5 giorni fuori

di Samarskite
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** 1st Chapter ***
Capitolo 2: *** 2nd Chapter ***
Capitolo 3: *** 3rd Chapter ***
Capitolo 4: *** 4rth Chapter ***
Capitolo 5: *** 5th Chapter ***
Capitolo 6: *** 6th Chapter ***
Capitolo 7: *** 7nth Chapter ***
Capitolo 8: *** 8th Chapter ***
Capitolo 9: *** 9th Chapter ***
Capitolo 10: *** 10th Chapter ***
Capitolo 11: *** 11th Chapter ***
Capitolo 12: *** 12th Chapter ***
Capitolo 13: *** 13th Chapter ***
Capitolo 14: *** 14th Chapter ***
Capitolo 15: *** 15th Chapter ***
Capitolo 16: *** 16th Chapter ***
Capitolo 17: *** 17th Chapter ***
Capitolo 18: *** 18th Chapter - Epilogue ***



Capitolo 1
*** 1st Chapter ***


5 giorni fuori, 1 Chapter


C'era freddo. Lo sentivo dall'aria pungente che mi pizzicava il naso e la fronte. Schioccai la lingua, soddisfatta della dormita che avevo fatto per la prima volta dopo tre mesi. Tirai timidamente fuori la mano destra da sotto il piumone per stiracchiarmi meglio.
Si, effettivamente c'era freddo.
Me la presi comoda, tanto era domenica.
Perchè era domenica, giusto?
Cercai di fare un calcolo mentale della settimana e mi resi conto che la sera prima avevo cenato con una pizza da asporto, senza nemmeno alzarmi dal divano. Questo era ciò che facevo di solito la domenica.
Perciò, persino una persona con la mente annebbiata da una soda dormita sarebbe arrivata a capire che non era domenica. Era lunedì.
Con una vaga consapevolezza che si faceva strada strisciando nel mio petto, aprii gli occhi girandomi verso il comodino, che poi era un semplice tavolino pieno di riviste.
Erano le nove.
"CAZZO!". Buttai il piumone da un lato e balzai giù dal divano. Nel buio dell'appartamento inciampai tre volte e riuscii a raggiungere il bagno. Mi lavai la faccia a secchiate, mentre contemporaneamente scannerizzavo ciò che poteva essermi rimasto di pulito nell'armadio.
Finito di gettarmi secchiate in faccia, misi un po' di dentifricio sullo spazzolino verde, designato come di mia proprietà, e mentre sfregavo energicamente tornai in salotto a frugare nelle pile di roba ai piedi del divano. Trovai un paio di jeans puliti, una camicia scozzese e una canottiera grigia. Sempre sfregando a casaccio i denti, mi vestii e misi la prima collana e il primo anello che mi capitavano a tiro, arraffai lo zaino dell'Eastpack, mi infilai le Vans e tornai nel bagno per sputare e sciacquarmi la bocca. Mi ricatapultai in salotto e, arraffando roba a piene mani dal tavolino -portafogli, chiavi, documenti, cuffie, cellulare, Mac, cappello- la ficcai malamente nello zainetto. Tenendo le chiavi di casa tra i denti mi infilai la giacca grigia della Napapjri e il cappello scuro, salutai mentalmente la mia roba perchè farlo mi dava l'aria di non essere la persona sola che ero e corsi fuori di casa tirandomi dietro la porta e accorgendomi solo dopo che avevo mollato le chiavi sul tavolino per mettermi in bocca una sigaretta. Dettagli.
Sulla Terza Avenue c'era un traffico da chiodi, così mi vedi costretta a fare l'autostop alle biciclette, finchè un povero cristo non mi disse che si era liberata una di quelle biciclette per i turisti, una di quelle scalcinate color giallo canarino che dovrebbero dare l'impressione di una New York ecologica o cazzate simili. Inforcai la bici e partii a manetta verso la mia destinazione, evitando accuratamente di pensare che stavo girando per New York una mattina di gennaio e che quindi, se non fossi finita sotto un taxi giallo, molto probabilmente mi sarei presa una polmonite fulminante.
Durante il tragitto ebbi modo di provare e fare diverse scoperte ed esperienze interessanti, che hanno aumentato il mio bagaglio culturale ma che però sinceramente non ripeterei:
1. non fare colazione rende il mondo più veloce e i tuoi tempi di reazione incredibilmente più lenti.
2. rischiai di uccidere tre bambini e un uomo d'affari, più una vecchietta che mancò la cicca della sigaretta ardente di pochi centimetri.
3. da Cool's c'era il 50% di sconto su tutti gli occhiali da sole e da sci.
4. per poco non mi disarcionai finendo contro la portiera di una limousine, che una sottospecie di testa di cazzo aveva aperto senza guardare. Mi ritrovai a fissare due occhi azzurro mare sinceramente preoccupati che mi fissavano chiedendomi scusa, mentre i miei, di occhi, erano all'incirca a pallina da ping pong e il cuore mi sembrava voler balzare fuori dal petto per lo spavento.
Boccheggiai per quindici secondi, poi lo guardai con sguardo da rimprovero ingoiando il vaffanculo che non avrei comunque potuto dire (mi sarebbe venuto fuori un gracidio strozzato, avendo visto la morte in faccia) e ripartii.
Tutto questo era avvenuto, a partire dalla mia sveglia, in esattamente diciassette minuti. Arrivai al lavoro alle nove e ventidue minuti, in ritardo di solo un'oretta e mezza scarsa. Bazzecole, no?
Il Boss mi guardò con aria esasperata e mi indicò una scolaresca delle elementari che mi stava aspettando all'ingresso del percorso romano.
"Hai ripassato la storia di Roma, no?", mi chiese il Boss, in quella che considerai solo dopo essere una domanda retorica. Feci un gesto come a dire "sì e no", più no che si, e poi raggiunsi i bambini. Iniziai a spiegare quello che mi ricordavo della storia romana.
E vai con Gaio Mario, Mario il Giovane, Publio Silla, Tizio Crasso, Gneo Pompeo, Giulio Cesare, Gaio Publio Quinto Pinco Pallino. In un'ora e mezza ne venni fuori senza fare particolari strafalcioni, e osservai quei bambini di otto nove anni trotterellare via contenti, compatendoli per la loro beata ignoranza sulla vita che fa la gente normale. Tornai all'ingresso, avendo dieci minuti di pausa, e mi avviai verso la sezione dell'età giurassica. Mi sedetti laconica accanto al piedistallo con lo scheletro di un velociraptor e lo guardai sconsolata. "Odio questa vita, Allan."
Il velociraptor Allan mi osservò con compatimento, e senza parlare espresse esattamente cosa voleva dire: "Di vite difficili devi andare a parlare con la statua di Roosvelt. O il buon vecchio Bonaparte... Io qui posso farci ben poco.". Gli diedi una pacchetta leggera sul muso e feci per alzarmi, quando vidi che il Boss e JD mi stavano osservando. Non ho ancora capito come si chiami il Boss, del resto potrei leggere la sua targhetta col nome, ma sinceramente non ci tengo, perchè dargli un nome lo renderebbe umano e io troverei più difficile riempirlo di insulti. In realtà non è cattivo, quando arrivo in ritardo mi sgrida e minaccia ma alla fine non mi licenzia mai, però non so, è così perfetto che mi viene voglia di insultarlo.
JD invece è il mio coinquilino. Il nome completo sarebbe Joahann Dondass, ma siccome gli fa sinceramente schifo per tutti è solo JD. La stessa persona orribile che quella mattina non mi aveva svegliata.
"Jordan. Dovresti smetterla di parlare con Allan, è inquietante.", mi fece JD compatendomi ancora più di Allan.
"È inquietante che io parli ad un essere zannuto oppure che io segua i suoi ipotetici consigli?".
"Entrambi, suppongo."
"Sei un essere orribile, JD.", sviai il discorso.
"Lo sai vero che ti ho chiamata sei volte al telefono e mi hai sempre risposto che ti stavi alzando?".
Mmmh, in effetti era vero. Però lui sapeva anche che mentre dormo mi si potrebbe chiedere se posso comprare una Ferrari e io direi di si senza fare una piega.
Mi tornò in mente un piccolo dettaglio finora ignorato: "Ah, JD, tu hai le chiavi, vero?"
"Le chiavi di casa? Certo, tanto lo so che ti chiudi fuori un giorno si e uno anche."
"Divertente."
"Ti correggo: Tragicomico. Preparati, hai un'orda di vecchietti tra due minuti e.. ohoh.", fece JD consultando la tabella di marcia sul tablet.
Quando diceva ohoh potevi iniziare a scappare.
JD sorrise: "Ti spetta un gruppo di celebrità poco prima di pranzo, vuole girare tutto il museo."
"Celebrità? Molto spiritoso, JD, davvero. Chi, Orlando Bloom?"
"No, i One Direction."
"Giura."
"Giuro, hanno prenotato."
"Cinque ragazzi arrapati? Delle celebrità?"
"Fai poco la figa, ho sentito che li canticchiavi."
"Sono carini, ma niente di che."
"Non essere prevenuta, baby."
Sbuffai, salutai Allan e raggiunsi i vecchietti rachitichi. Dopo di loro, avevo un'ora di ripasso per prepararmi all'arrivo delle grandi star.








I just wanna say a massive thank you and....

Ok la smetto. Nuova FF, fatevi sentire, che ne pensate? Oh, su, non siate timide. Tanto lo so che fa cagare quindi gridatemelo a gran voce e.e E' sempre su Louis, mi spiace ma io posso farci poco, ci faccio sogni porno la notte, Dio santo. Ok, però questo come dice Mars è un discorso che va fatto in separata sede. Avete visto il video di Little Things? Sto ancora piangendo. E avete sentito lo sneak peak (?) di Kiss You? Io salto per la casa per circa 25 meravigliosi secondi...
Ultima cosa: ammirate lo sfondo blocco del mio Ipod. Let me die.
Detto questo, vi amuxxo tutte.
Un bacio, Sam (@ehiiiniall)

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Capitolo 2
*** 2nd Chapter ***


5 giorni fuori, 2 Chapter


Il grande Boss è incredibile. Passa dal suo tipico e reale modo di fare, così viscidamente indulgente, al modo di fare di una delle persone più adorabili del mondo. Ti viene voglia quasi di avere lui come padre.
Giuro.
Quando arrivarono le piccole superstar, ero lanciatissima. Avevo usato tutto il tempo a mia disposizione per ripassare, ed ero pronta. Non avevo particolari ansie da prestazione o manie di protagonismo, ma la faccia del Boss mi diceva che lasciando a me quei cinque soggetti si stava giocando la reputazione del museo, e che ergo IO dovevo dare il massimo.
Ricordati: professionalità e precisione.
Mi stavo sistemando i capelli per cercare di sembrare una persona seria, e non l'incapace che ero.
L'immagine che mi rimandava la vetrina d'esposizione, che proteggeva ciò che era rimasto del pranzo di alcuni poveri cristi dell'ottavo secolo d.C. prima che morissero per asfissia, non era rassicurante. I miei capelli color miele erano disordinatamente legati in una treccia ormai sfatta. I miei occhi, che tendevano dal verde scuro al castano, erano lievemente cerchiati da occhiaie. Una notte di buon sonno non aggiusta le occhiaie di tre mesi.
L'etichetta della camicia sporgeva dal colletto.
Avevo, insomma, proprio l'aria di una ragazza insonne che la mattina era arrivata tardi al lavoro. Mi rifeci la treccia e tornai nell'atrio rassegnata.
Appena i divi entrarono nell'atrio, d'istinto lanciai un'occhiata a JD, seduto a sorseggiare un caffè accanto ad Allan. JD sembrava dire con gli occhi: vedrai che ne succederanno delle belle. Lanciai un'occhiata anche ad Allan (cinicamente inespressivo) e poi cercai di focalizzare i cinque nuovi visitatori. Un biondo. Uno scuro e tre mori. Ok. Tutti con gli occhi chiari tranne un moro e lo scuro.
Quelli che hanno gli occhi chiari invece, due sono azzurri e uno verdi.
Ce la posso fare.

Biondo: Niall Horan.
Scuro: Zayn Qualcosa.
Moro numero uno: Liam Qualcosa.
Moro numero due (riccio): Harry Styles.
Moro numero tre: vuoto di memoria.
Ok, non importa, si presenteranno, no? Professionalità e precision...
Io e Moro numero tre sgranammo gli occhi nello stesso momento. Ci eravamo riconosciuti.


"Non ti hanno ancora messo al fresco per omicidio intenzionale ai ciclisti?", commentai io acida.
Moro numero tre scoppiò a ridere: "Ehi, scusa, mi dispiace. È che c'era traffico e non ti ho vista sbucare dalla macchina dietro di me. Quando ho capito che ti ti avevo praticamente presa in pieno mi sono visto in galera. Mi sono detto oddio, l'ho uccisa."
Il Boss ci osservò sconcertato. La sua collaboratrice più preparata eppure più inetta conosceva di vista un divo? Quanta pubblicità per il museo. Wow.
Mugugnai un mmmmm, che era il mio modo di accettare le scuse del Moro numero tre, e feci segno loro di seguirmi nella prima sala del museo, quella preistorica.
JD osservava la scena con aria divertita, piluccando un croissant e bevendo le ultime gocce di caffè. Ad un certo punto si lasciò persino scappare una risatina. Lo guardai storto e lui alzò le mani per indicare la propria innocenza.
"È colpa di Allan!"
Inarcai un sopracciglio, scordandomi per un attimo dei miei visitatori: "Allan quando è divertito muove avanti e indietro la testa, non fa una risatina, JD."
JD annuì con l'aria di uno che si stava appuntando mentalmente di ricordarsi una certa cosa, ed io tornai al mio gruppo poco nutrito che mi osservava in attesa. In attesa di iniziare, o anche alternativamente di capire chi fosse Allan, visto che nella sala eravamo in sette.
Sventolai su e giù la mano, come a dire "lasciamo perdere" e iniziai a chiarire un paio di cose: "Preferite che vi dia del tu o del lei?"
"Del tu", rispose sicuro il riccio, Harry.
"Preferite fare solo il giro in religioso silenzio e fare domande quando vi gira o fare il giro con io che parlo a manetta?"
"Dicci tu le cose fondamentali, dai. Però adesso tocca a noi.", intervenne il Moro numero uno.
Lo guardai sconcertata, ma lui mi ignorò: "Io sono Liam."
"Io sono Harry."
"Io sono Zayn"
"Io sono Louis", disse il Moro numero tre.
"Io sono Niall."
Annuii. Ce la potevo fare. Louis aggiunse: "Tu invece sei...?"
"Jordan.", risposi con voce incerta, non so perchè.
"Ok dai, iniziamo."
Odio ammetterlo, ma erano ottimi ascoltatori. Non so cosa avesse spinto cinque adolescenti famosi a venire nel nostro museo invece di andare per bar, o andare al Metropolitan, però erano sinceramente interessati. Mi facevano domande pertinenti e non del tutto stupide. Arrivammo alla fine della visita che erano le tre del pomeriggio, ci avevamo messo più rispetto al previsto ed io ero rimasta sinceramente sorpresa dai ragazzi.
Avevo visto mia cugina di dieci anni che comprava le loro figurine, e mi ero fatta l'idea di un gruppetto del cavolo, commerciale e tutto quanto. Beh, no. Erano amici, e di divertivano davvero.
Dico la verità. Più di un paio di volte, mi ero ritrovata a perdere il filo del discorso per poi riacchiapparlo al volo prima che se ne accorgessero, e tutto questo semplicemente perchè mi perdevo ad osservare la piega che prendevano le sopracciglia di Louis quando era concentrato, o il modo in cui si scostava stizzosamente il ciuffo, come se questo, coprendogli gli occhi per un istante, gli rubasse tempo prezioso che avrebbe potuto impiegare guardando le vetrine.
Il modo in cui incrociava le braccia e mi guardava annuendo, o gli sguardi divertiti che lanciava ad Harry Styles, il modo in cui alzava la mano per farmi una domanda, quasi che non fosse cresciuto per niente dalle superiori e fossimo stati ancora a scuola: tutto questo, e altro, era capace di farmi perdere il filo del discorso.
Jo, ti arrapi con niente. È solo un bel ragazzo.
Solo? Lo hai visto? Zio porcospino!

Ritornammo all'ingresso. JD era sparito, la mia pancia implorava zuccheri e il mondo girava leggermente. Liam mi guardò di sbieco: "Ti conosco da tre ore, ma mi permetti di dirti che sei pallida come un lenzuolo?"
Annuii corrucciando le sopracciglia. "Non ho fatto colazion stamattina."
Louis mi guardò negli occhi per un attimo e poi sorrise, mentre Harry sventolava la mano, offrendomela e dicendo: "Il prezzo dello scampato pericolo di una povera ciclista vale quello di un panino?"
Lo guardai. "Mi stai offrendo il pranzo perchè il tuo amico mi ha quasi uccisa?", chiesi indicando Louis col pollice.
"Bah-ah, sei una tipa sveglia. Mi piaci.", fece Zayn, felice che fossi arrivata al nocciolo della questione tanto in fretta.
Mi guardai intorno ridacchiando. Il Boss era sicuramente chiuso nel suo ufficio. Il sorvegliante dormiva in piedi. Qualche turista osservava Allan, il quale mi ammiccava come a dire: ehi, che aspetti? Vai, Dio santo.
Decisi che nessuno avrebbe sentito la mia mancanza.
"Ok, dai. Un panino non può che farmi bene."
Niall mi mise un braccio attorno alle spalle come se ci conoscessimo da tre anni invece che da tre ore e commentò: "Così tra un panino e l'altro ci racconti la tua vita, ah?"






Mi farò perdonare per 'sta merda di capitolo. Il prossimo giuro che sarà carino. Giuro. Sorratemi (?)
Much Love,
Sam

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Capitolo 3
*** 3rd Chapter ***


5 giorni fuori, 3 Chapter


La mia vita? La mia vita non valeva la pena di essere raccontata. La mia vita era noiosissima, a meno che uno non amasse sentirsi fare la telecronaca di un'esistenza in stile "Ma come fa a far tutto?", con la differenza che io non avevo nè l'età, nè il fisico di Sarah Jessica Parker, nè i suoi soldi, nè la sua fortuna sfacciata.
La mia vita non era il telefilm americano che sembra. Era... Più una cosa da pubblicità della Fiesta. A pranzo un panino al volo, adesso non ci vedo più dalla fame e quindi ingrasso con una Fiesta, per grande gioia del mio dietologo virtuale. Non ero certo così fusa da scambiare un portacipria per un cellulare, ma lo ero abbastanza da parlare con lo scheletro di un velociraptor.
Insomma.
Invece, risalendo al tempo profondo della mia infanzia, il felice tempo in cui non capivo perchè il cognome Pompone suscitasse tanta ilarità tra i maschi miei coetanei, non so cosa ci sia d'interessante da dire. Vivevo nell'Upper East Side.
Con i miei genitori, un cane di nome Foster e un gatto spelacchiato soprannominato da mia madre Alpha. Non c'era gattino nel quartiere che non fosse figlio suo, in effetti.
Forse l'unica cosa interessante da dire è che fino ai sedici anni ho visto uno psichiatra. Uno strizzacervelli, ecco. Soffrivo di una forma di depressione piuttosto rara. La gente tendeva a generalizzare, dicendo che anche lei ci era passata, ma dubito che qualcuno ci sia davvero "passato" stando tutti i pomeriggi sul tetto del palazzo a chiedersi se, gettandosi assieme ad una piuma, c'è anche solo la vaga possibilità che la piuma atterri accanto a te una volta adagiati entrambi sul comodo marciapiede.
Quando mia madre mi aveva sgamata le era preso un colpo, ma probabilmente mi aveva solo beccata nella posizione sbagliata al momento sbagliato; ero molto sporta di sotto per capire che fine avesse fatto il piccione bastardo che mi aveva rubato la Vigorsol.
Ovviamente, subito di filato da uno psicologo, e poi ancora un altro e un altro ancora. Non sapevo nemmeno io il senso di quel vagabondare in cerchio, inseguendo qualcosa di inesistente. Non sapevo di preciso cosa mi attirasse della "non vita", mentre sapevo per certo cosa non mi attirava della "vita", ma questo era troppo poco su cui lavorare per qualunque strizzacervelli.
Alla fine un incapace aveva certificato che ero guarita e  che avevo racimolato nel corso della terapia circa una settantina di ragioni per vivere e amare la vita (69, per la precisione. Equivoco, direi, dato che la numero tre era il sesso) e che stavo molto meglio.
Dovevo solo continuare a prendere lo Zoloft.
Adesso stavo bene. Ero a posto.
Ad ogni modo la mia vita era un vero casino, e prima o poi sarebbe dovuto arrivare il momento in cui sarei stata costretta a mettervi ordine, un po' come una stanza disordinata, o un città deserta lasciata in pasto ai piccioni. JD mi aiutava a dare solo una parvenza di ordine, ma non sarebbe mai stato sufficiente. Non avrei potuto abitare da lui per sempre. Finchè ero una sfigata, depressa, single, e lui era un tipo a posto, depresso, single andava anche bene. Ma cosa sarebbe successo se d'un tratto il mio stato su Facebook fosse diventato da "single" a "impegnata"? Avrei fatto sesso eccitante sul divano della casa di JD, mentre lui guardava Atto di forza con le cuffie per non sentire e sentirsi meno solo?
Oppure, se lui avesse trovato una ragazza, cosa sarebbe successo a me? Sarei stata io quella costretta a guardare la televisione con le cuffie a tutto volume, cercando di ignorare quelle fastidiose urla provenienti dalla camera da letto e concentrandomi sul David Letterman Show, deprimendomi con la pubblicità della Shweppes.
Era tempo di trovare un robottino che mettesse a posto la mia città, trattino discarica, trattino stanza, trattino vita.
Era tempo, forse, di accettare l'aiuto dei miei genitori che avevo sempre rifiutato.
Era tempo di imparare a farmi degli amici al di fuori di Allan  e JD e la tipa che la mattina mi dava le ciambelle da Starbucks, Elise.
Era tempo di mettermi in gioco, e di fare un magnifico Home run.

