We've always been too much, but never enough.

di Mabelle
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Capitolo uno. ***
Capitolo 2: *** Capitolo due. ***
Capitolo 3: *** Capitolo tre. ***
Capitolo 4: *** Capitolo quattro. ***
Capitolo 5: *** Capitolo cinque. ***
Capitolo 6: *** Capitolo sei. ***
Capitolo 7: *** Capitolo sette. ***
Capitolo 8: *** Capitolo otto. ***
Capitolo 9: *** Capitolo nove. ***
Capitolo 10: *** Capitolo dieci. ***
Capitolo 11: *** Capitolo undici. ***
Capitolo 12: *** Capitolo dodici. ***
Capitolo 13: *** Capitolo tredici. ***
Capitolo 14: *** Capitolo quattordici. ***
Capitolo 15: *** Capitolo quindici. ***
Capitolo 16: *** Capitolo sedici. ***
Capitolo 17: *** Capitolo diciassette. ***
Capitolo 18: *** Capitolo diciotto. ***
Capitolo 19: *** Capitolo diciannove. ***
Capitolo 20: *** Epilogo. ***



Capitolo 1
*** Capitolo uno. ***




1. Capitolo uno.

 

- And when you smile,
the whole world stops and stares for awhile. -
{Just the way you are - Bruno Mars.

 

 

 

I lunghi capelli biondi svolazzavano ad ogni passo che faceva, il respiro era sempre più corto e veloce, e la borsa che saltava non era di certo d’aiuto.

Era in ritardo, ancora una volta.

Finalmente vide la porta blu della sua classe, si fermò un attimo per riprendere fiato appoggiando le dita affusolate sulle - forse troppo - magre cosce.

La mano svelta fece pressione sulla maniglia, la porta cigolò e la figura esile della ragazza fu scrutata dagli occhi dei compagni, in particolare da quelli della professoressa Smith.

Si passò una mano fra i capelli arruffati mentre affrettava il passo verso il suo banco, una voce - fin troppo famigliare - la interruppe facendola sobbalzare.

«Dove pensa di andare, signorina Allen?» si voltò di scatto, sul viso della bionda si fece spazio un sorriso beffardo. 

«Al mio posto.» rispose posando lo sguardo sull’unico banco non occupato, in fondo all’aula, di fianco alla finestra.

«Oggi andrà vicino a Styles, mentre il suo compagno di banco prenderà il suo posto.» la voce roca della professoressa la fece irritare, fece cadere rumorosamente la borsa di fianco al banco attirando l’attenzione della Smith, infine si sedette non rivolgendo nemmeno uno sguardo al suo nuovo compagno.

«Sono Harry.» la interruppe il ragazzo sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi, appoggiò la matita sul quaderno e gli rivolse un’occhiataccia.

«Io sono Amélie.» la ragazza sorrise di rimando, un po’ infastidita. I lunghi capelli biondi mettevano in risalto i suoi grandi occhi azzurri. Azzurri come il mare, quello in tempesta s’intende.

Amélie detestava il suo nome. Troppo armonioso. Troppo dolce. Troppo delicato. Troppo tutto.

Harry continuava a guardarla, a guardarla come mai aveva fatto con qualcun’altra.

Era bella, sì. Forse per la prima volta nella sua vita non si era limitato all’aspetto esteriore. 

 

Lei sorrideva con gli occhi.

 

Questo era magnifico, per lui. 

Si sentiva scosso.

La bionda fece una strana smorfia, probabilmente si era accorta che la stesse osservando e del suo sorriso persistente. Scosse le spalle e si concentrò sull’equazione scritta alla lavagna.

La voce della professoressa rimbombava nell’aula, ma la bionda era assorta nei suoi pensieri. Aveva voglia di fumarsi una sigaretta e di scaricare la tensione, ma dovette aspettare fino alla fine dell’ora prima di soddisfare il suo desiderio.

«Amélie, è stato un piacere passare la mattinata con te.» la voce di Harry era calda, piacevole. La ragazza sfoderò un altro dei suoi sorrisi.

Amava quando sorrideva, seppur la conoscesse da meno di un’ora.

 

 


 

Era stanco, troppo stanco.

La notte precedente era andato in discoteca, come suo solito fare nel weekend, aveva ricevuto molto messaggi durante la mattinata, ma non ricordava niente, nemmeno il viso di una delle ragazze con cui aveva ballato.

 

Il viso di Amélie, però, ce l’aveva impresso.

 

I ragazzi erano intenti a chiacchierare mentre Harry decise di andare a bere e magari di darsi una rinfrescata al viso.

Passò davanti al bagno delle ragazze, la porta era semiaperta e non poté non udire dei singhiozzi. La curiosità prese il sopravvento e così, cercando di non farsi vedere, si sporse.

Una chioma bionda scivolava dolcemente sulle spalle della ragazza, accarezzandogliele, mentre con un mano afferrava le salviette per asciugarsi le lacrime.

 

Aveva pianto, fino a poco tempo prima.

 

Inevitabile dire che fosse lei, la borsa era scaraventata a terra a pochi metri dall’esile figura che ora si stava osservando allo specchio, mentre le dita passavano velocemente sulle guance per far scomparire le tracce di mascara che erano rimaste.

 

Voleva vederla sorridere, ora.

 

Harry indietreggiò. Non aveva più sete.

Si diresse verso i ragazzi sperando che fossero ancora nello stesso posto: Zayn era appoggiato agli armadietti intento a messaggiare con chissà quale ragazza, Louis stava prendendo i libri per l’ora successiva, mentre Liam e Niall chiacchieravano alternando rumorose risate.

«Ehi, Harry!» la voce del migliore amico lo fece ritornare alla realtà, affrettò il passo per raggiungerli nel minor tempo possibile, Louis gli diede una pacca sulla spalla mentre gli altri accennarono un lieve sorriso.

«Hai dormito?» domandò il biondo, il riccio scosse la testa.

«Qualcuno di voi conosce Amélie?» ruppe il silenzio Harry.

«Amélie Allen intendi?» il moro rispose prontamente, segno che la conoscesse fin troppo bene.

«La conosci?» aggiunse il riccio.

«Ho sentito parlare di lei, tutto qua.» distolse lo sguardo da Harry e ritornò a preoccuparsi del suo cellulare.

«Io l’ho sentita nominare diverse volte dai ragazzi, in particolare da Jason.» Louis si aggiunse alla conversazione.

«E’ il suo ragazzo?» domandò prontamente il riccio.

«Era il suo ragazzo. Da quello che ho capito si sono lasciati da diversi mesi, suppongo sia stata lei a lasciarlo.» Louis chiuse l’armadietto dopo aver sistemato i libri «Ma da quando ti importa di lei?» aggiunse il migliore amico.

«Da quando l’ho vista piangere.» le parole gli uscirono velocemente, Zayn si volse di scatto, sul suo viso si fece spazio un’espressione stupita, aprì la bocca, ma la richiuse immediatamente.

«Harry, non farti strane idee, per favore. Non girano buone voci su di lei.» aggiunse Niall.

 

Ma il suo sorriso era magnifico.


 




Eccomi qua, di nuovo.
Questa è la mia seconda FF sui One Direction e spero che abbia successo quanto la prima.
Il tema trattato in questa FF sarà abbastanza malinconico e se andrete avanti a leggere capirete anche il perchè.
Mi raccomando recensite. :D


Questa è la mia Amélie, interpretata da Taylor Momsen. c:


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Capitolo 2
*** Capitolo due. ***




2. Capitolo due.

.

 - This is the part of me that you’re never gonna ever take away from me, no.
But you’re not gonna break my soul -
{Part of me - Katy Perry.


 

Le dita si muovevano svelte tra gli scompartimenti di quella - forse troppo grande - borsa, che ormai conosceva a memoria, cercando quel pacchetto di sigarette che la stava facendo disperare. Maledizione, l’aveva lasciato nell’armadietto. Respirò profondamente e attraversò il corridoio, arrivando finalmente a destinazione. Doveva solo ricordarsi la combinazione e il pacchetto sarebbe stato fra le sue mani; dopo numerosi tentativi riuscì ad aprirlo. Spostò diversi libri e finalmente lo trovò: in un angolo appartato, sotterrato da fogli inutili. Lo prese, stringendolo fra le sue esili dita e si sentì più tranquilla. 

Sussultò, dopo aver chiuso l’armadietto. Un paio di occhi scuri la stavano osservando.

«Jason.» sussurrò a denti stretti, pronunciare il suo nome la irritava, forse di più del perdere le sigarette.

«Amélie.» rispose lui, sorridendo. La bionda si appoggiò al freddo metallo che le provocò dei brividi, mentre il ragazzo rimase immobile a scrutarla.

 

Le dava fastidio, tanto.

 

«Stasera darò una festa a casa mia, e tu naturalmente sei invitata.» Jason interruppe il silenzio, riportando la ragazza alla realtà, non disse niente, ma si limitò ad annuire.

Sapeva che voleva farla nuovamente cadere in quel mondo, ma non ce l’avrebbe fatta, non questa volta, non domani, né mai. 

La campanella suonò e si avviò verso l’aula.

 

 

 

 

 

 

«Styles, sei tra noi?» Liam gli sventolò una mano davanti agli occhi, scosse velocemente la testa scacciando i pensieri.

 

Lei.

 

La lezione di chimica si era rivelata più noiosa del previsto, non che le altre materie fossero più interessanti, ma almeno riuscivano a catturare la sua attenzione e a tenerlo sveglio.

«Stasera vieni alla festa di Jason?» l’amico lo riprese nuovamente con una domanda.

«Va bene.» rispose velocemente, e solo dopo si accorse che quel Jason, che era stato nominato, era l’ex ragazzo di Amélie. Sorrise. Gli piaceva collegarla a tutto ciò che sentiva, vedeva. Era una situazione così patetica, per lui. Non capiva, non ci riusciva, o forse non si sforzava abbastanza. Non comprendeva il motivo per il quale aveva quegli occhi in mente e quel nome si ripeteva, a mo’ di eco, nella sua testa. 

«Jason, che tipo è?» domandò a Liam, il quale era intento a prendere appunti per la verifica.

«Jason, chi?» domandò senza voltarsi.

«L’ex ragazzo di Amélie.» rispose. Aveva pronunciato ancora una volta il suo nome.

«Non lo conosco, ma non girano buone voci su di lui, forse è per questo che si trovava bene insieme ad Amélie.» Harry gli diede una gomitata, l’amico trattenne un gemito e si massaggiò il punto in cui l’aveva colpito.

«Che cosa ti salta in mente?» mormorò tra una smorfia di dolore e l’altra. Non rispose, ma continuò a pensare.

 

Lei.

 

«Styles, dato che la vedo molto interessato, mi dica qual’è la formula molecolare del glucosio.» la richiesta del professore lo prese alla sprovvista, sbirciò sul quaderno di Liam, ma non trovò la risposta al quesito e l’unica cosa che poté fare fu rimanere in silenzio.

«Vada fuori. Ora.» il professore fu chiaro e coinciso, il ragazzo non se lo fece ripetere due volte, prese lo zaino e sbatté violentemente la porta.

Si accasciò pesantemente sul pavimento, appoggiando la schiena contro gli armadietti. Sospirò annoiato. E poi la vide, si stava avvicinando, a lui. Pochi passi li separavano, ma la ragazza sembrava non accorgersi dello sguardo insistente del ragazzo. Eccola, di fronte a lui. I capelli sempre arruffati, ma le davano comunque un’aria intrigante.

«Harry, potresti spostarti? Dovrei prendere il mio libro di filosofia.» si era ricordata del suo nome, annuì immediatamente, alzandosi.

«Ti hanno buttato fuori?» domandò Amélie mentre prendeva il libro.

«Sì, non sto molto simpatico al professore di chimica.» ammise dopo poco, la bionda gli rivolse un lieve sorriso e chiuse l’armadietto.

«Be’, ormai dato che sei qua, che ne dici se andiamo a farci un giro?» chiese la ragazza.

Non l’avrebbe mai definita una ragazza estroversa e sfacciata, soprattutto dopo averla vista piangere, ma non si faceva tanti scrupoli, a quanto pare. Annuì divertito e si avviarono verso l’uscita, mentre la bionda stringeva al petto il suo libro di filosofia.

 

 

 

Accese una sigaretta, finalmente. Se la portò alla bocca ed aspirò profondamente, infine espirò formando una nuvola di fumo grigia. Harry tossì.

«Ti dà fastidio?» domandò rivolgendogli un’occhiata.

«No, tranquilla.» la ragazza rise, buttò la sigaretta sull’asfalto e la pestò con una scarpa.

«Stasera andrai alla festa di Jason?» il ragazzo interruppe il silenzio, attirando l’attenzione della ragazza.

«Credo di sì, tu?» Harry annuì un po’ incerto. Era lì a pochi centimetri da lui e non sapeva che fare; era piacevole stare in sua compagnia anche se la maggior parte del tempo era occupato da interminabili silenzi.

La ragazza iniziò a mordersi un labbro, probabilmente l’astinenza dalla sigaretta non era stata colmata, ma per Harry avrebbe fatto un’eccezione. Eppure si conoscevano da così poco tempo, troppo poco. 

«Amélie, sei molto logorroica.» disse il ragazzo. Che affermazione idiota aveva appena fatto, ma adorava sentire il suono della sua risata.

«Styles, tu non sei da meno. Comunque è meglio che ora vada. Ci vediamo stasera, se verrai.» la salutò con un cenno della mano, mentre una scia di fumo lo pervase.

Sospirò. Una. Due. Tre volte. 

Avrebbe potuto chiederle un sacco di cose, in particolare c’era una domanda che lo attanagliava dall’inizio della mattinata “Perchè aveva pianto?”. Poi però si ricordò del suo sorriso, e uno scappò anche a lui. Perchè, in fondo, lui sorrideva quando lei sorrideva. E tutto questo era così assurdo. Per lui. Per lei. Per loro. Anche se piacevole e divertente. Per lui. Per lei. Per loro.










Hey. c:
Eccomi qua con il secondo capitolo che, se devo essere sincera, non mi piace affatto, mi sembra troppo monotono, voglio comunque aggiungere che è un capitolo di passaggio perchè nel prossimo succederà qualcosa. Siccome sono buona vi dico anche a chi succederà... Ad Amélie. YEEEAH. (?)
Grazie mille per le 6 recensioni al capitolo precedente. CAVOLO, IO VI AMO, PUNTO. <3
Sono così felice che vi sia piaciuta già dall'inizio, kerjbgrejk. *-*
Inoltre, ringrazio anche tutte quelle persone che hanno inserito la storia fra le SEGUITE/PREFERITE/RICORDATE; e un grazie a chi leggerà, recensirà, seguirà, ricorderà, preferirà. (?)
Vi chiedo di lasciare una recensione in modo che io possa sapere cosa ne pensiate e vedere se continuare o meno.
Un bacio. xxx



 

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Capitolo 3
*** Capitolo tre. ***




3. Capitolo tre.

 

- Do you have to make me feel like there’s nothing left of me?
You can take everything i have. You can break everything i am.
Like I’m made of glass. Like I’m of paper. -
{Skyscraper - Demi Lovato.


 

Ogni passo era una possibile caduta. Barcollava su quei tacchi - che poi tanto alti non erano in confronto a quelli che aveva messo le scorse volte - che slanciavano le sue snelle gambe - forse un po’ troppo bianche - ma era bella, sempre. Si sentiva gli occhi puntati addosso, ma riusciva a sostenere i loro sguardi pungenti che si mascheravano sotto un sorriso divertito. Quei pantaloncini troppo corti lasciavano libero spazio all’immaginazione che sicuramente era molto fervida tra i ragazzi. Si voltò per cercare il suo sguardo, ma non lo vide. Decise che era meglio sedersi, almeno avrebbe fatto riposare i suoi piedi - ormai distrutti - aveva voglia di bere qualcosa, di divertirsi.

«Cosa ti porto?» il barman attirò la sua attenzione, la ragazza ci penso un attimo prima di rispondere.

«Un caipiroska alla fragola, per favore..» venne interrotta da una voce famigliare.

«Due, per favore.» aggiunse Jason, sedendosi di fianco alla ragazza. Il ragazzo la squadrò da campo a piedi, si soffermò sulle sue gambe esili che fino a qualche mese fa poteva e amava toccare.

«Ecco a voi.» il barman appoggiò sul bancone i due bicchieri, congedandosi con un sorriso, dopo di che ritornò a servire gli altri clienti.

«Sei appena arrivata, giusto?» la bionda annuì, mentre sorseggiava il cocktail, adorava il sapore della vodka mischiarsi con quello dolce della fragola.

«Come sei diventata taciturna, Lie.» affermò Jason, la ragazza si irrigidì: odiava quel soprannome, soprattutto pronunciato da lui, odiavo tutto di lei, in sintesi.

«Smettila di chiamarmi così e comunque sei l’ultima persona che avrei voluto incontrare.» spostò lo sguardo da destra a sinistra cercandolo, ancora una volta, ma non lo trovò.

«Aggressiva.» concluse il moro, avvicinò la sua mano a quella della bionda sfiorandogliela, rabbrividì a quel tocco così famigliare, troppo famigliare.

«Non aver paura di me.» le sussurrò all’orecchio, tremò a quelle parole. Intanto il barman gli aveva portato altri due caipiroska alla fragola. Troppo alcol, doveva smettere.

«Bevi, su.»le ordinò Jason, la ragazza prese il bicchiere e sorseggiò lentamente il liquido, presa sicurezza lo deglutì. Bevve il cocktail e appoggiò nuovamente il bicchiere sul bancone, aspettando che il barman lo portasse via.

«Divertiti alla mia festa, Lie.» le disse prima di sparire tra la folla. L’aveva ridetto quel soprannome, strinse i pugni, ma poi si calmò.

La musica si fece sempre più forte, le tempie pulsavano e la vista si faceva sempre più offuscata. Appoggiò le mani sul balcone per sorreggersi, la gambe tremavano ad ogni passo, il corpo le doleva. La gente intorno a lei ballava, ogni tanto veniva spintonata ed era un miracolo se riusciva a stare in piedi.

 

Troppi sorrisi. Troppe risate. Troppo rumore.

 

Le immagini le passavano davanti agli occhi velocemente, non era più consapevole di ciò che faceva. Stava male.

Sentì una mano cingerle i fianchi e dei ricci solleticarle la guancia.

 

Era lui. 

 

Provò a sorridergli, ma non ce la fece. Harry la fece aggrappare a lui mentre lentamente la trascinava fuori da quella casa.

«Stai tranquilla, ora ci sono io.» mormorò al suo orecchio per infonderle sicurezza. I suoni erano sempre più ovattati, ma le tempie insistevano a pulsare. Riuscì a ricacciare indietro un conato di vomito, le labbra erano screpolate, si passò la lingua su di esse per inumidirle e le sentì fredde. Come lei.

Harry aprì la portiera, adagiò delicatamente la ragazza sul sedile, dopo di che si mise alla guida. Girò la chiave e accese il motore, ingranò le marce e si diresse verso la sua casa. 

«Stai meglio?» domandò il ragazzo, la bionda mugugnò qualcosa di incomprensibile e chiuse gli occhi, il riccio decise di non importunarla, non voleva farla stare peggio.

Dopo circa un quarto d’ora arrivarono, il cellulare di Harry squillava, ma non rispose. Probabilmente erano i ragazzi che volevano sapere dove fosse finito.

Le aprì la portiera, la fece aggrappare nuovamente a sé. Tremava, costantemente.

«Non ce la faccio.» sussurrò la ragazza. Tremava, ancora.

Prese il suo braccio e lo mise intorno al collo, dopo di che la sollevò da terra cercando di non farle male. Attraversò il vialetto e giunse davanti alla porta, l’impresa più difficile fu quella di prendere le chiavi senza farla cadere, ma fortunatamente ce la fece. Le inserì nella serratura e le girò. Entrarono, insieme. Tremava, nuovamente.

Salite le scale, giunse davanti alla sua stanza. Tremava, sempre.

Poggiò il suo corpo esile sul letto, mettendole un cuscino dietro la testa.

Fece per uscire dalla camera, ma una mano afferrò velocemente il suo braccio. Si voltò.

 

Era lei.

 

«Stai qua, per favore.» disse a voce bassa. La bionda si spostò un po’ per fargli spazio e il riccio si sdraiò accanto a lei. La ragazza chiuse gli occhi, mentre Harry le accarezzava delicatamente i capelli, scostandoglieli dalla fronte fredda.

Era successo, e lei non l’aveva impedito. Non doveva ricaderci ancora, non ora. 

Era riuscita ad uscirne da sola, con molta fatica. Aveva perso, purtroppo.

Che poi i tocchi di quel ragazzo di fianco a lei, di cui a malapena conosceva il nome, le facevano bruciare la pelle. Così lenti. Così morbidi. E poi, il suo respiro sulla fronte. Così caldo. Così vicino. Infine, il suo profumo alla fragola. Così buono. Così dolce. Lei detestava le cose dolci, tollerava solo il cioccolato e le fragole. Amava l’odore pungente del fumo che ti fa tossire, che poi tanto schifo non fa. Amava i sorrisi, quelli veri, però. Poi adorava essere lei la causa di quei sorrisi, si sentiva viva, almeno era nata per un motivo, per far sorridere. E allora perchè abbassarsi a quel livello? Era bella. Era acida, fino ad un certo punto. Era dolce, quando serviva. Era speciale, così dicevano. E allora perchè ricorrere alla droga? Non ne aveva un valido motivo, no. Ma questa volta era stata la droga a trovarla. 

«Dormi?» la voce suadente di Harry la riportò alla realtà.

«No.» riuscì a rispondere. Notò che la sua voce era roca e molto bassa. Non tremava, non più.

«Che è successo? Intendo alla festa.» continuò il ragazzo, non smettendo di accarezzarle i capelli.

«Non lo so. Forse un bicchiere di troppo.» liquidò il tutto Amélie. Non doveva dirglielo, se ne sarebbe andato. Ma non era stata colpa sua, l’avevano ingannata. Comunque, era solo all’inizio, poteva ancora uscirne, no? Probabilmente domani non si sarebbe ricordata più niente, non avrebbe sentito la sua mancanza, non avrebbe avuto bisogno di una dose. Forse, la cosa che le faceva più paura era che avrebbe dovuto ricorrere a Jason.

 

Patetico.

 

C’era cascata.

 

Assurdo.

 

Poteva uscirne.

 

Ridicolo.

 

Era da sola, ancora una volta.








Sciao, bele. c:
Ecco un altro capitolo, naturalmente è risultato un obrorio, come sempre. LOL
Comunque, Amélie ha sofferto in passato di dipendenza dalla droga, come avrete capitolo. Non è stato facile per lei uscirne, ma ce l'ha fatta, e ora ha paura di ricarderci a cause di quel - testa di birillo - Jason.
Grazie per le recensioni e perchè continuate a mettere la FF fra le SEGUITE/PREFERITE/RICORDATE. 
Recensite, mi raccomando. <3
Bacio. xxx


Eccolo come era vestita Amélie. c:

 

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Capitolo 4
*** Capitolo quattro. ***




4. Capitolo quattro.

 

- You’re feeling like you’ve got no place to run
I can be your shelter til it’s done
We can make this last forever.-
{Please Don't Stop The Rain - James Morrion.

 

 

I raggi del sole filtravano dalla finestra, ricadendo sul viso stanco di Amélie, la quale dormiva avvolta dalle coperte, mentre Harry la osservava attentamente. Imparava i lineamenti delicati del suo viso, la pelle candida che era messa in risalto dai lunghi capelli biondi - un po’ arruffati - infine, si soffermò sulla bocca: le labbra non troppo sottili e rosee. La ragazza accanto a lui aprì gli occhi. Erano belli anche quelli, come tutto il resto, d’altronde. Erano azzurri, quasi bianchi come il cielo quando c’è la foschia.

«Buongiorno, Harry.» sussurrò la ragazza, subito dopo tossì per rendere la voce più limpida. Il riccio le sorrise debolmente, non riuscendo però a distogliere il suo sguardo dal suo viso.

«Grazie per ieri sera, se non ci fossi stato tu non oso immaginare cosa sarebbe potuto accadere.» continuò Amélie, alzandosi dal letto. Indossava ancora gli stessi vestiti della scorsa notte, il ragazzo non l’aveva sfiorato. Sorrise dentro di sé. La testa le doleva, ma fortunatamente le tempie avevano smesso di pulsare.

