Help me and let me help you.

di MartaJonas
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Prologue ***
Capitolo 2: *** Chapter 1: Raindrops ***
Capitolo 3: *** Chapter 2: Arrivals ***
Capitolo 4: *** Chapter 3: Magic ***
Capitolo 5: *** Chapter 5: Memories ***
Capitolo 6: *** Chapter 4: Surprising ***
Capitolo 7: *** Chapter 6: Thank you ***
Capitolo 8: *** Chapter 7: Tattoo ***
Capitolo 9: *** Chapter 8: I’ll go with you ***
Capitolo 10: *** Chapter 9: Ike! ***
Capitolo 11: *** Chapter 10: Alone ***
Capitolo 12: *** Chapter 11: Who I am ***
Capitolo 13: *** Chapter 12: Miracle ***
Capitolo 14: *** Chapter 13: Predators and Preys ***
Capitolo 15: *** Chapter 14: War ***
Capitolo 16: *** Chapter 15: I trust to you ***
Capitolo 17: *** Chapter 16: Explosion ***
Capitolo 18: *** Chapter 17: I’m in love with you. ***
Capitolo 19: *** Chapter 18: Let him live ***
Capitolo 20: *** Chapter 19: I’m fine. ***
Capitolo 21: *** Chapter 20: Circles ***
Capitolo 22: *** Chapter 21: Prince and Princess ***
Capitolo 23: *** Chapter 22: Cold and without feelings ***
Capitolo 24: *** Chapter 23: It’s my fault. ***
Capitolo 25: *** Chapter 24: I won’t let you go. ***
Capitolo 26: *** Chapter 25: I’m sorry ***
Capitolo 27: *** Chapter 26: She walks away ***
Capitolo 28: *** Chapter 27: I Almost do ***
Capitolo 29: *** Chapter 28: I love her ***
Capitolo 30: *** Chaper 29: He needed her, as much as he needed his heart. ***
Capitolo 31: *** Chapter 30: Everythings is possile ***
Capitolo 32: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Prologue ***


Help me and let me help you


 

Prologue


 

 

September 2014

La pioggia cadeva scrosciante durante quella sera di metà settembre. Il cielo era plumbeo, nero, così tanto oscuro da perdercisi dentro. 

La ragazza uscì dal supermercato con una busta della spesa e sembrò notare soltanto in quel momento le lacrime del cielo. Batté un piede a terra, imprecò e buttò la busta con dentro quella che sarebbe dovuta essere la sua cena per terra. Si sedette sul marciapiede umido, si tirò su il cappuccio e si strinse a sé le gambe esili e sottili. 

Cominciò a piangere, piangere e piangere. Lei non piangeva, o almeno se lo faceva si assicurava di essere sola e lo faceva soltanto quando non ce la faceva più. Era troppo calcolatrice e distaccata per essere travolta dai sentimenti; era proprio come ogni medico dovrebbe essere: appassionata ma non empatica.

Ma quella era stata la sua prima volta, quel viaggio l’aveva cambiata, nel profondo, più di qualsiasi altra cosa potesse fare. 

Si mise a guardare il temporale e vide una goccia cadere in una pozzanghera e formare un piccolo cerchio, seguito poi da cerchi più grandi sempre provocati dalla stessa goccia. 

Una goccia d’acqua, soltanto una goccia d’acqua avrebbe potuto cambiare tutto. Perché in ogni goccia c’è un cambiamento, una serie di conseguenze che non si possono prevedere. Una serie di cerchi che si possono incontrare con altri, una serie di avvenimenti non previsti. 

La giovane non poté fare a meno di versare un'altra lacrima e incolparsi nuovamente per quello che era successo, dicendosi che avrebbe dovuto fare in modo di non far cadere quella goccia. 

Si alzò da lì per terra, prese la busta di carta affianco a sé e attraversò la strada, ripetendosi di non piangere, di smetterla, dicendosi che quello fosse un atteggiamento infantile e immaturo. Dall’altra parte non riusciva a placare le lacrime. 

Salì in macchina dopo qualche altro passo, già completamente zuppa da capo a piedi. Si tolse il cappuccio, lasciò la busta nel sedile affianco e sospiro rumorosamente appoggiandosi allo schienale. Si tolse come poté le lacrime dagli occhi e mise in moto la macchina. 

Le strade di Los Angeles sembravano deserte. Poche luci dei lampioni riuscivano ad illuminare a malapena gli stradoni della metropoli. Non faceva particolarmente freddo, in quella città non faceva mai freddo davvero. O almeno mai come nella sua originaria New York. 

La pioggia rendeva difficile anche soltanto vedere a due palmi dal naso. Era tutto buio, e la vista della ragazza era appannata dalle sue stesse lacrime. 

 

She hits the gas

Hoping it would pass

 

Premette con il piede sull’acceleratore, come per fuggire dai suoi stessi pensieri come se volesse tenerli lontani, come se non volesse affrontarli perché troppo difficili da accettare. Ma quelle immagini, quelle grida, quelle lacrime, quegli sguardi si ripresentavano nella sua mente come un film che ormai si era ripetuto un milione di volte. Più sperava che scomparissero dalla sua mente, più queste si ripresentavano vive nella sua testa. 

Successe tutto in pochi secondi. 

Un forte tonfo, dei vetri rotti, una macchina rovesciata e un airbag che si gonfia. Sangue, dolore e panico. Una voce che grida, una vista appannata, infine una luce rossa lampeggiante e un suono di una sirena. All’improvviso, tutto buio. 

 

The red light starts to flash

It’s time to wait. 

 

Buonasera a tutti! 
Eh sì, sono tornata a rompervi le scatole, ma capitemi sono raffreddatissima e ho mal di gola da morire e per questo domani non andrò neanche a scuola!
Questa storia sarà un po' diversa da ciò che avete letto in precedenza e da ciò che ho mai scritto prima. 
Il prologo è datato nel settembre 2014, mentre il primo capitolo che posterò porterà la data di maggio 2014, quindi la maggior parte della storia sarà un Flash Back. 
Questa fan fiction la volevo scrivere prima di "You're just running from the truth", ma non mi sentivo pronta, e tutt'ora non mi sento pienamente capace di scriverla. Perchè? Perchè è in una realtà in cui non sono mai stata. 
Comunque ho voluto provare a vedere cosa venisse fuori. Sappiate che non so se riuscirò a postare regolarmnete, perchè la scuola mi uccide. Il terzo liceo scientifico è pensate, e soo già che gli anni che verranno saranno ancora peggio ç.ç
Bene, se siete arrivati fin qui a leggere, vi meritate un applauso! *clapclap*
Sì vede che sto male, comincio a straparlare. 
Ora me ne vado davvero, spero che lasciate almeno un commentino! :)
Un bacione grande, 
Marta. 

 

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Capitolo 2
*** Chapter 1: Raindrops ***



 

Chapter 1

Raindrops

 

 

May 2014

 

Il ragazzo prese la mano della ragazza e uscì dal ristorante. Di nuovo fotografi, di nuovo paparazzi, di nuovo domande. Non che non stessero facendo il loro lavoro, non che non avrebbero dovuto farlo, ma gli avrebbero dovuto concedere un po’ di tregua ogni tanto? Oppure non ne aveva diritto? Nemmeno dopo due anni in tour in tutto il mondo? Probabilmente no. 

Salì in macchina e guardò la sua ragazza dai lunghi capelli castani e occhi da cerbiatto sedergli accanto, con tanto di cortissimo vestito rosso. Girò la chiave, e mise in moto la macchina che sfrecciò sull’asfalto. 

Aveva tutto: una famiglia che gli voleva bene, un lavoro che per lui era un divertimento e la sua passione che lo soddisfaceva a pieno, fan da ogni angolo del mondo, una ragazza che era quasi sicuro di amare. Cosa poteva desiderare di più? Cosa? 

Chiunque altro avrebbe gridato vendetta a quella sua insoddisfazione. 

Aveva tutto eppure nell’ultimo mese, tutto ciò che aveva gli sembrava superfluo, inutile, tanto perfetto da sembrare falso. Eppure lo aveva scelto lui, lo aveva voluto lui. 

Guardava per le strade di Los Angeles e non vedeva altro che cartelloni pubblicitari, insegne luminose, macchine che costavano almeno 300 mila euro l’una affiancate da ragazzi e ragazze per la maggior parte ubriachi. 

Non che lui non l’avesse mai fatto, anzi. Ma ora sembrava insoddisfatto, gli sembrava che quello che faceva ogni santo giorno non fosse abbastanza, non fosse fondamentale, ma che fosse superficiale e superfluo. 

Andava a dormire la sera dicendosi che aveva fatto tanto per sé ma mai nulla per gli altri. 

Quel che più cominciava sempre di più ad odiare era il fatto che tutti sembravano portare avanti volentieri e sostenere come se nulla fosse questa società fondata sull’immagine e quindi anche sulla finzione. 

Per molti la questione più difficile con cui avere a che fare è come vestirsi il giorno del party del sabato sera, e anche per lui lo era stata per troppo tempo. 

Ora guardando a ciò che aveva fatto, si sorprese per quanto potesse essere stato superficiale e stupido. 

Anche la sua ragazza, lui non aveva nessuna intenzione si sposarla, né mai una idea del genere avrebbe mai attraversato al sua mente. Stava con lei per abitudine, e per quel sentimento che credeva fosse amore. Almeno era quello che riusciva a percepire. 

Ma ora la su visione di ogni cosa era cambiata, da un mese a questa parte era cambiata, dal momento in cui aveva rivisto quella foto. 

I ricordi erano riemersi nella sua mente, quegli episodi, quelle storie, quei sorrisi, quei visi che sembrava aver dimenticato per quattro anni, in quel momento li aveva ricordati. 

Erano 30 giorni che rimuginava su quell’idea, pensava e ripensava. 

In realtà lui aveva già deciso, perché era quello che doveva fare. Aveva già deciso, ma non sapeva come dirlo a tutti gli altri.  

-Tutto bene? – chiese la ragazza poggiando dolcemente la sua mano su quella del ragazzo.

-Ehm … sì. – disse risvegliato dai suoi pensieri.

-Sicuro? – chiese. 

-Sicuro. – ci pensò un attimo prima di dirlo, chiedendosi se la avrebbe dovuta informare della cosa così direttamente o meno. - Megan, credo che a giugno partirò. 

-Un nuovo tour? – disse la ragazza con un sorriso. 

-No, soltanto un viaggio. – disse la ragazza. 

-A giugno ho il mese libero, posso venire con te. Ma dove?- chiese la ragazza. 

Joe si fece scappare un sorriso e una piccola risata per l’assurdità che aveva appena detto la sua ragazza. Spostò lo sguardo verso la strada. 

-Andrò da solo, Megan. Non è di sicuro un posto per te e voglio andarci da solo. – disse il ragazzo. 

-Ma si può sapere dove andrai? – disse leggermente innervosita la ragazza. 

-In Africa. – rispose il ragazzo sorridendo, pensando che non aveva l’ora che quel 8 giugno arrivasse.

 

*

 

Claire prese una mela rossa dalla fruttiera, e la morse, poi la poggiò sul tavolo della cucina. Faceva caldo a Los Angeles, e ormai tutti andavano in giro in canottiera e shorts, lei compresa ovviamente.

Era domenica, e di domenica aveva tutto il tempo di fare al sua adorata colazione. Così scese in strada attraversò la strada fin troppo trafficata e prese un frappuccino da Starbucks.

Rientrando prese la posta dalla cassetta e la portò fin dentro il suo appartamento. 

Si sedette al tavolo della cucina, e accavallò le gambe, si legò i capelli e sospirò. Sorseggiando il suo Starbucks, controllò la posta. Bollette. Bollette. Bollette. Bollette? Si accorse di avere davanti agli occhi non la quarta bolletta di fila, ma una lettera dall’università. 

Si era laureata in medicina, con tanto di specializzazione in ostetricia e ginecologia, e la attendevano soltanto due anni di tirocinio e avrebbe potuto davvero cominciare a fare il medico. 

Aveva sempre avuto un debole per i bambini, anche se non riusciva a capirne davvero il motivo. Forse perché sua sorella si era partorita quando lei era appena sedicenne, e lei era vissuta con un bambino in casa. Oppure perché alla parrocchia vicino casa aiutava spesso il parroco con l’oratorio estivo. Oppure era stato il suo istinto femminile a farle adorare tutti i bambini di tutte le età. Specializzandosi in quei settori sarebbe stata capace di assistere ed anche permettere uno dei fenomeno naturali più belli al mondo: la nascita. 

Aprì la lettera da parte dell’università e trasalì. Il suo cuore accelerò e lei si aprì in un sorriso. Non si ricordava neanche di quella domanda che aveva fatto, ora aveva la risposta davanti ai suoi occhi, ed era affermativa.

L’università a inizio dell’ultimo anno di specialistica aveva organizzato un’iniziativa particolare, e anche unica ed, in un certo senso anche “conveniente”: alla fine della specialistica, chi doveva fare ancora due anni di tirocinio avrebbe potuto sostituire i due anni canonici in uno studio medico con due mesi in un orfanotrofio in Africa, e assumere il posto di assistente medico nei mesi di giugno e luglio. 

Quello di andare in Africa era sempre stato il sogno di Claire, ed ora che poteva che poteva realizzarlo era felice e spaventata allo stesso tempo. 

Non sapeva cosa aspettarsi, non sapeva cosa quel viaggio le avrebbe riservato.

Non sapeva cosa quella piccola cittadina di nome Maun in uno stato africano chiamato Botswana che prima di allora quasi non sapeva esistesse, le avrebbe fatto conoscere, sapere e vivere. 

Non lo sapeva, era spaventata a morte, eppure era più pronta che mai. 

 

 

Nessuno dei due ragazzi sapeva che era appena cominciato a piovere e due piccole gocce d’acqua erano cadute nell’oceano. 

Quanto poteva essere grande l’Oceano Atlantico? Quello stesso oceano che li separava dalla terra in cui si sarebbero trovati neanche un mese dopo. 

Eppure quelle gocce erano cadute vicine, e i cerchi formatosi al contatto con l’acqua agitata si stavano allargando, e si sarebbero incontrati. 

A cosa portano due cerchi d’acqua che si scontrano? che si incontrano? A tanto, a poco e a tutto. Tutto ciò può portare a nulla, e a tutto nello stesso momento. 

Si tratta di incontri, si tratta di scontri, si tratta di impatti. 

Quanto può compromettere uno scontro, o un’incontro in una vita? Quanto due mesi possono cambiarla?E se ci fossero tanti incontri in una volta soltanto? Se il significato di “vita” venisse messo in discussione? Se tutto quello che si pensava fosse fondamentale, non assumesse più significato?E se tutto, da un momento all’altro, a causa di due gocce cadute fin troppo vicine, cambiasse?

 






Buonasera!
sono riemersa dai miei compiti per postarvi questo primo capitolo :) 
Beh, come ho detto, è qualcosa che volevo scrivere da tempo, e finalmente mi sono decisa a pubblicare. Non so neanche io come andrà a finere nè come si volverà, ma so che dovevo farlo. 
Un grazie enorme a chi ha recesito al prologo *w*
Fatemi sapere cosa ne pensate! :)
Un bacione, 
Marta <3

PS: da adesso in poi la canzone del capitolo sarà direttamente linkata nel titolo! ;)

 

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Capitolo 3
*** Chapter 2: Arrivals ***



 

Chapter 2

 

Arrivals


 

June 2014

Claire scese da quel pulmino, e si schermò la luce del sole fin troppo forte con la mano. Era caldo, un caldo secco, un caldo forte di quelli che anche soltanto fare un passo ti costa fatica, un enorme fatica. Non c’era nessuno, sentì soltanto delle voci di bambini provenire dal retro dell’abitazione, o meglio il retro della scuola. 

Era tutto molto bello lì, più bello di quanto avesse mai immaginato. 

C’era una scuola, una mensa, un’infermeria, un centro ricreativo e un campo da basket. La ragazza si chiese chi sostenesse tutte le spese di quel posto. 

-Signorina, venga da questa parte. – disse l’autista del pulmino, nella lingua che più si avvicinava all’inglese. 

Claire così fu svegliata dai suoi pensieri e con il trolley nero in spalla, seguì l’uomo alto e di colore che la guidò fin dentro l’infermeria. 

La ragazza si fermò aspettando l’uomo che era appena entrato nella stanza a fianco dicendole di sedersi. 

Pochi minuti e un uomo brizzolato e sorridente a lei familiare uscì dalla stanza. 

-Signorina Dawson! – disse l’uomo – sono felicissimo di averla qui! 

-Io sono felice di essere qui. – disse la ragazza alzandosi in piedi davanti al suo professore di chirurgia. 

-Venga, venga con me – disse l’uomo facendola uscire e poi sedere su una panchina. 

-Come mai ha scelto di venire qui? – chiese l’uomo. 

-Perché è qualcosa che volevo fare da sempre. Sa, non mi è mai mancato nulla nel vita, e spesso ho pensato che avrei dovuto dare agli altri di più di quanto facevo. – disse la ragazza. – Ho un debole per i bambini, e lo si può notare visto che ho scelto ginecologia. Non sono mai stata in un posto del genere e non le nascondo il fatto che sono anche un po’ spaventata, ma è quello che voglio fare. 

-Questo è davvero un bel gesto Claire. – si congratulò l’uomo –  Questo non è un tirocinio come gli altri, lo sa no? – la ragazza annuì. – potremmo avere bisogno di lei in piena notte, dormirà in letti a castello con altro personale, e dovrà visitare e curare cercando di consumare meno medicine possibili. Questo è per il tirocinio, in più qui hanno sempre bisogno di una mano, e se lei vuole per ogni altra mansione può rivolgersi segretaria, ma questo ovviamente è secondo la sua stretta volontà. – disse il medico. 

-Sarò felicissima di informarmi e dare una mano come meglio posso. – disse la giovane donna sorridendo. – quando posso cominciare a lavorare qui in infermeria?

-Anche subito, per cominciare però, ora come ora, credo che sia meglio che le affidi un caso un po’ più psicologico che medico. Visto che ha seguito un corso extra di psicologia lei dovrebbe saperne più di me. Segua la mia assistente che la porterà da un bambino che abbiamo trovato poco distante da qui, da solo e senza vestiti, e non ha spiccicato parola da quando l’abbiamo trovato. Non sappiamo cosa gli sia successo, ma di sicuro ha subito un trauma. Provi a parlargli, e vediamo che risultati otteniamo. – disse il medico. 

-Va bene, cercherò di fare del mio meglio. –affermò convinta la giovane. – a dopo, e grazie per tutto. 

-Grazie a lei signorina Dawson, ci sono davvero poche ragazze come lei in giro, lei è una benedizione.- disse l’uomo stringendole la mano con un sorriso, e così si congedò. 

La ragazza seguì la donna di colore che le fece attraversare il campo da basket dove tantissimi bambini giocavano e si divertivano e la fece arrivare fino a quella che sarebbe dovuta essere il centro ricreativo.

Anche lì tanti bambini giocavano, chi con peluches, chi con palline, chi con puzzle. In un angolino, seduto a terra con un paio di jeans e una maglietta a maniche corte gialla un bambino. 

-È lui. – disse la donna indicando il bambino all’angolo. 

Quel bimbo aveva uno sguardo diverso, diverso da qualunque altro Claire avesse mai visto prima. 

Quegli occhi color nocciola sembravano aver visto tanto, troppo. Avrà avuto sette anni, o meno, troppo pochi per fare qualcosa, troppi per non ricordare. 

Cosa avrebbe potuto fare lei a una creatura del genere?

-Ehi – disse la ragazza avvicinandosi al bimbo, per poi mettersi a gambe incrociate proprio affianco a lui. Il bimbo continuò a guardare a terra, proprio come aveva fatto da quando Claire era arrivata. 

-Come ti chiami, tesoro? – disse accarezzandogli la testa dolcemente. 

La guardò, poi tornò con gli occhi fissi sul pavimento. 

-Sai, io mi chiamo Claire. Sono appena arrivata dagli Stati Uniti. È un paese molto lontano da qui, infatti ci ho impiegato una vita ad arrivare. – raccontò la ragazza con enfasi, ampliando i suoi genti e accentando forse un po’ troppo le parole per catturare l’attenzione del bambino. 

-Vengo da Los Angles, dove ci sono altissimi grattacieli – così alzò una mano, come per indicare la maestosità di quegli edifici – dove ci sono tanti attori famosi, e un mare fantastico. Ci sono delle palme altissime, fino in cielo – disse indicando il soffitto e fissando il punto che stava indicando, spingendo anche il bambino a fare lo stesso – e c’è praticamente sempre il sole. La sono nata a New York, che è fredda d’inverno e calda d’estate, ed è davvero una città stupenda quella. Però sai che c’è? Non c’è un attimo di tranquillità in una città come New York o Los Angeles. Qui invece, mi sembra diverso. Non vuoi parlarmi un po’ di qui, o almeno dirmi il tuo nome … - disse la ragazza rivolgendogli un sorriso. 

Claire sapeva che probabilmente quel povero bambino non stava capendo un accidente di quello che gli stava dicendo, ma aveva bisogno di stare con qualcuno e questo gli si vedeva dagli occhi. 

-Ho fatto tutta questa strada per te, e tu non vuoi dirmi il tuo nome! – disse la ragazza sorridente. 

Il bimbo alzò lo sguardo, incontrandolo con quello della ragazza.

-Ike. – disse in un solo suono. – Io Ike. – ripeté sforzando un sorriso. 

-Ike, hai un nome bellissimo, tesoro! – disse la ragazza completamente sorpresa del fatto che quel bambino avesse capito qualcosa dalla sue parole. Sapeva un po’ di inglese, era un grandissimo passo avanti. In più aveva parlato, cosa che non aveva mai fatto da quando era stato trovato, almeno questo era quello che le avevano detto. 

Probabilmente Ike lo aveva fatto per farla smettere di parlare, petulante com’era; oppure perché stava cercando qualcuno che si sforzasse a voler sapere sul serio il suo nome, e non che cedesse al primo silenzio. Claire non lo sapeva, ma sperava per il meglio. 

-Ascolta, che ne dici di giocare con gli altri bambini? – disse indicando i suoi compagni che si divertivano nel resto della sala. Vide il bambino, che scosse un po’ la testa, indietreggiare. 

-E invece disegnare? – disse la ragazza prendendo qualche colore dal tavolino vicino. –Guarda quanti colori abbiamo qui! Verde ! Azzurro! Rosso! –esclamò fingendo meraviglia la ragazza.

Ma il bambino indietreggiò di nuovo, scuotendo la testa. La giovane sospirò piano. 

Il suono di un clacson di una macchina richiamò la sua attenzione. Sentì le voci dei bambini che stavano giocando fuori farsi più forti, così si girò. Vide tanti bimbi accorrere verso un pullmino che era appena arrivato. 

-Torno subito, Ike. – disse al bambino accarezzandogli una guancia dolcemente. 

Era semplicemente curiosa, o almeno si chiedeva perché se fosse stato soltanto un nuovo membro del personale, non si fossero comportati allo stesso modo poco prima. Uscì dal centro ricreativo, e si avvicinò a quel mezzo di trasporto. 

Bastarono una manciata di minuti, e la portiera posteriore si spalancò. 

Un attimo e un ragazzo uscì da lì dentro. Aveva capelli lunghi corvini e ricci, dei jeans aderenti, una maglia a maniche corte bianca con una stampa sopra. Un raggio di luce illuminò i suoi occhi, e come se non avessero mai fatto altro in tutta la loro vita, brillarono. 

Infine, si aprì in un sorriso, un sorriso dolce, sincero, puro, il più bello del mondo. Claire lasciò che il suo cuore perdesse un battito per un attimo, alla vista di quel ragazzo, che a prima vista non aveva neanche riconosciuto; poi prese un respiro profondo e si ricompose. 

Joseph si abbassò sulle ginocchia e aprì le sue braccia lasciando che i bambini venissero a lui, e li abbracciò in un gesto semplice e perfetto. 

-Mi siete mancati, bellissimi – disse il ragazzo che non riusciva a smettere di sorridere. 

Claire si avvicinò alla donna che la aveva accompagnata al centro ricreativo, e le pose una domanda. 

-Ma … chi è? –chiese indicando il ragazzo che era appena arrivato. 

-Come non lo sai? È Joe Jonas, lui e i suoi fratelli finanziano tutta la struttura qui. È venuto qualche anno fa ed è restato un mese, quest’anno farà lo stesso. – detto questo la donna si congedò con un sorriso. 

Joe Jonas, Jonas, Jonas Brothers. Ora le era tutto chiaro. 

Era il solito montato che veniva a sfruttare quei bambini, facendosi foto con loro, per avere più notorietà. Odiava tipi come lui, non avevano capito nulla della vita se credeva che due foto potessero migliorare una persona. Sospirò, e mentre una voce nascosta all’interno di lei si chiedeva perché appena visto quel Joe Jonas, avesse perso un battito cardiaco, tornò da Ike, che la stava aspettando. 

 

 

Le due gocce erano cadute, e i cerchi prodotte da queste si erano appena incontrati, anzi si erano intersecati, in ben due punti. Erano stati due impatti, in due punti differenti. Cosa avrebbero provocato quegli scontri? Cosa sarebbe prevalso?

Altre gocce dovevano cadere, altri cerchi si dovevano incontrare, più e più volte. 

Era tutto nelle mani del destino. 










Salve gente!
Bene, dovete scusarmi, ma la scuola mi sta portando via più tempo di quanto avessi mai potuto immaginare, non so neanche se ci arrivo a Natale di questo passo ...
Comunque, questo capitolo è una schifezza, lo so, ma l'ho scritto ieri notte e questo è tutto quello che è venuto fuori!
Spero che possiate perdonarmi!
Un altra cosa, quello dell'immagine a inizio capitolo è il nostro Ike. 
Mi farò sentire al più presto possibile, un bacione enorme, 
Marta. <3


ps: e il concerto? Ne vogliamo parlare? Quei tre sono stati fantastici, erestare fino alle 5 e mezza di mattina sveglia per vederli è stato pazzesco ma ne è valsa tutta la pena. Sono tornati, e più forti che mai. 

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Capitolo 4
*** Chapter 3: Magic ***



 

Chapter 3

 

Magic


 

June 2014

Joseph dovette sbattere le palpebre più di una volta prima di rendersi conto di non essere sul suo letto, nel suo appartamento di Los Angeles. Ormai negli ultimi due anni aveva viaggiato continuamente a causa del tour, e ogni mattina si doveva rendere conto in quale parte del pianeta si trovasse. Manila, Mosca, Singapore, Parigi, Milano, Madrid, New York, Dallas, Boston. Queste e tantissime altre, ormai non ricordava più in quanti alberghi diversi avesse alloggiato. 

Adorava stare in tour, adorava farlo soprattutto con i suoi fratelli. Andare in tour da solo era tutta un’altra cosa, tutta la pressione si concentrava su di lui, che doveva essere in qualche modo perfetto nel rispondere nel modo più appropriato alle domande, e a cantare, esibirsi senza steccare. Era più impegnativo, mentre con i suoi fratelli, i suoi amici, tutto quello diventava una splendida vacanza. 

Si era concesso, al ritorno dal lungo tour, una pausa, una ragazza e il restare nello stesso appartamento per due mesi di fila. Cosa che non accadeva da anni, probabilmente. 

Poi, aveva visto quella foto, stropicciata, infondo al cassetto delle magliette a maniche corte, e tutto era cambiato. Lui non aveva stampato nessuna foto di quelle che aveva fatto, laggiù in Africa, nel 2010, ma era stato lo staff del luogo a stampare e regalarne una a lui. Quel ritrovamento l’aveva interpretato come un segno, un segno che manifestava il fatto che lui aveva bisogno di tornare lì, a Maun. Un segno, perché si stava rendendo conto che stava perdendo di vista cosa volesse lui dalla vita. Un segno, perché quel sorriso che vide dipinto sul suo volto stampato su quella foto, sentì che era il più vero che avesse fatto negli ultimi 2 anni. Joseph aveva bisogno di quei bambini, più di quando quei bambini avessero bisogno di Joe. 

Si stropicciò gli occhi, prima di abituarsi alla luce che filtrava da quelle finestre dalle imposte rimediate con una tavola di legno logorato. Si rizzò a sedere sul letto, sospirando e dicendosi che in quel momento fosse nel luogo in cui aveva bisogno di essere. 

Erano le 9 di mattino, e la fredda notte aveva lasciato il posto a una mattina di fuoco. L’escursione termica dal passaggio al giorno alla notte lì era pazzesca. 

Scese dal suo letto a castello e si tolse i pantaloni del pigiama, infilandosi poi un paio di jeans. Guardò la grande stanza piena di letti a castello, che però erano vuoti. Probabilmente tutti erano già andati a fare il loro lavoro. Osservò il soffitto di legno e vide la stessa tavola di legno più scura delle altre che qualche anno prima aveva fissato per un mese intero prima di addormentarsi. Infatti quella era la stessa grande camera che gli era stata assegnata l’ultima volta. Sorrise al ricordo.  

Si tolse la maglietta, rimanendo a petto nudo e guardò dentro la sua valigia per trovare una t-shirt che facesse al caso suo. Sentì dei passi dietro di lui, e d’istinto si girò. Si trovò davanti una giovane con una cartellina in mano che leggeva ciò che era scritto sopra di questa e camminava verso di lui. Poi lei alzò gli occhi. 

-Oddio scusami! – disse la ragazza girandosi di spalle. 

-Non preoccuparti! – rise lui. 

-Scusami, avrei dovuto bussare, ma sai, a volte me ne scordo! – tentò di giustificarsi lei, che avrebbe preferito sotterrarsi in quel momento piuttosto che intraprendere quel discorso con lui. Diventò rossa in viso, e si maledì mentalmente per quel suo vizio. 

-Figurati! Dai non preoccuparti! – disse e si infilò velocemente la maglietta che aveva scelto. Si avvicinò e lei e le pose la mano. 

-Sono Joe. – disse il moro sorridente. Lei afferrò la mano, e riuscì a sostenere il suo sguardo per non più di due secondi. 

-Claire. – rispose la ragazza. – Joseph Adam Jonas giusto? Cercavo proprio te. – così dicendo la voce si fece più ferma e quasi professionale. Guardò la sua cartellina e indicò la parte centrale del foglio. 

-Mi hanno nominato coordinatrice dei turni di lavoro della casa da costruire qui vicino, e risulta che hai chiesto di lavorare lì per volontariato giusto?  - chiese la ragazza. 

-Sì, giusto. – disse. – quando devo cominciare? 

-I lavori cominciano dalla mattina alle 9 fino a mezzogiorno, poi dalle 3 di pomeriggio fino alle 6 di sera. La domenica non si fa niente, e ovviamente è volontariato, quindi puoi smettere quando vuoi basta che tu me lo dica. – affermò la ragazza – la stessa cosa succede con le assenze. È tutto. Puoi cominciare oggi stesso, o domani va bene ugualmente. Chiaro?

-Chiaro. Tu dove lavori? – chiese così velocemente da non farle neanche se quella domanda fosse davvero per lei.

-Io?  - alzò un sopracciglio.  

-Sì, tu. – rispose. 

-All’infermeria, al centro ricreativo, e, come puoi vedere, allo studio. – disse alzando la cartellina per dimostrare appunto che lavorasse anche allo studio. 

-Bene, allora ti verrò a trovare al centro ricreativo. – rispose lui. 

-Perché? – chiese la ragazza come infastidita. 

-La scorsa volta lavoravo lì, e mi mancherà. – affermò il ragazzo passandosi una mano sui capelli ricci e scomposti. 

-Ah, ok. Ora devo andare, quindi alla prossima. – disse la ragazza. 

-Alla prossima. – sorrise lui. 

Claire accennò un sorriso, dicendosi che quella conversazione era stata strana e che ancora non sapeva come considerare quel ragazzo, poi se ne andò. 

Joseph rimase con gli occhi fissi su quella ragazza che se ne andava e si chiese perché avesse avuto quello strano atteggiamento: sembrava scettica nei suoi confronti. Sembrava particolare, e si disse che la sarebbe andata a trovare più presto di quanto lei avesse mai potuto pensare. 

Claire si girò, come se sentisse di essere osservata dal ragazzo, e questo, distolse forse fin troppo repentinamente le sguardo, dicendosi poi che in quasi 25 anni di vita non sapeva ancora far finta di non fissare una ragazza; perché lei lo aveva beccato, in pieno. 

 

*

 

Perché l’aveva fissata per tutto il tempo che lei aveva impiegato per uscire da quella stanza? Perché era a giocare a basket con i bambini lì fuori? E perché continuava a fissarla? 

Già lei aveva fatto una delle sue più grandi figure di merda, vedendolo mezzo nudo perché ovviamente il suo vizio di non bussare non lo riusciva a toglierselo; in più poco riusciva a sopportarlo, non per qualcosa, ma perché sapeva come andavano a finire quelle cose di attori e cantanti che venivano lì solo per farsi foto. E quelle storie le odiava profondamente. In più ora, aveva ripreso e fissarla e l’aveva appena salutata. Si maledì per aver accettato di gestire i turni della costruzione della casa, e soprattutto di aver accettato di andarlo a chiamare nella zona notte. Falala, la segretaria del dr. Smith, gliel’avrebbe pagata cara. Il suo sorrisone enorme e quegli occhi grandi, con l’aggiunta di una battuta sulla bellezza del suddetto ragazzo, non l’ avrebbero convinta di nuovo così facilmente come avevano fatto quella mattina. Assolutamente no. 

Aveva trascorso la mattina all’infermeria, e tutto era andato benissimo, così il pomeriggio lo poteva tranquillamente trascorrere con Ike, che, a eccezione del suo nome, non aveva detto più una parola. 

-Piccolino, che ne dici di fare un disegno? – propose la ragazza, quella era l’unica tecnica psicologica che ricordava da cui poter ricavare qualcosa su di Ike. – Bene, vado a prendere i colori e un foglio di là, aspettami qui! 

Andò nell’altra stanza, e Falala le si avvicinò.

-Il cantante non ha staccato gli occhi da te per più di dieci secondi. – la sussurrò la donna all’orecchio. 

-Probabilmente perché l’ho visto mezzo nudo perché mi sono dimenticata di bussare. – disse rimanendo seria la ragazza, mentre sopprimeva un sorriso. 

Falala scoppiò in una fragorosa risata. 

-Non la passerai liscia per avermi convinto a farlo! – la avvertì sorridendo Claire prendendo in mano i colori e qualche foglio per poi tornare da Ike. 

Tornata all’altra stanza, vide che Ike non c’era più, perse un battito cardiaco, e il cuore accelerò. Fortunatamente, sospirò poco dopo vedendolo lì fuori. Il problema era che fosse con Joe. 

Claire uscì li fuori, ma non volle interromperli, e si mise a guardarli da lontano. 

-Ometto, come ti chiami? – disse il ragazzo che si era seduto a gambe incrociate a terra, mentre il bimbo era in piedi davanti a lui. 

-Ike. – rispose. 

-Ike è davvero un bel nome, sai? – disse il ragazzo. – Io sono Joe. E sai chi sono? … sai che faccio?

Il bambino scosse al testa. 

-Come non sai chi sono? – disse il moro, fingendo di essere sconvolto. 

Claire tirò un sospiro, e abbozzò un sorriso amaro dicendosi che Joe era quello che aveva pensato che fosse.

-Mi meraviglio di te! Come fai a vivere senza sapere dell’esistenza del mago Joe?  - disse il ragazzo. Claire trasformò il su sorriso amaro in uno dolce.

Ike fece una faccia sorpresa, ma anche un po’ diffidente. 

-Non ci credi? Beh se non ci credi, spiegami come ci sono finite delle monetine nel tuo orecchio! – disse mostrando al bambino una monetina che aveva appena tirato fuoei dall’orecchio del piccolo. 

Ike rise, di gusto; e con lui Joseph. Era una meraviglia quella visione. Era bellezza allo stato puro. Era magia, nel vero senso della parola. Quella risata era forza, forza di rialzarsi, forza di un futuro migliore, forza per una speranza. Quanto ci più essere in una risata? In quel momento, per Claire, e anche per Joseph quella risata era tutto ciò che c’era di bello al mondo. 

-Grazie – disse Claire ora sorridente al ragazzo, avvicinandosi. 

-Di nulla, anzi scusa, avrei dovuto dirtelo che era con me – rispose il ragazzo alzandosi da terra, e pulendosi le mani sulla stoffa dei jeans. 

-Non devi scusarti, sul serio.– disse la ragazza davvero riconoscente. – Ike non parla molto, e tu sei riuscito a farlo ridere, quindi ti devo tanto, davvero! 

-È stato un piacere, beh, se servo io per far parlare Ike – disse poggiando  una mano sulla testolina del bambino – significa che vi farà visita spesso allora. 

-Sei il benvenuto. – gli sorrise lei, ricambiata allo stesso modo. 

Forse, soltanto forse, Joseph non era ciò che Claire aveva pensato che fosse quando lo aveva visto scendere da quel pullmino.






Buonasera a tutte!
Bene, la fan fiction sta prendendo forma, eh? Che ne pensate? :)
Avete visto il tatuaggio di Joe? Sì, significa "Help me and let me help you" come il titolo di questa fan fiction! Quando l'ho visto l'ho riconosciuto subito, e mi ha amozionato tanto questa cosa. Se prima tenevo a questa fan fiction, ora ci tengo ancora di più. Spero di riuscire a scriverla al meglio, ora che ho un'idea generale della storia!
Grazie mille per tutte le recensioni davvero, 
un bacione, 
Marta. 
 