Tutto questo, ovviamente, non lo dissi ai ragazzi. Appiattii la mia vita movimentata con un: "Che volete che vi dica, vivo in un appartamento con un'altra persona e faccio praticantato al museo.".
Del resto, Liam appiattì la loro, parlando di giri per il mondo, musica e fan. Punto. Era la giornata del "liquidiamo la nostra esistenza".
Ad un certo punto Zayn, sorseggiando la sua Coca Cola, mi piantò addosso i suoi occhi scuri. Dio, anche lui era bello, cazzo. "Jordan... Se noi ti pagassimo per farci fare un tour di New York, accetteresti?"
Inghiottii il boccone del mio toast con lentezza, in modo che potesse fornirmi un alibi per il mio silenzio pensieroso. Cercai di valutare i pro e i contro. Questo significava soldi extra. Ma anche tempo in meno.
Non avevamo detto che dovevi mettere in ordine la tua stanza metaforica? Beh, sia metaforica che effettiva, hai i vestiti sporchi di una settimana sul pavimento.
Soldi o tempo?
Poteva anche essere divertente.
Zayn capì che stavo valutando e aggiunse: "Sei un'ottima guida."
"Per quanto, un pomeriggio?", chiesi ignorando il complimento.
"Cinque giorni.", intervenne Niall togliendosi le briciole dalla maglietta grigia.
CINQUE GIORNI? Facevo in tempo a impazzire.
"Cinque giorni sono tanti, come la metto col museo?", obiettai.
"Il tuo capo è d'accordo. Dice che hai cinque giorni per farci fare il giro di New York e se saremo soddisfatti lo diremo a lui e tu avrai un aumento.", replicò Harry serafico.
Un aumento. Mh, ci potevo fare anche un pensierino.
"Cinque giorni", ripetei come un automa per assimilare bene il concetto.
"Cinque giorni a nostra disposizione.", confermò Liam. Louis finora era stato zitto, osservando malinconicamente un piccione che beccava le briciole lanciate a terra dalla cameriera, fuori dal locale.
Non sapevo perchè, ma in quel momento mi interessava cosa ne pensasse lui. Gli davo fastidio? Non aveva ancora parlato. Forse era stata una decisione degli altri, contro la sua volontà.
Forse mi odiava... Ok, stavo ricominciando con le mie pare mentali. Obbiettività.
Lo osservai intensamente, era seduto davanti a me e stava maledettamente bene con quel maglione rosso, speravo che sollevasse gli occhi. Lo fece e sfoderò un sorriso. Non era un sorriso ridanciano, era più un sorriso generato dalla vista di qualcosa di piacevole dopo un pensiero malinconico o triste. "Allora, ci stai?", mi chiese senza smettere di sorridere.
Ci stavo? Massì, dai.
Invece di riordinare la stanza, trattino città, trattino vita, avrei potuto semplicemente cambiare ambiente.
Via dalla quotidianità.
Cinque giorni fuori dalla mia solita vita.

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Capitolo 4
*** 4rth Chapter ***


.5 giorni fuori, 4 Chapter


Insistettero perchè potessi avere una camera vicina alla loro, più piccina, nel loro albergo. Non ne capivo il senso, dal momento che io una mia casa ce l'avevo, per quanto piccola e stretta, ma capii presto che quando loro dicevano "5 giorni a nostra totale disposizione" intendevano proprio totale. Se avessero avuto bisogno di un consiglio sulla scelta dei sali da bagno del Kentucky o del Mexico alle tre di notte, io dovevo darglielo.
Ad ogni modo non mi dava fastidio, perchè il trasloco mi aveva costretta a mettere ordine quantomeno nel mio guardaroba, pulire tutti i vestiti, fare una mini-valigia, eccetera eccetera.
Arrivai a sera che, pure stanca, non riuscivo a prendere sonno. Mi sembrava ovvio. Dopo una giornata del genere, figurarsi se riuscivo ad addormentarmi.
Molta gente crede che il problema delle persone depresse sia esclusivamente la depressione in sè. E non è vero. Il mio problema, per esempio, era anche sempre stato l'insonnia da troppi pensieri. Mi sdraiavo nel letto e, per esempio, pensavo al fatto che, se quella mattina avessi saputo come sarebbe andata a finire la giornata, forse mi sarei alzata prima, o non mi sarei alzata affatto. Forse non avrei fumato la sigaretta. Forse avrei guardato il mio appartamentino in condivisione con più amore. Il che mi portava al pensiero di JD, a come l'avevo conosciuto, il che mi portava a pensare al museo, e quindi al mio lavoro, e quindi alla mia vita.
Un semplice pensiero, anche del tipo: "stamattina invece del latte avrei dovuto bere caffè" mi portava a pensieri concentrici e inarrestabili. Li definirei come le ciliege, uno tirava l'altro, ma la verità era che quel tipo di pensieri erano tutt'altro che gradevoli.
E anche quella notte fu così.
Andavo su e giù, sentendomi soffocare, quindi uscii sul balcone della stanza a prendere aria. Considerando che era uno degli hotel migliori di tutta New York, la vista era una delle migliori di tutta New York.
La osservai malinconicamente, meditando che di questo passo avrei potuto tentare il dolce sonno per sfinimento dal troppo poco dormire. Mi sporsi per un attimo di sotto ad osservare le macchine ed i taxi che sfrecciavano, ma poi faceva troppo freddo e fui costretta a rientrare.
La mattina dopo ero in piedi, vestita e pronta già alle cinque e mezza. Non avevo chiuso occhio per quasi tutta la notte, e non era stata una gran furbata, considerando tutto ciò che sarebbe successo dopo.


5 giorni dopo, 22 gennaio,  sera.

"Vuoi l'aumento?", mi chiese il Boss con aria esasperata.
"Si! Lo voglio! Ho fatto bene il mio lavoro!", mi lamentai pestando i piedi per terra.
"Hai fatto la guida per cinque giorni."
"Loro sono rimasti soddisfatti. Harry mi ha detto che mi avrebbe dato l'aumento.", obiettai.
"È vero, signore.", intervenne Harry alzando l'indice come si fa a scuola per prendere parola.
Il Boss ci squadrò malissimo e fece un gesto arrendevole: "D'accordo. Ora però fuori dai piedi, il museo sta chiudendo."
Uscii dall'ufficio con faccia soddisfattissima, camminando a passo militare spedito, tanto che Harry mi arrancava dietro. Non sapevo di preciso perchè, ma continuava a tenere l'indice in alto. Dopo poco, capii che era perchè voleva parlarmi guardandomi negli occhi, e cercava quindi di attirare la mia attenzione per farmi fermare.
"Posso...".
"No, Harry, non puoi. Stai zitto.".
"Almeno...".
Mi fermai di botto e lui mi andò a sbattere contro. Mi voltai e lo guardai negli occhi. "Non pensi di aver combinato già abbastanza guai?", gli chiesi con gli occhi socchiusi.
Hazza spalancò gli occhi e aprì la bocca, come a segnalare che era proprio di questo che voleva parlare.
"Lo so, e mi dispiace, ma sai, per tutta quella storia di Eleanor, non volevo che combinasse un altro casino."
"Non lo stava facendo!"
"ADESSO lo so, ma prima no... Cavolo, scusami.". fece una pausa mortificata e poi aggiunse: "Cosa provi quando lo vedi?"
Ci pensai un attimo e poi dissi, guardando Allan oltre la spalla di Harry: "Come se... mi avessero dato una cattiva notizia."
E prima che potesse fare altro oltre che alzare un sopracciglio aggrottato, aggiunsi: "Un balzo allo stomaco. Come se tutto il mio stomaco andasse sotto i piedi. Non capisco più niente. Però in senso buono, capisci?"
Harry rilassò il sopracciglio e annuì sollevato.
"Ok, sei quella giusta."
"Perchè?", fu il mio turno accigliarmi.
"Il sesto giorno che Eleanor stava con Louis, le ho fatto la stessa domanda. Sai cosa mi ha risposto?"
Scossi la testa.
"Qualcosa di caldo giù."
Scoppiai a ridere sprezzante per l'intelligenza di quell'oca. Rise anche Harry, poi tornò a guardarmi. "Ti va di guardare un film?".
Sospirai e poi annuii. Ero sola. JD quella sera era a dormire da un suo amico. Che male c'era?
"Guai a te se muovi la tua bella linguetta per sparare minchiate persuasive. Zitto. Al massimo puoi per commentare il film o sparare barzellette.", lo avvertii.
Annuì: "Signorsì capitano!"
Andò a finire che il film scelto faceva veramente schifo, e a metà mi sentii anche male, perchè per distrarmi avevo ricominciato a pensare a come aggiustare la crepa con Louis che Harry aveva, più o meno volentariamente, creato.  
E io ho sempre avuto un problema col vomito da stress. Non mi capitava spesso, era successo solo due o tre volte nella mia vita, ma mangiare popcorn nelle mie condizioni mentali ovviamente non aiutava.
Harry capì subito il problema, mi prese per mano e si slanciò verso il bagno. Mi inginocchiai sul freddo pavimento piastrellato di JD e mi chinai sulla tazza.
Vomitai colazione, pranzo, cena e popcorn.
Con la coda dell'occhio vedevo Harry osservarmi preoccupato, desideroso di fare qualcosa d'aiuto, ma non poteva farci proprio niente. Quando ebbi vomitato anche l'anima mi sciacquai la bocca e lavai i denti, pulii sommariamente il bagno, poi mi appoggiai con tutto il corpo al muro del bagno e scivolai giù, fino a sedermi sulle piastrelle. Harry si sedette accanto a me. Chiusi gli occhi per un attimo e li riaprii, e lo guardai. Sorrisi fiacca. "Ogni tanto capita."
Harry annuì cupo ma non disse nulla, così aggiunsi: "In cinque giorni mi avete sconvolto l'esistenza, sai? Ne avevo bisogno."
Harry mi regalò uno di quei sorrisi che non capita spesso di vedere sui volti della gente, uno di quelli che illumina anche gli occhi e fa sembrare chiunque la persona più bella del mondo. Non il tipo di sorriso che fai per un complimento e basta: più quando ti rendi conto che la persona che lo dice ci crede davvero, e ti raddrizza la giornata, allora sorridi così e raddrizzi la giornata anche a chi ti ha fatto il complimento.
"Davvero? Io pensavo che ci avessi sopportato solo... sai, per i soldi. E perchè siamo famosi.", disse.
"Forse all'inizio. Ma, credo, nemmeno all'inizio. Certamente, quando vi ho portati al dolciumificio meglio fornito di tutta New York il primo giorno ho capito che lo stavo facendo principalmente per divertimento."
Harry rise al ricordo: "Non parlarmi di dolci. Se ripenso a tutto quello che ha comprato Niall mi viene il mal di stomaco per lui.".
Ridacchiai anche io. "Il giorno migliore è stato il secondo."
"A me è piaciuto il quarto, ma effettivamente il secondo è stato epico. Ti ricordi al Dunkin' Donuts?", replicò il riccio.
Riscoppiai a ridere: "Vero! Lo avevo rimosso!".
Rimanemmo in silnzio per qualche minuto.
"Come fa una persona a cambiarti tutto in cinque giorni? Cinque sono pochi, cazzo.", fece lui dopo un po'.
Sorrisi anche io. Uno di quei sorrisi che ho descritto prima.
"Non so. Di chi parli? Di me?"
"No, veramente parlavo di Nolan."
Nolan è il mio capo, il Boss, per intenderci. Gli diedi un pugno amichevole sul braccio e poi appoggiai la testa sulla sua spalla: "Se penso che la mattina del primo giorno ti ho dato del montato..."
"Io ho pensato che eri un'esaurita depressa. Ci siamo inquadrati subito, eh?"
Aveva ragione, ci eravamo inquadrati subito. Dal primo istante.






Angolo me

Un capitolo al giorno ohohohohoho. Però @acciologan mi ha messo di buon umore e.e Quindi ho postato in anticipo. Che ne dite? Cos'avrà combinato Hazzino, che non so perchè ma continuo a chiamare Harold?
Alla prossima puntata!

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Capitolo 5
*** 5th Chapter ***


5 giorni fuori, 5 Chapter


1º giorno, 18 gennaio, mattina

Stavo mescolando da dieci minuti la stessa tazzina con la stessa quantità di caffè e di zucchero, fissando un punto fermo del tavolo, quando i ragazzi arrivarono in sala per fare colazione.
"Dio santo, sono le sette e mezza. Da quanto sei sveglia?", mi chiese Liam prendendo posto accanto a me.
"Da ieri mattina alle nove.", replicai malinconica.
Liam emise un fischio di compatimento solidale e azzannò una brioche con un po' di latte.
"Non hai preso un sonnifero?", mi chiese Louis osservando una ciambellina glassata come se fosse appena uscita dalla Fabbrica delle Meraviglie di Willy Wonka. Neanche lui, comunque, sembrava proprio arzillo. Vedi te, uno che predica bene e razzola male.
Sentii il mio battito cardiaco aumentare mentre rispondevo: "Non posso, prendo già un'altra medicina e se la combino col sonnifero ci lascio le penne."
Vidi con la coda dell'occhio che Zayn mi lanciava un'occhiata penetrante, ma io ostentai una faccia da poker da fare invidia a Lady GaGa. Non avrebbero saputo un decimo dei miei problemi. Non volevo. Dovevo solo essere una guida, no?
"Oggi iniziamo con il Metropolitan. È il più comodo da raggiungere, e poi fa freddo, quindi direi di avviarci subito lì.", sviai la conversazione. Annuirono docili e, conclusa la colazione, indossammo giacche, cappotti e cappelli e ci avviammo a piedi verso il Metropolitan.
Camminando, io stavo davanti a fare strada; ad un certo punto mi si affiancò Zayn, che mi lanciò un'altra occhiata penetrante. Cercai di fare buon viso a cattivo gioco: "Ehi.", lo salutai impacciata.
Lui ricambiò con un gesto della testa, sembrava cupo, come arrabbiato, ma secondo me era solo pensieroso. "Cosa prendi di così forte da non poter inghiottire sonniferi?"
Deglutii, sentendo i sudori freddi. Mi ero detta di fare un lavoro pulito, impersonale, ma come si faceva a rimanere impersonali davanti a quei due occhi scuri? Sembrava che ti urlassero: dimmi anche che ti droghi, ti capirò comunque, o almeno ci proverò.
"Zoloft.", dissi a mezza voce calciando una pallina di gomma col piede verso un bambino che la stava inseguendo da mezz'ora per tutto il marciapiede.
"Zoloft? Cazzo. Sei un bel casino.", commentò il moro sorridendo alla vista del bambino, la cui faccia si era illuminata una volta raggiunta la pallina.
"Grazie.", commentai acidamente.
"Oh. Scusa, non intendevo... sai, in quel senso. Mi dispiace, è una cosa seria?", cercò di rimediare Zayn sapendo già la risposta.
"Io ho... Ci ho provato due volte.", dissi con voce spezzata. E in quel momento, capii che davvero non avrei potuto tenere fuori quei cinque esseri dalla mia vita: Zayn non fece doppi sensi a cazzo, mi mise solo un braccio attorno al collo e mi diede un bacio sulla guancia.
"Meno male che non ci sei riuscita."
L'aria da spaco botilia amazo familia era svanita, sostituita da una sincera preoccupazione per una persona che conosceva appena. Sorrisi impacciata e ricambiai lo sguardo. "Grazie."
Zayn annuì. Capii che la conversazione si era conclusa su questo fronte, ma lui non tolse il braccio dalla mia spalla. I ragazzi mi chiesero di fermarsi davanti ad un negozio, ma lui restò fuori con me.
"Ehi", aggiunsi. "Vuoi vedere una cosa fantastica?"
Lui mi guardò senza capire.
Io gli feci segno di avvicinarsi ad un barbone che stava all'angolo tra le due strade a guardare una grondaia da cui gocciolava acqua.
"Hey, Frank!", lo salutai.
"Mh. Non ci sta.", rispose lui a casaccio. O forse in una logica tutta sua.
"Frank... 33.", feci io.
"Non ci sta. Tornerai a casa non prima di sera.".
"69...?", gli chiesi reprimendo una risata per la faccia di Zayn.
"L'impurità va premiata se praticata con pudore."
Stavo soffocando. Gli occhi del moro erano a palla: "Che cazz...?"
Gli feci segno di allontanarsi e gli spiegai: "Ad ogni numero che dici a Frank lui ti dice una frase. Una massima che ha sentito o una predizione.", feci guardandolo salutare una briciola di pane sul marciapiede. "È il mio idolo", aggiunsi ridendo.
Zayn si unì a me e iniziò a ridere. "Ma dai. Ehi, Frank!", gli urlò. "60?"
"Non ci sta. Maschio e femmina, maschio e femmina."
Zayn si piegò in due dalle risate. Anche io fui costretta ad abbassarmi, perchè aveva ancora il braccio attorno al mio collo, ma mi sarei piegata comunque.
"Mi manca l'aria!", esclamò lui dopo un po' che rideva. Poi si interruppe e mi guardò: "Ma cosa sono queste interessanti conoscenze? Non bazzicherai nei bassifondi di New York?"
Riprendemmo a ridere. "No, scemo. Ho conosciuto Frank all'Argenon Hospital. Poverino."  
Zayn annuì. "Tu... tu non eri così, vero?"
Tornai seria all'istante. "La depressione non è una forma di demenza, Zayn. I depressi hanno capito più degli altri com'è fatto il mondo, ma sono troppo diversi e intelligenti per potervi vivere. Quindi per "salvarli" li sbattono in cliniche psichiatriche. O li riempiono di medicine, in modo tale che si autoconvincano che gli uccellini cantano per loro e la vita sia fantastica."
"Posso chiederti...?"
"Spara."
"Non mi sembra la visione del mondo di una persona che è guarita."
Gli sorrisi di sbieco. "Il fatto che io sappia ancora come funzionano davvero le cose non significa che io faccia ancora parte di quella cerchia di gente che ha capito come gira il mondo."
Sebbene non fosse una vera risposta, e ne fossi consapevole, vidi che a Zayn piacque.
Mi guardò facendo un sorrisetto di sbieco e poi disse, con voce innocente: "Ora che mi hai detto il tuo segreto siamo BFF?"
"Ovvero?", risposi evasivamente trattenendo una risata, falsa come Giuda.
Lui mi si avvicinò e mi urlò nell'orecchio: "Best Friends Forever, ovvio!"
Riscoppiai a ridere. "Come no, Malik. Forever, proprio."
"Così ferisci i miei fragili sentimenti."
"Sono spiacentissima. Come posso ricucire lo strappo che si è creato tra di noi?"
Zayn ci pensò su per un attimo. "Voglio un abbraccio e una sigaretta!", annunciò poi battendo le mani come un bambino di tre anni.
Ok, Zayn, vada per l'abbraccio e la sigaretta.
Mentre era a metà della sigaretta i ragazzi uscirono dal negozio con delle buste in mano; vedendoci ridacchiare, Liam ci chiese se si fosse perso qualcosa, ma noi ci limitammo a tacere e Zayn a buttare la cicca in un tombino.
"Non eri nemmeno a metà", brontolai, ma lui mi sorrise e mi disse che a Liam il fumo dava fastidio.
Sorvolai sulla questione e feci loro segno di rimetterci in marcia, verso il Metropolitan.
Impiegammo un bel po' di tempo per visitarlo tutto, e la morale della favola fu che, quando uscimmo, era mezzogiorno.
Pranzammo con un panino, seduti su una panchina fuori di una panetteria. Il sole si stava scaldando e si stava abbastanza bene.
"Potresti smetterla di specchiarti nel finestrino di quella macchina? Hai rotto.", commentai acidamente ad Harry.
"Sto osservando la magnifica ragazza al suo interno sperando mi riconosca."
"Montato. Sei un montato assurdo."
"Acida esaurita."
"Oggi pomeriggio vi porto a visitare alcuni dei quartieri della Lower Manhattan. Però prima, dopo questo panino veramente schifoso, vi porto a mangiare il dolce.", decisi di ignorarlo.
Le orecchie di Niall si drizzarono all'istante: "Ho sentito la parola dolce."
"Hai sentito bene. È qui dietro l'angolo, è enorme, uno dei migliori dolciumific..."
Liam, Niall e Louis scattarono in piedi. "DOV'È?"

Se il programma era di arrivare a Little Italy per le due, ci arrivammo alle quattro e mezza. I ragazzi avevano perso qualcosa come un'ora e mezza nel negozio di dolci, comprando sacchetti su sacchetti, caramelle, muffin, ciambelle e dolci a iosa. Niall e Louis in particolare erano in un brodo di giuggiole.  
"Avremo messo su qualcosa come venti chili", commentò in effetti Louis tenendosi la pancia una volta usciti da quella sottospecie di paradiso terrestre.
"Colpa vostra, li smaltirete correndo inseguiti dalle fans", commentai io svoltando a destra e passando davanti ad un ristorante napoletano.
"Giusta osservazione. Allora, dopo questi magnifici dolci che si fa?", fece Liam sghignazzando.
"Facciamo un giro in questi quartieri. Vagate liberi e ci ritroviamo qui tra esattamente...", controllai l'orologio. "...tre ore. Poi andiamo da tutt'altra parte."





