Love is old, Love is new, Love is all, Love is you

di Hp_Nameless
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologo ***
Capitolo 2: *** L'amore è sarà più forte della paura ***
Capitolo 3: *** Avvertire il mondo sorretto sul proprio collo non è mai una bella cosa ***
Capitolo 4: *** Tante visite, ma dove? ***
Capitolo 5: *** Non avrebbe dovuto scoprirlo così ***
Capitolo 6: *** Quale emerito idiota ha detto che il Primo fa più male del Secondo? ***
Capitolo 7: *** Dove ca**o vai? ***
Capitolo 8: *** Cos'hanno in comune? ***
Capitolo 9: *** ...Solo sette alleli ***
Capitolo 10: *** Missing Moment ***
Capitolo 11: *** Ditemi che non è un sogno! Voglio solo la realtà... ***
Capitolo 12: *** Ma che sei impazzito?! ***
Capitolo 13: *** Credo di volere te ***
Capitolo 14: *** Il primo appuntamento ***
Capitolo 15: *** Love is old ***
Capitolo 16: *** Love is new ***
Capitolo 17: *** Love is you ***
Capitolo 18: *** EPILOGO ***



Capitolo 1
*** Prologo ***


Titolo:Love is old, Love is new, Love is all, Love is you.
Autore:Hp_Ily
Fandom:Justin Bieber
Rating:Giallo/Arancione
Genere:Romantico, Sentimentale
Avvertimenti: Fluff, Lime, OOC (è un avvertimento strano, sì, ma l’ho messo perché nessuno sa il vero carattere di Bieber e per questo mi sembrava giusto scrivere che il suo carattere l’ho inventato io), suspense
Note:Allora, questo è il prologo della storia ed è servito da tramite per il suo sviluppo. So che in questo momento non ci starete capendo nulla, ma è tutto normale, fidatevi di me. Comunque, se volete qualche anticipazione vi dico che… no, non ve lo dico, perché sennò che gusto c’è!
Ps: ci tenevo a precisare che questa storia non è stata scritta da una Beliebers, ma solo da una ragazza che crede che Justin Bieber sia un bravo e dolce cantante. Stop.

Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Prologo


 

20 gennaio
Finalmente il giorno del mio diciassettesimo compleanno era arrivato. La sveglia non aveva suonato (o più probabilmente non l’avevo sentita) così mi vegliai di soprassalto quando sentii la finestra della mia camera sbattere e le tende scuotermi il viso. La brezza fresca che penetrava dalla finestra era un toccasana per la giornata particolarmente calda che si prospettava. Mi alzai in fretta e cercai di vestirmi in poco tempo, ma tutto fu inutile visto che ci misi mezz’ora a infilare una camicia bianca, un jeans scuro e un gilet nero. Scesi di sotto ancora in ciabatte, e mia madre mi corse incontro per abbracciarmi. -Buon compleanno tesoro- disse stringendomi forte a sé. Quando mi lasciò andai a sedermi al tavolo della colazione vicino a mio padre. –Auguri- sussurrò baciandomi la guancia.
 -Jen! - urlò mia sorella piccola intromettendosi nella conversazione e correndomi incontro. -Rose, mi stai strozzando- dissi per staccarmela di dosso.
 -Auguri Jennifer- disse poi Joshua entrando nella cucina, prendendo posto e passandomi il telefono. -Ti prego parla con lei-
-Sì - dissi a mo’ d’incitamento.
-Auguri sorellina, anche da parte di Edward!- mi raggiunse la voce eccitata di Emma dall’altro capo del telefono.
-Ringrazialo da parte mia- dissi continuando la conversazione.
Dopo colazione tornai nella mia stanza, indossai le mie Blazer a stivaletto nere, mi truccai leggermente e scesi di sotto con lo zaino.
[http://www.polyvore.com/cgi/set?id=76398125&.locale=it]
Quando ebbi risceso anche l’ultimo gradino per poco non mi venne un colpo alla vista che mi si prospettava davanti: mio fratello maggiore, Luca, era nella cucina che abbracciava mia madre, mentre mio padre brontolava sull’iperprotettività della mamma; quei due erano sempre in disaccordo. Mollai lì lo zaino e gli corsi incontro ad una velocità allucinante. Da quando, anni prima, era andato via di casa per motivi di studi (giurisprudenza come mio padre)  lo vedevo molto poco. L’ultima volta, in effetti, era stato il 4 mese corrente. Era tornato in città per il diciottesimo compleanno dell’ormai maggiorenne da due settimane Joshua.
Quando gli fui vicino spalancò le braccia e mi prese al volo facendomi volteggiare.
-Buon compleanno piccola- disse facendomi scendere a terra. Dall’alto del mio metro e settanta il suo metro e ottantuno era l’immensità.
-Grazie – dissi lasciandolo respirare –ma cosa ci fai qui?
-Beh, sono venuto a trovarvi- dissi in tono scherzoso –ora è meglio se vai a scuola o farai tardi-
Sempre il solito: sempre a preoccuparsi per la scuola, i ritardi, le assenze e tutto il resto.
-Ok, forse hai ragione, scappo altrimenti Ashley, Eric e Honey andranno via senza di me- dissi scoccandogli un ultimo bacio sulla guancia.
-Ehi ma Julie Bennett, non eravate amiche per la pelle?- chiese mentre mi avvicinavo alla porta.
-Sì, ma lei si è trasferita e ora sarà già a scuola- risposi urlando dal cortile.
-Ciao ragazzi- dissi entrando nella macchina di Eric
-Auguri ciccia- si avvicinò Ashley
-Grazie- dissi scoccandole un occhiata torva per il modo in cui mi aveva chiamato. Sapeva che odiavo quel soprannome.
-Auguri bionda- esordì Eric staccandosi completamente dal volante
-Grazie Eric- risposi sorridendo –Ma dov’è Honey?
-Entra alla seconda ora perché le faceva male la cicatrice e la madre ha preferito portarla dal dottore- spiegò Ashley.
Honey aveva avuto un brutto incidente con l’auto l’anno precedente e da allora non aveva più voluto guidare, solo il motorino. Lei diciamo pure che uscì illesa dalla macchina ridotta ad un cartoccio anche se si ruppe un braccio e dovette subire una lunga operazione per rimetterlo a posto.
Arrivati a scuola fui circondata da compagni che mi facevano gli auguri, molti dei quali avevo visto solo poche volte ma che erano amici dei miei fratelli Rosalie o Joshua. Mi precipitai al mio armadietto nell’attesa che Justin, il mio fidanzato, arrivasse per poterlo salutare.
-Ehm, arrivano Ross e Cruz, io mi dileguo- disse Eric alla vista dei miglior amici del mio ragazzo
-Auguri bionda- dissero Logan e Noah in coro
-Grazie ragazzi. Ma dov’è Justin?- chiesi guardandomi incontro
I due ridacchiarono e poi dissero: – Sta arrivando, non preoccuparti.
Non mi stavo preoccupando, stavo pensando che era strano che ancora non fosse arrivato. Poi sentii la sua voce, mi voltai, e lo vidi correre verso di me lungo il corridoio.
-Buon diciassettesimo compleanno, Baby- disse baciandomi sulle labbra
-Grazie- risposi quando ci fummo staccati.
Secondo Ashley, Honey e Julie lui era il solito bulletto della scuola che si divertiva a spaventare i più piccoli e che in lui non ci fosse tutta la dolcezza di cui gli parlavo. In realtà quando eravamo a scuola, o comunque non da soli, non era molto affettuoso, per la reputazione che gli aveva passato suo fratello maggiore Jason probabilmente. Quest’ultimo aveva la fama del vero bullo a scuola, del ragazzo a cui tutte vanno dietro che si diverte a usarle e gettarle come fazzolettini. Justin, invece, aveva solo la fama da bullo: lui in realtà non picchiava i più piccoli, si limitava a minacce leggere (comunque sbagliate a parer mio), e non usava le ragazze come fazzolettini, o meglio non aveva usato me come un fazzolettino.
Driiin.
Il suono della campanella ci indicò l’inizio della lezione, e, dopo un ultimo bacio a Justin, mi diressi  nel laboratorio di chimica con Julie. Ashley era davanti alla porta che stava salutando William Bennett, la sua nuova fiamma.
-Ciao Will- lo salutammo io e Juls in coro
-Ciao ragazze- disse distrattamente. Poi, sotto un occhiata torva di Ahsley, continuò –Ah, auguri Jennifer
-Grazie- risposi entrando nel laboratorio ancora semi-deserto.
La lezione di quel giorno fu particolarmente affascinante, sarà perché ero di buon umore o perché la chimica mi affascinava molto, ma la doppia ora passò un po’ troppo in fretta
Dopo la doppia ora di educazione fisica successiva al pranzo, mentre io, Ashley e Honey stavamo aspettando Eric per farci riaccompagnare a casa, Justin mi raggiunse, mi prese per un braccio e mi portò in disparte.
-Ho una sorpresa per te ‘more- disse in un sussurro porgendomi nelle mani una benda.
Cos’aveva pensato stavolta?

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Capitolo 2
*** L'amore è sarà più forte della paura ***


Love is old, Love is new Love is all, Love is you
Capitolo 1: L’amore sarà sempre più forte della paura


Note:Ed eccoci giunti al primo capitolo, il vero inizio di tutta la fan fiction. Dopo l’avvenimento che accadrà in questo capitolo, succederà qualcosa di particolare da cui prenderà forma la trama.
 
-Amore ma dove mi porti?- chiesi con insistenza a Justin
-Smettila Jen, è una sorpresa- rispose lui continuando a trascinarmi per un braccio. Era il giorno del mio diciassettesimo compleanno e Justin aveva deciso di farmi una sorpresa.
-Siamo arrivati?- chiesi per l’ennesima volta dopo esser quasi inciampata su qualcosa di solido
-Ancora un po’- rispose di nuovo lui tranquillo.
Mi sarebbe tanto piaciuto potermi liberare da quella maledetta benda, ma per mia sfortuna (o fortuna, dipende dai punti di vista!) Justin teneva la mia mano serrata nella sua mentre l’altra, anche volendo, non sarebbe riuscita a sciogliere il nodo terribilmente stretto della benda che mi avvolgeva gli occhi.
-Ahi!- sbraitai quando sentii qualcosa di fluido entrare nelle mie Blazer
-Smettila di lamentarti Jen- disse Justin stringendo più forte la mia mano che stava iniziando a sudare
-Puoi almeno dirmi dove siamo?- chiesi sempre più impaziente
-Oh, e va bene, ti dico solo che non è molto lontano dalla città, diciamo pure che è molto vicino e che è un posto bellissimo, naturalmente- disse in tono scocciato
Essere insistente ripaga ogni tanto!
-Justin, forse è meglio che io chiami i miei e gli dica che torno più tardi visto che sono a…- tentai lasciando la frase in sospeso con la speranza che lui potesse completarla
-Non ci casco, Baby, ti sei rovinata troppe sorprese così- disse Justin, che non accennò nemmeno al luogo in cui ci trovavamo
-Ne abbiamo ancora per molto?- chiesi ancora più scocciata
-Jennifer ora smettila, siamo arrivati- disse avvolgendomi tra le sue braccia per togliermi la benda.
La prima cosa che vidi fu la luce accecante del sole che bruciava alto nel cielo. Poi mi persi nei suoi occhi come mio solito fare. È che erano così belli, i suoi occhi marroni. Al sole però erano dorati, e io adoravo gli occhi dorati nei quali stavo lentamente sprofondando.
Mi diede un leggero bacio sulla fronte e poi si scostò per farmi vedere il luogo in cui ci trovavamo.
Era una spiaggia, una bellissima spiaggia con la sabbia bianca e non con la comune dorata che si trovava nelle affollate spiagge di Los Angeles.
-Ma, Justin, dove siamo?- chiesi voltandomi verso il ragazzo che sorrideva al mio fianco
-A Los Angeles- rispose lui
-Ma, è impossibile- risposi scrutando i suoi occhi brillanti –Non credo di esserci mai stata
-Beh, si, in effetti credo di essere una delle poche persone a conoscerla. Per caso ho dimenticato di fermarmi a quella affollata che la precede e mi sono ritrovato qui- disse facendo spallucce.
Era così dolce quando faceva spallucce e una smorfia gli compariva sul viso.
Tornai a scrutare la spiaggia e notai qualcosa sulla riva.
-Ma è inverno! Cosa ci facciamo in spiaggia d’inverno- chiesi senza ricevere una risposta, così continuai -Cos’è quella cosa sulla riva?
-Seguimi e lo scoprirai- rispose iniziando a correre.
Lo raggiunsi poco dopo notando che quello che da lontano mi sembrava un oggetto deforme in realtà era una superfice rialzata sulla quale giacevano dei contenitori chiusi.
-Hai fatto tutto questo per me?- chiesi facendo gli occhioni a Justin
-E per chi sennò- rispose sedendosi al mio fianco e iniziando ad aprire i contenitori, che si rivelarono custodire ottime pietanze cucinate da qualche chef, immaginavo.
-Da chi le hai fatte cucinare?- chiese assaporando delle ottime crocchette di patate
-Mi sottovaluti fino a questo punto?- chiese guardandomi con aria afflitta
-Beh, diciamo solo che non credo tu sia capace di fare questo- risposi sorridendogli
-Così mi offendi- disse incurvando le labbra.
Iniziai a ridere come una scema e mi accascia sulla sabbia contorcendomi dalle risate. Non ridere, dopotutto, era impossibile: aveva le labbra incurvate in un’espressione da clown e gli occhi ridotti a due fessure fingendo di lacrimare.
Alla fui io a lacrimare, troppo impegnata a ridere per accorgermi che si era tolto l’espressione da clown e mi stava scrutando con gli occhi sbarrati.
Quando finalmente smisi, ero stesa sulla sabbia bianca con gli occhi chiusi, e non mi accorsi che Justin si era spostato. Mi era arrivato alle spalle e nell’esatto istante in cui aprii gli occhi ritrovai il suo viso a pochissimi centimetri dal mio.
Sorrisi e poi ci fu un lungo bacio appassionante. Le nostre lingue si sfiorarono incerte. Potevo sentire il suo calore invadere il mio corpo.
Ma non ci fermammo lì, andammo oltre.
-Jen… tu- chiese fermandosi per guardarmi negli occhi.
Lo zittii con un bacio e non spiccicammo più una parola.
Ci fu la mia prima volta, la nostra prima volta, e fu proprio come l’avevo immaginata: perfetta, con il ragazzo perfetto, nel luogo perfetto.
Verso ser riprendemmo tutte le nostre cose dalla spiaggia e tornammo alla sua auto.
Accese lo stereo e lo sintonizzò su una strana stazione sulla quale trasmettevano vecchie canzoni italiane.
Quando partii “Anima mia” de “I cugini di campagna” iniziai a ridere . Mia nonna materna, che aveva origini italiane, la metteva spesso quando veniva a trovarci a Los Angeles.
-Perché ridi?- chiese Justin scrutandomi con aria spaventata
-Perché questa canzone la canta sempre mia nonna quando viene a trovarci
-E come fa a conoscerla?- chiese incuriosito dalla mia risposta
-Beh, è italiana, come la mamma- risposi ovvia.
Quando fummo arrivati davanti casa mia lo salutai con un semplice bacio sulla guancia (mio fratello ci fissava con aria torva da dietro la finestra) e poi lo lasciai andare. Tornai dentro casa e, dopo aver poggiato lo zaino nella mia stanza, mi sedetti a tavola per ascoltare la conversazione di Luca ed Emma.
-Andiamo Emma, non puoi pensarlo davvero- le stava dicendo il fratello gemello con aria da cane bastonato
-No Luca, non ti permetterò di impicciarti in questa storia- le aveva risposto la maggiore dei figli Hall
-Che succede?- avevo chiesto sedendomi accanto a mio fratello
-Niente - si era intromessa Emma bloccando sul nascere le parole di Luca. Poi, rivolgendosi a lui, abbassò la voce e disse –Non deve saperlo- anche se io udii lo stesso ciò che lei disse. Mi ero sempre chiesta cos’avessero tanto da parlare quei due negli ultimi tempi, anche se non ero mai riuscita a spiegarmelo.

***

-No Eric, quello sono gli ioni, ma sei non sai nemmeno cos’è un atomo come hai intenzione di passare il test di domani?- chiesi a Eric alzando un po’ troppo la voce
-Andiamo Eric, era facilissimo- s’intromise Ashley
-Tu sta’ zitta, che già è troppo se sei riuscita a dire da cosa è composta la materia- le risposi rivolgendole un’occhiata torva.
Non so perché, ma dopo averli rimproverati mi sentii male. Avvertii una fitta allo stomaco e fui costretta a precipitarmi nel bagno per dare di stomaco.
In quel periodo stavo proprio male: spesso e volentieri dovevo chiudermi in bagno a causa del vomito e avevo sbalzi di pressione, per non parlare del senso di nausea che mi accompagnava tutti i secondi.
-Jen, non sarai mica incinta?- scherzò Eric raggiungendomi nel bagno
-Perché, secondo te Mister JB non usa i preservativi?- schernì subito dopo Ashley. Che fastidio quando faceva così!
-Secondo me iniziai ad ingrassare- continuò ancora Eric toccandomi la pancia.
Avevo come l’impressione che avesse ragione. Mi sentivo strana, come se non fossi mai sola, come se qualcosa di minuscolo, quasi invisibile, mi accompagnasse sempre.
Decisi di non parlarne con loro, non volevo farli preoccupare, volevo prima essere sicura.
Continuai a spiegargli chimica, la mia materia preferita, e subito dopo chiamai Justin.
-Pronto?- disse con voce dolce il ragazzo dall’altro capo del telefono
-Amore, io… Ecco, ho una brutta sensazione- iniziai senza trovare le parole giuste per dirglielo –Ehm, l’altro giorno, in spiaggia, ce l’avevi la protezione, vero?
Più che una domanda risuonò come una supplica
-Ehm, no, mi pare di no, ma perché me lo chiedi? No crederai…?- chiese con voce tremante
-Ho questa strana sensazione- confessai un po’ incredula
-Non ti muovere, vengo subito a casa tua- urlò con il telefono già nella tasca del jeans aderente.
Pochi minuti dopo sentii il citofono suonare, mi affacciai al balconi e vidi il suo vecchio pick-up davanti al cancello. Scesi le scale di corsa, bloccai Joshua che stava per aprire e poi uscii fuori per aprirgli il cancello. Venne verso di me con in mano una busta della farmacia che si trovava di strada e io, dopo averlo abbracciato, lo condussi in camera mia, sotto gli occhi indispettiti di Joshua. Justin non gliel’era andato mai a genio, forse per la reputazione a scuola, o forse perché aveva l’aria da bulletto.
-Cos’hai nella busta?- chiesi scrutando il sacchetto che stringeva tra le mani
-Un test di gravidanza- rispose lui con tranquillità –Vai a farlo nel bagno.
Dopo aver fatto il test mi sentivo sollevata, ma non per il “sì” o per il “no”: mi sentivo sollevata di sapere la verità.
Quando tornai in camera Justin era cambiato radicalmente: se ne stava seduto sul letto a sbattere ritmicamente un piede sul pavimento.  Con una mano si sistemava spasmodicamente il ciuffo, mentre stava torturando tutte le unghie dell’altra.
Se io ero preoccupata, non ero nulla in confronto a lui!
Attesi sull’uscio della porta che sollevasse gli occhi su di me, e quando lo fece si alzò, mi cinse i fianchi e disse – Allora?
-Negativo

Scusatemi, se vi va passate di qui, manca un solo capitolo:

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Capitolo 3
*** Avvertire il mondo sorretto sul proprio collo non è mai una bella cosa ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo 2: Avvertire il mondo sorretto sul proprio collo non è mai una bella cosa



