sguardo
<< Sì … li
conosco >> il suo odore si faceva
sempre più forte. Era molto più intenso di quello degli altri vampiri e la sua
voce suadente e melodiosa, alle mie orecchie sembrava solo il suono di un
violino scordato.
<< Pensavo che dopo un po’ avrebbero capito come
ci si comporta. Loro con quel ridicolo ideale di famiglia. Morirebbero l’uno
per l’altro … è assolutamente rivoltante. Ed hanno anche osato andare contro di noi
>> Trovai il coraggio per parlare.
<< Cosa volete che facciamo? >> chiesi.
Quella statua dalla
pelle di porcellana sviò gli occhi verso i suoi compagni sorridenti in un modo
inquietante e assunse la loro stessa espressione. Poteva dimostrare al massimo
quindici anni, ma gli anni vissuti pungevano sulla sua lingua come fa uno
spillo sulla pelle, vi erano rimasti i segni. La sua voce dimostrava sapienza e
una terrificante sicurezza.
Ma niente in quel
momento poteva essere paragonato a quello che venne dopo. Perché solo quello
che venne dopo mi fece gelare il sangue e mi fece rabbrividire in modo che mai
avevo provato. In un modo che il freddo non mi aveva mai causato, in modo in
cui neanche i baci di Liz potevano farmi sentire così. Ma quei brividi erano
una delle cose più dolorose che avessi mai provato in tutta la mia vita.
<< Ucciderli
>> disse, scandendo quella parola in modo chiaro e comprensibile.
Desiderai di non
aver capito.
<< Vi diamo una settimana… e solo dopo una
settimana riavrete lei. Se morta o viva … dipende solo da voi >>
<< Ma come… come potete …? >>
<< Sapremo se avrete fatto il vostro dovere. Noi
sappiamo sempre tutto >>
Poi scomparvero in
un lungo fruscio di passi. E qualcosa mi fece cadere in ginocchio … la voce di
Lizzy, che nonostante la mano di pietra che le copriva la bocca, urlava in modo
scorticante dal dolore una parola. Solo una parola.Il mio nome. Soltanto il mio nome.
Spero tanto che il capitolo vi sia piaciuto =)=)=)
allora per quanto riguarda la prima
parte: Il personaggio di Leah è stato molto incompreso nella
saga, a molti è spesso stata antipatica, c'è chi non la
tollera, chi invece la vede come una possibile compagna per Jake. Non
so se le ho reso giustizia in questo capitolo, ma credo che magari
farò un'insieme di missing moments per parlare in un modo
più approfondito di alcuni personaggi :):)
La parte finale: bè non
c'è molto da spiegare. Ho visto i volturi come i cattivi,( anche
se ho letto una fanfiction su di loro che mi è piaciuta
molto :) di Sara 71, senza dubbio se analizzati possono diventare dei
personaggi affascinanti)ma io li ho immaginati come quelli senza
scrupoli che abbiamo conosciuto nei libri. Ho pensato che volessero
togliere di torno i Cullen per quello che sono e per la sconfitta
subìta. Le cose sono state " piuttosto" tranquille per molto
tempo...
Nei prossimi capitoli si scoprirà
quello che farà Jake. Se chiederà aiuto a qualcuno, se
rispetterà il patto dei Volturi ecc...
Spero di avervi lasciato delle emozioni, e spero tanto che vi sia piaciuto =)=)=)
Un bacio, vostra Ania <3
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Capitolo 26 *** 26 ***
jake 26
Trovai la forza di
alzarmi e camminare e… di correre. Correvo senza pensare, perché non sapevo
esattamente a… cosa pensare, ma poi fu impossibile mantenere la mia mente
muta. “ Corri, Jacob. Non ti fermare. Corri!” Sentivo tutti i miei muscoli
contrarsi per un dolore che non esisteva. Nessuna ferita, nessun graffio,
niente di niente, ma nel cuore, nella testa… dolore, dolore, dolore, mi
bruciava il petto, ed io volevo correre quando le mie gambe opponevano
resistenza. Faceva male, faceva male davvero. La luce del tramonto mi toccava
gli occhi facendoli irritare. Mai il sole si era mostrato più irritante di
quella sera. Quell’arancio caldo, così estraneo a quella città. Un altro giorno
si perdeva nel buio, nel fitto nero della notte.
Perché l’avevo
portata lì? Se non l’avessi fatto non sarebbe successo… e perché mi ero
allontanato da lei? Stupido! Non facevo mai niente di buono. Perché mi ero
innamorato di lei? Risposta? Risposta? Non arrivava, non arrivava mai. Tante
domande, ma le risposte sempre a metà strada.
Ma me l’avevano
portata via… via.
Raggiunsi casa di Seth
e aprii la porta con un solo colpo. I ragazzi mi guardavano con un’ espressione
interrogativa che poi, sicuramente alla vista della mia faccia,cambiò e si
tramutò in preoccupazione. Ma nessuno poteva capire… nessuno.
<< Sam!
>> gli urlai prendendolo per le spalle. Che voce che avevo… più
roca del solito forse, irriconoscibile. Non era la mia voce… adesso non avevo
più neanche quella?
<< Che cosa è successo? >> mi chiese preoccupato. Mi sembrò di
non riuscire neanche a parlare, ma lo feci. Per lei.
<< L’hanno portata via, Sam >> la mia voce era mista alla
disperazione e al terrore.
Temevo che avessero
sentito solo le sensazioni che provavo, al posto di quello che dicevo.
<< Chi?
>> mi chiese lui.
<< I …
>> Chi erano? Io non li avevo mai visti prima…
<< Non lo so
… avevano dei mantelli grigi e … erano dei vampiri >> Mi toccai la fronte: Oltre ad essere
bollente, era bagnata di sudore freddo. Dovevo aver ancora più paura di quella
che già avevo?
<< I Volturi…
>> disse Seth dietro di me.
<< Se avessimo perso la battaglia, avrei dovuto
portare la bambina in Brasile con me…
Sono loro >> disse con la voce ferma e intrisa
dalla commiserazione.
<< Mi dispiace, Jacob >> riuscì a dire Sam prima di
lasciarmi. No. No! Niente “ mi dispiace”, mi dispiace si dice quando non si
fare più nulla, quando si sono esaurite tutte le possibilità, quando tutto è
finito, quando anche la speranza decide di abbandonarti a quello che sarà. Non
volevo sentire “ mi dispiace”.
<< Non la uccideranno! >> urlai. Tutti si voltarono a
guardarmi.
<< Se uccideremo i Cullen… non la
uccideranno >> continuai a dire.
Le loro espressioni erano illeggibili. Era come se qualcosa nascondesse i loro
pensieri.
<< Ucciderli?
>> chiese Quil in un sussurro. Tutti si guardarono fra di loro e
posarono i loro sguardi su di me.
Rabbia,dolore,odio,impotenza
… erano tutte le cose che provavo in quell’istante.
Avrei fatto
qualunque cosa per riportare Lizzy a casa sana e salva. Ma sarei stato disposto
ad uccidere la famiglia Cullen? Sarebbe stato violato il patto,
quell’antichissimo patto accordato tre generazioni precedenti alla mia. Ma era
davvero quello il problema? Noi eravamo nati per uccidere i vampiri, niente ci
poteva essere impedito. Ma davvero avrei ucciso i Cullen? Avrei avuto il
coraggio di guardarli negli occhi, quegli occhi color miele, e scrivere la
parola fine sulla loro immortalità? Pensai a quando addirittura ci scherzavo
su.
E i ragazzi
sarebbero scesi a simili compromessi per salvare la ragazza che amavo?
Era incredibile
pensarlo, ma io forse lo ero. Ma lo ero davvero? Non lo sapevo, ma avrei
cercato in ogni modo di riportare Liz da me.
<< Lizzy non morirà >> disse sicuro Sam. Ed uscì di casa
con Emily al suo fianco, mentre noi tutti lo seguivamo. Non sapevo dove saremmo
andati. Non sapevo cosa Sam intendesse fare e non sapevo che cosa sarebbe
successo. Nonostante tutto lo seguii, insieme a tutti gli altri.
“ Non morirà “
erano le parole che rimbombavano nella mia testa e che mi davano l’impulso di
agire. Erano le parole che mi davano la speranza di rivederla di nuovo.
Era incredibile
come mi sentissi così perso, anche quando sapevo esattamente dove mi trovavo…
senza lei al mio fianco.
Emily rimase
immobile davanti alla porta e non si mosse, mentre noi invece proseguivamo.
Passi pesanti,
doloranti erano i miei.
Leah ci raggiunse presto.
<< Se ci trasformiamo faremo prima >> disse Embry.
<< Non questa
volta >> gli rispose serio Sam.
Non ebbi più
neanche la forza di parlare. Neanche quando Leah mi mise una mano sulla spalla
come per sostenermi, come per dire “ Ce la faremo”. Io non risposi a nulla.
Mi ero rinchiuso in
quel silenzio come per sentire la voce di Liz, dolce e chiara. La stessa di
quando un secondo prima mi diceva che si preoccupava per me.
La stessa di quando
mi disse “ Ti amo” per la prima volta. La stessa di quando rideva.
E lei stava
passando quei momenti raccapriccianti solo per me.
Camminai e
improvvisamente, da lontano, vidi una casa grande,bella e luminosa… bianca.
Una casa. Quella casa. Quella che non avrei mai dimenticato. La casa dei
Cullen.
Sam stava per
suonare il campanello, ma ben presto la porta fu aperta.
Era la veggente.
Quella con i capelli neri corvini ed esile come una fata dei boschi.
<< E’ molto importante >> disse Sam, e
senza dire una parola Alice ci fece entrare. Non mi fu nuovo vedere la sorpresa
nei suoi occhi d’oro, appena mi vide.
Ma il suo sguardo
mi scivolò addosso come fa la pioggia su uno strato impermeabile.
Sembrava che fossi
diventato assente e che, nonostante fossi lì, con la mente… bè, era tutta
un’altra storia. Era il momento in cui avrei voluto tronare indietro nel tempo e
cambiare le cose. Non era la prima volta che mi succedeva di desiderare una
cosa simile. Ma i desideri danno tante illusioni, quante ne danno i sogni.
Tutti mi guardarono
sorpresi. Carlisle, Esme, Jasper, Rosalie la bionda e Emmet erano nella cucina, disposti
come in una casa per le bambole. Carlisle ed Esme mi si avvicinarono.
<< Jacob, è un piacere vederti di nuovo >> mi disse la signora Cullen, con quei
vestiti sobri, che la facevano sebrare di un’età più avanzata rispetto alle
altre.
<< Spero che tu sia stato bene >> mi disse il dottor Cullen.
<< Avrei voluto vedervi in migliori
circostanze >> riuscii a dire, ma
la mia voce presentava ancora quei tratti disperati di quando parlavo con Jane
dei Volturi.
Esme e Carlisle
erano sempre stati gentili con me. Erano diversi da tutti gli altri, io
sopportavo il loro odore e loro sopportavano il mio. C’era comprensione…
nonostante la diversità. Con gli altri i rapporti erano sempre stati più
avversi.
<< Cosa è successo? >> ci chiese Esme, mentre nella stanza
entrava anche Alice.
<< I Volturi sono qui >> disse Sam.
<< Impossibile … li avrei visti arrivare >> ribatté Alice.
<< Se non li hai visti arrivare era perché le loro
decisioni comprendevano noi… e tu non puoi vedere il nostro futuro >> disse Paul con la voce tagliente. I
vampiri non gli erano mai piaciuti e non potevo certo dargli torto. Ma in
quella situazione avrei scavato nel profondo di me stesso per trovare un po’ di
gentilezza, anche verso chi non sopportavo con tutta l’anima.
<< Sta zitto…
>> gli dissi fulminandolo con lo sguardo, mentre Alice assumeva un
atteggiamento leggermente offeso.
<< Quello che vi può spiegare meglio le cose è
Jacob. E’ lui che ha assistito a tutto
>> aggiunse Sam, cercando di rompere quell’aria di tensione, che
Paul non aveva ancora imparato a controllare.
Sospirai e
cominciai a parlare.
<< Ero nel bosco con la mia ragazza… mi sono accorto
dell’odore e mi sono allontanato. I Volturi l’hanno presa e mi hanno detto che
l’unico modo per riaverla viva è… uccidervi
>> deglutii. Se avessero potuto farlo, forse lo avrebbero fatto anche
loro. L’avevo detto, di nuovo, per la seconda volta. Era come se un proiettile
mi avesse perforato l’anima. Un’altra volta.
<< Capite che noi rispettiamo l’alleanza
>> disse Sam.
<< Certo >> rispose Carlisle.
<< Faremo tutto il possibile per
voi >> continuò.
<< Sicuramente non sono a conoscenza dei progetti di viaggio di alcuni di noi
>> disse Rosalie.
Già.
Non riuscivo a
capire se fosse meglio così. Non volevo vederli. Edward, Bella,
il
mostriciattolo che avevano procreato… No. Forse in
un’altra occasione ce
l’avrei fatta, ma in quel momento, no. Non volevo rovinare il
pavimento dei
Cullen con il vomito del mio dolore. Perché forse è
quello che avrei fatto.
Vomitarle in faccia tutti i ricordi che aveva calpestato per stare con
lui.
Forse sarebbe stata una liberazione farglieli vedere tutti. Ma tutto
l’odio che
avevo in corpo, lo stavo usando per infangare il pensiero di qualcuno
che non
c’era. Se avessi incontrato Bella con Lizzy al mio fianco, non
avrei mai avuto simili pensieri e intenzioni, ma tutta la rabbia di
quel momento faceva riaffiorare i ricordi che avevo cercato di
seppellire con il tempo e la mia forza di volontà.Che vigliacco.
Il problema però era che non potevo più arrabbiarmi con
me stesso, la mia autostima era ormai scesa sotto i parametri di quella
che si
fa curare dagli strizzacervelli. Ci mancava solo che mi sporcassi la
testa con
i miei insulti. Quando si trattava di sputare veleno, ero
bravo, ma
adesso non era il momento di premeditare un inutile strage di nervi.
Chissà cosa
avrebbe fatto Liz, se mi avesse visto così…
Mi avrebbe preso per le spalle, mi avrebbe detto “ Jake,
che ti prende?”
con il suo sguardo allarmato. Ed io l’avrei guardata negli occhi,
e se ai suoi potevo sembrare uno stupido… lo sarei
sembrato ancora di più, perché
guardandola così, mi sarei dimenticato di tutto, e le avrei
risposto qualcosa
del tipo “Niente Liz, è tutto ok. Non fare quella
faccia”. E allora l’avrei
abbracciata, e sarei scoppiato a ridere, mentre lei sospirava un
po’ affranta e
mi diceva le sue solite belle cose.
“ Sei un po’
strano, Jake, a volte. Ma io lo so che non lo fai apposta. O se lo fai, è solo
per prenderti gioco di me”
“ Se dovessi
scegliere con quale parte della frase concordo, ti direi la prima”
“ Non te l’ho
chiesto infatti”
“ Acida”
“ tutto muscoli,
niente cervello”
“ Questa non dovevi
dirmela... “” e poi il nostro solletico,
sul divano in pelle di casa sua…
<< Hai qualcosa di lei? >>
mi chiese Alice, trovandosi improvvisamente di fronte a me, e facendomi
svegliare da quel bel sogno. Quei bellissimi ricordi. Quel presente che si era
fermato, e che era diventato memoria.
Affondai la mia
mano nella tasca dei Jeans. All’interno c’era il braccialetto che avevo
regalato a Lizzy. Lo aveva tolto per fare una doccia e, per paura di perderlo, mi
aveva chiesto di tenerlo.
<< Questo è suo
>> dissi, mentre seguivo la vampira in un'altra stanza.
Lo guardava con uno
sguardo strano…
<< Non ha molto gusto>> disse.
<< Una cosa non deve per forza essere costosa
per avere un valore. Sono stato io a regalarglielo >>
E ricordai quel
momento, sentendomi improvvisamente assetato dei ricordi più belli.
<< Hai una sua foto? >> mi chiese sedendosi sul divano
bianco.
<< Sì
>> risposi, infilando la mano nell’altra tasca. C’era il mio
telefonino, piuttosto antiquato, ma capace di fare qualche foto.
Trovai la sua foto
e gliela porsi.
<< E’ lei?
>>
<< Sì >> risposi malinconico.
Le scappò un
sorriso.
<< E’ molto bella >> accennò.
Non doveva essere
lei a ricordarmelo. Io lo sapevo, e lo sapevo benissimo.
Non dovevo perdere
il mio ottimismo, non dovevo perdere la speranza, non dovevo dimenticare tutto
quello che lei mi aveva insegnato. Ce l’avrei fatta, Sì, ce l’avrei fatta, e
tutta la forza che guadagnavo, me la dava la speranza di vederla, abbracciarla,
sentirla e baciarla ancora. La speranza di poterle dire tante altre volte… “
Ti amo con tutto me stesso”.
***
<< Vedi qualcosa? >> chiesi ad Alice seduta sul divano
con lo sguardo vitreo. Non mi rispondeva. Aveva lo sguardo fisso verso un punto
della stanza.
Spesso l’avevo
vista così, ai tempi della battaglia prima del diploma, ma non
mi ci ero mai abituato. Era inquietante ed io non volevo far altro che sapere
qualcosa di Liz. Dove l’avevano portata? Stava bene? Davvero non le avrebbero
fatto del male?
<< Alice?
>> si avvicinò Jasper, che la cinse fra le braccia.
<< Alice?
Alice? >> continuava.
Improvvisamente il suo sguardo tornò ad avere gli stessi colori di sempre e
sembrò che si fosse appena svegliata da un sogno tormentato.
Teneva stretto nel
palmo della sua mano il braccialetto e ansimava come se avesse davvero bisogno
di respirare.
<< Morte…
>> sussurrò.
Sentii i miei nervi
gemere. Sentii le mie gambe barcollare. Sentii il cuore sussultare.
<< Cosa hai visto Alice? >> le chiesi appoggiando le mie mani
sulle sue spalle con forza. Liz… no… se le avessero fatto qualcosa li avrei
uccisi con le mie stesse mani. Avrei bruciato io stesso i loro corpi di
granito, io stesso avrei messo fine alla loro vita fatta di sangue e secoli muti.
<< Hanno ucciso… degli uomini e lei ha visto.
Non parla, è spaventata ed è in un posto buio… sembra un capannone per i
depositi. Forse è fuori città… >>
Sospirò.
<< Sta bene?
>> le chiesi agitato. Se l’avessero anche solo toccata… se le avessero
fatto anche solo…
<< Se intendi fisicamente… è stanca, ma non le
hanno fatto del male. Se intendi il suo stato d’animo… credo che tu possa
immaginare le sue condizioni >>
Lizzy aveva visto
delle persone morire, Lizzy aveva visto qualcosa che non avrebbe mai voluto
vedere e che avrebbe tanto voluto dimenticare. Non meritava di assistere ad un
simile spettacolo. Ed io non potevo vederla e non sapevo dov’era e mi sentivo
così frustrato…
<< C’è solo un deposito fuori città. Credo di
sapere dov’è >> disse Paul
pensieroso.
Io volevo andarci
all’istante. Portare via Liz, vederla ancora, sapere che stava bene,
abbracciarla.
<< Andiamoci, allora >> dissi immediatamente.
<< E’ meglio di no, Jacob >> mi disse Carlisle, mettendomi una
mano sulla spalla.
<< I Volturi ci controllano. Dobbiamo far sì, che
loro pensino che state facendo quello che vi hanno chiesto. Agiremo presto ma …
non così presto >>
Guardavo Carlisle.
Non capivo con quali occhi, se fossero i miei o quelli di una persona a cui era
stato portato via il cuore.
<< Naturalmente vi aiuteremo >> aggiunse Esme, che si era seduta
accanto ad Alice.
<< Incontriamoci domani a mezzogiorno. I Volturi
non uscirebbero mai ad un ora in cui il sole è così alto >>
<< Bene
>> disse Sam ricomponendosi.
Carlisle mi lasciò
mentre guardavo nel vuoto. Camminavo ma era come se non sentissi i miei stessi
passi.
Alice ci accompagnò
alla porta. All’improvviso tornai a quella triste realtà. La luce del
crepuscolo filtrava dalla piccola fessura millimetrale, che Alice aveva creato
aprendo di poco la porta .
Un ringhio mi filò le orecchie. Il suo.
I Volturi ci controllano. Dobbiamo far sì, che
loro pensino che state facendo quello che vi hanno chiesto.
Eravamo tutti fuori
e in posizione felina ci guardava con occhi di vetro.
L’odore di vaniglia
e fiori ci accarezzava le narici del naso. Avevano ragione. I Volturi erano
venuti a controllarci. In tutto quel tempo in cui ero mancato, non mi ero reso
conto di quanto bene i ragazzi avessero imparato a mentire.
<< L’alleanza è alla resa >> disse Sam, assumendo un’espressione
di potere.
I ringhi taglienti
erano così acuti, che temevo che qualche umano li avrebbe percepiti.
Sam si voltò e, con
una camminata austera, pose fine alla breve vita di alcune rose bianche in
giardino. Il sangue su di esse le fece sembrare qualcosa di troppo irreale,
quasi da fiaba. Continuò a camminare, e nonostante i pochi metri percorsi, noi
sentivamo già l’odore nauseante dei vampiri più potenti del mondo svanire.
Non
credevo che
sarebbe bastata una simile recita per ingannare quei vampiri italiani,
ma tutto poteva succedere. Era scritto nel sangue che i
licantropi e i vampiri si dovessero odiare.
Se non mi avessero
ridato Liz sana e salva, avrebbero visto le miei zanne di lupo affondare nella
loro pelle di marmo, e niente mi avrebbe impedito di ucciderli, niente mi
avrebbe impedito di farli a pezzi. E così come loro disprezzavano la vita,
avrebbero visto la loro... finire nel nulla.
Spero che questo
capitolo vi sia piaciuto :):):) Jacob è corso da Sam ed è
stato chiesto aiuto ai Cullen, nei prossimi capitoli vedremo come si
evolverà la situazione :) mi piacerebbe molto sapere che cosa ne
pensate :):):)
Un bacio
Ania <3
|
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Capitolo 27 *** 27 ***
jake 27
Quando vidi la
notte avanzare con i miei passi, non potei fare a meno di sentirmi in colpa.
La notte infonde
calma, serenità. Nel mio caso invece, mi faceva sentire un verme scappato da un
pericolo che avrebbe potuto combattere senza esitazione.
Non riuscivo ancora
a capacitarmi del fatto che io avrei potuto dormire nel mio solito letto caldo,
mentre lei, dalla paura, non avrebbe neanche avuto il coraggio di abbassare le
palpebre e addormentarsi.
Entrai in casa.Non
sapevo chi avesse detto a mio padre quello che era accaduto, ma non mi
importava, lui sapeva già tutto. Non lo guardai nemmeno.
Corsi nella camera
in cui Liz aveva lasciato le sue cose ed anche se cercavo di trattenere a stento
le lacrime, mentre tenevo fra le mani la sua giacca a vento verde, non ci
riuscii. La stringevo, fino a stropicciarla; le mie lacrime caddero su di
essa scivolando sul pavimento in legno. Ed io in ginocchio le guardavo, le
guardavo e mi sembrò di vedere me stesso morire. Mi sembrò di vedere me stesso
svanire in quel sussurro di dolore.
Che
cosa significa
amare? Che cos’è l’amore? E’ sofferenza?
Ingiustizia? Sì… Sì! Lo era per me, e
lo era sempre stato. E quando si ama così tanto niente
può riportarti alla vita… se non l’amore stesso.
E quando
quell’amore ti viene strappato via, puoi star certo, che i tuoi giorni stiano
per arrivare alla fine.
<< Vuoi mangiare qualcosa? >> mi chiese Sue aprendo la porta.
<< Non voglio mangiare niente >> risposi di scatto. Seduto sul
pavimento con le spalle appoggiate al letto, avevo passato tutta la notte così.
Continuavo a
guardare fisso in avanti. E quando la porta fu chiusa non riuscii più a
controllare la rabbia. Il vaso di porcellana posato sulla scrivania di mia
sorella Rebecca si frantumò in tanti piccoli pezzetti contro il muro bianco,
causando un odore sibilante simile al vetro. Era da tanto che non ero
arrabbiato in un modo così profondo, e il rumore assordante che scaturì il
lancio non era niente in confronto alle urla che sentivo nella mia testa.
“ Lizzy, Liz! Ti
amo, Liz! Non lo meritavi, No! Non lo meritavi. E questa notte è stata la più
lunga della mia vita senza di te. E questa notte è stata la più scura di tutte
le notti passate senza di te, senza il tuo pensiero spensierato, senza sentirti
respirare al mio fianco… Ancora una volta mi sono accorto di quanto le ferite
dell’ anima siano mille volte più profonde di quelle che provocano il sangue.
Ancora una volta. “
Mezzogiorno. Quasi
mezzogiorno, e per lei trovai la forza di camminare ed uscire di casa. La luce
del sole mi accecò quasi gli occhi.
Avanzai verso il
bosco e ben presto vidi gli altri dietro di me che mi raggiungevano.
Non mi voltai, neanche quando sentii la mano di
qualcuno toccarmi la spalla. Camminavo, ero lì, ma con la mente viaggiavo per
mete sconfinate, con lei…
<< Ce la faremo … >> mi disse Seth.
Lo guardai con
tenerezza, poi sviai il mio sguardo.
<< Dobbiamo
>> gli dissi io.
Perché tutto quello
che avrei fatto da quel momento in poi, l’avrei fatto per lei.
***
La signora Cullen
aprì la porta e ci fece entrare.
<< Buongiorno ragazzi >> ci disse.
Lasciai entrare Sam per primo e dopo di lui
tutti gli altri. Io fui l’ultimo. Entrare in quella casa mi riportava alla
mente dei ricordi, che avevo molte volte cercato di reprimere completamente.
<< Jacob caro… non hai dormito? >> mi chiese accarezzandomi la guancia
con le sue dita fredde.
<< No… non ci sono riuscito >>
Mi guardò con
tenerezza. Tutti ormai erano in salotto con i Cullen. Esme si voltò un attimo e,
posando una mano sulla mia spalla, mi invitò a raggiungerli.
Raggiunsi il
salotto e mentre salutavo i Cullen con un cenno, Esme si avvicinò a Carlisle,
lasciando che le sue mani toccassero il suo polso, poggiato sul fianco destro.
<< Hai avuto altre visioni, Alice? >> Le chiesi, mentre ancora parlava in
modo inudibile con Jasper.
<< Sì… ma non è cambiato nulla, sono solo
riuscita a vedere che Aro non era presente, possiamo stare molto più
tranquilli >>
<< Tranquilli?
>> chiesi quasi offeso. Era solo un vampiro in più, l’argomento di
cui si stava parlando, e la sua assenza di certo non mi portava a niente che mi
potesse ridare Liz all’istante.
<< Aro ha dei poteri particolari. Toccando,
riesce a vedere i pensieri di tutta una vita, e avrebbe scoperto tutto quello
che hai detto alla ragazza. Sempre se tu le hai detto qualcosa… >> mi ribatté Rosalie.
<< Ha ragione
>> disse Sam.
<< I Volturi inoltre sono convinti della
riuscita del loro piano. La farsa di ieri li ha convinti >> continuò Alice.
Tutti rimasero per
un po’ in silenzio. Fui io a rompere l’atmosfera.
<< Non intendo aspettare oltre. Basta con le
precauzioni e basta con le recite. Lizzy è con i Volturi in questo momento e
non voglio che passi altro tempo con loro. Non è per questo che siamo venuti
qui… >> dissi sicuro. Se non mi
avessero voluto aiutare, sarei andato a cercarla da solo.
<< Posso anche andarci solo io se
necessario >> continuai.
<< Ci andremo stanotte >> disse Emmet, avvicinandosi a me.
<< E non sarai solo >> mi disse Embry. Tutti sembravano
essere d’accordo con me.
<< Ma non voglio che tu ti trasformi >> aggiunse Sam. Quell’affermazione mi
fece rivoltare.
<< Come?!
>> In che altro modo avremmo potuto sconfiggerli?
<< Da quanto non ti trasformi? E’ tanto Jake e
non vogliamo che nessuno si faccia male qui. Basta anche una minima distrazione
per essere uccisi, e quei vampiri vedono il mondo da quando è nato… non
possiamo rischiare >>
<< Intendi che io dovrei rimanermene con le mani
in mano?! >>
<< Se
proprio vuoi venire, non dovrai combattere, starai indietro con i Cullen
… >>
Naturalmente non
avrei mai previsto di dover fare una cosa del genere, la ragazza che amavo
era stata catturata dai vampiri più
potenti e antichi della terra, era lì sola, ed io secondo loro dovevo stare
attento a non farmi male. I miei pensieri avevano una prospettiva assolutamente
diversa.
<< Non ti capisco, Sam… >> cominciai a dire con la voce rauca.
Non volevo
contraddirlo molto, ma nel caso ci fosse stato bisogno di me, non avrei esitato
a trasformarmi.
<< Andrà tutto bene >> mi disse Carlisle, avvicinandosi a
me. Lo speravo, lo speravo tanto.
<< A mezzanotte nel bosco… >> disse Sam, mentre si avvicinava alla
porta.
Io feci per
seguirlo, era così strano sentirsi così sicuri in una casa come quella.
<< Jacob, forse sarebbe meglio che tu rimanessi
qui, Alice potrebbe avere delle visioni e tu sai più di quello che potremmo
immaginare noi >> mi disse Esme.
Era strano pensarlo, ma con quella espressione, quella voce calda, stavo per
dimenticare che fosse una vampira. Mi ricordava mia madre, affettuosa e dolce.
Infondo i vampiri non erano quei mostri che avevo sempre immaginato, e che la
rabbia mi aveva sempre fatto vedere così. Almeno non tutti i Cullen.
<< D’accordo
>> le dissi, ma non avevo il coraggio di guardarla negli occhi. Quegli occhi dorati
mi inquietavano. La mia voce era ancora rauca, così scura mi sembrava che alle
loro orecchie fosse come cristallina, trasparente, era come se ogni volta che
parlassi, potessero scorgere tutti i tratti del dolore che stavo provando in
quel momento.
Alice sembrava
stanca, le avrei detto di riposarsi, se non avessi saputo che i vampiri non
dormivano. Era l’unica cosa che invidiavo di loro, visto che spesso rimanevo
insonne. Come potevo dormire sapendo che la vita di Liz era in bilico fra i
desideri dei volturi? Era impossibile, non avrei mai trovato pace.
Seguii Esme, non so
neanche perché, ma lei e Carlisle trasmettevano qualcosa che nessun umano mi
aveva trasmesso prima. O forse Liz, che mi guardava e… mi prendeva la mano,
quando credevo di aver fatto qualcosa di sbagliato, ma ogni cosa mi riportava a
lei. Sempre.
Esme aprì la porta
di una stanza e in corpo sentii qualcosa che credevo di aver quasi dimenticato.
Quella stanza in cui… in cui lei era morta.
E’ incredibile come
dei momenti siano solo attimi, piccole
frazioni di tempo che si condensano come le nuvole in cielo prima di
piovere,secondi se non minuti, ed è incredibile come qualcosa di così breve
durata sia impossibile da eliminare dalla mente umana. E i ricordi feriscono,
feriscono allo steso modo di una piaga nel fianco.
Il tempo torna al
futuro in pochi attimi con la mente. Mi sembrò di sentire ancora il suo sangue
sulle mani, mi sembrò di vedere i suoi occhi che piangevano lacrime di morte, e
mi sembrò di vedere le mie che si fondevano con le sue. E la mia voce
arrabbiata, la mia voce sofferente che diceva “ Non te ne andare, ti prego non
te ne andare “.
“ Non te ne andare… “
Esme mi fece
entrare sulla veranda, ed io in silenzio mi aspettavo che non avrebbe parlato,
proprio come facevo io.
<< Mi dispiace tanto per Lizzy, Jacob >> mi disse appoggiata alla ringhiera.
Non le risposi, ma
mi accorsi che il ricordo di Liz, che urlava il mio nome, il ricordo di Liz che
piangeva, il ricordo di Liz che veniva portata via, faceva male più di quello
con Bella.
Bella mi aveva
sentito per l’ultima volta, accanto a lei, che la imploravo, e la chiamavo e le
dicevo di restare, di restare con me. Con Lizzy invece non avevo avuto il tempo
di far nulla, e tutti i sui sogni dovevano essere realizzati, la sua vita
doveva essere felice, ed io dovevo dirle ancora una volta di rimanere se non mi
avesse voluto più, le avrei dovuto dire ancora quanto la amassi. Perché lei era
tutto per me, e quando ti tolgono l’unica cosa, per cui la vita ti sembra
caritatevole, allora hai finito di vivere.
<< A volte la vita ti mette alla prova >> cominciò Esme.
<< Lo ha fatto troppe volte >> le risposi io.
<< Ma non ti ha mai distrutto >> continuava guardando verso gli
alberi.
<< Bella ti ha spezzato il cuore, ma tu hai
avuto la forza di ricominciare. Se tu non fossi stato abbastanza forte, non ti
saresti mai innamorato di un ‘ altra ragazza in un modo così
incondizionato >>
<< Come sai che la amo in un modo
incondizionato? >> le chiesi
accennando un sorriso, ma entrambi sapevamo quanto fosse falso.
<< Ora la stai pensando e i tuoi occhi si
illuminano, quando pensi di non rivederla più, sembra che qualcuno ti stia
succhiando via l’anima e quando credi che tutto vada male non ti arrendi, e non
ti arrendi perché pensi a lei >>
La guardai e i suoi
occhi d’oro non mi spaventavano più.
<< E’ vero …
>> dissi espirando. Non mi ero neanche accorto di trattenere il
fiato.
<< Tanti pensano di poter essere felici senza un
amico fedele, senza una persona da amare. L’amore è l’arma distruttiva più
potente che si possa trovare sulla terra, ma quando meno te l’aspetti ti salva
e ti salva da te stesso. Perché niente può farti morire davvero se non il
dolore che si alimenta dentro il cuore
>>
Mi mise una mano sul
cuore. Pensai che aveva ragione. Sotto il suo tocco freddo sentivo i battiti
del mio cuore che con disinvoltura continuavano a pompare il sangue del mio
corpo.
<< Il mio cuore non batte più così da quasi
novant’anni ormai… >> disse
sviando lo sguardo e per la prima volta vidi il dolore nei suoi occhi.
<< Non avere paura. Tu vivrai, Liz vivrà e
crescerete insieme. E sarete felici. Vi prenderete in giro, guardando quanto
siete cambiati negli anni… ma sarete felici
>>
Le sue parole mi
portarono in un mondo nuovo, un mondo in cui rimpiangevo il mio, e in cui
l’immortalità sembrava solo qualcosa di onnipresente e pesante, qualcosa che
non avrei mai desiderato.
<< Il mio bambino aveva gli occhi simili ai
tuoi, neri e… lucenti >>
Avrebbe pianto? Io
dico di sì, la morte lascia sempre delle lacrime dietro di sè.
<< Mi spiace tanto Esme >> Pensavo a lei, con gli occhi
ambrati, con un bambino fra le braccia e alla possibilità che non lo avrebbe
più potuto rivedere. E pensavo a Lizzy, che volevo tanto riavere fra le mie
braccia.
Poi un rumore
proveniente dal piano di sotto.
Esme ed io corremmo
per le scale ed improvvisamente, vedemmo Alice a terra fra le braccia di Jasper
che guardava nel vuoto. Fra le mani il braccialetto di Lizzy.
<< Confusione …
>> diceva.
<< Non riesco a vedere… >> continuava arrabbiata.
<< E’ perché è stata presa una decisione, Alice,
purtroppo i mutaforma non possono…
>> cercò di dire Jasper.
<< Essere visti >> finì lei,
alzandosi.
<< Mi dispiace ma non credo che la tua presenza
possa fare molto adesso >>
Camminava verso la
cucina.
<< Non ci resta che aspettare >> e da una grande finestra della
stanza saltò su un ramo di un albero con Jasper. E dietro di loro anche tutti
gli altri.
“Aspettare” sembra
facile… ma non si rivela mai tale quando i secondi scendono come gocce di
petrolio sulla testa.
Spero che questo capitolo
vi sia piaciuto =)=) per quanto riguarda Esme :Jake non ha una figura
materna poichè sua madre è morta in un incidente, e il
suo carattere anche poco accennato nella saga, mi ha portata ad
inserirla in questo modo. Spero che abbiate apprezzato, e spero di
avervi trasmesso delle emozioni =)
vi dico solo che a breve rincontreremo i Volturi :):)
Grazie per leggere <3
Ania <3
|
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Capitolo 28 *** 28 ***
jake 28
Nonostante tutto la
notte arrivò. Non ero sorpreso dalla pioggia, a Forks
c’erano ben altre cose a sorprendere la gente.
I ragazzi si erano
già trasformati. Era da tanto che non li vedevo così e non avevo mai
dimenticato il loro manto. Desideravo con tutto il cuore fare la stessa cosa
che avevano fatto loro, diventare lupo, sentire i loro pensieri come parole
dette ad alta voce, l’udito più sviluppato, la forza irreprensibile. Ma
qualcosa nel mio inconscio, mi impediva di fare quello che gli chiedevo.
Ero l’unico
licantropo rimasto in forme umane e per lo più ero anche insieme a dei vampiri.
Se mi avessero chiesto di fare una cosa del genere la primavera di due anni
prima, non ci sarebbero state ragioni.
Ogni passo era un
dolore, perché mi ricordava tutti i passi che avevo percorso dal momento in cui
lei aveva urlato il mio nome per disperazione e paura. Ed io che non avevo
potuto fare niente, sentivo quella voce nei timpani interni, come una tortura.
Ci incamminammo a
passo veloce verso ovest, dove la luna illuminava i nostri passi decisi e i
volti di cristallo dei vampiri.
Ero veloce anche da
umano, ma l’istinto mi diceva di lasciarmi andare alla mia natura. Purtroppo
non lo feci.
La strada era
deserta, e rimasi pietrificato quando da lontano vidi il grande capannone di
metallo distante di mezzo miglio.
<< Jacob?
>> mi disse Alice. Io la guardai.
<< E’ ora
>> diceva.
Mezzo miglio.
Eravamo lontani solo di mezzo miglio.
Sentii l’adrenalina
scorrere nelle vene con il sangue e vidi tutti i vampiri assumere un’aria
felina.
Correvamo e pensavo
a come sarebbe stato. Avevo ucciso dei vampiri neonati durante la battaglia, ma
era un ricordo vago e mai ripensato prima.
E pensavo a come
sarebbe stato rivedere Liz, dopo tutto quello che era successo, se avessi avuto
il coraggio di farmi vedere di nuovo.
Lei avrebbe mai
voluto rivedermi di nuovo?
“
Rapidi e forti”
così dovevamo essere. Jasper ce lo aveva sempre fatto presente.
Eravamo vicinissimi. La costruzione era lontana di pochi metri.
Sentimmo delle
risatine provenire dall’interno che mi fecero irritare… e desiderare di
entrare e porre fine a tutto.
<< In un paio di giorni verrà tutto sistemato… >> diceva Jane mentre gli altri
ridevano.
<< Aro sarà fiero di noi. Siamo stati astuti a
non dirgli nulla. Credeva che saremmo andati in Argentina per controllare i
territori invece… >> diceva un
altro. Credo che si chiamasse Felix.
<< Gli umani che abbiamo ucciso ieri basteranno
a tenerci buoni per almeno una settimana… anche se il suo odore è così
delizioso.
Copre tutti quelli
che potrebbero esserci nei dintorni…
>>
<< Non ti avvicinare ! >> urlò la vampira con la voce acuta.
<< Oh Jane, sta con l’anima in pace, volevo solo
vedere… >>
<< Sta con l’anima in pace, non puoi dirlo a
nessuno della nostra specie.
Se uccidiamo la
ragazza il branco non sarà più disposto a fare nulla per noi >>
<< Perché altro dovrebbero servirci? >>
<< Smettila di contraddirmi. Non lo vedi? La
ragazzina è innocua, anche se ha scoperto il nostro segreto, è logico che non
ne faccia parola, la prenderebbero per pazza. Aro non c’è, e lui non saprà
niente di questo particolare. Dopo secoli trascorsi con lui, abbiamo ben imparato a nascondergli i nostri pensieri >>
<< Scusalo, Jane. Il sangue delle belle fanciulle
lo fa diventare sempre più irritante di quello che già è. Soprattutto quando
la fragranza è così forte e allo stesso tempo delicata, da coprire qualunque
cosa che ci sia intorno. >>
aggiunse Caius con la voce suadente.
Il momento… era
giunto.
Furono
i ragazzi ad
entrare per primi. Se non fosse stato per il rumore non si sarebbero
nemmeno
voltati. Forse la sorpresa li aveva perfino immobilizzati e non
potevano fare nulla che non li portasse alla morte contro i licantropi.
C’erano almeno sette cadaveri dissanguati sul pavimento in legno,
tutti ammassati. Era la cosa più disgustosa che avessi mai
visto. Sam morse il
vampiro alto per la testa e gli staccò le braccia. Paul ed Embry
si occupavano
di quello più giovane. Demetri che era lì fu fatto a
pezzi da Emmet e Rosalie.
Lui non c’era nel bosco quando avevano preso Liz, non so spiegare
perché.
E Jane? Dov’era?
Fra le fiamme del fuoco la cercavo ma mentre volgevo lo sguardo dall’altra
parte dell’edificio i miei occhi incontrarono quello che avevano sempre
cercato, ancor prima di conoscere.
Lizzy era stesa, in
posizione fetale, con le mani sugli occhi che le coprivano il viso.
Corsi verso di lei
e mi inginocchiai. Non potevo credere di vederla di nuovo.
Ed anche se intorno
a me tutto era ridotto alla distruzione, non potei fare a meno di pensare alla
vita.
Era stesa su delle
coperte invernali. I capelli dorati che le coprivano le mani, le braccia esili
che con la poca forza che aveva cercavano di non cadere verso i suoi fianchi. La
toccai leggermente e lei ebbe un gemito.
<< Liz? Sono io… Jake… sono qui >> le dissi dolcemente.
A quelle parole
trattenne il respiro e lentamente spostò le sue mani dai suoi occhi.
Li guardai
ardentemente e scoprii che non avevano mai perso la loro luce.
Mi posò le mani
sulle braccia e appoggiò la sua testa sul mio petto, piangendo.
<< Jake…
>> riusciva a dire.
<< Sono qui, Liz … sono qui. Sono venuto a
prenderti >>
<< Sapevo che saresti venuto… >> continuò lei, con la voce intrisa di
lacrime.
La presi per mano e
la diressi verso l’uscita.
<< Non ti avrei mai lasciata qui >> le dicevo, correndo in modo che lei
potesse seguire il mio passo.
Non mi rispose, ma
con il fiatone mi guardò con un espressione ricca di amore.
Eravamo almeno
sette metri dall’uscita, quando sentii i suoi passi smettere di avanzare e la
sua mano stringere la mia, graffiandomi.
Urlò. Liz urlò fino a farmi sentire i timpani
suonare in una melodia stonata. Urlò, e con il dolore negli occhi continuava a
guardarmi toccandosi la testa.
Spaventato, la
presi in un abbraccio. Non avevo mai conosciuto la paura fino a quel momento.
<< Liz! Liz!
>> le ripetevo.
Che cosa le stava
accadendo? Che cosa le avevano fatto?
Poi chiuse gli
occhi e cadde a terra su un lato, un millimetro avanti ai miei piedi, un
millimetro avanti alla vita.
Mi abbassai per
cingerla fra le braccia. Lei non si muoveva. Non ebbi neanche il tempo di
chiedermi perché. Non ebbi neanche il tempo di parlarle. Non ebbi neanche il
tempo di farle una carezza… poi vidi Jane, nella mia stessa direzione, con lo
sguardo malefico e il sorriso oscuro, che mi guardava.
Era stata lei.
In un modo delicato
ma veloce lasciai Liz e corsi verso di lei fra il caos del fuoco, con le
lacrime che rigavano le mie guance.
“ Che cosa le aveva
fatto?! Quel mostro! Mostro! “
<< Tu! Tu! Cosa le hai fatto? >> dicevo e mentre il vento proveniente dall'esterno mi
accompagnava verso la sua direzione. Seth con un morso lanciò la sua testa
verso il falò, e Alice completò il lavorò buttando via a calci il suo corpo
verso il fuoco.
Sembrava che fosse
scoppiata la guerra, sembrava che le malattie e tutto l’odio del mondo fossero
concentrati in quel luogo.
Era una delle cose
più terrificanti che avessi mai visto in tutta la mia vita, così credevo, fino
a quando non mi voltai e vidi Liz stesa sul pavimento, immobile, con i capelli
disordinati che le accarezzavano le guance.
Sembrava una
bambola rotta, che in tutto il suo splendore era stata rovinata per poi essere
lasciata lì sola.
Corsi verso di lei e caddi in ginocchio.
Le lacrime cadevano dal mio viso incessanti e non sapevo come smettere. Non si muoveva … Perché?
Perché? ” Liz! Liz guardami … Liz!”.
<< Lizzy? Liz ti prego non mi lasciare Liz! Per
favore non puoi farmi questo… Tu devi vivere… vivere! Non può finire tutto
così, non può! Perché? Perché non apri gli occhi Liz? Perché non mi guardi?
Perché non mi rispondi? Tuo padre e Silvya hanno bisogno di te!
Non te ne andare,
No! Non te ne andare… se te ne vai … io vengo con te. Vengo con te, lo sai … lo
sai che io non posso vivere senza di te…
>>
Sentivo le lacrime
amare sulla bocca e lei non muoveva un muscolo. La tenevo fra le braccia come
una bambina addormentata.
Le mie lacrime
cadevano sulle sue guance ancora rosee ma fredde in un modo spaventoso, ed io
con le dita cercavo di portarle via dal suo viso, senza pensare di asciugarmi
gli occhi con i polsi. Perché io non esistevo più.
Solo quando vidi la
sua terrificante bellezza vitrea appannarsi alla mia vista, eliminai le lacrime reduci intorno
agli occhi con la mano, e mi accorsi che tutti, anche i ragazzi in sembianze umane, erano
intorno a me.
Carlisle si fece
spazio fra gli altri e mi si avvicinò quando ancora io guardavo Liz
disperato. L’avevano uccisa… me l’avevano portata via.
Lasciai che
Carlisle la toccasse, con lo sguardo preoccupato posò la sua mano bianca sulla
sua guancia con sguardo preoccupato.
<< Dobbiamo portarla a casa… subito >> disse alzandosi.
Non pensai nemmeno, feci esattamente quello che mi era stato detto.
Alcuni rimasero lì a consumare il fuoco, mentre altri seguirono me e Carlisle
verso casa Cullen. Non mi importava neanche di sapere chi.
Presi Liz fra le
braccia, una mano sotto le sue esili spalle e una che le sorreggeva le gambe.
Andai fuori più
veloce che potevo. Pioveva forte e mentre correvo portavo la testa di Liz più
vicina al mio petto come per proteggerla.
La mia Liz, così
piccola e spaventata. Mentre correvo pensavo solo a una cosa. Posando i miei
occhi sul suo volto pensavo…
“ Non mi lasciare…
ti prego non mi lasciare”
Perché?
Solo perché l’amavo
con tutta la forza, e l’amore, e l’impeto che si possono trovare in un ragazzo
di diciassette anni.
L’amavo. Quello era
il vero motivo. Era il vero motivo di ogni cosa che facevo.
E lei non meritava... non meritava tutto questo.
Non vi dico niente, e non commento. Vi dico solo che la storia non è ancora finita.
Spero che vi abbia trasmesso delle emozioni =)
Grazie
Ania <3
|
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Capitolo 29 *** 29 ***
jake 30
Era completamente
fradicia, bagnata e fredda. Le guance ancora rosee.
Ma era fredda, in
un modo spaventoso e immutabile.
La pioggia batteva
forte sui miei occhi, mescolandosi alle lacrime che mi erano cadute dal viso.
“ Corri, Jacob.
Corri”
Il suo capo
sbatteva contro il mio petto, mentre avanzavo. Mentre cercavo di mantenere una
calma e un controllo che ormai non c’erano più.
Speravo che aprisse
gli occhi all’improvviso, e che mi dicesse qualcosa. Speravo che tornasse
cosciente e si liberasse dal mio abbraccio, duro, protettivo, forte. Desideravo
che mi facesse sentire male, che si svegliasse e mi rinfacciasse tutto quello
che era successo, dandomi la colpa di tutto, facendomi sentire un verme, anche
solo per essermi avvicinato a lei, anche solo per averla guardata, quella
mattina, nel parco, quando il mio cuore apparteneva ancora ad un'altra.
La amavo così
tanto, che anche il solo fatto che stesse bene mi avrebbe fatto sentire in pace.
Anche se avesse deciso di non stare più con me.
“Liz, svegliati. Ti
prego”
Aspettavo.
Correvo.
L’acqua schizzava
come il sangue da una ferita aperta.
“ Non può finire
tutto così… “
Sentivo dolori in
tutto il corpo. Che cos’era? Sembrava che fossimo legati da qualcosa di troppo
grande per essere capito, compreso, spiegato. Sembrava che tutto quello che
stava provando lei, anche solo fisicamente, si iniettasse nel mio corpo come
veleno, per farmi morire. Morire. Lentamente.
“ Ti amo. Non
mollare. Ti prego.”
Gocce. Tante. Ed io
non ero nemmeno riuscito a mantenerla asciutta. L’ennesima conferma della mia
incapacità di trattenere e proteggere le persone che amavo.
Cosa c’era che non
andava in me? Cosa avevo fatto di così brutto da meritare una cosa simile? Ma
no, forse non aveva più importanza la mia felicità, il mio stato d’animo. Il
problema era che se lei se ne andava, me ne andavo anch’io. Il corpo, c’era
ancora certo, ma l’anima, il cuore? Il cuore?!
Il cuore
segue le persone che ama. E non importa dove siano, se lontane di chilometri,
separate da fiumi, mari e correnti. Il cuore segue le persone che ama, sempre,
anche nei posti più irraggiungibili; due cuori che si cercano, alla fine, apprenderanno
il modo per trovarsi.
“ Non mi lasciare.
Svegliati. Apri gli occhi, guardami e poi, solo dopo, lasciami.
Se il mio cuore
deve essere spezzato ancora una volta, voglio che si spezzi al sibilo della tua
voce che parla. Ma non andare, non te ne andare così…”
Le gambe pesanti
salivano le scale di casa Cullen.
Carlisle prese Liz
fra le braccia e la stese delicatamente su un letto, in una stanza che non
conoscevo, stranamente con un letto a baldacchino. Ma in preda al panico e alla
confusione non riuscii a notare nemmeno questi particolari. La guardava con uno
sguardo che non gli avevo mai visto materializzarsi sul viso, e questo mi
terrorizzava.
<< Devo chiedervi di uscire. Alice, rimani con
me >> disse con una voce
controllata che discordava con la sua espressione.
Io non volevo
lasciarla sola per nessun motivo al mondo.
" Liz, piccola, quanto ti amo, quanto sei fragile, ma ti prego non ti spezzare adesso..."
<< Per favore, Carlisle >> riuscii a sussurrare, mentre Sam mi
spingeva fuori dalla stanza con espressione sofferente.
Rimasi fermo sulla
soglia e nemmeno Sam riusciva a spingermi fuori.
<< Ti prego, Carlisle… Che cosa le è successo? E
ce la farà? Ti prego dimmi solo che ce la farà
>> gli chiesi.
Era solo un modo per placare il mio animo; non
riuscivo più a far nulla ed io mi aspettavo che lui mi avrebbe tranquillizzato.
Mi aspettavo che mi avrebbe detto qualcosa di medico e poi “ ce la farà” ma lui…
lui mi guardò.
Mi guardò e basta,
senza dire nulla. E nei suoi occhi non c’era niente che mi potesse far intuire
che Liz stesse bene.
Così
chiuse la
porta, e quando mi voltai nessuno aveva il coraggio di guardarmi negli
occhi. Ed io non avevo più neanche il coraggio di fare domande.
Rimasi in silenzio,
come se all’improvviso, in quel silenzio, l’avrei sentita di nuovo.
In quel corridoio fu
come guardare me stesso un'altra volta, dopo un anno che soffrivo.
Perché? Perché
all’improvviso mi sembrò che non avrei più sentito la sua voce?
Forse perché se ne
stava andando.
Davvero.
Come avrei fatto a
vivere, sapendo che lei non c’era più? Come? Come avrei fatto a convivere con
quel dolore?
Come sarebbe stato
vivere con un’ agonia incessante intorno al cuore… per tutta la vita?
Sam continuava a
spingermi via, e poi, poi sentii un tremolio raggiungere tutto il mio corpo,
dalla testa ai piedi, nelle viscere e nella gola. Il fuoco inondarmi le narici,
ogni cavità, il fuoco sulla lingua e negli occhi. E una forza, una grandissima
forza.
In
modo brusco andai a sbattere contro un muro rivestito da un intonaco
bianco. Riuscii anche solo a provare odio per quella parete, di quel
colore così anonimo e indifferente. E' bianco, non è
vita,
non è amore, desiderio, passione, serenità, non è
niente.
Sentii il sangue
inondarmi la mano bollente,le nocche strinte in un pugno contro la parete.
Ma
non mi
spaventava. Non mi spaventava più niente, ormai. Sferrai un
altro pugno, con la
testa bassa, il viso rigato di lacrime e la bocca contorta in un ghigno
per
ogni colpo. Un altro, ancora un altro, fino a scorticarmi la pelle, fino
a sporcare la parete di quel rosso. Non importava a chi appartenesse
quel sangue, non importava che fosse mio. Era la prova tangibile della
ferita che mi era stata trafitta. Una ferita che non si sarebbe mai
rimarginata.
Ed io urlavo.
Urlavo infiniti “No”.
No a me stesso per
quello che le avevo fatto.
No a quello che
ero.
No al male che aveva
colpito Liz.
<< No! No!
>> urlavo.
“Urli, Jacob Black?
Come se lei potesse sentirti… come se potesse cambiare qualcosa. Urli? Che cosa
urli? Rimpiangi te stesso, ripudia quello che sei, perché non troverai mai
nessuno che non sia come te, a cui tu non possa fare del male.
Tu sei un male, e
fai del male”
<< No!
>>
<< Jake, calmati
>>
Non riuscivo più nemmeno a riconoscere la voce
che mi stava parlando, chiamando, riportando in su, alla luce, se ce n’era
ancora una.
Il fuoco, il
tremolio, il dolore, erano tutte le sensazioni della trasformazione. E sembrava
che stesse per accadere di nuovo, come se fosse la prima volta.
Per la rabbia, per
l’odio, per il bisogno di essere migliore.
Mi abbracciò. Sam.
Il mio amico. Mio fratello. La metterai in pericolo mi aveva
detto.
Ed io non l’avevo ascoltato.
<<
Non è stata colpa tua >>
continuava a dire, mentre io conficcavo le dita nel muro e sentivo la polvere
invadere le dita insanguinate.
<<
Lasciami! >> riuscii a dire
cadendo in ginocchio. L’odore del mio sangue mi assaliva le narici. Il mio
sangue, un sangue diverso, un sangue che mi aveva impedito di vivere una vita
normale.
<<
Guarda la tua mano… è meglio che andiamo via. >> disse Seth avvicinandosi.
Non riuscivo più nemmeno a trovare
quella nota di fanciullezza che avevo sempre visto nei suoi occhi. Quella nota
sempre speranzosa e ricca di aspettativa.
Non riuscivo a vedere più niente.
<<
Non la lascio sola >>
riuscii a sussurrare. Respiravo affannosamente, ma il tremare era diminuito, il
fuoco non bruciava più.
Dovevo esserci. Io dovevo esserci
quando… lei… se ne sarebbe andata.
Ma se avevo dei
simili pensieri… allora stava succedendo davvero.
Liz era il mio
unico rimpianto. Perché il mio compito era quello di renderla felice e di
lasciarla vivere come meglio avesse voluto. Sempre. Mi sarei completamente
annullato per lei.
Ed io volevo
nascondermi, volevo nascondermi per piangere in silenzio.
Non mi sarei mai
abituato al buio della mia vita, mai. Perché lei era la mia luce, e nessuno
avrebbe mai potuto restituirmela.
La mia situazione
me ne ricordava un’ altra e mi ricordava di Bella, Bella ed Edward.
Lui aveva creduto
per ventiquattro ore che lei fosse morta… e che non l’avrebbe rivista mai più.
Lo avevo
sempre odiato, era come se in ogni momento in cui le era vicino, la
allontanasse da me, facendomi sentire sbagliato. Ma in quel
momento lo compresi, sì, lo compresi
perché lui non aveva nessuna possibilità.
Vivere per sempre,
sapendo che la ragazza che ami è morta a causa tua…
E’ una cosa che
uccide, uccide! Ma ti lascia cosciente. Ed è quella la vera maledizione… quando
sei morto dentro e non puoi morire davvero.
Forse il fatto che
lui l’avesse trasformata doveva essere compreso, forse era l’unico modo per
amarla.
Ma lui era un
immortale, io non lo ero… e avrei potuto rivedere Lizzy, un giorno. E dopo di
lei non ci sarebbe stata nessun’altra.
Continuavo ad
amarla e non avrei mai, mai smesso, anche se lei se ne fosse andata via.
Nel frattempo Alice
usciva ed entrava da quella camera, portando attrezzature e roba varia con un
espressione confusa. Nella confusione, nel dolore, nell’attesa, il sole non
aspettò per sorgere, e le vetrate della grande casa bianca presero colore,
facendo filtrare la luce del mattino nuvoloso.
Erano passate delle
ore, tutta la mattina trascorse così. Qualcuno mi invitò lasciare il mio posto sulle scale, ma io non lo
ascoltai. Qualcuno mi invitò a mangiare qualcosa, ma non l’ascoltai neppure. Nessuno
mi parlò.
Poi Carlisle uscì dalla stanza e venne verso di me.
<< Jake >> mi chiamò.
<< Ho bisogno di alcuni medicinali.
Dovresti andare alla farmacia più vicina per comprarli >> disse.
<< Ma Carlisle… Lizzy…? >>
<< E’ piuttosto urgente >>
Urgente. Era
urgente. Mi bastò quella parola per farmi smettere, e per uscire di corsa senza
guardare nessuno in viso, con in mano il foglio delle medicine che servivano a
Carlisle.
A piedi raggiunsi
la farmacia più vicina. Forse se il dottor Cullen mi aveva mandato a comprare
quei farmaci, era perché si poteva ancora fare qualcosa. Liz. Era forte, Liz
non mi avrebbe lasciato solo.
Speravo con tutto
il cuore che le verità che cercavo di costruire nella mia disperazione, si
dimostrassero vere.
Lo speravo con
tutto il cuore.
<< Buonasera
>> dissi. La voce roca e scura. Tossii per cercare di camuffare la
pena che ne traspariva. La mia voce, così come gli occhi, erano lo specchio del
mio dolore.
Era già sera, la
pioggia rendeva il cielo sempre più scuro del solito, e il clima nuvoloso non
favoriva l’atmosfera già triste che mi era intorno.
<< Cosa ti serve? >> mi chiese la farmacista con il
camice bianco, occhialuta, e i capelli riccioluti raccolti con una matita. La
pelle pallida, come ogni abitante di quella città, ma pur sempre nella norma di
una persona senza disturbi alimentari.
Le
porsi il foglio
con le medicine, la ferita sulla mia mano si era quasi completamente
rimarginata, in completo disaccordo con quello che sentivo dentro, e
lei guardò il biglietto attentamente, quasi fosse un testo
antico da
analizzare.
<< Ci sono tutte
>> disse fra sé e sé, ma lasciò che sentissi anche io.
Sospirai, forse per
tutto il fiato e la tensione trattenuta fino a quel momento.
La donna aprì dei
cassetti da cui estrasse molte confezioni. Le poggiò sul bancone per poi
prendere una busta in cui infilarle.
<< Sono 66 dollari e 75 >> disse.
Oh no. Con che cosa
le pagavo adesso le medicine? Cosa avrei detto alla farmacista?
Che stupido che
ero, neanche la presunta prossima morte della ragazza che più amavo al mondo
serviva a mettermi in riga?
<< Io non ce li ho qui. Ora. Può segnare il mio
nome, verrò a pagarle domani >>
La donna assunse un
espressione contrariata e disgustata.
<< Qui non facciamo credito a nessuno >> aggiunse.
<< Mi scusi davvero. Ma è molto importante. La
mia… la mia ragazza sta male… >>
Mi sembrò che
avrebbe ceduto.
<< Mi ha mandato il dottor Carlisle Cullen > aggiunsi. Come se servisse a qualcosa.
<< Carlisle? Potevi dirmelo prima >> disse con un sorriso, nascondendo
tutta l’espressione facciale precedente. Con quel comportamento arrivai alla
conclusione precisa che gli unici a non sopportare i Cullen eravamo noi, così
come tutti quelli che credevano che avessero un cattivo odore.
Mi porse il
sacchetto di plastica. La ringraziai con tutta la gentilezza che riuscii a
trovare e corsi via, più veloce che potevo verso la casa bianca ai confini del
bosco.
Le giornate erano
corte, ed il buio scese presto, accompagnando la mia corsa.
La porta in
ciliegio era socchiusa. Si lasciò aprire con una piccola spinta; era la porta
più silenziosa che avessi mai aperto, non percepii nemmeno un cigolio. O forse
ero io che non stavo tanto bene con la testa, tanto da notare il rumore che fa
una porta quando si apre.
Entrai in casa. Il
salone era deserto, e la mancanza dei respiri poteva far pensare a qualunque
altro essere umano che la casa fosse completamente abbandonata.
Il suono del
televisore mi guidò in cucina. I vampiri erano ben disposti, tutti a coppia.
Che nausea.
In fondo ero rimasto sempre lo stesso.
Stavo per dire
qualcosa, salutare forse, ma la mia attenzione fu catturata dalle parole che
pronunciava una giornalista
nella piatta scatola blu appesa al muro.
<< Il corpo della polizia di Forks sta indagando
sulla morte degli otto operai nel capannone nei pressi della periferia della
città. La causa di morte è di dissanguamento e, come dicono i medici che hanno
effettuato l’autopsia, il responsabile potrebbe essere un animale per ora non
ancora identificato.
Ancora sconosciute
le cause dell’incendio, che rendono l’avvenimento ancora più misterioso… >>
Emmet spense la
televisione, e tutti si voltarono verso di me. Teneva fra le braccia Rosalie,
che alternava la sua perenne espressione imbronciata ad una leggermente più
tranquilla, ma poco credibile almeno per me, fra le braccia dello scimmione.
Esme mi si
avvicinò, e con il suo movimento mi accorsi presto dell’assenza di Carlisle.
<< Carlisle ti aspetta su >> mi disse, con gli occhi che
somigliavano tanto a due pietre preziose dal color oro. I capelli
caramellati che soffici le incorniciavano il viso pallido.
Annuii e mi diressi
verso le scale, stringendo la busta bianca della farmacia con una forza che non
era necessaria.
Perché Esme non mi
aveva detto niente di Lizzy? Non voleva essere lei a dirmi che…
No. Non ci dovevo
pensare. Dovevo calmarmi. Carlisle voleva quei farmaci e sicuramente sarebbero
serviti a qualcosa. Lei sarebbe stata bene, sarebbe andato tutto bene…
Avevo percorso
tutte le scale correndo. Sembrava che non avessi più il controllo del mio
corpo, dei miei muscoli, di ogni mia funzione corporale.
Il dottor Cullen,
vestito con il suo maglioncino color grano un po’ stropicciato, teneva gli
occhi bassi.
Gli occhi color oro
facevano luce nel corridoio, quella luce ormai scomparsa con il tramonto del
sole.
Dio non lo sapeva
che i suoi dannati avrebbero potuto illuminare il buio con i loro occhi.
Sospirava. Sospirava?
Perché sospirava? Cosa stava per dirmi? E perché vidi le immagini svanire? Mi
guardò mentre io rimanevo immobile sul mio posto.
<< Jacob
>> mormorò.
Pregai, pregai per
davvero, perché era l’unica cosa che mi era rimasta.
Sperai che non
potesse vedere i miei occhi gonfi anche se non era possibile.
Mi mise una mano
sulla spalla, ed io non riuscii più ad alzare il capo.
Poi parlò.
<< Sta bene
>> disse. Io alzai lo sguardo.
<< Sta dormendo ora, quella vampira, Jane, aveva
il potere di far sentire il dolore con la mente. Prima aveva solo perso i sensi
e ha smesso di respirare per qualche minuto.
E’ come se avesse
avuto un calo di pressione, ma lei è forte e si riprenderà in un paio di
giorni. Certo ci ha fatto spaventare molto ma…
>>
Il suo discorso fu
interrotto dal mio abbraccio. Un abbraccio
vero.
Non credevo che avrei mai abbracciato un
vampiro…
<< Grazie
>> riuscii a dirgli con riconoscenza. Carlisle afferrò le medicine
che mi stavano cadendo dalla mano sinistra.
Sarebbe andato
tutto bene. Lei era forte, aveva resistito.
<< Non ringraziarmi, Jacob, è il minimo che
possiamo fare per te >> mi rispose
mentre io mi alzavo e mi dirigevo verso la stanza in cui Liz dormiva.
<< Però sarebbe meglio che tu la veda domani
mattina >>
Se le lacrime non
mi avevano ancora lasciato, era solo perché ero felice. La mano posata con
impazienza sulla maniglia della porta.
<< Va bene>> dissi a stento. Solo una
notte, sì, avrei dovuto aspettare solo una notte.
<< Sarai affamato >> mi disse Esme. Aveva salito le scale
dopo di me, ed io non me ne ero nemmeno accorto.
<< In realtà
>> feci per dire, ma la signora Cullen mi portò in cucina
rapidamente, e come una mamma con il
proprio figlio fu premurosa e gentile.
L’avrei rivista,
sì, potevo ancora stare con lei. Fino a quando lo avrebbe voluto. Sempre.
Fino
a quando lei me lo avrebbe permesso.
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto e che vi abbia trasmesso delle emozioni. Per me che scrivo
è la cosa più importante =)=)
Grazieee infinite :)
Ania <3
|
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Capitolo 30 *** 30 ***
jake 30
Il tempo passava
gocciolando; non riuscii neanche a dormire.
Non vedevo l’ora di rivederla di
nuovo.
Per qualche ora ero stato convinto di non rivedere mai più la ragazza
che amavo, fino a quando la morte non mi avrebbe portato da lei. In quel
medesimo istante invece, qualcosa mi impediva di addormentarmi, perché la vita
mi aveva dato un’altra a possibilità. Ancora una volta.
Fu molto strano
rimanere lì a dormire, poiché ero l’unico che ne aveva naturalmente bisogno.
Rimasero in casa solo Carlisle ed Esme, mentre gli altri passarono tutta la
notte fuori per andare a caccia.
Esme mi sistemò un
cuscino e una coperta sul divano bianco del salotto.
<< Questa dovrebbe andare bene >> diceva, mentre la stendeva.
<< Grazie, Esme
>>
Sapevo benissimo che non sarei riuscito a dormire e i motivi
erano tanti. Gli occhi rimanevano a guardare il soffitto bianco senza dare la
possibilità di rilassarmi anche solo per poco.
Pensavo a quello
che sarebbe successo dopo che Liz si sarebbe svegliata. Pensavo che magari
sarebbe stata l’ultima volta in cui mi avrebbe permesso di stare con lei. E
nonostante tutto, la sofferenza che mi portavano quei pensieri era dolce e
calma.
Dolce come era
sempre stata lei con me, e calma, perché avrei sempre avuto la convinzione che
lei sarebbe stata bene. Tutto dipendeva da questo.
Io dipendevo da
questo.
Esme e Carlisle
passarono la notte in una stanza lontana da quella in cui mi trovavo io,
lasciandomi solo con le mie riflessioni, accompagnate dal vento che soffiava
dalla finestra semichiusa della grande camera. Le foglie degli alberi danzavano
nel vento.
Tante
cadevano giù in modo brusco oppure dolcemente sul suolo,
altre rimanevano aggrappate ai rami anche quando sembrava che il vento
le
avrebbe vinte,anche quando sembrava che prima o poi si sarebbero
abbandonate alla caduta. Liz era una gracile foglia aggrappata ai
rami della vita. Ed io
ero il vento, che per starle vicino l’avevo inconsapevolmente
messa in
pericolo: un vento che avrebbe cercato di avvolgerla meglio, impedendo
che le
accadesse qualcosa che potesse nuocerla.
E il sonno non venne mai.
Quando la stanza si
illuminò con i leggeri raggi solari dell’alba, mi alzai dal mio letto
improvvisato.
Le ore successive
furono un’ulteriore tortura per me, che non mettevo mai i miei pensieri a
tacere, e che sentivo i battiti irregolari del mio cuore sottolineare quanto quell'attesa fosse difficile.
<< Jacob, puoi entrare se vuoi >> mi disse Alice, mentre usciva dalla
sua stanza.
Appena disse quelle
parole non ci fu nessun bisogno di chiedermelo una seconda volta.
Entrai in quella
stanza, ordinata, con una libreria colma di libri, un divanetto bianco e un
letto a baldacchino posto in mezzo alla stanza.
La luce esterna era
coperta da delle persiane bianche, che rendevano la stanza buia in una luce
soffusa.
Liz era stesa sul
quel letto con indosso qualcosa di pulito, una camicia da notte celeste.
Sicuramente doveva avergliela data
Alice, ma non fu quella la cosa che per prima attirò il mio sguardo.
Trovai il coraggio
di guardarla senza vergognarmi, perché il sentimento che mi invase in quel
momento fu proprio quello. La vergogna. Una vergogna che fu poi alterata da
tutto quello che provocò la sua immagine per i miei occhi. Il battito
accelerato, lo stomaco sottosopra.
La cosa che attirò
il mio sguardo fu lei, lei che posò i suoi occhi dalla finestra a me, lei che
mi guardò e non mi sorrise, ma che chiamò il mio nome. I capelli
ondulati e resi più scuri del suo semplice castano dai riflessi dorati a causa della flebile luce che circondava la stanza. Gli occhi
incorniciati da un sottile strato di lacrime.
<< Jake
>> sussurrò.
Le mie gambe si
mossero senza che io potessi dare loro un comando.
Lei mi accolse in
un abbraccio ed io la strinsi forte, per sentirla… e per farle sentire che io
ci sarei sempre stato.
Sui polsi aveva dai
cerotti bianchi per via delle flebo. E quando
pensai di lasciarla libera per guardarla in viso, lei non mi lasciò, ma
continuò a stringermi fra le sue braccia esili, come se qualcuno la stesse
portando via da me.
Come se
all’improvviso io me ne sarei andato.
<< Perdonami
>> mormorai.
<< Jake
>> continuava a chiamare il mio nome.
<< Non dovevo lasciare che ti facessero del
male >>
Le
lacrime dal suo
viso cadevano sulle mie spalle, ed io respiravo il suo profumo
armonioso, fra i
suoi capelli. Espirava, lasciando rigare il suo viso da lacrime
pungenti. Un groppo alla gola bloccò il fluire delle mie parole,
che
rimasero intrappolate senza trovare un modo per uscire.
Eppure lei
continuava ad abbracciarmi con quella piccola forza, esile, fragile, piccola.
<< Temevo di non rivederti più… >> continuò, poggiando stancamente il
capo sulle mie spalle.
<< Oh Liz, anch’io. E’ stata colpa mia >>
<< No! No, Jake! Non è stata colpa tua ma… Ero
così terrorizzata e quegli uomini… li hanno uccisi, Jake, la bionda mi ha detto
“ se chiudi gli occhi è meglio per te “ ma io non l’ho fatto perché sono stati
troppo veloci, e li ho visti infilare i canini al collo di quegli operai, e ho
visto il sangue, e avevo paura che mi uccidessero, avevo paura di non rivederti
più, di non rivedere più Sil, di non poter avere più paura del futuro >>
La sua voce tremava
e la sentii vibrare sulla pelle, sul cuore, nell’aria, come se qualcosa stesse
per scoppiare, come se all’improvviso sarebbero schizzati mille pezzi di
vetro contro i miei occhi.
Sentii le sue
lacrime scivolare sul mio collo.
<< Il tuo futuro sarà splendido, Liz >>
I suoi occhi finalmente incontrarono i miei. Era incredibile quanto fossero meravigliosi, infiniti
come l’orizzonte. Mi staccai da lei e rimasi in piedi.
<< Ti porterò a casa appena starai meglio
>>
Lei deglutì.
<< E potrai fare della tua vita quello che
vuoi. Non ci sarà più niente a farti stare male
>> Cominciò a tremare anche la mia voce, roca e improvvisamente
debole.
Liz tentò di
asciugare il suo viso servendosi di una piccola carezza con le mani.
<< Cosa intendi con questo? >> chiese allarmata.
Fissai lo sguardo
in un punto indefinito della camera, che forse andò a sfiorare i grandi volumi
della libreria nella stanza. Ero sicuro che se l’avessi guardata in viso e
avessi incontrato di nuovo quegli occhi, non avrei più proseguito.
<< Jake
>> continuò. Ed io non dovevo voltarmi, non dovevo voltarmi.
“ Non la guardare,
Jacob, non la guardare.”
Era incredibile
come la sua presenza potesse infondermi forza, amore, e allo stesso tempo farmi
sentire debole, incapace, proprio come in quel momento.
<< Guardami, ti prego >> la voce sussurrata all’aria mi
richiamò e fu come essere risucchiato da un’ondata di fiamme.
Lizzy si era alzata
e con la sua docile debolezza era riuscita a far incontrare i miei occhi con i suoi.
Si tenne stretta alle mie braccia mentre io la sorreggevo impaurito. Sembrava
impossibile che fosse così leggera, sottile, vulnerabile.
<< Ti prego, promettimi… >>
le sue gambe non ressero più e le
ginocchia cedettero, mentre lei si mordeva stancamente il labbro
inferiore come per cercare di trovare una soluzione al suo mancato
equilibrio.
<< Liz, non dovevi alzarti >>
le dicevo riportandola a letto. Era incredibile quanto fosse leggera,
sembrava che pesasse allo stesso modo di una bambina.
Cercai subito di coprirla con le coperte ma poi lei mi prese le mani e mi
fermò, causando una fortissima scarica di elettricità in tutte le funzioni
nervose del mio corpo.
Oh mio Dio, dovevo
dirle che sarebbe stato meglio per lei se non ci fossimo più visti. Ed io non
ce la facevo. Era come correre contro vento, era come camminare su delle spine
a piedi nudi. Era tutto così giusto per il mio cervello, e così sbagliato per i
nostri cuori.
Se fossi stato un
automa sarebbe stato tutto più semplice. Ma io ero un essere umano, nonostante
tutto, e l’organo che avevo nel petto riusciva a manovrarmi come un burattino.
E l’avrei buttato via e calpestato se non fosse stato per il fatto che solo
grazie ad esso provavo quell’amore sconvolgente verso di lei. E non riuscivo più
a cacciarlo via quell’amore;
era indelebile, mi aveva scalfito l’anima e non voleva
saperne di lasciarmi solo. Ma io volevo fare tutto questo per lei, anche se
alla fine sarei stato male fino a morirne. E la morte sarebbe stata una
passeggiata in confronto a tutta la vita che avrei passato, se fossimo rimasti
separati.
<< Promettimi
>>
<< E’ meglio che ti stendi, forza >>
<< Per favore, Jake >>
<< Tutto quello che vuoi >> Non resistetti più. Il muro della
ragione fu demolito, la diga era stata spazzata via dal fiume, la sua voce mi
aveva trafitto i timpani, il cuore, la mia forza di volontà.
Tutto quello che
voleva, io avrei fatto qualunque cosa. E in quel momento ne divenni
completamente cosciente.
<< Promettimi che non mi lascerai per questa situazione >>
<< Hai visto cosa ti è successo. Hai visto
quello che hai passato. Tutto perché stai con me, tutto perché io sono così.
Pensi davvero di meritarlo? >> Tentai di seguire la ragione, anche se sapevo che non sarebbe stato facile per
me, che ero tanto impulsivo.
<< Non mi importa che cosa sei, non mi importa
da dove provieni. Ho bisogno di te.
Non posso
sopravvivere anche a questo. >> Mi
guardava con quei suoi occhi dalle sfumature color ambra, arrossati per il pianto, ma così penentranti che
riuscirono a scavare dentro di me un solco profondo come un abisso. E sapevo
che se mi fossi comportato come mi diceva la mia illusoria facoltà mentale,
sarei rimasto con quel solco vuoto per tutta la vita, e ne sarei stato
consapevole fino alla fine.
<< Penso che non sopravvivrei neanche io >> dissi a bassa voce.
Mi aveva rapito
ancora una volta. Non potevo negare di amarla perdutamente, e quel sentimento
cresceva, sempre, in ogni momento. Era cresciuto quando credevo che se ne
sarebbe andata e stava crescendo in quel momento, con ogni parola che
pronunciava, con ogni respiro.
Mi attirò di nuovo
a sé, ed io ebbi paura di farle male con il mio peso. Mi tenni in
equilibrio con le mani sulla coperta, sentendo il fitto battito del suo core attraverso la leggera camicietta.
Con il capo percorsi il profilo del suo
collo, fino a toccarle il mento. Poi con un movimento quasi autonomo
toccai le
sue labbra con le mie, le quali si modellarono una sull’altra e
si accolsero
come avevano sempre sperato di fare. Fu il bacio più profondo
che ci fossimo
mai scambiati. Con la bocca ci stavamo restituendo il nostro desiderio di amarci ancora durante tutti quegli attimi
di
angoscia che avevano preceduto quell’istante. E continuammo fino
a quando il
fiato ce lo permise, fino a quando non sentii anche il suo fiatone
invadermi le
orecchie. E allora a fiato corto, mi sciolsi dall’intreccio delle
nostre labbra, allontanai le braccia che avevano avolto le sue spalle, le lasciai cadere sui finachi e
la guardai ancora.
Le rimasi
abbracciato per un secondo meraviglioso, e a quel punto sentii il sospiro che
lasciava cader fuori quando sorrideva. Un sorriso stanco, compiaciuto,
desiderato. E la fossetta sulla guancia contro la mia.
E poi un sospiro ancora,
il mio, un sospiro prima di riprendere fiato, prima di cercare un po’ di
controllo, quello che perdevo sempre, quello che fuggiva sempre via quando il
cuore mi batteva così forte.
Poi parlai, il groppo alla gola sparì, e le parole risultarono chiare, sentite e... vere.
<< Ti amo, ti amo, ti amo >> le dissi, sussurrandoglielo
all’orecchio.
<< Ti amo
anch’io, Jake. >> Ma era qualcosa
che andava oltre tutto, non era semplice amore, non erano semplici parole.
Andava oltre qualunque cosa, portando distruzione e pace, portando sofferenza e
serenità. E avrei deciso di soffrire ancora come avevo sofferto prima, per
provare quello che lei non sapeva nemmeno, forse, di scatenare in me. Quello
sguardo sembrò durare un eternità. Mi dava amore, felicità, speranza, voglia di
vivere, mi dava quello che avevo perso nel percorso della mia vita.
<< Manterrai la promessa? >> chiese poco dopo.
<< Certo, Liz. E farò in modo che vada tutto
bene. Il tuo futuro sarà splendido
>>
<< Perché tu ne farai parte >> mi disse guardandomi negli occhi. Li socchiuse ed io con lei feci lo stesso. Avvicinò le sue labbra alle
mie ed io lasciai che mi raggiungessero. Quel bacio mi aiutò a rendere reale la
convinzione che lei fosse viva. L’abbracciavo, la tenevo stretta, e la baciavo.