Angolo me :)
Che ne dite del capitolo? Momento Malikkoso a tutto spiano u.u Non so che dirvi, sono senza idee. Vi voglio bene <3

Sam (@louiisvoice)

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Capitolo 6
*** 6th Chapter ***


5 giorni fuori, 6 Chapter


1º giorno, sera

"Non mi aspettavo che per te 'tutt'altra parte' fosse l'albergo", commentò Louis sedendosi accanto a me sul divano della hall.
"Liam mi ha chiesto di fare tappa, non so perchè. Dopo usciamo di nuovo in un locale qui vicino.", replicai sfogliando una rivista sportiva. "Come ti pare finora New York?", gli chiesi senza staccare gli occhi dalla pagina sul baseball. Non volevo vedere i suoi, di occhi, mi avrebbero distratta sicuramente. Quel pomeriggio avevo più volte sperimentato che rischiavo di annegarci dentro. Vidi con la coda dell'occhio che anche lui guardava una rivista ed evitava di osservarmi. Per forza, a passare davanti alle vetrine si incrinavano. No, forse ero esagerata, però non mi ero mai sentita molto sicura di me stessa, e il fatto che lui evitasse di guardarmi mentre mi parlava non aiutava certo a mantenere intatta la poca autostima che avevo.
"È molto... Caotica, sai.", disse lui soffermandosi sull'aggettivo e sollevando lo sguardo per puntarlo in un punto indefinito sulla moquette.
"Vieni da Londra", obiettai osservando i punteggi della settimana. Un tizio aveva fatto un homerun dopo poco l'inizio della partita.
"Lo so. Ed ero anche già stato qui. Ma visitarla da dentro, non so come dire, in profondità, con tutte le sue sfaccettature, è... Non so. Una città che, dopotutto, non dorme mai la notte. Però, mentre Londra non riposa mai, ma la notte sembra quasi che si stia concedendo ore di relax dopo il lavoro, qui no... Qui New York lavora ventiquattro ore su ventiquattro. È come vivere in un ufficio che non chiude mai."
Alzai gli occhi dalla rivista e li posai su di lui, scordandomi che fino a quel momento mi ero imposta di evitarli. "È vero, hai ragione. Probabilmente è la definizione più esatta di New York che io abbia mai sentito fino ad adesso.", ammisi lanciando poi la rivista sul tavolino di cristallo. La rivista diede una botta al posacenere, che cadde sul tappeto e si scheggiò.
"Porca zozza puttana ladra.", ringhiai tra i denti raccogliendolo. Mi guardai intorno per cercare un posto dove nasconderlo, e infine lo occultai sotto i cuscini del divanetto. Solo dopo aver nascosto l'oggetto incriminante mi resi conto che Louis stava ridendo. Silenziosamente, strizzando gli occhi, tenendosi la pancia, ma stava innegabilmente ridendo. La testa gettata indietro era appoggiata su un bracciolo del divano, e tutto il corpo andava su e giù, su e giù nel tentativo di non rendere pubblico a tutto l'atrio quel tremendo accesso di risa.
"Cosa cavolo ridi?", gli chiesi, senza riuscire a sembrare davvero indignata. Stavo ridendo anche io, ma semplicemente per puro contagio. Non avevo idea di cosa ci fosse di divertente nel posacenere.
"La... la... faccia che hai fatto!", singhiozzò Louis tra le risate. Io aggrottai le sopracciglia e tirai leggermente indietro la testa con un guizzo del collo: "Ma dai!", feci interrogativamente.
Louis mi guardò annuendo e riprese a ridere: "Esatto, esatto! Si, si, si!", fece sconnesso. Per contro, io scossi la testa sorridendo e mi alzai dal divanetto. "Voi siete tutti matti."
Louis smise di ridere istericamente e si alzò anche lui dal divanetto. Mi prese repentinamente per un polso, costringendomi a voltarmi. "Ehi", mi chiamò. "Non ti sei offesa, vero?"
"Io? Ma figurati!". Fu il mio turno ridere gettando indietro la testa. Louis annuì sollevato, poi mi lanciò un'occhiata, insieme complice e furtiva. Controllò che nessuno del personale stesse guardando e poi si chinò sul divanetto, per occultare meglio il posacenere scheggiato.
"Ecco", disse soddisfatto. "Non lo scopriranno fino alle pulizie di primavera, e fino ad allora noi siamo al sicuro. Poi chiameranno l'FBI e saremo fottuti, anche io che non ho nessuna colpa."
Gli sorrisi: "È occultamento di cadavere, favoreggiamento e intralcio alla giustizia, signor Tomlinson."
"Giuro la mia innocenza sulla Bibbia, avvocato... Avvocato..." corrugó le sopracciglia, un gesto che mi fece venire voglia di sporgermi e distendergliele con l'indice. Poi aggiunse: "Come fai di cognome?"
"Odair, ma la cosa non deve interessarla, imputato."
Annuì con convinzione e un vago cipiglio patriottico.
"Dove ci porta di bello stasera, avvocato?", disse facendo la voce grossa e gonfiando i muscoli del braccio nel porgermelo a mo' di gentiluomo.
"A ballare, ma non se lo meriterebbe. Con tutti i dolci che ha mangiato...", replicai prendendolo a braccetto.
Louis distese la sua aria da macho e riacquistò quella dolce che mi aveva colpito sin dal primo istante. Beh, a parte il primo primo primo, in cui aveva rischiato di ammazzarmi.
Comunque sto divagando. Mi disse: "Posso farmi perdonare e meritarmi questa serata di Viva la Vida?"
Assunsi un'aria falsamente pensierosa. "Mh, ma no, dai. Ti perdono a prescindere."
Louis si strinse nelle spalle e fece un faccino da bambino felice. "Che dolce che sei, Odair!"
"Dolcezza è il mio secondo nome, biscottino."
"Chi ha chiamato chi biscottino?", chiesero all'unisono Niall e Zayn. Il primo era appena tornato dal bagno pubblico dell'albergo con Harry, il secondo dalla stanza con Liam. Non li avevo visti. "Posso chiamare così anche voi, se vi fa sentire a vostro agio.", replicai. Louis represse una risata mentre Liam annuiva convinto: "Non è una cattiva idea. Per tutta stasera devi chiamarci "biscottino", oppure ce ne lamenteremo con chi di dovere."
"Come siete viziati...", feci io sghignazzando ma lanciando un'occhiata preoccupata ad un quarantenne con una sigaretta in bocca che, appena preso posto sul divano della hall, stava disperatamente cercando il posacenere.
"...biscottini.", aggiunse Niall enfatizzando il concetto puntando l'indice verso il basso.
Mi sciolsi in un sorriso e ripetei: "...biscottini. D'accordo. Siamo pronti?"
"Tutti pronti", replicò Harry allargando le braccia e parlando a nome di tutti.
"Bene. Si parte. Non perdete briciole per strada, alla discoteca ci dovete arrivare interi.". Mi avviai verso l'uscita, ma la vista del quarantenne che gesticolava verso un tizio della reception biascicando qualcosa in quello che mi parve francese mi bloccò.
"Parce que je ne trouve pas le cendrier? Jusqu'à récemment, était là!" , blaterava il quarantenne.
"Calmez-vous, maintenant je lui donner une autre...", replicò il poveretto della reception.
Louis lanciò un'occhiata prima a me, poi al francese, poi al divanetto. Scossa brevemente la testa e posò entrambe le mani sulle mie spalle: "Su. Fuori di qui. Se la caveranno anche senza quell'affare."
Io mi lasciai trascinare ma tenni lo sguardo fisso sul francese fino all'ultimo, torcendo la testa, divorata dai sensi di colpa.
"Questo è intralcio a tentativo di divertimento, avvocato.", mi ammonì ancora Lou.
"Oh, ehm... Non credo che esista.", replicai distratta.
"Certo che esiste. Nel vocabolario Tomlinson è sottolineato con evidenziatore giallo: chiunque si rifiuti di condurre i propri biscottini fino alla discoteca."
"Pena...?"
"Solletico."
"Mi arrendo a priori, mr. Tomlinson."
"Così si che iniziamo a ragionare, Odair."



Capitoletto! Non so cosa scrivere nello spazio me, e in più c'ho pressia di andare a vedere gli EMA (abbiamo vinto le best faaaaaaaaaaaaaaaans! *salta*)
Quindi mi dileguo.
Sam (@louiisvoice)

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Capitolo 7
*** 7nth Chapter ***


5 giorni fuori, 7 Chapter

 


2º giorno, 19 gennaio, alba/mattino

Prima cosa che ho imparato a scarrozzare i One Direction in giro per New York: mai portarli in discoteca. Rientrai stanca morta all'una di notte. Avevamo avuto diversi problemi, tra cui i paparazzi, Harry e una biondina leggermente ubriaca, uno stuolo di ragazze adoranti e un taxi che non ci teneva tutti al suo interno per tornare all'hotel. Posai la borsa sul letto e sospirai, esausta. Mi tornarono in mente le parole di Liam, nel taxi: "Non so perchè non abbiano già scoperto dove ci troviamo. Non ne ho proprio idea. Se no altro che 5 giorni in giro per New York, saremmo sommersi ventiquattro ore su ventiquattro dalle fan.".
Mi piaceva Liam. Era un tipo calmo, che trovava la soluzione a qualsiasi problema e la risposta a qualsiasi domanda. Il tipo di persona, insomma, con cui mi avrebbe fatto comodo avere una relazione. Lui si che avrebbe messo ordine nella mia vita, ragazzi.
Sfortunatamente, sebbene riconoscessi che era un bellissimo ragazzo, non mi attirava in quel senso. E peccato, perchè era anche single. Scossi la testa, perfettamente sobria.
Non avevo avuto proprio la possibilità di ubriacarmi, quella sera. Considerando quel che era successo, era stata una decisione saggia, o i ragazzi avrebbero fatto fatica a ritrovare l'hotel e, soprattutto, la stanza.
Mi spogliai di quei vestiti scomodi e rimasi un attimo, completamente svestita, in mezzo alla corrente che proveniva dalla porta finestra aperta. Magari mi sarei ammalata, chi me lo faceva fare di portarli in giro per altri quattro lunghissimi giorni?
In fondo però era stato divertente.
Osservai quel che potevo intravedere di New York dalla mia postazione. Si stava incredibilmente bene, malgrado il freddo. Chinai il capo per osservare il mio corpo.
Non era brutto, bisogna essere obbiettivi. Era carino. Ma si, perchè poi io alla fine non ero mica brutta. Solo che non trovavo tempo per curare me stessa, ecco.
Scossi la testa come per scacciare un pensiero ronzante e mi avviai verso la finestra per chiuderla. Come mi mossi, sentii un fruscio leggero, che non proveniva da me ma dal fuori.
Ancora un piccolo sbuffo, poi nulla.
Mi misi velocemente la vestagli e uscii sul balcone a controllare, ma non c'era proprio nessuno. Feci spallucce e rientrai per lavarmi i denti e infilarmi a letto.
Dopo dieci minuti che avevo appoggiato la testa sul cuscino, senza nemmeno andare sotto le coperte o mettermi il pigiama, capii che avrei passato un'altra notte insonne; così mi alzai e mi diressi verso la finestra per uscire, ma non lo feci.
Guardando verso sinistra potevo infatti vedere il balcone della stanza accanto alla mia, ovvero quella dei cinque ragazzi. E proprio su quel balcone stava Louis Tomlinson, ancora completamente vestito, in apparenza ad osservare la città. Ma in realtà, appena un pullman passò nella strada a cinque piani di distanza da me, piena di lucine stupide e turisti stupidi, per un attimo il suo volto venne scarsamente illuminato e per un istante vidi che aveva gli occhi chiusi. Il volto era leggermente rivolto verso l'altro, le mani nelle tasche dei jeans, l'espressione tipica di chi è turbato ma si trova in una situazione che gli regala pace.
Non uscii sul balcone, e rimasi ad osservarlo.
Rimasi lì fino alle cinque e mezza di mattina, poi lui rientrò ed io, seduta per terra con la guancia destra appoggiata contro il vetro della finestra, scivolai lentamente nel sonno.


Un tonfo. Poi un altro tonfo. Poi un altro ancora.
Aprii gli occhi appena mi giunse alle orecchie la voce preoccupata di Zayn: "Jordan! Jordan! Jordan, ci sei? Jordan!"
Schioccai la lingua e mi alzai dal pavimento.
"Jordan! Rispondi!"
Gli aprii la porta appoggiandomi allo stipite e lo guardai con un sopracciglio inarcato: "È il mio nome, non sciuparlo."
Zayn mi guardò con un misto di sollievo e risentimento. "Fai poco la spiritosa. Pensavo che forse..."
"So cosa pensavi. Ma dopo tra quattro giorni come ci arrivate all'Avon Theatre da Mamma Paul che vi aspetta se non vi ci porto io? Nah."  
Zayn mi regalò un sorriso mattutino e allungò le mani per aggiustarmi il colletto della vestaglia, sotto cui ero nuda.
Voleva coprirmi la scollatura, e non voleva farlo andando in zona. Apprezzai.
"Oh, grazie. Mi sono addormentata prima di potermi mettere il pigiama."
Annuì con impazienza, non gli importavano le mie giustificazioni, era solo felice che stessi bene: "Pensi di vestirti? Sono le otto."
Sgranai gli occhi: "Le otto? Oh merda. Mi dispiace!"
Gli chiusi la porta in faccia e iniziai a vestirmi con una velocità che solo una perenne ritardataria poteva avere. Quando riaprii la porta Zayn era nella stessa posizione in cui lo avevo lasciato, solo con un'espressione divertita in faccia.
"Che c'è?", gli chiesi imbronciata e scarmigliata.
Lui represse una risata. "Stavo cercando di contare sulle dita delle mani quante ragazze mi sbatterebbero la porta in faccia, ma per ora ne ho trovate solo quattro. Tre delle quali sono le mie sorelle."
Scoppiai a ridere imbarazzata, ma lui non sembrava offeso e quindi lasciai perdere.
Scendemmo insieme, i ragazzi erano già nella hall ad aspettare comandi. Niall mi lanciò al volo ciò che era rimasto di un pacchetto di biscotti e Harry mi passò un bicchiere di caffè. Presi entrambi senza rallentare l'andatura, dritta spedita verso l'uscita dell'hotel. "Bravi, faccio colazione mentre andiamo. Oggi si fa un altro museo e poi si pranza sano."
"Perchè sano?", chiese Niall confuso affrettando il passo per starmi dietro.
"Perchè oggi mi gira così.", risposi brillantemente. Inghiottii quattro biscotti e sei sorsi di caffè, poi buttai tutto in un cestino sul marciapiede della Amsterdam Avenue.
"Avete portato gli ombrelli come ho detto ieri sera?"
"Perchè, ieri sera ci hai detto di portare ombrelli?", chiese Louis aggrottando le sopracciglia.
"Sì, ve l'ho detto. Liam, almeno tu che eri sobrio.", lo pregai con lo sguardo.
Ma il moro scosse la testa imbarazzato: "Non ho proprio recepito!"
"Potresti rallentare?", intervenne Niall arrancandomi dietro.
"No. Hop hop.", replicai bruscamente. "Tra trecento metri girare a destra.", aggiunsi poi.
Ci ritrovammo davanti ad un edificio grigio fumo. Aprii la porta di vetro cedendo il passo ai miei accompagnatori: "Prima i divi. Prego, entrare nel museo, grazie."
Harry ignorò l'invito e si piantò sulla soglia: "Non succede nessuna catastrofe se non abbiamo gli ombrelli, vero?"
"No. Ma la prossima volta se non li avete tornati in hotel prendo coltelo e sbrago l'ombrelo, intesi? Ora entra, abbiamo poco tempo."
Harry annuì fiducioso senza muoversi: "C'è il sole, a che serve l'ombrello?"
"Servirà.", mi limitai a rispondere. Lasciai andare la porta di vetro, che andò a chiudersi dritta dritta sul sedere di Styles. Mi guardò storto.
"Così impari a ubbidire quando ti si dice di entrare.", risposi con dolcezza affettata.


"Se tornerò a New York, mai più lì dentro!", gemette Zayn sedendosi su una panchina di Central Park e stendendo le gambe.
"Perchè? Non era mica brutto.", replicò Liam scartando la sua vaschetta d'insalata con la destra e reggendo il panino nella sinistra.
"Giusto. Era allucinante.", rettificò il pakistano gettando la testa all'indietro. "Liam scusa, ma mi serve una sigaretta.", aggiunse poi. Si alzò e andò tre metri più avanti per fumarne una. Io ero l'unica rimasta in piedi, e guardai gli altri tre sulla panchina con un sorriso incoraggiante: "Voi? Nessun parere?"
Louis fece spallucce, imitato subito da Harry, il quale però aggiunse: "Senza tener conto della mia meravigliosa figura di merda."
Prima che potessi replicare, Niall alzò la mano, come si fa a scuola: "Io ho un parere. Lo mangi quel pacchetto di gallette che hai in mano?".
Spostai lo sguardo da Niall, al pacchetto di gallette, a Niall. Sorrisi: "Vieni a prendertelo."
Niall inghiottì l'ultimo morso del suo panino e poi si alzò dalla panchina; si diresse verso di me tenendo la testa bassa, come fa un toro che sta per caricare il torero.
"Vieni qui, pacchetto di gallette!", esclamò gettandosi su di me e bloccandomi in vita con entrambe le braccia stile placcaggio.
"Ouff! Piano!", esclamai mettendomi a ridere mentre l'irlandese, sempre attaccato alla mia vita con le braccia e la testa appoggiata sul mio stomaco, si metteva a girare intorno e a trascinare me in quel giro senza senso.
"Gallette, gallette, galletteee!", canticchiava come un demente mentre io cercavo sia di liberarmi che di non inciampare nei suoi piedi. Entrambi i tentativi fallirono miseramente, e ci ritrovammo per terra mentre gli altri quattro ridevano come cerebrolesi. Io ero ancora sdraiata a pancia in su quando il ciuffo biondo di Niall comparve sopra di me sorridendo. Annuì convinto e mi sfilò il pacchetto dalle mani confermando il concetto di poco prima: "Gallette."
Riscoppiai a ridere, mentre Zayn tendeva la mano al biondo per aiutarlo a rialzarsi e Liam aiutava me. Mi spolverai per bene per togliere qualsiasi traccia di ghiaia sul mio cappotto e poi mi rivolsi a Harry sogghignando: "Ritornando al discorso di poco fa... Te la sei cercata, Harry."
Harry si rabbuiò: "Voi yankee avete un modo diverso di parlare, non è colpa mia!"
Io, Louis e Liam ci scambiammo un'occhiata, decidendo o meno se metterci a ridere, ma alla fine non riuscimmo a resistere.
"Siete dei cretini.", s'imbronciò il riccio.
"Harry, hai chiesto se potevi avere un gommino per segnarti il numero del guardaroba!", replicai piegata in due dal ridere.
"Un gommino è un gommino, Odair. Una cosa per cancellare."
"Ma soprattutto per prevenire, direi."
"Quello a casa mia é un preservativo."
"In America no! "Gommino" uguale a "stasera non voglio procreare".", ribattei enfatizzando il concetto tenendo le mani rigidamente unite a preghiera e spostandole verso sinistra come se stessi tagliando qualcosa.
Harry brontolò: "Beh, grazie per l'informazione tardiva."
Mi sedetti tra lui e Niall per consolarlo, cosa difficile dal momento che mi scappava da ridere: "Dai, la tipa del guardaroba non ti ha sentito, tranquillo."
Lui la guardò con la coda dell'occhio: "Dici?"
"Dico, dico. Vero Liam?", feci con un'occhiataccia al moro, per intimargli di tacere che la tipa del guardaroba aveva sentito eccome.
"Assolutamente. Secondo me era sorda.", rispose Liam frettolosamente.
Louis annuì convinto mentre Niall aggiunse, masticando: "Toh Harreh, ti regalo una galletta."
Harry sorrise e io guardai il biondo sorridendo: "Quanto sei stupido, Horan..."
Lui scoppiò a ridere, ma non rispose.

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Capitolo 8
*** 8th Chapter ***


5 giorni fuori, 8 Chapter


 

 

22 gennaio, sera. Bagno di JD


Sorrisi nel ricordare quell'episodio: "Sai Harry, ripensandoci forse un po' vi sopportavo, all'inizio."
Harry mi guardò e sorrise: "Non avevo dubbi, ovvio che ci sopportavi. Poi però hai iniziato a divertirti sul serio, no?"
Annuii. "Più o meno da quel momento, a dir la verità. Da lì ho deciso che potevo fare finta che fossimo amici."
Harry sgranò i suoi enormi occhi verdi: "Finta? Non lo siamo mai stati?", mi chiese, ferito.
Appoggiai la testa sulla sua spalla. "Non all'inizio. Andiamo, Hazza. Pensaci. Quale persona comune, sana di mente, potrebbe pensare che portando in giro cinque giorni delle pop star mondiali possa nascere un'amicizia? È una cosa fuori dal mondo, soprattutto per chi non vi conosce. Avete fan in tutto il mondo, gente che sa quando siete nati e dove siete nati. Quante sorelle avete, se i reni vi funzionano, dove avete i tatuaggi e cosa vi piace. Alla fine siete amici di tutti, senza essere amici di nessuno." 
Harry chinò il capo. Era ferito dalle mie parole, ma sapeva che avevo ragione. Il concetto di amicizia vera non poteva essere applicato al rapporto che avevano con le fan.
Amicizia, quella profonda, è quando stai in un bagno a parlare fregandotene di tutto e tutti. Amicizia è confidarsi. Guardare un film, ridere, correre, piangere insieme.
"Hai ragione. Ma fa male lo stesso pensarci.". Poi, come per enfatizzare che io rientravo nella categoria "Amici Veri", mi diede un bacino sulla testa.
"Sai cosa mi ha bisbigliato Louis il primo giorno al museo? Tu stavi spiegando il mito di Eco, e lui..."
"Mi ricordo.", lo interruppi.
"Mi ha detto: quella ragazza non rientra in nessuna categoria che io conosca.". Lo disse come se fosse una cosa importante, ma io non capivo, e lo ammisi senza problemi.
"Spesso," spiegò lui, "quando siamo in viaggio e ci sentiamo virtuosi guardiamo le fan, le loro foto. E le classifichiamo in categorie, associandole ad un membro della band. Non è raro che qualcuna non rientri in nessuna categoria preesistente, costringendoci ad inventarne una nuova. Di solito però riusciamo sempre ad associarle ad uno di noi. Ma tu... Lou non riusciva ad inventarne una per te. Non riusciva ad abbinarti. "
"Sono insulsa.", replicai con un nodo alla gola.
"No! No, è il contrario. Non riusciva ad inquadrarti perchè sei... sei tu. Te stessa è la tua categoria. E non riusciva ad associarti perchè farlo sarebbe significato associarti a se stesso, e in quel momento lui non era in grado di gestire l'attrazione per un'altra persona."
Sollevai la testa dalla sua spalla e lo guardai, non riuscendo ad evitare di avere gli occhi lucidi.
"Lui me lo ha detto cosa è successo la sera del secondo giorno. Me lo ha detto, avrei dovuto capire che non eri come Eleanor, ma non l'ho capito affatto. Mi sono solo preoccupato che stesse correndo troppo. Eppure già dal primo giorno, se io fossi stato un buon amico, avrei dovuto capire come sarebbe andata a finire. Liam me lo aveva detto. Stanne fuori. Ma io no, ovviamente. Sono stato cieco e sordo, l'ho ignorato e adesso Lou è da solo a vagare per New York, o forse con Niall, tu sei qui con me a prendere freddo sul pavimento del bagno e a inghiottire Zoloft come fossero smarties."
Il suo tono era di un'amarezza insopportabile.
Aprii la bocca diverse volte, e diverse volte la richiusi. In quel momento la bocca del mio stomaco era più chiusa di un container contenente materiale nucleare, avevo le lacrime agli occhi e facevo fatica a respirare.

Jordan non piange. Jordan supera tutto quanto con la logica.
«La mia piccolina non piange, vero che non piange?»
«Non piango, papà.»

«Piangere non serve a niente, Jordan. Non risolve i tuoi problemi, o si?»
«No, dottore. Non risolve proprio nulla.»


Quando finalmente la prima lacrima traballò fuori dall'occhio e scese lungo la mia guancia, sentii il container che si spalancava di scatto, il peso sul diaframma venne sbalzato via e tirai una lunga boccata d'aria.
Harry non parve sconcertato, o altro. Mise semplicemente la mano sinistra dietro la mia nuca e mi trasse a sè. Baciò la mia guancia nel punto in cui era ferma la prima lacrima. La baciò ancora nel punto in cui si era soffermata la seconda. Poi allargò le braccia e lasciò che potessi tuffarmici dentro, bagnandogli la sua maglietta sbruffona con su scritto Hipsta Please, stringendolo forte.
Era da quando avevo tre anni che non piangevo in quel modo. Una lacrimuccia in terza media, il magone in quarta liceo. Ma mai singhiozzare come stavo facendo tra le braccia del riccio.
"Mi dispiace, Jo. Mi dispiace.", sussurrava lui cullandomi dolcemente. "Ssssh, andrà tutto bene. Tranquilla, domattina sistemiamo tutto. Tranquilla. Domani sistemo questo casino."
Io annuivo e basta, piangendo. Quando riuscii a calmarmi lui non smise comunque di accarezzarmi i capelli e oscillare avanti e indietro.
In quel momento Harry era davvero la mia roccia, e mi sentivo davvero sbalzata indietro a quando avevo tre anni, cullata da qualcuno che, lo sapevo, avrebbe risolto tutto per me, mentre io non ne avevo la forza.
"Ti voglio bene, Harry."
"Anche io, Jo. Anche io.", sussurrò lui con voce roca.
Così, ci addormentammo.