Ero nella mia stanza a studiare quando sentii i miei fratelli urlare.
-Joshua lascialo!- urlava Rose
-Rosalie, voglio sapere cos’è- ribatteva mio fratello
-Niente, l’ho trovato ed ora è mio- diceva soddisfatta lei riprendendo l’oggetto tra le mani.
Era un oggetto strano, tipo un termometro. Anzi, assomigliava a un test di gravidanza.
-Basta voi due- s’intromise la mamma. –Joshua, lasciaglielo se non è tuo
-Ma mamma, mi sembra un..
-Qualunque cosa pensi, non è quella- lo interruppe Rosalie prendendomi la mano a trascinandomi nella mia stanza.
-Sai Jennifer, è da un po’ che l’ho trovato, e mi stavo appunto chiedendo cosa significasse quando mi sono ricordata che tu il venti hai passato tutto il pomeriggio fuori e pochi giorni dopo Justin si è precipitato con una busta farmaceutica tra le mani. Jen, io lo so cos’è, è un test di gravidanza. Non sarai mica incinta?- chiese guardandomi negli occhi.
Diamine, l’aveva trovato e aveva solo fatto due più due. Almeno era stata lei a trovarlo, perché se fosse stato Joshua, e se anche lui avesse fatto due più due, a quel punto Justin sarebbe morto, ed io subito dopo di lui.
-Smettila, te l’ho detto cosa devi fare!
Le urla della mamma provenienti dal piano di sotto seguite dalla porta sbattuta la fecero distrarre, ed io ne approfittai per cambiare discorso e riprendermi il test. Sfortunatamente Rosalie era mia sorella, e perciò aveva sviluppato dei riflessi spaventosi, persino più potenti dei miei.
-Non ci provare proprio- aveva detto ritraendo il braccio e aprendo leggermente la porta della stanza per sentire meglio.
-Ho intenzione di chiederti il divorzio se continui così- diceva mio padre con tono accusatore.
Divorzio? Cosa diamine significava divorzio? La mamma e il papà non erano mai andati così d’accordo, nemmeno quand’ero piccola, ma non credevo sarebbero mai arrivati al divorzio.
Rosalie sbatté la porta e si girò verso di me con gli occhi verdi gonfi e pieni di lacrime.
Lei era la più piccola in famiglia, e anche se aveva vissuto solo poche volte il momento “famiglia felice” era la più sensibile, e quindi ne avrebbe risentito più di tutti noi.
Quando la abbracciai gli occhi si sgonfiarono e le lacrime iniziarono a scenderle per il viso, bagnando anche la mia maglietta.
Vederla così mi faceva star male, molto male. Lei era così piccola e indifesa, mentre quei due erano uomini adulti, e avrebbero potuto risolvere benissimo i propri problemi con un sistema diverso dal divorzio.
Nemmeno io volevo crederci: il divorzio avrebbe significato due case, due vite, forse una doppia coppia di genitori, ed era una realtà che non volevo vivere. Assolutamente.
-Ragazze scendete in cucina, io e vostro padre dobbiamo parlarvi- urlò  calcando sulla parola vostro e rendendolo dispregiativo.
Osservai Rosalie attentamente: i riccioli biondi le ricadevano sulle spalle, gli occhi verdi sempre più chiari tra il viso arrossato dalle lacrime. Avevo sempre invidiato mia sorella, lei era perfetta: poteva avere capelli sia lisci sia ricci, e il loro biondo chiaro tendente al giallo aveva il suo fascino su chiunque. La invidiavo anche perché lei, pur mangiando le mie stesse pietanze, riusciva sempre a restare in forma, mentre io mettevo ogni volta qualche chiletto. Non che mi interessasse la forma fisica, comunque. La invidiavo soprattutto per la pelle: nessuno in famiglia era brufoloso o quant’altro, anche se spesso capitava che, con un po’ di cioccolata in più, iniziasse a nascere qualcosa. A lei no, poteva anche mangiarne una barretta intera, ma non le sarebbe nato nessun brufolo. Non che questi fossero i miei problemi ora. Avevo ben altro a cui pensare.
-Ehm, la mamma vuole parlarci di sotto- disse Luca entrando nella stanza dove Rosalie giaceva immobile con gli occhi arrossati e i boccoli biondi poggiati sul letto. Mentre la osservavo, non sapendo bene cosa fare
-Arriviamo- disse lei prendendo coraggio e asciugando con il bordo della maglia le ultime lacrime.
Nella cucina c’era un’atmosfera orribile: papà e mamma erano seduti ai due posti a capo tavola, l’uno di fronte all’altra; Joshua era seduto sullo sgabello vicino al piano cucina mentre Emma sedeva tra il papà e la mamma. Rose si sedette di fronte Emma mentre io mi poggiavo al suo fianco, gli occhi fissi su Joshua. Lui fingeva di essere un duro, ma tutti sapevamo che lui ci teneva molto alla famiglia e quindi ci sarebbe stato molto male se ci fosse stato il divorzio.
-Allora- iniziò papà- visto che quasi tutti sapete, e tutti siete grandi per capire, io e vostra madre abbiamo qualcosa da dirvi- finì puntando gli occhi su di lei
-Vedete ragazzi, io e James non adiamo più così d’accordo come una volta, e per questo noi crediamo che…- si bloccò lei, posando la mano sul braccio di Rosalie. Lei la strattonò, continuando a guardare fissa un punto, forse nel tentativo di bloccare le lacrime, ma fu inutile
-Non ho bisogno della compassione di nessuno. E comunque lo sapevo anch’io- urlò sbottando e scappando in camera sua.
-Rosalie aspetta…- fece per alzarsi la mamma, ma Emma la bloccò, incitandola a non andare ma a rimaner lì.
-Bene, ragazzi. Visto che vostra madre non si decide a dirlo lo dirò io: stiamo per iniziare le pratiche per il divorzio. Non vogliamo che voi ci andiate di mezzo, per questo vi dico che potrete venire a trovarmi nella mia nuova casa quando volete, e anche decidere di restare per un po’; la mamma non ve lo impedirà.
-James, dovevi avere un po’ di tatto, sono dei ragazzi- balzò in piedi la mamma più infuriata che mai
-Rachele- esordì lui alzandosi a sua volta- lo so che ci vuole tatto, ma non gliel’avresti mai detto di questo passo. Almeno così sanno tutta la verità- concluse salendo le scale e riscendendo poco dopo con un’enorme valigia tra le mani.
-Ma, vai già via?- chiesi alzando per un momento lo sguardo incontrando i suoi occhi azzurri
-Sì Jennifer, sì. Credimi, è meglio per tutti- e detto questo sparì oltre la porta della cucina. Sapemmo che se ne fu andato solo quando la porta dell’ingresso sbatté silenziosamente e udimmo un uomo che si allontanava. Allora era tutto vero. Si stavano davvero separando.
Non riuscivo a crederci, non riuscivo a realizzarlo. Joshua era ancora immobile seduto sullo sgabello mentre Emma si stava allontanando parlando a telefono. Luca stava seduto sul tavolo a osservare il viso stanco ma tranquillo della mamma. In fondo un po’ mi faceva piacere per lei, così non avrebbe più dovuto sorbirsi lamentele e robe varie.
Io comunque non ce la facevo a restare lì senza scoppiare. Ero una tipa molto emotiva, anche se col tempo avevo imparato a trattenere le emozioni. Purtroppo la mia tecnica si rivelava sempre inutile in famiglia.
Quando la prima lacrima fece capolinea tra gli occhi arrossati salii indecentemente le scale e mi chiusi in camera, preoccupandomi anche di far girare la chiave per evitare che qualcuno s’intrufolasse e potesse spiarmi.
Mi sentivo davvero a pezzi. Avevo sempre pensato che la mia famiglia fosse il mio rifugio, e ora questo rifugio mi fosse caduto addosso, lasciandomi in balia del vento. Non sapevo dove potesse portarmi, il vento, e scoprirlo non sapevo fino a che punto mi sarebbe stato utile.
-Jen, posso parlarti?- la voce di Luca risuonò nella mi testa facendomi riaffiorare tra tutti quei pensieri
-Sto bene Luca, va’ da Rose- risposi alzando la voce per farmi sentire oltre la porta.
In realtà non stavo bene, non stavo per niente bene, ma non volevo parlare con nessuno. Parlare non mi aveva mai aiutato, e non mi avrebbe aiutato nemmeno quella volta.
Decisi di chiamare Justin, ero convinta che lui fosse stato l’unico a potermi capire. Eric l’avrebbe preso come un gioco, mentre Ashley non mi avrebbe ascoltato per metà del tempo, mentre per l’altra metà mi avrebbe parlato di William. L’unica che mi rimaneva era Juls, ma non avevo voglia di parlare con lei perché sentivo di star diventando un po’ troppo assillante con le mie paranoie.
Quando Justin mi rispose ero in lacrime, sul punto di scoppiare.
-Tesoro che hai?- chiese con fare dolce
-I miei genitori…- riuscii solo a dire tra un singhiozzo e un altro
-Che c’è, che hanno fatto? Ti prego Jennifer parla!- m’incitò il ragazzo più dolce del mondo dall’altro capo del telefono
-Divorziano - riuscii solo a dire calando nel silenzio più assoluto, nell’impossibilità di parlare o tentare di muovermi. Mi sentivo come in una gabbia, muoversi era impossibile. Non riuscivo a parlare, ad urlare. Sentivo solo una voce in lontananza che urlava.
Poi solo il nero.

N.d'A.
Lo so, non aggiorno dal 20 maggio, ma non mi uccidete... Penso che ormai abbiate capito che aggiorno più o meno ogni 4-5 giorni, e infatti in 25 maggio ho postato l'ultimo capitolo dell'altra fan fiction e il 30 maggio un'altra storiella che si chiama Send me a message. Dal 30 maggio sono passati però 12 giorni, ma io ho avuto troppi ipegni: esibizioni di danza, ultimi compiti di storia e latino perché la mia prof. è un'idiota, poi la connessione lentissima che non cariva una mazza... Insomma, un bel problemino... E quando tutto si è aggiustato non avevo più voglia di pubblicare perché non mi andava di accenedre il computer... Detto questo, spero che il capitolo ripaghi... :)
A presto
Ily

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Capitolo 4
*** Tante visite, ma dove? ***


Love is old, Love is new, Love is old, Love is you
Capitolo 3: Tante visite, ma dove?



 

Non saprei dire dove mi trovavo, né come vi ero arrivata. Ero in un letto dalle lenzuola bianche, con mia madre al mio fianco. Una luce accecante entrava dalla finestra, ma quella non era la mia finestra. Sembrava proprio un ospedale, un vecchio ospedale malconcio con i tubi e i fili che uscivano da ogni lettino. Cercai il mio cellulare, ma non lo trovai. Mi guardai il polso: 10 e 45 del mattino. Cazzo il test di chimica! Avevo studiato moltissimo per quel compito e ora non avrei dovuto essere lì. Sarei dovuta stare nel laboratorio a incazzarmi con Eric e Ashley perché, nonostante avessi fatto loro ripetizioni, il compito non gli era andato affatto bene.
E invece mi trovavo lì, in quella stanza illuminata solo dall’accecante luce del sole, senza un motivo per cui restarci. Non riuscivo a capire perché ero lì. Ricordavo solo del divorzio, della scenata di Rosalie, di aver mandato via Luca e di aver telefonato a Justin. Poi solo delle urla, anzi, delle parole urlate in lontananza. Mi sembrava tutto così strano. Non indossavo gli occhiali ma riuscivo a vedere bene. Troppe cose strane mi stavano accadendo.
Quando tentai di mettermi a sedere sul letto mossi leggermente il braccio tentando di non muovere mia madre, ma lei si svegliò.
-Jennifer, sei sveglia!- disse prendendo ad accarezzarmi la mano
-Si, ma che succede?- chiesi interrogativa guardando il suo volto
-Hai solo bisogno di riposo, ora- mi disse solamente, lasciandomi col beneficio del dubbio. In realtà, più che un beneficio, era un’agonia. Ero impaziente, volevo sapere per quale motivo mi trovavo lì, e per quanto tempo vi ero rimasta.
-Jennifer!- la voce di Joshua oltre il vetro della stanza mi fece sorridere
-Che ci fai tu qui?- chiesi abbracciandolo forte
-Non ce la facevo a restare a scuola sapendoti qui sola con la mamma- confessò abbracciando forte anche lei. Restammo a parlare per molto tempo, ma non accennarono mai a come fossi finita lì dentro.
Quando, dopo pranzo, arrivarono anche Rose, Luca, Emma ed Edward, Joshua convinse la mamma a tornare a casa e la accompagnò lui stesso per essere certo che dormisse un po’. Aveva delle occhiaie spaventose sotto gli occhi verde pallido.
-Ciao Jen- accennò flebile Rose visibilmente sconvolta
-Ehi sorellina- batté il pugno Luca
-Ciao piccola- disse Emma con un bacio seguito dal –Ciao Jennifer- proveniente dalla bocca del compagno. Tutti mi scrutavano con occhi attenti, forse in cerca di qualche particolare cambiamento che io non riuscivo a cogliere in me stessa.
-Perché mi guardate così?- chiesi facendo una faccia buffa che fece ridere Luca
-No, niente- disse Emma
-Gentilmente, mi spiegate cos’è successo?- chiese con fare gentile
-Ok. Allora, l’altro giorno, dopo che papà se n’è andato…- iniziò Luca
-Questo lo ricordo. Raccontami da quando ti ho detto che non mi serviva nulla- continuai dopo averlo interrotto
-Ehm, nulla. Dopo una ventina di minuti Justin ha chiamato a casa dicendo che tu gli avevi telefonato e poi non rispondevi più alle sue domande. Io allora ho preso il pass par tout e ho aperto la porta della tua stanza scoprendoti accasciata a terra col telefonino poco distante da te- concluse abbassando il capo.
Un momento, aveva forse detto l’altro giorno, o era stata una mia impressione?
-Che giorno è oggi?- chiesi rivolgendomi a Rosalie
-Il 30 gennaio- rispose evitando di guardarmi negli occhi. Ma cos’avevo che non andava?
-Quindi sono rimasta qui per… due giorni?- chiesi alzando due dita
Tutti i presenti annuirono, forse un po’ spaventati dal fatto che io non ricordassi nulla.
-Dov’è papà?- chiesi incuriosita non avendo notato la sua presenza
-Papà è dovuto partire ieri- affermò Rose ribollendo di rabbia
-Ma gli sarebbe piaciuto rimanere con te- la ammonì Luca.
Un forte mal di testa si stava appropriando del mio cervello. La vista iniziava ad offuscarsi e la posizione che avevo assunto si faceva sempre più scomoda. Con una mano mi sorreggevo la fronte mentre tenevo l’altra piantata sul letto per evitare di perdere l’equilibrio e cadere. Ci fu un momento in cui non vidi più nulla, non udii più nulla, non sentii più nulla. Fu solo un momento, poi tutto tornò alla normalità.
Quando vidi oltre il vetro Eric, Ashley e Juls sorrisi. Vederli tutti lì per me mi faceva piacere, ma in quel momento volevo solo stare con i miei fratelli. Entrò un’infermiera nella stanza, affermando che vi erano troppe persone, e si portò via Luca per comunicargli delle cose. Emma ed Edward andarono via perché la mamma di Edward lo aveva chiamato poco prima sostenendo di non sentirsi come doveva, mentre Rose si avvicinò a me e mi strinse la mano.
-Che hai fatto, piccola?- urlò Eric entrando a braccia larghe nella stanza
-Ignoralo- gli fece eco Ashley scostandosi da dietro le sue spalle. Juls non disse nulla, si limitò a sorridermi, ma fu sorriso che valse più di mille parole.
-Che t’è successo?- chiese Ashley preoccupata avvicinandosi al letto
-Non lo so. Stavo parlando con Justin al telefono e poi…
-E te pare che non c’entra JB- s’intromise di nuovo Eric
-Per tua informazione è stato lui a salvarla, idiota- aveva detto Juls
-E tu che ne sai?- gli aveva risposto lui
-Gliel’ho chiesto. Ma tu non potevi saperlo dato che ogni volta che vedi Noah e Logan fuggi- lo schernì di nuovo lei.
Parlammo per lungo tempo, e mi raccontarono tutto ciò che succedeva scuola, i risultati dei test di chimica, gli allenamenti delle cheerleader e quelli della squadra di Baseball. Volli sapere tutte le novità del corso di chimica avanzata (seguito solo da Juls) e tutti gli sviluppi riguardo al ballo di primavera. Mancavano ancora tre mesi, quasi due e mezzo, ma già se ne parlava molto: era diventata la voce di corridoio più ambita da tutti.
Mi raccontarono che girava voce che qualcuno del corpo studentesco avrebbe eseguito alcune canzoni con un famoso dj, mentre alcuni insegnanti non sarebbero entrati nella sala, ma avrebbero fatto la ronda di fuori.
Verso le quattro del pomeriggio, quando tutti se ne furono andati (Rose protestando e fregandosene altamente delle buone maniere e dell’obbligo di quiete in ospedale mentre inveiva contro Joshua che voleva mandarla a casa) ed ero rimasta sola con Joshua, arrivò Justin. Riconobbi il suo sorriso oltre il vetro della mia stanza anche senza occhiali: era inconfondibile.
Entrò nella stanza con l’aria da duro e un sorriso ebete sul volto rivolto a mio fratello.
-Vi lascio- disse quest’ultimo allontanandosi e chiudendo la porta alle proprie spalle quando fu fuori
-Amore- disse Justin avvicinandosi a me, le folte sopracciglia scure come le ricordavo, gli occhi marroni che diventavano dorati ogni passo che faceva verso di me, e quindi verso la luce che penetrava dalla finestra priva di tende. Non indossava nessuna giacca, solo un gilet di pelle sopra una t-shirt bianca, e ciò mi faceva presumere che fosse una giornata davvero calda.
Quando i nostri volti furono vicini, quasi attaccati, sentimmo un forte bussare sul vetro: era mio fratello Joshua che si divertiva a non lasciarci in pace.
-Cos’ha quello contro di me?- chiese Justin guardandomi sconcertato
-Quello è mio fratello, ed ha un nome- dissi avvicinando di nuovo i nostri visi. Stare in astinenza dai suoi baci era diventato difficile per me, e col passare del tempo diventava quasi impossibile. Sentire le sue labbra morbide sulle mie mi trasmetteva un senso di protezione. Avvertire la sua lingua nella mia bocca mi faceva sentire sua. Sentire i nostri respiri confondersi e poi unirsi era qualcosa di speciale, quasi inspiegabile era il rapporto che ci teneva uniti.
-Ehm. Ehm- un’altra voce ci disturbava, ma quello non era Joshua. Lui si sarebbe limitato ad apparire tra di noi e non ad annunciarsi.
Ci voltammo entrambi verso la donna in abito bianco con la mia cartella clinica in mano che ci fissava un po’ stupita.
-Questa è la tua cartella clinica, tesoro. Auguri!- e detto questo sparì di nuovo.
Che cosa significava quell’“auguri”? E perché l’aveva detto rivolgendosi ad entrambi?
Presi la cartella e rimasi pietrificata aprendo solo la prima pagina: ero incinta. Nella mia pancia c’era un fagottino che tra nove mesi sarebbe uscito fuori e mi avrebbe cambiato la vita. Avevo diciassette anni. Ero innamorata, ma non pronta per fare la mamma. D’istinto mi misi una mano in grembo. Probabilmente non c’era nulla, ma io già iniziavo a sentire qualcosina muoversi dentro di me. Justin, che ancora non aveva capito nulla, mi fissava stupefatto fare quei gesti strani.
Gli mostrai la cartella, e quando vide l’esito del test a cui ero stata sottoposta si immobilizzo, l’espressione fissa sul foglio che lasciava trapelare strani sentimenti: felicità, rabbia, odio, amore.
Che cosa significa tutto questo? Che cosa avrebbe significato tutto questo nel nostro futuro? Saremmo stati dei bravi genitori? Ma soprattutto, Justin mi avrebbe mollata?