«Hai fame?» le domandò Harry, si voltò per rispondergli.

«No, piuttosto mi potresti dire dov’è il bagno?» il riccio le spiegò brevemente, dopo di che la ragazza attraversò il corridoio e si chiuse in bagno. Respirò profondamente, infine alzò lo sguardo verso lo specchio.

 

Tremò.

 

Il viso era sfigurato e pallido, le labbra erano secche, e poi gli occhi. Quegli occhi tanto chiari erano leggermente rossi e due profonde occhiaie si erano fatte posto durante la notte sotto di essi. Si sciacquò la faccia con un po’ di acqua fredda. Si osservò nuovamente allo specchio, non soddisfatta del risultato ottenuto. Stette per uscire, quando fu presa da un conato di vomito, si avventò sul water vomitando tutto ciò che aveva in corpo. Si pulì velocemente la bocca, deglutendo un po’ infastidita il sapore amaro. Non poteva stare male, doveva essere forte. Tirò lo sciacquone ed uscì. 

«Tutto apposto?» le domandò il ragazzo, annuì debolmente. 

«E’ meglio che oggi non andiamo a scuola.» aggiunse il riccio. Harry voleva passare la mattinata con lei, desiderava sapere cosa fosse successo ieri notte, fremeva dalla voglia di conoscerla. Era criptica, sì. Ma allo stesso tempo affascinante. 

«Non vorrei disturbarti, Harry. Meglio che vada a casa.» si congedò Amélie, Harry non ribatté, non seppe cosa dire. La vide aprire la porta ed uscire. Se n’era andata.

 

 

 

Nonostante ci fosse il sole, il vento di Londra si ostinava a colpirle il viso facendola rabbrividire. La sua casa non era molto distante da quella di Harry, tuttavia quella mattina aveva bisogno di stare da sola. Prese il cellulare: un messaggio. La sua mente formulò un solo nome “Harry”, ma quando si accorse che il mittente non era lui, si sentì delusa. Era Jason. Non aveva neanche la forza di arrabbiarsi con lui in quell’istante, era troppo debole. Lesse velocemente il messaggio.

 

Spero che il regalo ti sia piaciuto, volevo solo farti divertire un po’. A presto, Lie. xx

 

Non rispose, non ne aveva voglia. 

Ripensò a ieri notte: la festa, i cocktail, Jason, la droga. 

 

Rabbrividì. 

 

Poi però si soffermò su Harry e sorrise. Si era affezionata in poco tempo a lui, era un ottimo amico, tuttavia continuava a domandarsi come si poteva considerare amico una persona conosciuta solo da due giorni. Sorrise, nuovamente.

Squillò il cellulare. Sbuffò. Rispose.

«Ciao, Lie. Come mai non hai risposto al mio messaggio? Troppo scossa? Sai, dopo la nostra breve conversazione non ti ho più vista. Dove sei andata?» la voce di Jason riusciva ad intimorirla anche a distanza. 

 

Aveva paura, sì.

 

«Non sono affari tuoi, Jason. Lasciami stare. Io e te non abbiamo più niente da dirci.» liquidò il tutto la ragazza, riattaccandogli il telefono in faccia. 

Non voleva ascoltarlo. Non voleva vederlo. Non voleva aver bisogno di lui.

Voleva essere indipendente da lui, dal mondo, dalla droga.

Affrettò il passo, fino a raggiungere la sua casa. Entrò. 

Si accasciò sul divano, mentre i brividi la percorrevano costantemente. 

Lo sapeva, ne era consapevole. Quelli non erano semplici brividi causati dal freddo, ma dall’astinenza. Se li ricordava.

 

E ancora una volta, ebbe paura.

 

 

 

 

 

 

 

Harry rigirava nervosamente fra le mani il suo cellulare, che era stato tempestato di messaggi da parte dei ragazzi, in particolare di Louis. Doveva chiamarlo e rassicurarlo.

Digitò il numero e premette il tasto verde.

«Pronto?» la voce squillante dell’amico lo rallegrò.

«Ciao, Louis. Sono Harry...» venne interrotto immediatamente.

«Styles, io giuro che ti ammazzo! Come ti viene in mente di chiamarmi nel bel mezzo della ricreazione?»

«Allora perchè hai risposto?» domandò ironicamente il riccio.

«Stai zitto, qui sono io che faccio le domande. Dove diavolo sei finito ieri sera? Ad un certo punto sei scomparso e nessuno ha più avuto tue notizie.» Harry non rispose.

«Styles... Ci sei ancora?» lo riprese l’amico. Titubò qualche istante prima di dirglielo.

«Ero con lei.» confessò tutto d’un fiato. 







 

Hey, babies. c:
Vi ringrazio immediatamente per le sei recensioni al capitolo precedente e grazie anche a tutte quelle persone che SEGUONO/PREFERISCONO/RICORDANO. Io non so veramente che dire, siete tutte meravigliose e vi adoro troppo. <3
KJGJKREBGJKBGKJBKTH. *-*
Mi raccomando: recensite. u.u 
Ho bisogno di voi e del vostro parere. c:

Ecco la mia meravigliosa Amélie.

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Capitolo 5
*** Capitolo cinque. ***




5. Capitolo cinque.

 

I know now, just quite how 
my life and love may still go on.
In your heart, in your mind, i'll stay with you for all of time. -
{Wherever You Will Go - The Calling.

 

Harry respirò profondamente, la breve conversazione con Louis lo liberò da quel peso che lo opprimeva. Il suo migliore amico l’avrebbe raggiunto subito dopo la fine delle lezioni, aveva bisogno di lui. Ripensò alla notte appena trascorsa. Sorrise. L’aveva sfiorata, dolcemente. Aveva voglia di chiamarla; riprese il telefono in mano e compose il suo numero. Sentì quel “bip” insistente tartassargli i timpani. Amélie non rispondeva. Abbassò affranto la mano, probabilmente la ragazza aveva di meglio da fare che rispondere al telefono. 

 

 

 

Sentì la serratura scattare. Si alzò immediatamente e accorse all’ingresso.

 

Era arrivato, finalmente.

 

Louis fu il primo ad entrare, seguito dagli altri ragazzi che, stranamente, non gli fecero domande riguardo alla sua scomparsa durante la festa. Forse Louis gli aveva spiegato di non intromettersi o comunque di non metterlo in difficoltà. Scacciò dalla mente quei pensieri, perchè sapeva benissimo che di lì a poco sarebbe stato vittima di una lunga ramanzina.

«Dimmi.» lo incitò l’amico, dopo essersi accomodato sul divano. Harry si sedette accanto a lui, si arruffò i ricci.

«Ieri notte me ne sono andato con Amélie - Louis lo squadrò - probabilmente aveva bevuto troppo e non volevo lasciarla in quelle condizioni da sola.» spiegò il riccio.

«Capisco. Ascolta, Harry, noi ti abbiamo già avvertito, non girano buone voci sul suo conto.» sentenziò il ragazzo accanto a lui.

«L’ho solo salvata dall’essere toccata da qualcuno.» si giustificò Harry. Non aveva fatto niente di male.

«Non raccontarmi stupidate, Styles. Sai quante ragazze, che tu conoscevi, si sono ubriacate e non te ne è fregato minimamente.» 

 

Con lei era diverso, però.

 

«Non ti sto dicendo di non frequentarla - continuò Louis - solo non finire nei guai. Lo dico per il tuo bene, okay?» Harry annuì un po’ incerto, l’amico gli offrì un abbraccio che lui accettò molto volentieri. Aveva bisogno di qualcuno che lo capisse, che lo appoggiasse. Tuttavia non riusciva a comprendere tutto quel timore che avevano i suoi amici nei confronti di Amélie. Era una ragazza genuina, secondo lui. Era la prima volta che dedicava la maggior parte dei suoi pensieri ad una ragazza che, invece di aprire le gambe, apriva la mente a qualcuno. Nonostante la sentisse ancora molto distante da lui, voleva conoscerla a fondo. Voleva impararne i lineamenti, tanto da saperli disegnare nell’aria. Voleva riconoscere i suoi occhi, anche in mezzo alla folla. Era un bisogno costante, e per lui quella situazione era del tutto nuova. Gli piaceva quando sorrideva, era pura. Le si illuminavano gli occhi. Aspettò, seduto sul divano mentre il mondo si muoveva, che la ragazza lo richiamasse. Aspettò di poter sentire nuovamente il suo profumo.

 

 

 

 

 

 

Aveva riposato, se così si poteva definire chiudere gli occhi e abbandonarsi a se stessi. I brividi cessarono, tuttavia la stanchezza non era ancora scomparsa del tutto. Forse la colpa era anche un po’ della vodka, era da un parecchio tempo che non si ubriacava. Prese il cellulare e lo controllo. Una chiamata. Harry. Sorrise istintivamente e, senza pensarci due volte, lo richiamò. 

 

Rispondi, rispondi, rispondi.

 

«Pronto?» la voce calda di Harry la rincuorò, aspettò qualche minuto prima di parlare. Stranamente non sapeva che dire, era imbarazzata. 

«Sono Amélie. Ho visto che mi avevi chiamata e allora ho pensato di contattarti.» parlò velocemente, tant’è che il riccio rise divertito per quelle parole scivolate così velocemente dalle sue labbra. Erano morbide, pensò.

«Volevo sapere come stavi - spiegò Harry - e se ti andava di vederci.» gliel’aveva proposto e ora aspettava solo una sua risposta. 

«Sto bene, grazie - arrossì pur sapendo che lui non poteva vederla - mi farebbe molto piacere rivederti. In fondo non ti ho ancora ringraziato veramente per ieri notte.»

«Perfetto. Ti passo a prendere tra mezz’ora.» il riccio stette per chiudere la chiamata, quando la voce di Amélie lo interruppe.

«Harry - lo richiamò - non sai dove abito.» risero, insieme. Una risata semplice, ma giovane. Giovane come i loro corpi; come la voglia di divertirsi, di sfiorarsi, di appartenersi per una notte. Per sempre.

Amélie gli indicò la via, cercando di essere il più chiara possibile, non voleva sprecare tempo. Di tempo ne aveva fin troppo poco.

Si cambiò di fretta e poi sorrise, ancora. Sorrise allo specchio. Sorrise a se stessa. E poi sorrise ad Harry quando si precipitò all’ingresso per aprirgli. Lo accolse con un abbraccio brusco, forse troppo confidenziale, forse troppo affrettato, ma apprezzato da entrambi. Potè sentire i suoi ricci profumare di mele. Le piacevano le mele, dopotutto.

Si incamminarono verso una meta indefinita. Ma l’importante era vedersi, stare insieme, anche per poco.

«Sono felice che tu stia meglio.» Harry interruppe il silenzio. Che affermazione stupida che aveva fatto, gliel’avevo detto tante, troppe volte, forse per questo che la ragazza sorrise senza aggiungere niente. Amélie non aveva ancora sentito il bisogno di fumare, dipendenza che ormai si era impadronita di lei, Harry la faceva stare bene, la faceva sentire completa con il resto del mondo.

«Vuoi bere qualcosa di caldo?» domandò il ragazzo, notando che la bionda tremava leggermente e aveva portato la maniche del cappotto al di sopra delle mani.

«No, sediamoci qua.» Amélie indicò una panchina. Si misero uno accanto all’altro, forse per riscaldarsi. Non parlavano, era il silenzio a farlo per loro. Avrebbero voluto far uscire quelle maledette parole per sentire la voce dell’altro e osservarlo sorridere. Ma le parole non è che non servono, non bastano. Non bastano per sfiorarsi, per appartenersi. E allora ci si limita al silenzio che, forse, fa più rumore. 

Harry si voltò verso di lei, Amélie era occupata a osservare le sue mani, quando alzò lo sguardo si ritrovò i suoi occhi verdi scrutarla. Perse un battito. Le sfiorò la mano. Ne perse un altro. Le accarezzò la guancia. Un altro ancora. Le sue labbra calde si posarono sulle sue, forse un po’ screpolate. Morì.








Eccomi qua. :D
Scusatemi per il ritardo, ma sono stata impegnata, troppo impegnata per scrivere qualcosa di apprezzabile e decente. LOL
Vorrei sapere una cosa: i capitoli vi vanno bene lunghi così oppure li vorreste un po' più lunghi? Almeno così mi regolo. c:
Amélie ed Harry si sono baciati, erkjgnre. AHAHAHAH non si era capito, vero? LOL
Comunque, questo è solo l'inizio, Amélie dovrà riscontrarsi con Jason e - come credo sappiate - con la droga. 
Ci saranno veramente dei momenti duri che cercherò di descrivere nel migliore dei modi, in modo da trasmettervi le stesse sue emozioni. 
Vi ringrazio per le 6 recensioni al capitolo precedente. VI AMO, VERAMENTE. <3
Grazie perchè mi spingete a continuare a scrivere questa FF.
Inoltre, grazie a tutte quelle persone che SEGUONO/PREFERISCONO/RICORDANO.
Vi chiedo cortesemente di lasciarmi una vostra recensione per sapere cosa ne pensate. <3

Un bacio. xxx


Amélie.

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Capitolo 6
*** Capitolo sei. ***




6. Capitolo sei.

 

- If i should die before i wake,

it's cause you took my breath away.
Losing you is like living in a world with no air. -
{No Air - Jordin Sparks ft. Chris Brown.


E le piaceva per il semplice motivo che la faceva sorridere.

 

«Amélie, ci sei?» Harry sventolò una mano davanti ai suoi occhi per richiamare la sua attenzione. La ragazza scosse la testa, richiudendo l’armadietto e si voltò nuovamente verso di lui.

«Sì, scusa.» rispose imbarazzata, molto probabilmente arrossì e il riccio se ne accorse perchè rise leggermente. Le sue gote presero un colorito più acceso, avvampò.

«Tra un po’ suona la campanella, meglio che tu vada.» lo congedò velocemente, cercando di distrarlo dal suo viso. Harry le sorrise, ancora una volta. Amélie abbassò lo sguardo e il ragazzo ne approfittò per rubarle un bacio sulla guancia. 

«Ci vediamo oggi pomeriggio a casa mia alle 15:00. Puntuale, mi raccomando.» la guardò un’ultima volta e poi se ne andò.

Amélie sospirò, toccandosi la guancia dove pochi minuti prima erano appoggiate le labbra di Harry. Chiuse gli occhi, pensierosa.

Sentì una mano afferrarle il braccio e strattonarla violentemente, portandola in un luogo più appartato dato che le voci dei ragazzi si fecero sempre più ovattate.

«Chi era?» le domandò Jason, impaziente.

«Nessuno. Lasciami, mi fai male!» si divincolò dalla presa del ragazzo con molta fatica, infine si massaggiò il braccio per il dolore.

«Non importa, per ora. Ho qualcosa per te.» il ragazzo sfilò dalla tasca una bustina contenente della polvere bianca e una cannuccia, glieli porse.

«Jason, smettila. Te l’ho detto: ho chiuso con quella roba. E il tuo stupido scherzo alla festa non mi è piaciuto.» lo rimproverò la ragazza, cercando di essere il più convincente possibile ma, forse, la persona che doveva convincere era proprio se stessa.

«Lie, perchè ti ostini a trattarmi così? Ti sto solo dando quello di cui hai bisogno. Gratis.» enfatizzò l’ultima parola, avvicinando i due oggetti alla mano della ragazza.

«E’ solo per svago. Quando non saprai come divertirti, ti farai una dose.» sorrise maliziosamente, prese una mano della ragazza e al suo interno ci appoggiò la bustina e la cannuccia, la richiuse.

«Ci vediamo in giro, Lie.» le scoccò un bacio sulla guancia, proprio nello stesso punto dove l’aveva baciata Harry. Guardò gli oggetti che stringeva nella mano destra e li infilò nella borsa. 

La campanella suonò. Si sentì mancare l’aria. Aveva bisogno di fumare. 

Decise che avrebbe saltato le lezioni. Uscì in cortile ed estrasse una sigaretta, aspirandola  avidamente. Ne fumò un’altra. Un’altra ancora. Era nervosa. Continuava a mordersi il labbro inferiore e a spostare lo sguardo verso la sua borsa. Si sedette per terra, sperando di non essere vista da nessuno. Si sentiva una tale stupida, ma non riusciva a resistere. C’era qualcosa dentro di lei che la intimava a continuare, a non fermarsi. Prese la bustina e la cannuccia. Fece tutto con molta calma, ricordando i passaggi che non aveva mai dimenticato. Infilò la cannuccia ed aspirò. Tossì un po’ di volte, infine appoggiò la testa contro il muro e chiuse gli occhi. 

 

Stava sbagliando, lo sapeva.

 

L’effetto si manifestò dopo pochi minuti, creando in lei una sensazione di benessere e di distacco con il mondo esterno. Era pronta per le allucinazioni che l’avrebbero accompagnata durante le prossime ore. Aveva una voglia matta di ridere, ma si trattenne. Cercò di rilassarsi e godersi quel momento. Non l’avrebbe più fatto, no.

 

 

 

 

 

 

 

Harry allungò il passo, fino a correre. Voleva arrivare puntuale, non doveva farla aspettare. Avevano perso così tanto tempo. La trovò appoggiata al cancello con i capelli biondi graffiarle dolcemente il viso. Sorrise.

«Amélie!» gridò, la ragazza alzò lo sguardo sorridendo. Le corse incontro e non riuscì a resistere. Appoggiò le sue labbra sulle sue. La fece entrare. I ragazzi erano fuori e non li avrebbero disturbarti. Notò che la ragazza aveva gli occhi arrossati, come la sera della festa.

«Tutto okay?» le domandò, la bionda annuì. Amélie si guardò intorno, la casa ormai la conosceva. Aveva bisogno di andare in bagno.

«Credo tu sappia dov’è - Harry sorrise - intanto io preparo qualcosa da mangiare. Ti vanno bene pane e nutella?» la ragazza annuì ancora una volta. Il riccio notò che aveva la voce un po’ roca, ma non ci diede molta importanza. 

Amélie salì le scale, dirigendosi verso il bagno. Chiuse la porta a chiave. Appoggiò la borsa a terra, tirando nuovamente fuori la bustina. 

 

Aveva bisogno di quella sensazione. Aveva bisogno della droga.

 

Trattenne le lacrime, non doveva piangere. Poteva smettere quando voleva, almeno così pensava. Aspirò velocemente. Tossì di nuovo. Continuò a tossire. Non riusciva a respirare. Stava avendo una crisi respiratoria. Sentì il sapore metallico del sangue in gola a causa del continuo tossire. Cercò di bere un po’ di acqua dal rubinetto e la situazione migliorò. 

«Amélie, stai bene?» la voce di Harry la rincuorò. Voleva rispondergli, ma non riusciva a spiccicare parola. Si sentiva debole, tuttavia l’effetto della droga alleviava questa sensazione.

«Amélie, tutto okay? Rispondimi, per favore.» continuò il ragazzo. Nessuna risposta. 

La bionda si avviò verso la porta, girò lentamente la chiave.

 

Stava male.

 

Harry era di fronte a lei, lo sguardo preoccupato e la mandibola serrata.

«Abbracciami, ti prego.» sussurrò, cercando di respirare. Il ragazzo non se lo fece ripetere due volte. La strinse a sé, non voleva lasciarla andare, non ora, né mai.

Guardò oltre la soglia e capì tutto. L’eroina e la cannuccia.

«Perchè?» le domandò, continuando ad abbracciarla.

«Non lo so. Ci sono cascata, nuovamente. Non mi lasciare, per favore.»

«Ora ci sono io.» mormorò.

Ora erano lei e lui contro tutto. Aveva paura, troppa. 

Si staccò dalla sua stretta e lo guardò negli occhi, sperando che le dicesse ancora qualcosa. Sorrise. 

 

E le piaceva per il semplice motivo che la faceva sorridere.




 


Eccomi con il capitolo numero sei, kgjngrgnre. :D
Amélie ha, per la prima volta dopo aver smesso, fatto uso di droga ed Harry l'ha scoperto. La sua reazione ha comunque sorpreso la ragazza. Hazza è dolce quando vuole. LOL
Io vi ringrazio, come sempre, delle bellissime recensioni che mi lasciate. :D
Recensite, mi raccomando. <3
Un bacio. xx

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Capitolo 7
*** Capitolo sette. ***



 

7. Capitolo sette.
 

- I’m a lightweight better be careful what you say,
with every word i’m blown away.
You’re in control of my heart. -
{Lightweight - Demi Lovato.

 

Aspettava. 

 

Aspettava che alzasse lo sguardo. Aspettava che parlasse. Aspettava che iniziasse a vivere. Aspettava che lo amasse.

Non era solito aspettare, era noioso, illudente, dissipante. 

Ti logora dentro l’attesa, il tempo che scorre senza fermarsi, le giornate che non finiscono mai, il sole che non tramonta, l’amore che non arriva.

Ma per lei, solo per lei avrebbe aspettato.

Si passò una mano fra i ricci, leggermente nervoso.

Quel silenzio lo feriva, come piccoli dardi di ghiaccio durante una tempesta.

Gli era entrata dentro, si era infilata sotto la sua pelle, non lasciandolo. E gli piaceva quella sensazione di abbandono verso il mondo, quei battiti che acceleravano ogni volta che incontrava i suoi occhi così intensi ma quasi trasparenti, quando la sfiorava anche solo per un attimo, per sempre. 

Non si erano detti più niente dopo l’abbraccio, le aveva afferrato la mano - forse per non lasciarla andare via -  e l’aveva portata in salotto, facendola sedere su quel divano che tutt’un tratto era diventato scomodo.

Amélie lo guardò. Harry la guardò. Si guardarono. Si appartennero per un attimo, per sempre.

«Sono qua. Raccontami.» le disse, cercando di attirare la sua attenzione.

Sapeva che aveva bisogno di parlare, di sfogarsi, di liberarsi. Ma non ne aveva la forza.

«Sono una drogata. Ecco, ti ho raccontato tutto ciò che ti dovevo raccontare.» rispose Amélie, notando di essere stata sgarbata con lui.

«Non lo sei e non lo diventerai.» la rimproverò con quel tono duro e fermo, cercando di convincerla o, forse, stava cercando di convincere se stesso.

«Lo sono stata.» alzò bruscamente lo sguardo, ferendolo con quegli occhi così chiari.

L’aveva ammesso a se stessa, al mondo intero. Perchè, in quel momento, era Harry il suo mondo. Ora se ne sarebbe andato, lo sapeva. Come tutti d’altronde. Le persone se ne vanno, prima o poi. E’ naturale, è semplice, è doloroso.

Il riccio non aggiunse nient’altro, non sapeva che dire. Le parole non erano mai state sue amiche, non sapeva mai come usarle, come riordinarle.

«Non dovevo confessartelo. Non dovevo nemmeno venire a casa tua. Ho sbagliato.» afferrò la sua borsa, diede un’ultima occhiata in giro e poi si alzò, pronta per andarsene.

Si diresse verso la porta, il più velocemente possibile. Sapeva che se l’avesse fermata, sarebbe restata.

«Amélie - la chiamò, si voltò - voglio aiutarti. Voglio far parte della tua vita a partire da ora. Scusa se non ho saputo che dire, ma non ho mai avuto a che fare con situazioni del genere.» ammise, cercando di scusarsi.

«Intendi dire, con la droga.» puntualizzò.

«Sì, ecco. Non mi sono mai ritrovato in una situazione simile. E’ tutto nuovo per me.»

«Per l’amor del cielo, Harry, stai zitto. Parli come se io per te fossi un’estranea, come se avessi qualcosa di diverso. E, comunque, non ho bisogno del tuo aiuto. Non ho bisogno dell’aiuto di nessuno!» sbottò, non gli dede nemmeno il tempo di ribattere, uscì. Si lasciò dietro il mondo intero. Faceva male, tanto, molto, troppo. 

 

 

 

 

 

 

 

I ragazzi erano tornati, fortunatamente.
 

Aveva sbagliato, lo sapeva, lo sentiva. 

 

«Harry, tutto okay?» gli domandò Liam, vedendolo sovrappensiero. Il riccio annuì. 

Lui e Louis erano gli unici in salotto, gli altri ragazzi stavano preparando la cena, ma lui non aveva fame.

«Sono qua. Raccontami.» Louis interruppe il silenzio, si accomodò meglio sul divano, pronto ad ascoltare il suo migliore amico. Harry ripensò alla frase che aveva appena pronunciato il amico, gli era famigliare, forse perchè poche ore prima era stato proprio lui a dirla ad Amélie.