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Capitolo 5
*** Chapter 5: Memories ***



 

Chapter 5

 

Memories 

 

 

Era lì, anche quel pomeriggio. Claire si chiese perché avessero scelto di mettere tutte finestre in quell’area ricreativa, perché non riusciva a guardarlo di nascosto senza che lui le rivolgesse un sorriso. Odiava quella sensazione, odiava il suo bisogno di alzare gli occhi e posare il suo sguardo sul corpo di quel ragazzo. Odiava vederlo sorridere nonostante lei gli avesse mostrato che tra loro non sarebbe mai potuto nascere nulla, né amicizia né qualunque altro tipo di rapporto. Odiava vederlo sorridere alla vita, perché lei ancora non riusciva a farlo. 

Non riuscì a trattenersi per l’ennesima volta e alzò lo sguardo, e Joseph la vide, di nuovo, e le fece l’occhiolino. 

Maledetta voglia di alzare lo sguardo, maledetto il suo sorriso, maledetti i suoi occhi e le sue buone maniere. Maledetto tutto. 

Asad passò la palla a Joseph che crossò e fece fare goal a Kito. Esultarono, proprio come veri giocatori di calcio: Kito alzò le braccia al cielo mentre correva, e Asad corse ad abbracciarlo, poi vennero raggiunti da Joe che diede il cinque a entrambi i ragazzini, disse qualcosa e scoppiarono tutti a ridere. Uno sport, come il calcio, riusciva a unire realtà diverse, esperienze diverse, età diverse per formare un’unica squadra. Perché quello era un gioco, era un divertimento, lì ognuno veniva accettato com’era, lì ognuno poteva sbagliare, ma la sua squadra era pronta ad aiutarlo, sempre. Lì tutti erano compagni, erano amici. Lì tutti si volevano bene. Lì, in quel preciso istante, ognuno poteva dimenticare i propri problemi, le proprie origini, i genitori mai conosciuti, la giornate passate al freddo, i gironi trascorsi senza mangiare, e ognuno poteva essere se stesso. 

Un calcio ad un pallone poteva essere una cosa tanto banale che piena di significato. Era fonte di felicità, e soltanto questo la rendeva speciale. 

I ragazzi si fermarono concedendosi qualche minuto prima dell’inizio del secondo tempo. 

Claire entrò in panico, vedendo Joseph dirigendosi verso il centro ricreativo. Non voleva rivederlo, non voleva. 

Non fece in tempo ad alzarsi dalla sedia accanto a Ike che Joe era già entrato e aveva già pronunciato il suo nome. 

-Claire! – sorrise il ragazzo. 

-Vieni – disse lei sospirando e invitandolo ad entrare. Lui fece come gli aveva detto. – hai già finito alla casa?

-Sì, ho iniziato alle 2 invece che alle 3, e quindi ho finito un ora prima per venire qui. – sorrise lui.

Claire, la cinica, non riuscì nel suo intento di trovare qualche difetto in quel ragazzo neanche quella volta. In quel gioco stava vincendo Joe, ed anche di tanto. 

-Vincete? – chiese la ragazza. 

-Sì, Kito ha fatto un bel goal, con un mio bellissimo assist! Sono migliorato a calcio! – disse il giovane. 

Forse un po’ troppa autostima, quello poteva essere un suo difetto, o almeno è quello che stava pensando Claire nella disperata ricerca di un difetto in quel ragazzo. 

-Asad aveva ragione: se sei migliorato allora devi essere stato davvero un disastro a calcio! – accennò un sorriso lei. 

-Ehi! – le diede un colpo amichevole alla spalla. – Non sono il migliore negli sport, ok? Quello è il settore di Nick. – disse Joseph sedendosi a terra, con le gambe incrociate. 

-Chi è Nick? – chiese Claire. 

-Mio fratello minore. È bravissimo in qualunque tipo di sport. – rispose il ragazzo. 

-E qual è il tuo settore allora? – disse la ragazza guardandolo, e notando che quel raggio di sole che passava attraverso la finestra e colpiva gli iridi del ragazzo, glieli faceva diventare di uno strano colore. Sembravano color ambra, quasi dorati, con una strana sfumatura verde. 

-Il mio settore sono le ragazze – disse senza pensarci troppo, per poi ridere. 

-Ah bene – anche Claire accennò una risata. 

Prevedibile, Claire. Fin troppo prevedibile. Uno sciupa femmine, un Don Giovanni, uno stallone. Cosa ti aspettavi, Claire? Cosa?  

-E anche i bambini. – aggiunse lui, e sorrise. – a proposito … Ike! – esclamò abbracciando il bimbo da dietro la schiena, Ike sorrise – che stai disegnando?

Il bambino continuava a disegnare attento ad ogni dettaglio. 

-Chi è questo? – disse Joe indicando una figura con lunghi capelli neri raccolti in una treccia.

-Mamma – rispose il bimbo, prendendo il colore azzurro per cominciare a colorare il cielo. 

A quella rivelazione, anche Claire si interessò, e si mise a fianco del bambino. 

-E questo sei tu, piccolo? – disse la ragazza indicando una figura più piccola nel foglio che dava la mano all’altra. Ike scosse la testa in senso di dissenso. 

-Allora chi è? – chiese Joe, mentre osservava attentamente quello che il piccolo stava facendo. 

-Nubia – rispose lui. Joe e Claire si guardarono preoccupati, pieni di domande, e senza risposte.

 -Ike, chi è Nubia? – chiese Joseph mentre accarezzava piano la schiena al piccolo. 

-Sorella. Nubia è sorella – rispose il piccolo, abbozzando un sorriso.

Ike aveva una sorella, che si chiamava Nubia. Avevano qualcosa, ma nel disegno c’era di più. 

-Chi sono questi? – chiese interessata Claire indicando delle figure scure nella parte destra del foglio, che avevano strani oggetti in mano. 

-Cattivi. – disse il bambino mentre la sua voce si andava intristendo. – Cattivi portano via mamma e Nubia.  – Ike trattenne le lacrime, così come ogni bambino forte fa, pur avendo gli occhi lucidi.

Claire indietreggiò e si portò alla bocca una mano, cercando di non piangere. Era sconvolta, non credeva di poter arrivare a tanto con un semplice disegno. Quelle figure erano uomini, e quegli strani oggetti erano armi. Uomini con armi che portano via donne e bambine. Tutto questo non portava mai a nulla di buono, mai a niente di bello. Poi, pensò a se stessa, e le lacrime cominciarono a scorrere senza il suo permesso.

Joseph carezzò la testolina del bambino e gli sorrise. 

-Tua madre e Nubia staranno sicuramente benissimo Ike. Ne sono sicuro – disse. Quelle erano promesse che non poteva mantenere ma che si sforzò di fare. – continua così piccolo, continua a disegnare, che sei bravissimo. 

Joe baciò dolcemente al testolina di Ike, poi  si girò verso Claire e le sorrise. 

-Va tutto bene? – chiese il ragazzo sfiorandole un braccio che lei retrasse subito. Lei annuì, e senza dire nulla si alzò e si diresse fuori dall’edificio, passando dalla porta secondaria. 

Joe rimase scosso da quella situazione, non si immaginava una reazione del genere. 

-Falala, stai attenta tu a Ike, ok? – disse Joe alla donna, questa annuì – e dì a Asad che ho attimo da fare, torno subito.

-Certo – disse la donna, e vide Joseph correre nella direzione in cui era andata Claire. 

Joe aprì la porta di servizio, e la vide poggiata a una colonna. Singhiozzava, piangeva, si stringeva nelle spalle. Aveva gli occhi chiusi e non tentava neanche si asciugarsi le lacrime. 

-Ehi – disse Joseph toccandole una spalla. Claire sobbalzò. Si passò una mano sugli occhi, e scosse la testa. 

-Torna a giocare a calcio, ti prego. – disse cercando di non far tremare la voce.

-Io non me ne vado fino a quando non mi dici cos’hai. – rispose il ragazzo avvicinandosi a lei. 

Claire si maledì per aver perso il controllo, per non aver trattenuto le sue emozioni, per non aver trattenuto le lacrime. Perché continuava a piangere senza che lo volesse davvero, perché si ordinava di non farlo, ma continuava a farlo. Lei non era quella che piangeva. Lei era forte. Lei era determinata, ma quel disegno l’aveva presa alla sprovvista. 

-Allora rimarrai sempre qui. – rispose la ragazza. 

-Ho tutto il tempo, anche una vita intera. – sorrise il giovane. Si faceva odiare per il suo essere così gentile.

-Sei testardo, eh? – disse la ragazza, e Joe alzò le spalle. - Sono solo ricordi, che non ho voglia di raccontarti. – si limitò a dire la ragazza. 

-Sappi che se vuoi parlare io sono qui, ok? – disse il ragazzo - Vuoi compagnia o vuoi che ti lasci un po’ sola? Perché, come ti ho detto, ho tutto i tempo, alla partita mi avranno già sostituito, lo hai visto che non sono esattamente un campione. – disse facendo una faccia strana – non capiscono il mio talento calcistico!

-Sei un talento incompreso, Joseph. – disse la ragazza 

-Eh, lo so. – rispose lui – che vuoi fare? Succede!

-Comunque sì, voglio restare un po’ da sola se non ti dispiace. – disse la ragazza

-Basta che tu mi assicuri che vada tutto bene. –affermò il ragazzo. 

-Sì, va tutto bene – abbassò lo sguardo la ragazza.

-Guardami negli occhi e ripetilo. – ordinò il ragazzo. 

-Cosa? – disse la ragazza credendo di aver capito male.

-Guardami negli occhi e dimmi che va tutto bene. – ripeté. 

-Va tutto bene. – disse la ragazza guardando in quegli iridi castani e perdendoci dentro per un po’. – grazie per esserti preoccupato, Joe. 

-Non devi ringraziarmi. – il ragazzo scosse la testa, e la lasciò lì, da sola, come aveva desiderato lei, con l’immagine del suo stesso sorriso stampata nella mente della ragazza. 











Buongiorno a tutti! 
Sì, lo so, tra un aggiornamento e l'altro passa un po' di tempo, ma non ho il tempo materiale per scrivere ç.ç
Ma questa fan fiction non l'abbandono, è una promessa. Non abbandono questa ff, come non ho abbandonato nessuna mia ff!
Un grazie enorme a chi legge e recensisce, davvero, siete fantastiche!
Un bacione, a presto, 
Marta <3

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Capitolo 6
*** Chapter 4: Surprising ***



 

Chapter 4

 

Surprising 

 

 

La vide sedersi al tavolo, con il vassoio della sua cena in mano. Claire si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e prese la cucchiaio di plastica in mano, sospirò e iniziò a mangiare. 

Joseph superò qualcuno in fila, e si catapultò, forse fin troppo velocemente accanto alla ragazza. 

-Ehi! – la salutò, e lei rendendosi soltanto in quel momento conto di avercelo accanto sobbalzò piano. 

-Ciao. – disse abbassando poi la testa. Lui sorrise, mentre Claire si chiedeva perché fosse così insistente con lei. 

-Come va? – chiese il moro fissandola, mentre prendeva tra le mani la cucchiaio di plastica. 

-Tutto bene. – rispose, senza porgergli nessuna domanda come per fargli capire di non volere continuare quella conversazione. 

-Anche io, adoro stare qui. I lavori alla casa sono faticosi, ma è quello di cui avevo bisogno. – rispose entusiasta in un modo incredibile. Lei sorrise. – Da dove vieni, Claire? 

-New York, ma l’università è a Los Anglese e probabilmente andrò a vivere lì. – rispose lei, concentrata sul cibo, come se quella fosse la cosa più interessante del mondo. Come del riso poteva essere sembrare così interessante da guardare quando si voleva evitare una conversazione era incredibile. 

-Lo stesso, anche io vivo a LA, ma sono originario del New Jersey. – disse lui. – cosa studi? 

Perché? Perché continuava a parlarle? 

-Medicina, ma in realtà ho finito, manca solo il tirocinio. – rispose lei. 

-E come mai non sei a fare tirocinio, ma sei qui? – chiese ancora, mentre Claire sospirava. 

-Sei curioso, eh? – sospirò lei, mentre Joseph alzava le spalle con un mezzo sorriso in viso - Sostituisco i due anni di tirocinio in due mesi di tirocinio qui. Il dottor Smith ha organizzato questa iniziativa, e io visto che volevo andare in Africa da sempre ho partecipato sperando che mi prendessero, e mi hanno scelto. Fine della storia. – rispose lei abbozzando un sorriso – tu invece? 

“Per le foto, non è vero?” avrebbe voluto aggiungere, ma si trattenne.

-Per il volontariato, ne avevo bisogno. – rispose il moro. Ahi, colpo basso per Claire e le sue aspettative. Sorprendente. Ora sembrava lei l’approfittatrice della situazione, e non la pop star di successo Joe Jonas. 

-Capisco. – rispose lei, abbassando la testa. 

-Hai fratelli, sorelle? – chiese il moro alla ragazza. 

-Una sorella più grande di me. – rispose. Quello era un interrogatorio, e Claire si era appena irrigidita. 

-Joe! – gridò un bambino che avrà avuto una dozzina d’anni, e si stava avvicinando al cantante. 

-Ehi! Asad! Quanto tempo! – disse il giovane abbracciando il ragazzino, che ricambiò subito l’abbraccio. 

-Ti ricordi! – disse Asad. 

-Certo che mi ricordo di te! – rispose Joseph poggiando un braccio intorno alle spalle del ragazzino. – riesci ancora a battermi a calcio? Io mi sono allenato in questi anni! 

-Di sicuro! – disse il ragazzino ridendo. – eri una schiappa!

-Ah sì? Tu credi? – disse facendogli solletico, facendo scoppiare Asad a ridere. – domani, alle 5 voglio fare una partita con voi, va bene? Così mi insegno qualcosa, visto che sono una schiappa! 

-Va bene! Domani, alle 5,  no ritardo. – rispose il bambino. 

-Certo! Ora vai, ci vediamo domani! – disse carezzandogli la testa mente Asad tornava dai suoi amici. 

Claire sorrise, e si disse che Joseph ci sapesse fare più di lei con i bambini. 

-Vuoi venire alla partita domani? – chiese il giovane. 

-Sarò al centro ricreativo. – rispose. 

-Allora all’intervallo ti vengo a trovare. – disse lui – Ike ha più parlato?

-No – Claire scosse la testa

-Non si sa cosa gli è successo vero? – chiese il ragazzo. 

-No, l’anno ritrovato qui vicino solo e senza vestiti, e la sua prima parola l’ha detta con me, ed era il suo nome. – rispose al domanda. 

-Forse gli può essere accaduto qualcosa con la sua famiglia, i suoi fratelli, non lo so, e in realtà non so neanche come suggerire di scoprirlo. – disse la ragazza. 

-Vedremo se ce lo racconterà lui, una volta ch avrà ricominciato a parlare. – rispose Claire. 

-Speriamo – sospirò il ragazzo.

La musica cominciò a farsi sentire nella stanza, alcuni uomini cominciarono a suonare strani strumenti somiglianti a dei tamburi e delle ragazze cominciarono a ballare. Quella era la loro musica, e loro la avevano nel sangue. Erano bravi, bravissimi. Sembrava davvero che quella musica fosse parte di loro per la loro bravura. 

Joe sorrise e, senza accorgersene lo fece anche Claire. 

Il ragazzo poi si girò a guardare al ragazza che sorrideva e ondeggiava tentando di non farsi vedere, a ritmo di quella musica, poi questa abbassò la testa e rialzando lo sguardo incrociò lo sguardo con quello di Joe.

-Che rapporto hai con i tuoi? – chiese lui subito. 

-Ma perché mi stai facendo questo interrogatorio? – disse con un pizzico di acidità – non ti sembra di essere un po’ troppo invadente?

Da quella reazione, Joseph capì di aver appena toccato un tasto dolente. 

-In realtà, no. Però mi dispiace se ti ho offeso in qualche modo. – disse dispiaciuto. 

-Non si tratta di offendermi, ma di fare domande forse un po’ troppo personali per essere uno sconosciuto. – rispose. 

-Sto cercando di non essere uno sconosciuto per te, se tu non te sei accorta. – disse lui – ma scusa se sto cercando di essere amichevole. E no, non lo sto facendo per qualche motivo in particolare, ma perché sono fatto così. 

Calò il silenzio per un po’, il tempo che Claire impiegò a raccogliere un pensiero sensato con cui giustificare al sua reazione. 

-Scusa – disse lei. – non dovevo risponderti così. 

-Scuse accettate. – rispose lui – dobbiamo andare d’accordo, se devo aiutarti con Ike, non credi? 

-Sì, hai ragione. – ammise lei. 

Joseph si girò a guardare le ragazze e i bambini che ballavano su quella musica così ritmata, e si ritrovò a ridere di nuovo. Pensò che quella fosse una delle cose più belle a cui avesse mai assistito. 

Erano felici, non avevano nulla, eppure, erano felici. 

Pensò di proporre a Claire di andare a ballare, così magari si sarebbe rilassata un po’, così guardò verso di lei, ma non c’era più. Non era più vicino a lui. Si alzò, si guardò intorno e la vide mentre di spalle usciva dalla mensa. 

Si mise a sedere e si disse che lei avesse un problema con la sua famiglia, e che lui avrebbe fatto il possibile per aiutarla. Non sapeva che ci fosse così tanto dietro quella domanda che alla fine non era nulla di male, eppure c’era più di quando Joseph avesse mai immaginato. 











Buonasera, 
Sì, sono sempre qui a rompervi le scatole, nonostante il fatto che domani ho il compito di italiano, venerdì quello di inglese e oggi ho fatto quello di fisica. La scuola non mi ferma (?) Soprattutto se si tratta di questa fan fiction. Come vi ho detto e ripetuto, ci tengo, forse anche troppo. 
Quale sarà la storia di Claire? u.u Chissà, chissà ...
Comunque, vi ringrazio infinitamente per le recensioni, per chi ha messo la storia nelle preferite/seguite, o per chi legge semplicemente. Siete tutte fondamentali per me, davvero. E, se mi volete far sapere cosa ne pensate di questa storia potete lasciare un commento, positivo o negativo che sia. Sarebbe davvero importante per me! 
Ah, un'altra cosa! Sono contattabile 24 ore su 24 su twitter, quindi per qualunque cosa sono lì, ore che qui su efp
Ora, dopo avervi rotto le scatole abbastanza mi dileguo!
Grazie ancora, 
Un bacione <3

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Capitolo 7
*** Chapter 6: Thank you ***




Chapter 6

 

Thank you

 

 

Claire prese la cartella clinica intestata a Aina, e si rivolse alla madre della piccola. 

-Aina sta bene, il mal di gola le è passato e la tosse anche. Ha solo un po’ di raffreddore. In un paio di giorni stara benissimo. -  disse al ragazza sorridendo alla bambina, poi alla mamma. 

-Grazie Claire! – disse la donna, per poi rivolgersi alla figlia – Aina ringrazia! 

-Grazie Claire! – disse la bimba allargando le braccia per abbracciare la giovane e poi darle un bacino sulla guancia. La ragazza sorrise, dicendosi che quello era davvero il lavoro più bello del mondo. 

-Di nulla, tornate ogni volta che ne avete bisogno! Aina ci vediamo oggi pomeriggio! – disse la ragazza alla bambina che sorrise e annuì andando via mano nella mano con la madre. 

Claire sospirò, dicendosi che soltanto quel sorriso e quel bacino le avevano migliorato al giornata. Si poggiò alla colonna sorridendo tra sé e sé, pensando a quanta gioia avesse rinunciato fino a quel momento. In fondo lei, non faceva nulla. Ma quel nulla, per quelle persone, era tutto. 

Aprì la porta dell’ambulatorio, per vedere chi fosse seduto alla sala d’aspetto. Contro le sue aspettative la trovò vuota. Si stupì, e si chiese perché non ci fosse nessuno. Era sicura di avere tutta la mattinata piena di visite. Andò alla reception e vide Falala che cercava di guardare al di fuori della finestra, restando seduta al suo posto. 

-Falala? – disse la ragazza distraendola da quel che stava fissando. 

-Sì? – chiese la donna. 

-Perché non c’è nessuno in sala d’aspetto? – domandò al ragazza, che poi si guardò intorno – anzi, perché non c’è nessuno in generale? E … che stavi guardando?

Infatti neanche nella sala d’aspetto del dottor Smith non c’era nessuno, e Falala continuava a guardare fuori dalla finestra. 

-Sono tutti a guardare il bel cantante. – disse la donna. 

Claire si affacciò dalla finestra, e lo vide. Aveva al collo una chitarra, e davanti a sé un microfono sopra ad una’ asta. Tutti i bambini dello stabilimento erano davanti a lui, tutto lo staff dell’orfanotrofio lo stava guardando, e il resto di Maun si stava avvicinando a quel ragazzo che stata aspettando che collegassero il microfono agli amplificatori. 

Claire rimase a guardarlo, a pensare, e a chiedersi milioni di cose, tutte in una volta. 

-Vai a guardarlo. Tanto qui ora non viene nessuno. – gli suggerì Falala sorridendole.

-Ma non mi interessa, in realtà. – tentò di dire. La donna scoppiò a ridere. 

-Non scherzare e vai a vedere! – disse Falala,cominciando a scrivere qualcosa su una cartella medica .

Claire sospirò e uscì, con ancora il camice bianco addosso e lo stetoscopio al collo. Si fermò poggiandosi a una colonna della struttura, aspettando che cominciasse a fare qualcosa. 

Uno dei ragazzi dello staff alzò il dito pollice verso Joseph che rispose con un sorriso. 

-Bene ragazzi, ci siamo – disse il ragazzo guardando i bambini. – volevo dirvi due parole prima di cominciare a cantare. Per prima cosa, non sono così bravo con la chitarra, quindi potrei sbagliare – lui rise, insieme ai ragazzini. – anzi potrei sbagliare proprio tutto perché sono emozionato. 

E si vedeva che lo era. Non stava un attimo fermo: si dondolava sulle gambe, muoveva le braccia in modo strano e continuava a mordersi il labbro inferiore come se stesse sul punto di morte. Claire sorrise a vederlo così. 

-Sono emozionato perché volevo rivivere questo momento da quattro anni ormai, e ora che ci siamo credo di non essere all’altezza. So che sono arrivato da un po’ ormai, ma non ho avuto l’occasione di parlarvi così come sto facendo ora. Giuro di essermi preparato un discorso, ma ora non ne ricordo mezza parola. – disse il moro facendo sorridere tutto – e credetemi se vi dico che sono abituato a un pubblico molto più numeroso di questo. Ma ora, è più difficile, perché questo pubblico è stato ed è importantissimo per me. Sapete perché? Perché voi, ognuno di voi, mi ha fatto capire il significato della vita. – la voce del ragazzo cominciava sempre più a tremare. – perché mi avete fatto capire cosa c’è davvero di importante in questa vita. Mi avete fatto capire che una famiglia è la cosa più bella del mondo, e che un sorriso può rialzare un mondo intero. Il viaggio che ho fatto qui quattro anni fa mi ha cambiato la vita; e per prima cosa quindi, voglio dire un grazie speciale a tutti. – fece una pausa, per organizzare le idee, e evitare di far diventare i suoi occhi più lucidi di quanto già lo erano. 

-Qui ho trovato degli amici, dei compagni, delle madri, dei fratelli, ed anche dei figli, persone che non dimenticherò mai, mai. Vi faccio una promessa ragazzi, una promessa che manterrò, sia l’ultima cosa che faccia, io ci sarò, io tornerò, ogni volta che mi sarà possibile. Io voglio dare a voi, almeno una parte di quanto voi avete dato a me. Perché voi avete tanto da dare, tanto da offrire, voi avete talento, talento che deve essere sfruttato. Prometto di fare tutto il possibile per far sì che il vostro talento sia sfruttato completamente. Voglio cambiare la cose, e ci riuscirò soltanto con l’aiuto di tutti voi. – disse il ragazzo ancora emozionato – e come quattro anni fa, sono qui a cantarvi “I gotta find you” e a ringraziarvi per tutto. 

Così iniziò a cantare, con soltanto l’aiuto del suo strumento, con voce impaurita e tremante all’inizio che si più decisa ogni parola che pronunciata.  Con il ragazzo, anche tutti gli altri cominciarono a cantare con lui.

Claire si sorprese di ritrovarsi con gli occhi lucidi. Quel discorso era stato fatto con il cuore, un cuore fin troppo perfetto e dolce per essere un semplice cuore. 

Quelle parole le pensava davvero, lo si poteva capire dagli occhi lucidi e dalla sua voce smorzata, dal suo discorso con troppe pause, e dal continuo mordersi il labbro inferiore. 

Claire si era sbagliata su quel ragazzo, e ora ne era sicura. Non era venuto lì per le foto, non era lì per mostrare il suo lato falso. Era lì perché lo voleva, perché ne aveva bisogno, perché doveva ringraziare tutti, perché credeva che e ognuno era disposto ad aiutare allora davvero il mondo sarebbe potuto cambiare. 

Claire lo guardò ancora, lo fissò e vide che sull’avambraccio destro aveva qualcosa. Mise a fuoco meglio la sua vista e vide che quel qualcosa era un tatuaggio, uno strano simbolo che non sapeva cosa significasse, ma che la incuriosì. Si ripromesse di chiedergli la storia che si celasse dietro quel disegno. 

La ragazza si decise a staccarsi da quella colonna e a camminare verso il cortile che ospitava tutti i bambini che erano intrattenuti da Joseph. 

Si sistemò lì, a pochi metri da Joe, tra il pubblico. Quando questo finì di suonare, sorrise, di nuovo, e fece un’ultima promessa. 

-Prima della fine del mese prometto di cantarvi una nuova canzone, inoltre posso insegnare a suonare la chitarra a chiunque voglia, basta venire da me di pomeriggio, dopo le cinque, al centro ricreativo. Sarò lì per qualsiasi cosa. Grazie ancora per tutto. Ciao a tutti! – così dicendo salutò  con un cenno della mano e un sorriso.

Sospirò e si tolse la chitarra che aveva a tracolla, e mentre guardava a terra continuava a camminare. Solo quando alzò lo sguardo si rese conto di essere a una manciata di centimetri da Claire. 

-Ciao – disse lei abbozzando un sorriso. 

-Ciao. – sorrise lui. 

-Complimenti per tutto, davvero – disse la ragazza porgendogli la mano. Fredda e distaccata, era sempre quello il motto della ragazza. Joseph guardò la mano della giovane, la afferrò, e senza pensarci ancora abbracciò Claire. 

-Grazie – si sentì sussurrare all’orecchio – tu come stai?

Si staccò da lei, sorridendole. 

-Bene. – annuì la ragazza. 

-Bene, sicuro? – chiese conferma il moro. 

-Sicuro. – sorrise lei. 

Quel Joseph l’aveva sorpresa, quel ragazzo l’aveva sfidata, quel giovane uomo non si era arreso al suo continuo voler nascondere le proprie emozioni. Joe si era preoccupato per lei pur non essendo obbligato a farlo, lui l’aveva abbracciata pur sapendo in realtà che lei non lo voleva. 

Lui voleva conoscerla, anche se lei non voleva farsi conoscere. 

Lui voleva aiutarla anche lei non voleva essere aiutata. 

Quel cantante, in ogni modo, era l’unico che era mai riuscito a tenerle testa in quel modo.








Buonasera!
Sì, lo so, il capitolo è corto e insignificante ç.ç
Ma in compenso ho fatto il banner, che sì, so che è delle dimensioni sbagliate, e sì so che è abbastanza orribile, ma che volete fare? mi ci sono voluta cimentare AHAHAHA
Bene, mi fate sapere che ne pensate? *w*
Un grazie enorme a chi segue questa storia, davvero, grazie infinite!
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 8
*** Chapter 7: Tattoo ***



Chapter 7


Tattoo


 

 

Era già sera quando Joseph entrò nel centro ricreativo apparentemente deserto. Non c’era nessuno o almeno sembrava non esserci nessuno. Avanzava lentamente su quel pavimento di legno, circondato da tanti scatoloni pieni di giochi, tavolini e sedie. Lì era tutto colorato, quello era un vero posto per bambini. 

Si disse che i suoi soldi e quelli dei suoi fratelli non sarebbero potuti andare a posto migliore di quello. 

Quelle sale erano state occupate fino a poche ore prima da tanti, tantissimi bambini, e Joe giurò di poterne ancora sentire il suono delle loro voci e la melodia delle loro risate. Increspò le labbra e chiuse gli occhi per sentire meglio il suono dei suoi ricordi. Poi sospirò, e sorrise tra se e sé, dirigendosi verso lo studio. 

Bussò alla porta, e una voce femminile indaffarata e noncurante rispose. 

-Avanti! – disse. 

-Ehi! – sorrise il ragazzo. Claire perse un battito. – posso entrare?

-Sì certo vieni – disse la ragazza, facendo riprendere al suo cuore il suo normale corso. – mi dovevi dire qualcosa?

-In realtà sì. – rispose il ragazzo e per un attimo Claire pensò qualcosa che la spaventò – Mi chiedevo se potevo spostare il mio turno di lavoro alla casa dalle 2 alle 5, e introdurre un paio d’ore qui al centro ricreativo dalle 5 alle 7. Si può fare?- chiese il ragazzo. 

La giovane tirò un sospiro di sollievo e annuì. 

-Certo che si può fare, aspetta – disse la ragazza – lasciarmi cercare al tua cartella. 

Claire si alzò, e aprì uno sportello di un mobile poco distante dalla scrivania e poco dopo estrasse da esso una cartella con su scritto un nome “ Joseph Jonas”. 

La aprì, scrisse un paio di orari e barrò qualche opzione, infine la porse al ragazzo che non aveva fatto altro che fissarla per tutto il tempo. 

-Firma qui, e qui, e stiamo apposto – disse Claire indicando due parti distinte del foglio. Joseph prese la penna e fece quello che gli era stato detto. Infine, Claire rimise tutto apposto. 

-Perfetto, fatto. – sorrise la ragazza. 

-Grazie mille, davvero – rispose. Contrariamente alle aspettative di Claire, Joseph dopo quelle parole non si alzò, né accennò a volersene andare. 

Ormai non aveva più scampo, le avrebbe posto qualche domanda, e lei avrebbe dovuto rispondergli. Ora le cose da fare potevano essere soltanto due: o aspettare che le fosse fatta una domanda, oppure chiedere qualcosa lei a lui. 

-Joe, che … che cos’è questo? – chiese la ragazza indicando il tatuaggio che Joseph mostrava sull’avambraccio destro. 

-Ti va se ci sediamo fuori e te lo racconto? – disse il ragazzo. Ci provò, ma Claire non riuscì a dire di no a quegli occhi fin troppo belli. 

-Va bene. – rispose Claire che sistemò gli ultimi documenti, spense la luce, chiuse a chiave la porta e uscì dalla struttura. 

-Qui va bene? – disse il moro indicando una panchina e stringendosi nella sua felpa. Era sera, dopo cena,  e l’escursione termica si faceva sentire. 

-Certo – disse la ragazza sedendosi, e così fece anche Joe. 

-Allora, il tatuaggio significa “BOA ME NA ME MMOA WO” – disse Joe, e Claire lo guardò per poi scoppiare a ridere, e con lei anche Joseph. 

-No sul serio, quello che ho detto prima, ha un significato, che sarebbe “Help me and let me help you”. – disse il moro improvvisamente serio. 

-Aiutami e lascia che io ti aiuti? – chiese al ragazza, come per chiederne conferma. – e a cosa si riferisce, precisamente?

-A questo, a tutto questo. – rispose Joe allargando le braccia – loro mia hanno aiutato, Maun mi ha aiutato, l’Africa intera mi ha aiutato, e tu non sai quanto. Nello stesso tempo hanno lasciato che io li aiutassi, per quanto poco io abbia potuto fare per loro. – rispose il ragazzo – perché quello che faccio è nulla rispetto a quello che loro hanno fatto e fanno per me. Mi hanno fatto capire il senso della vita, cosa che non tutti riescono a comprendere. – sospirò e si fermò un attimo a parlare. C’era un silenzio surreale intorno a loro, si riusciva a sentile soltanto qualche lontano verso degli animali della savana, per il resto, nulla. Eppure quel silenzio, conteneva fin troppe parole. 

-Questo simbolo l’ho visto per la prima volta in una casa famiglia che ospitava madri affette da aids, e loro bambini. Lo fissavo da un po’, e mi aveva incuriosito, così lo indicai e chiesi che cosa fosse. Così mi dissero che era semplicemente il loro stile di vita, basato sulla collaborazione e l’interdipendenza. Cosa credi che sia alla base di tutto? Perché sono felici? Perché loro sono sempre felici pur non avendo nulla? Perché loro hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Loro hanno un sorriso, una mano pronta ad aiutarli, sempre. Loro si aiutano tra di loro, altrimenti non sopravvivrebbero. Se la loro società fosse come la nostra, individualista, per le condizioni in cui si trovano ora non starebbero più qui. E ognuno di noi, noi dei paesi avanzati, diciamo così, con niente possiamo garantire la vita a uno di loro.  Non scherzo, è davvero così. Se ognuno di noi si sforzasse di prendere il proprio cellulare e donare un dollaro per assicurare un anno d’acqua a un bambino africano, questo problema sarebbe risolto. – disse il ragazzo, che sembrava davvero essersi informato su quell’argomento, e sembrava davvero averlo a cuore.

Claire continua a fissarlo mentre si chiudeva nella maglia. Non se lo aspettava da un tipo come lui. Joseph continuava a sorprenderla. 

- Se ogni tanto tutti noi smettessimo di pensare a noi stessi per un attimo, soltanto per un attimo, e pensassimo un po’ agli altri, le cose sarebbero diverse. – affermò Joseph mentre cominciava a torturarsi il labbro inferiore – non dico di voler cambiare il modo tutto in una volta, perché è impossibile. Non si può sconfiggere la fame del mondo da un giorno all’altro, ma dico solamente che da qualche parte bisogna pur iniziare, e che un sorriso è più facile da ottenere di quanto ci si possa immaginare. Ma se io sono da solo, non posso fare nulla, anche se do in beneficienza tutto quello che guadagno. Per questo ci vuole appunto cooperazione e interdipendenza, io stesso devo essere aiutato, e tutti gli alti devono lasciare che io, per quanto possa, aiuti loro. – rispose il ragazzo, continuandosi a massacrare il labbro e sorridendo poi tra sé. La ragazza sorrise e lo guardò davvero per al prima volta. Lo guardò perché Joseph si era scoperto, e non fisicamente. 

-Ho promesso a me stesso di trascorrere la metà della mia vita ad aiutare gli altri, e questo simbolo – disse Joseph indicandosi il tatuaggio – per quanto strano e insignificante possa apparire, mi ricorda che un sorriso è la cosa più bella del modo, e che per essere felice io devo far felice gli altri. Mi dicono che sono bravo a far ridere le persone, ed è anche una cosa che mi piace fare. Ogni giorno è una nuova occasione per far sorridere qualcuno, e nessuna occasione va sprecata. 

Alla fine di quel discorso rimasero soltanto il rumore degli animali in lontananza, il fruscio del vento tra le foglie e un sottile respiro dei due ragazzi. 

-È davvero un bel significato, Joe. – osservò la ragazza. – e tutto quello che hai detto ti fa davvero onore, sul serio. Ne esistono davvero pochi di ragazzi che la pensano così. 

-Grazie. – disse Joseph – sono riuscito a farti parlare senza forzarti, facciamo passi avanti! – rise Joe, facendo sorridere anche la ragazza. 

-Avanti! Non sono così silenziosa! – rise lei. 

-No, non silenziosa, soltanto scettica! – disse il moro, e Claire si sorprese, e abbassò lo sguardo – non mi dire che sei anche permalosa! – disse con enfasi cercando il suo sguardo. 

-Non sono permalosa! – rispose lei ridendo. 

-Mmmmh – disse non convinto  - va beh dai, ci credo. Ora forza, ti ho detto qualcosa di me, ora tocca a te dirmi qualcosa di te!

-Non possiamo fare un’altra volta vero? – disse la ragazza storcendo il naso. Joe scosse la testa – che vuoi sapere?

-Non voglio sottoporti a un interrogatorio, altrimenti tu ti alteri – lanciò la prima frecciatina, che Claire ricevette, e assorbì con un sorriso trattenuto – quindi parlami di quello che vuoi. 

-Facciamo che ti dico una sola cosa e che tu capirai tutte le altre da solo, e anche che non mi guarderai mai con uno sguardo pietoso e tutto il resto, perché non sono proprio il tipo. – lo guardò negli occhi, preoccupati e profondi, e poi tornò a guardarsi le punte delle scarpe. – sono stata adottata, anzi prima affidata a tante famiglie, poi adottata. 

-Orfana? – chiese il ragazzo. 

-No, i miei genitori naturali sono entrambi ancora vivi, ma non sono stati dei genitori. – disse la ragazza – e a volte penso che sarei voluta essere davvero orfana invece di figlia di un uomo e una donna che hanno perso l’affido della propria ed unica figlia. Sorvoliamo sul perché, magari un’altra volta. 

-Mi dispiace – disse il ragazzo. 