"Eheh. Materiale porno nel mio bagno.", bonfonchiò JD sogghignando. Io e Harry eravamo nella stessa posizione della notte precedente.
Immagino che il commento di JD fosse perchè io avevo un paio di braghette corte e un felpone che le nascondeva, mentre Hazza aveva solo la maglietta a maniche corte e i jeans. Niente calze. Aprii gli occhi e lo guardai così male che lui alzò le mani per scusarsi e fece segno che, anche se appena rientrato, stava riuscendo per andare al lavoro.
Quando sentii la porta di casa chiudersi con un cigolío mi azzardai ad alzare la testa per guardare Harry, e vidi che ancora dormiva. Era così carino quando dormiva. Sembrava un cucciolo, altro che l'uomo della situazione.
Sorrisi e scivolai via dalle sue braccia a malincuore, con un unico movimento flessuoso degno di una contorsionista. Andai in cucina a preparare la colazione, mandai un messaggio al Boss per dirgli che non stavo bene e poi tornai al bagno con un vassoio. Harry, con tutto il casino che avevo fatto quando mi era caduta una pentola (inetta), ancora dormiva. Posai il vassoio per terra e poi mi inghinocchiai accanto a lui. "Harold...", lo chiamai dolcemente.
"Harold."
La risposta fu un: "Mh."
"Harold."
Harry schioccò la lingua e aprì gli occhi. Vedendomi, sorrise ebete: "Hey.", mi salutò. Sorrisi anche io.
"C'è la colazione.", gli dissi porgendogli il vassoio.
"Oh, colazione al bagno. Servizio completo", fece senza smettere di sorridere e addentando un cornetto. Annuii e poi mi rialzai, mi chinai sul lavandino e mi sciacquai la faccia.
"Dopo vestiti. Dobbiamo andare a caccia.", gli dissi mettendomi un po' di correttore per coprire le occhiaie.
Harry annuí; c'era bisogno di dire chi dovevamo andare a cercare?
Direi proprio di no.


2º giorno, pomeriggio

"Heeeyeeeeheeee!", esultammo io e Louis saltando per tutto il vialetto della East Drive di Central Park. Ci eravamo spostati da dove eravamo prima, e avevamo appena concluso una gara di corsa come quelle che si fanno alle elementari, dove un ragazzo se ne carica un altro sulla schiena e fanno la gara contro altre coppie a chi arriva prima.
"We are the best in the whole world, bitches!", cantava Louis saltellando come un coniglio mentre Harry smontava da Zayn e Niall da Liam.
"Sei il miglior corridore della storia Louis!", gridai ridendo. "Sei stato mitico!"
"Anche tu sei stata mitica, ragazza! Per poco non disarcionavi Mullingar.", disse Louis battendomi il cinque.
Niall brontolò.
"Gioco sporco, biondino.", replicai ilare. Lui borbottò un 'me ne sono accorto' e osservò Liam che si era fiondato su una panchina di colore diverso da tutte le altre. Smisi di ridere e battei le mani. "Bene ragazzi. Non ho idea di cosa farvi fare oggi pomeriggio, c'è tutto chiuso. Io farei un giretto per il Madison Square e poi all'Empire State Building, verso sera."
Annuirono e ci avviammo verso il Madison. A metà strada,  all'angolo tra l'Ottava Avenue e la 48esima ovest, alzai gli occhi verso il cielo e mi resi conto che la mancanza dell'ombrello si sarebbe fatta sentire più del previsto.
In capo a trenta secondi inizò a venire giù il diluvio universale.
D'istinto presi per mano i due più vicini a me in quel momento, Zayn e Louis, intimai agli altri di seguirmi e mi misi a correre. Passando davanti ai negozi cercavo di trovarne uno adatto in cui rintanarsi, e alla fine li scaraventai dentro un Dunkin' Donuts. Meno male che era la giornata del mangiare sano.
Non riporto cosa ordinò Niall perchè non me lo ricordo, so solo che alla fine la giornata del mangiare sano si trasformò nella giornata del fast food e compagnia bella. Mangiammo un sacco di ciambelle, ed i ragazzi si fecero una valanga di foto idiote postandole su Twitter.
New York è il paradiso del wi-fi.
Pioveva troppo, e quando smise ormai dovevamo dire ciao al Madison. Salimmo semplicemente sull'Empire State Building (proprio al crepuscolo, venne una cosa fantastica), poi tornammo in hotel a mangiucchiare qualcosa. Eravamo troppo stanchi per pensare di andare in discoteca.

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Capitolo 9
*** 9th Chapter ***


5 giorni fuori, 9 Chapter

And make fun of our exes, uh uh uh uh
It feels like a perfect night for breakfast at midnight
To fall in love with strangers uh uh uh uh
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone at the same time
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the deadlines, it’s time uh uh

Leggi qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-22-taylor-swift-899/#ixzz2CsujLFLs
It feels like a perfect night to dress up like hipsters
And make fun of our exes, uh uh uh uh
It feels like a perfect night for breakfast at midnight
To fall in love with strangers uh uh uh uh
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone at the same time
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the deadlines, it’s time uh uh

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It feels like a perfect night to dress up like hipsters
And make fun of our exes, uh uh uh uh
It feels like a perfect night for breakfast at midnight
To fall in love with strangers uh uh uh uh
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone at the same time
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the deadlines, it’s time uh uh

Leggi qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-22-taylor-swift-899/#ixzz2CsujLFLs


It feels like a perfect night to dress up like hipsters
And make fun of our exes, uh uh uh uh
It feels like a perfect night for breakfast at midnight
To fall in love with strangers uh uh uh uh
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone at the same time
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the deadlines, it’s time uh uh
[...]

It seems like one of those nights
This place is too crowded too many cool kids
It seems like one of those nights
We ditch the whole scene and end up dreaming instead of sleeping
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone in the best way
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the heartbreaks, it’s time uh uh

Leggi qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-22-taylor-swift-899/#ixzz2CsvAvTGF

It seems like one of those nights
This place is too crowded too many cool kids
It seems like one of those nights
We ditch the whole scene and end up dreaming instead of sleeping
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone in the best way
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the heartbreaks, it’s time uh uh


It feels like a perfect night to dress up like hipsters
And make fun of our exes, uh uh uh uh
It feels like a perfect night for breakfast at midnight
To fall in love with strangers uh uh uh uh
Yeaaaah
We’re happy free confused and lone at the same time
It’s miserable and magical oh yeah
Tonight’s the night when we forget about the deadlines, it’s time uh uh

Leggi qui: http://www.rnbjunk.com/traduzione-testo-22-taylor-swift-899/#ixzz2CsujLFLs

2º giorno, notte

Uscii sul balcone e mi sedetti sul bordo del parapetto, abbastanza largo da starci con una certa sicurezza. Guardai la città, desiderando farne parte come macchina, o come albero. Non come abitante.
Dopo poco, come ogni notte, vidi Louis uscire sul balcone. Non riuscii a resistere alla tentazione di parlargli, anche se ogni volta che incrociavo i suoi occhi  il mio cervello diventava una massa confusa di pensieri: "Sai che dicono che a non dormire la notte la voce si rovini?"
Lui sobbalzò leggermente e mi guardò preoccupato: "Davvero?"
Sorrisi: "No, non è vero."
Anche lui sorrise e si avvicinò alla ringhiera che separava i due balconi: "Potresti toglierti di lì? Mi metti ansia.".
"Soffri di vertigini?", gli chiesi stupita, dimenticando ogni sorta di barriera privata.
Louis scosse la testa. "Non particolarmente, però mi metti ansia, davvero. Ti prego."
Era più pallido del solito, così lo accontentai e mi sedetti sulla sedia di plastica come tutti i comuni mortali.
"Allora, cosa ti tiene sveglio la notte, se posso chiedere?", domandai.
Fanculo la riservatezza, eh, Jo?
Louis mi imitò, mettendo la sedia il più vicino possibile alla ringhiera separatoria. "Tu cosa ne dici?"
Meditai un attimo. "Rimpianto...?"
Louis ridacchiò. "Tu non leggi proprio i magazine, eh?"
Fu il mio turno ridacchiare. "Magazine? Come sei english. Comunque no. Non ho nemmeno il tempo di chiedermi se prendere il caffè alla vaniglia o normale la mattina, vuoi che mi cincischi a leggere del gossip?"
Lui annuì pensieroso. "Già... L'ho beccata con un altro."
Non mise il soggetto, ma lo dedussi facilmente, forse perchè lo capivo: "Anche tu? Benvenuto nel club."
Louis mi guardò: "Eri fidanzata?"
Mi arrotolai una ciocca di capelli e mi strinsi più forte nel giaccone. "Già. Incredibile, eh?"
"No, affatto. È incredibile che abbia tradito una come te."
Arrossii. "Non diresti così se mi conoscessi. Sono incasinatissima. Un macello." Poi aggiunsi malinconica, senza sapere perchè: "Lui lavora qui vicino in un bar."
Louis non disse nulla, ma alla fine, mentre dicevo: "Lo vuoi vedere?", lui disse contemporaneamente: "Me lo fai vedere?". Ci guardammo ridendo.
"Vado a vestirmi. Se non puoi dormire la notte, sfruttala, no?", feci alzandomi.
"Ben detto, Jordan."
Dieci minuti ci ritrovammo di nuovo sul balcone, vestiti con la roba della giornata. "Abbiamo un problema.", mi comunicò Louis. "Temo di non poter uscire."
"Hai il coprifuoco? Facciamo finta di avere 22 anni.", ironizzai.
"Non dipende da me! Mi sa che ho due gorilla di guardia, che non mi faranno uscire."
Pensai un attimo, staccando un pezzo d'intonaco dal parapetto. "Ci penso io."

I due gorilla c'erano davvero, all'angolo tra il nostro corridoio e quello che portava all'ascensore. Bisbigliai a Louis: "Sta' pronto a correre verso l'ascensore."
Lui represse una risata e annuì. Uscii dalla camera, che era all'inizio del corridoio e mi avviai verso i due bestioni: "Scusate? Avrei un problema.".
"Non siamo del personale."
"Oh, non importa. È un problema di forza. Al bagno pubblico alla fine di quel corridoio non si apre la porta. Potreste aiutarmi? Ho lasciato la trousse lì dentro.", feci allegramente indicando col pollice il corridoio dove si trovavano le camere mie e dei ragazzi.
I due si guardarono per un istante e poi annuirono. Li condussi fino al bagno, e passando davanti alla porta di Louis, che sbirciava dallo spioncino, gli feci segno di andare. Appena  io e i gorilla arrivammo alla fine del corridoio, sentii la porta aprirsi e lo vidi correre verso l'ascensore a tutta birra.
Sentii vagamente l' "ehi!" allarmato dei bodyguard, perchè mi slanciai anche io verso l'ascensore. Vi entrai, Louis aveva già il dito sul bottone e lo premette subito appena fui al suo fianco. Le porte si chiusero con una lentezza esasperante, ma non abbastanza per i due lentoni, che appena arrivarono presero le ante sul naso.
Io e Louis ci guardammo e scoppiammo a ridere.
Appena arrivati al piano terra, uscimmo con calma, senza avere calcolato che i bodyguard avrebbero potuto prendere le scale. Realizzammo quando sentimmo un "eccoli là!".
Presi Louis per mano e lo trascinai correndo fino all'uscita dell'hotel; ci ritrovammo nel bel mezzo del marciapiede affollato sulla Amsterdam Avenue.
Girai senza esitazione a sinistra, sempre correndo.
Percorremmo un bel pezzo di strada ridendo come cretini. All'angolo con la Quarantottesima girai ancora a sinistra e ci ritrovammo davanti ad un grande bar affollato, dove un ragazzo biondo cenere stava servendo alla cassa.
"È lui?", mi chiese Louis indicandolo. Mi limitai ad annuire.
Louis lo osservò per qualche istante, poi disse: "Ha l'aria di un Ben. Non un Ben intelligente, uno che non sa fare un cerchio col bicchiere."
Lo guardai sorpresa. Si chiamava effettivamente Ben. "Come...?"
"Te l'ho detto, ha l'aria di un Ben. Però sembra stupido."
Scoppiai a ridere senza controllo. Per come aveva detto "stupido". Nel bel mezzo del marciapiede della Quarantottesima Ovest, iniziai a ridere tenendomi la pancia. Anche Louis si mise a ridere. Non so se Ben ci vide o sentì, ma scoprii che non mi importava proprio niente di lui. Non più.
Dopo un po' Louis mi disse: "E tu vuoi vedere lei?".
Annuii confusa. Non stava in Inghilterra? Ma lui mi fece segno di guardare il cartellone appeso su un palazzo dall'altra parte della strada. Era la pubblicità di Hollister, e in primo piano c'era una ragazza bruna con una felpa bianca, indubbiamente bella, però qualcosa in lei non mi convinceva.
"Il suo naso fa concorrenza a un dromedario obeso.", realizzai dopo poco. Fu il turno di Louis mettersi a ridere senza ritegno.
"Dico sul serio, ti viene voglia di prendere una piellatrice, si dice così?, per vedere se si appiattisce.". Louis rise più forte. Sorrisi nel vederlo così... non so, leggero.
Quando smettemmo di ridacchiare e prendere per il culo ognuno l'ex dell'altro, lui dichiarò che aveva voglia di fare colazione da Starbuck's.
"A mezzanotte e mezza?"
"Perchè no?"
Mi sembrò una risposta ragionevole, quindi lo condussi allo Starbuck's più vicino. Dove, tra l'altro, mi rubò metà del mio muffin al limone.
Il tutto, senza mai lasciare la mia mano.


"C'è sempre così casino la sera a New York?", mi chiese Louis osservando, seduto accanto a me su una panchina, un tizio di colore che camminava saltando come un coniglio. Erano le due di notte. Annuii: "Si, ed è pieno di bella gente."
Lui mi indicò un ragazzo mulatto niente male: "Ad esempio... lui?"
"Nah, non è il mio tipo. Io ti ci vedo con quella là."
"Quella con le calze rosse?"
"Esatto!"
"Ha due fondi di bottiglia al posto degli occhi!".
"Scusa, non sono brava a combinare matrimoni."
"Scusata."
Rimanemmo in silenzio, osservando i passanti.
Ad un tratto mi venne in mente una cosa che ancora non gli avevo fatto vedere. Balzai in piedi: "Vieni."
Iniziai a correre in mezzo alla fiumana di gente, schivando tutti, tenendogli la mano per non perderlo in mezzo alla calca. Alla fine della folla assurdamente pigiata, lasciai la sua mano e feci una mezza piroetta, allargando le braccia. Il mio viso venne investisto da una forte aria salmastra. Eravamo alla piattaforma del traghetto per Ellis Island e per la Statua della Libertà.
Mi misi a saltare in giro sempre a braccia aperte; ad ogni salto corrispondeva una piroetta. Salii sul secondo bastone più in basso della ringhiera con i piedi e allargai di nuovo le braccia.
"YOUUUUUHUUUUUUUUUUU!" urlai ridendo a madame Libertà. Sentii Louis che da dietro mi prendeva i fianchi ridendo e saliva sul bastone sotto di me. Alla fine, essendo lui più alto, eravamo alla stessa altezza. Appoggiò il mento sulla mia spalla.
"È bellissimo.", mi disse.
Feci di sì con la testa. "Ricordo che era stata questa visione a convincermi, più di tante altre, che la vita valeva la pena."
Louis sorrise. "Guarda, una stella. Una stella è un desiderio, no? Posso farti una domanda?"
"Spara."
"Se potessi avere un desiderio impossibile, quale sarebbe?"
Ci pensai seriamente, perchè non volevo dargli una risposta campata per aria. Niente che riguardasse Louis, per me, doveva essere campato per aria.
"Essere così felice, e libera, e confusa, e sola come mi sento adesso per il resto della mia vita. È una sensazione magica, strana ma bella. Capisci?"
Louis disse: "Certo. Io però adesso non mi sento solo."
"No?"
"No, sono con te."
Lo guardai. Avevo le guance arrossate per il freddo, gli occhi lucidi per il vento e per ciò che mi aveva appena detto. Anche lui era così, con la differenza che sicuramente lui era più bello di me anche in queste condizioni.
"Sai cosa desidererei io, invece?", aggiunse.
"No, cosa?"
"Innamorarmi di una sconosciuta."
"Non è una cosa impossibile", obiettai col cuore che batteva più forte di quando per poco Louis non mi aveva ammazzata con la portiera.
Louis scoppiò a ridere: "Hai ragione. Allora vuol dire che la stella ha fatto bene il suo lavoro."
Sorrisi anche io. Cosa rispondi ad un'affermazione del genere?
"Esprimi un altro desiderio allora, se questo si è già avverato.", azzardai.
"Ok, però anche tu. Allora... Vorrei scordarmi di tutte le scadenze e tutto il male e tutti i miei doveri per una notte."
"Fallo.", replicai di getto.
"Come vuoi che faccia?"
"Facendo una cosa irresponsabile."
"Tipo?"
"Potresti iniziare col baciare una sconosciuta."

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Capitolo 10
*** 10th Chapter ***


5 giorni fuori, 10 Chapter

 


23 gennaio, mattina

Secondo me ci sono termini che, anche se detti a voce, hanno una lettera maiuscola, e si sente comunque anche a non vederle scritte. E anche a vederle scritte, cambia tutto. Se io dico che ho fatto una mattina intera in ricerca di Louis, è un conto. Ma se dico che ho trascorso un'intera cazzutissima mattina in Ricerca di Louis, sentite come cambia la faccenda? Non da' forse l'idea di... non so, di disperazione e accanimento, di rifiuto di accettare che non lo avrei trovato mai a meno che non mi facesse avere un indizio? Ecco.
Passai un'intera mattina a girare per New York con Harry, in Ricerca Disperata di Louis, ma non avevo ottenuto Niente. È come cercare Nemo in qualsiasi anemone di mare del pianeta. Un'impresa che può riuscire solo in un cartone animato, non certo nella realtà.
Col telefono spento, poi, cosa speravo di ottenere? Aveva bisogno di pensare, e nei suoi pensieri non c'era spazio per le mie giustificazioni, le mie logiche esortazioni, per le mie suppliche.
Avevo fatto una cazzata a farlo uscire dalla stanza senza dire nulla. E adesso ne pagavo le conseguenze. Mi ero comportata come se non me ne importasse nulla di lui, come se fosse stato uno tra i tanti, ma mi pareva logico che non era così. Era ancora lui e probabilmente, indipendentemente dall'epilogo, lo sarebbe rimasto.
"Che si fa?", mi chiese Niall spaparanzato sul divano della hall assieme ai suoi tre compari. Mi avevano tutti aiutato nella ricerca quella mattina, ma Harry non si era mai staccato da me. Senso di colpa, immagino. Era senso di colpa, vero?
"Non so, Niall. Si aspetta. A meno che io non voglia salire sull'Empire State Building con un amplificatore e mi metta ad urlare: ehiiii ciao Louis, sono stata una stupida, ma ti giuro che sarai ancora e sempre l'unico che mi piace, chi se ne frega della celebrità. Cosa ne dite?"
"Infattibile.", mi demolì logicamente Liam.
"Allora aspettiamo, cosa volete che vi dica."

3º giorno, mattino.

Non avevo un cavolo da fare se non stare a guardare i ragazzi che facevano un'intervista per Vogue, impegno che sarebbe probabilmente durato a lungo. Brutta giornata.
"Allora, ragazzi, come state?", fece l'intervistatrice ventenne, una biondona abbastanza appariscente che era più emozionata di una ragazzina. Non avendo nulla per passare il tempo, mi misi a scannerizzarla con quanta più cattiveria mi fosse concessa, una specie di bilanciamento nel karma per tutte le volte che lo sguardo di Louis cadeva sulla sua scollatura. Indossava un tubino nero scollatissimo, del tipo che si mettono solo le donne dello spettacolo per i programmi televisivi, che le fasciava il corpo formoso. Gli orecchini argentati tintinnavano, sgomitando con i capelli leggermente mossi ma perfettamente definiti per farsi notare. Non era truccata eccessivamente, ma aveva una collana argentata enorme, e lo smalto verde smeraldo. I tacchi dello stesso colore saranno stati alti come il cane che avevo da piccola, una cosa che mi venivano le vertigini solo a guardarli. Mi veniva voglia di chiederle se li aveva rubati al circo, assieme alla tinta per i capelli biondo platino.
Era leggermente rossa in volto, e la cosa mi faceva imbestialire perchè la rendeva ancora più "figa" del normale, non so come. Una di quelle tipe che a vederle, se fossi stata un ragazzo, probabilmente mi sarei chiesta se quella sera era libera. Bruttissima giornata.
"Bene, Nancy. Molto impegnati ma estremamente felici, no, ragazzi?", rispose Liam sorridendo dolce.
Nancy? Nancy? Che nome insulso, secondo me ricorda una papera, o no? La papera Nancy, non era il titolo di un racconto? No aspetta, era il titolo di una favola che si era inventato mio padre per farmi dormire. Beh, sempre papera era.
Istintivamente osservai come ero vestita io per fare un paragone, e mi sentii una barbona. I jeans strappati, la felpa grigia di Abercrombie, una maglietta bianca sotto, Vans grigie e cappello di lana a righe grigio fumo e nero. Una barbona, punto.
"Vi trovate bene a New York? Non sappiamo molto dei vostri spostamenti, stranamente...", partì subito all'attacco Papera.
"Non ci muoviamo molto, a volte usciamo per vedere qualche attrazione turistica, ma cerchiamo di approfittare di questa pausa per riposare, sai com'é...", mentì spudoratamente Harry.
La Papera annuì emozionata e dopo le solite domande di rito sfoderò un sorriso impertinente. "Posso proporvi un gioco?"
Louis e Niall si tirarono su impercittibilmente a sedere sulle poltrone azzurro cielo, come se la parola gioco avesse richiamato la loro attenzione, e istintivamente sorrisi. Zayn intercettò il mio sguardo e ammiccò divertito con una rapidità sorprendente quando fu sicuro che nessuno lo stesse filmando. Sorrisi ancora mentre la Papera arrivava al punto cruciale dell'intervista, presentando ai ragazzi il giochino che probabilmente mille volte aveva sognato di proporgli sin da quando guardava ancora Il mondo di Patty nel suo appartamento con le pareti rosa confetto.
Ok, questa era cattiva.
"Io vi dico una parola e voi dovete andare a catena per associazione. Per esempio, io dico una parola e Zayn, che è il più vicino a me, ne associa un'altra, poi Liam un'altra, poi Louis, poi Harry e infine Niall. Dovete farlo senza pensare, con una parola, un verbo, un nome, un aggettivo, d'accordo?"
Liam ed Harry sembravano gasati ed entusiasti mentre Louis, al contrario, aveva un'ombra di inquietudine negli occhi, come se avesse paura di ciò che avrebbe potuto dire.
La Papera ci pensò un attimo, pausa tatticamente studiata per assaporare il momento di potenza, poi disse: "Rispetto."
Zayn rispose di getto: "Relazione."
Liam accavallò le gambe mentre diceva: "Ragazza."
Vidi Louis aprire la bocca per dire qualcosa, ma si censurò subito e sustituì rapidamente il termine con: "Guida."
Harry lo guardò di sbieco e poi associò: "Strada.", e Niall "Viaggio."
Si vedeva lontano un miglio che Nancy voleva approfondire la storia della 'guida associata alla ragazza', ma così facendo avrebbe interrotto il gioco.
"Crescere", disse quindi starnazzando.
"Bambino.", sorrise Zayn.
Liam increspó le labbra, come chi sa perfettamente come andrà a finire la faccenda se dirà ciò che sta per dire ma lo dice comunque: "Rapporto."
Louis sorrise come un ragazzo monello a cui è concesso di farne una grossa e aggiunse: "Sesso!"
Harry scoppiò a ridere e si rialzò dallo schienale a cui era appoggiato, battendo le mani con un solo schiocco. Quando si fu calmato (lui, ma Niall ancora rideva), disse: "Amore."
La Papera mostrò evidenti segni di emozione a questa associazione così romantica, ma un Niall ancora sghignazzante rovinò il tutto con: "Condividere i popcorn al cinema.", e il gioco finì tra le risate.
Al che, la papera si potè dedicare alla faccenda della guida, che tra parentesi interessava anche a me. Se in quel momento fossi stata al museo, Allan mi avrebbe guardata con aria di compatimento, e mi avrebbe comunicato col potere di un solo sguardo che ero proprio cotta.
"Non è vero.", avrei protestato debolmente. Ma era ovvio che era vero. Louis mi piaceva davvero.
Louis si agitò sulla sedia e temporeggiò tirandosi su a sedere meglio, in modo da poter mettere anche i piedi sulla poltroncina. Mise le mani sulle scarpe e mosse leggermente le gambe aperte su e giù a farfalla. "Sai Nancy, io penso che... ecco, in una buona relazione ognuno sia un po' la guida dell'altro. Ci si fa strada a vicenda, no?"
Nancy annuì, quasi commossa da questa perla di saggezza. "Giustissimo. Soprattutto se, insomma, una guida per New York la si ha davvero."
Mi sentii gelare e la circolazione del sangue nelle mie mani si bloccò completamente. Prima di abbassare di riflesso gli occhi sulle mie mani, messe sui piedi come in quel momento stava anche Louis, lo vidi lanciarmi un'occhiata istintiva.
Cazzo.
Cazzo cazzo cazzo cazzissimo. Giornata pessima.