Sospirò.

«Si droga.» confessò, non sapendo se avesse fatto la scelta giusta dicendogli tutto.

«E tu che hai fatto?» gli domandò l’amico, notandolo in difficoltà.

«L’ho lasciata andare.» ammise, sconsolato.

«No, Harry, non questa volta - Louis si sfregò le mani - avresti dovuto fermarla. Tu non hai idea di come ti abbia cambiato quella ragazza. Io non ti ho mai visto sorridere in questo modo da tanto tempo.» le parole gli facevano sempre male, ma questa volta più del solito. Quanta verità era contenuta in quello che aveva appena detto Louis.

 

Aveva sbagliato, lo sapeva, lo sentiva. 

 

«Lei ha bisogno di te, e tu lo sai.» era incredibile come Louis riuscisse a capirlo. Nonostante i pregiudizi che aveva avuto all’inizio il suo migliore amico, ora stava capendo la reale situazione. Non gli importava se Amélie facesse uso di droga, sapeva che Harry avrebbe potuto aiutarla. Si sarebbero aiutati a vicenda.

«E’ pronta la cena!» urlò Niall, impaziente, dalla cucina. I due migliori amici si alzarono e si diressero verso il tavolo, pronti per cenare. 

 

 

 

 

 

 

 

Amélie era nervosa, agitata. 

Percorse il corridoio velocemente, dirigendosi verso il luogo prestabilito con il ragazzo. Quella notte non aveva dormito a causa dei brividi. Le crisi di astinenza erano apparse prima del previsto. Erano passati solo tre giorni da quando aveva fatto uso di droga, da quando non parlava più con Harry, da quando aveva riallacciato i rapporti con Jason.

«Buongiorno, Lie.» sentì delle mani afferrarle i fianchi e si voltò. Il ragazzo le scoccò un bacio sulla guancia, assaporando il profumo alla fragola della bionda. 

«Dammi la roba, prima che ci vedano.» la ragazza ormai non aveva più pazienza.

«Va bene, va bene.» estrasse dalla tasca la solita bustina bianca, fece per porgergliela quando si fermò a mezz’aria.

«Esci con me sabato sera, altrimenti niente.» sorrise maliziosamente. Sapeva che Amélie avrebbe accettato, aveva bisogno della droga, aveva bisogno di lui per averla.

«Io... - Jason sventolò la bustina davanti ai suoi occhi, ricordandole l’accordo - va bene.» cedette alla fine, rassegnata.

«Questa dose ti basterà per i prossimi due giorni. Sabato sera ti farò provare qualcosa di nuovo. Stammi bene, Lie.» la salutò con un altro bacio, questa volta più vicino alle labbra. 

Si allontanò bruscamente da quel contatto ed incontrò gli occhi di Harry, il quale era impegnato a chiacchierare con i suoi amici vicino agli armadietti. Sperò che venisse da lei a parlare, ma scacciò quasi immediatamente quel pensiero. Doveva smetterla di affezionarsi a quel ragazzo che conosceva a malapena, doveva pensare solo a se stessa. Non gli importava se sbagliava, se stava male, se doveva dipendere da qualcosa. Non gli interessava più niente. 

La campanella suonò e si ricordò che aveva chimica, lo stesso corso che frequentava Harry. 

Affrettò il passo, non voleva arrivare in ritardo. Entrò in classe.

«Allen, non si saluta?» Amélie non rispose alla provocazione della professoressa, troppo esausta per ribattere. Si diresse verso il banco in fondo all’aula.

«Dove pensa di andare? Il suo posto, ormai, è vicino a Styles.» in quel momento rimpianse di non aver saltato la lezione. Inutile dire che avrebbe preferito non sedersi accanto ad Harry, ma non obiettò. Si sedette e prese il libro.

«Oggi tratteremo qualcosa riguardante l’ambito dell’astrologia. In particolare ciò che riguarda le stelle.» Amélie iniziò a scarabocchiare sul proprio quaderno, non aveva voglia di ascoltare, di ascoltarla.

Harry osservava la sua compagna di banco. Le mancava, forse.

La Smith fece una breve introduzione sull’argomento, nonostante nessuno dei presenti la stesse ascoltando.

«Gli astrofisici le definiscono "stelle gemelle". Le stelle gemelle sono fisicamente legate tra loro, non si possono separare con nessuno strumento. La stella più luminosa della coppia è chiamata Primaria, mentre la più debole, Secondaria. Queste due stelle si girano intorno in un movimento orbitale, la loro luce è 70 volte superiore a quella del Sole. Si illuminano a vicenda, ma la stella più forte tenderà piano piano a prendersi la luce dell'altra stella, portandola così a "morire".» Harry ed Amélie alzarono contemporaneamente lo sguardo, attratti da quelle parole che, forse, alludevano alla loro situazione. 

 

Aspettava. 
 

Aspettava che alzasse lo sguardo. Aspettava che parlasse. Aspettava che iniziasse a vivere. Aspettava che la amasse.








Ciao bellissime. *-*
Finalmente il weekend è arrivato e da me ha grandinato. WTF? D:
Comunque, stasera esco lo stesso. u.u
Vi ringrazio immensamente per le bellissime recensioni che mi lasciate e perchè continuate ad aggiungere la storia fra le seguite/preferite/ricordate. <3
Recensite, mi raccomando. c:

GREKJGNKERNG UN BACIO. xx

L'altra FF, "Love isn't for me": http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1046994&i=1

A
mélie.

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Capitolo 8
*** Capitolo otto. ***



 

8. Capitolo otto.
 

I’m out of touch, i’m out of love;
i’ll pick you up when you’re getting down.
And out of all these things i’ve done i think i love you better now. -
{Lego House - Ed Sheeran.

 

Se solo ti fermassi per un attimo, per sempre.

 

La lezione di chimica era stata più interessante del previsto, Amélie si era annotata sul quaderno le parole riguardanti le “stelle gemelle”. Aveva sempre ritenuto l’astronomia una scienza troppo complessa e il decifrare la posizione delle stelle per ricavarne l’oroscopo una vera stupidata. Ma ora, dopo quella lezione, stava paragonando quelle “stelle gemelle” alla sua situazione. Lei era la stella Secondaria, quella più debole, quella che brillava di meno. E si domandava chi fosse quella stella Primaria, quella che l’avrebbe portata a morire. Scosse la testa, sorridendo. Si stava facendo troppi problemi e non era di certo il momento più adatto. 

Era ora di pranzo e i ragazzi si stavano dirigendo verso la mensa, e così fece anche Amélie, nonostante non avesse molta fame, come sempre. Avrebbe dovuto aspettare il pomeriggio per farsi una dose, sarebbe stato troppo rischioso farlo a scuola, avrebbero potuta scoprirla.

Oltrepassò l’ingresso della mensa. Stette per prendere un vassoio quando la vista del cibo le provocò un conato di vomito, si limitò a prendere una mela. Diede un’occhiata in giro e notò che c’era un tavolo libero, si affrettò ad occuparlo. E fu in quel momento che incontrò nuovamente quegli occhi verdi. Si scontrarono bruscamente, molto probabilmente perchè Harry stava correndo per prendere posto. Gli amici del ragazzo lo raggiunsero e solo allora si videro da vicino, poterono scrutarsi attentamente. Amélie sostenne i loro sguardi seppur imbarazzata, voleva andarsene, ma era l’unico tavolo libero.

«E quindi sei tu la ragazza che ha fatto innamorare Harry.» la schiettezza di Louis aprì il discorso. La bionda sobbalzò a quelle parole, la ferivano. 

«Mangiamo tutti insieme?» propose Liam, che nel frattempo si era seduto. Amélie stette per obiettare, ma si rese conto che era meglio tacere.

Prese la mela e la morse. Tutti la guardavano, tranne Harry.

«Che c’è? Non avete mai visto nessuno mangiare una mela?» la ragazza si difese a suo modo, inacidendosi. Niall mangiò tutto ciò che si trovava nel vassoio, senza lasciare avanzi. 

Quel silenzio, tra lei e lui, le metteva ansia. Era circondata dalle voci, dal chiasso eppure lei non udiva nulla, era assorta in qualcosa, in qualcuno. 

Finì la mela e scaraventò il torsolo sul tavolo, non curandosi del cestino che aveva di fianco. Si alzò di scatto ed uscì.

 

Se solo ti fermassi per un attimo, per sempre.

 

Il fumo della sigaretta le usciva dalla bocca ogni volta che espirava. Quando la droga non la soddisfaceva c’erano le sigarette. 

«Possiamo smetterla di ignorarci, ne ho abbastanza. Se questa era una gara per chi mostrasse più indifferenza, hai vinto. Non posso più sopportare tutto questo.» la sua voce la colse all’improvviso, facendola tossire. Si voltò nella sua direzione e lo trovò a pochi passi da lei, le mani infilate nella tasche e le spalle ricurve, forse per proteggersi dalle parole della ragazza che lo ferivano, lo logoravano. Harry lanciò qualche sassolino, aspettando una sua risposta, un suo cenno.

«Che vuoi?» gli domandò, dopo aver aspirato dalla sigaretta.

«Te.» rispose, mentre si avvicinava sempre di più fino a sedersi di fianco a lei. La ragazza spense la sigaretta, sapendo che al riccio desse fastidio il fumo, premendola sull’asfalto.

«Non dire stronzate, Styles.» lo rimproverò, tuttavia rise. Rise perchè quella parola, pronunciata da lui, le faceva uno strano effetto.

«Non credermi, non sono qui per importelo.»

«E allora perchè?» si voltò verso di lui, e finalmente Harry poté rivedere il suo viso.

La pelle era bianchissima e contornava quegli occhi che tanto amava. Dio, che occhi. Ci si perdeva dentro ogni volta che incontrava il suo sguardo. Le labbra erano di un rosa più accesso, quasi lampone. Gli venne l’istinto di baciarle, di morderle, ma si trattenne. Anche se la droga la corrodeva, lei era sempre bella. Gli occhi stanchi si chiusero per qualche secondo e le labbra si strinsero, come per contenere quel dolore. Già, quel dolore che la dissipava. Finalmente si decise a rispondere.

«Sono qua perchè voglio aiutarti.» 

«Le solite frasi fatte, Harry. Io sto bene, senza di te.» e in quel momento un groppo si formò nella gola del ragazzo, strinse i pugni. Se solo avesse avuto più esperienza, se fosse stato più maturo molto probabilmente l’avrebbe abbracciata, l’avrebbe rassicurata, ma ora era l’orgoglio a decidere. E il suo era troppo per non dare importanza a quelle parole. Non disse niente, non voleva peggiorare la situazione. Si alzò e se ne andò

 

Se solo ti fermassi per un attimo, per sempre.

 

 

 

 

 

 

 

Si svegliò a causa del raggi di sole che filtravano dalla finestra. Voltò lo sguardo e vide la siringa appoggiata sul comodino, poi lo spostò sul suo braccio destro e notò essere gonfio. In quegli ultimi giorni aveva fatto troppo uso di droga e quella che le aveva dato Jason era finita, esaurita, scomparsa, dissolta nelle sue vene. Era sabato e non sarebbe andata a scuola. Voleva farsi una doccia, rinfrescarsi. Quella sera sarebbe uscita con Jason. 

Spogliò il suo corpo magro dal pigiama turchese e lo scaraventò per terra. 

Entrò in doccia, rabbrividendo per il cambio di temperatura. Tuttavia, regolò il getto sull’acqua fredda, doveva svegliarsi. Lasciò che l’acqua le percorresse il corpo, delineandolo. Fece scivolare la spugna, imbevuta di bagnoschiuma alla fragola, sulle braccia, sfregando, facendosi del male. Voleva che le restassero i segni di quella doccia liberatoria. Il braccio destro le prudeva, iniziò a grattarselo sempre più velocemente, infilando le unghie nella carne e raschiandola. Si formarono dei piccoli graffi da cui uscivano gocce di sangue, mentre la zona dove pochi ore prima si era bucata divenne leggermente viola. Si sciacquò da quel dolore, sperando che l’abbandonasse. Fino a che punto era arrivata, si stava facendo del male, si stava punendo per qualcosa di cui non aveva colpa, forse. Uscì dalla doccia e avvolse il suo corpo nell’accappatoio, per un attimo posò il suo sguardo sulle lamette del rasoio, ma lo distolse immediatamente. Si legò i capelli con una molletta, non curandosi di alcuni ciuffi che erano sfuggiti dalla presa. Guardò ancora una volta quel braccio e fu contenta di quei segni che, tuttavia, nel giro di qualche giorno sarebbero scomparsi. 

Decise di vestirsi, di coprirsi, di nascondersi. Di nascondersi da quel mondo che la intimoriva, che aveva capito fosse meglio non sfidare per non perdere, a prescindere. 

Indossò una semplice maglietta nera, che la rendeva più magra. Voleva che la gente vedesse i suoi segni, che capisse quanto le persone possano soffrire e stare male quando sono sole. Quando non c’è nessuno che ti tende una mano, ma ti abbandona lì, non rendendosi conto che hanno firmato la tua condanna a morte. E, a volte, la salvezza la trovi nelle cose più orribili e, molto probabilmente, per Amélie era la droga. Una via d’uscita da quella vita che le stava troppo stretta, da quella voglia di urlare che non aveva, dall’amore che non aveva mai conosciuto. E se sei da sola ad affrontare tutto, spesso, non riesci a vincere.

Era una bella giornata e aveva voglia di fare una passeggiata, di sgranchirsi quelle gambe che da tanto tempo non correvano, non ricorrevano. Chiuse dietro di sé la porta, si lasciò alle spalle il mondo, il suo mondo. Si mise una mano davanti agli occhi per quel sole che li feriva, li costringeva ad abbassarsi, a sottomettersi. 

Si diresse verso il parco e si sedette sulla panchina, sulla loro panchina.

Si portò le gambe al petto - un’azione infantile - per proteggersi, per racchiudersi.

«Alla fine ci si ritrova sempre al punto di partenza.» alzò lo sguardo e, ancora una volta, c’era lui. 

«Come mai sei qua?» gli domandò, non curandosi delle parole poco prima pronunciate.

«Per lo stesso motivo per cui ci sei tu.» rispose, sedendosi di fianco a lei come quel giorno che, molto probabilmente, ricordavano bene entrambi.

Harry abbassò lo sguardo e vide il suo braccio pieno di graffi, cicatrici. Non le domandò nulla, sapeva che non gli avrebbe risposto oppure gli avrebbe mentito.

 

Rimasero così, immobili ad osservare il mondo che si muoveva mentre loro stavano fermi.

 

Era da tanto tempo che le loro labbra non si incontravano e gli mancava quel contatto così famigliare. Le prese la mano e la strinse, Amélie lo lasciò fare. Il suo orgoglio era sparito, l’aveva messo da parte per lei. 

 

Rimasero così, immobili ad osservare il mondo che si muoveva mentre loro stavano fermi.

 

«Se solo ti fermassi per un attimo, per sempre.» le disse a bassa voce, guardandola nei suoi grandi occhi azzurri e lei sorrise, dopo molto tempo. 

 

E rimasero così, immobili ad osservare il mondo che si muoveva mentre loro stavano fermi.








Scusatemi per la lunghissima assenza, ma i compiti mi hanno presa in ostaggio. (?) 
Da ora sarà anche peggio, dato che tra circa un mese inizieranno gli esami. çwç SALVATEMI D:
Torniamo a noi, yoh. (?)
In questo capitolo c'è quasi sempre Amélie, e si è scoperto qualcosa in più sul suo carattere. E' una ragazza fragile, insicura. 
Be', ergnrtjghntrh, non dico più niente. Giudicate voi. uu
Vi ringrazio per le bellissime recensioni che mi lasciate, veramente. Ogni volta che le leggo, sorrido e mi chiedo se non sto sognando. :D
Mi rende felice il fatto che voi apprezziate le mie FF. ERJKGNERKJG *^*
Ora vi lascio. c:
Recensite, mi raccomando. c:
Un bacio. xxx

Love isn't for me: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1056271



Amélie.

 

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Capitolo 9
*** Capitolo nove. ***




9. Capitolo nove.

 

Just a kiss on your lips in the moonlight.
Just a touch in the fire burning so bright.
And i don’t want to mess this thing up,
i don’t want to push too far.
{Just A Kiss - Lady Antebellum.


Si sfioravano senza mai appartenersi veramente. 

Perchè era questo che sapevano fare: cercarsi ma non trovarsi, rincorrersi ma non raggiungersi.

 

Si erano salutati così, con un sorriso e due mani intrecciate, per completarsi, per sentirsi completati. Ad Harry era bastato averla accanto per riprendere a respirare, era la sua aria. Nonostante cercassero di evitarsi in un modo o nell’altro si ritrovavano uno di fronte all’altro ed era difficile affrontarsi. Harry non voleva costringerla ad arrendersi con l’unica arma che possedeva, l’assenza. Perchè tra loro due c’erano solo addizioni, niente sottrazioni. Tuttavia non riusciva a capire perchè continuasse ad allontanarlo, voleva aiutarla, pur non sapendo come. Quei tagli erano anche i suoi. Quella pelle raschiata, il rossore, il dolore. Sapeva che si stava facendo del male e stava lottando contro se stessa, non contro il mondo. A volte, il nemico più forte da affrontare siamo noi stessi e non lo sappiamo, non ce ne rendiamo conto. 

Harry l’aveva vista alzarsi e andarsene, ancora una volta non l’aveva fermata. Quel coraggio che tanto pensava d’avere, quella testardaggine che tutti gli rimproveravano, dove erano? Davanti a lei, era debole, vulnerabile. Odiava tutto ciò perchè lei si ostinava a mostrarsi forte ai suoi occhi quando invece non lo era. Voleva essere la sua salvezza, la sua ancora, invece era solo un altro impiccio, un qualcosa di cui era meglio liberarsene. 

Voleva che lui la guardasse con gli stessi occhi con cui la guardava lui e mostrarle quanto fosse bella. Quanto quegli occhi fossero lo specchio della sua anima: trasparenti e assenti. Voleva stringerla e dirle che adorava il suo profumo alla fragola, era dolce come lei, a volte. Voleva portarla al parco e vederla sorridere. Ma sapeva che queste cose le fanno solo gli innamorati: quelli che si giurano che durerà per sempre, che si ameranno per sempre. Ammettiamolo, i per sempre sono solo per i finti innamorati. E’ una durata di tempo troppo lunga da affrontare e lui non era pronto, pensava. Tuttavia, voleva provarci. Voleva terminare una frase con quel “per sempre”, farle una promessa che poi avrebbe mantenuto e non voleva deluderla, né oggi, né domani, né mai. 

 

 

 

 

 

 

 

Si affrettò ad allacciare la lampo di quel tubino nero che le fasciava il corpo magro; mise anche le scarpe, delle semplici décolleté nere. Si alzò e si guardò allo specchio. 

 

Non si riconobbe. 

 

Quel rossetto rosso sulle labbra ne definiva meglio il contorno, enfatizzandole. L’eyeliner nero cerchiava i suoi occhi azzurri, ingrandendoli. Posò lo sguardo sul braccio destro e notò che i graffi si stavano cicatrizzando, non erano molto visibili e questo la sollevò, non aveva voglia di spiegare a Jason il motivo per il quale se li era procurati.

Erano le venti in punto e per la prima volta nella sua vita era puntuale, pensò che prima avesse cominciato prima avrebbe finito.

Scese le scale un po’ incerta, barcollando su quei tacchi che ormai non era più solita portare e i suoi piedi ne risentivano. Aprì la porta ed uscì di casa, il sole era appena tramontato e c’era il crepuscolo. Quelle sfumature rosse e gialle le infondevano sicurezza, aveva sempre avuto paura del buio.

Si incamminò verso il luogo prestabilito. Quella sera c’era poca gente in giro, e se ne rallegrò, non voleva troppi sguardi addosso.

Vide una figura famigliare in lontananza sventolare una mano nella sua direzione, non fece niente, non affrettò il passo. 

 

Se solo fosse stato Harry sicuramente avrebbe corso e sorriso, ma era Jason, solo lui. 

 

«Buonasera, Lie.» le accarezzò i lunghi capelli biondi, soffermandosi sulle punte, arricciandole. 

 

Se solo fosse stato Harry sicuramente l’avrebbe lasciato fare, ma era Jason, solo lui.

 

Il ragazzo le scoccò un bacio sulla guancia, Amélie rabbrividì.

 

Se solo fosse stato Harry sicuramente avrebbe voltato il viso per far incontrare le loro labbra, ma era Jason, solo lui.

 

«Stasera ci divertiremo, te lo assicuro.» le cinse i fianchi con un braccio, costringendola ad avvicinarsi. Era parecchio a disagio, ma ormai c’era dentro e doveva andare fino in fondo.

«Dove andiamo?» gli domandò, notando che il cielo si stava scurendo e faceva freddo.

«In un parchetto qui vicino, dove nessuno ci potrà disturbare.» si voltò verso di lei, sfoderando un sorriso malizioso, la bionda abbassò lo sguardo, intimorita.

Camminarono per un po’, forse più del dovuto e quei maledetti tacchi le faceva dolere i piedi troppo stanchi. Arrivarono nei pressi di un parco giochi e riconobbe un oggetto famigliare, la loro panchina. Si morse il labbro inferiore, stava sbagliando, doveva tornare indietro. Dov’era Harry? Costa stava facendo? Perchè non era con lui? Aveva bisogno della sua presenza, ora, domani, per sempre.

L’aveva usato quell’avverbio, e non si domandò nemmeno il perchè. Le parole escono così, a volte, come raffiche che ti feriscono.

«Cammina più velocemente, sii più svelta.» la rimproverò Jason, solo quando sentì la sua voce si ricordò della sua presenza. Le strattono il braccio, costringendola ad accelerare il passo. Alzò lo sguardo e vide alcune stelle.

 

“Gli astrofisici le definiscono "stelle gemelle". Le stelle gemelle sono fisicamente legate tra loro, non si possono separare con nessuno strumento. La stella più luminosa della coppia è chiamata Primaria, mentre la più debole, Secondaria. Queste due stelle si girano intorno in un movimento orbitale, la loro luce è 70 volte superiore a quella del Sole. Si illuminano a vicenda, ma la stella più forte tenderà piano piano a prendersi la luce dell'altra stella, portandola così a "morire".”

 

Si ricordò di quelle parole che le tartassavano la mente da giorni. Chi era quella stella Primaria? Voleva dare una risposta a questa domanda, o forse la conosceva e aveva paura ad ammetterlo.

«Siediti qua.» le ordinò il ragazzo, indicandole una panchina vicino a loro. Obbedì.

Vide Jason rovistare nelle sue tasche, in cerca di qualcosa; mentre Amélie iniziò a torturarsi le mani per l’agitazione. Finalmente il ragazzo estrasse qualcosa, delle pasticche.

«Cosa sono?» domandò la ragazza, indicandole. Jason non rispose, si limitò a sedersi accanto a lei e a porgliele. Amélie esitò, aveva paura, stranamente.

«Mandale giù e non fare domande - la bionda le afferrò, aspettando qualche minuto - muoviti, dai.» insistette il ragazzo, non vedendola convinta.

Le mise in bocca ed ingoiò.

 

 

 

Era capitato tutto così velocemente. Quelle pasticche, il freddo, sudore, palpitazioni.

Aveva sentito la sua pressione sanguigna crescere, il sangue fluiva più velocemente tra quei tubi che tutti chiamano vene; i battiti del cuore erano aumentati e i respiri affannosi, tuttavia si sentiva bene. La fiducia in se stessa era cresciuta, aveva voglia di ridere, di divertirsi. Erano sensazioni nuove, mai provate, completamente diverse da quelle che sentiva quando si iniettava l’eroina. Gli occhi le brillavano e rideva insieme a Jason, il quale le stringeva la mano, sempre più forte.

«Dammene ancora.» disse, aveva perso il controllo.

«Lie, pretendi troppo, ne avrai quando lo deciderò io.» si avvicinò pericolosamente al suo viso, sentiva il suo respiro sul collo. Le scostò i capelli dagli occhi, Amélie abbassò lo sguardo. Le presse il mento tra le dita, costringendola a guardarlo e premette violentemente le labbra sulle sue, schiudendole. La bionda non reagì, non ne abbe il tempo e nemmeno la voglia. Il contatto durò per diversi secondi, interminabili secondi.