-Ecco ora togliti dalla faccia quello sguardo impietosito, e fai finta che io non ti abbia detto nulla. – gli ordinò la ragazza. – intesi?  - così lo guardò torva. 

-Intesi. – sorrise il ragazzo, e capì di dover cambiare argomento. – Domani vado con alto personale della struttura alla casa famiglia di cui ti ho parlato prima, in cui ci sono donne affette da aids, vuoi venire?

Claire ci pensò su per un attimo, lasciando Joseph continuare. 

-Domani non si lavora, è domenica, giusto? Quindi facciamo un salto lì, e portiamo qualche coperta e cose del genere, quindi se ti va puoi venire. – piegò meglio il ragazzo. 

-Grazie per avermelo detto, davvero … – disse la ragazza. 

-Non devi sentirti assolutamente obbligata! – volle sottolineare il moro. 

-Fammi finire! – accennò una risata lei – grazie per avermelo detto perché non lo avessi saputo, e mi sarei rimproverata il fatto di essermi persa questa possibilità. – Claire sorrise – Vengo!

Joseph si aprì in un sorriso. 

-Domani alle 10 davanti all’infermeria, ok? – disse il moro. 

-Perfetto. – sorrise la ragazza. 

 

 

Stava per arrivare un temporale, tante gocce si sarebbero incontrate, altre si sarebbero rincontrate, altre ancora si sarebbero scontrate. Scontri, incontri che sarebbero potuti essere quanto belli e magnifici, quanto  paurosi e tremendi. 
Paurosi e tremendi come i ricordi. Belli e magnifici come quello strano sentimento d’affetto che in molti chiamano Amore. 










Buonasera a tutti!
Sì, lo so, ho fatto un po' di ritardo, ma ora sapete qualcosa in più su Claire, anche se continua a non essere spiegato tutto per bene u.u
Volevo ringraziare tutte voi che mi seguite e commentate, davvero, seite troppo buone con me ç.ç
Non mi merito tutto quello che dite! ç.ç
Vogliamo parlare delle foto truzze di Joe che si fa appena sveglio? Oppure del cappello russo che si porta in giro ovunque? Sì, avete ragione, meglio non parlarne AHAHAHAHA
Ora mi dileguo! fatemi sapere che ne pensate!
Un bacione grande, 
Marta <3

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Capitolo 9
*** Chapter 8: I’ll go with you ***



Chapter 8

 

I’ll go with you

 


 

Claire guardò l’orologio e si rese conto che stava per arrivare in ritardo all’appuntamento fuori dall’infermeria se non si fosse sbrigata. 

-Ci vediamo dopo piccolo! – disse Claire facendo una carezza a Ike e dandogli un bacino sulla teta. Lo sguardo del bambino la seguì fino a quando non uscì dal centro ricreativo dove ogni domenica tutti i bambini di riunivano. La ragazza andò nel dormitorio, prese lo zaino che aveva preparato poco prima e se lo mise in spalla. Controllò mentalmente di aver preso tutto quello che le serviva, perché sarebbero rimasti fino al pomeriggio dello stesso giorno. 

Avvicinandosi all’infermeria, sentì una risata. Anzi, meglio, riconobbe la risata di Joseph. Era bello sentirlo ridere, era una delle cose più belle del mondo. Non sapeva bene il perché, ma ogni volta che quel ragazzo rideva era impossibile non sorridere. Emanava gioia, trasudava felicità. Era luce nell’oscurità. Quando si fece più vicina a lui e al gruppo dei volontari che sarebbe andato con loro, Joe alzò la mano e la mosse in segno di saluto, Claire sorrise per accennargli ad averlo visto. Non sia mai che si mostrasse troppo espansiva. 

-Ciao. – disse la ragazza una volta arrivata 

-Ehi! Stavamo aspettando giusto te! – affermò lui poggiando il suo zaino nel portabagagli della vettura

-Scusatemi, ma non mi ero accorta dell’ora che si era fatta! – disse la ragazza, mentre Joseph le prese lo zaino dalle spalle e glielo posizionò accanto al suo, mentre la giovane sussurrava un “grazie” sorpreso. Joe le sorrise di rimando.

-Non preoccuparti, tanto dobbiamo ancora caricare delle cose – la tranquillizzò lui.

-Va bene, posso aiutarvi in qualche modo?– disse la ragazza, e non finì a dire che frase che si sentì qualcuno che si stringeva alla sua gamba destra. 

-Ike! – disse sorpresa la ragazza che vide il bimbo attaccato alla sua gamba senza la minima intenzione di lasciarla. Claire non credeva di piacere ai bambini, anche se a lei piacevano, e quindi quel gesto la stupì e non poco. 

-Dove andare? – chiese il bambino guardando negli occhi la ragazza che divennero quasi lucidi. Joe si abbassò sulle ginocchia e accarezzò dolcemente la schiena del bambino. 

-Claire viene con me, torneremo tra poco, va bene Ike? – disse il ragazzo. 

-No – disse il piccolo stringendosi alla gamba della ragazza. 

Joe e Claire si guardarono un attimo negli occhi, chiedendosi a vicenda, con quel gesto, cosa fare.

-Ike ma noi torniamo prestissimo, ci metteremo solo un attimo! – disse cercando di convincere il bimbo che non voleva saperne di staccarsi da lei. 

Ike la guardò e poi scosse la testa portandola dalla parte opposta e stringendosi ancora di più a lei. 

-Che facciamo? – sussurrò Claire all’orecchio di Joe, che alzò le spalle sorridendo. 

-Io venire con voi! – disse poi Ike sorridendo alla ragazza, con il sorriso più bello che avesse mai visto. Quegli occhi scuri di quel bambino le parlavano come nessun altro avesse mai fatto prima. 

Claire si sciolse, e guardò Joseph con lo stesso sguardo con cui Ike aveva guardato lei. Così il piccolo guardò con lo stesso sguardo da cucciolo anche il giovane che si mise a ridere. 

-Va bene, va bene, andiamo. – sorrise Joe – riuscite a convincermi facilmente. 

Mentre Joseph pronunciava quelle parole, Claire prese in braccio Ike che fu felicissimo di andare tra le braccia della ragazza che sorrise e fece un occhiolino al cantante. 

Quest’ultimo, sorpreso da quel gesto, rimase un attimo immobile, mentre al ragazza e il bambino entravano nel pullmino, poi scosse la testa e si stropicciò gli occhi, dicendosi che non avrebbe dovuto reagire in quel modo. Perché lo aveva fatto?

Entrò anche lui nel veicolo e si sedette affianco a Claire, sorridendo a lei e ad Ike che sedeva sopra di lei.

In macchina ci avrebbero impiegato circa trenta minuti per arrivare alla casa famiglia. Dinari, il marito di Falala, accese la macchina e partì. 

Claire si chiese quanto una situazione del genere fosse stata completamente impossibile da immaginare poco più di un mese prima. Era in un pullmino, affianco a un cantante famoso in tutto il modo, e in compagnia di persone di cui non sapeva neanche l’esistenza fino a non troppi giorni prima. Per non parlare di quel bambino, che sembrava avere a che fare con lei fin dall’inizio. Quel disegno che Ike aveva fatto le ricordò un’esperienza che aveva vissuto sulla sua pelle e che l’aveva segnata per sempre. Forse anche Ike aveva una cicatrice nella memoria molto simile alla sua, che sarebbe rimasta lì dov’era per tutta la vita, proprio come la sua.

Ike si poggiò su di Claire e in tempo record si addormentò. La ragazza non aveva mai visto qualcuno addormentarsi più velocemente di così. 

Joe si girò verso di loro e guardò il bambino dormire. 

-Ma già si è addormentato? – disse il ragazzo sfiorando con un dito la guancia del piccolo, come se fosse la cosa più delicata. 

-Eh sì. – rispose piano Claire. 

-Si è affezionato tantissimo a te – affermò Joseph portando il suo sguardo dal bambino alla ragazza. 

-È strano, perché a me piacciono i bambini, ma di solito io non piaccio a loro. – osservò lei. 

-Non mi pare proprio questo il caso. – sussurrò il ragazzo per non far svegliare il piccolo – altrimenti non si sarebbe attaccato alla tua gamba poco fa.  

Claire trattenne una risata, ma non riuscì a sopprimere un sorriso. 

-Tu però sei popolare tra i bambini, io proprio no. – disse lei accennando una piccola risata. 

-Forse perché io sono un bambino. – bisbigliò lui fissandola negli occhi, poi sorrise. Lei lo trovò estremamente dolce.  

-Di 24 anni, sei un po' grande. – aggiunse lei. 

-Quasi 25 in realtà – rise lui - … ti sei informata sulla mia età?

-Ho tirato a indovinare. – rise la ragazza – ti davo la mia stessa età, io ne ho 24 compiuti. E poi, anche se fosse stato così? – gli chiese. 

-Sarebbe significato che te ne importa un minimo di me. – rispose sinceramente. 

-Cosa ti fa pensare il contrario? – chiese piano lei. 

-Il tuo comportamento fino a stamattina. – sussurrò Joseph distogliendo lo sguardo da Claire. 

-Tanto perché tu lo sappia, Joseph, non parlo mai a nessuno del fatto che sia stata adottata. Dovrà pur significare qualcosa, non credi? – gli rivolse un mezzo sorriso, e lui sorrise come se mai aveva fatto prima. 

-Siamo arrivati! – esclamò Dinari e fermò il pullmino, proprio mentre Joseph si stava rendendo conto di cosa lei le aveva appena detto. 

Lui contava qualcosa per lei, e da quello che gli aveva fatto intendere, non poco. 











Buonasera!
Sì, potete venire qui e uccidermi se volete, o tirarmi pomodori. Come più vi piace. Non sono stata in vena di scrivere nei gioni scorsi soprattutto perchè quei due *coff* Nick e Joe *coff* erano in Italia, e io avevo istinti malsani di prendere un treno da sola per un viaggio di quasi cinque ore! 
Comunque, si sono visti un altro po' d'Italia, ora mi sembra anche ora di tornare per un concerto, non credete anche voi? ç.ç
In ogni modo, questo capitolo è orribile e corto, lo so, spero di farmi perdonare al più presto! ç.ç
Non vi ho detto la soddisfazione di prendere 9 all'interrogazione e 8 e mezzo al compito di italiano dell'altro giorno! Mi sentivo potente AHAHAHAHA
Nonostante questo faccio capitoli schifosi, e che vuoi fare? può succedere!
Ma perchè vi sto riempiendo di chiacchiere? ç.ç
Me ne vado AHAHAHAH
Un bacio grande, 
Marta <3

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Capitolo 10
*** Chapter 9: Ike! ***



Chapter 9

 

Ike!


 


 

-Piccolo … - sussurrò Claire all’orecchio di Ike che dormiva su di lei. – siamo arrivati Ike! 

Gli accarezzò la schiena e il bimbo si stropicciò gli occhi dolcemente, poi li aprì. Rivolse un sorriso alla ragazza. 

-Arrivati? –chiese il piccolo. 

-Sì, siamo arrivati bellissimo, che dici se andiamo e raggiungiamo gli altri? – propose la ragazza. Tutti erano già usciti da quel pullmino, tranne lei e il bimbo che non voleva saperne di svegliarsi. 

Ike annuì e sorrise. Mise i suoi piedini per terra poi diede la mano alla ragazza che si alzò subito dopo di lui. 

Scesero dal pullmino e si guardarono intorno. Claire vide Joe, che li aspettava con sia il suo zaino che quello della ragazza in mano. 

-Ti sei svegliato finalmente, campione! – disse il moro, il bambino annuì felice. 

-Grazie per avermelo preso – disse la ragazza riferendosi allo zaino che tentò di prendere dalle mani di Joseph, 

-Lo porto io – rispose lui, con un sorriso sul volto. 

-Ma ti pesa! – contestò lei.

-Silenzio, lo porto io – ribadì il concetto andando insieme agli altri a scaricare le coperte e i viveri che avevano portato per la casa famiglia.

Joseph, mentre prendeva le coperte dal pullmino, ricordò come avesse fatto l’identica cosa esattamente quattro anni prima. Ricordò di aver sorriso a quei bambini, a quelle madri; ricordò come tutti fossero così ospitali e felici; ricordò come tutto sembrasse così bello ed estremamente triste allo stesso tempo da averlo fatto commuovere. La cosa che non riusciva a togliersi dalla testa era quella sua volontà di fare qualcosa, quella sua voglia, che gli era diventata quasi una smania, di riportarsi tutti quei bambini negli States, a casa sua, e cambiare loro la vita. 

Chiuse gli occhi e fece un respiro prima di salire quelle scale di legno che avrebbero portato sia lui che il resto del personale, dentro quello stabilimento. 

Si respirava aria calda, aria secca, che continuavano a farlo sentire peggio. 

Dinari bussò alla porta, e poco dopo una donna si presentò davanti a questo, con il sorriso più vero che Claire avesse mai visto. Si salutarono, nella loro lingua, ma anche se né Claire né Joseph capivano cosa stessero dicendo, l’entusiasmo della donna e i suoi gesti estremamente calorosi fecero capire a tutti che fossero tutti felicissimi di averli lì. Dinari e quella donna, che poi scoprirono, appena entrati, si chiamasse Nala, si conoscevano. Infatti l’uomo portava spesso mangiare e vestiti in quella casa famiglia, che era anche il luogo dove aveva conosciuto sua moglie Falala. La donna aiutava in quello stabilimento quelle ragazze, come se fossero sorelle. 

Ike portò verso l’alto le braccia i segno di voler essere preso in braccio da Claire, che non tardò a fare quello che il piccolo le aveva chiesto. 

-Potete sistemare pure qui tutte le coperte e di là il cibo! – disse Dinari indicando la stanza affianco che era quella che più si avvicinava a una cucina.

I ragazzi fecero quello che era stato detto loro, poi tornarono dove era rimasto Dinari. 

-Io ricordo te! – disse Nala indicando Joseph che era appena tornato davanti a lei, gli accarezzò la guancia ispida, sorridendo. Joe annuì. 

-Sono stato qui quattro anni fa – sorrise il moro. – ed è bellissimo tornare. 

-Sei … sei il cantante! – disse la donna entusiasta. 

-Sì, sono il cantante – rispose felicissimo che lo avesse riconosciuto. Quello che provava Joseph si vedeva negli occhi, in quei suoi occhi scuri che tentavano di evitare le lacrime, che provavano a nascondersi; ma che non riuscivano mai davvero nel loro intento. 

Nala si rivolse nella sua lingua a Dinari, perché non era ancora bravissima in inglese, così l’uomo le avrebbe fatto da interprete. 

-Vuole che andiamo fuori dove ci sono le mamme con i bambini, che ci aspettano – disse semplicemente l’uomo. 

Tutti si affrettarono a seguire Nala che camminava a passo svelto. Joseph e Claire si guardarono per un attimo, e lei gli rivolse un sorriso per rassicurarlo. 

Si trovarono, appena usciti dalla casa famiglia, uno spettacolo semplice, eppure speciale. Cosa c’era di speciale in una donna che culla il proprio bambino? Forse nulla, anzi, proprio nulla se non si sa cosa c’è dietro. Cosa c’è dietro a ogni sorriso, a ogni sguardo. Nulla, se non si sa che come minimo la metà di quelle madri, senza le cure adeguate, che lì non avevano, non avevano neanche la minima speranza di salvarsi da quella malattia del sistema immunitario.  Nulla se non si sapeva che quei bambini, sarebbero rimasti orfani di madre, e probabilmente lo erano già di padre. 

Sembrò che quel pensiero non sfiorasse neanche lontanamente la mente di Joe,  che dopo le presentazioni che aveva fatto direttamente Nala, si era precipitato vicino alla mamma più vicino e le aveva chiesto con tutta la felicità del mondo come stesse, e come quella bellissima bambina che aveva in braccio si chiamasse. 

Sembrava essere nato per fare quello, per far nascere quel sorriso sul volto di quelle persone, persone che non avevano nulla, e forse avevano perso anche la speranza, ma che non smettevano di lottare. 

Quando quella donna gli aveva dato in braccio quella bambina sembrò avere tra le mani la cosa più importante del mondo, sembrò stringere tra le sue mani un vaso di cristallo sottilissimo che al solo passo falso si sarebbe distrutto sotto le sue mani. 

Accarezzò la guancia delicata della bambina e le sorrise, sforzandosi di non piangere, mentre pensava che quello era il miracolo più bello che avesse mai visto. 

Si fece stringere nella minuta manina della bambina il suo dito indice della mano sinistra, e si disse che sarebbe dovuto tornare in Africa prima di quanto avesse fatto. 

Lì c’era vita, c’era più vita di quanto chiunque potesse mai immaginare. 

-È bellissima – disse guardando la madre che probabilmente neanche capiva l’inglese ma che sicuramente aveva inteso quali erano i sentimenti che stava provando quel ragazzo che era davvero sul punto di piangere. 

Intanto Claire era rimasta per un attimo spiazzata da quella situazione, che in realtà, non aveva nulla di particolare. Proprio in queste situazioni si vedeva che lei non sapeva davvero farci con i bambini anche se poteva dare l’impressione contraria. Fece tornare con i piedi per terra Ike, che si muoveva in segno di voler tornare a camminare con le sue gambe. 

Nala, vedendo la ragazza che era stata presa un po’ alla sprovvista da quella situazione la chiamò. 

-Prima volta? – domandò la donna

Lei annuì, mentre questa le fece segno di avvicinarsi a lei e di sedersi proprio accanto a lei che aveva in braccio un bambino di qualche mese. 

Claire si avvicinò, seguita passo per passo da Ike che si era attaccato alla sua gamba, di nuovo. 

Si sedette vicino a Nala e quest’ultima le passò dolcemente il bambino che aveva in braccio. 

-Sua madre morta, quando lui nato – disse la donna alla ragazza che continuava a fissare il neonato. 

La madre di quella creatura era morta al momento del parto. Quella era la sua paura più grande nel lavoro che sarebbe andata a fare. Una morte che si sarebbe potuta evitare, una morte causata proprio da lei, una morte prematura, una morte di una madre, una morte di un bambino appena nato. Una morte. La sua paura maggiore. 

-È davvero bello – disse la ragazza mentre Ike si sporgeva su di lei, e osservava il neonato da vicino. Ike sorrise al bimbo, poi a Claire che proprio per quel gesto perse un battito e sorrise a sua volta. 


*

 

Una donna uscì dalla casa famiglia con un bimbo in braccio e si guardò in giro, accorgendosi solo all’ora degli “ospiti”. 

Fissò per un attimo Ike, e non appena questo si fu girato, i due si guardarono un attimo negli occhi. 

-Ike! – esclamò la donna. Quella donna che aveva nominato quel nome richiamò l’attenzione di tutti compresa quella di Claire e Joseph. Il bambino era immobile, e non sapeva cosa fare, né come reagire. 

La donna cominciò a parlare e si avvicinò al bambino, che le rispose. Così cominciarono a parlare.

Né Claire né Joseph stavano capendo nulla di quel discorso. Nessuno dei due sapeva che fare. Nessuno sapeva che dire quando la donna e Ike si abbracciarono, e quando Ike dopo un’altra frase di questa cominciò a piangere prima trattenendosi, ma poi subito dopo, a dirotto. E il piccolo non era l’unico aver preso male quella notizia, visto che anche tutti gli altri avevano un’espressione tutt’altro che felice. 

-Cosa dicono? Che sta succedendo? – disse agitata Claire a Nala che non riusciva a parlare. 

-Che succede? – esclamò Joseph dopo aver lasciato tra le braccia della madre la piccola. 

Così fece anche Claire che lasciò il bimbo tra le braccia di Nala. 

Claire si alzò e poggiò una mano sulla spalla piccola e delicata di Ike che prima sobbalzò, ma poi si girò a abbracciò con forza la ragazza. Lo abbracciò a sua volta non sapendo come reagire, cosa fare, né cosa fosse successo. 

Joseph si avvicinò al bambino e gli accarezzò la testa delicata. 

-Dinari! – esclamò il ragazzo – cosa hanno detto? – disse il ragazzo iniziando a innervosirsi. 

-Forse è meglio rientrare – suggerì l’uomo che senza dare tempo a nessuno di replicare entrò nello stabilimento seguito da Joe, Claire, Ike e la donna con cui aveva appena parlato. 











Scusate il ritardo ç.ç
Ma rendete grazie all'occupazione a scuola se ho postato AHAHAH
probabilmente anche oggi scriverò, quindi non preoccupatevi, non aspetterete tanto! :3
Sì, lo so, sono stata crudele a far terminare il capitolo "sul più bello" AHAHAH
Comunque, avete visto quei tre che hanno festeggiato il ringraziamento con la famiglia? ç.ç e i baffi da mafioso russo di Joseph, che adoro solo perché so cosa c'è dietro? Quanto sono belli? Loro e la loro casa piena di cani? AHAHAH
Bene, torniamo seri. Volevo ringraziarvi, a tutte per le recensioni, per chi legge, davvero. è davvero importate per me questa ff, e sono felice che venga apprezzata. Come sempre, per qualunque cosa potete contattarmi su twitter, efp e dove più volete :)
un bacio enorme, 
Marta <3


 

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Capitolo 11
*** Chapter 10: Alone ***



Chapter 10 

 

Alone

 

 

La donna si rivolse ancora una volta a Ike, che rispose, poi annuì. I due si abbracciarono. 

-Ragazzi, lasciamoli soli. – disse Dinari, che si diresse alla stanza affianco, a Claire e Joseph. Claire guardò il piccolo di nuovo e titubò prima di seguire Joseph, che sfiorò la sua mano per farle cenno di fare quello che l’uomo aveva detto loro. Ike piangeva, ma era tra le braccia di quella donna che con un braccio continuava a tenere suo figlio appena nato. 

-Cosa si sono detti? – chiese Claire tentando ti non far notare che la sua voce cominciasse a tendere al pianto. Dinari era l’uomo che più aveva studiato nella zona, e che più aveva una cultura, e che quindi, in questi casi, faceva per la maggior parte delle volte l’interprete. 

 -La donna è la sorella della madre di Ike, quindi sua zia. – disse Dinari che sospirò – E gli ha appena detto che … - sospirò di nuovo l’uomo – la mamma e la sorella di Ike sono morte. 

Claire si portò alla bocca la mano destra e si girò, cominciando a piangere. Joseph, con gli occhi lucidi, la abbracciò cercando di rassicurarla. 

-Aja, la zia di Ike, è qui da un po’, e ha raccontato la sua storia e quella della sua famiglia, quindi anche quella della mamma e della sorella di Ike, al resto della casa famiglia, poi Nala l’ha raccontato anche a me. – si sforzò di proseguire Dinari, nonostante quelle parole fossero estremamente pesanti da pronunciare -  Avete mai sentito parlare dei “bambini soldato”? – chiese l'uomo. Joseph annuì, non capendo dove l’uomo volesse arrivare con quel discorso. 

-Ecco, non solo soltanto qualcosa di astratto qui, ma qui tutto questo è realtà. Sono in paesi come questo quelli in cui vanno i soldati per “reclutare” i bambini. Ma cosa fanno alle donne che trovano nei villaggi? – disse serio l’uomo pronunciando quelle parole con tanta amarezza, mentre Claire si era girata a guardarlo, cercando di essere forte. – Niente di più semplice di stuprarle e poi ucciderle con un colpo di fucile. Ed è la sorte che è toccata alla madre e alla sorella di Ike, proprio per farlo riuscire a scappare da quei soldati, che gli avrebbero rubato l’infanzia, la famiglia, e la vita stessa. 

Joseph continuava a rassicurare la ragazza che continua a ripetersi di non piangere, ma che non riusciva a sopportare quei brividi di paura, quei brividi di disperazione, di tristezza. 

-Aja ha l’aids, e neanche a lei rimane tanto da vivere senza le giuste cure. Per di più, proprio negli ultimi giorni sta peggiorando, quindi non credo che si potrà occupare di Ike, nonostante sia riuscita a scappare e a ritrovarlo – disse Dinari, sospirando subito dopo. 

-Suo padre? – chiese Claire, con un filo di voce. 

-Non si sa neanche chi sia davvero il padre del bambino. – disse l’uomo. 

-Quindi, è solo? – domandò Joseph. 

-Sì, come moltissimi bambini della sua età di qui. – rispose questo. 

Solo. Solo, senza nessuno. Solo, senza un genitore a cui aggrapparsi. Solo, senza qualcuno che gli volesse bene davvero. 

Solo, come lo era stata Claire. Sola, dopo che i suoi genitori persero la patria potestà della loro unica figlia. 

Claire si immaginò davanti a gli occhi la scena a cui aveva assistito Ike: le urla della gente, le grida della madre e della sorella, la paura di essere preso, il timore di scappare, il rimorso per aver lasciato sola la sua famiglia. Emozioni e scene molto simili a quelle che aveva vissuto in prima persona. 

Se chiudeva gli occhi la ragazza poteva vedere ancora quelle scene in cui una piccola bambina, rannicchiata sotto il tavolo della cucina, guardava spaventata quegli uomini in divisa che la erano venuta a prendere. Ricordava come la madre la avesse sempre ignorata, e trattata come un animale, ma come, nonostante questo, l’aveva sollecitata a scappare o nascondersi non appena avesse visto quegli uomini. Ricordava il padre che, mezzo ubriaco, cercava di fermare la polizia, che nonostante tutto, era riuscita a raggiungerla. Le sembrava di sentire ancora addosso le mani fin troppo forti di quell’uomo forzuto in divisa che l’aveva sollevata da terra, mentre lei si dimenava e urlava. 

Sembrò ricordare ogni singolo angolo della casa famiglia in cui era stata sbattuta, come odiasse ogni parte di quello stabilimento, e come si sentisse estremamente sola e abbandonata dal mondo intero. 

Sembrò sentire di nuovo quella sensazione di tristezza e nello stesso tempo vittoria, ogni volta che una coppia la riportava indietro alla casa famiglia perché era “troppo vivace”. 

Infine, rammentò quando, seduta sul letto affianco a quello della sua nuova “sorella”, o meglio “sorellastra”, decise che forse sarebbe stato meglio smettere di avercela con il mondo intero, e accettare amore da chi gliene voleva davvero, e quei nuovi “genitori” sembravano volergliene, nonostante tutti i guai che lei stesse combinando. 

In un lampo, in una volta soltanto, tutti questi ricordi piombarono nella mente di Claire, tanto da farla scoppiare a piangere come mai aveva fatto prima. 

Lo sentiva vicino quel bambino. Sentiva vicino il piccolo Ike, come mai aveva sentito nessun’altro. 

Lui ora era solo, senza nessuno. Perfino sua zia se ne sarebbe andata, più presto del dovuto. 

La storia di Claire aveva avuto un “lieto fine”,  quella di Ike aveva pochissime possibilità di andare a finire bene. 

-Claire – disse Joseph, per risvegliarla dai suoi pensieri – tutto bene?

La ragazza non ripose, ma uscì dalla stanza dirigendosi in quella in cui Ike e sua zia erano rimasti. 

Joseph la seguì, ma si fermò non appena la vide andare verso il bimbo: non doveva né poteva intromettersi, avrebbe chiesto dopo spiegazioni sul suo comportamento. 

La ragazza arrivò alle spalle del bambino, che continuava a parlare con la donna e a piangere. 

Gli poggiò una mano sulla spalla, questo si girò e la abbracciò, di nuovo, più intensamente, più disperatamente. 

Sembrava tutto un brutto sogno. Tutta quella questione, doveva essere solo un brutto sogno, invece era la crudele realtà, la più fredda e orribile delle verità, davanti alla quale un bambino piccolo e indifeso come Ike non poteva fare nulla. 

Claire piangeva, e cercava, nonostante tutto, di far calmare il bimbo. 

-Andrà tutto bene – gli ripeteva mentre le lacrime prendevano il sopravvento su tutto. 

-Ti voglio bene – tra tutte quelle lacrime una voce casta e strozzata dalle lacrime arrivò alle orecchie di Claire, così chiaramente e così alla sprovvista da farle venire i brividi. 

-Ti voglio bene anche io, Ike. – soffiò lei, carezzando la guancia al piccolo, e guardandolo come se fosse la cosa più bella e delicata del mondo.  

 

 

Il cielo si era chiuso, aveva cominciato a piovere, tante gocce si erano incontrate, scontrate, amate, odiate. Tante gocce ora si ritrovavano in uno stesso oceano. Erano tutti parte di un unico posto, di un unico mondo. Nonostante il fatto che tutte quelle gocce sarebbero potute sembrare uguali, in realtà non lo erano. Avevano storie diverse, avevano origini diverse, avevano situazioni, dolori, amori, sorrisi, diversi. Eppure si erano incontrate, eppure ora erano lì, e sembravano più vicini e simili di quanto si potesse mai immaginare. 











Buonasera! 
chiedo perdono, dal più profondo del cuore!
Ma in questi giorni, oltre alla scuola che non mi lascia in pace, mi ci sono messa anche io e il mio stato d'animo orribile. 
Conoscete quella sensazione in cui vorresti solo piangere e chiuderti in un angolino al buio? ecco quella. 
Visti i concerti di Los Angeles? quanto sono bravi quei tre ragazzi? Forse troppo, non credete? 
Non parliano della sua situazione sentimentale, va bene? Va bene. 
In ogni modo, sia in questo che nel capitolo precedente, ho parlato di AIDS, e oggi, primo dicembre, oltre a essere il primo giorno d'avvento, è anche il giorno mondiale di questa malattia orribile. Era giusto per farvelo sapere se non lo sapevate già, e sperare in un futuro migliore per chi ne è affetto. 
Un grazie enorme a tutte voi che mi sostenere e continue a sopportarmi. 
Un bacione,
Marta <3

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Capitolo 12
*** Chapter 11: Who I am ***



Chapter 11

 

Who I am


 

Ike aveva appena preso sonno, e Claire era riuscita finalmente a uscire dal dormitorio dei bambini, dove il bambino l’aveva costretta a restare. Gli aveva cantato una ninnananna, l’unica che sua madre le avesse mai cantato, ma sua vera madre. Era semplicemente l’unica che ricordava bene e che era in grado di ripetere. 

Claire era appena uscita dallo stabilimento chiudendo la porta dietro di sé, quando sentì una voce alle sue spalle che la chiamava. 

-Ehi – disse il ragazzo che la stava aspettando con la schiena poggiata al muro,un piede rialzato e poggiato alla parete, le braccia incrociate e un sorriso in viso. 

-Joe … - rispose lei  girandosi verso la sua direzione. 

-Come va? – chiese il ragazzo. 

-Va e basta. – rispose lei stringendosi nella felpa che aveva addosso. 

-Ike sta bene?- domandò ancora il moro che aveva cominciato a camminare affianco a lei. 

-Chi starebbe bene dopo una notizia del genere? – disse lei con un tono fin troppo triste. Joseph si rimproverò mentalmente per la domanda completamente idiota che aveva fatto. 

Si creò un po’ di silenzio intorno a loro. 

-Devo mettere apposto un paio di documenti in ufficio prima di andare a letto, mi accompagni? – chiese la ragazza, e a Joe sembrò decisamente che lo stesse pregando di andare con lei. Non che lui non volesse. 

-Certo!  - esclamò il ragazzo togliendosi spontaneamente il giubbino che aveva indosso e poggiandolo sulle spalle della ragazza. 

-Stai congelando – osservò il moro, sorridendogli. 

-No dai, Joe, non preoccuparti, non serve. – la ragazza provò a fargli cambiare idea, senza risultati, perché il riccio non voleva saperne. 

-Non accetto “no”. Io sto bene così, e tu non devi raffreddarti. – disse il giovane, insistendo – Quindi tienilo, che io non lo metto. 

-Non c’è speranza di farti cambiare idea, vero? – chiese la ragazza, e Joseph scosse la testa - Sei testardo. – osservò lei, lui alzò le spalle nascondendo un sorriso – Ma sei gentile. Grazie.

-Di nulla – rispose il moro, mentre la ragazza si infilava per bene quell’indumento.

Entrarono nell’area ricreativa, e poi nell’ufficio, dove Claire accese la luce e cominciò ad occuparsi di quei fogli. 

-Vuoi che ti di una mano? – chiese il ragazzo che era rimasto in piedi. 

-No, non preoccuparti, faccio in un attimo. Siediti, che mi metti ansia se stai in piedi – disse la ragazza accennando una risata. 

Quando si girò in direzione della cassettiera, si accorse di quanto quel giubbino, che portava ancora addosso, profumasse di lui

Ogni volta le sembrava incredibile come un indumento conservasse perfettamente il profumo della persona che lo indossava. Era qualcosa di unico, era qualcosa che riusciva a conservare un ricordo. Ogni odore ricordava qualcosa, qualcuno. Era sempre stato così per Claire. La vaniglia le ricordava sua sorella adottiva, che aveva un profumo a quella essenza nel quale adorava immergersi da capo a piedi per il ragazzo che le piaceva, che poi sarebbe diventato suo marito. L’odore di vernice fresca le ricordava la casa famiglia, perché quando era arriva lì, avevano appena ritinteggiato la stanza in cui avrebbe alloggiato lei, e quell’odore non se ne era andato per mesi. Poi il fumo, le ricordava il suo periodo più brutto, e i suoi genitori naturali.

Ora l’odore dell’acqua di colonia, mischiato al suo, le avrebbe per sempre ricordato “quel cantate con cui aveva avuto a che fare in Africa”. Così lo avrebbe definito se qualcuno gliel’avesse mai chiesto. 

-Ho paura di una cosa Joseph – disse la ragazza. 

-Cosa? – chiese il moro che si era appena seduto sulla sedia davanti alla scrivania. 

-Ho paura di quando tra un mese e mezzo, anche meno, dovrò ripartire per gli States e Ike rimarrà qui da solo. – disse la ragazza. 

Joseph non ci aveva pensato. Stava vivendo un’altra vita lì in Africa, e nonostante fosse arrivato da poco tempo, gli sembravano anni, quasi da essersi dimenticato che la sua “vita vera” non era quella del volontario, ma quella del cantante di fama mondiale. 

-Io riparto un mese prima di te, quindi, figurati. – disse il ragazzo, stropicciandosi gli occhi – me ne ero quasi dimenticato. 

-Non voglio lasciarlo qui … - disse la ragazza sedendosi di fronte al ragazzo , senza guardarlo negli occhi, altrimenti ci si sarebbe persa dentro, come faceva sempre.  – o almeno non voglio lasciarlo da solo. 

-Non sarà solo qui. – rispose il ragazzo – ci sono tantissimi altri bambini. 

-Non voglio fargli vivere quello che ho vissuto io, Joe. – disse Claire – un orfanotrofio non è una famiglia. 

Quel bambino le stava davvero a cuore, più di qualsiasi altra cosa al mondo.

-Lo so bene. – affermò convinto. 

-Oh no, non lo sai per niente. Non sai che si prova a essere in una stanza piena e sentirsi solo e abbandonato dal mondo intero, non sai che significa piangere tutte le sere sotto una coperta perché nessuno ti ha mai voluto bene davvero, non sai che significa non essere mai abbastanza, non essere mai capito, non avere nessuno che si preoccupi per te davvero, che tenga a te. Non lo sai, e non lo saprai mai perché non l’hai mai provato sulla tua pelle. – rispose la ragazza, alla quale vennero gli occhi lucidi e di trattenne dallo scoppiare a piangere alzandosi in piedi e infilando nell’apposito sportello i documenti che doveva sistemare. – Scusami, non  volevo … – sussurrò ma fu interrotta dal giovane. 

-No, hai ragione, hai assolutamente ragione e mi dispiace. – rispose lui. – e mi dispiace da morire, ma non posso fare niente. Credimi, se non avessi un’altra vita a Los Angeles, se non avessi una famiglia che mi vuole bene, mi sarei trasferito qui tempo fa. 

-Ci credo, davvero – disse la ragazza. – è solo che mi fa arrabbiare il fatto che non posso semplicemente prenderlo e portarlo a casa con me. 

-Se si potesse fare così facilmente mi sarei portato a casa già metà orfanotrofio. – rise il ragazzo. – comunque, sono felice che tu mi stia dicendo tutto questo. 

-In che senso? – chiese lei tornando a guardarlo, ora negli occhi. 

-Nel senso che mi stai raccontando di te, e so che non è facile per te. – rispose il giovane sorridendogli. 

-Sei … - cominciò piano - … sei uno dei pochi che si sia mai interessato a me, e a chi sono davvero, ecco perché con te mi riesce facile parlarne. -  concluse in un sussurro. Joseph non riuscì a far a meno di sorridere. 

 

*

 

Claire si tolse  il giubbino di Joseph che aveva ancora indosso, e lo pose al proprietario. 

-Devo dire che è davvero morbido e comodo, però mi sa che non è della mia taglia – rise la ragazza a cui quel cappotto fin troppo grande passava alle ginocchia.

-L’ho preso anche una taglia più grande rispetto a quella che porto di solito per stare più comodo, quindi sì, ti sta un po’ grande – rise il ragazzo. 

-Comunque, grazie, davvero. – disse la ragazza. – prometto che la prossima volta me lo proto, visto che tu, Mr. “io-sto-bene-così”, hai le mani congelate. – rise la ragazza che aveva testato la temperatura delle sue mani quando gli aveva riconsegnato l’indumento. 

-Dai non sono poi così fredde, disse toccando il braccio della ragazza che sobbalzò per il freddo. 

-No, certo, sono calde! –scherzò lei, e lui rise. 