N.d'A.
Capitol lunghetto, eh? Innanzitutto volevo ringraziare tutte mle graziose persone che seguono/preferiscono/ricordano/recensiscono questa mia piccola fan fiction, e dirvi che vi voglio bene e vi ringrazio!
Ora, veniamo a noi...
Lo so, sono stata crudele... Muahauaha...
Sono 10 giorni che non aggiorno, ma in compenso ho pubblicato un'altra storia e sarei molto felice se voi la leggeste. Si chiama The Art of Flowers, e sarei felice se voi la leggeste!
Ora vi lascio..
A presto
Ily

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Capitolo 5
*** Non avrebbe dovuto scoprirlo così ***


Love is old, Love is new, Love is old, Love is you
Capitolo 4: Non avrebbe dovuto scoprirlo così

http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=1933796


N.d’A.
Allooora. Devo dire che scrivere questo capitolo è stato complicatissimo perché iniziava a mancare l’ispirazione, così ci ho impiegato due settimane!
Voi, naturalmente, non vi siete accorti di niente per il semplice motivo che ho iniziato a pubblicare questa fan fiction quando avevo già pronti i primi 7 capitoli, ma è meglio così. Ci tenevo a precisarlo perché mi domando se averci impiegato due settimane abbia almeno ripagato. Voi che ne pensate?
Ps: scusate per il ritardo nella pubblicazione, ma sto leggendo un libro troppo bello, e non mi va mai di andare a computer. Non sapete quanto mi è costato separarmi da lui stamattina, per aggiornare…
A presto
Ily
 
Quando uscii dall’ospedale, verso l’inizio di febbraio, io e Justin decidemmo che avrei tenuto il bambino, e che era arrivato il momento di confessare tutto, anche se sarebbe stata dura, anche se non l’avrebbero presa bene.
Stabilimmo un giorno per dirlo ai miei e un giorno per dirlo ai suoi: 14 e 15 febbraio. Il giorno di San Valentino ci sembrava adatto perché era la festa degli innamorati, e facendo vedere a tutti il nostro amore speravamo non l’avrebbero presa così male. Il 15 era scelto un po’ a caso, anzi, era stato scelto come successivo al 14. Io e Justin decidemmo anche che, quando si diceva, dovevano esserci entrambe le persone, per questo lui il 14 sarebbe venuto da noi e io il 15 sarei andata da lui.
Quel cavolo di giorno si avvicinava, ed io tentavo di trovare le parole giuste per non far prendere un infarto a tutti. Avevo pensato ad una cosa diretta, del tipo: “Sono incinta”; oppure ad una cosa più generale, tipo: “Siamo giovani… I bambini… Non sapevamo ciò che facevamo… È capitato per caso”, anche se nessuna sembrava andare bene. Arrivarci in maniera diretta sarebbe stato un colpo per tutti, girarci intorno avrebbe solo accresciuto la tensione.
Me ne stavo sdraiata sul mio letto ad ascoltare la nuova canzone di Fedez “Cigno Nero” quando alcuni versi mi rimasero impressi: “E il tuo nome è stato scritto a matita per poterti cancellare una volta finita”. Non so perché, ma mi venne in mente Justin. Lui non mi avrebbe lasciato, ne ero sicura. D’altronde, se avesse voluto farlo, non avrebbe aspettato ancora. O forse si? Tanti, troppi dubbi, mi stavano assalendo. E se non fosse così? E se Justin stesse aspettando il momento giusto per lasciarmi da sola? Non volevo pensarci; non potevo pensarci.
Una folata di vento proveniente dalla mia finestra mi riportò alla realtà, quella realtà in cui Justin per ora non mi aveva abbandonato nonostante portassi in grembo una sua pro-creazione.
Peccato che i miei dubbi rimanevano tali, e per questo decisi di parlarne con Justin: non riuscivo più a tenermi tutto dentro.
Indossai i miei legging maculati, la camicia nera e la giacca da football. Avevo voglia di indossare i tacchi, ma poi riflettei un momento e decisi che non era la cosa giusta da fare, e così indossai le mie blazer di pelle nere con il logo Nike rosso. Raccolsi i miei capelli biondi scuri in una coda alta e poi uscii di casa infilando nella mia borsa bianca il mio cellulare con la custodia Paul Frank. Indossavo, come sempre, gli occhiali da vista e una leggera sciarpetta nera avvolta intorno al collo. Decisi di indossare, oltre agli orecchini a rosa neri e alla collana, anche un bracciale nero e argento e un anello con il simbolo dell’infinito.
[http://www.polyvore.com/cgi/set?id=77115538&.locale=it]
Gli scrissi un messaggio in cui gli dicevo di raggiungermi al parco mentre io scesi in fretta le scale raggiungendo la cucina.
-Mamma- dissi alla donna bionda che si trovava vicino al piano cottura- il 14 Justin verrà a mangiare qui- completai poggiandomi alo stipite della porta
-Sicura tesoro? Non volete andare a cena fuori?- chiese lei guardandomi stranita
-No, dobbiamo dirvi una cosa, e fa’ che ci siano tutti, anche Emma- risposi uscendo.
Inizialmente non sapevo se prendere il motorino di Rose oppure andare a piedi, ma poi mi incamminai a piedi perché non ero sicura di avere la forza per guidare un motorino.
Non ci misi molto tempo per arrivare al parco, non distava molto da casa mia, e presi posto ad una panchina che dava sul piccolo laghetto interno.
-Piccola, che succede?- chiese Justin, il volto preoccupato, appena mi vide
-Mi vuoi lasciare?- chiesi diretta. Se doveva dirmelo almeno non ci avrebbe girato intorno
-Ma che dici, sei impazzita Jen?- rispose sedendosi accanto a me –Chi è che ti mette queste strane idee per la testa?
-Ma no, nessuno. Solo, ascoltavo la nuova canzone di Fedez e mi ha fatto riflettere- risposi abbassando lo sguardo. Mi sentivo male per averlo fatto preoccupare a quel modo.
-Chi è Fedez?- chiese curioso.
-Un cantante italiano…
Lo abbracciai, avevo bisogno di sentire il suo calore invadere il mio corpo, volevo poggiare il mio viso sul suo petto. Quel bellissimo momento fu interrotto dal mio telefonino
“Il tuo cuore batte a tempo / ritmo nuovo mai sentito / e da quel poco che l'ascolto”
-Pronto?
-Jennifer dove sei?- la voce preoccupata di mio fratello mi giunse nell’orecchio a parecchi decibel più alti di quanto doveva essere.
-Sono al parco con Justin, che c’è?- m’informai.
-Sempre Bieber di mezzo- disse seccato.
-Joshua, che vuoi?- sbuffai io seccata.
-Cosa ci devi dire?- chiese quasi ordinandomi di fornirgli una risposta
-Lo saprai con gli altri- sbottai- ciao- e gli attaccai il telefono in faccia. Non era una cosa che facevo di solito, essere maleducata, ma Joshua a volte era proprio esagerato. Capivo che si preoccupava per me (e anche per Rosalie) però il modo in cui trattava Justin non lo sopportavo proprio! Forse un po’ lo capivo dato che al primo anno Jason, il fratello maggiore di Justin, l’aveva tormentato, ma Justin non era così, e lui avrebbe dovuto accettarlo, prima o poi.
O no?
Dopo aver attaccato decisi di tornare a casa per evitare di ricevere altre telefonate minatorie. Perché sì, quella di Joshua era una telefonata minatoria.
-Jennifer- mi sentii chiamare alle spalle mentre ero quasi arrivata a casa. Mi voltai, ma non vidi nessuno. Mi voltai di nuovo quando udii il mio nome per la seconda volta, però vidi Eric che correva come un matto.
-Eric, che cos‘è successo?!- chiesi cercando di reprimere le risate
-Ero allo stadio a vedere l’allenamento dei bambini, ma poi ho visto Ross e Cruz e sono scappato- ammise riprendendo fiato
-Guarda che Noah e Logan non ti mangiano. E poi senza Justin sono innocui.
-Allora ammetti che Justin è la mente di tutto!
-No! E ora ciao!- risposi irritata dal suo fraintendimento.
Entrai in casa sbattendo rumorosamente la porta e facendo voltare Emma verso di me.
Ma quella ragazza non aveva una casa propria?
-Che ti prende?- chiese Rosalie affacciandosi su per le scale. Io non le risposi, ero troppo irritata per riuscire a parlare senza urlare. Il mio umore peggiorò ancora quando sentii una litigata tra mamma e papà via telefono.
-James sono loro che non hanno chiesto di vederti
-Potresti anche provare a venire tu!
-Non mi risulta tu gli abbia telefonato!
-Oh, va’ al diavolo!
Non sapevo cosa gli aveva detto papà, ma doveva essere stato piuttosto irritante dato che la mamma gli aveva risposto a quel modo. Mentre sentivo la conversazione mi arrivò un messaggio da parte di Justin. Diceva: “Sta’ tranquilla piccola, mi prenderò cura sia di te che del piccolo/a fagotto”. Che dolce! Piccolo o piccola? Chissà se la creaturina sarebbe stata maschio o femmina. Iniziai a pensare ad alcuni nomi. Se fosse stato maschio mi sarebbe piaciuto il nome Jacob, oppure Louis, ma anche i nomi italiani Andrea e Mattia, oppure la versione americana del nome Matteo (Matthew). Se fosse stata femmina, invece, mi sarebbe piaciuto il nome Ginny (abbreviativo di Ginevra), o anche Lily (abbreviativo di Lilian). Chissà se a Justin sarebbero piaciuti questi nomi!
Mentre me ne stavo sul letto a pensare mi accorsi che, dopo aver letto il messaggio, il mio cellulare giaceva dimenticato nel corridoio, e quando decisi di andare a recuperarlo trovai Joshua che lo scrutava con gli occhi sbarrati. No, doveva aver letto il messaggio!
-Tu!- riuscì solo a dire prima di sbattere il telefonino a terra e di scappare dal corridoio.

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Capitolo 6
*** Quale emerito idiota ha detto che il Primo fa più male del Secondo? ***


Love is old, Love is neew, Love is all, Love is you
Capitolo 5: Quale emerito idiota ha detto il Primo fa più male del Secondo?


 

-Jen, ma sei proprio sicura che l’abbia capito?- chiese il ragazzo biondo al mio fianco
-Justin, ti sembro scema?! Certo che l’ha capito. Aveva degli occhi…-risposi io.
Ero in lacrime, seduta su una panchina del parco accanto al mio ragazzo. In lacrime perché mio fratello aveva capito tutto. Mi aveva guardata con occhi innocenti e mi aveva incolpata. Avevo perso tutta la sua fiducia.
Almeno non l’aveva detto a nessuno, ma si limitava a punzecchiarmi e a non rivolgermi la parola. Odiavo quando faceva così: mi sentivo sola.
Rosalie non aveva più fatto domande dal giorno del divorzio, ed io ero dell’idea che iniziare un discorso di quel tipo non sarebbe stato molto d’aiuto data la mia posizione.
Continuavo a piangere, a frignare come un neonato. Mi sentivo una bambina quando facevo così, ma in quel momento non riuscivo a smettere. Ero nervosa, incazzata col mondo, per questo piangevo. Non ero triste, perché avrei dovuto esserlo? Una famiglia che ancora mi amava, un bambino in grembo e un ragazzo al mio fianco: stavo mettendo su famiglia. L’unico problema era che avevo diciassette anni, ma ciò non avrebbe creato problemi, né e me né a Justin. Ok, forse li avrebbe creati.
***
-Buonasera- esordì Justin entrando nella cucina di casa mia. Mia madre, per l’occasione, aveva insistito per apparecchiare nel salotto. In effetti non accadeva tutti i giorni che un ragazzo estraneo alla nostra famiglia si unisse ad essa, per di più se questo ragazzo era odiato da altri membri della suddetta famiglia, e quando dico altri membri, s’intende fratelli maggiori, ovvero Joshua. Quest’ultimo non era ancora arrivato. Era uscito e non era tornato. Emma invece già era nel salone insieme al suo gemello Luca.
-Ciao Justin- lo salutarono in coro quando facemmo il nostro ingresso nella stanza illuminata, per ora, solo dalla flebile luce che penetrava dal balcone.
-Ciao - disse solamente lui, forse intimidito dal loro parlare in simultaneo. In effetti non era una cosa che facevano spesso, o almeno cercavano di controllarla, ma a volte non se ne accorgevano e non riuscivano a domarla.
-Mamma, dov’è Joshua?- chiesi dopo poco per sciogliere la tensione.
-Non so, doveva già essere qui- disse scrollando le spalle – Rosalie Grace Hall, vieni immediatamente di sotto!- urlò poi a mia sorella piccola.
-Salve - disse lei in tono felice apparendo da dietro le scale. Poi si bloccò quando vide Justin, e si avvicinò alla finestra per scorgere qualcosa. Era molto strana quella ragazzina, ultimamente. Era più felice del solito, sempre pimpante, e aveva anche iniziato a rubarmi i profumi che io usavo poco o la matita e il mascara. La sera iniziava ad uscire con le amiche, anche se dubitavo che per le amiche uscisse con le borse enormi per metterci dentro le mie scarpe col tacco. Sospettavo avesse un ragazzo, anche se non le avevo ancora chiesto conferma perché avevo paura che poi potesse fare lei delle domande a me. Domande alle quali non volevo rispondere.
-Complimenti signora, è ottimo- disse Justin assaporando la pasta con gli asparagi e la salsiccia italiana fatta in casa.
-Oh, grazie, ma chiamami pure Rachele- disse la mamma fingendosi compiaciuta. Ormai aveva imparato che la sua cucina era ottima, era solo troppo modesta per ammetterlo.
-Sai che Rachele significa pecorella, ma’?- schernì Rosalie.
-Ma davvero, Grace?- rispose la mamma. Quando Rose le diceva qualcosa che non andava lei la chiamava Grace perché sapeva che Rose odiava quel nome. Lei, infatti, si presentava solo con il nome di Rose, e poi, molto tempo dopo, si veniva a sapere che il suo nome in realtà era Rosalie Grace.
Dopo la cotoletta di pollo e l’insalata io e Justin decidemmo che era giunto il momento, anche perché, altrimenti, non l’avremmo più detto.
-Mamma, dobbiamo dirvi una cosa- dissi io alzandomi dal divano dove eravamo tutti seduti. La mamma spense la televisione e poi controllò il cellulare. Forse aspettava notizie di Joshua.
-Ma, tesoro, Joshua…
-Poteva anche venire- sbottai irritata. Justin aveva notato il mio cambiamento repentino d’umore, e per questo era balzato in piedi anche lui accarezzandomi la mano.
-Ecco… è una cosa un po’ difficile da dire- iniziai cercando un po’ di conforto dai loro sguardi, ma li feci solo preoccupare.
-Non stai bene?- chiese la mamma col viso terrorizzato.
-No! No, in realtà è una buona notizia…- dissi voltandomi a guardare Justin. Poi, senza distogliere i miei occhi dai suoi dissi – …credo…
Ad entrambi scappò una lieve risatina, e poi m decisi. Ormai avevo iniziato il discorso e avrei dovuto finirlo. Assolutamente.
Feci un profondo respiro e poi mi decisi.
-Sono incinta- dissi senza troppi giri di parole.
Emma sgranò gli occhi e restò a fissarci incredula, e Luca, con la sua stessa espressione, dal pavimento spostò lo sguardo su di noi. Rose sembrò prenderla bene dato che scattò dal divano e corse a darmi la mano. Justin era impegnato a scrutare mia madre: strana espressione la sua. I suoi occhi verde pallido persi in un punto imprecisato del volto di Justin, la gambe immobili, attecchite al suolo, le mani tremanti dietro la schiena dritta, la bocca aperta in segno di sorpresa.
Ok, forse non è stata una buona idea.
-D..Davvero?- fece la mamma alzandosi lentamente dando modo alle gambe di iniziare a tremare. Le sue braccia si allargarono e gli angoli della bocca si piegarono in un enorme sorriso. Almeno lei l’aveva presa bene.
Ci abbracciò entrambi tagliando fuori Rosalie così da stritolarci più del dovuto. Poi si ricompose e guardò il mio ventre ancora piatto.
-Avrò un nipote- disse massaggiandolo.
-Due- s’intromise Emma toccando il proprio ventre.
Rose era sempre più entusiasta all’idea di diventare zia, mentre Luca stava per morire stecchito. Non riusciva ancora a muoversi, e aveva ancora la bocca aperta, gli occhi sgranati e lo sguardo fisso. Sembrava una statua!
Non era andata poi così male!
***
-Buongiorno signorino Bieber. Signorina- disse un maggiordomo all’ingresso della villa dei Bieber. Era un enorme casa a tre piani dove vivevano Justin, suo fratello Jason e il loro padre. Non avevo mai chiesto a Justn di sua madre dal momento che non la nominava mai, e quando si parlava di genitori lui preferiva non nominarla affatto. Il suo comportamento più volte mi aveva indispettito, così avevo chiesto in giro se fosse morta, ma mi avevano più volte assicurato che si pensava fosse ancora viva e vegeta.
-Buongiorno Alfred- disse Justin rivolgendosi al maggiordomo che stava ritto nel suo abito elegante.
-Buongiorno - disse un uomo rivolto a noi due – io sono Jonathan Bieber, piacere di conoscerti- disse allungando la sua lunga mano verso di me.
-Piacere mio- dissi ricambiando la stretta – io sono Jennifer Hall.
Quando stavamo per iniziare il pranzo si aggiunse a noi anche Jason, il fratello maggiore di Justin che frequentava la nostra stessa scuola.
Mi sentivo un po’ a disagio ad essere l’unica donna in mezzo a tanti uomini. Insomma, convivere con più uomini, per la governante, doveva essere diventata una cosa normale dato che ci viveva da tanto tempo, ma per me era ancora molto strano.
-Sai Jennifer, Justin non ci presenta mai le sue amiche- disse Jason mentre divorava la sua enorme bistecca di vitello piena di aceto balsamico. Justin rischiò di strozzarsi con una foglia d’insalata quando sentì quelle parole, poi il suo tossire fu sopraffatto dalla voce del padre.
-In effetti è vero- disse l’uomo con voce calma continuando a mangiare la sua porzione di insalata con carote.
Justin, superato il colpo di tosse, si alzò e disse:
-Ho un annuncio da fare
-Che c’è, vi sposate?- lo schernì Jason.
-No, emerito idiota- disse solo Justin interrotto da un’occhiata fulminante del padre.
-Noi… ecco… lei- s’interruppe di nuovo cercando conforto nei miei occhi. Io mi alzai, lo presi per mano e mi poggia sulla sua spalla.
- Sono incinta- dissi respirando profondamente prima e dopo aver finalmente rivelato tutto.
Ora che tutti lo sapevano mi sentivo, più tranquilla, quasi rilassata.

N.d'A.
Mi scuso per l'immenso ritardo nel recensire, ma ho avuto mille problemi: una scomparsa improvvisa, gli allenamenti di danza, il lavoro mattutino... Le cose da fare erano tantissime, ed il tempo troppo poco. In ogni caso, spero che almeno il capitolo ripaghi e spero di farmi perdonare pubblicando al più presto il prossimo, il capitolo della svolta.
Comunque non preoccupatevi, perché i capitoli li ho scritti fino al decimo (con un extra finito e un altro da completare), mentre l'undicesimo l'ho appena iniziato; e li ho anche betati fino al settimo!
Ora vi lascio...
A presto
Ily
Ps: Se vi va, passate dalla mia raccolta di poesie sui fiori: The Art of Flowers. Per sono solo due capitoli, ma ne ho già pronti altri cinque!

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Capitolo 7
*** Dove ca**o vai? ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo : Dove ca**o vai?



 

Vaffanculo! Il suono di quelle parole mi rimbombava nella testa come una bambina che si diverte ad urlare sempre la stessa cosa dalla cima di una montagna.
“Ma siete impazziti?”… “Justin, chi ti dice che sia tuo?”… “Quella puttana potrebbe volere incastrarti”
Vaffanculo! Quegli emeriti idioti non mi credevano. Credevano fossi capace di andare col primo che passa.
Vaffanculo a tutti! Vaffanculo a tutto!
“Pff… è per colpa vostra se mamma se n’è andata… siete senza cuore”
Almeno sapevo che fine aveva fatto la loro madre. Dopo l’accaduto non ero proprio in me, e per questo Justin aveva preferito non riaccompagnarmi subito a casa. Mentre sedevamo in macchina, abbracciati, gli avevo chiesto della madre, e lui mia aveva raccontato la sua storia: “Era una bellissima donna, la mamma, almeno per come me la ricordo io. Aveva dei riccioli biondi che le ricadevano leggeri sulle spalle e profondi occhi marroni che al sole s’illuminavano, proprio come i miei… Quel giorno lei e mio pare avevano litigato di nuovo. Lui è stato sempre uno a cui non interessa nulla, gli piacciono solo i soldi; questo lato di lui la mamma lo odiava, così fece le valigie se andò. Non l’ho più vista, anche se dopo un paio di mesi mi arrivò una lettera, in cui diceva che mi amava e che lei mi osservava sempre”
Doveva essere davvero una donna speciale se a Justin brillavano gli occhi mentre ne parlava. Si vedeva che gli mancavo molto.

***

-Come va il pancione?- chiese, anzi urlò, Jason davanti a tutta la scuola. Quel ragazzo era diventato ancora più scontroso del solito!
Tutti si voltarono a guardarmi, compresi Eric, Ashley e Honey, i quali ancora non sapevano nulla. Juls, invece, mi guardò con compassione e poi spiegò la storia agli altri.
Mentre camminavo per i corridoi le persone mi fissavano, come a credere che sarei scoppiata a piangere lì in mezzo. Scrutavano il mio ventre come a non voler farsi capaci che lì dentro ci fosse un bambino, una piccola creatura che, prima o poi, sarebbe venuta fuori.
Nemmeno io riuscivo a farmene capace, ma non per questo mi fissavo di continuo.
Poi, tanto per restare in tema di sciocchezze, mio padre un giorno si presentò a scuola, mi fece uscire dall’aula e avemmo una discussione nel corridoio.
-Com’è che se sei incinta?- chiese con fare arrogante.
-Ehm… vediamo… Una cicogna mi ha detto che tra nove mesi mi porterà un bambino- risposi con fare provocatorio.
-Jennifer, il tuo atteggiamento non mi piace- disse di nuovo lui.
-Papà, come pensi si facciano i bambini?!- risposi più scorbutica che mai. Andiamo, pensava fossi così idiota? Pensava che non avrei mai fatto l’amore? Pensava forse che avrei avuto un amore platonico? Al diavolo…
-Faremo i conti, signorina- disse puntandomi un dito contro.
Oh, come odiavo quando faceva il superiore. Ma cosa credeva? Che lui fosse il migliore? Che tutti gli altri fossero stupidi?
Questo giudice da strapazzo…
Al suono dell’ultima campanella, quella di fine lezione, Justin mi raggiunse velocemente al mio armadietto seguito da Noah e Logan.
-Salve Bionda- dissero i due in coro – Come va?- chiesero poi scrutandomi il ventre.-
-Si, sono incinta! Ora basta, non si vede nulla!- urlai, in preda ad una crisi isterica, attirando l’attenzione di tutta la scuola.
Arrossii dopo essermi resa conto di quello che avevo fatto ed abbassai lo sguardo. Justin si voltò verso i ragazzi e sussurrò a denti stretti: -Grazie!
Poi si voltò verso di me e mi abbracciò. In quello stesso istante sentii uno strano calore invadermi. Il suo maglioncino aderiva perfettamente con la mia felpa mentre le sue gambe coperte dai jeans stretti erano incastrate tra le mie. Sarei rimasta così per ore, peccato che l’amore non può durare in eterno.
-Andiamo in biblioteca- suggerì Justin staccandosi da me.
-Ok, vado a dirlo a Eric- disse allontanandomi.
-Lascia stare- mi precedette Juls permettendomi di tornare tra le braccia del ragazzo che amavo.
La biblioteca era un enorme sala piena di libri, fredda e umida, e sempre silenziosa. La custode era un’anziana donna dai capelli bianchi, con perenni occhiaie sotto gli occhi scuri. Signora Allen, mi pareva si chiamasse.
Io e Justin ci sistemammo in un posticino tranquillo, tra due scaffali stretti accanto alla finestra dalla quale entrava una luce accecante. D’altronde, a ora di pranzo, era piuttosto normale che ci fosse tutta quella luce.
Presi un libro a caso e iniziai a sfogliarlo con disinteresse sotto lo sguardo preoccupato di Justin. Il libro si chiamava Beastly e parlava di un mostro che prende con sé una ragazza, e poi si innamorano l’uno dell’altro. La mia storia era un po’ simile: io a scuola ero sempre stata invisibile, notata di tanto in tanto da qualche bizzarro ragazzo, finché un giorno decisi di difendere un ragazzo del primo anno da una banda di bulletti, Noah, Logan e Justin. Noah e Logan iniziarono a prendermi in giro mentre Justin rimaneva immobile, dietro di loro, a fissarmi. Quando uno dei due provò a spostarmi, gli mollai un ceffone dritto sul viso disegnandoli quattro sottili dita. L’altro mi afferrò per un braccio, e dopo avermi strattonato, prese a massaggiarmi la guancia. Riuscii a liberarmi, ma beccai uno schiaffo che impresse cinque dita sulla mia pelle pallida. Poi intervenne Justin, il capo della gang, a fermarli e si fermò a guardarmi. I suoi occhi spettacolari furono la prima cosa che notai, seguiti dalle Supra e dall’imponente fisico. Io, per tutta risposta, mi voltai stando ben attenta a sbattergli i capelli sul viso, dopodiché me ne andai.
Nel libro la bestia s’innamora per prima, e alla fine s’innamora anche la ragazza.
Nel nostro caso credo ci siamo innamorati insieme quando ci siamo guardati negli occhi, anche se io feci la sfacciata.
Per molto tempo cercò di farmi uscire con lui, ma io non volli mai accettare, finché un giorno, nel quale si presume il cervello avesse lasciato il comando al cuore, accettai. Quel giorno scoprii tutta la sua dolcezza, dolcezza che riservava solo per me.