Amélie alzò lo sguardo, ma l’unica cosa che vide fu un cielo buio, poche stelle lo illuminavano. Si alzò da quella panchina e per poco non perse l’equilibrio.

«Che cazzo mi hai dato?» non si preoccupò della volgarità di quella domanda, la sensazione di benessere continuava a pervaderla, ma sentiva di non avere il controllo sul suo corpo.

«Dimmi che cazzo è quella roba!» urlò contro di lui, non le importava di essere sentita, voleva che la sentissero.

«Chiudi la bocca, Lie!» tuonò il ragazzo, afferrandolo per il braccio e strattonandola. Strinse la presa intorno al suo polso, in modo che non si liberasse e la trascinò via da quel luogo, si diresse verso la sua macchina. Amélie non sentiva dolore, ma solo euforia, eppure quel corpo non era il suo, non si sentiva parte di esso.

Jason la scaraventò nella macchina, tappandole la bocca con una mano; Amélie si divincolava da quelle mani che non erano le sue, sfuggiva da quegli occhi che non erano i suoi, da quelle labbra che non avevano il suo sapore.

«Lasciami stare!» si muoveva freneticamente, cercando di non essere afferrata da quelle braccia troppo forti per lei; cercò la maniglia, la trovò, aprì la portiera.

«Bastardo!» gli urlò, sfuggendo alla sua stretta, corse fuori da quella macchina, corse via da lui.

«Non la passerai liscia, Lie. Sappilo.» l’avvertì, nonostante la bionda fosse già troppo lontana.

 

 

 

Cercava quella casa, correva su quei tacchi. 

La vista la tradiva, stava scappando da se stessa, dal mondo, da lui.

Doveva trovarlo, aveva bisogno ora più che mai di buttarsi fra le sue braccia. Aveva sbagliato, come sempre e solo ora aveva capito i suoi errori.

Si fermò davanti ad una villetta, suonò il campanello.

«Aprimi, ti prego...» sussurrava, pur sapendo che non l’avrebbe sentita. 

Continuò a suonarlo, invano.

Non la sentiva.

Lasciò perdere, si arrese perchè era l’unica cosa che sapeva fare. Arrendersi.

Proprio quando stette per andarsene, la porta si aprì, si voltò.

 

Era lui.

 

Harry la vide: i capelli in disordine, arruffati; il vestito strappato in alcuni punti e i polsi, quei polsi pieni di lividi.

Non disse niente, aveva capito tutto. Per una volta lasciò che i gesti parlassero per lui.

La strinse a sé. E, no, questa volta non l’avrebbe lasciata andare.

«Resterò, per sempre.» le mormorò ad un orecchio, prima che le loro labbra si incontrassero nuovamente, quanto si erano mancate, troppo.

 

Si sfioravano senza mai appartenersi veramente. 

Perchè era questo che sapevano fare: cercarsi ma non trovarsi, rincorrersi ma non raggiungersi.












Ho aggiornato più in fretta di quanto pensassi, LOL. In questo periodo sono molto ispirata, rekfrekjt. :D
Io vi amo, sapete? Vi ringrazio per le stupende recensioni che mi lasciate e perchè continuate ad aggiungere la FF tra le seguite/preferite/ricordate.
Spero che continuate a recensire, ergkengkjg. c:
Fatemi sapere cosa ne pensate del capitolo. :D
Un bacio. xx

Love isn't for me: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1074419

A
mélie.

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Capitolo 10
*** Capitolo dieci. ***



 

10. Capitolo dieci.


They say that some things are too good to be true,
but i just hope they ain’t talking about you.
I heard that everything must come to an end,
but i just can’t imagine me without you. -
{Eyes Wide Shut - JLS ft. Tinie Tempah.


Sapevano perdersi e poi ritrovarsi, dentro di loro.

 

Harry lasciò che le mani scivolassero giù, intrecciandole con le sue. La ragazza tremò, probabilmente era ancora scossa per quello che era accaduto pochi minuti prima. Il riccio voleva infonderle sicurezza e così lasciò che i suoi occhi verdi la trapassassero, spogliandola della sua timidezza e delle sue debolezze. Strinse la sua presa intorno a quelle dita esili, sottili. Harry indietreggiò, permettendo alla ragazza di entrare, chiuse la porta. Fu allora che si ritrovarono, dopo essersi persi per troppo tempo. 

Ed era bello, per Amélie, averlo accanto. Studiarne i lineamenti e disegnarli intorno al suo viso con le dita, sfiorandogli la pelle, le labbra.

 

Bruciava.

 

Quel tocco così intimo fra loro due. Erano morbide, calde. 

La mano scivolò sul collo del ragazzo, il quale non smetteva mai di guardarla, e si appoggiò sul suo petto. Dannazione, il cuore scoppiava. Restò con quella mano impudica sul suo petto, aspettando di calmarsi, di ricordarsi che sapeva respirare.

 

Bruciava.

 

Harry la osservava, come sempre. 

Era di fronte a lui, con quella mano che gli sfiorava il cuore.

Le scostò con una mano i capelli biondi, in modo da far risaltare gli occhi acquamarina.

Le accarezzò una guancia, Amélie abbassò lo sguardo, timorosa.

«Sei tornata.» le soffiò sulle labbra, sorridendo.

«Non me ne sono mai andata veramente.» rispose, annullando la distanza che li separava.

Le loro labbra si ritrovarono nuovamente, sperando di non dividersi mai più. Un bacio casto, semplice. Ed era così bello appartenersi veramente.

Si staccarono da quel contatto e si guardarono nuovamente negli occhi, pensando di perdersi gli uni in quelli dell’altro. 

Salirono le scale insieme e si diressero verso la stanza del ragazzo, entrarono.

«Per la prima volta, ho avuto paura.» mormorò Amélie, voltandosi verso il buio, ricacciando indietro le lacrime.

Harry ebbe l’impulso di stringerla a sé, ma l’unica cosa che fece fu appoggiarle una mano sulla spalla, facendole capire che lui c’era per lei, solo per lei.

«Ho bisogno di te, Harry.» lo ammise a sé stessa per la prima volta, e fu come una scossa attraversale il corpo. Ammettere di essere debole e di aver bisogno di aiuto, di non essere in grado di affrontare tutto da sola. Aveva capito che lei non poteva contare solo su se stessa.

«Guadarmi e ripetilo.» le cinse i fianchi e la costrinse a voltarsi, incontrando nuovamente quegli occhi magnetici. Amélie si morse il labbro.

«Fallo per me, per favore.» le sussurrò queste semplici parole, sfiorandole la guancia con le labbra.

«Dannazione, ho bisogno di te.» ripeté, mentre i loro occhi si cercavano freneticamente.

Harry premette le sue labbra sulle sue, mentre Amélie intrecciava le sue dita fra i ricci del ragazzo, accarezzandoglieli.

Si stesero sul letto e rimasero così: a guadare quanto era bello l’amore di due adolescenti. Di quanta purezza ci fosse nei loro sguardi, di quanto quei baci saziassero il bisogno l’uno dell’altro, di quanto quelle mani cercassero un contatto per sfiorarsi e appartenersi.

«Questa volta non ti lascerò andare, ricordatelo.» affermò Harry, mentre le accarezzava un braccio, la ragazza si girò su un fianco.

«Non servirà, perchè io non me ne andrò.» lo rassicurò, sfiorandogli una guancia. Quella pelle così liscia e morbida bruciava ad ogni tocco.

Sapeva che non sarebbe stato facile, ora più che mai doveva essere forte per lei, per lui, per loro. L’aveva capito, finalmente, quella stella Primaria era Jason, la droga. Ce l’aveva fatta una volta da sola, poteva vincere ancora, insieme ad Harry.

Amélie appoggiò la testa contro il petto del ragazzo, il quale continuava ad accarezzarla delicatamente, e si addormentò così: fra le braccia del suo mondo.

 

 

 

 

 

 

 

Buio. Luce sfocata. Le lenzuola ruvide sfregavano contro le sue gambe nude. Aveva caldo. Sentiva i capelli appiccicati al collo e alla fronte. Si voltò. Non c’era.

Stropiccia gli occhi, cercando di mettere a fuoco gli oggetti. 

La testa le doleva, un martellio intermittente era dentro di essa e ciò le dava fastidio.

La droga è ancora in circolo, pensò. Amélie non sapeva quando l’avrebbe smaltita, se l’avrebbe smaltita, ma ne sentiva il bisogno, la necessità. Posò una mano sul comodino, ma non trovò alcuna siringa, poco dopo si ricordò di non essere a casa sua, ma in quella di Harry, il quale non era più accanto a lei. La porta era semichiusa, si era già alzato, forse se ne era andato.

Scosse la testa. Schiocchezze.

Si alzò, trascinando il suo corpo che, seppur magro, le sembrava pesante. Scese le scale, barcollando leggermente e si diresse verso la cucina, da cui provenivano delle voci.

Decise che erano meglio andarsene, avrebbe sicuramente disturbato. Stette per raggiungere la porta, quando la voce di Harry la fece sobbalzare.

«Dove vai?» le domandò serio, avvicinandosi.

«A casa. Non voglio disturbare.» rispose, abbassando lo sguardo e notando il suo abbigliamento non adatto alla situazione. Indossava gli stessi vestiti della notte scorsa, ed erano troppo corti per farla sentire a suo agio.

«Almeno fai la colazione con me.» le propose il ragazzo, sporgendosi e baciandole dolcemente la guancia. Amélie accettò, non poteva resistergli, non poteva perderlo.

Solo quando varcò la soglia si accorse della presenza degli altri quattro ragazzi: Niall, Liam, Louis e Zayn.

«B-Buongiorno.» la bionda si accomodò di fianco ad Harry, venne accolta con un sorriso da tutti.

«Succo d’arancia o thé?» le chiese il biondo, sfoderando uno dei suoi magnifici sorrisi.

«Succo d’arancia, grazie.» rispose la ragazza. Prese il bicchiere e bevve, sgranocchiò delle fette biscottate con spalmata della marmellata all’albicocca.

Ogni volta che voltava lo sguardo, incontrava un sorriso. Gli occhi di Harry non l’abbandonavano mai, ne osservava i movimenti, i gesti. Così veloci, così semplici. I capelli biondi le ricadevano sul viso, contornandole gli occhi celesti che si muovevano schietti da un angolo all’altro della stanza.

«Che cosa avete in mente di fare stamattina?» domandò Louis, rivolgendosi ai due ragazzi. Amélie venne colta di sorpresa e non seppe cosa rispondere.

«Una passeggiata.» aggiunge Harry, il quale si affrettò a finire la colazione e si alzò, seguito a ruota dalla ragazza.

«E’ stato un piacere.» si congedò la bionda, sorridendo ad ognuno di loro.

 

 

 

 

 

 

 

«Harry, forse è meglio che mi cambi.» disse Amélie, facendo riferimento al suo abbigliamento. Si torturava le mani, nervosa. Lo sguardo basso, rivolto verso l’asfalto.

Harry non disse niente, ma continuava a sorridere. Arrivarono.

La loro panchina li aspettava, si sedettero.

«Dimmi che ci proverai. Promettimelo.» la incitò il ragazzo, sperando che non ci avesse ripensato, che fosse ancora convinta.

«Non posso prometterti niente, Harry. So solo che voglio uscire da tutto ciò, per sempre.» si affrettò a rispondere la bionda.

«Ed io ti aiuterò.» aggiunge Harry, guardandola negli occhi.

E come la prima volta Amélie perse un battito. Le sfiorò la mano. Ne perse un altro. Le accarezzò la guancia. Un altro ancora. Le sue labbra calde si posarono sulle sue. Morì.

 

Sapevano perdersi e poi ritrovarsi, dentro di loro.












No, non sono morta.
Sì, mi dovrete sopportare ancora per un bel po'. LOL
Scusate, ma con la scusa degli esami i prof ci stanno riempiendo di compiti ed io, a stento, trovo il tempo per respirare. (?)
In questo capitolo Harry ed Amélie sono di una dolcezza, GNRTKJGNKRTJN. *-*
Sono troppo dolci e appiccicosi, secondo voi? A me piacciono ogni tanto le perle di saggezza di Hazza, LOL.
Grazie per le bellissime recensioni, gkjgnrtgjknr. <3
Mi raccomando: fatemi sapere cosa ne pensate. :D
Evaporo, yoh. uu
Un bacio. xxx

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Amélie.

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Capitolo 11
*** Capitolo undici. ***




11. Capitolo undici.

 

- What can you do when your good isn’t good enough;
and all that you touch tumbles down?
‘Cause my best intentions
keep making a mess of things.
I just wanna fix it somehow;
but how many times will it take? -
{Get It Right - Glee.


Perchè gli amori durano, durano per sempre, nei ricordi.

 

Non parlavano perchè non avevano niente da dirsi, tenevano gli occhi fissi verso un punto indefinito, mentre entrambi morivano dalla voglia di sentire nuovamente il suo della voce dell’altro.

«Cosa vuoi fare?» domandò Harry, voltandosi verso di lei.

«Vivere.» rispose Amélie. Non l’aveva mai fatto veramente e aveva bisogno di sentirsi viva, non voleva più avere paura perchè sapeva che, insieme ad Harry, sarebbe stata forte, avrebbe potuto vincere.

 

Nessuno si salva da solo.

 

Averlo lì accanto, pronto ad ascoltarla, le dava sicurezza, perchè lei di sicurezza non ne aveva mai avuta. Non sapeva che sapore avessero i baci prima di sfiorare quella labbra morbide; non sapeva cosa significasse sorridere con gli occhi prima di incontrare quelle iride verdi; non sapeva cosa volesse dire sentire la pelle bruciare prima di riconoscere quelli mani accarezzarle le guance. Vivi una volta, vivi per sempre.

«Non voglio sentire parlare di ospedali o cliniche, è una lotta contro me stessa, non contro il mondo.» le sue risposte secche lo coglievano sempre di sorpresa. Perchè era questo Amélie, una sorpresa. Una sorpresa che non si sapeva quando si sarebbe aperta, un regalo inatteso, un bacio non dato, una parola soffocata, qualcosa di invisibile che però esisteva. Nascosta dietro le sue paure, rintanata in un angolo remoto della vita.

«Amélie, io voglio aiutarti, ma non puoi pensare che sarà semplice, che nel giro di poche settimane sarà tutto passato. Devi entrare in un centro o in una comunità.»

 

Nessuno si salva da solo.

 

«No, non voglio. Tu non puoi capire cosa vuol dire essere marchiati per sempre con il nome di “tossicodipendente”, voltarsi e vedere sguardi che ti osservano come se fossi un estraneo. Non voglio che la gente sappia, non ora, né domani, né mai.» era calma, tranquilla, forse era proprio questo che la fregava: la convinzione di potercela fare senza soffrire nuovamente, senza lottare con tutte le sue forse.

«Per prima cosa voglio che tu venga ad abitare da me, almeno per un breve lasso di tempo. Tu hai bisogno di me.» Amélie si voltò. Dannazione, quanto aveva ragione, troppo forse. La ragazza si passò il palmo della mano sulle guance, per asciugare le lacrime che, fortunatamente, Harry non aveva notato. Non voleva piangere, sapeva che da quegli occhi ne sarebbe scese di lacrime durante tutto il suo percorso e non voleva cominciare proprio ora, non all’inizio.

«Va bene, come vuoi tu.» rispose la bionda, che si alzò bruscamente dalla panchina e quasi perse l’equilibrio, ma fortunatamente si aggrappò al braccio di Harry in modo da evitare una qualsiasi caduta.

Il riccio le cinse i fianchi con un braccio, stringendola a sé e sorrisero, insieme. 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo aver preso i vestiti necessari e gli oggetti personali a cui teneva di più la ragazza, si incamminarono verso la casa del riccio. Durante il tragitto, Harry ripensò a cosa aveva visto nella stanza di Amélie: quella siringa sul comodino, il laccio emostatico, il cotone imbevuto di alcol. Non le avrebbe più permesso di farle del male, non ora che c’era lui.

«Siamo tornati.» si affrettò ad annunciare il ragazzo, appena superarono la soglia dell’ingresso.

«C’è pronto il pranzo - Louis si accorse della presenza della ragazza e ne fu entusiasta, finalmente Harry non l’aveva lasciata andare - Amélie mangi con noi?» le domandò, sorridendole.

«Veramente, io non ho molta fame.» abbassò lo sguardo, Harry strinse la prese verso di lui e intrecciò una mano con la sua.

«Be’, magari preferisci andare di sopra e sistemare le tue cose, giusto?» propose nuovamente Louis, sperando di non metterla a disagio, la bionda annuì. A malincuore lasciò quella dolce presa e si diresse verso la camera di Harry, ormai sapendo dove si trovasse e quale fosse.

Aprì la porta ed entrò. Un profumo dolce le inebriò le narici, forse era fragola, rise lievemente. Appoggiò la valigia per terra e si coricò sul letto, osservando il soffitto.

Una sensazione di vomito la pervase. Non erano passate nemmeno ventiquattro ore dall’ultima dose e già si sentiva debole, ebbe paura. Ce l’avrebbe fatta? Perchè era questa la domanda che si ostinava a farsi presente nella sua mente e voleva una risposta ora, subito, immediatamente. Forse Harry aveva ragione, doveva chiedere aiuto a qualcuno più esperto, che sicuramente l’avrebbe indirizzata verso la strada giusta. Era di questo che aveva bisogno, di essere indirizzata.

Al piano inferiore sentiva le chiacchiere, interrotte dalle risate. Chissà cosa si prova a ridere veramente, si domandava; non aveva mai sentito la risata fragorosa di Harry e avrebbe voluto essere lei la sua causa. Sorrise. Ce l’avrebbe fatta, sì. 

 

Nessuno si salva da solo.

 

Chiuse gli occhi, non voleva dormire, ma dimenticare, vivere, sorridere, amare, vincere.

 

Perchè gli amori durano, durano per sempre, nei ricordi.













Due settimane che non recensisco e mi sento une merda per non averlo fatto, ergkrngk.
Sono iniziati gli esami ed io sto pensando solo a quelli, scusate. <3
Domani ho l'invalsi - quella bastarda di prova - che sicuramente mi rovinerà la media e il 25 gli orali, rgkjr. 
Del tipo che non ve ne frega niente, AHAHAHAHAH.
Comunque. uu
Grazie a tutti per le bellissime recensioni. <3
Continuate a recensire, rgknrt. 
Un bacio. xxx

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Capitolo 12
*** Capitolo dodici. ***




12. Capitolo dodici.

 

Do you ever feel like breaking down? 
Do you ever feel out of place? 
Like somehow you just don't belong 
and no one understands you. -
{Welcome To My Life - Simple Plan.

 

 
Un giorno, molto probabilmente, si mancheranno.

 

Harry aprì lentamente la porta, vendendola socchiusa. Amélie era distesa sul letto, a causa del buio non riusciva a distinguerne i tratti, ma non importava: ormai li conosceva a memoria. Preferì non entrare, l’aveva vista dormire così tante volte e aveva timore di svegliarla, sapeva che doveva riposare perchè da ora in poi sarebbe stato difficile farlo.

Si accasciò contro la parete e si mise le mani tra i capelli. Era passato un mese da quando aveva visto gli occhi di quella ragazza incrociarsi con i suoi quel giorno a scuola, i suoi capelli arruffati, il respiro affannato, le labbra screpolate, le mani esili, le gambe snelle e il viso corrugato in un’espressione di disapprovazione per l’ordine della professoressa. Dannazione che viso, pensava tra sé e sé. Quelle labbra che si aprivano in un sorriso, uno squarcio nel cielo, una pioggia leggera inattesa, un bacio rubato. Si era infilata tra la sua pelle e aveva disinnescato le maglie delle sue paura, una ad una.

Non sapeva cosa fare anzi, non l’aveva mai saputo. Ora che lei si era fidata di lui, era lui a non fidarsi di se stesso. Si sentiva solo pur non essendolo. Cosa sarebbe successo? Aveva promesso ad Amélie che avrebbe lottato con lei, ma la lotta, si sa, non è mai semplice e dura, dura nel tempo. Non poteva permettersi di fallire, sarebbe stato il suo più grande rimorso, ma ora come ora era fragile. Che poi tutta quella forza dove l’aveva trovata? 

Scosse la testa. Non erano questi i pensieri che doveva fare, sarebbe andato avanti con lei e l’avrebbe salvata, l’avrebbe salvata da sé stessa.

«Hai paura, Harry?» la sua voce gli arrivò forte chiara, era dietro di lui, in piedi, gli occhi ancora assonnati e le labbra arricciate in una smorfia di preoccupazione.

«Rispondimi.» la incitò la ragazza, invitandolo ad alzarsi e a mettersi alla stessa altezza.

Harry non seppe cosa rispondere, o non voleva ammetterlo. Amélie intrecciò le loro mani.

«Vedi, anche io ho paura, ma veramente tanta. Eppure sono qua, con te. Non andartene prima ancora di iniziare, per favore. Sai, lo sto facendo più per te che per me, perchè mi piace vederti sorridere, Harry, e non voglio toglierti quel sorriso, mai.» soffiò a pochi centimetri da lui quelle parole. 

Amélie gli baciò la guancia e sentì gli occhi inumidirsi.

«Sii forte.» gli disse sulle labbra.

«Anche tu.» rispose lui, schiudendole.

 

 

 

 

 

 

 

Si alzò di scatto, togliendo la coperta che era di impiccio e corse fuori dalla stanza. Percorse senza rallentare il passo il corridoio, spalancò la porta e si accasciò sul gabinetto e vomitò.

Sentì al suo interno una strana sensazione, tutto si stava muovendo, la testa le girava e allo stesso tempo le doleva. Si tirò indietro i capelli e appoggiò la testa sulla tavoletta del water per calmarsi. Il battito era accelerato ed era sicura che sarebbe svenuta, ma non avvenne. Un altro conato di vomito si impadronì di lei e senza opporre resistenza vomitò.

Successivamente, tossì e le sembrò di far uscire la propria anima. 

 

Era solo l’inizio.

 

Aveva voglia di smettere, di riprendere quella siringa e mettere la parola fine a questa lotta che era appena cominciata e già stava perdendo. Perchè?, si domandava. Era complicato, difficile e l’aveva sempre saputo. Ma quando affronti veramente le cose ti accorgi che non si presentano mai come ti aspettavi, che, in fondo, è tutta una lotta contro te stessa e non contro il mondo, che la paura di fallire è la tua, che sei tu a combattere e arrivi alla conclusione che se vuoi vincere devi farlo per te, solo per te.

 

Era solo l’inizio.

 

«Amélie... Harry!» sentì delle voci. 

Dove era Harry in quel momento? Perchè non c’era? Chiuse gli occhi, non voleva più riaprirli.

Sentì una mano cingerle le spalle e afferrarle e la stessa cosa con le gambe, venne sollevata. Abbandonò la testa all’indietro. Voleva che si staccasse quella testa, i pensieri al suo interno le avevano sempre e solo causato dei guai.

«Prendi una pezza imbevuta di acqua fredda.» la voce di Louis tremava.

 

Era solo l’inizio.

 

Venne adagiata sul letto, un cuscino dietro la testa per alzarla e la pezza sulla fronte.

Faceva freddo in quella stanza piena di calore. 

«Bisogna chiamare un medico, Harry.» avevano pronunciato il suo nome, era lì, allora.

«Aspettiamo almeno che si riprenda e poi vedremo cosa fare.» eccola la voce del riccio, pur non essendo molto cosciente della situazione quella voce le arrivava limpidissima.

«E se non si riprendesse? Santo cielo, Harry, sta male e tu lo sai!» questa volta intervenne Zayn, la sua voce si era inasprita, ma nascondeva preoccupazione.

«Va bene, va bene. Facciamo passare almeno la notte e poi domani mattina chiameremo.» Harry si passò una mano tra i capelli, la fronte era sudata e le tempie gli pulsavano.

 

Era solo l’inizio.

 

Si distese di fianco ad Amélie e le prese una mano, racchiudendola fra le sue.

«Amélie, non arrenderti ora, né mai. Sono qua per te, te lo ricordi? Per favore, non cedere, non farlo.» le sussurrò queste parole, non sapeva nemmeno se lo sentiva. E, per la prima volta nella sua vita, ebbe paura.

 

Un giorno, molto probabilmente, si mancheranno.