Era tutto vero.
***
Quando la porta fu
aperta e Liz rimase stretta fra le mie braccia, sviando lo sguardo, mentre io
cercavo di mettermi seduto in un modo più naturale.
Era Carlisle, che con
i suoi vestiti quotidiani poteva sembrare tutto fuor che un dottore.
<< Buongiorno
>> disse.
<< Sei riuscita a dormire? >> chiese.
<< Sì, ho dormito, mi sento meglio rispetto a
ieri ma sono ancora debole >>
Rispose Lizzy, che guardava il dottor Cullen con un’aria perplessa.
<< Non preoccuparti, passerà tutto entro domani,
sicuramente avrai fame. Alice sta portando la colazione >>.
Liz abbozzò un
sorriso luminoso. Doveva avere davvero tanta fame.
Mi sembrò opportuno
presentarle Carlisle, poiché forse non aveva idea di chi fosse.
<< Lizzy, lui è il dottor Cullen, Carlisle
Cullen >> cominciai a dire.
Carlisle si
avvicinò alla finestra e aprì la tenda. Il cielo ancora coperto da perenni
nuvole grigie.
<< Giusto, Jake, stavo per presentarmi, ieri eri così
stanca e spaventata che mi sembrava inaccessibile fare le presentazioni >> disse, riferendosi a Lizzy. Si
strinsero la mano e quando Liz la ritrasse improvvisamente al primo tocco,
Carlisle si mostrò comprensivo.
Lei prese la mia.
Come sempre fu come una scarica elettrica.
<< Loro sono…
> fece per dire.
<< Sì, Liz, loro sono dei vampiri, quelli che
avremmo dovuto uccidere… ma non lo avremmo mai fatto >>
<< Ci nutriamo di sangue animale, non faremmo
del male a nessuno >>
Liz mi guardò come
per cercare una conferma e in quel frattempo entrò Alice con un vassoio da
colazione, colmo di biscotti e un tazza di latte e cacao.
<< Credo che tutto questo sia commestibile >> disse, entrando a punta di piedi.
<< E tu devi avere molta ma molta fame giusto? >> disse a Liz, come se stesse parlando
con una bambina malata.
Le scappò un
sorriso.
<< I maschi fuori cortesemente >> cantilenò con l'allegria nella voce. Allora mi alzai
dal letto lasciando delicatamente la mano di Lizzy intrecciata alla mia.
La baciai sulla
guancia.
<< Ci vediamo dopo >>
<< Sì
>> mi sussurrò.
E
quando Carlisle
chiuse la porta, mi resi davvero conto che quello che avevo visto non
era nè un' allucinazione nè un’ illusione.
Era tutto così
incredibilmente bello che sembrava che sogno e realtà si fossero appartati in
una stessa dimensione. Ma non era un sogno e nemmeno la mia immaginazione,
l’immagine di vita che mi avevano ridato i suoi occhi non poteva essere altro
che la pura verità.
*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vi
abbia trasmesso delle emozioni. Per me che scrivo è la cosa più importante
=)=)
Grazie mille
Ania <3
|
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Capitolo 31 *** 31 ***
jake 30
Il tempo passava
gocciolando; non riuscii neanche a dormire.
Non vedevo l’ora di rivederla di
nuovo.
Per qualche ora ero stato convinto di non rivedere mai più la ragazza
che amavo, fino a quando la morte non mi avrebbe portato da lei. In quel
medesimo istante invece, qualcosa mi impediva di addormentarmi, perché la vita
mi aveva dato un’altra a possibilità. Ancora una volta.
Fu molto strano
rimanere lì a dormire, poiché ero l’unico che ne aveva naturalmente bisogno.
Rimasero in casa solo Carlisle ed Esme, mentre gli altri passarono tutta la
notte fuori per andare a caccia.
Esme mi sistemò un
cuscino e una coperta sul divano bianco del salotto.
<< Questa dovrebbe andare bene >> diceva, mentre la stendeva.
<< Grazie, Esme
>>
Sapevo benissimo che non sarei riuscito a dormire e i motivi
erano tanti. Gli occhi rimanevano a guardare il soffitto bianco senza dare la
possibilità di rilassarmi anche solo per poco.
Pensavo a quello
che sarebbe successo dopo che Liz si sarebbe svegliata. Pensavo che magari
sarebbe stata l’ultima volta in cui mi avrebbe permesso di stare con lei. E
nonostante tutto, la sofferenza che mi portavano quei pensieri era dolce e
calma.
Dolce come era
sempre stata lei con me, e calma, perché avrei sempre avuto la convinzione che
lei sarebbe stata bene. Tutto dipendeva da questo.
Io dipendevo da
questo.
Esme e Carlisle
passarono la notte in una stanza lontana da quella in cui mi trovavo io,
lasciandomi solo con le mie riflessioni, accompagnate dal vento che soffiava
dalla finestra semichiusa della grande camera. Le foglie degli alberi danzavano
nel vento.
Tante
cadevano giù in modo brusco oppure dolcemente sul suolo,
altre rimanevano aggrappate ai rami anche quando sembrava che il vento
le
avrebbe vinte,anche quando sembrava che prima o poi si sarebbero
abbandonate alla caduta. Liz era una gracile foglia aggrappata ai
rami della vita. Ed io
ero il vento, che per starle vicino l’avevo inconsapevolmente
messa in
pericolo: un vento che avrebbe cercato di avvolgerla meglio, impedendo
che le
accadesse qualcosa che potesse nuocerla.
E il sonno non venne mai.
Quando la stanza si
illuminò con i leggeri raggi solari dell’alba, mi alzai dal mio letto
improvvisato.
Le ore successive
furono un’ulteriore tortura per me, che non mettevo mai i miei pensieri a
tacere, e che sentivo i battiti irregolari del mio cuore sottolineare quanto quell'attesa fosse difficile.
<< Jacob, puoi entrare se vuoi >> mi disse Alice, mentre usciva dalla
sua stanza.
Appena disse quelle
parole non ci fu nessun bisogno di chiedermelo una seconda volta.
Entrai in quella
stanza, ordinata, con una libreria colma di libri, un divanetto bianco e un
letto a baldacchino posto in mezzo alla stanza.
La luce esterna era
coperta da delle persiane bianche, che rendevano la stanza buia in una luce
soffusa.
Liz era stesa sul
quel letto con indosso qualcosa di pulito, una camicia da notte celeste.
Sicuramente doveva avergliela data
Alice, ma non fu quella la cosa che per prima attirò il mio sguardo.
Trovai il coraggio
di guardarla senza vergognarmi, perché il sentimento che mi invase in quel
momento fu proprio quello. La vergogna. Una vergogna che fu poi alterata da
tutto quello che provocò la sua immagine per i miei occhi. Il battito
accelerato, lo stomaco sottosopra.
La cosa che attirò
il mio sguardo fu lei, lei che posò i suoi occhi dalla finestra a me, lei che
mi guardò e non mi sorrise, ma che chiamò il mio nome. I capelli
ondulati e resi più scuri del suo semplice castano dai riflessi dorati a causa della flebile luce che circondava la stanza. Gli occhi
incorniciati da un sottile strato di lacrime.
<< Jake
>> sussurrò.
Le mie gambe si
mossero senza che io potessi dare loro un comando.
Lei mi accolse in
un abbraccio ed io la strinsi forte, per sentirla… e per farle sentire che io
ci sarei sempre stato.
Sui polsi aveva dai
cerotti bianchi per via delle flebo. E quando
pensai di lasciarla libera per guardarla in viso, lei non mi lasciò, ma
continuò a stringermi fra le sue braccia esili, come se qualcuno la stesse
portando via da me.
Come se
all’improvviso io me ne sarei andato.
<< Perdonami
>> mormorai.
<< Jake
>> continuava a chiamare il mio nome.
<< Non dovevo lasciare che ti facessero del
male >>
Le
lacrime dal suo
viso cadevano sulle mie spalle, ed io respiravo il suo profumo
armonioso, fra i
suoi capelli. Espirava, lasciando rigare il suo viso da lacrime
pungenti. Un groppo alla gola bloccò il fluire delle mie parole,
che
rimasero intrappolate senza trovare un modo per uscire.
Eppure lei
continuava ad abbracciarmi con quella piccola forza, esile, fragile, piccola.
<< Temevo di non rivederti più… >> continuò, poggiando stancamente il
capo sulle mie spalle.
<< Oh Liz, anch’io. E’ stata colpa mia >>
<< No! No, Jake! Non è stata colpa tua ma… Ero
così terrorizzata e quegli uomini… li hanno uccisi, Jake, la bionda mi ha detto
“ se chiudi gli occhi è meglio per te “ ma io non l’ho fatto perché sono stati
troppo veloci, e li ho visti infilare i canini al collo di quegli operai, e ho
visto il sangue, e avevo paura che mi uccidessero, avevo paura di non rivederti
più, di non rivedere più Sil, di non poter avere più paura del futuro >>
La sua voce tremava
e la sentii vibrare sulla pelle, sul cuore, nell’aria, come se qualcosa stesse
per scoppiare, come se all’improvviso sarebbero schizzati mille pezzi di
vetro contro i miei occhi.
Sentii le sue
lacrime scivolare sul mio collo.
<< Il tuo futuro sarà splendido, Liz >>
I suoi occhi finalmente incontrarono i miei. Era incredibile quanto fossero meravigliosi, infiniti
come l’orizzonte. Mi staccai da lei e rimasi in piedi.
<< Ti porterò a casa appena starai meglio
>>
Lei deglutì.
<< E potrai fare della tua vita quello che
vuoi. Non ci sarà più niente a farti stare male
>> Cominciò a tremare anche la mia voce, roca e improvvisamente
debole.
Liz tentò di
asciugare il suo viso servendosi di una piccola carezza con le mani.
<< Cosa intendi con questo? >> chiese allarmata.
Fissai lo sguardo
in un punto indefinito della camera, che forse andò a sfiorare i grandi volumi
della libreria nella stanza. Ero sicuro che se l’avessi guardata in viso e
avessi incontrato di nuovo quegli occhi, non avrei più proseguito.
<< Jake
>> continuò. Ed io non dovevo voltarmi, non dovevo voltarmi.
“ Non la guardare,
Jacob, non la guardare.”
Era incredibile
come la sua presenza potesse infondermi forza, amore, e allo stesso tempo farmi
sentire debole, incapace, proprio come in quel momento.
<< Guardami, ti prego >> la voce sussurrata all’aria mi
richiamò e fu come essere risucchiato da un’ondata di fiamme.
Lizzy si era alzata
e con la sua docile debolezza era riuscita a far incontrare i miei occhi con i suoi.
Si tenne stretta alle mie braccia mentre io la sorreggevo impaurito. Sembrava
impossibile che fosse così leggera, sottile, vulnerabile.
<< Ti prego, promettimi… >>
le sue gambe non ressero più e le
ginocchia cedettero, mentre lei si mordeva stancamente il labbro
inferiore come per cercare di trovare una soluzione al suo mancato
equilibrio.
<< Liz, non dovevi alzarti >>
le dicevo riportandola a letto. Era incredibile quanto fosse leggera,
sembrava che pesasse allo stesso modo di una bambina.
Cercai subito di coprirla con le coperte ma poi lei mi prese le mani e mi
fermò, causando una fortissima scarica di elettricità in tutte le funzioni
nervose del mio corpo.
Oh mio Dio, dovevo
dirle che sarebbe stato meglio per lei se non ci fossimo più visti. Ed io non
ce la facevo. Era come correre contro vento, era come camminare su delle spine
a piedi nudi. Era tutto così giusto per il mio cervello, e così sbagliato per i
nostri cuori.
Se fossi stato un
automa sarebbe stato tutto più semplice. Ma io ero un essere umano, nonostante
tutto, e l’organo che avevo nel petto riusciva a manovrarmi come un burattino.
E l’avrei buttato via e calpestato se non fosse stato per il fatto che solo
grazie ad esso provavo quell’amore sconvolgente verso di lei. E non riuscivo più
a cacciarlo via quell’amore;
era indelebile, mi aveva scalfito l’anima e non voleva
saperne di lasciarmi solo. Ma io volevo fare tutto questo per lei, anche se
alla fine sarei stato male fino a morirne. E la morte sarebbe stata una
passeggiata in confronto a tutta la vita che avrei passato, se fossimo rimasti
separati.
<< Promettimi
>>
<< E’ meglio che ti stendi, forza >>
<< Per favore, Jake >>
<< Tutto quello che vuoi >> Non resistetti più. Il muro della
ragione fu demolito, la diga era stata spazzata via dal fiume, la sua voce mi
aveva trafitto i timpani, il cuore, la mia forza di volontà.
Tutto quello che
voleva, io avrei fatto qualunque cosa. E in quel momento ne divenni
completamente cosciente.
<< Promettimi che non mi lascerai per questa situazione >>
<< Hai visto cosa ti è successo. Hai visto
quello che hai passato. Tutto perché stai con me, tutto perché io sono così.
Pensi davvero di meritarlo? >> Tentai di seguire la ragione, anche se sapevo che non sarebbe stato facile per
me, che ero tanto impulsivo.
<< Non mi importa che cosa sei, non mi importa
da dove provieni. Ho bisogno di te.
Non posso
sopravvivere anche a questo. >> Mi
guardava con quei suoi occhi dalle sfumature color ambra, arrossati per il pianto, ma così penentranti che
riuscirono a scavare dentro di me un solco profondo come un abisso. E sapevo
che se mi fossi comportato come mi diceva la mia illusoria facoltà mentale,
sarei rimasto con quel solco vuoto per tutta la vita, e ne sarei stato
consapevole fino alla fine.
<< Penso che non sopravvivrei neanche io >> dissi a bassa voce.
Mi aveva rapito
ancora una volta. Non potevo negare di amarla perdutamente, e quel sentimento
cresceva, sempre, in ogni momento. Era cresciuto quando credevo che se ne
sarebbe andata e stava crescendo in quel momento, con ogni parola che
pronunciava, con ogni respiro.
Mi attirò di nuovo
a sé, ed io ebbi paura di farle male con il mio peso. Mi tenni in
equilibrio con le mani sulla coperta, sentendo il fitto battito del suo core attraverso la leggera camicietta.
Con il capo percorsi il profilo del suo
collo, fino a toccarle il mento. Poi con un movimento quasi autonomo
toccai le
sue labbra con le mie, le quali si modellarono una sull’altra e
si accolsero
come avevano sempre sperato di fare. Fu il bacio più profondo
che ci fossimo
mai scambiati. Con la bocca ci stavamo restituendo il nostro desiderio di amarci ancora durante tutti quegli attimi
di
angoscia che avevano preceduto quell’istante. E continuammo fino
a quando il
fiato ce lo permise, fino a quando non sentii anche il suo fiatone
invadermi le
orecchie. E allora a fiato corto, mi sciolsi dall’intreccio delle
nostre labbra, allontanai le braccia che avevano avolto le sue spalle, le lasciai cadere sui finachi e
la guardai ancora.
Le rimasi
abbracciato per un secondo meraviglioso, e a quel punto sentii il sospiro che
lasciava cader fuori quando sorrideva. Un sorriso stanco, compiaciuto,
desiderato. E la fossetta sulla guancia contro la mia.
E poi un sospiro ancora,
il mio, un sospiro prima di riprendere fiato, prima di cercare un po’ di
controllo, quello che perdevo sempre, quello che fuggiva sempre via quando il
cuore mi batteva così forte.
Poi parlai, il groppo alla gola sparì, e le parole risultarono chiare, sentite e... vere.
<< Ti amo, ti amo, ti amo >> le dissi, sussurrandoglielo
all’orecchio.
<< Ti amo
anch’io, Jake. >> Ma era qualcosa
che andava oltre tutto, non era semplice amore, non erano semplici parole.
Andava oltre qualunque cosa, portando distruzione e pace, portando sofferenza e
serenità. E avrei deciso di soffrire ancora come avevo sofferto prima, per
provare quello che lei non sapeva nemmeno, forse, di scatenare in me. Quello
sguardo sembrò durare un eternità. Mi dava amore, felicità, speranza, voglia di
vivere, mi dava quello che avevo perso nel percorso della mia vita.
<< Manterrai la promessa? >> chiese poco dopo.
<< Certo, Liz. E farò in modo che vada tutto
bene. Il tuo futuro sarà splendido
>>
<< Perché tu ne farai parte >> mi disse guardandomi negli occhi. Li socchiuse ed io con lei feci lo stesso. Avvicinò le sue labbra alle
mie ed io lasciai che mi raggiungessero. Quel bacio mi aiutò a rendere reale la
convinzione che lei fosse viva. L’abbracciavo, la tenevo stretta, e la baciavo.
Era tutto vero.
***
Quando la porta fu
aperta e Liz rimase stretta fra le mie braccia, sviando lo sguardo, mentre io
cercavo di mettermi seduto in un modo più naturale.
Era Carlisle, che con
i suoi vestiti quotidiani poteva sembrare tutto fuor che un dottore.
<< Buongiorno
>> disse.
<< Sei riuscita a dormire? >> chiese.
<< Sì, ho dormito, mi sento meglio rispetto a
ieri ma sono ancora debole >>
Rispose Lizzy, che guardava il dottor Cullen con un’aria perplessa.
<< Non preoccuparti, passerà tutto entro domani,
sicuramente avrai fame. Alice sta portando la colazione >>.
Liz abbozzò un
sorriso luminoso. Doveva avere davvero tanta fame.
Mi sembrò opportuno
presentarle Carlisle, poiché forse non aveva idea di chi fosse.
<< Lizzy, lui è il dottor Cullen, Carlisle
Cullen >> cominciai a dire.
Carlisle si
avvicinò alla finestra e aprì la tenda. Il cielo ancora coperto da perenni
nuvole grigie.
<< Giusto, Jake, stavo per presentarmi, ieri eri così
stanca e spaventata che mi sembrava inaccessibile fare le presentazioni >> disse, riferendosi a Lizzy. Si
strinsero la mano e quando Liz la ritrasse improvvisamente al primo tocco,
Carlisle si mostrò comprensivo.
Lei prese la mia.
Come sempre fu come una scarica elettrica.
<< Loro sono…
> fece per dire.
<< Sì, Liz, loro sono dei vampiri, quelli che
avremmo dovuto uccidere… ma non lo avremmo mai fatto >>
<< Ci nutriamo di sangue animale, non faremmo
del male a nessuno >>
Liz mi guardò come
per cercare una conferma e in quel frattempo entrò Alice con un vassoio da
colazione, colmo di biscotti e un tazza di latte e cacao.
<< Credo che tutto questo sia commestibile >> disse, entrando a punta di piedi.
<< E tu devi avere molta ma molta fame giusto? >> disse a Liz, come se stesse parlando
con una bambina malata.
Le scappò un
sorriso.
<< I maschi fuori cortesemente >> cantilenò con l'allegria nella voce. Allora mi alzai
dal letto lasciando delicatamente la mano di Lizzy intrecciata alla mia.
La baciai sulla
guancia.
<< Ci vediamo dopo >>
<< Sì
>> mi sussurrò.
E
quando Carlisle
chiuse la porta, mi resi davvero conto che quello che avevo visto non
era nè un' allucinazione nè un’ illusione.
Era tutto così
incredibilmente bello che sembrava che sogno e realtà si fossero appartati in
una stessa dimensione. Ma non era un sogno e nemmeno la mia immaginazione,
l’immagine di vita che mi avevano ridato i suoi occhi non poteva essere altro
che la pura verità.
*
Spero che questo capitolo vi sia piaciuto e che vi
abbia trasmesso delle emozioni. Per me che scrivo è la cosa più importante
=)=)
Grazie mille
Ania <3
|
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Capitolo 32 *** 32 ***
jake 31
Proprio come aveva
detto Carlisle, Lizzy si riprese molto velocemente.
Ero così felice di
vederla stare bene, così felice che mi sembrava di stare sognando tutto.
Due giorni prima,
credevo che la ragazza che amavo stesse per morire e invece, lei c’era ancora.
Avrebbe vissuto la vita che desiderava, sarebbe tornata a scuola, e avrebbe
visto sua sorella crescere. Cosa banali, ma che quando si perdono, diventano importanti.
Lizzy
sembrò
trovarsi a suo agio fra i “ vampiri” e non riusciva a
capire bene come
potessero essere così simili agli umani. La paura iniziale venne
placata e lei si ambientò quietamente in quella casa grande,
bianca, e immersa nel bosco di Forks.
Alice si affezionò molto a lei, le
regalò moltissimi vestiti e le espressioni che faceva Liz ogni volta che li
riceveva erano un misto fra la sorpresa e la gratitudine. Forse non sarebbe
riuscita a chiudere le valige.
Sembrava
che
fossero diventate amiche. Alice Cullen aveva sempre quell’effetto
sulle ragazze. Nonostante ciò, Lizzy legò molto
con Emily, che per la prima volta mise piede nella fredda e chiara casa
dei
Cullen e anche con Leah, in un modo che mi sorprese sfacciatamente.
Leah si dimostrò gentile con lei, e non faceva altro che
preoccuparsi. Al contrario
di Emily, lei non entrò mai nella casa dei Cullen, e il
disprezzo verso di loro
non diminuì. Potevo benissimo capire il perché. Mi
ricordai di quando, appena
arrivato a Forks, eravamo finiti a parlare proprio della
sua immutabile condizione di incertezza e sofferenza.
<<
Io sono
innamorata di un ragazzo che non mi guarderà mai. E sarà sempre così.
Pensi che sia facile sentire la sua voce, che dice “ ti amo”, “ ti
proteggerò sempre”, “ ti aspettavo da tutta la vita” ad una ragazza, che non
sono io? Se esistesse un metodo per rovinarsi la vita, sarebbe proprio questo >>
<< Allora
scappa, Leah >>
<< Non posso scappare, Jacob, Sam è il capo branco e
tutti dobbiamo obbedirgli. Tu hai potuto lasciare Forks, perché anche tu sei
un maschio alfa. Io non posso, anche se non so che cosa sono >>
Mi vennero i brividi solo a pensarci. Ed
io non potevo far nulla per aiutarla. Era una vera frustrazione, perché meglio
di chiunque altro io potevo capirla.
Inoltre
dovevo
essere molto grato ai Cullen. Non solo mi avevano aiutato a salvare la
ragazza
che mi aveva salvato la vita, ma perchè l’avevano accolta
nella loro casa come se
fosse stata una figlia. Non parlarono mai di Bella o di tutti gli
argomenti che
potevano inserirla nel discorso; non volevo che Lizzy sapesse.
Nonostante non avessi espresso loro quel mio desiderio, fu come se ne
avessi parlato a voce alta. Non era un
segreto, era semplicemente il mio passato; non era oscuro ma triste e
parlare di qualcosa che mi aveva fatto tanto male, non era fra le prime
cose da
fare sulla lista. Non era fra le prime cose di cui far sentire parte
Liz. Non era ancora fra le mie priorità.
Ma oltre ai Cullen
dovevo ringraziare i miei amici, i miei cari e splendidi amiciche mii avevano
sostenuto, mi avevano aiutato, avevano permesso che il mio sogno continuasse a
vivere nel centro della mia esistenza.
E in quel momento
difficile avevo scoperto quanto fossero importanti per me. Mi avevano dato
forza quando non sapevo che cosa fare, e quando credevo che non mi sarebbe più
stato possibile reagire alle sfide che la vita mi costringeva ad affrontare.
Perché la vita è fatta di sfide, di prove, nate per metterti in difficoltà, per
indebolirti. La vita, oltre ad essere ingiusta, ti sottopone a verdetti senza
logica, ti fa soffrire… ma alla fine ti regala dei momenti meravigliosi, per i
quali non potresti ringraziare nessuno se non la vita stessa.
<< Pensi che resterai anche per la prossima
settimana? >> mi chiese Seth,
mentre portavamo i piatti sporchi di briciole di torta al lavello della casetta di Emily.
<< Non posso, Seth. Siamo già rimasti più del
previsto, e poi la scuola comincia fra poco.
>>
<< Ah. Va bene
>> disse con aria sconsolata, sedendosi. Un’aria che non si
adattava molto alla sua imponente corporatura, ormai tanto più simile a quella
degli altri ragazzi.
<< Lo sapevi che non sarei rimasto a lungo >>
<< Sì, ma…
>>
<< Seth era curioso di sapere se ti andava di
vedere una persona >> aggiunse
Embry, che insieme agli altri era seduto intorno al tavolo. Emily lasciò la
spugna e i piatti e si rinchiuse in una stanza della casa “ per cercare delle
cose” come ci aveva detto lei.
<< Una persona?
>> chiesi io, come se non sapessi di chi si trattava.
<< Ci pensa da quando sei arrivato. E
naturalmente noi dobbiamo sentire tutte le sue meditazioni esistenziali. >>
<< Quoto Embry
>> aggiunse Paul, mentre Jared, Sam e Quil ci guardavano ridendo.
Purtroppo io non
riuscii ad unirmi alla loro risata.
<< Non voglio sentire niente che riguardi
quell’argomento >>
<< No. Tu non vuoi sentire niente che riguardi
Bella Swan. E’ diverso >>
Mi alzai dal mio
posto velocemente. Non volevo sapere più niente che riguardasse Bella, anche se
non ne ero fermamente convinto. Era una cosa che mi spaventava, che mi faceva
venire il fiato corto e il sudore freddo.
<< Non hai nemmeno voluto sapere che cosa ha
raccontato a Charlie! >> esclamò
Seth.
<< Adesso, dato che il mocciosetto ha fatto
amicizia con i vampiri, Jacob Black deve fare la pace e perdonare tutti quelli
che fanno parte dei Cullen. Non è vero?
>>
<< Sei un cretino, Jake >> rispose lui, scuotendo il capo.
<< Mi si addice proprio. Grazie, Seth >> dissi, appoggiandomi
al muro con i pugni tirati lungo i fianchi. Fissai lo sguardo in un’altra parte
della stanza e in un battito d'ali di una farfalla nel cielo riemersero dal fondo certi pensieri che una volta ero riuscito a
seppellire bene. Domande a cui mi ero rassegnato di non dover più trovare risposta.
Bella...
Che cosa aveva
raccontato Bella a Charlie?
Charlie sapeva
tutto?
Aveva mai ucciso
nessuno?
Si era ricordata di
me?
Era felice di quella sua nuova vita?
<< Jacob, magari è meglio che tu sappia alcune
cose, quello che hai tralasciato mentre eri via. Molte sono cambiate.
Questo non significa che tu debba riprendere i rapporti >> disse Sam.
Aveva ragione. Contro
tutto e tutti io dovevo essere a corrente di certi avvenimenti.
<< Quando Bella è tornata dalla luna di miele,
aveva la pancia deformata. Sembrava che avesse ingoiato un grosso masso, e che
questo crescesse sempre di più e si alimentasse con il crescere della sua
debolezza. Sono cose che hai visto anche tu.
E tu, contro tutti.
Ci hai detto di non uccidere il feto.
>>
Deglutii e tornai a
sedermi. Rammentai quei momenti, rammentai i sentimenti che avevo provato, e
notai quanto fossero vicini a quelli che avevo provato quando i Volturi avevano
rapito Lizzy e Jane le aveva inflitto quel dolore mentale.
Ricordai il viso di
Bella, i suoi occhi scuri e grandi. Dolci. Ricordai la sua pelle lunare,
lattea, e ricordai di quando la prendevo in giro, d’estate, quando avevo sette
anni.
Ricordai l’ultima
volta in cui avevo visto quegli occhi. Appannati dalle lacrime e dal sangue.
L’avevo implorata di restare, di non buttare tutto via così, di non rinunciare
a vivere per morire. Perché era quello a cui andava incontro, la morte, in ogni
circostanza. E rammentai quelle labbra, che mi avevano baciato solo una volta come avevo
sempre desiderato e che mi avevano illuso di poter essere abbastanza.
Perché io non ero
mai abbastanza.
E me l’ero
abbracciata, con la pancia in un lago di sangue scuro, cercando di vedere
quegli occhi che mi avevano impazzire ogni volta che li avevo guardati in mezzo a
quelle palpebre socchiuse, sigillate, che avevano tentato di aprirsi e guardarmi,
guardarmi un ultima volta, mentre io avevo sperato di vedere ancora quello sguardo da cerbiatto. E lei così…
fredda, lei che mi era sempre sembrata gelata, in quel momento era stata
immacolata in uno strato di ghiaccio perenne, che mi aveva fatto tremare.
Mi aveva fatto piangere.
Mi aveva fatto morire
E poi mi aveva fatto implorare: Ti prego, fai battere il tuo cuore.
Con il suo viso
ancora caldo fra le mani, avevo sentito le sue lacrime cadere dagli occhi e creare
strisce trasparenti sul suo volto. Poi la sua immagine si era affievolita, perché
anche io non ero riuscito più a trattenere il dolore che mi stava infiggendo. Lei
così piccola e debole, mi aveva abbattuto.
L’albero si era
spezzato. L’albero era caduto.
Un forte brivido mi
percosse il corpo, un brivido di gelo, come la fredda sensazione di morte che
avevo provato con quel sangue fra le dita.
E lei aveva mosso una
sola volta le labbra in un silenzioso ghigno di dolore e pena, la bocca
smorzata in parole che erano morte nelle stesso istante in cui aveva espirato.
Perché quegli occhi
non si erano aperti più.
Perchè quella voce sussurrata all'aria non c'era più.
E il cuore che stava continuando a battere così debolmente non pulsava più.
Si era fermato. All’improvviso. E poi si avevo sentito un
ultimo suono, un battito, così quieto e così intenso da farmene ricordare il suo
eco per sempre.
<< Quando si è svegliata siamo andati a vedere
che cosa era successo. Sembrava un’altra, irriconoscibile. Gli altri la
considererebbero bellissima. I capelli sono più scuri, la pelle diafana come
quella di tutti gli altri vampiri e gli occhi rossi, che ora hanno un colore più attenuato.
Era felice. La figlia è innocua e lei sembra… serena, anche se appena si è
svegliata ti cercava >>
<< Bella mi cercava? >>
chiesi. La voce intrappolata nella gola, e nel mondo fatto di ricordi
in cui ero stato catapultato con la consepovelezza di dover sapere.
<< Sì. Ci chiedeva dov’eri e perché te n’eri
andato. Noi le abbiamo detto la verità, ma lei non è mai venuta a cercarti. Forse
aveva paura della tua reazione. >>
Era
incredibile che
Bella mi pensasse. Ero la prova vivente di quello a cui aveva per
sempre detto addio, e con la mia partenza tutto aveva preso forma nella
sua piccola vita
fatta di immortali e voci di cristallo.
<< E con suo padre? >>
chiesi io. La voce bassa e scura.
Gli occhi fissi sul pavimento. La forza di trovare il coraggio di
porre domande, nel mare di ricordi in cui stavo affogando.
<< Ti ricordi che quando è tornata dal Brasile
gli avevano detto che era malata? Bè, vanno ancora avanti così. >>
<< E per quanto pensano di raccontare certe
balle? >> dissi. Mi sembrava
inconcepibile che mentissero in quel modo a Charlie. E poi lui l’avrebbe
scoperto, prima o poi. Con la risposta di Sam riuscii a riprendere anche leggermente il ricordo di me stesso.
<< Fino a quando non faranno una farsa e Bella
farà finta di essere morta. >>
Mi scappò un verso
di disapprovazione.
<< Per Bella sembrava difficile, ma è l’unico
modo >>
<< Certo. Ha scelto lei di vivere così >>
Aveva scelto lei di
vivere così…
Non volevo più
continuare la conversazione, ma mi sforzai di ascoltare. Dopo avrei soltanto
messo una pietra sopra tutti i massi con cui avevo cercato di reprime tutto
il dolore che mi scatenavano quei pensieri.
Avevo passato notti
insonni a causa della pena, del bruciore, che quella situazione mi aveva portato,
e che ancora al suono vivo dei ricordi mi venivano provocati. Era come il sale su una
ferita aperta. Agonizzante. Sprezzante.
Qualcosa per cui
avrei desiderato morire, piuttosto che continuare a sopportare.
<< Poi una certa Irina ha scoperto Seth, Bella,
Edward e la piccola andare a caccia. Per la legge dei vampiri è illegale
mordere e creare dei bambini immortali. Allora Irina è andata a dirlo ai
Volturi.
Lo scorso Natale
sono venuti qui per verificare la situazione,e soprattutto per fare
fuori i Cullen. Ma grazie al potere di Bella, che riesce a proteggere tutti con
il suo scudo mentale, è andato tutto bene
>>
Finito. Basta. Non
volevo sentire più niente. Un forte dolore mi pervase la testa, ed
improvvisamente sentii il bisogno di uscire e prendere un po’ d’aria.
“ E’ tutto passato,
Jake, è tutto passato”
<< Ok. Penso di aver capito tutto. Esco un
attimo >>
Attraversai la
verandina, e mi appoggiai alla ringhiera, scontrandomi con il vento fitto del
pomeriggio. Il sole tramontava, il sole se ne andava. Ed io il giorno dopo sarei
cresciuto ancora e forse sarei ancora cambiato. Un altro giorno moriva, un altro
giorno si perdeva nel buio. Avrei visto tanti tramonti e ognuno sarebbe stato
diverso, perché insieme ad esso lo sarei stato anch’io.
Bella avrebbe
guardato il tramonto e per lei sarebbe stato sempre uguale.
Forse lei poteva
anche pensare a me, ma era meglio che la smettesse. Ne valeva la pace di tutti.
Ma lei aveva sempre paura, e forse non avrebbe mai smesso di averne. Non
avrebbe mai smesso di negare. E avrebbe vissuto male.
Magari lei avrebbe
trovato il tempo di stare bene, nella sua eternità, insieme ad Edward.
Era quello che
aveva scelto.
Era quello per cui
il suo cuore aveva smesso di battere.
Era quello per cui aveva rinunciato a tutto, anche all'aria che si respira per la propria sopravvivenza.
Il vento scacciò
via tutte le possibili reazioni corporali che potevano essere provocate da quei
pensieri.
Era da tanto che
non mi soffermavo su quella parte del mio passato così intensamente, e
sicuramente mi aveva riportato in mente molte cose.
Non avrei mai
dimenticato Bella, non avrei mai dimenticato il male che mi aveva fatto, e non
avrei mai dimenticato nemmeno i momenti in cui mi aveva fatto sentire bene.
Non avrei mai
dimenticato i pomeriggi in cui cercava di farmi studiare e attorcigliava le
sue ciocche castane intorno alla matita azzurra.
Non
avrei mai
dimenticato il sorriso timido che mi avvolgeva nella pioggia. Anche se
avrei tanto voluto cancellare dalla mia anima i segni di quell'amore,
non sarebbe mai stato possibile.
Bella era sempre
nei miei ricordi, ed anche se forse non lo meritava, era sempre nel mio cuore;
vi aveva preso residenza fissa, e come un fantasma ci vagava dentro. La mia Bella,
quella che non c’era più.
Ma
io non ero più
innamorato di lei. E se in un modo inconscio l'amavo ancora, amavo la
ragazza che inciampava, rideva, faceva errori e non si credeva mai
carina abbastanza. Ma quella Bella se n'era andata. Se in cielo o in
terra, nel mare o sulle nuvole, non lo sapevo. Ero solo sicuro che se
avessi voluto vederla ancora, avrei dovuto cercare nel mio cuore. Solo
lì, ci sarebbe stata. Poi io ero cambiato
e il mio cuore che mi era sembrato così spento nel mio petto
aveva ricominciato a battere. Per un ragazza che non era lei. Questo mi
bastava per stare bene, per stare meglio, per essere
sereno. Con Liz. Elizabeth Elle Audley. La mia alba eterna.
Strano,
per uno come me. Strano, perchè io avrei dato la mia vita per
quella ragazza con i capelli castani e tanto incline alle cadute. Quella
ragazza così ingenua e indifesa. Ed io l'avevo amata tanto.
L'avevo amata davvero.
Mentre il vento
continuava ad accarezzarmi il viso e i capelli, una macchina attraversò la
riserva e parcheggiò di fronte all’abitazione.
Troppo
lucida per sembrare usata e che sembrava lo specchio del suo guidatore.
Alice Cullen
indossava vestiti griffati color prugna, coordinati con grandi occhiali da
sole. Accanto a lei Lizzy, che rovistava all’interno di una busta cartonata con
lo sguardo emozionato.
<< Non posso portare via tutte queste cose! >> disse con la voce allegra.
<< Certo che puoi portarle via, Lizzy. Per quale
motivo le abbiamo comprate, allora?
>>
<< Non mi hai lasciato neanche vedere il
prezzo. >>
<< Erano scontate, e poi ho pagato con carta di
credito. Non puoi verificare niente
>> disse lei, accecandola con il suo sorriso cristallino.
<< Hey. Tutto bene? >>
dissi io, avvicinandomi. La visione
di Liz con il suo sorriso contagioso mi aveva trasmesso un po’ di
pace, rendendomi almeno apparentemente più tranquillo di quello
che in realtà non fossi.
<< Benissimo
>> mi rispose Liz, uscendo dalla macchina e baciandomi sulla
guancia e ricrdandomi, anche se inconsciamente, quello per cui non avrei mai dovuto smettere di dire grazie alla vita.
<< Ci siamo divertite tanto >> disse Alice, ammiccando.
<< Devo preoccuparmi? >> dissi, sorridendo e guardando Liz che
teneva le buste strette sui fianchi.
<< Un bello e sano shopping. Niente di
allarmante. Ci vediamo. Buonaserata.
>>
<< Anche a te, Alice >> rispose Lizzy.
La salutammo e poi
lei se ne andò, raggiungendo il confine con l’auto. Quel confine che però., a
quanto pare, non esisteva più da tempo.
<< Mettiamo le buste nella macchina. Ti va di
fare una passeggiata sulla spiaggia?
>> Non potevo tenere il broncio per quello di cui avevo
parlato con i ragazzi, e poi con la presenza di Liz, tutto stava
svanendo a poco a poco, o almeno sembrava che accadesse.
<< Adoro le passeggiate sulla spiaggia >>
disse lei con aria sognante. Come facevo ad essere triste, con lei al
mio fianco? La tranquillità che credevo di aver aquistato
mi abbandonò di nuovo, ma solo perchè lei mi aveva preso
la mano. Solo perchè ogni suo gesto mi afaceva sentire
felice in qualunque circostanza.
***
La sabbia sotto i
nostri piedi rendeva il cammino scomodo per noi, che indossavamo delle scarpe da
campeggio.
Liz
mi dava la mano
e guardava il mare. I capelli scompigliati dal vento. Il sorriso timido
dipinto sul suo viso. Guardava Il mare. Infinito come i suoi occhi, e
il cielo nuvoloso,
come il mio animo, che aveva paura di fare qualcosa di sbagliato, di
dirle
qualcosa che l’avrebbe rattristata. Così simile alle
condizioni del mio umore fino a poco prima.
Mentre lo fissava,
cominciò a parlare.
<< Sei silenzioso >> disse, sviando pian piano lo sguardo.
<< Forse
>>
<< Sarei contenta se tu mi dicessi qualcosa >> mi disse, sorridendo.
<< Qualcosa del tipo … i miei discorsi senza
senso? >> dissi, accennando una risata.
<< Non
sarebbe male. Qualunque cosa. Ho passato
una notte intera a sognarti e a sognare la tua voce, quando i Volturi
mi hanno portato via, ma era sempre distante >>
Rimase in
silenzio con la mia mano intrecciata alla sua, mentre io la guardavo
quasi
incantato. Indossava il suo giubbotto verde, mentre io avevo sempre la
mia
solita maglietta a maniche corte.
<< Non smetterò mai di chiederti scusa per quello
che hai passato >>
dissi. Ne avevamo già parlato, ma sapevo che sarebbe passato
molto tempo, prima che smettessi di darmi la colpa di tutto.
<< Non devi farlo, Jake >> mi rispose lei, guardandomi negli occhi.
<< Perché no? Liz, ho rischiato di perderti.
Forse tu non immagini quanto tu sia importante per me. Ma lo sei, Liz, più di
qualsiasi cosa al mondo. E il solo fatto di rimanere senza fiato ogni volta che
ti vedo, ogni volta che ti sento vicina, ti dimostra che non posso vivere senza
di te. Non più. E se tu fossi andata via, non sarei stato il solo a sentire la
tua mancanza. Perché tu sei fantastica e …
e … e non fare quella faccia. Perché anche se non mi credi è la pura e
semplice verità >> Le dissi io
convinto.
<< Dovrei sentirmi stupida se ti dicessi che ti
stavo aspettando? Io ti aspettavo quel
giorno vicino al centro commerciale, quando con quella macchina guidavi a Seattle
con lo sguardo curioso. Io ti aspettavo, io ti cercavo…
>>
Tentai di parlare,
ma lei posò il suo dito indice sulle mie labbra e continuò.
<< Anche
se ancora non lo sapevo. Oppure è solo una mia
fantasià... non ne sono sicura. Ma il punto non è questo.
Quella notte
sono cresciuta, Jake, ho avuto paura come mai ne avevo avuta nella mia vita, ma
ho riconosciuto quanto sono fortunata… ad avere una famiglia, ad avere qualcuno
che mi vuole bene, ad avere te >>
Non sempre riuscivo
a capire bene quello che intendesse dire, ma la cosa che mi rincuorava era che
continuava ad amarmi nonostante tutto.
<< Io ti amo
>> le sussurrai all’orecchio. La voce tremante, flebile, ma sicura.
"Ti amo" è
così difficile da dire a volte. Sono parole che bruciano in
gola, nascono dal cuore e graffiano nel loro cammino verso il sole. Ma
bisogna farle
uscire fuori, anche se graffiano, anche se bruciano, anche se fanno
male, devono vedere la luce. Lei doveva sapere. Non potevamo mai essere
sicuri delle altre prove la vita ci avrebbe riservato, e in qualunque
circostanza, lei doveva ricordare quelle parole: le mie, l'unico modo
per infondere nell'aria il mio sentimento. Forse quello che dissi non
aveva
molto senso con la logica del discorso; tutto quello che tentavo di
dire sarebbe comunque affondato nelle sue labbra. Liz avvicinò
il suo viso al mio ed io la baciai, le
sue mani si aggrappavano al mio collo ed io, che la tenevo abbracciata,
porsi il capo
verso il basso per rendere quel bacio ancora più profondo
di quello che
non fosse già.
Liz
scivolò sotto
di me e finimmo per cadere sulla sabbia e un onda ci colpì
violentemente e ci bagnò abbastanza per farci sembrare due
scapestrati.
Lizzy scoppiò nella
sua dolce risata a cui poi mi unii anch’io.
Vederla ridere era
qualcosa di incredibilmente magico, come se quel suono mi portasse in un mondo
che non esisteva. Il nostro.
E vederla correre
fra le dune della spiaggia piovosa era fantasticamente bello. Mi sembrò di
svanire in un sogno quando mi guardò un ultima volta e mi baciò ancora.
E i brividi che mi
percossero la schiena erano i più emozionanti mai sentiti, e l’elettricità e
quella sensazione di vita… faceva tutto parte di lei.
Finalmente
potevamo
abbracciarci ancora.
Ero stato triste almeno dieci minuti prima. Ero
diventato lunatico? No. Quello era semplicemente il suo effetto e non
ne avrei mai, e dico mai, mai più, fatto a meno.
***
Seth
mi chiese scusa per il suo discorso su Bella, ma io gli dissi che non
c'era alcun problema. Non volevo rimurginare troppo sulla questione. I
pochi giorni rimasti passarono velocemente, con i sorrisi di Liz, le
risate dei ragazzi, i racconti d'infanzia di mio padre.
<< Ci vediamo presto non è vero Jacob? >> mi disse Seth, abbracciandomi.
<< Certo Seth, e grazie di tutto >>
<< Basta con i ringraziamenti, Jake! Tu e Liz
insieme ci avete riempito la testa con tutti questi “ grazie” >> disse Jared, sorridendo.
Eravamo tutti
all’esterno di casa mia. Mio padre, Seth, Leah erano tutti lì a salutarci, e
c’era da sorprendersi, poiché quel giorno c’erano anche i Cullen.
Sembrava che si
fossero affezionati a Liz, la trattavano nello stesso modo in cui avrebbero
trattato una figlia.
Abbracciai mio
padre.
<< E’ stato bello averti qui, Jake, anche se non
c’è stata la tranquillità che tutti ci aspettavamo >>
<<
L’importante è che è andato tutto bene.
Sono felice di averti rivisto papà, mi sei mancato tanto >>
Mio padre mi voleva
bene, e accettava ogni qualsiasi mia decisione con diplomazia.
Me ne sarei andato
di nuovo, ma ci sarebbe sempre stato del tempo per vederci ancora.
<< Fate buon viaggio >> ci disse Carlisle. Lui mi strinse la
mano in un modo paterno, anche se il suo viso e la sua forma fisica potevano
portare il cervello umano ad una conclusione di amicizia.
Ma non era
amicizia, ne ero certo, il sentimento che provava Carlisle era riconoscenza. A dir
la verità, la persona che doveva essere riconoscente in quel momento ero
proprio io, ma vi era qualcosa di reciproco, e l’odio che avevo creduto di provare
verso di lui e tutta la sua famiglia sembrò spegnersi come la fiamma di una candela smossa dal vento.
Emily salutò Liz
amichevolmente, dicendole che averla conosciuta era stato molto bello per lei,
e poi le si avvicinò Alice, che la abbracciò in modo affettuoso.
Liz sospirò mentre
io le prendevo la mano.
Entrammo in auto
e quando abbassai il finestrino per rivolgere un ultimo saluto…
<< Hai un cellulare. Non lasciarlo sempre
spento, hai degli amici che vorrebbero sentirti ogni tanto >> esclamò Leah, guardando me e poi
tutti gli altri.
<< Me lo ricorderò >> le risposi. Ma era come se parlassi
con tutti.
Carlisle posò la
sua mano sulla spalla di mio padre, che si trovava sulla sua sedia a rotelle.
Gli rivolse uno
sguardo rassegnato, che poi, sviando su di me, si tramutò in un sorriso commosso.
Non credevo che
vedere una cosa di quel genere sarebbe stato possibile.
Rosalie, Emmet,
Alice, Jasper, Carlisle ed Esme, fra i mutaforma, completamente a loro agio.
Potevano sembrare
una famiglia. Ed era quello il ricordo che portai sempre con me durante il
viaggio.
I miei amici, mio
padre, la mia famiglia, e per uno straordinario gioco dell'universo, le persone che avevo disprezzato mi si erano rivelate
di grandissimo aiuto.
Da quell’esperienza
capii quanto fosse ingiusto giudicare semplicemente per quello che si sembra,
per quello che si è condannati ad essere. Dietro a tutta quell' apparenza c’era
molto di più, ed anche se non avrei mai voluto che Lizzy fosse messa in
pericolo per arrivare a questa condizione, ero felice di averlo finalmente
compreso.
E Liz, la mia dolce
Liz, mi guardava con i suoi incantevoli occhi color nocciola, appoggiandosi a
me.
Era con me, non
riuscivo ancora a crederci. Ormai era impossibile immaginare un qualsiasi
giorno senza di lei.
Aveva lasciato il
segno nella mia vita, e quella poca luce che ancora non riuscivo a
vedere, lei me l’aveva mostrata con i suoi sorrisi.
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Capitolo 33 *** 33 ***
jake 32
Quel pomeriggio di Settembre,
quando arrivammo a Seattle, c’era il sole.
Il tramonto
rifletteva le sue luci sui vetri delle alte finestre, e intorno al sole color
arancio, vedevo le nuvole soffici lasciare un vuoto per mostrare interamente la stella al centro dell'azzurro.
Fu quella la luce
che illuminò i nostri visi una volta usciti dalla BMW, quando, di fronte
all’abitazione di Lizzy, non potei fare a meno di abbracciarla, ancora, in un
abbraccio dolce, protettivo e caldo.
Le sue piccole mani
che si aggrappavano alle mie spalle in modo delicato, erano la sensazione più
bella che potessi chiedere. Anche se non la guardavo in viso, avevo la certezza
della sua complicità grazie al suo tocco timido sulla schiena.
Nei
momento in cui dimenticavo di prendere aria ed espirare, lei andava a posare il
suo sguardo d’incanto sul mio volto, e allora capivo che la pace esisteva
davvero, capivo che la persona che tenevo fra le braccia mi era
preziosa come lo sarebbe l’acqua per un mendicante nel deserto, e così comprendevo che i nostri momenti
insieme erano stati immortalati per sempre: nella nostra mente, nei nostri
cuori e… nei nostri occhi.
Mi
ricomposi e
mentre mi dirigevo al cofano della vettura per prendere le valige, lei,
dopo aver aperto lo zainetto, prese le chiavi di casa per aprire le
porta.
Percorremmo il
vialetto insieme un po’ lentamente per via delle valigie, ma non capivo come
mai Lizzy ci tenesse tanto a mantenere il mio stesso passo. Non volli dirle
nulla. Mi piaceva sempre starle accanto.
Inserì le chiavi
nella serratura e spalancò la porta. Io appoggiai i bagagli sul suo pavimento
in parquet, a mezzo metro di distanza vi erano le scale che
portavano al piano di sopra.
<< Sei stanca?
>> le chiesi, mentre lasciava cadere lo zainetto sul pavimento e
si metteva di fronte a me con il capo rivolto verso il mio viso,
guardandomi e prendendomi le mani.
I suoi occhi
incontrarono i miei e cominciò a parlare.
<< No. Non sono stanca >>
Ma la sua voce aveva qualcosa di
diverso, qualcosa di misterioso e incredibilmente rassicurante, anche se sapevo
che forse quella non era la verità.
Avvicinò
la mano al
mio viso abbronzato; la sua carnagione chiara ma rosea risaltava sulla
mia.
Quando le sue dita mi sfiorarono il volto, fu come una volata di vento.
il ballo del fuoco scosso dall'aria, un'attimo di pura verità
che mi
diceva “ non potresti essere in nessun'altro luogo. Non ci
potrebbe essere un posto più giusto adesso se non questo”.
In quello stato,
essere toccato da lei era simile a vivere in un sogno; non avevo dimenticato la
notte in cui la sua vita era rimasta in bilico fra le nostre azioni e i capricci di un
gruppo di vampiri.
Come
si può
dimenticare la notte in cui sembra svanire tutto quello che ti era
rimasto di bello? E' semplicemente impossibile. Un sorriso
attraversò il suo volto, ricordandomi di non essere
addormentato, ma perfettamente sveglio e vigile nella realtà.
<< Vuoi salire?
>> mi chiese.
Deglutii.
" Vuoi salire?"
"Vuoi salire? "
Sentii ripetere quella domanda nella mia mente in modo continuo fino a quando non mi reputai capace di trovare una risposta.
<< Sì…
>>
Non riuscii ad
aspettare di entrare in camera sua per baciarla. Le sue mani sulle mie spalle,
le sue labbra sulle mie, il mio tocco sulla sua schiena.
Uno volta entrati,
la guardai un'altra volta. Quegli occhi, i suoi occhi, erano una delle cose più
meravigliose che avessi mai visto in tutta la mia vita.
Tolse la sua giacca
davanti a me in modo fluido, dalle piccole fessure delle persiane, piccoli
strascichi di luce percorrevano la sua figura.
<< Liz, io…
>> feci per dire, ma le posò il suo dito indice sulle mie labbra
per impedirmi di parlare.
<< Jake, ho temuto di perderti per sempre... ho avuto così paura >>
Le accarezzai la
guancia con le mie dita calde.
<< Anch’io, anch'io... per tutto il tempo >>
le dissi, per poi lasciar annegare le
mie parole nelle sue labbra. Ed anche se vi affogavano dentro, sapevo
che
niente avrebbe potuto uccidere il sentimento che aveva fatto nascere
quelle
parole. Le sue mani, che si aggrappavano a me, ed io,
che la cingevo per i fianchi. Mi spinse un po' più verso il
letto, e senza mai staccarsi da me, lasciò che mi sedessi. Le
sue mani vorticavano fra i miei capelli mentre io la stringevo e
continuavo sentire la sua bocca sulla mia. La sentivo calda sotto la
mia presa, docile e impaziente. E qualcosa di tanto normale e solito
come quello che indossavamo sembrò improvvisamente sembrare
d'intralcio.
Ci lasciammo cadere
sul suo letto morbido, e mentre la baciavo, sentivo le sue mani sulle mie
braccia, il suo corpo aderire al mio e il bacio diventare sempre più
travolgente.
Mi
aveva
completamente stravolto, incatenato nella prigione del suo cuore fra le sbarre di una cella, e
sapevo, ero convinto del fatto che avrei voluto essere rinchiuso
lì per sempre. Poi sentii una voce, piccola, flebile,
tranquilla, parlare dentro la mia testa.
" Tu la ami? "
Non riuscii a
sorridere. Serio nel mio mondo di fiato, pensai di rispondere senza
farmi udire, nel modo più veritiero che conoscessi.
"Sì. Più di ogni altra cosa al mondo".
La
guardai di nuovo, gli occhi avvolti dalle lunghe ciglia incorniciavano i suoi bellissimi occhi scuri con quelle meravigliose
pagliuzze dorate. Sembrò chiedermi qualcosa, io, avvolto dal suo abbraccio, sapevo
che cosa mi avrebbe chiesto. Posai ancora le mie labbra sulle sue, lei
si strinse a me, e quando, dimenticando di dover mettere i freni alle mie emozioni, percorsi con una mano la pelle
scoperta dalla maglietta leggermente alzata per il movimento, si
inarcò leggermente. E non mi fermai, superai l'orlo e lei
continuò ad attirarmi a sè...
<< Lizzy?
>> disse una voce che sembrava lontana di mille miglia, ma che in
realtà era separata solo dai muri della casa.
Liz ed io ci
lasciammo improvvisamente.
"
Ma che diavolo?! Io, io, lei... " Ma non riuscii a pronunciare niente
di sensato.
Andai a nascondermi fuori dalla finestra, sul
tetto, ancora sotto una specie di shock, non so se per quello che
stavamo per fare, o per il fatto che
Silvya ci avrebbe scoperti sdraiati uno sopra l’altra a baciarci
in maniera
appassionata.
Liz, con i capelli
scompigliati, stava per chiudere i vetri.
<< Scusa
>> disse. L'espressione in viso che ricordava una ragazzina appenza caduta in modo brusco davanti a una folla.
<< Non preoccuparti >
le risposi io, cercando di sorridere e curioso di che impressione
potesse fare il mio sorriso strambo in quel momento. Lei mi guardava
con un espressione stralunata mordendosi il
labbro inferiore. Non importava infondo, e con quel suo tono di voce
riuscì a farmelo pensare davvero.
<< Ti chiamo domani >> continuai.
Accennò un sorriso splendido e fece
per dire qualcosa, quando la porta della sua cameretta si spalancò, e lei,
voltandosi in modo rapido, lasciò che la finestra si chiudesse con la spinta
delle sue spalle.
<< Liz, sei tornata! >> diceva Silvya, saltando sul letto
e abbracciando in modo tenero sua sorella.
<< Sì, sono qui !
>> le rispondeva Liz, all’inizio come infastidita, ma poi non
riuscì a tener testa alla dolcezza della piccolina, e cominciò ad abbracciarla
e baciarla in un modo dolcissimo.
Dopo
aver guardato
quella bella scena familiare, nonosante non ne potessi apprezzare bene
la tenerezza a causa del mio stato d'animo confusionario, saltai sul
prato intorno all' abitazione, e nello stesso
momento in cui stavo per sviare dalla parte della mia casa, vidi una
donna anziana con delle buste della spesa in mano entrare in casa di
Liz. Sua nonna, la nonna Rosie.
Mi diressi verso la mia
abitazione, la luce del sole mi entrava negli occhi ed io mi sentii tremare, non
era freddo, non era dolore, era la voglia di vivere che avevo dentro di me.
Camminavo, e con la mia alta ombra mi sembrò di essere la persona più spensierata della terra.
Non era successo niente, non ancora... ma avevo un'adrealina
incredibile. Mi sembrava di volare, per quanto assolutamente
impossibile.
Una volta qualcuno mi aveva detto che quando ci si innamora si provano
queste emozioni. Forse, a furia di riempire lo stomaco di farfalle,
stavo volando anch'io. Un sorriso mi comparve sul volto, ma la mia
ombra non riuscì mai ad imitarlo. Era solo mio e per una volta
nessuno poteva portarmelo via.
Felice... sì. Come un bambino che gioca, come un lupo che corre
nella foresta, come un ragazzo che scopre l'amore e il suo fuoco,
finalmente senza ferirsi.
***
<< Davvero mancano solo due giorni all’inizio
della scuola? >> le chiedevo,
mentre lei tirava fuori dagli scatoloni i libri per l’ultimo anno di liceo, nel
suo garage.
<< La risposta è sì >> mi disse, un sorriso soddisfatto
sulle labbra, con i tomi di scienze in mano. Quell’aria da studentessa modello
le stava bene. C'era mai qualcosa, che secondo la mia futile considerazione personale, non le stava bene?
Non ricordo di aver
mai avuto impressioni negative su di lei, forse perché io avevo talmente tanti
difetti che mi sembrava normale che qualcun altro ne dovesse avere almeno uno.
Lei, con le sue converse
rosse, sviava le piccole pozzanghere del giardino lasciate dal forte
acquazzone estivo che ci aveva colpito quella mattina.
Io la seguivo e,
mentre si sistemava i libri fra le braccia, riuscii a rubarle un dizionario.
Forse
una cosa che
mi sorprendeva un po’ era che volesse fare tutto da sola, ma
infondo
dovevo capirla: aveva vissuto tutta la sua vita costretta ad andare avanti
con
quello che aveva, senza un papà che le portasse lo zaino in
spalla al suo posto dopo l'uscita da scuola e tutto il resto. Non volevo che cambiasse solo
per me.
Dopo averle estorto il vocabolario, mi guardò
con quell’aria di disapprovazione che poi diventava sempre un sorriso.
Silvya era in casa
a disegnare qualcosa su una lavagnetta con i suoi gessetti colorati.
<< Questi siete voi, nonna! >> diceva la bambina, ridendo.
<< Sei bravissima, tesoro >> le rispondeva una voce anziana, ma
armoniosa e gentile.
La nonna Rosie era
seduta sul divano Bordeux a guardare la sua nipotina disegnare.
Lizzy me l’aveva
presentata all’inizio dell’estate e si era dimostrata molto cara e
premurosa. Quel giorno indossava un semplice vestito lilla, con una giacca
azzurra.
I riccioli grigi
erano raccolti in uno scignon e gli occhiali dalla sottile montatura color oro,
le ricadevano sul naso all’insù.
Aveva un sorriso
allegro, e i suoi occhi brillavano come due grandi stelle.
<< Ciao
>> disse Liz, prima di avvicinarsi alla donna e darle un leggero
bacio sulla guancia.
<< Già tornati?
>> chiese, guardandoci.
<< Liz aveva un po’ da fare a sistemare i libri… >> dissi io.
<< Oh, certo
>> rispose lei, guardando la nipote in maniera apprensiva.
Poi mi soffermai a
guardare il disegno di Silvya, che, quando si accorse della mia attenzione, si
mise diritta con espressione professionale, stringendo i gessetti fra le dita.
Forse non aveva lo
stesso talento di Lizzy nel disegno, ma, nonostante tutti avessimo delle teste
sproporzionate, faceva tenerezza, e faceva tenerezza perché con i nonni, suo
padre, sua sorella e lei… c’ero anch’io.
Mi abbassai per
guardare meglio. Aveva inserito ogni particolare, Liz ad esempio era disegnata
con un frontiera, anche se le copriva tutta la testa, e i miei capelli neri li
aveva colorati con il gessetto blu, per fare la differenza.
Silvya rimaneva
immobile davanti alla lavagnetta, aspettando qualcosa.
<< Che cos’è questo capolavoro, piccolina? >> le chiesi entusiasta, prendendola in
braccio.
<< Davvero ti piace, Jake? >> chiese, con la sua voce acuta e
cristallina.
<< Scherzi? Certo che mi piace, peccato che
verrà cancellato >>
<< Ma io non lo cancello >> mi contraddisse lei.
<< Intendi dire che non ci disegnerai più
niente? Questo disegno è bellissimo, ma sono sicurissimo che ne potresti disegnare tanti altri. >>
<< No, anche se lo toglierò via con la
spugnetta >> disse, guardando
verso il disegno.
<< Io ce l’avrò sempre qui dentro >> disse, toccandosi la testa.
In quel momento
Lizzy e sua nonna ci guardarono con un'espressione assorta, sognante.
Con in braccio la
bambina, mi sentivo il fratello maggiore
che non aveva mai avuto.
La feci scendere e
lei andò a disegnare un sole giallo sullo sfondo di quel bel quadretto. Io mi
voltai, in quel momento sia Liz che sua nonna stavano mi stavano osservando con lo
sguardo incantato.
Mi sentii strano.
Quando Lizzy si
accorse della mia espressione trasalì e mi invitò a seguirla su,
per sistemare i libri.
Una volta entrato
in camera, posai il vocabolario sulla sua scrivania, mentre lei invece aveva
fatto cadere tutto sul suo letto.
<< Non dobbiamo sistemare i libri? >> feci per chiedere perplesso.
<< Sì, dovremmo
>> mi rispose lei.
Ma perché faceva
quegli occhi? Così dolci, così belli, così magnetici… voleva incastrarmi in
qualcosa in cui non sarei più stato capace di uscire.
<< Liz non siamo soli >> le dissi, accarezzandole la guancia
vellutata.
<< Lo so…
>> mi disse, mettendomi le mani sul petto e senza mai cambiare espressione.
<< La gelateria è a due passi… >> e fece un espressione da cane
bastonato. Ecco cosa voleva! Ed io cheinvece avevo pensato...
No, forse era perché la nostra vicinanza fisica una volta stava per
oltrepassare i limiti e allora…
<< Prendo i soldi e ci andiamo >>
disse, staccandosi da me. Corse verso
il comodino e, per non guardarla, decisi di mettere al loro posto
qualche libro
nella libreria. Mi sentivo bollente come una tazza di caffè
nero. Fortunatamente il fatto che avesse parlato aveva distolto i miei
pensieri.
Il barista ci
riconobbe subito, e durante il tratto il mio rossore doveva essere
completamente sparito.
L’uomo sulla
quarantina e con piccoli occhi vispi ci accolse con il suo solito sorriso cordiale.
E mentre con me sapeva sempre con cosa cominciare, con Lizzy doveva sempre
aspettare che ordinasse lei.
Ci sedavamo sempre
al nostro solito tavolino rotondo, stranamente sempre libero per il nostro passaggio.
Quando camminavamo
per la città, le persone ci guardavano, e ognuna di loro con diversi occhi. La
maggior parte mostrava sguardi increduli. Forse per loro stavamo bene insieme,
forse sembravamo una normale coppia di diciassettenni, forse tutto poteva
sembrare quel bello che si poteva trovare nella banalità. Ma noi due sapevamo
quello che si nascondeva, dietro tutta quell’apparenza. Eravamo felici, è vero,
ma non allo stesso modo in cui lo sarebbero stati altri ragazzi.
Non
era facile
pensare che andava tutto bene. Se ci ero riuscito una volta, ormai non
ne ero più capace. Dopo quello che era successo a Forks, non mi
sentivo più lo stesso e al medesimo modo non volevo parlarle di
tutte le mie
riflessioni del non sentirmi alla sua altezza.
E
mi arrabbiavo con
me stesso quando rimanevo a dormire da lei. Non dormivo mai;
avrei voluto ma inizialmente non mi si rivelò mai possibile. Nel
sonno la sentivo muoversi, agitare le
braccia, parlare e dire qualcosa che non riuscivo a capire…
Dopo
essersi svegliata, fin troppe volte coperta di sudore freddo, mi guardava e finalemnte diventava più tranquilla.
<< Liz tutto bene? >> Le chiedevo spaventato, appena dopo essermi accorto del suo sonno disturbato e angosciato.
<< Ti ho svegliato… >>
<< No… non mi hai svegliato >>La accarezzavo e la abbracciavo. Nonostante cercasse di
riprendere
un respiro regolare, continuava ad affannarsi. E le lacrime le
scendevano sul
viso senza chiedere il permesso. << Sto bene. Sì,
io... io sto... bene >> ripeteva a se stessa, chiudendo gli
occhi, contro il mio petto. La voce rotta.
E quando sentiva i solchi sulle guance, si toccava con le mani,
guardava le gocce sulle dita, e continuava ad ansimare, mentre io la
abbracciavo
forte, senza più avere paura.
<< Era un incubo. Solo un incubo >> le ripetevo all’orecchio, mentre lei
si calmava.
<< Sì. Solo un incubo. >> diceva lei, sotto voce.
Preferivo che non
mi raccontasse. Lei preferiva non raccontare. Che cosa poteva sognare una ragazza che aveva visto delle
persone dissanguare di fronte ai suoi occhi? E' qualcosa per cui l'immaginazione non basta.
Una volta calma
continuava ad abbracciarmi, unendo la sua piccola forza alla mia, che la
sosteneva con imponenza. E rimanevamo così per un tempo infinito, ascoltando i
cuori che creavano la nostra melodia e i nostri respiri che la armonizzavano.
E la mia voce che le diceva <<
Sono qui >> e lei che
annuiva senza parlare. E lei che si appoggiava al mio petto caldo, lei
che poi
si riaddormentava con i miei respiri sulla pelle, con un espressione
serena.
Forse le bastava sentire che ero presente, per dormire tranquilla.
<< Sono qui... Sono qui... >> A volte
lo sussuravo nonostante sapessi che si era riaddormentata.
Perchè io ci sarei stato, sempre. Non importava quello che
sarebbe successo, io sarei rimasto. Solo per lei. Fino a quando lei lo avrebbe voluto.
***
Non tutte le notti si consumavano in questo modo. Non era solito di Liz avere incubi, ma per le due settimane che
seguirono l’accaduto, fu inevitabile.
Io speravo che la
situazione migliorasse, anche se non sopportavo che in sogno dovesse rivivere
tutte le cose che non avrebbe mai dovuto passare.
Io
le ero sempre
vicino. Sapeva di poter contare su di me. Innamorato marcio e cotto a
tal punto che neanche il pensiero di rivedere Bella, presente in modo
inconsapevolmente onnipresentenei miei ricordi, nonostante mi
avesse scombussolato moltissimo, non mi aveva mai fatto
pensare di dimenticarla. Ed io sapevo che non sarebbe mai successo.
Mi ricordo ancora
la sensazione delle sue lacrime sulle dita, mentre dormiva. Magari le
scendevano sul viso senza che si muovesse, e pensavo alle cose orribili che
poteva sognare ed io accanto a lei, mi sentivo impotente, perché non riuscivo a
portarle via i brutti sogni.
Poi
però si
svegliava, e quando mi vedeva lì vicino a lei, si rendeva conto
di poter essere
tranquilla. C’ero io. Le notti successive a quel periodo furono
di una felicità incredibile, e nelle volte successive fu quello
stato d'animo a non farmi dormire.
E non potevo fare a
meno di chiederle perdono, perché nel profondo era tutta colpa mia. Liz mi contraddiceva
sempre, non sopportava che le dicessi quelle cose.
Ed erano quei
momenti che mi facevano sentire fortunato per la persona che avevo trovato, per
la persona di cui mi ero innamorato.
Spero che il capitolo vi sia piaciuto
=)=)=) come avete visto le loro vite sono state molto segnate dagli
avvenimenti precedenti. Era inevitabile che accadesse, ma come dico
sempre, quando si è insieme alla persona che si vuole bene, si
riesce sempre a trovare, dopo o tardi, il modo per andare avanti.
*La scena all'inizio ... ehm,
niente, non so che dire! una piccola pazzia, forse, boh, ditemi se
avete apprezzato ^^ ecco, vorrei tanto ma proprio tanto sapere che cosa
ne pensate di questo capitolo :):) Mi accontetate? Voi lo sapete che mi
rendete tanto ma tanto felice con le vostre parole :):):)*
(le parole fra gli asterischi risalgono
a più di un anno fa, non avevo mai scritto scene di quel genere,
pardon! <3 <3 <3 )
Grazieee infinite :)
Ania <3
|
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Capitolo 34 *** 34 ***
jake 33
Fogli, foglietti,
carte, documenti, libri di fisica:sembrava che su quel tavolo non si dovesse
mai mangiare.
Mia zia aveva un
debole per le università, e non riusciva a concepire il fatto che io non me ne
interessassi per niente. Diciamo che in quel periodo, i miei pensieri avevano
una prospettiva diversa.
Inforcava sempre i suoi
occhiali rosa confetto e si metteva a leggere con attenzione.
Era meglio non
andare in cucina mentre leggeva i deplian dei college; quando sembrava così concentrata
da non percepire neanche il rumore di un cannone e, non avvertendo la nostra partecipazione, alzava lo sguardo e lanciava
accuse verso tutti, per qualunque motivo.
<< Carl! Tu! Sempre disinteressato non è vero?
Solo perché a scuola eri una frana non significa che tu non debba spronare i
tuoi figli nello studio! >>
<< Jacob, ascolta tua zia, guarda! Design di
auto, questo ti starebbe proprio bene! E poi tu sei molto portato per la
materia! Non fare quella faccia, Jacob Black! Dove vuoi andare a finire? Vuoi
passare il resto della tua vita a vendere le uova come il figlio del
proprietario del Supermarket? >>
Il tutto condito con la sue espressioni facciali più famose.
<< Nick! Che fai con quel coso in mano? PS3? E
ti sembra qualcosa di educativo? Avrei dovuto buttarla nella spazzatura subito
dopo che zio Macon se ne fosse andato! Comincia ad informarti sugli indirizzi, è molto meglio… >>
Queste erano solo
alcune delle frasi che spesso pronunciavano le sue labbra.
Quella volta feci
di tutto perché non si accorgesse della mia e della presenza di Lizzy in casa,
ma, come sempre, mi colse di sorpresa e i suoi occhi color ambra andarono a finire
su di me, che mi dirigevo in salotto.
Quando
mi vide, rimasi immobile, deluso dalle mie capacità corporee
riguardo i movimenti silenziosi ; lei lasciò rapidamente la sua
postazione per salutare la mia
ragazza.
<< Liz cara! Che piacere! Scusa il disordine in
cucina, stavo guardando le offerte delle Università… scommetto che tu ne sia
pienamente interessata >> e la
tirò a se in cucina, mentre io cercavo di non far trasparire il mio disagio.
<< Hai già un idea Lizzy? >> le chiese mentre Liz si sedeva su
una sedia e lei prendeva qualche foglietto.
<< In realtà sì, ma non voglio allontanarmi
molto… e se l’università di Seattle accettsse la mia domanda sarebbe
perfetto >> disse, sistemandosi
sul suo posto, mentre io la guardavo appoggiato al muro con le
braccia conserte.
<< Per i voti che prendi, credevo che avresti
aspirato a qualcosa di più lontano
>> disse zia Josie, sorpresa.
Liz
cominciò a
farfugliare qualcosa per spiegare il perché della sua decisione.
Quando voleva,
mia zia diventava piuttosto invadente, ma faceva parte della sua
natura, era
come se tutti fossero suoi figli. Era la persona più materna che
avessi mai conosciuto, ed era una delle qualità che la rendevano
una donna amabile speciale, a parte la sua grande enrgia e la sua
dissenzione nei confronti della tecnologia.
<< O forse vuoi rimanere nella vicinanze per
stare vicino a Jacob? Lo sappiamo tutti
che non vuole saperne niente di Università
>>
A Liz scappò un
sorriso imbarazzato, che mi fece quasi dimenticare l’argomento di
conversazione. Rimasi imbambolato a guardarla. Quanto era carina.
<< Allora Jake? Neanche Liz è riuscita a farti
cambiare idea? >> mi chiese mia
zia. Forse si era accorta della mia espressione stralunata.
<< Zia noi in realtà… ce ne stavamo andando >>
<< Voglio che ci pensi, Hai compiuto diciotto
anni da poco, devi avere un futuro … hai tutte le capacità per fare qualcosa,
perché non sfruttarle? Dimmi se non ho ragione, Lizzy >> disse, sviando lo sguardo verso la
mia ragazza.
<< Certo, signora Davis >> disse lei,
spostando una ciocca dietro l’orecchio.
<< D’accordo, d’accordo >>
dicevo, mentre mi dirigevo nel
salotto per prendere un libro che Lizzy mi aveva chiesto.
Josephine Davis era una grande lettrice: la nostra libreria era
stracolma.
Ormai vi ero davanti e cercavo il volume. Come si chiamava? Liz me lo aveva detto
prima, e me ne ero dimenticato… tipico di me.
<< Liz, come si chiama il libro? >> le chiesi, voltandomi, e mi accorsi
che lei e zia Josie stavano bisbigliando qualcosa.
<< Pianeta terra chiama Lizzy Audley e zia Josie… >> dissi alzando di poco il tono
di voce.
<< E’ 'Via col vento' >> disse, ormai vicina a me. E, mentre io
lo cercavo con lo sguardo, lei lo prese dallo scaffale come se avesse sempre
saputo dove si trovasse.
<< Arrivederci, signora Davis, e grazie >>
<< Di niente, cara. Ciao, ragazzi
>>
Cominciammo ad
avviarci verso casa sua. Io con le mani nelle tasche dei Jeans la guardavo,
aspettando qualcosa: sapevo che mi avrebbe detto qualcosa.
<< Non mi hai mai detto che tua zia fosse così
interessata all’università >> mi disse Liz, camminando.
<< Lo è. Ma non è lo stesso per me >>
<< Già
>>
Liz
non mi aveva
mai obbligato a fare qualcosa che non volessi fare. Non mi aveva mai
fatto
presente che la mia decisione di non continuare gli studi la
disturbasse, ma
forse avrei dovuto pensarci meglio. E poi anche nella sua camera la
scrivania era piena di deplian
di College lontani a cui non era interessata lei direttamente, erano
gli stessi istituoti a contattarla per la sua alta media.
Io invece ero così insignificante
che nessuno avrebbe fatto salti di gioia alla mia presenza in un aula
universitaria.
<< Non hai un sogno… un qualcosa, qualcosa per
cui lotteresti? >> mi chiese,
continuando a camminare, ma nel frattempo lei si era avvicinata a me
prendendomi la mano, regalandomi sempre la stessa emozione di quando le avevamo intrecciate per la prima volta.
Riflettei un
attimo, nonostante conoscessi benissimo la risposta.
<< hem...
>>
Mi guardò con aria
di aspettativa. Il mio respiro prese una piega
insolita mentre io con il mio espirare lasciavo uscire le mie parole. Non mi
ero neanche accorto di aver trattenuto il fiato mentre lei parlava.
<< Io ho già tutto quello di cui ho bisogno. Ho te, per esempio
>>
Le scappò un
sorriso imbarazzato. Il solito per alcuni, il più bello per me, che ogni volta
che lo vedevo comparire sul suo volto mi faceva sentire felice senza che avessi
niente. Forse, nonostante tutto, ero pur sempre un ragazzo innamorato.
Perdutamente, aggiungerei.
<< Io non ti farò mai avere successo… >>
Sorrisi. A volte
però pensavo che forse in certi casi era un bene ascoltare i consigli che mi
venivano dati, e a volte nella mia testa dura, si formava l’idea di sbagliare
tutto, e di non essere mai all’altezza di niente.
<< Potresti pensarci … nella mia stessa
università, c’è un buon corso >>
<< Potrei pensarci … >> le risposi.
Quando ci accorgemmo di essere già arrivati alla sua abitazione, la sua presa si fece più forte.
<< Se
solo tu uscissi dalla mia testa >>
continuai. Era un chiodo fisso nella mia testa, un pensiero che non
riusciva mai ad andare via. E poi immaginai me, con lei, con tutti quei
libri, in un’università.
Lei andava sempre bene, mail mio posto era già stato segnato ed
io l’avevo
lasciato da parte. Lasciarlo era stato l'unico modo per ricominciare.
Ma per qunto riguarda l'Univarsità, ci avrei pensato, sì,
ci avrei almeno provato.
<< Mi dispiace per te, Jacob Black >> mi disse lei, accennando un sorriso,
mentre la mia fronte era appoggiata alla sua.
<< Ah, davvero?
>>
<< No. Non mi dispiace affatto >> continuò lei. Forse stava per dire
qualcos’altro, qualcosa che mi avrebbe fatto sorridere, ridere, addolcire il
cuore, ma le sue parole si persero nelle nostre labbra e tutto fu spazzato via
come in una tempesta di sabbia.
***
Con il mio trasferimento a Seattle mi ero
accorto di quanto fino allora fossi stato completamente escluso dalla vita che
qualunque altro adolescente conduceva.
Le feste, le uscite
nei fine settimana, tutto questo nella riserva non era molto importante. Ma non
avevo ancora assistito all’evento che agita gli animi dei giovani, soprattutto
delle ragazze. Qualcosa che avevo visto in qualche film di serie b, e qualcosa
che mi sembrava tanto surreale quanto impossibile.
Il ballo di fine
anno.
Era il nostro
ultimo anno nella 'Seattle high School' e per i diplomanti veniva organizzata una
festa a Dicembre. Un Venerdì di quel mese mi sarei ritrovato a vestire come un
pinguino per quella stupida cosa scolastica.
Le ragazze erano
eccitate ed emozionate. Nascondevano i giornali di moda fra i libri di scuola e
li sfogliavano durante la pausa pranzo. Quel poco che riuscii a vedere dalle
mani di Lucy che con la voce esaltante mostrava i suoi modelli preferiti a
Lizzy, mi fece sorprendere.
Tacchi
vertiginosi,
vestiti corti o scollati … eravamo a Dicembre e il freddo ormai
ci aveva già
costretto ad indossare stivali per la pioggia e giacche pesanti.
Certo, sapere che si sarebbero agghindate in quel modo non mi
dispiaceva, ma non ero molto abituato a quel tipo di cerimonie.
Per il ballo,
almeno secondo le ragazze, i loro anticorpi sarebbero bastati per permettere loro
di essere perfette e 'scoperte' almeno per quella sera.
<< L’anno scorso sarebbe stato più
divertente >> disse Dina, che con
il suo taglio maschile, teneva molto al fatto di sembrare ancora una ragazza.
<< Perché?
>> chiese Walter, prima succhiare il frullato al cioccolato con la
cannuccia. Eravamo al nostro solito posto, nel bar di fronte alla nostra
scuola.
<< Perché erano le ragazze a dover invitare i
ragazzi >> rispose lei.
<< Dina, hai già i capelli corti come un ragazzo,
dovresti lasciar fare qualcosa al tuo per cominciare >> disse Lizzy.
<< La mia donna è molto intraprendente >> disse Mark, appoggiando il braccio
intorno alle sue spalle.
<< Stai attento, questa maglietta è nuova! >> disse Dina, mentre il bicchiere con
il frullato sembrava cadere verso di lei, per il movimento improvviso di Mark.
<< O forse hai paura che lo chieda a
qualcun’altra? >> feci io
sarcastico dall’altra parte del tavolo, con Liz appoggiata a me che beveva da una lattina di coca cola.
<< Sta zitto, Black, lo sappiamo tutti che non
vedi l’ora di portarci Liz >>
Sorrisi, guardando Lizzy.
<< I biglietti devono ancora essere stampati e
sono sempre sette dollari a persona. Io proporrei di non andarci >>
disse Walt, accasciato sulla sedia
come se fosse in procinto di addormentarsi. Ma non ci sarebbe riuscito,
visto che Lucy lo colpì con il suo giornale di moda.