"Ci perderemmo sicuramente senza Jordan!", rise Niall tirandoci entrambi fuori da casini più grandi di quanto potesse immaginare, chi sa se più o meno consapevolmente. Lo avrei baciato, in quel momento, giuro su Dio che lo avrei baciato. Focalizzai il mio sguardo sulle Vans come se fossero un'opera d'arte particolarmente quotata, mentre dentro di me pregavo chiunque stesse lassù. Dimmi che non ci hanno visti sul molo. Ti prego dimmi che non ci hanno visti. Ti prego, o siamo fottuti.
La Papera scoppiò a ridere giuliva: "Soprattutto uscendo da una certa discoteca, eh?"
Grazie. Tu chiunque sia lassù, patrono dei velociraptor e degli amanti clandestini, sappi che accenderò un cerino per te stasera.
"Direi, mezzi fusi come tornavamo a casa?", ghignò Harry.
"Immagino, immagino, New York è grande... E com'è questa guida? Non sarà mica la bella ragazza che prima era con voi? Oh, comincio ad essere gelosa", aggiunse Nancy sorridendo quando vide che Liam annuiva per confermare che la ragazza ero proprio io.
Nella sala calò il silenzio. Dapprima pensai che stessero riflettendo su come dipingermi agli occhi di mezzo mondo, ma poi capii che avevano tutti ceduto la parola a Louis, d'istinto, e stavano aspettando che parlasse.
Quando infine aprì la bocca, mi sentii come se stessero annuciando il vincitore di un Grammy Award.
"Lei è...". Lottò per un attimo, annaspando alla ricerca di un aggettivo per sostituire quello che aveva in mente, forse troppo estremo, ma infine si arrese all'evidenza e disse: "... beh, fantastica. Sai, è proprio il tipo di persona che guardi e dici cavolo, con lei si che ti puoi divertire."
Sentii un qualcosa all'altezza dello sterno che ora potrei tranquillamente definire "commozione", ma che allora ero troppo orgogliosa per poter definire.
Niall aggiunse: "Ha ragione, anzi secondo me è un po' la versione di Lou al femminile. Sbalzi d'umore, battute esilaranti, insonnia alle tre di notte...".
Zayn rise spalancando la bocca e indicò Niall annuendo, per dargli ragione. "Vero, vero! L'altro giorno mi hanno chiesto come volevo il caffè, e io gli ho detto macchiato, sai che colore ha il caffellatte, tipo la mia pelle, e hanno fatto contemporaneamente la stessa battuta. Cioè, impressionante. "
Harry riscoppiò a ridere ricordando la scena. "La differenza è che, beh, certi termini del vocabolario sono diversi tra inglesi e americani, e..."
La discussione si spostò in zona gommini, e io lasciai la mia mente libera di vagare.
Per Louis ero fantastica.
Forse, dopotutto, non era una poi così cattiva giornata.









Ero in punizione, asgarallallà. E sinceramente, se continuo a litigare con questo ritmo con mia madre... ci finirò ancora. Va beh, a voi non interessa. Passate da:










Finchè non vedo che tutte le quattro o cinque anime che mi recensiscono hanno recensito anche le altre NON aggiorno, quindi datevi una mossa. Non sto scherzando.
Mi dileguo.

Sam (@drunkloujs)

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Capitolo 11
*** 11th Chapter ***


5 giorni fuori, 11 Chapter


3º giorno, pranzo

We should talk about last night.
Se sei un cantante che scrive perlopiù serenate d'amore, allora è tassativo che nella tua carriera dovrai cantare questa frase almeno una volta. In qualche cover, oppure in una tua canzone, la scelta sta a te.
La ragione è molto semplice: ad ogni essere normale, quotidiano, che è la persona media a cui si rivolgono le canzoni, capita almeno una volta nella vita di doverlo dire. E non intendo solo un discorso del tipo "ehi, siamo andati a letto insieme la scorsa notte, stamattina mi hai ignorata, dovremmo parlarne."
Intendo anche del tipo "ehi, la scorsa notte ci siamo baciati per un Ragionevole Lasso Di Tempo, cosa devo pensare?"
Oppure, nel caso degli adolescenti liceali, magari anche solo un "ehi, la notte scorsa su Facebook mi hai fatto un cuoricino, che significa?"
C'è proprio un bisogno prevalentemente femminile di chiarire la situazione, anche perchè sinceramente le donne si macerano abbastanza nel dubbio quando tutto va bene ed è chiaro e limpido, figurarsi quando non lo è.
I cantanti devono esplicitare questo, se vogliono arrivare dritti al cuore delle persone. Taylor Swift non si è limitata a dire "This morning I said we should talk about last night", ma ha anche aggiunto: "'cause i read you should never leave a file unresoult.", che è tristemente e perfettamente vero.  Mai lasciare i conti in sospeso con una persona, soprattutto se con quella persona dovrai trascorrere ancora due giorni e mezzo della tua vita. Il problema sta ovviamente nel cominciare la conversazione. Hai paura di essere indelicata, oppure sdolcinata, oppure impersonale.
Io scelsi la strada più diretta. O quasi.
"Louis. Vieni qui, non riesco a farmi capire con 'sti spagnoli che mi chiedono per Staten Island. Tu lo sai lo spagnolo? Digli cinquantadue metri a destra e poi sempre dritto"
Louis si avvicinò a me e al gruppo mentre io lo guardavo di soppiatto. La mia speranza era che, una volta seminati gli spagnoli, io e lui restassimo soli per poter parlare qualche istante. Ok, lo so, non era affatto una strada diretta.
"Oh, ehm. Tu... Tienes que girar a la derecha despues cinquenta y dos metros. Despues, tienes que..." Louis fece segno di andare avanti avanti avanti per un bel po' tenendo la mano a paletta.
L'unica lingua che non sapevo, compreso l'italiano. Lo spagnolo. Lingue mai capite, sono di una complicazione unica e assurda, davvero.
Comunque gli spagnoli diedero segni dubbiosi di aver capito e si allontanarono trotterellando verso la direzione indicata da Louis. Noi due rientrammo.
Incredibilmente il mio piano aveva funzionato, e ci ritrovavamo da soli davanti ai magazzini nel retro degli studios di Vogue mentre gli altri quattro ragazzi erano dentro a rivestirsi dopo il servizio fotografico.
Ci guardammo negli occhi per un istante, poi aprimmo la bocca e contemporaneamente ci ritrovammo a dire: "Senti, io..."
Ci fermammo entrambi, ma io gli cedetti la parola volentieri mentre mi appoggiavo con la schiena ad un muro.
Louis sembrava in costante ricerca delle parole da dire, quando era in mia compagnia. Non capivo se fosse una buona cosa. Le sopracciglia si corrugavano, gli occhi avevano un'aria divertita ma probabilmente mirata a nascondere il disagio, le labbra si muovevano mute e impercettibili. Chissà, forse provando come suonavano le parole dette a mezza voce.
Improvvisamente lasciò stare le parole, mi prese il volto tra le mani e mi baciò delicatamente sulle labbra. Era uno di quei baci che non cercano la lingua, sono solo mirati a sentire il sapore delle labbra dell'altro.
Un bacio che ti accarezza e ti assaggia, e solo in un secondo momento ti chiede se, per favore, si può avere un pochino di lingua.
Le sue, di labbra, sapevano del muffin che aveva mangiato poco prima, del thè che aveva sorseggiato durante l'intervista e della mattina newyorkese non più frizzante, ma ormai pigra e tendente al mezzogiorno.
"Proviamo...", mi disse lui nell'orecchio mentre passava a baciarmi dalle labbra al collo. "...a vedere se funziona?"
Annuii con gli occhi serrati e le labbra schiuse, preda di una tempesta interiore che in ventidue anni di vita solo Louis Tomlinson era riuscito a scatenare.
"Vediamo se funziona...".
La scena venne interrotta da uno schiocco secco di porta intincendio che si apriva, e il faccino monello di Niall comparve annunciato dal suo ciuffo. "Sarebbe ora di andare, ragazz...i", disse. Nel vederci il suo tono di voce si abbassò gradualmente di decibel, e pronunciò la i praticamente a mezza voce.
In effetti, anche se io e Louis eravamo stati veloci ad allontanarci l'uno dall'altro, lui aveva comunque un braccio teso con la mano appoggiata al muro, posizione autoritaria che mi metteva in gabbia, ed eravamo ad una distanza sospetta.
"Voi due stavate...", disse indicando prima me e poi Louis con l'indice e l'aria perplessa.
"Gli stavo dicendo il programma per il pomeriggio..."
"Mi stava dicendo dove dobbiamo andare..."
"...cosa dobbiamo fare..."
"...molte cose, vero Jo?..."
"...moltissime, davvero, forse è meglio se ci diamo una mossa...", rispondemmo insieme confusamente.
Niall non sembrava convinto ma sfoderò un sorriso. "Tranquilli, se anche fosse successo qualcosa è tutto al sicuro nel regno di Niall!", fece indicandosi una tempia. Poi, ridendo, riscomparve nell'edificio.
Io e Louis ci guardammo sbigottiti ed uno dei due, non so più chi, iniziò a sghignazzare contagiando a ruota l'altro.
Eravamo al sicuro nel regno di Niall.


"Il pranzo ve lo offre Vogue", cinguettò Nancy giuliva, affollandosi attorno al tavolo pieno di pietanze con un entusiasmo che sinceramente hanno solo i piccioni per le briciole di pane. Niall era più contento di lei, ma lui mi sembrava più un cucciolo di leone.
Io sbocconcellai un panino tenendomi a distanza tattica da Louis, ovvero a tre centimetri da lui, mentre Nancy mi arpionava con lo sguardo per il mio atteggiamento sospetto.
"Tu devi essere Jordan, non è vero?", mi chiese sorridendo falsa come Giuda. O forse no (?).
"Proprio io, signorina...", gettai un occhio al suo cartellino.
"Oh, ehm. Duckinson."
Nancy notò subito un cambiamento nel mio modo di pormi, perchè mi chiese se ci fosse qualcosa che non andava. Io scossi la testa mentre diventavo rossa dallo sforzo di non ridere e mi allontanai da lei; subito venni affiancata da Zayn e Liam. "Andiamo...", mi disse Liam. "Ridi. Lo so che vuoi ridere perchè l'hai paragonata ad un'anatra per tutta l'intervista. Ed ora hai letto il suo cognome."
Non feci in tempo a stupirmi dell'acutezza di Payne e Malik che scoppiai a ridere tenendomi la pancia e appoggiando il panino sul tavolo.
"Si chiama... Si chiama...", ansimai tra le risate nello sforzo di chiarirmi, ma quando anche Zayn inizò a ridere non ci fu più partita e rinunciai a giustificarmi.
Ci volle un quarto d'ora buono per calmarmi, e solo allora potei dedicarmi al concetto accantonato poco prima. "Come facevate a saperlo?", chiesi incuriosita riprendendo in mano il panino.
"Sai quando Lou si è sporto verso di me a metà intervista? Mi ha detto la stessa cosa. ", disse Zayn sorridendo.












SFOGO

Specifichiamo. A me, questa storia di Taylor Swift fa incazzare e mica poco. Io ho sempre ascoltato la sua musica, ho avuto periodi in cui mi piaceva di più e altri di meno, ma non ha mai smesso fino in fondo di piacermi. Ora, non me ne frega un cazzo se ha cambiato un sacco di ragazzi, a me le battute su Twitter "Taylor è una ragazza casa e chiesa, è il tragitto che la frega" mi fanno girare i pon pon. Prima che uscisse con Harry (che, poi, in realtà non siamo ancora sicuri di nulla) non faceva nè caldo nè freddo a nessuno, ed ora sta improvvisamente sull'anima a tutti. E' l'unica che ha cambiato ragazzi come mutande? Kristen Stewart non ha incornato il ragazzo, tanto per fare un esempio? Quindi, ora ho espresso la mia opinione e sono a posto.
Mi dileguo.

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Capitolo 12
*** 12th Chapter ***


5 giorni fuori, 12 Chapter


 

 

Lover when you don't lay with me
I'm a huntress for a husband lost at sea
If I had you here, we were here together
I'd be boy and you'd be girl, beautiful

Calling moon and moon
Shoot that big bad hand
It'll drag me to your door
Now I won't see you no more


23 gennaio, pranzo

Da mezz'ora stavo a guardare fuori da Starbuck's, aspettando Ben, che non avevo proprio voglia di incontrare. Ma lui mi aveva detto che era urgente.
Quando finalmente arrivò trafelato scusandosi per il traffico,  si chinò su di me per darmi un bacio sulla guancia, ma lo gelai con lo sguardo.
Desistette.
"Cosa vuoi, Ben?", gli chiesi glaciale scolandomi l'ultimo sorso di caffè.
Ben si guardò intorno, poi abbassò la voce e si chinò avanti col busto. "Sono giù."
Sapevamo entrambi cosa significava quella formula, quella specie di danza verbalmente rituale che, detto tra le righe, fino a pochi mesi prima significava "Jordan tesoro, fidati di me, stavolta sono cambiato."
Putacaso, capitava nel momento sbagliato. Ero alla ricerca disperata dell'unica persona che mi faceva stare bene con me stessa e Ben ormai era fuori dalla mia vita. Quindi, da vera stronza, commentai: "Vedi che passa."
Lui mi guardò allibito e assunse toni patetici. "Senti, mi manchi davvero..."
"Vai a fare in culo, Ben.", mi scazzai alzandomi dal tavolo e lasciandogli il conto da pagare. Lui lo scontò frettolosamente e mi raggiunse in strada correndomi dietro.
"Certo, adesso stai con Louis Tomlinson, a cui i soldi escono dagli occhi, giusto?", mi chiese arrabbiato e sprezzante nel bel mezzo della Quarantaduesima.
Il solo sentire il nome di Louis pronunciato dal quel bastardo mi fece vedere tutto sfocato. Mi voltai e marciai verso di lui con istinti omicidi.
Se fosse stata la scena di un film, probabilmente avrei indossato un vestito scuro, calze aderenti, tacchi che facevano clop clop minacciosi, capelli perfettamente piastrati al vento. Invece ero nella mia vita, e indossavo Vans, jeans e giacca, ma l'effetto complessivo omicida era lo stesso.
Mi fermai a mezzo centimetro dal suo naso.
"Tu, inutile essere patetico, puttaniere da quattro soldi, quadrupede evoluto, non sbattermi più in faccia che sono andata avanti con la mia vita e non sto più a sbavarti dietro. Intesi?"
Ben non era aggiornato sul mio cambiamento comportamentale. Una volta mi sarei voltata guardandolo di sbieco, mi sarei avvicinata a lui intimandogli tranquillamente di lasciarmi stare, succube di quell'aria sicura di sè che aveva negli occhi. Ben mi guardò stranito per un attimo. "Tu non sei Jordan.", disse infatti senza logica.
"Non lo sono. Sono Trilli. Vattene. Non voglio più vederti."
Mi girai e praticamente corsi via. Per la prima volta nella mia vita sentivo che non avrei potuto essere la guida di me stessa ancora per molto, avevo bisogno di qualcuno che mi aiutasse a ritrovare Louis, e se ce l'avessi fatta avrei poi avuto la mia guida per la vita. Louis.
Mi serviva qualcuno che mi facesse da guida temporanea, diciamo, che non avesse paura e sapesse consogliarmi. Qualcuno che, del mondo, ne sapeva più di me.

3º giorno, pomeriggio

Li avevo portati al Lincoln Center, dove logicamente i ragazzi erano impazziti. Mi avevano anche costretta a suonare qualcosina col piano, perchè chissà come sapevano che ero capace di suonarlo piuttosto bene. Gli avevo suonato una melodia che avevo sentito alla pubblicità della Freddie, quella con la ragazza ed il serpente. Mi aveva in qualche modo colpita per le uniche parole che diceva: "I'd be boy and you'd be girl". Suonava strano, cantato da una donna.
Comunque, poi gli avevo suonato Per Elisa, che era la mia melodia per pianoforte preferita in assoluto. Me l'aveva insegnata mio padre quando ero molto piccola, dicendomi: "Jo, quando mamma è triste, suonale questa, vedrai che le passa."
"Ma questa canzone è triste, papà...", avevo ribattuto io osservando perplessa i tasti del piano come se potessero darmi ragione.
"Vero, per tutti gli altri lo è... ma per lei no, perchè sa che è dedicata a lei."
Al che mia madre, che stava origliando dalla cucina, aveva riso: "Richard, smettila che poi ci crede."
"Elise, è vero. Beethoven l'ha scritta per te. Io sono la reincarnazione di Beeeeeeethoven.", aveva sorriso mio padre.
"Sei modesto.", aveva osservato mia madre mentre io chiedevo cos'era una reincarnazione. Papà le aveva detto che lui era l'anima di Beethoven, ma l'anima non racchiude le abilità artistiche, che quindi non si trasmettono di reincarnazione in reincarnazione. Poi aveva risposto a me.
"La reincarnazione? È quando una persona ti ama tanto da vivere molte vite, per poterle vivere tutte accanto a te.", mi aveva seriamente spiegato papà.
La spiegazione, sebbene ovviamente molto poetica e non del tutto da vocabolario, mi aveva affascinata e mi affascinava tutt'ora tantissimo.
L'idea che ci potesse essere qualcuno al mondo disposto a reincarnarsi molte volte per me, solo per me, mi faceva paura e piacere al tempo stesso.
Ci avevo anche composto una piccola melodia per pianoforte, una cosa molto breve e saltellante, che però racchiudeva bene l'idea che mi ero fatta della vita dopo la morte. Persino mio padre aveva capito ciò che volevo trasmettere senza che glielo dicessi io. Gliel'avevo fatta sentire e aveva sorriso. "Bella, dove hai trovato lo spartito?"
"L'ho fatta io, papà!", gli avevo detto tutta orgogliosa gonfiando il petto.
"Davvero? Brava! E da dove ti è venuta l'ispirazione? Dal discorso di domenica?", che era appunto quello sopra descritto. Si era sperticato in lodi e gli erano anche venuti gli occhi lucidi. Richard Odair, in gioventù stella del caberet d'alta società, vedeva probabilmente in me una nuova Mozart o cose del genere.
E invece poi ero finita in un museo a fare sentire ad un velociraptor le registrazioni dei miei brani composti sull'Ipad.
Non che non fosse orgoglioso di me comunque, probabilmente. Lui mi aveva sempre appoggiata qualsiasi cosa facessi. Allora perchè mi ero allontanata da lui e dalla mamma?
"Jordan? Tutto ok?", mi chiese Zayn sventolandomi una mano davanti agli occhi. Mi ero incantata...?
"Si, si, tutto bene."
"Hai sentito cosa ti ho chiesto?"
"N-no..."
"Ti ho chiesto che melodia era questa."
"Quale?"
"Questa che hai suonato dopo Beethoven. Quella che faceva così...", e si avvicinò al piano per suonarmi le prime due o tre note.
"Reincarnazione.", risposi sbigottita.
"Eh?"
"È il titolo della melodia. L'ho composta io.", dissi, e risuonai il primo pezzo.
"L'hai scritta tu? Sei brava.", si complimentò Liam.
L'avevo suonata senza nemmeno rendermene conto. Probabilmente era lo spirito di Allan che mi urlava nell'orecchio: fai pace con i tuoi, Dio santo.
Ma pace per cosa, poi? Cosa avevamo fatto per allontanarci così?
"G-grazie.", balbettai chiudendo il piano ed alzandomi di scatto. "Andiamo avanti nella visita.", tagliai corto.
Dopo poco mi si affiancò Niall. "Perchè l'hai chiamata così?"
"È una cosa... Tra me e i miei genitori."
Niall arrossì all'istante. Oddio, ma io non volevo essere scortese. Povero.
"È che... Quando ero piccola chiesi a mio padre cosa volesse dire reincarnazione. E lui mi diede una risposta che mi colpì profondamente.", spiegai per farmi perdonare.
Visto che Niall non mi chiedeva per paura di essere indiscreto, ma vedevo l'interrogativo nei suoi occhi, aggiunsi: "Reincarnazione  è quando una persona ti ama talmente tanto da vivere molte vite, per poterle vivere tutte accanto a te. Si riferiva a mia madre, Elise. Diceva che lui era l'anima di Beethoven, e che all'epoca aveva scritto Per Elisa per lei."
"La amava tanto.", disse Niall praticamente commosso.
"La ama ancora così. Dopo vent'anni di matrimonio, la ama ancora così."

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Capitolo 13
*** 13th Chapter ***


5 giorni fuori, 13 Chapter


 

Right now, these moments are not stories. This is happening. I am here.
And I am looking at her, and she is so beautiful. I can see it.
This one moment when you know you’re not a sad story. You are alive.
And you stand up and see the lights on the building and everything that makes you wonder, a
nd you’re listening to that song, on that drive, with the people you love the most in this world. 
And in this moment, I swear, we are infinite.