Ebbene sì, ho finito gli esami. *balla la conga* (?)
RTGJKHNRTKJHN, okay, keep calm, lol. 
Gli orali sono andati benissimo, grazie al cielo. Vi ringrazio per i vostri "buona fortuna" che, sicuramente, fortuna me l'hanno portata e per aver pregato per me. (?)
Sabato saprò se sono stata promossa e con che voto, lalala. D:
Grazie mille perchè continuate a seguire questa FF, gjjrtnktrg. <3
Questo capitolo è macabro (?), no, okay, lol. Vomito, siringhe, lol. Però la dolcezza di Harry non ha confini e anche questa volta ha saputo infondere sicurezza ad Amélie, ma forse ora è proprio lui che ha bisogno di essere sostenuto da qualcuno.
Vi posso dire che succederanno ancora delle cose e che poi questa FF finirà, purtroppo. Il finale è l'unica cosa che ho in mente e non vi anticipo niente, lalala. Sono crudele, lo so. 
Continuate a recensire, mi raccomando.
Un bacio. xxx

P.s. Dal 7 al 21 andrò in vacanza ma, se riuscirò, continuerò ad aggiornare. uu


Amélie.

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Capitolo 13
*** Capitolo tredici. ***




13. Capitolo tredici.

 

The day, i first met you,
you told me: you'd never fall in love.
But now that i get you,
i know fear is what it really was. -
{Give Your Heart A Break -  Demi Lovato.


Sono esistiti, nonostante tutto.

 

Era distesa sul letto, una mano sul petto che si alzava e abbassava ritmicamente, il respiro era tranquillo, calmo, l’altra mano stringeva quella di Harry, senza lasciarla. Le unghie della ragazza stavano lasciando il segno sulla pelle del riccio.

La notte era trascorsa tra parole e respiri, carezze e sguardi. 

Ormai era mattina e tra pochi minuti Harry sarebbe dovuto andare a scuola, ma la voglia di rimanere e di supportarla erano maggiori.

«Amélie, pensavo di chiamare un medico, sentire cosa dice, parlare, informarlo, ecco.» era incerto su quell’affermazione, sapeva che la ragazza non sarebbe stata d’accordo, 

«A prescindere da tutto, ti avevo detto di no. Sono sempre uscita da sola dalle cose, non ho bisogno di mille persone accanto, basti tu.» si sostenne con le braccia e si alzò, appoggiando la schiena al cuscino «Andiamo a scuola, su.» fece per alzarsi, ma Harry la trattenne, afferrandole un braccio.

«Stai scherzando, vero? Tu non ci andrai, dopo la notte che hai trascorso mi sembra il minimo.» si stupiva della determinazione della ragazza, non voleva mollare.

«Non essere troppo protettivo, Harry.» non aspettò una sua risposta, scese le scale e si diresse verso la cucina, i ragazzi stavano facendo colazione.

«Come stai, Amélie?» domandò Zayn, ancora turbato per l’accaduto.

«Abbastanza bene. Volevo ringraziarvi per stanotte.» le sorrisero e ricambiò. Non mangiò e non bevve niente, la sensazione di vomito glielo impediva e il suo stomaco, ne era certa, avrebbe rifiutato qualsiasi tipo di cibo ingerito.

Harry le cinse i fianchi e, dopo aver salutato i ragazzi, si diressero verso la scuola. Era questo che provava standogli vicino? Un sensazione di sicurezza, una continua voglia di sorridere e ridere. 

 

Sconosciuti.

 

Ecco cosa erano fino a pochi mesi fa. Era sicura che le sarebbe mancato in ogni attimo della giornata, in ogni luogo, in ogni parola che avrebbe sussurrato, in tutto ciò che avrebbe sfiorato. Perchè Harry era questo per lei, l’ultimo tassello del puzzle, quello che lo rende completo, l’ha cercato per tanto tempo e alla fine è stato lui a trovarla. 

 

Sconosciuti.

 

Eppure Harry sentiva di conoscerla da tanto tempo. Così vicini, ma mai abbastanza per diventare un “noi”. Se l’amasse? L’amava come si amano i fiori sbocciare, come la prima nevicata, come la prima sufficienza a scuola, come i regali di Natale. Tutto quello che di cui aveva bisogno era un amore, in cui non si sarebbe messi in mezzo i “nonostante tutto”, i “se avessi” e i “forse” perchè lui aveva sempre vissuto di quelle parole. 

 

«Come si ama, Harry?» dannazione, le sue domande erano sempre così criptiche, erano le uniche a cui non sapeva rispondere, o meglio, non sapeva se avrebbe dato la risposta giusta.

«Non credo ci siano delle istruzioni.» si grattò la testa, nervoso.

«Hai mai amato, Harry?» gli piaceva quando pronunciava il suo nome, voleva che non smettesse mai di farlo.

«Lo sto facendo.» si voltò verso di lei e poté notare il sorriso della ragazza farsi spazio sul suo viso pallido. Harry dovette interrompere quel momento così intenso, erano ormai arrivati a scuola, avanzarono verso l’edificio.

Quella mano appoggiata sui suoi fianchi non la lasciava, Amélie amava sentirlo sul suo corpo, riconoscere la sua presenza. Anche i ragazzi, che avevano preso un’altra strada, erano ormai arrivati e come ogni mattina chiacchieravano agli armadietti, così il riccio ne approfittò per trascorrere del tempo insieme.

Amélie lo congedò con un sorriso, si diresse verso il suo armadietto e prese i libri della prima ora, ma la voglia di fuggire da quell’edificio era tanta, lasciarsi tutto alle spalle e ricominciare, da capo.

Due mani si appoggiarono sul metallo, che fece rumore, e le bloccarono il passaggio. Sobbalzò.

«Lie.» si morse il labbro e sbatté continuamente gli occhi per impedire che si riempissero di lacrime. Non doveva piangere, non doveva mostrarsi debole. Non voleva nemmeno voltarsi perchè sapeva che se avesse incrociato i suoi occhi sarebbe crollata e questa volta definitivamente. E’ assurdo come una persona di logori dentro. Quando ti guardi allo specchio non ti riconosci più, dovrebbero esserci i segni, le cicatrici, le ferite, invece no, ti ha tolto anche quello, il dolore. Ti ha svuotata ed è difficile rimanere in piedi, andare avanti quando non hai nessun motivo per farlo, quando ogni scelta che fai ha sempre conseguenze negative su te stessa.

«Jason, cosa vuoi?» la voce le tremava, continuava a tenere gli occhi fissi sull’armadietto rivolgendogli le spalle.

«Te.» lo conosceva troppo bene e sapeva che la determinazione faceva parte di lui. L’afferrò per un braccio e la costrinse a voltarsi, tuttavia tenne lo sguardo fisso sul pavimento.

 

I ricordi, a volte, fanno più male delle parole.

 

La sua mente venne tempestata da immagini del suo passato e in ognuna di essere compariva Jason. Sorrideva con lui e si domandava perchè avesse fatto quell’enorme errore, perchè si era fatta ingannare. 

Il ragazzo strinse la presa, facendole male, ma non disse niente.

Fu solo allora che Harry si accorse di ciò che stava accadendo, si fece spazio tra la folla e li raggiunse. Lo prese per le spalle, strattonandolo e scaraventandolo dal lato opposto, Jason sbatté contro alcuni ragazzi, facendoli barcollare e quasi cadere.

«Non ti avvicinare a lei. Mai più.» strinse la mano di Amélie, la quale non disse niente.

«Lie, come sei cambiata, una volta non avresti chiesto aiuto a nessuno. Sei solo dannatamente debole e sola.» fu a quelle parole che la ragazza scoppiò, sentì le forze abbandonarla e cadde, toccò il fondo.

 

Sono esistiti, nonostante tutto.












Ciaaaao. :'D
OH MIO DIO, AHAHAH. Sono andata a vedere i risultati degli esami di terza media, grkjrntjkrt, crepo, resuscito, crepo, resuscito, AHAHAH. La mia faccia quando ho visto il voto era "ARE YOU FUCKING KIDDING ME?". Era il mio obiettivo e sapere di averlo raggiunto mi ha reso così orgogliosa di me stessa. Dopo tutto questo giro di parole, il voto è 10, rkjngrkjnr. GIOITE CON ME, YEAH YEAH YEAH. (?)
Tra due giorni parto per la Sardegna, sì, santo cielo, gkjntrg, lol.
Scriverò i capitoli e aggiornerò da là, oppure mi inveterò qualcosa, gkjgntg.
Grazie per le rencensioni, vi amo tanto, belle ragassssuole. (?)
Recensite, mi raccomando. c:
Bacio. xx

Twitter: @__Mabelle


Amélie.

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Capitolo 14
*** Capitolo quattordici. ***




14. Capitolo quattordici.


- Is this the end of the moment
or just a beautiful unfolding
of a love that will never be?
Or maybe be. -
{Anywhere But Here - Safetysuit.

 

 

Erano tutto ciò di cui avevano bisogno, ma avevano paura ad ammetterlo.

 

Passeggiavano sulla spiaggia, Amélie faceva scivolare i granelli di sabbia sui suoi piedi, le piaceva il solletico leggero che le causavano, mentre in una mano reggeva le scarpe, delle semplici Converse. Harry era al suo fianco, teneva la testa china e lo sguardo fisso verso il basso, mentre osservava i piedi esili della bionda sfiorare la sabbia. Le impronte che lasciava erano leggere, quasi impercettibili. Forse era così, forse Amélie aveva paura a lasciare il segno del suo passaggio, un qualcosa che si ricollegasse a lei, le piaceva stare nell’ombra, ma con Harry non ci era riuscita, lui s’era impresso nella sua mente quegli occhi, quelle labbra, quella mani. Lei aveva sempre avuto questa capacità, di infilarsi negli altri e sconfiggerli senza fare nulla. 

Il mare si infrangeva sugli scogli, la brezza fresca del mattino faceva tremare la ragazza, ma tremava anche per altro. Quel silenzio era doloroso, ghiaccio che ti riempiva, soffocandoti, non dandoti la forza di parlare, di far uscire alcun suono.

Gli sguardi parlavano per loro, così le carezze, i baci, ma dalla discussione con Jason non c’era stato niente di tutto questo. 

 

Dove sei?, si domandava.

Guardami, avrebbe voluto risponderle.

Cosa sono?, si chiedeva.

Tutto quello di cui ho bisogno, le avrebbe risposto.

 

Le parole, molto spesso, feriscono, davvero tanto. Ed era questo che le persone facevano ad Amélie, ferirla. Non era più in grado di difendersi, non da tutto e tutti, non come un tempo. 

Amélie si sedette sulla sabbia, fece lo stesso Harry.

«Perchè? - le domandò - nonostante tutto, nonostante io ti abbia assicurato la mia presenza, il mio aiuto, i miei sentimenti, tu continui a trattarmi come se fossi un estraneo? Perchè è questo che sono la maggior parte delle volte per te, Amélie. E fa male, fa veramente male.» le spiegò, giocando con i granelli di sabbia che lo circondavano.

«Sono davvero sola, Harry, sai.» ammise, non sapendo né cosa dire né cosa fare.

«Dai ragione a Jason? Non ti permetterò di arrenderti così facilmente, non dopo avermi coinvolto.»

«E’ questo che pensi: che ti abbia coinvolto?» si voltò verso di lui e per la prima volta non la stava guardando negli occhi.

«No, non volevo dire quello. Io non sono bravo con le parole quanto te.» stava facendo confusione e non poteva permetterselo, alzò finalmente la testa ed incontrò gli occhi di Amélie, essa capì che non aveva terminato di parlare. Harry intrecciò le loro mani e la fece alzare, non badando alla sabbia.

«Ti conosco, Amélie.» affermò, sorridendo.

«Proprio per questo ho paura. Tu mi conosci più di quanto io conosca me stessa. Io non voglio che tu mi sconfigga con l’unica arma che possiedi, l’assenza.» ora stavano parlando troppo, rivelando ogni parte di loro.

«Raccontami, per favore.» aggiunse.

Harry non le aveva mai chiesto niente, forse perchè era sempre stato consapevole che non c’era mai stato il momento adatto, ma ora, molto probabilmente, era giunto il momento di spiegare, di svelare, di ricordare. Amélie sapeva che avrebbe fatto male, perchè i ricordi dissipano dentro, creandoti un solco che porterà il profumo di quella persona.

Decise di rimanere in piedi, le parole sarebbe fluite più velocemente, senza attraversarle gli organi e trapassarli. Non voleva che quelle parole attraversassero un organo in particolare, il cuore.

«Vorrei veramente aver dimenticato ogni particolare, eppure i dettagli sono così netti e nitidi. Odio tutto ciò - cominciò - ho conosciuto Jason perchè faceva parte della mia compagnia, ma non credo sia questa la parte che ti interessa maggiormente. E’ iniziato tutto da uno spinello, quelli che si fanno per scherzare, ogni cosa inizia così, da un semplice scherzo. Era divertente, sai, ti sentivi vivo ogni volta che lo fumavi, era come abbandonare la realtà ed entrare in un mondo tutto tuo, dove niente ti feriva e ti causava del male. Jason sapeva che ero dannatamente fragile, tuttavia mentivo, affogavo nelle bugie dicendogli che non avevo bisogno della droga, per questo motivo mi chiamava Lie. Prima o poi, cedi e tocchi il fondo. Non riuscivo a controllarmi, facevo di tutto per avere un po’ di quelle sostanze, per sentirmi bene, per restare viva. Ho aperto gli occhi troppo tardi, tuttavia ne sono uscita o almeno così credevo, perchè se fossi stata abbastanza forte non ci sarei caduta nuovamente.» si aspettava le lacrime rigarle il volto, ma niente di tutto ciò, dentro di sé aveva solo tanta rabbia. 

«Quella sera, quando c’è stata la festa di Jason, ecco da lì è cominciato tutto. Siamo incominciati io e te ed io e la droga - si interruppe un attimo, per riprendere fiato - è un circolo vizioso, Harry, non ne esci mai veramente. Mai.»

«Tu sarai l’eccezione alla regola.» la rassicurò, sorridendole nuovamente. 

La prese in braccio e corse in acqua con quel peso leggero che avrebbe potuto spiccare il volo da un momento all’altro verso qualcosa di migliore, il paradiso, ma lui aveva bisogno di lei qui e non poteva lasciarla andare ora che l’aveva trovata.

Il mare era gelido, ma il calore delle braccia di Harry la riscaldavano, era bello sentirlo accanto. La buttò in acqua, bagnandola completamente. Una volta salita in superficie, scoppiarono a ridere, una risata fragorosa.

«Ti ho fatto ridere, Harry, ho raggiunto il mio obiettivo - sul viso del ragazzo si fece spazio un sorriso enorme - ora le cose possono andare come vogliono, io sono soddisfatta così.» il sorriso del riccio si spense, lasciandolo confuso, sorpreso, preoccupato.

Amélie gli spruzzò un po’ di acqua, lui chiuse gli occhi, si passò la lingua sulle labbra, era salata. La bionda gli scoccò un bacio tenero. Harry si passò nuovamente la lingua sulle labbra, era il sapore della sua vita. 

«Ci mancheremo, sai - ammise la ragazza, strizzando i capelli bagnati - ma nessuno dei due lo saprà.» Harry non capiva, quelle parole troppo complesse per lui ancora una volta lo tradivano. Si limitò ad abbracciarla.

 

Erano tutto ciò di cui avevano bisogno, ma avevano paura ad ammetterlo.










CE L'HO FATTA, LALALA. (?)
Sono in Sardegna e ho aggiornato, grtrtgrgk. *-* Qui è tutto bellissimo, tuttavia non vedo l'ora di tornare a casa. Sono un cappuccino vivente, (?).
AHAHAHAHAH, no okay, me ne vado.
Grazie mille per le recensioni. <3
Scusate se non riesco ad aggiornare in fretta, ma vado in spiaggia dalle 9 fino alle 19, poi mangio e poi dormo dato che sono stanca AHAHAHAH, D:
Domani cercherò di aggiornare l'altra FF.
PERDONATEMI. <3
Recensite, mi raccomando. c:
Buona vacanze a tutte, belle. <3
Bacio. xx


Amélie.

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Capitolo 15
*** Capitolo quindici. ***




15. Capitolo quindici.

 

- Well it’s good to hear your voice.
I hope your doing fine
and if you ever wonder i’m lonely here tonight.
Lost here in this moment and time keeps slipping by
and if i could have just one wish:
i'd have you by my side. -
{Stay - Miley Cyrus.

 

Mai abbastanza vicini da toccarsi e diventare "noi".

Una volta rientrati, i ragazzi erano usciti e a loro si era unito Harry, mentre Amélie aveva deciso di rimanere a casa. Non aveva voglia di fare nulla. I suoi capelli erano ancora umidi, a causa del tuffo in mare che le aveva fatto fare il riccio a sua insaputa, ma voglia di asciugarli non ne aveva, piuttosto si sarebbe presa il raffreddore.

Quella casa, la sua casa, diceva Harry. Che poi tanto sua non la sentiva, perchè la sua vera casa erano le braccia di Harry. Salì le scale, le girava un po’ la testa, ma poteva sopportarlo. Aveva sopportato tanto in quei diciotto anni da quando era stata messa al mondo, i genitori si erano separati quando lei era piccola, la sua insicurezza le aveva giocato brutti scherzi, causandole tentativi di autolesionismo, poi era arrivata la droga, in un primo momento le sembrava la sua salvezza, ma poi si era trasformata nella sua condanna a morte. Aveva conosciuto tante persone nella sua vita, ma non aveva potuto definirli amici, perchè non c’erano mai stati veramente per lei. Poi aveva conosciuto Harry, ed era forse per questo che si era legata subito a lui, perchè quel ragazzo non si era limitato solo alla sua reputazione, ma aveva scavato nelle maglie delle sue parole, disinnescandole tutte. 

Sbatté diverse volte le palpebre per cacciare indietro le lacrime, si lasciò sfuggire un debole sorriso e salì le scale.

Arrivò davanti alla camera di Harry ed aprì la porta, entrò.

Le tapparelle erano abbassate, la luce fioca, un’atmosfera calma e tranquilla, mentre lo stomaco di Amélie era in subbuglio.

Si sedette sul letto e pensò.

Faceva davvero male essere fragili, deboli, vulnerabili e non lottare, starsene con le mani in mano a guardare e ad osservare, senza fare niente.

 

Voleva far accadere, non più aspettare.

 

Era una partita persa a prescindere quella che stava affrontando, lo sapeva, ma forse lo stava facendo per Harry, per lui, solo per lui. Lui, a differenza degli altri, era rimasto. Perchè?, si domandava. Però le piaceva questo restare veramente, senza prendere pause, senza partenze e ritorni. Sarebbe andata all’aeroporto solo per vedere le persone partire ed arrivare, perchè è questo che fanno per tutta la vita, frettolosamente. Non riescono a stare fermi, nello stesso posto. Partono, così, da un momento all’altro, senza dirti niente. Ma non capiscono che sarebbe bastato rimanere, rimanere una sola volta.

Lei sarebbe rimasta, davvero. 

Non era stata in grado si salvare se stessa, pur avendone le possibilità, ma poteva salvare Harry. L’aveva coinvolto, purtroppo, ed era questo che aveva sempre temuto.

Si alzò dal letto e prese il suo borsone, rinchiuso nell’armadio, nel frattempo raggruppò tutti i suoi vestiti sul letto, controllando che non mancasse nulla. Li infilò nel borsone molto velocemente, cercando di non sprecare tempo, ma quel “cercando di non sprecare tempo” significava solo una cosa: sfuggire agli occhi di Harry.

Chiuse il borsone e se lo mise sulla spalla, scese velocemente le scale. Fortunatamente i ragazzi non erano ancora arrivati, si avvicinò alla porta, ma non l’aprì. Cercò frettolosamente un pezzo di carta, sperando di trovarlo, e così fu. Scrisse la prima frase che le venne in mente, quella che da quando l’aveva conosciuto continuava a rimbombarle nella mente, quella che accompagnava i suoi sogni, quella che, molto probabilmente, spiegava ogni cosa, o perlomeno ci provava.

 

“Siamo sempre stati troppo, ma mai abbastanza. - A.”

 

Lasciò il fogliettino sul tavolo, sperando che il primo a vederlo fosse stato Harry. Infine varcò la soglia, si chiuse la porta alle sue spalle e decise che da quel momento si sarebbe dimenticata tutto: il sapore dei baci, le carezze delicate, le parole sussurrate, gli abbracci sentiti, le mani intrecciate, le promesse non mantenute. Tutto. E avrebbe ricominciato, o forse avrebbe continuato la sua solita vita, senza Harry. Le lacrime affiorarono nuovamente, ma le trattenne convincendosi che in questo mondo lo avrebbe salvato, certo, sarebbe stato così. Stava morendo dentro per quello che stava facendo, ma era convinta che fosse la cosa giusta. Non se ne stava andando, no, stava rimanendo, a modo suo. Stava rimanendo nei ricordi, come aveva sempre fatto.

Prima di entrare in casa spense il cellulare, ora era lei, se stessa e il tempo.

Era come l’aveva lasciata, ormai non ci entrava da un paio di settimane, ma l’odore di fragola era sempre presente e questo la sollevò. Il disordine regnava, certamente, ma lei si trovava bene tra quelle scartoffie, tra quei vestiti rintanati negli angoli più remoti, tra i piatti ancora da lavare e asciugare. Ma era davvero così difficile tornare quella di sempre, tornare a sorridere e a non dare peso a ciò che diceva la gente. Lo voleva veramente, o forse non abbastanza per riuscirci.

Salì le scale e appoggiò il borsone per terra, di fianco alla scrivania, e si coricò sul letto, con la nausea che la tormentava, un mal di testa che le rimbombava nella mente, le gambe che non la reggevano più, e un comodino che custodiva la sua condanna a morte, molto probabilmente, dato che non se ne era sbarazzata.

 

 

 

 

 

 

 

La chiave scattò nella serratura, Harry aprì la porta ed entrò in casa, seguito dagli altri ragazzi. Avevano trascorso un pomeriggio girando per Londra, ma non acquistarono niente, piuttosto preferirono fermarsi in un bar e chiacchierare un po’, fare il punto della situazione. L’unico che non aveva partecipato attivamente era stato Harry, per tutto il pomeriggio aveva taciuto, farfugliando deboli parole ogni tanto per far sentire la propria presenza, ma la sua mente era altrove, il suo cuore era altrove. Aveva pensato continuamente a lei, a cosa stesse facendo senza di lui, aveva avuto paura a lasciarla da sola. 

 

Non è che non si fidasse di lei, non si fidava di se stesso.

 

Temeva il peggio, ma pensava al meglio. 

Temeva l’addio, ma pensava all’arrivederci.

Temeva le parole, ma pensava ai baci.

 

I ragazzi avevano insistito nel domandargli cos’avesse, ma Harry non aveva mai risposto.

Il pensiero di essere finalmente tornato a casa lo rincuorava, non vedeva l’ora di trascorrere del tempo con lei.

Eppure, sentiva che c’era qualcosa che non andava.

La casa era troppo silenziosa, gli odori non si percepivano, le mani non toccavano.

Il suo sguardo si soffermò su un bigliettino lasciato sul tavolo, lo afferrò e lesse.

 

Non è che non si fidasse di lei, non si fidava di se stesso.

 

Non sarebbe dovuto uscire, no.

Non avrebbe dovuto lasciarla da sola, no.

Sarebbe dovuto rimanere, sì.

 

«Harry, qualcosa non va?» domandò Louis, notando lo stato confuso del suo migliore amico.

«Tutto.» rispose, stringendo nella sua mano il foglietto. Louis si accorse di quell’azione e come sempre capì.

«Vado a cercarla.» sbottò, afferrando il cappotto, ma l’amico lo fermò.

«Non capisci? - gli fece notare - se ne è andata di sua spontanea volontà e l’ha fatto senza farti male, Harry. Ha bisogno di stare da sola, in questo momento. Lasciala riflettere, per favore. Non è una situazione facile e tu lo sai.»

«Le avevo promesso che non l’avrei più lasciata andare via e lei mi aveva rassicurato ,dicendomi che sarebbe rimasta, ma così non è stato.» aggiunse.

Nonostante tutto non riusciva ad essere arrabbiato con lei. Era diventato davvero così dipendente? Sì, pensò.

Si chiuse nella sua camera. Nella camera che fino a poche ore prima aveva ospitato Amélie, nella camera in cui avevamo dormito insieme più di una volta. Avrebbe voluto chiamarla, ma sapeva che non gli avrebbe risposto, sapeva che, se avesse voluto, si sarebbe fatta sentire lei. Ma l’attesa ti logora troppe volte. Acido che scorre nelle vene e le corrode. 