***

Mi chiedo dove cazzo sia Justin!
Pensavo e ripensavo. Dopo il pomeriggio passato in biblioteca non si era fatto più sentire. Non avevamo più sue notizie, né io, né Logan, né Noah. Tutti eravamo preoccupati e più volte eravamo stati a casa sua, ma Alfred diceva di non saper nulla mentre la governante ci cacciava via.
Quel pomeriggio ero troppo stressata, e perciò decisi di fare una passeggiata a piedi. Faceva caldo, molto caldo per il mese in cui ci trovavamo, così indossai una leggera maglietta grigia, un legging grigio e nero e un cardigan dello stesso colore del legging con le borchie sulle spalle. Infilai il primo paio di scarpe che mi trovai davanti, afferrai la borsa, ed uscii.
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Quel cavolo di sole alto nel cielo non riusciva a migliorare il mio umore, sotterrato più in basso della fossa delle Marianne.
Mentre passeggiavo sul ciglio della strada scorsi un enorme auto nera in lontananza. Mi sembrava familiare, e man mano che si avvicinava ne ero sempre più convinta. Quando mi fu vicina mi arrivò un messaggio. Era da parte di Justin e diceva solo “Ti amo”.
Quando alzai lo sguardo avevo gli occhi pieni di lacrime.
L’auto intanto mi era sempre più vicina e riuscii a scorgere un uomo alto, con lo sguardo fisso, severo. Al suo fianco c’era un ragazzo col sorriso. Per un attimo mi parve quasi che iniziasse a ridere guardando il mio viso. Nel sedile posteriore stava un ragazzo, il volto scuro, triste, poggiato sul finestrino. Alzò lo sguardo per un istante e i miei occhi azzurri incontrarono i suoi. Li conoscevo, quegli occhi. Quella volta, per la prima volta, non s’illuminarono al sole, ma s’incupirono ancor di più.
Un fulmine a ciel sereno, letteralmente, si scagliò su di me.
Le lacrime che avevo sugli occhi presero a scendere, delicate, sul mio viso. La pelle pallida si tinse di un lieve rosa. Il contorno occhi si arrossò velocemente facendo risaltare i mie occhi azzurri.
Quell’emerito idiota, dove diavolo voleva andare? Dov’è che voleva scappare?
Presi a correre nella direzione opposta, seguendo l’enorme macchinone nero nel quale Justin stava scappando.
Dove andava? Ma soprattutto perché?
Mi aveva detto che sarebbe rimasto accanto a me, e ora se ne andava? Ma quale razza di persona era… Di chi mi ero innamorata…
Scelgo sempre le persone sbagliate, lo so…

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Capitolo 8
*** Cos'hanno in comune? ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is new
Capitolo sette: Cos’hanno in comune?



N.d’A.
Sapete, ci tengo molto a questo capitolo, e vi spiego perché. Inizialmente volevo scrivere un'altra fan fiction con protagoniste tre persone (dopo capirete!), un po’ speciali. Poi, dopo aver scritto due capitoli ed essere arrivata un po’ al momento cruciale, non sapevo più me continuare, così mi sono bloccata. Quando mi sono bloccata anche qui, ho subito pensato di unire le due storie, così ho integrato qui i due capitoli, che con i rispettivi titoli, sono questo e il prossimo!
A presto
Ily
 
Le settimane seguenti non furono difficili. Di più.
Ero costretta a sorbirmi le persone che mi guardavano di sottecchi, i sussurri mentre camminavo per i corridoi, gli amici scomparsi. Mi era rimasta Rosalie, l’unica che appoggiava la mia scelta di tenere il bambino.
Honey e Ashley me l’avevano detto, avevano detto che ero stata molto sciocca, ed io avevo accettato la loro opinione. Eric non si era pronunciato; mentre Juls avrebbe fatto la stessa cosa: lo capivo dal modo in cui mi sorrideva quando parlavo del piccolo. Ne ero sicura, lei avrebbe fatto da madrina a mia figlia, avessi partorito sette volte per averne una!
Quanto alla mia famiglia, mio padre mi trattava una merda, Joshua quasi non mi parlava più, mentre Luca era ancora molto scosso.
Mamma ed Emma avrebbero preferito farmi abortire. Le sentii dire questo un pomeriggio di inizio marzo, mentre stavo per andare in ospedale a fare una visita.
La creaturina era ancora troppo piccola per scoprirne il sesso, ma io ero davvero curiosissima. L’attesa per l’ecografia era stata lunghissima, ma almeno ora avevo le prime fotografie di mio figlio, del mio bambino.
La dottoressa disse che stava bene il piccolo, che si muoveva, cresceva e mangiava. Il pancione si notava sempre di più, e gli sguardi della gente iniziavano a infastidirmi. Insomma, camminare per strada con le cuffie nelle orecchie non si poteva più fare senza che qualcuno mi guardasse con aria schifata o dicesse qualche parola di troppo.
Un giorno ero sul ciglio della strada, col volto basso, a fissare le mie scarpe col tacco, quando due ragazzi sul motorino si fermarono a pochi da me
-Perché la maglia larga, piccola?- disse uno scatenando la risata dell’altro.
-Ti si sta rovinando la silhouette?- chiese l’altro.
Oh, andiamo. Cos’aveva che non andava il mio vestiario? Non potevo nemmeno indossare ciò che volevo. Perché adesso una maglia larga, un legging e un paio di tacchi non potevano più essere indossati senza scatenare l’ilarità di qualche idiota.
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Era vero: ero incinta, ma non me ne vergognavo affatto. Anzi, ne ero fiera. Più che fiera, in realtà, ero felice. Insomma, la mia vita stava per cambiare radicalmente, e anche senza quel bastardo al mio fianco, io volevo il bambino per costruire con lui una famiglia, una vita che fosse solo mia.
Non mi piaceva dipendere dalle persone, non mi era mai piaciuto, ma nelle mie condizioni cercare un lavoro non era la cosa migliore da fare. La ginecologa me l’aveva sconsigliato perché lo stress avrebbe potuto far male al bambino, e infatti già quello accumulato con la scuola non gli faceva affatto bene.
Comunque, i commenti dei ragazzi non mi facevano più né caldo né freddo, anche perché i giudizi della gente non m’interessavano.  Per tutta la vita non avevo mai ascoltato le parole delle persone. Semplicemente non m’interessavano.
Per tutta la vita ero stata giudicata, squadrata, etichettata: ha i fianchi, seno troppo grande, braccia molle, cosce abnormi, viso da angelo, capelli di merda.
Non li avevo mai ascoltati: per me contava solo il MIO giudizio, ciò che pensavo io di me stessa, e, a dir la verità, questo era sempre stato un punto a mio favore dato che quando mi fissavano e poi dicevano “Sfigata” io camminavo a testa alta, sorridendo e fregandomene altamente  dell’opinione della gente. Perché col tempo avevo capito che le persone non mostrano ciò che pensano davvero, ma ciò che gli altri vogliono fargli mostrare.

***

-Dove vai Jen?- chiese Rose un giorno mentre attraversavo la cucina di sottecchi.
-A fare due passi- dissi cercando di convincerla, ma a quanto pare non funzionò.
-Aspetta, la mamma vuole parlarti- mi bloccò lei. – È di là in salotto che ti cerca.
Ri-attraversai la cucina per arrivare in salotto e lì trovai la mamma che camminava avanti ed indietro.
-Che succede?- chiesi notando la sua agitazione
-Niente- finse. Stavo per chiederle di dirmi la verità, il telefono mi bloccò.
Lei si lanciò in una fitta conversazione composta per lo più da insulti e cose del genere verti alla persona dall’altro capo del telefono. Di punto in bianco mise la cornetta al suo posto e si rivolse a me.
-Justin?
-Justin, cosa?
-Che fine ha fatto?
-Non lo so
-Come non lo so… aveva promesso di aiutarci…- concluse toccandosi la fronte.
-Lo so, ma lo hanno portato via- abbassai lo sguardo.
-Portato via? Lo credi davvero?- mi urlò addosso.
-Sì, e se tu non mi credi non sono affari miei- le urlai con le lacrime agli occhi.
Scappai nella mia stanza e chiusi a chiave la porta. Rose mi rincorse ma non fece in tempo ad opporsi. Mi gettai sul letto a piangere per ore, e solo un messaggio mi riportò alla realtà.
Mittente sempre Justin, e diceva solo: “Ti amo”.
Ti amo
Quelle due fottutissime parole che servono solo a rovinare la vita alle persone. Per quale cazzo di motivo non me l’aveva detto prima di non volere il bambino? Almeno così ci avrei ragionato di più, ma soprattutto non avrei fatto credere a tutti che lui mi sarebbe stato vicino.
Era davvero un bravo attore. Aveva recitato la parte del buono e caro per poi nascondersi dietro le spalle del padre e del fratello, quel vigliacco. Non aveva nemmeno avuto il coraggio di guardarmi in faccia mentre mi abbandonava. Si era nascosto dietro ad un cellulare per mentirmi, e continuava a farlo anche ora che non c’era più.
Che stronzo.
Era l’unico aggettivo che mi veniva in mente per lui.

***

-Vieni alla festa- aveva detto. –Ci divertiremo.
Sì, mi stavo proprio divertendo! C’erano un mucchio di ragazze altezzose nei loro vestitini attillati, mentre io indossavo solo una camicia larga e una gonna perché gli indumenti troppo attillati facevano male al bambino. E poi, quel deficiente era pure sparito chissà dove con la troia di turno.
Mi annoiavo da morire su quei divani sui quali sarei sprofondata anche senza mio figlio, così mi alzai e mi diressi al piano bar. Durante il tragitto, però, incappai in qualcosa, così alzai gli occhi e vidi due figure identiche, tranne che per il vestiario. Istintivamente urlai: -Siete uguali a me!- ed entrambe le ragazze fecero lo stesso nel medesimo istante: una cosa davvero raccapricciante!
-Mi piacerebbe sapere chi siete voi due brutte copie- esclamò la smorfiosa col vestitino color panna.
-Ehi, brutta copia lo vai a dire a qualcun altro!- esclamò l’altra sulla difensiva.
-Ok, forse è meglio calmarci- dissi interponendomi tra le due.
-E tu chi saresti?- chiesero insieme.
-Potrei fare la stessa domanda a voi!- esclami incrociando le braccia al petto.
-Io sono Vanessa Martinez, ma immagino già lo sappiate- esordì la ragazza con i capelli a rosa e il vestito color panna.
-…Ma immagino già lo sappiate…- le fece il verso l’altra.
-Basta ora!- mi arrabbiai -Io sono Jennifer Hall
-Io Nicole Evans
-Bene, ora che abbiamo fatto le presentazioni: chi diamine siete?- domandò Vanessa.
-Ma allora sei tonta?! Ci siamo appena presentate!- fece Rosalie.
Mi chiedevo cosa stesse succedendo: era impossibile che c’erano due ragazze uguali a me!
-Mi domando perché voi due siate state invitate alla festa!- esclamò Vanessa con la sua aria da snob.
-Ma come, non sai che lei è la ragazza di Justin Bieber- disse Eric alle mie spalle e beccandosi la mia occhiataccia.
-Cosa? Non ci credo! Sono anni che cerco di mettermi con lui, e quell’idiota sceglie te?
-Nel caso non l’avessi notato, Vanessa, siete identiche- puntualizzò Nicole.
-Signore, io sono Eric Saade!- s’inchinò il ragazzo con le sue strane maniere.
-Non so come funziona da te in Svezia Saade, ma qui a LA non si fanno inchini- lo prese in giro Nicole.
Scoppiai a ridere, sorpresa del fatto che Nicole sapesse la provenienza di Eric. Davvero poche persone lo sapevano, e ancor di meno se ne rendevano conto, e fu proprio questo a scaturire delle domande in Eric.
-E tu cosa ne sai?- domandò sulla difensiva facendo arrossire violentemente Nicole, che abbassato lo sguardo, non rispose alla sua domanda.
Capendo l’imbarazzo della mia coetanea, mi avvicinai a Eric, e poggiandomi su di lui, gli chiesi di andare a prendere qualcosa da bere per tutte.
L’idiota tornò al divano con quattro birre, pur sapendo benissimo che io non potevo assumere alcolici per via del bambino.
-Sei un idiota!- sbottai colpendolo con un pugno.
-Ma perché? La birra l’hai sempre bevuta!- si difese impassibile.
Roteai gli occhi e dissi: -Vabbè, faccio io…
Tornai al tavolo con un’aranciata e mi sedetti accanto ai due.
Un momento, manca qualcuno!
-Dov’è Nicole?- domandai.
-Boh- rispose spazientito Eric. Probabilmente avevo interrotto la conversazione.
Presi a sorseggiare la mia aranciata mentre mi guardavo intorno per cercare Nicole, ma lei non c’era.
Sentendomi d’intralcio per i due tizi che continuavano a parlare, mi alzai ed annunciai: -Vado a cercare Nicole
Attraversai tutto il locale, ma di lei nessuna traccia. Avendo bevuto l’aranciata a stomaco vuoto, mi sentii un leggero languorino allo stomaco, e per evitare di star male in pubblico, andai nel bagno. Mi poggiai sul lavandino e alzai gli occhi per guardarmi allo specchio, e solo allora notai la porta di un gabinetto semi-aperta. Mi avvicinai, indispettita, e porsi l’orecchio udendo dei singhiozzi. Mi sporsi un po’ oltre la porta e vidi una figura inerme seduta sul water in un vestitino nero, il viso con le linee di mascara sciolto. Entrai, pensando di essere d’aiuto, ma mi sorpresi quando vidi che la figura era Nicole.
-Ehi ma che ti succede?- chiesi richiudendo la porta con me all’interno. Per tutta risposta lei emise solo versi strani e singhiozzi strozzati.
-Che c’è? Vanessa ti ha detto qualcosa? Non ascoltarla sai com…
-No. Il problema non è Vanessa. Il problema sono io. Il problema è che riesco sempre a cacciarmi nei guai, a dire la cosa sbagliata al momento sbagliato. A mettere in imbarazzo tutti, ma me stessa per prima.
-Se ti riferisci a Eric, per quello che è successo prima, lui stava scherzando…
-Ma aveva ragione: io non avrei dovuto saperlo!
Strinsi gli occhi, non capendo il verso della conversazione, ma sentii la vista mancare e gambe cedermi. In men che non si dica, iniziai a vedere tutto nero con leggeri neon.
N.d’A.
Probabilmente non vi fregerà nulla di quello che sto per dirvi, dato che vi ho lasciato in un punto abbastanza cruciale, ma ho voglia di farvi vedere qualcosa!
Questi sono li abiti delle ragazze:
Jen: http://www.polyvore.com/jennifer_party/set?id=80845693
Vani: http://www.polyvore.com/vanessa_party/set?id=77824619
Nick: http://www.polyvore.com/cgi/set?id=77825413&.locale=i

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Capitolo 9
*** ...Solo sette alleli ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo otto: …Solo sette alleli