 


3º giorno, sera

"Ragazzi, stasera non si ozia. Si va fuori.", dissi mentre ci alzavamo dal ristorante in cui avevamo cenato per uscire fuori al freddo.
"Se ci vedono i paparazzi?", obiettò Harry con molto buonsenso, devo aggiungere.
"Nah. Usciamo per fare un giro in macchina per New York, non vi vedranno mica attraverso i finestrini a tot all'ora.", replicai come se fosse un'ovvietà. Amavo fare la guida. Ti da' spesso il diritto di essere supponente.
"E la macchina?"
"La rubo al Boss, o a JD. Lascio a voi la scelta. Se la prendo a JD dovrò lavare i piatti per una settimana, anche se abbiamo la lavastoviglie. Se la prendo al Boss, dovrò concedere qualcosa a suo figlio perchè mi passi le chiavi."
"Prendila a JD, vah. Non sappiamo cosa succederà se dovrai concederti al figlio di Nolan.", sghignazzò Liam tutto soddisfatto della propria uscita.
"Avete scelto bene, perchè JD ha un pick up, ed io voglio fare una cosa che ho sempre voluto fare da quando ho visto un film con Emma Watson."
"Tu guardi i film con Emma Watson?", mi chiese Zayn sorridendo.
"Tu guardi i film con Bruce Lee?", replicai zittendolo.
Uno a zero per Jordan.

Harry stava alla guida del pick up a quattro posti; e accanto a lui c'era Zayn. Io, Louis, Niall e Liam stavamo nei sedili dietro. Come dire che se ci avesse fermati la NYCP ci saremmo presi una multa colossale, sei persone in un veicolo da quattro.
Comunque, poco prima di arrivare sul ponte di Brooklin chiesi ad Harry di accostare, e lui eseguì sorridendo.
"Cosa stai facendo?", mi chiese Niall perplesso, anche perchè sarei potuta uscire dalla grata che c'era dietro di noi, ma non avevo voglia di fare la contorsionista.
Sentii Harry che diceva: "Tranquillo, lo so io cosa vuol fare.", mentre io montavo sul cassone del pick up e la macchina ripartiva rombando. Io rimasi accucciata accanto alla grata per tutto il tempo che impiegammo ad arrivare al ponte, sorridendo a Louis attraverso la grata. Poi, quando improvvisamente vidi il ponte che si stendeva davanti a noi, mi alzai in piedi sul cassone del pick up e allargai le braccia.
Lanciai un urlo di gioia; era una vita che desideravo farlo, e dopo aver visto quel film ancora di più. Sentii un rumore in basso e mi chinai con il fischio del vento ancora nelle orecchie.
Louis stava aprendo la grata e stava sgusciando fuori a fatica. Quando ce la fece e la richiuse, rimase sdraiato sul pavimento del cassone per qualche istante.
"Accidenti.", mi urlò. "Uscire per quel buco è quasi come venire al mondo."
Scoppiai a ridere e gli tesi la mano, aiutandolo a tirarsi su, poi tornai nella mia posizione ad angelo. Lui si mise dietro di me, appoggiò il mento sulla mia spalla e allargò le braccia intrecciando le sue mani con le mie.
"YUUUUUUUHU!", urlò ridendo. Risi anche io.
E lo so che potrebbe essere presa come una citazione dal film, che potrei suonare ridicola e copiona, però... per un attimo, un attimo solo, credo di aver capito cosa intendevano Logan Lerman ed Emma Watson dicendo che si sentivano infiniti.
Uscimmo dal ponte di Brooklin e io e Louis tornammo a sederci sul cassone.
"Sai", mi urlò Louis per sovrastare il rumore del traffico e del vento. "non lo avevo mai fatto, ma penso che lo rifarò."
Risi affondando il viso nel suo petto.
"I, I could be king, and you, you could be queen. We could be heroes, just for one day...", sentii cantare dall'interno del pick up.
Misi il naso dentro. "Harold, sei in ritardo!", risi.
"Accidenti, volevo vedervi con la scena dell'angelo.", replicò lui sorpassando una Toyota.
"E invece no.", ghignai tirando fuori la testa e richiudendo la grata.
Quando mi rigirai di nuovo, trovai la faccia di Louis a mezzo millimetro da me. "Ed io?", mi chiese. "Sono in ritardo?"
"Dipende per che cosa, signor Tomlinson.", dissi a mezza voce. Ma era così vicino che sentì lo stesso.
"Per baciarti...?"
"Per quello sarai sempre in orar...". Non riuscii a finire la frase che le sue labbra erano sulle mie, la sua lingua esplorava la mia bocca, i nostri corpi uno contro l'altro scossi dalle buche delle strada.
Quando si staccò, ebbi la faccia tosta di dire: "...rio".
Lui scoppiò a ridere e tornò a sedersi dritto guardando la strada snodarsi davanti a noi, mentre il pick up andava in direzione opposta.

23 gennaio, pomeriggio

Cosa si dice ad una persona che non si vede da.. Da quanto? Tre anni? Due, forse.
Salendo le scale mi immaginai la scena, lui che apre la porta e io che gli dico: "Tu sarai la mia guida temporanea."
Scossi la testa, così non andava affatto bene. Avrei dovuto inizare con delle scuse, ma non sapevo di preciso di cosa mi fossi resa colpevole o, peggio ancora, di cosa si fosse reso colpevole Lui.
Arrivai all'ultimo piano del condominio. Lui era lì sulla porta. Non sembrava arrabbiato, severo, o deluso, ma nemmeno sembrava che nutrisse grandi aspettative. Probabilmente immaginava che mi servissero soldi.
Invece no, papà. Sto bussando alla tua porta per raccontarti la mia vita.


Odio le scene da film. Sono così false. Una figlia che ritorna a casa dopo anni non può essere accolta tra lacrime di gioia e pianti; andiamo, è ovvio che, se amputi un braccio, sia il moncherino che la parte tagliata cicatrizzeranno e prenderanno forme incompatibili con quella che una volta era stata la loro dolce metà. E così accade coi rapporti. È come se, quando stai molto lontano da una persona, in qualche modo la forma che ha quando l'abbracci adesso sia diversa da quella che aveva prima. Non so come spiegarlo, ma è così. Sembra sempre che, quando sei vicino affettivamente ad una persona, ci sia una corrente calda tra di voi; se la spezzi per un po', tornando nello stesso posto di prima trovi in mezzo il Polo Nord.
Così era successo con i miei genitori. La corrente calda che c'era prima era stata interrotta per motivi ignoti, ed ora i nostri sguardi e i nostri abbracci avevano il calore di un pinguino dopo una sana nuotata. Io e mio padre trascorremmo circa venti minuti a valutarci in tralice, seduti al tavolo della cucina in cui avevo cenato per diciassette anni, senza dire una sola parola. Lo so che è triste, ma è così.
Ed io, che ero andata là per cercare consiglio, per cercare qualcosa che mi aiutasse a districare la matassa nel mio cervello, ora la ritrovavo ancora più ingarbugliata. Che tristezza.
Ad un certo punto mio padre aprì la bocca.
Ecco, ci siamo, pensai. Sta per dirmi che sono il suo orgoglio, che gli sono mancata, che è fiero di me, che mi vuole bene come sempre.
"... Io avrei bisogno di un caffè. Se lo faccio, lo bevi?", disse invece. Dio, che scena patetica. Che clichè dell'imbarazzo tipicamente holliwoodiano, o quantomeno letterario, che battute scritte e imparate a memoria.
"Credo... Credo che la giornata sarà lunga, ancora. Sì, grazie.", risposi depressa.
Una rabbia inspiegabile si impadronì violentemente di me, tutt'un tratto mentre mio padre si alzava per fare il caffè. Stavo sprecando il mio tempo. Louis non era di certo nascosto nella caffettiera di mio padre, e mentre io stavo qui a riflettere sulla temperatura che hanno i rapporti sociali lui avrebbe potuto essere ovunque, magari in un posto in cui riteneva ovvio che io lo cercassi, per potermi parlare, per potersi spiegare.
"Anzi, sai una cosa? Lascia stare, devo andare. JD mi ha detto che devo... Devo...", annaspai alzandomi in piedi di scatto. "Aiutare Harold con il servizio di domani pomeriggio.", risolsi infine, evitando di pensare che a, mio padre non conosceva Harry e b, che cazzo ci sarà mai da fare per un photoshoot che richieda una previa preparazione di ventiquattro ore?
Qui Richard mi stupì: "No, davvero, Jordan, resta ancora due minuti. Raccontami.".
Ma io mi sentivo la smania addosso, dovevo cercare Louis, non ritoccare la mia vita in modo che sembrasse meno patetica agli occhi di mio padre, dovevo andare andare andare.
Mi catapultai in salotto, quando mio padre mi fermò di nuovo. "Sei venuta qui per parlarmi. Lo so, da come ti mordi il labbro. Lo sento. E sento che posso aiutarti."
Questa dichiarazione ebbe l'effetto di un getto d'acqua fredda su una superficie bollente. Mi svuotai di qualsiasi energia, mi fermai appena prima della porta di casa, accanto al pianoforte a coda. Mi voltai lentamente verso di esso. Era aperto.
Suonai le prime tre note di una sinfonia di Mozart. Poi altre tre, altre quattro, altre cinque. Suonai l'intera melodia.
Quando mi riscossi, ritrovai mio padre al mio fianco. Voltai leggermente la testa per poterlo vedere in volto, e fu sllora che crollai: "Io non so più cosa fare... Non so più cosa fare.", farfugliai disconnessa.
Lui mise un braccio attorno alle mie spalle, come amava fare Zayn quando voleva parlarmi. "Raccontami tutto, dal principio. Sei una storica, lo sai che la fabula di una faccenda è importante, no?"











E' corto e fa pure schifo, ma mi serviva per introdurre il prossimo, in cui sarà leggermente più chiaro perchè Jordan e Louis si sono allontanati. So che sono capitoli corti, ma allungarli sarebbe come mettere acqua nel brodo della minestra, quindi non ci provo nemmeno.
Ultima cosa.
Metà di quelle idee che i miei recensori considerano belle sono i realtà frutto di modifiche da scene preesistenti di libri, telefilm, eccetera. Lo dico senza problemi, e chiunque volesse saperne di più deve solo chidere. Non vorrei che qualcuno lo scoprisse per caso e mi accusassero di plagio.
Ed è così che vi saluto.
Sam

P.S. potreste fare un saltino qui?


Friends don't lock you out of heaven
Every little thing she does is magic
Underground
I love how your name sounds
Skinny Genes
She's not afraid of running wild
haunted.
I'll love you endlessly. (sono sempre incasinata e non recensisco, mi metterò in pari, ma leggo, leggo!)
I Hate You As Much As I Love You
Quel qualcosa in più
Fame4Love



Se siete in fase arrapo-porno, passate qui: Nosy Neighbors. L'ho beccata per caso, ma è bellissima.
Mi dileguo ancora,
@drunkloujs

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Capitolo 14
*** 14th Chapter ***


5 giorni fuori, 14 Chapter

 


23 gennaio, pomeriggio

Finii per raccontargli tutto, e per la prima volta in vita mia non provai nemmeno a ritoccare la verità in modo che sembrasse migliore agli occhi altrui. Raccontai la pura verità: ero una ventiduenne senza casa che dormiva sul divano di un collega, che lavorava in un museo, che aveva abbandonato tutto per cinque giorni per fare la guida turistica, che si era innamorata di uno dei turisti e che ora non sapeva cosa cazzo fare. Questa la fabula, e questo l'intreccio, questa la cronologia e questo il casino.
Mio padre mi ascoltò senza interrompermi dall'inizio alla fine, e quando vide che non c'era molto da aggiungere si limitò a scaraventare la tazzina del caffè nel lavandino, sciacquarla, rigirarsi verso di me ed incrociare le mani dietro la testa.
"Le cose", mi disse, "stanno così. Louis Tomlinson ha paura di quello che potrebbe suscitare questa nuova entrata in scena di una persona importante nella sua vita; ha paura di quello che potrebbero dire quelle ragazzine isteriche che si fanno chiamare directioners, ha paura di quello che potrebbe dire la stampa vedendolo fidanzato di nuovo dopo nemmeno un mese dalla rottura con l'altra modella, ha paura di quello che potrebbe dire la sua parte pragmatica di cervello. Teme anche di costringerti ad esporti a situazioni di uno stress psicologico degno d'un thriller, perchè sa che è difficile mantenere segreta una relazione a distanza, soprattutto considerando che arriverá il momento in cui qualche giornalista scaltro farà un punto della situazione sentimentale della band.  
Sa perfettamente, inoltre, che qualcuno potrebbe contestare non solo la veridicità di questa relazione, ma anche di quella precedente, e lui non vuole che tu e la modella siate messe a confronto."
"Perderei.", commentai amaramente senza pensare.
"Vinceresti.", mi corresse Richard. "E lui non vuole che ci siano una perdente ed una vincitrice."
"Prova tutto questo? E come fa a non scoppiare? Io impazzirei. Io...". Mi interruppi, rendendomi conto di ciò che stavo per dire. Mio padre mi indicò con l'indice e fece il sorriso di chi è riuscito a farti capire un concetto inducendoti a completare il ragionamento chiave: "Tu scapperesti, e non vorresti essere supplicata o consigliata da nessuno. Vorresti valutare i pro ed i contro. Decidere se ne vale la pena."
"E vorrei farlo da sola.", completai io vinta dalla verità schiacciante.
Louis non voleva che lo cercassimo, non voleva fare la vittima, o la persona arrabbiata. Voleva semplicemente restare da solo per valutare se ne valessi la pena, ed io dovevo lasciarlo in pace. Aspettare.
La cosa, sul momento, mi parve intollerabile. Era come se stessi assistendo alla decisione che mi avrebbe cambiato la vita senza avere diritto di veto, non so se mi spiego. Mi sentivo esclusa dagli schemi, la partecipante di un gioco di abilità canora che stava per essere giudicata senza prima aver avuto la possibilità di esibirsi.
Un ciottolo vagante nel mare Pacifico. Il tassello di un puzzle di mille pezzi, a cui manca il compagno giusto su cui attaccarsi per completare la figura. Il compagno giusto, dalla forma giusta. Era Louis il mio tassello giusto?
"Potrebbe essere lui, sai.", dissi infine a mio padre apparentemente senza logica, dal momento che i miei paragoni fantasiosi su ciottoli e tasselli non li avevo condivisi ad alta voce.
"Louis.", mi disse. Apprezzai l'affermazione. Avrebbe potuto chiedermi stupidamente "chi?", o "quello giusto per che cosa, esattamente?", invece mi aveva capita al volo.
"Si, lui. Sai, quello per cui varrebbe la pena reincarnarsi mille e mille volte. Lo farei."
Richard sorrise stupito. "Te lo ricordi"
"Certo che me lo ricordo."
Calò il silenzio, poi mio padre aggiunse: "Leggi ancora?"
"Sì, ma ho smesso per questi cinque giorni, non avvo tempo. Ho dovuto interrompere Desolation Pops. Mi secca, dimenticherò la trama."
Mio padre scoppiò a ridere fragorosamente e anche io feci un sorrisino.
"Era carina questa", riconobbe togliendosi gli occhiali da presbite e asciugandosi gli occhi.
"Non era una gran battuta. In fondo parliamo di raccolte di haiku.", ritrattai vergognosa.
"Era carina lo stesso."
E ancora, cadde il silenzio.
Fuori dalla finestra New York era un buco nero in cui qualcuno aveva gettato delle lucine di Natale.
Ma sentivo già che il Polo Nord tra me e mio padre si stava sciogliendo, ed ero felice di questo.
Richard mi aveva riaccolta in qualche modo, e mi sentivo grata perchè lo avesse fatto senza lamentarsi della mia scomparsa, o di ciò che era successo. Una vocina nella mia mente si insinuò con cattiveria e prepotenza.

Ma tu lo sai perchè vi siete allontanati, lo hai solo rimosso inconsciamente.

Zitta tu, sto cantando e non ti sento, lalalalalala.

Ti dice nulla la parola "affidabilità"?

Proprio niente. Zitta.

E il nome Hasa?

Non ricordo. Sto osservando una mosca sul tavolo e non ti sto ascoltando.

Allora te lo dico io: i tuoi genitori ti pensavano a studiare e a dormire a casa di Rachel ed invece quando sono tornati dalla crociera ti hanno beccata nuda come un bego nel loro letto matrimoniale con Hasa che vi stavate divertendo come ricci, se capisci cosa intendo. Allora tua madre ha cacciato Hasa e ti hanno fatto una ramanzina di come quello fosse un ragazzo che ti avrebbe portata fuori strada, e tu ti sei incazzata e mentre ti rivestivi hai urlato loro che non potevano capire, che non avevano mai amato una persona che è diversa da te perchè ti completa. Lui, hai urlato, era intelligente come te. E Richard ha riconosciuto che Hasa era intelligente, ma avreste finito per litigare da mattina a sera, perchè eravate troppo diversi.
Tu hai urlato e pianto, sei andata via, sei andata a casa di Hasa e lui ti ha consolata e baciata. Poi quando lo hai contraddetto la prima volta ti ha dato un bel ceffone in faccia.
Tu sei tornata a casa e non gli hai mai perdonato di aver avuto ragione.

Non è vero.

Lo è. E guarda, tuo padre che ti riaccetta e ti raccatta come un relitto dopo anni, vedendo la storia ripetersi.

Louis è diverso.

Ne sei sicura? Dimostralo.

Non vedi che papà non mi ha detto nulla quando gliel'ho descritto?



La vocina emise un gemito di soddisfazione, come a dire: vedi che hai capito?
Quel giorno tutti mi inducevano al ragionamento. Non importava.


"Ehi, papà...? Grazie."


4º giorno, mattino

In un mattino avevamo fatto l'impossibile. Musei su musei su attrazioni turistiche.
E la cosa spettacolare fu che, a pranzo, non eravamo particolarmente stanchi. C'era un bel sole tiepido, e si stava bene a pranzare fuori su una panchina.
Osservando le nuvole nel cielo e masticando il mio panino, chiesi a nessuno in particolare: "Se poteste fare qualsiasi cosa, in questo momento, cosa fareste?"
"Suonerei la mia chitarra al Madison Square Garden.", ridacchiò Niall osservandomi con aria concentrata per poi togliermi una briciolina di pane dall'angolo della bocca.
"Io credo che andrei a casa mia.", sospirò Harry battendo un piede per terra e spaventando un piccione.
"Kevin...", chiamò Louis addolorato e senza logica, guardando il piccione scappare via. A quanto pareva, però, l'affermazione aveva logica per tutti gli altri quattro ragazzi, perchè scoppiarono a ridere divertiti e anche Louis rise soddisfatto di aver alleggerito la cappa di tristezza che opprimeva la conversazione.
Mi arresi a capire e mi voltai verso Liam per sapere cosa ne pensasse lui. "Credo che tornerei anche io a casa. Oppure diventerei Re d'Inghilterra.", fu la risposta molto sensata di Payne.
"Basta che poi tu mi faccia primo Ministro", commentò Zayn sghignazzando. "Io tornerei da Perrie, credo, visto che qui sono l'unico con una vita sentimentale non disastrata.", aggiunse poi il pakistano.
"Zayn!", lo sgridò Liam lanciando un'occhiata fugace a Louis. Lui però aveva assunto quella che era una clamorosa faccia da poker e guardava la ghiaia per terra.
"Oh, ehm, scusa Lou.", disse Zayn poco convinto: rimaneva comunque fermo in ciò che aveva detto, e in un certo senso aveva ragione, indipendentemente dal fatto che qualcuno sapesse o meno di me e Lou.
Me e Lou. Che strano dire una cosa del genere. Quasi irreale. Forse lo era.
"Io farei un viaggio on the road.", disse Louis ignorando le scuse di Zayn. "Noleggerei una macchina e quatto quatto me ne andrei a Frisco facendomela tutta in macchina. E poi prenderei l'aereo, tornerei qui e riprenderei il tour."
"Bella fantasia, amico.", sorrise Harold dandogli una pacca sulla spalla.
Louis annuì ridendo. Mi ritrovai a fanstasticare su quel viaggio, io e lui in macchina a farci Dio sa quanti chilometri.
E...
Mi resi conto all'improvviso che lo avrei seguito. Se in quel momento fosse saltato in piedi dicendo "bene ragazzi, allora io vado, visto che l'idea vi piace. Jordan, vieni con me?" e porgendomi la mano io lo avrei fatto. L'avrei afferrata, sarei saltata su e sarei partita.
Questa scoperta mi mise addosso il panico. Lo avrei fatto sul serio, avrei fatto un viaggio di settimane con un ragazzo che conoscevo da quattro giorni, e lo avrei seguito ovunque in capo al mondo. Io avevo dei seri problemi mentali. Dovevo farmi curare al più presto.
Dovevo tornare all'Argenon Hospital, a ridere con gli altri pazienti dei barboni che avevano perso la bussola per essersi fatti di troppo acido.
A proposito di pazienti, dovevo telefonare a Mash. Chissà che fine aveva fatto quel pazzo. Girava per l'ospedale a dare il buongiorno a tutti tramite haiku. Io ero l'unica che riusciva a parlargli, perchè ero l'unica che conosceva il sistema per fare e capire gli haiku. Mash mi guardava sempre dicendomi:
"Tu non fai veri
   - haiku.
Fai pops.
"
Che era assolutamente vero, tra parentesi.
Mi riscossi dai pensieri su Mash e automaticamente, d'istinto, scossi la testa bruscamente.
Louis mi guardò perplesso, ma non era il solo. Anche gli altri ragazzi sembravano abbastanza shockati da quel mio brusco cenno con la testa.
Ci stavo davvero rimettendo il cervello.
"Scusate, un brivido di freddo.", mi inventai sul momento alzandomi dalla panchina e guardandomi intorno nervosamente. "Beh. Che ci fate ancora lì? È tempo di Times Square. E poi di prendersi un bell'acquazzone."
"Ma c'è il sole.", obiettò Harry.
Lo guardai come a dire "anche l'altro giorno c'era, lentone che non sei altro", e lui scoppiò a ridere. "Giusto. Ormai ho capito che di te ci si bisogna fidare. In marcia, olè."
In marcia, olè?, pensai perplessa, ma con un sorriso stampato in volto.
D'accordo, allora. In marcia, olè.

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Capitolo 15
*** 15th Chapter ***


5 giorni fuori, 15 Chapter



 

A Mars.
 

4º giorno, pomeriggio inoltrato
 

Se qualche sventurato cittadino di Greenpoint, tornando a casa dal lavoro e passeggiando per vezzo sulla riva dell'East River, si fosse trovato a raccontare ad un amico di aver visto in lontananza delle figure snelle, senza ombrello, sotto la neve, bagnate da capo a piedi, ululanti in maniera sinistra e ridacchianti in maniera altrettanto sinistra... Beh, eravamo noi.

Dopo Times Square avevo portato i ragazzi all'East River Park, per fargli vedere la riva opposta di Greenpoint, appunto. La gitarella, che aveva tutti i presupposti per essere una specie di picnic-merenda, si era trasformata in qualcosa che non sapevo definire bene, un qualcosa a metà tra lo sclero più totale ed un dancing in the snow sfrenato. Ok, detto così però non rende l'idea. Quando era iniziato a nevicare eravamo seduti su una panchina, tanto per cambiare, dell'East Park, contemplando lo skyline di Greenpoint e mangiando nachos. Il sistema per evitare liti furiose funzionava così: Zayn, sul lato estremo sinistro della panchina, prendeva una manciata di nachos dal pacchetto, e poi lo passava a Liam. Liam ne prendeva una manciata e le passava a me, che le passavo ad Harry, che le passava a Niall, che le passava a Louis. Poi da Louis il sacchetto veniva chiuso e lanciato in aria, in modo che tornasse nelle mani di Zayn e il giro ricominciasse. In questo modo, tutti avevano più o meno la stessa quantità di nachos e lo stesso tempo per mangiarle.