 

 

 

 

 

 

 

La notte era il momento della giornata che preferiva. Buia, silenziosa. In quell’attimo accadeva tutto, senza che nessuno lo sapesse. Buia, lunga. Non terminava mai, il tempo non scorreva. Buia, gelida. I brividi lungo la schiena, le nocche bianche che afferravano le coperte. La notte è il momento in cui il cuore fa pace.

Ma per Amélie quella notte era diversa dalle altre. Le crisi di astinenza la coglievano in particolare nel buio, quando nessuno poteva udirla ed era da sola. Non aveva più voglia di resistere, sapeva che sarebbe accaduto. Fin dall’inizio era stata consapevole che prima o poi sarebbe tornata al punto di partenza, perchè era questo il suo destino, dipendere. 

Con il fiato corto, le mani gelide, il battito cardiaco accelerato, aprì bruscamente il comodino e sbatté contro uno spigolo, trattenne il gemito di dolore, nel buio cercò la sua salvezza. Harry, pensò. No, no, basta con lui, basta con tutto, si sarebbe lasciata andare, ora, domani, per sempre. Afferrò tentennando la siringa, l’ultima che aveva e che forse l’aspettava, lì, immobile, celava dentro di sé quello da cui Amélie per tanto tempo era fuggita, ma alla fine l’aveva trovata. Strinse il laccio emostatico intorno al braccio e così, all’oscuro, si iniettò la dose di eroina che tanto l’aveva desiderata e bramata. Spinse in fondo lo stantuffo, infine buttò a terrà la siringa e rimase così, seduta sul letto, aspettando di stare meglio, ma che meglio poi non stava, lo sapeva, era solo una maschera che prima o poi avrebbe dovuto togliersi, ma c’era tempo.

Mai abbastanza vicini da toccarsi e diventare "noi".













Sono tornata dalla Sardega proprio due giorni fa e naturalmente il tempo a Milano era una merda, come sempre, lol. Infatti ha piovuto, porca miseria. (?) Poi sull'aereo ho visto l'arcobaleno, rjkntkjgr, che cosa figa, vero? c:
Comunque, eccomi qua con un nuovo capitolo di questa FF. E' venuto fuori un po' una merda, scusate. çç
Alla fine Amélie ha deciso di andarsene, di salvarlo, come di lei. Voi cosa ne pensate? 
Inoltre sono apparsi alcuni avvenimenti della sua vita, come la separazione dei suoi genitori e i tentativi di autolesionismo, questo spiega un po' il carattere della ragazza.
Be', che vi posso dire? Che siamo quasi alla fine, ancora un po' di capitoli e poi ci sarà il finale e l'epilogo.
Il finale è l'unica cosa che ho in mente dall'inizio della FF, AHAHAH, ma siccome sono una stronza - lol - non vi dirò niente, però provate ad indovinare, se volete, rgnrkjng.
Vi ringrazio per le vostre meravigliose recensioni che mi fanno sempre sorridere, gjkrnrt. ;D
Vi chiedo, per favore, di farmi sapere cosa ne pensate del capitolo con una recensione, sapete che accetto tutto. uu
Un bacio. xx

Amélie.


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Capitolo 16
*** Capitolo sedici. ***




16. Capitolo sedici.

 

One touch, and suddenly i need you.

Tough look, won't you tell me that it ain't true.

If you're gonna push me, promise you'll break my fall.

Oh, hold me close as i breathe in, breathe out.
{Breathe In, Breathe Out - Tich.


Ed erano finiti così, ancor prima di cominciare.

 

La notte era trascorsa lentamente per Harry, era rimasto tutto il tempo a pensare, inutile chiedere a chi, eppure non aveva avuto più il coraggio di cercarla. Fortunatamente era riuscito ad addormentarsi, anche se tardi, tuttavia il risveglio non era stato dei migliori. I ragazzi, dal piano inferiore, facevano baccano, chiacchiere, rumori, bicchieri, piatti, oggetti metallici accompagnavano quella mattina dove, purtroppo, mancava qualcuno. Di solito il risveglio di Harry era preceduto da un lieve bacio sulle labbra da parte di Amélie, la quale, una volta scesa dal letto, alzava le tapparelle e apriva le finestre, facendo poggiare i raggi caldi del sole sul viso riposato del ragazzo. Ma quella mattina le tapparelle erano serrate, la finestra agganciata e nemmeno uno spiraglio di luce osava entrare in quella camera buia e vuota. Già, perchè Harry non c’era, o meglio, era presente fisicamente, ma la sua mente era in un altro luogo, viaggiava tra i ricordi. Sentì bussare alla porta, non rispose.

«Harry, la colazione è pronta, scendi, dai.» la voce di Niall era allegra, molto probabilmente aveva già mangiato e riempito il suo stomaco senza fondo. Inutile dire che la voglia di appoggiare i piedi sul pavimento e cominciare una nuova giornata era sotto zero, come sempre, in più c’era il pensiero di Amélie che lo attanagliava. Tuttavia, si alzò. Scese le scale lentamente, la vista era ancora offuscata e le mani non stringevano saldamente la ringhiera perciò le possibilità di cadere erano tante. 

Una tazza di tè e una brioche lo aspettavano, ma lui stava aspettando qualcun altro, Amélie.

«Styles, mangia velocemente perchè siamo in ritardo.» Liam era già vestito, mentre gli altri ragazzi trafficavano per andare in bagno e indossare i propri vestiti, l’unico che stava fermo, immobile era Harry. Lì, da solo, con una brioche in mano. Si spazientì, rovesciò la tazza di tè nel lavandino, mentre buttò la brioche nel cestino, la sua colazione era finita ancora prima di cominciare. Decise di non lavarsi il viso, indossò velocemente dei jeans, una felpa e le sue Converse, afferrò lo zaino. Era pronto.

Non aspettò gli altri ragazzi, sbatté la porta alle sue spalle e si incamminò verso la scuola. Tante volte aveva percorso quel tratto con Amélie e ogni volta lui le aveva messo un braccio intorno ai fianchi, mentre lei si divertiva a giocare con i suoi riccioli, oppure Harry le raccontava le barzellette sporche di Louis e la bionda rideva, nonostante non fossero per niente divertenti. Però lei rideva perchè notava l’impegno con cui il riccio gliele raccontava, come gesticolava per enfatizzare tutto e come descriveva il finale, accompagnandolo con un sorriso e un sospiro. Altre volte quel percorso era fatto solo di silenzi e di sguardi bassi, come l’ultima volta che erano andati a scuola insieme. Sembrava passato così tanto tempo, invece era solo ieri. 

Solo allora Harry si accorse di essere arrivato a destinazione, entrò nella scuola e passò davanti a bagno delle ragazze, era stato lì dove aveva visto Amélie piangere per la prima volta. 

Temeva di alzare lo sguardo e incontrare i suoi occhi azzurri, per questo lo manteneva basso, cercando di non andare a sbattere contro gli altri ragazzi.

 

E aveva capito che l’unico modo per ricordare era aspettare.

 

Sembrava tutto così monotono quel giorno, non che prima non lo fosse, ma alla mattina riecheggiava nelle sue orecchie la risata fragorosa di Amélie, animando la sua mente ancora addormentata. Ma quella mattina, l’unica cosa che sentiva erano le urla e gli schiamazzi di quei ragazzi, mentre lui stava in silenzio. Un Harry mai visto, mai conosciuto, mai sentito. Una mancanza che non si riempiva e rimaneva così, vuota, inerte, buia. Due occhi che si specchiavano nella vita e cercavano un posto nel mondo e non l’avevano ancora trovato. Due mani che volevano toccare, sfiorare, ma l’unica cosa che avevano fatto fino ad ora era cadere e toccare il fondo, infine rialzarsi. Un cuore che era stata ferito troppe volte, bisognava buttarlo e comprarne uno nuovo, molto probabilmente. 

Eccolo arrivato all’armadietto, pronto a prendere il libro per le prime ore.

Davvero si fa continuamente così nella vita? Ci si innamora, ci si rincorre, ci si afferra, ci si lascia, ci si aspetta, e nessuno fa il primo passo e si rimane così, immobili, senza parlare, senza sapere. Sapere che il tempo non aspetta e che il cuore duole, che le lacrime prima o poi esauriranno e i silenzi feriscono, lame che ti trafiggono. Davvero si continua a scappare nella vita? Perchè non ci si ferma, si riprende fiato insieme e poi si ricomincia a correre, però mano nella mano, per non perdersi, per non riperdersi.

 

 

 

 

 

 

 

Amélie aveva saltato le prime ore, si era imbucata durante l’intervallo, era ormai troppo esperta per farsi scoprire, aveva imparato da Jason. Quel ragazzo le aveva insegnato tante cose, in particolare come soffrire e farsi del male. Quella mattina aveva ritrovato nel cassetto dei vestiti, dove teneva le T-Shirt, alcune pasticche di extasy e ne aveva approfittato, nonostante la dose di eroina che si era iniettata durante la notte. Il suo destino era segnato, aveva provato a modificarlo, ad ingannarlo, ma non era più furba come un tempo. 

Le palpebre stanche le pesavano sugli occhi, che stentavano a rimanere aperti. Non aveva dormito, era rimasta tutta la notte sveglia, senza fare niente, come sempre. 

I suoi occhi cercavano principalmente una persona e sapeva che stava sbagliando. Se n’era andata e ora non poteva ritornare. Harry doveva dimenticarsi di lei, o almeno provarci. Gli sarebbe mancato, forse troppo, un qualcosa che non si stacca, si infila sotto la pelle e rimane lì, ti scalda, ti assapora e ti culla e tu sei troppo debole per liberartene. 

Si sedette su una panchina del cortile, ed osservò. Alcuni ragazzi giocavano a calcio, altri chiacchieravano, altri ripassavano, e poi c’era lei. Si accorse di quante poche persone conoscesse realmente, ma forse era meglio così, non le piaceva che la gente sapesse troppo di lei, l’unica persona che la conosceva realmente era Harry, e le bastava. Le venne l’impulso di cercarlo, ma si trattenne, molto probabilmente stava scherzando e ridendo con i suoi amici. 

Notò con la coda dell’occhio che qualcuno si era seduto di fianco a lei, e no, non era Harry.

«Come mai tutta sola, Lie? - le domandò Jason, mentre si accendeva una sigaretta - Vuoi?» aggiunse, porgendole il pacchetto, la ragazza accettò. Era da parecchie settimane che non fumava e ciò non le dispiaceva, ma riavere una sigaretta fra le proprie mani la risollevò, era un altro modo per sfogare i propri problemi, anche se alla fine le conseguenze si ritorcevano sempre su di lei.

«Non mi hai ancora risposto, comunque - le fece notare il ragazzo, dopo aver espirato il fumo - cosa c’è? Il tuo amico Harry Styles ti ha abbandonata?» la bionda si voltò di scatto verso di lui, che strano sentire il suo nome pronunciato da altre labbra che non erano le sue. Harry. Che nome così maledettamente stupendo, ma la persona che lo possedeva era ancora più bella.

«Okay, lasciamo perdere, vedo che non hai voglia di parlare.» finalmente chiuse quella bocca, la sua voce la irritava.

«Sai benissimo perchè sono qua, da sola, non vedo perchè debba dirtelo anche io. Hai ottenuto ciò che volevi, perchè ti ostini a farmi sentire così? Come se non valessi niente.» e quello che aveva trattenuto per tutto quel tempo stava uscendo a fiotti, e ora nessuno poteva fermarla.

«Non volevo ti sentissi così, Lie, davvero. Ti avevo solo chiesto di rimanere con me e tu te ne sei andata.»

«Mi stavo salvando, Jason.»

«Potevamo salvarci insieme, non credi? Ti ho dato così tanto e tu mi hai ripagato con niente - respirò profondamente - vedi, Lie, io ti ho amato veramente come si amano poche persone, ti ho fatta mie una e più volte, ti ho dato ogni cosa, ti ho fatto provare sensazioni che non riproverai mai più, e poi ti ho reso partecipe della mia salvezza, la droga.» concluse il ragazzo.

«Non ti credo, non ti credo. Mi hai solo rovinata, ed era questo il tuo scopo.» l’intervallo sembrava non finire, interminabile scorrere di minuti, lenti, ansiosi.

«Tu dovevi restare con me, ne saremmo usciti insieme. Tu, invece, te ne sei andata e hai pensato di salvarti, senza me, ma ti sei sbagliata, non ti libererai di me, Lie.» le soffiò il fumo in faccia, facendola tossire.

«Jason, tu sei solo uno...» la interruppe, appoggiando le sue dite sulle sue labbra.

«Non dirlo, no. Non sono ciò che tu pensi, ricordi? Io ti rendevo felice, un tempo, e tu non l’hai apprezzato. E’ giusto così, Lie, per tutti, per me, per te - respirò - nonostante tutto, sapevo che saresti tornata. Tieni, prendilo come un omaggio per essere di nuovo con me.» racchiuse nella mano della ragazza una bustina contenente della polvere bianca, Amélie la mise in tasca, non dicendo nulla. Il silenzio parlava per lei.

 

 

 

 

 

 

 

Ma dove sei ora?

Di fronte a te, piccola.

Non ti vedo, dove ti sei cacciato?

Abbassa lo sguardo e mi troverai.

Non ci sei.

In basso, a sinistra, cosa trovi?

Il mio cuore.

Ecco, cercami lì quando avrai bisogno di me.

 

 

 

 

 

 

 

Non l’aveva visto per tutta la giornata, che sollievo, che dolore.

Un ultimo sguardo. 

No, nemmeno quello.

 

Ed erano finiti così, ancor prima di cominciare.













DICESI SFIGA, OH.
Mi fa male il polso, molto probabilmente è tendinite, miieeerda. çç
Salvatemi, vi prego. D:
Come minchia faccio a non scrivere? PORCA DI QUELLA CARAMELLA ZUCCHERATA. (?)
ANYWAY.
Sono appena tornata da Torino, o meglio, lì nei paraggi perchè sono andata a trovare la BfF ihihihih, NO. AHAHAHA, lool.
A parte questo, grekgnerg, un discorso molto complicato tra Amélie e Jason. 
Diciamo che ho voluto dare spazio un po' anche a lui, dato che per colpa sua è iniziato tutto e mi sembrava giusto farlo apparire in modo più smbolico, e non sempre da sottofondo con due battute in croce.
Harry è moralmente distrutto, non si nota, lol?
Credo che Amélie ed Harry avranno ancora un chiarimento, e poi THE END.
SANTA PEEEERA. çç
Non voglio pensarci.
Grazie per le vostre meravigliose recensioni che mi fanno sorridere ogni volta. :D
Vi prego di lasciarne altre. <3
Un bacio. xx

Amélie.

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Capitolo 17
*** Capitolo diciassette. ***




17. Capitolo diciassette.

 

Turn the lights out now,
now i’ll take you by the hand,
hand you another drink,
drink it if you can,
can you spend a little time,
time is slipping away
away from us so stay,
stay with me i can make,
make you glad you came.
{Glad You Came - The Wanted.


Non capitavano mai nel luogo giusto, al momento giusto, eppure si ritrovavano sempre, in un modo o nell’altro.

 

Non l’aveva visto per tutta la giornata ed era riuscita a non pensarci. Stava mentendo a se stessa, sì. Però le piaceva questa convinzione di riuscire a dimenticarlo, di non aver bisogno di vederlo sorridere, di non cercare continuamente i suoi occhi fra i tanti che la circondavano e a non sobbalzare quando sentiva il nome “Harry” pronunciato da altre labbra. Tuttavia, sapeva che non sarebbe riuscita a resistere.

Stringeva nella tasca quella bustina che le aveva dato Jason pochi minuti prima, forse non voleva perderla o comunque non voleva liberarsene. 

Amélie era sempre stata consapevole che quello sarebbe stato il suo destino, dipendere da qualcosa. Non aveva fatto niente per impedirlo, o meglio, all’inizio sì, ma poi aveva capito che non poteva modificare il suo destino, non poteva nascondersi a lungo, e prima o poi sarebbe stata trovata.

Ripensò alle parole di Jason, a quanta falsità ci fosse in quello che diceva, quanta ipocrisia sputava da quella bocca. Lei avrebbe potuto reagire, ma non voleva, non ce la faceva. Era predestinata e niente sarebbe cambiato. Se non c’era riuscita con Harry, come avrebbe potuto farcela da sola?

Il cellulare vibrò e la ragazza venne distolta dai suoi pensieri.

 

“Stasera festa a casa mia. Ti aspetto, mia Lie. - J.”

 

Tutto si stava ripetendo. Quella sera, la festa a casa di Jason e poi Harry che era accorso per salvarla. Quella volta non ci sarebbe stato nessuno e tutto sarebbe dipeso da lei. 

Inutile dire che ci sarebbe andata, in un certo senso era costretta.

Percorse il tratto che la separava dalla scuola alla sua casa molto velocemente, cercando di evitare gli sguardi delle gente. Quel giorno sembrava che tutti volessero spogliarla e trafiggerla, scoprirla in ogni minimo punto e farla cedere.

Finalmente arrivò, attraversò velocemente il vialetto, inserì le chiavi nella serratura e aprì la porta, entrò. 

Sentì l’impulso di iniettarsi una dose, ma si trattenne, quell’eroina l’avrebbe usato in un altro momento. Preferì farsi una bella doccia, così si sarebbe preparata per la festa.

Buttò i vestiti in un angolo del bagno, li avrebbe sistemati quando avrebbe avuto più tempo, non che gliene mancasse, ma preferiva impiegarlo in qualcosa di più soddisfacente; il getto caldo dell’acqua la fece rabbrividire a causa del veloce cambio di temperatura. Si passò la spugna, imbevuta di bagnoschiuma, sulla pelle candida e notò quando fosse delicata e chiara, si irritava facilmente, per questo cercò di non sfregare troppo violentemente. Si lavò anche i capelli, quelle lunghe ciocche bionde che le ricadevano sulle spalle, lisci, bagnati, pesanti, ingombranti. 

Si risciacquò velocemente, infine avvolse il suo esile corpo nell’accappatoio azzurro, dello stesso colore dei suoi magnifici occhi. Si pettinò rapidamente i capelli, preferiva asciugarli naturalmente, senza utilizzare il phon. Si mise un leggero strato di crema alla fragola, la sua preferita. 

Il momento più arduo era arrivato, la scelta dei vestiti. Optò per un tubino nero, stretto sui fianchi, in modo che risaltasse la sua magrezza, indossò dei semplici tacchi neri, piuttosto alti per i suoi gusti, ma era il primo paio che aveva trovato e la voglia di cercarne un altro più comodo era davvero poca.

Il tempo non passava, anzi, sembrava che rallentasse, come se non volesse che arrivasse l’orario per varcare quella soglia e andare alla festa; Amélie trascorse quelle interminabili ore ad ingoiare pasticche di extasy, mentre l’eroina l’aveva appoggiata sul suo comodino, sarebbe arrivato anche il suo momento, prima o poi, avrebbe preferito più poi che prima, ma quello l’avrebbe scelto il destino e il fato non era mai stato dalla sua parte. Mai.

 

 

 

 

 

 

 

Harry era disteso sul divano, mentre osservava i movimenti degli altri ragazzi, sapeva che si stavano preparando per la festa, sapeva di quale festa si trattava, ma soprattutto sapeva chi ci sarebbe stato.

«Harry, ti muovi? Sei sempre l’ultimo a fare le cose.» la voce di Niall era impaziente, non aveva fatto merenda, ecco tutto.

«Horan, lasciami in pace.» rispose velocemente il riccio, senza notare l’acidità con cui aveva pronunciato quelle parole.

«Ci penso io.» intervenne Louis, il quale si sedette di fianco al riccio, nonostante occupasse quasi tutto il divano.

«Non credo tu ti sia dimenticato della festa di stasera, di Jason.» enfatizzò l’ultima parola ed Harry rispose con una smorfia.

«Ci sarà anche Amélie, questo lo sai, vero?» continuò l’amico.

«Proprio per questo non voglio venire.» Louis lo osservò sorpreso, poche ore prima avrebbe fatto di tutto per vederla e ora che ne aveva l’occasione si tirava indietro.

«Non ti capisco, Harry. Perchè ti comporti così? Come se non te ne fregasse niente...»

«Al contrario, me ne frega eccome. Non sono sicuro di riuscire ad incrociare il suo sguardo senza morire dalla voglia di andare da lei e abbracciarla, dirle che le avevo promesso che sarei rimasto e così sarà.»

«Starai con noi, non puoi rinunciare ad una serata di svago solo per lei. Dai, Harry, non fare il codardo.» quelle parole lo ferivano, così decise di accontentare il migliore amico, pur sapendo che stava facendo la scelta sbagliata.

Si cambiò velocemente, indossò i primi vestiti che vide, si arruffò leggermente i capelli e sorrise allo specchio.

 

Eppure, ci avrebbe giurato, in quel sorriso c’era la delicatezza di Amélie.

 

Si affrettò a scendere le scale, infine salì in macchina con gli altri ragazzi.

 

 

 

 

 

 

 

La bionda era seduta su un divanetto, fortunatamente Jason non si era ancora accorto della sua presenza e questo la rasserenerò, non aveva per niente voglia di passare un’intera serata ad ascoltare le sue parole, non aveva bisogno di essere ferita ulteriormente.

La musica era piuttosto alta, e causa delle pasticche prese precedentemente, le rimbombava maggiormente, le tempie le parevano scoppiare. Non aveva ancora bevuto ed non l’avrebbe fatto, o almeno ci avrebbe provato.

Notò una figura famigliare avvicinarsi, Jason.

Fu costretta ad alzarsi per evitarlo e a dirigersi verso il bancone degli alcolici, posto a pochi metri dall’ingresso.

Si sedette su uno sgabello e stette lì, senza fare niente.

Stava pensando a lui, molto probabilmente. Si domandava se era già arrivato, se si stesse divertendo anche senza di lei, se qualche ragazza ci aveva già provato, oppure se aveva preferito rimanere a casa.

Un sorriso si fece spazio sul suo volto, istintivamente si voltò verso la porta d’ingresso che si era aperta proprio in quell’istante. Lo vide. Era a pochi metri da lei, i ricci arruffati gli ricadevano ribelli sulla fronte, indossava una T-Shirt nera messa in risalto dai pantaloni bianchi, e infine le sue amate Converse, quelle da cui non osava separarsi.

Il primo ad entrare era stato proprio lui, poi lo seguirono Louis, Niall, Zayn e per ultimo Liam.

Sentì i battiti accelerare, avvampò, molto probabilmente.

Aveva ancora quel sorriso stampato sulle labbra, che piano piano si spense quando Harry si voltò nella sua direzione e la vide. La scrutò per bene, assicurandosi che fosse lei.

 

Si stavano guardando come se fosse la prima volta, come se fosse l’ultima.

 

Gli occhi del riccio non smisero un attimo di osservarla, era stupenda in quell’abito, con i lunghi capelli biondi che le scendevano sulle spalle, incorniciandole il viso candido e poté notare le guance arrossarsi.

 

L’aveva trovata, nonostante se ne fosse andata. 

 

Amélie si alzò dallo sgabello e si diresse con passo deciso verso di lui. Perchè?, si domandava. Perchè quelle gambe la stavano trascinando da lui e lei non lo stava impedendo?

Notò che gli altri ragazzi si erano dileguati, molto probabilmente si erano dedicati al divertimenti, mentre loro due avevano deciso di scoprirsi, di riscoprirsi, quella sera.

«Ciao.» gli sussurrò con un leggero imbarazzo.

«Ciao, Amélie.» che strano effetto era sentire il suo nome pronunciato dalle sue labbra, sembrava quasi un soffio, un accordo ben riuscito.

«Vieni, andiamo fuori, qui non si riesce a parlare, c’è troppo chiasso.» la bionda lo precedette, mentre il riccio la seguì, senza dire nulla.

Si diressero verso una panchina sotto un albero - una quercia.

«So che non sei tornata per restare, ma per ricordarmi che te ne sei andata.»

 

Non capitavano mai nel luogo giusto, al momento giusto, eppure si ritrovavano sempre, in un modo o nell’altro.