<< Ehi, sei pazza? >> disse lui, massaggiandosi la testa.
<< No. Il pazzo sei tu per quello che hai
detto! >> disse lei, poi scoppiando
a ridere.
<< Sei un isterica, come se servisse uno di quei
vestito da moulin rouge per farti bella
>>
Lucy
sorrise
imbarazzata e Walter non si accorse nemmeno di averle detto qualcosa di
poco
carino e bello allo stesso tempo. In fondo loro erano così. Mark e Dina ,nonostante
fossero insieme, facevano di tutto per evitare smancerie in pubblico.
Lucy e Walter si prendevano a insulti
e pochi secondi dopo non la smettevano di stare abbracciati. Ed io e
Liz che,
nonostante sembrassimo un coppia normale, più normale del
consentito, potevamo sembrare tranquilli, sereni, senza nessun pensiero
per la testa. Forse lo eravamo una volta. Forse una volta lo
era Liz, fino a quel giorno di Aprile in cui scoprì
cos’ero veramente, fino al
giorno in cui venne rapita dai Volturi. Sicuramente quello che poteva
sembrare perfetto per gli altri, in realtà era più
difficile di qualunque altra
cosa.
Una cosa che non
potevamo nascondere però c’era, non c’era motivo di nasconderla, non c’era
motivo di tenerla solo per noi, e non c’era modo di impedire che condizionasse
la gente intorno. Eravamo innamorati, e quando qualcuno parlava di noi
due insieme, per prima cosa parlava di questo. 'Sono innamorati' diceva, senza
conoscere niente di quello che avevamo passato insieme.
Ma non sbagliava.
Era la cosa più
giusta che quel qualcuno potesse dire.
*
*
*
Ciaoooo :):)
Penso che questo sia un capitolo
di transizione :) come vedete non ci sono grandi cambiamenti, mi sono
soffermata sulla
loro vita di tutti i giorni. Penso che una storia per essere realistica
abbia bisogno anche di questi elementi =)=)=) Ho notato che
l'argomento università nei libri della saga di Twilight
non
viene toccato molto, e per Bella non sembra importante, visto che la
cosa che vuole di più al mondo e stare con Edward per
l'eternità. Però all'ultimo anno di liceo è
normale che se ne parli molto. Il futuro spaventa, e anche tanto.
Jacob non se ne interessa. Non ce lo vedo tutto studioso, e se
va bene a scuola è solo perchè si applica un po' ed
è intelligente:):) molti vorrebbero essere così. Vedremo
come si evolveranno le cose e tutto il resto. Che cosa sta succedendo a
Forks, le decisioni di alcuni personaggi, il ballo... *-*
Spero tanto che vi sia piaciuto :):)
E mille grazie a chi ha letto e leggerà =)
Se sarete tanto gentili da lascairmi il vostro pensiero ne sarei davvero contenta :):)
Grazieee infinite :)
Ania
|
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Capitolo 35 *** 35 ***
jake 34
Da quando ero
ritornato da Forks, non avevo più timore di sentire le voci dei miei amici al
telefono. Mi raccontavano molte cose, ed io raccontavo loro tutto quello che
poteva esserci di interessante.
<< Il sedici dicembre c’è il ballo dei
diplomanti >>
<< Ti immagini vestito da pinguino? >> e scoppiò in una risata. Seth.
Sempre il solito.
<< Ride bene chi ride ultimo, marmocchio >>
<< Non chiamarmi marmocchio >>
<< Non chiamarmi pinguino >> dissi io, ridendo. Il mio intento di farlo spaventare era fallito.
<< Sbacciucchiatore per l’eccellenza >>
<< Non sono uno sba … >>
<< Sbaciucchiatore, ti ho detto! >>
<< Sì certo, come no >> risposi, scuotendo il capo in segno di disapprovazione.
<< Sarebbe divertente… anzi no, interessante…
vederti vestito da pinguino … o no vestito elegante insomma … >>
<< Cos’è che vuoi fare? Analizzarmi? >>
<< Non sono bravo in chimica. Pardon. >>
<< Parli francese, ora? >>
<< Una bella ragazza la settimana scorsa a Port
Angeles parlava così >> Seth stava sicuramente assumendo una di quelle sue espressioni che sempre faceva quando vedeva una bella ragazza.
<< Non sei credibile. Mi dispiace >>
<< Era uno schianto pazzesco! >>
<< D’accordo, ora devo andare, Seth >>
<< Ci sentiamo
>>
<< Ciao
>> E attaccai. Con ancora il sorriso sulle labbra, e la mano di
Liz che si posava sul mio braccio.
Mi voltai verso di
lei. La luce del tramonto le illuminava i capelli in contro luce, nel parco.
Mancavano solo due
giorni al ballo. Penso che se non fosse stato per lei, non avrei neanche
immaginato, pensato, minimamente previsto, di parteciparvi. Ma tutto è
imprevedibile. Tutto era imprevedibile per noi due.
Non ero nervoso,
pensavo solo di essere un tantino fuoriposto, mentre lei invece sarebbe stata
diversa, e tutti avrebbero notato la differenza.
<< Va tutto bene a Forks? >> mi chiese, mentre camminavamo mano
nella mano nel parco di Seattle. Il freddo si faceva strada da Novembre, ormai, e
tutti indossavano cappotti pesanti e accessori di lana, come Liz quella sera.
Il suo giubbotto pesante la faceva sembrare più robusta di quella che era, e
pensare che in quel fagotto si nascondeva la sua bella corporatura lineare e
snella.
Anche io indossavo il giubbotto, ma era solo per fare scena.
<< Tutto tranquillo fortunatamente. Nessun
attacco e nessun vampiro indesiderato
>> le dissi, sorridendo.
<< E’ bello avere delle persone su cui puoi
sempre contare >> disse, guardando
in avanti.
<< E’ quello che ti fa andare avanti. Sapere che
puoi fidarti di qualcuno senza avere paura che qualcuno conosca il tuo
segreto >>
<< Sì. E’ così…
>> continuò lei e un sorriso mesto le attraversò il viso.
La guardai. I suoi
occhi brillavano di una luce calda e familiare. Com’era bello il tramonto nei
suoi occhi. La fine del giorno negli occhi suoi: il giorno non poteva trovare
un modo più poetico di morire.
<< Mi dispiace che tu debba avere dei segreti,
Liz >> le dissi.
Non mi aspettavo
niente da lei. Non mi aspettavo che mi dicesse qualcosa che mi facesse
ricredere, che mi dicesse qualcosa che mi facesse sentire bene, non mi
aspettavo niente che non fosse qualcosa di sensato. E la cosa sensata era che,
sì, la sua vita era cambiata, era diversa già prima che ci amassimo, ma con me
le cose si erano complicate molto di più.
<< Lo so
>>
<< Se solo tutto fosse più semplice >> feci per dire.
<< Non
lo è. Niente è semplice, Jake. Ma so bene
che tutto quello che faccio è giusto. Quello che sei…
quello che diventi… non
può farmi dimenticare quello che ho provato e provo con te. So che
qualcun' altro al mio
posto sarebbe scappato, ma io no. Io non scappo, Jake, io sto con te.
Ed anche
se non posso raccontare tutto alle mie amiche, loro mi vorranno bene
allo
stesso modo in cui io voglio bene a loro. Se
qualcuno mi chiedesse di cambiare le cose del mio passato,
l’unica cosa che non
cambierei sarebbe.. il fatto che
quel giorno io abbia deciso di parlare con te e... tutto il resto. >>
La abbracciai dolcemente. Ci appoggiammo ad un albero lì vicino,
mentre io ancora con lei fra le braccia, le rubavo il suo profumo.
<< Tu
sei importante. E penso proprio che non ti libererai facilmente di me,
Liz. Sarebbe davvero fin troppo difficile.
>> le dissi fra i nostri sospiri gelati, che si condensavano in
tante piccole nubi.
Liz mi prese le
mani e le intrecciò alle sue. Fece per appoggiarsi al mio petto, ma io con la
mano sotto al suo mento avvicinai il suo volto al mio, lasciai che le mie labbra
calde aderissero sulle sue, non controllai le mani che la avvolsero nel mio
abbraccio e non pensai più a niente. E quando mi accorsi che anche lei mi toccava
con le sue, sentii un brivido percorrermi la schiena, io che non avevo mai
freddo, tremavo, e Liz che pochi minuti prima si stringeva nelle braccia per
riscaldarsi, non aveva più freddo.
L’amore potrà anche
far strisciare le persone dal dolore, ma quando è quel sentimento che ti
accompagna con q uella persona, la persona per cui daresti tutto, non fa altro che darti forza, non fa
altro che cancellare il ghiaccio dai difficili percorsi della vita.
***
Nevicava. Tanti
piccoli fiocchi di neve volavano nel cielo fino a posarsi sulla strada fredda.
La neve cadeva, cadeva dappertutto. Anche sul mio cappotto nero. Mi diedi una
pacca su entrambi i lati delle spalle e alzai lo sguardo. C’ero io con quel
cappotto che copriva il mio abito elegante, di cui mi vergognavo profondamente,
e vedevo la luna nascosta dai nuvoloni grigi confondere la sua luce con quella
dei lampioni.
<< Ecco la macchina >> disse mio zio Carl una volta uscito
dalla sua auto. Era un datato modello di Ford, nera, ma non pensavo certamente
di lamentarmi. Se zio mi aveva permesso di guidarla, era solo per fare una
migliore figura con Lizzy. Secondo loro, per il ballo, era necessario avere un
mezzo di trasporto che non fossero le gambe. Le avrei mai capite queste cose?
Forse avrei dovuto cominciare a guardare film in cui le ragazze si chiamano
come le caramelle.
<< Grazie, zio
>>
Lui sii strinse nel giubbotto, infreddolito, ma con espressione soddisfatta in volto.
<< Di niente. Non correre, mi raccomando. Quando pensi di
tornare a casa? >>
<< Non lo so. Credo verso… verso le… >> Ecco. A che ora sarebbe finita
quella specie di festa studentesca? Ero riuscito a procurami i biglietti e
stop, non me ne era più importato niente. Stavo per farfugliare qualcosa
quando mia zia lo raggiunse.
<< Carl, vieni dentro. Non voglio che ti ammali.
Per stasera non hai il coprifuoco, Jake. Buona fortuna >>
Bene. Ora dovevo
anche essere fortunato? L’avevo sempre detto io che non ci ho mai capito niente di
queste cose.
Li
salutai e mi
diressi verso casa di Liz. Era illuminata da tante e colorate
luci di Natale. Il giardino, una volta verde, era completamente
imbiancato, e, accanto al
vialetto, si potevano scorgere i resti di un antico pupazzo di neve, sicuramente
opera della piccola Silvya. Sorrisi.
Salii
le scale che
portavano alla soglia e suonai il campanello. Mi sentivo strano.
Così combinato, così vestito bene… temevo di far
ridere qualcuno. Un’altra volta mi
ero vestito in un modo un po’ più curato, a un matrimonio,
ma era meglio non
ricordarlo. E avevo indossato qualcosa di più carino quando
conobbi per la prima volta il signor Audley. In quelle
occasioni avevo solo indossato una camicia e dei pantaloni nuovi.
Quella volta
invece ero vestito per il ballo. Il ballo della scuola, neanche Liz
mi aveva mai visto così. Solo io allo specchio avevo lasciato
che le mie
labbra emettessero un ghigno a metà fra quello sorpreso e
disgustato, sotto lo
schiaffo offeso di mia zia.
<< Sei un figurino >> mi aveva detto.
<< Bene
>> ero riuscito a dire io, non così entusiasta.
<< Ti direi che farai strage di cuori. Sembri un
giovane attore di Hollywood >>
<< Allora avrò finalmente il mio momento di
gloria >> le avevo risposto io, scettico. Fortunatamente avevo sempre il mio solito e corto taglio di capelli.
Misi le mani nelle
tasche del cappotto sospirando. Quella sera faceva davvero freddo, anche se non
lo percepivo come tutti gli altri.
Dopo qualche attimo
di attesa, che mi sembrarono infiniti, la porta fu aperta.
Silvya indossava un
giubbotto rosso e sportivo, era vestita per uscire, e quella sera mi guardava con
uno sguardo più contento del solito. I suoi occhi azzurro cielo brillavano
sotto la luce del neon, e lei era bella, così bella che mi ricordava qualcuno.
Sua
nonna era ben
vestita vicino alle scale con la macchina fotografica fra le mani,
sorridendo. Un sorriso tenero e forse un po’ emozionato.
<< Buonasera
>> dissi, cercando di sembrare un po’ più a mio agio.
<< Ciao, caro
>> mi rispose lei, accogliendo Silvya fra le sue braccia.
<< Voglio fare io la prima foto, nonna! >> diceva la piccola, cercando di
rubare lo strumento dalle mani della signora. Era una cosa davvero bella da
vedere. Io non avevo mai conosciuto i miei nonni. Pensavo che doveva essere
un’esperienza meravigliosa averli sempre vicini, perché anche se anziani e
indeboliti dal tempo, sono dei veri pilastri, danno una fiducia che nessuno
riuscirebbe mai a dare.
<< Aspetta che scenda almeno! >> le rispose, lasciandosi scappare una
risata.
<< Per favore, nonna, per favore! Voglio fare una
foto a Jake >>
Foto. Io. Io
vestito da damerino. No. Trauma!
<< No, Sil! È meglio di no… >> Penso che mentre dicevo quelle
cinque parole, lei avesse già scattato tre foto. Non credo che mi avesse preso
la faccia. E sorpreso, dovetti ammettere a me stesso che l’imbarazzo iniziale si era completamente trasformato,
e ora mi sentivo come a casa, in una famiglia.
Poi Silvya si girò,
ed entrambi ci accorgemmo che sua nonna aveva cambiato l’oggetto del suo
sguardo. Guardava verso le scale. Guardava verso Liz.
Scendeva a piccoli
passi,un po’ più insicura del solito. Lasciava scivolare la mano destra sul bracciolo
che conduceva giù, e le sue labbra si inarcarono in un sorriso timido, mentreguardava verso di noi.
Era splendida. Mi
mancò il fiato. Era come se avesse risucchiato tutta l’aria intorno a me,
era come se mi fossi trovato in un pianeta senza ossigeno. Ma avrei preferito
rimanere sempre così, piuttosto che rinunciarvi.
Indossava un
vestito viola scuro, soffice e di seta, che le accarezzava le cosce fino sopra al
ginocchio. Le spalle le rimanevano scoperte e la scollatura non mi lasciava
intravedere niente di troppo, forse quello mi agitava ancora di più.
Per sedurre un uomo, la donna deve trovare il modo per entrare nei suoi
pensieri e lasciarsi immaginare.
Ma lei non mi stava
seducendo. Mi stava rubando capacità di parola, di udito, di olfatto,e gli
occhi, quelli funzionavano più del dovuto.
I suoi capelli
erano in parte raccolti e dei boccoli di un castano tendente al dorato
scendevano sulle sue spalle candide.
I suoi occhi
color nocciola erano quelli che mi avevano fatto perdere la condizione di ogni cosa
perché, accompagnati a tutto il resto, mi mi avevano fatto credere di essere stato
trasportato in un mondo che non esiste, per vedere cose che nessuno avrebbe mai
immaginato.
I miei pensieri
furono assimilati nella miriade di un secondo, e con un po’ di forza di volontà
riuscii a tornare alla realtà.
Me la trovai
davanti all’improvviso. I nostri occhi erano più vicini grazie alla sua altezza
bilanciata dalle scarpe alte. Era… meravigliosa.
<< Ciao
>> mi disse lei. La sua voce era emozionata e imbarazzata allo
stesso tempo.
Improvvisamente
sviò i miei occhi e guardò in basso, come se avesse fatto qualcosa di male.
<< Sei… bellissima >> che cosa banale da dirle, eppure lei
reagì arrossendo. Di nuovo.
I suoi occhi
incontrarono i miei. Era una sensazione incredibile.
<< Adesso possiamo fare una foto? >> disse Silvya.
<< Sì certo, cara, ma non vorrai che Jacob la
faccia con il cappotto. >> Sua
nonna si avvicinò a me e mi aiutò a toglierlo senza fare pieghe alla giacca.
Avevo un completo
blu scuro, troppo elegante per uno come me, ma adatto all’occasione, e una
camicia bianca con una cravatta dello stesso colore della giacca.
La donna mi sistemò
il colletto, ed in quel momento l’imbarazzo che era sembrato andare fuori
strada per un po’, tornò a farmi compagnia.
Mi avvicinai a Liz,
che mi fissava con un espressione stralunata ma pur sempre adorabile, e misi
una mano intorno alle sue spalle.
<< Sorridete!
>> esclamò Silvya.
Sorrisi. Io e Liz
sorridemmo. E sapevo che pur essendo poco fotogenico, per quanto ne sapevo io,
forse quella foto sarebbe stata bella. Una di quelle da incorniciare.
Tre secondi. Cinque
secondi. Sette secondi. Otto secondi.
<< Perfetta!
>> disse la piccola.
<< Volete vedere? Dove altro la trovate una
fotografa così? >> Tutti quanti
scoppiammo in una risata.
Lizzy prese la
macchinetta fra le mani e andò a cercare fra le foto. Era troppo strano in
effetti, non era neanche scattato il flash. Silvya ci aveva fatto un video. Se
per sbaglio o no, non l’ho mai capito.
Tre secondi.
Sguardo fisso verso l’obbiettivo. Cinque secondi, mano tremante sulla spalla di
Liz. Sette secondi, la mia mano scesa sul suo fianco. Otto secondi. Un sorriso
luminoso arricchire il suo viso angelico. Come se non fosse già perfetto.
<< Hem…
>> fece per dire Silvya.
<< Credo di aver sbagliato >> disse la piccola con un’espressione
tragica.
<< Non preoccuparti, Sil. Non cascherà il mondo
per questo >> le dissi io,
appoggiando un braccio sulle spalle di Lizzy.
<< Ne faccio una io, sperando che questa volta
venga fuori una foto >>
Sorridemmo.
Sentivo
un leggero tremolio sotto le spalle nude di Liz, un tremolio caldo, che
mi fece
pensare al suo stato d’animo. Avrei tanto voluto imparare a
leggerle dentro,
nello stesso modo in cui ci riusciva lei con me. Il mare di emozioni
che
provavo con lei accanto era incredibile: tensione, sicurezza, gioia,
amore,
condivisione, riconoscenza, ammirazione, attrazione… e proprio
come le onde del
mare, si scontravano in un tumultuoso oceano di sensazioni, di
sentimenti forti. Ma se le onde muoiono sulla riva, scontrandosi con la
sabbia e
lasciando una schiuma bianca, ero felice di sapere che era solo un
effetto
ottico. Il mare, le suo onde, non muoiono.
Uccidono, ma non
muoiono. E con quello che provavo insieme a lei, mi sentivo in un modo simile, un
avanti e dietro di emozioni che nessuno poteva controllare.
<< Guarda,
nonna, devi schiacciare questo… >>
disse Liz, prima di avvicinarsi di nuovo a me. La presi per un fianco e la
avvicinai . Mi lanciò uno sguardo che mi fece trattenere il fiato, poco dopo
alzò il viso verso la macchina fotografica.
Voltai il capo, e
in una frazione di secondi scattò il flash.
<< Questa è bella! >> esclamò Liz.
<< Penso che il merito sia dei soggetti… e della
signora Conner, ma credo di essere venuto male. Mi ha preso in contropiede, non
avevo ancora sorriso… >>
<< Jacob caro, come fai a dirlo? Sei così
sorridente invece >> mi disse,
porgendomi la macchina fotografica.
Lizzy si appoggiò
alla mia spalla per guardare, ed io mi
accorsi di aver sorriso, senza rendermene minimamente conto. Che cosa strana…
E
Liz… era anche
fotogenica. Sì, dopo tutte le altre cose c’era anche
quello. Se l’avesse voluto
avrebbe fatto carriera come modella, la sua altezza era discreta e poi
era davvero carina, ma lei non era quel tipo di ragazza che fonda tutto
sull’aspetto fisico.
Stava con me, anche se quella sera e anche in altre occasioni avevo
ricevuto
apprezzamenti inaspettati.
<< Si sta facendo tardi >> disse Liz, restituendo lo strumento
nelle mani di sua nonna. Prese il suo coprispalle coordinato e indossò il suo
cappottino nero, mentre io rimettevo il mio.
<< Stasera niente coprifuoco, ma solo per questa
volta. Hai preso le chiavi, vero? Sono nella borsetta, va bene. Silvya dorme da
me, fra mezz’ora all’incirca verrà a prenderci zia Bonnie. Divertiti e non
pensare a noi. Buona serata, cari
>>
Disse la nonna,
mentre sistemava il cappotto a Liz. Ci salutammo sotto lo sguardo di Silvya,
che guardava sua sorella come se non l’avesse mai vista prima.
Liz si aggrappò a
me improvvisamente. Le scarpe alte sul vialetto reso scivoloso dalla neve
restante, non promettevano niente di buono.
<< Hey, hey, tutto ok? >>
<< Sì. Stavo solo scivolando >>
<< Colpa delle scarpe? >>
<< E del bagnato
>> sorrise, lasciando andare la presa. Le presi la mano, la sua
era sempre più fredda rispetto alla mia, ma era una bella sensazione.
<< Non c’era bisogno che indossassi questi
trampoli. Non sei poi così bassa
>>
<< Sta parlando quello che è alto un metro e
novanta e guarda tutti dall’alto
>> se la sua intenzione era quella di sembrare acida, non ci riuscì. Anche
vestita in quel modo così curato, non sarebbe mai sembrata una ragazza snob.
<< Adesso invece di trenta, sono solo venti
centimetri di differenza >> aggiunse.
<< Hai messo le scarpe per questo? >>
<< No. Non so se il tuo gusto maschile può
capire, ma anche se fanno male, anzi, forse mi faranno male visto che è la prima
volta che le indosso, la prima volta che indosso dei tacchi così alti, al ballo
di fine anno sono d’obbligo >>
<< Chi vi capisce >>
<< Non devi capire per forza, Jake. E’ solo un
paio di scarpe >>
Avevo letto da
qualche parte, non ricordo se per un compito a casa o altro, che le donne non
si capiscono ma si amano e basta. Forse
era vero.
Misi da parte
quell’argomento e le aprii la portiera. Non era da me fare una cosa del genere,
forse Lizzy sarebbe scoppiata a ridere guardando una simile e innaturale forma
di galanteria per i diciottenni del ventunesimo secolo. Lei mi sorrise e vi
entrò. Mentre attraversavo la strada per prendere il posto del guidatore, Liz mi
guardava con il suoi occhi trasparenti di felicità.
<< Andiamo
>> dissi, prima che Liz posasse la sua mano sulla mia spalla ed io
mi girassi verso di lei. Le diedi un bacio, mentre le mia mani le raggiungevano la nuca
e lei si aggrappava leggermente a me.
<< Ahi
>> esclamò. Aveva battuto la testa contro il vetro dell’auto.
<< Tutto bene?
>> le chiesi, con la risata intrappolata nella gola.
<< Ford nera del 1997. Con pochi cavalli e
antiquata >> disse.
<< Questa è una signora macchina >>
<< E’ appena un’adolescente! Ed è scomoda per
baciarsi >>
<< Ecco! Fai tanto la ragazza timida e poi… >> continuai io.
<< vorrei baciare il mio ragazzo senza sbattere
la testa >>
<< Nella mia golf non abbiamo mai provato >>
<< Meglio non ricordare la tua golf >> fece un colpetto di tosse. << La BMW di mio padre era abbastanza
comoda >>
<< Potresti chiamarlo e dire ' Ciao papà, scusa
sono Lizzy. Jacob è riuscito a farsi prestare l’auto di sua zio dopo tanti
favori e gentilezze. Ma sai, credo che sia scomoda per dare un bacio decente.
Sai non un bacietto così, un bacio di quelli…'
>>
<< Jake!
>>
<< Scherzavo
>> dissi, ridendo.
Questa volta fu lei
ad avvicinare il mio viso al suo, accarezzando la mia nuca con la sua mano
morbida. Sentivo il calore del suo respiro sul suo viso, e negli occhi socchiusi
potevo scrutare il chiaro colore delle sue iridi.
<< Vuoi riprovare >> affermai. La luce della strada era
sfuocata, e si confondeva con il cielo nuvoloso. Liz non mi rispose, chiuse
soltanto gli occhi e lasciò che adagiassi le mie labbra sulle sue. Eravamo in
ritardo di un quarto d’ora, ma infondo non mi dispiaceva.
Infilai le chiavi e
partii.
Lizzy guardava
fuori dal finestrino con l’aria sognante e i gomiti poggiati sullo sportello.
Non c’era molto di
interessante da guardare, ma quella volta era diverso. Era il momento in cui la felicità
era riuscita a cancellare il passato con la certezza del presente, un illusione
incerta ma tanto rassicurante. Vedeva i bambini che giocavano a palle di neve
nei giardini, i loro genitori che li richiamavano, la luce nelle case spegnersi
e accendersi, il suono degli apparecchi tecnologici sovrastati dalle belle e profonde voci
umane. E con i suoi occhi vedevo anch’io, vedevo tutto. E fu il momento in cui
capii per l’ennesima volta, quanto le ero legato.
Ciaoooo :):)
spero che questo capitolo vi sia
piaciuto :):), il capitolo originale è un po' lungo, quindi ho
deciso di dividerlo in due :):)
Cosa ne pensate di Jake, così?
Pensavo che anche lui e Liz dovessero avere la loro occasione di fare
una cosa del genere, nelle scuole americane sono molto frequenti.
Mentre leggevo i libri, Jacob somigliava molto all'attore steven
Strait, ma Taylor Lautner non mi ha per niente deluso :) e lui è
davvero carino ^^ ok, è stupendo *-*
Grazie mille a chi legge <3
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Capitolo 36 *** 36 ***
jake 35
Parcheggio della 'Seattle high school'. Le macchine erano tirate a lucido. Tutti erano vestiti in modo elegante,
e, guardando i vestiti delle altre ragazze, mi resi ancor più conto di quanto
fossero troppo appariscenti. Lucy, Mark, Walter e Dina dovevano essere nei
paraggi, ma né io né Liz riuscimmo ad individuarli. Sicuramente erano già
entrati. Io e Liz ci stavamo dirigendo verso l’entrata della palestra, la neve
era stata pulita via per l’evento e il cammino risultava più facile. Lei aveva
freddo e fu bello avvolgerla con il mio braccio destro e vedere il suo
sollievo.
Poi, in un angolo, una ventina di metri
distante dall’entrata, li vidi. Erano lì, vestiti in modo completo, inaspettati, con il
sorriso sulle labbra, e impacciati. Erano solo tre e potevo immaginare il
motivo.
<< Embry, Paul, Seth >> dissi.
<< Ciao, amico. Ti siamo mancati vero? >> disse Embry, che mi sembrava un
tantino ridicolo. Era vestito, sì, loro che andavano in giro sempre a petto nudo,
erano vestiti.
Li abbracciai
forte. Nonostante l’iniziale 'panico', mi avevano fatto una bellissima
sorpresa. Era sempre bello rivederli, i miei fratelli.
<< Cosa ci fate qui? >> chiesi.
<< Niente di che. Ci tenevo a vederti vestito da
pinguino >>
Guardai Seth con
un’aria torva.
<< Seth ci aveva detto che ci sarebbe stato un
ballo, e tu ti sei fatto sfuggire la data…
>> aggiunse Paul.
<< Sì, certo
>>
<< Non sei poi così male, vestito così, Jake >>
<< Dovrei dirti grazie? >>
<< No. Non ce n'è bisogno. E comunque siamo venuti
qui per divertirci un po’, a tutti i balli ci sono ragazze senza cavaliere >> rispose Seth.
<< Lizzy?
>> fece Embry, stringendo gli occhi, per focalizzare meglio
l’immagine al buio.
<< Ciao, ragazzi
>> disse lei, sorridendo. Loro corsero ad abbracciarla, ed
anche se erano miei amici, mi sentii in soggezione nel vedere che veniva
abbracciata da qualcuno che non fossi io, suo padre, sua nonna, sua sorella, o
le sue amiche.
<< Sei uno schianto pazzesco! Forse non ti avrei
riconosciuta >> disse Seth,
euforico.
<< Piano con gli apprezzamenti >> dissi io, avvicinandomela per il
fianco. Lei si mostrò leggera come una piuma.
Lizzy era
arrossita. Al contrario delle altre ragazze, non aveva una maschera di
fondotinta al posto della faccia, così, anche se al buio, riuscii a scorgere il
colore più vivace dell’arrossire delle sue guance.
< Tutto bene a La Push? >> chiese Liz.
<< Certo, tutto tranquillo. Aro non si è ancora
fatto sentire. Penserà che la sua guardia sia ancora in Argentina. Ed anche se
pensasse di attaccarci, lui è solo e fra i poteri dei Cullen e noi, sarebbe
solo un suicidio. Alice comunque continua a controllare il futuro >>
<< Alice?
Come sta? Sta bene? >> fece
Liz, con gli occhi illuminati. Alice riusciva sempre a farsi volere bene.
<< Certo, Lizzy. Non muore mica >> disse Embry, sarcastico.
Lizzy accennò un
sorriso sforzato. Non dover morire mai era un pensiero che la spaventava, anche
se non la riguardava. Il fatto di rimanere sempre uguali, con lo stesso viso
senza alcun cambiamento era inquietante. Ricordai di quando una volta, la
ragazza che avrei tanto voluto amare con il suo consenso, pensava esattamente
il contrario.
<< Quindi avete intenzione di entrare? >> chiesi.
<< Assolutamente
>> rispose Paul, con un sorriso a trentadue denti.
Stavo per dire che
Seth fosse troppo piccolo per entrare, ma, guardandolo più attentamente, mi
accorsi di quanto fosse cambiato. Aveva sempre lo stesso viso, la stessa luce
negli occhi, e la bella carnagione perennemente abbronzata, ma era alto più di
un metro e ottanta, la sua camicia aderiva perfettamente al suo busto, al suo fisico scolpito. Aveva da
poco compiuto sedici anni, ma ne dimostrava certamente di più. Proprio come me,
come noi.
<< D’accordo
>> dissi, prendendo la mano di Liz che mi guardava con quello
sguardo immediato, naturale, che mi faceva sentire sempre qualcosa dentro, che
non riuscii mai a definire.
Tante coppie si
dirigevano verso l’entrata, tante erano già all’interno della struttura. Una
ventina le ragazze senza cavaliere, una quindicina i ragazzi liberi.
Ed io ero completamente
immerso in una normale serata da diciottenne, con la mia ragazza e i miei
amici, quelli di sempre.
Incredibile, davvero.
Dopo lo shock
iniziale, avevo intenzione di fare loro molte domande. Sapevo che erano felici
di vedermi, ma senza un motivo fondato non credevo che Sam li avrebbe
autorizzati a lasciare la riserva. Sam. Dava tutto per tutti, ma pretendeva
quelle cose che la lealtà e la coerenza devono sempre dare.
Ma ci sarebbe stata
un’altra occasione per parlare di questo. Quella sera doveva essere dedicata a
qualcos’altro. Lizzy.
Liz, che, fra le
luci, il soffitto da cui cadeva una sfera luminosa, la gente che ballava, la
gente che beveva, si era fatta incredibilmente piccola. La parte ironica,
divertente e vivace di lei, si era nascosta dagli altri per paura di essere
notata. In quel momento prevaleva il suo lato timido, quello un po’ silenzioso
e riservato, che forse mi aveva attirato di più a lei, poco meno di un anno
prima. Eppure era stata Liz a parlare per prima, nel parco di Seattle, con me.
Forse le ispiravo qualcosa, nessuno può saperlo.
Era bello conoscere
tanti lati di lei, era bello sapere che così come lei conosceva tutto di me,
era lo stesso anche con me nei suoi confronti. Fra la folla, un po’ impacciata,
mi cercava con lo sguardo. Seth, Embry e Paul dovevano essere nei paraggi, così
come Dina, Walt, Mark e Lucy, anche se non li avevamo ancora visti.
Lizzy mi notò
subito, e mi invitò ad avvicinarmi con il suo sguardo dolce.
<< Non credevo che la palestra sarebbe stata
così piena >>
<< Sono più gli imbucati, che i diplomanti. E’
sempre così. >> disse, lasciandosi
andare ad un sorriso. Avevo di nuovo perso il fiato.
<< Mi sento un po’ troppo leggero… >> feci per dire, toccandomi la giacca.
Prima mi sentivo un po’ più pesante, chissà perché…
<< Jake, i cappotti li abbiamo lasciati
avanti >>
Improvvisamente mi
ricordai di quel gesto.
<< Giusto. Non ci avevo pensato >>
A un angolo della
sala, eravamo continuamente percossi da spintoni. Per quanto riguardava me non
c’era niente di cui preoccuparsi. Nessuno riusciva mai a smuovermi, ma quando
toccavano lei… era diverso. Sembrava così leggera e spesso come reazione a
catena aveva smosso qualche altra ragazza.
Come per una
reazione protettiva, la presi fra le braccia e l’avvicinai a me.
La sua pelle liscia
era fresca sotto il mio tocco che la avvolgeva nel mio calore come la neve si
posa sui gradini.
<< Dovremmo fingere di ballare adesso >> dissi.
<< Potremmo anche ballare per davvero >>
<< Tu sì. Io non credo >>
<< Io non sono brava con i balli da discoteca.
La musica house non è musica, ti fa soltanto… saltare >>
<< Saltare è più facile. Ballare è più
impegnativo >>
<< Non provarci. Potresti sbattere la testa contro il soffitto. Mi servi. Soprattutto adesso
>> rispose, maliziosa.
<< Mi sento un uomo oggetto >>
Scoppiò a ridere. Sentii la sua
risata sulla mia spalla.
<< Non sei un uomo oggetto >> mi sussurrò all’orecchio con un
sorriso calmo.
Lei mi faceva
sempre sorprendere. Tutte le volte che mi diceva: 'tu non sei' o 'tu sei', mi faceva
capire quanto mi avesse capito, e le sue affermazioni erano inchiostro
indelebile sul cuoio della mia pelle, inchiostro con cui solo lei sapeva
scrivere.
<< Questo qui è un lento. Non dovremmo essere in
difficoltà >> affermai.
<< Vuoi ballare con me, Jacob? >> mi chiese, come se aspettasse davvero
un risposta a quell’interrogativa retorica.
Avvolse le sue
braccia intorno al mio collo, arrivando a toccare la mia nuca. Io abbassai il
capo mentre lei alzava il suo. I nostri occhi si incontrarono in quell’istante,
le luci colorate cadevano sul suo viso
come lampi di comete. Affondai lo sguardo nei suoi occhi senza pensare,
fissando quel colore ambrato più scuro a causa della luce, ma sempre intenso.
Feci per sussurrare
un sì, un sì che era una risposta a tutto. Lasciai che le mie mani aderissero
alla sua vita sottile e mi feci cullare da lei, da noi, da quello che sentivo quando la
toccavo, e da quella musica che aveva trovato le parole per me in quel momento,
quel momento in cui, incantato, non potevo far altro che guardarla.
Non credevo che avrei
mai provato simili sensazioni con una ragazza che non fosse quella con cui
avevo ballato l’ultima volta.
La guardavo con gli occhi di chi aveva
appena trovato tutto quello che cercava da tutta la vita.
Sentivo un fuoco dentro di me che consumava
tutto quello che aveva intorno, aveva bruciato tutto il mio dolore, facendolo
tramutare in un lontano ricordo a cui ora pensavo con triste malinconia.
Liz mi aveva fatto rivivere. Liz mi aveva
fatto rinascere. Qualunque giorno valeva la pena di essere vissuto con lei.
Quell’amore mi bruciava l’anima, mi
uccideva il cuore, mi toglieva l’aria, eppure non avrei più potuto vivere
senza. La mia vita aveva trovato un punto d’incontro con la sua, un punto fermo
nello spazio immaginario dell’universo. Ed era quella cosa che mi aiutava ad
aprire gli occhi e svegliarmi dopo una notte di tuoni, era quella cosa che mi
consumava e allo stesso momento mi alimentava.
Come il vento con un grande falò. Come un
uragano in mezzo al mare.
Il desiderio di stare con lei era più
forte di qualunque altro obbligo di ragione.
La musica aveva smesso di suonare e Liz
aveva lasciato il mio collo, per cercare la mia mano.
Mi allontanò dalla folla tirandomi verso
l’esterno della calca. Raggiungemmo un punto della sala in cui le luci rosse e
blu non arrivavano si rifletteva solo la luce esterna.
In quella piccola ombra tutto sembrava
essere celato al mondo di fuori. Fu lì che Liz mi portò. Quasi non riuscivo a
vederla sotto quel buio. Sentii solo la sua mano che cadeva sulle mie braccia e
le sue labbra sulle mie che avevano risposto alle parole che avevo pensato
durante il ballo, e che forse con i miei occhi le avevo trasmesso. Abbassai il
capo e il bacio si fece sempre più deciso e , tanto da credere che
volessimo fonderci in un'unica persona e un'unica anima.
Il fiato corto ci portò a smettere. Liz si
appoggiò ai miei avambracci, avvampante di rossore era più calda del solito, ed
io che lo ero sempre, mi accorsi di quel cambiamento.
Non immagini nemmeno quanto sei importante per me...
Improvvisamente il buio. Non
c’erano nemmeno le luci colorate a scontrarsi con la sfera argentea del
soffitto. Durò solo un secondo, eppure io sentii l’impulso di stringere Lizzy a
me. Una volta mi era stata portata via praticamente sotto gli occhi, forse era
per quello che avevo un simile atteggiamento. Certo, se le avesse dato anche
solo un po’ di fastidio, non avrei fatto mai più una cosa simile. Ma non era la
prima volta che succedeva, e lei non mi aveva mai fatto presente che la cosa la
irritasse, anzi, ogni cosa mi dimostrava il contrario. L’avevo solo abbracciata.
Nella palestra, trasformata in una sala da
ballo, regnò la luce al neon che la caratterizzava durante l’orario scolastico.
Davanti al canestro, che era stato
interamente decorato con lustrini verdi, era stato montato un piccolo palco,
occupato dal microfono e qualche cassa al lato.
<<
Prova. Prova >> fece il
professor Bernard di Storia e filosofia. Era un uomo alto, con le spalle
larghe, gli occhi scuri e i capelli brizzolati. Single e sulla quarantina, era
motivo di interesse per molti che non riuscivano a capire come mai un uomo
così non avesse una compagna. Io non lo conoscevo. Non era un mio professore,
faceva invece lezione a Lizzy il Venerdì. Il fatidico giorno de “ Nessuna
lezione in comune”.
Vestito elegante e con una busta si
preparava a fare il suo discorso.
<<
Ragazzi, Siete davvero molti stasera
>> e tossì timidamente, attirando l’attenzione di tutti.
<< Ok, io non sono pratico di questo genere di
cose. Io insegno il pensiero, e quello che gli uomini hanno fatto seguendo
esso. Non sono un oratore, ma posso dirvi qualcosa della mia esperienza che
riguarda anche tutti voi >>
Il silenzio era quasi assoluto. Un leggero
brusio accompagnava i nostri respiri nella sala, che aspettavano che il
professore continuasse a parlare.
Ascoltare
le esperienze degli insegnanti
era sempre più interessante di assistere alle lezioni. Aveva catturato la mia attenzione, nonostante poco prima
stessi
avendo un momento di grande impotenza emotiva con Lizzy.
Ma quand'è che parli e spegni di nuovo la luce? Ci hai interrotti...
Lei era ancora
fra le
mie braccia. Questa volta voltata verso il palco, che avvolgeva con le
sue
braccia le mie, posate sulla sua vita.
<<
Ventidue anni fa, anch’io come voi, in questo liceo, ero al ballo di
fine anno. Anzi dei diplomanti.
Molti di voi lo frequentano dal primo
anno, molti ancora si saranno trasferiti da poco; Un anno al massimo. Avrete imparato molte cose in questi anni.
Non sono qui per parlarvi di studio. Vi
assilliamo fin troppo con questo ogni santo giorno, e alcuni dovrebbero anche
darsi una calmata. Sono ragazzi, Diamine!
>>
Tutti scoppiammo a ridere. Il
preside forse no, ma nessuno pensò a lui. Era forte questo professore.
Alla nostra risata si era allargato la
cravatta nera strinta al suo colletto.
<<
Tornando seri… >> Fece per dire, mentre tutti si
ricomponevano. Guardava frequentemente la mano libera. Sospettavo che
avesse scritto gran parte del suo discorso sulla mano sinistra, proprio
come facevamo noi durante i compiti in classe. Era davvero emozionato.
<<
Voi avrete capito chi siete. Avrete affrontato crisi su crisi. Compiti
andati male. Amici strani. La cotta per la ragazza sbagliata. Il ragazzo che vi
ha preso in giro.
Amicizie perse. Sogni su sogni. Progetti.
Amori.
Forse dopo tutto sapete cosa siete. Ma questo
non significa sapere come vi chiamate.
Io mi chiamo Kevin Bernard e allora? Che
ci faccio con questo, una targhetta?
No, ragazzi, voi dovete conoscere voi
stessi. I vostri punti deboli e di forza. E non dite che non ne avete. Voi
siete deboli ma così come lo sono tutti. Ma siete anche forti, voi dovete
trovare la vostra forza. Dovete avere la caparbietà di andare al college e dire ' Adesso
gli faccio vedere io a quello lì quanto valgo', ovunque ci sono docenti che se
la prendono con gli alunni, ed anche la forza di dire ' Della scuola non me ne
importa proprio niente. Voglio diventare una rockstar!'.
Non abbiate paura di quello che siete.
Riconoscete voi stessi.
E poi… con le persone. Non abbiate paura
di dichiararvi a qualcuno. Dite esattamente quello che provate. Prima di essere
felici si è sempre tristi, ricordatevelo.
Sempre.
Dite a quella ragazza che vi piace da
morire, e dite a quell’amico che senza di lui non potreste vivere.
Spero che in questi cinque anni abbiate
imparato. E spero che con il diploma non dimostrerete solo di avere delle
competenze scolastiche, ma anche di essere abbastanza grandi per affrontare il
mondo.
Certo, se volete fare la rockstar e non
volete studiare il diploma non ve lo do, ma insomma, credo cha abbiate capito quello
che bisogna fare.
Seguite i vostri sogni. Se siete
innamorati, seguite l’amore ovunque vi porta. Vi porterà in posti meravigliosi.
E siate sempre voi stessi. Non nascondete
mai quello che siete e quello che sentite.
Ed ora…
>>
<<
Grazie mille, professor Bernard
>> disse la mia professoressa di francese, togliendo la busta
dalle mani del professore. Imbarazzata e agitata, era diventata ancora più
rossa di quello che non fosse già la sua carnagione irlandese.
<<
Possiamo annunciare la reginetta
>> continuò la professoressa, sistemandosi i capelli color biondo
paglia.
Non prestai molta attenzione al nome della
vincitrice e forse non lo fecero neanche gli altri. Il professor Bernard si
avviò verso un altro punto della sala, e, forse convinto che nessuno lo stesse
guardando, prese la professoressa Violette Watson per mano e la baciò sotto gli
occhi di tutti. La donna dai capelli corvini e gli occhi luminosi ricambiò il
bacio, e si lasciò abbracciare da quelle braccia possenti, facendovi aderire il
suo corpo gracile.
Se qualcuno credeva ancora che il
professore Bernard fosse scapolo, in quel momento molte convinzioni furono
svitate dalle loro fondamenta e lasciate da parte, per pensare a qualche nuova
fantasia.
<<
Un applauso ragazzi! >>
disse la professoressa dal palco, che agitava ancora la busta; in quel
momento le era accanto un’alta ragazza dai capelli lunghi e folti, con il
sorriso stampato sulle labbra. La coroncina di plastica dura e dorata sul capo
castano. Carina... ma non abbastanza.
Io non applaudii. Liz applaudì per me; era
ancora fra le mie braccia, e non mi dava nessun segno che mi indicasse di
allontanarmi. Lei sì, che era la mia reginetta.
Lizzy sospirò e si voltò verso di me,
facendo sciogliere l’applauso.
<<
Sei stanca? >> le chiesi.
<<
No. Non sono stanca >> mi
rispose lei sorridendo.
<<
Tutto bene con i tuoi trampoli?
>> aumentò il sorriso.
<<
Questa domanda non vale. E poi ce la faccio. Camminare su questi cosi è
una passeggiata rispetto ad altre… cose
>>
'Altre cose'… noi sapevamo benissimo quali
altre cose. Volturi, vampiri, problemi di natura simile, tutto lì. Non c’era
niente di cui sorprendersi.
<<
E non usare la scusa delle mie scarpe per svignartela. Stasera sei il
mio cavaliere >>
<<
Sì, certo, come no. Cavaliere… neanche ci fosse una tavola rotonda. >>
<<
Il tavolo dei drink è rettangolare. Fa lo stesso >>
Avvicinai il mio volto al suo al suo
orecchio, farfugliando.
<<
Come fai zittirmi sempre? Sei la sola persona al mondo che ci
riesce >> le sussurrai.
<<
Non è un affare di stato, cavaliere
>> mi rispose lei allo stesso modo, ma con una voce che non poteva
essere paragonata alla mia, roca e più profonda.
Rimasi in silenzio, e lei manifestò il suo
solito sorriso. Forse se non parlavo più era perché non avevo niente da dirle.
Ma allora perché con gli altri non succedeva mai?
Nonostante ciò, trasalii. Le luci si
spensero di nuovo, le luci ricominciarono a saltare dai vestiti brillantinati
ai visi dei presenti. Cercai di dimenticare il mio blocco per il ballo e
l’attirai con me nella folla, dove a spalla a spalla con i ragazzi, mi sembrò
di aver catturato quella sera in una sfera di cristallo, per rivederla ogni
volta che lo desideravo, e per riviverla, ogni volta che non ne avrei avuto la
possibilità.
***
I capelli di Liz, all’inizio della serata
perfettamente fermi e fissati dai suoi bei fermagli, erano leggermente più
voluminosi per via del movimento avvenuto durante il ballo.
Una pinzetta le cadeva da un lato, allora
lei la tolse via, facendo cadere i capelli sciolti e ondulati sulle sue spalle.
<<
Vuoi qualcosa da bere? >>
le chiesi. Era più che notte fonda, e né io ne lei avevamo toccato qualcosa che
ci potesse idratare. Certo, non mi illudevo di trovare dell’acqua ma,
dopotutto…
<<
Sì. Ho veramente sete >>
Lasciammo la folla, composta per più da
giovani con la faccia da zombie e il corpo in coordinazione con il ritmo sui
fianchi. Io e Lizzy non eravamo così orribili da guardare, o almeno, lei non lo
era, lei eraassolutamente fantastica,.
<<
E comunque sei un bravo ballerino
>> mi disse mentre le versavo un liquido in un bicchiere di
plastica.
<< Sei sicura di non aver bevuto? >> chiesi, prima di lasciarmi andare ad
una risata leggera. Le si illuminò il viso.
<<
Certo che non ho bevuto. Sono astemia. Non te l’ho mai detto? >>
<<
Be', a casa tua in salotto c’è una vetrata piena di liquori: menta,
limone, arancia. Basta solo che ti sorprenda a trincare sul divano >>
<<
Scemo. Scommetto che non reggeresti niente >>
<<
Certo che so reggere l’alchol. Seth lo sa bene >>
<<
Ma ora Seth è da qualche parte e non può confermare >> diceva, mentre riempivo anche il mio
bicchiere.
<<
E’ per questo che ti stai versando un bicchiere thè freddo >> continuò.
<<
Scusa, ma tu non hai intenzione di bere?
>> dissi prima di cominciare a bere dal mio bicchiere.
<<
Bene, ora vuoi dirmi anche quando devo bere? >>
<<
Non ti sopporto >>
<<
Oh neanche io. Che bello quando i sentimenti sono ricambiati,
davvero >> finii la bevanda poco prima che lo facesse
anche lei, appoggiai il bicchiere sulla tavola e la cinsi per i fianchi.
Mi rispose prima che
la baciassi. Fu un momento cortissimo, piccolo come la caduta di una stella
cadente sulla terra, ma da afferrare, da custodire fra i tesori, perché non mai si sa quando potrebbe cadere un’altra
stella.
Un colpo di tosse ci fece smettere. Una
ragazza, con un vestito arancio flosforescente stretto e corto fino a metà
coscia, con delle scarpe che sembravano dei gradini per quanto fossero grossi e
alti, ci guardava con quello sguardo a metà fra lo sbronzo e quello che si
sforza a mantenere ferme le palpebre. I capelli lisci, scuri e con le
exstencion rosa. L’avevo già incontrata.
All’improvviso Lizzy assunse un
comportamento passivo e imbarazzato.
<<
Cassie >> disse. La musica
che rimbombava nelle orecchie, ma che lontana di una decina di metri, ci
permetteva di parlare senza alzare la voce di molto.
<<
Potete andare a baciarvi da un’altra parte. Bloccate il passaggio >> disse lei, avvicinandosi e facendoci
spostare. Prese un bicchiere e lo riempì con aria annoiata. E non era the freddo.
<<
Va tutto bene? >> chiese
Liz.
<<
Oh certo, Lizzy. Va tutto a meraviglia. Siamo tutti felici e sorridenti
come te. >> rispose lei, con una
pungente aria sarcastica che mi infastidì molto. Avrei voluto chiederle
quale’era il suo problema.
Subito dopo sentii una pacca sulla spalla
che mi fece voltare. Era Mark. I capelli biondi che sembravano più scuri sotto
il buio e gli occhi chiari un po’ assonnati.
<<
Sono venuto a fare rifornimento per la mia damigella. Vedo che stai
facendo la stessa cosa >> mi disse
lui, con un sorriso che avrebbe potuto storcergli l’intera mascella.
<<
Ah sì. Infatti >> accennai,
con lo sguardo fisso verso Liz e Cassie.
<<
Uh… litigio fra donne >>
disse lui a bassa voce, e le sue parole mi fecero voltare.
<<
Meglio non immischiarsi, Jake. Te lo dico io >> aggiunse, prima di riempire un
bicchiere di coca-cola e andare via. Forse mi avrebbe anche salutato se lo
avessi degnato anche solo di uno sguardo. Anche io a volte, senza volerlo,
potevo essere irritante.
<<
Va bene >> sussurrò Lizzy.
<<
Hai visto la nuova reginetta? Quella spagnola da quattro soldi. Dimmi,
non sarebbe stato più giusto se avessi vinto io? >> chiese Cassie, con fare isterico. Ok,
forse non dovevo immischiarmi.
<<
Oh. Non lo so… >> disse Liz.
<<
Non lo sai >> ripeté lei,
cercando di imitarla. Mi avvicinai a Liz come per un segno di protezione, ma
lei mi toccò il braccio con la mano, come per farmi capire che non c’era niente
di cui preoccuparsi.
<<
Ti sei messa quel vestito…
>> disse Cassie, diminuendo le distanze.
<<
Cosa? >>
<<
Oh Lizzy sai benissimo di che cosa parlo. Non ti ricordi della serata di
shopping quel Febbraio… >>
Improvvisamente Lizzy assunse un’
espressione diversa da tutte quelle che le avevo visto materializzarsi sul
viso. Era un’espressione triste.
<<
Lo comprasti insieme a Ronnie, quando lei ti veniva ancora dietro.
Patetiche, davvero. Quella sera uscimmo tutte insieme perché lei ci convinse a
portarti con noi. Era per il ballo dell’anno scorso, io e le altre volevamo
imbucarci. >>
Adesso le era di fronte a pochissimi
centimetri di distanza, ma Liz mi aveva allontanato con la sua presa leggerissima e le ero almeno mezzo metro distante.
<<
Mi ricordo ancora di quella sera. Lei ti faceva un sacco di complimenti.
Certo, Ronnie ha sempre avuto più gusto di te, prima che si tingesse i capelli
di quel colore orribile, solo perché glielo avevo chiesto io. E’ un bene che
non ci sia più di mezzo ora. Sarà scappata a Saint Tropez a ballare balli
di gruppo >>
<<
Smettila, per favore >>
sussurrò Liz, guardando in basso.
Ronnie… non avrei mai dimenticato quello
che mi aveva raccontato la primavera scorsa.
Io avevo una cara amica.
Stavamo sempre insieme. Sempre. Era una bellissima amicizia. A volte desideravo
essere come lei: quei capelli così scuri e così lisci e lucenti. Aveva una
bella carnagione che la faceva sembrare abbronzata tutto l’anno, il naso alla
francese, gli occhi neri e il fisico statuario. La sua foto è sull’annuario
scolastico, in prima pagina. Lei mi diceva di volere i miei stessi riccioli
sparsi per la chioma… così irregolari… e le piacevano i miei occhi. Ci
dicevamo sempre ogni cosa. Era come una sorella.
E' Scomparsa il tre Maggio di
un anno fa, nessuno l’ha più ritrovata, lei non è più tornata…
qualcuno l’ha presa… non lo so. Qualcuno ce l’ha portata via e non so chi,
non so come. In quel periodo tante persone sparivano nel nulla, si parlava di
un serial killer, alcune non si sono mai trovate, come lei, altre sono state
trovate morte. Lei era la mia migliore amica… ed era buona. Lei non meritava
tutto questo, anche se niente era più come prima.
La vampira dai capelli neri che aveva
ucciso Sam durante la battaglia contro i neonati. Ronnie era solo uno dei tanti
fantocci di Victoria, una delle tante persone che erano state strappate alla
vita per colpa di un errore.
Il racconto di Lizzy mi aveva fatto
sentire incredibilmente in colpa, più di qui quanto non me ne sentissi già per
non averle detto nulla.
Così un pomeriggio di fredda pioggia…
Sono un licantropo e uccido le sole cose
a cui siamo autorizzati a uccidere: i vampiri, Ronnie la tua migliore amica, è
successo tutto per colpa loro… è morta Liz.
<< Ronnie è morta ? >> mi chiese.
<< Mi dispiace, Liz, ma nessuno poteva
impedire che succedesse >> sul mio petto, sentivo scendere le
sue lacrime calde…
La reazione di Lizzy alle parole di quella
cheerleader potevano essere spiegate solo da questo.
<<
Smettila, per favore >>
<<
Perché? Hai paura che le sia successo qualcosa di male? Lo sapevano
tutti che era una sfigata. Poteva anche essere considerata carina… ma, insomma,
basta guardare le sue vecchie foto. Con noi, certo, ha imparato qualcosa di più
sull’immagine. Mi sarebbe stata anche simpatica, se non avesse sempre avuto
quella fastidiosa espressione di disagio addosso. >>
<<
Jake >> Chiamò il mio nome.
Trattenermi in quel moemnto era stato molto difficile per me. Sentivo le
lacrime di Liz affollarsi intorno ai suoi occhi, e mi faceva stare dannatamente
male.
Non lo sapeva quella cheerleader
superficiale che Ronnie era morta. Non lo sapeva che se non avesse cominciato
ad influenzare Ronnie, Liz e lei potevano ancora essere amiche.
Non lo sapeva che era stata trasformata in
una vampira e che quel destino avrebbe potuto tranquillamente
toccare a lei. Non lo sapeva quanto Ronnie doveva aver sofferto.
Ma questo non giustificava tutto quello
che stava dicendo. Non la giustificava affatto. La vipera aveva trovato una
buona occasione per sputare un po’ del suo veleno.
<<
Se si fosse impegnata un po’ di più, avrebbe potuto anche consigliarti a
proposito del vestito. Ne avresti comprato uno migliore… >> disse.
Lizzy avrebbe tanto voluto non essere lì
in quel momento. Lo avrebbe desiderato con tutto il cuore, ma non era ancora
finita.
<<
Che fai? Piangi? Oh, ma no… sei diventata deboluccia. Scommetto che ora
correrai dalla tua mammina e le racconterai tutto. Ah giusto, non puoi. >>
Sorrideva nel modo più cattivo che ci potesse essere, sempre se
quella specie di espressione poteva essere considerata tale.
<< Lei è morta. >>
La voce sicura, stridula, insopportabile.
La bocca storta in un sorriso malevolo e
pieno di cattiveria. E fu l’ultima cosa che disse prima di passare ad una falsa
espressione dispiaciuta, prima di fingere di essere anche solo bella e gentile
quanto lei, e di nascondere la sua invidia con una finta voce dolce sull’acido
della sua lingua.
Cassie fece versare il liquido del suo
bicchiere, riempito fino all’orlo solo pochi secondi prima cadesse sul liscio tessuto
viola dell’abito di Lizzy, lasciando cadere il contenitore di plastica per
terra.
<<
Mi dispiace, davvero. Ronnie ti avrebbe difesa da cara amica se fosse
stata qui.
E la mammina ti avrebbe sistemato di nuovo il vestito e avresti potuto
indossarlo di nuovo. Ma non c'è. Oh, che peccato. Non
c'è. Non c'è. >>
Presi
Lizzy per il braccio, forse con
troppa forza, ma non era certamente mia intenzione, e la diressi verso
l’uscita. Se fossi rimasto davanti a quella strega ancora per un
minuto avrei anche potuto farla fuori. E allora altro che vampiri e
veleno. Le avrei risparmiato tutte quelle fasi.
Fortunatamente nessuno a parte me si era
soffermato sulla scena. La maggior parte dei ragazzi era sulla pista da ballo.
La guardai negli occhi. Le lacrime
galleggiavano fra le sue iridi, mentre lei si sforzava di mantenerle lì, in
sospeso.
Presi il cappotto dal portaabiti vicino
alla porta, e glielo posai fra le mani. Io presi il mio e lo indossai
velocemente, più per abitudine.
Le
casse d’audio erano molto vicine,
poiché collocate agli angoli della sala, così non riscii
a spiccicare parola. Mi si stringeva il cuore guardando che lei non
dava più quell' accenno
di felicità e spensieratezza che avevo visto all’inizio
della serata.
Aprii lo sportello dell’auto di zio Carl
con impazienza. Liz ci si infilò nel modo più veloce che le avessi mai visto
adottare e affondò nel sedile morbido.
Vi entrai anch’io, sospirando. E quando
guardai Liz in viso, mi accorsi che le sue lacrime avevano seguito il loro
solito percorso. Generate dal cuore, nate dagli occhi, e affogate nelle sue
labbra scarlatte.
Un
lacrima le rigò il viso sotto il mio
sguardo, mentre io non sapevo che cosa dirle per farla sentire meglio.
Anche
solo un po’, ma incredibilmente anche per me, non mi
sembrò opportuno attacare
con una battuta, o altro, e non riuscii nemmeno a trovare una cosa
intelligente
da spiegarle. Cassie aveva cominciato con Ronnie e aveva finito con sua
madre, non riuscivo ad immaginare qualcosa che potesse dimostrarsi
peggiore. Quanto avrei voluto trovare un modo per consolarla...
Fermai la sua lacrima all’altezza dello
zigomo, e lasciai che i miei occhi incontrassero i suoi, così belli, sempre
incredibilmente meravigliosi.
<<
Ti porto a casa. Ok? >> le
dissi. Oh bravo, Jacob, che mossa intelligente. Molto romantica e rassicurate.
Magari
durante il tragitto mi sarebbe venuto in mente qualcosa. Qualunque cosa per
farla stare bene. Qualunque. Mi sarei travestito da pagliaccio anche, non
conoscevo più limiti per me stesso.
Queste riflessioni riuscirono a durare
solo un millesimo di secondo. Liz mi abbracciò, appoggiando il suo capo sul mio
petto.
Qualcosa mi fece intuire che la risposta alla mia domanda
sarebbe stata positiva, ma solo dopo l’abbraccio.
Soltanto dopo.
***
Arrivato di fronte alla sua abitazione
parcheggiai nel vialetto. Lizzy guardava fisso in basso, toccandosi il vestito
dove il liquido era caduto, lasciando una macchia bagnata.
Sospirai.
<<
Lizzy >> feci per dire.
<<
Siamo arrivati >> disse
lei, sviando lo sguardo dallo sporco del vestito. Poi un sorriso piccolo andò a
modellare le sue labbra, quasi avesse paura di mostrarlo.
<<
Vuoi venire dentro? >> mi chiese.
<<
In camera tua? >>
<<
Volevo dire… in casa. Non ho sonno e non mi va di stare sola >> Sospirò ancora, uno di quei sospiri che si fanno sempre quando non ci sono più lacrime da far andare via.
Non mi aspettavo che mi dicesse una cosa
simile. Sapevo che a volte le ragazze desiderano stare sole.
Ero felice che me l’avesse chiesto, e
forse, come tante altre volte, le sorrisi senza neanche accorgemene.
<<
Se non vuoi non importa. Ci sentiamo domani mattina >> aggiunse.
<<
Non ti lascio da sola >> le
dissi io, lasciando le mani dal volante e dirgendomi fuori.
Lei aprì la portiera, e nel freddo della
notte, si mise a cercare le chiavi nella borsetta. I respiri che si
condensavano nell’aria come vapore.
L’aria fredda l’avvolgeva, creando un bel
rossore intorno alle sue guance.
Le prese fra le mani ed io la seguii verso
la porta.
Guardavo i movimenti delle sue mani che la aprivano; mi piaceva restare incantato a guardarla, ed era
bello pensare che lei nemmeno lo notava.
Entrammo in casa velocemente. Le luci
completamente spente, e solo quelle dei lampioni esterni che filtravano dai
buchi delle persiane.
Ci togliemmo i cappotti e li lasciammo
appesi all’appendiabiti.
Salimmo le scale e raggiungemmo la porta
della sua camera. Lei sembrava più tranquilla, anche se gli occhi erano
leggeremente arrossati per il pianto.
<<
Jake, io vado un attimo in bagno…
>>
<<
Ok. Sicura che vuoi che rimanga?
>> chiesi. La mia voce era un po’ nervosa. Erano più delle due di
notte, la caffeina del thé ci teneva svegli, e il mio cuore mi batteva in gola
come se stesse per scappare via.
<<
Sì. Sì! Certo che voglio >>
mi disse quasi a tratti. Ed incredibilmente, fui fin troppo felice di quello
che mi aveva risposto.
Lei
corse nel bagno in fondo al corridoio
ed io entrai in camera sua. Falsamente ordinata, sembrava che lo fosse
davvero.
Il letto ben fatto, la sediolina a dondolo con le bambole di pezza,
chissà se
sue o di Silvya, la libreria accanto alla scrivania e l’angolo
dei colori, dove
c’era una tela su cui di solito dipingeva. Vi era disegnato un
paesaggio di mare a metà, bellissimo, la luce esterna me lo
lasciava scorgere.
Il caldo mi avvolgeva fino al collo. Mi
tolsi la giacca, la scaraventai sul letto, e allargai il nodo della cravatta.
Qualcuno doveva farmi una statua solo per essermi vestito così.
Mi sedetti sul suo letto. La coperta era
soffice e liscia sotto il tessuto dei pantaloni. Era una bella sensazione. Vi
lasciai cadere le miei mani, che trovarono un po’ di fresco.
Caldo. Avevo terribilmente caldo. E la
cosa che mi faceva stare teso era che io, in fondo, avevo sempre caldo, ma in
quel momento sembrò che fossi stato catapultato su Mercurio per quanto sentissi
il calore sulla mia pelle.
Avrei voluto sciacquarmi la faccia con un
bel po’ di acqua ghiacciata, e guardami allo specchio per accettarmi di non aver
subìto delle combustioni.
Non ero sudato. Forse era il colletto
della camicia ad infastidirmi. Sbottonai qualche bottone e sentii un leggero
sollievo.
Poi il cigolio della porta bianca. Voltai
il capo e vidi Liz, con il suo vestito viola e a piedi nudi. Le scarpe dovevano
essere finite al loro solito posto e non avrebbero rivisto la luce per un bel
po’.
Il coprispalle le era attaccato in modo
stropicciato, e lei se lo toglieva via, mentre camminava verso di me.
Vederla così mi fece mancare il fiato.
Cercai di pensare ad una volta in cui non mi aveva causato quella reazione. Non
ci riuscii. Era sempre stato così, e sempre mi faceva dimenticare delle volte
precedenti, fermando illusoriamente il tempo.
Liz mi guardò per un infinito secondo, poi
si sedette sul letto e si adagiò sul mio petto, mentre io la cingevo fra le
braccia.
Mi appoggiai alla spalliera del letto,
resa comoda dai cuscini.
E il silenzio, interrotto dai nostri
respiri.
<<
Mi dispiace >> disse lei
espirando.
Rimasi sorpreso.
<<
Per cosa? >> le chiesi.
<<
Ti ho rovinato la serata >>
Sbuffai.
<<
Non hai rovinato assolutamente niente
>>
<<
Ti stavi divertendo. Non avrei dovuto rivolgere la parola a Cassie, lei
è fatta così. Ma non credevo che avrebbe messo in ballo Ronnie e... e la mamma.
Volevo soltanto essere gentile >>
<<
Lo so, non preoccuparti. E’ solo una stupida... meglio che non dica altre parole su di lei... >>
Sì, avevo in mente un sacco di parolaccie.
<<
Quando ha cominciato a parlare di Ronnie in quel modo, non sono
riuscita a
sopportarlo. Ha detto delle cose orribili… e poi mia
madre… la mamma. Sì, quello è stato quello che mi
ha socsso di più: la mamma. Non ce l'ho fatta... >> sospirò.
<< Liz. Liz,
Non pensarci. Non voglio che tu soffra ancora >>
Non
volevo che ci stesse male, anche
se poteva essere inevitabile. La sua amica era morta per colpa di dei
vampiri,
una cosa che sembrerebbe impossibile. Invece non capiamo che il filo
sottile
che ci separa da leggenda e realtà non è mai esistito. E
sua madre, Annie, era morta causa di un incidente stradale, proprio
come la mia, Sarah. Il cuore mi graffiava il petto ogni volta che ci
pensavo.
<<
No. Non ci penso >> disse,
sistemandosi meglio sul mio petto. Sapevo che per lei era difficile non
rimanere a rimurginare sulle cose che Cassie le aveva detto per ferirla, ma
almeno ci avrebbe provato.
<<
Sono venuto a questo ballo solo perché lo volevi tu. Mi sono divertito
solo perché c’eri tu. E mi sono sentito felice solo perché lo eri anche tu >>
Quanto era bello sapere che quello che dicevo non solo poteva farle piacere, ma era anche vero.
A quelle parole Liz si staccò da me, si
mise in ginocchio e mi si posizionò accanto, per guardarmi negli occhi.
<<
Davvero? >> mi chiese,
accarezzandomi il profilo con la mano. Sorrise scetticamente.
<<
Certo che è vero. Tutto quello che faccio, lo faccio per te >>
Mi rispose abbracciandomi dolcemente. Le
mie mani caddero inconsapevolmente sui suoi fianchi.
Lei si staccò da me e, allontanandosi, mi
sfiorò le labbra, mentre io ancora tenevo gli occhi chiusi. Al calore del suo
tocco, ebbi un fremito che somigliava più a un sospiro.
Aprii gli occhi, e incontrai quelli di
Liz, in ginocchio nello spazio libero che lasciavano le mie gambe.
Lei cominciò a
sfilare il nodo della mia cravatta, evitando il mio sguardo senza mai spostarsi
di un centimetro.
Avevo sempre pensato di avere qualche
problema al cervello. C’erano cose che capivo al volo e cose su cui invece
dovevo soffermarmi, anche se ovvie.
Quel’occasione faceva parte della seconda
categoria.
Quei raptus però duravano al massimo
quindici secondi, per questo potevo reputarmi fortunato. Ne erano passati solo
otto, quando cominciai a capire.
Le
dita di Liz sulla mia camicia cercavano il terzo bottone, quando io le fermai i
polsi, in modo incerto e forse nemmeno tanto convinto.
Non mi sentivo più le mani.
<<
Non dire niente >>
sussurrò, ricominciando a sbottonare i bottoni restanti. Ero incredibilmente
preso da un senso di impazienza e paura. Tante volte avevo pensato all’odore
della sua pelle, al suo corpo accanto al mio, in sogni segreti che non avevo
mai lasciato trapelare quando il sonno mi riportava alla realtà. Il desiderio
di lei era sempre stata una tortura. Eppure io l’amavo e la volevo e le sue
mani sulla pelle erano le sensazioni più belle che avessi mai potuto provare.
Poi c’era stata quella volta, al ritorno da Forks, in cui i nostri baci
affannati ci avevano spinto sul suo letto, senza farci smettere di un secondo.
Se non fosse arrivata Silvya forse sarebbe
successo.
Ed io la amavo. L’amavo tanto. E non era
qualcosa di premeditato, di semplice e di normale. Era qualcosa di diverso, un
fuoco freddo nel calore del mio corpo, che mi dava sollievo e mi bruciava. Ma
si alimentava sempre, non aveva bisogno di niente da parte mia. Era nato senza
avvisarmi, e continuava a vivere, senza preoccuparsi di me.
Poi cominciai a pensare a me, a quello che
potevo fare. Non le avrei mai fatto del male, mi sarei controllato, no? Certo,
ma dovevo trattenermi, basta con gli impulsi e i pensieri diretti. Calmo,
dovevo stare calmo.
Ma come facevo a stare calmo con lei davanti
a me, che mi aveva aperto la camicia e aderiva il suo corpo al mio?
Cominciò a baciarmi, prima dolcemente,
quasi con gentilezza. Io tenevo le mani fisse sul letto. Non la dovevo toccare,
no. Fermo con le mani, Jacob.
Le sue mani che mi toccavano i capelli, il
bacio che si faceva sempre più intenso, e le mie mani che non riuscirono più a
trattenersi.
L’attirai ancora di più a me, come se non
fosse già troppo vicina, le mani strette sui fianchi. Poi mi ritrovai a muovere
le mani su di lei in un modo che non riuscivo più a controllare, e in un attimo
mi ritrovai su di lei, con il fiatone e il suo respiro sul viso. Il suo viso
così vicino.
<<
E’ meglio di no… >>
Qualcuno parlò. Ma non ero stato io, No! Ma Le parole mi graffiarono le labbra
per uscire. Le labbra ancora intrise del sapore di lei.
Non ero stato io a parlare. Il cuore era
rimasto in silenzio, scandendo il battito accelerato senza fermarsi mai. Forse
qualche parte del mio cervello lo aveva sfidato e dalla lingua era saltato
fuori. Poteva essere la cosa più giusta. Ma in quel momento non riuscii a
trovare nemmeno un minima parte del mio corpo in corrispondenza con
quell’affermazione.
'E’ meglio di no, Jake. Controllati'
Ero io quello sopra di lei. ' Jake,
controllati'. Ero io quello che si doveva spostare.
Mi misi seduto, con le mani sulle tempie.
' Dio, ma che sto facendo… '
Che cosa stavo facendo? Improvvisamente mi
ero sentito pericoloso, improvvisamente il Jacob umano stava perdendo il suo
debole controllo. Ma il controllo di cosa? Perché avevo così paura? Qualcosa
che avevo nascosto nei miei sogni notturni mi si era presentato davanti, quello
che avevo sognato vergognandomi di me stesso per il rispetto nei suoi confronti,
era lì che mi chiamava, ed io avevo paura di toccarla come se potesse svanire
da un momento all’altro come una bolla di sapone nell’aria.
<<
Jake >> mi disse Liz a
bassa voce.
Lizzy mi guardava con uno sguardo
interrogativo e dolce che mi trapassò il cuore. Forse avrebbe voluto chiedermi
perché, anche se non aveva ancora detto niente che non fosse il mio nome. Be' io
risposi comunque, nella mia testa.
'Perché sono un gran cretino. Perché non
mi sento all’altezza di niente. Perché non vedo l’ora di baciarti un’altra
volta, anche se non dovrei farlo, anche se dovrei alzarmi dal tuo letto e dirti
che è meglio di no, e invece non ci riesco. Rimango solo qui seduto come uno
stoccafisso.'
Forse i desideri che diventano realtà
fanno paura. Forse i sentimenti fanno paura.
<<
Io ti amo con tutto me stesso
>> qualcuno disse. Ancora quella volta non ero stato io. Era stato
il mio cuore, che, lottando contro quell’incredibile stato di stupida follia,
mi era entrato in gola, facendo uscire le sue parole. Ma era tutto vero. Oh, la
verità… la verità più assoluta. Che cos'ero? Il cuore o la mente?
' Dai Jacob, sforzati non fare parlare gli
organi del tuo corpo. Pensa e parla. '
<<
Voglio che sia tutto perfetto per te. Ed io non lo sono. Prima quando…
ti ho spinto giù, mi sono spaventato a morte perché credevo di non avere più il
controllo di me stesso, capisci? E con te tutto deve essere perfetto,
tutto. >>
Guardavo fisso, per non incrociare il suo
sguardo.
Lei avvicinò la sua mano al mio mento, e
mi fece voltare il capo verso il suo splendido viso.
<<
E’ tutto perfetto, Jake. Tutto.
>> disse dolcemente.
<<
Voglio sentirti vicino, vicino come prima, Jake. >> continuò.
Si mise dietro di me, e mi tolse la
camicia sbottonata. Sentii la sua bocca sulla mia spalla, umida e morbida. Il
cuore mi batteva in un modo incontrollato. E quando mi voltai e la cinsi fra le
mie braccia, alla stessa altezza del mio petto, sentii il suo di cuore, battere
in modo incessante come le ali di un uccellino che vola.
La baciai con impeto, pensando che quella
notte potevo darle solo una cosa: me stesso. E se era davvero quello che
voleva, era quello che avrebbe avuto. E avrebbe avuto il vero Jacob, quello che
ama fino a farsi male, quello che bacia fino a smettere di respirare, quello
che muore per continuare ricostruire una vita.
La spallina era già scivolata sul suo
braccio. E poi ancora, e ancora più giù. Non passò molto per avvicinare ogni tipo di contatto. Le lenzuola
stropicciate accarezzavano i nostri corpi. La sensazione della sua pelle con la
mia era la cosa più viva che potessi sentire in tutta la vita.
Le mani che si aggrappavano al mio collo,
le mani che cadevano stanche sulla mia schiena e che mi graffiavano. Io che
faticavo a trattenere ogni carezza, ogni mio istinto di amarla. E il suo
respiro affannato sul petto, confuso con il mio sulle sue spalle.
Non potevo più oppormi a quella grande
forza. E se mai avessi voluto farlo, ormai era troppo tardi-
Non
posso che dire grazie a quest’amore che provoca dolore di felicità e desiderio
dell’altro. Non posso che tremare nel caldo involucro della mia pelle, perché è
lei a toccarmi. Non posso che amarla fino a morire, morire per aver amato.
Morire per aver cercato il suo incantevole sguardo. Lo sguardo di chi sa amare
e capire.
E’ la volta in cui posso davvero rendermi conto di quello che ho.
E’ la volta
in cui posso abbracciarla e posso dirle che mi ha salvato, e allo
stesso tempo
intrappolato. E' la volta in cui lei, mentre mi guarda, comprende quello
che non
dico. Lei che mi ha curato dalle ferite dell’agonia sprezzante
della vita.
Dell’essere diverso, dell’essere incapace di meritare qualcosa. E comprendo che la vita non è poi
così crudele, perchè mi ha insegnato ad amare una parte
di me stesso. Lei, perchè lei, ormai fa parte di me.
Il momento perfetto
non lo avevo mai conosciuto. Era quello che avrei voluto trovare per lei. Per
quanto tutti i momenti passati con Liz fossero assolutamente meravigliosi,
quello non era così semplice da poter essere definito.
Era una notte, solo
una notte e insieme l’avevamo rubata al tempo per renderla nostra. Per sempre.
E quella notte,
affondai in quelle mani, quella notte, affondai in quelle labbra, e quella notte,
affogai nel suo respiro.
Ricordo la sua mano
strinta alla mia, e ricordo la sua carezza sul petto, prima di lasciarmi
andare, e chiudere gli occhi. Prima di pronunciare un’altra volta quel suo
bellissimo nome, prima di stringerla a me, ancora di più.
E ricordo la sua
voce, armoniosa e soffice al mio orecchio, che mi sussurrava delle parole.
La cinsi con entrambe le braccia, e in quell’ultimo sospiro, dimenticai il buio
fitto di quella fredda notte di dicembre.
Che cosa mi aveva
detto? Qualcosa di importante? So solo che il mio voltò si colorò di un
sorriso sincero quando la sentii parlare. Perché il mio nome, pronunciato da
lei, sembrava la cosa più bella che potesse essere detta al mondo.
Eccomi qui con un nuovo capitolo. Ero
indecisa se dividerlo ancora, perchè è abbastanza lungo,
ma se avessi dovuto dividerlo vi avrei lasciato con l'amaro in bocca,
quindi ho preferito postarlo tutto.
Che cosa ne pensate? Ero davvero molto emozionata nel pubblicarlo :)
Aspetto con impazienza i vostri pareri :) sono tanto, tanto importanti, lo sapete benissimo ^^
Ci sono Embry, Seth, Paul... credete che
abbiano qualcosa da fare lì a Seattle? qualcosa da
comunicare? scoprirete tutto nel prossimo :)
Questo capitolo ha una dedica speciale (
naturalmente in questo modo non voglio sminuire nessuno dei miei
lettori, che adoro in modo stratosferico :):) nuovi e di vecchia data,
siete speciali :)). Lo dedico a Jakefan, perchè è anche
grazie a lei se sono cresciuta molto, e devo ammetterlo, se qualcosa in
me è cambiato, è cambiato in meglio :) quindi, grazie, J.
Ogni volta che penso al giorno in cui ho deciso di leggere Rising Sun,
mi sento felice :) Una di quelle cose che se dovessi tornare indietro
nel tempo, non cambierei mai :) :*
E mille grazie a chi ha letto e leggerà =)
Se sarete tanto gentili da lasciarmi il vostro pensiero ne sarei davvero contenta :):) lo sapete =)
Grazieee infinite :)
Ania
|
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Capitolo 37 *** 37 ***
jake 36
Non ci credevo. Una
luce rosata mi accarezzava gli occhi e qualcosa di piacevolmente ruvido mi
copriva il corpo in modo leggero. Non ero solo e le mie braccia la tenevano con
me. Ancora.
Il suo respiro sul petto mi fece aprire gli occhi. La sua immagine
si materializzò sotto il mio sguardo a poco a poco, nascendo dall’ombra
soffusa. Dormiva abbracciata a me, tranquilla, abbandonata al sonno. Ed io non
ci credevo.
Non ci credevo
ancora.
Il più
delicatamente possibile tolsi le mie braccia dalle sue spalle, senza urtarla o
fare alcun tipo di rumore, e mi misi seduto. Doveva essere l’alba.
Guardandola avevo
perso il fiato. Di nuovo.
Spesso i miei occhi
si aprivano verso quell’ora. A Forks ero abituato ad alzarmi per i controlli
nei confini del territorio. Era un orario scomodo per il sonno, ma nella forma
dei lupi il sole ci dava più energia, ed era anche l’orario in cui non avremmo
potuto causare spavento a nessun cacciatore.
Cercai i miei
pantaloni. Mi scappò un sorriso silenzioso. Dovevano essere finiti da qualche
parte… nella stanza. Socchiusi gli occhi per vedere meglio. Non c’era
abbastanza luce per scorgere tutti i particolari.
Fortunatamente
riuscii a vestirmi senza fare rumore e svegliarla. Mi avvicinai al suo
letto. Teneva stretto il lenzuolo al petto, coperto da quel poco che poteva
considerarsi sufficiente, stesa su un lato.
Le mie dita
andarono inconsapevolmente sul suo viso, che rispose con un’espressione di
sollievo.