-No! Ho detto che senza il suo permesso non le farete nulla!
La voce di mia madre si alzava risuonando nella mia testa. Un’immagine sbiadita compariva mentre sbattevo le palpebre.
-Che succede?- biascicai mettendomi seduta su quel letto a me estraneo.
-Jennifer!- urlò la mamma gettandomi le braccia al collo. Si staccò poco dopo mostrandomi Nicole, Eric, Juls, Ashley e Honey.
-Ma che ci fate tutti qui?- domandai perplessa notando i loro visi preoccupati. Guardarono tutti mia madre, e dopo un cenno di assenso Nicole fece un passo avanti.
-Ieri sera, alla festa, eravamo in bagno, e all’improvviso sei svenuta. Non sapendo cosa fare ho chiamato Eric che ti ha accompagnato qui. Dopodiché abbiamo chiamato tua madre, ed Eric ha voluto avvertire anche loro.
Ecco, ora iniziavo a ricordare. L’immagine di Nicole piegata in due sul water si fece spazio nella mia mente.
-Cos’hai bevuto alla festa? L’alcool potrebbe aver fatto male al b…-interruppi mia madre con un’occhiataccia orribile. Non volevo essere la vittima. La ragazzina ingenua che si fa mettere incinta e poi sta male per il piccolo.
-Aspetta, quindi tu sei…- ragionò Nicole spostando immediatamente lo sguardo dal mio viso al mio ventre. Qualunque persona venisse a saperlo rimaneva sempre scioccata.
-Dov’è papà?- chiesi cambiando argomento.
-Ha detto che aveva altro da fare- rispose acida la mamma. Quell’uomo era incredibile. Nemmeno io riuscivo spigarmi come avrebbe fatto a stare lontano da una sua pregenie in ospedale.
-E Joshua e Rose?- domandai non vedendoli nemmeno fuori.
-Beh, è tardi Jen. Rose è a casa che dorme, e Joshua l’ho fatto rimanere con lei. Svegliarla mi sarebbe dispiaciuto troppo- confessò la mamma. In effetti, da quando Luca era ripartito, Joshua spesso e mal volentieri doveva fare il baby-sitter a Rosalie. Non che lei ne avesse bisogno, certo, però la mamma era sempre molto preoccupata.
-Permesso?- domandò una figura varcando la soglia della porta. Eric gli lanciò uno sguardo di fuoco e si scostò per lasciarlo passare. Solo allora lo riconobbi.
-Logan. Che ci fai qui?- chiesi preoccupata.
-Beh, ho saputo che sei stata male, e così ti ho portato dei fiori- rispose ovvio, anche se un po’ imbarazzato.
-Ehm… grazie- feci sentendomi un po’ in soggezione. Li diedi a mia madre, la quale li poggiò sul tavolino accanto al letto.
-Io vado- fece Logan, poi borbottò qualcosa all’orecchio di Ashley che lo seguì a ruota.
-Mamma, sei stanca. Vai a casa a riposare- dissi rivolgendomi alla donna accanto a me. Le profonde occhiaie violacee intorno ai suoi occhi facevano capire che non aveva dormito molto. Diciamo pure per niente.
-Forse vado solo a prendere un caffè- borbottò uscendo dalla stanza. In quel momento Honey si precipitò accanto a me e prese a scrutare i fiori.
-Cosa c’è tra te e Logan?- domandò girando i fiori.
-Nulla- risposi stranita.
-Sicura? E perché ti ha portato dei fiori?
-Oh, andiamo!- s’intromise Juls - era sorpresa quanto noi!
-Non sarà mica che ti piace lui- dissi sorridendo.
-Ma che sei impazzita?!- domandò arrossendo.
-Ok, cambiate discorso- c’interruppe Eric –Che cavolo hai fatto?
-Non lo so- risposi sincera -Ricordo solo che ero nel bagno con Nicole, poi mi sono sentita accecata e le gambe hanno ceduto. Mi sono risvegliata qui
-Scusa Jen, ma devo andare. Mia madre è la centesima volta che mi chiama- disse Honey afferrando la borsa e uscendo dalla stanza, lasciandomi sola con Juls, Nicole ed Eric.
-Ma perché eri a quella festa? -domandò stranita Juls. In effetti, di solito andavano sempre alle feste insieme.
-È colpa mia- s’intromise Eric- avevo solo due biglietti, e pensavo che un po’ di divertimento le avrebbe fatto bene…
Lei sorrise di rimando e non disse più nulla.
-Nicole, ma dov’è Vanessa?- chiesi non vedendo il vestitino panna della snobbettina.
-Bah’ non è venuta. Si è fermata alla festa.
-Ah… Ma di cosa stavate parlando tu e la mamma?
Nicole mi guardò preoccupata, poi si voltò verso Eric che le lanciò un’occhiata dura, e infine tornò a guardare me. Non sembrava molto convinta di ciò che stava per dire, e a quanto pareva la mia domanda l’aveva imbarazzata. Era diventata statica, come se ciò di cui stessero parlando lei e la mamma fosse la più grande verità dell’universo, e perciò non andava rivelata nemmeno sotto tortura. Comunque, dopo un paio di minuti immersi nel silenzio, si decise a parlare.
-Le ho chiesto se potevi fare il test del DNA
-Cosa?!- domandai stupefatta. Non riuscivo a capire il perché di quella richiesta.
-Oh, andiamo. L’hai notato anche tu che siamo identiche! Suvvia, una conferma non cambierà certo le cose.
-Io, davvero non capisco dove vuoi arrivare- borbottai stranita. La sua richiesta era stramba! A cosa serviva il test del DNA? Insomma, ero quasi sicura di essere figlia dei miei genitori, perché chiederne conferma?
-Il test del DNA per vedere se siete gemelle- intervenne Juls spiegandomi tutto.
Ora era tuto più chiaro; la mia mente più nitida riusciva ad elaborare dei pensieri di senso compiuto. In ogni caso, Nick aveva ragione, bisognava cercare una risposta.
-Chiama l’infermiera- dissi rivolta a Juls  -Tu invece va’ a farti un prelievo –conclusi rivolta a Nicole.
Quando entrambe le ragazze furono uscite dalla stanza rimasi sola con Eric. I suoi occhi, di solito di un marrone luccicante, erano spenti, e tendevano molto di più al nero. Mai li avevo visti così!
-Eric, ma cos’hai?- domandai perplessa dal suo strano comportamento. Se ne stava rannicchiato accanto alla finestra aperta, lo sguardo perso nel vuoto.
-Niente- rispose con rabbia stringendo i denti.
-Ehi ti conosco troppo bene…- affermai convinta. -Sei anche diventato coraggioso verso Logan e Noah!
Buttarla sullo scherzo mi sembrava la cosa più adatta per tirarlo su di morale.
-Beh, diciamo solo che senza il capo non fanno paura a nessuno
-In realtà no! È Justin che non fa nulla- lo smentii immediatamente.
-Scusa, non è lui che ti ha abbandonato dopo aver scoperto che eri incinta?
Le sue parole erano piene di rabbia. Le sputò fuori come se le avesse trattenute dentro per troppo tempo.
In quel momento Juls rientrò nella stanza con l’infermiera.
-Quanti anni hai?-domandò la donna con aria scocciata.
-18- risposi anticipando Juls o Eric. Poi aggiunsi in un sussurro: -Quasi….
-Bene, allora sei capace di intendere e di volere, quindi avrai tutte le responsabilità- concluse allacciando il laccio emostatico oltre il gomito. L’aveva stretto molto forte, quasi che sentii il sangue fermarsi. Poi afferrò la siringa e infilò l’ago nella vena. Nel momento in cui entrò avvertii qualcosa di strano nel braccio, poi mi sentii mancare del sangue mentre la donna, annoiata, prese a tirare la siringa.
Quando ebbe finito, Nicole rientrò nella stanza con un cerotto sul braccio e il viso felice, mentre Juls usciva accompagnando l’infermiera. Avevo come l’impressione che volesse parlarle, quasi intimarla a fare qualcosa.
-Ehm… Io vado Jen. Ci sentiamo- salutò Nicole uscendo dalla stanza con i tacchi tra le mani.
Rimanemmo di nuovo soli io ed Eric, così ripresi il discorso.
-Non abbiamo mica finito, eh! Devi ancora spiegarmi la fonte di innato coraggio
-Gne gne- disse avvicinandosi al letto e sedendosi accanto a me.
-Come stai?
-Bene, non vedi- risposi ovvia.
-Non intendevo in quel senso. Io intendevo per Justin. Volevo chiederti scusa per…- lo interruppi prima che potesse finire di parlare.
-No, non voglio ascoltarti. Non devi, assolutamente, chiedermi scusa!- dissi voltando il capo di Eric verso di me. I suoi occhi erano tornati quelli di sempre, di un marrone scintillante che pareva finto. I capelli corvini erano ancora tutti scompigliati sul capo.
Era oggettivamente molto bello, Eric. Il neo sulla guancia destra, i capelli corvini e ribelli, gli occhi scintillanti, il fisico scolpito: tutto era bello di lui. Per me non era mai stato più di un amico, e non provavo nessun genere di attrazione, eppure, quando Ashley ci aveva provato spudoratamente, ero diventata gelosa. Non che per lui provassi qualcosa allora, però non volevo che lei lo facesse soffrire. Per carità, era un’ottima amica, però quando si trattava di ragazzi non era affatto affidabile. Li cambiava più o meno ogni 3-4 mesi, con brevi pause di 1-2 mesi. E la maggior parte delle volte si fidanzava per solo divertimento! A volte capitava anche alla fin fine si innamorava per davvero, ma i ragazzi non le credevano e la scaricavano, per questo diventava sempre più stronza.
-Ti voglio bene, Jen- sospirò poggiandosi sulla mia spalla.
-Anch’io Eric- risposi accucciolandomi vicino a lui. Mi sentivo così piccola in confronto alla sua statura imponente. Quando si era appena trasferito era molto basso, e soprattutto non c’era traccia di un muscolo sul suo corpo. Dopo un po’ di tempo aveva iniziato ad andare in palestra, dopo qualche mese era cresciuto improvvisamente e aveva messo su tutti quei muscoli.
Il cambiamento per me era stato graduale, ma quando tornò in Svezia per le vacanze i suoi parenti lo trovarono diversissimo.
-Cos’è successo qui?- domandò urlando la mamma, interrompendo i miei pensieri.
-Nulla!
-Bugiarda, fuori c’è la ragazza che ti assomigli con un cerotto sulla la vena, e poi ho visto Julie e l’infermiera- sbottò urlando. Infine continuò rivolgendosi ad Eric: -Tu! Non avrai mica permesso…
-Mamma smettila!- la interruppi. –Eric non c’entra nulla, sono io che ho voluto fare il test.
-E perché?- domandò lei scandalizzata. –Non penserai mica che io…
-Non penso nulla, mamma! Dico solo che ci sono due ragazze identiche a me, e che forse…
Mai riuscii a finire la frase dato che fui bruscamente interrotta da un suo urlo, seguito dal cacciare Eric fuori dalla stanza.
-Mamma, ma che fai?- domandai attonita.
-È stato lui a metterti strane idee in testa, lo so!- affermò sicura di sé.
-Ti sbagli, sono io a voler…- mi bloccai di colpo, riuscivo a leggere il dolore nei suoi occhi.
-Quindi tu pensi che io non sia tua madre?! Ma non la vedi la somiglianza con i tuoi fratelli?! Non vedi il colore dei capelli di Joshua?! E gli occhi di tua sorella?!
-Non intendevo questo, mamma. Dico solo che forse… ecco… potrebbe esserci stato uno scambio!
-Oh sì, certo!- rispose ironica. –Ora proprio lo scambio ci doveva essere quella notte!
Mentre la mamma pronunciava quelle parole, non avrebbe mai immaginato che di lì a poche ore avesse scoperto di avere altre due figlie, e la quota saliva a sette.
-Ma stiamo scherzando?!- sclerò la mamma imperterrita dalle risposte del test.
-Penso di essere capace di ricordare di aver partorito tre gemelle!
-Ma infatti non è stata lei. Le ragazze sono figlie di uno stesso genitore, in questo caso il cromosoma y, e per un puro caso si sono ritrovate a nascere lo stesso giorno.

***

Non avevo mai sentito storia più bizzarra di quella! Insomma, un tizio che mette incinta tre donne più o meno nello stesso periodo, e per un semplice caso le tre donne partoriscono assieme, e soprattutto tre ragazze identiche!
Bah…

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Capitolo 10
*** Missing Moment ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you

 

MISSING MOMENTS


N.d’A.
Questo Missing Moment non è stato difficile da scrivere, anzi, mi sono divertita molto, e spero vi divertirete anche voi nel leggerlo. Non so se ne scriverò altri, anche perché se non apprezzate questo, che faccio? Comunque spero mi lasciate una piccola recensione e ora vi lascio alla storia.
A presto
Ily
Ps: se dovessi pubblicare un'altra fan fiction sui One Direction, qualcuno di voi passerebbe a leggerla?  
-Ehi, ho notato che giri sempre insieme alla mia ragazza!- esclamò Justin intimidendo il ragazzino davanti a lui.
-I…io?- borbottò Eric impaurito dal ragazzo che aveva davanti.
-Sì, tu sta’ lontano da Jennifer!- abbaiò contro il minuto Eric.
-E da quando è la tua ragazza?- chiese il moro facendosi valere per proteggere l’amica.
-Beh… ecco… lo sarà presto- balbettò il biondo colto alla sprovvista.
Eric non sopportava la sua prepotenza, ma la cosa che più odiava era il fatto che Jennifer non lo filasse. Da quando si era trasferito aveva fatto amicizia solo con lei, e poi lei lo aveva inserito nel proprio gruppo di amicizie. Si era quindi ritrovato ad essere l’unico ragazzo in mezzo a tante ragazze, e la cosa non gli dispiaceva poi così tanto.
Julie, la migliore amica di Jennifer, era una ragazza molto magra e abbastanza alta, con un bel sedere e delle discrete tette. Il sedere distoglieva lo sguardo dal viso abbronzato con gli occhi scuri, contornati da lunghi capelli marroni.
Ashley, invece, aveva un gran bel culo, ma delle tette piccole. Il viso era grazioso, con occhi verdi e capelli neri. Il tutto messo in risalto dall’altezza mediocre.
Honey, invece, era una ragazzina non troppo magra, ma decisamente molto alta, con lunghi capelli rossi, occhi blu e lentiggini sul viso roseo.
La più bella di tutte, però, resterà per sempre Jen. Lei e il suo viso angelico, i capelli biondo scuro, gli occhi color ghiaccio talmente chiari da potercisi specchiare. Poi, a completare l’opera che Madre Natura le aveva regalato, c’erano delle gran belle tette e un culo da asdfghjkl.
Sono un ragazzo in piena crisi ormonale: cosa vi aspettavate?
Peccato che per lei Eric era solo un amico, un buon amico.
-Te lo ripeto per l’ultima volta!- esclamò Justin distogliendo Eric dai suoi pensieri e facendolo rinvigorire. –Se non stai lontano da lei, lei dirò che le sbavi dietro!
-Cosa?! Io non…- tentò di giustificarsi Eric, naturalmente senza buoni risultati.
Il biondo, poi, gli afferrò lo zaino, e mentre cercava di scappare gli mollò un pugno sullo stomaco. Il povero ragazzo, della stessa età ma molto meno sviluppato di Justin, si accasciò al suolo, inerme, schernito dalle risate del bulletto.
Eric, in Svezia, era abituato ad essere trattato bene, ad essere rispettato per la sua bellezza, per i suoi occhi marroni che parevano finti, per i capelli corvini; a Los Angeles, invece, niente pareva andare per il verso giusto.
Sarà la cittàsi disse sconsolato.
Dopo lo spiacevole avvenimento decise di andare subito a parlare con Jennifer, per raccomandarle di stare lontana dal bulletto. Quando la trovò lei era distesa su un enorme prato in mezzo a tanti fiori.
-Sai Eric- gli disse. –In questi giorni ogni volta che Justin mi parla mi sento strana.
-Strana in che senso?- domandò il ragazzo sedendosi accanto a lei.
-Boh. Non saprei proprio.
Rimasero lì nel prato per ore a parlare, senza nessuna ragione che li spingesse ad andar via… Senza nessuna ragione che li spingesse a rimanere lì.
-Eric, perché lo odi tanto?- domandò perplessa Jennifer. –In fondo, non ti ha fatto nulla di male.
In quel momento Eric fu tentato di dirgli tutta la verità, ma non riuscii. Guardare i suoi occhi lucidi sotto la luce del sole lo fece riflettere.
Forse potrà proteggerla molto più di quanto io sia capacepensò.
-Eric, mi stai ascoltando?- domandò la ragazza la cui domanda era rimasta sospesa nel vuoto.
Il ragazzo, per tutta risposta, si mise a sedere e lentamente si avvicinò al volto di lei, creando un velo d’ombra scura sulla sua pelle pallida appena arrossata dal sole.
Nemmeno lui si rese conto di quello che stava facendo, ma le sue labbra sembravano essere attratte come una calamita su quelle dell’amica più fidata.
Un bacio che non riuscì ad evitare.
Sempre più spaventato per il risultato della sua azione, sfiorò lentamente le labbra di Jennifer in cerca di un bacio, facendola sussultare a quel tocco. Spalancò gli occhi e notò da subito che il viso di Eric si faceva più vicino. Nessuno dei due sapeva cosa stesse realmente succedendo, ma Eric cercò quel bacio tanto atteso. Poggiò nuovamente e con molta forza le proprie labbra su quelle della ragazza inerme sotto di lui, la quale non si mosse. Accettò quel contatto con un altro sussulto e chiuse gli occhi, abbandonandosi alla passione del momento.
Ma Eric non voleva solo quello.
Un po’ spaventato da quelle nuove emozioni, prolungò il bacio ancora di qualche secondo, inserendo la lingua nella bocca dell’amica, ma a quel punto fu lei a staccarsi.
-Eric io…- tentò di spigarsi sfregando il sedere sull’erba per mettersi a sedere.
-No… Scusa è colpa mia…- intervenne il moro. –Facciamo come se nulla fosse successo- propose lui riluttante. Lei annuì sorpresa ma felice del distacco con cui agì il ragazzo. In fondo non voleva che soffrisse, ma si era lasciata trasportare dal romanticismo del momento, senza nemmeno immaginare che quello potesse essere il primo bacio per Eric.
-Dai, alzati che ti riaccompagno a casa!- esclamò quest’ultimo scattando in piedi. La ragazza lo seguì, un po’ riluttante, fino al motorino.
Salirono insieme, e lei, mentre stavano per partire, si strinse forte al petto del moro.
In fondo questo a lui bastava…

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Capitolo 11
*** Ditemi che non è un sogno! Voglio solo la realtà... ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo nove: Ditemi che non è un sogno! Voglio solo la realtà...

 

-Non è possibile!
Ormai queste erano le uniche tre parole che si riuscivano ad estorcere alla bocca della mamma. Da qualche settimana non diceva altro, solo quelle tre fottutissime parole. Lei non riusciva a farsi capace del rapporto che si era sviluppato tra me, Nicole e Vanessa. Quest’ultima, anche se un po’ altezzosa, risultava essere molto dolce quando voleva, e persino un ottima amica. Naturalmente, se l’avessi incontrata per i corridoi della scuola qualche mese prima, probabilmente mi avrebbe presa in giro a morte, come tutti gli altri, mentre ora persino mi difendeva.
-Ciao Jen- mi schernì Alex White un mattino d’inizio maggio. Eravamo in palestra, e tutte le ragazze iniziavano già a sfoggiare le loro mini-magliette e i pantaloncini corti, mentre io indossavo la solita maglia larga e un paio di pinocchietti.
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-Qualche problema White?- era intervenuta Vanessa. Lui all’inizio prese a ridere ancor più forte, forse credendo che anche lei volesse prendermi in giro. Quando capì che ciò non era nelle sue intenzioni, scappò via. Tutti a scuola sapevano bene che Vanessa Martinez aveva ai suoi piedi tutta la squadra di rugby, e una squadra di rugby al completo fa sempre paura!
-Tutto a posto?- chiese Eric sedendosi accanto a me dopo l’accaduto, mentre eravamo in mensa.
-Sì- mugugnai continuando a giocare con cucchiaino. Non avevo la minima voglia di mangiare, e dopo l’ora di educazione fisica ne avevo ancora meno!
-Non ti credo Jen, ti conosco troppo bene!- ridacchiò iniziando a farmi il solletico. Stranamente, il suo solletico non mi fece nessun effetto. Di solito mi sbellicavo dalle risate, mentre ora proprio non ce la facevo, anzi, giacevo immobile su quella panca della mensa a giocare con il cibo.
-Allora facciamo così: visto che oggi è sabato, noi stasera usciamo, mangiamo la pizza, e facciamo un giro sul Corso.
-Ma sei scemo?! Io non ci metterò mai più piede sul Corso!
-Okay, allora vieni da me, tanto i miei sono a cena da dei clienti. E poi potrò usarti come scusa per non andare con loro!- concluse facendomi spuntare un leggero sorrisino.
-Allora ce li hai i denti!- continuò solleticandomi lo stomaco.
Gli tirai un leggero schiaffetto sul viso per allontanarlo, dopodiché suonò la campana che ci riportò alle lezioni.
Per mia fortuna le rimanenti ore passarono in fretta, perché quel giorno ero particolarmente stressata. Il piccolo mi dava sempre più problemi, ed io non riuscivo a gestirli tutti. La scuola, la famiglia, gli amici. Tutto ormai mi procurava solo stress. I familiari erano convinti che stessi trascurando la scuola, gli amici che stessi trascurando loro, la scuola i familiari. Tutto alzava solo il livello di stress!
***
Diin. Doon.
Suonai al portone di casa Saade e in men che non si dica lo sentii scattare. Lo aprii lentamente, un po’ spaventata. Di solito Eric si precipitava sempre ad aprirmi, e quando non lo faceva o era sotto la doccia, o completamente nudo. Da notare il completamente, basti pensare che una volta ebbe il coraggio di venirmi ad aprire in boxer!
-Posso?- chiesi incerta varcando la soglia del portone.
-Ma che domande!- rispose Eric sbucandomi davanti con i pantaloncini corti e una canotta.
-‘Sera- biascicai avvicinandomi a lui per salutarlo e porgerli i due cartoni di piazza.
-Mmm… Che profumino!- esclamò annusando le pizze.
-Che guardiamo?- chiesi avvicinandomi al divano.
-Avevo pensato al nuovo thriller, Rain’s Killer. Ma se poi hai proprio paura potremmo vedere Micky Mouse- concluse ridacchiando.
-Gne. Gne- risposi sicura afferrando la mia pizza e accomodandomi sul divano. La nostra cena finì in fretta, ancor prima che il killer uccidesse la prima ragazzina, e quando stava per uccidere la terza già avevamo smesso di guardare il film e avevamo iniziato a giocare a obbligo o verità.
Jen: Verità
Eric: Primo bacio?
Jen: Kyle Yunt
Eric: Quando?
Jen: Dodici anni
Eric: Lo amavi?
Jen: Credo di sì
Eric: Sei vergine?
Jen: Idiota!
Eric: Oddio scusa…
Jen: E tu?
Eric: Io cosa?
Jen: Sei vergine?
Eric: Secondo te?
Jen: No
Eric: Si
Jen: Non ci credo…
L’interrogatorio fu interrotto dalla vibrazione del mio cellulare.
-È Juls- dissi rivolgendomi ad Eric. –Dice che sono andati a casa mia a cercarmi ma non c’era nessuno, così vogliono sapere dove sono…
-Chi c’è con lei?- domandò Eric.
-Honey, Ashley e William- risposi rileggendo il messaggio.
-Falli venire qui- propose Eric.
-Ok!- esclamai io entusiasta. –Intanto continuiamo. Primo bacio?
Eric: Sette anni
Jen: Chi?
Eric: Fine Bronx
Jen: Fine?
Eric: Josefine, abbreviazione: Fine
Jen: Ma Josefine l’hai baciata a stampo?
Eric: Eh certo! Il primo vero bacio l’ho dato qui.
Jen: E lei come si chiama?
Eric: È un segreto
Jen: Dimmi almeno se la conosco!
Eric:
Jen: Sì la conosco o sì ti dico chi è?
Eric: Sì la consoci…
Diin. Doon.
Eric si alzò di scatto non appena udì il campanello, probabilmente felice di non dover più rispondere alle mie domande.
-Salve ragazzi!- esclamò Honey infilandosi in casa.
-Ciao Eric- lo salutò Juls con un bacio.
Gli ultimi ad entrare furono Ashley e William, mano nella mano e tre metri sopra il cielo. Non salutarono né Eric né me, ma si accomodarono insieme sul divano sotto una coperta. Abbastanza osceno!
-Che facevate?- domandò curiosa Honey.
-Oh, nulla, una specie di obbligo o verità- rispose Eric raggiungendoci ai piedi del divano.
-Uh, forte!- esclamò lei eccitata.
-Faccio io una domanda, ma dovete rispondere tutti- annunciò Juls.
Annuimmo in contemporanea, così lei continuò:
-Il grande amore: nome e relazione con lui/lei.
Per prima guardò Honey, la più pazza e sempre innamorata. Raramente parlava delle sue storie, non perché se ne vergognasse, anzi, ma per il semplice motivo che non le piaceva essere ripetitiva, e quando le piaceva qualcuno diceva solo: -È bellissimo… È perfetto… Lo voglio… Come bacia bene… Sapeste quant’è dolce...
-Carl Jefferson. L’ho baciato, e quando lui mi ha respinto non ho più avuto il coraggio di guardarlo- confessò Honey.
-Davvero?- replicò stupito Eric. –Io credevo che lo evitassi perché ti faceva ribrezzo!
-Devo proprio?- domandai sconfortata quando tutti puntarono gli occhi su di me. Dalle occhiatacce che ricevetti, capii che era meglio continuare.
-Justin Bieber, lo stronzo della situazione. Ci siamo baciati e ci sono andata a letto- sospirai sconsolata.
-Bene, ora tocca a te!- affermò Juls guardando Eric.
-Ehm… Io.. Preferirei non rispondere a questa domanda- mugugnò imbarazzato.
-L’hanno fatto tutte, devi rispondere anche tu!- incocciò Juls.
-Ma…- provò a insistere Eric, interrotto però dalla penetrante occhiata di William. Quel ragazzo aveva la strana capacità di mettere in soggezione qualunque ragazzo che non facesse parte del suo gruppo che si trovasse a dieci metri da lui.
-Io non ho mai avuto un grande amore, né ne avrò mai uno, ma presto la piccola Ashley diventerà la mia ultima prestazione- ridacchiò stando ben attento a controllare che lei non tornasse dal bagno.
-Eccomi. Ti sono mancata?- domandò Ashley sbucando di nuovo accanto a William.
Prima che qualcuno di noi potesse parlare, lui l’aveva già afferrata per i fianchi e aveva preso a baciarla con foga, forse anche troppa.
-Sputa il rospo- ordinò Honey col viso ancora un po’ arrossato dalla precedente rivelazione.
-Ok. Il grande amore è Jennifer. L’ho baciata, ma non ci sono né andato a letto né altro- confessò sconsolato.
Mi chiedevo chi fosse questa misteriosa Jennifer. Una volta era stato con Jennifer Still, però conosceva anche Jennifer Brown, Hill e Tompson.
Vasta la scelta!
-Hai omesso il cognome- sbraitò Honey.
-Ho VOLUTAMENTE omesso il cognome- rettificò Eric con aria divertita.
Juls lo guardò torvo così decisi di intervenire per sistemare la situazione.
-Ok, ora tocca a me. Confessate la cosa più imbarazzante che vi sia mai accaduta.
La prima a parlare fu sempre Honey:
-La figuraccia con Carl. Ormai il tutto è passato da tempo, ma non riesco a non pensarci. Un po’ di tempo fa, a scuola, gli sono sbattuta contro mentre correvo per raggiungere l’aula di chimica, e sono finita stesa a terra. All’inizio non l’avevo riconosciuto, ma appena mi sono resa conto che era lui sono scappata raccogliendo solo poche cose pur di non parlarci. Pochi giorni dopo ho ritrovato nel mio armadietto il quaderno di chimica che credevo di aver perso, ma che in realtà aveva raccolto lui…
-Bella storia- commentò Juls suscitando l’ilarità di Eric.
-Bene, ora tocca a me. Appena mi sono trasferita nella nuova casa- iniziò a raccontare Juls – non sapevo che i vicini potessero vedermi mentre ero nella mia stanza, così spesso mi spogliavo lì. Un mattino, appena uscita di casa, il mio vicino, Greg Joyce, m venne incontro e disse: “Sai Julie, in intimo sei proprio sexy” In quel momento arrossii così tanto che avrei voluto morire, sprofondare nel terreno per la vergogna!
-Certo che, per una timida come te, non deve essere stato molto bello- risi io assieme a Eric e Honey.
-Bene, ora ci sono io. Quand’avevo 10 anni, in Svezia, ero innamorato di una mia coetanea di nome Josefine. Non sapevo cosa fare per farmi notare, così chiesi aiuto a dei ragazzi più grandi. Mi appartai con lei in un angolino del parco e la feci accomodare su una panchina. All’inizio le parlai del più e del meno, poi lei mi diede un bacio a stampo ed io replicai con un bacio con la lingua, e intanto, la mano che avevo sul suo ginocchio, risalii pian piano la coscia. Quand’era vicino all’inguine, lei si alzò inorridita e, dopo avermi mollato un ceffone in pieno viso, scappò via urlando.
-Eric sei un pervertito!- urlò scandalizzata Juls.
-Io sì, e Greg no?!- rispose a tono lui ammutolendo l’amica.
Quella sera non facemmo altro: parlare e scherzare come solo dei buoni amici sanno fare. E poi, tra confessioni e perversioni varie, scappò anche qualche piccolo insulto. In ogni caso, per quella serata riuscii a non rimpiangere Justin, e la cosa mi piacque molto.
 