HEY, LADIES. (?)
Okay, sono le 23.08 ed io sono completamente fuori di testa.
Il mio polso sta moooolto meglio, quasi non mi fa più male, grazie al cielo. çç
Domani credo che andrò a ritirare i primi libri, inglese, italiano e scienze.
Quando vedrò quelli di latino e greco, secondo me, creperò, AHAHAHAH.
Salvatemi. çç
No, seriamente, un po' di voglia di andare a scuola ne ho, krtjgnrtgnt, poi dopo un mese da quando è iniziata sarò tipo "Che cazzo ho fatto? Perchè il Classico? Potevo andare a fare la parrucchiera così avrei rapato tutti a zero" NO, OKAY, AHAHAHAHA.
Comunque, tkrjgntrkh, vi informo che i capitoli saranno in tutto 20, compreso l'epilogo, rtkjhgnrt. çç
Io non so come farò senza questa FF e senza di voi, kjgntg, vi amo, ecco. <3
Vi ringrazio per le stupende recensioni, dio mio, siete fantastiche, voi non potete capire quando mi rendente felice, giuro, mi si illuminano gli occhi e a volte diventano lucidi, seriamente. Sono una persona molto sensibile e mi emoziono facilmente, e quando leggo le meravigliose parole che scrivete inutile dire che mi sorrido come un'ebete. c:
Spero che il capitolo vi piaccia e magari lasciate una recensione. <3
Un bacio enorme, per voi, voi che siete meravigliose. <3

Amélie.

 

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Capitolo 18
*** Capitolo diciotto. ***




18. Capitolo diciotto.

 

- Will we ever say the words we're feeling? 
Reach out underneath and tear down all the walls. 
Will we ever have our happy ending? 
Or will we forever only be pretending?
{Pretending - Glee.

 


Si sono persi come si sono trovati.

 

Il rumore dei tacchi di Amélie sulla piastrelle cessarono appena si spostò sull’erba appena irrigata, i fili d’erba le sfioravano le caviglie, provocandole il solletico. C’era una lieve umidità quella sera, ma nulla di importante per lei in confronto alla possibilità di parlare nuovamente con Harry. Finalmente raggiunsero la panchina sotto la quercia, entrambi si sedettero abbastanza distanti l’uno dall’altro, forse la paura di toccarsi un’ultima volta gli impediva di lasciarsi andare. Perchè sapevano che se si sarebbero sfiorati, sarebbero rimasti i segni sulla loro pelle e avrebbero bruciato, lentamente, senza mai smettere di fare male. Ferite che non si rimarginavano perchè era questa che voleva dire non dimenticare: far si che i tagli non si cicatrizzassero per mantenere vivi i ricordi e alimentarli ogni giorno, come fuoco che non si deve spegnere.

Amélie, dopo l’affermazione di Harry, non aveva detto più nulla, aveva preferito rimanere in silenzio, come aveva sempre fatto. Si era promessa di andarsene, di dimenticarlo, eppure ecco dov’era: accanto a lui, sperando in qualcosa di migliore di una vita passata a nascondersi dietro una maschera che era stanca di portare, costretta a dipendere da una sostanza. Si era sempre immaginata un futuro felice, pieno di sorrisi, di nuove prospettive, ed infine il suo futuro era finito ancora prima di cominciare.

«Davvero ti sei dimenticata tutto? E’ stato veramente così semplice per te? Perchè io non ci riesco, mi sforzo di non pensare a te ogni minuti, ogni ora, cerco di resistere alla tentazione di chiamarti. Ti prego, insegnami a dire addio come hai fatto tu.» era stato Harry a cominciare a parlare, ed Amélie lo ascoltava, incantata da quelle labbra che si muovevano così velocemente, parole soffocate e smorzate dal fiato che mancava.

 

Occhi che cercavano altri occhi. Labbra che cercavano altre labbra. Mani che cercavano altre mani.

 

«Avevi promesso che saresti rimasta, che non te ne saresti più andata. Ma vedo che anche tu non sei in grado di mantenere le promesse.» il riccio respirò profondamente.

«Fra tutte le cose sbagliate che ho fatto nella mia vita, forse, questa è l’unica giusta.» ammise la ragazza, continuando a tenere lo sguardo basso.

«Allora questa sera non saresti venuta da me.»

«Avevo bisogno di vederti.»

«Io ho bisogno di te.» 

Finalmente entrambi alzarono lo sguardo e fu come ritrovarsi dopo tanto, troppo tempo.

«Mi sento un tale sciocco a dire queste cose, non mi era mai successo. Amélie, ho paura di essermi innamorato.»

«Hai firmato la tua condanna a morte, Harry.» sorrise divertita, mentre il riccio trattenne un ghigno.

«Dici?» la ragazza annuì divertita.

Lei sapeva che domani non sarebbe tornato tutto alla normalità, era consapevole che stava facendo un altro errore a tornare per un attimo da lui, per ricordargli che, in fondo, lei non aveva dimenticato e mai lo avrebbe fatto, ma doveva farlo per lui, anche per lei. Sapeva che lui sarebbe andato avanti senza di lei, prima o poi l’avrebbe capito anche da solo. Forse era tornata per se stessa, perchè tra i due, molto probabilmente, la più fragile era lei, sarebbe bastato uno sguardo, un abbraccio, un bacio, solo quello e poi basta. Ognuno sarebbe tornato alla sua vita, Harry avrebbe frequentato altre ragazze, avrebbe visto altri sorrisi e avrebbe dato altri baci, su delle labbra che non erano le sue, avrebbe abbracciato di nuovo; mentre lei non sapeva come sarebbe andata a finire, o forse sì, ma non glielo avrebbe detto. Tutto ha una fine.

«Stasera sei tornata da me come se non fosse accaduto nulla ed io ho accettato questa condizione. Vedi, Amélie, io accetterei ogni cosa, il punto è che non sarebbe lo stesso per te.» no, si stava sbagliando, lei avrebbe accettato tutto per lui, se solo ne avesse avuta la possibilità.

«Facciamo così, Harry, non parliamo di me, nemmeno di te, ma solo di noi. Questa serata considerala come una fermata del mio viaggio, non come un ritorno. Questa notte saremo in grado di sfiorarci e diventare un “noi”, solo per queste ore, e poi più niente. Okay?» gli stava dicendo che poi se ne sarebbe andata realmente? Perchè lui le aveva intese così quelle parole, come uno strappo alla regola, ma poi se ne sarebbe andata, per sempre.

«Va bene, Amélie. Accetto.» si guardarono nuovamente.

 

Respiri contro respiri. 

 

«Che si fa?» domandò la ragazza, leggermente imbarazzata. Inutile dire che voleva trascorrere del tempo con lui, quel poco tempo che le restava.

«Una passeggiata.» Harry si alzò, Amélie lo seguì dopo pochi secondi, le circondò i fianchi con un braccio e si avviarono verso il loro solito posto, verso la loro solita panchina.

Erano così vicini a tal punto che sarebbero potuti diventare un tutt’uno, una cosa sola. 

I lunghi capelli di Amélie ricadevano su una spalla di Harry, mentre gli occhi della ragazza cercavano disperatamente di mantenere lo sguardo fisso davanti a lei, ma la voglia di incontrare quelli del riccio era tanta, ma se fosse accaduto non avrebbe retto, sarebbe rimasta e non se ne sarebbe più andata. Lei doveva andarsene, lo sapeva.

«Ti sei innamorata?» le domandò ad un certo punto.

«Perchè me lo chiedi?»

«Rispondi, su.» la incitò il ragazzo, senza badare a quello che aveva detto la ragazza.

«Sì.» ammise.

«E allora perchè non rimani?»

«Perchè farebbe ancora più male, te lo assicuro, Harry.» no, era la distanza a fare male, il sapere di non potere avere una persona accanto ogni giorno, lui non capiva, non aveva mai capito. Non aveva mai capito che il destino di Amélie si era confermato quando si parlarono per la prima volta, quando si baciarono su quella panchina, quando le sfiorò la mano per la prima volta, quando incontrò i suoi occhi azzurri, lui non capiva che lei era finita, ancora prima di cominciare, ma lui era stato una pausa, un attimo di vita, un soffio di alito caldo, una carezza mattutina, un bacio strappato, un regalo inatteso, la prima pioggia dell’anno.

«Farai il college, Harry?» gli domandò, mentre continuavano a passeggiare.

«Suppongo di sì, ma non ne sono ancora sicuro.» perchè gli stava domandando del suo futuro quando lui voleva che il suo futuro fosse lei? Perchè non poteva essere sicuro che tra un anno lei ci fosse ancora per lui? Aveva solo bisogno di questo. Di lei. 

Amélie lo sapeva, molto probabilmente se n’era andata per questo motivo, ora che non aveva ancora lasciato nessun segno effettivo, o forse si sbagliava, forse da quando si era seduta vicino a lui quel giorno aveva lasciato un segno, il segno.

La strada era illuminata dai lampioni, la cui ombra si rifletteva sull’asfalto. 

I due ragazzi svoltarono a destra, dirigendosi verso il palco e di conseguenza verso la loro panchina. Amélie camminava lentamente, a differenza di Harry, infatti la ragazza avvertiva il suo passo accelerato, come se il riccio non volesse perdere altro tempo con i convenevoli.

«Come sei silenziosa, Amélie.» affermò il riccio, la bionda si volta verso di lui.

«A volte le parole non è che non servono, non bastano.» rispose la ragazza, suscitando un sorriso malizioso da parte del ragazzo.

 

Davvero, me l’avevi promesso che saresti restata. E ora dove sei? Lontana, troppo lontana per raggiungerti e farti mia.

 

Raggiunsero il parco in un quarto d’ora circa, Harry questa volta prese la mano della ragazza e la guidò nel buio, ogni tanto le sfiorava il braccio per farle sentire che lui c’era, che sarebbe rimasto, a differenza sua. Questa volta era Amélie ad andarsene.

Si sedettero sulla loro panchina, a differenza di prima, non ebbero paura ad avvicinarsi e a sfiorarsi perchè quella serata era la loro serata.

«Io amo la notte, il buio, perchè puoi essere te stessa, puoi fare ciò che vuoi, nasconderti, fuggire, innamorarti per poche ore, come io sto facendo con te, Harry.» la sua voce tremava come il fruscio delle foglie che combattevano contro il vento per non essere sconfitte, per non cadere, per non abbandonare il loro mondo, il loro ramo.

«Chissà i ragazzi, ora saranno in pensiero non trovandoti alla festa.» aggiunse la bionda, dispiaciuta.

«Capiranno, o almeno Louis lo farà. Sembra come la prima volta che sei stata a casa mia, eravamo ad una festa, era notte, tu stavi male ed io ti ho salvata. Perchè non posso farlo ancora, Amélie?»

«Vedi, Harry, io sto cercando di salvare me stessa da questo spasmodico gioco che chiamo amore.»

«Ma è più divertente salvarsi in due, non pensi?» il riccio sorrise, e così fece anche la bionda. Era impossibile non sorridere quando lui era davanti a lei, quando si formavano quelle piccole fossette, quando i suoi occhi si rimpicciolivano in un ghigno divertito e il verde della sua iride prendeva un colore quasi acquamarina.

«Alla fine è sempre solo una persona a salvarsi veramente. Ti faccio alcuni esempi: in Titanic è Rose a salvarsi, in Romeo e Giulietta è lei a salvarsi, anche se alla fine si trafigge con il pugnale.»

«Ma quello che si sacrifica muore.» ed è in quel momento che Harry alzò lo sguardo con un movimento brusco, come per voler scacciare quel pensiero che lo attanagliava.

«Dettagli. Sono solo dettagli.» lo rassicurò la ragazza, arruffandogli i ricci. Risero entrambi a quel movimento, Harry scosse la testa divertito.

«Da quando ti è importato di me?» gli domandò, curiosa.

«Da quando ti ho vista piangere.» ricordava molto bene quel giorno: la ragazza chinata sul lavandino per sciacquarsi il viso e togliere i residui di mascara che si era sciolto a causa delle lacrime, con le mani aveva afferrato velocemente le salviette per asciugarsi, come per dimostrare che non era successo niente, che tutto andava bene. Ma non era così, niente andava bene, per il semplice motivo che lei era troppo vulnerabile e si trovava in un mondo che, alla prima occasione, ti sferrava un colpo e tu dovevi reagire oppure rimanere lì, senza dire niente e lasciare passare le cose. Facile cadere, difficile rialzarsi. Facile tradire, difficile amare. Facile ricordare, difficile dimenticare.

I loro occhi cercavano le labbra dell’altro.

Harry si avvicinò timoroso al viso della ragazza, sfiorandole delicatamente la guancia sinistra, la bionda spostò lo sguardo in direzione delle sua mano, ma subito lo riportò sugli occhi del ragazzo. Amélie aveva le labbra semichiuse, leggermente screpolate, eppure il loro colore era di un rosa accesso. Il riccio premette le sue labbra sulle sue, poi le schiuse e si incontrarono di nuovo, in una notte che aveva tanto da raccontare, ma preferiva rimanere in silenzio. E fu il quel momento che si sfiorarono e diventarono un “noi”.

La mani calde di Harry incorniciavano il viso candido della ragazza, che dopo il bacio, a differenza delle altre volte, aveva mantenuto lo sguardo fisso nei suoi occhi, in modo da imprimere quel viso così rilassato, in un’espressione così delicata e morbida.

«Non ti dimenticherò mai, Amélie.» l’aveva ammesso, con un tono così calmo e placato da far paura, nemmeno un tremolio nella sua voce, nemmeno un’incertezza, come se sapesse che quella frase avrebbe dovuto dirla prima o poi e aveva aspettato solo il momento giusto. Forse aveva capito, forse stava capendo, ma di fronte ad Amélie non potevi fare niente, era come se tutto quello che facesse lei avesse un senso. Si era promesso che il giorno seguente, quello dopo ancora e così via, lui sarebbe stato con lei, avrebbe mandato al diavolo la loro promessa, nemmeno Amélie l’aveva mantenuta. Domani sarebbe tornato tutto normale per lui, l’avrebbe abbracciata ancora, l’avrebbe baciata nuovamente, le avrebbe sussurrato frasi dolci e poi l’avrebbe fatta ridere come solo lui sapeva fare.

«Nemmeno io. Davvero.» aggiunse la ragazza.

E, forse, Amélie ed Harry cominciarono da quella notte, da quelle parole, da quel bacio, da quelle mani intrecciate, da quelle carezze, da quei passi, da quegli sguardi, da quella passeggiata, da quei sospiri, da quei respiri.

 

Si sono persi come si sono trovati.












HOLAAAA. :'D
Finalmente sono riuscita a partorire questo capitolo, AHAHAHAH. Voi non potete capire quanta anima ci abbia messo nel scriverlo, tre giorni ci ho impiegato per trovare le parole giuste, per far combaciare tutto, per renderlo... speciale.
Sì, perchè credo che questo capitolo sia quello che racchiude un po' tutta la storia, infatti ci sono delle citazioni dei capitoli precedenti. In questo capitolo tutto è cominciato, ma è anche finito.
Il punto è che ora sono in crisi. çç
Io avevo già pensato al finale, ma non so perchè, mi è venuta un'altra idea, ma non sono sicura. Non so che cazzo fare. çç
Vorrei chiedervi un consiglio, ma non voglio svelarvi nulla. uu
Facciamo così: Secondo voi come finirà la storia? Ditemi cosa pensate che scriverò, in questo modo vedrò se qualcuno ha captato qualcosa. (?)
Comunque, gkjrngkrtg. 
Grazie per le bellissime recensioni, siete MERAVIGLIOSE, SANTO CIELO.
Vi adoro, ecco tutto.
Vi ringrazio in anticipo se recensirete anche questo capitolo. <3
Un bacio. :P

Amélie. (Ho scelto quest'immagine perchè si vede la sua felicità, che sarebbe Harry.)


 

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Capitolo 19
*** Capitolo diciannove. ***




19. Capitolo diciannove.

 

This time won’t you save me.
Baby i can feel myself givin’ up.
{Save Me - Nicki Minaj.


Muoveva lentamente in modo circolare il cucchiaio, ogni tanto alzava lo sguardo e osservava i raggi del sole fare capolino dalla finestra e illuminare la cucina. Era una bella giornata, tuttavia Amélie era rimasta alla sera precedente, non riusciva a pensare ad altro, forse non voleva farlo. Harry l’aveva accompagnata a casa, inizialmente aveva rifiutato l’offerta, ma era impossibile resistere alla sua testardaggine e alla fine l’ebbe vinta. 

Sentiva ancora il profumo delle sue mani sfiorargli il viso, le sue morbide labbra poggiarsi sulle sue e quegli occhi verdi cercare un breve contatto con i suoi azzurri.

Bevve qualche sorso di quel tè troppo dolce per il suo palato, si alzò velocemente e buttò il liquido nel lavandino, senza tenere conto del suo stomaco vuoto che ogni tanto le provocava delle fitte.

Il suo cellulare squillava, spostò lo sguardo sullo schermo e lesse il nome: Harry.

Le si illuminarono gli occhi, la voglia di rispondere era tanta, ma non poteva, non doveva. Si erano promessi che ieri notte sarebbe stata solo la loro serata, ma dopo quelle poche ore tutto sarebbe finito, per sempre, eppure le sue mani non rispondevano agli ordini del suo cervello, si avvicinavano sempre più a quell’oggetto pronte per portarlo all’orecchio e rispondere. Il cellulare smise di squillare. Sospirò. Da una parte fu sollevata, in quel modo non avrebbe fatto un altro errore. Socchiuse gli occhi, dopo essersi seduta sul divano.

Era passato davvero così tanto tempo tra loro due? Settimane, giorni, ore, minuti, secondi.

Harry Edward Styles. Sorrise. Quel nome le apparteneva, si era infilato dentro di lei e non la lasciava. 

 

«Ti sei innamorata?»

«Perchè me lo chiedi?»

«Rispondi, su.» 

«Sì.» 

 

Quelle parole le inondavano la mente come onde che si infrangono sugli scogli. Si era innamorata, l’aveva ammesso a se stessa e a lui. Si era spogliata delle sue paure e si era mostrata per quello che era, si era resa vulnerabile, pur essendolo già. Un amore, se così si poteva definire, che era alimentato da semplici sguardi, caldi abbracci e tante, troppe parole che si infilavano negli spazi di quel puzzle che non era ancora completo, mancava un tassello e sapeva che sarebbe sempre stato così.

Si alzò e si diresse verso la sua stanza, la testa le doleva e le gambe si muovevano lentamente, ogni passo era uno sforzo, si sentiva pesante, il respiro lento, quasi impercettibile, le mani le sudavano e lasciavano chiazze di sudore sul legno della rampa.

Una volta salite la scale, si fermò e guardò verso il fondo dei gradini, le pareva che tutto si muovesse, molto probabilmente le era calata la pressione, le capitava spesso in quell’ultimo periodo e cercò di non darci peso.

La sua stanza era buia, non aveva ancora alzato le tapparelle, preferiva che almeno quella camera rimanesse nelle tenebre, a nascondersi come faceva spesso lei. Amélie era molto brava a nascondersi. Si nascondeva nei maglioni larghi per scomparire e non farsi notare, si nascondeva dagli sguardi curiosi della gente che la scrutava quasi la volesse penetrare, si nascondeva dagli affetti perchè sapeva che avrebbe dovuto lasciarli prima o poi, e, infine, si nascondeva da Harry, quando l’aveva incontrato la prima volta si era promessa, che se fosse accaduto qualcosa, si sarebbe fermata in tempo per salvarsi, si sarebbe comportata da perfetta estranea, e inizialmente c’era ancora riuscita, ma poi aveva deciso di lasciarsi andare e mostrarsi per quello che era, non aveva niente da perdere, dato che non possedeva nulla. Lui le aveva sconvolto la vita come poche persone sanno fare. Si era sempre domandata perchè avesse scelto lei quando ogni notte poteva avere una ragazza, forse erano caduti entrambi in quella trappola che chiamano amore. Era piacevole stare lì, fermi, ad osservarsi e scoprirsi attraverso un battito di ciglia.

 

Occhi che sapevano dove cercare per scoprire, per farsi scoprire.

 

Solo dopo quei pensieri si accorse di essere seduta sul letto e di avere una mano appoggiata al primo cassetto del comodino. Tentennò un po’, ma poi lo aprì. Eccole lì, già pronte. Le aveva preparate nei giorni precedenti, in un pomeriggio aveva fatto tutto, accuratamente, con la delicatezza di quelle mani ormai troppo esperte. 

Tre siringhe. La dose in polvere di eroina nel sacchetto era scomparsa, o meglio, aveva preso il posto all’interno di quei piccoli cilindri. Le afferrò delicatamente e le esaminò, erano completamente piene. Le sembrava di essere tornata alla prima volta in cui si iniettò una dose di eroina, aveva avuto paura, tanta paura. Aveva sempre odiato gli aghi, pur essendo sottili, ma non sopportava che le trapassassero la pelle così facilmente, con un semplice tocco e una lieve spinta, ma poi se ne fece l’abitudine, un po’ fu anche costretta da Jason dato che le aveva spiegato che per via endovenosa la droga entrava in circolo immediatamente, nel giro di pochi minuti, anche se sembravano interminabili.

Prese la prima siringa, evitò il laccio emostatico, ormai sapeva come fare. Fu veloce quell’attimo, premette lo stantuffo e sentì il liquido entrargli nelle vene e provocarle un brivido di freddo. Le altre due siringhe le teneva ancora in mano. Aspettò un attimo prima di alzarsi, sapeva che una dose l’avrebbe sopportata benissimo, solo qualche giramento di testa, ma quella piccola iniezione non avrebbe di certo ostacolato la sua lucidità.

Afferrò la borsa, vi mise dentro le altre due siringhe e scese nuovamente le scale, questa volta cercando di accelerare il passo, sperando di non inciampare e di conseguenza cadere. Avvistò un foglietto sul tavolo del salotto e, dopo aver cercato una biro, si mise a scrivere, concentrandosi sulla sua calligrafia che spesso era poco chiara. Quella lettera aveva un unico destinatario, Harry. Gli stava scrivendo ogni cosa, quello che era, quello che erano stati e quello che, purtroppo, non sarebbero mai diventati. Un amore sbocciato e schiacciato subito dopo, calpestato, dilaniato, ma non così debole da cedere.

Amélie ed Harry erano stati questo. Erano davvero forti, più forti di tutto, ma a volte l’amore non basta, ma loro se lo facevano bastare perchè era questo quello che volevano. Si erano incontrati e, nonostante tutto, non si erano mai lasciati, sapevano salvarsi a vicenda, passo dopo passo, insieme, come sempre e per sempre. 

La penna scorreva veloce su quel foglio, l’inchiostro nero si impregnava nel foglio di carta senza lasciare sbavature, una mano svelta che non voleva più lasciare tracce, dato che di tracce ne aveva lasciate fin troppe.

Odiava scrivere, ma per Harry avrebbe fatto un’eccezione, come sempre. Per lui avrebbe fatto tutte le eccezione del mondo, anche rimanere se solo glielo avesse chiesto, lui l’aveva fatto, l’aveva implorata di restare con lui, di farsi salvare, ma aveva rifiutato. Era un controsenso. Questa volta ad essere salvato sarebbe stato Harry, il suo Harry.

Chiuse gli occhi per un secondo, con la mano libera si asciugò le lacrime che rischiavano di rigare il suo volto. Stava piangendo dopo tanto tempo ed erano lacrime vere, ne aveva così tanto dentro di sé, doveva liberarsi di quel peso, doveva smetterla di sentirsi così attaccata al mondo con i piedi per terra, voleva essere libera, ma cos’era la libertà? Non l’aveva mai conosciuta.

Appoggiò la penna sul tavolo e respirò profondamente, il suo respiro fu smorzato da un colpo di tosse che le fece lacrimare gli occhi per il troppo sforzo.

Ora era arrivata la parte più difficile, ma doveva farlo, firmò il voglio con il suo nome, Amélie. Guardò l’orologio erano le quindici, doveva sbrigarsi altrimenti avrebbe incontrato Harry durante il tragitto e non voleva rivederlo, non più.

Prese la seconda siringa e si iniettò anche quella. Avrebbe retto pure quella dose, quello era il suo massimo, lo sapeva dato che ci aveva già provato una volta, non era mai andata oltre due siringhe, ma non ci pensò, cercò di concentrarsi sulla lettera.