Che cosa si fa dopo
certe occasioni? Dopo certe notti? Cosa si dice alla ragazza che ami, il giorno
dopo la notte più bella della tua vita?
Non lo sapevo.
Pensavo che magari ci eravamo detti tutto prima che accadesse. Forse lei aveva
sempre saputo tutto.
Quanto era bella,
mio Dio.
Dopo qualche minuto
di riflessione mi accorsi che nel freddo del mese più gelato dell’anno, lei,
che non aveva nessun potere sovrannaturale, era coperta soltanto da un lenzuolo
sottile. Le coperte erano andate a finire tutte da una lato, e toccavano il
pavimento in modo disordinato.
Cercai di
sistemarle e nel modo più leggero possibile la coprii.
Purtroppo, contro ogni cosa che mi diceva il cuore, non potevo rimanere
lì… zia Josie. Zia Josie! Per stasera non
hai il coprifuoco, Jake equivaleva a passare tutta le notte fuori?
Guardai l’orologio
sul comodino di Lizzy, erano le 4. 55.
Bene, fantastico. Il ballo doveva essere
finito almeno un’ora prima.
Che cose le avrei
raccontato?
Chi l’avrebbe mai
detto, io che dovevo dare spiegazioni per essere rimasto fuori fino a tardi. Il
telefonino. Dovevo cercare il mio telefonino.
Sempre senza fare
alcun rumore infilai la mano nella tasca destra della giacca. Niente
Giacca sinistra.
niente.
Pantaloni. 'Ti prego,
dimmi che sei nei pantaloni'. Infilai la mano nella tasca e toccai un affare di
plastica dura.
Trovato.
Mi scappò un
sospiro di sollievo. Ma era troppo presto per apparire sollevato. Una volta
acceso mi accorsi delle tante chiamate perse.
Non mi avrebbe
accolto bene, lo sapevo. Ero già un gran fastidio per lei. I suoi figli più
grandi erano tutti fuori casa per lo studio o per il lavoro, ed io mi ero
presentato lì, senza un preavviso, solo perché era sempre gentile e, come avevo
scritto a mio padre nel biglietto: Zia Josie dice sempre di sì.
Se si era sempre
dimostrata come una seconda mamma sicuramente era soprattutto perché ero il figlio di sua sorella,
Sarah. Mia madre.
Mia madre.
Non
pronunciavo
quasi mai il suo nome ad alta voce. Volevo nascondere quel figlio che
si era
perso di vista da quando se n'era andata via e con il suo nome nell'aria mi
accorgevo sempre di più di quanto mi mancasse. Avevo sempre
Billy, mio padre,
un fantastico padre, ma l' affetto della mamma non poteva essere
sostituito da quello di nessuno.
E adesso zia Jozie
era ancora in piedi ad aspettarmi come se fossi davvero suo figlio. Avrei
dovuto apparire nervoso e infastidito da una simile attenzione, io invece non
facevo che sentirmi colpevole. Non avevo nessun diritto di stare lì e lei non
aveva nessun obbligo di strami dietro.
E Liz? Nessun
biglietto? 'Bravo jacob, dimostra quanto sei bravo. Sei come tutti gli altri,
consumi la notte e scappi via.'
Ecco. Ci mancava
solo la voce nella testa, quella che veniva a rinfacciarmi tutte le cose, tutte
le volte in cui sbagliavo, tutte le volte in cui non facevo niente bene.
<< Jake?
>>
Lizzy si era
svegliata, e con aria assonnata e interrogativa mi guardava sdraiata dal suo
letto. Sorridendo, più a se stessa, stese le braccia verso l’alto per
stiracchiarsi. L’orologio faceva le 5.00. Ormai era andata.
<< Ciao
>> le dissi, infilando di nuovo il cellulare in tasca. Poi mi
sedetti alla punta del letto, dal suo lato.
<< Ciao >> mi rispose sedendosi. I miei
occhi si erano abituati a quella piccolissima luce e ormai riuscivo a scorgere
ogni particolare del suo viso. Anche le iridi color nocciola con le varie
striature leggermente più chiare. Appoggiò il capo sulla mia spalla.
<< Dormito bene?
>> le chiesi.
Lei alzò lo sguardo
e intrecciò le sue mani alle mie.
<< Benissimo
>> mi rispose lei, con una lucentezza negli occhi, che
ricordava il
sole che sorge nel bel mezzo della notte. Le diedi un leggero bacio
sulle labbra che somigliava tanto al vento docile che travolge la
spiaggia la mattina presto.
<< Lizzy io…
>> cercai di dire.
<< C’è qualcosa che non va? >> mi chiese allarmata.
<< No. Niente di grave. Credo solo che mia zia
mi metterà in punizione. Questa volta è rimasta in piedi ad aspettarmi. Il
cellulare è pieno di chiamate perse
>>
<< Oh
>> esclamò.
<< Pensi che si arrabbierà? >> continuò.
<< Certo. In un modo isterico e spaventoso.
Ma darà tutta la colpa a me. E non mi concederà nemmeno il tempo di inventarmi
qualcosa. Tu le piaci troppo, sono sicuro che non ti nominerà neppure >>
Mi abbracciò
dolcemente, espirando fiato, mentre io mi lasciavo avvolgere dal suo caro profumo, lasciandomi solleticare dai suoi capelli.
<< E’ meglio che vada >> dissi a stento.
<< Sì
>> rispose lei.
<< Augurami buona fortuna >> continuai, dirigendomi alla porta.
<< E’ davvero necessario? >> chiese lei,
facendosi scappare un’adorabile risata.
<< Adesso che ci penso… Sì. E’ davvero, davvero
necessario >>
<< Se ti dico in bocca al lupo vale lo
stesso? >>
<< Assolutamente no >>
<< Ok
>> rispose lei, alzandosi dal letto. Aprì l’armadio e ne prese una
vestaglia di lana. Aveva indosso solo una canotta e dei pantaloncini corti. Se
la infilò velocemente, mentre io non riuscivo a staccare gli occhi da lei.
<< E comunque mi hai offeso >> ribattei io.
<< Scherzavo!
>> disse abbracciandomi di nuovo.
<< Mi fai una cattiva influenza, Jake. Prima di
conoscerti non facevo mai battute così stupide
>>
<< Ora sarei anche un cattivo ragazzo >>
<< Potresti esserlo, ma riusciresti sempre a farla franca. >>
Lizzy mi accompagnò
alla porta, porgendomi il giubbotto che avevo lasciato appeso la sera prima.
<< Lo sai che io non ho mai freddo >> le dissi mentre lo indossavo.
<< Lo so.
>> rispose lei.
<< Ma sta ricominciando a nevicare >> continuò, aprendo le tenda color
panna della sua finestra. I raggi del sole erano poco visibili, le luci dei
lampioni ancora illuminate e i fiocchi di neve che cadevano docili.
<< Deve essere bello, non avere mai freddo >> disse.
<< Sì. E’ bello.
>> le risposi.
<< Ma credo di non aver mai provato un simile
calore attorno al cuore. Sai anche io ho avuto freddo, delle volte >> dissi, guardando fuori dalla finestra
insieme a lei.
<< Quando?
>> mi chiese.
<< Quando i Volturi ti
portarono via e Jane fece quella cosa…
>>
<< Anche io, Jake. Anche a me è successa la stessa cosa...
>> mi abbracciò ancora.
Chinò il capo verso
un lato e lasciò che portassi le mie labbra sulle sue.
E non ne potei più
fare a meno. Non potei più fare a meno di baciarla di nuovo, di avvolgerla di
nuovo con le mie braccia.
Portai la mia bocca
sulla sua mentre lei chiudeva la palpebre.
Le sue labbra si
socchiusero sotto la mia pressione, mentre lei mi avvolgeva con le sue braccia
esili. Le
sentii aderire
dolcemente, fino a schiuderle e a rendere il bacio più intenso.
Fino a rendermi completamente assente da ogni capacità normale
di decidere e mettere a freno me stesso.
<< Ma non
avremo più freddo, Jake. Non ne avremo più.
>>
***
Il percorso con
l’auto si rivelò semplice, nessuna scivolata e nessun piccione che mi volasse
sul vetro dell’auto.
Parcheggiai davanti
all’abitazione e, una volta uscito, mi incamminai verso la porta d’ingresso. La
neve della sera prima aveva invaso tutto il viale e continuava ancora a cadere
posandosi dolcemente su quella già presente.
Presi le chiavi
dalla tasca del giubbotto, sperando che zia Josie non fosse ancora in piedi. Le
infilai nella serratura, ma non era passato neanche un secondo completo
quando la maniglia si piegò e la porta si aprì.
Zia Josie era
sempre gentile con noi, era della sua natura. Ma era rigorosa e pretendeva
nella nostra libertà che rispettassimo tutte le sue regole.
I capelli neri
raccolti in una coda e la vestaglia rosa la distinguevano dalle pareti turchesi.
Il viso dalla
carnagione dorata era sempre lo stesso, ma alterato da un’espressione di
aspettativa e fastidio.
<< Credevo che ti fossi trasferito in Antartide,
Jacob >> disse, cercando di
apparire un po’ ironica, dimenticando che magari fuori si gelava. Anche se per
me le cose erano diverse.
<< Ciao, zia
>> dissi. Una risposta molto originale.
<< Mi hai fatto rimanere sveglia per tutta la
notte, lo sai? >> e quell’apparente
tranquillità che sembrava averla invasa per i secondi iniziali in cui aveva
aperto la porta, svanì completamente, trasformandosi in sana preoccupazione con
una leggera nota di isteria. Ma zia Josie rimaneva fantastica comunque, anche
con queste sue uscite.
Mi fece cenno di
entrare ed io, con la testa bassa, ed anche un po’ imbarazzato, entrai.
<< Hai passato la notte… da Lizzy? >>
Mi stavo dirigendo
verso le scale per raggiungere la mia stanza, ma a quelle sue parole mi voltai
improvvisamente, senza cercare di trovare un po’ di controllo per mentire in un
modo consono.
<< Non è vero?
>> continuò.
<< N-no…
>> le dissi balbettando.
Era la prima volta che balbettavo in tutta la mia vita. Mi sentivo
stupido e incompreso, e anche incapace. Non credevo che mi sarei imbarazzato
tanto. Poi mi tornarono alla mente le immagini di quella notte, i baci rubati,
quelli concessi, il profumo della sua pelle sulla mia…
<< Jacob
>>
Mia zia si sedette sul divano, mettendosi la testa fra le mani.
<< Lo sai che se mi comporto in questo modo è
solo perché sono preoccupata. >>
<< Sì, zia. Certo. Ma non devi preoccuparti di
niente >> ribattei io. Mi tremavano le mani per il nervosismo.
<< Ho riaccompagnato Lizzy a casa, e poi mi sono
intrattenuto con alcuni miei amici arrivati da Forks >> dissi tutto d'un fiato, cercando di sembrare il più
convincente possibile.
Mi ero ricordato di
Embry, Seth e Paul e a breve mi sarei fatto sentire.
Non credevo che zia
Josie mi avrebbe creduto, ma non potevo neanche dirle la verità.
Mi sentivo solo
fortunato per la sua presenza, perché se lei non ci fosse stata, non avrei
saputo dove andare quando avevo deciso di andare via da Forks
<< Va' in camera tua >> disse all’improvviso.
Feci come mi aveva
chiesto, e appena entrato nella mia stanza mi scappò un sospiro. Mi tolsi il giubbotto e la
cravatta, lanciandoli da qualche parte.
Poi mi misi a
letto, come se sarebbe davvero stato possibile riprendere sonno.
I miei pensieri
divagavano e passavano da un mondo parallelo all’altro senza chiedere il
permesso di niente, senza darmi la possibilità di controbattere.
Poi chiusi gli
occhi. Chiusi gli occhi e la vidi, di nuovo. I suoi occhi. E fu quel pensiero a
dirmi, definivamente, che non mi sarei più riaddormentato.
****
Il sabato mattina
era sempre il giorno in cui mi recavo da Kyle per alcuni lavoretti nella sua
autoconcessonaria. Feci colazione, cercando di evitare lo sguardo di zia Josie,
che, tutto sommato, sembrò essere più tranquillo.
Uscii di casa e mi
incamminai. L’aria fredda mi avvolgeva ma non mi toccava, fu come essere
ricoperto da una nuvoletta di fumo.
<< Ehi Kyle?
>> dissi appena entrato.
Delle risate
calorose provenivano dal suo ufficio. L’odore di auto e grasso mi accarezzò le
narici. Kyle non rispose.
<< Kyle?
>> chiesi ancora, bussando. Poi aprii la porta. Kyle era seduto
davanti alla scrivania con il suo computer antiquato. Gli occhiali sottili e la
corporatura alta che sembrava incastrata in quella postazione da impiegato. I
capelli castani chiari e arruffati, e il sorriso sorpreso.
Ma non fu lui ad
attirare la mia attenzione.
Seth, Emby e Paul
gli era seduti intorno. Si girarono verso di me e mi vennero incontro. Ero
felicissimo di rivederli, anche se dopo il ballo non ci avevo pensato molto.
<< I tuoi amici ti cercavano, Jake. >> disse Kyle, mentre noi ci salutavamo
con gomitate e schiacciate di testa.
<< Ti sei volatilizzato dopo il ballo. Dov’eri
finito? >> chiese Embry.
<< Ehm, be'… io
>>
<< Se per oggi non lavori, Jacob, non ci sono
problemi. Non prevedo un grande afflusso di clienti e le macchine devono
solo essere ritirate. >>
Qualcuno suonò il
campanello e Kyle corse subito verso la porta.
<< Be', allora. Vuoi startene qui imbambolato,
scemo? >>
<< Sono io a chiamarti scemo, hai capito,
moccioso? >> dissi a Seth.
<< Non puoi più chiamarmi moccioso con questi
muscoli. Sono alto quasi quanto te.
>>
<< Oh Seth, smettila di fare il bambino. Dobbiamo
fargli vedere quella cosa… >>
disse Paul, guardandolo con aria complice.
<< Quella per cui siamo venuti, dai. Non perdiamo tempo >> ribattè Embry.
<< Abbiamo una sorpresa per te >> disse, trascinandomi fuori.
***
Nella periferia
della città i palazzi erano alti e grigi. I grattaceli toccavano le nuvole
spumose del cielo, che sembravano tanti fiocchi di neve congelati insieme.
<< Qui nessuno dovrebbe chiamare la polizia >> disse Paul. Non riuscivo a capire di
cosa stessero parlando. Non riguardava la trasformazione, perché altrimenti non
sarebbe servito raggiungere la loro macchina. E durante il tragitto avevano voluto
rivelarmi niente.
Ricordai di quando
fra noi non esistevano segreti, e di conseguenza nemmeno sorprese o
scherzi. Era bello, ma allo stesso tempo
imbarazzante. Era come essere nudo su un palcoscenico davanti a tanti
spettatori.
Orribile.
Ma allo stesso
tempo era essere me stesso senza avere paura di niente.
E questo era bello
davvero.
Raggiungemmo il pick-up
verde di Leah, il cofano aperto era coperto da un
telone bianco e sporco.
<< Pronto?
>> fece Embry sferrando il telone.
In quel momento
capii tutto. Il mio viso si illuminò di un sorriso sgargiante misto alla
sorpresa, al divertimento e alla riconoscenza.
Ma non avrei mai
ammesso l’ultima parte del mio stato d’animo.
Embry tirò via il
telone, mostrando le quattro moto posizionate all’interno. Fra quelle c’era la mia,
quella che ero riuscito a sistemare più di un’anno prima grazie ad una persona.
Vederla mi riportò
in mente tanti ricordi, e fu come bere acqua per un assetato.
<< Scommetto che è da tanto che non senti il
vento in faccia per la velocità, vero?
>> disse Paul.
Mi avvicinai alla
moto e la tastai per controllare le ammaccature che avevo lasciato. Non l’aveva
più presa nessuno dall’ultima volta.
<< E’ vero
>> risposi io.
Ricordai di tutte
quelle volte in cui, con i capelli ancora lungi raccolti in una matita di
scuola o un semplice elastico nero, mi raccoglievo i capelli e passavo
pomeriggi interi ad aggiustare, smontare e rimontare cose, trascurando lo
studio e i compiti. E ricordai di quando Bella aveva portato quei piccoli rottami in groppa al
suo pick-up rosso, quello che avevo riparato io stesso.
<< Pick- up cheavy del 1984. E’ un po’
vecchiotto ma resistente. Va bene come regalo di benvenuto, no? >> affermò Charlie.
L’aria di pioggia intorno, le pozzanghere in
strada, la casetta vicino alla stazione di polizia di Forks.
<< No. Non posso crederci! E’ fantastico >>
La voce di una ragazzina, piccola e
impacciata, con jeans sportivi e due magliette, perché lei non era abituata ad
una città in cui sono necessari maglioni in ogni parte dell’anno.
<< E l’ha riparato tutto Jacob. >>
I suoi occhi
grandi, liquidi e scuri si posarono su di me. Se ancora più ragazzino di
lei, non saprei dirlo, ma ero ancora quel Jacob, di cui adesso era rimasta solo
una grande ombra lontana.
<< E’ bello avere qualcuno con cui andare a
scuola >> disse, dopo avermi quasi
fatto cadere sbattendomi la portiera contro.
Mi aveva fatto ridere, nonostante sapessi che se si fosse trattato di qualcun'altro mi sarei comportato in un modo diverso.
Mi
girai con la mia solita espressione tranquilla e per lei un po'
rassegnata a causa della risposta negativa alla sua affermazione. Guardai il suo
viso bianco,
che una volta si era completamente colorato di terra con il fango della
pioggia.
<< Tua madre beveva tanto latte quando ti
aspettava? >>
Un bambino dalla carnagione color del rame e i capelli neri e sporco dalla testa ai piedi aveva osato insinuarlo.
<< Questo non c’entra! Se ti lavassi scopriresti
di essere bianco come me. Vedi? >> aveva detto lei. Il fango in faccia e le urla contrastanti di Charlie mentre anch’io cadevo nel
fango, ridendo a crepapelle, come un normale bambino, inconsapevole del suo
futuro.
<< No, io vado a scuola nella riserva >> dissi. Isabella Marie Swan assunse
un’espressione imbronciata. Io sapevo che ci saremmo rivisti di nuovo.
E sapevo che
sarebbe successo qualcosa fra noi, prima o poi.
Quello che accadde
dopo è storia vecchia. Come sono vecchie tutte le storie che parlano d’amore.
Storie che sembrano belle solo a chi le ascolta, storie che graffiano il cuore
di chi le ha vissute.
Il sorriso
scomparve dal mio viso, ma quando ne presi consapevolezza, lasciai perdere
tutto.
Mi voltai e dissi:
<< E voi tre che fate lì impalati come degli
stoccafissi?
Non volete far un
giro? >>
Si guardarono
fugacemente, e poi, mi ritrovai sulla moto nera, a massima velocità, sui
terreni industriali di Seattle. Il vento pungente che mi pizzicava gli occhi e
mi accarezzava i capelli corti.
Correvo e pensavo
che sarei riuscito a volare, senza aver bisogno delle ali.
Continuavo
a
schiacciare l’accelleratore e sapevo che niente mi avrebbe
impedito di superare
i limiti della velocità. C’erano limiti? Io non ne vedevo
nessuno, sentivo il vento forte che mi faceva sibilare le orecchie era
una liberazione a allo
stesso tempo una catena. Perché ero libero di andare dove
volevo, senza pensare
a niente, e allo stesso tempo mi imprigionava. Perché tutto,
tutto girava intorno
a quel maledetto posto, a quel maledetto bosco, a quelle maledette
persone,
che mi invadevano i pensieri ogni qualvolta gli oggetti inanimati della
mia
vita mi riportavano a loro.
E
tutto girava
intorno a questo, perché mi ricordavo il tocco della mano della
persona che mi aveva passato gli attrezzi e che mi aveva detto di non
poter stare con me perché
sarebbe stato troppo doloroso, e perché mi amava troppo per
stare bene ed
essere serena con sé stessa.
Ma improvvisamente
pensai che la gravità poteva anche essersi spostata, e forse potevo essere
legato anche a più di un luogo, nel mondo. Forse ero legato alle persone e non al posto.
Se Liz fosse vissuta in Alaska, l’avrei raggiunta senza esitazioni. Avrei
giocato a carte con i pinguini anche. E
avrei rinunciato a tutto pur di sapere che lei stava bene. Lizzy, perché le
sarei sempre stato riconoscente per la vita che mi aveva ridato e anche per questo l'avrei amata sempre.
Perchè
ero come un
bambino che aveva perso la strada di casa, e lei, solo lei,
l’aveva trovata.
Fino a quando non avevo scoperto che l’unica cosa che cercavo era
proprio quella che non conoscevo. Non ero stato io a trovare lei. Era
stata Liz a trovare me.
Seth e Paul mi
avevano superato, allora io premetti ancora sull'accelleratore e
corsi verso la meta. Avevo impiegato molto tempo per capire quale fosse, ma
anche se tardi, sapevo bene cosa fare.
Il vento mi
guidava, mi guidava verso il sole.
Era Jacob che
parlava, il Jacob cresciuto, e il lupo dentro di sé lo sentiva, lo ascoltava,
lo accettava. Perché entrambi si appartenevano, erano la stessa cose e avevano
amato la stessa ragazza.
Non sarebbero mai
stati rivali. Si erano causati problemi a vicenda... ma alla fine erano diventati
amici, e si conoscevano bene. Il lupo e il ragazzo vivevano dentro di lui.Jacob Black.
E mai come in quel momento fu sicuro della sua identità.
Fu sicuro di quello
che era, e nel caldo bruciante e tiepido della sua pelle, non ebbe più paura di
essere sé stesso.
Io non ebbi più paura.
*
*
*
Ciaooo a tutti :):):) spero che il
capitolo vi sia piaciuto :) Secondo voi i 3 ragazzi sono andati a
Seattle solo per portare la maoto a Jake o c'è altro? Comunque
sia, si scoprirà tutto nel prossimo capitolo :)
Jake e Liz... be', quando sono nati
nella mia testa li ho messi sulla carta quasi inconsapevolmente. Poi
però, continuando a scrivere, mi sono resa conto di quello che
stavo facendo, ma era troppo tardi per cambiare le cose ed era
già stato deciso che si sarebbero innamorati. In realtà
non sono stati loro a deciderlo e nemmeno io... ho soltanto scritto
quello che sentivo di scrivere. Se anche voi vi siete affezionati a
loro come la sottoscritta, per me è una gioia immensa. :D
Ci tengo tanto a ringraziare tutti
coloro che hanno recensito la prima volta, anche se purtroppo le
recensioni adesso non appaiono. Lo scorso capitolo aveva un grande
significato per me, a livello di scrittura, di evoluzione del loro
rapporto... di tutto. Mi avete lasciato delle recensioni bellissime. Il
mio cuore è saltato nel petto, mi sono venute le lacrime agli
occhi, e mi avete reso felice =)=)
Grazie davvero :)
Ania
|
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Capitolo 38 *** 38 ***
jake 38
Lo sguardo di zia
Josie continuava ad analizzarmi come se prima non avesse mai avuto davvero il
tempo di guardarmi. Io, ormai solo
per abitudine, mi infilavo il giubbino per uscire, cercando di sviare il suo
sguardo.
<< Stai uscendo>> disse, sedendosi sulla poltroncina color verde smeraldo del salottino.
<< Vado da Lizzy
>> dissi io. Come se non avesse potuto neanche indovinarlo.
<< Con la moto che ti hanno portato i tuoi
amici? >> chiese.
<< Penso proprio di si. >>
Mi infilai dei
guanti che lasciavano scoperte le nocche delle dita. Facevano tanto da
motociclista.
<< Non torno tardi. Non preoccuparti >>
continuai, mentre me li infilavo
bene. Ero convinto che da quel giorno mi avrebbe torturato sul rispetto
dei suoi orari. Ma me la sarei cavata, come sempre.
Mi scappò un sorriso.
<< Lo so
>> disse alzandosi.
<< Sembra che tu sia diventato grande, Jake >>
E
si avvicinò per
sistemarmi il colletto della giacca. L’espressione preoccupata e
arrabbiata che
mi aveva colpito la mattina stessa era sparita. Ora c’era
qualcosa di molto
materno, qualcosa di familiare e rassicurante, così rassicurante
e allo stesso
tempo protettivo che forse sarei arrivato a credere che lei, con la sua
dolce
tenacia nell’essere una normale casalinga di Seattle, potesse
difendere i suoi
cari da qualunque cosa. Allo stesso tempo era così attenta e in
cerca della
precisione che avrei sempre dovuto stare con gli occhi ben aperti.
Perché gli schiaffi, anche se leggeri e per me tanto più
simili a delle
carezze, volavano via quando le cose si mettevano male. In
realtà era successo
solo due volte: quando avevo fatto cadere una vaso di porcellana vicino
al
corridoio, e in quel momento avrei voluto farmi piccolo piccolo per far
sì
che il suo sguardo allarmato non incontrasse il mio, e la sera prima,
quando mi
aveva fatto un complimento e io avevo obbiettato. Ma zia Josie era
sempre
disponibile e dolce. Quelli erano soltanto dei contatti rari, che
diventavano scuse per non evitare più i suoi cari abbracci.
<< Prima o poi gli uccellini lasciano sempre il
nido >> disse, con la malinconia
nella voce.
Feci per dire
qualcosa, ma lei mi interruppe, continuando a sistemare la mia giacca con
precisione.
<< Era già successo con Kyle, un po’ di anni fa.
Ma non ci si abitua mai. Credevo di dover aspettare ancora un po’ prima di
vivere questa situazione di nuovo. Nick ha quattordici anni e pensa ancora ai
videogiochi, eppure so che nel giro di un anno al massimo comincerà ad avere
altri interessi.
Sembra che tu mi
abbia preparato psicologicamente a quello che succederà con mio figlio, piccolo
Jake >>
disse, lisciando ancora il
colletto. Poi fece cadere le sue mani sui suoi fianchi e si
risistemò gli
occhiali, lasciando intravedere un sorriso che però non andava a
sfiorare la felicità. Nessuno mi aveva mai chiamato così
prima di allora, e sapevo che
verso qualunque altra persona la mia reazione sarebbe stata molto
diversa. In
quel momento invece mi aveva fatto molta tenerezza. Lei che mi chiamava
“piccolo Jake”,
quando per altezza ero il doppio di lei e avrei anche potuto prenderla
in braccio.
<< Mi dispiace tanto. Non volevo crearti dei
problemi e neanche farti preoccupare. Avresti potuto
sbattermi fuori ed io non sono nemmeno tuo figlio >>
Quello che mi ero tenuto dentro per tanto tempo venne fuori senza
preavviso e giri di parole. Nessun comando e nessun freno:
semplicemente quello che avevo sempre pensato, la convinzione che per
molto, soprattutto per i primi tempi, mi aveva fatto sentire indeguato
per una famiglia così bella.
<< Tu sei il figlio di mia sorella, Sarah. Io
c’ero quando venisti alla luce, così come c’ero per Rachel e Rebecca. E sono
contenta che tu sia venuto qui. Certo, mi hai fatto arrabbiare e spaventare… in
certi momenti. E non è stata una cosa buona da fare, Jake. Ma tengo a te come se fossi mio figlio e per questo voglio tutto il tuo bene. >> rispose, con fare ovvio,<< Per Nick è come se
fossi un altro fratello maggiore, e anche per mio marito, Carl è come se
facessi parte della famiglia. Sei l’unico che lo accompagna a fare qualche
partita al bowling, non ci andava da quando Kyle si è trasferito. E Nick è
troppo impegnato con i suoi giochi di ruolo e se non ci vai tu lui non ascolta
per niente tuo zio. >>
Le sorrisi.
<< E adesso vai, piccolo Jake. >>
<< Zia, ti prego, non puoi chiamarmi così. >>
<< E perché no, scusa? >>
<< Perché io non sono piccolo… >>
<<
Ma sei sempre mio nipote >> Mi diede un bacio sulla guancia.
Uscii
di casa e mi
diressi nel garage. Non credevo ancora di essere in possesso di quella
moto. Mi
riportava alla mente tanti ricordi anche se, fortunatamente, grazie al
tempo e
all’amore, non facevano più male come una volta.
Perché i ricordi fanno male
solo se continuiamo a vivere in essi. Ed anche se niente e nessuno mi
avrebbe mai portato a dimenticare, la mia vita era nel presente.
Bella... la sua vita... portavo quei fardelli sulle spalle come se
fossero un carico che avrei sempre dovuto sopportare. Evitare di
pensare a tutto questo era impossibile, forse perchè quando
l'amore ferisce, lascia delle cicatrici che non vanno mai via. Ma
adesso tutto era più semplice; il peso era diventato più
leggero dandomi la sensazione di poterlo fare svanire. Non sarebbe mai
successa una cosa simile, certo, ed io non lo volevo nemmeno, forse
perchè se non avessi perso così tanto, non sarei mai
stato capace di conquistare qualcosa di nuovo e sfacciatamente caro.
Come la famiglia di zia Josephine, come il sentimento per Lizzy.
Salii in moto e mi
diressi verso casa di Liz. Il sole colorava il cielo di arancio fra le nuvole
bianche e discordava con la neve che si era condensata sui marciapiedi.
Il vento mi
accarezzava il viso mentre correvo, ed io cercai di tenere a freno la
velocità.
In
fondo Lizzy era
lì ad aspettarmi, non avrei dovuto avere fretta. E invece io ce
l’avevo sempre
quando si trattava di vederla. Chissà, avrebbe anche potuto
cadere un meteorite, la cosa importante per me sarebbe stata soltanto
quella di stare con lei. Irresponsabile, un tantino egoista e con una
faccia da schiaffi. Non potevo fare niente per cambiare e infondo
andava bene lo stesso.
Parcheggiai la moto
e mi diressi verso la porta, quando vidi Liz con il suo gioubbottino bianco,
la sciarpa verde e i guanti coordinati scendere gli scalini del terrazzino.
<< Credevo di dover suonare il campanello prima
che tu venissi >>
<< Ti ho visto arrivare >> rispose lei. Il sorriso luminoso.
Gli occhi che brillavano sotto il distante sole pomeridiano e i capelli che
riflettevano i riflessi dorati dei suoi capelli.
<< E questa?
>> chiese, vedendo la moto.
<< Ehm… è mia
>>
<< Da quando è tua? >> disse avvicinandosi.
<< Me l’hanno portata i ragazzi da Forks. Era
uno dei miei passatempi preferiti >>
<< Ah.
>> esclamò lei, con aria di disapprovazione. Io, beffardamente, le
risposi con un sorriso.
<< Sei uno spericolato allora >> concluse.
<< Sono prudente
>> dissi con aria sicura, salendo sulla moto.
Mi schiarii la voce
con fare da divo anni cinquanta, misi le mani sui manubri e dissi: << Vuoi fare un giro con me, piccola? >>
<< Soltanto se mi prometti di non correre troppo.
Lo sai che ho un po’ paura di queste cose
>>
<< A costo di guidare come un tartaruga >>
<< Come un tartaruga >> E mi si mise dietro. Strinse le
braccia intorno al mio busto e partii. Era molto diverso dalle sensazioni che avevo
provato quella mattina.
Il
vento mi
arrivava sul viso e mi stendeva i capelli. Stringevo i manubri in modo
professionale
e mi concentravo sulla velocità. Lizzy aumentava la strinta e
poggiava il
suo capo sulla mia schiena, mettendosi di profilo. Fu solo il suo tocco
a farmi
sentire senza controllo, perché più andavo veloce,
nonostante non superassi il
limite si velocità, più lei si stringeva a me.
E non importava il fatto che nella notte precedente fosse successo
tutto quello che avesse potuto avvicinarci dal punto di
vista fisico e del cuore. Ogni volta che mi era vicina, per me
era qualcosa di incredibilmente meraviglioso, il sole che sorgeva, il
mare in tempesta.
Non
importava dove
stessi andando, io pensavo solo alla persona con cui stavo andando. Ma
dove?
Aveva più importanza? Il posto più ripugnante del mondo
mi sarebbe sembrato bellissimo se ci fosse stata lei. E quella strada
poteva risultare uno dei
luoghi più meravigliosi della terra solo perché io la
stavo percorrendo insieme
a lei.
Conoscevo
Seattle
molto bene ormai, era la mia seconda casa e il posto in cui ero rinato.
I
turisti invadevano la città in ogni periodo dell’anno per
visitarla, fotogravare le sue impoententi strutture e respirare
l’aria vicino al porto.
L’odore di
salsedine invase le mie narici prima del previsto, poiché ero molto più
sensibile agli odori. L’autostrada era coperta dalle ombra degli abeti lungo i
confini.
Invece di
proseguire dritto rallentai e imboccai una strada alla luce del sole che stava
per tramontare. Durante la discesa Liz si strinse ancora un po’ facendomi
battere il cuore all’impazzata, come era tipico delle mie reazioni.
Frenai e lasciai
che lei scendesse per prima; feci cadere fuori il cavalletto della moto e
scesi anch’io.
Il Discovery Park
Lighthouse era deserto. Le alte erbaccie erano coperte di neve, così come il
tetto della casetta bianca vicino alla riva. I mare ricordava il colore scuro e grigio
delle nuvole di Forks che si estendevano fino alla fine dell' orizzonte, dove il sole affogava
nell’acqua, lanciando scintille verso di noi, e colorando l’oceano della sua
luce color arancio come un colore scaraventato su una tavolozza. Il cielo
alternava colori dal bianco, al rosa e al celeste chiaro all'arancio scuro. Liz rimase a guardarlo
stupita, ed in quel momento mi sentii felice nel sapere che avevo potuto
sorprenderla per l’idea di portarla lì, in pieno inverno. Ma, se avesse avuto
freddo, ci sarei sempre stato io con le mie capacità di licantropo, che si
rivelavano utili in molte circostanze.
Tolsi gli occhi dal
cielo e guardai Liz. Gli occhi misti alla sorpresa e all’incredulità.
<< Ti piace?
>> le chiesi. Era il tipico paesaggio romantico che lei leggeva
nei libri e disegnava sulle sue tele.
<< E’… bellissimo >> disse, senza distogliere lo sguardo
dall’orizzonte. Esagerata, era solo un cielo. Prestava attenzione al suo riflesso quando si guardava allo specchio?
<< Si è fatto bello per te >> E lei sorrideva sempre per le mie
uscite, che potevano essere tutto fuorché poetiche, ma che lei le apprezzava nonostante tutto.
Finalmente, e dico
finalmente perché quello splendido scenario mi aveva rubato la la parte per un
tempo indeterminato, Lizzy mi guardò con il sorriso che le riempiva le labbra, gli
occhi che brillavano nel tramonto, e le guange dipinte di rosso.
<< Non ci viene mai nessuno, qui, d’inverno >> disse, prendendomi le mani e
incamminandosi verso il campo di sabbia ricoperto di neve.
<< Non sanno cosa si perdono, allora. >> dissi, seguendola.
La neve era
abbastanza alta, ma non troppo per istruire il nostro passaggio, ed
abbastanza per sporcarci i vestiti.
<< Mi sarei messa degli scarponcini, se mi
avessi avvisato >> disse ridendo.
Era la prima ragazza che non si preoccupava di sporcarsi. Si era
abituata ad occuparsi del bucato da sé, e non assillava gli altri con nessuno
dei suoi problemi. Eh sì, lei era la mia ragazza.
<< Me li sarei messi anch’io se l’avessi
saputo >>
<< Come se facesse la differenza. Io qui dentro
ci sprofondo mentre tu te ne cammini tranquillo. E' bello essere più alto
di un metro e novanta, no? >>
<< Questa è una domanda retorica? >> chiesi divertito.
<< Prendila come vuoi >> rispose voltandosi. Ma io riuscii
comuinque a capire che stava sorridendo.
<< Vuoi che ti porti in braccio sulla riva? >>
<< Assolutamente no >>
<< Hai detto:" sì?" Ah, va benissimo, non c’è alcun
problema >>
<< Jake, no!
>> disse, ma finì per ridere insieme a me, mentre io correvo verso
di lei e la portavo in braccio verso la riva.
Ma come faceva ad
essere così bella?
Tenevo
una mano
sotto le sue braccia, e una sotto le ginocchia. L’avevo tenuta in
braccio in
questo modo solo una volta, ma ricordarlo fu un colpo al cuore,
perché lei né si
muoveva, né parlava, né rideva.Era stata appena colpita
da un'ondata di agonia indecifrabile a causa dei Volturi
Sarebbe stato meglio non ricordarlo, ma come tutti i ricordi era
impossibile rimuovere quelli che facevano più male di una ferita
al cuore. In quel momento invece era
felice, e quelle cose, pur essendo ovvie, mi illuminavano qualunque
tipo di
giornata, cose che mi avevano sempre fatto stare in pace con me stesso,
ma che
da quel momento in poi erano state le più belle che avessi mai
potuto
vedere.
Sulla riva la neve
era uno strato sottile che sembrava quasi ghiaccio. Sotto i nostri passi si
sentivano dei piccoli scricchiolii per via della nostra pressione.
<< Non avresti dovuto >> disse imbronciata, mentre la lasciavo scendere, e fece per darmi
un colpetto sul braccio come se le fosse stato anche minimamente possibile
farmi male.
<< Non picchiare un licantropo, potresti ferirti gravemente >>
<< Potevo benissimo camminare da sola. Non vedi?
Anche io ho delle gambe >>
<< Ed hai delle bellissime gambe. Si nota anche
con i jeans. >>
La verità sottoforma di complimenti in momenti di richiesta di
indipendenza femminile. mi piaceva e funzionava: una piccola scoperta.
Arrossì. Come
faceva sempre. In quel momento la attirai a me con un braccio e le cinsi la vita di spalle, guardando l’orizzonte.
<< Ti piace il paesaggio? >> le chiesi.
<< E’ quel tipo di paesaggio che dipingerei >> rispose lei, aggrappandosi dolcemente alle mani che le avevo poggiato sulle sue spalle.
Lizzy dimostrava
quanto fosse capace di fare qualunque cosa in ogni campo. Nel disegno era spettacolare.
Sembrava che un qualche profeta le guidasse sempre la mano, mentre dipingeva o
disegnava con un carboncino.
Mi chiedevo se un
giorno qualche pittore avrebbe potuto allontanarla da me, visto che io ero
davvero un incapace.
<< Potremmo ritornarci se vuoi >> dissi io.
<< Non voglio costringerti a fare qualcosa. E’
molto lontano dalla città e poi la benzina…
>>
<< Vuoi metterti a fare economia con me? >> dissi divertito.
<< Non intendevo fare economia… >>
<< Allora intendevi parlare di qualcosa di cui
io non capisco un bel niente! >>
<< Perché? Non capisci niente di economia? >>
<< La matematica non è il mio forte. Lo sai
bene. >>
<< Ma l’economia non è esattamente matematica,
cioè, sì, bisognerebbe conoscerne un po’, ma infondo... >>
<< Liz
>>
<< Che c’è?
>>
<< Stiamo parlando di economia davanti al
tramonto. >>
<< Giusto. Non è molto romantico, eh? >>
<< Questo l’hai detto tu >>
<< D’accordo. Portami dove vuoi, e spendi tutti
i soldi che vuoi per me. Non mi interessa più niente >>
<< Molto bene.
>>
Le baciai i
capelli. Profumavano di fiori e di neve. Anche la neve ha un profumo, io lo so.
<< Comunque non ti ho detto una cosa >> le dissi, cercando di escludere un certo tono basso e invaso di malizia che lei già conosceva.
<< Cosa?
>> fece lei.
<< La scorsa notte è stata... >> cominciai a mormorarle
all’orecchio, poi vidi comparire la sua adorabile fossetta sulla guancia.
<< Anche la mia
>> mi rispose lei, senza che finissi la frase.
Si voltò verso di
me. Gli occhi lucidi. le guance imperlate di rossore.
<< Non mi hai fatto finire di parlare >> sussurrai, voltandola verso di me.
Percorsi il suo
profilo con le dita, la fronte, gli zigomi, le guance, fino a fermarmi sulle sue
labbra.
<< Non dovresti fare così >> disse imbarazzata. Io avevo già
perso quella piccola cosa che nel capo viene chiamata cervello.
<< Perché?
>> chiesi.
<< Ti infastidisce che io ti tocchi… in questo
modo? >>
Una mia mano era ancora
sul suo splendido viso e l’altra la attirava a me per un fianco.
Sapevo essere sfacciato e fastidiosamente sincero in certe circostanze
e questo la toccava emotivamente in un modo che non
riuscivo a spiegare. Forse perchè era la stessa cosa per me.
<< Credevo che ti piacesse >> dissi. La voce leggermente roca e scura. Quella che lei sapeva riconoscere al buio.
<< Forse è questo il problema >>
<< Hai paura di quello che potrei fare? >>
<< Non ho paura di te >>
<< E allora di cosa? >>
<< Oh... no, niente >> Aveva sviato il mio
sguardo, e qualcosa mi diceva che forse si sentiva imbarazzata davvero.
Nel nostro rapporto qualcosa era cambiato.
C’era ancora la
dolcezza, l’amore, il bisogno di essere vicini e di comprendersi, ma c’era
anche qualcos’altro. Il desiderio. Il desiderio di avere di più alle
parole.
Precedentemente ci
avevo sempre riflettuto, pensando che fosse un avvenimento lontano quello di
evolvere la nostra relazione a qualcosa di più maturo, poi però era successo
tutto così all’improvviso che non ero più riuscito a controllarlo.
O forse non
riuscivo più a controllare me. E da quello che mi stava facendo intuire Lizzy, anche
lei forse aveva delle sensazioni simili nei confronti di se stessa.
Doveva
sentirsi
intimorita da quel suo nuovo bisogno di sentirmi con lei in
quell’altro modo. Non immaginava che sarebbe stato così
intenso e che quel
pensiero l’avrebbe assillata tanto quanto assillava me.
<< Guardami, Liz
>> dissi. Lei continuava a sviare lo sguardo, allora io lasciai il
suo fianco e con la mano libera rivolsi il suocapo verso di me, sospingendola con il
mento.
Mi
soffermai sulle
sue labbra carnose, per la prima volta senza lasciarmi distrarre da
quei suoi occhi
magnetici. Chiusi le palpebre e sfiorai le mie labbra con le sue. Non
doveva essere spaventa, non doveva . Io per lei ci sarei sempre stato.
Le miei mani
scesero sulla sua schiena che percossa da brividi inspiegabili faceva aderire
il suo corpo al mio.
Lei si alzò in
punta di piedi e poi sentii le sue mani fra i miei capelli che mi attiravano a sé
con rassegnazione e desiderio.
Quando sentii il
suo fiatone invadermi le labbra, decisi di smettere dolcemente.
Questa volta i miei
occhi mi incatenarono sul suo volto, le lentiggini leggere sul naso, le guance colorate di rosso.
<< Ti amo e non mi interessa nient'altro
>>
Sorrise.
<< Anch'io >>
Intrecciò la sua
mano alla mia e si voltò. Lo scricchiolio del ghiaccio sotto i suoi piedi da
cenerentola, la principessa sul mare travestita da ragazza normale.
Poteva avere qualunque
cosa con quel sorriso d’angelo, con quegli occhi espressivi, con la sua voce
calda e sottile, eppure aveva scelto me.
Io non ero un
principe, ma le avevo dato l’unica cosa che dentro di me potesse avere un
valore. Il cuore, solo il mio cuore. E con quello le avevo donato tutto me
stesso.
Il sole si perdeva
nelle onde marine, affogava nell’acqua e moriva nel buio. Ne avremmo visti
tanti di tramonti, io e Lizzy. Un simile spettacolo ammirato in solitudine non avrebbe avuto lo
stesso effetto.
Nonostante la tetra
e grigia oscurità, qualcosa brillava sotto i miei occhi.
<< A chi arriva prima alla moto >> disse, cominciando a correre.
<< Mi stai sfidando >>
<< L’hai detto tu >>
Aveva già
cominciato a correre ancor prima che io potessi risponderle. Ma non era
qualcosa di cui avrei dovuto preoccuparmi, sarei sempre riuscito a
raggiungerla, e lei, nonostante tutte le mie riflessioni a proposito
dell’argomento, non mi avrebbe lasciato.
<< Non andare veloce >>
<< Sarà difficile >>
<< Puoi riuscirci >>
<< Sei tu che mi fai volare. >>
<< Hai fin troppa fantasia >> Rise.
<< Ho anche un cuore >>
<< Lo sento
>> E poggiò il suo capo sulla mia spalla.
<< Non so dove sia, ora. Me lo dici dove l'hai noscosto? >>
<< Puoi volare adesso, Jacob Black >>
Poi partii, il
vento tornò a solleticare il mio viso color del bronzo. Il sole era morto
nell’oceano e la luna aveva preso il suo posto. Il buio non era mai stato così
chiaro e nitido per me.
Fra i cespugli ebbi
la sensazione di vedere due grandi occhi gialli, quelli di un lupo. Quello che io avevo
trascurato per lasciare spazio ad una felicità che credevo che mi sarebbe stata
negata per sempre. Ma il lupo continuava ad esserci. Ad esistere. E sarebbe
stato parte di me per sempre.
Percorsi la strada
che la mia memoria mi indicava con ordine. Non c’era niente di nuovo da
ricordare.
La meta non è mai
importante, i posti non hanno mai importanza, il luogo più bello del mondo è
sempre quello in cui ci sono le persone che si amano. Non c’è altra spiegazione
per le sensazioni che provai nel guidare verso la mia destinazione.
E in quel momento Seattle, con i suoi grattaceli, il profumo delle caldaroste, l’odore di macchine
nuove del negozio di Kyle, l’inchiostro dei libri che occupavano la libreria
della mia camera, la risata di una bambina dai capelli rossi e gli occhi
azzurri e profondi come il mare, mi sembrò il posto più meraviglioso in cui
fossi mai capitato.
Lì Jacob era
cresciuto, era diventato un ragazzo grande, e il suo percorso non era ancora
finito. Sarebbe cresciuto ancora, sarebbe maturato, avrebbe anche sofferto, ma
una cosa era certa: Il ragazzo lupo sapeva chi era.
Aveva ritrovato sé
stesso, perdendosi.
In fondo quando si
perde la strada di casa, non si sa mai dove le nuove strade possano portare.
Jacob, adesso, in un modo o nell’altro, lo aveva scoperto.
L'avevo scoperto io.
*
*
*
*
Discovery Park
Lighthouse
Questa è una foto della spiaggia in cui si recano Jake e Lizzy.
Ciao a tutti :):)
Come va? Spero che questo capitolo vi sia piaciuto
:):) Questa parte della storia è molto tranquilla, vi dico
comunque che alla fine non manca poco, anzi e questi capitoli non
potevano mancare. M
Allora... Molte di voi vedono Jacob o
con Bella
Swan o con Renesme Cullen, io ho osato e devo ammetterlo, quando ho
avuto questa idea, non mi sono preoccupata di tutto quelo che un
pairing del genere potesse provocare. Sono stata un pochetto
irresponsabile e me ne sono accorta tardi ^^ lo so. Ma questa storia
è nata perché Bella in Breaking dawn si è
comporata in un modo che non sopporto e perchè non ho digerito
l'imprinting. Volevo che Jake avesse una storia d'amore come tante.
Questo è tutto quello che si è persa Bella Swan. Questo
è quello a cui ha rinunciato. Una vita sicuramente non sempre
tutta rose e fiori, ma d'altronde, quale vita è così?
Nella nostra, anche se non ci sono vampiri luccicanti e licantropi,
credo che non sempre le cose vadano benissimo, i momenti giù di
corda capitano a tutti :) E poi... è nata Liz, che
è diventata parte di me, o il contrario, non so, poi è
successo che mi sono innamorata di questi due e tutto il resto. Se
anche a voi è successo o sta succedendo lo stesso, non posso far
altro che ringraziarvi ed esserne assolutamente felice. :):):)
Ogni tanto qualcuno mi ha chiesto se
Jake incontrerà Bella, io vi dico che è davvero
così.
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Un bacio,
Ania
|
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Capitolo 39 *** 39 ***
jake 39
La finestra era
aperta, ed una leggera aria fredda si fondeva nella stanza.
Era una sera
ghiacciata, nonostante non nevicasse da giorni, ormai. I pupazzi di neve erano
sciolti sul terreno, e i resti delle sciarpe e i cappelli si affievolivano in
una sottile pozza d’acqua.
Mi
affacciai alla
finestra. Zio Carl stava recuperando i “resti" del nostro pupazzo
di neve, simpaticamente chiamato “Zio Tom” per la grande
somiglianza con un nostro caro
zio trasferitosi a Parigi.
Zio Carl
l’aveva creato
con passione sotto gli
occhi imbarazzati e fulminati di Nick, mio cugino di quattordici anni
che,
alle spalle della strada, sperava intensamente che nessun passante
guardasse
dalla sua stessa parte. Io però mi ero preoccupato di sfotterlo
un po' più del dovuto, come sempre. Be', fuguriamoci se sarei rimasto a guardare senza dire niente!
« Vai da Lizzy stasera? » mi chiese mia zia, chiudendo la
finestra. Ogni sera c’era sempre la stessa domanda. Così come ogni mattina, e
ogni pomeriggio, e nelle ore intermedie e…
« No, non stasera » Zia Josie rimaneva sempre perplessa
quando le dicevo di no. Avrei tanto voluto rispondere di sì...
Faceva
un’espressione strana, anche per la sua faccia. Fra “ E’ come se avessi detto
una parolaccia!” e “ ma a volte le parolaccie si possono dire”.
« Perché? » continuò.
« E’ all’aeroporto. Suo padre torna per il Natale. Ha avuto il trasferimento » dissi.
« E me lo dici così? »
« Il signor Franck Audley è in questo istante
in viaggio per raggiungere la sua figliola nell’incanctevole città di Seattle
con la doverosa intenzione di… »
« Ma dài. Se me l’avessi detto le avrei chiesto
se aveva bisogno di qualcosa »
« E’ tutto a posto »
« Certo, certo. Sono sempre l’ultima a sapere
le cose. >> disse stizzita.
« D’accordo, d’accordo »
« Immagino che questa volta non sia possibile
invitare Lizzy per il Natale >>
« Penso proprio di no »
Il
compleanno di
Lizzy era stato il giorno prima. Le avevo regalato una collanina di
bigiotteria, con una L che le scendeva sul petto.
« Quindi stasera rimani qui »
« Veramente stavo uscendo »
« E dove vai? »
« A casa di
Walter »
« A fare? »
« Esperimenti di astrochimica »
Un’espressione
maligna mi trafisse.
« Intendevo dire... » E tossii.
« Giocare alla playstaion con lui »
« Lo immaginavo… »
Mi
avvicinai a lei
e le diedi un bacio sulla guancia. Nick era nella fase in cui si
rifiutano la
gran parte dei segni d’affetto da parte dei genitori, quindi per lei fu
una cosa
piacevole ricevere un abbraccio affettuoso da me, che ero suo nipote.
Ormai io
la consideravo quasi come una madre. Con Walter mi divertivo da matti.
Era il solito tipo che diceva battute sconcie nei momenti un più
sbagliati e ti faceva ridere più del dovuto. Mi sentivo quasi
più intelligente. Se Seth lo avesse incontrato, sarebbe andato molto d'accordo con lui.
Indossai
la mia
giacca e uscii. I videogiochi erano stati un mio interesse per un certo
periodo,
anche se il fatto di rimettere a posto veicoli e moto era sempre stato
quello che più mi
faceva divertire e che mi dava più soddisfazioni. Ma la mia
abilità nei giochi
di ruolo non era ancora svanita. Ogni tanto va bene ritornare indietro
alle
cose passate. E, ripensandoci bene, mi accorsi che, forse, la parte
più serena
della mia vita l’avevo passata proprio nel periodo in cui pensavo
ancora a
giocare con la vecchia playstation del salotto della mia casa a La Push.
Oppure quando mi piaceva fare i castelli di sabbia in spiaggia e
aspettavo che una bambina arrivasse per l' estate. Il tempo passa, ma
è una cosa di cui ci si accorge solo quando le cose cambiano. E
le cose, non solo erano cambiate: ormai, non erano più le stesse.
*****
Il primo giorno in
cui il Signor Audley era rimasto a Seattle, avevo chiamato Liz al telefono per sentire com’era andata.
Avevo preferito non
andare con lei all’aeroporto, così ché suo padre potesse stare con le sue
figlie senza la mia influenza.
Ancora prima che riuscissi a comporre il suo numero sulla tastiera dal
telefonino, l’aggeggio cominciò a squillare.
Sorprendendomi per
l’ennesima volta, risposi. Era Lizzy.
« Ehi, Jake »
« Ciao, piccola. Com’è andata? »
« Benissimo. A parte il fatto che non riuscivo
davvero a crederci »
« Sei felice? » le chiesi. Ma la risposta era ovvia. Immaginavo i suoi occhi
splendere, e la voce che mi raccontava ogni cosa era così squillante e bonaria
che non poteva farmi pensare altro.
« Sì, tanto. Finalmente Silvya potrà stare con
papà. Per lei non è ancora tanto tardi »
« Sai che cambieranno molte cose »
« Mia nonna potrà stare a casa sua a guardare i
suoi adorati film anni cinquanta, e addormentarsi senza pensare di aspettarmi,
perché io devo ancora tornare a casa »
« Non dovrai più correre a casa per non
lasciare Silvya sola »
« Sarà tutto… come avrebbe sempre dovuto
essere. Nei limiti di tutto, certo » Certo, sarebbe stato più difficile salire in camera sua...
« Vorrei essere lì adesso, con te »
Ridacchiò.
« Mi pare di averti detto che non sono più…
così sola »
« Quando sei felice sei bella. Mi sto perdendo
lo spettacolo »
« Vorrà dire che terrò il broncio la prossima
volta. »
« Sto scherzando. Tu sei sempre carina, lo
sai » La sentii sorridere, pensando che essere vicino a lei mi sarebbe piaciuto ancora di più.
« E
ricordati di quello che ti ho detto. Niente regali per Natale da parte tua.
Ok? »
« Liz, la linea è disturbata. »
« Non è che domani vai un negozio e compri
qualcosa all’ultimo minuto. Vero? »
« Domani? Io? No… »
« Lo spero. »
« Vengo a farvi gli auguri domani mattina. »
« Certo. Ci vediamo domani, allora »
« Ti mando un bacio telefonico »
« Questa è nuova. Un bacio telefonico » Rise.
« Mi sto scatenando adesso, così domani quando
incontrerò tuo padre non sembrerò così stupido »
« Tu, stupido? Ma se potresti essere il prossimo candidato per le olimpiadi di matematica! »
« Lizzy, non puoi prendermi in giro su questo mio problema grandissimo. » Si mise a ridere, cosa che non riuscii ad evitare neanche da parte mia.
« Va bene, buona notte, Jake, a domani »
« Ciao, Liz. Buona notte »
***
L’aria del Natale
si respirava dall’inizio di Dicembre. La città era ricca di luci colorate così
come le facciate delle case e i giardini biancheggianti di neve.
Dai vetri della
finestra della mia camera filtrava una luce grigia, i raggi del sole coperti
prepotentenmente dalle nuvole, come se sulla terra ci fosse qualcosa di
importante da vedere, e il sole, come un bambino in una folla sempre più basso
degli altri, si sforzasse per far arrivare il suo sguardo all’obbiettivo tanto
desiderato.
Era il secondo anno
che a Seattle nevicava. Essendo una città nei pressi del mare era un avvenimento
molto raro, ma quell’anno, così come quello precedente, il cielo aveva deciso
di deliziarci con la sua bella pioggia bianca, soffice e calma.
Il
Natale nella nostra immaginazione si colloca in una mattinata tanto
fredda in cui, mentre si
scartano i regali, si alza il viso e, dalle vetrate trasparenti della
finestra
del salotto decorate dalle tendine abbinate al colore dei divani, ci si
accorge che fuori nevica. L'avevo sempre immaginato così,
nonostante nei miei ricodi la pioggia non fosse nè bianca e
nè sofficie ma trasparente e pesante. Poi però mia madre
mi prendeva fra le braccia e la delusione passava all'istante; mi sentivo
felice, proprio come un bambino che aveva appena visto la neve.
Scesi dalle scale
per la colazione con indosso il mio pigiama blu. Di solito, per la prima
colazione ci recavamo in cucina tutti vestiti e pronti per uscire anche nei
giorni festivi, ma era un giorno di festa e l’albero era ancora più bello
perché alle sue radici di plastica erano affiancati pacchetti colorati rilegati
da nastrini argentati e bigliettini.
« Buon Natale! » Mio zio indossava un pigiama color verde mela che lo faceva
sembrare tanto buffo. Zia Josie doveva aver trovato un po’ di fascino in lui,
un po’ di tempo prima.
« Buon
Natale anche a te, zio » dissi.
Le mie parole furono seguite da un abbraccio, così come anche gli auguri con
Nick e zia Josie.
Nick, al contrario
dei giorni soliti in cui mia zia doveva chiamare l’esercito americano per far
sparare delle cannonate nelle sue orecchie solo per smuoverlo anche leggermente dal
suo perenne stato di sonno, si svegliò per primo.
A quattordici anni
era ancora ossessionato dall’idea dei regali e mia zia aveva deciso di tirarli
fuori dal suo “nascondiglio segreto” soltanto la notte della vigilia.
Nick era stato uno
di quei bambini che passavano di proposito nell’aria meno interessante della
casa, spesso un angolino in cui i suoi genitori avevano montato l’albero di Natale,
per motivi noti solo alla sua diabolica mente di otto anni. Lui si
inginocchiava, prendeva il regalo con il suo nome e lo agitava per capire bene
che cosa fosse.
Con l’andare degli
anni non era mai cambiato. A tredici
anni assumeva ancora, in un modo più stilizzato e con una camminata tipica dei
ragazzi per cui le dodicenni lanciano risolini, un comportamento simile.
« Posso aprire i regali, adesso? » chiese con un voce che imitò i toni
dello spazientito ma che in seguito, toccato dallo sguardo malevolo di sua
madre, si trasformò in implorante. Il suo ciuffo castano era ritto sul suo capo
e gli dava un’aria più divertente di quella che aveva di solito.
« D’accordo, Nick. Vai ad aprire i regali » Quando mia zia fece un respiro profondo per
continuare con la seconda parte della frase, lui era già corso sotto l’albero
cercando il regalo per lui.
« Ce n’è uno anche per te, Jake. Non rimanere
qui impalato »
Mi avvicinai all'albero di Natale. Un pino dagli aghi verdi e
artificiali, con palline di ogni colore e luci qua e là.
Scartai il regalo
con un espressione sorpresa e allo stesso tempo anche felice, nonostante non
sapessi ancora che cosa fosse.
Ma che cosa
importava? Era un regalo, e un regalo, quando viene fatto con il cuore, è sempre
bello.
« Grazie mille » dissi. Forse non mi sarebbe servito molto, ma mi avevano sempre
insegnato a dire grazie per qualunque tipo di pensiero.
« Il blu ti sta sempre bene. L’altro giorno
stavo sistemando il tuo armadio e ho notato che hai pochissimi maglioni.
Allora… »
« Va benissimo, zia. Era proprio quello che… ci
voleva » Per riempire l’armadio.
Le diedi un bacio
sulla guancia, mentre Nick guardava sua madre con un espressione sconsolata.
« Io ho l’armadio pieno di maglioni. Perché mi
hai regalato, cioè, no, sì, un maglione? »
« Non ho capito bene. Volevi dire: Grazie? »
« Mamma! »
« Stasera al cenone ci saranno tutti i nostri
parenti. Sicuramente uno di loro ti avrà preparato uno di quei videogiochi che
tanto ti piacciono e che arrugginiscono il cervello. »
Mia zia preparò la
colazione e, dopo aver mangiato, salii in camera mia per vestirmi.
Avrei dovuto andare
a casa di Liz per darle il mio regalo e incontrare suo padre. Gli auguri per la
festa avrebbero reso tutto meno imbarazzante, anche se quando si parlava di suo padre avevo sempre l’impulso di
rimandare ogni cosa.
Ma sarebbe andata
bene. Ne avevo superato tante… questa si aggiungeva solo alla lista.
****
Ciao a tutti!!
Allora,
oggi sono emozionatissima :) Spero che questo capitolo, che è un
capitolo di passaggio, vi sia
piaciuto :) :) Cioè... non è niete di chè,
è che a furia di rileggerlo lo so a memoria, ed è strano
-.- scusate per l'assenza durata un mese, ma ho comunque
continuato a scrivere in modo da essere puntuale con gli aggiornamenti
:)
Spero che abbiate passato delle vacanze bellissime e che vi siate riposati per bene ^^
Vi ringrazio per essere qui, davvero.
Questa storia mi sta prendendo più di quanto avrei mai
immaginato, e credo che in gran parte sia anche merito vostro.
Ringrazio inoltre
chi ha sopportato le mie pazzie su facebook, loro sanno *-*, se volete
aggiungermi questo è il mio contatto, magari specificate che
siete di EFP http://www.facebook.com/profile.php?id=100001585404547 :)
:)
Inoltre,
cosa importantissima, Jakefan ( <3 <3 <3 <3) mi aveva fatto
notare che le virgolette che usavo prima, cioè queste <<
>> erano un po' pesanti, ma io non sapevo come altro
farle, poi ho scoperto che in realtà ci sono queste «»
che si trovano nei simboli di word. Ho scritto 38 capitoli con quelle
virgolette sbagliate, per i prossimi credo che metterò queste,
anche perchè sono mooolto più carine :)
Nella
storia adesso c'è un periodo molto felice e tranquillo e mi
piace tanto vedere Jacob così sereno, spero che sia lo stesso
anche per voi ^^
Grazie mille, davvero. Siete fantastici :):)
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Cosa
taaanto importante, c'è una specie di mini storia, che sarà molto importante per
dei capitoli futuridi questa storia. Soul's Wind
Grazie ancora :D
Con affetto, Aniasolary
|
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Capitolo 40 *** 40 ***
jake 40
La casa di Liz si
riconosceva sempre da lontano. Era di un giallo intenso, a parte gli infissi delle finestre
che invece erano bianchi.
A metà strada dal suo vialetto, la voce
squillante e chiara della piccola Silvya mi colpì le orecchie, ricordandomi
di tutte le volte in cui Lizzy
la aveva abbracciata felice. Erano simili e allo stesso tempo diverse, e le
circostanze non avevano permesso che le due sorelle litigassero tanto quanto di
solito fanno i fratelli.
Suonai il
campanello, tenendo il cd avvolto nella carta regalo dorata dietro la schiena.
Non dovetti
aspettare molto perché la porta si aprisse, e nel frattempo, sentivo le risate
cristalline sempre più vicine.
«Jacob, ben trovato» Il signor Audley indossava un
maglione scuro. La bocca era
aperta in un sorriso bonario, che mi accolse con molto calore.
«Buon Natale, signor Audley» Mi porse la mano per stringerla,
allora io spostai il regalo di Lizzy dietro la schiena dalla mano destra a
quella sinistra nel modo più veloce che le mie mani potessero conoscere. Io
gliela strinsi cercando di sembrare a mio agio, di trattenere il mio nervosismo.
Nonostante
Frank
Audley avesse tutta l’impressione di un uomo tranquillo e
riservato, sapevo che
non mi sarebbe risultato semplice all’inizio incontrarlo ogni
giorno. Il rapporto fra me e Liz era qualcosa di molto più... magico rispetto a quelli degli altri ragazzi della nostra età, cosa che era impossibile da nascondere.
«Entra pure, non rimanere fuori al gelo»
«Grazie» risposi.
La
porta fu chiusa
alle mie spalle. Il salotto era ricoperto qua e là da
decorazioni natalizie,lucette lungo il soffitto, stelle filanti. E fra
esse si poteva notare, fra le tante cose, una bambina inginocchiata, i
capelli
rossi arruffati sul capo, lo sguardo concentrato su un libro che visto
i suoi
occhi tanto concentrati, doveva sicuramente avere qualcosa di molto
bello e
accattivante.
Poi la piccola
voltò il capo verso di me, e dimenticò il suo libro.
Era un
bell’effetto. I libri sono sempre stati più interessanti di me.
«Jacob!» disse Silvya, correndomi incontro.
«Auguri, Sil. Ti sono piaciuti i regali?»
«Babbo Natale ha fatto del suo meglio. Anche
se non mi ha dato proprio tutto quello che gli ho chiesto, non mi offendo. Sai
quante cose avrà da fare?»
«Oh certo. Babbo Natale è sempre
impegnato.»
Le sorrisi.Indossava ancora il suo pigiamino rosa. Le guance erano
dipinte di un
naturale colore roseo, gli occhi grandi e intensi indagavano su tutto,
azzurri
come quelli di suo padre. Erano vispi, grandi, sembrava che non
finissero mai
e, nonostante fossero diversi da quelli di Liz, avevano una
caratteristica
in comune. In un modo o nell’altro, ci si perdeva sempre dentro.
Con la piccola
sorridevo, pensando che qualcuno prima o poi sarebbe cascato in quegli
occhi, il malcapitato avrebbe dovuto sopportare tutta quella sua bella
furbizia, e
pensando a Liz rimanevo senza respiro, perché costatavo che per
quanto
riguardava lei, nei suoi occhi ci ero caduto io. Ci ero inciampato casualmente.
«Che cos’ è quella cosa che hai dietro la
schiena?» Lizzy era appoggiata
con un espressione maliziosa e allo stesso tempo divertita allo stipite della porta del
salotto. Ormai rassegnata per la mia presa di posizione.I capelli castani dai riflessi dorati raccolti in una
coda.
«E’ il tuo regalo» risposi io.
Pensai che suo
padre fosse rimasto un po’ scombussolato dal nostro approccio quella mattina. A
volte capitava che io e Liz non ci salutassimo nemmeno, che parlassimo
direttamente come se avessimo interrotto un discorso pochi minuti prima. Il
motivo era che noi eravamo sempre insieme. A volte era naturale per
noi vederci e pensare che fosse qualcosa che doveva accadere solo perché
doveva.
Poi magari dopo una
decina di minuti ci ricordavamo di non esserci salutati, e allora io cominciavo a farglielo notare:
“ Ehi, ma me l’hai
detto ciao?”
“ Io? Perché tu me
l’hai detto?”
“ Ci faccio talmente
tanto l’abitudine di stare sempre con te, che a volte non mi viene naturale
come il fatto di salutare chiunque altro”
“ Strano”
“ Già. E’ colpa tua "
“E perché?”
“ Perché stai
sempre con me. Nella mia testa, in continuazione, ecco perché”
“ Credevo che
avessi un po’ di più di sale in zucca”
“ Ciao, allora”
“ Ciao, Jake”
Le porsi il regalo,
disinvolto, e cercando di guardarla di meno rispetto a tutte le altre volte in
cui ci incontravamo.
Sentivo gli occhi
di suo padre in direzione dei miei occhi, attenti. Ma forse ero
io a non vederci chiaro.
«Be', scartalo. Che aspetti? O vuoi metterlo
sotto il microscopio di papà per analizzarlo?» Silvya era sempre spigliata e allo stesso tempo un po’
impaziente.
Liz si sedette sul
divano in pelle e lo scartò.
«Jake»
«Ti piace?»
«E’… qui c’è quella canzone…»
«La nostra prima uscita insieme. E chi se lo
dimentica» Non era poi così male come regalo.
«E’ fantastico»
Si
alzò dal divano
per abbracciarmi e darmi il bacio che di solito si dà quando si
riceve qualcosa. Ero leggermente teso, ed anche se fisicamente poteva
essere anche non
notato, quando Liz si allontanò vidi in lei un’espressione
diversa, come se
avesse capito tutto. Durante tutto il nostro abbraccio durato al
massimo
quattro o cinque secondi, temevo lo sguardo del signor Audley in un
modo molto
infantile. Come se avessi dovuto controllare le mie mani la mia
posizione,
perché se avessi sbagliato qualcosa mi avrebbe lanciato contro
una folgore
olimpica.
Eppure il signor
Audley non dava quell’impressione, era un uomo tranquillo, riservato e
di poche parole.
Ma io avevo tanta
fantasia, ne ero consapevole.
«Anch’io ti ho fatto un regalo» disse lei, subito dopo.
La sua gonna aveva
una piccola tasca, da cui estrasse una scatoletta di plastica verde.
«La tua confezione era molto più carina.
Comunque spero che ti piaccia»
« Non è la carta che fa bello un regalo»
disse il signon Audley,
precedendomi. Anche io avrei detto qualcosa del genere, ma quel
pensiero, pronunciato da lui, sembrava che fosse qualcosa di epico e
sbalorditivo, giusto in ogni circostanza.
Mi limitai ad
annuire, sorridendo. Questa cosa è strana. Se ci fosse Seth ridacchierebbe sotto i baffi.
Aprii
la piccola
scatola, il cui interno brillava alla luce del sole che filtrava dalla
finestra accanto all'albero di Natale. Conteneva una catenella da
portare al collo, maschile. A degli anelli erano attaccati due
ciondoli: una
J, piccola e non troppo ingombrante, e l’immagine di
un’animale, della stessa
misura della J per ampiezza ma che era leggermente più grande,
un lupo.
«Liz, wow»
«Be', appena l’ho vista ho pensato a te»
Mi dimenticai della
presenza del signor Audley, e mi dimenticai che in quel momento mi stesse
guardando davvero, non come invece avevo immaginato precedentemente.
Dimenticai anche
che la piccola Silvya fosse presente e tanto attenta alla mia reazione.
Mi avvicinai a
Lizzy, la presi fra le braccia e le diedi un forte bacio sulla guancia.
Fu questione di
pochi attimi, dopo i quali mi accorsi del rossore che aveva invaso le guance
della mia ragazza. Ma chi se ne importa, io la bacio quando mi pare.
Il signor Audley
non si scompose e trasalì, rendendo meno imbarazzante il momento successivo
all’abbraccio.
«Ti piacciono i lupi, Jacob?» chiese, prendendo delicatamente in mano la
scatolina .
«A me sembra più un cagnolino» disse Silvya, aggrappandosi al
braccio del padre.
«Oh sì, avrei sempre voluto avere un cane» dissi, trattenendo una fragorosa risata in gola.
Lizzy era diventata
più tesa e nei suoi occhi si poteva leggere una leggera preoccupazione, come se
dandomi quella collanina avesse raccontato a tutti il mio segreto.
Fortunatamente,
l'affermazione di Silvya mi aveva dato lo spunto per la mia risposta.
«Bene. Allora, Jacob, ti va di rimanere a
pranzo da noi, oggi?»
«E’ giorno di Natale» dissi. Oh no.
«Proprio per questo. Non credo che i tuoi ci
rimangano male»
Mi mostrai un po’
titubante, poi però Lizzy mi diede una leggera gomitata, in modo da farmi
voltare e farmi incontrare il suo sguardo. Liz, sei sempre la solita, smettila di fare quell'espressione! Cavolo, ne approfitti.
«Se per lei non è un problema» aggiunsi.
«Certo che non lo è. Tieni, Lizzy, vai in
quella pasticceria italiana e compra qualcosa» disse a sua figlia, porgendole delle banconote. Del pranzo si sarebbero occupate la zia Clara e la nonna Rosie.
Indossai il mio
giubbotto, mentre anche Liz faceva lo stesso, armandosi di guanti e sciarpa.
Chiusi la porta
alle nostre spalle. Il nostro respiro scriveva nell’aria, creando disegni nel
cielo.
Scendemmo qualche
gradino, prima di darci la mano. Sentii il velluto dei suoi guanti beige sulla
mia pelle ruvida, reduce dei miei continui lavori di meccanica.
«Insomma, sei sempre la solita»
«Chi, io?»
« Sì, lo sai che se non fosse stato per te non avrei detto di sì in tono da damerino»
«Pensala come vuoi»
Sbuffai, senza trattenere un sorriso.
«Dov’è questa pasticceria, biscottino?» le chiesi, noncurante.
«Biscottino? E’ così che mi classificheresti
in un negozio di dolci?» disse,
avanzando nella neve.
«Caramella, pasticcino,
cioccolatino…»
«Sarebbe scomodo, essere fidanzato con
qualcosa che si mangia. Non trovi?»
«Molto scomodo» risposi io. Scomodo? Ma anche pericoloso, difficile,
complicato, insolito, contro natura.
Mi stavo ricordando
di un'altra situazione. Una volta avevo utilizzato un paragone tutto mio per
parlare di certi fidanzamenti. L’aquila e il pesce.
Già. Anche io
quando volevo, potevo assomigliare ad un poeta simbolista. Lizzy me ne aveva riempito la testa.
«Dài. Andiamo a comprare questi dolci» disse lei, incammindandosi.
«Sei bellissima con questa gonna rossa» feci io. Il sole che giocava a
nascondino fra le nuvole.
«Ma smettila!» disse ridendo.
«Devi imparare ad accettarlo, non posso farci niente, io»
Le nuvole coprivano il sole ed io camminavo verso
di lei, con il sorriso stampato sul mio viso.
Quello era il
nostro secondo Natale insieme. Tante cose erano cambiate. Io ero cambiato. Liz
era cambiata.
Le luci di Natale
sarebbero state riposte negli scatoloni, così come gli indumenti invernali.
Tante
cose cambiano,
e fa male, a volte, vedere le persone, le cose, cambiare. Ma è
bello sapere che
ci sarà sempre qualcosa che quando guarderemo, rimarrà
sempre la stessa. Come i ricordi che, quando li si guarda voltando il
viso indietro, non fanno più male.
****
«Ma com’è carino il tuo giovanotto, Elizabeth.
Davvero carino per avere vent’anni»
«Diciotto, nonna. Diciotto anni!»Lizzy riusciva a mantenere un tono di calmo anche quando si trattava di strillare fra il chiasso dei
parenti che giocavano ai giochi da tavolo. La bis nonna Kelly, di novantasei anni, aveva qualche
problema di udito, e per farci capire dovevamo alzare la voce di un po’.
«Siamo lì, no?»
Lizzy annuiva
sorridendo, tenendo la mano a sua nonna. In quel momento capii da dove avesse
preso il suo bel colore degli occhi, color nocciola dorato, con delle pagliuzze
più chiare nelle iridi, che davano lucentezza al suo sguardo.
«Vuoi giocare a monopoli con noi, Jason?» La nonna si voltò verso di me, lo
scialle rosa che le copriva le spalle sul suo vestito. I
capelli bianchi raccolti.
«Jacob, in realtà» mi ero dimenticato che farfugliare
per la nonna Kelly significava non parlare affatto. Soprattutto quando ci stava di mezzo un sorrisetto.
«Come, caro? Mi è parso di sentire qualche
sillaba. Hai detto qualcosa?»
«Jacob,
nonna. Si chiama Jacob»
«Oh scusa, zuccherino. Ma mi spiegate che
differenza fa? In fondo qui non c’è nessuno che si chiama Jason»
«Io! Io mi chiama Jason! J - A - S - O -
N»
Zia Bonnie, i capelli neri e ricci legati, con il
suo bambino di un anno fra le braccia, fu costretta a trovare un modo per battere le mani,
poiché il piccolo Jason di sei anni si stava allenando per la gara di Spelling
dall’inizio dell’anno e doveva farlo sentire soddisfatto.
«Che cosa?» La nonna capiva ancor meno di quello che riusciva a comprendere
di solito, in tutto quel chiasso era tutto più difficile, ma lei cercava di non
dare a vedere il suo disagio, bensì tentava di inserirsi in tutti i discorsi
che le capitavano.
«Jason è il figlio di zia Bonnie» disse Liz, dolcemente.
«Oh, vero. Quella peste che ripete in
continuazione l’alfabeto. Sempre meglio di quegli aggeggi che chiamate videogiochi»
Tutto
sommato
il pranzo era andato bene. Non tante domande
sull’Università e non molto
invadenti sulla mia famiglia. Quando avevo chiamato zia Josie per
avvisarla, sembrava che le avessi comunicato di essere il nuovo
candidato all'elezione per diventare il presidente degli Stati Uniti.
Era contenta in un modo abbastanza singolare e non faceva altro che
ripetermi di essere sempre gentile e disponibile. Era una bella
famiglia, quella di Lizzy. E doveva
piacermi per forza perché in ogni caso, niente mi avrebbe
impedito di allontanarmi da lei.
«Vuoi giocare con noi a monopoli allora,
Jacob?»
«Volentieri, signora Audley» dissi, e lei sembrò
essere soddisfatta del mio atteggiamento.
Frank Audley
sorseggiava il suo amaro versato nel bicchiere apposito, mentre parlava con gli
altri zii. Sembrò essere felice e spensierato.
Tutto andò come speravo; non fu così
imbarazzante come me lo immaginavo, e tutto andò per il meglio.
Quando la serata
giunse al termine, Liz
indossò il cappotto e mi accompagnò fuori, sul vialetto.
Il rumore dei
tacchetti delle sue ballerine scandivano i suoi passi diretti verso di me, che
sorridevo soddisfatto.
«Non è stato tanto male» mi disse lei, avvicinandosi.
«No. Mi aspettavo di peggio, infondo» A parte il fatto di mettere a freno i miei impulsi di portarla su incamera sua e...
«Ti sei comportato bene. Sembra che gli altri
ti abbiano davvero scambiato per un bravo ragazzo»
«E' una cosa che mi viene sempre bene, quando si tratta di fingere, lo sai» le chiesi fintamente offeso.
«Mmh, già, è un lato che conosco soltanto io» mi rispose lei.
Quando avvicinammo
le nostre labbra, eliminando ogni tipo di distanza fra il freddo della sera, un
arco di luce colpì i miei occhi chiusi.
Un bambino in casa
aveva aperto la tenda della finestra , e ci osservava sorridendo.
Quando
Liz si
voltò, Il piccolo Jason, i capelli castani completamente
arruffati da Silvya che cercava di pettinarlo con il suo nuovo kit per
le barbie, si trovò colto di sorpresa come se
avesse fatto
qualcosa di male, ma Lizzy gli sorrise in un modo ancor più
dolce e tenero di
come faceva con me e si diresse verso la porta.
Bacio non proprio soddisfacente, mi rifarò.
Lizzy non notò il mio sorriso enigmatico
«E’ stato davvero un bel Natale»
«Già…»
E ripensai che in
realtà quello non era stato solo un bel Natale, era stato il Natale più bello che avessi mai
passato dopo tanto tempo, dopo tanti problemi, dopo tante sofferenze. E nel
freddo di Dicembre sentii che, nonostante il gelo, il mio cuore era caldo nel
mio petto, come se avessi ricevuto l’effetto contrario delle temperature esterne.
Andai via felice, e
le ombre dei palazzi videro il mio sorriso crescere nell’ombra delle luci rosse e
blu delle strade addobbate.
Finalmente non
confondevo più la tranquillità, con la felicità.
*****
Ciao a tutti :)
Spero che questo capitolo vi sia
piaciuto :) D'oggi in poi torno a lavorare, cioè a studiare e
be', d'ora in poi comincierò a fare il conto alla rovescia per
le prossime festività. Tipo il Natale. (Ehi, io mi impegno, sono
brava, ma le vacanze sono vacanze! Mi mancheranno presto, lo so )
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Con affetto, Ania
|
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Capitolo 41 *** 41 ***
Jake 41
Tenevo la mano di
Liz, emozionata. Aveva le gambe accavallate
e agitava costantemente il piede come se stesse scandendo il ritmo. Il mio sguardo cadeva, spesso, e saliva, altrettante volte.