Stettero zitti per un attimo, si sentiva il fruscio delle foglie, il rumore del vento, e la vera foresta africana, che era sempre sveglia, sia di giorno che di notte. Era tutto così magico, così insolito, così fuori dal mondo da sembrare irreale.

I due ragazzi si guardarono negli occhi, Joseph aprì e chiuse la bocca due volte prima di decidere cosa dire, ma fu anticipato da Claire. 

-Credo che sia meglio andare a dormire. Ci vediamo domani, ok? – disse la ragazza

-Certo, a domani – rispose il ragazzo lasciandole un bacio sulla guancia prima che lei se ne potesse davvero accorgere. 

Le sorrise un’ultima volta, prima di entrare nel dormitorio maschile, mentre Claire era rimasta ancora sconvolta da quel gesto così spontaneo e dolce di quel ragazzo. Sorrise tra sé e sé, avviandosi al suo letto. 












Buonasea a tutti! 
Ebbene, nuovo capitolo. Di passaggio, ma mi serviva. 
Avete un po' più di informazioni su Claire ora, che ve ne pare? 
Scusate per il ritardo, ma sono sempre abbastanza impegnata ç.ç 
Comunque, volevo ringraziare ognuna di voi, voi che recensite, o che semplicemente leggete, 
voi senza le quali io non sarei qui, e alle quali devo tantissimo! 
Davvero, grazie mille, e un bacione!
Ci sentiamo presto <3
 

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Capitolo 13
*** Chapter 12: Miracle ***



Chapter 12 

 

Miracle 

 


 

La giovane, giovanissima donna sedeva proprio davanti a Claire. Quest’ultima pensò che di sicuro la ragazza avesse meno della sua età, e che fosse una più belle che avesse visto. 

Claire guardò la cartella clinica della sua paziente. 

-Asabi, giusto? – chiese Claire, e quest’ultima annuì. Fece scorrere il suo sguardo un po’ più in basso sul foglio, e lesse la sua data di nascita. Aveva soltanto 18 anni, era anche più giovane di quanto di aspettasse. 

-Cosa c’è che non va Asabi, ti fa male qualcosa in particolare? – domandò lei 

Asabi cominciò a gesticolare con le mani, e a essere in dubbio sulle parole da pronunciare. Probabilmente l’inglese non era il suo pezzo forte. 

-Nausea … - disse la ragazza – sempre! 

Claire per un attimo non ci pensò davvero, poi guardò un attimo più attentamente nei suoi occhi, e le fu tutto più chiaro. Sorrise.

-Qualcos’altro? – domando poi per esserne più sicura.

-Spesso pipì e … - fece un’altra pausa un po’ più lunga –  male alla schiena – concluse toccandosi il punto dolorante.  

-Hai per caso un ritardo mestruale? – chiese ancora Claire. 

-Si anche! Una settimana. – disse la diciottenne. 

-Allora credo di sapere cosa hai … - così dicendo si alzò e le fece cenno di sedersi sul lettino. Così la ragazza eseguì quanto detto. Quella che sarebbe diventata da lì a poco un medico a tutti gli effetti avvicinò al lettino quello strano attrezzo, che era sulla destra e che aveva uno schermo e una specie di piccolo telecomando senza pulsanti, che Asabi ritenne estremamente particolare e interessante. Ci vollero un paio di botte a quello strumento prima di farlo funzionare. Chissà quanti anni aveva. 

Claire sollevò la sottile maglia alla ragazza per poi scoprirle la pancia, dove mise una specie di crema gelatinosa e trasparente, e poi appoggiò quello strano “telecomando”. 

Qualche altro secondo, e Claire sorrise. 

-è grave? – chiese la Asabi preoccupata. 

-Assolutamente no. – disse, sorridendole – Asabi sei incinta. 

Claire lo aveva capito subito dopo averla guardata negli occhi. Aveva uno strano potere di capire se una donna fosse incinta o meno. La prima che aveva scovato una ragazza incinta era stato sua sorella adottiva, quando a soli 19 anni era rimasta incinta del suo ragazzo. Quando le aveva chiesto se aspettasse davvero un bambino, la sorella era rimasta sconvolta, mentre Claire era scoppiata a ridere dicendole che il suo segreto sarebbe rimasto al sicuro con lei. Anche se poi, una settimana dopo, la madre lo era venuto già a sapere grazie ai genitori di lui.

La ragazza che sarebbe diventata mamma si portò una mano alla bocca e mentre gli occhi le diventavano lucidi 

-Oddio … - esclamò la giovane  – serio? – chiese ancora, e Claire annuì. 

-Divento mamma? – domandò ancora. 

-Sì Asabi, diventi mamma – le confermò Claire sorridendole più felice che mai. Era la prima vera ecografia che faceva in prima persona, e ne era estremamente felice. – Non si sa ancora se è maschio o femmina, perché è ancora troppo piccolo, ma al terzo mese si vede tutto. 

Il tempo che Claire impiegò per girarsi dal guardare lo schermo dell’ecografo alla sua paziente quest’ultima si era già messa a piangere. Claire all’inizio non capì se fossero lacrime di tristezza o di felicità, poi quando Asabi la abbracciò dicendole grazie almeno un milione di volte si rese conto che fossero lacrime di pura gioia

Così si rese conto che i miracoli avvengono anche nei luoghi che sembrano dimenticati da Dio.

 

*

 

Erano le 13.15, e Claire stava mettendo apposto l’ultima cartella clinica della sua ultima paziente del giorno, quando sentì due mani che si appoggiavano sui suoi fianchi. Sobbalzò perdendo qualche anno di vita. Si girò e si vide il viso di quel ragazzo a qualche centimetro di distanza dal suo.

-Non azzardarti a farlo mai più! Mi hai tolto una decina di anni di vita! – disse la ragazza con il cuore a mille per una doppia ragione: lo spavento e la sua troppa vicinanza.  Il ragazzo rise. 

-Esagerata! – esclamò, non spostandosi di un millimetro dalla sua posizione – Posso chiederti un favore? Non è che mi aiuteresti con questa cosa sanguinante? – così dicendo fece un passo all’indietro indicandosi il suo braccio destro che aveva un taglio lungo quanto un palmo. 

-Come cavolo te lo sei fatto?! – disse sgranando gli occhi. 

-Al cantiere, tra una cosa e l’altra, sai … -rispose – equilibrio e coordinazione non sono mai stati i miei punti forti, quindi quando ho dovuto dimostrarne almeno un po’ è stato questo il risultato. Si può fare qualcosa? – sorrise con una faccia da cucciolo bastonato, e Claire trattenne una risata. 

-Siediti sul lettino, arrivo con l’occorrente. – gli suggerì e lui fece quanto detto.  Trenta secondi dopo Claire stava già passando dell’ovatta imbevuta di disinfettante sul braccio ferito del ragazzo. 

-Quanto sei seria … - disse il ragazzo mentre la osservava occuparsi del suo braccio. 

-Sto solo facendo il mio lavoro – rispose lei – e poi sto cercando di capire se è stato provocato da qualcosa di ferro o meno, perché potrebbe essere pericoloso. 

-Era ferro, non arrugginito, ma nuovo di zecca. E ho fatto l’antitetano. – disse – quindi non c’è pericolo. 

Claire si mise una ciocca di capelli dietro l’orecchio preoccupata mentre cercava quale cerotto steri strip utilizzare. Era una ferita abbastanza profonda, che andava in ogni modo controllata. 

-Ehi, non preoccuparti! – affermò il ragazzo sollevandole il mento e obbligandola a guardarlo negli occhi – Sto benissimo! 

-Vieni ogni tre giorni a cambiare il cerotto, è un taglio profondo e va comunque tenuto sott’occhio. Intesi?- disse Claire seria. 

-Questo è davvero quello che devo fare … – cominciò il ragazzo beffardo mentre la ragazza si spostò per prendere il cerotto scelto. - è solo una scusa per vedermi anche la mattina?

-Scemo! – disse sopprimendo una risata – è quello che devi fare davvero! – disse ridendo. – E non provare mai più a massacrarti un braccio in questo modo. Qui è molto più facile far infettare una ferita. Per fortuna per ora abbiamo abbastanza materiale, e non accade.

-Va bene – disse il ragazzo mentre Claire applicava al suo braccio lo steri strip. – lo prometto. 

-Bene – rispose lei, e gli sorrise. 

-Hai finito qui? – disse il moro mentre questa terminava di mettere apposto quello che aveva utilizzato per medicare la sua ferita. 

-Ora sì – rispose dopo aver chiuso l’ultimo sportello rimasto aperto. 

-Andiamo alla mensa insieme? perché ho fame e gli altri hanno già mangiato senza di me – chiese il ragazzo. 

-Ma … non è che sei tu, Mr. Jonas, che cerchi scuse per stare con me anche a pranzo? – chiese al ragazza avvicinandosi  a lui, come per sfidarlo.

-Ma lo sai che io non so il tuo cognome? – disse così dal nulla. 

-Dawson. Bravo, bravo, cambia argomento Mr. Jonas. – rise la ragazza prendendo il suo zainetto con quello che si portava sempre dietro.

Uscirono insieme dalla stanza e lei lasciò le chiavi dello studio a Falala che non smetteva di sorriderle con un’espressione beffarda in viso. 

-Smettila di guardarmi così – sussurrò alla donna che già rideva senza farsi sentire. 

-Il cantante ha fatto colpo! – affermò la donna ricominciando a ridere.  – Lo avevo detto io!

-Non cominciare a farti i film mentali! – rise la ragazza prima di andare via – ciao! – la salutò. 

-Cosa diceva? – le chiese Joseph quando lo raggiunse. 

-Niente, ha soltanto tanta fantasia. – disse Claire, proprio nel momento in cui Joseph le mise il braccio sulle spalle e la strinse a sé. 

Forse non erano tutte fantasie.








Buonasera! 
Bene, se volete picchiarmi, siete tutte autorizzate a farlo! Sul serio! ç.ç Non scrivevo da troppo, e questo capitolo non è nulla di che, ma anche questo mi serviva aahahaha No, questo mi serviva sul serio! Asabi sarà in portante, in un modo o nell'altro ...
Mi farò perdonare per questo ritardo, in qualche modo (?)
Anche se in verità i miei cari professori, che si divertano tanto a concentrare tutti i compiti nelle due settimane prima di Natale, sono i responsabili del mio ritardo ç.ç
Grazie a tutti per le recensioni, davvero! Siete tutti troppo buoni!
Un bacione, 
Marta

PS: Comunque, per chi ha tempo e voglia di Nalate ho scritto una OS, per andarci basta cliccare qui o sul banner proprio qui sotto! :)


 

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Capitolo 14
*** Chapter 13: Predators and Preys ***



Chapter 13

 

Predators and Preys

 

 

Claire era appena uscita dal dormitorio, erano le due e mezza di pomeriggio di quella afosa domenica di fine giugno, e stava andando verso l’area ricreativa. Faceva caldo, un gran caldo. Si morse il labbro inferiore dicendosi che i suoi momenti migliori li aveva trascorsi quando la temperatura ambientale era alta. Ricordava quando aveva visto per la prima volta in vita sua il mare. Non era mai stata in spiaggia, e aveva visto quella distesa blu soltanto per televisione, come se fosse qualcosa di irraggiungibile. Quando la sua “nuova sorella” le aveva sorriso e la aveva incoraggiata a tuffarsi, si era sentita a casa finalmente. 

Si disse che anche quel lungo pomeriggio d’agosto, quel torrido agosto, quando era nata sua nipote, la figlia della sua sorella, fu un momento che le cambiò la vita. 

Anche durante il diploma, nel istate in cui tutti quei capelli erano stati tirati in aria, faceva un caldo tremendo, e lei trascorreva uno dei momenti migliori: il raggiungimento di uno scopo. 

-Buongiorno! – esclamò Joseph da dietro le sue spalle prendendola alla sprovvista, di nuovo.

-Ti ho detto che devi smetterla di farmi spaventare in questo modo! – lo rimproverò. 

-Scusami! Ma mi piace farlo! – disse il ragazzo sorridendole

-Sei uno sfacciato! – rise la giovane.

-Sfacciato?! – chiese il moro – ma hai mai detto una parolaccia in vita tua? 

-Mi sembrava brutto dirti stronzo – rise lei. 

-Allora le dici! – disse come sorpreso, e lei lo colpì sulla spalla - comunque, oggi vieni con me. 

-Perché, di grazia? – rispose la ragazza

-Perché è domenica quindi niente lavoro, tra non troppi giorni ripartirò, e visto che sei in Africa, Claire, è necessario che tu faccia una cosa. E anche per un’altra cosa che stai fingendo di non ricordare.- disse il cantante sorridendole mentre Claire si ritrovò a fissarlo come mai aveva fatto in precedenza con un ragazzo. 

La giovane non si curò più di tanto delle altre osservazioni che aveva fatto il ragazzo, ma si concentrò su una soltanto. 

-Quando riparti? – chiese lei. 

-Tra una settimana. – rispose il ragazzo guardando a terra. 

-Capisco – disse la ragazza che al solo pensiero di non averlo più tra i piedi si rattristì. – Quindi ora dove andiamo? 

-Al parcheggio – rispose il ragazzo rivolgendole di nuovo un sorriso. 

-Ok – disse lei. 

In pochi attimi, dopo qualche altro passo sotto il sole, dopo qualche saluto ai bambini, che ormai erano diventati loro amici, e che avevano incontrato lungo il tragitto, dopo sguardi fugaci e sorrisi sinceri che si rivolgevano di tanto in tanto, si ritrovarono nel parcheggio. 

-Ci siamo – disse il moro davanti a una gip scoperta in cui era un uomo sorridente vestito di verde con un capello dello stesso colore. 

-Che significa? – chiese al ragazza. 

-Lui è Marcus – disse il moro presentando l’uomo che era appena uscito dall’auto e stava, in quel momento, stringendo la mano alla ragazza. – Ci farà da guida durante il safari di oggi. 

-Safari? – chiese la giovane rivolgendosi a Joe. 

-Ehi, oggi è il tuo compleanno, e questo è il mio regalo per te. – disse il cantante sorridendo a Claire. 

La ragazza non era mai stata più sorpresa in vita sua. Lei odiava il suo compleanno, le ricordava dei brutti momenti, le ricordava i suoi primissimi compleanni trascorsi tristemente con i suoi genitori naturali, oppure tra le pareti di quella fredda casa famiglia. Non festeggiava mai, né voleva regali. Si ricordò, però, che proprio nel giorno del suo compleanno, si era resa conto che la sua nuova famiglia tenesse davvero a lei. Avevano organizzato una grande festa, piena di parenti e amici. Era stata una sorpresa per lei, non ne sapeva nulla. Quella era stata la prima volta in assoluto in cui si era sentita amata. 

E ora, quel ragazzo, che poche settimane prima non sapeva neanche chi fosse, né che avrebbe mai potuto influire nella sua insulsa vita prima di allora, le stava facendo il regalo più bello del mondo. 

Claire era sconvolta, continuava a fissare quel ragazzo che continuava a sorprenderla di giorno in giorno.

-Auguri Claire – disse il ragazzo lasciandole un bacio sulla guancia e un sorriso in viso. 

-Grazie – rispose tremante guardandolo negli occhi. 

-Beh dai, andiamo! – esclamò il moro facendo salire nella gip la ragazza e sedendosi poi al suo fianco. 

Maun è un piccolo paesino, immerso nella savana Africana, in quella vera savana che aveva da sempre affascinato tutti quelli che la avevano visitata. 

Non ci volle molto, in una manciata di minuti si ritrovarono fuori da quel piccolo centro abitato, in quella inesplorata e incontaminata natura che Claire aveva sempre sognato vedere. 

Così all’improvviso a destra della vettura spuntarono, tra quegli arbusti e quelle acacie, degli elefanti. 

-Oddio – esclamò Claire tra lo spaventato e il divertito. 

-Tranquilla – la rassicurò Joseph che aveva impugnato la sua macchina fotografica, e si era già messo all’opera. – Sono innocui, e hanno paura dei topi!

-Sbagliato! – lo corresse Marcus che era alla guida della gip, portando l’attenzione dei giovani su di lui. – Quella è solo un’invenzione cinematografica legata al cartone Dumbo della Disney. Non hanno paura dei topi, ma delle formiche che fanno da protettrici a particolari acacie. 

-Non ci credo! – disse stupita la ragazza. – mi è caduto un mito. 

-Anche a me! – acconsentì il moro.

-Non credete mai a tutto quello che sentite – Marcus rise tornando con gli occhi sulla strada. 

Ancora un po’ e poco lontani da loro videro dei leoni che giocavano insieme e Claire ne fu subito attratta. Adorava i felini. Forse perché un po’ lei assomigliava, per alcuni aspetti, a loro. 

Indipendenti, testardi, difficili da trattenere. Eppure se riuscivi a conquistare la loro fiducia, dopo sforzi e rischi, ti sarebbero rimasti fedeli, come amici, come fratelli. 

Era un po’ la sua storia, lei era sempre stata diffidente, ma quando qualcuno riusciva ad avere la sua fiducia, lei sarebbe rimasta al suo fianco per sempre. 

Il leone che era, in quel momento, a pochi metri da lei, era bellissimo. Aveva una folta criniera, uno sguardo solenne, come quello di un vero sovrano, quello del vero re della foresta. 

Aveva delle zampe enormi, e sembrava surreale avere un leone in carne ed ossa così vicino. 

La forte luce che emanava quel sole caldo, sbatteva sulla sua pelliccia, fornendo a chi lo guardava un’immagine forte e indimenticabile. 

Joseph continuava a fare foto, continuava a spiare ogni mossa della ragazza, ogni sua espressione di stupore, senza mai farsi vedere. La trovava bellissima. Bellissima e perfetta in quello sfondo incredibile che era la savana. 

Le aveva già fatto una ventina di foto senza che lei se ne accorgesse davvero, quando videro un branco di zebre attraversare la strada proprio davanti a loro. 

Le foto erano raddoppiate quando dei furetti li fissavano dal ciglio della strada. Claire costrinse l’uomo al volante a fermare la gip per osservare meglio quegli animali.

-Ma è Timon! – esclamò la ragazza, e scoppiarono tutti a ridere. 

-Sì, è proprio Timon! – confermò Marcus mentre Claire rubava la macchina fotografica al ragazzo. 

-Sono magnifici! –disse la giovane scattando foto in continuazione a quegli animaletti che le piacevano tanto. 

Così quando ripartirono Claire si avvicinò all’orecchio del ragazzo.

-Ora è il mio turno, mi hai fatto già abbastanza foto – gli sussurrò. Se ne era accorta, così Joseph per un attimo divenne rosso in viso. 

Gli scattò una foto, mentre era ancora sconvolto dalla sua “rivelazione”. 

Poi quando un ghepardo si avvicinò al loro mezzo di trasporto e Joseph stava morendo di paura, Claire non si fece scappare l’occasione per immortalare quel momento. 

Quando erano già le sei di pomeriggio arrivano alla loro meta: un’altissima acacia. Marcus aveva detto loro che quella era la più alta nel giro di centinaia di chilometri, e di sicuro la più antica. Era circondata da giraffe dal collo lungo e zampe fine. 

-Se volete potete scendere – disse la guida ai ragazzi, che non se lo fecero ripetere due volte.  – ma non allontanatevi troppo! 

I due annuirono prima di avvicinarsi al grande albero che affascinava entrambi. 

Joseph riprese, dolcemente, la macchina fotografica dal collo della ragazza, e cominciò a scattare foto. Poi la lasciò appesa al suo collo, e seguì Claire che avanzava tra quegli alti animali. 

-Ehi – le sussurrò afferrandole una mano. – stai attenta, ok? – disse premuroso, come mai nessuno aveva fatto con lei. 

La maggior parte delle giraffe li ignorava, mentre qualcuna, soprattutto le più vicine, continuavano a fissarli. 

-Questo è il regalo più bello che qualcuno mi abbia mai fatto, Joe – disse stringendo la mano del cantante, mentre continuava a guardarsi intorno e camminare verso il tronco dell’acacia. 

-Ne sono felice. – rispose il moro sorridendole. 

-Sul serio, Joseph. – sospirò cercando di trovare le parole adatte – mai nessuno ha fatto tanto per me. Tutto questo, è così perfetto da non sembrare vero.  – dopo qualche altro passo raggiunse il tronco dell’albero e ci si appoggiò. 

-Neanche io lo ricordavo così bello il safari, dall’ultima volta. –disse il moro. 

-Non si tratta soltanto del safari, si tratta di tutto, Joe. – ribadì. – si tratta del fatto che tu stia facendo tutto questo per me. Io, che non sono niente di particolare. Io, che non mi sono mai aspettata nulla da nessuno. –disse la ragazza. – Arrivo qui, dove pensavano che avrei soltanto lavorato, e mi ritrovo a vivere un’esperienza che mi sta facendo crescere, sotto qualunque punto di vista. – disse la ragazza che non riusciva ormai a tenere fisso il suo sguardo su quello del ragazzo per più di qualche secondo. 

-Ehi, sei più di quanto pensi Claire. – rispose il moro che si stava avvicinando sempre più alla ragazza. 

-Mi prometti una cosa, Joseph? – chiese la ragazza. 

-Tutto quello che vuoi. – disse il moro che continuava ad osservarla, a guardare attentamente ogni suo più piccolo dettaglio. 

-Promettimi soltanto che tra una settimana, quando te ne andrai, non cancellerai tutto. – affermò la ragazza – promettimi che questa non sarà per te soltanto una bella vacanza. Semplicemente, per quanto possa influire, promettimi che ti ricorderai di me. 

Quello, era il momento della verità. Quello era l’attimo che Joseph stava aspettando da tempo. In quel istante, in cui il sole stava calando sulla savana, le ombre degli animali si stavano allungando, il vento cominciava ad alzarsi, i suoni della natura si facevano più vivi, Joe su sopraffatto dalla paura. Un peso allo stomaco gli impediva di parlare, era bloccato, in un tutti i sensi, da qualcosa che sembrava più forte di lui. Voleva parlare ma non ci riusciva. 

-Mi ricorderò di te, Claire – disse il ragazzo, anche se quelle non erano le parole che avrebbe voluto pronunciare. 

Le lasciò un bacio sulla guancia e le sorrise, accarezzandole dolcemente una guancia con la mano. 

 

 

Era quasi il tramonto, e proprio durante il tramonto e l’alba la natura si risveglia e va a caccia. 

Va a caccia, perché ha fame; va a caccia perché non riesce a resistere senza cibo. La natura animale non era l’unica che si stava risvegliando. La natura umana, dall’altra parte del paese,stava preparando qualcosa. Qualcosa di inaspettato, qualcosa che era sempre stato represso. Qualcosa che avrebbe mischiato di nuovo tutte le carte in tavola. Qualcosa che, però, come quando si va a caccia, comporta del dolore. Perché si sa, se ci sono predatori, ci sono anche delle prede.

 






Buonasera! 
Sì, potete uccidermi se volete. Davvero! Non aggiorno da troppo, ma tra le ultime verifiche e i preparativi per Natale e tutto il resto non ho avuto 5 minuti liberi. Mi dispiace tanto! ç.ç 
Volevo farvi gli auguri di Natale qui, ma non ci sono riuscita ç.ç 
Quindi, anche se credo che riuscirò ad aggiornare prima, tantissimi auguri di buon anno nuovo! *come essere in anticipo*
Comunque, in compenso, questo capitolo anche se fa abbastanza schifo, è lunghetto (?) 
E come potete intuire sta per accadere qualcosa, su più punti di vista  u.u
Bene, mi dileguo! Fatemi sapere!
Un bacione, 
Marta <3



 

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Capitolo 15
*** Chapter 14: War ***



Chapter 14

 

War

 


Quali sono le cause che possono portare un uomo ad uccidere un altro essere umano? Ira, pazzia, invidia. 

Eppure quegli uomini che stavano camminando a passo svento e sicuro verso la piccola cittadina di Maun, non erano iracondi, né pazzi, né invidiosi. Avevano dentro di loro un altro sentimento, che non era poi così negativo come i precedenti. Loro avevano patito la fame, la sete, le malattie più tremende senza la speranza di cure, era stato detto loro che non ce l’avrebbero fatta. Era stato detto loro che sarebbero rimasti sempre a far parte del “Terzo Mondo”. 

Quegli uomini che erano sempre più vicini a quelle abitazioni, e che impugnavano pistole e mitra volevano soltanto una cosa: giustizia. 

Quegli uomini non sarebbero mai voluti arrivare a tutto quello. 

Non avrebbero mai voluto compromettere la vita di molti dei loro connazionali per delle ingiustizie di pochissimi.

Ma le armi ormai sembravano ormai l’unico modo per farsi sentire da chi dirigeva le miniere di diamanti dove lavoravano. 

Perché i paesi con più giacimenti di pietre preziose sono quelli meno sviluppati e più poveri?  Niente di più semplice: la mano d’opera è sottopagata. Così la popolazione si divide in pochissimi e ricchissimi e tantissimi e poverissimi. 

Quegli uomini non volevano nulla di particolare: soldi a sufficienza per mantenere se stessi e la loro famiglia al posto di quella paga con la quale era assolutamente impossibile sopravvivere. Per non parlare di chi era stato proprio licenziato e sbattuto in mezzo ad una strada la settimana prima.

A quegli uomini ora non rimaneva che attaccare le cittadine dove risedevano, nascosti, chi controllava le miniere dove lavoravano, e far scoppiare una rivolta . Una guerra civile. 

 

*

 

Erano le prime luci dell’alba quando Falala svegliò agitata Claire che ancora non riusciva a rendersi conto di cosa stesse succedendo. 

-Claire! Claire! Sveglia veloce! –disse percuotendola con foga. 

-Cosa c’è? – chiese assonnata la ragazza, rendendosi conto soltanto allora che tutte intorno a loro si stavano vestendo velocemente ed erano tutte parecchio spaventate. 

-Vestiti veloce, non ci devono trovare qui!  - disse la donna preoccupata prendendo dei jeans e una maglia a maniche corte dalla valigia della ragazza per farla sbrigare. 

-Chi? Chi non ci deve trovare ? – disse, ora preoccupata, la giovane. 

-Sbrigati! Sbrigati! – rispose la donna sventolandole davanti agli occhi i suoi vestiti.  Claire li afferrò e si vestì velocemente. 

-Mi dici cosa sta succedendo, però? – chiese ancora, e la donna che voleva nasconderle la situazione per non farla preoccupare. 

-È scoppiata la guerra civile – disse Falala. Claire sbiancò. 

-Stai scherzando vero? – chiese la ragazza terrorizzata. 

-Purtroppo no. Per via delle miniere di diamanti e dei licenziamenti della settimana scorsa. Uno dei proprietari della miniera di Orapa è qui a Maun, e lo sono venuto a prendere. – rispose la donna più in fretta possibile, mentre Claire ebbe ancora la lucidità mentale di prendere una felpa. Sarebbero rimasti per un bel po’ lontani dal dormitorio. 

-Dove dobbiamo andare? – disse la giovane spaventatissima, mentre cercava di non farsi sopraffare dalle emozioni.

-Abbiamo deciso di stare tutti insieme nell’area ricreativa. Ci chiuderemo dentro e faremo sembrare che il resto dello stabilimento sia vuoto. – la informò Falala. 

-Allora andiamo – disse la ragazza stringendo la mano alla donna che la aveva sempre aiutata. 

Il tragitto a piedi tra il dormitorio e l’area ricreativa sembrò a Claire durare ore invece che secondi. Il cuore era a mille, aveva paura, tantissima paura. Non sapeva niente di quel che sarebbe potuto succedere. 

Avrebbe potuto rimetterci la vita. Sarebbe potuto essere compromessa ogni cosa per un colpo di pistola sbagliato. Non si trattava solamente di lei ormai. Si trattava di ogni bambino lì, si trattava di Ike, di ogni donna e uomo del personale, di Falala. Si trattava di Joseph. 

Falala bussò due volte alla porta dell’area ricreativa dicendo qualcosa nella loro lingua che Claire non capì. Cominciò a sentire colpi sparati in aria e rabbrividì. Infine, presa fermamente da Falala, entrò nello stabilimento che era completamente al buio. Ogni finestra, ogni più piccolo spiraglio era stato chiuso. Nessuno doveva sapere che erano lì. Dovevano essere invisibili agli occhi e alle orecchie. 

La prima cosa che si domandò entrata lì dentro fu se Joseph e Ike fossero lì. Doveva cercarli. Si guardò intorno cercando di far abituare gli occhi a quell’oscurità. 

Ma prima che potesse davvero cominciare a cercarli sentì delle voci al di fuori dello stabile. Voci che strillavano, che urlavano. Colpi di pistola sparati in aria. Claire trattenne il respiro per svariati secondi. Si sentì sul punto di svenire più di una volta. Ma doveva essere forte, e non doveva far rumore. 

Altri due uomini sembrarono aver raggiunto quelli che erano già sul posto. Poi all’improvviso, la maniglia della porta si abbassò, più e più volte. Altre parole incomprensibili. 

Un attimo di silenzio. Paura, tensione. 

Claire indietreggiò di due passi. Qualcuno la abbracciò da dietro, e prima che la ragazza si mettesse ad  urlare il ragazzo alle sue spalle parlò.

-Sono io, tranquilla- le sussurrò Joseph all’orecchio. Claire rimase immobile per un attimo. 

La porta cominciò ad essere colpita e percossa dall’esterno. Ancora altre parole urlate di un uomo, che Claire continuava a non capire. 

La ragazza si girò e abbracciò così forte il cantante da fargli perdere il respiro. Ne aveva bisogno. Aveva bisogno di qualcuno che la rassicurasse, che le volesse bene, che fosse la sua luce in quella stanza buia, aveva bisogno di una casa in tempo di guerra

L’uomo lì fuori percosse di nuovo la porta. Un altro colpo di pistola e qualche frase gridata in un linguaggio incomprensibile. 

-Non preoccuparti, va tutto bene – sussurrò il moro guardando negli occhi la ragazza, che, nonostante la quasi inesistente luce, riusciva a distinguere i tratti del ragazzo. 

-Ho paura – bisbigliò la ragazza, in lacrime, così piano quasi da non riuscire a sentire le sue parole. 

-Non devi averne, ci sono qui io – sussurrò di nuovo Joseph, carezzando dolcemente la guancia della ragazza. 

Successe tutto in un attimo. 

Joseph poggiò le sue labbra su quelle di Claire, e la baciò. Un bacio lento, delicato, rassicurante. Assaporarono l’una il sapore dell’altro. Dimenticarono tutto. In quel momento, per quei due ragazzi, nonostante fossero nel bel mezzo di una guerra, esisteva soltanto l’amore. Claire credé per un attimo che il cuore le uscisse dal petto, e Joseph stentava quasi a credere a quello che stava succedendo. 

Poi, come in un sogno, sentirono gli uomini che stavano cercando di entrare dove era erano nascosti, allontanarsi a passi pesanti. Se ne erano andati, almeno per ora.

Le loro labbra si staccarono le une dalle altre, e i due ragazzi si guardarono come stupiti da tutto quello che era successo in quegli ultimi trenta secondi. 

Prima che uno dei due riuscisse a dire qualcosa qualcuno si attaccò alla gamba della ragazza. 

-Ike – sussurrò la ragazza, prendendo in braccio il bimbo che, se pur spaventato, al contrario suo, non stava piangendo. Ike la abbracciò forte. In quel gesto c’era tutto il terrore di quel bimbo, e tutti i suoi più brutti ricordi. 

-Non avere paura, Ike. Ci sono qui io. – sussurrò la ragazza, ripetendo le stesse parole che le aveva detto il cantante. – ci siamo qui noi. – si corresse, Joseph le sorrise e carezzò dolcemente la testolina del bambino che abbracciava Claire. 

Chi avrebbe mai detto che in una guerra sarebbe potuto nascere amore?









Ebbene, ci siamo. 
Io proporrei un applauso per Joseph che ce l'ha fatta  AHAHAH 
Per tutto il resto, avevo deciso fin dall'inizio che ci sarebbe dovuto essere tutto questo. 
Ovviamente, è tutto frutto della mi immaginazione, non c'è nulla di vero. Tranne per il fatto che c'è davvero una miniera di diamanti a Orapa. 
Spero che non sia uscita fuori una completa schifezza. Io non posso giudicare, sono coinvolta emotivamente (?)
Bene, direi che è ora di tornare a fare i compiti. 
Fatemi sapere che ne pensate!
Un Felicissimo 2013 a tutti ragazze, e grazie per tutto, sul serio! 
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 16
*** Chapter 15: I trust to you ***



Chapter 15

 

I trust to you

 



Ike dormiva già da un po’, tra tutti i bambini dell’istituto. Nonostante fossero un po’ scossi sembravano non essere poi così sconvolti da quei colpi di pistola, almeno non quanto lo fossero Claire e Joseph. Forse, pensò la ragazza, erano abituati. 

Gli uomini che stavano pattugliando Maun a colpi di pistola, almeno per quel momento, si erano spostati dall’altra parte della città. Non sarebbero comunque potuti uscire dall’area ricreativa. Dovevano rimanere insieme. Ancora non sapevano per quanto tempo, ma dovevano rimanere lì dentro. Le provviste erano scarse. Soltanto qualche caramella e qualche biscotto. La mensa era dall’altra parte del grande complesso che era l’orfanotrofio. 

Non potevano uscire da lì, ma il giorno dopo, almeno qualcuno doveva farlo. Altrimenti avrebbero trascorso tutti un altro giorno a digiuno. Ma quella era la cosa meno preoccupante. Le medicine erano indispensabili e qualcuno doveva andarle a prendere, altrimenti il piccolo Asad avrebbe rischiato la vita senza la sua insulina, a causa del suo diabete. Altrimenti la ferita della donna che era caduta per arrivare all’area ricreativa la mattina stessa, si sarebbe infettata. Oppure Amir, con la sua malattia al cuore, avrebbe rischiato tanto senza le sue medicine, soprattutto in una situazione come quella. Le medicine erano indispensabili, quasi più del cibo. Sperando sempre che nessuno avesse fatto razzia di tutto quello che avevano. Fortunatamente tutti avevano la loro dose giornaliera di medicinali indispensabili, quindi anche quella questione poteva essere rimandata al giorno dopo. 

Almeno lì, nel centro ricreativo, avevano coperte e tappetini per la notte per tutti. Ognuno si trovò un posto, nel grande open-space. C’era un silenzio surreale quando Claire si girò a guardare se Joseph fosse ancora in piedi. 

Aveva avuto paura, e ancora aveva terrore di tutta quella situazione. L’unico che sarebbe riuscito a tranquillizzarla era lui. 

Non si erano detti più nulla su quel bacio, anche se durante tutto il giorno non si erano staccati l’un l’altra per nessuna ragione al mondo. 

Lo vide poco distante parlare con Asad. La ragazza prese la candela accesa che avevano permesso loro di accendere, poiché era tutto chiuso quindi non c’era pericolo che si vedesse qualcosa al di fuori. Mentre si avvicinava a Joseph, sentì le parole di conforto sussurrate al ragazzino. 

-Secondo te andrà tutto bene? – chiese Asad, visibilmente preoccupato.  Il ragazzino guardò a terra, poi rivolse lo sguardo al suo amico.

-Certo che andrà tutto bene! Mi devi la rivincita a calcio, me l’hai promessa. Quindi andrà tutto benissimo. – lo rassicurò Joe. 

-Continui ad essere una schiappa, quindi non c’è speranza che tu vinca! – rispose il ragazzino facendo ridere il cantante che si piegò sulle ginocchia per guardare il ragazzino negli occhi. 

-Allora facciamo così – cominciò Joe – mi prendi in squadra con te, così ho qualche speranza in più! Non sarà una rivincita contro di te, ma almeno avrò la vittoria in tasca! – rispose il ragazzo – Ci stai? – disse tendendogli la mano. 

-Ci sto, schiappa. – disse Asad stringendo la mano del giovane. –Ah! – continuò il ragazzino mettendosi una mano davanti alla bocca per non far vedere cosa stava dicendo – complimenti per la tua nuova ragazza, è davvero bella! – così dicendo gli fece un occhiolino, proprio nel momento in cui Claire era arrivata a meno di un metro da lui.

-Stai attento tu, pulce! Fila a dormire! – disse Joseph divertito, mentre scuoteva la testa. Asad ridendo si spostò di qualche metro e di distese sul suo tappetino. 

Claire sorrise al cantante. Joseph credé di nuovo di aver visto un angelo. Gli capitava sempre quando la vedeva sorridere. 

-Cosa è successo? – gli chiese

-I bambini continuano a sorprendermi. – disse Joseph. 

-Già, succede anche con me! – rispose la ragazza. – mi chiedevo … - cominciò Claire camminando verso lo studio. – se ti andasse di dormire con me. Nel senso, affianco a me. Soltanto dormire. – Claire tremava ad ogni parola, continua a sistemarsi i capelli dietro le orecchie, e sembrava davvero nervosa.

-Certo che mi va di dormire con te – disse Joseph – dove ci mettiamo?

-Io avevo pensato – cominciò la ragazza, che aprì la porta dello suo studio, dove aveva già preparato coperte cuscini e tappetini. – qui. Non l’ha preso ancora nessuno lo studio, quindi credo che possiamo anche metterci qui. 

-Certo – disse il ragazzo sedendosi a terra, togliendosi le scarpe e poi distendersi sotto le coperte. La stessa cosa fece Claire che continuava a tenersi distante da Joseph. 