Afferrò la borsa e si avviò verso la casa del riccio, sperando di non incontrare gli altri ragazzi. Il sole le batteva sulle testa, facendola sudare, sentiva le tempie pulsare e temette di svenire da un momento all’altro, ma non avvenne. Il tragitto sembrava più lungo del previsto, pensò anche di aver sbagliato strada, ma quando avvistò la casa bianca si accorse di essere nel posto giusto al momento giusto per la prima volta nella sua vita. Inserì la lettera nella cassetta postale, sorrise, ce l’aveva fatta. 

Guardò per un’ultima volta quella casa, chissà quando l’avrebbe rivista, ma soprattutto se l’avrebbe rivista. Si voltò e ritornò sui suoi passi.

«Amélie.» sentì una voce chiamarla, non era la sua. Non voleva girarsi, temeva quella figura. Sentì dei passi, si stava avvicinando. 

«Amélie, sei tu?» domandò.

«Sì.» ebbe il coraggio di voltarsi e si trovò Louis a meno di un metro di distanza.

«Come mai da queste parti?»

«Una semplice passeggiata, stavo tornado a casa. E...»

«Harry? - il ragazzo la precedette - Tranquilla, è con gli altri, sono andati a mangiare qualcosa al bar, mentre io ho preferito tornare subito a casa.» Amélie sorrise lievemente, Harry stava bene.

«Lui tiene davvero a te. Resta, fallo per lui.» alzò improvvisamente lo sguardo, che cosa stava dicendo? Lei non poteva restare.

«Ascoltami, Amélie, ha bisogno di te, si è innamorato e non può farcela da solo.»

«Io lo sto salvando.»

«Da cosa?»

«Da me.» Louis si avvicinò con cautela alla bionda, cercando di non spaventarla, sapeva quanto fosse impressionabile.

«Nonostante la scelta che farai, lui non ti dimenticherà mai. Le persone come te non si dimenticano facilmente. Cosa farai? Intendo se te ne andrai.»

«Credo che partirò, ho sempre amato viaggiare.»

«Allora, buon viaggio, Amélie.» e l’abbracciò, nonostante si conoscessero appena, ma durante gli addii non importa da quanto conosci una persona.

Rifece lo stesso tragitto dell’andata, il sole stava già tramontando e le dispiaceva che il giorno durasse così poco, il giorno è come la vita: dura troppo poco, pensò.

Entrò velocemente in casa, la sua ombra sgusciò fra la porta, buttò la borsa per terra, afferrò la terza siringa e corse in camera sua. Le sembrava strano come ad un tratto le sua gambe fossero diventate così leggere, quasi non le sentiva.

 

Fermati, ti prego.

Non posso, lo sai.

Ma io non voglio che tu te ne vada.

Se non mi lascerai andare, sarà lei a farlo.

Puoi combatterla.

L’ho fatto per troppo tempo, Harry.

 

Nonostante la sua agilità per quanto riguardava il fisico, la testa le doleva e la palpebre erano diventate improvvisamente pesanti, difficilmente riusciva a tenerle completamente aperte e ogni tanto doveva appoggiarsi al muro per non cadere, aveva perso perfino il senso dell’equilibrio. La sua camera era ancora buia, il disordine regnava in ogni angolo di quella stanza: vestiti appoggiati su ogni mobile, fogli sparpagliati sul pavimento, cassetti aperti e mai richiusi.

Aveva spento il cellulare per non essere disturbata, aveva voglia di stare da sola con se stessa, era da tanto tempo che non trascorreva qualche momento con la sua mente, ad ascoltare la sua coscienza, a rivivere i momenti più belli di quell’ultimo periodo.

 

Perchè sei qui?

Sono dove devo essere.

 

Si sedette sul pavimento freddo, nonostante fosse coperto da uno strato di moquette si sentiva gelare, oppure quel gelo proveniva dall’interno del suo corpo? 

Incrociò le gambe e notò quando fossero magre e lunghe, dannatamente bianche, era da tanto che non prendeva un po’ di sole, che non si abbronzava, ma sapeva che l’unico risultato che avrebbe ottenuto sarebbe stato una scottatura, come negli anni passati.

Il braccio destro riportava un alone viola nella zona in cui si era bucata qualche ora prima, poteva notare una vena affiorare sotto quel leggero strato di pelle, la sfiorò. Dentro di sé circolavano quelle due dosi di droga che si era iniettata in un breve lasso di tempo, si sorprese di non essere stata veramente male, forse il suo livello di sopportazione era aumentato, l’avrebbe scoperto tra poco.

Prese la siringa e se la rigirò fra le mani, forse sarebbe stata l’ultima siringa che avrebbe visto in tutta la sua vita. Respirò profondamente. Il cuore le batteva, temeva che le uscisse dal petto e lo vedesse dall’altra parte della stanza.

Posò l’ago freddo sulla pelle e lo spinse dentro, sempre nel solito buco, con il dito della mano sinistra premette sullo stantuffo e vide il liquido bianco fluire all’interno della vena. Lentamente svuotò la siringa e la buttò per terra. Ancora pochi minuti. Lo scorrere dei ricordi, i rumori ovattati, vampate di calore, i sensi che si disperdevano. Respirava a fatica, come se avesse un masso sul torace. Respiri lenti, spesso interrotti da alcuni colpi di tosse; poi sentì il battito del cuore rallentare, sempre più difficile era respirare, la vista offuscata, gli arti non rispondevano più ai suoi comandi. 

Gli ultimi respiri.

Gli ultimi battiti.

Gli ultimi sospiri.

Chiuse gli occhi lentamente, fu un’azione involontaria, le parve di vedere la figura di Harry sulla soglia, ma non poteva più contare sui suoi sensi, potevano benissimo tradirla da un momento all'altro. 

Forse era troppo tardi per mantenere quella promessa. Forse.

 

Sussurra solo tre parole...

...il mio angelo...

ed io verrò di corsa

...non verrai...

non sei sola

...e non ci sarai...

Ed io, piccola, ci sarò, lo sai, ci sarò...

No, non ci sarai.










 

Eccomi qua con l'ultimo capitolo, poi ci sarà l'epilogo, rgrtkg.
Non mi sembra vero, non posso crederci, sta per finire.
Per quanto riguarda il finale, be', ho deciso. Non posso dirvi niente, ma tra meno di una settimana saprete tutto. Forse dopo questa long scriverò ua breve one-shot che parlerà della vita di Harry una volta superato quello che accadrà nel finale. (?)
Vi ringrazio per essere arrivate fino a qua. Non voglio scrivere più di tanto perchè il vero "addio" lo darà nell'epilogo.
Ringrazio chi ha recensito e chi recensirà anche questo capitolo.
Un bacio. c:

Amélie. (E' così bello vederla sorridere)


 

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Capitolo 20
*** Epilogo. ***


Epilogo.


Harry rigirava nervosamente la lettera fra le mani, le quali tremavano. Gli occhi erano stanchi, contornarti da un leggerissimo tono violaceo che metteva in risalto il verde delle sue iridi. Era da una settimana che faticava a dormire, si stendeva sul letto con quella lettera appoggiata sul comodino, chiudeva gli occhi, ma l’unica cosa che vedeva era l’immagine di Amélie, gli occhi limpidi e i lunghi capelli biondi. Perchè?, si domandava ogni volta che posava lo sguardo su quella busta bianca che non aveva ancora avuto il coraggio di aprire e di conseguenza leggere. Sentì gli occhi inumidirsi, doveva smetterla di piangere, prima o poi le lacrime si sarebbero esaurite, no? Eppure le sue scendevano incessantemente, e i singhiozzi lo facevano tremare, eruttava come se fosse un vulcano. Era arrivato il momento di leggerla, di scoprire l’ultima parte di Amélie e lasciarla andare, per sempre. Si sistemò nuovamente sul letto, cercando una posizione comoda, sapeva che non sarebbe stato facile decifrare le sue parole, parlare la lingua di Amélie era difficile, lei aveva un linguaggio tutto suo. Era davvero troppo brava con le parole, ci sapeva fare, trovava il tuo punto debole e poi mirava, schegge che ti trafiggono come lame durante una battaglia. In effetti, la vita di Amélie era sempre stata una battaglia, una lotta contro se stessa, perchè lei doveva combattere contro due essenze: la sua parte forte e la sua parte debole. L’aveva vista così tante volte rialzarsi e cercare di andare avanti, perchè non poteva farlo un’ultima? Perchè aveva deciso di arrendersi? Non riusciva a spiegarselo, non trovava una risposta. 

Fu scosso da un brivido di freddo, la lettera era lì nelle sue mani, aprì la busta. Fece un respiro profondo e fu in quel momento che decise che Amélie sarebbe stato il suo coltello, il suo punto debole.

 

 

Harry, 

Com’è strano scrivere il tuo nome sulla carta e non poterlo pronunciare, eppure c’è sempre qualcosa di armonioso nel tuo nome.

Se stai leggendo questa lettera, vuol dire che sei abbastanza forte per dirmi addio, ma non lasciare che le mie parole ti facciano del male, bensì cerca di udirle come un sussurro, come un ultimo respiro, un ultimo battito d’ali e poi più niente. Silenzio.

Mi fa male ricordare e accorgermi di aver assaporato la più rara felicità. Tu mi davi felicità, come non mai, come non avrei chiesto di più. Quello che ci divide e ci unisce, come l’oggi e il domani e i mille giorni che trascorreremo uno separato dall’altra.

Come l’eternità che mi davi e che mi dai, adesso, mentre le mie mani scrivono e il mio nome si lacera, impotente, fra i ricordi. Ecco cosa sei, un dolce ricordo che se ne va.

Però i ricordi rimangono, e tu rimarrai, oggi, domani, per sempre. Sarà lo stesso per te? Non lo so, spero, credo, per favore, ricordami. Pensami con un sorriso, pensami mentre ridiamo insieme, come quel pomeriggio in spiaggia quando mi hai buttato in mare e poi siamo scoppiati in una fragorosa risata. Ricordi? Io sì, io non dimentico mai, davvero. Forse è proprio per questo che non sono riuscita a uscire da questo circolo vizioso, ma tu l’hai interrotto per un breve tempo e mi hai concesso la possibilità di vivere. Hai fatto del tuo meglio, Harry, tu hai fatto tutto. Dico davvero. Non avere rimpianti nei miei confronti, non prenderla come una sconfitta, ma come una delle tue più grandi vittorie. 

Io non mi sono arresa, ho solo lasciato andare le cose come era giusto che dovessero andare, come prima o poi vanno per tutti. 

Ho provato ad essere forte, ho inseguito l’amore e la felicità, ma sono stanca di lottare anche contro me stessa. 

Ma non parliamo della fine, perchè noi non finiremo mai. Gli amori durano, durano per sempre, nei ricordi.

Noi dureremo così, in un modo o nell’altro, e sarà bello lo stesso. Sarà bello lo stesso il mare senza me, la primavera senza i miei occhi, il sole senza la mia pelle, i baci senza le mie labbra. Sarà bello lo stesso l’amore senza di me.

Saremo infiniti, Harry, accettalo. Ti sosterò dentro e tu sarai lo stesso per me, per questo ti chiedo di non dimenticarmi, ma di vivermi nei ricordi, senza farti del male, però. Se sarà troppo doloroso allora scordarmi e ricomincia da capo. 

Sei stato la mia forza, sei stato la mia speranza. Siamo stati un noi, anche se per una notte. Ti sono sempre appartenuta, in un modo o nell’altro.

Mi mancherai, Harry. Mi mancherai come manca l’estate durante l’inverno, mi mancherai come manca Natale e i regali, mi mancherai come manca la neve. Ci mancheremo a vicenda. Lo so, non si guarisce mai da ciò che ci manca, semplicemente ci si di adatta, si convive con se stessi e con la consapevolezza che ogni giorno farà sempre meno male.

Un giorno ti sveglierai, il sole sarà sorto, aprirai le finestre e sentirai l’aria fresca sfiorarti la pelle, e poi te ne accorgerai. Ti accorgerai che il primo pensiero non sarà stato voltarti verso questa lettera, ma aprire la finestra; ti accorgerai che non avrai più un peso sul cuore; ti accorgerai che hai ricominciato a sorridere e non più per causa mia. Sarà così, Harry, e tu non potrai farci niente. E forse ti maledirai per esserti allontanato così in fretta da tutto ciò, forse vorrai tornare indietro e rivivere tutto, ma noterai che i ricordi saranno offuscati, tanti pezzi sparsi che non riescono più a ricongiungersi. Dimenticherai le date, i profumi, i sospiri, gli sguardi, le labbra, ma sono sicura che non ti dimenticherai di me, almeno non del tutto. 

Amerai di nuovo, Harry. E quella ragazza non sarò io, non avrà i miei stessi occhi o i miei stessi capelli e, per favore, non cercarmi nei gesti delle persone. Cercarmi nell’unico posto in cui sarai sicuro di trovarmi: i ricordi. 

Ricordarmi come Amélie, non come Lie. Perchè io con te sono stata veramente me stessa e non volevo che accadesse, non volevo rendermi vulnerabile, ma l’ho fatto e, dopotutto, non me ne pento.

Ma tu, ora? Tu ora avrai sicuramente gli occhi lucidi, imprecherai, vorrai buttare questa lettera, mi maledirai, serrerai la mascella, stringerai i denti e cercherai di non piangere. Sei forte, Harry, lo sei sempre stato, anche prima di conoscere me. Non lasciare che le persone riescano a scoprirti del tutto, non rivelarti sempre, non dare l’opportunità di sferrare il colpo di grazia. Non usarmi come il tuo punto debole, bensì come il tuo punto di forza, perchè è questo che ho sempre voluto essere per qualcuno.

Sei stato il mio per sempre, Harry.

Con affetto

La tua Amélie

 

P.s. Te lo prometto: un giorno, in qualche luogo del mondo, ci rivedremo.

 

 

Il foglio presentava delle chiazze bagnate, le lacrime Harry avevano scolorito alcune parole, si erano formati degli aloni, ma le frasi erano ancora comprensibili.

Sentiva il suo cuore battere, doveva calmarsi, ma non ci riusciva. L’aveva persa e non aveva fatto nulla. Quella lettera era la testimonianza di come tutto si fosse dissolto, sembrava come se non fosse accaduto nulla tra di loro. Non c’erano testimonianze di lui e di Amélie se non quella semplice lettera, non avevano scattato foto, e solo i ricordi potevano regalargli le stesse sensazioni che aveva provato con lei.

Strinse fra le mani quel pezzo di carta, lo rincuorò sapere che quella fu una delle ultime cose che Amélie aveva toccato e lui aveva avuto il privilegio di poterla leggere e conservare. 

Era passata esattamente una settimana. Una settimana da quando aveva cominciato a piovere insistentemente ogni giorno, una settimana dalla fine della scuola, una settimana da quella festa e una settimana da quando Amélie aveva deciso di lascialo, lì, da solo.

Non aveva voglia di ripensare a quella notizia, chiamate senza risposta, messaggi non ricevuti, il telefono spento, Louis che era corso in camera, l’incredulità. Era successo tutto così velocemente che Harry non aveva nemmeno avuto il tempo di riordinare i fatti, sistemare la propria mente, riflettere e ragionare.

 

Devi imparare a vedere ciò che guardi.

Perchè dici così?

In questo modo mi troverai nelle cose più semplici.

 

Si era chiuso in se stesso, si era rintanato nella parte più cupa, nel silenzio. Non riusciva a capire perchè Amélie avesse fatto quel gesto, non riusciva ad accettare che lei se ne fosse andata, senza di lui, come sempre. Diceva che l’avrebbe salvato, ma da cosa? Dall’amore sicuramente no, perchè lui c’era caduto dentro e gli piaceva quella sensazione, gli piaceva essere innamorato, ma ora stava capendo quanto potesse fare veramente male. Non poteva nemmeno contare su se stesso perchè non riusciva a ritrovarsi, si era perso. Si era promesso che non l’avrebbe lasciata andare, ed invece era accaduto tutto il contrario, lui era rimasto ad osservare in silenzio senza fare nulla mentre lei si abbandonava a ciò che le spettava. 

Posò la lettera sul comodino, non riusciva più a tenerla fra le mani, aveva un peso sul cuore, aveva un peso sull’amore.

Sentì la porta cigolare, alzò lo sguardo, sperò di rivedere Amélie sulla soglia mentre gli sorrideva, ma tutto ciò che vide fu una figura maschile.

«Harry, noi usciamo, vuoi venire con noi?» la voce di Louis gli arrivò come un sussurro.

«No.» rispose in modo secco, stringendosi nelle spalle.

«Possiamo parlare?» il riccio non rispose, Louis prese l’occasione per sedersi accanto a lui. 

«Io ho visto Amélie per l’ultima volta, l’ho vista mentre imbucava quella lettera, mentre ti diceva addio.» Harry alzò lo sguardo, un’espressione di incredulità si faceva spazio sul suo viso.

«Perchè non l’hai fermata? Perchè non hai fatto nulla?»

«Non potevo immaginare le sue intenzioni, mi aveva detto che sarebbe partita, ma non pensavo che da quel viaggio non sarebbe più tornata. Voglio solo dirti che, Harry, non è stata colpa tua, Amélie non era abbastanza forte e l’unica cosa che l’ha tenuta in vita fino ad ora sei stato tu e quello che provava per te.»

«Io sarei dovuto venire a casa con te, l’avrei vista e sicuramente e le avrei chiesto di rimanere. Lei non si meritava di finire.»

«Niente merita di finire, voi due non meritate di finire. Devi reagire, Harry, lei, suppongo, ti abbia chiesto questo nella lettera.»

«Io non ce la faccio. Ha scritto che amerò altre ragazze, ma come può dire una cosa del genere se l’unica persona che amo è lei?»

«Non la dimenticherai. Le persone come lei non si dimenticano mai.» Harry tirò su con il naso, si passò una mano sugli occhi per eliminare l’umido delle lacrime.

«Vai con gli altri, ci vediamo dopo.» Louis seguì il consiglio dell’amico ed uscì dalla stanza. Ancora una volta Harry rimase solo con se stesso.

Sentì la porta dell’ingresso chiudersi, così decise di andare in salotto, precisamente si diresse verso il blocco degli appunti. Cercò disperatamente una penna, ne trovò una accanto al televisore, l’inchiostro era nero. Prese un foglietto e ci scrisse sopra una frase, poi lo mise in tasca. 

Era la prima volta che usciva, non contando quelle per andare a scuola. Jason si era trasferito, non aveva più avuto notizie di lui, ma non gli importava, aveva causato troppi casini.

C’era un profumo di pioggia nell’aria, una freschezza che lo risvegliò dal suo torpore e gli diede la voglia di fare una passeggiata. Fece il percorso più lungo perchè non se la sentiva di dirigersi immediatamente verso quel luogo, aveva paura che non avrebbe retto, ma sentiva il bisogno di farlo, come se fosse una specie di richiamo.

C’era poca gente in giro, Harry si sforzò di non voltarsi continuamente verso tutte le ragazze in cerca di un particolare che gli ricordasse Amélie. Doveva smetterla, sì, stava sbagliando, non stava facendo come gli aveva consigliato nella lettera. Girò l’angolo e la vide: la loro panchina. Il parco era deserto, forse, per una volta, il destino era dalla sua parte.

Nonostante fosse giugno, faceva abbastanza fresco, Harry non amava particolarmente il caldo afoso, infatti considerò quella giornata quasi perfetta, dato che mancava qualcuno.

Tirò fuori dalla tasca il biglietto, lo attaccò alla panchina. Un foglio bianco in mezzo alla vernice verde come una margherita in mezzo ad un cespuglio.

Lesse il foglietto, lesse quella parole e gli sembrò come una risposta nei confronti di Amélie.

 

“Noi siamo sempre stati abbastanza e mai troppo.”

 

Un leggero vento gli arruffò i capelli. Sorrise.

Si sedette sulla loro panchina, facendo attenzione a non stropicciare il pezzo di carta.

Quanto tempo sarebbe passato prima che Harry fosse tornato in quel luogo? Quanto tempo sarebbe passato prima che avrebbe cominciato ad amare di nuovo? Se lo domandava e non trovava una risposta, l’unica cosa che vedeva era il volto di Amélie.

Abbassò lo sguardo verso il suo polso sinistro e lesse quella frase.

 

“Siamo sempre stati troppo, ma mai abbastanza.”

 

Se l’era tatuata. I tatuaggi sono indelebili, i tatuaggi sono per sempre, proprio come lui ed Amélie.

Ecco cosa sono stati Harry ed Amélie: il per sempre. Hanno vissuto la loro vita come un sussurro, hanno amato come se non ci fosse fine.

Amélie era stata l’eccezione alla regola, il regalo più bello. Amélie era stato il suo primo amore, la sua prima lacrima, il suo ultimo sorriso.

Non riusciva a pronunciare quella frase, faceva troppo male, stentava a crederci, non era possibile.

Amélie era morta.

Era successo, purtroppo. Overdose, un’abbondante dose di droga. Era morta come muoiono le foglie in autunno, era morta come muoiono i germogli a causa della siccità.

Respirò profondamente, una, due, tre volte. Doveva stare calmo, doveva riprendere il controllo di se stesso.

«Un giorno, in qualche luogo del mondo, ci rivedremo.» ripeté quella frase che era scritta nella lettera, sentì un groppo in gola, si morse il labbro.

Sentì un’altra folata di vento sfiorargli il viso, pensò che fosse Amélie. E, per la prima volta dopo la sua morte, sorrise. Ripensò a quello che avevano passato insieme, a quel breve tempo che lo aveva reso felice e decise che non l’avrebbe dimenticata, né oggi, né domani, né mai. Perchè i per sempre durano. Il loro “noi” sarebbe durato, oggi, domani, per sempre.












Oh, santo cielo, non ci posso credere. E' finita.
La mia Amélie è finita. çç *depressione-time*
Una cosa per volta, lol.
Ecco il finale, questo è stato il primo a cui avevo pensato, e di solito i miei finali non cambiano mai ed infatti è stato così anche per questo. L'alternativa era far andare, alla fine dell'epilogo, Harry in ospedale e fargli incontrare Amélie, ma non mi sembrava corretto. Non fraintendete, mica volevo far morire per forza Amélie, lol. Solo che penso che il suo destino fosse già scritto, prima o poi sarebbe accaduto, ammetiamolo, quella ragazza non era abbastanza forte per affrontare tutto, non se la sentiva più e sapeva che ci sarebbe ricaduta sempre. Come ho detto, la droga è un circolo vizioso.
Ora parliamo di me, lol.
Qusta ff è stata la mia ancora di salvezza, il mio dolore. Per scriverla ho davvero dato tutta me stessa, e credo di esserci riuscita, o almeno spero. L'idea di questa ff è partita da un progetto fatto a scuola dove sono venuti alcuni esperti a parlarci della droga, io sono rimasta subito affascinata da quel mondo così attraente, ma allo stesso tempo mortale e crudele. Inoltre, stavo attraversando, e tutt'ora attraverso, un periodo abbastanza difficile, in primo piano abbiamo dei problemi in famiglia che spero si risolvano al meglio.
Amélie sono un po' io, mi sono mostrata, ecco. Sono quella ragazza apparentemente forte, ma dentro di sé così fragile e insicura. Amélie è stata la mia salvezza e mi dispiace abbandonarla.
Harry è stato un personaggio fondamentale, anche lui contribuito a rendere questa ff qualcosa di realizzabile. Harry è stato il mio punto fermo, la persona su cui potevo contare, ecco. Penso che Amélie ed Harry saranno infiniti, magari questa ff continuerà nella vostra mente, magari per voi Amélie non sarà mai morta. 
Ah, quindi, come avrete capito, quando Amélie aveva visto Harry sulla soglia era tutto frutto della sua immaginazione, krjtgrtkg, vi ho tratte in inganno, MUAHAHA. (?)
Ora ringrazio voi. Voi che avete apprezzato questa ff e avete reso possibile continuare ad aggiornare e andare avanti. Io davvero vi ringrazio con tutto il cuore perchè senza di voi Amélie ed Harry non sarebbero mai nati. Non pensavo che questa ff potesse interessare, in particolare per l'argomento trattato ed io temevo proprio questo, di non essere in grado di descriverlo nel modo corretto.
Mi mancherà aggiornare ogni settimana questa ff, ma prima o poi si sapeva che sarebbe finita.
Spero solo che Amélie ed Harry vi siano entrati nel cuore come è accaduto a me.
Grazie per essere arrivati fin qui, e grazie a chi mi seguirà con l'altra mia ff: Love isn't for me (cliccare sul nome, lol).
Un bacio. c:


A me piacerebbe ricordarli così.

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