Come dicevo, comunque, iniziò a nevicare. Ma non una neve carina, leggera, simpatichina. Una nevicata da Giudizio Universale; e tuttavia, non demmo segno di volerci spostare dalla panchina. Era stato incredibile: nessuno aveva azzardato nemmeno l'ipotesi di mettersi al riparo. Eravamo rimasti lì, e basta. L'unica cosa che era cambiata era l'accortezza con cui chiudevamo il pacchetto passandocelo, per evitare che vi cadessero dentro fiocchi di neve. Finito il pacchetto di nachos, Liam si era alzato con una certa solennità, aveva toccato con un piede lo strato di due centimetri di neve che si era già formato, si era allontanato di un metro dalla panchina, si era chinato, aveva raccolto una manciata di neve e, mentre io iniziavo già dire un "NO, non provare a...!", ce l'aveva lanciato addosso ridendo.

La battaglia che si era scatenata era senza precedenti. Un tutti contro tutti con momentanee alleanze della durata di circa due minuti ciascuna, durante le quali la coppietta o il triumvirato coalizzava le proprie forze per riempire di neve o un singolo individuo, o un'altra instabile alleanza. Raggiunto l'obbiettivo, il patto di non aggressione scadeva all'istante e se non eri abbastanza veloce potevi ritrovarti abbattuto da un tuo stesso ex compagno.
Giusto per fare un esempio: io, Liam e Zayn ci stavamo organizzando per riempire il cappello di Lou di neve, in modo che quando se lo fosse distrattamente infilato la neve gli sarebbe caduta tutta sul viso. Quando Louis si infilò il cappello, il mio triumvirato era impegnato in una strenua difesa del proprio fortino da Harold e Niall; appena Liam, con una palla di neve in mano, vide che l'obbiettivo era stato raggiunto con successo e Louis era stato riempito di neve si voltò verso di me e mi riempì la faccia di neve fresca.
Ecco.
Dopo un'ora eravamo bagnati fradici e gelati dalla testa ai piedi.
"Ho freddo!", mi lamentai saltellando come un coniglio in quelli che nel frattempo erano diventati sette centimetri di neve.
Niall si alzò dalla panchina ridendo: "Vieni qui che ci scaldiamo."
Mi fece salire sulla propria schiena e si mise a girare in tondo con me sulle spalle gridando yuuuuhuuuuu, sotto la neve. Io ridevo. Dopo mezzo minuto di giravolte sentii che stavamo definitivamente perdendo il suo equilibrio, perchè si fermò, fece qualche passo infermo e poi crollò nella neve.
"Yehe. Angelo della neve.", disse felice facendo lo spazzino con le mani e coi piedi. Io lo imitai ma, dopo poco, sentii due mani possenti prendermi da sotto le ascelle e letteralmente trascinarmi come un peso morto per mezzo parco. Io non ebbi modo di reagire semplicemente perchè la testa mi girava in modo terribile. "Ohi ohi ohi. Piano.", gemevo mentre tracciavo sentieri nella neve.
"Ecco fatto.", esclamò la voce di Louis dopo un po' che vagavo a peso morto. "Adesso chi non vuole bagnarsi i piedi ha un sentierino."
Mi mollò malamente e io brontolai. "Ehi, fai piano, brutto antipatico."
"Sii felice, hai avuto uno scopo nella vita."
"Cosa, lo spazzaneve?", chiesi rialzandomi traballante.
"Esattamente.", mi rispose lui cingendomi la vita da dietro e dandomi un bacio sul coppino, gesto che scatenò l'approvazione generale dei ragazzi a cinque metri di distanza.
"Qui ci siamo persi qualcosa.", canticchiò Harry tutto felice.
"E quando, che mi state attaccati come pulcini anglo irlandesi?", ribattei senza gran logica; eppure, Harold si zittì sorridendo.
"Bagnata sembri quasi bella.", mi sfottè Zayn sorridendo.
"Se, come no. Come il culo della padella.", replicai inarrestabile.
Lui spalancò gli occhi ed iniziò a ridere, contagiando tutti quanti. Intanto che ridevamo una ragazza ci passò accanto passando per il sentiero tracciato da me e Lou e mi chiese indicazioni per un hotel. Non degnò i ragazzi di uno sguardo, mentre guardò me (che evidentemente ho l'aria irreprensibilmente yankee) e parlò con un forte accento inglese.
"Seconda stella a destra.", disse Niall ad appunto cinque metri di distanza.
Lei lo guardò come a chiedersi dove lo avesse già visto, ma non trovò evidentemente risposta e tornò a guardare me. Senza smettere di ridere raccolsi un bastoncino e le disegnai una cartina nella neve, mentre dietro di me Louis ci dava le spalle e continuava a ridere. La ragazza fece una foto con il cellulare e si allontanò rapidamente.
Io mi voltai e guardai Zayn e Niall con aria di compatimento, perchè stavano ancora ridendo.
Zayn mi guardò e canticchiò con voce da bambino: "Alla fiera dell'Est per due soldi un topolino mio padre comprò. E arrivò il macellaio che uccise il toro che bevve l'acqua che spense il fuoco che bruciò il bastone che picchiò il cane che morse il gatto che mangiò il topo che al mercato mio padre comprò."
"Era un po' più lunga di così, Jawy", gli fece notare Niall.
"Zitto Mullingar."
"Zitto tu Bradford."


23 gennaio, sera
Ricordo che una volta, quando ero molto piccola, chiesi a mia madre cosa fosse quella macchiolina marrone che avevo sulla terza nocca della mano sinistra.
Eravamo entrambe nel letto matrimoniale, mio padre non ricordo dove fosse. Forse in cucina, perchè mia madre non aveva fretta e questo mi fa immaginare che fosse domenica. Avrò avuto tre. Quattro anni.
Mia madre mi prese la mano e la guardò senza guardarla davvero, dato che eravamo al buio, poi disse: "È un neo, tesoro."
Al che, perplessa, le chiesi se mi sarebbe mai andato via, come le bollicine di varicella che avevo avuto qualche mese prima. No, forse no, era successo prima della varicella.
Ad ogni modo lei mi rispose di no. "Non andrà via. Ti rimane."
Immagino che se qualcuno le avesse detto quel che le avrei risposto lei avrebbe riso in faccia a quel qualcuno, perchè chiesi: "Nemmeno quando morirò?"
Mia madre mi guardò (ricordo solo che lo fece, non ricordo con quale espressione) ed io non saprò mai cosa le fosse passato per la testa in quel momento, perchè lei certamente non lo ricorda. Ricordo però distintamente che mi rispose "Ssssht, non pensare a queste cose, adesso."
Non so perchè io mi ricordi l'episodio così... bene, tutto sommato, considerando che è successo così tanto tempo fa. Forse mi aveva turbata quella risposta: "Sssht, adesso non ci pensare. Non pensare a queste cose tristi."
Cosa significava? Significava che tutti gli altri bambini non facevano quei pensieri? Gli altri bambini non erano tormentati dall'idea che un giorno saremmo morti? Che poi, morti. Che strana parola. Non sapevo cosa significasse morire. Solo, per me morire corrispondeva a non poter più andare all'asilo con i miei amici. Non poter più fare bei sogni, o forse farli per sempre.
Era sbagliato che io pensassi a quelle cose?
La domanda è sedimentata dopo poco, rimanendo senza risposta. L'ho messa in uno scaffale polveroso della mia testa, non ho nemmeno cercato di non pensarci. L'ho stipata in un angolo.
Ed ora tornava a fare irruzione nella mia mente, senza una ragione precisa. Ero acciambellata sul divano di casa mia, dondolandomi avanti e indietro ripensando a ciò che era successo. Dietro di me, Harold si affaccendava per tutta la casa in mutande, alla disperata ricerca di qualcosa di JD che potesse andargli bene per non dover cenare in intimo. I suoi vestiti erano ad asciugare perchè si era appena preso tutta la pioggia nel tragitto tra l'hotel e casa mia.
"A cosa stai pensando?", chiese d'un tratto fermandosi con, immagino, qualche indumento in mano per valutare se fosse idoneo.
"Memorie d'infanzia.", risposi semisinceramente.
"Scommetto che ti stai domandando se ora potresti dare risposta a certe domande che ti facevi allora.", replicò lui infilandosi presumibilmente qualcosa tramite la testa.
Mi voltai per potere guardarlo in faccia. "Ma sono un libro aperto per tutti? Che cazzo!", sbottai.
Harold si ritolse l'indumento che si era provato sorridendo: "No. Ho sparato a caso."
"Non dire palle."
"Ok, non è che sei un libro aperto. È che gente con labirinti affini si capisce a vicenda, ecco."
Tornai a voltarmi per guardare verso il vuoto.
"Non avevo paura di nulla. Ora ho paura di tutto."
"Tu non hai paura, Jordan. È che ti fai troppe seghe mentali."
"Me le faccio perchè ho paura di sbagliare. Se sbaglio e vado ancora più giù sono fottuta. Il mio container del fallimento non ha fondo."
"Hai preso lo Zoloft stasera?"
"No, ho deciso di dare una chance alla mia testa ma a quanto pare ha deciso di fumarsela, questa opportunità."
"Dai, Jo. Vieni che ordiniamo le pizze.", tagliò corto Harold.
"Non ho fame. Perchè non esci a cena con la fotografa che ti farà il photoshoot domani?"
"Per piantarti in asso? Ma che sei scema? La fotografa è londinese, per lei ho secoli. Tu sei qui a mezzo metro dal cornicione.", ragionò lui.
"Non dire vaccate. Quantomeno telefonale.", replicai.
"Posso usare il telefono?"
"No, sei segregato in queste quattro mura. Chiamala, imbecille.", dissi secca.
"E tu che fai?"
"Credo che tra un po' andrò a farmi una passeggiata."
"Da sola?"
"Da sola."
"Hai bisogno di pensare."
Ho bisogno di piangere, solo che in casa non posso perchè ci sei tu, Harold, pensai. Però non lo dissi, perchè lui era lì per me, ed io gli volevo bene.
 
 
 







Buonasera a tutti. So che faccio gli angoli me solo quando devo lamentarmi, o cose di questo genere, ma stavolta lo faccio perchè (non idea del motivo) ci tengo davvero a precisare che quel ricordo di Jordan a proposito del neo è mio. E' stato tutto ciò che ho potuto ricavare dalle mie memorie frammentarie, e non so perchè ma ci tengo davvero che lo sappiate. E' per questo che quando dico 'sono depressa', 'non sono normale', lo dico perchè non era normale che una bambina di quell'età pensasse a quelle cose.
Detto questo, mi dileguo nella nebbia,

Sam (@drunkloujs)

P.S. sto scrivendo una nuova Fan Fiction... per curiosità pura, chi la leggerebbe? :)

P.P.S. i rumors dicevano che Louis ed El si sono lasciati. Che sia vero o no....

                                                                                                         

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Capitolo 16
*** 16th Chapter ***


5 giorni fuori, 16 Chapter


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Alla sorella di Mars, perchè mi legge
con santa pazienza. Spero
che questo capitolo ti piaccia.

23 gennaio, notte

Ero sdraiata su una panchina. Era sera, e c'era freddo, molto freddo. Non me ne fregava niente. In cinque non eravamo stati capaci di rintracciare Louis, non avevamo saputo cosa fare; l'unica cosa che eravamo stati capaci di fare era stato intasargli la segreteria telefonica di messaggi.
In una giornata avrò sentito un ventina di volte la sua allegra voce registrata che diceva: "Ehi, gente, sono Louis. Se non vi rispondo, o sono molto impegnato o molto incazzato. In entrambi i casi lasciatemi un messaggio dopo il bip, tanto quando lo sentirò avrò sicuramente sbollito."
Alla fine l'ultimo messaggio che gli avevo inviato appena Harry era uscito con la fotografa era stato del tipo: "Starò tutta la notte seduta sulla panchina della neve che sai tu. E anche domani notte, e l'altra ancora, finchè non ti farai vivo o non dovrai ripartire per il tour."
Guardavo le stelle da circa due ore, cercando di stabilire dove il mio buon astro avesse sbagliato il suo lavoro. Andava tutto ok, e poi era arrivato Harry con il suo astro, che sarà stato tipo una nana bianca, e aveva sollevato solo prematuramente dubbi che sarebbero saltati fuori comunque.
Era davvero giusto e "sano" che io e Louis ci fossimo innamorati l'uno dell'altro in poco meno di cinque giorni? Certo, cinque giorni a stretto contatto, cinque giorni intensi, ma pur sempre cinque.
Più ci pensavo e più mi dicevo che era assurdo. Che era stato un errore. Che, diamine, cosa cazzo ci facevo su quella panchina verde alle quattro del mattino ad aspettare una persona che non sarebbe venuta?
Eppure, più ripensavo a Louis, più mi tornavano in mente le parole di Zayn. "Io ci credo nell'amore a prima vista.", mi aveva detto. Non mi aveva forse detto così? Mi aveva proprio detto così. E ancora, Harry che mi piantava addosso i suoi occhi verdi e mi diceva: "Sei tu quella giusta, perchè te stessa è la tua categoria.", e Niall che mi prendeva sulle spalle e si metteva a girare in mezzo all' East Park sotto la neve, e ancora Liam che mi metteva un braccio intorno alla vita, che mi ripeteva che sarebbe andato tutto bene, perchè Liam Payne le cose le sa e basta.
Se chiudevo gli occhi e cercavo di visualizzare le cose dal punto di vista di Louis, tentativo che mille volte avevo provato a fare quel pomeriggio, vedevo tutto dall'angolatura che gli aveva prospettato Harry. Andiamo, amico, è risaputo che tendi ad essere impulsivo e correre troppo. Ad ignorare i segnali. È vero, no? Lasciala perdere, finisci il tour, prenditi tempo per pensarci, e se ancora ti mancherà a giugno, beh, ci farai un pensiero, ma fidati, non sarà così, piantala subito, per il suo bene strappa il cerotto. Vuoi davvero impegnarti in una relazione a distanza con una ragazza conosciuta da cinque giorni? Nah. Vai, stacca. Un taglio netto, non aspettare, se no dopo ci ripensi e sei fottuto, datti un numero di minuti per spiegarle perché la stai piantando in asso, capirà, Jordan è intelligente, vi saluterete come amici e noi riprenderemo il tour tra qualche giorno.
Ma l'ultima parte a Louis non era piaciuta.
Mossi di scatto la mano destra, abbandonata inerte sulla pancia, chiudendola a pugno. Non gli era minimamente passato per l'anticamera del cervello che io fossi disposta a rischiare? Perchè di questo si trattava. Si trattava di rischiare. Louis aveva fatto ogni genere di sport e di pazzia, era salito su un aereo per Ibiza solo perchè la cosa gli andava, e il fatto che Eleanor lo avesse seguito senza fare una piega gli era piaciuto, perchè questo gli piaceva in una ragazza, che una fosse capace di rischiare, di mandare tutto a cagare per la voglia di cenare a Ibiza o fare colazione a mezzanotte, saltare su un'aereo e partire. E allora, forse, credere in questo tentativo non era più spericolato di fare una pazzia delle sue? Potevamo rischiare. Potevamo davvero. Perchè non...?
Ok, basta. Dovevo smetterla. Avevo lasciato i pensieri a briglia sciolta per restare sveglia, ma la situazione stava degenerando in recriminazioni ipotetiche e del tutto inutili.
Tirai una lunga boccata d'aria e mi sistemai meglio il cappuccio. Una nuvoletta uscì dalle mie labbra come uno sbuffo di fumo, ed io la osservai volteggiare pigramente in aria per poi svanire. Mi sentivo stranamente vicina a quella nuvoletta di vapore acqueo. Quasi...simile. Entrambe avevamo tutto il tempo del mondo, entrambe aspettavamo pigramente di poter scomparire, sentendoci nell'attesa della stessa sostanza dei sogni, dei castelli per aria che mi ero ritrovata a costruire nel breve periodo felice passato accanto a Louis. "La differenza tra me e te", pensai con disappunto guardando l'ultimo sbuffo della nuvoletta svanire per sempre, "è che tu poi alla fine ce la fai a scomparire, piccola stronzetta. Io invece sto qui su una panchina a prendere freddo, e con buona probabilità anche una polmonite, ma non scompare un bel cavolo di me stessa."
Sospirai e rilassai la mano destra, ancora chiusa a pugno. Mi drizzai a sedere sulla panchina e tirai su le gambe, appoggiando la fronte alle ginocchia.

Mi manchi, Lou. Mi manchi e non so spiegarmelo. Non so spiegarti perchè io mi senta così vuota ora che so che hai deciso di escludermi dalla tua vita.
Non c'è istante in cui io non pensi a qualcosa e mi volti istintivamente per dirtela, perchè non so come ma sento che potrebbe farti ridere, e tu non ci sei. Allora osservo il posto vuoto accanto a me, che per cinque giorni hai occupato tu, e sento l'eco della tua risata.
E non c'è istante in cui, ripensando al tuo sorriso e alle tue labbra, io non le risenta appoggiate sul mio collo a darmi quel leggero bacio che mi hai dato quella sera, sul molo del traghetto per Ellis Island. Se chiudo gli occhi sento ancora il tuo indice sulla mia guancia che passa in rassegna le mie lentiggini facendone un accurato censimento.
E se rimango sdraiata al buio, ripensando a questi cinque giorni fuori dal mondo, rivedo i tuoi occhi.
Sai il primo giorno al museo? Ti ho riconosciuto dagli occhi. Quegli occhi azzurri così perennemente divertiti, eppure velati di quel divertimento che nasconde pensieri malinconici, traboccanti di quella sicurezza che vela i tuoi dubbi. Il tuo mondo interiore sgorga tutto dai tuoi occhi. Io ci vedo i tuoi pensieri che ci sguazzano dentro come pesci.
E... non lo so, ma mi sento stranamente privata di qualcosa di cui prima non sentivo il bisogno. Non sentivo la tua mancanza accanto a me finchè, dopo aver occupato quel posto per cinque giorni, non lo hai lasciato vuoto di nuovo.


Serrai gli occhi con più forza, costringendo le grosse lacrime, ancora tremolanti sul bordo delle ciglia, a scendere e riscaldare le mie guance gelate. In quei giorni avevo pianto un sacco. Probabilmente, dopo una vita passata a non farlo, ne avevo una scorta illimitata.
Sentii qualcosa di goffo che si chinava su di me da dietro lo schienale della panchina, e due paia di braccia infagottatate in un cappotto stringermi forte in un abbraccio. Non ebbi nemmeno bisogno di voltarmi, perchè sentii il profumo di Louis riempirmi le narici.
Non dissi nulla, lasciai che raccogliesse le idee.
Quando infine sentii che stava per parlare, mi sentii morire. Perchè se mi avesse detto che non c'era nulla da fare, che aveva ragione Harold, che non potevamo farci nulla, che lui era british ed io ero yankee, che eravamo incompatibilmente distanti, sia come casa che come mentalità, che lui doveva andare avanti, che non mi avrebbe tenuta con sè, io cosa avrei fatto?
Cosa farai? Te lo dico io cosa fai. Ti fiondi in una discoteca e ti scoli Jack Daniel's, Aperol Spritz, Martini Royale, Birra, sambuca, tequila, vodka, rum, long island, sex on the beach , quel cavolo che ne hai voglia Jordan, basta che anche solo per una giornata ti dimentichi di aver conosciuto Louis Tomlinson. Maledetto quel giorno in cui sei caduta e annegata nei suoi occhi, quando ancora loro non ti conoscevano.
Strinsi più forte gli occhi e la mano guantata che era appoggiata sulla mia, presi fiato, incrociai le gambe e mi preparai all'urto. Stavo già calcolando quanti soldi mi sarebbero serviti per i drink, non molti perchè non sono un mostro dell'alcool, li avrei presi da mia madre probabilmente, le avrei detto che JD voleva un televisore nuovo, cosa che tra parentesi avrebbe voluto davvero.
"Jordan... Venti messaggi tuoi, diciannove di Harry, sedici di Niall, sette di Liam e sette di Zayn. Li avete contati apposta?", disse invece Louis come se stessimo conversando del meteo, ma chissà perchè non riuscivo a ridere, e a smettere di pensare che la sua mano stesse stringendo la mia con troppa forza, quasi pensasse che sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe potuto farlo.