N.d’A.
Salve a tutti! Non vi aspettavate questo aggiornamento improvviso, eh? Sono proprio imprevedibile! Questa volta metto le note alla fine del capitolo perché non devo fare premesse, solo chiarimenti riguardanti il titolo. Lo so, la cosa è un po’ contorta, ma è facile: Ditemi che non è un sogno, voglio solo la realtà è una specie di pensiero di Jennifer, e fa riferimento a Justin. Ditemi che non è un sogno si riferisce al fatto che è riuscita a parlarne senza piangere, ma soprattutto al fatto che non lo abbia rimpianto in una serata del genere; la seconda parte, voglio solo la realtà, è in riferimento al fatto che lei non vuole più finzione (Emma e la madre che vorrebbero farla abortire ma non glielo dicono; tutti gli amici falsi spariti; il comportamento di Justin: cioè che prima si dice felice e poi scappa…), che la odia la finzione e non vuole averci più niente a che fare.
Ah, quasi dimenticavo: all’inizio del capitolo, quando giocano ad obbligo o verità, ho messo l’inizio del nome perché altrimenti sarebbe sto molto complicato capire quando parlava uno e quando parlava un altro.
A presto
Ily
Ps: sono felice di annunciarvi che finalmente, nel mio computer, è nato il figlio di Jennifer, ma non vi dirò se è maschio o femmina! :p

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Capitolo 12
*** Ma che sei impazzito?! ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo dieci: Ma che sei impazzito?!

 
 
 
 
 
 
 













 



Sentii un leggero solleticare sulle labbra, come di un bacio veloce, ma non ce la facevo ad aprire gli occhi. Li sentivo come due sbarre serrate, attaccate da chissà cosa.
Quando Eric sussurrò –Ehi…- al mio orecchio, finalmente decisi di aprirli, impegnandomi a sorridere e ridacchiare un po’.
-Che strana sensazione…- biascicai alzandomi dal letto di Eric.
-Quale sensazione?- domandò lui allarmato.
-Non saprei… Ho avuto come l’impressione… di essere baciata- confessai mettendomi in piedi.
-Ragazzi, è pronto!- urlò la signora Saade dalla cucina. Probabilmente, la sera prima doveva aver svegliato Eric che dormiva sul divano e lui gli aveva sicuramente raccontato che io ero a dormire su in camera sua.
-Eccoci- urlò lui di rimando. Poi, rivolgendosi a me, aggiunse: -Dormito bene?
-Benissimo- sorrisi io. Era la prima volta, dopo tanto tempo, che dormivo per tutta la notte. Di solito sentivo il singhiozzare della mamma, oppure mille pensieri mi riempivano la testa impedendomi di dormire. A volte, quando la mamma mi svegliava, aveva il volto segnato da profonde occhiaie, e Joshua molto spesso mi rivolgeva delle occhiate di fuoco che facevano paura.
-Buongiorno signori Saade!- esclamai entrando in cucina con un enorme sorriso.
-Buongiorno Jennifer- rispose la madre di Eric battendomi una pacca sulla spalla mentre suo padre mi sorrideva.
-Grazie mille per l’ospitalità- ringraziai dopo l’ottima colazione. Mentre salivo le scale per andare in camera di Eric, lui mi raggiunse e mi aiutò a prendere le mie poche cose.
-Ti va di andare al mare, oggi?- domandò preoccupato.
-Ok…- risposi stranita. –Chiami tu gli altri?
-No, intendevo solo noi due…
-Oh, ok...- accordai sorridente. –Dammi solo il tempo di arrivare a casa, cambiarmi, trovare le creme e dirlo alla mamma.
-Perfetto… Passerò tra un’oretta…
Non ci misi molto ad arrivare a casa, e, contrariamente alle mie aspettative, non era circondata da poliziotti e la mamma non mi fece il terzo grado. Probabilmente Eric doveva averla avvertita.
-Buongiorno!- esclamai togliendo la mia chiave dalla toppa. Erano tutti seduti al tavolo che facevano colazione, e, stranamente, Emma non era ancora arrivata.
-Dov’è Emma?- domandai perplessa.
-Oh, oggi è andata a trovare Luca. Edward doveva andare lì per lavoro, così è andata anche lei per fare un po’ di compagnia al suo gemello.
-Ok… Io comunque vado al mare con Eric, oggi…- pronunciai velocemente mentre uscivo dalla cucina.
-Ok. Li hai finiti i compiti?- domandò la mamma urlando.
Risposi distrattamente borbottando qualcosa di incomprensibile che lei interpretò come un sì, e poi iniziai a cercare le cose da indossare.
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In quanto a costumi la scelta non era poi così vasta, e infatti indossai un bikini viola e bianco. Sopra ci abbinai un vestitino pre-maman azzurro con le infradito abbinate, e infilai asciugamani e creme in una sacca vintage con una rolleiflex stampata sopra. Dopodiché raccolsi i miei disordinati capelli in uno chignon veloce e scesi di nuovo le scale. Appena sotto di esse trovai Rosalie ad aspettarmi.
La mia sorellina. Diventava ogni giorno più bella lei!
Con indosso la camicetta rosa antico con i pois bianchi, stretta in vita dalla cintura, la gonna bianca e le ballerine abbinate sembrava proprio una principessa. Poi l’eyeliner con un leggero ombretto rosa, il lucido sulle labbra, le unghie curate saltavano all’occhio con la sua pelle chiara.
-Non è che mi potreste dare un passaggio?- domandò con il viso da cucciolo.
-Certo…- approvai scompigliandole la sua coda-treccia. Si divincolò presto dalla presa e afferrò in fretta la sua Michael Kors.
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Il suono di clacson ripetuto più volte ci fece capire che Eric era sotto casa, così salutammo velocemente e uscimmo insieme.
-Dov’è che vai?- chiesi entrando in macchina.
-Ciao Eric- m’ignorò inizialmente lei. –Ehm… al centro commerciale…
Sarà perché ormai ero abituata a mentire anch’io, ma il modo in cui aveva detto “centro commerciale” era strano… Sembrava volesse convincere più se stessa che noi…
Bah… Questi ragazzi di oggi…
Comunque Eric non obiettò, e la lasciò davanti al centro commerciale, dove però ad aspettarla non c’era nessuna amica, ma un ragazzo biondino poggiato accanto ad alcuni carrelli.
-Hai capito tu’ sorella!?- ironizzò Eric divertito. Beh, una volta a casa, io e lei avremmo dovuto fare una luuunga chiacchierata…
-Credo che la spiaggia sarà affollatissima- sospirò Eric guardando il sole splendente e alto nel cielo.
-Oh, non preoccuparti, conosco un posticino molto più tranquillo- risposi io. –Tu supera solamente tutte le baite!
Eric seguì, seppur un po’ incerto, le mie istruzioni, e in men che non si dica ci ritrovammo alla spiaggia dov’eravamo stati io e Justin. I ricordi riaffiorarono veloci e le immagini dei suoi baci si inseguivano nella mia testa.
No. Non ero lì per lui. Non dovevo pensarci. Dovevo andare avanti.
-Carino. E soprattutto non c’è nessuno- sorrise uscendo dall’auto e poggiandosi sul tettuccio.
-Sì, lo so. E la cosa bella è che lo conoscono così poche persone che non c’è mai nessuno.
-Però è strano. I turisti che arrivano da quella direzione oltrepassano sempre questa spiaggia, ma nessuno ci si è mai fermato.
-Oh, è proprio questo il bello: essendo deserta, le persone credono che sia orribile!
Una volta scesi definitivamente dall’auto, io ed Eric ci sistemammo vicino al bagnasciuga e presi subito la crema solare.
-Eric, mi spalmeresti la crema?- domandai incerta.
-Ma certo che sì, ne sarei onorato!- rispose giocoso lui.
-Smettila scemo! E poi devi metterla solo sulla schiena!
-E perché non sulle gambe?- chiese iniziando a spalmare la crema sulle spalle.
-Perché posso metterla da sola lì!- lo presi in giro.
-Scommetto che da Justin te la saresti fatta mettere…
Ecco. Di nuovo Justin. Sempre in mezzo. Poi le persone si domandano perché non lo dimentico. Ecco perché. Ogni cosa mi ricorda lui… i cantanti mi fanno pensare alla sua dolce voce… gli atleti mi fanno pensare ai suoi muscoli che più volte mi hanno stretta… il mare mi fa pensare alla nostra prima volta… gli spot degli shampoo al suo ciuffo…
Come si potrebbe mai dimenticare il ragazzo che ti ha fatta innamorare, soprattutto se il frutto di quell’amore lo porti in grembo?
Semplice: non si può dimenticare, solo conviverci.
-Jen… Jen.. Mi stai ascoltando?- domandò Eric impaziente.
-No, in realtà no. Io… ecco… stavo pensando a Justin- confessai inquieta.
-No!- sbottò irritato. –Questo è il nostro giorno e lui non può rovinarcelo!
Mentre pronunciava quelle parole il suo sorrisetto spavaldo era sparito, i suoi vetrosi occhi erano scuri, e i capelli stranamente immobili mentre i miei erano in balia del vento.
Il suo atteggiamento mi aveva un po’ scosso, ma era normale dato che lui odiava Justin prima che io diventassi la sua ragazza, ed ora lo odiava più che mi perché mi aveva abbandonata con un bambino in grembo.
-Scusa, ho esagerato- confessò dopo un po’ di tempo.
Gli rivolsi un’occhiata comprensiva, così lui si tranquillizzò in fretta.
-Andiamo in acqua?- proposi rompendo quel silenzio imbarazzante.
Dal modo in cui si alzò da terra capii che era un sì, così lo rincorsi mentre lui si gettava nell’acqua. Era molto calda, quell’acqua, così non ci misi troppo tempo a raggiungere Eric. L’unico problema era che si stava spostando sempre più verso il largo, ed io non ero un ottima nuotatrice prima, pensate col pancione!
-Eric, non muoverti più!- gli urlai. –Sai che nuotare non è il mio forte!- aggiunsi cercando di raggiungere il mio migliore amico.
-Ce ne hai messo di tempo!- esclamò divertito vedendomi finalmente giungere vicino a lui.
-Lo sai che non so nuotare- mi difesi io.
Mi aggrappai al suo braccio, decisa a non staccarmi, e lui sorrise quando affondai le mie unghie nella sua pelle.
-Qualcosa mi ha toccato la gamba!- urlai in preda ad una crisi ma rimanendo pietrificato.
-Sarà stato un pesciolino?!- ironizzò col sorriso. Per tutta  risposta ricevette una gran brutta occhiataccia e si risparmiò la battutina sul fatto che gli stavo praticamente stritolando il braccio…
Sì, per la paura… ma anche per la battutina sul pesciolino!
Così impara a farsi beffe di me!
-Vai sott’acqua a vedere cos’è!- scherzò poco dopo tentando di mandarmi giù con la testa. Mi divincolai terrorizzata dalla sua presa, ma nel farlo gli lasciai il braccio e così mi ritrovai sola in mezzo al nulla. Non avevo mai fatto un vero corso di nuoto, perciò non ero proprio capace a nuotare, ma galleggiare mi era sempre venuto bene… fino ad allora!
Il pancione enorme non aiutava molto, per questo tenersi a galla fu molto più difficile del previsto… Poi, quando le gambe iniziarono a cedere, non sapevo più cosa fare: urlare? E per cosa, consumare le ultime forze? Starmene lì… e poi affogare? Usare la protezione quel giorno…
Beh sì, quella probabilmente sarebbe stata la cosa giusta da fare in ogni caso… ma non si poteva più tornare indietro!
N.d’A.
All’inizio del capitolo, quando Jen avverte quel solleticare di labbra, è stato Eric, che ha poggiato le proprie labbra su quelle della ragazza in un momento di debolezza.
A presto
Ily
Ps: scusate tantissimo i ritardo, ma a scuola assegnano moltissimi e inoltre ho già molto da studiare. Quel poco tempo libero che mi resta guardo la tv per rilassarmi un po', quindi non mi connetto da tempo qui su EFP. Spero che mi perdoniate con questo capitolo!
 

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Capitolo 13
*** Credo di volere te ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo undici: Credo di volere te

 

 
-Jennifer, stai bene?
La voce terrorizzata di Eric mi giungeva forte e chiara nelle orecchie… non come se fossi morta… come se… fossi assolutamente viva e presente nella realtà.
-Calmati Eric!- urlai al mio migliore amico tentando di togliermelo di dosso. Il suo peso mi comprimeva le costole mentre tentavo di divincolarmi dalla sua presa possente.
-Oh mio dio stavi per morire!- esclamò rotolando accanto a me.
Risi, divertita dal suo ingiustificato sollievo, e lui mi rivolse un’occhiataccia, aggiungendo poi: -Ma che sei impazzita? Non c’è niente da ridere! Sei svenuta nel bel mezzo del nulla!
Svenuta? Io? Forse mi stava confondendo con qualcun.. Ah… Ed ecco spigato il fiatone, il sollievo e le costole compresse: avevo perso i sensi. Peccato che non ricordavo nulla…
-Come fai a non ricordarti nulla? Stavamo scherzando su quel pesciolino che ti aveva sfiorato, quando tu hai smesso di graffiarmi e sei andata a fondo- concluse mimando la mia testa che spariva sotto il velo cristallino del mare.
Ah… ecco. In quel momento ricordavo!
-Scusa Eric! È stato come quella volta nei bagni, con Nicole: le gambe mi hanno ceduto ed io sono andata a finire a terra quella volta, sott’acqua ora.
Mi sentivo così in colpa… Gli avevo rovinato la giornata al mare.
Dovevamo solo divertirci, svagarci, e invece io mi ero sentita male.
Al diavolo tutti… ho solo voglia di divertimento!
Mi alzai di scatto facendo andare sul viso di Eric una bella manciata di sabbia bianca e presi a correre verso la scogliera. Eric mi raggiunse in poco tempo, perché col pancione non ero molto veloce, ma ci mise ancora un po’ di tempo prima di acciuffarmi perché continuavo a correre di là e di qua e lui non sapeva più dove andare.
Fu aiutato dagli scogli, dai quali in breve tempo fummo circondati e non potei più scappare.
-Che volevi fare?- domandò atterrandomi delicatamente per via del pancione. In circostanze diverse non avrebbe esitato a buttarmi di faccia sulla sabbia, ma ora era preoccupato per il piccolo.
Continuai a ridere senza rispondergli, così lui mi bloccò braccia e gambe e mi scrutò con quei suoi occhi di vetro, finti, dai quali traspariva verità.
Iniziò a baciarmi, ed io, probabilmente presa dalla foga del momento e dai terribili ricordi che riaffioravano ogni secondo di più, ricambiai i suoi baci.
In fondo per c’era sempre stato: era stato il mio migliore amico, il mio consulente, il mio aiutante, il mio studente… mancava solo essere il mio ragazzo.
Quando si staccò da me mimò qualche parola in scusa, ma io mi fiondai di nuovo su di lui. Probabilmente sarà stato il fatto che avevo bisogno di affetto, e al momento lui era l’unica persona capace di darmene, a farmi avventare su di lui e a cimentarmi in quella nuova esperienza.
Mai, nemmeno nei momenti più bui, avevo pensato ad Eric come un fidanzato, ma a quanto pareva lui sì, e anche molto spesso.
-Jen… Io- balbettò più volte lui guardandomi negli occhi.
I terribili ricordi mi raggiunsero velocemente: io e Justin non eravamo arrivati fino alla scogliera, ma il solo pensiero di essere allungati proprio come eravamo noi due mi terrorizzava.
-Jen… cos’hai?- domandò Eric asciugando una lacrima che iniziava a rigarmi il viso.
Io non risposi, troppo intimorita dai sentimenti del momento, troppo spaventata della sua reazione se gli avessi detto la verità.
-Sai perché le tue lacrime sono salate?- domandò di nuovo con voce calma, piatta.
Io feci cenno no col capo, così lui riprese: -Le tue lacrime sono salate perché hai gli occhi del mare.
Che frase dolce, da vero romanticone. Peccato che non avevamo più tempo per stare lì.
Mentre giocavamo, scherzavamo, ci rincorrevamo, si erano fatte già le due del pomeriggio, e per quanto volessimo sforzarci, i nostri stomaci brontolavano un po’ troppo.
-Che ne dici, se ci andiamo a mangiare un pezzo di pizza sulla strada del ritorno?- domandò Eric con disinvoltura.
-Va bene, ma non dobbiamo fare molto tardi: devo parlare con mia sorella!
-Vuoi chiederle chi è quel ragazzo?- domandò divertito.
In effetti sì, volevo chiederglielo. Chiederglielo per aiutarla. Chiederglielo per consigliarla. Chiederglielo per non farle commettere qualche stupido errore.
-Ehi, fermiamoci qui- proposi mentre oltrepassavamo il centro commerciale.
-Che c’è? Vuoi già controllarla?- domandò sterzando ed entrando nel parcheggio.
-No, ma hanno aperto un n uovo locale e vorrei provalo- risposi sinceramente. Mi avevano parlato più volte di quel posto, il “Music Bar”, e sembrava davvero interessante. Aveva aperto da poco, ma già attirava una gran clientela di ragazzi tra i 13 e i 20 anni perché organizzava spesso serate karaoke o disco.
Entrando nel centro commerciale c’erano due rampe di scale che portavano ai piani superiori, mentre una vecchia porta a doppia anta, tipica del far west, portava l’insegna Music Bar.
Decidemmo di entrare solo per dare un’occhiata e sgranocchiare qualcosa prima di tornare a casa. Le scale erano alquanto anguste, e il locale, era probabilmente una vecchia cantina, molto umida, anche se gremita di gente. La stanza in cui ci trovavamo era la “Café Room” (o almeno l’insegna così diceva), anche se si sentiva una forte musica provenire da lì accanto. Ci avvicinammo al bancone, e ordinammo due aperitivi analcolici.
-È la prima volta che venite qui?- ci domandò il barista.
-Sì… Non siamo mai venuti prima- rispose Eric.
-Allora suppongo che dobbiate assolutamente conoscere il locale! Quella lì è la “Disco Room”- disse indicando un porta sulla destra. –Mentre quella lì è la “Relax Room”- concluse indicando la porta sulla sinistra.
Dopo aver battibeccato un po’ su dove andare, ci dirigemmo verso sinistra. Arrivammo vicino ad un porta nera semi-aperta con le tende rosse ai lati che recava la scritta “Relax Room” ed entrammo. Il nome non era proprio azzeccato: più che la stanza del relax, quella poteva essere definita la stanza delle pomiciate. Era piuttosto piccola in realtà, con cinque divanetti rossi e svariate sedie. Su ogni divano stavano arrancati uno sull’altra dei ragazzi, pressoché minorenni o appena maggiorenni. In particolare, la coppia che mi colpì era una piuttosto particolare: una ragazzina, con una gonna bianca arrivatale fino alla vita e una camicetta rosa sbottonata, stava poggiata su di un ragazzo sulla ventina sdraiato su una poltrona. La ragazzina, che avrà avuto più o meno l’età di Rose continuava a sbattere i suoi capelli rosso fuoco sulla faccia dell’eccitato uomo digrignando i denti e baciandogli il torace: una scena rivoltante anche per una come me, della serie: 17 anni e incinta!
Sorvolammo i due innamorati con aria schifata decisi a trovare un posto su cui sederci, ma l’unica cosa che trovammo fu mia sorella seduta su un ragazzo biondino.
-Che ci fai qui?- domandai in modo che solo Eric e i due ragazzi potessero sentirmi. Mia sorella mi guardò pietrificata dopo aver rivolto uno sguardo fugace al ragazzo sotto di lei.
-Non è come sembra!- esclamò diventando rossa in viso e scattando in piedi. Il sorriso che aveva fino a poco prima era completamente svanito.
-Perché, come sembra?- domandai come se quella fosse la domanda più opportuna.
Si guardò un po’ intorno, osservando gli atteggiamenti delle coppie attorno a noi, all’apparenza ignari di ciò che stesse accadendo intorno a loro.
-Noi non stavamo facendo niente di male- si scusò con gli occhi lucidi e lo sguardo basso, come pronta ad incassare un brutto cazziatone.
-È colpa mia!- s’intromise il ragazzo alzatosi dalla poltrona. –Io lavoro qui e sono in pausa, così le ho chiesto se le andava di stare un po’ soli, e l’ho portata qui.
A quel punto della conversazione Eric rivolse un’occhiataccia al ragazzo al punto che egli indietreggiò.
-Ma non aveva cattive intenzioni!- gli si parò davanti Rosalie. –L’avete visto anche voi che stavamo solo scherzando!
-Questo è vero- fui costretta ad ammettere. –Ma in ogni caso Rose, dobbiamo tornare a casa.
Lei mise il muso e mi seguì svogliatamente.
-Non saluti il tuo amico?- le chiese gentile Eric osservando il ragazzo inerme davanti alla poltrona. Mi guardò di sottecchi, e dopo aver notato il mio sguardo di approvazione si avvicinò a passo svelto al ragazzo e colmarono i centimetri che li separavano con un bacio fugace, come due amanti costretti a separarsi per sempre. Poi lei tornò accanto a me, abbassò lo sguardo e si diresse verso l’uscita a passo svelto. Stavo per andare anch’io, ma dopo aver visto lo sguardo del ragazzo incupirsi e arrabbiarsi, mi girai di scatto e gli dissi: -Per il prossimo appuntamento sarà meglio fare le cose alla luce del sole.
Al suon di quelle parole entrambi i ragazzi, quasi contemporaneamente, si guardarono felici e si rivolsero un gran sorriso.
Per quel giorno ne avevo abbastanza di fidanzati e storie clandestine!
N.d'A.
Lo so. So che non aggiorno da moltissimo tempo e sono piuttosto inattiva, ma d'ora cercherò di essere più puntale (per quanto il mio status di studentessa liceale al secondo anno possa permettermelo, ovvio!). 
Voglio che sappiate che non è perché non sto scrivendo, io continuo sempre a scrivere, e infatti ho già pronti altri tre capitoli di questa storia (che tra l'altro sta volgendo al termine), nove di un'altra fan fiction di cui presto ininierò la pubblicazione, e sei di un esperimento in unnuovo fandom, che però va rivisto per bene.
Credo di aver detto tutto, e sarei naturlamente felice se mi lascistaste una recensione.
A presto
Ily