Indossava la tunica blu dei diplomi e il cappello, come tutti. Era bella anche
vestita in quel modo, ed anche se ero altamente sicuro di non fare lo stesso
effetto, allo stesso modo sentivo il nervosismo invadermi sempre di più con il
passare dei secondi.
Non ci credevo.
Un anno.
Qualche altro mese
e gli anni sarebbero stati due.
E noi, invece,
insieme… quel ricordo era intatto nella mia mente dal ventitré dicembre
duemilasei, quando nel parco avevo seguito il lupo e il lupo mi aveva detto
che dovevo appartenere a qualcuno, che una ragazza mi aveva preso con sé e che con lei sarei stato sempre.
Il preside aveva fatto
il suo discorso, i genitori stavano per piangere.
Quanto ero
cambiato? solo qualche anno prima avrei riso in faccia a tutti gli altri che si
sarebbero diplomati.
Non era stato così bello e eccitante:
non è divertente studiare, fare esercizi, ripetere ad altavoce sempre le
stesse date di storia, imparare i fiumi della Croazia, capire i fondamenti dei
movimenti filosofici, e analizzare i poeti di ogni epoca, smembrando
e osservando con un espressione ebete ogni poesia. “Qui c’è un climax, un ‘anastrofe, un
iperbato, in questo modo il poeta vuole esprimere tutto il suo rammarico per…”
E se il ragazzo
avesse invertito le parole solo perché gli piaceva così? E se non avesse avuto
tutti questi scopi strani?
Sono un meccanico.
Non mi serve la poesia.
La
professoressa di
letteratura spiegava con tutti quei termini complicati, e alla fine,
non so
ancora come, dovevo trovare la volontà di ficcare nella mia
testa vuota tutte quelle inutilissime informazioni, chissà
perché.
Ah, adesso ricordo
perché.
Lizzy amava le
poesie e, se volevo passare l'anno, dovevo abituarmici.
Così, fra libri,
evidenziatori verde mela, matite, licantropi, vampiri affamati e poeti maledetti, ero arrivato al diploma.
L’applauso invase
presto le nostre orecchie, e noi ci ritrovammo a lasciare le nostre mani a ad
applaudire con il resto della folla.
Era il momento
della consegna.
In fondo alla sala
si scorgeva Franck Audley. Era uscito
prima dall’ufficio di Bellevue, nel quale si recava ogni giorno per i suoi
studi sulle piattaforme. Era riuscito ad avere un trasferimento vicino; dieci
chilometri non erano molto e l’aereo aveva tempi molto stretti. Per le sue
figlie avrebbe fatto tutto, e come avevo ben riconosciuto in quei mesi, avrebbe
fatto qualunque cosa per recuperare il tempo perduto.
Mia zia Josie era
seduta accanto a mio padre, accompagnato da Seth ed Embry, venuti con il
permesso di Sam.
Mia zia piangeva a dirotto.
Piangeva… troppo.
Se non eri un licantropo eri per forza strano: questo significava avere dei piccoli legami con Forks.
Ci disponemmo in fila indiana verso il palco; fortunatamente
io e Liz non eravamo molto lontani l’uno dall’altra.
Joseph Bath, davanti a me,
era il
tipico cervellone, un cervellone che le ragazze definivano
dal cuore tenero - in realtà il solito sfigato di turno -, tipologia di
persone che da
pochi anni a quella parte riusciva anche a fare colpo su qualcuno, ogni
tanto.
Era un tipo a posto, aveva lasciato che occupassi l suo posto in platea per rimanere accanto a Liz. Questo naturalmente era
solo servito a non toglierle mai gli occhi di dosso.
Seth ed
Embry avrebbero passato tutto il tempo a prendermi in giro, così come io avrei
fatto con loro. Gli anni passavano, ma certe cose non cambiavano mai.
« Marcie Alban » disse il presidente della
commissione d’esame.
Marcie, con i suoi
ricci capelli bruni, camminava in modo spedito verso il rotolo di carta
arrotolato, con un sorriso che le si allargava in tutto il viso.
A breve sarebbe
toccato anche a me.
Non riuscivo a
vedere Liz in viso ed ero curioso di vedere come si fosse trasformata la sua espressione.
Non passò molto
tempo prima che fosse pronunciato il suo nome.
Il messaggio da parte del signor Audley, sempre molto comprensivo anche
se nei limiti, soprattutto nel periodo di studio più intenso era
dei più cortesi : ‘Non fare attraversare la soglia di casa
a nessun ragazzo (
Jacob) quando io non ci sono’
Ed era stato
pienamente ricevuto. Solo per una piccola parte, certo. In fondo, quando lui
non c’era, e in certi e precisi orari, io entravo dalla finestra… Non sempre,
solo quando…
«Mio padre pensa che la nostra sia una storia seria »
«Già, perché non sa che le cose che facciamo quando non c'è è sono da veri irresponsabili, piccola»
Rimase
in piedi vicino all'armadio, squadrandomi. I pantaloncini che la
lasciavano un po' più scoperta di quel tanto che mi serviva per
non fissarla.
«Intendevo... che stiamo sempre a ridere»
«Ah»
« E non solo»
« Jake!»
« E va bene... non lo dirò in giro»
« Grazie »
«Bah, per così poco»
«Prendi il libro di chimica »
«Ma no... dài »
« Gli occhi da cucciolo non funzionano, bello »
Pensare ad altro era il modo migliore per non affrontare il nervosismo del momento.
Non mi ero iscritto
in nessuna Università, e a volte sentivo di dovermene pentire. Mi mostravo
sempre sicuro di quella scelta, anche sotto gli sguardi fulminanti di mia zia,
anche sotto l’apprensione di mio padre, anche sotto la soddisfazione dei
ragazzi più scapestrati che conoscessi, come Embry e Quil.
« Elizabeth Elle
Audley » continuò la professoressa.
Camminava
con le
braccia dritte sui fianchi, come se fosse una bambola di plastilina in
procinto di sciogliersi, il completo che indossava le nascondeva quasi
tutte le curve, un gran peccato, per me e non per gli altri, che non la
potevano neanche sfiorare. I capelli mossi ondeggiavano, mentre
camminava senza
grande fretta verso il suo diploma arrotolato da un nastrino rosso.
Quando si
girò verso il presidente per riceverlo, vidi il il suo sorriso
soddisfatto.
Avrebbe voluto dire tante di quelle cose con quel piccolo mutamento di
espressione: gli anni passati a casa senza nessuno, i libri e i
quaderni aperti
sul letto mentre studiava, le notti con la piccola Silvya abbracciata,
quando
la nonna per qualunque altro imprevisto non poteva essere con loro, la
mancanza
di una persona che non sarebbe più ritornata, l’assenza di
un’amica perduta
momentaneamente e scaraventata nelle fiamme di un inferno peggiore di
qualunque
altro luogo.
E lei continuava a
sorridere, mentre lasciava passare le dita sulla carta, cercando in modo
inconsapevole di somigliare a tutte le ragazze presenti in quel momento, quando
lei aveva tutte le caratteristiche per essere diversa e migliore.
« Jacob Black »
In un battito di
ciglia, non mi ero accorto che Joseph aveva già ricevuto il suo attestato
e che in quel momento il prossimo sarei stato io.
Mi incamminai verso
i professori, salendo gli scalini. Cercai di essere me stesso, magari limitando
il sorriso spavaldo che faceva ridere e molto più spesso innervosire.
« Complimenti
signor. Black » mi accennò il presidente.
Corsi verso Liz, mentre i professori continuavano a
consegnare i diplomi.
Non c’era bisogno
che chiedessi a Joseph che si spostasse, lo fece non appena mi vide
avvicinarmi.
Mi abbassai per
parlarle all’orecchio.
« Come ti senti? »
« Mi sento… libera »
rispose.
Ma quanto è bella?
Che odio questo cappello...
« E’ il primo
tragurado. Il primo traguardo vero. »
Lo devo buttare via. Subito.
« Sono contento che
tu sia felice » le dissi, perché quando lei era felice, allo stesso modo lo ero
anch'io. Mi infondeva il veleno del suo stato d’animo senza che me ne
accorgessi, ma invece di farmi male, aveva l’effetto di una medicina.
« Quando ero
piccola, mia madre mi diceva sempre che il giorno del diploma avrei potuto
mostrare a tutti quanto sarei diventata grande. Mi diceva che superare le
difficoltà è l’unico modo per crescere davvero. »
« Nei hai superate
tante. » continuai a dirle, mentre attorno a noi si formava una folla, per via
di tutti gli studenti che avevano ricevuto l’attestato.
« Io penso che tua
madre sarebbe davvero orgogliosa di te, Jake »
Nonostante mi fossi
piegato un po’ per raggiungere la sua altezza, guardavo diritto. Ma
quelle parole riuscirono a farmi voltare. Fu una piccola scossa che mi fece
sbattere gli occhi per vedere meglio le cose intorno a me, per vedere meglio Liz.
«
Guarda, Sono alla
lettera Y, hanno quasi finito… » disse, aggrappandosi al
mio braccio. Anche se mi sembrava impossibile, Liz aveva detto
quello che pensava davvero.
Insieme riuscimmo a
vedere Dina, che cercava con lo sguardo Mark con il diploma strintoin mano come se avesse vinto un torneo di
box.
Lucy e Walter ci
salutavano con la mano felici e euforici.
Non tutto quello
che vedevo nei film americani era una fantasia. Ad esempio, mi resi conto che
il lancio dei cappelli sarebbe dovuto avvenire per davvero.
Scendemmo giù dal
palco, i nostri posti ormai vuoti, e i genitori in piedi, ad aspettarci. Vidi
tutti i ragazzi intorno a me prendere il capello e lanciarlo al cielo con un
urlo di vittoria. Cercando di recuperare gli attimi perduti, toccai il mio
capello con le dita, e in un attimo, riuscii a sbarazzarmene.
Mi ero diplomato.
L’avevo fatto davvero.
Un sorriso di
quelli grandi e stritolanti mi si dipinse sul viso per chiunque decidesse di
guardarmi in faccia.
Dina corse verso di
noi, abbracciando Liz, che la accolse mugolando dolcemente. Walter giunse
dietro di me, e mi diede una pacca sulla spalla.
« Ma ti rendi
conto? Sono passato! Sono passato! »
« Lo so! Se l'hai passato tu, era impossibile che non lo passassi anch'io »
« E ho copiato! Nel
compito scritto di spagnolo ho copiato! »
« Lo so che hai
copiato, tu non sai neanche una parola di spagnolo! »
« ¿Qué
estás diciendo? »
« E’ l’unica cosa che sai
»
« Perché? »
« Perché è quello che ti ripete in continuazione la
signorina Amìlcar quando le parli! »
« Okey, va bene. Hai ragione, Jacob. E’ un grande dolore
per il mio corazzon, ma devo riconoscere la verità... »
Lo guardai con uno sguardo fulminante. Allora non ero
l’unico ad avere dei seri problemi mentali!
« Ehi, non fraintendere! Ho una ragazza! »
« Bene, perchè ce l’ho anch’io. E non sarebbe una buona
cosa »
Scoppiammo
a ridere entrambi, mentre ci raggiungevano
Mark e Lucy. Walter saltò in spalla a Mark, schiacciadogli la
testa mentre il
mio amico imprecava con parole che potevano essere censurate per la
presenza dei marmocchi che la maggiorparte avevano come fratelli.
Dina versava lacrime degne delle cascate del Niagara
sulla spalla di Liz, mentre lei la abbracciava.
« Dina! Avevi promesso di non piangere! » le disse Lucy,
correndole incontro e unendosi al loro abbraccio.
« Ho ritirato la promessa » disse lei, tirando su con il
naso.
« Lizzy, ti prego, non anche tu! Mi fai passare per una
stupida e fredda ragazza insensibile »
Dina e Lucy avrebbero frequentato il college fuori città, per questo erano così felici e allo stesso tempo tristi.
« Farò la stessa cosa con voi » disse Liz, ridendo.
« Jacob » Una voce
mi richiamò. Il padre di Lizzy, Frank Audley, era alle mie spalle. Indossava
ancora gli abiti dell’ufficio e il suo viso era attraversato da un sorriso
tranquillo. Accanto a lui, con un vestito rosa e le treccine, la piccola
Silvya. Aveva compiuto dieci anni da poco, cresceva in altezza senza
tralasciare nulla.
« Complimenti, davvero »
« Grazie » gli dissi, stringedogli la mano.
« Oh Elly, fatti abbracciare »
Suo padre aprì le braccia con un gesto di una naturalezza
incredibile, e Lizzy gli corse incontro, veloce. Il sorriso fissato sulle sue belle labbra, e gli occhi chiusi.
Il signor Audley le accarezzò il capo, i capelli morbidi
sotto il suo tocco, e lei pian piano apriva di nuovo gli occhi e lo accarezzava con il suo sguardo.
«Sono orgogliosissimo di te. »
« Grazie, papà » La voce flebile e felice.
« Ma guardati. Sei bella anche vestita così. Proprio...
proprio come tua madre » La voce di suo padre si ruppe un po’, creando dei
piccoli tratti più bassi rispetto al resto. Ma il sorriso non svanì mai.
Guardava sua figlia come se fosse il suo tesoro più grande. Quello per
cui i pirati di tutto il mondo attraversano i sette mari per conquistare, come nei film. E lui ce
l’aveva fra le mani, ed era suo. Una parte di Lizzy sarebbe sempre stata di suo padre, e
questo, anche se ero consapevole dei miei strani dilemmi, scatenava un incompresa
gelosia.
Stupido, figuriamoci, è suo padre!
« Vuoi dire che te lo ricordi? »
« Certo che me lo ricordo. Lei si era accorta solo da
poco che esistevo! »
Liz si mise a ridere. Il signor Audley a diciotto anni era un immagine troppo difficile da immaginare per me... troppo... strana.
« Jacob è stato più fortunato di me, in questo campo » E
per la prima volta, nel suo dialogo con Liz, alzò gli occhi verso qualcuno che non
fosse lei.
Silvya li guardava leggermente in disparte, fissandosi
le scarpe.
« Io l’avrei presa lilla » interferì Silvya.
« Cosa? » le chiese Liz.
« L’uniforme! Non mi piace di questo colore »
« Oh, Sil. Per te ogni coa dovrebbe essere rosa, lilla,
viola »
« E rossa. Mi piace anche il rosso come colore. »
« D’accordo, d’accordo » Liz le diede una piccola pacca
sulla spalla e si lasciò abbracciare. Silvya sembrava trovare tutta se stassa
nella sorella maggiore, sembrava amare ogni sua considerazione, ogni sua
parola. Amava stare con lei in qualunque modo, e la cosa bella era che si
era affezionata anche a noi due, insieme.
« Ci vediamo a casa » aggiunse, salutando con la mano
la sorella. Lei le sorrise compiaciuta,
rispondendo al saluto.
Poco dopo salutarono anche me, mentre io vedevo mia zia,
ancora con gli occhi rossi, cercare me. Mio padre era sulla sua sedia a
rotelle, accompagnato anche da Seth ed Embry.
Mi si buttarono addosso dandomi dei pugni sulle spalle e
lanciando esclamazioni entusiaste sulla loro incredulità per il fatto che mi
fossi diplomato.
« Hai barato, ammettilo. »
« No » La voce interrotta dal riso.
« Stai mentendo. Lo so che stai mentendo » Seth riusciva
a sembrare una gente della CIA anche vestito con i jeans e una camicia quasi tutta sbottonata. A
proposito, tutte le ragazze lo stavano fissando, lo stavano squadrando, lo
stavano esaminando con i loro occhi dai raggi supersonici. Ma lui sembrò non
farci caso, mentre io lo guardavo divertito e lui mi parlava con voce profonda.
Le ragazze di Seattle avevano fatto una cosa del genere anche con me, tanto da
farmi avvertire la sensazione che mi avessero visto senza vestiti. Ma io non
ero più il ragazzo nuovo, ed essendo già impegnato avevano lasciato perdere.
«
Be’, allora? Confessa! » Embry continuava a
punzecchiarmi, mentre io non la smettevo di ridere. Lui l'anno non
l'aveva passato, si era ritirato un mese prima che la scuola finisse
per lavorare nel negozio di pesca di suo zio
« Ragazzi, fate spazio! » Mia zia si avvicinò a me, con
in mano un fazzolettino bagnato, e gli occhi arrossati.
« Mi hai anche fatto commuovere » Mi ero abbassato
leggermente per permettere a mia zia di abbracciarmi. Ero più di un metro e
novanta, era normale che mi dovessi adattare.
« Zia, tu ti commuovi sopra ogni cosa. »
« Non è vero, Jake. Non è vero »
«
"Oh no, perché hanno deciso di fare morire Jack, come
farà Rose senza di lui?" » sdrammatizzai, imitandola.
Mia zia si commuoveva anche leggendo di che materiale è
fatta la cartaigenica.
« Non posso credere che tu ti sia diplomato. »
« Oh, non sei l’unica »
Mia zia si staccò da me, lasciandomi assumere la mia
solita postura, mentre a noi si avvicinava anche Liz.
« Buonasera signora Davis, Signor Black »
« Billy, Liz. Soltanto Billy. »
Mi avvicinai a mio padre e lo abbracciai, forte.
Profumava di menta, come il suo dopobarba. Quello che mi spalmavo quando ero
bambino per essere come lui. Segreti di famiglia che rimanevano segreti. Solo da poco me ne occupavo davvero.
« Il mio ragazzo... guarda dove sei arrivato »
« Chi l’avrebbe mai detto, eh? » la mia voce era diversa,
invasa dall’emozione di vedere mio padre da cui la forza di ricominciare era riuscita ad allontanarmi.
« Io l’avrei detto, Jake. Io l’avrei detto. »
Sciogliemmo il nostro abbraccio, mentre io mi dirigevo
dietro di lui per spingere la sedia a rotelle.
« Vedo che resisti, Lizzy. Non è che ti ha pagato per
rimanere insieme a lui? »
Lizzy rise, guardandomi mentre cercava di trovare una
risposta, farfugliando. I suoi occhi incontrarono i miei, felici.
« Non sono una ragazza che si fa comprare... » disse Liz, alzando gli occhi al cielo.
« Dipende dalle cose con cui ti ricompensa... » aggiunse
Seth.
« Seth! » gli dissi io.
«Ehi, ehi, ehi, non pensare a male! »
« Sei il più piccolo e anche il più precoce. Peggiori sempre,
ogni volta che ti vedo. »
Mia zia si era incamminata verso la macchina, mentre io
accompagnavo mio padre con la sedia a rotelle, e gli altri mi venivano accanto.
Mio padre rideva sotto i baffi, ma io mi ero subito reso conto della sua
risata. L’avrei riconosciuta fra mille, quel fumo della mia infanzia che lasciava
traccie nel futuro.
« Alle ragazze piacciono i ragazzi acculturati. »
« Dipende da che tipo di cultura parli, dipende da che
tipo di ragazze parli. Dipende da tantissime cose »
« Io dipendo da me stesso! »
« C’entra qualcosa? » gli accennò Embry, dandogli una gomitata.
« No, ma mi piaceva come suonava. Sembrava epico »
«Sembrava stupido » gli disse lui, mantenendo il suo
stesso tono di voce.
Liz
rideva spensierata, ascoltando le sciocchezze
dei miei amici. Mi piaceva vederla così serana, vederla ridere,
come se fosse la cosa più importante. Anche dopo tanto tempo.
Aiutai mio padre a sedersi in macchina e poi mi voltai
verso Liz, che era dalla parte del codfano. Mi diressi verso di lei.
« Ci vediamo stasera, alla festa di Connie? »
« Sì, certo »
«Ti vengo a prendere? »
« Non ce n’è bisogno. Ricordati di portare Embry e Seth »
«Sei
sicura? Ci staranno sempre intorno quei lupetti dalla chiacchera
facile, e poi vengono da soli, qui due » Lei rise.
« Mi fanno ridere. Sono simpatici. »
« Lo so, ma ricorda. Se per caso noterai un lato positivo
in loro, è per la mia influenza. »
« Non ho dubbi » disse alzando le mani. Io
gliele presi e le intrecciai alle mie, prima di darle un bacio spedito sulle sue
labbra. Bello, dolce, e di durata troppo breve.
Mi appoggiai al finestrino, guardando fuori. Era un
pomeriggio
soleggiato, placato da fresche e leggere folate di vento frescho. Con
un cenno le risposi di sì e la macchina cominciò a
muoversi.
Sentii un leggero calore vicino all’orecchio, mentre
continuavo a guardare.
« Ci hai messo la lingua? » chiese una voce, riferendosi
al mio bacio con Lizzy.
«Eh? » esclamai.
« Jake, che ti prende? » disse mia zia.
« Questo, stupido... scemo... » Seth si dimenava sotto la
mia presa, ridendo e cercando di mantenere un contegno.
« Smettila di torturare quel povero ragazzo, è appena
arrivato! »
Staccai le mie mani dalla sua testa di capelli neri, e
tornai alla stessa posizione del momento prima che lui cominciasse a
disturbarmi con la sua curiosità. Perversa.
Se la lingua la metto, sono fatti miei.
« E comunque, se
hai fatto così, vuol dire che ce l’hai messa
» aggiunse a bassa voce, in modo
che nessuno potesse sentirlo a parte me, proprio come aveva fatto prima, con la
sua domanda.
Ero impaziente di tornare a casa e cambiarmi. Come sempre
i ragazzi sarebbero rimasti a Seattle solo per qualche giorno. Volevo parlare
con loro, essere messo a corrente di ogni novità, il matrimonio di Sam e tutto il resto.
Era
triste essere lontani e non poterci vedere spesso,
ma la cosa più bella era quando, dopo tanto tempo, potevamo
stare insieme come
una volta. Era uno di quei momenti in cui potevo rendermi conto davvero
di quanto eravamo amici. E l'amicizia era una delle cose che mi avevano
aiutato a ricominciare.
*
*
*
*
Ciao a tutti!
Spero che
questo capitolo vi sia piaciuto, che possiate sentirvi bene così
come io ho cercato di dare a Jake tutto quello che gli è stato
tolto senza un motivo preciso.
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Con affetto, Ania
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Capitolo 42 *** 42 ***
jake 32
Quei due giorni mio padre sarebbe rimasto in casa di zia
Josie. I ragazzi invece avevano preferito stare per conto loro in una pensione.
Non per starmi lontano, ma perché così non avrebbero dovuto rinunciare alle
loro abitudini come quella di andare in giro per casa quasi semi nudi, tanto
per dirne una. Io ci avevo rinunciato da tempo ormai.
Ci saremmo visti a casa di Connie. Cornelia Stuart era
una di quelle ragazze che organizzano sempre feste, invitando tutti senza
distinzioni.
Quella sera indossava un vestito che sembrava una
maglietta lunga e dei tacchi color rosso vernice come i suoi capelli, sullo
sfondo di un ampio spazio che una volta doveva essere un salotto, con i divani
messi tutti intorno. La intravidi da lontano, mentre rideva così tanto da
chiudere gli occhi.
«Ciao, Jacob»
Lucy era appena scesa dal piano di sopra con in mano un
bicchiere di punch. La musica rimbombava nelle nostre orecchie come tamburi,
scandendo il ritmo insieme al rumore dei bicchieri rotti.
«Ciao, Lucy. »
« Solo? »
«No, stavo cercando Lizzy »
« Sì, è fuori sulla balconata con uno dei tuoi amici »
«Oh, grazie. Ci vediamo. Stai bene vestita così »
ammiccai.
Sotto la luce blu le scappò un sorriso scettico.
« Non fare il cascamorto. Vado a cercare Walt. Divertiti
»
Mi voltai, ragazzi e ragazzi dell’ultimo anno danzavano
in modo scatenato sotte le luci colorate della grande sfera da discoteca appesa
al soffitto. I genitori di Connie non erano in casa e non essendo un party
controllato dagli adulti, gli alcolici circolavano senza nessun divieto. In
giro c’erano ragazzi con bicchieri di Vodka tanto simile all’acqua, e molti di loro si
dimenavano con la faccia assente.
Nonostante tutti gli ostacoli, riuscii ad arrivare ai
vetri della veranda di casa.
Era grande anche più di dieci metri, e proprio davanti a
me erano sistemate delle sedie di legno, su cui erano seduti Lizzy e Seth.
Parlavano a bassa voce.
Da quella posizione potevo notare il vestito scollato
sulla schiena di Lizzy, su cui si posavano i capelli castani chiari.
I sensi dell’essere mutaforma mi accompagnavano sempre, e
nei momenti più opportuni si facevano più presenti. Le mie orecchie eliminarono
il sottofondo musicale e quando aprii il vetro non vi fu alcun rumore. Le risate
delle ragazze rimasero sul fondo, come se provenissero da lontano, lasciando
spazio alla voce chiara e lieve di Liz, e a quella più profonda, benchè
parlasse a bassa voce, di Seth.
«Non dovrei parlarne, in realtà »
«Scusami, era solo una cosa che mi è venuta in mente al
momento. Non pensavo che ci potesse essere qualcosa di male »
«Di male c’è tutto »
«Mi dispiace... Non credevo che fosse un argomento tanto
delicato da non poterne parlare, così. »
«Il passato di Jacob, lo è »
« Ma non è qualcosa di grave, vero? Perchè quando siamo
venuti da voi a la Push, lui non me ne ha parlato. »
«Oh, no... Non è stata colpa sua... »
« Si è trasferito a Seattle per questo... motivo? Non
riesco a capire... »
«Non c’è molto da capire. Lui.. be’... è per via di una ragazza.
Lei... lei e lui... »
«Ciao Seth » dissi. La voce rotta da un sentimento di
rabbia e fastidio. Le stava raccontando tutto. Stava per farlo.
«Jake... »
«Ehi, Jacob » disse Lizzy.
«Ti stavamo aspettando, credevo che non venissi più »
aggiunse Seth, lisciandosi la camicia.
«E invece sono venuto, come vedi. O magari era meglio che
aspettassi che tu finissi di parlare»
«Jacob, scusa. Io non volevo »
«Ehi... non è successo niente, davvero. Stavamo solo
chiaccherando di Forks, dei ragazzi, in generale, e poi ho chiesto come la
questione di tuo padre fosse stata risolta, perché... quando sei venuto a
Seattle mi hai detto che era per
dei problemi in famiglia per cui non potevi restare a casa tua e Seth mi ha
detto che non era così... »
Liz si passava le mani fra i capelli, con aria di
aspettativa.
Io ero ancora in silenzio, con i pugni tirati sui
fianchi. Lei... stava per sapere tutto, tutto quello che avevo cercato di
dimenticare, tutto quello che era riuscita ad uccidermi da dentro, scavando un
vuoto che era stato colmato, ma che i ricordi riportavano sempre in superficie.
Il nero dei miei occhi risaltava con la camicia bianca e aderente, ancor più
scuri dei jeans color carbone che portavo quella sera. Credevo che omettere
quell’argomento fosse stata la cosa più buona e sicura che potessi fare. E
invece avevo sbagliato tutto. Tutto. Prima o poi avrebbe dovuto pensare al
perché del mio trasferimento, alla ragione. Il motivo della mia tristezza, agli
inizi, non era mai stato spiegato fino a quando, a poco a poco, il dolore non
era stato represso.
Ma Seth non aveva niente a che vedere con la curiosità
della mia ragazza. Era una cosa che riguardava noi due, me e Liz. Lui era solo
il ragazzo più onesto che avessi mai conosciuto: il ragazzo che non sapeva
mentire, e che si era trovato troppo presto in un mondo troppo grande di lui.
«Io... io » balbettò Seth.
« Va’ a cercare Embry. E’ qui, no? » Lui annuì,
frenetico.
«Controlla che non faccia il cretino. Io devo parlare con
Liz »
Seth uscì velocemente, quasi barcollando, con un’
espressione di senso di colpa in viso. Un senso di colpa che stava invandendo
me per primo: la diga si era spezzata, e adesso l’acqua mi strava travolgendo,
pian piano.
Ormai eravamo soli. Liz si era seduta di nuovo. La
veranda era buia, illuminata solo dalla luce che giungeva dai lampioni del
piano di sotto e dalle poche stelle in cielo. Mi sedetti accanto a lei,
sospirando. Liz mi guardava, incerta. La mia reazione non lasciava nessun
dubbio. Aveva capito che era qualcosa che non avrei mai voluto che lei sapesse.
Avevo sbagliato, avevo sbagliato tutto.
Lei alzò il viso e mi guardò con quei suoi occhi
leggermente dorati che avevano il continuo potere di mandarmi in encandescenza.
«Jake... »
«Hai ragione a pensare a quello che non ti ho detto, hai
ragione. Quando hai scoperto quello
che sono veramente, credevo che fosse un argomento che non avrei ripreso più »
Lei annuì, mettendosi le mani in grembo al suo vestito azzurro.
«Che cosa hai chiesto a Seth? »
Liz si morse il labbro e guardò il cielo. Le stelle di
riflessero nei suoi occhi, mentre lei mi rispondeva.
«Tu sei diverso dagli altri ragazzi, Jake. Ti ho conosciuto
nel momento in cui credevo che al mondo nessuno sarebbe stato disposto a capirmi,
e invece tu l’hai fatto senza che te lo chiedessi. Proviamo le stesse cose, le
stesse sensazioni. Sono con te e non mi importa dei miei pensieri, dei
problemi, di quello che sei. Sono con te e non conta nient’altro.
Ci ho pensato e ho creduto che prima di venire qui fosse
successo qualcosa, qualcosa che non mi hai mai raccontato, che ti ha portato ad
essere la persona che sei adesso. »
«Parlerei di te allo stesso modo »
Lei trovò la forza di sorride e di guardarmi. Gli occhi
brillanti al buio.
«Ho raccontato a Seth quello che mi hai detto quando ti
sei trasferito, cioè che avevi dei problemi a casa con tuo padre, quando me l’hai
raccontato ho pensato alla sua salute. Lui mi ha detto che non ci avevo visto
bene e mi è venuto spontaneo chiedergli il motivo...»
«Davvero vuoi saperlo? » La guardavo, intensamente,
cercando di scacciare via tutto quello che di impulsivo e fuori luogo poteva
venirmi in testa.
« Ma no, Jake. Importa quello che sei adesso, non il
passato. »
« Il mio
passato fa male. Mi fa male ancora oggi, Liz, ed è qualcosa da cui ho sempre
voluto allontanarti. Era qualcosa di cui avevo... quasi paura, quando ti ho
portata a Forks perché sapevo che sarebbe sempre stato dietro l’angolo ad
aspettarmi. Ed io non volevo che tu sapessi »
« Non ti chiederò mai di raccontarmi quello che vuoi
tenere per te. Se vuoi dirmelo io sono qui, non credevo che ne sarebbe venuta
fuori una cosa di cui non si può parlare. Le cose importante sono altre »
Se
vuole sapere, io le dirò tutto.
E non mi importava del dolore che mi sarebbe stato
ripresentato, non mi importava della ferita che avrebbe ricominciato a
bruciare.. Se bastava a renderla sicura di me, l’avrei fatto.
«Non fa niente, Jake »
Mi toccò il mento con le dita, ed andò a incontrare i
miei occhi neri, trasparenti e scuri. Vedeva in quel colore tutto quello che
potevo nascondere, perché le avrei raccontato qualunque cosa perchè si sentisse
rassicurata, proprio in quel momento, quando invece era lei che stava
rassicurando me.
Avvicinai la mia bocca alla sua, sentendo il suo sapore
in bocca come con un profumo. Ricordai il mio volere di essere delicato, ma lo
dimenticai all’istante. Le avvolsi il capo con le mani, fortemente, e lei si
attutiva a me con la stessa forza.
Le guardai le mani, mentre restavamo appoggiati uno sulla
fronte dell’altra. Nessuno pensava a noi, qualunque cosa stesse succedendo in
casa non importava. Ci avvicinammo alla ringhiera che si affacciava sulla
strada; volava un vento leggero, che le faceva svolazzare il vestito lungo fino
alle ginocchia.
Liz appoggiò la sua mano sul mio braccio, mentre io mi
lasciavo sfuggire un sorriso mesto. Non le importava che non le dicessi
qualcosa del mio passato, la cosa importante era il nostro presente. Nonostante
questo, non potei fare a meno di ripensare a certi momenti, aprire porte che
avevo chiuso tanto tempo prima, con l’intenzione di non aprire mai più.
Sospirai.
Ricordo
ancora gli schizzi di fango sul suo volto, bianco come la luna, che le
disegnava piccole macchie come quelle che hanno i dalmata del cartone Disney
“La caricha dei centouno”. E lei rideva, oh, sì, che rideva. Ed io ridevo con
lei, fra i suoni della pioggia e del cuore di noi bambini, ancora inconsapevoli
dei nostri sentimenti.
Quando
la rividi era diventata più alta. I capelli castani che le scendevano sulla
camicietta a quadri. Il sorriso timido e imbarazzato, a disagio, di chi si trova
di fronte a un estraneo.
«Ciao,
io sono Jacob. Facevamo le torte di fango insieme, da piccoli»
Che
gran trovata. Torte di fango, da piccoli. E non: "Ho una moto, magari potremmo
fare un giro." La moto non ce l’avevo ma l’avrei presa in prestito da Embry,
facile. Ma ormai era andata.
«Oh,
sì, certo. Mi ricordo » La bocca si alzò in un sorriso. Le labbra rosse sulla
carnagione lattea. Sì, che era carina.
Mi ritrovai a guardare Liz, le labbra carnose, un ciuffo
di capelli sul viso. «Ti capita di fermarti a ricordare certe cose... che
magari ti fanno un po’ male? »
«Sì, Jake. Mi capita spesso »
«La
figlia di Charlie e Edward Cullen. Non pensavo che sarebbe mai successo... »
Il
piatto mi scivolò dalle mani, ma io non lo feci cadere. Eppure poco tempo prima
sembrava interessata ad altro, sembrava interessata... a me.
E
poi tutto cambiò, Edward Cullen si trasferì in un’altra città e chissà come, mi
ritrovai a desiderare di stare con lei ogni volta che potevo.
*«Dovresti
uscire con ragazzi più forti di stomaco. E non con delle femminuccie » Il
corridoio del cinema era deserto, mentre lei faceva scivolare la sua mano via
dalla mia.
«Ti
piaccio, vero? »
«Si, lo sai anche tu. »
«Più di quel pagliaccio che sta vomitando l'anima là dietro? »
«Sì. »
«Più di tutti i ragazzi che conosci? »
«Dai Liz, andiamo,
senti freddo » La abbracciai a me.
«Anche più di tutte le ragazze. »
«Ma non c'è altro. »
«Si »
«Va bene così, sai. Mi basta sapere che ti piaccio più di tutti. E che pensi
che io sia, come dire, bello. Sono pronto a perseguitarti per sempre. » Già… mi
sarebbe bastato. Era poco, ma non importava. Se era quello che mi avrebbe dato,
mi sarebbe bastato.
Bella tornava nella mia mente e fra le braccia c’era Liz,
la cosa più bella che mi era mai capitata.
I ricordi tornavano, e qualcosa di grande, forte,
doloroso, coesisteva con con l’amore che provavo per Lizzy nello stesso
istante.
«Jake » sussurrò Liz, al mio orecchio.
«
Bella! Bella! »
Le
mani imbrattate di sangue, il suo corpo esanime sul letto bianco. I fremiti,
troppo deboli, che pulsavano come i suoi ultimi battiti. E il suo cuore era
anche il mio cuore. Moriva lei, morivo anch’io.
«Ti
prego, non te ne andare. Il tuo cuore, non farlo smettere di battere... »
Dalla
sua bocca emerse un gorgoglio, la pancia squartata e gli occhi velati. I suoi
occhi color cioccolato costernati da lacrime sottili. Faceva male anche
piangere.
Il succhiasangue affondò il suo veleno nel cuore, mentre io, immobile, non riuscivo
ancora a rendermi conto che la sua vita che mi stava scivolando via dalle mani.
Non
te ne andare, Bells.
Bells,
Bells, Bells.
Portami
con te...
Fammi
morire con te...
Io la guardai, percorrendo il profilo del suo collo. «Me
ne sono andato per via di una ragazza. » Venne via un altro respiro. La mia
voce era rotta.
«
Si... si chiamava
Bella. Adesso lei... è diventata un vampiro. E’ passato e
mi ha fatto... molto male. E’ qualcosa di doloroso... non
voglio che tu ne faccia parte.»
«Lo so, Jake. Lo so »
Mi abbassai per baciarla, e lei rispose al mio bacio
chiudendo gli occhi. Il sapore amaro che mi lasciavano sempre quei ricordi fu
sostituito da qualcosa di dolce e delicato. Il sapore di Liz.
In quel momento mi ricordai del fatto che non sarei mai
potuto essere come gli altri ragazzi: quelli che tralasciano i compleanni e i
giorni importanti, quelli che dimenticano gli appuntamenti. Avevo già perso una
volta e non potevo far altro di riconoscere quanto ero stato fortunato. Mi rendevo conto del fatto che l’amore non può
essere solo dolore, ma per quello che vale, avrei sofferto mille altre volte
per arrivare nell’istante che mi ritrovavo a vivere in quel momento.
***
Non avrei passato tutta la serata a pensare agli ultimi
giorni di vita a Forks prima di trasferirmi a Seattle, con il presente che mi
correva davanti agli occhi. Era una bella serata, una festa per il diploma.
Alcolici sotto ogni forma si scaraventavano da un ragazzo all’altro.
Non
era ancora passata la mezzanotte, e noi due avevamo passato gran parte del
tempo a consumarci le labbra.
Non
era di certo come il ballo della scuola: un ambiente disordinato e privo di
controllo. I divani riempiti da ragazzi che si lasciavano andare un po’troppo e
la pista su cui si scatenavano ragazze ben poco vestite.
Intravidi
Embry, con una birra in mano e Seth che parlava con una ragazza, la sorella
minore di Connie, con i capelli biondissimi e con un taglio dritto sopra le
spalle.
«Vuoi
restare? » chiesi a Liz. Eravamo riusciti fare solo un ballo in pace, un unico
lento inserito per sbaglio nel cd per la festa. Era stato un momento in cui mi
ero perso nel suo bel viso. La malinconia precedente era quasi completamente
andata. Tutto quello che riguardava Bella aveva il potere di riportarmi
indietro, le parole e i momenti di Liz avevano un stesso effetto paranormale; come se
tutto fosse finito in quello stesso istante.
Seth
mi vide, e subito dimenticò la conversazione con la sorella minore di Connie.
«Ehi,
Jake. Tutto a posto? » mi chiese. Pensava ancora a quello che era successo
prima. La sua espressione variava da quella desolata e dispiaciuta a quella
impotente che si assume quando non si sa che comportamento assumere.
«Sì,
Seth. Va tutto bene » Accennai un sorriso. Seth era un vero amico. Non sapevo
se avrebbe raccontato o no di Bella a Liz, ma sapevo di poter contare su di lui
sempre. Rimaneva sempre un idiota, non mi ero ancora ricreduto, ma questo non
toglieva il fatto che fosse un grande amico.
Io
e Liz ci tenevamo la mano, e guardandoci, Seth sembrò sentirsi sollevato. La
sorella di Connie si avvicinò di nuovo a lui.
«Seth,
che fai? »
«Ho
finito, Julie »
«Io
e Liz ce ne andiamo, ci sentiamo domani »
Dopo esserci salutati,
io e Lizzy entrammo velocemente nella macchina che mi aveva prestato zio Carl.
Avevo una stanchezza che mi rendeva le spalle pesanti, mi stiracchiai mentre
Liz si metteva seduta e lasciava andare un sospiro.
«Prendo lo stereo, così
ascoltiamo un po’ di musica… » mormorò, sopingendosi in avanti per recuperarlo.
Le sfiorai la guancia
con il mio profilo e lei rabbrividì, poi le schioccai un bacio sulla guancia. Dimenticò
lo stereo. Percorsi la sua pelle scoperta oltre le spalline del vestito..
«Ehm… » disse, sorridendo
mentre tratteneva dei piccoli brividi. La mia bocca sul mio collo.
«Hai detto qualcosa? »
Le mie mani erano scese sulle sue gambe, mentre lei si metteva a posto la
bredellina.
« Jake… » Trovò la
forza di respingere il mio tocco che saliva dalle gambe, sotto il vestito. Perché
le chiavi del garage di Kyle con quel divano verde nel piccolo box dove metteva
gli attrezzi nuovi doveva pur essere aperto, qualche volta.
«Lascia la luce spenta.
»
Sorrisi nella penombra,
togliendomi la giacca. Mi sbarazzai del suo vestito come prima cosa, trovando
solo la sua pelle calda a contatto con la mia. Sentii la sua mano che scendeva
sul ventre, e sue labbra sul mio petto.
In realtà, c’era luce ovunque.
***
«Liz? »
«Sì? »
«Ma tu come mi ci
vedresti a fare l’Università? »
Sbuffò.
Si allontanò lanciandomi un cuscino sullo spazio stretto
a cui ci eravamo adattati, mentre io cercavo ancora di avvicinarla a me.
Non mi rispose, ma sul
suo volto si andò a formare un bellissimo sorriso.
«Preferisco il
meccanico tutto sporco di grasso » E quando cercai di afferrala, mentre ancora ridevo... lei non si ritrasse.
*
*
*
*
Salve!!!!
In questo
capitolo penso che si capisca bene che quello che è successo a
Jake con Bella è qualcosa di troppo forte per essere
dimenticato, troppo grande anche solo per ricordarlo intensamente senza
provare dolore. L'amore per Liz però è qualcosa di vero e
speciale, ugualmente forte, e lo riporta al presente, dove tutto va
bene. Sono una sostenitrice della Jacob/Bella *-* ormai si è
capito, anche se in questa storia ho voluto rendere felice Jake in un
altro modo.
Ho pubblicato domenica scorsa la mia prima drabble <3, si chiama Fables Lies se volete potete passare a leggerla, mi farebbe molto piacere :) oOo LaViSvampita oOo Ti adoro, sorellina virtuale, questo è risaputo :)
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Con affetto, Aniasolary
|
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Capitolo 43 *** 43 ***
jake 43
Quando accompagnai mio
padre, Embry e Seth alla loro auto, avevamo già parlato di tutto quello che
poteva passarci per la testa. Embry aveva deciso di escludere l’argomento
“ragazze”. Seth mi aveva chiesto ancora com’era andata la serata fra me e Liz
grazie alla sua innata intuizione perversa. Avevo chiesto se avessero delle
notizie di Leah, ma avevo ricevuto solo risposte negative. Era sempre difficile
parlare di lei, soprattutto per Seth, che all’improvviso si era fatto serio.
«Non ti commuovere,
Jake. Tanto ci vedremo per il matrimonio di Sam »
«Siete voi i deboli di
stomaco, non sarò io quello a deprimersi, ci potete contare »
«Be’, sì, se lasci le
feste e te ne vai… dove sei andato l’ultima volta? Non ce l’hai voluto dire.
Comunque, credo che il procedimento sia sempre lo stesso, non c’è bisogno che
ti facciamo un disegno. Perché io per il disegno sono negato. Oppure potremo
chiedere a Lizzy, visto che sa disegnare. Sono sicuro che ne verrebbe fuori
un’opera d’arte! » Gli schiacciai la testa contro il finestrino. Cretinaggine
allo stato puro, ecco cos’era Seth. Embry si limitava a ridere a crepapelle, e
non era più intelligente di lui. Ero sicuro che non sarebbero mai cambiati.
Erano le dieci passate
di un’ accecante mattinata di giugno e nell’aria sentivo il profumo del succo
d’arancia che zia Josie versava sempre per la colazione.
«Buon giorno » dissi,
fra uno sbadiglio e l’altro.
Mia zia stava
impiattando le mie uova fritte con un po’ di pancetta.
«Ciao, Jacob » mi
disse. L’estate si faceva sentire e si rifletteva nei suoi occhi scuri, più
sereni.
«C’è una lettera per
te… l’ho trovata nella cassetta della posta stamattina. »
Mi dimenticai subito
del sonno, del letto, e degli sbadigli, e andai subito a cercare quella lettera
di cui zia Josie stava parlando.
«Zia, non riesco a trovarla.
» dissi, mentre affondavo le mani fra i pezzi di carta.
«Forse perché te l’ho
messa da parte? » disse lei, sventolandomela sotto il naso.
Mia zia sorrise,
porgendomela. Assomigliava tanto a mia madre quando faceva così.
C’era il mio indirizzo,
e sul retro quello del mittente; la prima cosa a colpirmi fu il nome della
città: Forks.
Forks?
Mi ritrovai in mano un
biglietto color panna con qualche decorazione sui bordi. Lo guardai
attentamente e non riuscii per niente nell’intento di non lasciare andare
nessun sospiro. Curioso, cominciai a leggere:
Emily Youg e Sam
Uley
Invitano Jacob
Black e Lizzy Audley al loro matrimonio, nella chiesa St. Chirstopher
Il giorno 5
Luglio 2010 alle ore 10.30
Sarà gradita la
vostra presenza
Caspita. Era il secondo
invito ad un matrimonio che ricevevo, e sicuramente quello mi aveva fatto un
effetto completamente diverso rispetto alla prima volta. La cosa più bella era
che anche se l’invito era stato spedito a me, era indirizzato a Jacob Black e
Lizzy Audley. Non avevo mai visto i nostri nomi scritti insieme, ed in quel
momento per la prima volta, mi resi conto di quanto potessero stare bene.
Non potei fra a meno di
pensare a Leah e a come avrebbe reagito. Il solo fatto di sapere che si
sarebbero sposati l’aveva fatta andare via, facendole lasciare tutto e tutti
per un tempo che sembrava quanto più simile a sempre. Non aveva mai dimenticato
Sam, e quell’annuncio doveva essere stata una stretta al cuore, dopo tutte le
tante pugnalate delle frasi d’amore che Sam nei suoi pensieri riservava ormai
soltanto ad Emily.
Nella busta c’era anche
un altro biglietto, questa volta scritto a mano, di una grafia un po’
illeggibile.
Ciao
Jake.
L’invito
l’ha scelto Emily e ti arrivato com’è arrivato a tutti. Be’, ci verrai, vero?
Un ragazzo diplomato nel branco fa sempre notizia, complimenti, Jake.
Ci
vediamo presto.
Sam
«Da parte di chi è? »
mi chiese mia zia, portando a tavola il piatto della mia colazione.
«Un amico. E’ l’invito
al suo matrimonio. »
Mia zia sbarrò gli
occhi. Spiegazione. Quegli occhi mi dicevano: “Cosa dici a tua discolpa? Una
spiegazione, esigo una spiegazione”.
«Sono fidanzati da quasi
cinque anni, il mio amico ha venticinque anni e un lavoro. »
Mia zia sembrò essersi
tranquillizzata, ma sapevo bene che avrebbe voluto sentire qualche altra frase.
«E non hanno combinato
nessun guaio. Sono dei ragazzi responsabili »
Su mia zia comparve un
sorriso compiaciuto. Io mi sedetti e cominciai a mangiare.
«Certo. Mi sembra
ovvio, no? »
Sì, certo. Per com’era
lei, ovvero appassionata di telenovele argentine, spagnole, brasiliane, e anche
portoricane, avrebbe immaginato l’intera serie di una soap opera. Ma preferii
darle ragione, annuendo.
Lasciai andare via il
riso che mi stava scatenando con quell’espressione seria bevendo il succo d’arancia.
***
«Ehi » le dissi.
Lei, sulla porta, i
capelli alzati e le fossette alle guancie, mi sorrise. Da sotto quella specie di
camicie bianco che indossava potevo notare una maglietta arancione e dei jeans
scuri. Nella mano destra stringeva un pennello piatto, le cui setole erano
imbevute di diversi colori di tempere. Anche quella specie di grande camicione
era macchiato di colore.
«Ciao Jake » E aprì
completamente la porta, per farmi entrare.
«Questo non è l’orario
in cui tuo padre mette il cartello: ‘Non fare attraversare la soglia di casa a nessun ragazzo ( Jacob)
quando io non ci sono’? »
Liz si mise ridere,
tornando in salotto, dove c’era una tela su un cavalletto.
«Mia nonna è di
sopra con Silvya, scende fra poco. Tecnicamente non siamo soli » mi ribatté.
Prese di nuovo la
tavolozza e cominciò ad intingere il pennello nel bianco, per creare delle
nuvole sullo sfondo del paesaggio che stava disegnando.
Mi avvicinai per
guardare il dipinto. Era davvero bello, anche se in modo diverso rispetto ai
suoi altri disegni fatti a carboncino.
«Li, sei sporca
qui… » le dissi, rompendo la sua concentrazione.
«Oh, dove? » Lei
aveva abbassato la tavolozza sua fianco dall’esterno.
«Qui » dissi
toccandola sulla guancia. Le tracciai un segno con il verde che penzolava dal
tubetto aperto, sul tavolo.
«Jake! »
«Carina con il verde
» dissi, ridendo, mentre lei tentava invano di scacciarmi via.
«Sei sempre il solito
» affermò, cercando una fazzoletto.
Presi il tubetto
azzurro dal tavolino posato accanto alla tela. Lei indietreggiò, mettendosi le
mani avanti, come se le stessi puntando una pistola.
«N-No, no no, dai,
Jake, Stai interrompendo il mio momento artistico… » e andò a sbattere contro
il tavolo al centro della sala.
«Pensavi di scappare,
eh? »
Posai il colore sul
tavolo, alle sue spalle, mentre eravamo così vicini da poterci tranquillamente
toccare.
Le diedi un bacio
sulla guancia pulita, mentre lei mi guardava con divertente disapprovazione.
«Mi dispiace di
avere interrotto la tua ispirazione, sono venuto per dirti una cosa » le dissi,
spostandole una ciocca del ciuffo dagli occhi. Contro il calore de mio tocco e pdel mio bacio precendente, quel gesto la fece
automaticamente arrossire, ed io non mi accorgevo mai in tempo di avere sempre
quell’effetto su di lei.
Lei annuì,
sorridendo.
«Ho ricevuto l’invito
da parte di Sam ed Emily per il loro matrimonio »
« Oh…Dovrai tornare a La Push! » mi disse, rubandomi dalle mani il
biglietto, che avevo appena preso dalla tasca dei miei jeans.
«E sei invitata anche
tu. » aggiunsi. Lei si era appena seduta sul divano.
«Manca meno di una
settimana » aggiunse, pensierosa.
«Sì. Se vuoi
possiamo rimanere lì a Forks per un po’ di tempo dopo il matrimonio, sempre se
ne hai voglia. » azzardai. L’ultima volta le cose non erano andate come mi ero
aspettato, e lei era stata la prima a pagarne le conseguenze. Nonostante ciò,
lei e Lapush, insieme, sarebbero state la mia vera idea di di “casa”.
«Sarebbe bellissimo
» rispose lei. Cerca di non gonfiarmi per la contentezza. I suoi occhi indugiavano
sull’invito e me, con uno sguardo profondo, bello.
«Devo solo trovare
il modo per dirlo a mio padresai com’è »
«Sì, so benissimo
com’è » dissi, comprensivo.
«Allora vado, se mi
becca potremmo dire addio a tutti i nostri progetti» aggiunsi, sorridendole.
Stavo per aprire la
porta quando Liz si avvicinò a me.
«Era divertente
sporcarci così » constatai.
«Non oso immaginare
se in casa non ci fosse stato nessuno »
«Ah, sì? »
«Ma non si poteva
fare molto. Mia nonna è al piano di sopra… »
«E questo è
l’orario del: ‘non fare entrare ragazzi (Jacob) mentre io non ci sono’ >> affermai.
«Sì, anche per
quello »
«Allora ci vediamo
stasera? » dissi.
«Sì, stasera. »
«Alle sette e mezza? »
«Sette e mezza. »
«Ti vengo a
prendere con la ford » dissi, uscendo.
«Oh, la macchina
scomoda »
«Se ci impegniamo
non lo sarà » le dissi, malizioso.
«Io torno a
dipingere »
«Ciao piccola »
Avevo ancora il
biglietto in tasca e durante il tragitto decisi di guardarlo un’altra volta. La
grafia era elegante ma non troppo. Sicuramente doveva averla scelta
Emily personalmente, chiedendo sempre il parere di Sam, come faceva sempre.
Quel matrimonio
sarebbe stato bello. Purtroppo però non potevo esserne eccessivamente sicuro.
Sapevo che nel mondo, da qualche parte, vicina, lontana o sconosciuta, una
ragazza piangeva di dolore per la loro felicità. Una ragazza non riusciva a
ricavare nessuna gioia dai loro sorrisi, e continuava a torturarsi il cuore,
perché la felicità a cui quei ragazzi erano stati destinati, avrebbe dovuto
essere la sua
Leah… così simile a
me, eppure così diversa. Orgogliosa e forte, debole e triste.
Soltanto una volta
un matrimonio aveva portato con sé tanto desiderio, e insieme tanta sofferenza.
Per un compromesso
Lizzy sapeva poco
di quello che era successo fra Sam, Leah e Emily.Poi, quando i ragazzi erano
venuti a scoprire che Leah era fuggita, le avevo detto la verità, e lei ne era rimasta
molto preoccupata. Leah le era stata molto vicina a Forks, come se fosse stata
contenta di avere un’amica.
Tutti volevamo che
tornasse, ma almeno io, speravo che ovunque fosse avesse cercato un modo per
dimenticare, oppure, poiché dimenticare è impossibile, ricordare senza più
sentire dolore, cosa che era difficile anche per me.
***
«Per quanto tempo? »
«Non so, un po’.
Sarebbe una specie di piccola vacanza. »
«A Forks? »
« Sì… a Forks »
«C’ qualcosa che ti
piace lì? »
«In realtà è una
città come tante altre, ma è speciale. Lì è cresciuto Jacob, e ci sono tutti i suoi
amici, la sua famiglia… »
«Sei sicura di
volerci andare? Pensavo di fare una vacanza sulla costa messicana »
«E’ importante,
davvero. Ti promettto che la prossima volta verrò con te »
«Dài, su, non fare
quella faccia. Puoi starci quanto vuoi, l’importante è tu lo voglia e che tu
sia felice »
«Dici sul serio?»
«Certo! Lo sai che
sono geloso »
«Sei geloso di
Jacob » Liz rise, mentre io ascoltavo tutto utilizzando il mio udito affino, dal marciapiede.
« Soltanto un po’.
Insomma tu sei sempre la mia principessa »
«Sì… »
Lizzy preparò le
valige senza il mio aiuto, quella volta. Sapeva bene cosa portare con sé, anche
se era in Estate. A Forks le piogge erano molto più frequenti dei giorni di
sole. L’aria fresca della pioggia sembrava rilassarla, e così le sarebbe
sembrato di andare in vacanza in autunno, nei periodi di scuola.
Il signor Audley mi
fece molte domande su quello che avremmo fatto, sul matrimonio, e su dove
avremmo alloggiato.
Io gli spiegai che
Lizzy avrebbe auto una stanza in casa mia, dove prima dormivano le mie sorelle,
Rachel e Rebecca.
Quando gli dissi
che in casa ci sarebbe sempre stato mio padre, sembrò tranquillizzarsi. Si
erano incontrati per il diploma e sembravano andare molto d’accordo.
In quel momento il
signor Audley chiamò Liz a sé, mentre lei era seduta accanto a Silvya a
guardare un telefilm in tv, nel salotto.
Era incredibile
quanto Silvya fosse cresciuta. Aveva dieci anni passati ed era diventata più
snella ed alta. Ma come sempre, non riuscivo a staccare gli occhi dal Liz.
«Lizzy, vieni. Devo
farti vedere una cosa. Sono sicuro che ti servirà per il viaggio. »
Liz si avvicinò,
mentre suo padre ci guidava all’esterno.
« Jacob, Liz mi ha
detto che sei esperto in materia. »
Lo seguii, non
intendendo bene che cosa volesse dire.
Ci portò in garage,
dove accanto alla sua BMW, c’era un’altra vettura coperta da un telone.
« Che ne dici? » disse
il signor Audley, dopo aver tolto via l’involucro.
Lizzy era a bocca
aperta, soprattutto perché non si sarebbe mai aspettata un regalo simile. E
forse a bocca aperta lo ero anch’io, visto che avevo ben capito a cosa si
riferiva il signor Audley.
La Pegeut nera era lì davanti a noi, lucida come tutte
le macchine appena comprate e con un buon profumo di nuovo.
«E’ una pegeut… »
dissi, trattenendo la sopresa.
«107 » mi
interruppe Lizzy.
«tergicristallo a
due velocità »
« e comandi
integrati » aggiunse lei.
«Non riesco a
capire chi ne sappia di più, fra voi sue, di auto. »
Liz sorrise, ma fu
un sorriso diverso. Da quando sua madre era morta aveva imparato quante più
informazioni possibili sulle auto, quelle sicure e quelle che lo erano meno,
conosceva le percentuali di tutti gli incidenti annuali e le cause. Per questo
quando la prima volta che ero andato a Seattle e lei mi aveva rivolto la
parola, era rimasta sorpresa dalla macchina che portavo. Era anche un motivo
per cui eravamo diventati amici, una volta, prima di diventare qualcos’altro.
Con lei potevo parlare di qualunque cosa. E proprio per questo, e non per il
nostro incontro, ma per il motivo a causa del quale lei conosceva tutte le
informazioni sulle auto, il sorriso che le ombrò il viso fu triste, sempre se
triste può essere un sorriso, e sempre un sorriso, quando è triste può ugualmente
essere considerato bello. Anche mia madre era morta per un incidente d’auto, e
pensarlo ancora in quel momento mi faceva male, così tanto che cercavo di
evitare quel ricordo ogni volta che potevo.
«La potete usare
per andare a Forks, o per qualunque altra cosa. Eli, la macchina è tua »
«Grazie, papà. E’
un regalo stupendo » gli disse, avvicinandosi a lui e dandogli un bacio.
«E Silvya? »
«E’ rimasta dentro »
«Vado a chiamarla »
« Non credo che le
interessi molto… sta guardando le nuove puntate di Gossip girl »
«Non lo definerei
un telefilm per le bambine della sua età » disse il signor Audley uscendo dal
garage, sempre con il sorriso sulle labbra.
Una volta
allontanato, Lizzy si avvicinò a me e mi abbracciò.
«Io ho una macchina
e tu no » mi disse lei, sfottendomi.
«La speranza è
l’ultima a morire, no? »
«Già. E poi ho un
meccanico a mia disposizione per qualunque cosa. »
«Fortunata, eh? »
le dissi, prima di voltarmi e lanciarle un bacio dolce. Era meglio stringere i
tempi con suo padre nei paraggi.
«Quando uscimmo dal
garage, mano nella mano, il sole accecante della città ci colpiva gli occhi e
illuminava i volti. Il sorriso di lei era come il sole, sembrava così eterno
che pensavo che non si sarebbe mai spento, al contrario invece della luce
solare, di cui gli scienziati parlano ancora con qualche incertezza.
Sapere che non solo
il regalo era la causa del suo sorriso mi colorava il cuore di gioia, una gioia
che riscoprivo sempre ogni volta come se fosse sempre la prima volta che
provavo simili sensazioni. Il cielo era terso, caldo, neanche una nuvola
intralciava il mio sguardo. Io speravo che più nessuna tempesta intralciasse il
nostro cielo.
Nel frattempo
vivevamo i nostri momenti così, come ci venivano presentati, senza chiedere
altro. Ed era con lei che mi sentivo a casa, anche a Seattle, in cui nessuno
poteva conoscere i miei piccoli segreti.
*
*
*
*
*
*
Ma salve a tutti!!
Vi ringrazio ancora per il
vostro sostegno,i nuovi lettori, chi mi ha sopportato in
chat in questo periodo, quelli che ci sono da tanto, coloro che hanno
inserito la storia nelle seguite, preferite e ricordate. Chi mi ha
inserito fra gli autori preferiti.
Non immaginate quanto siete
importanti. Tantissimo.
Se mi lasciate due paroline, mi rendete tanto felice.
Con affetto, Ania
|
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Capitolo 44 *** 44 ***
jake 44
Il
matrimonio si sarebbe svolto la mattina seguente ed io e Liz
decidemmo di partire poco prima di sera. Avevo già avvisato mio
padre, e lui era davvero felice che io
e Lizzy avremmo passato di nuovo del tempo insieme a La Push.
La strada fu
semplice e senza nessun tipo di intralci. Diversa dal mio ultimo
ritorno, quando i ricordi mi avevano scosso e riportato indietro con troppa violenza.
Riuscii a stare
più tranquillo rispetto alla prima volta. Avevo convinto Liz che sarebbe stato meglio se avessi guidato io durante il
tragitto. Lei non si era lasciata pregare. E l’auto non era scomoda, anzi, era
abbastanza larga e confortevole. Mi veniva sempre in mente la sera del ballo,
quando pensavo alla confortabilità delle auto.
La ford nera del
1997 avrebbe dovuto essere abolita.
Eppure…
eppure
guardare quegli alberi che lasciavo indietro durante il
percorso,
mi dava sempre la sensazione di appartenere a quel posto. Amore e odio non erano mai stati così
vicini, perché
anche se il tempo passava, la clessidra versava il sale nella parte
infieriore
e il mondo continuava a girare, ricordare era
come togliere il cerotto da una ferita ancora in fase di guarigione.
Sentire quel nome vorticare nella mia mente, che mi riportava ai giorni
piovosi di un tempo, era "da taglio delle vene" e non così lontano
come avevo
creduto.
Le
persone che
perdono la memoria in un incidente sono sempre quelle con tanti bei
ricordi fra le mani, dolci, di felicità, e
all’improvviso, un forte colpo alla testa, e dimenticano tutto.
Non perde mai la memoria chi ha
ricordi sofferti. Sono sempre quelli che rimangono più impressi.
Pensavo ai giorni in cui poco prima della battaglia contro i neonati
scalciavo i sassi lungo la
spiaggia con quella voce in testa che mi diceva: 'Non l'avrai mai'.
’Lei ti vuole, ma non quanto basta. Tu per lei sei tutto, ma non
abbastanza’.
’La speranza muore
sempre per ultima, ma morirai sempre tu prima di lei’
Messaggi nati con
il passare dei minuti nella casa di legno in cui passavo la mia vita prima di
trasferirmi a Seattle. Quando trovavo la forza per vivere in quell’amore così
vero, palpabile, ma allo stesso tempo impossibile.
Ero ancora un lupo
quando lo sentii. Speravo di arrivare in tempo per far sì che mi vedesse prima
che succedesse, ma non fu possibile. La colpa era sempre la mia, mia perché non riuscivo mai a
prendere le decisioni nel tempo migliore, mia perché se a volte avevo
l’illuminazione di fare qualcosa di giusto, lo facevo sempre troppo tardi.
«Isabella Marie Swan, vuoi predere il signor
Edward Anthony Masen Cullen, come tuo sposo?»
«Sì »
Sì, sì, sì…
E il mondo fatto di sorrisi, amore, e voglia di vivere, era stato risucchiato
in un buco nero dello spazio, insieme a tutti gli scarti e i rifiuti della
terra.
Sì…
Sì a morire.
Sì a non vedere mai
più chi vuoi bene.
Sì ad un’eternità,
quella che solo lui ti può dare.
Ma credi davvero che
l’eternità sia all’altezza della felicità?
Lei aveva sempre trovato la
risposta da sola.
«Siamo vicini?»
la voce chiara, calda, familare di Liz, mi riportò alla
realtà, da cui uscivo sempre senza rendermene conto quando i
ricordi
di quel bosco mi travolgevano in piena.
« Sì. Manca pochissimo »
Lei annuì e si lasciò cadere sul sedile lentamente, canticchiando la canzone alla radio.
Era bello sapere
che era con me. Era bello esserne certi. I ricordi mi
invadevano per poco, ma se lei non
ci fosse stata avrei sempre vissuto dentro di essi.
La cosa che mi aveva abbattuto
mi aveva risollevato: i sentimenti. Era meglio che lei ricordasse sempre quanto fosse
bella e quanto l’amassi. Perché era tutto vero. Ed
io ero stato soltanto una persona fortunata che nell’estrazione di un po’ di
fortuna era stata sorteggiata.
Parcheggiammo
nell’ampio campo che portava alla mia abitazione, il più vicino possibile alla
casa.
Uscii fuori
dall’auto nello stesso momento in cui ne venne fuori anche Lizzy.
Le misi un braccio
intorno alle spalle con quel sorriso che mi nasceva sempre spontaneamente
quando le ero vicino.
Bussai e presto
venne ad aprirci mio padre. Sembrava che fosse lì ad aspettarci da chissà
quanto tempo.
Billy sorrise senza fermarsi
più e sembrò che fuori di lì, quel cielo buio dall’aria piovosa avrebbe presto
mostrato un colore azzurro chiaro, colorato dalla luce di un sole d'estate.
***
«Jake, svegliati!»
La guancia ancora poggiata sul cuscino e la bocca semiaperta. Ma un po' di pace no, eh?
« Ahsjkfdhosf»
Mi rigirai nel
letto, con fare stanco.
«Eh?»
Sentii Lizzy
ridere. Una luce fioca per via del cielo
nuvoloso la illuminò quando aprii gli occhi.
«Oggi si sposa Sam. Non vuoi mancare, vero?»
«Mi sveglierò solo con un bacio.»
« Sicuro di voler rimanere per sempre qui?»
«Jake? Sei sveglio? » Una voce mi distrasse da tutti i miei intenti. Lizzy riuscì a
fuggire via, mentre io rispondevo.
«Sì, papà, mi ha svegliato Liz…» dicevo, mentre lei mi lanciava il
cuscino e io aprivo gli occhi con fatica.
****
«Dammi qui, ti aiuto» dissi a Lizzy, che stava versando un
po’ di detersivo sui piatti della nostra colazione.
«Sicuro di esserne capace?» mi chiese lei, scherzando. Ci prendeva troppo gusto.
«Non mi sottovalutare, piccola. Posso fare
cose che voi umani non potete neanche immaginare»
«Sento puzza di minestra appena riscaldata.
Walter e Mark ti hanno dato una brutta influenza con le loro serate a tema di fantascienza »
Lizzy strofinava la
spugnetta nella sua tazza, indossando dei guanti gialli che nessuno da tanto
tempo indossava più. Naturalmente mi aveva dato soltanto la
possibilità di sciacquarli. Poco dopo si tolse i
guanti e li appoggiò al lavandino, io mi asciugai in fretta le mani con
lo strofinaccio.
«Mi devi un bacio, non me lo sono ancora dimenticato»
Le
spostai via una ciocca che dava con lo zigomo, e con il pollice le
accarezzai la guancia. Mi baciò aggrappandosi a me, le mani leggermente umide. Ma siamo sicuri che è davvero oggi il matrimonio di Sam?
Già,
non c'era tempo per le smancierie. Ormai ero diventato un dipendente
del contatto fisico cronico - ma tutto dipendeva dalla mia testa -, e
non dovevo prenderci la mano... Presto saremmo
andati ad un matrimonio.
***
Raggiungemmo
la chiesa con il furgoncino di mio padre, dal rumore familiare.La chiesa,
dove mia madre mi aveva sempre trascinato per orecchie il più
delle volte, era una costruzione semplice, dalle mura bianche e il
tetto in legno. Era circondata da un piccolo giardino di erba secca e
pini prorompenti contro il cielo nuvoloso. Intravidi Seth, vicino a un
albero, e la sua espressione era una delle più cupe che il suo
volto avesse mai avuto. Sembrava arrabbiato... frustrato. E ciò
poteva essere spiegato da un solo pensiero: la mancanza di Leah. « Voi andate, io vi raggiungo subito »dissi,
subito dopo aver aiutato mio padre a sistemarsi sulla sedia a
rotelle. Liz, il vestito blu che sottolineava la linea del suo corpo
dalla capacità di farmi andare in fibrillazione nei momenti meno
opportuni, annuì, capendo perfettamente le mie ragioni;
così
cominciò a spingere la carrozzella verso la rampa delle scale.
Mi avvicinai a Seth, la camicia bianca leggermente sbottonata, gli
occhi lucidi e le guance surriscaldate.
« Seth... » dissi, facendo qualche passo verso di lui, seduto su un tronco, i capelli lisci attaccati alla fronte.
« Io nemmeno ci volevo venire, a questo matrimonio » farfugliò, strappando un po' di fili d'erba dal terreno. Gli occhi erano gonfi.
« Lo so. Seth. »
«Mi
ci ha costretto mia madre. "Sam è il capo del branco" "Sam non
c'entra con quello che è successo a Leah" "Sam merita
rispetto...". Mi fa vomitare, invece. E' tutta colpa sua. E poi alla fine piange in camera sua senza farsi vedere... »
Come
potevo biasimarlo? Era normale che lui non volesse accettare la
felicità di Sam mentre sua sorella era andata via, chissà
dove, per causa sua.
« Seth, hai ragione, sei arrabbiatissimo e non hai nessun torto. Tutti noi vorremmo sapere di Leah, tutti. »
«
Io sono suo fratello. Io l'ho sentita piangere sotto le coperte del
letto a castello quando Sam l'ha lasciata, io l'ho sentita disperarsi
quando è diventata una muta-forma e insultare chissà
quante persone e uomini da lontano quando non le è più
venuto il ciclo. Sono io, io lo so. Io che ho sempre cercato di farla
sorridere senza ottenere niente. E adesso dovrei stare qui a
festeggiare con lui... che è il motivo principale per cui mia
sorella ha mollato tutti. Non ci penso proprio, Jake. Mi fa schifo »
Sospirai.
Certo
che aveva ragione. Nessuno come lui poteva aver capito quanto Leah
stesse soffrendo. E adesso lei non c'era, non c'era e Sam si
sposava. Anche Bella si era sposata quando io ero via.
« E' da schifo, Seth. Ma Leah è una ragazza responsabile, sono sicuro che... »
«E
se sta male? Se le è successo qualcosa? Se ha incontrato
qualche vampiro sulla sua strada... e... c'è stato un scontro...
Mio padre non l'avrebbe permesso! Io non ci entro in quella
chiesa!» Seth affondò le unghie nella terra, senza contegno, guardando in basso e alzando la voce.
«
Ora calmati, davvero. Seth, so cosa significa stare male, lo so
benissimo... calmati, adesso. Andrà bene, nessuno ti costringe a
venire dentro, non ti costringe nessuno, sta' calmo.»
Lui si fermò e annuì, mentre un lacrima gli scendeva dagli occhi. « No, io non ci riesco. Non ce la faccio. Cavolo, Jake. Che femminuccia... » si autocommiserò. « Dài, vieni. Nel furgoncino ci sono dei fazzoletti »Lui
si alzò e mi seguì verso la macchina, calpestando
l'erbaccia. Era incredibile che Seth stesse così male. Eppure
no, non lo era, perché anche se in modo diverso, anche io sapevo
che cosa significava perdere una persona. Aprii il
furgone con le chiavi; dai sedili posteriori Seth cominciò a
guardare fra tutte le nostre vecchie franciusaglie. Aveva bisogno di
stare solo, quella era solo una scusa. Mi misi fuori, appoggiato
all'auto.
Rimasi
immobile,
quando la vidi. Ma non riuscii a trattenere il moto di sopresa che mi
ritrovai ad avere in corpo. Era impossibile. Poco prima Seth, insomma,
non poteva essere vero...
I
capelli neri erano più lunghi e le accarezzavano le spalle nude, mentre lei
avanzava, agitando la mano in un saluto, con un sorriso a dir troppo naturale su un viso che io avevo sempre guardato in un'espressione imbronciata.
Sembrava che il
tempo si fosse fermato.
Leah era tornata.
E non era sola. Con lei c'era qualcuno.
C'era un... ragazzo.
*
*
*
*
Ciao a tutti!
Allora, se vi va di conoscere chi è il ragazzo che accompagna Leah, cliccate sul banner qui sotto:
se l'avete già fatto... vi ho già detto che vi adoro? *-*
Inoltre, ho pubblicato un nuovo missing moment, credo che possa
interessarvi, riguarda Bella e lo trovate qui. Grazie mille a chi ha recensito :)
Spero che vi sia piaciuto :)
Se volete lasciarmi due paroline, siete sempre i benvenuti :)
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Con affetto, Ania
|
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Capitolo 45 *** 45 ***
jake 45
«Dio santo »
Leah mi guardava
con un’espressione stupefatta, quasi colpevole, mentre teneva la mano a quel
ragazzo alto e con gli occhi verde chiaro come le bottiglie di birra che si era scolato
tante volte Paul.
«Be', potevi sempre dire una parolaccia, è una buona cosa »
Ancora
shoccato
per quello che stavo guardando – non riuscivo a bene capire se
quel mio
atteggiamento fosse spiegato dal ritorno di Leah o dal ritorno di Leah
con un
ragazzo – cercavo di dire qualcosa che potesse apparire
intelligente. Leah. Lì. Senza il broncio. Sicuro che non fosse
uno scherzo di luci?
I capelli più lunghi e un espressione di aspettativa, sembrava proprio la vecchia Leah, quella che
noi faticavamo addirittura a ricordare.
«Be’? »
«Ma... che... che fine avevi fatto, Leah?! Ritorni con quella faccia e dici"be'"?! Cavolo, non puoi essere un fantasma, vero?»
La
abbracciai
goffamente, perché era la cosa più strana che avessi mai
fatto o addirittura
quella più sensata, mentre Leah cercava di divincolarsi
perché, come sempre,
ero assolutamente più forte di lei. Insomma, eravamo stati tutti
preoccupatissimi. Sue aveva passato notti insonni, Seth era stato
male... e Sam... Sam.
Lui...
«Ehi, modesto maschio alfa, non soffocarmi »
Giusto.
«Secondo le sue
intenzioni, io posso essere il solo a farle mancare il fiato. Piacere, io sono Brian »
accennò il ragazzo, sorridendo come in uno spot sui dentifrici, porgendomi la mano.
Improvvisamente mi
ricordai che avevo la sua ragazza – Ma stavano insieme? – appiccicata addosso,
e non era una buona cosa. La lasciai andare per stringergli la mano.
«Jacob » dissi. Cavolo, non riuscivo a crederci. Leah era veramente lì!
Brian poteva avere
poco più di venticinque anni, era alto quasi quanto me e aveva un viso che
ispirava fiducia. Ma me ne accorsi soprattutto quando accettai la sua presa. La
sua mano era calda, calda quanto la mia.
«Ma… tu sei…? »
«Vi spiegheremo
meglio dopo » accennò lei, poggiando il capo sulla spalla del ragazzo con un grande sorriso in
faccia.
Leah che sorride… che abbraccia un ragazzo!
«C-che succede,
J-jake? »
Leah mi guardò
afflitta. Doveva aver riconosciuto, nel pianto del ragazzo che si trovava nel
furgoncino, l’inconfondibile voce di Seth. Si portò una mano sulla bocca,
lentamente.
Feci per
avvicinarmi allo sportello per parlare a Seth, ma Leah mi bloccò.
«Che c’è? » dissi a bassa voce. Seth doveva aver sentito le nostre voci senza distinguerle bene.
«Gli ho fatto
troppo male, vero? » domandò.
Sospirai,
ricordando l’espressione di suo fratello il giorno in cui mi avevano detto che
Leah era scappata, ricordando come mi ero sentito io.
«Dopo tua madre,
credo di sì. Sei mancata a tutti, Leah » confessai.
Lei abbassò il capo.
«No, Jake. Non sono mancata a tutti »
Mi
appoggiai all’auto, pensieroso. La storia con Sam era stato
quello che di più tragico potesse venire fuori da una relazione
con tutti i presupposti normali. Brian metteva un braccio intorno alla vita di Leah
come se fosse la cosa più naturale possibile.
Lui
le spostò una
ciocca di capelli dietro l’orecchio, toccandole la guancia. Non
era nessuna finta, o un modo per nascondere qualcosa... Sembrava qualcosa di vero.
«Ok, sto bene. Non
sono una femminuccia, sono tosto, sì. Io. Sono. Tosto. Emily non c’entra, lo
so. Ma non li guarderò mentre… » Subito dopo essere venuto fuori dalla vettura
quasi barcollando come un bambino che si è appena fatto male al ginocchio, Seth
si fermò come se avesse visto il primo raggio di sole dopo anni di oscurità.
«Ciao, Seth »
Leah
sembrava
l’ombra di una diciassettenne passata nel corpo di una
ventiduenne, ma era
sempre lei. Anche quando Seth le si buttò addosso senza pensare
di poterle fare male, ridendo e piangendo e imprecando nello stesso
momento. Seth
arruffava i capelli della sorella, mentre lei cercava di scappare da
quelle braccia diventate così pesanti, proprio come quelle di
tutti i ragazzi del branco. Lui fu costretto a farle risprendere fiato
solo dopo essersi preso una manata contro il naso. Be', era sempre Leah
Clearwater.
Si abbracciarono
forte, mentre io e Brian ci fissavamo le scarpe, aspettando, senza trattenere un sorriso.
Non c’è molto da dire, no?
«Deduco che il tuo
aspetto elegante sia riservato ad un occasione speciale » mormorò Brian, mentre
Seth non aveva occhi, braccia e parole che per sua sorella.
«Già, un matrimonio
» Ricordai il momento in cui avevo indossato quella camicia bianca e quei
pantaloni buoni più volte riciclati.
«E’ il momento
sbagliato? » chiese, guardando la chiesa.
«Non è mai il
momento sbagliato per tornare a casa »
***
La pioggia era
leggera e sicuramente avrebbe smesso presto di piovere.
Così entrai in
chiesa, tralasciando completamente il mio impulso di sviare lo sguardo verso una
sola cosa, una sola persona. Liz era seduta su un banco a sinistra, accanto a
mio padre che prendeva più spazio con la sedia a rotelle.
«Tutto bene con Seth? » mi chiese. I capelli legati che le lasciavano scoperto il collo e il petto.
«Sì,
tutto bene. Dopo ti spiego » le sussurrai. Qualcosa dal mio
sguardo le
fece intuire che le cose non erano andate così male come lo erano
sembrate all’inizio. Le strinsi la mano, percependo la sua pelle
liscia e calda sotto la mia. Sarebbe andato tutto bene.
***
La cerimonia mi diede
un strana sensazione. Di pace e inquietudine nello stesso momento, di felicità
e pericolo negli stessi sguardi. Nel momento del "Sì", Sam ed Emily fecero di
tutto perché quella parola risultasse forte, chiara e sicura, nonostante il
tremore della voce.
Leah non li aveva
ancora notati, quando Sam, appena uscito dalla chiesa, incrociò la sua figura nella macchina grigia che
Brian aveva parcheggiato lì di fronte. Fu come se avesse visto il fantasma di
una Leah passata, una Leah che non sarebbe tornata mai più dai suoi
momenti di felicità.
Lei uscì dall’auto
insieme a Brian e una ragazzina, incerta, si diresse verso di noi. Sam, nel suo abito
da cerimonia, impallidì. Forse l’unico fantasma che non aveva ancora visto era quello di sè stesso.
«Ciao, Sam »
Si trovarono l’uno
di fronte all’altro per un tempo breve, ma che per tutti e due sembrò essere
troppo lungo. Perché il dolore non passa mai. La felicità è nomade, la
sofferenza è fissa, si trova soltanto un modo per alleviarla. Emily, nel suo
semplice vestito bianco, era rimasta indietro.
«Lee-lee » Leah
trasalì.
Leah
continuò a
guardarlo, portandosi i capelli indietro, gli occhi spenti. No, non era
un
miraggio. Era sempre la stessa persona, quella che non era riuscita a
farsi
risparmiare dalla sofferenza che Sam le aveva procurato, anche se senza
volerlo. Lui si avvicinò. Sam, il capo branco, il ragazzo
più grande, il più
responsabile, quello che si era appena sposato… fece un passo
verso Leah, che forse era stato il più grande amore della sua
vita. Quando lui la
attirò a sé e la strinse al suo petto, fu questione di un secondo perché lui
aprisse di nuovo gli occhi e
la facesse andare indietro. Senza parole.