Ho appena iniziato l'altra FF, Unsettled :) A chi va, mi farebbe piacere una recensione

Sam

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Capitolo 17
*** 17th Chapter ***


5 giorni fuori, 17 Chapter

 

 
 


I’m pretty sure we almost broke up last night
I threw my phone across the room at you
I was expecting some dramatic turn away but you stayed
This morning I said we should talk about it
Cause I read you should never leave a file unresolved
That’s when you came in wearing a football helmet
And said okay let’s talk
And I said: Stay stay stay,
i’ve been loving you for quite some time time time
You think that it’s funny when i’m mad mad mad
But I think that it’s best if we both stay





 

4º giorno, notte
"Ehi. Sei sveglia?", bisbigliò una voce dal balcone di sinistra. Io ero ancora in camera, ma avevo la porta-finestra splancata, e mi stavo limando le unghie delle mani.
Ridacchiai. "Come tutte le notti, Lou."
Seguì una pausa di silenzio, così chiesi: "Gli altri stanno dormendo?"
Louis confermò con un verso di compatimento. "Come ghiri dopo un anno di lavori forzati." Poi, dopo una seconda pausa, diede un colpetto alla grata che divideva i balconi. "Vieni qui...? Vorrei vederti..."
Sorrisi e lasciai la lametta sul letto, mi alzai e lo raggiunsi sul balcone. Posai una mano sulla grata, in corrispondenza di dove lui teneva la sua, aperta.
"Grata del diavolo. Vorrei abbracciarti.", considerò Louis con rammarico. Sorrisi di nuovo, illuminata dalle luci della città.
"C'è un motivo particolare, o è solo sfizio?", chiesi ammiccando.
"Non lo so, è come se stanotte mi sentissi solo. Capisci cosa intendo?"
Fin troppo bene. Avevo trascorso gli anni delle scuole medie a guardarmi intorno e chiedermi cosa diavolo ci facessi in quella classe, circondata da gente a cui non importava della mia vita e dei miei problemi. Andavo in giro con il sorriso stampato sulle labbra, come un fotocopia fatta con una stampante scadente, ripetendo che la mia era una classe bellissima e che mi sarebbe dispiaciuto troppo andarmene per andare alle superiori, ed infine al college. Nemmeno io mi rendevo conto di ciò che dicevo: in cuor mio, ero davvero convinta di essere circondata da persone meravigliose... Ma non lo erano. Affatto. Erano per la maggior parte esseri orribili il cui unico scopo nella vita era criticare quella altrui; come si vestiva Tizio, con chi si era baciato Caio, ma era forse vero che Sempronio aveva fatto un contentino a Gracco?, ma va, Sempronio non sapeva manco cosa fosse un contentino, o forse si?, d'altronde Tizio l'aveva visto con un vibratore in borsa... Non avevo mai partecipato più di tanto ad alimentare le dicerie, ed ero contenta così, ma c'era qualcosa che mi sfuggiva, che era intrinsecamente impigliato in quella classe, ed era la serenità di essere la ragazza che ero davvero. Con loro non ero davvero me stessa, ero il fantasma di come avrebbero voluto che fossi. Ed io, ovviamente, cercavo ogni modo per accontentarli, perchè forse in fondo sarebbe stato l'unica maniera per avere degli amici.
Non erano amici. Se lo fossero stati, prima di tutto saremmo in contatto ancora oggi. E poi non sarei stata depressa, o lo sarei stata meno di quanto lo ero effettivamente.
Mi ricordo che la mia depressione era iniziata alle medie, e mi aveva confusa e disorientata. Erano gli anni migliori della mia vita, andavo bene a scuola e mi stavo divertendo, che bisogno c'era di essere depressa? Non lo sapevo, e lo avrei scoperto solo anni dopo, riguardando indietro col senno di poi, rendendomi conto che non sarei tornata in quelle quattro mura scrostate per nulla al mondo.
In quel periodo, me lo ricordo, mi sentivo come Louis. Sola, circondata da persone immateriali e trasparenti. Non è strettamente vero che le persone possono sentirsi sole in una stanza affollata: forse materialmente lo è, ma nella loro testa quella stanza è vuota, vuota di gente che possa aiutarle a stare meglio.
Credo, in effetti, che la compagnia non sia una questione di quante persone ti circondino realmente e matematicamente, ma da quante persone affollino la tua testa in modo positivo. Se ti senti solo, puoi anche trovarti in mezzo ad un marasma, e per te sarebbe lo stesso che stare in un letto da solo.
"Si... Certo che ti capisco. Credo... Secondo me dovresti parlarne coi ragazzi.", dissi pensierosa.
"Riderebbero."
"Non lo farebbero mai. Come non l'ho fatto io."
"Certo... e adesso? Hai intenzione di dirmi che nessuno è mai solo?", chiese Louis amaramente.
Mi stupii di quanto fosse disposto a difendere con commenti spinosi ciò che lo faceva intimamente vergognare.
Mi venne voglia di lanciargli un'occhiataccia, o rimarcare che era lui ad avermi reso partecipe di come si sentiva, o dirgli che forse potevo anche tornare dentro e lasciarlo più solo di come era ora.
"Vieni qui. Avvicinati.", dissi invece.
Lui eseguì e ci ritrovammo naso contro naso , attraverso una maglia della grata. "Ti dirò un segreto.", proseguii abbassando sempre più la voce. "Se ti senti solo, basta dirlo alla persona giusta e non ti sentirai più solo."
"Come faccio a sapere qual è la persona giusta a cui dirlo?"
"Devi imparare a riconoscere i segni, e solo tu puoi sapere di preciso quali siano."
"Tu hai imparato?"
"Non molto bene, ma ci sto provando. Tipo, anche io mi sentivo sola... poi, quando ho deciso di fare questo," ed annullai le distanze tra di noi in un bacio leggero attraverso uno dei buchi della grata, "mi sono sentita molto meglio."
Louis mi guardò sorpreso e poi sorrise. "Perchè ad un tratto mi sento meno solo?"
"Azzardo un'ipotesi narcisistica se ti dico che potresti esserti confidato con la persona giusta?"
"Ne dubito.", rispose ridendo, per poi aggiungere: "Mi riporti a Times Square? Non l'ho mai vista di notte..."
Sorrisi e lo guardai tacendo, per creare un po' di suspance. "Dài, vestiti, che andiamo."


23 gennaio, notte
"Jordan. Io...". Louis si interruppe ed io mi voltai ad osservarlo in volto. Aprì e richiuse la bocca più e più volte, forse cercando di prendere una decisione o forse cercando le parole per comunicarmela.
"Tu...?", lo incalzai con ansia.
Lo vidi sorridere. "Perchè da quando ti conosco tutto è così fottutamente complicato da esprimere? Ho una matassa nel cervello che non so riavvolegere, quando tu sei davanti a me. Mi sento come se ti dovessi dire un numero infinito di cose, ma appena apro bocca non so dove iniziare.".
Scavalcò la panchina e si sedette accanto a me, poi si girò tirando su le gambe e stendendole ai miei due lati. Sentii che stava esercitando una leggera pressione con le gambe sui miei fianchi, come a dire "ti circondo e ti proteggo, sei mia."
"Dicevo... Che non so da che parte prendere, sembra tutto così infinito, ma... Cercherò di essere sintetico.". Prese fiato ed iniziò:
"Amo come pronunci il mio nome. Amo come organizzi le tue giornate, ovvero senza organizzarle davvero. Amo come ridi, e amo come brillano i tuoi occhi quando lo fai. Amo anche come brillano quando sei triste. Amo l'espressione che fai quando la gente si rivolge a te e non te l'aspetti, come se fossi sorpresa che stiano parlando proprio a te. Amo il modo in cui tiri la testa indietro dicendo: "ma dai?", perchè sei buffa. Si, esatto, proprio come stai facendo ora. Amo come aggrotti le sopracciglia. Amo come contieni lo scazzo quando il tuo capo ti parla. Amo i tuoi maglioni a righe e le tue camicie scozzesi. Amo le tue calze a pois. Amo la tua insonnia. Amo il tuo corpo e amo la tua voce, avresti dovuto recitare, solo per la voce che hai. Amo le canzoni sul tuo Ipod, amo il tuo rivolgerti ad Allan, come se fosse un cane o una persona. Amo come muovi le mani quando parli della tua materia. Amo la tua ironia, persino la tua depressione e il tuo sarcasmo per mascherarla. Amo la faccia che fai quando scopri una rete wi-fi non a pagamento. Amo la pila di poster che hai nascosto sotto il divano, aspettando di avere muri di una casa su cui appenderli. Sí, lo so. Amo quando parli di New York come una vecchia amica, amo quando imiti l'accento irlandese, amo quando salti per le strade senza motivo. Amo come addenti le ciambelle e come bevi il caffè. Amo la tua suoneria del cellulare e la ruga che ti si forma sulla fronte quando devi rispondere e non sai dove cazzo tu abbia il cellulare nei meandri del tuo zaino. Amo come strizzi l'occhio sinistro se devi fare una foto. Amo come suoni il piano. Amo come mi chiami per cognome. Amo la faccia assorta che fai quando qualcosa non va come previsto. Amo come sei bella quando sei tutta bagnata. Amo quando ridi e sei tutta bagnata. Amo come urli, felice, sul porta merce di un pick up. Amo come canti David Bowie. Amo come leggi. Amo la piega che prende la tua bocca quando lo fai. Amo come muovi le labbra ascoltando le tue canzoni preferite, come se ti fosse proprio impossibile contenerti. Amo come cammini per le strade. Amo le tue cuffie. Amo i tuoi occhiali da sole nei giorni di pioggia. Amo come parli della tua vita. Tutto ciò che sono riuscito a conoscere di te, lo amo, e questo in soli cinque giorni. Immagina solo per un attimo cosa potrei elencarti se stessimo insieme...per mesi ed anni.", disse prendendomi il volto tra le mani, poi tacque.
Ora, figuratevi la scena come uno di quei film in cui la sequenza si ferma e la protagonista parla agli spettatori per spiegare qualcosa di più in proposito alla sua vita, al suo cane, alla situazione stessa, eccetera. Ecco. Immaginatevi la scena di me e Louis seduti su una panchina alle cinque del mattino, uno di fronte all'altro. Louis ha appena finito di parlare e la telecamera sposta l'inquadratura su di me, che ho gli occhi lucidi, il naso rosso, la cuffia grigia e il giaccone della Napapjri.

Lì tutto si ferma ed io inizio a parlare tra me e me, e agli spettatori. Se fosse davvero un film, direi più o meno questo:

«Immagino che ora dovrei dire qualcosa di romantico, coprirmi la bocca con la mano e dire: Oh mio Dio Louis, questo significa che resterai per un Tempo Ragionevolmente Lungo? Oppure potrei mettergli le braccia al collo, oppure ridere, piangere, gettare indietro la testa e dire: davvero?, sorridergli, baciarlo, rispondere che anche io amo tutto di lui, il suo sorriso e i suoi occhi, il suo carattere e la sua voce, la sue manie e le sue abitudini.
Ma non lo faccio. E sapete, guardoni, perchè non lo faccio? Perchè mi sento completamente paralizzata. Perchè nessuno parlerà mai più così di me. Nessuno mi amerà mai per quello che sono come fa lui, nessuno riderà quando faccio la matta, al massimo mi compatiranno. E questa storia dell'amo tutto di te mi spaventa, perchè tutto questo discorso potrebbe essere seguito da un "quindi", ma anche da un "ma", un "eppure", un "nonostante". »

Quindi, regista, tesoro, fai riprendere la scena, perchè sono curiosa di sapere come va avanti la storia.

Annaspai in cerca di qualcosa da dire, ma come ho già ampiamente detto ero bloccata. Avevo di nuovo quel peso al diaframma, che non voleva saperne di sloggiare. Louis non aveva l'espressione di chi si aspetta una risposta ragionevole, semplicemente scrutò il mio viso per qualche istante, frugando nella mia espressione per capire cosa mi passasse in testa. Arrivato evidentemente ad una conclusione, accennò quel suo tipico sorrisino soddisfatto e si sporse verso di me per baciarmi.
Non sapevo se era giorno o era notte. Potevo essere come su una panchina, anche a casa mia al caldo sul divano. Non sentivo freddo e non sentivo caldo. La pressione al diaframma aveva fatto puff, le mie mani non erano più gelate perchè stavano frugando sotto una giacca rivestita di pelo, le mie guance avevano ripreso sensibilità al tocco delicato di altre mani, più calde perchè protette da guanti fino a pochi istanti prima. Poi sentii che il viso non era più delicatamente sfiorato da Louis, ma al contrario i miei fianchi erano cinti da mani decise e possenti, che mi stavano attirando verso di lui, quasi possessive e piene di impazienza, mosse dalla consapevolezza che, se io in quel momento manco sapevo il mio nome, Louis sapeva benissimo che non eravamo in casa in privato ma all'aperto su una panchina.
Le labbra però erano ciò che dominava i miei sensi. Louis sembrava quasi volere recuperare quelle ventiquattro, preziose ore in cui io ero stata lontana da lui. Lo sentivo, era... Non mi piace usare il termine desideroso, perchè lo farebbe sembrare eccitato e desideroso di sesso. Però non me ne viene nessun altro. Voleva semplicemente sentirmi, come io stavo sentendo lui in quel momento. Voleva dirmi con le labbra, con la lingua, col suo respiro caldo, la colpa che a voce non sarebbe mai riuscito ad ammettere, e cioè di aver avuto paura di rischiare, di provarci, se non altro per non avere rimpianti.
Le mie mani riscaldate salirono lungo il suo petto, poi per il collo, poi strinsero i suoi capelli. Inclinammo leggermente la testa all'ingiù e cappello e cappuccio caddero ad entrambi, ma suppongo che in quel momento ce ne fregasse poco.
Quando ci staccammo per riprendere fiato, appoggiammo le nostre fronti l'una contro l'altra, respirando ognuno le nuvolette ghiacciate che uscivano dalla bocca dell'altro.
"Forse... Forse è meglio se restiamo entrambi, che ne dici Tomlinson?", azzardai con un mezzo sorriso.
"Probabile, Odair."


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Capitolo 18
*** 18th Chapter - Epilogue ***


5 giorni fuori
Epilogue

Louis


Sei mesi dopo,
perchè non voglio parlare del 5° giorno


Apro gli occhi di scatto, nel mio appartamento a Londra, e d'un tratto, per un secondo, mi sento in pace con me stesso. Poi gli eventi della sera prima mi rovinano addosso e mi torna tutto in mente.

Il Muppett Show.
Il campanello.
La pizza.
Ancora il campanello.
Jordan.
Lei.
Le sue labbra.
Il divano.
La televisione che va mentre ci baciamo.

Sorrido di nuovo, di riflesso, e mi volto verso la parte destra del letto.
Jordan è lì che sta dormendo con un vago sorriso stampato sulle labbra. Una mano è appoggiata sul cuscino, col palmo rivolto verso l'alto, l'altra è abbandonata tra le lenzuola ed è poco lontana dalla mia.
Abbiamo dormito tenendoci per mano.
Il corpo è mollemente adagiato in una posizione che però sembra quasi plastica, tipica di una modella in posa per un artista che debba ritrarre Venere sdraiata su un divanetto. Le labbra sono leggermente schiuse, i capelli color miele sparsi su tutto il cuscino. Le lenzuola arrivano a coprire il petto, ma la coscia destra è scoperta dall'anca in giù.
Se la vita fosse un film, e questo momento una scena da girare, il regista direbbe certamente ai truccatori di lasciarla così com'è.
Ripenso a quando, sei mesi fa, lei abbia accettato di farci da guida per New York e a come, cinque giorni dopo, Harry sia intervenuto in quella situazione già precaria dicendomindi lasciare perdere Jordan. Mi aveva detto che non aveva senso pensare di avere una relazione a distanze esagerate, già con Eleanor avevo fatto fatica, in più conoscevo Jordan da soli cinque giorni.
E io, coglione, gli avevo dato retta, e avevo detto a Jordan che forse era meglio smettere di vederci. Lei era rimasta così basita che non aveva detto nulla.
Due giorni dopo la nostra riappacificazione io ed i ragazzi eravamo dovuti ripartire.
Non l'avevo più sentita per un paio di settimane, poi le avevo telefonato nell'appartamento che condivideva con JD e lui mi aveva detto che si era decisa a trovarsene uno da sè.
Da allora l'ho sentita quasi ogni giorno, anche via webcam, finchè ieri sera non mi è comparsa alla porta.
Mi sporgo d'istinto verso di lei per baciare quelle labbra schiuse che hanno un che di innocente. Jordan non è innocente, ma quando dorme lo sembra. Poso le mie labbra sulle sue, e le do' un bacio senza lingua ma più profondo di uno a stampo, come farebbero due attori di un film. Appena sento che si sta svegliando, gliene do' un altro, e ancora. Finalmente, al terzo reagisce e sento la sua piccola lingua che si muove per cercare la mia.
Dopo qualche secondo io la guardo negli occhi ancora assonnati. "Ma buongiorno.", sorrido. Lei schiocca la lingua e si tira leggermente su. "Ciao.", dice con voce impastata.
Si stiracchia. "Che ore sono?"
"Le dieci.", rispondo voltandomi verso la sveglia. Si gira su un lato tirandosi su anche il lenzuolo e rompendo la posizione venerea, ma assumendone un'altra che somiglia tanto a quella di Rose in Titanic.
Sorride. Sorrido. Scoppiamo a ridere.
"Perchè stiamo ridendo?", chiede tendendosi verso di me ed appoggiandosi al mio petto.
"Non lo so, io rido perchè ridi tu."
Jordan non gradisce la spiegazione e inizia a farmi il solletico. Io scalcio e rido, sarò anche un ragazzo grande e grosso ma faccio davvero fatica ad individuare le sue piccole mani che vanno su e giù per fermarle.
Ci ritroviamo aggrovigliati nelle coperte, lei sta sopra di me reggendosi sulle braccia e ride, io sotto che rido a mia volta.
In quel momento squilla il telefono. Mentre mi sporgo per prenderlo, Jordan si lascia cadere su di me a peso morto ed io butto fuori l'aria in un "OUFF!". Lei ride, io rispondo.
"Pronto?"
"Sono Harry. Sono qui accanto al nostro menager, so che è il tuo giorno libero ma mi serve sapere se preferisci una scenografia per lo spettacolo con le cabine telefoniche fatte normalmente oppure di lego."
Io cerco di ascoltarlo seriamente, ma c'è Jordan che mi bacia il collo e sa che quando lo fa mi viene da borbottare e mi eccita.
"Non... Non saprei... Perchè di lego?", riesco infine a sillabare.
"Sai che hanno previsto che ci intervisti Ed Sheeran, e magari se mettavamo le cabine telefoniche di lego facevamo un po' di pubblicità anche a lui. Senza guardare alla questione economica in termini di pubblicità e guadagno, inoltre, potrebbe fargli piacere... Louis? Tutto bene?"
Jordan è passata ad accarezzarmi il petto, e sceglie quel momento per biascicare ridendo un: "Eri sexy in televisione, l'altra sera... L'intervistatrice non sapeva se guardare i tuoi occhi o la patta dei jeans bella in vista, in quella posizione a farfallina che avevi preso...". Le metto una mano in faccia per allontanarla mentre sghignazzo e cerco di parlare ad Harry. "Si, tranquillo, tutto a posto. Non saprei, non rischiamo di fare una specie di pubblicità occulta?"
Jordan, allontanata contro la sua volontà dalla mia zona bocca-collo-orecchio, si ritira sotto le lenzuola e mi da' dei baci leggeri sul petto.
La mia voglia di sbattere il telefono in faccia ad Harry aumenta, ma mi controllo.
"Non ci ho pensato. Immagino dovremmo contattare Edwa... Aspetta. Dimmi, Niall. Ma cosa c'entra! Non lo so. Aspetta. Glielo chiedo. Louis, Niall chiede se hai mai giocato coi lego da piccolo.", mi dice la voce metallica di Harry.
Se Jo non mi stesse abbracciando la vita guardandomi da sotto le coperte con aria da cucciolo, riderei di più di quanto in realtà faccio.
"Ovvio che si, Niall. Costruivo soprattutto castelli. Ma cosa c'entra?", chiedo sotto lo sguardo perplesso di Jordan.
"Niente, infatti Niall si sta spanciando.", si secca Harry. "Adesso provo a chiamare Ed per vedere cosa dice, poi ti richiamo."
Sto per esultare un SI!, quando Harry cambia idea e decide di fare una chiamata a tre. Faccio un segno di impotenza a Jo, non posso farci niente. Poi le faccio gesto con la mano di avvicinarsi di più al mio viso, perchè ho paura di quello che potrebbe iniziare a fare là sotto mentre sono in diretta con il menager di Ed Sheeran.
Lei acconsente tutta contenta, mentre sento i tuuuutuuutuuuu dall'altra parte della cornetta ed Harry che sospira esasperato.
Jordan mi sillaba un: "stai aspettando?", ed io annuisco. Così inizia allegramente a baciarmi, e dato che non sto facendo niente non mi tiro certo indietro. Mi premuro solo di allontanare un po' la cornetta da noi due.
Sento un rumore di ricevitore che si solleva proprio quando le cose tra me e lei iniziano a farsi interessanti; non ho proprio voglia di staccarmi da lei, così avvicino semplicemente la cornetta rischiando di fare sentire ai due interlocutori il rumore dei nostri baci.
Sento vagamente Harry che espone la situazione ad Ed e al suo menager, e questi che acconsentono senza problemi alle cabine di lego. Approfitto di Jo che si è spostata dalle mie labbra al mio collo per biascicare precipitosamente un "Perfetto, io vado per le cabine di lego. Devo andare, adesso.", poi chiudo la comunicazione e butto il cordless senza alcun rispetto sul tappeto, per dedicarmi completamente a Jordan.
"Nemmeno quando sono al telefono con Harry, stai ferma!", esclamo.
"Eh no, se no il divertimento dove sta?", ribatte lei ridendo.

*


Non so se capita anche agli altri, o solo a me. Sapete, quell'attimo eterno in cui guardi negli occhi una persona, e capisci che ti cambierà la vita, ma capisci anche che in fondo nulla è reale e sono tutte illusioni.
È difficile da spiegare. Puoi dire "cambierai la mia vita in modo radicale", "farò fortuna", "ti amerò per sempre", ma in fondo cos'è la vita? E il successo?
Nel momento in cui questo sfiorisce, scompare, significa che non è mai stato solido, e quindi aumenta la percentuale di probabilità che non sia mai esistito. Che non sia mai stato vero.
Scruto le folle di ogni concerto, cercando la persona da guardare negli occhi. La persona che quando ti parla ti viene sia da ridere che da piangere, per quanto bene ti spiega la sua opinione.
La persona con cui non sentirmi imbarazzato di parlare ed esternare i miei sentimenti.
Ma è come cercare un pesce pagliaccio tra mille e mille anemoni di mare. È come pretendere di trovare un artista in mezzo a tanti sedicenti tali. A volte, penso che sia come cercare la goccia dolce nel mare salato.
Ogni concerto che faccio, ogni viso che illumino, ogni autografo che firmo, è un passo più vicino al palco e più lontano dalla realtà. Perchè la realtà la trovo profondamente diversa da come la dipinge il mondo dell'intrattenimento, da come la si dipinge agli occhi dei bambini. Non ho mai voluto ammetterlo, ma sinceramente mi ha sempre atterrito l'idea che il mondo sia più cattivo di come si dipinge ai bambini: non più cattivo nel senso di meno colorato; più cattivo nel senso di più disilluso e cinico.
Non ho idea se capiti anche agli altri di fissare negli occhi una persona e capire che sarà quella che ti cambierà la vita. Non lo so.
A me è successo. Proprio ora. Appena seduto su questa panchina, appena incrociato lo sguardo di questa newyorkese raffreddata e timorosa del futuro. La guardo e penso che mi ribalterà il mondo.
A distanza di anni, credo proprio che ripenserò a questo momento e mi benedirò di non essere stato così codardo da lasciarla andare, e chiudermi nel guscio, di non avere preferito la logica realtà al mondo caldo e pastelloso ( si dice?) del palcoscenico.
Di avere avuto il coraggio di rischiare.
Di avere fatto cinque giorni fuori dalla mia solita vita.





Hey there Delilah
What's it like in New York City?
I'm a thousand miles away
But girl, tonight you look so pretty
Yes you do
Times Square can't shine as bright as you
I swear it's true

Hey there Delilah
Don't you worry about the distance
I'm right there if you get lonely
Give this song another listen
Close your eyes
Listen to my voice, it's my disguise
I'm by your side

Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
What you do to me

Hey there Delilah
I know times are getting hard
But just believe me, girl
Someday I'll pay the bills with this guitar
We'll have it good
We'll have the life we knew we would
My word is good

Hey there Delilah
I've got so much left to say
If every simple song I wrote to you
Would take your breath away
I'd write it all
Even more in love with me you'd fall
We'd have it all

Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me

A thousand miles seems pretty far
But they've got planes and trains and cars
I'd walk to you if I had no other way
Our friends would all make fun of us
and we'll just laugh along because we know
That none of them have felt this way
Delilah I can promise you
That by the time we get through
The world will never ever be the same
And you're to blame

Hey there Delilah
You be good and don't you miss me
Two more years and you'll be done with school
And I'll be making history like I do
You'll know it's all because of you
We can do whatever we want to
Hey there Delilah here's to you
This ones for you

Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
Oh it's what you do to me
What you do to me























E anche questa è finita. Anche se non la segue più nessuno, io l'ho conclusa per completezza.

Grazie ad Emma (@EmWatsonITALY) per avere dato un volto a Jordan.
Grazie a Chiara per avere aspettato.
Grazie a Martina per avermi mandato affareinculo ogni capitolo.
Grazie a Mary per avermi seguita.

Sul serio, grazie.

Sam (@drunkloujs)

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