 -Scusa se ti ho chiesto di dormire con me. È che … ho paura. Soltanto il fatto che uscendo da qui potrei beccarmi una pallottola, o che chiunque sia qui potrebbe stare male, fa stare male me. Lo so, per ora non c’è pericolo, ma potrebbe accadere di tutto. A me, a Ike, a Falala. A te. Se succedesse qualcosa a te, non me lo perdonerei mai. 

-Ehi – disse Joseph accarezzando dolcemente la guancia di Claire – Per prima cosa devi stare tranquilla, ok? Non succederà niente a nessuno. Te lo assicuro io. Ti fidi di me? 

-Sì, mi fido di te Joe. – rispose la ragazza guardandolo negli occhi.

-Allora, stai calma e andrà tutto benissimo. – ribadì Joseph portando la mano di Claire, che era intrecciata con la sua, alle sue labbra e la baciò con dolcezza.

-Posso farti una domanda? – disse la ragazza. 

-Tutto quello che vuoi  - rispose il moro. 

-Quello che è successo stamattina, per te, è stato soltanto un errore, oppure no? – chiese la ragazza abbassando lo sguardo, e cercando di evitare gli occhi del cantante. Si riferiva al bacio, era palese comprenderlo.

-Come ti vengono in mente queste idee, Claire? – chiese Joseph, retoricamente, ma per un attimo la ragazza non seppe cosa pensare. – Probabilmente non te ne sei resa conto, ma volevo farlo dal momento in cui ti ho vista. Volevo che accadesse sotto quell’acacia, in mezzo a quelle giraffe; o fuori dai dormitori, praticamente ogni sera; oppure mentre mi medicavi la ferita in infermeria, o quando ti parlavo del mio tatuaggio una delle prime volte in cui avevamo parlato davvero, e anche quando sei venuta a complimentarti dopo che ho cantato davanti a tutti. Ora, credi davvero che per me sia stato soltanto uno sbaglio, e non qualcosa che volevo fare da tempo? – disse il moro sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio e posando subito dopo le labbra sopra le sue. 

Un bacio dolce, come se fosse la cosa più preziosa che avesse, la cosa più preziosa a cui aggrapparsi. Un bacio desiderato, ma delicato. Un bacio insicuro per Claire, perché era ancora troppo insicura di se stessa, ma che nonostante tutto, si sentiva bene. Si sentiva bene, perché amata. Ma nello stesso tempo aveva paura, paura che tutto le potesse essere tolto da un momento all’altro, che tutto potesse svanire proprio nel momento in cui diventava più importante. 

Claire piangeva da un po’ quando le loro labbra si staccarono, e lei si rifugiò al sicuro tra le braccia del ragazzo che la cullava e la rassicurava dolcemente. 

-Grazie – sussurrò quasi impercettibilmente la ragazza. 

-Per cosa, piccola? – domandò dolcemente al suo orecchio. 

-Per essere l’unico ragazzo che mi abbia mai voluto accanto davvero. – disse Joseph, coccolandola ancora un po’. 

-Beh, allora che i ragazzi che ti circondavano o erano ciechi, oppure deficienti. – rispose il moro sorridendole, dopo che lei gli avesse rivolto un altro sguardo. 

-Erano stronzi – disse Claire, Joseph sorrise per la spontaneità della ragazza – sapevano usarmi come volevano, e poi quando si stufavano, per loro io sarei potuta anche morire. Sembravano tutti stronzi, tutti uguali. Poi è arrivato un ragazzo, troppo bello, troppo dolce, troppo perfetto, e così mi sono innamorata davvero. Il problema è che si è rivelato uno stronzo anche lui, visto che l’ho trovato a letto con la mia ex migliore amica. Da quel momento, che è stato precisamente il pomeriggio del mio ultimo giorno di liceo, non mi sono più avvicinata ad un ragazzo, e avevo deciso che non avrei mai più avuto uno, perché sarebbe sempre andata a finire così e che quindi avrei dato tutta me stessa nello studio, e così è stato. Poi, ecco, un cantante dal bellissimo sorriso e dal cuore enorme, che avevo giudicato prima di conoscere, mi ha fatto cambiare idea.

-Dev’essere proprio un tipo speciale se è riuscito a farti cambiare idea … - osservò Joseph sorridendo. 

-Lo è. È davvero speciale. – rispose Claire lasciando un bacio stampo sulle labbra del ragazzo. 

Non ci volle molto, si scambiarono qualche altra parola, qualche altro bacio fugace, e in poco tempo si addormentarono. 

 

 

I cerchi provocati dalle prime due gocce cadute dal cielo in mare all’inizio del temporale si erano incontrati, più volte, in più punti. Si erano incontrati e quindi avvicinati, fino ad arrivare a toccare il centro del cerchio d’acqua. Cerchi che nonostante tutte le altre gocce del temporale che si stavano rovesciando in quel mare agitato, non avevano fatto a meno di volersi. Quei due cerchi però dovranno vedersela anche con il risultato di tutte le altre gocce con le quali saranno in contatto, e non tutte saranno pacifiche. Ma saranno così forti da annullare uno dei due cerchi? 









Buongiorno! 
Ecco, io invece di dormire scrivo queste cose. In realtà volevo farlo un po' più lungo questo capitolo, e terminarlo in un altro modo, ma ho deciso di staccare le due parti u.u 
Comunque, potete esultare felicemente per Claire e Joseph. Sì, si amano quei due ç.ç 
Un grazie infinite a tutte le recensioni, davvero, siete fantastiche! 
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 17
*** Chapter 16: Explosion ***



Chapter 16

 

Explosion 

 

 

La miniera di Orapa era una multiproprietà: alcune aziende statunitensi e i pochi proprietari botswani del giacimento si erano accordati al meglio per esportare i diamanti allo stato grezzo e guadagnare il massimo sotto ogni punto di vista. 

Nessuno poteva scappare e nessuno sarebbe potuto uscire da quella e da molte altre città per almeno un mese perché strade,treni e aeroporti erano stati bloccati. Quindi, in un mondo o nell’altro, quegli uomini, iniziatori di quella guerra, avrebbero scovato chi cercavano.  

I proprietari del luogo potevano essersi nascosti ovunque, non li avrebbero trovati facilmente a meno che qualcuno non avesse fatto la spia; invece i capi delle aziende statunitensi sarebbero stati più facili da stanare. Perché? Perché erano bianchi. 

Gli unici uomini bianchi lì a Maun potevano essere soltanto di due, o massimo tre tipi. O volontari, o fotografi, oppure, imprenditori aziendali. 

Ma loro non avrebbe fatto differenze tra tre categoria, infatti l’ordine era uno solo: sequestrare, o un occorrenza uccidere ogni uomo bianco. 

Questo, però, né Claire né Joseph lo sapevano, altrimenti il ragazzo, in quel momento, non sarebbe uscito dall’area ricreativa per andare in infermeria per prendere le medicine necessarie a tutti loro. 

-Forza, forza! – esclamò il ragazzo per far velocizzare Dinari nell’apertura della busta di carta che avevano portato con loro, che doveva servire per mettere le medicine che stavano buttando alla rinfusa dentro il sacchetto. 

Passavano da uno sportello all’altro, prendendo tutte le medicine che si trovavano sotto mano,  ringraziando il cielo per il fatto che fossero ancora tutte lì e nessuno le avesse viste.

In pochi minuti cedettero di aver preso tutto, si guardarono intorno un’ultima volta per poi prendere con decisione le buste che avevano riempito e uscire furtivamente dall’infermeria. 

Il tragitto non era particolarmente lungo, ma sembrò durare ore. 

Nel frattempo Claire li osservava attraverso un piccolo spiraglio della porta, aveva il cuore pulsante il gola. Credé che non le avesse mai battuto così forte. 

Pregò, tentò di calmarsi e abbracciò Ike dicendo che stesse andando tutto bene. Stava cercando di convincere se stessa più che il bimbo. Quando li vide uscire da quella porta e correre verso il centro ricreativo socchiuse la porta dello stabilimento. Aveva una strana sensazione, come il presentimento di aver dimenticato di dire qualcosa a Joseph. 

Soltanto quando si ritrovò il ragazzo sull’uscio della porta, ricordò cosa avesse dimenticato di dirgli poco prima. 

-Joe, Joe, hai preso l’insulina? – chiese agitata e tremante mentre gli prendeva le buste pieni di medicina dalle mani

-Non lo so, abbiamo preso di tutto – rispose velocemente e con un leggero fiatone che faceva gonfiare e sgonfiare ritmicamente il suo petto. 

-Stava nel cassetto più in alto sulla destra, quello chiuso a chiave. – disse Claire, dopo aver appoggiato le due buste all’interno della stanza e dopo che Dinari fosse rientrato nell’open-space. 

-Ok, torno subito. – disse Joseph, le lasciò un bacio stampo fin troppo fugace sulle labbra, e prima che Claire potesse controbattere o aggiungere altro, il ragazzo si trovava già a metà strada. 

-Non, aspetta, non  …  - cercò di gridare, ma terminò in un sussurro - andare …

Aveva vissuto i dieci minuti precedenti in agonia, e non voleva avere così tanta paura di nuovo. 

Joseph non se lo era fatto ripetere due volte, sapeva cosa significasse non avere l’insulina per un diabetico. Nicholas, suo fratello minore, aveva il diabete di tipo 1, e sapeva che non avere l’insulina, per Asad, che aveva la stessa malattia di Nick, avrebbe significato una condanna a morte.

Un uomo, mandato a pattugliare la zona, con una pistola in mano e qualche granata nelle innumerevoli tasche del suo giubbino mimetico, vide il ragazzo. Vide Joseph, un ragazzo bianco, correre da una parte all’altra di quel grande complesso che era l’orfanotrofio. 

Joseph era entrato di nuovo nell’infermeria, e, dopo qualche interminabile minuto, aveva trovato la chiave del cassetto, chiedendosi perché il dottor Smith li chiudesse a chiave. Prese tutto quello che c’era lì dentro, scaraventandolo in una busta. 

Prese un respiro profondo prima di uscire di nuovo all’esterno e ricominciare a correre. Claire sospirava sempre più faticosamente, terrorizzata e impaurita da quello che sarebbe  potuto succedere.

L’uomo che nessuno aveva notato, ma che aveva visto Joseph entrare nell’infermeria poco prima, non ci pensò su oltre. Non sarebbe riuscito a ferirlo con un colpo di pistola, perché era in movimento, quindi optò per una bomba. Prese una granata, rimosse velocemente l’anello della spoletta, e la lanciò verso il bersaglio.  

Successe tutto così velocemente da sembrare un sogno, un incubo. 

La forte esplosione, un grido, lacrime. Joseph giaceva a terra, e Claire che correva verso di lui. 

 

Un’esplosione è così forte da annullare un amore? 













Buonasera! 
Bene, adesso potete anche uccidermi felicemente. Sì, potete cacciare  fuori pistole e bombe a mano. Però ... però ... ricordate che se mi uccidete vivrete per sempre nel dubbio. *tenta di giustificarsi* 
In ogni modo, lo so, il capitolo è corto, ma doveva essere parte dello scorso capitolo. 
Una buona Epifania a tutti, per domani! :D 
E mi sento in dovere di ringraziare tutte voi ancora una volta! davvero grazie mille per tutto quello che fate! 
Questa storia mi sta dando davvero tante soddisfazioni, e battendo i miei record di recensioni (?) visto che ne ha più di un centinaio già in quindici capitoli, e questo lo devo soltanto a voi. 
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 18
*** Chapter 17: I’m in love with you. ***




Chapter 17

 

I’m in love with you.

 


 

Claire si scaraventò a terra, piangendo. C’era sangue ovunque, troppo sangue. La ragazza tremava non sapendo cosa fare. Gli anni di studi di medicina erano andati a farsi fottere in quel momento. 

Prese un respiro, mentre tutte le immagini cominciavano a essere sempre meno nitide e precise. Aveva paura, il cuore le andava a mille, e continuava a pronunciare il nome del ragazzo dal braccio e dal fianco sinistro ustionati e dagli occhi chiusi. 

-Joseph, Joe, Joe, Joseph svegliati. – gridò Claire freneticamente. Poggiò indice e medio della mano destra sul collo del ragazzo, e lasciò andare altre lacrime quando scoprì che il suo cuore batteva ancora.  

L’uomo che aveva lanciato la granata, dopo aver assistito a quella scena, si era dileguato, era scappato a gambe levate e impaurito. Si era accorto di aver fatto qualcosa di più grande di lui. 

-Joseph, ti prego – sussurrò in un lamento sordo Claire afferrando la mano del ragazzo. – Ti prego, non lasciarmi, non lo fare. 

La ragazza non riusciva a fare niente, soltanto a sussurrare parole strozzate dal pianto. 

Così, d’improvviso mentre gli ripeteva di aprire gli occhi, e gli stringeva la mano più forte, gli occhi stanchi del ragazzo si aprirono lentamente. 

-Joe. – sussurrò così piano da non riuscirlo a sentire 

-Claire – disse piano, così piano che quel filo di voce arrivò a malapena alle orecchie della giovane. 

-Tranquillo, andrà tutto bene Joe, te lo prometto – lo rassicurò lei lasciandogli un veloce bacio stampo sulle labbra sporche in parte di sangue. Joe le sorrise debolmente.

La ragazza si asciugò le lacrime con un braccio, e si girò gridando tanto forte quanto i polmoni le permettevano.

-DIANRI!- urlò e in pochi secondi l’uomo che osservava quella scena da un po’ senza fare nulla arrivò alle spalle della giovane donna. 

-Aiutami a portarlo nello studio, adesso! – disse Claire, quando le sue lacrime si erano trasformate in rabbia. Aveva fatto mutare la sua paura, in grinta. Joseph l’aveva salvata da se stessa, dalle sue paure, dal suo passato, ora, toccava a lei salvare il ragazzo. Claire si alzò da terra, dopo aver preso la busta dell’insulina che Joseph era andato a riprendere. 

Dinari senza che la ragazza aggiungesse altro prese un Joe dolorante in braccio, e seguì Claire, l’unica ad aver avuto il coraggio di andare dal cantante, la quale entrò nell’area ricreativa. 

-Dottor Smith! – chiamò, con ancora le lacrime agli occhi, e si vide comparire l’uomo affianco a lei. – mi serve il suo aiuto, dottore. Ha bisogno d’aiuto. 

-Me ne occuperò io, stai tranquilla Claire. – la rassicurò l’uomo di mezz’età che le rivolse un sorriso rassicurante. 

La ragazza aprì la porta dello studio e fece cadere tutti i documenti che c’erano sulla scrivania per terra. Prese velocemente una coperta e un cuscino tra quelli usati proprio da Claire e Joseph la sera prima e li sistemò sulla scrivania. 

Dinari poggio il più delicatamente possibile il ragazzo dolorante sulla scrivania che gli avrebbe fatto da lettino per quella volta. 

Il dottor Smith analizzò velocemente la situazione, e quando tentò di spostare il braccio sinistro Joseph cacciò un urlo. 

-Ha un’ustione tra il secondo e il terzo grado al braccio sinistro, e un’altra ustione al fianco sinistro sempre tra il secondo e il terzo grado. Fortunatamente, non particolarmente estese. C’è bisogno di un’anestesia totale che duri circa due ore. Bisogna detergere le ustioni e coprirle con un teli sterili, e sperare che non ci siano ripercussioni. Se passano 72 ore senza problemi bisognerà soltanto stare attenti a non far infettare nulla, quindi basterà cambiare la fasciatura e il gioco sarà fatto. – illustrò velocemente il dottor Smith. –vuoi che chiami qualcuno ad assistermi, o credi di farcela tu, Claire?- domandò Mr. Smith vedendo la ragazza particolarmente coinvolta in quella situazione. 

-Ce la faccio io dottore, non si preoccupi. – disse Claire andandosi a procurare tutto il necessario per quella intensa medicazione. 

Ce l’avrebbe fatta, gliel’aveva promesso, sarebbe andato tutto bene. Lei era lì, e non lo avrebbe lasciato andare per nessun motivo. 

 

*

 

Era piena notte. Claire sedeva sulla sedia dello studio, e non perdeva di vista Joseph per nessuna ragione al modo. Doveva ancora svegliarsi, era stato addormentato e poi sedato, era normale che ancora non si riprendesse. La medicazione era durata due ore esatte, due ore di tensione e pura paura per Claire che, come un vero medico, nonostante tutto quello che era successo, aveva cercato di prendere la situazione sotto mano, fin dall’inizio. 

Si era promessa soltanto una cosa, solo una cosa da fare nel momento in cui si sarebbe risvegliato. 

Aveva messo apposto quel gran casino che era diventato il suo studio, e non aveva  né mangiato né chiuso occhio, né aveva intensione di farlo per i successivi due giorni. Doveva stare con lui, tenerlo sotto controllo, non poteva abbandonarlo, neanche per un secondo. 

Chi avrebbe mai detto che qualcuno di cui, fino al mese prima, non sapeva neanche l’ esistenza, sarebbe diventato così fondamentale per lei. 

Poi, da quando, circa tre ore prima, gli si era alzata la febbre fino a 39 gradi, era entrata nell’ansia e nell’agitazione più assoluta. 

Proprio nel momento in cui era rientrata nello studio con un pezzo di stoffa che era appena andata a bagnare per appoggiare sulla fronte fin troppo calda del ragazzo sentì qualcuno che le tirava verso il basso la maglia che indossava. 

Guardò in basso e vide il piccolo Ike guardarla preoccupato. La ragazza gli sorrise, poggiò il tessuto sul mobile più vicino e si abbassò all’altezza del piccolo. 

-Ike, che ci fai sveglio quest’ora? – sussurrò la ragazza. 

-Joe, come sta? – chiese il piccolo ignorando completamente la domanda di Claire. 

-Joe? – disse la ragazza prendendo in braccio Ike e avvicinandosi alla scrivania dove era disteso il giovane. – Joe sta bene, ha soltanto qualche piccola ferita, ma niente di grave. Sta bene, non preoccuparti Ike. – Le vennero gli occhi lucidi a pronunciare quelle parole che non sapeva fino a che punto potessero essere vere. - Ora andiamo a dormire, ok Ike? – disse la ragazza tornando all’open space dell’area ricreativa e riportando il piccolo al suo tappetino. 

-Resti con me? – chiese il bimbo. 

-Non posso Ike, Joe ha bisogno di me. Ma tu stai tranquillo ok? E dormi, piccolino. Ti voglio bene, Ike. – disse lasciando un bacio sulla guancia al bambino. 

-Ti voglio bene anche io – rispose il bambino prima di distendersi di nuovo al suo posto. 

Claire sospirò e tornò nello studio, chiudendosi la porta alle spalle e abbozzando un sorriso a se stessa. Proprio nel momento in cui riprese in mano il telo intriso d’acqua per Joseph, sentì un colpo di tosse. 

Si girò, con il cuore battente, e andò verso il giovane che si sorprese di vedere con gli occhi aperti. 

-Claire … - sussurrò il ragazzo afferrando con la mano destra la mano della ragazza, che scoppiò a piangere. 

-Ti amo, Joseph. Ti amo da morire, Joe – disse la ragazza stringendo la sua mano più forte e baciandola dolcemente dopo averla portata alle sue labbra. Era quello che si era promessa di fare. Non gliel’aveva ancora detto, non gli aveva detto di amarlo. Ma lì, in quel mondo in cui non sapevano neanche se sarebbero arrivati all’indomani, non avevano tempo per aspettare o farsi domande. 

-Oh Claire … – bisbigliò il ragazzo, baciando ora lui la mano della ragazza, dopo aver lasciato cadere una lacrime di troppo. – ti amo anche io, Claire. 

La ragazza si avvicinò al cantante, e poggiò le sue labbra su quelle del giovane uomo. Era un bacio dolce, stanco ma desiderato più di ogni altro, proprio come se fosse l’ultimo








Buonasera! 
Come è andato il primo giorno dal rientro dalle vacanze? Il mio è stato abbastanza traumatico. E ho anche deciso di suicidarmi andando volontaria in filosofia domani! Che bellezza! 
Comunque, l' avete aspettato abbastanza questo capitolo, visto come vi ho lasciate con lo scorso. Come sempre, non anticiperò nulla, perché non è ancora detto nulla ........ 
Per la canzone, ho messo la stessa dello scorso capitolo, ma la versione estesa, perché mi sembra particolarmente adatta; e poi mi ci sono abbastanza fissata, e non conosco nient'altro dei 30 seconds to mars, quindi non so neanche come sia successo AHAHAH 
Comunque, mi dileguo, senza sapere quando tornerò! Le prossime tre settime saranno l'inferno per me, ma mi farò avere qualcosa, promesso! 
Un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 19
*** Chapter 18: Let him live ***



Chapter 18

 

Let him live 
 

 

Claire si svegliò di soprassalto quando il dottor Smith le poggiò una mano sulla spalla. Le dita della  mano destra della ragazza erano ancora legate con quelle di Joseph, e lei sedeva affianco al giovane e nel momento in cui la notte appena trascorsa si era appoggiata al bordo della scrivania e aveva chiuso per un attimo gli occhi, si era addormentata. Era troppo stanca, stressata, agitata da tutta quella situazione. Era troppo coinvolta per non essere stremata e crollare all’improvviso in quel modo. 

-Tutto bene, Claire? – le chiese dolcemente il dottore. 

-Bene. – disse lei con voce ancora impastata dal sonno, e poi guardò Joseph che non stava esattamente bene, anzi. Ansimava e sembrava che gli fosse tornata la febbre alta ancora una volta. 

-Joe come è stato stanotte? – domandò l’uomo alla ragazza. 

-Ha avuto la febbre. A volte gli si abbassava, ma ci sono stati momenti in cui era davvero alta. – rispose Claire, nel frattempo il medico aveva preso il termometro per misurare la febbre al paziente ancora una volta: 40°. Era alta, di nuovo. Controllò le fasciature e vide che c’era qualcosa che non andava: troppo sangue. 

-Credo che le ustioni si siano infettate, almeno un po’. Bisogna cambiare i teli, vedere com’è la situazione, e dargli un antibiotico. – annunciò il medico, e Claire ebbe un tuffo al cuore. Infezione? Avanti, non poteva essere possibile. Non poteva stare male, la situazione non poteva peggiorare, non doveva. 

-Sicura di sentirtela, Claire? Ti vedo stanca, non è meglio che tu dorma almeno un po’? – chiese il dottor Smith alla ragazza fin troppo bianca in viso e dalle occhiaie troppo scure. 

-No, assolutamente no. Ce la faccio, ce la faccio. – disse alzandosi in piedi e prendendo i teli sterili che sarebbero serviti loro. Quell’ora e mezza di sonno le sarebbe bastata, se la sarebbe fatta bastare, in un modo o nell’altro. 

Joe ansimava, respirava affannosamente e sussurrava parole senza senso, anche se Claire poteva giurare di averlo sentito più di una volta pronunciare il suo nome. 

 

*

 

Le ferite erano infettate, Joe aveva perso molto sangue, e la febbre non si era abbassata neanche durante il pomeriggio. 

Joseph straparlava, e diceva di aver paura “del soffitto che gli cadeva addosso”. Soltanto quando la febbre gli si abbassò di un po’, quelle allucinazioni si placarono. 

Era già alla terza dose di antibiotico, quando Claire si ritrovò per il secondo giorno consecutivo seduta affianco a lui, con soltanto un biscotto, che era stata obbligata a mangiare da Falala, nello stomaco e grandi occhiaie. Gli stava mettendo al braccio l’ago per la flebo quando si chiese quali fossero i veri risultati di quella guerra civile. Non ne aveva avuto notizie, né le aveva chieste, non ne aveva avuto neanche il tempo. 

Sapeva però, che quella guerra non le avrebbe portato via Joseph, non poteva succedere. 

C’era stato un momento quella mattina in cui aveva davvero creduto di perderlo. C’era stato un peggioramento, una perdita di sangue troppo alta, e la situazione sembrava essere scivolata di mano sia da Claire che dal dottor Smith. 

La ragazza non riusciva quasi più a muoversi, e aveva cominciato a piangere pensando all’eventualità più negativa che si potesse arrivare a pensare. 

Il dottor Smith l’aveva smossa da quella situazione, l’aveva convita che senza il suo aiuto non ce l’avrebbe fatta, le aveva detto di reagire, perché era l’unica cosa da fare in quel momento. Le aveva detto che un vero medico non si fa mai vincere dalle emozioni nel momento più critico.
Appassionato ma distaccato. Ecco come doveva essere un vero medico. 

Infine erano riusciti a placare quel sangue, erano riusciti a finire quella medicazione, e ora non restava che sperare per il meglio. La sua vita continuava ad essere appesa ad un filo. 

Quando, durante quella notte, una fioca luce proveniente dall’area ricreativa illuminò il braccio destro del ragazzo, in particolare, il suo tatuaggio, Claire non poté far a meno di sorridere. 

Ricordava quando gliene aveva parlato. Era stata la prima vera volta in cui non lo aveva visto più sotto la stessa prospettiva. 

Una frase di tutto quel discorso, che le aveva fatto sul significato di quel simbolo africano, era rimasta stampata nella sua mente, come inchiostro indelebile su una pagina bianca. 

Ogni giorno è una nuova occasione per far sorridere qualcuno, e nessuna occasione va sprecata.

Soltanto da quella frase si poteva capire chi fosse davvero Joseph Jonas, e quanto la sua voglia di vivere fosse forte. 

Possibile che un Dio, lassù, volesse morto un ragazzo del genere? Vorrebbe riportarlo a sé, senza fargli rendere felici quante più persone possibili? 

Claire non parlava mai con Dio, durante la sua infanzia non era stata affatto sollecitata a farlo. 

Credeva che ci fosse lassù qualcuno, ma a volte non capiva proprio perché accadessero certe cose. Quindi, semplicemente, non ci parlava, ma quella parole le uscirono dalla bocca prima che ci potesse pensare oltre. 

-Non farlo, non farlo anche stavolta. C’è bisogno di lui qui, ce ne è davvero bisogno. Io non sono l’unica ad avere bisogno di Joe. Assicuro che io farò del mio meglio per rendere questo mondo un posto migliore, e lui lo sta già facendo da tempo e lo continuerà a fare. Vuoi il bene dell’umanità, non è forse vero? Farò quanto posso per rendere felici tutti, se solo tu lo lascerai vivere. – parlò con voce bassa e lenta la ragazza, mentre le lacrime scendevano lungo le sue guance senza chiedere il permesso. 

 







Buonasera! 
Sono riuscita a riemergere dai compiti per scrivere questo capitolo abbastanza treste e insgnificante. 
Lo so, è di passaggio. E voi direste "un capitolo di passaggio in una situazione simile?!" esattamente, un capitolo di passaggio ahahahah
Prometto che nel prossimo capitolo ci sarà una svolta, o in positivo o un negativo ... chissà ... u.u
In ogni modo, spero di poter aggiornare al più presto, la prossima e quella dopo saranno settimane terribili ç.ç 
Un bacione grande, grazie a tutte, davvero, 
Marta <3 

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Capitolo 20
*** Chapter 19: I’m fine. ***



Chapter 19

 

I’m fine. 

 

 

72 hours later. 

 

Claire aveva bisogno di una boccata d’aria, e un po’ di calma. Era notte, quindi, almeno per un po’, poteva uscire da quell’area ricreativa in cui era stata rinchiusa per troppi giorni. 

La ragazza si era informata, giorni prima botswani avevano catturato uno dei proprietari della miniera di diamanti, loro connazionale, grazie a un uomo che aveva fatto la spia. L’uomo però, non era servito a niente, perché erano i dirigenti statunitensi a decidere degli stipendi, e visto che non volle dire nulla sul nascondiglio di questi, lo uccisero senza pensarci su oltre. 

Durante la notte, gli uomini che avevano organizzato quella guerra civile facevano dei turni di sorveglianza, ma ormai sapevano che in quella struttura non c’erano altro che bambini e volontari, niente di più. Proprio il giorno prima erano riusciti a entrare lì dentro, avevano ispezionato tutto l’edificio, e quando avevano provato a dire qualcosa su gli “uomini bianchi”, tutti gli altri li avevano difesi. Il capo della spedizione militare e Dinari avevano litigato per un po’, avevano alzato la voce, si erano minacciati a vicenda, ma, alla fine, erano riusciti a scendere a patti e a far si che quell’orfanotrofio non fosse toccato. 

Almeno, anche se avevano comunque deciso di rimanere a dormire nell’area ricreativa tutti insieme, le finestre ora, si potevano aprire, e all’occorrenza, con tutte le precauzioni, si poteva uscire. 

La ragazza si sedette ai gradini dell’ingresso, e si meravigliò, come sempre, come quei suoni della savana si sentissero fin troppo vicini, e come quel vento leggero continuasse a soffiare e fornisse una calma inaspettata, quasi surreale. L’Africa continuava a sorprenderla, nonostante tutto. Claire  fu presa da uno spavento quando vide Falala apparire proprio al suo fianco, sulla veranda. 

-Mi hai fatto spaventare! – disse la ragazza mettendosi una mano al cuore che batteva forse troppo velocemente. 

-Scusami Claire! – disse la donna sedendosi affianco a lei e poggiando a terra il secchio pieno d’acqua che era andata a prendere. 

-Come va, Claire? – domandò la donna. 

-Non lo so. Vado avanti, giorno per giorno, sperando che quella febbre gli se ne vada completamente e che riacquisti le forze. Ho paura che abbia un altro peggioramento. Sono ore critiche per Joe. Ora ci sono soltanto due le opzioni, o peggiora di nuovo allora non credo che ci sia altro da fare, oppure migliora quasi miracolosamente e si ritrova senza febbre, allora sarebbe davvero fuori pericolo. – disse la ragazza sospirando ancora una volta. –Ho una paura tremenda. 

-Vedrai che andrà tutto bene, Claire. Joe è forte, più di quanto tu creda. – rispose la donna. – e poi qualcuno da lassù gli darà una mano, ne sono sicura. 

-Non me lo perdonerei mai se gli succedesse qualcosa – disse la ragazza – è diventato così importante in così poco tempo. Come ha fatto?

-Ti sei innamorata Claire. Ti sei innamorata nel momento in cui l’hai guardato negli occhi, anche se non volevi ammetterlo a te stessa. – disse Falala – e io l’avevo capito fin da subito. Io sono molto più vecchia di te, signorina. – Claire sorrise alla donna – E ho visto davvero tanta gente innamorarsi, volersi bene; ma ne ho visti davvero pochi avere un’intesa come la vostra, e un cuore grande come il vostro. 

-Sarebbe tutto così ingiusto se finisse tutto prima di cominciare, non credi? – disse la ragazza alla donna.

-Non finirà così, ne sono sicura, Claire. - rispose la donna abbracciandola proprio come farebbe una mamma. 

-Grazie Falala, davvero – disse la ragazza rispondendo a quell’abbraccio. – credo che è meglio che io rientri dentro, ho già freddo, poi devo andare a controllare Joe. 

-Io prendo il secondo secchio d’acqua lasciato al pozzo e torno dentro anche io! – disse la donna alzandosi. 

-Mi raccomando, fa attenzione, come sempre !- affermò la ragazza alzandosi in piedi anche lei e avvicinandosi alla porta. 

-Certo, non preoccuparti! Buonanotte, cara! – disse la donna con un sorriso. 

-Buonanotte! – rispose Claire aprendo la porta. 

C’era una novità rispetto ai giorni scorsi in quel grande open-space in cui dormivano tutti: un po’ di luce. Finalmente ora potevano permettersela, potevano lasciar trasparire il fatto che ci fossero forme di vita in quell’orfanotrofio. 

Proprio mentre stava tornando verso il suo studio, dove aveva lasciato Joe dormiente e con la febbre alta, vide Ike sveglio e qualcuno in piedi di fronte al bimbo. 

Quando capì chi fosse per poco non le venne un colpo. Si avvicinò al bambino, forse fin troppo velocemente, e sentì le parole del ragazzo sussurrate dolcemente all’orecchio del bimbo. 

-Ehi! Sto benissimo Ike, non mi vedi? – disse Joseph che si era appena piegato sulle ginocchia per guardare negli occhi il piccolo. – L’unico problema è che non posso dormire con te perché questi credono che io stia ancora male. Non hanno ancora capito che io sono un uomo duro, proprio come te! Non è vero, campione? – disse Joseph abbracciando, con un solo braccio, il piccolo che rise divertito. 

-Sì! – rispose Ike con un sorriso in viso. Era da tempo che non lo vedeva ridere in quel modo. 

-Purtroppo, anche noi uomini duri dobbiamo dormire, e questa è l’ora di andare a letto, piccolo. – disse Joseph. – Quindi, stai tranquillo, dormi, che domani staremo tutto il girono insieme, ok? 

-Ok – sussurrò Ike, distendendosi sul suo tappetino mentre il giovane gli poggiava una copertina bianca dolcemente sul suo corpicino minuto. 

-Buonanotte! – disse Joe. 

-‘Notte! – rispose Ike. 

Quando Joseph si alzò, e, dopo un ultimo sguardo al piccolo, si girò, vide Claire, che non aveva osato interrompere quel momento, e che aveva tutti gli occhi fin troppo lucidi.

-Joe, che ci fai, qui? – disse la ragazza. 

-Ehi, mi sento bene, e quella scrivania cominciava a farmi male alla schiena, quindi mi sono alzato! –rispose il ragazzo che si era avvicinato a lei sorridendole. 

-Ma se fino a poco tempo fa stavi malissimo! – disse la ragazza dopo averlo fatto entrare nello studio, aver acceso la luce e chiuso la porta alle loro spalle. 

-Che ti devo dire? Io mi sento bene – disse il ragazzo sorridente.

Claire gli mise una mano sulla fronte, e con fin troppo stupore si rese conto che non fosse calda.

-Niente febbre – disse Claire stupita, ma senza ancora cantare vittoria. Gli prese il polso, per controllare il battito. Regolare. Guardò le fasciature, sempre sotto lo sguardo attento di un Joseph fin troppo felice, e notò che non c’era troppo sangue, anzi erano proprio perfette. 

-Il polso è regolare, e le fasciature sono a posto – aggiunse ancora più stupita di prima. 

-L’ho detto che ero sano come un pesce. – ribadì. 

-Come è potuto succedere? Il dottor Smith aveva detto che saresti migliorato tra due o tre giorni oppure che saresti peggiorato subito. Ma ora, ora stai bene, benissimo. – disse la ragazza di nuovo con gli occhi lucidi, e davvero sul punto di piangere. 

-Il dottor Smith, però, non aveva mai avuto a che fare con un Joseph Jonas innamorato. – rispose il giovane che prese la mano alla ragazza – Perché un Joseph Jonas innamorato è capace davvero di tutto, soprattutto quando si tratta di far star bene qualcuno che ti ha salvato al vita, a cui devi tutto, e di cui sei pazzamente innamorato. 

Joseph avvicinò le sue labbra a quelle della ragazza, e finì per baciarla, una volta, poi ancora ed ancora. 

-Ti amo anche io, Joe, ti amo anche io – disse con gli occhi lucidi tra un bacio e l’altro. 

-Lo so, piccola, lo so. – rispose il moro stringendola a sé. 

-Non farlo mai più. Non lasciarmi mai più. – sussurrò Claire che ancora riusciva a sentire il rumore di quella bomba, vedere il sangue del ragazzo nelle sue mani, e sentire  arrivare quell’odore fino al cervello. Erano immagini orribili, che si ripetevano in ogni suo sogno da quando erano accadute. 

-Lo prometto. Non lo farò mai più. – disse il ragazzo baciandola ancora una volta, e tenendola a sé più vicina, più al sicuro, più tranquilla di ogni altra volta. 

 

 

Neanche quell’esplosione era riuscita ad annientare quell’amore. Quell’amore appena sbocciato, quell’amore ancora giovane che ha ancora tante cose da imparare. Quell’amore nato dall’incontro di quei due cerchi, formati dalla caduta di quelle due gocce nell’oceano. 

Forse non era soltanto un caso, forse c’era qualcosa di più grande di loro due, che li voleva insieme, forse perché, quelle due gocce, avrebbero potuto cambiare l’oceano. 

Eppure, il loro cammino era appena incominciato, e avrebbero dovuto affrontare, insieme o no, ancora tanti incontri, impatti, scontri che avrebbero cambiato ancora tante cose. 








Buonasera buonasera! 
Ce l'ho fatta finalmente a emergere tra i compiti e le interrogazioni e a scrivere qualcosa. Pregate per me affinché questa ultima settima del quadrimestre vada bene ahahahah
In realtà me lo immaginavo un po' diverso questo capitolo, non è il massimo, ma è tutto quello che sono riuscita a fare. 
Alemno per ora credo che non vogliate uccidermi ancora ahahahahah
Dite la verità, per un attimo avete creduto davvero che gli facessi fare una brutta fine a quel ragazzo ahahahah 
In ogni modo, grazie infinite per le recensioni e tutto il resto, davvero, siete fantastiche!
Un bacione grande, 
Marta <3 

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Capitolo 21
*** Chapter 20: Circles ***



 

Chapter 20

 

Circles 

 

 

La guerra continuava, e nessuno si sentiva al sicuro. La situazione, però, per fortuna era migliorata, anche se di poco. Si stava attraversando quella fase stazionaria in cui non bisognava far altro che aspettare. A Maun erano rimaste soltanto delle pattuglie di ribelli, gli altri si erano trasferiti nella cittadina vicina, perché probabilmente chi cercavano era lì. Erano inesperti, non sapevano gestire bene quella situazione. In realtà erano soltanto dei civili, niente di più. Civili arrabbiati, ma pur sempre civili che, molto probabilmente, secondo Claire, avrebbero fallito. Non perché non fossero motivati abbastanza, ma soltanto perché continuavano ad essere troppo deboli pur con un’arma in mano. 