 

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Capitolo 14
*** Il primo appuntamento ***


Capitolo dodici
ll primo appuntamento



-Jen… Non dirai nulla alla mamma, vero?- domandò balbettando Rosalie mentre entravamo dal cancello.
-Non le dirò nulla solo se tu prometti di non nascondermi più le cose!- risposi con una breve occhiatina.
-Oh grazie Jennifer! Ti voglio bene- concluse abbracciandomi.
Se non voleva che la mamma né nessun altro sapessero della sua storia, allora doveva tenerci davvero tanto. E se anche lui aveva accordato a mantenere il segreto, allora doveva volerle davvero bene: voglio dire, quale ragazzo avrebbe voluto tener nascosta la propria storia con Rose?!
E doveva volerle proprio bene, perché pochi giorni dopo Rose si fiondò nella mia camera in preda al panico.
-Jen… Che faccio? Che mi metto? Gli devo rispondere?- parlava così velocemente che era difficile capire ogni sua parola, e inoltre stava sudando moltissimo.
-Okay, ora calmati Rose… Respira… E spigami tutto dall’inizio.
Non seguì i miei consigli, perché dopo un solo respiro sputò fuori tutte le parole insieme: -Dylan mi ha invitata ad uscire stasera!
Dylan doveva essere il ragazzo misterioso del pub. Le strappai il cellulare di mano e lessi il messaggio: “Cucciola, stasera andiamo a mangiare una pizza da Maria’s Italian Kitchen?”.
-Okay Rose, ora respira profondamente e scrivigli: “Okay, ci vediamo lì alle 8 e mezzo”.
La ragazzina eseguì alla lettera i miei ordini, dopodiché la lasciai sola un momento per chiamare Vanessa.
-Pronto, qui Vanessa.
-Vanessa sono Jennifer. C’è un’emergenza stile a casa, corri.
Vanessa non salutò nemmeno: attaccò il telefono e dopo pochi minuti era già a casa.
-Che succede?- domandò precipitandosi in camera.
-Emergenza primo appuntamento!- esclamai col sorriso.
Quando Vanessa ebbe finito il suo lavoro, Rosalie era perfetta, e anche in orario per l’appuntamento. Le aveva fatto una manicure spettacolare, rosa e argento, in pandan con gli altri accessori che indossava: dei pendenti rosa e dorati, un bracciale rosa e dorato e un ciondolo rosa e dorato. Le fece indossare uno splendido vestitino senza spalline verde-acqua con scarpe e borsa rosa-shocking, e giusto per non farla andare in giro con la schiena scoperta, le aveva fatto mettere un copri spalle sempre rosa. Poi, mentre le raccoglievo i capelli con un fiocco, lei le metteva l’eyeliner viola con l’ombretto rosa. Alle 7:45 non era più Rosalie, era una principessa!
Visto che io quel venerdì sera non sarei uscita, fu Joshua ad accompagnarla, promettendo di non interferire e di tornare subito a casa. In fondo quel ragazzo gli stava simpatico e non temeva per l’incolumità di Rose.
 [http://www.polyvore.com/new_rose_with_her_new/set?id=89222870]
-Jennifer, c’era questa per te di sotto- disse la mamma entrando nella mia camera mentre io rimettevo tutto in ordine. Aveva tra le mani una busta bianca che non recava mittente, solo destinatario. La aprii e iniziai a leggere.
Cara Jennifer,
Tu probabilmente nemmeno sai chi sono, ma io voglio aiutarti ad affrontare la situazione in cui ti trovi. Alla tua età rimasi incinta anch’io, ma il mio ragazzo, nonché attuale ex marito, non volle assolutamente tenere il bambino, così fui costretta ad abortire anche per il volere dei miei genitori. Tu sei stata più fortunata di me, perché i tuoi genitori hanno lasciato a te la scelta, e il tuo ragazzo, anche se non ti è vicino fisicamente, ti è vicino, molto più quanto tu credi, moralmente e mentalmente.
Con la speranza che questa lettera ti giunga presto
Jocelyn B.
Chi mai poteva essere questa Jocelyn B, e come faceva a conoscere gli affari miei? Poteva essere una guardona un po’ troppo informata, o solo un’anziana donna che voleva darmi una mano.
Però io quel nome l’avevo già sentito…
Dopo minuti interi passati sul letto, lo sguardo perso nel vuoto, mi ricordai che Jocelyn era il nome della madre di Justin, e B poteva stare per Bieber.
Spizzata da quei pensieri, rilessi la lettera più volte girando per la camera, fin quando non mi imbattei nei fiori che Logan mi aveva portato in ospedale. C’era un biglietto che non avevo mai notato, così lo aprii e lessi le poche parole scritte dalla stessa persona della lettera.
Gli manchi…
Jocelyn B.
Poteva, questa Jocelyn B, essere davvero la madre di Justin?
Sì o no, io dovevo indagare…
N.d’A.
Sì, lo so che il capitolo è cortissimo, però è di grande impatto per l’appuntamento e per la nuova scoperta di Jennifer… Mi farò perdonare con il prossimo!
Oh, un'altra cosa... So che mi sto fcendo desiderare, ma non è mia intenzione, tutta colpa della scuola: compiti, interrogazioni, verifiche...
In ogni caso, mea culpa!
A presto
Ily

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Capitolo 15
*** Love is old ***


Love is old, ove is new, Love is all, Love is you
Capitolo 13: Love is old


 

 

Giorni e giorni di ricerche su Jocelyn non portarono proprio a nulla.
Più io cercavo di scoprire chi fosse, più avevo la certezza che non esistesse.
È strano come le persone riescano a far sparire ogni traccia di sé stessi quando vogliono!
L’unico sistema per trovarla in poco tempo era domandare ad Eric, ma mi avrebbe ucciso anche solo per aver nominato un lontano parente di Justin. Lui era un vero esperto del computer, perciò io non avevo speranze nemmeno di provare ad usare il suo Mac ultramoderno.
Poi, mentre girovagavo per siti sugli aborti, lo trovai, trovai un articolo su Jocelyn Bieber. Aprii il link che mi portò su un sito di giornalismo: una giornalista aveva scritto un breve articolo su di lei.
È Jocelyn Bieber la nostra madre-protagonista di questa settimana. Jocelyn non è stata una ragazza madre, ma poteva esserlo. «All’età di diciassette anni rimasi incinta del mio attuale marito» confessa la donna, «ma sia i miei che il mio fidanzato non volevano il bambino, perciò fui costretta ad abortire» racconta con gli occhi sognanti. Le sarebbe piaciuto tenere il bambino, così ora sarebbe stato un fratello maggiore per Jason, il suo primogenito, e per il futuro bambino che ora si porta in grembo. «Un consiglio che posso dare a tutte le ragazze-madri» dice Jocelyn, «è di non mollare mai, di sopportare soprusi, ingiustizie e beffeggiamenti, perché un bambino è la cosa più bella che si possa desiderare».
Allora era proprio lei, Jocelyn B era la madre di Justin, rimasta incinta a diciassette anni ma costretta ad abortire, allora madre di Jason e incinta di Justin.
Non ci potevo credere, l’avevo trovata!
Tornando al sito precedente scoprii che Jocelyn sarebbe stata disponibile per consulenze private a ragazze-madri il 25 giugno.
Dalla felicità mi alzai in piedi di scatto iniziando a saltare e facendo correre Rosalie in camera a controllare che fosse tutto a posto.
-Ricordami di non prendere impegni per il 25 giugno- urlai con un sorriso smagliante sul viso.
-Ma già li hai: devi uscire con Eric!- disse tranquilla uscendo dalla stanza e chiudendosi la porta alle spalle.
Grandioso! I piani di una vita smontati in pochi secondi…
Beh, non proprio di una vita, però…
Ad ogni modo non potevo disdire l’appuntamento con Eric perché già mi vedeva assente e distratta, se poi non mi fossi nemmeno presentata avrebbe iniziato a fare domande a cui non avrei saputo/dovuto rispondere.
***
Quel fatidico 25 giugno non tardò ad arrivare, ed ogni giorno che passava sentivo il bisogno di parlare con Jocelyn… ed ogni giorno che passava sentivo il bisogno di non mentire ad Eric.
Pochi giorni prima, infatti, mi aveva detto che saremmo andati a pranzo fuori, e non mi andava di rovinargli tutti i programmi. Perciò, quel 25 del mese lo feci sembrare un qualsiasi giorno di un afoso giugno: mi svegliai verso le undici e mezzo (non c’era più scuola) e scesi lentamente al piano terra per la colazione. Alla fine, così come avevo immaginato, tornai in camera a stomaco vuoto e con un’estrema voglia di risotto all’inglese. Infilai un body nero con la gonna rosa e sopra ci infilai la camicia trasparente. Indossai la collana con le piume rosa e due bracciali: uno con un teschio e uno con il segno dell’infinito che mi aveva comprato Eric. Aggiustai gli orecchini a stella e gli occhiali e legai i capelli in uno chignon coperto dal cappello nero. Così, quando Eric suonò, allacciai i sandaletti, afferrai la borsa ed uscii.
[http://www.polyvore.com/cgi/set?id=95038100&.locale=it]
Non era voluto scendere dalla macchina, perciò lo salutai velocemente mentre partivamo alla volta del ristorante.
-Stai bene?- mi domandò Eric quando ebbe ordinato anche per me dal momento che non avevo risposto alla cameriera.
No.
-Sì- mentii spudoratamente sorridendo all’unico ragazzo che non era uscito dalla mia vita dopo essere entrato e fondo.
Nel tempo che ci volle ai cuochi per preparare le linguine allo scoglio né io né Eric spiccicammo parola: io ero intenta a guardare ciò che succedeva fuori dal locale, la gente che passava, si salutava, si rivolgeva sguardi di sufficienza; mentre Eric giocava con le posate osservando il menù.
Di fatti fu la cameriera a interrompere i nostri pensieri, con un: «Ecco a voi!» non troppo entusiasta. Come per il primo, Eric ordinò anche il mio secondo, mentre io iniziavo a giocherellare con le linguine. Quando eravamo partiti avevo molta fame, mentre ora era come se l’appetito mi fosse passato. Dovunque guardassi vedevo Justin e Jocelyn abbracciarsi e sorridere insieme, felici senza me e la loro famiglia.
Sempre più distrutta da quegli orribili pensieri, mi alzai dalla mia sedia e, sotto gli occhi interrogativi di tutti, dissi solo: «Scusa Eric, devo andare!».
Lo lasciai così, in quel locale, con la bocca aperta per lo stupore mentre io correvo via per trattenere le lacrime. Forse sarebbe stato lui a dover piangere, ma io mi sentivo in colpa per ciò che gli avevo fatto.
Aspettai il pullman per dieci minuti, in cui diedi libero sfogo ai miei sentimenti.
Mi sentivo distrutta per quello che avevo appena rovinato con Eric, provavo ancora degli strani sentimenti per Justin, ed ora che ero vicina a scoprire la verità, non sapevo più se il prezzo da pagare fosse quello giusto. In fondo, nemmeno Eric mi amava, di questo ne ero quasi certa. Era molto confuso perché tra noi c’era sempre stato un legame particolarmente forte e particolarmente speciale.
Quando il bus arrivò pagai la sovrattassa per non avere il biglietto al conducente e mi sedetti al primo posto libero che trovai, accanto ad una anziana donna tutta incappucciata. Poggiai il viso al finestrino e permisi alle lacrime di scivolare giù dai miei occhi colmi e stanchi si sopportare la realtà che mi circondava.
La vecchietta stette in silenzio per tutto il viaggio, ma sapevo che mi stava osservando: sentivo il suo sguardo compassionevole su di me, la sentivo squadrare il mio grembo senza colpevolizzarmi per ciò che avevo fatto.
Poco prima che io scendessi, come se lei sapesse qual era la mia destinazione, disse con voce saggia e dolce: -Non piangere bambina, perché nessuno al mondo merita le tue lacrime-.
A quelle parole mi venne da piangere ancor di più, ma non riuscivo più a far uscire una goccia d’acqua dai miei occhi. Era come se le parole dell’anziana donna mi avessero otturato le ghiandole lacrimose.
E fu allora che lo capii, capii che stavo facendo la cosa giusta.
A testa alta uscii dall’autobus per dirigermi alla clinica dove Jocelyn stava parlando con chissà quale ragazza-madre.
Entrai spalancando la porta e per mia fortuna una ragazza stava uscendo dall’ufficio dove la donna stava spargendo consigli, così mi fiondai dentro prima che qualcun’altra potesse entrare.
-Oh, ciao Jennifer. Ti stavo aspettando- disse con tono tranquillo dopo avermi scrutato per un solo momento. Justin aveva ragione: era davvero molto bella, con i riccioli biondi che le ricadevano sulle spalle e gli occhi dorati illuminati dal sole.
-Beh, cosa aspetti? Siediti! – m’indicò la poltrona in pelle che avevo davanti- Ormai iniziavo a pensare che non saresti più venuta» concluse alzando di nuovo lo sguardo su di me.
-Che cosa ne sa lei di me?- domandai arrabbiata accomodandomi con l’aiuto dei braccioli.
-Beh, diciamo tutto!- esclamò sorridente. Le rivolsi uno sguardo di fuoco, così continuò: -Ti osservo dal primo momento in cui Justin ti ha messo gli occhi addosso-.
Cosa vuol dire? Non può essere più precisa?
Non sapendo cosa rispondere, dissi solamente: -E cosa vuole da me?-.
-Aiutarti- rispose semplicemente. Poi aggiunse: -Justin ti ama, e non ha mai smesso di amarti. Non voleva lasciarti, ma è stato costretto e non voleva rovinare di nuovo la tua vita tornando ora-.
Una strana sensazione di bagnato mi avvolse l’intimità e sentii dei forti dolori provenire dal basso ventre.
Cazzo le acque!