Non si può più tornare indietro.
E
lui doveva essere forte, forte abbastanza da far scivolare addosso
quelle frasi fatte e quegli sguardi dissacratori, quello sguardo, gli
occhi di Leah, che gli rivelavano tutto quello che lui voleva che non
fosse mai esistito e che allo stesso tempo lo teneva legato a qualcosa
di lontanissimo. E soprattutto, doveva essere abbastanza duro da essere
felice per lei.
«Lui è Brian, il
mio ragazzo. E lei è Noela, sua sorella. » Leah prese la mano di Brian, come
per trovare protezione. Lui aveva una sguardo che poteva essere truce, ma che fu
placato da qualcosa che non conoscevo.
«Dove sei andata in
tutto questo tempo, Leah? »
«Ti importa? »
«Mi sono
preoccupato »
«Non abbastanza »
Era come se Brian e
Noela, la sorella più piccola di Brian, non esistessero. Poi si ricordò che
aveva una reputazione e che doveva stringere loro la mano. Al contatto con
Brian, percepii che almeno uno di loro stava tenendo qualcosa per sé. Qualcosa
di forte.
Sam si era sposato e non poteva più tornare indietro. Lo avrebbe voluto?
Quando Emily si
avvicinò, ebbe quasi la stessa reazione di Sam, ma trattenne la vergogna di
abbracciare sua cugina all’istante davanti a tutti il giorno del suo matrimonio
con l’amore che le aveva rubato. Leah rimase impassibile, sbiascicò un
“congratulazioni” mentre Emily tratteneva le lacrime che invano le scendevano
sul volto, faceva tante domande e non reprimeva la sorpresa e la contentezza
per vederla accanto a quel ragazzo che ancora non conoscevamo, ma che ci
sembrava giusto. Giusto per lei. E poi anche Sue, che per poco sarebbe svenuta,
e Lizzy, per la quale Leah sorrise di nuovo.
Quando
mi voltai
verso la chiesa, vidi Seth camminare verso di noi. Mi diede una pacca
sulla
spalla, le lacrime ormai erano asciutte nella terra secca. E quando
alzò lo
sguardo verso un punto indefinito di quello spazio, accadde. Davanti a
me. Quello che mi aveva fatto paura e che mi era anche sembrata
l'ultima speranza.
E non importava che lei avesse soltanto quindici
anni, non importava il fatto che a Seth piacessero di più le ragazze con i
capelli biondi che le more. Non importava più niente. Avrebbe dimenticato
tutto.
«Seth, lei è Noela,
la sorella di Brian »
Balbettò qualcosa,
dandole la mano. Leah lo guardò torva.
«Scusate un attimo
» disse Leah, tirando Seth per un braccio. Lo portò in disparte ed io sfruttai
il mio udito sviluppato per ascoltare tutto.
«Che ti prende,
Seth?»
«Leah, Leah… è
successo. »
«Successo cosa? E’
davvero carina, lo so… ma Seth… L’hai praticamente fissata… come se… se… »
«Non potrei mai
approfittare di lei »
Leah si mise in
posa con le braccia conserte, con un aria d’aspettativa.
«Credo... credo che sia imprin... »
Crack.
Leah sbarrò gli
occhi, sorpresa, atterrita.
«Stai scherzando? »
«No… » disse Seth,
che sembrò farsi piccolo piccolo, nonostante la sua imponente corporatura. Leah
posò la sua mano sul viso del fratello, non c’era mai stata tanta compassione
in quello sguardo.
«N-non è una cosa
brutta » disse lui, convincendo più sè stesso che lei. Era nervoso, sconvolto, la sua voce tremava.
«No… ma forse…
Avrei voluto qualcosa di più semplice per te, Seth » Sentii il rumore del suo respiro.
« Almeno è successo
adesso, senza portare dolore a nessuno » disse lui, riflettendoci. Seth non
aveva nemmeno diciassette anni. Quando era successo a Sam invece, tutto
era diverso.
«Già »
Li lasciai soli con
i loro pensieri e mi avvicinai alla rampa di scale dove si era appoggiata Liz insieme a Kim, la ragazza di Jared.
Poi notai un'
ombra nelle pozzanghere del terreno e mi fermai.
«Ciao,
Jacob » Era
difficile credere di sentire di nuovo quella voce, quando
l’ultima volta l’avevo
sfidato nel dire che che fosse contento che sua figlia fosse innamorata
di
Cullen invece che di me. Quando le mie ossa erano state sbriciolate. La
sorpresa mi attraversò di scatto, come se mi stesse spezzando a
metà.
Era Charlie.
Il padre di Bella.
***
Abbracciare lui era come stare con un vecchio amico, in fondo lui era stato
complice per alcune faccende sentimentali anche se poi non erano andate bene.
«Tutto bene? Ho
saputo che ti sei diplomato con buoni voti »
«Be', sì, e anche continuato a fare il meccanico »
Charlie sorrise.
Era vestito con un abito verde scuro appena tornato dal suo turno in centrale.
«Bella ne sarebbe contenta
»
E fui sicuro del
fatto che il sorriso fosse scomparso dai visi di entrambi.
«Sai quello che è
successo, vero? » Deglutii.
«La malattia… »
farfugliai, indeciso. Avevo paura di dire qualche affermazione avventata. E poi
riguardava Bella. Era già tanto se qualche volta avevo pronunciato il suo nome
ad alta voce.
«Sì. »rispose. «E’ peggiorata. Le manca poco » disse a stento.
Non potei fare a
meno di sentire una fitta al cuore allo stomaco. Mi sentii tremare le gambe,
come se all’improvviso fossero diventate prive di ossa e stessero per cedere e
cadere nel vuoto. Sentii una goccia di sudore freddo attraversarmi
con prepotenza la fronte.
«Mi dispiace tanto,
Charlie » Pensava che sua figlia stesse male... pensava che stesse morendo...
La voce mi tremava
come trema la terra in procinto di essere colpita da un terremoto.
«Non c’è più
nessuna speranza. Era così piccola quando si è sposata. Se avesse aspettato… se
avesse cercato di capire che non era giusto… »
Una
lacrima sembrò
incorniciare gli occhi scuri del capo Swan, che era bravo soprattutto
per il
suo contegno e per la sua capacità di reprimere le emozioni. Perché? perché non potevo dirgli
tutto? Bella era diventata un vampiro... lui era suo padre, avrebbe
sempre continuato a volerle bene. Proprio come avevo fatto io.
«Comunque, Jake. So
che ti sei fidanzato »
Nonostante i
baffetti, riuscii a scorgere un sorriso. Non dovevo pensarci.
« Sì » gli dissi.
Ero contento di averlo rivisto, anche se non potevo tollerare che stesse così
male. Negli occhi gli si leggeva una sofferenza atroce, era incredibilmente
penoso. E se ne avessi avuto il diritto, gli avrei raccontato tutta la verità.
Sapevo che dopo la
scomparsa di Leah, Charlie e Sue si erano avvicinati molto, anche se non
ammettevano ancora che fra loro ci fosse del tenero. Speravo tanto che
l’affetto di Sue potesse consolarlo e dargli una speranza.
Lizzy avanzava
verso di noi, facendo attenzione ad evitare l’acqua che bagnava il terreno.
Charlie la notò
ancora prima di me.
«E’ stato un
piacere rivederti, Jacob »
« Anche per me,
Charlie »
Sapevo che avrebbe
voluto dirmi tante altre cose. Sapevo che avrebbe voluto che quel giorno
d’Agosto di due anni prima Bella non avesse indossato quell’abito bianco, ma magari un costume da bagno
per fare una nuotata a La Push. Sapevo che avrebbe voluto che le fossi stato
accanto come Edward aveva fatto anche se in modo sbagliato. Sapevo che avrebbe voluto che le scelte di sua
figlia fossero state diverse, non per il
suo volere personale, ma per quello che Bella era quando stava con me.
Ed io, io ero
consapevole del fatto che prima o poi io e Bella ci saremmo rivisti.
Mi avvicinai a
Lizzy nella folla di persone che aspettavano di vedere volare il bouquet di rose bianche.
Emily si voltò con
un espressione soddisfatta e si preparò a lanciarlo.
La sposa lo fece balzare, ma
Lizzy non se ne preoccupò, e mentre le ragazze si dimenavano per
prenderlo e
assicurasi così una vita in cui non avrebbero vissuto da
zitelle, lei mi
abbracciò. Sentii il calore della sua guancia contro il petto ed la strinsi
a me con i palpi delle mani. Era così bella che avrebbe fatto venire fantasie anche ai
ragazzini di chiesa che avevano assistito alla cerimonia. Dovevo
ricordarmi di dirglielo. Il bouquet andò a finire in una parte
lontana, che non comprese per niente
tutte le ragazze che facevano a gomitate per prenderlo. Le rose andarono a finire ai piedi di Leah,
che mano nella mano con Brian, aveva quasi timore a prenderlo. Mentre tutte le
ragazze si voltavano con un ondata fulminante per recuperarlo, lui lo
raccolse da terra sorridendo e lo porse a Leah. Anche lei sorrideva.
Da tutti partì un
applauso, anche se io non potei fare a meno di voltare lo sguardo verso la
ragazza che in quel momento avevo fra le braccia. Il cuore batteva forte,
ma per un istante mi sembrò che si fosse fermato. Perché ogni volta che le
persone sorridono, il mondo si ferma a guardare.
***
Da meno di un anno,
a Forks era stato aperto una bel ristorante per le feste più importanti. Aveva
un ampio giardino con un prato verde e il posto per il
parcheggio. Possedeva anche un gazebo, ma solo per veduta, visto che a causa
della grande frequenza della pioggia veniva poco usato.
Il
cibo era ottimo,
per la musica c’era un bravo DJ che ricordava almeno ogni
quindici minuti di
fare gli auguri agli sposi e tutte le cose belle che un momento
così fuori dal
comune poteva accompagnare. Leah aveva deciso di non venire, nonostante
Emily avesse insistito, e non potevo assolutamente biasimarla.
Sicuramente in quel momento era a casa sua, nella sua stanza, a
rimettere i tasselli al loro posto con altri nuovi. Seth era con lei a
riempirla di domande a a fare l'interrogatorio a Brian. Ma non riuscivo
ad immaginare come si sarebbe comportato con Noela, la sorella di
Brian. I ragazzi lo avrebbero trovato un buon motivo per prenderlo in
giro, ci sarebbe stato da divertirsi. Embry, Paul e Jared facevano a
gara per chi riusciva a mangiare più cibo in un tempo
prestabilito, nel frattempo Quil rincorreva la piccola Claire per tutta
la sala, facendo finta di divertirsi. Oppure gli piaceva andare dietro
ad una bambina di quattro anni, chi lo sa. Dipende dai punti di vista.
Durante
i lenti, mi
piaceva sentire il capo di Liz contro la mia spalla, come quando
avevamo fatto finta di ballare al ballo dei diplomadi. Mi piaceva
sentire il suo
respiro che scandiva i ritmi dei suoi passi. Le passai una mano frai
capelli che pendevano dall'elastico che li teneva fermi, mentre lei portava la sua mano dietro la nuca.
Andava tutto
bene
così.
***
La mamma di Emily,
Kayla, stava raccogliendo le buste dei regali per il matrimonio.
«Jacob, il regalo? »
Io mi grattai la
testa, cercando di ricordare.
« Penso di averlo
lasciato in macchina… » affermai.
Lizzy
cercò la sua borsa sulle sedie intorno al tavolo. Il
locale era semplice ma curato, le tovaglie bianche e i muri colorati.
«Vado a prenderlo »
« Ma sta piovendo, vado io »
«Qui a Forks piove
sempre. » mi disse lei. L'aveva sempre sentito da me.
«Lo so, ma non
voglio che tu esca sotto la pioggia »
Lei mi diede le
chiavi dell’auto e si avvicinò per darmi un di quei baci veloci e che non mi bastavano mai.
Avanzai nella sala. Si
sentiva la pioggia battere sul tetto.
Aprii velocemente
l’ombrello, bagnandomi un po’ la camicia. Non credevo che la pioggia battesse
così forte. Prima di raggiungere il parcheggio
attraversai il gazebo, almeno così potevo evitare di bagnarmi ancora.
Percorsi ancora la
strada. Ero appena qualche passo avanti il gazebo bianco, quando mi fermai. Il
parcheggio conteneva tutte le auto degli invitati.
Ma
per ragioni
oscure non riuscii più a camminare, la mia gambe divennero
immobili, così come
tutti gli altri muscoli del mio corpo. L’odore raggiunse presto
le mie narici, ma questo non provocò nessuna reazione istintiva, in
me, che
istintivo lo ero sempre. Per un solo motivo al mondo. Cominciai a
sudare freddo.
Un odore.
Quell'odore.
E poi una sagoma, quasi
trasparente, che correva. Di nuovo l'odore.
Vampiro...
Mi girai, contro
il mio sguardo c'era lo sfondo degli alberi della riserva accanto alla
struttura in cemento che ospitava il locale. Il fastidio alle narici.
Il calore insopportabile. L'impulso di uccidere.
«Chi c'è? »
gridai. La sagoma corse ancora, veloce. Il nervosismo cominciò a
pompare il sangue che mi arrivava alla testa. Chi poteva essere?
Feci
qualche passo, rapido. Chiunque fosse, era un succhiasangue. Era un
succhiasangue e stava scappando.
«Vieni fuori oppure io... »
«Jake »
Jake.
Jake...
Il mio cuore stava
ancora cercando un modo per proteggersi. Batteva forte, lo sentivo rimbombare
nelle orecchie come un eco lontano o, al contrario, con il rumore di un tamburo
che mi graffiava i timpani. Non sapevo se ci sarei riuscito in tempo, è
impossibile proteggersi dal passato. Oppure da un presente che fa ancora troppa
paura. Un futuro che non ci sarà mai.
La voce.
Quella voce...
E
forse in quel momento sarebbe stato
necessario uno scudo invisibile che mi assicurasse di non essere
più ferito e
una sorta di aspira sentimenti, che portasse via da me qualunque tipo
di
emozione che mi impedisse di ragionare, nel modo più giusto, nel
modo migliore. Mi avvicinai fra gli alberi imponenti, quelli della
foresta, lontano dalle auto, dimenticando la pioggia che mi faceva
appiccicare la camicia alla pelle. E non si mosse, non si mosse
più, rannicchiata in terra.
«Jake»
E
la guardai, il
vestito color ambra sporco di terra e pioggia che l’avvolgeva.
Alzò il bracciò per togliere via i capelli dal suo
volto, neanche una goccia d’acqua gelida
sembrò attraversarla più, riparata dalle foglie e dai
tronchi. Congelata in un blocco di ghiaccio che non
si sarebbe sciolto mai, neanche sotto il sole più accecante, che
l’avrebbe soltanto fatta brillare. Portò la mano al viso,
ed il mio cuore ebbe il più forte dei tonfi, come
se fosse appena precipitato in un burrone.
Il
braccialetto.
Lei indossava ancora il braccialetto: la catenina argentata e dai
piccoli
anelli a cui erano attaccati un cuore di cristallo, che specchiava
l’acqua che
cadeva a goccioloni. E poi un lupo intagliato nel legno,
quello che avevo fatto io. Ormai
la pioggia batteva su di me, incessante, l'ombrello caduto a terra. E
il lupo di legno le carezzava il polso, lo aveva fatto per tutto quel
tempo, mentre io non c'ero. Lo aveva conservato...
Bells.
Il cuore non era
ancora pronto per proteggersi. Il mio cuore non poteva proteggersi.
Incontrai
i suoi occhi e fui
attraversato da una sorta di delusione e rassegnazione, ma anche brama
di non
lasciarli più. Non avrei rivisto mai più i suoi occhi
color cioccolato, e non
avrei mai più immaginato di sentire il profumo di una cacao
amaro e allo stesso
tempo dolce ogni volta che mi guardava. Adesso sentivo
un'altro odore, quell'odore. Non sarebbe successo mai più,
eppure, come se in realtà fosse successo, rimasi bloccato lì, a guardarli.
Bella.
Il
mio cuore si
stava per fermare. Non aveva forza per proteggersi. E poi l'impulso di
uccidere, l'odore di quello che c'è prima della morte. I
capelli quasi neri, lisci e lunghi le incorniciavano il viso e le
accarezzavano la
schiena. Il
pallore del suo volto che avvolgeva i suoi occhi grandi. Ma era Bella,
Cristo, con gli occhi dorati, i capelli scuri, il viso più
pallido ma era lei. Era sporca di fango come quando avevamo otto anni e
ridevamo, come quando avevamo otto anni e ci sentivamo a casa. Si
alzò in piedi, guardandomi in viso.
« N-non farmi del male, Jake » Cristallo
e polvere. Occhi grandi e spenti, lei che si mordeva le labbra, lei che sembrava... umana.
E fu
impossibile provare qualcosa che non tradisse stupore e allo stesso
tempo una
strana e inaspettata voglia di essere lì, in quel momento, di
fronte a lei, scacciando l'odore, scacciando il lupo, scacciando il
presente. Riportando tutto indietro. Facendomi desiderare di tornare ai
pomeriggi in cui per ogni volta che si faceva male ringiovaniva di
almeno una dozzina d'anni, mentre io diventavo più grande di lei
di almeno dieci. Pomeriggi in cui tutto sembrava essere quasi perfetto.
E in cui tante cose erano menzogne.
Che cosa hai fatto, Bells?
Tuh-tuh.
Tuh-tuh.
Tuh.
Era lei.
E il mio cuore si
era già fermato.
*
*
*
*
*
Ciao
gente! Be', che dire? Grazie per aver letto :) Se volete potete
lasciarmi le vostre parole, ne sarei tanto contenta. Riconfermo quello
che ho ripetuto più volte. Certe vostre recensioni... sono
qualcosa di veramente bello. Perché date a noi autori la forza per continuare a fare tutto, nel campo
della scrittura e fuori. Io sono contro l'imprinting e credo che lo
sappiate, penso che l'amore sia vero quando cresce giorno per giorno e
non quando nasce per una magia. Infatti, volendo dare un lieto fine ai
personaggi che non l'hanno davvero avuto, ho optato per altro.
L'imprinting di Seth però non è qualcosa messo a caso,
vedremo un po' come anche lui affronterà la situazione, vista
quella di Leah e quella di Jake con Liz e di tutti gli altri ragazzi
del branco. Della fine non dico niente, a voi la parola :) Non so se
sarò così puntuale anche per i prossimi capitoli, ma vi
prometto che mi impegnerò <3
Grazie ai nuovi lettori, a quelli che ci sono da
tanto e a Daniela che mi segue e commenta su facebook <3
Grazie mille per aver letto, mi piacerebbe tanto sapere che cosa ne pensate :)
Grazie di cuore a chi mi ha messo fra gli autori
preferiti =)=)=)
Grazie a chi ha messo la storia fra le preferite, le ricordate e le seguite :)
Con affetto, Ania
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Capitolo 46 *** 46 ***
jake 46
Come sempre sei
nell'aria sei
tu aria vuoi
e mi uccidi
Come sempre sei
nell'aria sei
tu aria dai
e mi uccidi
Tu come aria in vena sei
Un passo indietro - Negramaro
«Bells… »
La mia voce era
roca, bassa. Nessuno l’avrebbe mai sentita.
« Sì. S-sono… io »
Lei invece, l’aveva
sentita.
E quel poco di
vicinanza che c’era fra noi fu spazzata via da un unico passo che la portò
indietro, come se si stesse proteggendo da qualcosa. Da me… o da quello che le
ricordavo.
«P-perché… perché
sei…? »
Avanzai verso di lei,
ritrovandomi riparato dalle chiome degli alberi, folte e grandi, che facevano
ombra in quella strana nebbia.
«Io… non sarei
dovuta venire » biascicò, appoggiandosi ad un albero. Lei. Hai l’odore del paradiso, Bells, perché ci vanno i morti. E hai lo
sguardo di chi ha ancora paura, di chi ha ancora paura del mondo. Lo guardi
meglio, ora?
« Non andartene »
La mia voce sembrò un lamento. E lei si aggrappava a quel tronco, un vestito
scuro e sporco per la pioggia e il fango che le lasciava scoperta una pelle
trasparente, gli occhi dal colore del fuoco che si stava spegnendo e la paura di
aver sbagliato tutto. Il freddo mi penetrava nella carne, come con l’acqua
gelida che mi attraversava il tessuto e mi bagnava la pelle. E Bella era lì.
Somigliava alle donne dei quadri, quelle che si facevano ritrarre
e per cui i pittori impazzivano. Forse proprio per gli occhi. Occhi spaventati.
«C-che
cosa… cosa
facevi? » Cosa... potevo dirle? Perché all'improvviso
tutto quello su cui avevo riflettutto per tanto tempo era così
dannatamente nascosto? Continuai ad avvicinarmi, l’odore
asfissiante e gli occhi che mi si
facevano stanchi. Era un peccato guardare la mia Bella, adesso? Anche
ora che
non era più lei, che era stata plasmata con un fango che non si
sarebbe
sbriciolato mai più?
«Io… stavo
guardando, J-jake. D-dalla… finestra che dà sulla sala. P-poi ti ho visto
uscire e… sono caduta sulla terra, non lo faccio mai… e la pioggia… Ti ho
sentito arrivare… Io guardavo, v-vedevo tutto » sussurrò, abbassando il capo,
inciampando sulle consonanti.
Dio, Bella, sei sempre stata perfetta così,
balbettando nelle lettere più semplici quando sei nervosa, quando hai paura.
Che cosa ti spaventa? La vita che hai lasciato indietro rimane lì se tu non la
guardi, ma tu guardi, Bells. Guardi ancora.
Sospirai. «Non vuoi vedermi mai più, vero? » disse.
« Bella… »
Non ci credevo
ancora. Era davvero lei? Era in quel
momento lì, con me, nello stesso posto, nello stesso istante? Due anni passati
lontani, due anni. Due anni! E aveva anche il coraggio di chiedermi se non la
volessi vedere mai più. Non era cambiata per niente, sempre brava a fare le
domande sbagliate.
«Sei
un caso
patologico, Bells. Mi ricordo ancora quando mi hai detto che
significava quella
parola. Compito di letteratura. » Cercai di sembrare anche un
briciolo più naturale di quello che potevo sembrare. Il cuore mi
batteva così forte da togliermi il respiro.
Mi passai una mano
fra i capelli bagnati, poggiandomi a un tronco e trattenendo il respiro
intensamente. Questa non sei tu, non lo
sei.
E lei era vicino a
me, il vestito sporco di terra e pioggia perché vi si era rannicchiata chissà
per quale assurdo motivo. Bells, sempre lei.
Bells…
«Sei… proprio un
g-grande idiota » Parlò, cercando chissà in quale modo di rilassarsi.
E invece
no, non sei mai andata via.
«Balbetti
ancora
quando sei nei guai? Credevo che l’elemento vampirifico ti
dovesse eliminare
tutte le cose che non ti piacevano » azzardai. Sorrise, un
sorriso che non avevo mai conosciuto, e si appoggiò al
tronco con il
bacino. Dovevo reprimere la forza di andare da lei e abbracciarla, non
così, non in quel modo che mi suggeriva il corpo.
«Sembra che non sia
cambiato proprio niente… vero? » domandò. L'odore...
l'odore che brucia le radici, l'odore che infastidisce, che stona... ma
questo non basta a tenerci lontani. Non basta. Sembra che non sia cambiato proprio niente, vero?
Ebbi la forza di
camminare, mentre lei mi guardava avanzare come se mi stesse per saltare sul
dorso, come un animale che sta per essere attaccato. Perché ora avevamo
l’impulso di uccidere, ma c’era qualcosa di più forte, che lo abbatteva pian
piano.
Contro la testa sentivo la consistenza dura dell’albero che mi
graffiava, guardando in alto, come se in realtà fossimo separati, anche se
mancava poco perché potessimo sfiorarci… o toccarci… o…
No, non è cambiato niente, Bella. E le cose
che sono cambiate sono cambiate per colpa tua.
Non potevo più
essere il suo migliore amico.
« Mi hai sempre
fatto credere di... volere tutto questo. Pensavo che fossi tu a non volermi
vedere più… Tu l’hai sposato »
Trovai la forza di
parlare. La mia voce tremante batteva così come cadeva la pioggia sulle foglie
secche. Ma era stata come lo sputo di un veleno, perché aveva fatto male a
entrambi. Mi bruciava la gola e sentivo il suo odore. Sentivo il suo odore e
pensavo a lei. E a quel punto non potevo
più guardare lontano… dovevo guardarla infaccia, guardarla negli occhi e
scoprirli.
Torna, torna qui, torna da me. Non ti
nascondere, Bells, non tremare, vieni fuori, non avere paura, fatti vedere. Non
guardare, fatti vedere.
Mi
ero voltato e
le avevo toccato la guancia che scottava di ghiaccio, aspettandomi di
sentirla
calda e morbida come una volta, aspettandomi di vederla intingere di
rosso. Il cuore mi era arrivato in gola mi pulsava attraverso le vene,
come se in quel modo potessi restituirle tutto quello che le mancava.
Dimmi che ci sei, dimmelo. Ma non vidi altro che bianco, che splendeva
sotto la mia mano, che si lasciava bruciare.
Dimmi, dimmi che ci sei, nei tuoi occhi, nel
tuo cuore, sotto la pelle, da qualche parte… Dove sei?
Sembrava che avesse
vissuto per tanto tempo in un mare ghiacciato, in cui la pelle diviene dura e debole a furia di essere accarezzata
dall’aria gelida.
Sei fredda, Bells. Perché sei così fredda?
Vorrei abbracciarti, Bells… vorrei, vorrei…
Non riuscii mai
togliere i miei occhi dai suoi.
Chi te li ha rubati, Bells? Come le bambole
di porcellana, quelle rotte… quelle con i capelli di paglia. Non sei così, no.
Vieni fuori, ovunque tu sia…
Sarebbe ricomparso
quello sguardo… avrei rivisto quel colore che mi aveva fatto impazzire… perché
per esso ci impazzivo ancora.
«Jacob, come fai a
dire questo… »
La sua voce divenne
flebile e allo stesso tempo acuta, come i sibili dei costosi bicchieri di
cristallo che mio padre aveva conservato in tante scatole di cartone.
«Come faccio a
dirlo? Merda, Bells, hai spiato il matrimonio di Sam, hai spiato tutti noi e
poi… ti sei rannicchiata per terra come se stessi per farti male… Perché ci
guardavi, Bells? Non ti piace stare a guardare Edward che ti suona quelle
melodie smielate al piano di casa sua? Oppure dovrei dire… la tua casa? L’hai
scelta tu, no? Hai scelto tu questa nuova vita, no? Non ti piace, Bells? »
«No… no… non farlo
» si scostò, lasciandomi ancora più freddo di prima. Che cosa voleva? Non
poteva scappare e fuggire e evitarmi ancora? Non poteva continuare a fingere di
avermi dimenticato, che non fossi mai esistito?
«Avevo
deciso di
rinunciare a tutto. A mio padre, a mia madre, alla scuola, ai miei
amici, ma
non a te. Questo non era previsto… quando mi sono svegliata e
non ti ho visto… tu eri la mia unica speranza… di
rimanere attaccata qui, Jake. Alle
persone che festeggiano un matrimonio, alle persone che ridono…
»
Una pugnalata al
cuore mi avrebbe fatto più male.
Bella… Bella aveva fiducia in me, credeva che
sarei rimasto…
«Ti
aspetterò »
disse poi, in un sussurro. Si allontanava, fra gli alberi.
Indietreggiava, a
volte inciampava perché era Bella Swan, era ancora lei e non
quello che qualcun
altro avrebbe desiderato che fosse. Avevo il timore che piangesse, che
quella
biancore sul suo viso potesse svanire grazie alle lacrime, che quella
maschera
trasparente venisse cancellata via per lasciare spazio agli occhi rossi
del pianto,
alla voce tremante del dolore. Proprio come le era successo tante
volte. Sarebbe successo anche a me, se non mi fossi trattenuto.
« L’hai detto, ti ricordi?
»Prendimi, abbracciami, fammi sentire che
non è vero niente, dimmi che va tutto per il meglio, che stai bene… dimmi che sei
scappata da quel sogno, fammi vedere i tuoi incubi, perché io sono sempre stato
il tuo. Dimmi che è tutto falso e tutto vero, dimmi che mi vuoi e che puoi
tornare indietro.
Le avevo detto che l'avrei aspettata,
dopo che ero stato curato da Carlisle per le ferite della battaglia e lei era venuta da me per comunicarmi la sua
decisione. Il suo sbaglio, o la cosa giusta da fare. Dipendeva dai punti di
vista, forse. Ma io vedevo, vedevo tutto, e vedevo che non esistono errori,
esistono soltanto atti e, con loro, delle conseguenze. La sua decisione però aveva
mostrato tutto come la sfera di vetro di una cartomante, e lei si era buttata
nel vuoto.
«Finché il tuo
cuore batterà ancora » continuò.
Certo che lo
ricordavo. Era stato soltanto uno dei miei tormenti, perché io l’avrei sempre,
sempre aspettata se lei mi avesse voluto. Stava ripercorrendo le mie parole. Le
aveva ricordate. La memoria stava cancellando tutto dalla sua mente, ma quegli
attimi erano rimasti lì, come per vendicarsi, il ricordo si vendicava per tutto
il dolore che, inconsapevolmente, mi avevo ossessivamente inflitto.
« Forse anche dopo
» le dissi io. Portami con te, Bells.
Torna da me.
Stai per piangere, lo so. Bella, piangi,
fammi sentire che sei viva, fammi sentire…
E mi ritrovai a
fare qualcosa che risaliva a tanto tempo prima, e fu come riguardarmi
all’indietro. Bella evitava sempre il mio sguardo quando diceva la verità.
«Guardami » dissi,
prendendola per le spalle. Ti sto
toccando, reagisci. Come quella volta sulla montagna, come quella volta sulla
spiaggia. Uccidimi, dammi un pugno in faccia, graffiami, prima che lo faccia
io… c’è l’impulso di uccidere, Bells, ma ci sei ancora tu.
Lei alzò il viso.
« Che cosa vuoi,
Bella? Che cosa vuoi? Cristo, non puoi dirmi questo! » urlai. La mia voce
tremava in quel mio mormorio di parole, sensate, nate dal cuore, un cuore che
conosceva le parole per me.
«Dimmi che lo ami.
Io me ne sono andato per questo. Dimmi che lo ami, Bella. Altrimenti hai
sbagliato, lo sai. Lo sai che hai sbagliato. E ho sbagliato anch’io » E sono disperato perché mi guardi con questi
occhi nuovi recitando a memoria vecchie parole. Non sono l’unica cosa che hai,
vero? Hai rinunciato a quelle cose per averne altre migliori, dove sono, Bells?
Dove sei? Ed io, ora, dove sono?
«Ti sei portato via
una parte di me stessa »
« Ma ora sono qui,
puoi toccarmi… sono qui… » mormorai. Lei si allontanava e i suoi a capelli
ancora bagnati le cadevano a fili sul viso.
« Non tornerà più
indietro »
«Dimmi che sei
felice, dimmelo »
« Perché sei
tornato? »
« Questa è casa
mia, Bells. Tu sei sempre stata la mia casa »
E successe così.
Le bloccai il braccio e la abbracciai,
forte, e sentii il suo corpo rigido contro il mio, teso come la corda di uno strumento
musicale che aspettava solo di essere percosso.
Fatti abbracciare, Bells. Hai freddo.. sì. Ma
ci sono io, ci sono io a riscaldarti. Quanto sei gelida, Bells…
Sentii il suo corpo
sul mio, duro, ma pur sempre esile e piccolo. Era un pezzo di creta che potevo
modellare su di me, perché lei si stava distendendo, le sue mani mi
accarezzavano la nuca, aveva poggiato il suo capo contro il mio petto.
La strinsi più
forte.
« Quanto sei
fredda, Bells »
« Non mi lasciare,
Jake »
« Bella, stai
tremando »
« Ho freddo, Jake »
« No, no Bells. No... »
«Devi andartene »
«No. Io non me ne
vado »
Dimmi che sei felice. Dimmelo, dimmelo,
urlalo, squartati la gola ma urlalo. ‘ Sono felice, sono felice’. Ti prego, ti
prego, e morirò in pace. Sono solo due parole, solo due, e mi salverai. Salvami,
Bella.
Salvami.
«Lo sai che non me
ne sono mai andato. Certe volte sei proprio stupida. »
«Smettila »
Alzò il viso verso
il mio e continuò a guardarmi, non potevo credere che quegli occhi fossero
suoi.
«Jacob, ritorna.»
«Baciami e ritorna»
Quanto scotta la tua pelle, Bells. Quanto fa
male il ghiaccio sulle ferite che non si sono mai rimarginate. Anche adesso che
mi guardi… che mi repiri aria addosso. Che il tuo respiro finto è la tua vita e la
tua anima è buia.
Sei tu che sei scappata. Sei tu che mi hai
cacciato. Sto per baciarti e tu chiudi gli occhi, anche se è la cosa che ho
sempre aspettato e che adesso è la più sbagliata del mondo. Ti sfioro le labbra
e le brucio. Perché sono il sole che non è mai tramontato, sono quello che hai
sempre amato, sono la persona che ti avrebbe dato indetro tutto quello che hai
perso.
Sento
che non è vero, anche adesso che ti
lecco il collo. Ho l’impulso di mordere, per ucciderti, di
perdere il
controllo, e mandare tutto a quell'altro mondo. Ma c’è un
desiderio più grande, ancora più grande... e sei
tu. Sei sempre stata tu. Ti aggrappi alle mie spalle e pesi come un
blocco di
pietra.
Sei leggera come l’aria ma sei velenosa. Ho sempre
saputo che mi avresti fatto morire.
Adesso, dopo e ora, che ti guarisco con
labbra tutte le infezioni malate che hai dentro. La tua lingua mi scotta e ne
voglio ancora. Dovevi aspettare tanto per questo, Bells? Dovevi morire per
chiederlo ancora? Per prendermi? Sei più forte, sei nuova, mi fai squarciare
l’aria mentre mi butti a terra. Ho il cuore nella gola dove mi baci tu, e nel
petto che tocchi quando rompi quell’ennesimo bottone. Quanto è sbagliato eppure
non ci pensiamo, vedi. Ci odieremo per sempre, per te il 'per sempre' esiste
davvero… ma lo faremo lo stesso anche se questa è l’ultima cosa che ci rimane.
«Sei
ancora viva, Bells. Ci sei ancora, lo sapevo » Me ne sono accorto
appena ti ho vista, lo sai. Lo sai che me ne sono
accorto appena ho visto il bracciale che porti al polso, quello che
tocco adesso
mentre ti stringo le mani e le racchiudo nelle mie. Sei tiepida,
come l’acqua del mare
la notte.
«Fammi vivere ancora, Jake. Ti prego. Non ce
la faccio più… »
«Prendi… prendi tutto quello che vuoi. »
I tuoi denti fanno male contro la mia carne,
quando affododi in me e mi rubi il sangue che scorre. E ‘sangue di lupo eppure
non te ne importa. Forse è qualcosa di vivo, e questo ti basta. Lo sapevo che
saresti stata tu a farmi morire. Sapevi che te l’avrei lasciato fare.
Su di me sentivo il
suo respiro freddo contro i capelli bagnati, un ghigno che non le apparteneva e
che mi andava contro. Il dovere di uccidere.
Bella, ritorna da me. Resta con me…
«Sono qui, Bella, sono qui »
« Ma io sono sposata… » Socchiuse
gli occhi, lenti secondi in cui le sue ciglia crearono ombre sul suo viso
riflesso di luna, i rami di una albero in fiore, che non avrebbe mai mostrato a
nessuno quanto avrebbe potuto diventare alto.
Chiusi gli occhi, e
sentii un calore insolito sulle labbra, un vento leggero me le accarezzò,
dolcemente. E il sogno finì.
Perché se fosse successo due anni fa adesso
saremmo avvinghiati fra le pietre della terra, io ad accarezzarti a baciarti, a
darti il mio sangue.
Ma c’era qualcosa…
qualcosa di grande, di incredibilmente forte, che mi diceva che non potevo, che
non volevo.
Liz.
« Sarai sempre il
mio migliore amico. Ricordalo sempre »
Aprii gli occhi per
non chiuderli più. Era stato soltanto un' illusione. Chi era che mi stava parlando?
Il vampiro… E Bella era stata uccisa. Ingurgitata dalla gola del
mostro, risucchiata dal veleno, bruciata dal tempo. Adesso c’era il vampiro.
Bella era morta e il mostro l’aveva uccisa per prendere il suo posto. Ma nella
vene della statua bianca scorreva ancora il sangue di lei, della ragazza che
avevo sempre amato.
«Non mi hai detto
che sei felice » Mi scostai e mi rimisi in piedi, un dolore atroce che sembrava fisico. Non
potevo continuare così.
Bella, lo so che sei tu. Lo so che ci sei…
«Ho sposato Edward.
Ho una bambina. Ti…. Io… ti… a… ho ammesso quanto ti voglio bene. Non ti
dimenticherò mai. E’ normalissimo che tu te ne sia andato… mi hai fatto capire
tutto, mi hai fatto capire quanto sei importante, perché per me lo sei ancora.
Ma non posso pretendere niente da te.
Ti… ti… voglio così
bene, così tanto che mi si spezza il cuore, Jake. L’eternità non poteva essere
più triste, senza te che mi prendi in giro, senza te che mi ascolti... »
Feci un passo
indietro, cercando di trattenere quel nuovo conato di vomito. Stava ammettendo
quanto tutto quello che eravamo stati fosse importante, quanto fosse importante
per lei. Due anni dopo. Soltanto due anni dopo.
« Tu hai bisogno di
me… ne hai sempre avuto bisogno… lo stai dicendo tu, Ora! Perché lo dici ora?! »
urlai, passandomi una mano fra i capelli fino a tirarmeli. La vista che mi si
annebbiava per quello schifo di rabbia e rimpianto e… stanchezza. Ero stanco di
tutti quei ricordi buttati lì insieme, presi in considerazione troppo tardi.
« Io sono sempre
stata spezzata a metà. » Ascoltai, respirando a fatica. Lei continuò, il cuore
che mi batteva veloce nel petto e lei lo sentiva, lo sentiva perfettamente.
Ti avrei dato anche il sangue, Bells. Anche
il sangue. «Sono spaccata in
due, Jake, lo ero quando mi hanno iniettato il veleno e c-credo che lo sarò
sempre. Avrei dovuto guarire, avrei dovuto cercare di curare questa... piaga. M-ma
le piaghe non si curano, le p-piaghe p-peggiorano. » Sospirò, come se stesse
piangendo. «Bella, per favore… » feci per dire, le mani sui capelli tirati
verso l’alto, come se me li stessi strappando, come per placare un dolore con
un altro dolore. « No, J-jake. Ti dirò tutta la verità. T-tutta.Tu sei questa
piaga, questa ferita che non si rimarginerà mai. Ma la voglio, Jake. Perché
anche se mi fa soffrire, mi ricorda che una parte del mio cuore sarà sempre
tua. Anche se è un cuore morto che non batte più, Jacob, è tuo. E… mi dispiace
moltissimo » Tiri su col naso e succede.
Una luce brilla, nei tuoi occhi e sulla tua faccia. E’ una lacrima. Piangi di
nuovo, Bells. E scompare tutta la maschera di cera e marmo che ti nascondeva.
Ritorni, ora, nei tuoi rimpianti, nei tuoi desideri, nella tua voce… sei ancora
tu e ti vedo. E tutto svanisce. Gli occhi hanno di nuovo il colore del
cioccolato, tu hai ancora le ginocchia sbucciate.
«E
la mia maledizione non è solo il fatto che non
invecchierò mai,
che moriranno mio padre, mia madre, i miei amici del liceo,
e… tu, Jake. La mia maledizione viene dal fatto che ho capito
troppo tardi. Sarò
condannata a rivivere i nostri istanti la notte a sapere che non
potranno
essere vissuti ancora, che non potrò tornare indietro. Lo so che
questo cuore freddo
non è niente, lo so che è morto, raggrinzito nel petto
come un vecchio malato,
ma è tuo, che tu lo voglia o no. Niente potrà mai
cambiare. Io lo so e l’ho
scoperto troppo tardi. Ecco la mia maledizione, un cuore spezzato, nel
mio
corpo, che non tornerà mai intero per quanto l’amore di
Edward possa essere
forte. Un cuore straziato dal dolore in eterno è la giusta
punizione per non
aver compreso e averti fatto del male.»
Resta con me…
Le presi le mani,
le sue mani, così tremanti e liscie che sembravano sudate e le misi sul mio
petto. Quante parole, Bells, quante
parole. Fai rimpiangere anche le cose giuste, fai pensare anche a quello che
credevo che sarebbe sempre rimasto indietro. Perché ci facciamo così male?
E con il capo chino
sotto il mio sguardo, fu come tornare indietro nel tempo e rivederci
attraverso le sue lacrime, intrappolate
nel suo cuore.
Tuh- tuh
Tuh- tuh
« lo senti? »le
chiesi. Lei non alzò il capo, ma riconobbi alla perfezione quel leggero fiato
che le fuoriusciva sempre quando sorrideva. Dovevo… dovevo lasciare che
succedesse tutto. Disegnare il passato su un foglio nuovo, ripetere i gesti, le
indecisioni.
« Sì, Jake. »
E la verità. Questa
volta e di nuovo. Sempre la verità.
« Tu sei qui, sei
qui dentro »
« Jacob… »
Lei si appoggiò al
mio petto, sospirando con la bocca, il naso… gli occhi, da dentro, con cosa? Bells, tremi. Appoggiati a me. Piangi,
piangi qui, piangi su di me, dentro di me… lo sai che le tue lacrime sono le
mie, lo sai che è sempre stato così. Vieni fuori, fa freddo. Come hai fatto
a vivere al gelo per tutto questo tempo?
« T-temevo di non
rivederti più… non ho mai avuto così paura. I miei ricordi da umana stanno
svanendo, mi abbandonano, mi volto e mi accorgo c-che non ci sono più. Avevo paura
che lo facessi anche tu »
« Non succederà mai
»
Sospirò, ma non si
allontanò e lasciò che la stringessi a me, come facevo una volta. Le accarezzai
il capo. I capelli sembravano tanti fili di seta, lucenti, anch’essi freddi. Ma
sotto la mia presa sembrava diventare più calda. Fatti toccare, fatti abbracciare, fatti
sentire… fatti amare di nuovo. Rendi le cose semplici, non pensare alle
bugie. Perché siamo qui? Perché siamo arrivati a questo tempo? Mi stai facendo
affogare in queste ferite, in tutto questo rimpianto, il desiderio di farti smettere
di battere i denti.
Non fare così, non farlo più.
E mentre la
stringevo, mentre placavo con le mani quegli scossoni innaturali del suo corpo…
lei che si abbandonava con gli occhi chiusi e tanti sospiri in uno soltanto, la
mia bocca scese, scese sulla sua guancia. Fuoco e ghiaccio.
Ti amo e vorrei che fosse ancora così. Mi
vuoi e lo senti anche se ancora non me lo dici. Ma avremmo continuato così in
eterno, non è vero? Ci saremmo amati fino a stancarci, come in una corsa senza
traguardo. Lo sai che ti avrei sempre superato, anche adesso.
Ti bacio davvero,
ora.
La mia bocca
indugiava, come nei baci d’addio, mentre lei diventava calda e smetteva di
piangere in quel modo invisibile. E non si scostava, Bella non si scostava
più, mentre la tenevo fra le braccia come se stesse per cadere.
Lo sapevi, Bells. Lo hai sempre saputo
«J-jake »
Che cosa stai facendo, Jacob?
Liz.
Liz.
Liz.
Il mio amore per
lei persisteva. Mi bruciava il cuore come bruciano i carboni sul fuoco. C’era
ancora, forte, come prima di rincontrarla. E anche lei, così come io
avevo saputo e accettato tutto, doveva sapere.
«Io… volevo sapere…
che cosa hai fatto in tutto questo tempo »
Bella
mi toccò le
labbra, piano, e si allontanò. Doveva succedere, ed io lo
sapevo. Ed anche questa volta, chissà per cosa, non riuscii a
capire se fosse la cosa giusta o quella sbagliata.
Ed era necessario
che sapesse.
« Bella c’è.. c’è
una persona… »
«Lo so »
Sbarrai gli occhi.
« Da quando? »
«Da quando l’hai
portata qui, lo scorso Settembre. Alice mi ha detto tutto »
Non mi
aspettavo che lo sapesse già, credevo di doverle spiegare parecchie cose, e
invece, come tante altre volte, lei aveva saputo la verità ancora prima che io
stesso gliela mostrassi.
«E’ la cosa più
giusta »disse, stringendosi nelle braccia, « Il fatto che io
ti abbia perso… non significa che tu non possa essere felice. Tu lo meriti,
Jake, lo so. »
« Ma tu non mi hai
perso »
« Sì invece… »
« No… »
« Jake, a casa
nostra c’è ancora il tuo sangue sul muro… Jasper sente… sente ancora il dolore
che provavi quando stava male. E lei merita che tu la ami in questo modo… lo
so.» Sospirai.
« Sì… io la amo. »
ammisi. Mi vorticarono in mente tutte le immagini più belle della mia vita
insieme a Liz e sapevo che non poteva essere altrimenti. La amo davvero.
Eppure vedevo
Bella, davanti a me, che si stringeva nelle sue braccia come se avesse di nuovo
freddo, come se senza di me non potesse avere quel minimo di serenità
consentita… come se, mentre diceva di essere felice per me, rinnegasse invece
quella mia scelta fatta soprattutto a causa sua.
«Sei o non sei
felice? »
Perché
ero sicuro
di aver sbagliato tutto? Perché credevo che mi avrebbe risposto
di no? Oh, sì,
avevo sbagliato. Non avrei fatto caso all’odore stonante che
emanava, non avrei fatto caso ai suoi occhi dorati. Sarei dovuto
rimanere e così
lei sarebbe stata felice… Perché se non me ne fossi
andato lei non avrebbe mai
capito davvero quanto la nostra storia era importante.
« Io… io passo ore
a leggere, sai. Ho letto… tantissimi libri. E penso che scriverò… già, non so
cosa ne possa venire fuori. E poi il pianoforte… vorrei tanto imparare a
suonarlo. E il greco, sì, il greco… vorrei studiare… »
Non l’aveva detto.
Non l'aveva fatto. E questo spiegtava tutto, ogni cosa, e mi... ammazzava.
« Ma che diavolo
dici? »
Mi stava mentendo.
Anzi divagava ancora, per non dire la verità. Un’altra verità che sembrava
ancora più dura di quella che aveva appena detto. Davvero non le bastava mentire?
Edward lo sapeva fare così bene. E il problema era che la ragazza in quell’involucro
di ghiaccio era Isabella Marie Swan, la ragazzina che era cresciuta troppo in
fretta, che era stata sottoposta a troppe scelte tutte insieme. E lei era
troppo piccola e ingenua per decidere, per capire, rendersene davvero conto.
« Non parlarmi
così, Jake. Ti prego. »
«Imparerai tutte le
lingue del mondo, il francese, il portoghese, lo spagnolo, il giapponese e
anche il greco antico. Imparerai a suonare tutti gli strumenti musicali.
Leggerai tutti i libri, senza escluderne uno, e poi? Che cosa farai, Bella? Che
cosa farai? Sei morta, Bells, sei fredda e non perché il tuo cuore è fermo,
perché ti stai facendo uccidere. Stai morendo, qui davanti ai miei occhi.
Davvero hai deciso di passare un tempo così lungo a morire? »
« Jacob… »
« Tu stai morendo »
« No… »
«E se Edward ti
fosse bastato non ti starebbe succedendo questo, adesso »
« Jake… sei tu che
mi uccidi, ora »
« Perché ti sto
dicendo la verità »
«La verità è che ho
capito di amarti... troppo tardi, e adesso che l’ho capito, tu non mi ami più »
Rimasi immobile,
con lei che aveva quella stessa espressione di quando una volta, fra gli alberi e la neve aveva pronunciato delle
parole che mai avrei immaginato potessero essere pronunciate dalle sue labbra:
‘Baciami, Jacob’.
Forse stava ancora
lottando con se stessa, perché non sapeva se quello che mi aveva detto era
ancora la verità oppure una semplice bugia. Non sapeva se le parole che erano
sempre state giuste, in quel momento potessero sembrare sbagliate.
«Edward è mio
marito, ed io lo amo, e lo amerò con tutta la forza che riesco e riuscirò a
trovare in me stessa. Ho scelto lui, e non posso cambiare il passato, perché
ormai non tornerà mai più indietro » Sbuffai.
« Sei così piccola,
Bella… sei così piccola. Mi chiedo come tu abbia fatto a partorire quella…
cosa. Ti stava massacrando, Bells… e tu sei così debole… eri così debole. Mi
sembrava di non vedere più il sangue che ti scorre… che ti scorreva nelle vene
che ti si vedevano nelle braccia. Come hai fatto, Bells, perché hai lasciato che
succedesse… Bells, Bella… »
« Jacob »
La cercai con le mani, come se da un momento all'altro sarei riuscito a non farla più andare via.
« Devo andarmene,
adesso »
« Perché? »
« Ho promesso a Renesme
che sarei tornata presto… »
« Renesme? E’ così
che hai chiamato il… come si chiama…. Il feto… la cos… »
« La bambina, Jake.
La bambina. E non chiamarla così »
«
Lo sai che
ritornerei qui solo per te… » Mi appoggiai di nuovo al
tronco, lasciando la sua presa, le sue mani fredde e dure. Aveva smesso
di
piovere.
«
Quando sei morta,
sono morto anch’io. Ricordalo sempre. Una parte di me, se
n’è andata con te. » Lei si voltò e, per un
momento, mi fu impossibile vedere il suo volto.
« Ci stiamo dicendo
addio, Jake? »
Risi. Quanto faceva schifo fingere.
« Quando puoi
vivere per sempre, in milioni di anni ti capiterà di incontrare una persona
più di una volta, no? »
Si portò una ciocca
dietro l’orecchio. Mi sorrise.
« Sì, Jake »
« Bells »
« E ricordati di portare la chiave inglese!
L’ho lasciata da Charlie la settimana scorsa! »
« Me lo ricordo, Jake! Ma adesso vai a ripere fisica, altrimenti
domani andrai malissimo all’interrogazione, lo sai »
« Potrei conquistare la prof con il mio
fascino»
« Non
credo proprio »
«Tu ne sei rimasta colpita »
« Jake »
« Ma
tu vieni colpita da molte cose in fondo… soprattutto alla testa »
« Ma quanto sei stupido? Troppo! Comunque ci
vediamo domani »
« A domani. E non fare tardi… »
« Jake... ora devo andare »
«Aspetta»
Mi passò accanto,
lentamente, guardandomi fisso, come se stesse catturando quel momento con una
fotografia da conservare per sempre in quel suo cuore ghiacciato, per sempre in
quel suo cuore che una volta batteva per quello che provavamo insieme, con una
mente che non l’aveva mai ammesso.
E
la sua morte era
stata la mia, in ogni istante passato a pensare che quella parola,
rivista e
riportata indietro, poteva essere vita. La persi di vista per un
secondo, percependo quel diverso odore di vaniglia e troppi fiori
insieme che avevo imparato a sopportare. Questa volta sentivo il cuore
nella lingua, nelle parole. Guardai verso quella che sembrava la
sua direzione; ma non c'era niente.
Non c'era nessuno. Le foglie si
muovevano al vento, il cielo buio. Chiusi gli occhi e strinsi i denti
in un grido, il sangue in bocca; le lame mi si conficcarono da dentro.
Lei non c'era più.
*
*
*
*
E va bene.
Questo capitolo, per me, è stato importantissimo. Mi ha fatto
emozionare e sì, mi ha fatto piangere. Credetemi, avrei tanto
voluto che quello di Jacob non fosse un'illusione, ma purtroppo, non ho
potuto fare di più. C'è una Bella piena di rimpianti e
che ci muore dentro, c'è un Jacob che credeva di aver fatto la
cosa giusta ma che, scoprendola così, si accorge che lei non la
pensava allo stesso modo. Ma il tempo non ha lasciato che fosse solo, e
questo ha cambiato le cose. Non lo so, forse è ora che la smetto
di rileggere il capitolo che sembro stupida e incapace. Spero solo di
non aver fatto una vero e proprio buco nell'acqua, visto che questo
capitolo è dedicato ad una delle mie autrici preferite
qui su EFP. Jacob e Bella si appartengono, anche se in questo universo
sono stati separati (e la colpa non è mia ma della ragazza con
il sogno di diventare una super top- model vampira -.-), se volete leggerli
insieme, anche se lei è una vampira, leggete qui, qui e qui
La canzone
all'inizio mi piace moltissimo ed è una di quelle che mi fanno
commuovere, per questo capitolo mi hanno accompagnato diverse canzoni,
ma ho voluto inserire questa.
Vi ringrazio tutti, voi sapete perché e chi. Adesso recupero un fazzoletto, davvero, ma non prendetemi in giro :)
Le vostre parole mi renderebbero tanto contenta.
Un bacio a tutti :)
Ania.
|
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Capitolo 47 *** 47 ***
jake 47
You kept everything inside and even though I tried
it all fell apart
What it meant to me
will eventually
be a memory
of a time when I tried so hard
And got so far
But in the end
It doesn’t even matter
In the end - Linkin Park
Entrai in sala con
il pacchetto bianco tra le mani, i tavoli erano stati sparecchiati e tutti,
intorno a Sam ed Emily, parlavano spensierati.
Avevo
appena
incontrato la ragazza per cui ero quasi morto dal dolore, la ragazza
che avevo
amato più di qualunque altra cosa al mondo. E lei era diventata
una vampira e... non piangeva più, non dormiva
più… non arrossiva e…
«Jake… ma ti eri
addormentato? » I ragazzi mi stavano venendo incontro, sembravano
tutti uguali. Una specie di squadriglia, ed io ne facevo parte.
Ne facevo
parte, ma quello che mi era successo mi teneva bloccato sul posto, con la sensazione di una pelle di pietra sulla bocca.
«N-no »
Lanciai il
pacchetto a Jared, che lo prese al volo, mentre tutti gli altri, a più o meno
un metro di distanza, rallentavano il passo.
«Jacob, sei strano
» accennò Quil, con Claire in braccio.
«Ma no, qui piove
da morire… ho aspettato un po’ nel furgoncino, così smetteva. » dissi, cercando
di sorridere.
Sorridi, stupido.
« E’ così strano? »
Ho sposato Edward. Ho una bambina. Ti…. Io… ti…
a… ho ammesso quanto ti voglio bene. Non ti dimenticherò mai. E’ normalissimo
che tu te ne sia andato… mi hai fatto capire tutto, mi hai fatto capire quanto
sei importante, perché per me lo sei ancora. Ma non posso pretendere niente da
te…
«Jacob, è tutto ok?
»
La voce di Liz mi
colpì le orecchie e tutto si ruppe, tutti buoni propositi e le promesse verso
me stesso.
Liz.
« Sì, davvero non è... »accennai,
cercando di essere disinvolto. Accorgendomi improvvisamente di non
riuscire a guardarla senza sentire quella cosa che dal cuore mi
macchiava lo sguardo... e mi riportava in mente il pensiero di non meritarla
affatto. Mi
sarebbe passata presto, era
solo qualcosa di passeggero. Anche il tremolio, il nervosismo, il cuore
in gola, l'odore che mi scottava le narici... Lasciatemi in pace, finitela. Fatemi tornare.
«No,
Liz, non è
tutto ok. » Embry prese la parola. Liz aveva un'espressione
preoccupata, mentre tutti si
guardavano di sottecchi. Era... era lei. Splendida, come la luce che ti
acceca. E avevo l'impulso di portarla via, guardarla intensamente
negli occhi e ritrovarmi ad essere solo suo, per placare tutte quelle
menzogne
così vere. Vere.
Sono un idiota. Un grande, grandissimo
idiota. Perché ho pensato che tutto questo potesse essere meno forte di quello
che tiene il cuore di Bella spezzato a metà.
«Hai affrontato un
vampiro, Jake? Si sente l’odore… un odore da far venire il vomito »
Deglutii.
« No, nessuno »
«Ti ha buttato a
terra, sei sporco dietro » Quil aveva detto a Claire di giocare ancora per un
po’ nella sala. Le mani pesanti e invadenti di Paul mi tastavano la schiena
mentre io mi scostavo.
Dovevano sempre rovinare tutto?
«Che cosa è
successo? Dài, non fare il cretino » mi disse Embry.
Sì, intelligente lui.
«Non ho affrontato
nessuno, non prendetevela se mi sono trattenuto di più fuori e non sono tornato
veloce come un razzo e… »
E… Liz guardava
tutto stringendosi nelle braccia, guardando me, che non riuscivo ancora a
tirarmi fuori da quel guaio così fastidiosamente enorme. Che… che… schifo di
sensazione. Lei, lì, assolutamente stupenda come sempre, assolutamente se
stessa e perfetta così, ed io, così costantemente cretino.
Perché, Jake, perché?
«Smettila, Paul »
«Perché? Ti vuoi
tenere per te le cose più fighe? Vieni da dove vieni e pensi di essere
importante?»
«No, cazzo, Paul »
«Chi era il
succhiasangue, eh? Chi era? »
«Sparati » Lo spinsi via.
«Allora lo ammetti
»
«Muori »
«E’ stato facile
per te? »
«Piantala »
«Oppure se l’è
svignata? »
«Era Bella, e ora
sta zitto »
Silenzio.
Nient’altro che
occhi.
Era Bella.
Non avrei dovuto permetterlo. Non avrei dovuto lasciare che succedesse. Mi ha
sempre in pugno? Ancora? Riesce sempre a farmi perdere il controllo? Oh no,
sono quello che non va bene, io che non riesco mai a capire che cosa si deve fare prima di
fare quello che non dovrei.
Un marea di voci mi
travolse, voci maschili, esasperate, e risate e... prese in giro. Io cercavo degli
occhi color nocciola con le straiture dorate ma erano lontani. Lontanissimi.
Liz mi fissava con
un espressione che non le avevo mai visto in viso, una di quelle che erano
simili a quando stava male, a quando aveva la febbre o il mal di stomaco,
simile a quella di quando si era slogata la caviglia mentre giocava a
pallavolo, o a quando le era caduta l’acqua su un dipinto da consegnare.
E in quela folla
mi lasciò lì, mentre tutti gli altri mi attaccavano con le loro domande. Lei si
era voltata e camminava verso il lato opposto.
No. No. No. Non può essere successo di nuovo,
non ancora, non a causa mia. Non con te che sei tutto, sei tutto quello che ho.
E anche se avessi altro lo lascerei. E’ così e basta, non ci sono
spiegazioni. Ed è tutta colpa mia.
«Be’ allora? »
« Non vi riguarda »
Alzai il passo per
raggiungere Liz. I suoi piedi leggermente instabili su quelle scarpe alte che
la mattina stessa sembrava saper portare così bene.
Si portò una ciocca
dietro l’orecchio, il vestito che le seguiva le linee del corpo.
Il suo corpo.
«Liz»
Continuò a camminare
verso il nostro tavolo. Si avvicinò alla sedia dove aveva sistemato la
giacca e la borsa.
L’espressione
del mal di stomaco, di quando
sei malata. Non per me, Liz. Non così. Non per qualcosa
che non è nemmeno esistito, non per un illusione, non per
qualcosa che non fa altro che portare dolore, uno ieri che non
è il nostro adesso.
La guardavo
mettersi la giacca, frugare dentro la borsa e prendere il telefonino, senza che
alzasse gli occhi un attimo, veloce, addirittura frenetica.
«Liz… non fare così
»
«Così come? »
«Io posso… non è
come pensi, non è… »
«Perché… che cosa
penso? » Mi guardò negli occhi, occhi che brillavano e che mi entravano dentro,
come sempre, come tutte le volte, che stesse ridendo o che stesse per spegnere
la luce, che fossimo lontani o così vicini da far mancare il fiato. Mi entri dentro e poi mi svuoti, ora mi
svuoti e mi lasci così, perché non sono abbastanza, perché ho sbagliato. Perché
quello sbagliato sono io.
E mi uccide. Mi uccide perché sta succedendo
per qualcuno che non esiste, non esiste più. Di cui c'è solo un fantasma che mi fa paura. Una presenza che gela.
«Vado a fare un
giro con Kim, non mi aspettare »
«Liz, per favore »
Mi passò davanti,
l’essenza dello sciampo alla vaniglia, del profumo che le aveva regalato suo
padre, del succo di frutta che aveva bevuto quella mattina.
Le presi la mano,
deciso, dovevo spiegarle subito. Qualcosa… qualunque cosa, purchè non
se ne andasse via così. Non poteva credere che fosse successo qualcosa di più
di quello che era successo realmente.
E poi…. Era davvero
così difficile?
«Tu lo sai che io…
»
«Kim mi aspetta in
macchina »
Non
voglio lasciarti andare,, voglio
baciarti e
finire tutto il fiato che posso avere per vedere fin quando posso
arrivare. Mettiamo i pezzi al loro posto, la linea nella sua
prospettiva, i passi sulla loro strada... Può
un illusione spezzare tutto?
E quando chiuse la
vetrata e la macchina rossa di Kim e Paul fu messa in moto, mi sentii
bruciare da dentro. Bruciare, infuocare, sciogliere.
Perché non ero riuscito a fare nient’altro che non fossero
soltanto inizi di frasi e di parole.
Dei sentimenti che credevo appartenere al passato mi
erano sembrati improvvisamente vivi e presenti, come se fossero sempre stato
solo e sempre nascosti con un velo. E all’improvviso me li ero trovati
davanti, una specie di onda anomala che mi aveva trascinato in pieno.
Avevo
visto Bella con quella pelle di marmo e gli occhi dorati e… «Dimmi
che lo ami. Io me ne sono andato per questo. Dimmi che lo ami, Bella.
Altrimenti hai sbagliato, lo sai. Lo sai che hai sbagliato. E ho
sbagliato anch'io.»
Era cambiata, perché? E perché allo stesso tempo era
sempre la stessa? E
perché dopo tutto quel tempo mi aveva detto tutto quello che io
avevo cercato
di farle capire tanto prima? Perché proprio in quel momento? E
perché me lo
aveva rinfacciato così? Mi ero sentito imponente, inutile,
debole. Perché mi aveva toccato con quella mani fredde e tutte
le fondamenta avevano ceduto.
Sono spaccata in due, Jake, lo ero quando mi
hanno iniettato il veleno e c-credo che lo sarò sempre. Avrei dovuto guarire,
avrei dovuto cercare di curare questa... piaga. M-ma le piaghe non si curano,
le p-piaghe p-peggiorano.
Perché me l’aveva dimostrato adesso? L’avevo amata fino a farmi
uccidere, fino a non essere nient’altro che quello che lei voleva che fossi…
«Jake »
Mio padre mi era accanto, sulla sua sedia a rotelle. Quell’espressione che aveva sempre quando doveva dire qualcosa
di importante. Ma non ci badavo, sembrava che da quella porta Liz sarebbe
ritornata da un momento all’atro. Che il regalo per Emily e Sam fosse
stato recuperato prima di mezzogiorno ed io non avessi mai incontrato il mio
vecchio amore.
«Liz è andata a fare un giro » dissi, mettendomi dietro di lui per
spingere la sedia a rotelle.
Cominciai camminare. Sam ed Emily che parlavano con il titolare del
ristorante sarebbero andati via subito dopo di noi.
«Non lasciarla andare, Jake »
Venni catapultato fuori dai miei pensieri improvvisamente, come se mi
avessero appena buttato un secchio d’acqua fredda addosso.
«Sai di che parlo. Non esiste nessun’altra Liz, non farti risucchiare da
delle scelte che non sono mai state prese. »
«Sì, papà, io… »
« Che grilli hai per la testa, Jacob? »
«Ah, lascia perdere… »
«Sarai tu a perdere Liz, se continui così. »
Mi portai una mano sul mento, sfregandolo fortemente. Magari mi sarebbe
venuta un’illuminazione improvvisa… mentre il sudore freddo causato dalla
parola “perdere” insieme a “Liz” mi colava sulla fronte.
«No, mai »
«Non basta andarsene per
distaccarsi da qualcosa. E’ utile, sì, ma non basta. La figlia di Charlie deve
diventare una storia chiusa... be', sei grande, devi capire bene che cosa è importante...»
Sospirai.
Storia chiusa.
Sembrava facile, mi era sembrato facile, e invece non era stato così
fluido e veloce come mi era sembrato quando vivevo a Seattle. Eppure, quello
che era successo con Bella diventava solo una sfumatura di quello che mi
prendeva la testa. Liz mi aveva guardato in quel modo freddo… che non le avevo
mai visto e… era colpa mia, era stata tutta colpa mia… A che cosa pensava?
Perché non aveva voluto ascoltarmi? Se non le avessi mai raccontato di Bella le
cose sarebbero state ancora peggiori? Si era accorta di quanto io non la
meritassi affatto?
Ti amo e sono un’idiota, ecco cosa.
«Storia chiusa. Bella deve essere una storia chiusa. » Continuai a
camminare. «Ma devo prima dirle… scriverle una cosa. Poi ho finito, abbiamo
finito… lei ha finito con me. E poi parlo con Liz»
Tu che mi guardi come quando sei caduta e
sanguini, tu che mi guardi così, perché è colpa mia se sei ferita. Tu che mi
lasci solo in una sala dove prima ci siamo baciati e abbiamo ballato e siamo
stati felici. Sei il presente, sei ora, ti voglio adesso.
Questo lo so.
Questo è vero.
***
Aiutai mio padre a
sistemarsi nel sedile anteriore, mentre lui, dopo di me, parlava con Sam dal
finestrino. Presi una penna, una di quelle che aveva usato Rechel quando era
venuta a Forks prima dell’estate. Poi trovai una manciata di fogli, alcuni
ingialliti e sporchi di caffè. Cercai di fermare il tremolio nella mani, mentre
scrivevo le parole che trasudavano la paura di dire addio in ogni dannata
lettera.
“Quando ti ho detto
"Aspetta", non era per altro.
So che Edward e gli
altri hanno detto a Charlie che sei malata. Forse lo sei, ma
non in quel modo.
Ti manca la tua vita, ti manca essere quello che eri, ti
manca… tutto. Ma tuo
padre sta malissimo, oggi l’ho incontrato e quando dice
il tuo nome è come se
ti vedessi di nuovo morta, con gli occhi chiusi e la pancia
squartata.
Diglielo, Bella, ti vorrà bene lo stesso. Credi che questo avrebbe
cambiato
qualcosa… se io non amassi un’altra persona?
Solo questo. Non posso
aiutarti a guarire, devi imparare a farlo da sola. Fallo
per quello che è
stato, per quello che hai detto. Devo continuare per la mia
strada e devi farlo
anche tu.
Ti voglio
bene ma tanto non cambia niente.
Jake. “
Rimisi
il biglietto in
tasca, insoddisfatto ma assolutamente consapevole di non poter fare di
meglio, trattenendo il respiro. Quando emisi il fiato, tutti quei sogni
e quegli
addii detti e sognati all’infinito scomparvero, nella mia mente
Bella era quella che avevo appena incontrato, con il suo nuovo cognome
e i suoi nuovi occhi. Misi in moto, cercando di
trattenere il tremore nelle mani.
« T-temevo di non rivederti più… non ho mai avuto così
paura. I miei ricordi da umana stanno svanendo, mi abbandonano, mi volto e mi
accorgo c-che non ci sono più. Avevo paura che lo facessi anche tu »
« Non succederà mai »
E invece stava
succedendo. Lei doveva venir fuori dalla mia vita, io dalla sua. Accompagnai
mio padre a casa e rimisi in moto il furgoncino. Quando arrivai a casa di Sue,
dissi a Seth che avrebbe dovuto dare quel biglietto a Bella, la sua espressione
sorpresa non mi fece battere ciglio.
La
verità è quel mattone che, su una costruzione di bugie, distrugge tutto. Il
dolore è quello che ti fa mangiare la polvere quando crolla.
«D-devo dirle qualcosa?
»
«Abbiamo già parlato
abbastanza »
Mi avvicinai alla porta
per uscire; aver dato quella lettera a Seth significava aver finito con le
parole e le cose non dette. Un passo avanti.
«Sei sicuro? »
«Penso che Liz sia
arrivata a casa, non voglio che mi aspetti »
Chiusi
la porta e mi
sentii l’aria in faccia, fredda, che impediva che cadesse quella
piccola parte
di buonsenso a tenermi fermo sui miei passi. Vedere Bella e riconoscere
in lei
quel desiderio perduto era stato uno sbaglio, inevitabile. Bella non era più quella che inciampava, adesso era
quella con i capelli neri e la pelle di marmo. Quando aprii la porta
avevo paura, paura di trovare davanti a me
ancor la stessa visione di poche ore prima nel ristorante.
Ma non c’era niente,
nessuno, e questo peggiorò le cose. Mi salì un batticuore immane, uno di
quelli che ti fanno rimbombare le grida del tuo cuore nelle orecchie.
Tu che te ne vai, tu che non mi guardi più, tu che mi
lasci. Tu che credi qualcosa che non è vero, io che ho sbagliato tutto.
***
«Ciao »Deglutii. Lei
lasciava la borsa appesa all’appendiabiti e si toglieva la giacca. Erano le
dieci passate, i capelli le coprivano le spalle e le spalline del vestito le
lasciavano la pelle scoperta.
«Sono stanca, scusa » mormorò. Mi
passò davanti, sfiorandomi, proprio
come prima alla festa. E ne volevo di più. Uno sfioramento che era come dare una sola goccia d’acqua ad un
assetato, uno stralcio di luce e poi il buio, il suo profumo e poi il niente.
Non potevamo andare avanti così, soprattutto perché io non ce l’avrei mai fatta.
Lei era l’unico motivo per cui avevo cominciato a vivere normalmente dopo il parto
di Bella, l’unica persona per cui ero riuscito a mostrare un sorriso sincero. E
se poi me n'ero inamorato era stato solo uno stupido gioco del destino, uno di
quelli che ti lasciano fregato. Ma se era per lei, sarei stato disposto ad
esserlo per sempre. E, prima di ogni altra cosa, non l’avrei mai persa per
qualcosa che non mi era mai appartenuto... a cui avevo
rinunciato. Perchè era così.
«Liz, dobbiamo parlare.
»
Aprì la porta della
stanza di Rebecca e si sedette sul letto, il rumore della porta che si chiudeva alle mie spalle.
Così come sei, ti amo così come sei. E il problema
sono io.
Si tolse le scarpe alte
e le lasciò ai suoi piedi, guardando in basso.
«Non è come credi… » cominciai, deciso.
Sbuffò.
«Che
cosa... vuoi che
creda, Jake? Esci fuori per prendere il regalo che hai lasciato nel
furgoncino,
torni almeno un quarto d’ora dopo con... la faccia sconvolta e i
tuoi amici ti
dicono che emani odore di vampiro. Vampiro, capisci? Tu diventi ancora
più nervoso. Paul... ti si
avvicina a te e vede che hai la camicia sporca di fango. Hai
incontrato... lei, Jake. Bella. La ragazza per cui quella sera ti
sei sentito turbato come se stessi parlando di chissà quale cosa
assurda... Oppure è assurdo tutto questo, che tu ti trasformi in
lupo o... che muori ancora per la tua vecchia fiamma
vampira? Lei lo è... è un vampiro e hai... odore di
vampiro addosso. Hai la
camicia sporca e questo significa che… vi siete buttati a
terra… e hai il suo
odore… che cosa posso pensare, Jake? »
La voce che le tremava,
mi guardò finalmente in viso, dove un lacrima brillava contro la luce al neon. No,
non piangere, non per me, non per questo. Non soffrire, non per colpa
mia, ti prego. Dammi tutto quello che provi, fallo uscire, dallo a me,
te lo curerò io. Curerò tutto con il mio sangue, se
è questo che vuoi.
Eliminai
tutte le distanze
e la presi per le spalle, forte. Davvero lo pensava? Ero stato così stupido? Potevo impazzire per lei anche per questo?
E avevo la sua pelle contro le mie mani...
qualcosa senza la quale, con il ricordo di quello che era successo
quel pomeriggio, mi aveva torturato.
«Non è successo,
Liz. Pensi davvero che... io abbia fatto una cosa del genere? Tu… tu non puoi immaginare
nemmeno.. nemmeno… »
«Non mi toccare »
Non mi toccare.
Si scostò da me.
«E’… la ragazza per cui
hai lasciato Forks. La ragazza per cui hai lasciato i tuoi amici, t-tuo padre, il
branco. Per cui hai lasciato tutto… D-dovevo aspettarmelo di non essere alla sua
altezza, vero? E poi... non voglio che mi tocchi. Non c-con il... suo odore addosso. »
Non potevo crederci.
«No, Liz, lasciami
spiegare »
«Basta, ti prego
»
«No... no, senti » insistetti.
«Voglio stare
da sola »
Sospirai. Che
sensazione… orrenda. Partiva dallo stomaco e mi rimbombava nella testa, mi
faceva sudare le mani e sentire troppo caldo, come se stessi per scoppiare.
«No, dobbiamo risolvere questa cosa, non posso lasciare che... »
« Per favore... Jake, io... sto
male, lasciami stare, lasciami stare, per favore... »
Che idiota! Il fantasma
di chi non aveva mai avuto il coraggio di amarmi davvero e di chi non avevo mai
avuto stava per distruggere tutto.
Dio mio, non posso lasciare che succeda. Tu sei tutto,
tutto. Se non ho te non ho più niente, non ho più niente.
Sospirai, guardandola
negli occhi. Lei evitò il mio sguardo, mentre le lacrime le gonfiavano gli occhi e
le facevano avvampare le guancie. Ed io mi sentivo morire. Sì, cadere nel vuoto
e sfracellarmi contro l'asfalto.
Uscii dalla sua stanza
con un vuoto che mi si allargava nel petto le macchie dei colori sui tessuti,
come il sangue che zampilla dalle ferite della carne appena trafitta.
Mi appoggiai alla porta
della sua stanza, respirando affannosamente. La testa troppo pesante, tutto che sembrava scoppiare.
«Lei
era lì a spiarci, a
spiare noi, noi due, perché, quando me ne sono andato, lei non
credeva che
sarebbe mai successa una cosa simile. E mi ha detto tutto... Mi ha
detto... che avevo ragione. Lei
muore e non se n’è accorge, ed io... gliel’ho detto.
Mi ha fatto stare male, ed io
sono stato un cretino, perché mi sono lasciato riportare...
indietro da tutti
quei… fottuti ricordi, fottute scelte sbagliate e momenti che
adesso non
contano più. L’ho abbracciata, ecco cosa ho fatto. E lei
pure, mi ha fatto
cadere perché i vampiri sono di marmo e... pesano come le
coscienze sporche. Mi ha
detto di aver sbagliato tutto e di aver scoperto quanto… ero
importante per lei. Ma io non ho fatto niente… io ho pensato...
a te. Perché... ti amo,
perché sei l’unica ragione per cui sono sopravvissuto a
tutto quello che ho
passato, perché è così e basta. Ma mi ha
distrutto, vederla di nuovo mi ha
distrutto, è vero. Ma tu sei tutto, sei quello che ho e tutto
quello che
voglio. Le ho scritto un biglietto, l’ultimo. Le ho scritto di
dire la
verità a suo padre. E di lasciarmi andare. Definitivamente. E'
finita tanto tempo fa. »
L’avevo
detto, tutto
d’un fiato. Sentivo il fuoco intorno agli occhi, qualcosa che mi
annebbiava la vista, mentre nella visione Liz mi lasciava la mano con
gli occhi rossi di lacrime.
Ti amo e lo voglio. Voglio farlo fino a quando non
muoio così, a dire ti amo al freddo con te che mi sei vicina. Non posso perdere
tutto. Sei la vita che mi scorre nelle vene, sei il giorno
che mi fa alzare dal letto, sei l’attimo in cui nasce la speranza. Sei tutto.
Toglimi il sangue e l’effetto sarà lo stesso. Il sangue, il cuore. Posso vivere
senza?
«Ti
amo » mormorai. Fui
certo che l’avesse sentito, ma non bastava. Sentivo i suoi
singhiozzi, come pugnalate lungo la schiena. Poi entrai in camera mia e
mollai un calcio alla
valigia ancora aperta che mi aveva bloccato il passaggio. Mi spogliai e
rimasi a
guardare fuori dalla finestra. Mi aveva cacciato fuori dalla stanza
lei... lei... oh, Cristo, forse era stata una delle cose più
stupide che avessi mai fatto e ci stava allontando. Non sarei mai
riuscito a dormire, non in quel modo, non con lei nella stanza accanto
che singhiozzava per colpa mia. Vedere le sue lacrime era stato come
avere dei graffi negli occhi, doloroso, inaccettabile, come se quelle ferite fossero state infliette a me stesso. La camicia puzzava di morte, vecchi ricordi e
lacrime che bramavano di venire fuori.
Il suo odore.
Avrei dovuto buttare via
tutto. Scaraventare le parole non dette e rivelate troppo tardi giù da un burrone con il
fondo nero, forse lì non sarebbero più riemerse. Forse in quel modo le avrei avrei
davvero viste cadere nel buio, dov’era giusto che fossero, e non a fare ombra sulla mia vita
come le nuvole sulla terra, quando sta per piovere.
*
*
*
*
Ciao a tutti.
Credo
che il capitolo si spieghi da solo. Non uccidetemi *-* secondo me non
poteva andare diversamente. A parte il fatto che Jacob si è
cacciato nei guai da solo, io non ho fatto niente, ma sapevo che si
sarebbe comportato in quel modo, lui è fatto così... e
abbiamo visto che cosa sta succedendo.
Grazie davvero.
Un bacio
Ania.
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Capitolo 48 *** 48 ***
jake 48
I learned to live, half alive
and now you want me one more time
who do you think you are?
runnin’ ’round leaving scars
collecting a jar of hearts
tearing love apart
Cristina Perri - Jar of hearts
Sette giorni.
Fui bombardato da un mal di testa simile a tante martellate in piena fronte. Uscii dalla mia
camera, sbadigliando, mentre
mio padre preparava l’astuccio con tutti gli attrezzi per la pesca.
Sarà una giornata orrenda anche oggi.
«Lei non c’è »
Parlò ancor prima che io gli facessi notare la mia presenza con il solito e
noiosissimo saluto mattiniero.
Lei non c’è.
Annuii, anche se
non andava bene per niente, passandomi una mano fra i capelli.
Mi
sedetti sulla sedia,
il legno che cigolava sotto il mio peso, cercando di reprimere ancora
una volta quell'incredibile impulso di spaccare tutto.
Spaccare. Tutto.
Liz.
Ero riuscito ad
incrociarla per pochissimo tempo; se ne veniva fuori con scuse tipo andare a
comprare qualcosa con Leah, fare un giro con Kim… oppure usciva a la mattina
presto, prima che io mi svegliassi dopo le terribili ore di sonno che passavo
in quel letto dalle molle rumorose.
«Charlie ti passa a
prendere? »
«Se vuoi sapere
dove è andata, non ne ho la minima idea. Quando mi sono svegliato il lavello
della cucina praticamente splendeva e tutto era in ordine. Lo sai che non è mai
così »
Sospirai.