I trasporti continuavano a non essere possibili, quindi la possibilità per Joe, Claire e gli altri volontari di tornare nel loro paesi era praticamente nulla. In compenso, erano tutti tornati a dormire nel dormitori, in dei veri letti. L’area ricreativa era stata pulita, e un letto per i pazienti era stato trasferito nello studio di Claire che era momentaneamente usato come infermeria, visto che quella vera era stata per la maggior parte distrutta, sia da quella bomba, che da pattuglie di ricognizione che avevano fatto piazza pulita di tutto ciò che era rimasto lì dentro. 

Joseph stava miracolosamente bene. Doveva cambiare le fasciature una volta al giorno ma stava bene ed era felice. Quello fu il primo vero miracolo che Claire vide avverarsi sotto i suoi occhi. 

Tutti fingevano che non stesse succedendo nulla, che quella fuori da quello stabilimento non fosse una guerra. Però anche i bambini, a cui all’inizio si voleva far credere che quello fosse tutto un grande gioco, avevano capito cosa stesse succedendo. 

L’aria che si respirava dentro quell’area ricreativa, quel pomeriggio, era davvero triste. Così Claire si avvicinò a Joseph e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Subito dopo, Joe annuì e entrambi sorrisero. 

Dovevano far qualcosa per sollevare gli animi, e visto che non potevano uscire a far giocare i bambini, perché sarebbe stato troppo pericoloso, avevano optato per qualcosa di diverso. 

-Allora ragazzi! – disse Joseph richiamando l’attenzione di tutti – oggi faremo un gioco, che si chiama “maschi contro femmine”. Ci dividiamo in due squadre, tutti i maschi con me ovviamente, e tutte le femminucce con Claire. Ognuna delle due squadre preparerà una canzone o un balletto, e, alla fine, ci esibiremo, e una giuria scelta decreterà il vincitore! – disse il ragazzo – Ovviamente vinceremo noi ragazzi, avete un professionista dalla vostra parte! 

-Non ci sottovalutare troppo, cantante! – ribatté Claire facendo sorridere il moro che gli rispose facendole un occhiolino. 

Tra bambini, ragazzi, animatori e volontari non si riusciva a capire chi fosse più emozionato a un’idea del genere. 

Ci vollero ore prima che ognuno imparasse la sua parte, prima che riuscissero ad andare a tempo, ma ogni singolo minuto di quel pomeriggio non fu passato senza il sorriso sulle labbra di ognuno dei presenti in quella struttura. Tutti si dimenticarono di tutto. Non era nulla di particolare quello che avevano pensato, soltanto qualcosa per distrarre tutti da quello che li preoccupava. Erano tutti emozionati quando lo “spettacolo” andò in scena. 

Il gruppo di Claire aveva preparato un balletto con l’accompagnamento musicale e canoro di Joe che aveva prestato il suo servizio in via del tutto straordinaria con il solo aiuto della sua chitarra che aveva fortunatamente ritrovato sotto il suo letto nel dormitorio. 

I ragazzi invece avevano cantato una canzone dei Jonas Brothers. In realtà non soltanto una canzone, piuttosto era un medley. Cosa aspettarsi da un membro dei Jonas se non delle canzoni dei Jonas?

La giuria, formata da Falala e altri membri dello staff dell’orfanotrofio, aveva votato, e le due squadre avevano pareggiato, perché, alla fine, avevano vinto tutti. Avevano vinto perché avevano dimenticato, almeno per un po’, perché avevano sconfitto la paura con la sola forza di un sorriso. 

 

*

 

Erano andati tutti a dormire quando Joseph vide la fioca luce nello studio di Claire, e si avvicinò piano alla porta. 

-Ehi – disse piano entrando e abbracciando da dietro la ragazza che finiva di mettere apposto i medicinali. 

-Joe – rispose lasciandogli un bacio sulla guancia. – Devi ancora cambiarti le fasciature, ricordi?

-Vero! – disse il moro sedendosi sulla parte di scrivania libera e togliendosi subito dopo la maglia restando a torso nudo. Claire prese i teli sterili che dovevano sostituire le fasciature, e un paio di forbici da infermeria e si avvicinò al ragazzo. 

-Ti hanno fatto male oggi? – chiese, ormai di rito, la ragazza.

-Per niente – rispose continuando a tenere gli occhi fissi su di lei. 

-Bene – rispose lei tagliando via la fasciatura al braccio, poi quella al fianco. Non c’erano problemi, le ferite si erano quasi rimarginate completamente. 

Mentre ricostituiva le fasciature, Joseph si tratteneva a baciarla, così, la guardava. 

-Dovresti smettere di fissarmi, di tanto in tanto – rise lei cominciandolo a guardare negli occhi dopo aver terminato il bendaggio al fianco. 

-Non posso farne a meno. – rispose il moro lasciandole un bacio sulla labbra, mente Claire cercava di terminare di fissare il telo sterile al braccio. 

-Non sono poi questo grande spettacolo- rispose lei sminuendosi dopo aver finito la bendatura.

-Non sono d’accordo.  – sorrise il moro mentre la ragazza metteva a posto quello che aveva utilizzato, e Joseph scendeva dalla scrivania e andava ad assicurarsi di chiudere la porta, a chiave. 

C’era un gran silenzio intorno a loro, e una luce fioca di una candela che presto si sarebbe spenta da sola, quando Joseph si avvicinò a Claire e cominciò a baciarla. 

Le spalle della ragazza aderirono alla parete proprio quando Joseph le poggiò dolcemente le labbra sul collo facendola rabbrividire. 

-Che … che  stai facendo, Joe? – disse quasi balbuziente la ragazza mentre il giovane continuava a baciarle, con tutta la dolcezza del mondo, il collo. 

-Ti bacio – sussurrò semplicemente quelle parole fin troppo scontate al suo orecchio, e la fece di nuovo rabbrividire. Joseph poggiò la sua mano fredda tra la leggera maglietta di Claire e la pelle nuda del suo fianco, la ragazza quasi sobbalzò. 

-Hai ancora le fasciature … - disse Claire come per dissuaderlo, anche se Joseph non sembrava dare segni di voler smettere di baciarla, e quella barba che sfiorava fugacemente ogni singolo centimetro del suo collo, e quelle morbide labbra bagnate che continuavano a non star ferme, cominciavano a farla eccitare. – E siamo nel mezzo di una guerra, potrebbe succedere qualunque cosa. – continuò quando poi fu interrotta dalle stesse labbra del ragazzo che presero a baciarla. Claire aveva paura, soltanto paura, perché in fondo, non c’era proprio nulla che non volesse che accadesse tra lei e quel ragazzo. –Potrebbero aver bisogno di noi. – disse quando Joseph finalmente si fermò e la fissò negli occhi sorridendo piano. 

-Se non vuoi farlo, basta dirlo. – sentenziò lui sorridendo un’ultima volta e si girò, prese la sua maglietta che aveva lasciato sulla scrivania, e si diresse verso la porta. 

Prima che la sua mano afferrasse la chiave per girarla e aprire la porta, Claire aveva già preso la sua mano e un istante dopo fu lui quello messo spalle al muro. La ragazza aveva preso a baciarlo, più appassionatamente di quanto avesse fatto lui in precedenza.

-Non ho mica detto questo. – bisbigliò la giovane all’orecchio del ragazzo, e sentì formarsi un sorriso sulle sue labbra quando ricominciò a baciarlo. Joseph lasciò cadere la maglietta a terra, e con un solo gesto tolse la maglia alla ragazza. 

Claire non potette nascondere a se stessa che, quando lo stava per perdere, non sognava niente di diverso da quello che stava per accadere. Soltanto la speranza del suo amore era riuscita a non farla mai demordere. Aveva avuto soltanto paura, poco prima, forse perché era stata colta di sorpresa. 

Joe la prese in braccio, dolcemente, senza smettere di baciarla, senza che le loro labbra si staccassero davvero, fece pochi passi e la poggiò delicatamente su quel letto per i pazienti che avevano trasferito lì da poco.

 Probabilmente, pensò Joe, avrebbe dovuto aspettare più tempo prima di far arrivare il loro rapporto a quel punto. Ma la loro relazione era arrivata fino a quell’intimità senza che nessuno dei due se ne accorgesse davvero. Era successo e basta. Forse perché l’amore quando è vero, è irrefrenabile, è passionale, è più forte di qualsiasi altra esplosione

Claire distesa su quel letto, guardava Joseph, con negli occhi un milione di emozioni e domande, ma una sola sicurezza: il suo amore nei confronti di quel ragazzo. Joe ancora non si spiegava perché le sue mani fredde continuassero a tremare. Poteva essere davvero così emozionato, impaurito dal solo pensiero di farle male, così tanto da tremare? Possibile che una ragazza le facesse quell’effetto? Probabilmente sì, visto che non c’era nessun’altra spiegazione. 

Joseph avvicinò il suo viso a quello della ragazza le lasciò un bacio sulle labbra, poi si avvicinò al suo orecchio e le sussurrò una frase quasi come se fosse un segreto, come se fosse la cosa più importante del mondo, come se da quella frase dipendesse la sua intera vita. 

-Ti amo – bisbigliò Joseph, e Claire si aprì in un sorriso così vero che i suoi occhi diventarono lucidi. Lo vide da quei suoi occhi color ambra, appena illuminati dalla fioca luce di quell’unica candela che si sarebbe spenta in pochi minuti, che stesse dicendo la verità. Quegli occhi erano fin troppo veri per mentire. 

-Ti amo anche io, Joe – disse Claire guardando negli occhi, così intensamente da provocare un sorriso spontaneo e del tutto naturale al giovane. 

Si erano già detti che si amavano altre volte, quando Joseph non era ancora fuori pericolo, e quando l’unico obbiettivo di Claire era quello di dirgli cosa provava per lui prima che fosse troppo tardi, oppure quando Joseph si era risvegliato e stava bene, davvero bene. Erano stati dei momenti fin troppo veloci, in cui l’amore si sarebbe potuto confondere con della semplice paura

A entrambi, invece, in quel momento serviva una conferma di quel sentimento, serviva capire se fosse stata semplice paura, un sogno fin troppo strano, oppure del vero amore. Quella semplice frase, pronunciata da entrambi, aveva tolto ogni dubbio.  Non era un sogno, perché erano svegli; non era paura, perché non c’era nulla da temere; ma erano semplicemente innamorati. 

Quando capirono questo, i vestiti di entrambi non ci misero poi così tanto tempo a finire sul pavimento, tra sospiri di piacere e parole d’amore sussurrate. Si ritrovarono, insieme, innamorati, nudi, su uno stesso letto. Furono privati di ogni ostacolo, di ogni barriera, di ogni paura. 

Fecero l’amore. Non soltanto del sesso, ma dal vero amore. Claire, quando la stessa notte tra le forti braccia di Joe cercava di prendere sonno, riusciva ancora a sentire le mani del ragazzo ovunque, ricordava i suoi respiri fin troppo rumorosi, sentiva l’eccitazione salire e le sue labbra umide baciarla. A Joseph bastava chiudere gli occhi per sentire le mani della ragazza che percorrevano la sua schiena e riuscivano a eccitarlo con soltanto un semplice tocco, ricordava i gemiti smorzati, sentiva ancora quella sensazione di piacere ogni volta che le sue morbide labbra lo baciavano proprio sotto l’orecchio. 

Si erano concessi l’uno all’altra, si erano amati, come mai fatto in precedenza, si erano amati fin nel profondo.

Non sapevano dove quell’amore li avrebbe portati, non sapevano se stavano facendo l’unica cosa giusta, ma di sicuro, stavano seguendo il cuore, e il cuore ha sempre la risposta giusta. 


 

I due cerchi, formati dall’impatto di quelle due gocce con quella immensa distesa d’acqua salata, si erano toccati. In realtà, tanti cerchi di tante gocce diverse si incontrano, ma soltanto quelli provocati da gocce che faranno davvero la differenza riescono a raggiungere il centro dell’altro cerchio, dove c’è la goccia che li ha provocati. Soltanto i cerchi davvero importanti riescono a mettersi in contatto, a cambiare, a arrivare alla vera goccia, alla vera anima. E quei due cerchi, erano arrivati nello stesso istante, proprio l’uno nel centro del cerchio dell’altro. 











Buonasera!
Bene, siete autirizzati a uccidermi se volete, visto l'enorme ritardo. Prima sono stata occupata con le ultime verifiche del quadrimestre poi mi sono beccata una bellissima influenza, e tipo adesso mi sono ripresa ma non ho voce. In ogni modo spero solo di essermi fatta perdonare con questo capitolo. 
A proposito, ogni volta che scrivo capitoli del genere preferirei sotterrarmi per la vergogna, ma, sapete, non ho ancora trovato una pala (?) adatata per farlo! Sul serio, datemi un opinione, perché non è esattamente il mio forte ahahahah
In ogni modo, voglio ricordarvi, giusto così, che per ogni cosa sono sempre disponibile su twitter e ovviamente qui su efp
E, un'altra cosa, per chi non se ne è accorto, all'inizio di ogni capitolo c'è linkata una canzone che dovrebbe fare tipo da colonna sonora al capitolo, e per questo capito non posso scegliere altro che Kiss me di Ed. 
In ogni modo, grazie per tutto il supporto che mi date, davvero. Spero di non deludervi mai, 
un bacione grande, 
Marta <3

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Capitolo 22
*** Chapter 21: Prince and Princess ***




Chapter 21

 

Prince and Princess 
 

 

Claire aprì gli occhi lentamente, e quando si accorse di essere avvolta da delle braccia fin troppo possenti si rese conto del fatto che quello non era stato soltanto un sogno. Chiuse per un attimo gli occhi e li riaprì, come per rendere più chiara la vista. Con tutta la dolcezza possibile cercò di girarsi, in quel letto fin troppo angusto.

Era prima mattina, saranno state le sei, lo si vedeva dalla luce, dai rumori, dall’aria che era intorno a loro. Essere in mezzo alla natura riusciva a far integrare ognuno con essa. 

La ragazza sorrise non appena vide quel viso disegnato di quel ragazzo che dormiva tranquillamente proprio davanti ai suoi occhi. Rimase un attimo a fissarlo, e si disse che per la prima volta, dopo tanto tempo, la sera prima aveva fatto la scelta giusta. Le vennero i brividi a pensare a quello che avevano fatto. Non era cosa da poco far nascere e riuscire a mantenere un amore durante una guerra. Eppure, loro due ce la stavano facendo. 

Il sottile respiro del ragazzo accarezzava la pelle morbida della giovane quando questa decise di lasciargli un bacio dolce sulle labbra e sussurrare poche parole. 

-Ehi, dormiglione, svegliati …

Ebbe come risposta uno strano mugugnare del ragazzo fin troppo assonnato. Lei sorrise, di nuovo. 

-Avanti, è mattino. – continuò la ragazza mentre Joseph non aveva le minime intensioni di svegliarsi o alzarsi da quel letto, visto che si strinse ancora di più a lei, facendola ridere sommessamente. 

-Altri due minuti, dai – disse Joe con la voce assonnata, dopo aver dato un bacio stampo sulle labbra alla ragazza, continuando a tenere gli occhi chiusi. 

-Neanche mezzo di minuto, devi svegliarti Joe – disse la ragazza ridendo – altrimenti ti faccio solletico. 

Joseph borbottò qualcosa che sembrava essere una risposta affermativa, ma visto che continuava a dormire, Claire solleticò il fianco nudo del ragazzo, che finalmente rise e aprì gli occhi fermando poi la mano della ragazza con la sua. 

-Questa me la paghi – disse, con un tono neanche troppo convincente, il moro baciando la ragazza, divertita da quella situazione. 

-Hai dormito bene? – chiese Joe con un bel sorriso in viso, sistemandole una ciocca di capelli dietro l’orecchio. 

-Benissimo, ho dormito con te – gli rivelò la ragazza, facendolo sorridere. La baciò ancora. 

-E tu? hai dormito bene? – gli fece la sua stessa domanda. 

-Come non avrei potuto? Sei tutto ciò che mi tiene in vita. – disse Joseph, e lo sguardo di Claire finì sulle fasciature del giovane, e si trattenne dal non piangere baciandolo ancora una volta.

Sembrava quasi che le sue labbra non potessero stare lontani, che loro stessi  non sopportassero restare lontani, che ormai quello di stare l’uno  accanto all’altra fosse un bisogno fisico e mentale di entrambi e non soltanto una volontà. Sembravano vivere l’uno in dipendenza dell’altra, sembravano vivere l’uno dell’aria dell’altra. Sembravano inseparabili, ormai.

 

*

 

Claire aveva appena terminato di visitare Asabi, la cui gravidanza andava a gonfie vele, quando uscì dal suo studio, per venere come andassero le cose lì.

Vide Ike con un sorriso raggiante aggrapparsi al collo di Joseph, che aveva una ventina di bambini intorno a lui, e stava raccontando una fiaba. 

La ragazza si fermò, e si mise a sedere su una delle sedie accanto a lei. Adorava fermarsi e restare a guardarlo, e rimanere stupita, ogni volta di più, di quanto speciale fosse quel ragazzo. Quello stesso ragazzo che sarebbe diventato il padre migliore del mondo. 

La fiaba che stava raccontando era giunta nel puto cruciale. L’eroe stava combattendo con un drago sputa fuoco per salvare la principessa rinchiusa nel castello maledetto. 

Joseph stava descrivendo quel mostro sputa fuoco, agitando le braccia e facendo facce buffe, provocando più risate che paura nei bambini che lo stavano ad ascoltare. 

-Così il principe Adam tirò fuori la spada dalla sua custodia, e vide la luce del fuoco che aveva appena sputato fuori il drago riflettersi su di essa. Il principe Adam era molto coraggioso, ma soprattutto era molto furbo, per questo capì che da solo con la sua spada non sarebbe riuscito a farlo fuori. Così organizzò una trappola. – disse Joseph, e Claire non riuscì a trattenere un sorriso enorme ricordandosi che il secondo nome di Joe fosse proprio Adam,nonostante tutto riuscì a trattenere una risata fragorosa. Si alzò dalla sua sedia e raggiunse i bimbi, mettendosi a sedere tra di loro, e lasciando che Sela, una delle tante bambine di cui si era occupata, le si sedesse sopra. 

Claire alzò la mano, e aspettò che Joseph la notasse. 

-Non si interrompono le storie, lo sai signorina? – le disse Joseph trattenendo un sorriso. 

-Sì, ma ho una domanda! – rispose Claire sorridendo – volevo sapere, com’era il principe, nel senso di aspetto, sarà stato un bel gran principe! 

-L’ho detto all’inizio della fiaba che il principe Adam era un bellissimo principe dai capelli ricci e nerissimi, uno sguardo intenso, occhi color ambra e labbra rosee. – disse Joseph.

-Dev’essere stato davvero un bel principe visto che ha il tuo secondo nome. – Joseph si trattenne dal ridere - E la principessa com’era? Come si chiamava? – domandò ancora

-Meredith, si chiamava Meredith! – disse Sela. 

-Che è il mio secondo nome – aggiunse Claire cominciando a ridere. 

-Ok, ok, ragazzi, doveva essere un segreto … - disse Joseph avvicinandosi a Claire – ma questa è una storia vera, e l’abbiamo vissuta proprio io e Claire. Quindi questo è un segreto, quindi ssssh! Non dovete dirlo a nessuno, intesi? – disse attirando verso di sé tutti gli occhi dei bambini. Joseph si sedette affianco alla ragazza. 

-Stavo dicendo, prima che qualcuno mi interrompesse – disse guardando Claire che trattenne di nuovo una risata. – Il principe Adam organizzò una trappola al drago. Riuscì ad attirarlo in una grotta, proprio vicino al castello, dopo aver inviato a lui una lettera in cui c’era scritto che se fosse andato lì dentro lui stesso, ci sarebbe stato un tesoro tutto per lui ad aspettarlo! Una volta che vide entrare lì dentro il drago, riuscì con grande sforzo e qualche aiuto dai suoi amici a far cadere una grande pietra proprio davanti all’entrata della caverna e intrappolare il drago. Il drago era stato intrappolato per sempre, non si sarebbe più fatto rivedere. – Claire si meravigliò di come quel ragazzo riuscisse a far attaccare lo sguardo di tutti quei bambini a sé così facilmente, anche lei stessa lo stava guardando come ammaliata - Così il principe Adam corse al castello, fino alla torre più alta i questo dove era intrappolata la principessa, sfondò la porta e finalmente poté riabbracciarla. Si guardarono negli occhi, - disse Joseph girando il viso verso Claire cominciandola a guardare negli occhi – si giurarono amore eterno, e si baciarono. – concluse baciando dolcemente le labbra della ragazza in un bacio casto di cui la stessa Claire stentava a credere. – beh ovviamente vissero per sempre felici e contenti! Quello è normale!

I bambini erano ammaliati da tutta quella situazione, e in quel momento credevano fermamente che Joseph e Claire fossero Adam e Meredith; e per un attimo anche Claire si vide nelle vesti di una principessa e si sorprese di vedere quel principe al suo fianco. 

Joe le fece un occhiolino, e le sorrise, mentre lei le mise la sua mano su quella del ragazzo. 

Nonostante dove vivessero, nonostante le condizioni che trascorrevano, nonostante tutto riuscivano a trovare del tempo per sorridere, del tempo per sognare, per sognare una realtà magica e lontana, e soprattutto felice. 

In quell’orfanotrofio che sembrava un luogo senza speranza, una posto abbandonato da Dio, sembrava avere più speranza di qualunque altro posto, perché c’era fantasia, c’era voglia di sognare, c’era voglia di vita, voglia di felicità più che in qualunque altro posto. Forse, quel posto non era poi così senza speranza come tutti lo definivano. 

 

*

 

-Principe Adam! – disse Claire rivolgendosi a Joseph che era concentrato a leggere qualcosa, seduto in un angolo dell’area ricreativa. Claire si sedette accanto a lui. 

-Principessa Meredith – rispose sorridendole.

-Sei davvero un bravo cantastorie, e far credere loro che la storia sia vera è stato davvero un fantastico modo per salvarti in corner! – disse Claire facendolo ridacchiare. 

-Sono bravo a inventare scuse, e con i bambini e più facile. – disse, facendo ridere Claire -Accadono cose miracolose negli ultimi periodi:ho ritrovato il mio cellulare e il caricatore sotto il letto nel dormitorio, credo che non lo abbiano visto, in realtà non lo avevo visto neanche io che era finito lì sotto. L’ho ricaricato, e non so come prende anche un po’. Strano, avranno esteso il segnale. Con la guerra può darsi che serva loro connessione per il cellulare.

-Può darsi. – disse la ragazza. Joseph sembrava strano, quasi infastidito. -Tutto bene?

-Certo – rispose lui sforzando un sorriso e alzandosi lasciando per terra il cellulare – vado un attimo in bagno, torno subito. 

-Va bene – sorride la ragazza che si poggiò alla parete chiedendosi perché il suo umore fosse cambiato così radicalmente. 

La risposta alla domanda che si era posta mentalmente non tardò ad arrivare, infatti l’iPhone si illuminò e Claire non potette far a meno di leggere cosa c’era scritto nel messaggio appena arrivato. Trattenne le lacrime, rifugiandosi nel suo studio. 

 
 




Buonasera!
Bene, ce l'ho fatta anche questa volta a postare. Ora tipo mi uccidere, e non voglio neanche sapere cosa m succederà al prossimo capitolo o a quello dopo! 
Comunque, simo alla "fase finale" della fan fiction. Questo non vuol dire che ci mancano 2 capitoli, ce ne mancano di più, ovviamente, ma diciamo, che è l'ultima parte! 
Il prossimi capitoli saranno da ... diregire con calma. Poi capirete. 
Ora vi prego solo di non uccidermi, almeno per ora ahahaha Poi, quando sarà finita, fate di me quel che volete ahahahah
Ma tipo che sabato quei tre ragazzoni girano il nuovo video musicale, e che io per questo morirò molto presto?! Bene, bisogna restare calmi ahahaha 
In ogni modo, un bacione a tutte che continuate a sostenermi nonostate tutto, davvero, grazie mille a tutte. 
Un bacio, 
Marta <3

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Capitolo 23
*** Chapter 22: Cold and without feelings ***



Chapter 22

 

Cold and without feelings

 

Claire chiuse la porta a chiave, e si sedette a terra, appoggiando la schiena al muro, e cercando di non far rumore, di non far capire a tutti che avesse appena cominciato a piangere e come tutto il suo mondo le fosse caduto addosso in meno di dieci secondi. 

Quelle parole, comparse su quello schermo, continuavano a ripetersi nella sua mente, come un’ossessione. Analizzò ancora una volta ogni singolo termine, e giunse per l’ennesima volta alla stessa soluzione. Ci aveva creduto un’altra volta. Si era fidata, un’altra volta. E ormai da quella vita aveva capito che la fiducia porta soltanto delusioni, tradimenti, e lacrime. 

Joseph quando pochi minuti dopo tornò doveva aveva dapprima lasciato Claire si rese conto che lei non c’era più, era rimasto lì per terra soltanto il suo cellulare, che lui raccolse senza pensarci ulteriormente. Si guardò un attimo intorno, e vide Falala, alla quale chiese se avesse visto dove era andata Claire, la donna rispose che era nel suo studio. 

Il ragazzo abbassò la maniglia della porta, che però rimase chiusa. 

-Claire! Sei qui dentro? – chiese semplicemente dicendosi che c’era qualcosa che non andava. 

-Si – rispose cercando di non far sentire che stesse piangendo. 

-Beh, dai aprimi! C’è qualcosa che non va? – chiese non riuscendo a capire. 

-Leggi l’ultimo messaggio che ti è arrivato sul cellulare. – disse senza poter evitare che la sua voce fosse segnata dalle lacrime. 

Joseph ebbe uno strano presentimento e pregò affinché non fosse proprio quello che era successo. Quando, però, lesse il mittente del sms che gli era arrivato capì di non essersi sbagliato. 

 

Megan

Amore mio! Come stai? Ci arrivano brutte notizie dal Botswana. Dimmi soltanto che stai bene. Ti amore da morire, Joe. Ti amo, ti amo, ti amo. Non me lo perdonerei mai se ti fosse accaduto qualcosa. Scrivimi presto. Mi manchi come l’aria. La tua, Megan.

 

-Cazzo – sussurrò Joseph, così piano che neanche Claire riuscì a sentire cosa avesse detto. 

-Claire, lasciami almeno spiegare, non è come sembra! – disse il ragazzo, ora con voce più alta, alla giovane che cercava di non piangere, e si diceva che avrebbe dovuto reagire. 

-Ti prego, apri la porta e lasciami spiegare. Devo dirti come stanno davvero le cose! – ripeté ancora il moro che attaccato alla porta cercava di comunicare con Claire che non rispondeva. 

-Claire, ti prego, apri la porta. È tutto un malinteso. – disse Joseph. 

La ragazza si disse che doveva risolvere quella situazione una volta per tutte, doveva essere come era sempre stata. Fredda e senza sentimenti. Doveva reagire, come aveva sempre fatto, perché affezionarsi a degli estranei, non le faceva altro che male. Questa era l’ennesima prova di quello che aveva sempre sostenuto. 

Doveva alzarsi e guardarlo negli occhi, e parlargli, anche se in quel momento le sembrava impossibile anche soltanto respirare e far cessare quelle lacrime che scorrevano come irrefrenabili. Si asciugò quelle gocce salate e girò la chiave della porta, aprendola, e si allontanò da essa, dando le spalle al ragazzo che era appena entrato. 

-Claire – disse Joseph toccando la spalla del ragazza che si scansò subito e  si girò e lo guardò fisso negli occhi. 

-Megan è la tua ragazza, non è vero? – chiese la giovane. Joseph avrebbe potuto mentire, avrebbe potuto dire che non lo era, perché lui sapeva che non appena sarebbe tornato negli States l’avrebbe lasciata. Non l’aveva mai amata davvero. Lei era soltanto una delle tante, ma non era mai stato amore. Ora che aveva trovato l’amore, in una guerra, sapeva cosa fosse quel sentimento, e non era certo che quello che provava nei confronti di Megan, quella non era nient’altro che una flebile amicizia, e niente di più. 

Avrebbe potuto mentirle, non sarebbe cambiato nulla, ma quegli occhi, quei suoi occhi riuscivano a vedere fin nel profondo, fin nella sua anima, fino ad analizzare ogni suo minimo  dettaglio. Quasi non le sarebbe servita una risposta, tanto quegli occhi sapevano cercare e trovare la verità. 

-Sì – rispose con un nodo alla gola, che non riusciva a sciogliere. 

-Allora non c’è più nulla da capire, Joe. Hai terminato la tua spiegazione, avevo già intuito tutto da sola. Se non è scontato, la nostra relazione è giunta al termine. Sempre se il termine “relazione” per il nostro rapporto è una parola appropriata. Quindi puoi andare via tranquillamente. E, giusto per la cronaca, sei stronzo proprio come tutti gli altri. – rispose senza pensare a quello che stava dicendo, altrimenti si sarebbe ritrovata a piangere dopo la seconda parola. Soltanto dopo l’ultima affermazione i suoi occhi si fecero fin troppo lucidi. 

-Mi lasci parlare, per favore? – disse Joseph rimanendo fermo dov’era e prendendo con forza il polso della ragazza obbligandola a guardarlo negli occhi. 

-Così mi fai male. – rispose con un pizzico di acidità, divincolandosi e facendo lasciare la presa al ragazzo. 

-Non la amo, Claire – affermò il ragazzo. – Non la amo, e appena torno a Los Angeles la lascerò non appena la vedrò. 

-Possibile che voi ragazzi sappiate inventarvi sempre le stesse scuse? Non avete un briciolo di fantasia – disse alzando la voce – Per favore, vai via, Joseph. 

-Io non vado proprio da nessuna parte. – rispose il ragazzo. 

-Allora vado via io. – disse la ragazza uscendo dalla stanza. Il giovane la prese per un braccio e mentre questa le urlava contro facendo girare tutti verso la loro direzione, la riportò nello studio e questa volta chiuse la porta a chiave. 

-Riesci a stare un attimo zitta e ferma e lasciarmi parlare, come fanno le persone civili? – disse Joe come in torno di rimprovero. Claire indispettita, e a braccia incrociate si era appoggiata al muro e restava con lo sguardo basso, ed evitava gli occhi di Joseph che si era verificato difficile da cacciare via dalla sua vita

-Per prima cosa scusa per non avertelo detto, avrei dovuto. Ma il fatto è che lei non è un problema perché Megan la lascio. La lascio perché amo un’altra ragazza. Amo quella ragazza che mi ha salvato la vita, che è rimasta giorno e notte accanto a me quando tutti sembravano avermi abbandonato. Amo la ragazza che soltanto vederla mi fa felice, la amo per i suoi difetti, per i suoi pregi. Amo lei e nessun altra. Io amo te Megan, te e basta. – disse Joseph, e per un attimo anche Claire ci credette. Si disse che non era come gli altri, si disse che forse stava dicendo la realtà, ma poi la vecchia Claire ebbe il sopravvento. Quella stessa ragazza che non si fidava di niente e di nessuno, né di un amica, né di un genitore. 

-Stronzate. Se mi ami come dici, perché mi hai mentito? O meglio, perché non la lasci qui, ora, con una chiamata o un messaggio? Lasciala e ti crederò. – disse alzando la voce e tornando a guardarlo negli occhi. 

-Avevo paura che se te l’avessi detto tu ti saresti allontanata da me. – confessò. – Non sono quel tipo di ragazzo, solo una volta ho lasciato la mia ragazza con una chiamata e l’ha saputo tutto il mondo. Ho imparato le lezione – disse il moro – ma appena sarò a Los Angeles sarà la prima cosa che farò. 

-Sono stata lasciata milioni di volte con un messaggio, non sono mica morta. Fallo, e ti crederò. – lo provocò di nuovo la ragazza. Faceva così, o almeno, la vecchia Claire faceva sempre così. Metteva alla prova la fiducia di chi le stava intorno, di continuo. Come faceva, infondo, a fidarsi se ogni volta veniva delusa e tradita da tutti, anche dai suoi stessi genitori naturali? Ormai quello era diventato un sistema di autodifesa. Joseph, però, quella estate l’aveva fatta fidare, e lei l’aveva fatto, senza particolari dimostrazioni affetto, senza nulla, l’aveva fatta sentire bene, l’aveva fatta sentire amata, ma in quel momento si era accorta che era tutta una farsa, era tutta finzione, che lei non avrebbe dovuto credere a nulla. 

-No, Claire. Lo farò appena la vedrò. – disse il moro. 

-Allora non mi ami. – rispose lei. 

Sembrava una piccola bambina, antipatica e capricciosa. Era come si mostrava, era come doveva essere, per non essere se stessa, per non dar fiducia a chi le aveva nascosto la verità. 

-O forse, se fai così,  non mi ami tu … - affermò Joseph. 

Avrebbe voluto saltargli addosso, baciarlo e dirgli che non le importava nulla, che lei lo amava e che non avrebbe mai dovuto neanche pensare una cosa del genere. Ma non lo fece, rimase immobile, poi alzò le spalle. L’orgoglio sembrava avere il sopravvento su tutto.

-Guardami negli occhi e dimmi che non mi ami, allora sarà davvero finita. Perché io ti amo, e se tu mi ami, la nostra storia non finirà. – disse Joseph mettendosi proprio davanti a Claire, che incrociò il suo sguardo. Aprì la bocca a poi la chiuse, per due volte. Non riuscì a emettere nessun suono. 

Joe sorrise, ma non disse nulla. 

Il ragazzo stava per pronunciare qualcosa, proprio quando un forte boato si sentì. Sembrava una bomba, un’altra bomba. Poco dopo quel silenzio, che si era venuto a formare dopo quel fragore, fu squarciato da delle grida disperate.  











Buonasera! 
Sì, avete ragione, mi sono abituata a far finire male i capitoli ahahahaha
Beh, che dire? Il prossimo capitolo sarà abbastanza determinante, e spero di poterlo scrivere al meglio. 
Questo capitolo non è il massimo, ma mi è venuto fuori senza particolari problemi. Fatemi sapere che ne pensate ok? 
E poi, beh, vogliamo parlare di Pom Poms, e di quanto sia completamente felice soltanto per questo negli ultimi giorni anche se ... speriamo bene ahahahah No, è meglio che me ne vada, avete ragione ahahaha
Un bacione grandissimo a tutte voi che mi sostenete ancora, non saprei cosa fare senza di voi! 
Davvero, grazie a tutte!
Marta <3

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Capitolo 24
*** Chapter 23: It’s my fault. ***



Chapter 23

 
It’s my fault.
 

 


 
Joseph e Claire si guardarono per un attimo, intensamente, non sapendo cosa fare. Non poteva essere accaduto di nuovo. Non in quel modo, non in quel momento. Claire rabbrividì dopo aver sentito un altro grido, mentre Joseph la guardava senza muovere un muscolo.
Senza dire niente la ragazza uscì dalla stanza, e poi dall’intera struttura, seguita dal giovane. Si guardò intorno, prima non riuscendo a vedere nulla, e poi scorse cosa era successo.
Un’altra bomba, questa volta, al pozzo. Donne, uomini  e bambini giacevano a terra alcuni senza vita, altri con ancora qualche speranza. Questa volta era stata più forte, aveva coinvolto più persone, aveva distrutto più vite, di nuovo senza un apparente motivo. Forse lo avrebbero saputo il perché, forse no, ma Claire non ebbe neanche il tempo di pensarci, che il dottor Smith le passò a fianco e le disse che dovevano fare qualcosa.
Con il cuore in gola e le gambe tremanti corse verso i corpi più vicini lasciando che Joseph vedesse se ci fosse qualcosa da fare per un altro gruppo di coinvolti in quel delitto.
Claire posò l’indice a l’anulare al collo di una donna che lavorava lì, all’orfanotrofio. Non c’era battito. Allora passò al bimbo vicino a lei, di appena sei anni. Nessun battito. L’uomo sulla trentina che ogni giorno era alla mensa. Nessun battito. La donna amica d’infanzia di Falala. Nessun battito.
Claire cominciò a piangere, rendendosi sempre più conto della strage che era appena avvenuta.
Provò paura perché ancora non vedeva né Falala né Dinari nei dintorni, provò rabbia perché non sarebbe dovuto succedere, si sentì in colpa, perché stava litigando per cose inutili quando sarebbe dovuta essere anche lei lì con loro.
Quando sentì l’ennesimo cuore fermo i suoi occhi erano annebbiati dalle sue stesse lacrime.
Joseph si rimproverava di non aver potuto fare nulla, e ogni volta che sentiva un cuore che non batteva il suo rimaneva fermo per un po’, come se si spezzasse in mille parti. Aveva già visto due bambini, entrambi morti, entrambi che conosceva, ed era stato come se una parte di lui fosse stata persa per sempre. Poi vide Dinari, che ferito cercava di soccorrere gli altri. Chiamò il dottor Smith, e contro la sua volontà lo portarono dentro.
Mentre Claire stava per darsi alla disperazione, perché sembrava che nessuno fosse più rimasto vivo vide Asabi che cercava aiuto, mentre tentava di rimanere in vita.
-Asabi! – disse la ragazza
-Claire – rispose la donna prendendole la meno. Mentre  la ragazza chiese aiuto a due uomini per portare la donna incinta dentro lo stabilimento, quest’ultima le disse il suo ultimo desiderio.
-Salva lui, e prega per me. – così dicendo posò una mano sulla sua pancia, e Claire pregò affinché entrambi si sarebbero potuti salvare.
Quando entrò nella sala ricreativa e misero Asabi su uno dei tavoli, Claire pregò i due uomini che l’avevano aiutata di andare a vedere se c’era ancora qualcuno vivo.
Quando si girò, vide la sala piena di feriti, gravi o meno. Vide Dinari ferito ad una gamba, vide il piccolo Asad che appena respirava, vide Falala che piangeva accanto a suo marito, vide uomini, donne e bambini feriti da una stessa stramaledetta bomba.
Il dottor Smith si avvicinò a Claire dicendole che doveva essere lei a occuparsi di Asabi, perché lui aveva tutti gli altri pazienti, già troppi per un medico soltanto. La ragazza annuì, ma tremò al solo pensiero di fare quell’operazione dal sola.
Delle amiche di Asabi si erano già radunate intorno a lei. C’era chi piangeva, chi parlava ad alta voce, chi sembrava disperato. Claire prese un respiro e si avvicinò alla donna.
-Ce la puoi fare – disse al suo orecchio Joseph poggiandole una mano sulla spalla. Lei lo guardò come se si sentisse persa, e senza speranza. Senza che dicesse nulla il ragazzo fece allontanare chi si era avvicinato alla donna incinta. Claire sospirò ancora una volta, e con l’assistenza di Joseph, cominciò quell’operazione.
 