N.d'A.
Chiedo umilmente perdono per le condizioni in cui è scrito questo capitolo. Il computer, che tra l'altro ho appena aggiustato, è impazzito, ma non volevo farvi attendere ancora.
Come credo abbiate capito, la storia volge altermine,  infatti mancano sol altri re capitoli, d cui due sono già stati scritti.
A presto
Ily
 

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Capitolo 16
*** Love is new ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo 14: Love is new



Così, dopo trentadue lunghe ore di travaglio, finalmente era nato mio figlio!
Il mio corpo non avevo retto lo stress e il dolore di un parto naturale, perciò ero caduta subito dopo in un sonno profondo.
Quando mi svegliai, ore dopo, ero in un letto del reparto pediatria, con mio fratello Joshua che mi teneva una mano e Rosalie, seduta in braccio a lui, che mi osservava. Aprendo gli occhi fui accecata dalla luce, e solo mettendomi a sedere potei notare Emma ed Edward poggiati vicino all’armadietto e Luca che guardava fuori dalla finestra.
Non c’erano né mamma né papà, e c’era da preoccuparsi se nessuno dei due era in ospedale.
Tentai di lasciare la mano di Joshua ma Rosalie strinse le nostre tra le sue.
Prima che potessi domandare dove fosse la mamma, la vidi entrare con un piccolo batuffolo bianco tra le braccia.
«Piccola, saluta la mamma» disse alzando il braccino del piccolo.
Anzi no, della piccola. Il mio primogenito era una bellissima bambina con una folta zazzera di capelli biondi sul capo e due piccoli occhietti azzurri.
Ginevra. Oh sì, quello sarebbe stato il suo nome!
Era nata prematura, ma la mamma mi aveva assicurato che non aveva riportato danni cerebrali né fisici.
Una vera forza della natura!
Quando l’avevo presa in braccio per la prima volta avevo provato una sensazione stupenda, perché lei era la mia bambina, la mia piccolina, la persona più bella al mondo. Io avevo smesso di esistere per Eric, per Juls, per mamma, per i miei fratelli, ora esistevo solo per lei: per amarla, coccolarla, abbracciarla, consolarla, farla felice. Sì, quello era diventato il mio scopo: farla felice!
-Come si chiama?- domandarono all’unisono Emma e Luca nei loro modi di fare da gemelli.
-Ginevra- dissi sicura. Quel nome mi piaceva da… sempre! Era dolce, non troppo lungo, e con un soprannome che poteva essere usato anche come un nome vero e proprio!
Avevo cercato tra l’archivio italiano dei nomi per sapere il suo significato, ed avevo scoperto che significava splendente tra gli elfi, il che aveva un non so cosa di fiabesco.
***
Anche se Ginny stava bene, l’avevano tenuta in ospedale qualche giorno più del dovuto per monitorare attività fisica e cerebrale, solo per stare più tranquilli.
Quando andai a prenderla, il 3 luglio, Joshua insistette per essere lui ad accompagnarmi.
Mi misi in tiro, indossando una gonnellina nera, una canottiera bianca e le scarpette bianche senza tacco e senza suola liscia per non sembrare sciocca o inadatta al ruolo di madre.
[http://www.polyvore.com/hospital_home/set?id=96127281]
Camminai dritta e a testa alta fino al reparto di pediatria e poi entrai spedita nel nido lasciando Joshua fuori ad aspettarmi.
Ne uscii poco dopo con la mia bambina tra le braccia.
-Com’è bella l’amore di zio- disse Joshua mentre mi apriva la portiera della macchina per mettere la piccola nel seggiolino. Era molto più piccola dei bambini normali, lo vedevo anch’io facendo il paragone con quella pagnottella di Rose, quando nacque.
Mi sedetti nel sedile posteriore, accanto al seggiolone, e Joshua guidò con un sorriso per tutto il tragitto, senza staccare gli occhi dalla strada e rispettando ogni limite, divieto o stop.
-Wow Joshua, siamo arrivati a casa nel doppio del tempo che abbiamo impiegato per andare in ospedale- scherzai uscendo dall’auto e prendendo tra le braccia Ginevra.
-È inutile che prendi per il culo- disse tirando fuori il seggiolone, chiudendo la portiera e  aprendo la porta di casa.
Mentre stavo per rispondergli varcai la soglia di casa, trovandomi di fronte tutta la famiglia, con tanto di nonni, intorno al tavolo ad aspettare noi.
La mamma rapì Ginevra portandola a spasso tra i parenti mentre Rosalie mi portava via nel salotto, seguita da Luca, Emma, Edward e Joshua.
Emma mi si sedette accanto, col suo pancione che si notava, ed Edward le stava vicino tenendole la mano.
-Tutti noi- iniziò Rosalie rivolgendo occhiate di fuoco a tutti, -Abbiamo qualcosa da dirti.
Fu Joshua il primo a parlare: -Scusa sorella, se non sono stato capace di proteggerti da quel mostro, e se quando l’ho scoperto non ho saputo proteggervi entrambe.
-Scusa piccolina- continuò Luca, -se non sono stato il fratello maggiore che avrei dovuto essere, proteggerti ed ascoltarti sempre, e se quando hai provato a parlarmi mi sono dileguato.
-Scusa amore mio se ho pensato, anche solo per un momento, che non dovevi avere questa bambina perché troppo piccola e immatura. Non capivo l’amore che si può provare per qualcuno che vive dentro di te, anche se non l’hai mai visto- mi fece commuovere Emma.
-E infine Jen- concluse Rosalie, -scusa se sono stata troppo invadente nei tuoi confronti: avevi bisogno dei tuoi spazi, ma non avevo capito nulla!
Tutte quelle scuse, quel voler farmi capire di essere dalla mia parte, mi fecero sentire… non so… più accetta del solito. Quel calore familiare di cui sentivo la mancanza, si era improvvisamente moltiplicato, avvolgendomi e facendomi sentire protetta e amata.
Per l’arrivo a casa di Ginevra, la mamma, con il sussidio di Emma e Rose, aveva deciso di organizzare un pranzo.
Mi disse di invitare, per la domenica, successiva, Julie, Ashley, Eric e Honey, mentre lei invitò i nonni e delle zie paterne con cui era rimasta in buoni rapporti dopo il divorzio.
***
La domenica successiva, verso le 12.30, arrivò Juls, stupenda nel suo vestito azzurro, col viso limpido contornato dai capelli scuri, pronta per aiutare la mamma, Emma, in un bellissimo abito rosa simile a quello di Rosalie del primo appuntamento, e Rose, in forma smagliante nel suo abito felino.
Più tardi arrivarono zia Carol e zio Josh con Toby e Harry, e, insieme a loro, zia Hanna e zio Shan con Arya e Spencer.
Alla fine arrivarono Honey, Eric e Ashley.
[http://www.polyvore.com/cgi/set?id=104910163&.locale=it]
Tutti si abbuffarono di pasta bianca con spinaci e carne macinata, pollo e patate e insalata come contorno, facendo i complimenti a mamma per l’ottimo cibo italiano.
Nel bel mezzo del pranzo Ginny iniziò a piangere, così decisi di portarla a fare un giretto fuori, nel giardino, per farla calmare.
Mi sedetti sul dondolo sul retro, a osservare il viale vuoto, quando vidi un’ombra avvicinarsi.
Spaventata, portai Ginevra dentro, affidandola a Rosalie, e andai vicino la siepe.
Un rumore di foglie calpestate, di nuovo un’ombra e poi la dottoressa Bieber mi spuntò davanti con una lettera tra le mani.
-Ancora lei?! Cosa diamine vuole?- domandai attaccandola e nel contempo riprendendomi dallo spavento.
-Tua figlia è bellissima Jennifer- rispose indicando il balcone dal quale erano sparite, pochi secondi prima, Rose e Ginny. –Sono venuta solo per darti questa- disse consegnandomi la lettera e sparendo lungo il viale isolato.
La guardai percorrere la curva, poi sparire insieme all’eco dei suoi passi.
Mi sedetti sul dondolo e lentamente aprii la lettera: profumava di menta e vaniglia, gli odori preferiti di Justin…
Cara Jennifer,
So che ce l’hai con me, ma come posso biasimarti?
Ti avevo promesso che ti sarei stato vicino, che ti avrei aiutato, e invece sono scappato come un codardo, convinto da mio padre e Jason.
Lo so che non dovrei essere qui a scriverti questa lettera, che dovrei essere in capo al mondo per te, per non vedermi mai più, ma la verità è che starti lontano mi fa male, tropo male, un male che non credo di aver mai provato prima.
Quando siamo partiti ho visto la tua faccia, per strada, e sono scoppiato a piangere. Sì, proprio io che prendevo in giro i ragazzini che piangevano, ho frignato per tutto il viaggio, come un bambino senza il suo giocattolo preferito.
Quel bambino però, ha capito di volerlo per davvero quel giocattolo, e ha intenzione di venirselo a riprendere anche se sarà contro tutto e tutti.
Ti amo Jen, ti amo come non ho mai amato nessuno in vita, ti amo come la luna ama le sue stelle e come le montagne amano il tramonto.
Ti amo, e non smetterò mai di farlo.
In attesa di tue notizie
Justin
L’inchiostro era sbiadito in alcuni punti, reduce delle lacrime, supponevo.
Cavoli... Justin che piange… Allora ci tiene davvero a me!
No! Non era vero, erano tutte scuse per farmi cadere di nuovo in trappola e magari perdere Jennifer, per sempre.
Lo stesso per sempre che mi aveva promesso quando mi corteggiava, lo stesso per sempre in cui avevo sperato quando seppi della gravidanza, lo stesso per sempre che aveva spezzato e buttatomi in faccia.
No, non ci sarei cascata ancora, non sarebbe riuscito di nuovo a ingannarmi.
N.d’A
E voi? Cosa ne pensate voi di questo inaspettato Justin? Fatemi sapere le vostre opinioni, mi raccomando ;)
A presto
Ily

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Capitolo 17
*** Love is you ***


Love is all, Love is new, Love is all, Love is you
Capitolo 16: Love is you
 

Dopo la lettera di qualche settimana prima, Justin non si era più fatto sentire, cosa che non fece che incrementare la mia rabbia.
Doveva prendere una decisione: me o loro. Non volevo interrompesse i rapporti del tutto, erano pur sempre quello di più simile ad una famiglia che aveva, ma pretendevo che almeno avesse chiarito con loro.
E invece, non solo non aveva chiarito, ma nemmeno si era più fatto vivo!
 
Era una mattina inoltrata d’inizio agosto, faceva caldo ed io me ne andavo in giro per la città con Ginny, Rose e Joshua, a spasso tra bar e bancarelle, prima che ricominciasse l’anno scolastico e io dovessi ricominciare a studiare da matti.
Quella mattina, però, mi sentivo strana, come se ogni due passi ci fosse qualcuno che, alle mie spalle, ne compiva solo uno.
Più volte mi voltai a controllare, ma non vidi mai nessuno.
Ad un tratto mi sentii chiamare e mi sembrò di vedere una testolina bionda sparire dietro una colonna, ma poi mi convinsi di star delirando per colpa del sole così convinsi Joshua e Rose a tornare a casa. La prima però, la perdemmo per strada quando incontrò il suo ragazzo e andarono a farsi un giro solo loro due. Joshua era tentato di seguirli, ma alla fine lo convinsi a lasciar perdere e lo riportai a casa.
Ginevra, che era stata buona per tutto il tempo, davanti al portico iniziò un pianto disperato, così la misi nella culla per farla dormire un po’ e crollò in un paio di minuti.
Approfittai della momentanea tregua per riposarmi un attimo, così mi sdraiai sul letto e chiusi gli occhi, ma subito mi vibrò il telefono, perciò fui costretta a rialzarmi.
Era un messaggio da un numero privato e diceva: “Ti amo. Sei bellissima. Vieni al parco”.
Restai a fissare lo schermo per un paio d’interminabili minuti, poi mi alzai, decisa di andare al parco.
-Dove vai?- domandò Joshua osservandomi stranito mentre marciavo verso la porta.
-A commettere un omicidio- professai sicura sbattendo il sopracitato infisso con molta poca delicatezza.
Oh sì, avrei ucciso Justin Bieber!
Joshua probabilmente rimase sbalordito perché mentre sbattevo la porta avevo sentivo il suo sguardo incuriosito sulle spalle, ma poi doveva aver deciso di non contraddirmi: mai contraddire una ragazza suscettibile con una bambina da crescere da sola.
Il parco non distava molto da casa mia, ma il tempo che impiegai a raggiungerlo mi sembrò un’eternità perché continuavo a cercare un modo per non ricaderci di nuovo, per non cedere ai suoi occhi, alle sue labbra, alle sue mani… a lui.
Dopotutto l’avevo avuto tutto per me e non potevo negare che la sua presenza nella mia vita mi mancasse da morire.
Eppure, mentre marciavo verso il parco, ricaderci mi sembrava così giusto, così semplice, così… da me. Esatto, era una cosa da me, ma io ero cambiata. La vecchia me, quella ragazzina impacciata e fidanzata, era sparita, sepolta nei meandri della mia testa per lasciar spazio alla piccola grande donna, troppo piccola per essere madre e troppo grande per essere figlia.
Durante questo mio soliloquio interiore nemmeno mi accorsi di aver varcato i cancelli del parco e di star andando direttamente alla nostra panchina.
Anzi, alla panchina di Justin e la vecchia me. Ormai non sarebbe stata la stessa quella ragazza seduta sul blocco di pietra.
-Jen…- borbottò il biondo apparendomi al fianco e guardando stranito il mio ventre quasi piatto.
-Non ho tempo da perdere, Justin, Ginevra è a casa a dormire. Che vuoi?- sbottai leggermente alterata.
Okay, forse non proprio leggermente.
-Ginevra? È una bambina?- domandò lui curioso ignorando le mie occhiatacce.
-Sì, mia figlia è una bambina, e allora?!- domandai retorica calcando sull’aggettivo possessivo.
-Io ecco… non so se… hai… ecco… la… ehm-.
Balbettava di continuo, non lo sopportavo. Eppure non riuscivo a rispondergli così male e nemmeno a mandarlo direttamente a quel paese. Il mio cuore mi diceva che dovevo ascoltarlo.
-Datti una mossa!- esclamai spazientendomi.
Justin si fermò a guardarmi, per un momento fui rapita dalla sua espressione stranamente seria, poi mi costrinsi a riscuotermi e mi accorsi che aveva gli occhi lucidi.
Lui, gli occhi lucidi. Era la seconda volta che lo vedevo con gli occhi lucidi, se si escludono le macchie sulla lettera, e a vederlo così faceva quasi tenerezza.
No. Non devi ricascarci, ricordi?!
-Ti amo- sussurrò a un certo punto tirando un sospiro di sollievo mentre le lacrime gli solcavano il viso. Era così piccolo indifeso in quel momento, senza nessuna convinzione, nessun amico su cui contare, nessun padre dal quale rifugiarsi, nessun fratello con cui confidarsi.
Ci stai ricascando, lo vedi?
Ad un tratto mi riscossi e mi accorsi che erano venute a me gli occhi lucidi.
-Perché piangi?!- gli urlai contro, attaccandolo, «Sono io che dovrei farlo! Sono io quella che è stata abbandonata con un figlio in grembo, sono io quella che ha sperato fino all’ultimo che tu non fossi andato via, sono io quella che ti ha difeso dalla tua famiglia, sono io quella che ha dovuto affrontare la propria famiglia, sono io quella che ha dovuto litigare con il padre, sono io quella che tutti fissano quando cammina per strada, sono io quella che è stata derisa da tutta la scuola, sono io quella che è stata sedotta e abbandonata… Dovrei piangere io, non tu, ma non lo faccio perché non meriti nemmeno una goccia delle mie lacrime».
Gli sputai addosso le parole tutte insieme, un fiume di rimproveri che lentamente lo stava abbattendo, lo vedevo dai suoi occhi sempre più rossi. Mentre urlavo, però, senza riprendere mai fiato, piansi anch’io. Non singhiozzavo né sussultavo, semplicemente le lacrime mi rigavano il viso con tranquillità, come una dolce pioggerella estiva.
Justin cadde, o meglio si buttò a terra, inginocchiandosi davanti a me a testa bassa, mentre tutte le persone presenti ci guardavano come se fossimo due fenomeni da baraccone.
Beh, forse abbiamo dato spettacolo…
-Hai ragione, Jen… Hai perfettamente ragione…- borbottò riscuotendosi un po’.
-Lo so che ho ragione! L’unica cosa che non so è perché sono venuta qui!- esclamai abbassando il tono di voce cosicché non ci sentissero tutti.
-Lo so io!- esclamò alzandosi in tutta la sua altezza. In realtà lo preferivo inginocchiato quando io ero più alta di lui. -Sei venuta perché il tuo cuore ti ha detto di farlo-.
-Non parlare del mio cuore, non sai più com’è! E se pensavi che sarei caduta tra le tue braccia ti sbagliavi Justin, e di grosso anche! Sono cambiata, e ha il dovere di sentirtene responsabile- mi ritrovai ad urlare di nuovo mentre le persone intorno a noi aumentavano ancora di più. Mi era perfino sembrato di riconoscere qualche volto amico, ma non ci feci caso.
-E invece no. Se fossi davvero cambiata non staresti qui, Jennifer. Forse non sarai più una diciassettenne come le altre, ma sei la stessa di ragazza che amo perdutamente da… sempre- concluse lui avvicinandosi.
Avrei voluto respingerlo, avrei dovuto respingerlo, eppure mentre si avvicinava a me con le braccia allargate e l’aria un po’ goffa, gli occhioni ancora lucidi, non riuscivo a muovermi. Ero come impalata, incollata al terreno che mi tratteneva, che impediva di scappare.
Braccia possenti mi avvolsero, e in quell’istante mi sciolsi.
Tutti i miei propositi di non ricascarci e mandarlo a quel paese, impedirgli di conoscere Jennifer, precipitarono con il muro che mi ero costruita nel preciso istante in cui sentii le sue dita stringere la mia pelle. Erano fredde, le mani, ma sono sicura che i brividi non dipendessero da quello.
Mi lasciai andare, stringendolo forte e abbandonandomi alle lacrime così come aveva fatto anche lui; ma non erano lacrime di dolore, oh no, erano lacrime di gioia che mi solcavano il viso mentre io continuavo a sussurrargli di non lasciarmi andare, mai più.
Forse la diciassettenne sciocca e impacciata non era cambiata, aveva solo sentito il bisogno di difendersi.
 
N.d’A
Saalve. So che sono mancata per tanto tempo e che dovrei essere sparita nel nullo, ma mi sento in dovere di completare la storia.
Questo, in principio, sarebbe dovuto essere il capitolo finale, ma visto che non c’è nessuno degli altri personaggi nominato ne ho scritto un altro, che fungerà da epilogo e in cui capirete chi sono le persone che sono rimaste con loro.
Anyway, spero mi lasciate una piccola recensione, e vi dico che il prossimo capito, già pronto e rivisto, lo pubblicherò entro la fine di questa settimana.
A presto
Nameless

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Capitolo 18
*** EPILOGO ***


Love is old, Love is new, Love is all, Love is you
Epiologo


 
Otto anni dopo
 
-Allora questa è la storia tua e di papà!- esclama la bambina al capezzale del mio letto.
Questa mattina, il giorno del mio venticinquesimo compleanno, si è precipitata in camera la mia bambina, la piccola Ginevra, chiedendo la storia mia e di Justin.
Piccola. Ormai è una bellissima “ragazzina”, molto intelligente e perspicace, che non perde occasione per farci dannare.
Ho esitato all’inizio, non credevo di poter reggere il ricordo di quelle emozione, quei rimorsi, quei pianti, quelle belle amicizie fondate, ma poi gliel’ho raccontata, e ne è rimasta estasiata.
-Ancora nel letto?!- domanda retorica Justin comparendo alla porta con un vassoio in mano.
-Mamma, guarda!- esclama Ginny indicando i tre bicchieri di succo e i tre cornetti.
-Ho visto tesoro, papà è stato proprio gentile- dico osservando Justin che ci raggiunge e si siede tra noi.
-Dovresti vestirti sai, tra un po’ arriveranno i nostri amici-pronuncia carezzandomi dolcemente il viso. Mi piace il modo in cui dice “nostri”, perché ormai i miei amici sono diventati suoi amici.
-Oh non credo verranno ora: Julie è fuori città mentre Ashley e Honey sono in facoltà, quindi hanno di meglio fare!- esclamo sicura portandomi il cornetto alle labbra.
-E Eric?- domanda lui con un sorrisetto strano.
-Sono le otto, è troppo presto per Eric!- esclamo ridendo mentre Ginny si macchia tutta la maglietta con la cioccolata del cornetto.
-Vabbè ma potrebbero sempre venire i tuoi fratelli o tua madre!- dice lui deciso a contraddirmi.
-Impossibile: mamma è in ospedale, Luca al Palazzo di Giustizia, Joshua ha il corso e Rosalie è fuori con Emma. Papà non credo venga- pronuncio di nuovo sicura. -E tua madre, tuo padre e tuo fratello sono in vacanza- aggiungo prevedendo le sue parole.
-Misà che hai toppato- dice lui sorridendo e fissando insistentemente la porta.
D’un tratto, quasi tutti insieme, le persone che avevo nominato fino a quel momento appaiono nella stanza, con l’aggiunta solo di Nicole e Vanessa.
Questo è il miglior giorno della mia vita.
-Ragazzi!- esclamo incredula credendo che quello sia il miglior giorno della mia vita.
-Auguri- esclamano loro in coro appropriandosi di Ginny subito dopo e disperdendosi nella casa.
Faccio per alzarmi dal letto ed accogliere gli ospiti, ma Justin mi blocca parandomisi davanti.
-Che c’è?- domando col solito sorriso sulle labbra.
Ha le gote arrossate e sta tentando di togliere il vassoio senza chiedere il mio aiuto.
-Molto galante come gesto- affermo togliendolo io e poggiandolo sul mobiletto accanto al letto, -Ma avresti potuto chiedermi di aiutarti-.
Non parla, ed è strano perché ogni volta che io lo provoco gli spunta un sorriso strafottente sulla faccia e replica in una velocità inaudita.
-Che succede?- domando assumendo una postura più composta con la voce leggermente preoccupata.
-Mi sposi?- domanda tirando fuori una custodia blu notte e dimenticandosi di aprirla.
La afferro e la poggio sul comodino con un enorme sorriso sulle labbra, avvicinandomi poi a lui e facendole combaciare con le sue. È un bacio travolgente e pieno di passione, tanto che ci sbilanciamo e lui finisce steso sul letto con me sopra.
-Ehm ehm!- la finta tosse di Joshua ci riscuote ed io mi ricompongo un po’.
-Dovreste accogliere gli ospiti- dice poi allontanandosi.
Justin si alza e mi stampa un bacio sulla fronte, allontanandosi subito dopo borbottando qualcosa come: -Lo prendo per un sì-.
Decisamente, questo è il miglior giorno della mia vita.
***
N.d'A.
Ed eccomi qui con l'epilogo. Devo dire che nonostante sia la seconda fan fiction che finisco di pubblicare, la sensazione è sempre la stessa: quella di aver reso felice qualcuno pubblicando finalmente l'ultimo capitolo di una dello loro tante vite.
Sono così emozionata! Non è molto lungo, come avrete notato, ed è scritto al presente, perché volevo rendere il tempo passato, e spero di esserci riuscita. 
Intanto, passiamo ai ringraziamenti :')
Innanzitutto ringrazio DreamNini per aver recensito tutti i capitoli, senza dimenticarne nessuno (ti adoro *-*), poi grelaria, franci_una_direzione, BonBon15 e bibo4ever le loro recensioni e infine ambra_22, che ha recensito l'ultimo capitolo e spero si faccia ancora viva :')
Inoltre ringrazio tutti coloro che hanno inserito la storia tra le preferite (federica biggio, Giorgia_Gili, lilly_13, mari_jb_112 e Sonounabeliber), tra le ricordate (bebbervat_09, golsominapapiro, ILove_aCanadianBoy, Jade Lewis, needmaluhia e Sonounabelieber) seguite (Aleciaociao1999, believe22, Expectopatronum97, franci_una_direzione, giogio1812, grelaria, ILove_aCanadianBoy, io_e_te, Martyswaggy, sere_96 e Yourworldismyworld): vi amo tutti/e, anche i/le lettori/lettrici silenziosi/e.
Ora scappo, sennò mi verrano le note più lunghe del capitolo, anche se probabilmente già lo so.
A presto
Nameless


 

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