Mi faceva male la
gola, forse perché ci erano rimaste dentro le soluzioni spiegate in tutti
i modi possibili per chiarire quello che era successo. Liz mi stava evitando
e questo mi faceva sentire bruciori interni che andavano assolutamente oltre il
singolo fatto di provare dolore. E fai fatica a tenere gli occhi aperti perché tutto è troppo pesante, troppo difficile. Insopportabile.
Senza di lei.
«Comunque, se vuoi
mangiare, ho fritto le uova, sono sul mobile, nel piatto sotto la carta
stagnola. C’è pure un po’ di pancetta… »
«No, non mangio »
Mi guardò.
Io non feci altro
che alzarmi e andare a guardare quello schifo di cortile fuori dalla finestra.
Cielo nuvoloso.
Dio
santo, voglio strapparmi la bocca per non
sentire mai più il sapore di Bella. Non voglio più le
braccia, non voglio più le mani con cui l'ho toccata. Non voglio più niente. Come
faccio a farti capire quanto ti amo? Come faccio?
«Mai successo »
constatò.
«Felice di essere
la nuova cavia per i tuoi esperimenti licantropici »
«E io sempre più
intontito da voi due che vi evitate da una settimana senza nemmeno cercare di
fermare l’evidentissimo fatto che volete smetterla. »
Sbuffai.
Ero
davvero così patetico? Cavolo, non dormivo la notte pensando di
poter entrare
in camera sua senza fare rumore, pensando che lei avrebbe capito tutto
e che avrei
finalmente placato quel bisogno di staccare la spina, affondare in quel
posto
dove c’era tutta la linfa vitale del mondo. Volevo sentirla di
nuovo ridere, ritrovare quello che si era improvvisamente perso.
Ma finivamo per
scontrarci nel corridoio con un impatto così catastrofico che lei non
riusciva a guardarmi nemmeno un secondo di più invece di quel poco che mi
concedeva.
« Non è vero, noi…
»
Un clacson suonò
due volte, deciso.
«E’ Charlie » mi
interruppe lui, prendendo gli attrezzi.
«Ma vedi che
sicuramente oggi piove »
«E tu vedi che è
molto meglio così, hai delle cose da fare e io non voglio starti intorno »
Sospirai,
esasperato.
***
Lei non c’è.
Presi la forchetta
e tastai la lasagna nel piatto. Era una delle poche volte in cui la madre di Quil cucinava per noi e ci lasciava soli in casa.
Non è possibile. Perché sembra che la tua
assenza sia una persona che mi infila la mano nel petto e mi fa saltare
il cuore. Come posso fartelo capire, se mi eviti così? Dio, mi manchi e non
riesco a dimostrarlo senza nemmeno balbettare un “ti amo”. Anche se tu inciampi
nelle tue stesse frasi e svii lo sguardo ogni volta che ti fermo in casa, o
fuori.
Stai pensando alle parole giuste per dire che per te finisce qui. Stai pensando a quanto è meglio stare
senza di me adesso che ho fatto la cosa peggiore che avrei mai potuto pensare.
Me lo merito e lo so,
e anche per me finisce qui, se te ne vai. Non ce la faccio a stare senza di te,
non ce la faccio… io…
«Lupo dal pelo
spelacchiato! »
«Che… cosa? »
sbiascicai, affondando la forchetta nella pasta.
«Te l’avevo detto
che se continuavi a chiamarlo Jacob non funzionava » disse Paul. Il numero uno
al campionato dei cretini con il gene di lupo.
«Bah, ma finitela » Mandai giù un boccone, il primo di tutta la giornata. Perfino il cibo aveva un
sapore amaro quando mangiavo. Cercai di concentrarmi su quel gioco a premi che
davano in televisione con un conduttore vecchio e dall’accento da far venire il
prurito alle orecchie.
Pensavo a Liz e
addio connessioni con il mondo reale.
«Ma perché fai
così? »
«Non sto facendo niente »
«Nervosismo.
Suscettibilità. Frustrazione. » elencò Jared, seguito da Paul che gli dava
delle pacche sulla spalla.
Ma perché avevo
degli amici così incredibilmente stupidi? Avevo fatto qualcosa di male per
meritarli? Ah, sì, bene…
«Tutti sintomi che
derivano da un’eccessiva astinenza sessuale »
La lasagna mi andò
di traverso, la gola che sembrava graffiata da un grande masso di pietra.
«Stai. Zitto. »
«Richiesta di
tranquillità. Aggiungilo alla lista dei difetti di Jake nelle circostanze
speciali, Jed » fece Paul, « Lizzy ti sta facendo penare, eh? »
Mi alzai in piedi,
cercando di respirare normalmente e di recuperare la – perennemente inopportuna
– temperatura normale. Il viso in fiamme e la testa incredibilmente pesante.
«Cazzo, questa
faccenda… »
«Il fatto che sei stato così
cretino da diventare per l’ennesima volta il burattino di Bella in modo da
litigare con Lizzy? Ops, questo ce l’eravamo dimenticato, ed è pure il più
importante. » Qualcosa scoppiò, nel fondo.
Vi odio, vi odio, vi odio. Tutti.
«Chiudi la bocca.
Adesso. »
E Odio me stesso.
Lo avevo preso per
la maglietta e sbattuto contro il muro ad una velocità che aveva squarciato
l’aria. Lui stringeva i denti in una smorfia con l’alito che puzzava di
birra. Quello era l’imbecille che aveva avuto l’imprinting con mia sorella.
«Non
ti scaldare »
mormorò. «Non è mica mia la colpa se stai perdendo
tutto per la seconda volta » Partì un calcio.
NO.
Non sta succedendo, è colpa mia ma non è
vero. Ora mi sveglio e c’è lei che apre le tende della finestra, c’è lei che mi
sfotte perché mi alzo tardi, e poi…
Rantolai qualcosa
simile a un ringhio.
Fa male, fa male vero? Quando ti scivola
tutto dalle mani, quando pensavi che tenere tutto stretto fosse anche da
perdenti e adesso ti ritrovi così, senza più niente. Ti separa dal nulla solo
una parola, una frase, uno dei tanti silenzi che hai accumulato in queste notte
e in questi giorni. I suoi silenzi.
Hai più pensato a quanto era bella nel giorno
del suo matrimonio? Hai finito di farlo dal tempo che serviva per spaccarle il
cuore a metà mentre tu ritornavi in vita con Liz.
Ora pensi a lei.
E la stai perdendo.
«Basta, ragazzi.
Basta. Ora la smette. Giusto, Paul? »
Embry fermò il
pugno che stavo così orgogliosamente dirigendo verso la mascella di quell’idiota.
Mollai la presa dalla sua maglietta; lui ricominciò a respirare, poggiandosi al muro con una mano.
Era tipico di lui comportarsi in quel modo, ed era sempre preciso nel scegliere
i momenti più critici. Come si vive, Liz? Come? Non ci riesco se non me lo insegni tu.
«Dai, vieni a
mangiare, altrimenti si fredda » fece Quil. A volte sembrava che fosse il più
pacato di tutti, beato lui che ci riusciva.
«’Giorno! » Seth
entrò in casa sorridendo con le chiavi della porta in mano, «C’è ancora un
posto? »
«Ehi, Seth. Oggi Paul ha
passato la maggior parte del tempo ad affinare le sue tecniche per sfottere e
non ha finito ancora il tegame. Vuoi fare una gara? »Embry lo salutò.
«Per forza! »
Em
raggiunse il frigorifero per recuperare un’altra lattina di coca-cola. Poi, mentre
mi sedevo di nuovo a tavola cercando di non fulminare Paul con lo sguardo,
sentii qualcosa che si andava a infilare nella tasca dei jeans.
Guardai Seth, con
un segno mi fece capire di infilare quel foglietto verso l’interno della tasca.
«Mi ha detto di
dartelo. Vedilo dopo »
Annuii.
Le prime ore del
pomeriggio passarono fra discorsi e risate, a volte forzate, a volte erano
quelle che mi facevano sentire senza pensieri anche se per pochissimo tempo.
Lasciai vincere
Jared ad un nuovo gioco della sua playstation e lasciai che mi travolgessero
con tutti i loro gesti quotidiani, che non avevo mai dimenticato.
Mi
incamminai a
casa dopo un paio d’ore, avevo inventato una scusa poco credibile
che aveva ritrovato segni di assenso finti come la loro capacità
di
sembrare seri anche per un secondo. Come se non bastasse, avevo in
tasca il biglietto della persona che era la causa di tutto quello che
mi stava succedendo.
Quando
l'hai vista hai pensato di amarla ancora, come nei ricordi. Non
confondere la vita con i sogni che non si sono mai realizzati.
Ed ora mi ritrovavo
sotto un cielo nuvoloso a calmare il respiro come
se mi fossi appena messo a correre.
Aprii il foglio di
carta.
“
Te lo prometto, se lo vuoi. Io voglio bene a Charlie,
mi... manca e spero solo di
trovare il coraggio di poterlo affrontare.
Passeremo tutta la vita così? A scriverci le frasi sui fogli
di carta come... come prima, Jake? Vorrei rivederti di
nuovo, quando ci sei quello che
sogno con gli occhi aperti sembra essere esistito davvero.
Ti voglio bene.
Bella.
”
Ti voglio bene ma tanto non cambia niente.
Divi smetterla di dirmelo. Devi smetterla.
Arrivai a casa
torturando il foglietto tra le mani, fin quando anche solo tenerlo in mano
divenne un peso troppo grande. Non puoi farlo, Bella. Non puoi.
Lo strappai in due e lasciai che cadesse per
terra, l'eco della carta strappata che mi entrava nelle orecchie. Fu
come sentire uno strappo al cuore, in un istante; ma quando il dolore
finì, ne
ricominciò un altro ancora più grande.
Non
posso. Non posso. Non riceverai un altro biglietto, non ci sarà
più nessun ti voglio bene scritto con le lettere sbavate,
cancellate con quelle righe decise che non ci sono mai appertenute. Non
ci sarà più nessuna parola, nessun momento, nessun sogno.
Svegliati, Bells, devi svegliarti. I tuoi sono incubi e non lo sai.
Io sono il tuo incubo e il tuo sogno migliore ma non è
vero. Io non sono più niente.
Non siamo niente, Bells.
Non potevo più
essere spezzato in due.
Non più.
Poteva ridurmi in
frantumi una sola persona... lei doveva saperlo e, senza fare niente che andasse
oltre il suo comportarsi come mi meritavo, mi stava già distruggendo.
Presi un respiro profondo. Liz era la mia vita e la stavo lasciando passare.
Dovevo ricominciare a viverla.
*
*
*
*
Ciao a tutti :)
spero che questo appena pubblicato vi sia piaciuto.
E
poi... insomma, ve lo dico. Voi non potete nemmeno immaginare quanto mi
rendete felice con quello che mi scrivete nelle recensioni. Virginia
che arriva, anche se tardi, e che quando arriva mi fa piangere; J che
mi segue con un affetto incredibile, che mi scrive cose meravigliose ed
io che non so davvero come dire grazie; 4lb1c0cc4 che c'è da
tanto e mi fa tanto piacere con la sua presenza, Caterina che
c'è dall'inizio <3, Maria che mi ha scritto delle cose che mi
hanno fatto venire il batticuore, le lacrime e i brividi insieme;
Roberta87 che mi ha regalato parole assolutamente bellissime ed io ho
ancora gli occhi a cuore quando ci penso e anche Steffy, oddio, non so
come dire grazie oltre al fatto che mi emoziono sempre quando vi leggo
e Teresa, che con la sua cucciola trova il tempo di leggere e a
volte anche di commentare :) ma anche tutti gli altri che commentano
ogni tanto e che sono tanto importanti, soprattutto chi legge :)
GRAZIE DAVVERO.
La
canzone all'inizio è di Christina Perri ma io ho linkato una
versione maschile. Il significato è davvero perfetto per Jake.
A prestissimo <3
Con affetto, Ania.
|
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Capitolo 49 *** 49 ***
jake 49
Time and time
I've thought through it all,
how we loved and laughed
and now we fought each
other,
pushing one another
to somebody else
Love's to blame -
Joel&Luke
Liz
La donna ha i capelli neri e lunghi che volano al
vento, l'uomo la stringe e la bacia. Una luce nasce dal petto di lui... ti
acceca, non riesci a vedere.
Poi i tuoi occhi si abituano.
I capelli di lei
prendono sfumature ramate, sempre più forti, sempre più evidenti. Si stringono.
Lui è Jake.
Aprii gli occhi.
Lei è Bella.
Mi rigirai nel letto e cercai di ritrovare il respiro
normale.
Non sognavo mai e le poche volte in cui succedeva il
mio cervello elaborava immagini che avrei voluto dimenticare all’istante. Avevo
avuto incubi dopo aver saputo che mia madre non sarebbe più tornata a casa,
dopo aver preso coscienza della scomparsa di Ronnie e di come erano realmente
andate le cose. Poi dopo essere sopravvissuta ai Volturi.
Per più di due settimane mi ero svegliata
quasi ogni notte con la gola secca per le urla. Poi Jake mi abbracciava e
finiva tutto... le sue mani calde mi afferravano le lacrime e la sua bocca finiva sulla
mia.
Adesso tremavo ancora, battendo i denti, con il freddo
nelle ossa.
Ora i tuoi incubi sono a causa sua.
Mi alzai dal letto.
Nel momento stesso in cui Jacob era tornato nel
ristorante mi era sembrato un'altra persona, come se sapesse benissimo dove
andare e si fosse ritrovato in un posto che non aveva mai visto prima.
E' una tua impressione, Liz. Jake non è così.
«Era Bella, e ora sta zitto. »
Trattenni il fiato, mentre mi accorgevo delle lacrime
che mi si aggregavano intorno agli occhi.
Jake, è tutto finito? Sei entrato nel mio mondo e mi
hai fatto entrare nel tuo, sotto lo stesso cielo, o forse più su. Ora sta piovendo.
Mi vestii velocemente e mi legai i capelli in una
coda. Troppo lunghi.
Quando ti abbraccia gli piace attorcigliarti i capelli
con le mani, ti solleticano la schiena mentre lui affonda la bocca nel tuo
collo. E’ lui e lo ami, lo ami più di qualunque altra cosa al mondo.
Sospirai.
Bella.
Doveva essere una di quelle ragazze per cui i tutti
girano la testa quando passano, per cui perdono la testa anche se forse non
hanno molte più qualità a renderle migliori rispetto a quelle che vengono
lasciate inosservate; niente a che vedere con me.
Forse proprio per quello mi faceva venire i brividi.
Che stupida che sei. Pensavi che fosse soltanto una
storiella passata e invece è l’intreccio che ha squarciato la tua.
Chiusi l'anta dell'armadio. Se l’avessi odiato sarebbe
stato più semplice, se non mi fossi sentita il cuore battere a mille mentre
piangevo e lui mi diceva "ti amo" contro la porta, avrei potuto
lasciare tutto alle spalle.
Per smettere di amare ci vuole coraggio.
Io non sono mai stata coraggiosa.
Perché quando pensavo a Jacob mi chiedevo come avessi
fatto per tutti quei giorni ad evitarlo mentre lui cercava di parlarmi. E il
motivo era solo uno: non riuscivo a trovare le parole giuste per dirgli quello
su cui avevo riflettuto per tutta quella settimana. Il pensiero di lasciarlo mi
attraversava la testa e mi gelava il sangue; eppure credevo che fosse l'unico
modo per marcare la linea che si trovava tra me e il suo passato. L'unica cosa
giusta per me, per lui... per entrambi. E mi faceva male, perché era l'ultima cosa che volevo.
Non mi toccare, non con il suo odore addosso.
«Ciao, Lizzy » sussultai. Billy era in cucina a
curiosare fra un mare di cianfrusaglie, molti di questi erano attrezzi da
pesca, cosa che riusci a capire nonostante i miei occhi assonnati.
«Oh, ciao » dissi.
«Sei molto mattiniera » mi sorrise. Aveva la stessa
fossetta al mento di Jake.
Jake.
«Ehm, sì. Hai già fatto colazione? » chiesi.
«Sì, nessun problema.Oggi vado a pesca e stavo risistemando
un po’ di cose. Potresti prendermi quell’astuccio nero lì in alto? »
«Sì, certo »
Mi avvicinai allo scaffale e allungai la mano.
Jake. Jake. Jake. Perché non faccio che pensare a te?
A quando ti passo la chiave inglese in garage, a quando ti faccio vedere che la
so usare bene quanto te, a quando mi vieni a prendere con la moto, a quando
andiamo in spiaggia... a quando mi hai toccata per la prima volta. Ci sono i
vampiri, i licantropi e siamo lontani.
Mi fa male amarti, Jake. E mi sto ferendo.
C’era un astuccio in pelle, abbastanza pesante. Mi
alzai sulle punte e lo recuperai.
Preso.
Sentii qualcosa colpirmi i piedi... sembrava un album
di fotografie; lo presi in mano e posi l’astuccio a Billy.
«Ah, allora era lì. Era da un sacco di tempo che lo
cercavo. » disse.
Rimasi in mano con quel libricino dalla copertina
verde e cartonata, senza osare guardarci dentro. Insomma, magari dentro c’erano
delle foto di quando…
«Puoi aprirlo, se vuoi. Non ti mangia »
Cercai di sorridere. Ero costantemente tesa, pronta a
scappare per qualunque motivo in un’altra stanza al suono di quellavoce,
perché non riuscivo nemmeno a guardarlo per più di un
secondo senza
riuscire a trovare la volontà di reprimere l'istinto di buttare
tutto all'aria. E di ascoltare il cuore, che in quel momento parlava
una lingua assolutamente incomprensibile.
«Ok, grazie »
«Credo che in ripostiglio ci siano anche dei vecchi
colori a tempera. Oggi pomeriggio, verso le cinque, puoi darci un'occhiata »
«Ok, va benissimo »
«Ah, siccome fra poco me ne vado, adesso puoi fare
colazione e puoi tenerlo. Tanto… anche tu devi uscire stamattina, con Leah,
giusto? »
«Sì» La risposta era sempre la stessa da almeno una
settimana. «Potresti, per favore... non dire a... »
« Ok... stamattina non ti ho visto » Fuggire dalle
cose che amavo si era rivelata la cosa più difficile che potessi fare, eppure
ci stavo riuscendo in una maniera talmente buona che sembrava che al mio posto
camminasse un’altra persona.
***
«Sembra che l’unica tappa rimasta sia il nostro
piccolo centro commerciale » Leah mise in moto la macchina, premette
l’acceleratore e si passò una ciocca dietro l’orecchio.
«Come fai ad avere dei capelli così lunghi? » mi
chiese, « I miei sono poco dopo le spalle e li odio, mi farò un taglio alla
soldato Jane in uno dei miei momenti di massima intelligenza ».
« Be’… prima mi piacevano. Adesso non so… »
«Sai, quella stronza di Bella Cullen ce li aveva anche
più corti dei tuoi. Forse si sentiva figa, chi lo sa »
Sussultai. Perché lei era sempre dappertutto? Ecco,
sicuramente in quel momento Jacob era da qualche parte e non mi pensava,
addirittura poteva essere con lei ed io...
«Oh, scusa. Non ci avevo pensato »
Girai la testa dall’altro lato del finestrino e cercai
di trattenere nel cuore tutte le parole pungenti che mi stavano venendo in quel
momento. Che quella Bella aveva perso tutto e non aveva nessun diritto di
intromettersi in quello che non le riguardava più. Che poteva credersi migliore
di me quanto voleva, in fondo adesso era la super e bellissima vampira
immortale, no?
Vattene, vattene, vattene via, questo non è il tuo posto, non
lo è mai stato. Annegherai in tutta questa magia e tu non sai nuotare. Finirai
sul fondo e non emergerai più.
«Tu e… Jake, come va? » chiese.
«Be’… insomma…»
«Ah, Liz, è un idiota, tanto per fartelo sapere. E… se
è vero che non gli parli e lo eviti e cerchi tutte le scuse per non stare nella
stessa stanza con lui… be’, allora credo che tu sappia quanto… sì, devo dirlo,
quanto stia male. »
Il mio cuore ebbe un tonfo. E’ bello quando ti sudano
le mani, quando diventi così rossa che sembri un camaleonte che si vuole
mimetizzare con il sedile...
«Ma... »
«Si è fatto imbambolare e ha fatto una stronzata e lo
sa così bene che ormai ha in testa un intero vocabolario di insulti verso se
stesso. Si odia ed è… »
«Io non posso continuare così. »
Oh, Dio, mi manchi più della mia casa, del sole, dei
giorni passati a letto quando è inverno. Mi manchi più dei colori, della luce.
Fammi tornare indietro. Perché è successo?
«Vuoi lasciarlo? »
Feci un respiro profondo.
«Odio questa situazione »
«Me lo immagino morto, già pronto per essere
seppellito. Ma ehi, non sbiancare, l'effetto non è come la nana veggente e lo
sai... ma tu sei molto più carina di tutti quei modelli che sembrano di
plastica, contaci. Va bene, okey, non voglio intromettermi nelle tue questioni.
Devi aiutarmi a scegliere una buona marca di eyeliner e dopo mi insegni anche a
metterlo perché altrimenti l’effetto sarà a
ho-un-occhio-nero-che-dovrebbe-essere-figo-ma-non-lo-è, e Brian mi
prenderà in giro e io devo dimostrate non a lui ma a me stessa che posso
cimentarmi anche in queste cose complicate. D’accordo? »
«C-come vuoi » cercai di mantenere il controllo di
quel battito così accelerato; sembrava che stesse per sfondare in petto e
volare via come se fosse stato messo lì dentro contro la sua volotà. O forse lui l'aveva
portato con sè, e ci faceva davvero tutto quello che voleva.
Ma io non ho fatto niente… io ho
pensato... a te. Perché... ti amo, perché sei l’unica ragione per cui sono
sopravvissuto a tutto quello che ho passato, perché è così e basta.
Non potevo essere così debole. Non potevo
tornare indietro... ed io e Jacob non potevamo più stare insieme. Era stato
aperto un varco, e ci passavano tutti momenti che non avevo passato con Jake.
Poteva una persona che era morta rovinare tutto?
***
Guardai l’orologio. Billy doveva essere
tornato a casa, e avremmo dovuto vedere la vecchia collezione di colori di
Rachel.
Infilai le chiavi nella serratura,
incerta. E se ci fosse stato Jake? Che cosa avrei fatto? Quando si trattava di
aiutarlo a matematica tutto sembrava ancora più semplice... fin quando non era
lui a distrarmi. E poi doveva esserci la sua quasi fidanzata trasformata in
vampira a farmi sentire inadeguata.
Non sei abbastanza.
Attraversai la soglia.
«Billy? »
Nessuna risposta.
Bene, e adesso? Un qualche presentimento
mi diceva che aspettare che il padre di Jake tornasse a casa per mostrarmi quel
vecchio set di pennelli fosse una cosa un po’ vana, un’altra mi diceva che
Billy era una persona troppo gentile per mettersi a fare quegli scherzetti.
Oppure sì? Jake doveva aver preso da qualcuno, in fondo. Be’, lui era il primo
quando si trattava di organizzare scherzi e scemate varie, ed anche il più
bravo, forse. E alla fine finivamo con il ridere fino allo sfinimento, sentendo
addirittura male allo stomaco…
Presi un foglietto nel caso Billy fosse tornato e scrissi che sarei
andata in spiaggia. In un altro momento mi sarei messa a scarabocchiare qualche
disegno che qualcuno si sarebbe ostinato a chiamare opera d’arte ma, nel pieno
delle mie facoltà mentali, avevo lasciato tutto a Seattle.
La sera in cui ti ha parlato di lei hai visto il suo sguardo, come si è
comportato. Poi la luce si è spenta, hai sentito il sole ovunque e ti sembrava
impossibile che qualcosa di così bello potesse essere portato via da qualcosa
che non esiste più.
Apri gli occhi, Liz. C'è buio anche con la
luce accesa.
Mi rimisi la borsa in spalle e raggiunsi
la grigia spiaggia di La Push.
Mi sedetti su uno di quei tronchi secchi
posizionati qua e là, di fronte all’oceano. Nella mia tracolla, fra carte, smalti comprati al
centro commerciale e un libricino tascabile, trovai il vecchio album di
fotografie.
Cominciai a sfogliare le pagine. Le due
bambine con i vestiti uguali erano le gemelle Black, quasi identiche. E poi, un
po’ di pagine dopo, la foto di una donna dai capelli neri e la pelle ambrata;
Sarah, la madre di Jake, con il pancione.
Una strana frenesia mi portò a riconoscere
il sorriso su quel volto che sapeva di amore.
Passai avanti con le foto e mi fermai quando
vidi un bambino in costume che costruiva un castello di sabbia. Con lui, una
bambina dai capelli scuri e la pelle pallida come il latte.
Insieme a loro c'erano Billy, Sarah e un
uomo con i baffetti.
Tirai la foto fuori dalla pellicola
trasparente, cercando di trattenere quell’ispiegabile batticuore.
Billy, Sarah e Jacob. Bella e Charlie 17
Luglio 1998.
Rigirai la foto. La bambina guardava
l’obbiettivo con gli occhi a festa, le mani piccole coperte di sabbia, le guance rosse.
E il bambino con lei, quello che le
allungava la mano per prestarla la paletta, era Jake.
L'hai toccata, l'hai abbracciata, l'hai
baciata... come, Jake? Ti sono rimasti i segni sulla camicia come quelli
dentro di te.
Sentire la sua mancanza e desiderare ancora
di stare con lui non bastava per risolvere le cose. Quello che era successo con
Bella lo aveva segnato, ed io non potevo fare niente per cambiare quello che
era successo e trasformarlo in qualcos'altro.
Non possiamo più stare insieme, non così. La nostra immagine è riflessa su uno specchio spaccato e ho
paura. Ho paura perché rinunciare a te sarà come vivere all'ombra per
sempre, quando i raggi del sole bruciano. Lei è morta e fa questo, lei è
morta e ti ha portato via. Lei è morta e sta uccidendo anche noi.
«Liz»
Trattenni il fiato.
L’aria si era fermata.
Non voglio voltarmi perché questa volta
non posso scappare, perché mi costringerai a guardarti negli occhi, perché per
smettere sarò costretta a chiuderli e allora diremo addio a tutti i presupposti
per comportarci da persone mature. L’amore è qualcosa di troppo grande, in
confronto sei sempre troppo piccolo, troppo fragile, troppo impreparato.
Mi sentii sprofondare.
*
*
*
*
Ciao a tutti :)
Grazie
per aver letto, vi ringrazio tanto :)
So
di aver interrotto il capitolo in un momento... non proprio apportuno.
Chiedo scusa! Voi cosa vi aspettate? E che ne pensate di questo POV? ^_^
Siete fantastici, non so cosa farei senza di voi :)
Con affetto, Ania
|
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Capitolo 50 *** 50 ***
jake 50
Close enough to start a war
All that I have is on the floor
God only knows what we're fighting for
All that I say, you always say more
I can't keep up with your turning tables
Under your thumb, I can't breathe
Tourning Tables - Adele
Mi sentii sprofondare.
Sei
qui, adesso. E sono ferma, perché la sabbia è diventata
radice e tu sei la stessa acqua che mi fa
vivere e la stessa che mi intossica il cuore.
Presi l’album dalle gambe e lo rimisi nella borsa.
Bella e Jake, Luglio 1998. Bella e Jake. Da sempre.
Chiusi la cerniera con una lentezza infinita, mentre contavo nella mente i passi
che mi separavano da lui.
«Io.. ascolta...»
Non farlo, Jake.
«Come
sapevi che ero qui?» la mia voce traballò.
Poi sentii il suo peso che faceva aderire ancora di più il
tronco sulla sabbia.
Era accanto a me.
Jake.
«Ho trovato il biglietto in cucina» la sua voce, familiare e viva, era sbiadita, sbiadita in quei giorni.
Cuore a mille.
Se lo guardi negli occhi sei finita.
«Ah...
Era per tuo padre. Mi aveva detto che... mi avrebbe fatto vedere una
collezione di pennelli di tua sorella... ma non c'era.»
Scompari, scompari, scompari...
«Mmh, non mi ricordavo nemmeno che ne avesse una. »
Ti
ricordi però, con chi facevi i castelli di sabbia. Forse la ami da quando nemmeno sapevi che cosa
fosse l'amore.
Sospirai.
«Sono
passati più di cinque secondi e non sei scappata»
fece
quel sospiro che gli
veniva sempre fuori quando sorrideva e quasi addolcì tutto il
resto. Ma le cose andarono diversamente: percepii il sapore amaro della
sua espressione come se stessi davvero assaggiando qualcosa.
Assomigliava alla terra sulla bocca, come quando ero inciampata in
campeggio. Perché sentivo più dolore dei denti contro le
labbra?
«Liz, guardami »
Il calore del suo corpo a pochi centimetri da me.
Non
i passi falsi, per favore, Jacob. Tirami fuori solo parole, non sospiri,
tirami fuori quello che sono, non quello che ho paura di essere. Tirami
fuori. Perchè ho bisogno di te anche per mandarti via?
Finivo per immaginarlo ad occhi aperti e a non vedere più niente. A
spostare gli occhi dalle sue labbra e a sentire il mio cuore che batteva come
se volesse venire fuori.
Mi mise una mano sotto il mento, mi toccò.
Non puoi farlo. Non. Puoi. Farlo.
Chi sei? Chi sei per farmi questo?
Spostò una ciocca di capelli dietro il mio orecchio,
disegnandomi una linea infuocata sulla guancia. Mi costrinse a guardarlo
negli occhi, neri eppure quasi trasparenti, con quelle ciglia così lunghe che
sembravano ombre.
Mi morsi il labbro. Ti
prego, Liz, torna in te, non farti ingannare. Il cuore ti infila
parole, le lancia fuori, ma poi tornano indietro. Tornano sempre.
«Jake... no»
Dio, com’era…
bello, ma non potevo...
Jake
e Bella 1998. Jake e Bella da sempre. Forse ancora prima di nascere.
Forse il sole è nato, ha spianato la strada e li ha messi
già insieme.
Le sua mani grandi mi sfioravano il viso; e mi mancava il fiato,
come se avessi improvvisamente perso l’ossigeno o la capacità di inspirare e espirare.
C'è sempre l'ombra di Bella.
Prendere fiato e farlo andare fuori.
O l'ombra sono io?
Divenne teso, subito, come se le mie parole - solo l'aver pronunciato il suo nome - gli avessero
elettrizzato la punta dei capelli. Lo sentii barcollare attraverso le mani,
mentre i suoi occhi si facevano lucidi.
Io sono le lacrime dei tuoi occhi. Adesso cado, Jake. Sto per cadere.
«Vuoi lasciarmi, Liz?»
Il nero. Mi apparve in testa un acqua sporca che come una
cascata mi arrivava in bocca e mi faceva annegare.
La gola mi divenne secca, come se fossero stati assorbiti
tutti liquidi che mi permettevano anche solo di buttare giù tutto.
«Non posso più stare con te»
Aspettai che la terra mi risucchiasse.
«No. » tremò. Io mi ero persa nel suo viso, il viso dalla
pelle bruna, quello che riconoscevo al buio, senza vedere, con un
sussurro.
Non puoi continuare così.
Ma non volevo essere una ruota di scorta, la
medicina che serve come calmante, quella che c'è perché
è una cosa buona.
E lui sbiadiva,
sbiadiva perché il mio cuore si consumava nel mio stesso sangue,
che sgorgava da nuove ferite.
«Liz,
ti prego.» si morse il labbro e trattenni un gemito, come se
avessi sentito il dolore al suo posto, « Lo so che ho
sbagliato... c-che non dovevo farmi
condizionare da una persona che non è più niente, lo so e...
mi dispiace, MI DISPIACE, mi odio.
Non faccio che pensare a te... a tutto quanto. A quanto sono… »
le le sue parole facevano male mentre la voce, ruvida e allo stesso
tempo calda, sembrava poter essere lo specchio di quello che sentiva.
«Jacob... »
Si
fermò un istante, lasciò il mio viso e si alzò. Il
distacco fu talmente brusco da farmi chiudere gli occhi. Sarà per sempre, Jake?
«...maledettamente
idiota. Lei non… io non penso a lei, non c’entra
più niente. E’ che la notte non dormo...
e mi odio e… ti amo, Cristo, ti amo.
Sono un idiota e voglio morire e me lo merito, se adesso cade un
meteorite e
colpisce proprio me, non può che farmi un... piacere. »
Sospirò rumorosamente, i muscoli contratti e la mascella
serrata.
Bella e Jake da sempre.
«No, non è vero...» la mia voce si inclinò. «E'
lei che vuoi... altrimenti non ti saresti comportato così. »
«No! » fu quasi un urlo.
«Non fare così, per favore... »
«Così
come? Ho capito, Liz, non sono mai stato così male, ma io non ce
la faccio... >>
«Jacob, non puoi dire che non te ne frega più niente di lei...»
«Perchè dovrei dirti una cosa che non è vera? »
Scalciò
un sasso verso la riva. Mi alzai anch'io e fu un'idea orrenda, le gambe
non si reggevano.
Sii forte.
Deglutii.
Ora.
«Jake,
non... non prendermi in giro. E' passata una settimana, non si smette
di
pensare... ad una persona in una settimana. E a lei pensi ancora. E lo
sai qual è la cosa
peggiore? C-che adesso quello che abbiamo passato non... conta
più. E
non conta più perché... tutto quello che è successo
fra noi... è successo prima che tu la rivedessi. » chiusi
gli occhi, per poco, per ricacciare indietro le lacrime. Non fermarti. Oddio, era tutto troppo difficile. Qualcuno
mi porti via, qualcuno mi prenda, qualcuno, da sotto la terra, da
lassù... « Non sono stupida,
Jacob. E non sono quella che è sempre disponibile, che accetta
tutto senza controbattere. Jake, io non sono così, non posso esserlo. »
Perchè vuoi essere lei, vero? Morta, bellissima, sempre uguale, che beve sangue. Vuoi essere lei.
«Piccola...
senti, non hai capito niente. E' solo un... mare di bugie. Ed io sono in
un casino di merda perché tu ti sei convinta di una storia che
non esiste. » mi guardò. Il fiato caldo che mi sfiorava la pelle, come se fossimo abbracciati.
Perchè io voglio solo te. Non lei. E lei c'è sempre. Sempre.
«Esiste
invece! Ho visto... ho visto l'album delle tue foto, lei c'era quando
eri piccolo... » mi voltai e lui rimase a fissarmi. Sentivo il
suo sguardo lungo la schiena. Aprii la zip e gli sbattei la foto
sul petto, quella che avevo tolto dalla pellicola. «... eravate
piccoli entrambi, lei c'è sempre stata.
Quello che provi per lei è forte e io non l'ho cancellato e... »
«No! Non esiste più, te lo giuro sulla mia vita,
n-non puoi volere questo. Te lo prometto, te lo giuro, Liz, così mi uccidi, ti prego... »
«Tu pensi a lei. Tu vuoi lei.»
«Ah, no, questa è una cazzata bella e buona, non
capisci... »si rigirò la foto dalle mani e la
poggiò sul tronco, rapido, con un'espressione in volto che non
gli avevo mai visto. Dolore, rassegnazione, rimpianto, nostalgia,
dolore ancora, cos'era? Io non c'ero, non c'ero più.
«L'hai rivista di nuovo?» la mia voce era rotta. Rotta la voce, rotta io, tutto si era spezzato.
«No, e non voglio»
«Allora... le hai scritto un messaggio, qualcosa, l'hai sentita...»
«Era
un addio. Se le ho scritto due cazzate era solo per Charlie, suo padre,
perchè è buono e non merita di essere preso in giro. Se
mai andrò da lei di nuovo, sarà per un funerale.»
Sospirai e fu lo sforzo più grande che mi potesse tenere ferme le
lacrime.
«Ma
le hai scritto, Jacob! E io come mi dovrei sentire? Io ero da qualche
parte, chissà dove, a stare male per te... e tu le scrivevi una
letterina! Complimenti, Jake, questa è grossa.» Non potevo credere alle mie orecchie. Sabbia, risucchiami.
«Grossa
un cazzo! Fra noi c'è molto di più di questo. Liz, per
favore, non puoi... non puoi aver scordato tutto... » cercò di
afferrarmi il braccio, ma io mi scostai.
«E'
stato tutto stupendo e da favola. Perché lei non c'era. O
almeno, così mi sembrava. Chi mi assicura... che tu non pensassi a
lei quando stavi con me? Quando non sapevo tutto della tua vita?
Nessuno. E niente è quello che è rimasto. » Bugia? Verità? Ma ormai era fatto.
Finito.
Mi
avvicinai alla borsa per prenderla e andare, andare via.
Adesso.
Non sarei tornata più.
«Ma io ti amo»
La mia lingua rimase muta.
Aria, ritorna.
Mi guardò.
Aria, ritorna.
Tremai.
Anch'io e non posso.
«Non dirlo»
«Lo penso davvero. Perché? Ora non posso nemmeno dirtelo?»
Sono intrappolata nel tuo passato e non è il mio posto.
«Ma
non basta, non basta più » tutto era sfuocato, sfumato,
come nei paesaggi invernali disegnati con i pastelli. E io non vedevo più niente oltre
lui, i suoi occhi, l'oceano del colore del ferro e le lacrime.
«E tu? »
«Smettila, Jake»
«Hai dimenticato tutto?»
«Basta. Non c'è nient'altro»
Quel che gli uscì
fuori somigliò a una risata, ma fu una delle cose più
spaventose che avessi mai sentito.
«Allora mi pianti.
E' tutto finito? Non l'avrei mai detto, Liz, davvero. Mai mi sarei
immaginato... una cosa del genere. Ma a Seattle ci sono tanti ragazzi
migliori di me, vero? Allora perché hai perso tempo a stare con
uno così? Me lo dici? Per dare il tuo primo vero bacio? Per
farti qualcuno? Tu non sei così. Lo so. Lo so che non sei
così. O mi hai preso in giro, e io sono un coglione, ma uno di
quelli professionisti. E' questo che sono, secondo te? E' questo che
hai fatto?»
Mi
morsi le labbra, il freddo sulla pelle. Una lacrima si
cristallizzò sulla mia guancia. Sentii la puntura del cristallo,
spietata.
«Mi dispiace.» Non tornare indietro, non piangere, non scusarti, non farlo.
«Non
hai dimenticato niente.»mi afferrò il braccio, forte, e
quando cercai di sfuggire alla sua presa, mi strinse ancora di
più.
«Niente... » sillabò, «Dimmi
che hai dimenticato. "Io non provo più niente per te", "Io non
ti amo più", "Io non ti ho mai amato". Facile, no?» E con l'altra
mano mi afferrò il mento e mi fissò; mi guardò e mi
fece venire freddo, di nuovo, insieme allo sfioro bollente del suo
respiro. Abbiamo
finito, è finita, Jacob. E devi lasciarmi andare. Non voglio
farlo ma devo. Ti amo e non posso. Finisce qui, non può
continuare.
Cercai di sviare la sua presa, tutto era grigio, nero, e bianco.
Sei sicura, Liz?
La sua voce che risuonava nelle orecchie. Maledetta. Perché la volevo ancora?
No, non adesso.
Tutto
faceva male, le gambe, la bocca, gli occhi, il cuore, i ricordi, le
mani, i giorni, l'aria, i sogni. E le lacrime, come i graffi sulla
pelle.
«Lasciami andare. »
«"Io. Non. Ti. Amo. Più.", sto aspettando »
«Lasciami!»
«Sono poche parole»
«Io... io non... Jacob, io...»
«Allora?»
«Smettila!»
«Non prima di questo. » capii troppo tardi. Prese il mio viso con la mano libera e ci affondò la bocca.
E
finisce, finisce tutto. Perchè non cerca solo le mie mani, non
cerca più niente, ma prende tutto, tutto quello che ho.
La
sua bocca si stese sulla mia, ero troppo debole, lui era troppo forte.
Non lo stava facendo, non di nuovo, non così... Portai le mani
sul suo petto e spinsi, in modo da staccarmi da lui.
Fu inutile.
Le sue
mani sono così forti sulla mia faccia che l'impatto mi ricorda
uno schiaffo, ma è qualcosa di grande, di disperato, e me lo fa
desiderare tutto.
Infilò un dito nei miei jeans e mi attirò a sè, scottandomi la pelle. Socchiusi la bocca. Sei tu che uccidi me. Scossa da
quel tocco quasi violento,
sfiorò
la mia lingua con la sua, stordendomi.
Ma c'è qualcosa di ancora più forte, e
sono i miei occhi che si chiudono e la sua bocca che si immerge nella
mia, e allora tutto diventa luce, tutto diventa sole.
E
dimenticai, dimenticai tutto. Fu un attimo.
Perché quando mi sarei risvegliata da quel sogno, forse non avrei continuato a camminare con i piedi per terra.
No.
Non è vero. Non esiste. Non lo stai abbracciando. Non lo stai
baciando. Non ti stai aggrappando alle sue spalle, non lo stai
implorando di non smettere più, senza parlare. Non gli
hai fatto capire che lo vuoi ancora.
E' un' illusione. Un grandissima illusione di luci.
Ma ci stai vivendo dentro.
Qualcosa di caldo venne giù dalla sua
bocca, un rivolo di sangue, un suo gemito. Perché avevamo fame ed io avevo
scelto di non mangiare più.
I denti sfiorano le labbra, i respiro ci sovrasta, il mondo è un'altra cosa.
Poi si fermò.
E mi ritrovai a respirare come se fossi emersa da
dei
minuti passati in apnea.
«Io non potrei mai dimenticare. E lo sai perché?
Perché doveva esserci questa settimana senza di te a farmi
sentire vuoto, doveva esserci. E lo sai cosa è successo? E'
successo che ora mi sento in paradiso e dipende solo da una cosa. Sei, tu, Liz, sei solo tu.» La sua
bocca mi sfiorò il lobo delle orecchie e mi fece rabbrividire.
Torna in te, Liz, torna in te.
«Lei
è bellissima, stupenda, elegante, e
tutte quelle cose che fanno i vampiri così fuori dal comune... ed
io non sarò mai alla
sua altezza e questo mi spaventa perché... perché non reggo assolutamente
il confronto, non l'ho mai retto, anche quando era solo una bambina,
quando era ancora come...me, quando era umana.
Non reggo il confronto perché tu la conosci da tanti anni... da
quando eri solo un
bambino e io invece sono soltanto una delle tante e poi... tu... tu la
ami. La ami. » sbiascicai. La mia bocca contro la sua palla, lui
continuava a stringermi a sè.
«Non
dirlo nemmeno per scherzo. Non provarci. Non paragonarti
a… lei per favore che mi fa soltanto venire il voltastomaco. E
non piangere, per favore, per favore.» sentii le sue mani sul viso, «Io sono innamorato di te» fiatò. Trovai la forza per allontanarmi.
«Ho capito, Jake, ma io… »
«Perché smettere di vederci se abbiamo questo?»
Mi strinsi nelle braccia.
«Lei ci sarà sempre. La incontrerai di nuovo, vi vedrete di
nuovo, e ti ricorderai di tutto. Ti sembrerà che il tempo non sia passato…
proprio come… quel giorno » Mi venne di fronte, le braccia lungo i fianchi.
«Sono
pronto ad evitarla e non incontrarla più, se fare il
contrario significa perderti. Dov'è il problema? » La voce roca e profonda.
Deglutì.
«Il problema
è che non devo, non posso perdonarti. Ma... io... »feci un respiro profondo, chiudendo gli occhi. Gli sbagli hanno un sapore dolce. E tu stai sbagliando.
Si fece ancora più serio «Torniamo a Seattle, Liz. Lì va tutto
bene…» Cercai di ricompormi nel minore tempo possibile,
ignorai quanto fosse bello alla luce di quel sole morente e ripresi a
pensare.
«Non
potrai sempre scappare, Jake. Noi… devi affrontare tutto
questo.» Evitai il suo sguardo e abbassai il capo. Mi si avvicinò ancora di più.
«Una
possibilità, te lo giuro. Solo una.» prese un respiro profondo, «Non farò mai più una cazzata simile. Mai. Più. »
«Non
dire scemenze, le vorrai bene lo stesso. Ho visto le foto di quando
eravate piccoli e tutto il resto, lei non è solo il tuo passato, lei è... una
parte del tuo passato... e quindi di quello che sei ora e... »
«Liz,
non devi...»
«Sono in un bel casino, lo siamo. Non so se questa è
una fantasia.... »
«Le
fantasie sono i film Disney, tu sei stupendamente vera. E ti voglio. Se le vorrò bene non importa,
gli unici contatti che avremo saranno solo a causa di Charlie, e quando
lui saprà la verità, non ci sarà più nessun
pretesto»
Perché, Jacob? Perché ti amo? Spiegamelo tu.
«Io... allora... forse.»
Quasi ci sfioravamo. Io ero molto più vicina all’alzarmi in punta di
piedi e smettere di guardargli la bocca per chiudere gli occhi e assaggiare il
fuoco. Ma lui fu molto più veloce. Un lampo di indecisione velò il suo sguardo,
un lampo di paura che io potessei rifiutarlo o rinnegare tutto.
Sentii le parole rimbombare nelle orecchie, come se fossi
finita sott’acqua, mentre lui posava le sue labbra sulle mie senza delicatezza,
ma con quel suo essere se stesso pieno di bisogno che amavo di lui ogni volta
che mi dimostrava con il corpo quanto teneva a me. Ormai avevo perso.
Contro chi stavi combattendo?
***
Quando infilò le chiavi nella porta le sue mani scivolavano.
Avevamo camminato distanti, accelerando un po’ il passo e
rallentando a momenti, forse per paura o indecisione o qualunque altra
stupidaggine che potesse venirci in mentre.
La casa era buia, quel poco di luce della cucina raggiungeva
lievemente il corridoio. Chiuse la porta alle sue spalle; potevo vedere i suoi muscoli aderenti alla maglietta, lui che
deglutiva. Mi prese la mano.
Che cosa
volevo? Aria, acqua, terra, cibo, che cosa? Sentii le sua mani sotto la mia
maglietta. Cercai il suo viso, mentre il suo petto si contraeva contro di me.
Il nero sotto le
palpebre scintillava di luce.
Chiude la porta della sua stanza ed io sono
ancora girata verso il suo letto, immobile, perché non ho mai avuto la mente
così vorticosamente piena di pensieri e allo stesso tempo vuota di ogni cosa
che non sia lui. Ho il cuore che lo richiama e che mi addensa il sangue nelle
vene.
Il dolore dura poco, quando con le mani sfila via
l’elastico che mi teneva i capelli. Adesso li accarezza e lo sento lungo la
schiena. Lo sento adesso, ovunque, io che perdo il fiato come se lui stesso me
lo avesse rubato con il suo affanno.
Mi giro, i suoi occhi fulminano la luce e la
ragione e mi arrivano dentro come se una ventata di vento mi avesse sfondata. Mi
solleva l’orlo della maglietta, mentre chiudo gli occhi e il mondo scompare.
Mi ruba la bocca con le sue labbra e non vedo
più. Cerco di riprendermi per viverlo e non lasciarlo passare soltanto.
«Jake. Io... »
Mi zittisce senza parole ed io non ho mai capito
come ci riesca. Stringe le mie gambe attorno il suo bacino, sul
letto, mentre io immagino la sua sagoma e gli occhi che bruciano.
Ho le sue labbra sul ventre, che risalgono.
Inarco la schiena e divento un brivido, uno solo, e trema anche lui.
Poi il fuoco mi scotta e tutto diventa una
fiamma. Mi aggrappo a lui e cadiamo.
Cadiamo insieme.
***
Entrano in casa e comincia la lotta. Lui la cerca nella
bocca, negli occhi, nelle mani, nei capelli. Si fionda in quei sospiri come se
si stesse tuffando nel mare, come se fosse sempre stato il suo posto. Le
scioglie i capelli e lei quasi geme, se fossi stata tu saresti già caduta
ai suoi piedi. La accarezza, si contrae, tutto è intenso e silenzioso, eppure
urla.
Sei entrata nella riserva, sei lontana di tanti metri ma cerchi, ascolti. Vedi la sua schiena nuda e ti volti.
Non dovresti essere qui. Sei venuta per vederlo di nuovo,
parlargli. Lui ha aspettato giorni perché tu gli scrivessi quattro parole, tu
per la risposta muori ogni volta che ti ricordi di quello che è successo.
Vuoi essere al suo posto.
La
voce di Jacob ti fa fischiare le orecchie come se ti
stessero attorcigliando le budella. Ti rannicchi in terra. Sei debole,
sei
piccola, e stai per romperti, come le bambole di porcellana... quelle
che rimagono sempre uguali ma con le guancie graffiate dal tempo.
Non dovresti vedere.
Chiudi gli occhi, per placare l’incubo. Ma non basta e lo
sai, perché li vedi comunque. Vedi lui che la ama con trasporto, come se gli fosse stata portata via per un tempo
simile al tuo per sempre terrificante.
Si stringe a lei, affoga nelle sue labbra e chiama il suo
nome.
Il suo nome.
Hai sbagliato tutto. Guarda cosa hai
fatto, guarda. Adesso. Apri gli occhi, Bella, tanto li vedrai comunque.
Non
ti ha mai fissato in quel modo, non sei mai rinata con
lui, sotto il suo calore. Non l’hai mai accettato. Il cuscino
è madido di
sudore e tu li senti ribollire nel loro stesso sangue. Un cuore batte
all’impazzata, come se ti stesse tamburellando i timpani.
E’ il cuore di lei, Jacob lo sente, il suo cuore risponde. La ama.
Quanto ha quella ragazza più di te? Un cuore vivo, forse,
è la prima cosa. E’ la prima
che le invidi. Oltre a quel qualcosa che ha fatto scoccare il sole
nella sua
vita, per aver capito quanto il tuo vero amore sia meraviglioso.
Quanto dovrò aspettare per dimenticare?
Hai ancora gli occhi chiusi e hai visto tutto.
Poi uno
scontro, in te, fuori, da qualche parte, e i tuoi occhi dorati rapiscono l’aria.
L'eternità, Bella. Dovrai aspettare fino alla fine.
Dei foglietti strappati volano lungo la terra. Li afferri,
felina, sei un animale e non lo sapevi, sei un mostro e non ci credevi.
Non volevi vivere per sempre?
E vedi la tua grafia strappata, in quei foglietti. Un "ti voglio
bene" scritto a stento e una promessa. Tante parole. A chi hai promesso? Chi ami, Bella?
Torna a casa, questo non è il tuo posto.
Dov'è casa mia?
Hai preso la direzione sbagliata e fa male.
Fa male perché poteva essere quella giusta.
Il tempo per morire è passato. Tu continui a farlo.
Piangerai.
Le tue lacrime non verranno mai fuori, ti formeranno il calcare nel
petto. Non dire che vuoi restare, hai perso il diritto di desiderarlo tanto tempo fa.
Una lacrima ti bagna il cuore, la senti come se fosse sangue.
Addio, Bells.
*
*
*
*
Ciao a tutti! Di questo capitolo non ho molto da dire,
non ho potuto fare succedere VERAMENTE quello che volevo. Ho
litigato un po' con Liz e soprattutto con Jacob. Testone! A Bella ho
lanciato uno sguardo truce, ma mi ha ignorata. La tonta non ha capito
che si è trasformata in vampiro, non in fantasma. La canzone di
Adele che ho inserito all'inizio è semplicemente meravigliosa. A parte
tutto,
a voi i commenti *-*
Condivido con voi dei bellissimi regali che mi ha fatto una mia amica,
si chiama Cristina, in questo momento è a Londra e vedrà
tutto questo quando sarà tornata. Preferiva Jacob a Edward
già dal film di twilight! Grande donna. Poi le è venuta
la brillante(-.-) idea di leggersi libri, e si è messa a
sbandare per Edward. Ma è stato solo un momento passeggero, poi è tornata sulla retta via *-*
perchè io ho la capacità persuasiva di una sofista, ma
non quella dei sofisti ingannatori, dei sofisti che cercano la
Verità! (modalitàfilosoficamodeon*)
Comunque, sono stupendi, lei è davvero bravissima, e la ringrazio tanto, le voglio tanto bene. In Cri we Trust!
Questa qui sotto è Liz quando va in coma a causa di Jane. E' fantastica *-*
E questa qui sotto è sempre Liz, anche questo disegno è bellissimo *____* Cri, un grazie speciale! <3
Che ne pensate del capitolo? Aspetto le vostre
importantissime considerazioni :) E ringrazio immensamente tutti i
recensori, mi rendete sempre felicissima <3
Con affetto, Ania
|
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Capitolo 51 *** 51 ***
jake 51
I (I) want to fly (fly) into this beautiful life
I think it'd be nice with you
I want to fly (fly) into this beautiful life
I think it'd be nice with you, with you,
with you, with you
«Mi
passi la chiave inglese?»
Con le mani ancora sporche di grasso per un inutile controllo al motore,
cercavo di capire come avessero potuto bucarsi le gomme di una
macchina appena comprata.
«Quella
a occhiello?» sentii la sua voce quasi come un rimbombo dentro
la scatola di metallo. In ginocchio di fronte alla ruota, voltai il
capo. Lei era girata verso l'entrata, la maglietta sottile che le
lasciava scoperta la schiena quel poco che non mi faceva ragionare
affatto.
«Esperta la mia ragazza»
«Avevi dubbi?» fece lei, prima di voltarsi un poco e sorridermi.
Cavi del cervello scollegati.
Prese quello che mi serviva e me lo porse, in piedi di fronte a me.
«Grazie » alzai lo sguardo verso di lei. Era dannatamente
difficile cercare di non sembrare imbecille. Diciamo che era già
tanto avercela davanti, sapere che mi rivolgeva di nuovo la parola e
che mi aveva dato quella che si chiama "seconda possibilità". Il
tutto accompagnato dal ricordo vividissimo di quello che era successo la sera
prima, mi faceva decisamente fare la figura di chi ha lottato per avere quello
che ha, ce l'ha, ma ha ancora una faccia da ebete per rendersene conto
davvero.
«E' recuperabile?» chiese.
«Ho un talento enorme, per questo genere di cose. Davvero enorme e dovresti saperlo.»
«Basta
che non lo vai a dire in giro» si passò una ciocca
dietro l'orecchio, mentre io cominciavo a smontare la ruota. La guardai
di traverso, le si erano colorate le guancie.
Questa è la volta buona che... cazzo, Liz...
«Liz, ascolta... lo so che... insomma... qui sarebbe un po' scomodo, ma se vuoi non mi tiro indietro »
«Ah-ah, molto divertente»
«Ah, ora sono io quello che fa la figura di quello che non pensa ad altro perché tu...»
«Non
mi interessa perché! Un altro commento di questo genere e ti
passerà la voglia di prendermi in giro così
spudoratamente.»
«Mi piace quando fai così. Mi piace tantissimo. Tu non immagini... nemmeno quanto»
Si abbassò e mi diede un colpo allo stomaco con il gomito. Non
era altro che solletico. «Cambia quella ruota e smettila »
«Mi distrai »
«Non
è vero. Ti passo solo gli attrezzi che ti servono. Quel corso di
due anni fa mi è servito tantissimo, ci manca poco che faccio
tutto da sola»
«E sprecare così il tuo meccanico personale? »
«So
essere indipendente, non lo sapevi?» sentivo il suo fiato lungo
l'orecchio, i suoi occhi luminosi su tutto.
«Ok...
ok» sbiascicai. La terza vite era già via, eppure avevo
voglia di fare tutto tranne di aggiustare quella ruota.
«Comunque, penso che farò un salto a casa di Leah» si alzò e si appoggiò al cofano dell'auto.
«A fare?»
«A parlarci. Ecco... lei vuole sapere... vuole sapere come...»
«Risparmiale i particolari sconci »
«Ma, Jake, non intendevo assolutamente raccontare quello che...»
«In
casa sua ci sono dei minorenni, Seth origlia così tanto che non puoi immaginare.
Noela gli piace e... insomma, meglio tralasciare»
«La prendi sempre a ridere» sospirò, ancora con il sorriso sulle labbra.
Mi bloccai.
«Se ti dà fastidio, la smetto»
Era
come se all'improvviso mi si accendesse una lampadina. L'allarme che mi
avvisava quando e quanto dovevo limitarmi.
Quella settimana era stata orribile.
Bella
era stata sul punto di riuscire a sfaldare tutto quello che avevo
costruito con Liz e non mi sarei mai più fatto aggirare
dal passato o da qualunque altra cosa. E
poi... insomma, se avesse cambiato idea? E chi poteva biasimarla, con
un così...
«E'
tutto ok» disse piano. Io smontai la ruota e la poggiai per
terra. Delle assi tenevano l'auto leggermente sollevata sul cemento asciutto
che faceva da pavimento.
«E' che... sono un idiota.» camminai verso di lei, una mano
dietro la nuca come se mi stessi massaggiando la pelle, «Scusa».
Non ce la facevo proprio. Forse ero davvero così cretino da
accumulare difetti sopra difetti. E errori e... parole e espressioni sbagliate. Mi misi davanti a lei, il calore mi
arrivava alla testa e
faceva amplificare tutto. L'odore del suo ai
fiori mi
attraversò le narici, il suo profumo. Forse così non ero
così spaventoso come mi era sembrato di essere il pomeriggio
precedente. Perché l'unica cosa che mi veniva in mente era paura.
«Va
tutto bene. Se fosse stato per questo non sarei venuta a Forks nemmeno
la prima volta che mi ci hai portato, no? »
«Ah, be', probabile.»
Appoggiai le mani sull'auto, intorno alle sue gambe.
«Licantropi,
leggende, Ronnie...» elencò. Alzò lo sguardo verso
di me e mi sentii sciogliere. Era come se tutte quello cose, anche se
non erano stati i più grandi problemi che avevamo avuto e che
in certo senso erano stati risolti, l'avessero segnata in modo
inevitabile. Tutto per colpa mia.
Pensavi che potesse essere diversamente?
«...i Volturi e... Bella » si fermò.
Prese un respiro profondo, mentre io le mettevo una mano sul volto. Poi
sorrise... ah, il sorriso, quella cosa dannatamente perfetta che mi faceva andare sempre fuori di testa.
«Se il problema con la
tua quasi fidanzata ora vampira non è riuscito ad allontanarmi -
per influenza tua, vero - forse non ci riusciranno nemmeno le tue
cazzate, Jake »
Risi. Ma il mondo non poteva chiudersi intorno a
noi e non farci uscire più, vero? No, perché quel garage
impolverato, insieme a lei, sembrava il mio paradiso privato.
E
non mi sentivo più sbagliato o fuoriposto come la maggiorparte
delle volte come mi era successo nella settimana appena trascorsa.
«Ma devi riconoscere che certe cose che dico sono insuperabili » le sussurrai. Cominciò a ridere, mentre io
le accarezzavo la pelle scoperta, un po' a scatti.
«Ok, va... bene, non il
solletico però...»
«Ah, hai detto qualcosa?»
«Jacob!»
«Ok,
ok... piccola »
Spostai le dita sotto il suo mento e la attirai
a me. Posai le mie labbra sulle sue e improvvisamente il resto smise di
prendere il sopravvento sulle parole. Finalmente. Spostai le mani sui
suoi fianchi e la strinsi ancora, senza allontanarmi un attimo. Le
avrei sporcato i pantaloni ma non importava perché da lei potevo
percepire tutto tranne la sua esitazione. Le
sfiorai la schiena sotto la maglia, la bocca dischiusa ad assaggiare la
sua. Sarebbe stato scomodo e da persone assolutamente irresponsabili
non finire lì? Non me ne fregava un accidenti. Sentii la sua
mano sulla nuca, leggera, mentre io scendevo sul collo con la bocca.
«Jake... ascolta» si interruppe, per prendere fiato.«Non mi sono dimenticata di quello... che è successo e... la delusione è... » mi fermai, subito. «...
è stata grande »
Cercai di riprendermi, lei sul
cofano dell'auto con le gambe semi aperte a farmi passare, i capelli lunghi sulle spalle e gli
occhi castani a guardarmi senza bugie.
«Lo
so e non me lo perdonerò mai » mi ritrovai a sentire un
icredibile vuoto nel petto, che si espandeva e si espandeva e mi
lasciava senza più aria nei polmoni.
«Ma io mi fido di te.» mi accarezzò la guancia, «E' abbastanza?».
«E'
tutto» sulle sue labbra
riconobbi la punta di una sorriso e il vuoto cominciò a
rimpicciolirsi fino a scomparire, scomparire e... svanire con lei che
passava la mano nei mie capelli. «Lo sai che io ti...»
«'Giorno! » La voce di Embry eccheggiò nello stabile, fastidiosa.
Tremendamente inopportuna.
Mi girai verso di lui, Paul gli veniva
accanto.
Sorridi, Jacob!
«Hei, ragazzi » Lizzy scivolò dal cofano, la mia mano ancora nella sua, «Tutto, ok?».
«Ceeeerto» Embry era raggiante e sembrava ancora più stupido del solito.
«Niente pugni, oggi, Jake? » fece Paul, lo sguardo verso di me.
«Domanda idiota» mi venne fuori qualcosa stretto fra i denti.
«Pugni?
Quali pugni?» la voce di Liz era squillante, chiara... e stavo
per dirle ti amo nel modo più convincente possibile e loro mi
avevano interrotto con le loro facce da cretini.
«Nah,
niente» taglio corto Em. Diede una gomitata a Paul e lui
uscì fuori un mazzetto di grana dai pantaloni. Liz mi
lanciò un'occhiata furtiva, io non avevo veramente capito niente
di niente. Ma quanto erano cretini?
«Ma che.. » cominciai.
«Jake,
vieni un attimo fuori? » scrollai le spalle, Liz stava per
ridere solo per il fatto di essersi resa conto di quanto dei ragazzi
alti due metri potessero comportarsi in un modo così incomprensibile.
Seguii Embry fuori dal garage.
«Trenta dollari... ma non è stata colpa mia... non me l'aspettavo proprio» si impappinò nella sua stessa risata.
«Non
ho afferrato il concetto» mormorai, quasi fra me e me. La mia
testa era ancora attaccata a quello che mi stava succedendo prima. A quanto era fantastico sentirla così vicina e...
«Paul
aveva scommesso che Liz ti avrebbe mollato. Ha insistito e...
insistito,"Jacob rovinerà tutto", "Liz è troppo sexy per
farsi trattare così per una morta" e roba del genere, lo sai
com'è, Rachel la faranno santa, meno male che
è al college. E mi ha costretto e... io ho scommesso il
contrario e... ho vinto.»
Sbarrai gli occhi.
«Ma
siete dei cazzoni!» avrei anche voluto prenderlo per maglietta
e spaventarlo, ma l'unica cosa che mi venne fuori fu una risata stanca
e... sonora, ecco. Ma che amici avevo?
«Diciamo
che io avevo anche specificato che non avreste aspettato a riprendere
una certa attività, ma lui non ha voluto considerarla...
però a me puoi dirlo, dai, hai provato con qualcosa di nuovo?» Gli presi la testa e lo feci piegare in avanti, le braccia
dietro la schiena. «Sono. Cazzi. Miei»Embry era un po' difficile da atterrare, ma con il fattore sorpresa filava sempre liscio.
«E poi... ahia, ahia! Stasera c'è birra e
musica in spiaggia, sono venuto per dirtelo!» lo mollai,
godendomi lo spettacolo di lui che riprendeva fiato. Era sempre troppo
divertente. Mi girai. Paul stava articolando chissà quale
discorso con Liz, che magari voleva fare tutto tranne starlo ad
ascoltare. Si passò una ciocca di capelli dietro l'orecchio e
trattenne una risata. Io non potei fare a meno di sorridere. Non
avrei potuto fare altro.
***
Brian
era un tipo a
posto. La cosa più
bella era vedere finalmente che Leah, anche senza il bisogno che
dicessi
battute stupide e senza senso, fosse per la maggior parte del tempo con
il viso
attraversato da un sorriso che le stirava completamente la bocca. E
molto probabilmente per loro non era il massimo restare con noi.
Era
tarda sera. Dei rametti buttati sulla spiaggia di La Push ci
avevano permesso di accendere un bel fuoco per fare luce. I ragazzi
erano da qualche parte a finire gli alcolici, io mi accontentavo di
stare lì a riva.
Lizzy disegnava
qualcosa sulla sabbia con una mazzetta, quelle piccole dei gelati. La luce del fuoco marcava i suoi lineamenti e allo
stesso tempo li rendeva più uniformi. Gli occhi concentrati e lucidi.
«Mi fissi, Jake?» mi guardò, sdraiata di lato sull’ascugamano. Io mi poggiavo all’indietro sui gomiti senza alcun
bisogno di indossare una maglietta sintetica. La musica di Rihanna e il finto rap di Paul in sottofondo.
«Nah, guardo un po' là un po' di qua, sai com'è»
Lei sorrise. La fossetta sulla guancia.
Noela e Seth erano proprio di fronte al mare. Seth aveva messo il suo braccio
intorno alle sue spalle e lei non ci aveva fatto quasi caso.
«Guarda, quella è la costellazione del
cigno… » riuscii a sentire.
«Seth, è davvero bellissima. Studi astronomia? »
«No.. ecco io… l’ho visto in un film»
Noela
rise, senza trattenersi, poi si portò una mano sulla bocca. In
quel momento si accorse della mano di Seth sulla spalla.
«Sei stato bravo a riconoscerla, allora» aggiunse lei, quasi come per
scusarsi per avergli riso in faccia.
Seth non sembrava
essersi offeso. Scrollò le spalle, semplicemente.
Dille qualcosa di intelligente, scemo!
Noela tornò seria.
Seth aveva messo le mani nelle tasche, senza più avvolgerla.
«Tu hai una ragazza, Seth?»
Lizzy si sistemò
fra le mia braccia, il suo odore era confuso con quello del mare e
della sabbia ma riuscivo sempre a distinguerlo. Era quello che mi piaceva di
più. Quello che amavo.
Le spostai i capelli a lato e avvicinai la bocca alla sua nuca.
«Ma l’imprinting… che cosa sarebbe
esattamente?»
Rimasi
di stucco. Cominciare da Emily, Sam e Leah? Sapeva
che cosa era successo, ma non nei particolari. Oppure dovevo parlarle di Quil
e Claire? Dire che se Quil stava dietro a Claire non era perché
gli piaceva stare con i bambini e basta?
«E’... una leggenda»
«Seth ha detto che ha avuto l’imprinting con
Noela, prima, quando parlava con te. Questo significa… che la trova carina e basta?»
Mi sistemai meglio sull'asciugamano. Era... strano. Come se un ateo dovesse spiegare la forza della fede in Dio.
«No… è
difficile da spiegare. L’imprinting è la stessa cosa che è successa a Sam con
Emily, la stessa cosa che… ha separato Sam da Leah… »
«Oh»
Cambiò espressione. Che cos’era l’imprinting? E perché aveva il potere di
poter cambiare tutto così… con un solo sguardo? Che schifezza, altro che amore.
Poi continuai.
«Guardi quella persona e poi… tutto cambia. Diventi tutto quello
di cui ha bisogno, non la abbandoni mai. Diventi un amico, un fratello… un fidanzato.
E non ti puoi tirare indietro. Possono anche assegnarti un cesso o...
peggio... peggio! Una persona che ha una mentalità completamente
diversa dalla tua e tu caschi ai suoi piedi come una pera. Bleah.
Questo è quello che dicono. In un modo più sdolcinato, ma
è questo che dicono» la avvolsi con le mie braccia. Lei voltò il capo verso di me, un riso leggero a scuoterla un po'.
«Succede a tutti?»
«No, assolutamente. Che cavolata. Non credo nella magia» sbuffai.
« Quindi... con me... non...»
La sua voce era
bassa, pacata.
« No. Non mi serve l’imprinting per sapere che
per te ci sarò sempre. »
Percepii il suo sguardo, nonostante guardassi avanti. Gli occhi nocciola brillanti.
«Licantropi
e vampiri invece… esistono»
ribatté.
«I vampiri però brillano al sole, e Bram Stocker non l'ha scritto da nessuna parte. Vedi? Mi ricordo ancora le lezioni!»
«Lo sapevo che te le ricordavi »
L’unica cosa che ci distingueva era che al contrario
di Liz non riuscivo ad indovinare presto quali strade e sentieri percorressero i
suoi pensieri. Questo la rendeva… impenetrabile, in un certo senso, mi faceva pensare che avrei
sempre dovuto scoprire qualcosa in più sul suo conto.
«Liz, non ci vuole uno stupido racconto per legarmi a te, contaci. A meno che tu non abbia fantasie perverse... »
«Non arrivo fino a quel punto, grazie » si stese sul mio petto, lenta. Ecco,
Cervello di Jake andato.
«Signorina, per far sì che Jacob Black la molli ad un serfista in vacanza a Seattle, deve prima ipnotizzarlo » dissi, con voce ferma.
«Se ti ipnotizzo è per fare qualcosa di più utile, non mi spreco mica, io!»
Avvicinò il viso verso di me e chinai il capo per aderire le mie labbra alle sue. Chiusi
gli occhi e diminuii le distanze.
Poi qualcosa di
liquido e bagnato mi colpì la nuca. D'istinto fui costretto ad aprire gli
occhi. Mi gocciolava dell'acqua dalla schiena a fin sopra i capelli. Lizzy era
ancora sconcertata, ma poi la sua risata mi colpì le orecchie, forte.
Cazzo.
Mi aveva
interrotto il bacio.
«Seth… »
Lui e Noela si
dimenavano sulla spiaggia, ridendo. Seth ancora con il secchio con cui mi aveva buttato l'acqua addosso in mano.
«Hai un’alga qui.. » disse lui, con il fiato grosso per le risate.
«Ti piace cacciarti nei guai, non è vero, moccioso? »
Mi tolsi l’alga
dalla testa. L’acqua mi scendeva lungo i pantaloni.
«Preparati» lo minacciai.
Lo rincorsi per
vari tratti di spiaggia. Al contrario di me, lui indossava una maglietta che andò a bagnarsi per la mia presa umida.
Lo afferrai, forte. Ero pur sempre più alto e più grande di lui.
«Mollami! »
Lo tenevo per le braccia, dietro la schiena.
«Ma vi mettete d'accordo per interromperci! Stamattina, Embry e Paul...»
« Cavolo, Jacob. E lasciami!»
Lo lasciai andare. Potevamo sentire in lontananza la risata di Liz e
anche quella di Noela.
Seth si fece serio,
improvvisamente. Che cosa c’era che non andava?
«SETH? Ehi, che ti prende? »
«Niente, finiscila» e lanciò una lattina di coca-cola
con un calcio.
«Cosa, Seth?
Cosa c’è che non va?»
«Tutto! » si sedette sulla sabbia, a gambe incrociate, «A volte penso che l’imprinting mi ci voleva.
Non sono come te o Embry. Io dovevo avere per forza qualcuno da amare perché lo dovevo fare…»
«Cioè?»
Fantastico, avrei passato la serata a fare lo psicologo della riserva.
«Intendo che Noela mi piace, e anche tanto. Ma... se tutto questo fosse finto? Se non ci fosse stato
l’impriting, mi sarebbe piaciuta? Non lo so, non ne ho idea. Le conosce già
tutto delle tribù e dei licantropi, suo fratello è uno di loro, ma… se a lei
non piacessi abbastanza, se si innamorasse di un altro?
La conosco soltanto
da poco… e… già penso che… per lei farei
qualsiasi cosa, qualsiasi. Non mi sento normale, non lo sono da un po'
ormai, ma adesso ancor più di prima»
«Seth, quante seghe mentali. »
«Non sono seghe mentali. Leah è stata male anni per via di questo
incantesimo, fottuto incantesimo e quando ha capito che era successo mi
ha guardato come se stessi per andare in guerra! E sai una cosa? Forse
ha ragione. E l'unica fortuna che ho avuto è stata quella di non aver
fatto stare male nessuna ragazza. L'unico a poter stare male ora sono
io. »
Sapevo che
cosa intendeva dire. Avevo detto talmente tante volte quanto
l'imprinting fosse orrendo per me, che forse anche Seth aveva finito
per
pensarla allo stesso modo.
« Allora... pensi che tu potresti soffrire per qualcosa
che forse non esiste.Vorresti
essere come tutte le persone che non sanno niente di queste cose »
«Già…»
« Ma, Seth. Tu sei questo. Magari se è
successo, era perché doveva succedere.
E poi Noela… che cosa ne pensi di lei? »
« Be’, è... stupenda. Mi piace, ecco.»
Che palle.
«Poi?»
«Ehm, è simpatica, scherza e... è dolce... »
«Vai avanti »
«Ha degli bellissimi occhi »
«Con occhi, non intendi tette, vero? »
«Ma no… no, Jacob. Sei un pervertito! Anche se
adesso che ci penso… »
«Il pervertito sei tu, a quanto sembra. » lo spintonai, « E sembra che dovrai penare ancora per molto, visto che ha solo quindici anni»
«Ne ha sedici! »
«E che cambia? »
«Cambia tantissimo! »
«Ah... meglio che non lo dica a Brian» mi diede una gomitata e sospirò forte.
«No, davvero. Non faccio altro che pensare a
lei.»
« Allora sei cotto. Imprinting o no. Sei
cotto »
« Grazie per
avermelo fatto sapere…»
Si alzò proprio
mentre anche io mi liberavo della sabbia e si diresse verso le ragazze. Adesso
avvertivo soltanto dei sussurri, ma non riuscivo bene a riconoscere le parole.
«E togliti la maglia» gli dissi. «Si vede da un chilometro
che è piccola, ti va tutta aderente »
« Così si vedono meglio i miei pettorali »
«Magari potresti toglierla»
« E cosa dico a Nol?»
« Nol… ora avete anche i soprannomi,
carino» mi guardò male, «Ha sedici anni. Non pensare che potrai... »
«Non è colpa mia se sono sexy» si tolse la maglia.
«Ma senza pratica...»
«Sì, sì, come no» rispose lui, scettico. Io preferii
lasciarlo nella sua misera considerazione.
Ci avviammo verso
le ragazze, entrambe sedute sullo stesso asciugamano.
«Ancora vivi? » chiese Lizzy. Tremendamente bella.
« Minimo!» fece Seth.
Presi la mano di Liz e la feci alzare, la musica che si alzava di volume.
«Vuoi andare a ballare? »
«Non eri tu quello che odiava farlo?»
«Basta che ti diverti e che lo vuoi tu, nessun film mentale»
Mi rispose con un sorriso. Si avviò verso la folla, la sua mano nella mia. Mi avvicinai al suo orecchio.
«Lo sai che non mi interessa nient'altro.»
*
*
*
*
Ciao a tutti!
La canzone che
ho preso in prestito all'inizio è del film di Breaking Dawn,
quella durante il ballo di Jake e Bella, mi sembrava che andasse bene
per Jake e Liz in questo capitolo. Certo, rimane sempre la canzone di
Jacob e Bella, qui però ci stava bene e mi piaceva tanto :)
Capitolo
tranquillo, fra amici impiccioni e film mentali. Spero che vi sia
piaciuto :) Un grazie speciale a chi ha recensito lo scorso al capitolo
<3 voi tutti sapete quanto mi rendete felice.
Un bacio e a presto
Ania
|
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Capitolo 52 *** 52 ***
jake 52
And when all you want is friends
I'll see you soon
I'll see you soon
I know you lost your trust
I know you lost your trust
See you soon-Coldplay
«Che cosa c’è per colazione? »
Seth sbadigliò, ancora assonnato. Ci eravamo addormentati sul divano di
casa sua.
La sera passata eravamo
tornati talmente tardi che eravamo finiti per chiudere occhio
sulla prima cosa morbida che
avevamo trovato. Da giorni sembrava che ogni volta ci fosse una festa
sulla spiaggia o qualcosa che ci tenesse impegnati fino a tardi.
« Seth, io direi che fra un po’ è ora di
pranzo… » gli rispose Leah.
Mi portai una mano sugli occhi.
Un momento. Mio padre sapeva che ero a casa di Seth e che non mi ero disperso?
Cavolo, sempre quel cellulare...
«Ho avvisato io Billy con un messaggio in segreteria»Liz
mi buttò un cuscino sulla faccia; sentivo lo sguardo di
tutte le ragazze - ero certo che ci fossero tutte - su di noi. Brian
non ne voleva proprio sapere di aprire gli occhi. Lanciai il cuscino da
qualche parte e cercai di mettere a fuoco quello che avevo
davanti.
«Ma perchè io sapevo che l'avresti avvisato tu »
sbiascicai, la mia voce era impastata dal sonno. Mi stiracchiai. Liz si
avvicinò a me. «Non è vero, se non fosse stato per
me... »
«Sì...
certo» la tirai per il braccio e la faci atterrare sul posto
accanto a me. Quando io stavo per baciarle le labbra, si era appena
accorta di quando fossi stato veloce.
«Qui ci sono dei minori» fece Brian.
«Manca una settimana al mio compleanno… » ribatté Noela, imbronciata.
Liz si scostò da me. Ma che schizzinosa...
«Sedici anni non ti fanno diventare
maggiorenne, sorellina. Anche se vai a dire in giro che sei una sedicenne da almeno tre mesi »
Lei si voltò di
scatto.
«Brian, smettila. »
«Sono un anno più grande di te, lo
sai? » fece Seth.
«Grazie per avermelo fatto notare »
« Non è per farti sentire piccola. Quando sarò
maggiorenne potrei portarti in tutti i posti che vuoi. Basta che lo sia io»
«Questa è una buona garanzia. Grazie.»
«Prego » Seth si sedette sul bancone della cucina, mentre Leah gli
lanciava un’ occhiata truce. Ma non era una di quelle che le avevo visto
assumere tempo prima, quando faceva parte del branco e cadeva a pezzi per
Sam. Era qualcosa che sarebbe scomparsa da un momento all'altro.
«Programmi per la giornata? » chiese Liz. Lei posò la testa sulla mia spalla, mentre le mettevo un braccio attorno alla vita.
«Possiamo andare a pranzare al McDonald's» disse Seth.
«Quoto. Buon’idea» Brian si alzò dal divano.
«E poi potremmo andare a giocare a
biliardo! » fece Noela.
«Tu non sai... giocare... a biliardo » la voce di Brian fu interrotta da uno sbadiglio.
«Potrei imparare. »
« Potrei insegnartelo » si intromise Seth.
L’occhiata di Brian era un po'... fulminante.
«A giocare a biliardo. Certo. A biliardo… o a
biliardino…»
Seth sviò lo sguardo.
Sembrava che parlasse più fra sé e sé che con noi.
Io scoppiai a ridere e questa volta fu Seth a mandarmi
un’occhiata truce.
Lizzy mi chiese di
avere le chiavi di casa per andare a cambiarsi.
Anch’io volevo assolutamente farmi una doccia e Leah mi assicurò che Seth mi
avrebbe prestato una sua maglietta e che avrei potuto fare tutto lì.
«Soltanto perché qui ci torni soltanto poche
volte, ti trattano come se fossi il migliore di tutti. Guardati le spalle,
capetto. Non si sa mai che potrebbe rubarti i vestiti » cantilenò Seth, dietro la porta del bagno.
«Azzardati e dovrai impegnarti a cercare la
tua testa per casa. Perché te l’avrò staccata. »
***
Lizzy ci venne incontro al tavolo del McDonald's dove avremmo dovuto pranzare.
«Tuo padre non c’era »
« Ah no? » le chiesi. Di solito Billy era sempre a casa per pranzo,
anche quando andava da Charlie per vedere una partita o per andare a pescare.
«Già, ha lasciato un biglietto sul tavolo»
Starò tutta la giornata con Charlie,
non preoccupatevi. Divertitevi.