*
 
La ragazza sedeva sotto il porticato, sul retro dell’area ricreativa. Aveva perfino smesso di piangere tante erano le lacrime che aveva versato. Si sistemò una ciocca di capelli dietro l’orecchio cercando di cessare di pensare a quello che era accaduto poco prima almeno per un attimo. Ma non ce la fece, come avrebbe potuto?
Tirò su col naso, sentendo l’ennesimo soffio di vento accarezzarle la pelle, mentre si stringeva nella felpa fin troppo larga per lei, lasciando che le mani scomparissero all’interno delle maniche lunghe.
Chiuse gli occhi per un attimo, e invece di far zittire quei pensieri per un solo momento, questi si fecero più insistenti, più ripetitivi, più drammatici. Quasi non ricordava come fosse successo, stava facendo proprio tutto come doveva essere fatto. Si stava comportando come un vero medico, non stava facendo sbagli, stava andando tutto bene. Ma poi aveva capito che c’era qualcosa che non andava: c’era un emorragia. Così si era ritrovata davanti ad una scelta: salvare Asabi, o suo figlio. Il problema è che era stata la natura a scegliere per lei, e neanche le volontà della madre potevano fare la differenza. Il bambino era al terzo mese di vita, non sarebbe mai potuto sopravvivere, soprattutto in una situazione come quella. Così, quanto la situazione si era fatta critica, aveva optato per un aborto, che molto probabilmente sarebbe avvenuto spontaneamente subito dopo visto la situazione di Asabi. Il battito della donna sembrava essersi stabilizzato, sembrava che tutto stesse andando meglio, dopo aver bloccato quell’emorragia. Poi così, all’improvviso, il cuore della donna aveva smesso di battere. Non ce l’aveva fatta, il suo cuore non ce l’aveva fatta. Né quello della donna, né quello di suo figlio. Non li aveva salvati, li aveva uccisi. Si era macchiata di sangue la coscienza prima ancora di diventare un vero medico. Ripensò al pianto della mamma di Asabi, alle grida delle sue amiche, la disperazione di suo marito. Claire, in quel momento, perse una parte di sé che mai più riavrà indietro. Uscendo dallo stabilimento, vide Dinari e Asad vivi, e per un attimo si rincuorò, per poi sprofondare di nuovo in quel che aveva appena fatto. Uscì fuori dall’area ricreativa, piangendo, piangendo tutte le lacrime che aveva in corpo, una per una, con un dolore al cuore che mai aveva provato prima.
Era rimasta lì, senza che nessuno osasse avvicinarsi, fino a quando le lacrime si erano trasformate in dolore perpetuo, dolore all’anima, dolore al cuore.
Continuava a non riuscire a togliersi dalla mente quelle scene, quel che era accaduto, quel che stava accadendo.
Mentre guardava nel vuoto e tentava di respirare, perché in quel momento avrebbe preferito morire, una esile manina si poggiò sulla sua. Claire voltò lo sguardo finendo negli occhi scuri del piccolo Ike, che le rivolgeva un sorriso. Le sorrideva come se capisse fino in fondo cosa stesse passando, come se sapesse cosa stesse dicendo a se stessa.
Non usò molte parole, ma capì davvero cosa le servisse sentirsi dire in quel momento.
-Ti voglio bene, Claire – disse il piccolo abbracciando la ragazza a cui vennero di nuovo gli occhi lucidi nel ricambiare quel gesto allo stesso modo.
-Ti voglio bene anche io, Ike, ti voglio un mondo di bene. – rispose la giovane.
Terminato quell’abbraccio, il bimbo sorrise soddisfatto, e se ne andò, dopo aver strappato un attimo di felicità in quella ragazza. Era stato il primo che aveva osato parlarle, che aveva trovato le parole giuste in tanto dolore. Sembrava l’unico che le volesse ancora bene.
Non passò tanto tempo prima che qualcun altro le si sedesse vicino, e la guardasse tentando di dire la cosa giusta.
Joseph afferrò la mano della ragazza, che si scansò infastidita.
-Non toccarmi. – disse la giovane.
-Sei la mia ragazza, posso fare quel che voglio con te – rispose Joe, tentando di sdrammatizzare per un attimo, mentre le metteva un braccio intorno alle spalle.
-Ci siamo lasciati – rispose la ragazza alzandosi per sottrarsi alla sua presa.
-Va bene, va bene. Non ti tocco, non faccio nulla, ma almeno ti siedi e mi ascolti per un attimo? – chiese il moro.
-Come vuoi – rispose lei sedendosi.
-Claire, non è colpa tua. – cominciò il ragazzo.
-Sì che lo è invece. – rispose la giovane.
-No. Tu hai fatto tutto il possibile per salvarla, per salvare lei e il bambino. La colpa è di chi ha tirato la bomba, non di chi ha lottato per salvare chi è stato coinvolto nel delitto. Poi, avanti, ero con te, non hai sbagliato nulla, hai mantenuto la calma, hai fatto le scelte che dovevi fare senza paura, proprio come un vero medico. Tu, Claire, sei un medico. Tu hai salvato la mia vita. – disse Joe tutto d’un fiato.
-Il dottor Smith ti ha salvato, non io. Ho già ucciso qualcuno prima di diventare medico, non sarò mai un vero medico. – rispose la ragazza.
-Chi è stata come me giorno e notte? Chi ha assistito in tutto e per tutto il dottor Smith? Chi gli ha dato consigli? Chi? Non tutte le operazioni vanno a buon fine, Claire. La medicina, non è come la matematica. Anche se rispetti tutti i passaggi e tutto ciò che si deve fare, non è una scienza esatta, perché ogni corpo è più o meno resistente, e quello di Asabi era fin troppo debole. – rispose a tono il ragazzo, provocando le lacrime di Claire.
-In ogni modo, rimane il fatto che è colpa mia, e di nessun altro. Se l’avesse fatta il dottor Smith l’operazione, si sarebbero salvati. – sentenziò lei.
-Oppure no. Non ci è dato saperlo. Ma non sarebbe stata colpa del dottor Smith se non si fossero salvati, come ora non è colpa tua, Claire – rispose il moro. – Ricorda sempre che tu salvi vite, tu assisti alle nascite. Ricorda sempre il lato positivo del tuo lavoro, non il negativo.
-Grazie per avermi aiutata oggi. – disse, cercando di far sì che la lasciasse sola. Era colpa sua, soltanto colpa sua, e chi avesse detto il contrario stava mentendo.
-Di nulla, davvero – rispose.
-Puoi lasciarmi sola per un po’?- chiese la ragazza.
-Va bene, ma sta cominciando a fare freddo, non credi sia ora di rientrare? – disse il moro.
-Sto un po’ qui fuori, e poi vi raggiungo dentro, promesso. – rispose, salutando il ragazzo che rientrava nell’area ricreativa.
Claire chiuse gli occhi, poi li riaprì quando erano già pieni di lacrime.
-Scusa Asabi, scusa con tutto il cuore. Non avrei mai voluto. – sussurrò a se stessa, alla ragazza, e al mondo intero contemporaneamente, mentre l’ennesima lacrime rigava la sua guancia.
 
 
Quella tempesta si era rivelata più violenta del previsto. Sembrava non fermarsi mai, sembrava non avere un momento di vera calma. In tanta violenza, alcune gocce si perdono per sempre, anche se i cerchi provocati da queste verranno per sempre ricordati.









Buonasera gente!
Sì, se ve lo state chiedendo, potete farlo: potete uccidermi. 
Per prima cosa per il ritardo, ma un una settimana mi sono beccata sette influenze diverse, con tanto di febbre e tutto il resto. Vi rispiarmio la descrizione della scena di quando mi sono sentita male durante il compito di matematica! Molto meglio! 
In ogni modo, mi dispiace da morire per avermi messo così tanto tempo, ed anche perchè il capitolo non è esattamente felice, anzi ....
Vi ringrazio tutti, dal primo all'ultimo, per continuare a leggere questa fan ficion e continuare a commentare! Davvero, grazie mille! 
Fatemi sapere che ne pensate, ho bisogno di pareri! 
Un bacione grande, 
al più presto possibile!
Marta <3

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Capitolo 25
*** Chapter 24: I won’t let you go. ***



Chapter 24

 
I won’t let you go.
 


Era primo pomeriggio quando Claire si sedette su una panchina appena fuori il centro ricreativo e si mise a fissare quel che restava del pozzo ormai quasi del tutto distrutto. I giorni precedenti erano stati distruttivi: c’erano stati i funerali delle vittime, e Claire, come il resto delle persone presenti, aveva pianto come mai aveva fatto prima.
La guerra civile era vicina alla fine. Il capo americano della cava di diamanti era stato catturato dai rivoltosi che avevano ricattato la sede amministrativa negli States di uccidere l’uomo e prendersi con la forza la miniera se il loro stipendio non fosse stato aumentato e non avessero riassunto chi avevano licenziato. Proprio in quei momenti le “trattative” doveva essere in atto.
Per quanto riguardava l’episodio della bomba: semplice, era soltanto un atto intimidatorio contro chi stava nascondendo i capi statunitensi della miniera. Probabilmente, però, non avevano considerato il fatto che avevano colpito i loro concittadini invece del “vero nemico”.
Se tutto sarebbe andato come doveva, il giorno dopo la guerra sarebbe terminata, e quello dopo ancora gli aerei e i sistemi di trasporto sarebbero stati rimessi in funzione.
Falala si mise a sedere accanto alla ragazza e le sorrise. Era da un po’ che non parlavano, non perché non volessero, ma perché la donna era stata occupata ad avere cura del marito e Claire non si faceva avvicinare da nessuno, né parlava davvero con nessuno dal giorno di quell’incidente, si limitava a rispondere, come se un ameba, svolgeva le funzioni vitali e sopportare quella vita, perché in fondo, sarebbe stata molto più contenta di essere stata al posto di Asabi quel giorno.
-Come va? – chiese la donna alla ragazza. Claire alzò le spalle, senza proferire parola.
-Lo so che non ti va di parlare, ma basta che mi ascolti e basta, ok? So che niente ti farà cambiare idea sulla tua colpevolezza Claire, lo so. So che ti senti in colpa e che saresti voluta essere al poso di Asabi in questo momento. Lo so perché ormai ti conosco. Però devi pensare che fa parte del tuo lavoro, fa parte della vita. Le persone muoiono continuamente, soprattutto qui. Se non ci fossi stata tu in questi giorni, non ci fosse stato il dottor Smith, proprio come ci sono stati un sacco di altri medici prima di voi qui con noi, molti, moltissimi di noi sarebbero morti. Senza di te Claire, senza una come te nel tuo lavoro molte persone moriranno. So che ti senti incapace in tutto in questo momento e che vorresti morire, ma pensa a come sarebbe se smettessi tutto questo. Pensa a se la faresti finita davvero cosa succederebbe. Pensa se tu morissi, domani, cosa succederebbe? Rifletti su come starebbero i tuoi genitori, tua sorella, io, Ike e Joseph. Quel ragazzo poi, ti ama da morire. Ogni volta che prova a parlarti tu lo eviti e lui ci sta malissimo, perché non vorrebbe mai vederti soffrire, ma contro una morte è impotente e non può far altro che tormentarsi. – Falala disse piano alla ragazza che guardava nel vuoto in un punto non definito perché era da giorni ormai che non riusciva più a guardare negli occhi nessuno, si sentiva troppo insulsa pure per sostenere uno sguardo. Claire non riusciva a palare, non diceva una parola. Quando soffriva si richiudeva in sé stessa e non palava con nessuno. Era fatta così, non riusciva ad aprirsi neanche con chi si fidava, preferita tenersi tutto dentro, anche perché quando si vuole dimostrare una propria colpevolezza a qualcuno che continua a sostenere il contrario è frustante ed è anche inutile, perché nessuno mai capisce sul serio. Joseph? Joseph lo sentiva distante, più di quanto dovesse. Sentiva la sua mancanza anche se era a un metro da lei, era come se quel suo sorriso avesse perso significato dopo quel che era successo ad Asabi. Falala si girò e frugò nella sua borsa e estrasse da essa una foglio di carta spiegazzato e piegato in quattro.
-Questa – disse la donna porgendole il foglio – è per te. È da parte di Joe, ma lui non sa neanche che io l’ho presa. Gli ho parlato l’altra sera, e stava cercando di scrivere a te, perché diceva che non riesce mai a trovare le parole giuste quando parla con te, quindi voleva provare a scrivere. Ma anche l’altra sera diceva che nulla sembrava abbastanza per esprimere quel che provava, così, si era rassegnato e aveva accartocciato la versione definitiva e l’aveva buttata nel cestino. Io l’ho presa, non l’ho letta, ma credo che tu debba sapere cosa prova davvero per te prima che sia troppo tardi. La guerra è praticamente finita, e presto ve ne andrete, Claire. Oltre al fatto che non credo che nessuno mi mancherà come mi mancherai tu, tu e Joe dovete chiarire, prima che ognuno riprenda la sua strada, proprio perché io credo che la strada da prendere per voi due sia la stessa. – Falala lasciò sulla panchina il foglio di carta e rivolse un sorriso alla ragazza che si girò dalla sua parte e che aveva già tutti gli occhi pieni di lacrime.
Prima che potesse fare qualsiasi cosa Claire si avvicinò alla donna e la abbracciò cominciando a piangere tra le braccia di quella donna che aveva creduto in lei come una madre, come la migliore delle amiche.
-Oh, tesoro – disse dolcemente carezzandole i capelli la donna.
-Mi mancherai da morire anche tu, Falala. – rispose la ragazza. – Grazie, per tutto.
-Ehi, io sono e sarò sempre qui per te Claire, e qui puoi tornare quando vuoi. Sempre. – rispose la donna con gli occhi lucidi. – ora però non voglio piangere prima del tempo, ok? Rimandiamo i saluti a tra due giorni, va bene?
Claire annuì sforzando un sorriso abbracciando di nuovo quella amica speciale che le aveva riservato quello strano viaggio.
 
*
 
Claire non aveva ancora aperto quel foglio quando Falala fu chiamata per dare una mano in cucina da Dinari, tornato in buona forma.
La ragazza mise i piedi sulla panchina, davanti a sé, portando le ginocchia al petto. Fece un sospiro profondo dicendosi che avrebbe dovuto cominciare a leggere. Si morse il labbro inferiore quando aprì quel foglio e vide la sua scrittura composta e disordinata del ragazzo. Chiuse gli occhi per un attimo e sospirò di nuovo. Li riaprì e cominciò a leggere tutto quel che era scritto.
 
 
“Claire,
non sono bravo con le parole, dovresti già saperlo, né so perché ho cominciato a scrivere questa cosa, che probabilmente non avrò neanche mai il coraggio di darti. So, però, una cosa soltanto: che ti amo più della mia stesa vita. Puoi non crederci se vuoi, ma è quel che sento per te. Megan non è niente per me, perché niente e nessuno potrà mai eguagliarti.
Amo il modo in cui ti mordi il labbro inferiore ogni volta che sei nervosa a particolarmente concentrata, amo quelle fossette che si formano ogni volta che sorridi, amo il piccolo neo che hai sulla guancia sinistra, amo come tu sappia evitare gli sguardi ogni volta che ti senti in soggezione, amo la dolcezza con cui mi baci, amo essere rimproverato da te, amo svegliarti la mattina accanto a te, amo semplicemente ogni cosa di te.
 Ti amo perché altrimenti sarebbe inspiegabile quella sensazione a livello dello stomaco che ho ogni volta che ti vedo, proprio come quella irreversibile voglia di morire ogni volta che ti vedo soffrire, e quegli occhi lucidi che ogni volta ho quando ti vedo sorridere a Ike Sarebbe inspiegabile il fatto di non aver mai avuto voglia di impegnarmi seriamente con nessuna ragazza, mente ora prima di addormentarmi fantastico sul nostro matrimonio proprio come una dodicenne innamorata del suo attore preferito. Sono così innamorato che ogni tanto mi meraviglio anche io di quanto possa travolgere un sentimento del genere, che mi accorgo solo ora di non averlo mai provato davvero prima di questo momento.
Ora però, dopo quel giorno, ti sento distante, come se tu non volessi avere più nulla a che fare con me. Vorrei dirtelo, ma ogni volta che ci provo, o vai via alla prima occasione o rispondi a monosillabi.
Così penso che tra poco ce ne andremo, che ognuno riprenderà la sua strada, ma più nulla sarà come prima, o meglio, io non sarò lo stesso Joseph che è partito due mesi fa. Io non sono lo stesso Joe Jonas di due mesi fa, e non tornerò mai più ad esserlo.
Il giorno prima di andare via canterò una canzone come avevo promesso dopo “I gotta find you”, e se vorrai starmi ad ascoltare, sappi che è dedicata a te.
Mi dispiace di averti mentito, ma te lo ripeterò all’infinito che Megan non conta assolutamente nulla per me. Megan era diventata nient’altro che un’abitudine anche per il Joseph di due mesi fa, questo Joe invece, non sa neanche chi sia.
Non credo nel “se la ami,devi lasciala andare” e non credo che ci crederò mai. Se vuoi che ti lasci in pace dovrai dirmi prima in faccia che non mi ami più o che non mi hai mai amato.
Non posso obbligarti ad amarmi, Claire. Non posso, ma voglio solo farti sapere che io ti amo, ti amo davvero, ti amo sul serio e farò di tutto per non lasciarti andare.
 

Per sempre tuo, Joe.”

 
Quando Claire terminò di leggere quella lettera era letteralmente in lacrime, tremante, senza le minima idea di cosa fare. 










Buona sera!
Scusate il ritardo, come sempre, ma la scuola i compiti e le interrogazioni non mi lasciano un attimo libero. 
Dai, ora non potete dire che ho fatto finire male questo capitolo ahahahah 
Vi voglio avvisare, omai manca poco alla fine della ff. Non intendo pochissimo, ma poco. Siamo alla "fase finale" che comunque durerà un po'. 
Un grazie infinite a tutte le recensioni, davvero!
Vogliamo parlare del fatto che quei tre ieri hanno "giocato" a calcio? Meglio di no, immagino che siano un bel po' scarsi ahahahah 
un bacione, 
Marta <3

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Capitolo 26
*** Chapter 25: I’m sorry ***



Chapter 25

 
I’m sorry

 

 
Claire uscì dall’area ricreativa e vide tutti i ragazzini e il personale dell’orfanotrofio racconti nel cortile, nel campo da calcio.
Per un attimo si chiese perché stesse accadendo tutto ciò, ma poi lo vide, con un sorriso in viso, con la sua chitarra in mano, e capì. Aveva quasi dimenticato che il giorno dopo sarebbero dovuti ripartire. Le sembrò di essere a esattamente due mesi prima. Lei che lo guardava da lontano, e lui felice ed emozionato che canta per tutti. Dall’ultima volta, però, erano cambiate tante, troppe cose. Si accorse, nonostante tutto, che quel sorriso che rivolgeva a quel suo speciale pubblico era sempre lo stesso, quell’amore negli occhi c’era sempre stato e Claire capì che ci sarebbe stato sempre.
Non era amore soltanto verso quei bambini a cui si era affezionato, ma era amore verso la vita, verso il futuro, verso la felicità, e verso tutto ciò che c’è di bello nel mondo.
In un attimo capì che in quella sera, al buio, nel suo studio, quando aveva dopo tanto tempo pregato, Qualcuno l’aveva davvero ascoltata da lassù, e aveva lasciato in vita quel ragazzo capace di far felice il mondo intero.
Lo vide che mentre preparavano il microfono si guardava intorno, in cerca di qualcosa, di qualcuno, fino a quando il suo sguardo non incontrò quello di Claire e lui fece uno dei suoi più grandi sorrisi che, in un modo o nell’altro la ragazza non riuscì a non ricambiare.
Posizionò il microfono acceso sull’asta, e si mise la chitarra al collo.
-Ci siamo. Ve lo avevo promesso, e mantengo sempre le mie promesse, quindi eccomi qui, ancora più emozionato della scorsa volta a cantare per voi. Per prima cosa però, volevo salutare tutti voi. Domani io, e molti altri ripartiremo, e non so davvero come farò senza di voi, senza ognuno di voi. Questo viaggio mi ha cambiato, nel profondo. Il Joe che è arrivato qui due mesi fa, non è lo stesso Joseph che domani se ne andrà. È stato un periodo duro, per tutti, ma che d’ora in avanti mi farà affrontare la vita diversamente. Che tra qualche tempo tornerò è certo, come potrei non tornare? Maun ha preso un pezzo del mio cuore che mai più riavrò indietro. In più volevo ringraziare tutti per tutto quello che abbiamo passato qui, per tutto quello che avete fatto per me, per esservi preoccupati per me e anche per avermi insegnato un po’ come si gioca a calcio, anche se a confronto a te, Asad, rimarrò sempre una schiappa! –disse il moro rivolgendosi al ragazzino che rise insieme al resto dei presenti – E per finire, volevo dedicare questa canzone a qualcuno che ho perso ancora prima di trovare, a cui devo chiedere scusa per ciò che ho fatto, ma che qualunque cosa accada non smetterò mai di amare.
 

It can be a rush
Yeah it’s like a drug
When you give up love
It’s never worth it

When you’re fighting fear
It can be so clear
What you really need
Is each other


But I finally found the truth
I was using you
Every night you’re gone

I swear it hurts
You’re the atmosphere oh
Now you’re gone, I can’t live Tell me what to do
I feel the pain all over my body-

 

Dopo il secondo verso Joseph aveva già gli occhi pieni di lacrime e la sua voce tremava ad ogni sillaba. Claire lo guardava senza sapere cosa dire mentre cominciava a piangere come mai aveva fatto prima. Lei non era tipo da cose sdolcinate, anzi, ma quella era la cosa più bella che qualcuno le avesse mai fatto.
 

-Was it the things I said?
Can I take them back?
Baby, cause without you
There’s nothing left of me

We can run away
We could change our fate
Baby, what can I do to show you I’m sorry?

 
Ooo, ooo
What can I do to show you I’m sorry?

You were in a rush
You forgot your stuff, yeah
You said you’d had enough
Now I feel worthless

Only thing I had
Was a second chance
What I really needed was another-

 
Claire si rimproverò per non essere andata a parlarci subito dopo aver letto quella lettera che lui neanche sapeva fosse arrivata nelle sue mani. Si chiese come avesse potuto dubitare di lui. Joseph la guardò nel bel mezzo della canzone e lei ricambiò lo sguardo. La vide piangere e tentò un sorriso come per rassicurarla. Ogni volta la giovane che pensava a quando avevano litigato le riaffiorava il ricordo di quella bomba, di quella perdita e continuava a incolparsi per ogni cosa, per ogni sbaglio, per ogni decisione presa.

 

-But I finally found the truth
I was using you
Every night you’re gone
I swear it hurts

You’re the atmosphere, oh
Now you’re gone, I can’t live
Tell me what to do
I feel the pain all over my body

 
Was it the things I said?
Can I take them back?
Baby, cause without you
There’s nothing left of me

We can run away
We could change our fate
Baby, what can I do to show you I’m sorry?-

 
Le parole di quella canzone erano perfette e stupende agli occhi di Claire. Lei era abituata a rotture improvvise delle sue passate relazioni, passando da fidanzati a perfetti sconosciuti. Per un attimo aveva sperato che sarebbe successo così anche con Joe. Ma con quella canzone, quella dichiarazione le aveva fatto cambiare idea. Lui non se ne sarebbe andato, lui non l’avrebbe abbandonata così senza neanche provarci di nuovo. Forse, perché, come diceva lui, era davvero innamorato.
 

-Ooo, oo
I’m sorry, babe
What can I do to show you I’m sorry?

Girl my heart is out of place
I feel it, killing me
If you need me to stay
Girl, I promise I won’t make the same mistake
Don’t say, don’t say bye, bye

 
What can I do to show you I’m sorry?
What can I do to show you I’m sorry?
Is it the things I said?
Babe, tell me what I did
Baby, cause without you there’s nothing left of me
We can run away
We could change our fate
Baby, what can I do to show you I’m sorry?
What can I do to show you I’m sorry?
What can I do to show you I’m sorry?-

 
Quando la canzone terminò Claire era rimasta in piedi, ferma, senza riuscire a fare nulla, con le lacrime che continuavano a scendere dai suoi occhi senza che lo volesse davvero.
Le sue gambe stavano agendo da sole quando si ritrovò a camminare verso di lui. Non stava pensando davvero, altrimenti sarebbe rimasta immobile proprio come poco prima.
Lo vide salutare tutti al microfono e poi rientrare dalla porta sul retro del centro ricreativo. Lo seguì senza pensarci oltre.
Non si era ancora accorto di lei, nascosta dietro la parete che la divideva dal giovane, quando il ragazzo poggiò la chitarra a terra e si mise a sedere, e cominciò a fissare un punto non ben definito, sorridendo tra sé e sé.
Claire si chiese a cosa stesse pensando, se magari stesse pensando a lei, e in fine se la volesse ancora. Perché, si accorse, che l’unica cosa di cui avesse davvero bisogno lei, fosse proprio un ragazzo come lui che era diventato estremamente troppo per una ragazza insignificante, a sui giudizio, come lei.
Le parole le uscirono dalla bocca prima che si rendesse davvero conto di aver aperto bocca.
-Joe – disse la ragazza facendosi vedere e avvicinandosi al moro, a cui improvvisamente brillarono gli occhi, che negli ultimi giorni erano stati fin troppo spenti. – Sono io quella che deve chiederti scusa. Sono stata io quella che ti ha trattato malissimo negli ultimi giorni,e mi dispiace.
-Claire, no. –disse alzandosi e prendendole una mano mentre l’altra era occupata a togliere quelle lacrime incessanti – Sono stato uno stupito nel poter credere che non saresti venuta a sapere di Megan, sono stato uno scemo a pretendere di poter meritare te, senza aver chiuso i conti con lei. E mi dispiace da morire, perché poi hai trascorso un periodo di merda e io ho aumentato il carico di cose negative– disse il ragazzo mettendo la mano della giovane tra le sue e carezzandola dolcemente – Mi dispiace da morire. Davvero, e, non so come dirtelo.
-Non serve. – disse la ragazza che prese dalla tasca dei suoi pantaloni un foglio e glielo porse. –lo so già.
-Come fai ad averla? –chiese il moro dopo aver aperto il fogli ripiegato e sgualcito della sua lettera.
-Sai, Falala non sa farsi molto i fatti suoi, però, in questo caso è stato un bene. – Claire sorrise, facendo ridere il ragazzo.
-Facciamo una cosa, va bene? – disse la ragazza. – Tu hai fatto degli errori, e io ne ho fatti altrettanti. Cancelliamo quel che abbiamo fatto e ricominciamo dall’inizio. Come se non ci conoscessimo, sarà tutto più facile.
Joseph le porse una mano, che lei strinse.
-Joe Jonas, con tre fratelli, un cane e una casa a Los Angeles. Ah, sono anche innamorato di te, ma  tu ancora non lo dovresti sapere, visto che la nostra relazione è appena cominciata. – disse il moro sorridendole
Claire rise.
-Claire Dawson, piacere mio. Beh, buono a sapersi comunque, visto che provo la stessa cosa per te. – la ragazza sorrise al moro, che si aprì in un sorriso come mai aveva fatto prima.











Buonasera!
Va bene dai, questa volta non potete proprio dire che l'ho fatto finire male u.u
Comunque, non cantate mai vittoria prima del tempo ahahahaha
Poi, ho pubblicato il primo capitolo di una mia mini-ff a tre capitoli, il secondo capitolo lo posterò domani :)
Se faceste un salto a leggere mi farebbe davvero piacere!
Ma ... vogliamo parlare di Pom Poms? Dopo così tanto tempo un singolo di tutti e tre fa un bell effetto davvero!
Un grazie infinite a tutte, e scusate per il ritardo! 
Un bacione, 
Marta 

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Capitolo 27
*** Chapter 26: She walks away ***




Chapter 26

 
She walks away


 

 
 
Quando Claire caricò l’ultima sacca sul pulmino non era ancora riuscita ad accettare il fatto che se ne stavano andando. Non poteva lasciare Maun. Non poteva davvero tornare alla sua vita reale. Sarebbe stato troppo doloroso.
Guardò Joseph al suo fianco prima di entrare nell’area ricreativa per salutare tutti. Sarebbero andati via insieme, stesso pulmino, stesso aereo, stessa città.
Quando aprirono la porta e si ritrovarono davanti quella grande sala già salirono a entrambi la lacrime agli occhi.
Claire poggiò la mano sulla spalla di Falala, la quale si girò e la guardò.
-Noi dobbiamo andare – disse la ragazza alla donna, che senza farselo dire due volte la abbracciò calorosamente. Scoppiarono a piangere entrambe.
-Tornerò al più presto Falala, torno presto, promesso. – disse alla donna che sciolse l’abbraccio.
-Io sarò qui tesoro. – disse guardandola, poi abbassò la voce per dire – e dacci dentro con il cantante, va bene? – le sussurrò facendole un occhiolino e facendola ridere di gusto.
-Va bene – rispose la ragazza.
Nel frattempo Joe salutò Dinari e Asad, che poi abbracciarono anche Claire. I bambini dell’istituto salutarono i due ragazzi con tanto affetto, abbracciandoli e dicendo loro di tornare presto e che sarebbero mancanti loro tanto. Erano tutti così affettuosi, così belli, che fosse stato per Claire e Joseph non sarebbero mai andati via.
Bambini e personale li avevano salutati, mancava soltanto uno all’appello.
-Dov’è Ike? – chiese Claire a Falala, che indicò il piccolo seduto in un angolo che colorava il suo disegno.
-Gli ho detto di venire, ma non ha voluto ascoltarmi – rispose la donna.
La ragazza fece cenno a Joe di seguirla. Joseph capì e si inginocchiò a destra della sedia in cui era seduto il piccolo, e Claire a sinistra.
-Che stai disegnando piccolo?- chiese la ragazza al bimbo che non rispose.
Il suo disegno era semplice, nulla di speciale. Sembravano due genitori, quindi un uomo e una donna, con un mezzo un bambino a cui davano la mano. Quella era semplicemente una famiglia felice, alla luce di un caldo sole con tanto di occhi e bocca.
-Ma lo sai che è davvero bello questo disegno, Ike? – disse il ragazzo. – Sul serio, potresti diventare un grande artista.
Ike accennò una risata.
Nel suo disegno il bimbo aveva il colore della pelle scuro, mentre quelli che sembravano essere i genitori avevano la pelle bianca. Per un attimo Claire sospettò davvero che si trattasse di quel che stava pensando.
-Questo chi è, Ike? Sei tu? – disse la ragazza indicando la figura in mezzo. Il piccolo annuì concentrato a finire di colorare il cielo di azzurro.
-E questa bella ragazza qui? Chi è? – chiese Joseph indicando la figura femminile. Il ragazzo aveva capito che stava pensando Claire.
-Claire. – sorrise il piccolo soddisfatto, poi indicò l’ultimo personaggio del suo disegno, e rivolgendosi sempre a Joe disse – e questo sei tu. Il disegno è per voi, così vi ricordate di me.
Le lacrime scesero dalle guance di Claire e di Joseph quasi nello stesso istante.
-È bellissimo Ike! – disse la ragazza prendendo in mano il regalo e abbracciando il bimbo mentre continuava a piangere.
-Sul serio, Ike. È davvero fantastico – rispose il ragazzo e abbracciò a sua volta il bambino. – Ma noi non ci dimenticheremo dai di te, piccolino.
-Mai – ribadì la ragazza.
-Non voglio che andate via – disse Ike, e Claire non riuscì a trattenere le lacrime.
-Dobbiamo, ma torneremo presto. – promise Joe.
-Promesso – aggiunse la ragazza.
Il bambino abbracciò i due ragazzi ancora una volta prima di lasciare andare i due, e con loro anche una parte di sé. Quel’ometto aveva già vissuto troppi addii nella sua breve vita.
Quando i due ragazzi uscirono dall’area ricreativa, con il loro disegno in mano, si sentirono come se avessero lasciato dietro di loro una parte della loro vita, come se una parte di loro sarebbe rimasta lì per sempre. Prima di salire sul pulmino Claire si girò a guardare il piccolo pozzo in cui era accaduto tutto e pregò per Asabi prima di andare via. Ogni volta che ripensava a quel giorno continuava a sentirsi in colpa, e non aver evitato di pensalo in quei giorni l’aveva quasi fatta stare male di più.
Una volta sul mezzo di trasporto Joe le prese la mano e le sorrise, lei rispose allo stesso modo, e si avvicinò a lui.
-Ora staremo insieme? Niente compromessi? Niente segreti? Niente di niente? – chiese la ragazza.
-Niente di niente. Solo noi due. – rispose il ragazzo portandosi la mano di lei e alla bocca e baciandola dolcemente.
Passando poi dalla mano, alla bocca della ragazza.
-Promesso? – chiese Claire.
-Promesso. – rispose il moro dandole un altro bacio sulle labbra con tutta la dolcezza del mondo.
 
*
 
Avevano passato ore ed ore dentro quell’aereo, dopo aver fatto scalo più volte, prima a Città del Capo, poi a Parigi e infine a New York, stavano finalmente atterrando a Los Angeles.
Claire si sentiva vuota ora che stava per tornare alla sua vita reale, si sentiva inutile, piccola, insignificante. Spostò il suo sguardo dal finestrina al ragazzo accanto e lei: l’unica cosa che la manteneva in vita in quel momento era Joseph.
Il ricordo di Asabi la tormentava, e le faceva mettere in dubbio quella che doveva essere la scelta del suo lavoro, il pensiero che sarebbe potuto accadere qualcosa di male a Ike non riusciva a farla dormire, e l’unica cosa positiva in tutto quello era Joe.
Non sapeva se lui si rendesse davvero conto di quanto, nonostante tutto, fosse estremamente fondamentale per lei.
Dall’annuncio all’atterraggio non passò poi così tanto tempo, anzi fu tutto abbastanza veloce, e in un momento si ritrovò nella sua calda, affollata, veloce Los Angeles.
Presero i loro bagagli, e uscirono fuori dal terminal. Claire aveva dimenticato un piccolo dettaglio però, che forse poi così insignificante non era: Joe era una popstar.
Un gran numero di paparazzi si affollò davanti a loro, e la ragazza quasi non ebbe paura.
-Joe! – disse un ragazzo alzando una mano a pochi metri di distanza da lui, probabilmente era un suo fratello.
-Joe, amore! – esclamò subito dopo una ragazza affianco a quest’ultimo. A Claire si gelò il sangue nelle vene.
-Torno subito, aspettami qui, Claire, ok? – disse il ragazzo, la giovane annuì senza davvero capire cosa stesse accadendo, con una sola idea in testa.
Joseph si avvicinò ai due, con a seguito il gruppo di paparazzi che non facevano altro che scattare foto, strinse la mano al ragazzo che gli sorrise felice.
Claire non avrebbe mai immaginato che un cuore spezzato facesse così rumore, quando lo sentì rompersi in mille pezzi nel suo petto nel momento in cui le labbra di Joseph si poggiarono su quelle di quella ragazza, che era ovvio ormai che fosse Megan.
Quando Joseph si girò a guardare verso di Claire, ormai era troppo tardi, lei era già andata via, forse, questa volta, per sempre. 