Papà
Lo piegai e lo
infilai nella tasca dei miei jeans. Mi arrivò alle orecchie la voce di Seth.
«Bene. Allora, ordiniamo? Ho una fame
da lupi! »
Forse chi aveva inventato quel detto aveva conosciuto qualcuno di noi.
***
«Ho la pancia così piena che mi sento
scoppiare… » fece Seth, una mano sugli addominali. Se quello era avere una pancia piena, allora era per
quello che gli impegati andavano in palestra.
«Tanto smaltisci tutto » gli disse Leah, che camminava di
fianco a Brian.
Lizzy strinse la sua
mano nella mia, facendomi voltare inconsapevolmente.
Stavo per caso
pensando a qualcosa?
Lei, con il viso
incorniciato dai sui chiarissimi capelli castani, sviò lo
sguardo ancora prima che rimanessi imbambolato davanti al suo sorriso.
« Alice! » si mise a correre verso una ragazza dalla carnagione diafana e il
caschetto nero.
«Oh, Lizzy! »
Alice era
dall’altra parte del marciapiede, e all’abbraccio con Lizzy aveva fatto cadere
sul cemento le buste che portava con sè.
« A Liz è simpatica la nanerottola? » Leah si avvicinò a me.
« C’è qualcuno a cui la nanerottola non stia
simpatica? » dissi io, « La raggiungo. Ci vediamo dopo » cominciai a incamminarmi.
«Ehi, Jake. Quando hai finito vieni a casa
nostra? Ti aspettiamo lì»
«Ok... » risposi.
Attraversai la
strada velocemente. Il cielo era nuvoloso, come in tanti giorni dell’anno, e le
macchine passavano tranquille contro qualche ragazzo spericolato che correva in
moto.
«Ciao, Alice »
Ma che puzza.
Da
quando mi
avevano aiutato a salvare Liz la scorsa estate, erano finiti i
nomiglioli.
Chiamarla per nome era solo l’inizio di un rapporto che doveva
essere di eterna riconoscienza, e il disagio passava in secondo piano.
« Ciao, Jacob »
Niente più cane.
Meno male.
Sorrisi.
«Mi stava raccontando del ballo di
dicembre» Alice lanciò un'occhiata a Liz.
«Oh… ah... il b-ballo, già... la festa, sì » non ero diventato rosso, vero?
E cavolo, Jake. Ma non ti sai proprio fare
sfuggire niente!
E anche Lizzy, il
cui colore sulle guance era più visibile.
«Ehm, Alice, tu sai vedere il futuro, no?»fece lei.
«Sì, Liz, da quando sono nata» rispose.
« Come una veggente, diciamo » mi appoggiai al muro di un palazzo.
Alice mi guardò con
un’aria di disapprovazione.
«Io sono meglio di una veggente » disse. Quello sguardo non prometteva niente di buono. Con Liz, però, cambiò completamente.
«Quindi, potresti vedere il mio... futuro?» Liz aveva una voce limpida, dolce.
Alice finì di raccogliere le sue buste e
cominciò a camminare verso i tavolini di un bar che serviva caffè
allungato.
« Da quando in qua leggi le foglie del
caffè?» risi.
« Seduta mi concentro meglio »
Liz mi guardò, raggiante.
« Non ti garantisco molto però… il tuo ragazzo
è un licantropo ed è un po' difficile>>
Chiuse gli occhi,
ma dopo pochi secondi arrivò la cameriera, i capelli raccolti e la divisa, per le ordinazioni.
«Cosa vi porto? »
« Niente, grazie» disse Alice.
« Caffè »
«Caffè»
Mi avvicinai a Liz,
delicatamente, mentre la ragazza scriveva.
Alice ci guardava con un’espressione assorta.
« Arrivano subito » si allontanò.
Alice cominciò a guardare oltre.
Riuscii a
riconoscere uno sguardo diverso, con le pupille dilatate nelle iridi color miele. Sembrava distante di miglia e miglia, anni
e anni...
Rimase immobile e poi... assunse quell’espressione di dolore che poteva causare soltanto
una ferita maligna.
La sue labbra si tesero, come se tirate da due fili invisibili. Gli occhi si chiusero
immediatamente, come per nascondere qualcosa.
Io e Liz ci alzammo
dalle nostre sedie quasi nello stesso momento. Lei si avvicinò ad Alice e la prese per le spalle.
Era stata questione
di una decina di secondi, eppure sembrava che fosse rimasta in quello stato per tantissimo tempo.
«Alice? Alice?» Liz cominciò a chiamare il suo nome.
Che cosa le stava
succedendo? Che cosa vedeva?
Poi,
all’improvviso, Alice aprì gli occhi in un modo velocissimo.
La cameriera ci
porse i nostri caffè e andò via, indifferente, con gli auricolari nelle orecchie.
«Alice, che cosa è successo?» chiese Liz, la voce che le tremava.
«Ehm… purtroppo non sono riuscita a vedere
molto, mi dispiace. »
«Stai bene? » le chiesi. Parlava agitando le mani,
e la sua voce già molto acuta lo sembrava ancora di più.
« Sì, certo. I licantropi non li vedo… se il
tuo futuro è legato a lui, non vedo cosa ci sia da preoccuparsi» sorrise.
Liz si lasciò andare sulla spalliera della
sedia e si portò i capelli sul lato destro della spalla.
« Mi hai fatto spaventare tanto, Alice » sospirò.
« Mi spiace, Lizzy, davvero. Di solito non mi
capita mai»
Intrecciai la mia
mano a quella di Liz, che sembrò sollevarsi.
Davvero
Alice non aveva visto niente?
«E’ un
peccato che mi sia successo oggi, non volevo affatto che tu ti spaventassi,
Liz»
« Non preoccuparti. E’ tutto a
posto » fece lei.
«Adesso devo andare. Ci vediamo in questi giorni»
« Va bene » cercai di sorridere.
« Ciao, Alice»
Alice lasciò dei soldi sul tavolino, abbracciò Liz per salutarla e andò via.
Io e Lizzy ci
allontanammo presto. Ebbi subito l’impulso di stringerla a me per un braccio.
« E’ stato… non lo so. Non lo so…»
« E’ vero. Anche io sono rimasto quasi
pietrificato »
«Tu l’hai mai vista in queste condizioni?»
«Sì, un paio di volte»
«Le succede quando vede qualcosa di
brutto?»
Cercai di rispondere nel modo più naturale possibile.
« Liz, cosa potrebbe succederti se sto con
te? »
«Niente»
«Appunto»
La baciai sulla
guancia e lei non si ritrasse. Strinse la mia mano ancora di più, mentre ci
dirigevamo alla sua auto. Era una bella sensazione, in questo modo la sentivo
ancora più vicina.
Si era alzato uno
strano venticello, e il cielo si stava coprendo di grandi nuvole nere.
Lizzy si stringeva
nelle braccia, mentre io cercavo la chiave nella tasca dei miei jeans.
«Hai freddo, piccola? »
«Un po’, forse mi serve una giacca, visto che non posso sempre starti appiccicata»
Peccato.
«Vuoi che passiamo a casa mia?»
« Sarebbe meglio»
Inserii la chiave e
aprii la portiera. Mi ci infilai dentro e misi in moto.
«Forse tuo padre a casa non c’è» disse.
Schiacciai
l’acceleratore.
«Non hai paura di rimanere da sola con
me? » dissi malizioso.
«E’ la prima volta che rimaniamo soli?» mi chiese lei, con fare ovvio.
« Ma oggi sei particolarmente bella. Non hai
notato che tutti ti guardavano, prima »
«Non mi guardare e guarda la strada» si lasciò scappare una risata.
«D’accordo, d’accordo!»
Sviai lo sguardo e fissai la strada di fronte a me. Stava cominciando a piovere. Gocce
piccolissime toccavano l’asfalto e i vetri della vettura, fino ad aumentare e a
battere fortemente.
Era Forks.
***
La luce accesa mi condusse in cucina.
Mio padre era
seduto in silenzio sulla sedia a rotelle, con lo stesso abito che aveva
indossato al matrimonio di Sam.
Guardava una
fotografia e la teneva suii bordi per non farla rovinare.
«Ehi, papà» dissi.
«Oh, Jacob. Non credevo che saresti tornato
adesso… » si interruppe, «Io… credevo che saresti tornato tardi… »
« Sono passato per prendere una cosa»
«Ah, sì? » la sua voce era strana.
«Papà, c’è qualcosa che non va? » cercai di essere calmo. Avevo come il presentimento che mi stesse nascondendo qualcosa di cui
avrei dovuto essere messo a conoscenza.
«No, niente.»
Si avvicinò con la
sua sedia a rotelle.
« Leah e gli altri vi staranno aspettando...»
«Ok... ok. Io vado a prendere la giacca.» disse Liz. Ebbi solo il tempo di
voltarmi e guardarla per poco in viso. Anche lei sembrava sconcertata.
«Papà, come mai sei vestito così?» osservai. Stava per prendere la foto
e metterla in una delle tasche interne della sua giacca.
Aprì la bocca come
per parlare.
«Billy, hai finito? Charlie ci aspetta, si farà tardi...»
La voce proveniva da fuori.
Corsi
verso la
porta e aprii. Sulla soglia c’era Sue, con uno sguardo che
mi fece sentire come se in quel momento non avrei mai dovuto essere
lì. Come se
in quel modo avessi cambiato i programmi di tutto il mondo, il destino,
la vita
di un essere umano.
Era così importante che io non dovessi essere lì, in quel momento?
Sentii una porta
chiudersi alle mie spalle. Era Lizzy, che aveva preso una felpa da
indossare per il freddo.
«Jacob» disse Sue.
« Vedo che siete tutti felicissimi di vedermi, oggi. Che cosa
succede?» chiesi.
«Jake, dai. Entra pura, Sue» Billy ci venne incontro.
«Che storia è?» continuai.
Loro non risposero,
e questo mi fece ribollire dentro ancora di più.
Che cosa stava
succedendo?
Lizzy emergeva
dall’oscurità del corridoio con la sua giacca rossa. Mi guardava, un'espressione stranita in viso.
« Stiamo andando a un funerale» mio padre guardò in basso
«Billy, dobbiamo...»
«E’ mio figlio, non posso mentirgli. Non è
giusto. Non
possiamo esaudire i suoi desideri come se lo meritasse davvero.»
Per la prima volta mi
accorsi che pur avendo un’altissima temperatura, potevo anche
sudare freddo.
Come stava accadendo.
« Non c'è nient'altro da fare, Jacob. Charlie non rivedrà mai più Bella. Lei ha
deciso di smettere. Per tutti gli abitanti di Forks… è morta. Oggi si celebra il suo funerale.»
I pensieri si raggrupparono nella mia mente e
formarono un'immagine che non riuscivo ancora guardare e a riconoscere.
La
voce di mio
padre risuonò come un eco. Un tuono colpì le
mie orecchie e si unì al fastidio della pioggia, insieme alla
consapevolezza che il giorno dopo il cimitero della città avrebbe
ospitato un bara in più. Al pensiero di una
Bella dai capelli e
gli occhi scuri, la pelle così chiara che potevo vedere le vene
con il
sangue che gli attraversava il braccio, sentii il cuore sciogliersi e
contrarsi nello stesso momento. L’immagine del suo corpo
inghiottito
dalla terra era fredda e reale, come un incubo da cui è
impossibile svegliarsi. Lei me l'aveva promesso. Mi aveva promesso che
l'avrebbe detto a suo padre. Era l'unica cosa che le
avevo chiesto... Cazzo, una sola cosa, una dannatissima cosa doveva
fare per me, per noi, per quello che era stato... e mi aveva raggirato,
un'altra volta, un'altra volta aveva fatto di testa sua, un'altra volta
aveva finito per sbagliare. E Charlie... ora lui la credeva... morta. E
Bella me l'aveva promesso... l'aveva promesso a me.
Mi sentii tremare.
Vedevo il sangue
dentro i miei occhi e non potevo più ricacciarlo.
Bella era morta nella bugia.
Bella era morta.
*
*
*
*
Ciaoooo :)
Spero che il capitolo vi sia piaciuto, spero di pubblicare presto e
sarei tanto felice di sapere cosa ne pensate. Cosa potrebbe fare Jacob?
Intanto, vi ringrazio davvero tantissimo
per il vostro incredile sostegno, non so cosa farei senza. Grazie per
le recensioni allo scorso capitolo, grazie ai lettori appena arrivati e
a chi c'è da tanto, grazie infinite per tutto <3
Grazie davvero :)
A presto
Ania
|
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Capitolo 53 *** 53 ***
jake 53
You disappear with all your good intentions
And all I am is all I could not mention
Like who will bring me flowers when it's over
And who will give me comfort when it's cold
Flowers for a Ghost - Thriving Ivory
Sue e Billy se n'erano andati.
Com’è
non sentire più il tuo cuore che batte, Bella? Così va
meglio? L’hai fatto per non
sentirlo più? L’hai fatto per non sentire te stessa? Sei stata brava
allora, hai messo un cerotto sulla sua bocca, l’hai sgonfiato del
sangue e dei
desideri, li hai lasciati volare nell’aria come il gas di un
palloncino
sgonfio. Ma quei desideri li ho acchiappati io, l’ultima volta,
quell’ultima
volta. Ce li ho ancora con me, Bella, me li sono portati via con la speranza che tu li avresti rivisti e riconosciuti e
presi con te.
«Jacob.»
«Andiamo, Liz.»
«Dove?»
«Leah e gli altri ci aspettano.»
«Io... credevo che tu non volessi lasciare tuo padre da solo.»
Ma
forse l'oro che hai sulle
iridi ti ha annebbiato la vista e adesso non riesci a vedermi. Non
riesci a
vederti. Sei felice, sei felice, così? Hai
detto addio a
tuo padre, a tua madre, ai tuoi amici… Vuoi farla franca anche
con me? Speraci, Bella, perché almeno la speranza non muore. Per
uno che non muore mai, la
speranza non muore.
Mi fai vomitare, Bells.
Mi fai venire il
vomito.
«Non mi importa più niente.»
«Non è vero. Lo so.»Mi passai una mano fra i capelli, tremante. Non
dovevo lasciare che succedesse di nuovo, non potevo.
Un
funerale? La
mia vita, ora, era più importante. E dovevo ingoiare tutto il
veleno che avrei voluto sputare su Bella, perché non contava
più.
«L'ultima
volta che avresti avuto a che fare con lei sarebbe stato per un
funerale, lo sapevo.»
«Questo
non cambia niente fra noi. Non mi ha ascoltato, basta, me lo dovevo
aspettare, e poi cosa conta?» La mia voce vibrò, per poco.
Riprenditi, Jacob. Ora.
Si avvicinò a me.
«Conta per te.»
«Una volta contava, ora no.» Scossi la testa. Vattene, rabbia. Lasciami stare. Fammi vivere.
«Non
mi piace quando dici le bugie, si vede da un miglio.»
Cercai di ricompormi, di scacciare dalla mia testa quel dannato rosso sangue, di distinguere di nuovo i colori e
le forme... di ritornare in me. Di dire la verità e tutto
quello
che mi dimostrava che dovevo smetterla di prendermela così. Cosa
c'era da capire? Bella continuava per la sua strada, io per la
mia.
«Liz, sei la mia ragazza, sto con te, sei tu quella che conta.»
«Non è per questo...»
«Ma...»
«Se
vai al suo funerale ad aiutare tuo padre non me la prenderò. Tu sei
fatto così, ti conosco bene, sei il mio ragazzo, sei tu quello
che conta, e ora vedo che sei arrabbiato... e forse questa è
l'ultima volta.»
«Lo è.» Mi appoggiai al tavolo con entrambe la mani e quasi lo feci spostare. Era incredibile.
Smettila, Jacob. La devi smettere. Spegni la rabbia, spegnila.
«Allora sei arrabbiato.»
«Ma
perché... Charlie è buono e... non lo merita... e...»
E perché non ha mantenuto la promessa.
Non mi rispose e sostenne il mio sguardo.
Continuai a guardarla, e
l'incertezza svanì completamente.
Sì,
potevo ascoltare le parole del prete,
ascoltare le bugie e conoscere la verità e aiutare mio padre.
E potevo parlare con Charlie. Potevo anche essere io a raccontargli
tutto...
Liz
era
bellissima, la felpa rossa fra le mani, la scollatura della maglietta
che non serviva ad altro che a farmi cadere la connessione del cervello
e i capelli che le cadevano sugli occhi ai movimenti veloci.
Continuò a parlare. In
mezzo c'erano parole come "chiesa", "orario",
"Billy","responsabilità". Aveva quella voce che avrei
riconosciuto ovunque, quel passo che riuscivo a distinguere con gli
occhi chiusi, quello
sguardo che riusciva a fissarmi sul posto.
La abbracciai
forte, senza pensare. Perché anche se con il pensiero ero così lontano, volevo che sapesse
che le sarei stato vicino per tutto il tempo che avrebbe voluto, e che niente,
neanche quello che mi stava accadendo, sarebbe riuscito a portarmi via da lei.
«Liz…»
Si
lasciò stringere, il suo sospiro contro il mio petto, e questo
fu più bello di qualunque altra parola. Sembrava così
piccola...
«Io ti amo, Liz, lo sai.» E lo dicevo solo a lei.
«Anch'io.»
Respirai il suo profumo fra i capelli.
«Da quanto tempo non te lo dicevo?»
«Ah, che sdolcinatura...» sospirò, e le scappò una risata. Gli occhi marrone chiaro che mi lasciavano steso.
Alzò il braccio e mi accarezzò la guancia. Fu come ricevere
un’ondata di tepore in pieno viso. Un calore che avrei sempre voluto con me.
«Lizzy, io…»
«Ho
capito... ma non posso impedirti di affrontare la tua vita. Volevo
chiudere, lo sai, e quando ho deciso di restare con te, ho messo in
ballo anche quest'ultima cosa e...» le si ruppe la voce in
un mormorio di gocce d’acqua che si infrangevano contro le finestre.
La
presi per le
spalle abbassai il capo verso il suo. Sentii sulle sue labbra il sapore
del succo all'arancia preso prima, a pranzo. La strinsi a me, e sentii
le sue mani accarezzarmi i capelli. Dio, non riuscivo ancora a credere
di
averla con me.
Mi fermai, contro ogni forza della natura.
«Mi devi promettere che ti ricordi quello che ti ho detto, però.» mormorai, con il fiato corto. Sentii la sua bocca sulla guancia, leggera.
«Te lo prometto.»
«Te lo prometto anch’io.»
Mi ero innamorato
della ragazza più meravigliosa che potessi trovare al mondo.
Te lo giuro, Bells.
Sulla vita che non hai mai conosciuto.
Te lo giuro su quanto ti ho amato.
Rivedo un Jacob più giovane, sta per piangere e ha il sangue fra le mani. Sento
che è il tuo. Pensa una frase, una frase vera: non mi lasciare.
Tu mi hai lasciato, ma io ci sono ancora.
Perché ero il suo
migliore amico, e avrei fatto finta di esserlo.
Un'ultima volta.
***
Misi in moto il furgone che una volta usava mio padre. Durante il
tragitto la pioggia continuava a infrangersi sui vetri, come se l’acqua fosse
lì per ricordarmi qualcosa.
Schifo. Che schifo di vita, Bella, e te la
sei scelta tu.
Niente
mi diceva
che l’avrei trovata lì, a casa Cullen, ma dovevo tentare. Prima di
ascoltare tutte quelle bugie, volevo che mi guardasse in faccia.
Io volevo guardarla in faccia.
E adesso verrò da te, ti verrò a guardare,
verrò da te a chiederti com’è stato ascoltare le parole che si
scrivono sulle lapidi. Ti chiederò se sono abbastanza poetiche e vere come nei
tuoi libri, come le frasi di Giulietta a Romeo. Sai, quella è una bella storia,
Bella, e vuoi sapere perché? Perché anche se finisce male, gli innamorati
finiscono male insieme. Tu sei finita male da sola.
Me la immaginavo
rannicchiata in un angolo, piccola piccola, le braccia fini, il volto a forma di
cuore, gli occhi grandi e scuri come il cioccolato fondente, una
bambina, una piccola Bella…
E adesso verrò da te. Impara a ricordare,
Bella, impara. Ricordati della vita che hai lasciato. Ricordati della tua
morte, ricordati dei tuoi cari, ricorda di quanto sei stata stupida, ricorda
che la vita è difficile, ricorda che la morte è semplice, ricorda che è morire
che ci spaventa e non la morte. Ma tu non ci ha pensato e ora ti ritrovi in quel punto
per sempre.
Fa male, Bella, lo posso immaginare.
Il pensiero di lei, in qualunque
modo, viva o morta, umana o vampira, mi sporcava la vita. Non mi aveva mai lasciato andare. Mai per davvero.
Spalancai la porta
con un calcio.
Avevo già rotto il
muro in quella casa, una porta, un cuore… non facevano nessuna differenza.
«Bella!? » urlai.
Salii le scale, quella casa sembrava un giocattolo appena comprato, tipo quelle delle bambole che aveva Rebecca.
«Bella!»
Schifo, schifo, schifo, Bella! Che fai, ti
nascondi? Lo so che mi senti, vedi benissimo, e ascolti... Hai paura di farti
vedere da me?Vedo che
non riesci ancora a riconoscere i veri mostri. Chi è il vero mostro, qui?
Mi ritrovai davanti
ad un corridoio, bianco, come sempre, come tutto.
«Lo so che sei qui.»
Bella… il suo
profumo, fragola e muschio, odore del bosco vicino la sua casa, dello zucchero del
caffè di Charlie, dei cuscini morbidi del suo divano di fronte alla
televisione… e acido, qualcosa che bruciava, fastidio...
Perché sentivo
l'odore di fragole dove non c'era e pensavo ad una persona che non
esisteva più?
Ero appoggiato al
muro, il capo chino sul pavimento, le braccia tese.
Non vieni? Non vieni, Bella? Bene, questa era
la tua ultima occasione. Era la nostra… era la mia.
Mi voltai e non
dissi più niente. Era un vampiro, sapeva che la stavo
chiamando, che la stavo cercando. Se mi avesse lasciato andare, non avrebbe
avuto mai più una possibilità. Io non ne avreipiù desiderato una.
«Jake.»
Il mio cuore rimase incastrato.
Fai sempre così.
Sentii il rumore dei suoi passi verso di me. L'odore sempre più forte.
E lei.
La guardai.
I capelli neri che le ricadevano sulle spalle, il vestito scuro che le avvolgeva la pelle bianchissima. Una scarsa imitazione
dalla ragazza che avevo amato, un’imitazione così vera e dolorosa da farmi
sentire come se fosse davvero vicino a me, come se non fosse mai cambiato
niente.
Ma non era così.
«Me l'avevi promesso.»fiatai.
Un passo, un istante, un sospiro.
Non è cambiato niente…
Io sono cambiato.
Tu sei cambiata.
Ma in realtà non è cambiato niente.
«Io... non volevo che lo sapessi...» E allora mi era davvero
vicino e non potei fare a meno di alzare lo sguardo a guardare i suoi occhi.
Tutto era così... dolciastro.
«Perché?»
Restò immobile.
Cazzo, non puoi fare così. Sei un vampiro, fa' qualcosa, urlami in faccia, cacciami, fa' qualcosa!
«Bella… E’ il tuo funerale. Adesso, in questo
momento… stanno celebrando il tuo funerale!»
Ti stanno seppellendo.
«Lo so…»
«Perché stai facendo questo?» Scoppiai.
«Perché era necessario… »
« No! Non lo era!»
«Jake!» Il mio nome si ruppe sulla sua lingua. La fissai. Gli occhi così gialli da sembrare fari.
«Mi avevi detto che ci avresti provato. Che
avresti provato a parlare con Charlie.» La mia voce si affievolì, come se provenisse da lontano.
«Era impossibile…»
«Ma te l'avevo chiesto... io.»
Era
questo il punto. Era l'unica cosa che doveva fare per me, per il suo
migliore amico... se ancora mi considerava in quel modo.
«Non potevo.» mormorò, la voce bassissima, quasi inudibile, ma troppo chiara.
«E sei contenta? Sei contenta, ora? Tutti in
questo momento ti piangono. C’è tuo padre, tua madre, Phil… i tuoi amici del
liceo…»
«Smettila.»
«L'avevi promesso... a me, Bella. A me.»
«Basta, per favore...»
«No! Non vedrai mai più tuo padre, né tua madre, né i
tuoi amici, non vedrai mai più nessuno delle persone che hai conosciuto prima e
poi…»
«Questi giorni Charlie ha insistito nel
vedermi. Diceva che tu eri qui a Forks, che c’eri anche tu. Voleva che gli
fosse dato il permesso da Carlisle per vedermi, Jake. Lui non poteva. Ha
insistito tanto, tantissimo... ed io non ce l’ho fatta. E’ troppo pericoloso, non
può sapere! Non posso perdere anche lui… non per questo. Ho già perso… ho già
perso tanto. E’ meglio così… »
No, non era la sua voce. Era troppo alta, troppo pulita, sembrava
andare in frantumi in ogni pausa. Ma dio... era davvero la sua, mi
stava parlando con quella voce ed io... L'avevo persa
davvero. Stavano celebrando il funerale per una ragazza che era morta
da due anni.
«Tutto questo per lui… per quella cosa…» sbraitai, la voce che mi tremava.
«Non chiamarla cosa, Jacob. E’ una bambina. E' mia figlia.»
«Loro due, insieme, ti hanno uccisa!»
Indietreggiò, veloce, e io la afferrai per i polsi...
così freddi, duri, bagnati di niente. Ed io non sentivo
più... la sua vita. Quella cosa che mi diceva che lei
era lei, quella vera.
«Non parlare così!»
Rabbia.
I
suoi occhi e i miei: ombra e luce, nero e bianco, vita e morte.
Rabbia.
Urli.
Pioggia.
«Non puoi comportarti così, non ne hai il diritto...»
Era abbastanza forte da spingermi all’aria,
da farmi male… ma non lo fece.
«Chi ce l'ha questo diritto?»
Fa male soffrire, Bella? Fa male, ci credo.
E per quello
stava facendo incidere il suo nome su una lapide.
Per quello non
avrebbe più rivisto Charlie e Reneè.
Per quello sarebbe
morta di nuovo.
«Lo sapevi che Charlie lo avrebbe accettato, lo dovevi fare per me... per me...» scandii, lentamente.
«Jacob…» sussurrò, gli occhi chiusi, i volti vicini, le sue mani di marmo sulle mie spalle, a sfiorarmi il collo.
Tutto questo è sbagliato.
«Ora me ne vado... lasciami andare, non toccarmi, basta.»
Mi scostai, lei sembrava fatta di plastica. Mi guardava con quegli
occhi liquidi, le ciglia lunghe dove si era incastonata la
pioggia la prima volta che l'avevo vista in quel modo.
Sperai che mi
dicesse
qualcosa che mi avrebbe fatto allontanare per sempre, qualcosa che mi
facesse sentire un intruso, un corpo estraneo.
«A chi ho promesso, Jacob? A chi?»
Mi
fermai a pochi centrimetri. Una ciocca le copriva leggermente il viso,
la pelle sembrava così fine da diventare trasparente.
Non la riconoscevo più. Odore dolciastro, odore di morte. Odore di solitudine.
«Non ti capisco.» sospirai.
E poi successe.
Parlò. Bella, la
voce bassa e fine, mormorò:«Tu non mi ami più, io sì, se prima esisteva qualcosa, ora non esiste più.»
E andai a pezzi,
ancora una volta.
«Jake…»
mi richiamò, e poi ebbe un fremito contro il mio corpo. Le ero
troppo vicino, lo sapevo. Lo sapevo bene. La puzza era insopportabile,
non era più come la prima volta, ora vedevo, ora sentivo solo il
vampiro.
«Ti amavo veramente, Bells.» Speravo che la vera Bella mi sentisse.
Mi
allontanai con un unico grande passo, e lei sussultò.
Aspettai, contro l’altra parte della parete, lo sguardo fisso. Ma
lei non
rispose.
«Ora no.»
«Perdonami.»
Quel suono uscì
fuori come un lamento.
E te lo chiederò. Ascolterò la risposta, la troverò nei tuoi
sospiri, se ancora sospiri, se ancora ricordi come si fa a piangere, e me ne
andrò via, e allora sarai morta anche per me.
Volevi che finisse? Finirà, Bella. Finirà.
«Bells, Bells, guardami. Perché? Perché?»
«Non potrai essere nemmeno... il mio migliore amico, non potrò mai più avere niente di te.
E tu ami un'altra persona... ami... quella Liz e... è migliore
di me, è diversa... e non posso...»
Non mi vedrai mai più.
Alzò lo sguardo
color miele.
« Io ho permesso che tu te ne andassi…»
«Bella...»
«Tu sei tutto per me, ma ora non puoi essere nessuno.»
Mi sfiorò con le sue dita fredde,
si mosse verso la stanza da cui era uscita - per la prima volta mi
accorsi di quanto potesse essere veloce - e si fermò vicino ad
un’altra parte
del muro che sembrava più scuro, anche su quel bianco.
Toccò la parete con gli schizzi di sangue
ormai
imbruniti, quello per cui mi era rimasta una cicatrice sulla mano.
Vampiri, Volturi, Liz che non si muoveva, Liz che non respirava, Liz che non rispondeva...
«Lo so che questo è il tuo sangue.», si sfiorò il
braccialetto con la mano libera.
Mi avvicinai a lei.
Avevo gli occhi lucidi. Per tutto.
«Davvero lascerai che finisca così?» La mia voce era bassa.
«E' tutta colpa mia.»
«Si può fare qualcosa…»
«Non si può fare niente. E adesso è
meglio che vai. Non voglio che gli altri percepiscano il tuo odore quando verranno.»
«Certo. E’ sempre così, no? Ti vergogni?»
«Jacob, come puoi... »
«Questa è l'ultima volta che mi vedi. E trova il modo di farti passare tutti questi rimpianti, perché io...»
«Mamma?»
Una bambina.
Una voce piccola.
Una voce.
Non ti voltare.
Occhi grandi,
scuri.
Capelli lunghi,
ramati.
«Renesmee, tesoro…»
La voce di Bella
riecheggiò.
Pelle diafana.
Guance rosa.
Dimmi che non è vero.
Fu un istante.
Rividi
uno sguardo
nella folla, dei capelli castano chiaro... sembravano biondi per il sole, rividi delle risate davanti ad
una
porta di casa. Rividi un bacio fra
la neve, un gelato al cioccolato che gocciolava, campanelle che
suonavano, urla
di disperazione, l’odore della morte nelle narici, un bacio
così pieno di
desiderio da togliere il respiro al mondo, una notte magica, tanti
libri, pennelli sporchi, odore di benzina, dei
fiori profumati, una bambina dai capelli neri e gli occhi color nocciola…
Non avrai più niente di tutto questo.
«Niente, tesoro. Vieni qui… Lui è Jacob,
un caro amico della mamma.»
No... Toglimi tutto, ti prego!
Toglimi tutto! Guardami, Dio, guardami! Ci sei? Non ti è bastato? Non hai
visto? Non era abbastanza tutta questa sofferenza per te? Lasciami! Abbandonami al mondo.
Lasciami.
«Ciao.»
Vattene.
«Jacob, va tutto bene?»
Il riflesso della morte.
Terrore.
Soffochi.
Morte.
Ti stringe.
Catene.
Imprinting.
«No…»
Non poteva essere vero. Non poteva. Io ero innamorato di un’altra.
Io ero già innamorato.
Liz…
Respira, respira, perché non respiri?
Misi a fuoco l'immagine davanti a me.
Il cuore, il cuore, perché non senti più nessun battito?
Tremai.
Un dolore al centro del petto mi fece piegare in due.
Poi il nero.
*
*
*
*
Salve :)
Ok...
giù le lance, le pistole, gli archi, e le stelle ninja... per
favore. *-* Se mi uccideste, non potrei più continuare a
scrivere. *Risata diabolica*
Mi
dispiace tanto T.T ma non è stata colpa mia, credetemi. Se fosse
stato per me, Jacob sarebbe andato direttamente al funerale e tutto
questo non sarebbe successo. Ma questo non cambia le cose. Grazie tante
a chi ha recensito lo scorso capitolo *_* spero che voi continuerete a seguirmi e a
sostenermi, per me è davvero importante e per questo non
smetterò mai di ringraziarvi <3 Avete qualche idea su quello
che succederà adesso?
La
canzone che fa da introduzione è davvero bellissima, e mi fa
pensare tanto a Bella e Jacob in questo momento. Vi consiglio di
ascoltarla e di vedere anche la traduzione <3
Grazie davvero. Per tutto.
Ania <3
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Capitolo 54 *** 54 ***
jake 54
I had to suffer one last time
To grieve for her and say goodbye
Relive the anguish of my past
To find out who I was at last
Accovacciato
a terra, nel bosco, non avrei potuto parlare neanche se l'avessi
voluto.
Tossii. Le urla mi avevano lasciato con la gola che mi bruciava, senza voce.
Senza più niente.
La pioggia mi pungeva la pelle.
Tutto faceva male.
"Jacob, va
tutto bene?"
E poi Bella le sorride, Bella si inginoccia, Bella le accarezza
la guancia e la abbraccia... e lei mi guarda, con quegli occhi
così... così uguali ai suoi, a quelli che aveva prima...
Mi alzai.
Re... Renesmee.
Liz, ti amo.
Re.Ne.Smee.
Liz... ascoltami... Io ti amo.
Renesmee.
Non
mi sentivo più le gambe.
Uccidetemi.
Sospirai, inzuppato d'acqua.
Cominciai a camminare.
Liz,
Liz, Liz. Ti sto pensando e non c'è nessun'altra. Non. Può. Esserci.
Dovevo andare a casa.
Cosa dirai a Liz? Altre bugie? Come spiegherai tutto?
Feci un respiro profondo.
Liz, ti prego, ho bisogno di te...
Come
avrei fatto a guardarla negli occhi? Come avrei fatto a dirle tutto
quello che mi era successo?
Lei
non… io non penso a lei, non c’entra più niente.
E’ che la notte non dormo... e mi odio e… ti amo, Cristo,
ti amo. Sono un idiota e voglio morire e me lo merito, se adesso cade
un meteorite e colpisce proprio me, non può che farmi un...
piacere.
Ma prima... prima... dovevo fare
quello per cui lei
mi aveva lasciato andare.
Dovevo affrontare quello che aveva deciso di
fare Bella, dovevo guardare Charlie, parlargli, stare con mio padre
e... fingere che tutto fosse normale. Ma come facevo? Io... io volevo solo...
Liz.
Occhi liquidi...
Liz.
... Del colore del cioccolato.
Liz.
Capelli lunghi, ondulati.
Liz.
... Rossi.
Renesmee.
Cercai
di ricacciare indietro quel pensiero orribile. Quella bambina doveva
sparire... doveva sparire dalla mia testa.
Deglutii, e sentii la saliva
rachiarmi la gola.
Vai, via, non ti voglio.
Un dolore fortissimo, al centro del petto.
Le catene erano state fissate lì?
Vai, via, non ti voglio.
Mi ritrovai davanti a un cancello di ferro, di quelli intagliati.
"Jacob...
Jacob, dove vai?" Io che corro, Bella che mi chiama, la voce di
Renesmee che dice:"Mamma, che cosa succede?".
Io che non vedo
nient'altro che nero.
Ero al cimitero di Forks.
Aprii il cancello, con un cigolio stonante nelle orecchie.
Mi sentivo gli occhi gonfi, anche ora che aveva smesso di piovere.
Schifo di vita. Schifo di persone.
Schifo di
magia.
Avanzai per parecchi metri, l'erba morbida sotto i piedi, e poi mi
fermai.
Lessi il nome sulla lapide, e mi venne tutto addosso.
Corsi in camera mia. Non dovevo piangere, non dovevo.
Presi
da sotto il letto la mia macchinina rossa, quella che avrei voluto
avere da grande, perché a dieci anni ero ancora troppo
piccolo ed io non vedevo l'ora di crescere. La buttai all'aria con un calcio e mi ci buttai sopra con i piedi, calpestandola.
Quanto era bella la mamma, con quei capelli
castano scuro, la pelle color oro, gli occhi grandi e scuri come le
caramelle al caffè, il profumo di fiori fra i capelli...
La mamma.
Da
quel giorno mi dimenticai di tutti i giocattoli. Al suo funerale
indossai la camicia bianca per le occasioni speciali, quella che lei
aveva steso nel cortile prima di uscire.
L'ultima volta che riuscii a darle un bacio, la sua guancia era freddissima.
Non si sarebbe mai
più svegliata.
La sua bara fu fissata con i chiodi, sentii il
rumore del martello contro il legno. Mio padre mi stringeva forte, mentre il ferro intrappolava per sempre mia madre.
Non volevo vedere.
Sarah Black
Fu Wild
30-9-1968
14-3-2000
Mamma.
Mi manchi da morire.
Guardavo
le lettere
nere su quel bianco circondato da aloni.
Mi ricordai di quando, da
bambino, tirava fuori i cioccolatini dalla tasca per farmi smettere di
chiamare in continuazione le mie sorelle. Lei mi abbracciava e mi
diceva che avrebbe giocato con me per tutto il tempo.
Aiutami.
Già, chissà se mi senti. Non so nemmeno a chi credere,
adesso. Tu... tu la conosci Liz, vero? Hai visto come... com' è
dolce, come sorride, come mi prende in giro, come mi capisce... e lei dipinge, come facevi tu, ti ricordi?
Non
voglio lasciarla, non voglio che tutto finisca. Sono innamorato di lei.
Vorrei tanto che tu fossi qui... che tu
fossi qui con me...
Guardai i fiori
secchi posti davanti alla lapide.
Vorrei che tu fossi qui con me.
***
Ancora tanti passi.
Liz, tornerò da te, te lo prometto. Ti amo, te lo prometto.
Deglutii. Ero arrivato troppo tardi.
E
mi ritrovai a guardare tante persone vestite di nero che mi passavano
davanti, gli ombrelli chiusi lasciati cadere sui fianchi. C'era anche
un sacerdote... con un libro sotto il braccio.
Poi li vidi.
Loro…
I succhiasangue.
Mi
partì un ringhio direttamente dal petto, una lamentela del
cuore. E mi sentii le narici bruciare, quasi mi avessero buttato
dell'acido addosso.
C'era Edward Cullen.
Non senti niente, Jacob Black.
Nessuna
lacrima. Solo bugie. Incontrai i suoi occhi
giallognoli e lo squadrai da lontano. Era vestito... come
quando aveva accompagnato Bella al ballo, più o meno e...
guardava me. Ma la cosa che mi faceva incazzare
era quell'espressione triste che cercava di avere. Se non ci fossero
state così tante persone avrei provato a tiragli un pugno.
Perché lui sarebbe andato a casa e ci avrebbe trovato
Bella, vampiro, senza un cuore che batte, e
con lei avrebbe potuto vivere per sempre. Vivere però era una parole troppo grossa.
Non lo sai che tua moglie non ti ama? Non lo sai che si è pentita?
E invece
era lì a fare la recita davanti a tutti.
Smisi di fissarlo. La puzza mi avrebbe fatto morire.
Charlie camminava a
testa bassa. La giacca disfatta, un fazzoletto bianco in mano.
Sembrava... sfinito. Come se avesse
combattutto con tutte le sue forze per qualcosa, qualcuno, e nessuno dei suoi
sforzi avesse dato dei frutti. Non sembrava più lui, e sapevo perché.
Perché il dolore, quando arriva, annulla le persone.
«Jacob.»
La
sua voce era un
sussurro. Che cosa potevo dirgli? La verità? Potevo rivelargli che tipo di persone
erano quelle a
cui Bella si era legata per sempre? Potevo... raccontargli tutto?
I succhiasangue le avevano portato via l’umanità anche
quando il suo cuore batteva
ancora.
«Charlie... io...» Non riuscii più a proseguire.
Fu lui ad
abbracciare me, tagliando l’aria che ci separava.
«Mi dispiace così tanto… »
mormorai. La voce rotta, per tutto,
perché ero stato messo a tappeto, senza la possibilità di
fare qualcos'altro che non fosse urlare. Ma non dovevo pensare... non
dovevo pensare a... quello.
«Lo so, Jacob. Lo so.» mi rispose.
Mi guardò. Vidi le venature rosse dei suoi occhi, precise come
il tratto del pennello che usava Liz.
Liz, bellissima, con quel vestito viola che le arrivava poco sopra il ginoccio, i capelli castani con i riflessi chiari...
«Era la mia bambina. Bella... Bella...»
In quel nome non vedevo altro che vuoto.
«Charlie...»
«Ascolta...
Io so una cosa. Forse
lei... lei ora sta bene. E'... con sua nonna, è felice. Come...
come è scritto nella Bibbia. Tu ci credi, Jacob?»
Cercai
di capire meglio. Io ci credevo?
«Non lo so, Charlie. Io... penso che... non mi sarebbe successo...»
Una donna si avvicinò a noi.
«Ehi, Charlie. Andiamo.»
Era magra, con le lentiggini sul viso. Gli
occhi verde chiaro erano spenti, come fulminati. Senza vita. Accanto a
lei c’era anche Sue, che prese gentilmente Charlie per un braccio.
«Sì, Reneé.»
Charlie
mi diede
una piccola pacca sulla spalla. «Io invece spero che esista,
Jacob. E' l'unico appiglio che ho.» Continuò a parlare ed io rimasi perso nei miei pensieri. Poi si allontanò.
Mi
voltai. Pensare all'esistenza di Dio ora non avrebbe fatto altro che
complicarmi tutto quello che ormai era già senza speranze.
La sedia a rotelle su cui si trovava mio
padre era spinta da Carlisle.
Tentai di non provare
disgusto. Sviai lo sguardo, e poi fu impossibile trattenere la rabbia.
Alice Cullen
accarezzava lettere intagliate su una lapide improvvisata, dove era stata sotterrata una bara senza corpo.
Alice… Alice, la veggente, aveva
avuto una visione, quando Lizzy le aveva chiesto di vedere il futuro.
Lei… lei sapeva che
sarebbe successo.
Si alzò in modo
troppo aggraziato. Indietreggiò, veloce, poi si incamminò verso
l’uscita. La mia direzione.
«Tu… » mormorai. E non mi ero accorto di averla messa di spalle al
muro, un muro che era la soltanto una parete monumentale.
Sentivo la puzza dolciastra trapassarmi il naso.
«Jacob! Che fai, lasciami!» strillò.
«Perché? Perché non mi hai detto che cosa avevi
visto!?» urlai, e la mia voce
riecheggiò nel sonno di tutti quei morti.
«Dimmelo! » La sbattei ancora al muro per le spalle, senza preoccuparmi di
farle del male. Avrei potuto spaccare la pietra se
solo avessi…
«Lasciala in pace!» Mi sentii il polso schiacciare da
qualcosa di incredibilmente duro. Era come sentire le ossa che mi si sbriciolavano
sotto la carne.
Quello biondo mi aveva
afferrato, forte. Il dolore
bloccò tutte le mie intenzioni, annebbiandomi la vista. Caddi a terra e me accorsi solo quando sentii il fango in bocca.
Schifosi.
Alice corse verso Jasper.
«Hai
avuto una visione.Tu... tu hai... hai visto!»
urlai, ma il dolore al polso non c'entrava niente. Potevo
ucciderla... potevo... Dio, non lo sapevo nemmeno io che cosa avrei
potuto fare... Ero arrivato tardi, non ero nemmeno riuscito ad
assistere al funerale e mi ero preoccupato di andare da Bella...
«Perché fai così?» sibilò.
«Perché è successo!» ringhiai. Mi bruciavano gli occhi, non riuscivo più a vedere.
Liz, piccola... ho bisogno di te.
«I Volturi… vuoi dire che…»
«Cosa?»
I Volturi? Allora
il peggio doveva ancora arrivare... Perfetto! Avrei trovato un modo migliore per
farmi uccidere, allora!
«Ho visto Lizzy… in una camera buia... che
piangeva. Sembrava che sentisse dolore… e poi ho visto dei mantelli… e ho visto
del sangue su una mano pallida…»
sospirò e si strinse a Jasper,«Non riuscivo a capire. Volevo aspettare di
avere altre visioni per spiegare meglio. E poi così avrei fatto spaventare
Lizzy… »
«Non farai mai più una cosa del genere, hai
capito?»
mi tuonò Jasper con Alice tra le braccia, mentre io mi alzavo. Mi guardai la ferita sulla
mano e il polso, si stava rimarginando. Io sarei rimasto ferito per
sempre, senza guarire mai.
Annuii.
«Ma perché l'hai fatto? Cosa è successo?»
Oh niente, niente di che. La vostra amichetta
ha finto di essere morta e tutti soffrono per lei, io ho sofferto per lei e, dato che
non mi ero ancora comportato abbastanza da idiota, sono andato a casa
sua, là ho visto sua figlia e... Boom! Imprinting. Anche se io ho una fidanzata
stupenda che amo con tutto il cuore… Facile, no?
Cominciai a tremare e mi sentii soffocare.
Alice non sapeva
dell’imprinting perché non riusciva a vedere i licantropi.
Ero
fuggito da casa Cullen senza rivelare niente. Alice non sapeva niente.
Quando avevo guardato Edward, avevo pensato solo a Bella.
Ero solo.
Eravamo
solo io e il mio segreto.
«Jacob?»
«Abbiamo sentito la presenza di altri...
vampiri » fiatai, veloce.
«Era
necessario aggredirla?» ribattè Jasper.
«Mi... mi dispiace… » mormorai, nervoso.
«Dispiacerti non è abbastanza.»
«No, Jasper. Non è niente. E’… sconvolto… Non
avrebbe dovuto sapere della decisione di Bella. Credo che sia normale.»
Normale... normale…
come facevano a pronunciare una parola simile quando tutto era sbagliato?
Non
replicai. Li
ascoltai parlare e... mi misi a pensare a Liz, a dove poteva essere in
quel momento, a come parlava, a come le si illuminavano gli occhi quando succedeva qualcosa di bello...
E
Alice mi disse qualcosa, Jasper qualcos'altro e non li ascoltai. Rimasi
lì, in piedi sulla terra infangata, quando ormai i miei vestiti si erano
asciutti. Continuai a toccarmi il polso, e non riuscivo più a
distinguere quale fosse il dolore fisico da quello che riguardava
tutt'altra cosa. Trovai la forza di camminare e mi diressi verso quello
che era stato il mio incubo peggiore per tanto tempo, in ogni forma.
Ora non era altro che una sconfitta.
Isabella Marie Cullen
Fu Swan
13 Settembre 1987 -17 Luglio 2010
Sei nata, sei cresciuta, ti sei innamorata due
volte, sei andata a cercare la morte, l’hai vista e... sei rimasta lì.
Hai incantato la morte, Bella. Ora restate a guardarvi per sempre.
Chi l’avrebbe mai detto, non è vero? Ma
in fondo tu l’hai sempre saputo che sarebbe andata così… che in un modo o
nell’altro, saremmo morti per questo.
Guardai la pietra
sul terreno, fermo, con il tremore nelle mani che volevano spaccare tutto,
infilarsi in quella terra e... scavare, e aprire la bara vuota per
guardare e mostrare a tutti che lì dentro non c'era niente. E’ dura vivere senza sangue? Senza umanità? Lei lo sapeva. Lo aveva
scoperto. Mi hai tolto tutto.
E invece… invece
accarezzai quel nome con le dita.
Guardai le rose
bianche poggiate sulla lapide, guardai la foto. Guardai, dopo tanto tempo,
Bella Swan. Un sorriso, degli occhi grandi, il velo bianco da
sposa.
Per tanto tempo, prima di dormire, me l'ero ricordata così.
Feci un respiro
profondo e sputai nella terra. La pioggia era finita, ma io mi sentivo scivolare qualcosa da dentro.
Guardai il cielo
scuro, i nuvoloni disegnavano crepe.
Quelle che presto mi sarebbero cadute addosso.
*
*
*
*
Ciao a tutti.
Questo capitolo è preparatore al prossimo. Forse avreste volute
leggere di altro, ma prima c'era una cosa che doveva essere fatta,
anche se Jacob è arrivato tardi. Troppo tardi. La canzone che ho
citato all'inizio mi fa pensare al dolore di Jacob, ma secondo me
esprime moltissimo i sentimenti che potrebbe provare Charlie.(La
maggior parte delle canzoni che metto all'inizio sono sconosciute :P ma
sono bellissime <3 ) Jacob era
troppo scosso per i suoi problemi, raccontargli la verità era
qualcosa che richiedeva tanta forza. Vi ringrazio moltissimo, per
tutto. Ringrazio i nuovi lettori, chi c'è da tanto. Chi ha
ascoltato le mie paranoie in chat, per telefono e di persona. Chi non
sento da tanto ma so che c'è sempre per me. Non so cosa farei
senza di voi. E ringrazio con tutto il cuore Postergirl
che ha realizzato il trailer di questa storia, è il suo primo
video, ed è stata bravissima. Sono onorata che l'abbia fatto di
Destiny heart <3 lo trovate qui.
Fate un salto nel suo profilo se amate la coppia BellaxJacob, in particolare vi consiglio "No Happy ending".
Spero di pubblicare il prossimo capitolo fra due settimane, salvo imprevisti.
Grazie davvero
Ania
|
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Capitolo 55 *** 55 ***
jake 55
Piaga per allentar d'arco non
sana.
Francesco Petrarca
Entrai in casa e mi
lasciai cadere sul divano, le mani sul viso. Il respiro che ancora si ostinava
a non tornare normale
Ero solo. Eravamo solo
io e il mio segreto. L’immagine della bambina con i capelli rossi e gli occhi
di Bella mi si scaraventò nella mente. La bambina correva, la bambina rideva.
La bambina guardava verso di me.
Mi alzai, accesi la
televisione. Cominciai a cambiare canale, un occhio buttato all’orologio di
tanto in tanto. Il telecomando era andato. E no, non era perché avevo premuto i
tasti troppo forte. Non potevo essere sempre io il problema, no?
Ho bisogno di te.
O forse sì… Ero
sempre stato io il problema.
Le nove.
Aveva ricominciato
a piovere e lei non tornava.
Non tornava.
Avevo sbagliato,
era tutta colpa mia, ed io pensavo a lei, a quello che era successo. Chi era
Renesmee Cullen? Chi era, per me? La figlia di Bella, la figlia di Edward.
Era…
Il mostro.
Un mostro con gli
occhi color cioccolato, i capelli lunghi, le guancie rosate. Quando era nella
pancia di Bella le spezzava le ossa.
Dovevo vedere Liz,
subito. Potevo anche solo guardarla da lontano… qualunque cosa per sentire i
miei pensieri, poter pensare… Ecco, lei è
la ragazza che amo.
Lei. Liz. Diciotto anni. Seattle.
Appassionata di arte. Sa la differenza fra una Saturn e una Chrevolet. Amante
delle commedie romantiche. Quella che raccontava le fiabe a sua sorella, prima
di dormire. La repulsione verso la liquirizia. Quella che ama mangiare il
gelato d’inverno. Quella che gioca a palle di neve senza preoccuparsi di
guastarsi i capelli. Quella che mi prende in giro quando non capisco le cose
più semplici di geometria e alla fine me le spiega lei. Quella che ascolta.
Quella che quando parla lascia tutti in silenzio. Quella che, quando mi bacia,
mi appoggia le mani sulle spalle… e poi le passa vicino al collo e mi accarezza
la pelle vicino all’orecchio e…
Il telefono
squillò. Quando lo presi, quasi mi cadde dalle mani.
«Liz?»
«No, Jake, sono papà.
Resto a da Charlie fino a tardi, è venuta molta gente. Resta anche Sue.»
Sospirai, senza
trattenere la delusione.
«Va bene, pà…
Mandagli i miei saluti.»
«Non combinare
casini. »
Ah, troppo tardi.
«D’accordo.» Riattaccai.
Le dieci.
Lei è quella che mi guarda e mi fa
dimenticare il mio nome. Lei è quella che mi guarda e mi fa capire chi sono.
Lei è quella che quando ride riesce a farlo fare anche a me, anche se stiamo
vedendo un film in lingua originale straniera e io non capisco niente. Lei è
quella che quando ha dei problemi li vuole nascondere. Lei è quella che dice
“grazie” quando faccio qualcosa di banale per lei:una serata divertente;
aggiustare il motore della macchina che non andava bene; mettere a posto il
lettore DVD che non partiva. Lei è quella che arrossisce quando le dico che è
stupenda. Lei è quella che mi sbatteva il libro di inglese in testa anche se
alla fine non studiavo lo stesso. Lei è quella che si dimentica di togliere i
biscotti dal forno, e io li mangio tutti bruciacchiati e le dico che sono buoni,
anche se puzzano di bruciato. Lei è quella che, la sera dopo il ballo, ha avuto
il coraggio di sbottonare il primo bottone della mia camicia. Lei è quella che,
dopo avermi fatto cadere i vestiti, ha lasciato che la amassi per davvero. Lei
è quella che, la mattina dopo, mi ha detto che non avremmo più avuto freddo.
«È vero, non posso
crederci neanch’io, ma ora ti devo lasciare… No, Lu, per favore. Ho ancora
l’ombrello in mano, sto tornando, e con il telefono non riesco ad aprire la
porta e… ma dài, Lucy, posso chiamarti domani? Chuck… guarda, non so cosa aveva
bevuto lo sceneggiatore quando ha scritto quell’episodio… e tu che mi costringi
a guardarlo! No, niente di che, Jacob doveva fare una cosa e… agh, ecco, mi è
caduto l’ombrello… »
Aprii la porta,
veloce.
A Liz scivolo la
chiave dalla serratura, ma non mi preoccupai nemmeno di afferrarla, perché dal
semplice “ciao” che aveva elaborato il mio cervello ne venne qualcosa di
altamente incomprensibile.
Forse era troppo
sconvolgente il fatto di guardarla, di ascoltare la sua voce.
«Va bene, ci
sentiamo, ciao.»
Liz. Lei.
Entrò in casa e poggiò
la borsa sul tavolo, piano, mentre io restavo a guardarla, incapace di sviare
lo sguardo. Consapevole del fatto che non avevo più il diritto di farlo.
«Sono… sono andata
da Seth.» disse. Si tolse la giacca e se la accartocciò al petto, lo sguardo
basso. Si passò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, le guance rosse,
«Nolly è appassionata di fotografia e ci ha fatto vedere degli album. Brian e
Seth sono rimasti a giocare alla play, ma ogni tanto venivano a darci fastidio,
sai com’è…»
Sei bellissima.
Alzò gli occhi
nocciola verso di me.
Sei tu.
«Non dovevo farlo…
» sospirai, una mano fra i capelli e un'altra a sostenermi al muro. Girai la
testa.
«Jake… che cosa… »
«Non dovevo. » Quasi
urlai, «Dovevo stare con te.»
Dovevo parlare? E
lei come avrebbe reagito? Sentii la sua mano accarezzarmi la spalla,
raggiungere il mio viso.
Forse potevo
sopportare il dolore da solo.
«Non dire questo.»
«Sì, invece. Che
ragazzo è quello che molla la sua ragazza per andare ad un finto funerale? Che
ragazzo è quello che decide di andare a vedere tutte le persone che piangono
per una che non è mai stata nemmeno la sua fidanzata in passato, invece di stare
con la persona che ama? Che ragazzo è? Che cazzo sono, io? » Mi scostai e mi
diressi verso il tavolo, come per trovare un altro appoggio. Perché avevo
l’impulso di sbattere la testa contro il muro, di spaccare tutto, di farla
finita una volta per tutte.
Che ragazzo sono, Liz? Che ragazzo è quello
che butta tutto all’aria così? Che ragazzo è quello che va da una persona che
non conta più nella sua vita e poi ha l’imprinting con sua figlia? Che ragazzo
è?
«Smettila, Jake. Ti
stai arrabbiando per una cosa che… che non ha senso.»
«No.»
« È tutto finito.
Questa… questa era l’ultima cosa da fare per… lasciarti tutto alle spalle, e lo
sai. Se lo so io, lo sai anche tu. Sei andato al suo funerale. È finita… Cos’altro
c’è?»
Cos’altro c’è?
Mi voltai verso di
lei, le mani che mi tremavano.
«C’è che… »
Ho avuto l’imprinting.
«Cosa? » mormorò.
Ho avuto l’imprinting.
Mi venne più vicina
e mi accarezzò il viso. Lei, con le sue mani, con quelle mani. La sua pelle.
Liz.
«Jake? » Mi passò
una mano sotto il mento e mi ritrovai di fronte al suo viso, i capelli un po’
bagnati attaccati alla nuca, le labbra carnose, le lentiggini leggere sul naso,
gli occhi grandi di marrone chiaro.
Deglutì, e una
goccia d’acqua dei suoi capelli le attraversò la maglietta. Mi scoppiava la
testa, il cuore mi batteva forte, troppo forte. Lo sentivo pulsare attraverso
le vene, nel sangue. E la mia testa stava per esplodere.
«C’è che… » Presi un respiro profondo, gli
occhi chiusi. Aspettai che tutto mi cadesse addosso. Che tutto si sgretolasse.
Perché quello era il momento. Era l’ultimo secondo in cui avrei potuto
guardarla senza che lei provasse dolore. Tutto era nebbia, tutto era sfuocato.
La mia lingua si mosse da sola, senza darmi
tempo. Era troppo tardi, ormai.
«Io ti amo.»
Sometimes what you say
confuses what you mean
a mouth of strangled words
Come spinning out your mouth
nothing’s like the dream
Anche se ho avuto l’imprinting. Anche se mi
fa male il cuore quando lo penso.
Il cuore mi fa sempre male, adesso.
Aprii gli occhi, la
gola che mi bruciava.
Senza capire.
Che cosa hai fatto, Jacob?
Sorrise e le
comparve la fossetta sulla guancia… come la prima volta in cui avevamo parlato,
nel parco di Seattle.
forget the words I say
just let them hit the ground
as long as we can tear down these houses
tear down these houses
«Anch’io. E quando
fai così mi fai innervosire.»
Rimasi così,
imbambolato, mentre tutto diventava fuoco e tutto diventava nero. Con lei fra
le mie braccia e i nostri visi vicinissimi. Deglutii, mentre lei mi sfiorava i
capelli con le dita. Come se fosse la prima volta che succedeva. Come se
fosse la prima volta che la abbracciavo, che la toccavo. Tutti
i lacci che ti stringono la vita si spezzano in un attimo, come lo spago di un
grappolo di palloncini. Tutto ciò che ti rende ciò che sei - l'amore per la
ragazza davanti a te, l'amore per tuo padre, la fedeltà al branco, l'affetto
per i tuoi fratelli, l'odio per i tuoi nemici, per la tua casa, per il tuo
nome, per te stesso- si sono staccati da te -zac , zac, zac- e fluttuano nello spazio.
Le spostai i capelli dal collo, sospirando,
come se fossi stordito. Un ronzio continuo nelle orecchie.
You can run away
while I protect the way I am
there’s comfort in the pain
ripping through my heart that kicks you when
you’re down
stand down on your demands ’cause no one wins
this war
«Dovevo stare con
te. Oggi. Questo pomeriggio.»
E sembrò quasi un lamento,
il verso che fa la voce quando si riceve una ferita, quando anche parlare fa
male. Perché ogni carezza mi dava sollievo e, allo stesso tempo, le catene
tiravano indietro.
Sentivo il sangue
sgorgare, denso.
«Sei con me adesso.»
Liz si spostò, di
poco, e allora mi sentivo male a stare così vicino alle sue labbra e nello
stesso istante così lontano, perché non era abbastanza.
Ma non vai alla deriva. Un nuovo laccio ti
trattiene.
Non uno: un milione. Non di corda, ma d'acciaio.
Un milione di cavi d'acciaio che ti legano a una cosa sola; al centro esatto
dell'universo.
you sharpened your weapon for another useless cause
there’ll be no survivors
as long as we can Tear Down These Houses
tear down these houses
Chiusi gli occhi, e il nero c’era ancora.
C’è una bambina. C’è Bella che la abbraccia.
Ora c’è una ragazza con i capelli ramati, gli occhi scuri che luccicano. C’è
Edward. La ragazza mi viene incontro, Bella ci guarda.
Sospirai.
La strinsi a me
ancora di più e trovai la sua bocca. Sapore di pioggia, di arancia, di lei. Lasciai
scorrere le mie mani sulla sua vita, senza fermarmi. C’è una ragazza con il vestito che svolazza, che sorride e assomiglia a
Bella. «Jake, vieni? » Anche la sua voce sembra quella di Bella.
Socchiusi la bocca,
senza fiato, le nostre lingue a scontrarsi.
Lei gemette, quando la sollevai contro il tavolo.
Finalmente capisci
che l'universo ruota attorno a quel punto. Non hai mai colto la simmetria
dell'universo, che adesso ti è chiara.
Ora non è più la forza di gravità a imbrigliarti.
Il mio respiro era affannato.
Le catene ti tengono stretto.
Nella mia testa
solo noi, Io e lei. Io e Liz.
Le catene sono fissate nella tua carne.
Liz che annaspava
quando le baciavo il collo, Liz che mi accarezzava i capelli, Liz con i capelli
umidi che diceva il mio nome.
Più
cerchi di scappare, più ti fai male. E io
non capivo già più niente. Perché lei mi stringeva con le mani attorno al collo
e io avevo caldo. Con la sua bocca sulla mia, il buio c’era ma non bastava. Anche se c’è l’imprinting, anche se c’è
Renesmee. Il buio c’era ma io vedevo lo stesso.
what have you done to me
what have I done to you
facing each other to the death
no other soul to understand
Hai avuto l’imprinting, non puoi.
Scacciai via la
voce.
Io la amo.
«Jake… » disse.
Sembrava bello, detto da lei. Sembrava una cosa giusta.
Posso.
Liz mi posò le
labbra sulla guancia, mentre io impazzivo dentro.
Voglio.
Mi chiusi la porta
alle spalle.
Mi aiutò a togliere
i vestiti, le mani che tremavano.
Affondò le unghie
nella mia schiena, ma poteva continuare per sempre.
Io ero bollente, e
c’era una linea. Non riuscivo a capire dove iniziava e nemmeno dove finiva. Era
un percorso minato e c’eravamo noi due, sapevo solo che tutto era fuoco, tutto
bruciava. Strinse le gambe, la testa contro il cuscino.
«Liz… »
a mouth of strangled words
come spinning out your mouth
there’s nothing like a dream (nothing like a
dream)
there’s nothing like a dream (nothing like a
dream)
Mi baciò ancora, e
mi sentii smuovere. Come se avessi appena scoperto quanto poteva sconvolgermi. Perché
io fremevo dentro e non sentivo Renesmee. Sentivo Liz. Un battito anormale, il
fiatone, la pelle d’oca. Mi mise al tappeto, io che la stringevo, la sua bocca
dove ormai non sentivo nient’altro che calore. Mi muovo io, si muove lei e la sento. Sento solo lei. Ogni cosa era
silenzio e ogni cosa era suono.
Tutto a un tratto
non è la gravità che ti tiene attaccato al pianeta. Ma è lei. Nient'altro ha
importanza... per lei faresti qualunque cosa. Saresti disposto ad essere
qualunque cosa.
Lei era calda,
diventava sempre più calda con me. C’era dolore, dolore ancora, un dolore che
era il timore che tutto finisse.
E le catene
tiravano, tiravano indietro. Il sangue sgorgava. Sanguinavo mentre scorrevo la
bocca sul suo ventre e mentre diventavo suo e mentre posavo il capo sul suo
petto. Le catene tiravano, ma non mi fermavo. Perché quando ami qualcuno non
puoi fermarti. Non puoi fermarti mai.
Resi più leggera la
stretta per guardala negli occhi, senza smettere, senza rendermi conto di
niente.
Sentii il calore
invadermi dal busto al viso, a tutto il mio corpo, mentre lasciavo che le
fiamme di quell’istante facessero distruzione. Non era possibile. Non potevo
averlo fatto davvero. Era come se… fossi libero.
Poi mi resi conto
che forse così le potevo fare male e allora mi scostai subito, il fiato che era
ancora poco.
«No, rimani qui.» mormorò.
Cercai di controllare il fiatone, mentre la prendevo fra le braccia. Profumava
di qualcosa che non riuscivo a decifrare. Forse era semplicemente il suo profumo.
«Scu… scusami, io…»
«Va tutto bene. »
as long as we can tear down these houses
as long as we can tear down these houses
«Ti stavo facendo
male.»
Si sistemò meglio
fra le mie braccia, la sua pelle contro la mia, i suoi capelli a farmi il
solletico.
Andava tutto bene.
Sì.
Andava tutto bene.
Avvicinò le sue
labbra alle mie, sentii il suo fiato sul viso.
Socchiusi la bocca,
per parlare.
«Ti amo.» mi
sussurrò.
Ti amo, Liz.
Renesmee.
Ti amo, Liz.
Renesmee.
Un punto al centro
esatto dell’universo.
È la bambina fra le
braccia di Bella, vampiro, con i capelli neri e la pelle di porcellana. Renesmee.
«Anch’io.»
what have you done to me
what have I done to you
Qualcosa si ruppe,
dentro di me.
Ti tira.
La guardai.
Strappa.
Liz intrecciò le
sue mani alle mie.
Ferisce.
Le sfiorai le dita
con la bocca.
Colpisce.
Chiusi gli occhi.
Ti fa male.
Sospirai.
Ti uccide.
La strinsi a me, la
mia bocca posata sulla sua tempia, a respirarla.
Cercai di
trattenere il tremore per la paura, il terrore.
Perché c’era
ancora.
C’era l’imprinting.
*
*
*
*
Ciao a tutti :)
Le frasi sottolineate sono state prese dal libro "Breaking Dawn" e redatte da me.
La canzone è Tear down these houses di Skin, bellissima. Mi sembrava molto appropriata per lui, per quello che è successo.
La frase che fa da introduzione al capitolo è della poesia di Francesco Petrarca "Erano i capei d'oro a l'aura sparsi".
Il poeta dice che continuerà ad amare la sua amata nonostante lo
scorrere del tempo, perché la ferita dell'amore è la ferita della freccia, ed è una piaga che non guarisce mai,
anche dopo che l'arco (il tempo) si è allentato (è
passato). Ho pensato anche a Jacob, in un modo diverso, non vi dico
come la vedo io, ci arriverete oppure potete chiedermelo:)
Volete leggere qualcosa di nuovo?
C'è Sundown
dove conoscerete una Renesmee come non l'avete mai conosciuta.
Bellissima. Non aspettatevi la classica JacobxNessie con q(c)uoricini.
Se la storia fosse così, non la leggerei. Questa è la
storia dei loro figli e io la sto adorando :)
Ah... e poi c'è questa qui, ho anche paura a nominarla, solo il nome è qualcosa che rimane impresso. Invictus, long appena cominciata, seguito della prima long che trovate nella serie Rising Sun. E' qualcosa di spettacolare già dal primo
capitolo. Ma leggete prima l'altra, altrimenti vi rovinate la sorpresa :)
Ci sono tante altre storie belle che pubblicizzerei, le riservo per la
prossima volta, però, altrimenti non la finisco più :P
Vi ringrazio tanto, davvero.
Ringrazio chi recensisce, chi legge, chi inserisce la storia fra le preferite, le
ricordate, le seguite <3 Chi mi sostiene sempre, chi c'è
sempre, e chi c'è ogni volta che può :)
Grazie davvero, non immaginate quanto siete importanti. Spero di ricevere qualche vostro parere, mi renderebbe felicissima :)
Un bacio
Ania
|
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Capitolo 56 *** 56 ***
jake 56
Is your secret safe tonight?
And are we out of sight?
Or will our world come tumbling down?
Will they find our hiding place?
Is this our last embrace?
Or will the walls start caving in?
The resistance - Muse
Resistere. Proteggere. Resistere. Affrontare. Uccidere. Tornare. Resistere...
Appoggiò la matita
sul letto e sospirò.
«Non ce la faccio.»
Accartocciò
il foglio del taccuino, veloce,
circondata da una serie di foglietti simili.
Ero chinato su uno
scatolone, ci stavo infilando vecchi cd da portare a Seattle.
«Cosa c’è?» le
chiesi. Liz cominciò a
raccogliere le carte, una ad una. Si alzò, qualche ciocca che le finiva sul viso
cadendo dalla stretta dell’elastico.
«Non
faccio che
pensare a persone che muoiono.» La sua voce si ruppe.
Abbassò il capo e si
strinse nelle braccia, come se avesse freddo, poi lanciò il pugnetto
di carta nel
cestino accanto alla scrivania. Mi ricordai di lei fra le mie
braccia, immobile, bagnata di pioggia... il polso gelato.
Mi sentii
tremare.
«No… no, Liz…»
E' tutta colpa tua.
«Non faccio che
pensare alle persone che ho visto morire in quel capanno.» sospirò, «Ronnie è morta
come quegli uomini. Se quel giorno mi avesse detto che era libera... avrei
fatto la strada con lei per andare a casa sua, e ora… ora sarei
morta. O forse sarei diventata un vampiro… come lei… Jake, come faccio a stare
tranquilla? Questa cosa mi viene dietro da un sacco di tempo... E io…»
Presi un respiro profondo.
Devi solo resistere.
«Non ti succederà
mai niente di simile. Mai, hai capito?»
Era inevitabile che
le raccontassi dei Volturi e, nonostante tutti i miei sforzi per essere
rassicurante, alla fine tutto era andato a farsi fottere.
Letteralmente.
«Come fai a
saperlo? Sono… sono… e ho visto… io ho visto…»
Non hai più il dovere di proteggerla.
La raggiunsi, pochi centimetri a separarci.
Non è vero.
«Dovranno
uccidermi, passare sul mio cadavere, calpestarmi le ossa e sgretolarle, se vogliono
anche solo provare a
farti del male.» sillabai, ogni parola sembrava venuta fuori con
qualcosa di acido, quel tipo di acido che distrugge.
Alla fine verrà distrutta comunque.
Mi passai una mano fra i capelli.
E sarà tutta colpa tua.
Liz
mi
guardò e sentii caldo e gelo nello stesso
istante; qualcosa mi feriva, all'interno, ed io dovevo
stare bene lo stesso, dovevo farlo per noi. La attirai a me per il
braccio e la avvolsi con
le mie
braccia, le sue spalle esili premute dalle mie mani. Il suo corpo si
rilassò, contro di me. Le accarezzai i capelli, le mie dita
sulla sua nuca.
«Questo è ancora
più orribile.» mormorò.
«Non
ci sarà niente
di orribile. Dovranno uccidermi, anche solo per provarci.» Continuai a stringerla, ancora di più.
Le sue mani ad aggrapparsi alle mie spalle. Il palmo morbido, i
polpastrelli più duri ancora colorati dalla grafite della
matita, lo avevo visto prima...
«Non dire che ti faresti...»
«Liz, cosa vuoi che faccia se tu non ci sei?»
«Perché, io cosa potrei fare?»
«Tu ce la faresti comunque.»
«Ma cosa dici?»
«Tu sei forte.»
«Non fare questi discorsi.»
«Allora non farli nemmeno tu.»
Vuoi dirmi come faccio a smettere di amarti?
«Ci sono io.» le
dissi.
Non puoi esserci.
«Jake… »
La tua vita è Renesmee.
«Ci sono io, con
te. Ci sono io.»
Si strinse ancora
di più a me, il suo profumo a invadermi le narici. Ora non era più arancia, era
qualcosa che sapeva di fresco, di buono.
Liz, stringimi. Liz, tienimi con te.
«Non voglio avere
paura…»
«Andrà tutto bene,
te lo prometto.» Spostò la testa, le sue labbra a sfiorarmi il collo, a farmi venire i brividi.
Vuoi dirmi come faccio a smettere di amarti?
«Voi
siete tutti
così… pronti… e gli altri non vedono l’ora
che arrivino… e… non faccio altro che sbiancare... e non
so che cosa...»
La presi per il
mento, le mie labbra scottavano. Erano finiti tutti gli scherzi, tutti gli
attimi di leggerezza che cercavo di trovare ovunque, anche quando si parlava di
morte. Perché ogni cosa sembrava scivolare via dalle mie mani, ogni giorno di
più, ogni momento di più. Aprii la bocca, la mia lingua a toccare la sua. Ogni volta che le dicevo ti amo una parte di me si
staccava, e un'altra restava a pendolare fra le catene e la carne ancora
intera.
«Mi dispiace.»
«Non è colpa tua.» mormorai.
«Non voglio che ti succede qualcosa...»
«Andrà
tutto bene, Liz. Niente riuscirà a portarmi via da te, okay?»
Niente.
«Sai
perché ti
vorrebbero? Perché sei bellissima, sei buona… e scommetto
che non ce l’hanno
mai avuta una pittrice così, vero? Avranno tutti quanti
l’alzaimer, lì mezzo. Tutte le volte che vogliono scrivere
qualcosa, faranno sempre una linea storta che tremola
tutta… »
Sentii qualcosa,
dentro di me. Le veniva da
ridere ed era anche vicino alle lacrime, ne ero sicuro. Deglutii, la gola bruciava.
«Jake.»
Dovevo dirglielo, dovevo dirglielo ancora.
Era facile.
Doveva esserlo.
Mi
sentii mancare l’aria, come se all’improvviso mi fosse entrato qualcosa di
tossico nella bocca. La testa mi faceva male, un sacco di colpi, colpi e colpi... Uno e due e...
Ti amo, Liz.
«Jake… Jake… stai
bene?»
Tutto nero, grigio,
bianco, di nuovo nero. Ora c’era il rosso del sangue... erano schizzi, tanti shizzi...
Ti amo, Liz.
Qualcosa strideva contro la mia carne, sentivo il rumore.
Le catene.
Liz.
Rispresi fiato.
Rennesmee Cullen.
«Sto… sto bene.»
Mi passai una mano sul viso, le immagini oscillavano, le immagini erano sdoppiate, tagliate a metà... trasparenti.
Respirare. Dovevo
solo respirare.
«Sei sicuro?»
Mi appoggiai alla
scrivania, piano. Gli occhi. Dovevo aprire gli occhi...
« Cos’hai? Jacob,
scotti… ma è normale, non può essere febbre, insomma… hai sempre quarantadue
gradi… ecco, sono una cretina. Sempre a lamentarmi e poi tu stai male
fisicamente. »
«Sto bene, sul
serio.» Mi tremava la voce.
Renesmee.
Non è vero.
«Sto bene.» dissi
ancora. Lei mi teneva la mano, finalmente la guardavo. Si avvicinò ancora.
Sussultai,
il telefono si era messo a vibrare nella mia tasca. Lo presi, distogliendo lo sguardo.
«Pronto.»
«Sono Alice, Jacob.»
Sudore freddo, dolore.
Riprenditi, Jacob.
«Ah… che vuoi?»
«Carlisle vorrebbe
che tu e gli altri veniste qui, per parlare.»
Torna in te, torna in te, torna in te.
«Non sono io il
capo branco, dovresti chiamare Sam. E' tornato dalla luna di miele... non lo sapevi?»
C'è Liz, c'è ancora.
Ritorna.
«Credevo che fosse
lo stesso.»
Silenzio.
Liz si appoggiò a me, una carezza sulla spalla.
Sollievo.
«Ho avuto delle
visioni, ne dovremmo parlare.»
Dolore.
Portai lo sguardo alla finestra, il cuore che
mi tuonava nel petto.
«Ho capito.»
«Fra un’ora…
magari, il tempo di avvisare tutti.»
«Va bene.»
Chiusi la
telefonata.
Come posso lasciarti per una magia?
«Altre visioni?»
mi chiese, e chiunque avrebbe notato l’increspatura sulla sua fronte, quella
che diceva al mondo che tutto andava storto.
«Sì, altre. Ma non mi ha detto altro.»
Annuì, senza parlare.
Lei era con me, lei mi teneva la mano, lei era lì.
Andava tutto bene.
«Fra un’ora dovrei
essere dai Cullen.»
«Jake… mi sembri
diverso. Sicuro che ti senti bene? Se non ci vai, ti dirà tutto
Seth o Embry… »
«Sto bene, amore,
veramente. »
Presi fiato.
«Puoi
venire anche tu, se vuoi.» Cercai di sorridere.
«Ah... Così posso crogiolarmi nella paura anche davanti
ai Cullen?»
Le accarezzai il viso, lento.
«Così possiamo stare insieme
comunque.»
Mi sorrise.
Così mi uccidi.
«Lei ci sarà?»
Cominciai a far
salire le mie mani verso la sua pancia, cercò di allontanarsi ma io la
tenevo stretta.
«Lei... l-lei chi?» Inciampai nelle lettere. Non potevo avere freddo, non potevo sentirmi cadere...
Lei.
Renesmee.
«Sto parlando della tua quasi fidanzata ora vampiro.»
«Ah.»
Mi aveva fatto quasi ridere.
Quasi.
«Ci pensi ancora?» Le venne fuori uno sbuffo, le mie mani ancora appoggiate
sui suoi fianchi. Mi allontanai, di poco, per guardarla negli occhi.
«Non è difficile dimenticare una cosa simile.»
La abbracciai ancora, senza preoccuparmi di essere un po' troppo forte,
il suo corpo contro il mio e la mia mente che si annebbiava.
«Jacob, ti sto
parlando…»
«E io ti sto abbracciando e non sto pensando a nessuna quasi-fidanzata-vampira.»
La tua vita è Renesmee.
«E allora?»
No.
«Allora cosa?»
Liz.
«Lo sai.»
Sei tu.
«Vuoi fare in fretta? E' che io lo so che ti piace rimanere abbracciata dopo e oggi non ne avremmo il tempo...»
«Non quello, scemo. Parlo di lei...»
«Me
ne frego. Vado lì perché è una cosa che ti
riguarda, che ci riguarda. Finito.» Si staccò da me, le mani ancora intrecciate.
«Va bene.» La fossetta sulla guancia, le ciglia lunghe.
Sarai sempre tu.
Sentii il rumore del campanello di fuori.
«Puoi andare tu? Sarà Seth. Io vi raggiungo.»
«Vado.»
Liz uscì dalla stanza.
Sentii il mio viso
come sciogliersi, il sorriso era scomparso.
Ora c'era solo la sensazione
di essere spinto indietro, di essere risucchiato.
Mi lasciai cadere sul letto, cigolò;
il cielo nuvoloso visto al contrario, dalla finestra... le martellate
continue nella la testa, a colpire, a colpire, a colpire, a bucarmi i pensieri.
Respirare. Dovevo respirare. Senza pensare.
Perché
per dirle ti amo mi ero ritrovato a non vedere più niente, a non avere
più aria nei polmoni, a non essere più quello che volevo
essere, con la lingua atrofizzata.
L'imprinting mi stava prendendo... ma non l'avrei permesso.
Dovevo solo resistere.
*
*
*
*
Scrivere un capitolo e accorgersi che tecnicamente i lettori ti guarderanno male dicendo "E quindi?"
Questa storia si fa scrivere così.
Grazie
davvero, a tutti. A chi mi lascia splendide recensioni, a chi mette la
storia fra le preferite, le ricordate e le seguite, a chi mi inserisce
fra i suoi autori preferiti e a chi legge soltanto. Cosa vi aspettate
che succeda? La storia non si conclude qui, naturalmente. Qui troverete la seconda parte :)
Come
avete visto, la prima parte è stata pubblicata tutta in un
giorno. Spero che, altermine di questa, chi ha apprezzato la storia,
voglia farmelo sapere con due paroline. MI rendereste davvero
felicissima.
Un grande bacio
Vostra Ania
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