Perdonatemi. 
Vi prego perdonatemi. La scuola mi distrugge, e l'ispirazione si fa vedere una volta ogni mille anni. Scusate davvero per il ritardo enorme ç.ç
Lo so, ho subito ripreso il vizio di far finire male il capitolo ahahaha
Comunque, fatemi sapere che ne pensate, ok?
Un bacione enorme a tutte, 
Marta 

ps: Se volete, come vi ho accennato l'altra volta, ho scrito una mini FF in tre capitoli, che ora ho finito. Mi piacerebbe davvero un vostro parere!
Ora me ne vado sul serio! ahahah *scappa via*

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Capitolo 28
*** Chapter 27: I Almost do ***




Chapter 27

 
I Almost do
 


 
Claire continuava a girarsi nel suo letto senza riuscire a trovare la posizione giusta per addormentarsi. Quella sera prendere sonno sembrava un’impresa impossibile.  
Non riusciva a smettere di pensarlo. Non riusciva a dimenticarlo nonostante fosse passato quasi un mese dall’ultima telefonata.
La ragazza guardò l’orologio e notò che erano le 3,14 di mattina. Sbuffò e si alzò da quel letto troppo vuoto e pieno di pensieri. Andò in cucina, prese il cartone del latte e ne verso un po’ nel bicchiere di vetro che aveva appena tirato fuori dalla credenza. Mise a posto il cartone e chiuse il frigo e andò a sedersi sulla comoda sedia affianco alla grande finestra aperta del suo appartamento di Los Angeles.
Sorseggiando il suo latte freddo, ormai rassegnata ad una notte in bianco o quasi, guardò fuori dalla finestra e si chiese se fosse ancora sveglio. Poi subito dopo si rispose: era sabato, come avrebbe mai potuto essere già a letto? Era troppo presto per uno come lui in una città come quella. Oppure sarebbe potuto essere appena tornato a casa sua, avrebbe potuto accendere le luci e avrebbe tirato un sospiro di sollievo, avrebbe messo le chiavi della sua macchina vicino all’ingresso, e sedendosi sul suo divano, guardando tra i grattacieli di quella grande città, magari, avrebbe potuto pensarla, avrebbe potuto pensare a Claire.
 

I bet this time of night you’re still up
I bet you’re tired from a long, hard week
I bet you’re sitting in your chair by the window, looking out at the city
And I bet sometimes you wonder about me


La ragazza ricordava ogni istante trascorso con quel ragazzo, così bene che pensarci ogni volta le faceva più male che altro. Non sarebbe mai stata capace di dimenticare, però, quel momento, all’aeroporto, oppure quell’ultima telefonata in cui entrambi, piangenti, erano finiti per dirsi addio.
 
-Perché mi hai fatto questo?- esordì Claire rispondendo al cellulare alla millesima chiamata del ragazzo nel giro di un’ora.
-Claire, lasciami spiegare, è tutto finito, con lei. Le ho appena finito di parlare. Ha capito, ha visto che ora sono diverso,e che la nostra relazione era ormai giunta alla fine. - le rispose il ragazzo, questa volta davvero sincero. Aveva davvero chiarito con Megan. Quel bacio all’aeroporto, però, l’aveva dovuto dare, c’era la stampa. Non dipendeva solo da lui, c’era tutto il mondo a guardarlo lì dove ogni suo passo doveva essere giustificato davanti alle telecamere.
-Chi mi garantisce che tu non stia mentendo ancora? Perché negli ultimi tempi mi stai dicendo solo bugie. – ribatté la ragazza che ancora non riusciva a fidarsi di lui.
-Te lo giuro Claire. Se ti fidassi un’ultima volta di me, lo potresti vedere con i tuoi occhi. – rispose il moro.
-Non ti credo più ormai.- disse Claire mentre una parte di sé le urlava che gli doveva dare un’altra possibilità, che se ne sarebbe pentita. Claire, però, era fatta così. Allontanava chiunque le volesse bene e nello stesso tempo poteva farle più male degli altri, proprio perché sarebbe stata lei quella che si sarebbe affezionata. Si chiudeva come in riccio, e così facendo rinunciava a un ragazzo e di conseguenza a un vera vita.
-Non voglio dirti addio, non per questa cazzata. – rispose mentre la voce cominciava a rompere e una lacrime gli solcava la guancia lentamente.
-Allora lo faccio io – disse tentando di rimanere determinata, ma quella sua voce tremante era impossibile da non notare. – Addio Joseph.
-Ti amo. – rispose il ragazzo ormai in lacrime, e come risposta sentì, dall’altra parte, soltanto il suono del telefono che era stato appena riattaccato. Joe non avrebbe mai immaginato che un cuore spezzato facesse così rumore, quando lo sentì rompersi in mille pezzi nel suo petto proprio in quel momento.
 
Claire prese il cellulare e tornò a guardare i messaggi di Joe, che non avevano mai avuto una risposta da parte sua. Perché, nonostante tutto, Joseph aveva continuato a scriverle. Non voleva perderla, ma non sapeva neanche dove cercarla, non aveva il suo indirizzo e di “Dawson” a Los Angeles ce ne erano centinaia. La ragazza era stata milioni di volte suo punto di rispondergli, una parte di lei non aspettava altro, ma la Claire che non aveva altro che ricevuto porte in faccia dalla vita continuava a non volerne sapere di lui.

 

And I just want to tell you
It takes everything in me not to call you
And I wish I could run to you
And I hope you know that
Every time I don’t,
I almost do, I almost do


Mentre pendeva un altro sorso di latte, Claire si disse che probabilmente ora Joseph pensava che lei sarebbe andata avanti senza problemi oppure che l’avrebbe cominciato ad odiare. La ragazza, invece, non riusciva a fare nessuna delle due cose, ne voleva davvero farle.
Forse stava facendo lo sbaglio più grande della sua vita, forse stava per perdere il suo “unico grande amore”, ma fino a prima di quel viaggio lì in Africa aveva anche smesso di credere nell’amore. Eppure quel posto l’aveva cambiata: non si era mai svegliata di notte pensando un ragazzo. Forse era perché quel viaggio l’aveva resa diversa, o forse perché quello non era solo un semplice ragazzo, quello era Joseph, ed era diverso da tutti gli altri, oppure per entrambe; non ne era sicura.

 

I bet you think I either moved on or hate you
‘Cause each time you reach out there’s no reply
I bet it never, ever occurred to you that I can’t say hello to you
And risk another goodbye


Non riusciva a far passare 24 ore senza che l’immagine del suo sorriso si ripresentasse chiara nella sua mente e il suono della sua risata rimbombasse nelle sue orecchie. Continuava a sognarlo, sveglia o meno. Era incredibile come sembrasse impossibile farlo uscire dalla sua vita.
Le mancava, eppure doveva lasciarlo andare, le avrebbe continuato a far del male, se fosse successo di nuovo, le avrebbe fatto ancora più male.
 Ma l’unica cosa che continuava chiedersi in quel momento, illuminata dalle sole luci della città, era se la stesse pensando proprio come lei continuava a pensare a lui. Una parte di lei lo sperava con tutto il cuore.

 

We made quite a mess, babe
It’s probably better off this way
And I confess, babe
That in my dreams you’re touching my face
And asking me if I want to try again with you
And I almost do

 
I hope sometimes you wonder about me





 

Buonasera a tutti!
Dovete scusarmi, davvero! ç.ç
Sono scomparsa nel nulla, ma ormai sono entrata in simbiosi con i libri in questo periodo, soprattuto con quello di latino. L'odiato latino.
Ma dai, forza e coraggio, siamo a maggio. Mi faccio coraggio da sola e comincio a delirare, vedete un po' voi come sto io ç.ç
Siamo a maggio ... tra un mese faccio 17 anni ç.ç mi sto anche invecchiando, vedete?
Basta, è meglio terminare questo angolo dell'autrice molto delirante.
Un bacione grande grande a tutte, sono davvero felicissima dei vostri commenti e del fatto che nonostante tutto ci siete ancora ç.ç
Al più presto possibile. <3 

 

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Capitolo 29
*** Chapter 28: I love her ***



Chapter 28

 
I love her
 


 
Septermber 2014
 
Era il primo giorno di lavoro al Cedars-Sinai Medical Center di Claire e non poteva esserne più emozionata e terrorizzata allo stesso momento. Il mese precedente aveva davvero messo in dubbio la sua unica certezza che aveva fin da quando era una bambina: la volontà di voler fare il medico. Era stato il dottor Smith che, quando le aveva consegnato l’attestato di tirocinio, vedendo i suoi dubbi sul voler davvero proseguire su quella strada, l’aveva davvero convinta ad andare avanti e non a mandare tutto all’aria. Era stato lui a inviare il suo curriculum senza che lei sapesse nulla al centro medico in cui lui stesso era stato primario per più anni, per poi ritirarsi, per propria scelta, a fare il professore all’università. Insieme al suo curriculum aveva inviato anche una lettera in cui lodava il suo importantissimo impegno nel suo coraggioso tirocinio. Una settimana dopo Claire aveva già ricevuto una chiamata in cui le veniva detto di presentarsi sul posto per un colloquio proprio il giorno dopo. Così in meno di due settimane dall’invio del curriculum Claire si ritrovava ad entrare nel Cedars-Sinai Medical Center come medico e non come paziente.
Almeno per i primi giorni, doveva soltanto assistere il medico incaricato durante i parti della giornata e niente di più, quindi ripetendosi che non doveva essere poi così difficile era entrata nella struttura e si era già presentata a tutto il personale con cui doveva lavorare.
L’uomo, anzi il neanche trentenne, con cui doveva lavorare quel giorno era molto simpatico e sorridente. Era riuscita subito ad entrare in sintonia con lui, e di sicuro questo era un punto a suo favore.
Arrivò a pranzo e aveva già aiutato a far nascere due bei bimbi, e si disse che no, non c’era cosa più bella di quella emozione che provava ogni volta che vedeva una nuova vita venire al mondo.
Nel pomeriggio non c’erano state madri che erano corse all’ospedale allarmate perché di erano rotto loro le acque, almeno questo non accadde fino alle 17, quando la porta del pronto soccorso si spalancò e una ragazzina, che avrà avuto si e no 16 anni entrò su una sedia a rotelle bianca in viso e con un gran pancione pronta a partorire. Appena la vide il dottor Richer, l’uomo con cui doveva lavorare Claire, sbiancò. Mentre lo seguiva nella sala parto, Claire gli chiese se ci fosse qualcosa che non andava.
-Rachel ha avuto un distacco della placenta un paio di settimane fa ed è solo alla 24esiama settimana , troppo presto per un parto naturale. Quindi dovremo fare un parto cesareo, verificando prima se il bimbo è ancora vivo. – spiegò velocemente il dottore.
Mentre la ragazza di dimenava sul lettino, agitata e presa dai dolori, il dottor Richer avvicinò l’ecografo al lettino e controllò il bimbo.
Rimase in silenzio. I secondi passavano, e lui non voleva crederci. La sua espressione mutò in peggio in meno di un secondo.
Rachel afferrò il braccio del dottore e lo scosse chiedendogli cosa stesse accadendo, e successivamente che cosa avesse il bambino. L’uomo si girò verso la ragazza già in lacrime e scosse la testa.
-Non ce l’ha fatta. – disse quasi in un sussurro, e la ragazza che sarebbe dovuta diventare una mamma scoppiò a piangere.
In quel momento, in quel solo istante tutto quel che Claire aveva tentato di sopprimere nei mesi precedenti, si era ripresentato come una valanga su di lei, dentro di lei. I suoi occhi cominciarono a velarsi di lacrime, quel peso allo stomaco si fece più greve, e vide nel viso di quella Rachel, la sua Asabi ma anche se stessa. Provava al meglio di dividere il lavoro da tutto il resto, ma in quel momento, in quel momento in ci era riuscita. Si mise una mano sul viso e scomparve dalla stanza, uscendo dall’intero edificio.
Non pioveva, ma avrebbe cominciato presto visto che lì fuori il cielo era plumbeo, nero, così tanto oscuro da perdercisi dentro.
 
*
 
Un tuono squarciò il silenzio nella mente di Joseph che trasferì il suo sguardo stanco dal mixer dello studio di registrazione in cui i Jonas Brothers stavano registrando alla grande finestra che si affacciava su una piovosa Los Angeles.
Osservò come le gocce d’acqua battevano sul vetro sottile di quella finestra, e come quelle gocce attaccate al vetro continuavano a rincorrersi. Alcune riuscivano a unirsi, a trovarsi, altre non si sarebbero mai trovate. Ma una volta che si trovavano, quelle gocce, ance se volevano non riuscivano più a staccarsi l’una dall’altra.
Forse era per questo che da quell’ultima telefonata non aveva fatto che pensare a Claire. Forse era per questo che non aveva neanche più voglia di uscire la sera per una birra con gli amici, o per un salto in discoteca. Il suo spirito da festaiolo si era andato dissuadendo sempre di più, fino alla sua completa scomparsa.
A tutti sembrava ormai un’altra persona, e veniva ormai definito come “cambiato” con un solo aggettivo dalle persone dopo che avevano parlato con lui o che erano soltanto stati alla sua presenza.
Indubbiamente era diverso da come si mostrava prima di quel viaggio. Tornato dall’Africa non si faceva vedere più come la pop-star Joe Jonas, ma solo come Joseph, il vero Joseph. Era come se in quel momento dell’opinione degli altri non gliene importasse nulla, non voleva più essere chi non era davvero.
Maun l’aveva cambiato, di nuovo. Claire l’aveva cambiato. Voleva quella ragazza ancora affianco a lui, ma non sapeva né come fare né con chi sfogarsi, perché nessuno avrebbe capito.
-JOE! – disse per l’ennesima volta Kevin che era ormai la decima volta che chiamava il fratello che continuava a non rispondere.
-Sì? – rispose girandosi con la sedia girevole verso i fratelli.
Kevin scosse la testa.
-Sul serio Joe, si può sapere cosa ti prende? È da quando sei tornato che sei distratto, stanco, sei … completamente cambiato! – disse Kevin sconvolto, e Joe non poté evitare di sorridere quasi amareggiato per aver di nuovo sentito quella parola. Cambiato. Continuavano a non capire.
-Niente Kevin, ti ho già detto, non ho nulla. – rispose il ragazzo, ormai come faceva con tutti.
Nicholas si alzò e sospirò, avvicinandosi al fratello. Si poggiò alla finestra e incrociò le gambe dopo essersi messo a braccia conserte.
-Dai su, come si chiama? La ragazza dico. – disse Nicholas a Joe che alzò lo sguardo all’improvviso e come un ragazzino di tredici anni alla sua prima cotta arrossì.
-Andiamo, solo una ragazza può ridurti in questo stato Joseph, lo sappiamo entrambi. – lo guardò sorridendo il fratello. – Dopo 22 anni che ti sopporto, riesco a intuire qualunque cosa anche se tu non me la dici, fratellone. Dovresti saperlo ormai. Hai lasciato Megan, il che significa che hai lasciato una gran bella ragazza, sei tra le nuvole da quando ti ho rivisto, mangi poco niente, e non hai neanche fatto le tue solite battutine su quanto sia da vecchio il golfino che addosso oggi. Le cose sono due: o sei gravemente malato, oppure c’è di mezzo una ragazza. Io opto per la seconda.
Joseph si chiese se dovesse dirglielo davvero o meno. Subito dopo si rispose chiedendosi chi l’avrebbe dovuto sapere se non i suoi fratelli.
-Non si tratta solo di Claire … - cominciò, ma prima che potesse finire al frase venne interrotto da Kevin.
-Aaaah, ma allora se c’è una ragazza di mezzo è un’altra storia – disse il maggiore dei tre alzandosi dalla sua sedia e avvicinandosi a Joe. – Dai racconta, racconta!
Joseph, che finalmente si sentì di nuoco a casa, cominciò a raccontare. Non tralasciò nulla, raccontò nei dettagli dal primo incontro all’ultima chiamata. I suoi occhi brillavano ogni volta che ripeteva il suo nome, e il suo sorriso si faceva spazio sul suo viso ogni volta che spiegava tratti del suo carattere o i momenti speciali che avevano passato insieme.
-Non l’ho mai detto per nessun’altra, ma lei è diversa. Quando sono con lei sono davvero io, sono il vero Joseph. Quindi sì, posso assolutamente dire che … la amo. La amo, ma l’ho persa. – disse il ragazzo provocando il sorriso spontaneo dei fratelli.
Prima che nessuno dei tre potesse dire nulla il cellulare di Joseph squillò. Sentì il cuore battergli in gola non appena vide il nome della ragazza apparire sullo schermo del suo iPhone.
-Pronto. – disse tra il sorpreso e l’incredulo Joseph. -Sì, sono io – rispose il giovane. -Come sta? – chiese allarmato - Arrivo subito.
Così dicendo chiuse la chiamata e si alzò dalla sedia andando verso al porta.
-Chi era? – chiese Kevin.
-L’ospedale. Claire la avuto un incidente. – così dicendo con voce tremante e passo veloce uscì dalla stanza.








Buonasera gente!
Se ve lo savate chiedendo: no non sono morta o scomparsa nel nulla, e né mi hanno rapito gli alieni (?)
Sono solo stata molto, molto impegnata. Ma sono tornata, e tranquilli, finirò questa fan fiction ahahaha
Grazie a tutti quelli che sono arrivati a elggere fin qui, e che ancora mi seguono!
Dovete perdonarmi per questo enorme ritardo però!
Se non l'avete intuito siamo arrivati allo stesso giorno del prologo! 
Continuerò al più presto, questa volta davvero! 
Un bacione <3

 






 

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Capitolo 30
*** Chaper 29: He needed her, as much as he needed his heart. ***



Chaper 29

 
He needed her, as much as he needed his heart.

 



Era il terzo semaforo rosso che sorpassava così velocemente che neanche lui stesso riusciva a distinguerne il colore. Aveva già evitato due macchine passando solo a una manciata di centimetri di distanza da queste. Se non fosse andato un po' più piano, con quella pioggia incessante che non aiutava affatto la visuale, sarebbe stato lui quello che sarebbe arrivato all'ospedale in ambulanza. 
Joseph prese un respiro, dicendosi che no, non era possibile, non doveva esserle successo nulla. Non poteva essere possibile il contrario. 
Ormai cominciava a vedere i piani più alti del centro medico già da lontano. 
La pioggia non smetteva di cadere e inondare quelle strade fin troppo trafficate. 
Il ragazzo entrò nel parcheggio dello stabilimento in cui era ricoverata Claire e cominciò a cercare un posto che sembrava impossibile da trovare. Possibile che fosse tutto pieno? Proprio in quel momento? Imprecò per l'ansia e l'agitazione da cui era invaso completamente. Finalmente vide un posteggio e ci si fiondò. 
Scese dalla macchina e corse verso la struttura, arrivando all'ingresso completamente bagnato da capo a piedi. Si catapultò alla hall e senza curarsi per niente di essere gentile o rispettare la fila, si rivolse alla signorina al bancone. 
-Qual'è la stanza di Claire Dawson? - domandò con il fiatone alla donna. 
-Lei è il signor Joe? - chiese questa. 
-Sì, dov'è la stanza di Claire? - domandò di nuovo, cercando di essere più convinto. 
-La signorina è ancora in rianimazione, sta subendo un intervento. Sono stata io a chiamarla, signor Joseph, perché il suo numero era tra i preferiti del cellulare della signorina Dawson e tutti i suoi altri parenti più stretti si trovano a New York, arriveranno domani pomeriggio. Lei è suo parente? Perché ci sono informazioni riservate e per questioni di privacy … - cominciò la donna. 
-Non sono un suo parente. - disse il ragazzo. 
-Allora mi dispiace signor Joseph ma … - continuò la donna.
-Sono il suo ragazzo, va bene? Avrò qualche diritto a sapere come sta oppure no? - disse alterato. Pensò già che avrebbe messo a soqquadro l'intero stabilimento se non gliela avessero fatta vedere e non gli avessero detto neanche cosa ci fosse che non andava. 
-Beh allora … va bene. Come le ho detto è ancora in rianimazione, la può aspettare in corridoio. È al terzo piano, ala est. Verrà da lei il medico che la sta operando non appena avrà finito e le comunicherà tutto. - gli spiegò la donna. 
-Lei non può dirmi nulla su di lei? -chiese con occhi lucidi.
-Non posso, inoltre non so proprio nulla sulla sua condizione. So solo che, quando è entrata, appena rinvenuta dallo svenimento ha detto il suo nome, signor Joseph. - gli rispose la signorina, quasi commossa a vedere quel giovane tenere così tanto a quella ragazza. 
-Grazie mille per le informazioni – disse dirigendosi verso l'ascensore. Salì al terzo piano e vide il cartello “Terapia intensiva” a pochi metri da lui. 
Si sedette su una delle tante sedie gialle in corridoio. Cercava di non pensarci, tentava di non pensarla, altrimenti avrebbe cominciato a piangere. 
Mentre era seduto lì si chiese perché avessero scelto proprio quel colore per quelle sedie in quel reparto. Il giallo era un colore gioioso, e chi aspettava in quel luogo sarebbe sempre stato tutto tranne che felice. Forse serviva proprio per questo, forse era l'unica cosa che rallegrava l'ambiente e magari chi era in quell'ambiente. 
Joseph sapeva soltanto che stava odiando quelle sedie e anche quel colore. 
Sì alzò di scatto e si avvicinò alla finestra più vicina. Si ritrovò di nuovo a fissare quelle gocce. Vedeva ogni cosa in quelle gocce d'acqua, era come se riuscisse a vedere un progetto, un progetto della sua vita. Le sue decisioni migliori le aveva prese guardando fuori dalla finestra mentre pioveva. Era come se tutto ciò riuscisse ad ispirarlo abbastanza per fare la mossa giusta, o per rassicurarsi o prevedere qualcosa che sarebbe successo. Il problema era che, in quel momento, in quella pioggia non vedeva nulla. Né lui, né Claire. Vedeva soltanto un mucchio di stronzate che amava raccontarsi quando vedeva piovere. 
Continuava a pensare e ripensare qualunque cosa che non avesse a che fare con lei, con un unica convinzione: Claire ce l'avrebbe fatta. 
Poi arrivò un momento in cui, circa un'ora dopo dal suo arrivo lì, che lasciò cadere la sua certezza. Crollò. Non capì bene il perché: forse perché gli sembrava passato troppo tempo dall'intervento, o forse perché cominciò a pensare alle miriadi di cose brutte che le sarebbero potute accadere in quell'incidente. 
Cominciò a piangere, tenendosi la testa con le mani, in un pianto silenzioso ma intenso. Chiuse gli occhi e vide il suo sorriso, sentì la sua risata, la sentì pronunciare il suo nome, rivide il loro primo bacio, la loro notte d'amore, l'arrivederci rivolto a Maun, a Falala, a Ike. 
Non poteva andarsene, non in quel modo, non in quel momento, non ora. Doveva ancora dimostrale il suo amore, doveva ancora amarla più di qualsiasi altra cosa, doveva ridere insieme a lei, doveva piangere insieme a lei, doveva ancora litigare, amare, baciare, ricordare. Lui aveva bisogno di Claire, tanto quanto avesse bisogno del suo cuore. 
Proprio mentre stava perdendo ogni speranza, sentì la porta del reparto della terapia intensiva aprirsi e vide un medico dirigersi verso di lui e chiedergli se fosse un parente della signorina Claire Dawson. Domanda alla quale il ragazzo rispose prontamente di sì, alzandosi subito dopo in piedi.









Buonasera gente!
Sì, lo so sono stata abbastanza una stronza a lasciarvi ancora una volta sulle spine ahahhahaha
Ma mi ero accorta che non vi avevo detto una cosa fondametale, cioè che il prossimo sarà l'ultimo capitolo di questa fan fiction, perciò ho voluto troncare questo capitolo, il penultimo, in questo modo! 
Quindi dicevo, il prossimo è l'ultimo capitolo, dopo il quale ci sarà un lungo epilogo ed anche questa fan fiction sarà finita. Sarebbe anche un anno che va avanti quindi sarebbe anche ora ormai. Anche se, sì, mi mancherà da morire. 
Facciamo che mi farò prendere dallo sgomento quando avrò postato l'epilogo e non adesso, altrimenti è la fine ahahahah
Un grazie enorme a chi ancora mi segue. 
Un bacione, 
Marta. 


 

 

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Capitolo 31
*** Chapter 30: Everythings is possile ***



Chapter 30

 
Everythings is possile

 

 
 
Joseph cercò di carpire un’emozione dal viso dell’uomo davanti a lui. Il medico, però, aveva un’espressione statica, come se non sentisse nulla, come se mancasse completamente di empatia. Era come un medico dovrebbe essere, era come non sarebbe mai riuscita ad essere Claire, pensò Joe. Forse, si disse, non esistevano solo medici senza sentimenti come sembrava essere quello davanti a lui. 
-La signorina Dawson ha subito in grave incidente, consideri che è praticamente un miracolo se è ancora viva. Ha presentato molte fratture. Ha una gamba, una costola e un braccio rotti. In particolare la rottura della terza costola le ha provocato delle complicazioni, infatti questa è andata a lacerare l’aorta. Abbiamo optato per un intervento chirurgico molto delicato per risolvere il problema e per adesso sembra essere andato bene. – gli spiegò il medico – Le abbiamo somministrato un’anestesia totale, ed entro la prossima ora si dovrebbe risvegliare. Se supera le prossime 24 ore la si può considerare fuori pericolo.
-Posso vederla? – domandò Joseph apprensivo dopo aver tirato un sospiro di sollievo. Era viva.
-Sì, ma quando si svegli chiami l’infermiera. Mi raccomando non deve essere affaticata. – si raccomandò il medico.
-Numero della stanza? – chiese Joe con un sorriso stampato in viso. Poteva vederla.
-312 – rispose il medico, facendosi scappare un mezzo sorriso a vedere quel ragazzo felice per quelle notizie. Si domandò anche se fosse il fratello, qualche altro parente o il ragazzo di quella giovane donna, quando lo vide affrettarsi verso il reparto di terapia intensiva. Eppure quel ragazzo gli ricordava qualcuno: forse era solo una sua impressione, ma era fin troppo simile al cantante che gli aveva mostrato sua figlia in tv proprio il giorno precedente. Quel medico di empatia ne aveva, e di sentimenti ne provava fin troppi, aveva solo imparato a non mostrarli davanti ai pazienti o ai loro parenti.
Joseph passò davanti alle stanze di quel centro medico facendo passare i suoi occhi dal numero di una stanza all’altro. Fino a quando non vide quel 312 stampato affianco alla porta della stanza bianca.
Abbassò la maniglia della porta ed entrò all’interno della camera. Sentì il suono sottile e ripetuto che segnalava il battito del cuore di Claire che proveniva da un macchinario di cui Joseph non sapeva neanche il nome. Quel suono, però, Joe riusciva ad amarlo ed odiarlo nello stesso momento: da una parte gli diceva che la ragazza che amava era un vita, dall’altra gli sussurrava che era stata sul punto di morire, che avrebbe potuto lasciarlo senza che lui avesse potuto fare nulla.
La vide su quel letto d’ospedale e nonostante la gamba e il braccio ingessati, nonostante quei graffi sul viso, nonostante qualunque cosa, gli sembrò la ragazza più bella del mondo.
Joe non riuscì a evitare di pronunciare il nome della ragazza bisbigliandolo a se stesso, come se nessuno dovesse sentire, come se quella giovane fosse così speciale per lui che solo dire il suo nome potesse dargli la forza di affrontare tutto in modo migliore di quanto stesse facendo.
Il ragazzo avvicinò la sedia che era all’angolo della stanza al letto della giovane dottoressa. Si sedette e le prese la mano e la portò alla propria bocca per baciarla dolcemente.
-Claire … – sussurrò di nuovo lui, nascondendo poi il suo viso dietro le loro mani intrecciate e scoprendolo solo quando le sue lacrime avevano cominciato a ruscellare dai suoi occhi rendendoglieli fin troppo lucidi.
-Scusami. – disse piano guardandola in viso – scusa per tutto. Scusa per quello che ti ho fatto, scusa per Megan, scusa per non aver baciato te in aeroporto. Scusa per non aver cercato tutti i Dawson di Los Angeles solo per ritrovarti. Scusa per aver provato a dimenticarti. Scusa per non esserti stato affianco nel momento in cui avevi più bisogno di me. Scusa per non aver fatto nulla per impedire questo incidente.– disse piangendo il ragazzo – Sarei dovuto essere lì, affianco a te.
Joseph si asciugò le lacrime e ricominciò a parlarle.
-Non ho fatto altro che pensare a te Claire, sei stata un’ossessione. Eri in ogni cosa, in ogni luogo, in ogni momento, e questo accadeva perché non solo eri nella mia testa, ma sei sempre continuata ad essere nel mio cuore. – le rivelò il ragazzo – sai? Mi hai cambiato, in meglio, senza neanche volerlo davvero, come nessuno ha mai fatto prima.
Joseph continuò a parlarle, sommessamente, mentre continuava a tenere stretta la sua mano nella sua. Le raccontò tante cose, le ripeté quanto fosse terribilmente innamorato di lei, le disse quanto già gli mancava Ike e tutto l’orfanotrofio di Maun.
Poi guardò fuori dalla finestra, la pioggia scendeva più leggera, più delicata in quel momento. Cercò di vederci dentro qualcosa di nuovo, nonostante avesse mandato a quel paese tutta quella faccenda poco prima. Era come se quelle gocce d’acqua attirassero il suo sguardo. Vide due lacrime del cielo scontrarsi contro il vetro della finestra in contemporanea. Erano lente e leggere, entrambe. Il vento e la gravità continuavano a spingerle in basso e sempre più vicine. Bastava che una delle due gocce ne incontrasse un’altra per deviare leggermente o cambiare completamente strada. La loro corsa verso il basso era lenta, tortuosa, e piena di altre goccioline, che non facevano altro che ingrandire la goccia principale. Ogni incontro, ogni scontro aveva delle conseguenze, quindi portava con sé parte di chi è sulla propria strada. Le due gocce iniziali erano sempre più vicine, sempre di più. Nonostante tutto e tutti quelle due gocce sembravano essere destinate ad incontrarsi.
Nell’esatto istante in cui quelle due lacrime del cielo si incrociarono e si unirono in un’unica e sola goccia, per proseguire il loro percorso insieme, Joseph sentì che qualcuno gli stesse stringendo la mano.
Il suo cuore ricevette una scarica adrenalinica, e lui abbassò lo sguardo vedendo quegli occhi tanto agognati aperti e lucidi.
-Joe, che ci fai qui? – chiese la ragazza impaurita stringendo la mano a quel giovane uomo a cui erano morte in gola le parole da pronunciare.
-Claire. – disse il ragazzo baciando la mano della giovane e lasciando che i suoi occhi diventassero lucidi. – Hai fatto un incidente,  … mi hanno chiamato … e sono corso qui appena me lo hanno detto. – rispose cercando di evitare di bloccarsi ogni tre parole. – Mi hanno chiesto di chiamare gli infermieri non appena ti saresti svegliata. – affermò il ragazzo premendo il pulsante accanto al letto per segnalare al personale che aveva bisogno di qualcosa. Joseph era agitato, incredulo, sconvolto, meravigliato. Aveva un centinaio di sentimenti tutti in una volta.
-Joe … - ripeté la ragazza afferrandogli di nuovo la mano – Io … io ti avevo detto addio e ti avevo trattato male nell’ultima telefonata. Sono stata una stronza. E allora, perché … perché venuto qui?
-Perché non ho mai smesso di amarti e mai lo farò. – rispose con determinazione e assoluta sincerità il ragazzo, accarezzandole la guancia. Poi Claire ripensò a due settimane prima e i suoi occhi si fecero lucidi.
 
*
 
Quando finalmente il medico e tutti gli infermieri furono andati via dicendo che Claire avrebbe dovuto riposare, non avrebbe dovuto affaticarsi e che Joseph poteva rimanere accanto a lei per la notte il ragazzo rientrò nella stanza, questa volta però, con un mazzo di rose in mano. All’ingresso del centro medico c’era un piccolo angolo in cui si vendevano fiori, e non era riuscito a far a meno di comprare una dozzina dei suoi fiori preferiti. Le dodici rose rosse erano già state sistemate in un vaso pieno di d’acqua, che Joe appoggiò sul comodino della ragazza.
-La stanza era troppo triste senza nulla di colorato. – disse il ragazzo, dopo essersi seduto sulla sedia accanto al letto.
-Grazie mille, sono bellissime Joe. – rispose Claire.
-Come stai?- chiese lui.
-Mi sento un po’ tutta rotta, ma meglio. – affermò la dottoressa.
Claire lo guarda e riguardava chiedendosi se avesse dovuto dirglielo o sarebbe dovuto continuare ad essere un segreto per il mondo intero. Joseph continuava ad incolparsi per ogni cosa e sentirsi sempre più la causa di tutto.
-Claire – Joe ruppe il silenzio – devi scusarmi per tutto quello che ti ho fatto. Per Megan, e tutto il resto, non te lo meritavi.
-Non preoccuparti, è tutto a posto Joe. – disse unendo la sua mano con quella del ragazzo. – Ora ho capito, ho capito davvero chi sei. In realtà – cominciò lei – sono io che dovrei dirti una cosa.
-Cosa? – chiese il ragazzo. Negli occhi della ragazza poteva vedere della difficoltà, della tristezza - Forse non è né il momento né il luogo giusto per dirtelo. – rispose abbassando la testa e ritirando la mano verso di se, e cominciando a massacrarsi il labbro inferiore con i denti.
-Non importa, voglio saperlo comunque – disse il moro – Ehi – richiamò gli occhi di lei su di lui, e le strinse la mano. – Va tutto bene, qualunque cosa sia.
-Ricordi la nostra ultima telefonata? – chiese lei, Joe annuì – Appena prima che tu mi chiamassi avevo scoperto di essere incinta, di te.
Il ragazzo sbiancò per un attimo, non riuscendo a dire una parola.
-Ero furiosa con te, per quello che avevi fatto e tutto il resto. Per questo avevo reagito in quel modo. Poi, sono fatta così, allontano chiunque abbia il coraggio di volermi bene, è sempre stato così. È quasi un’autodifesa, che il mio subconscio mette in atto senza che io me ne accorga. – disse la ragazza. -Sapevo che avrei tenuto il bambino, anche se sarei stata sola, anche se non ti avrei visto più. Sono stata sul punto di chiamarti un milione di volte, ma non l’ho mai fatto. – raccontò Claire mentre il ragazzo continuava a seguirla attento ad ogni sua parola, senza però riuscire a pronunciarne mezza. - Poi è arrivato quel giorno. Io ricordo solo tanto sangue prima e tante lacrime poi. Ho perso il bambino, è stato un aborto naturale. – disse mentre i suoi occhi diventavano sempre più lucidi e si riempievano di lacrime. - È stato qualcosa di terribile, che non auguro a nessuno. È come se vedessi tuo figlio morire, senza che tu possa fare nulla.
Aveva cominciato a piangere e con lei Joseph che era da un po’ che non riusciva più a trattenere le lacrime.
-Non intendo dire nulla con tutto questo, è solo che avevi il diritto di saperlo. – concluse la ragazza. Joe non poté fare a meno di abbracciarla, forte e per tanto tempo. Entrambi continuavano a piangere l’uno sulla spalla dell’altro. Avevano perso un figlio, ancora prima di diventare genitori.
-Scusami, scusami per non esserci stato. – le sussurrò il ragazzo. – Avresti dovuto dirmi che eri incinta. Sarei rimasto con te a qualunque costo, lo sai. – disse il moro, con le lacrime agli occhi.
-Lo so. – rispose lei mentre gocce salate le rigavano le guance.
-Mi dispiace da morire – disse il giovane guardandola negli occhi.
-Anche a me – rispose lei.
Tra quelle lacrime, tra quella tristezza, tra quello sconforto, Joe la baciò, e lei rispose a quel bacio malinconico che, però, conteneva qualcosa di unico: l’amore vero.
Quando le labbra dei due ragazzi si staccarono, si guardarono negli occhi e le parole uscirono così naturalmente dalla bocca di Joseph che quasi non se ne accorse.
-Sposiamoci.- pronunciò dolcemente mentre gli occhi di Claire diventavano sempre più increduli - Sposami, Claire. Non importa dove, quando o come. Sposiamoci. Voglio trascorrere la vita con una ragazza speciale come te, voglio te in ogni tuo pregio e in ogni tuo difetto. Vorrei anche avere un anello e un discorso decente da fare, ma non ero preparato a questo. – disse facendo sorridere Claire che non riusciva a dire una parola ma solo a piangere. – Voglio semplicemente trascorrere la vita con te, divertirmi in una gita fuori casa, annoiarmi davanti alla tv,crescere come uomo, piangere fino allo star male e ridere fino a quando non ho dolore alla pancia, o semplicemente vivere insieme a te. Voglio sposarti perché ti amo, Claire. Ti ho amata dal primo momento in cui ti ho vista impacciata com’eri dietro ad una cartella dello studio, e, te lo giuro, ti amerò fino alla fine. Tu, Claire, vuoi sposare un ragazzo che è famoso ma se non fosse per ma musica avrebbe già abbandonato quella vita, che ha delle giornate in cui neanche lui stesso riesce a capirsi, che ha una marea di difetti, ma ti ama, ti ama davvero? – chiese Joe, guardando quella ragazza davanti a sé invasa dalle lacrime – Vuoi sposarmi, Claire? – così dicendo prese la sua mano e restò a guardarla.
La giovane donna continuava a fissare il ragazzo davanti a lei, non riuscendo a pensare razionalmente. Poi capì, comprese che la razionalità non aveva nulla a che fare con l’amore. Così non ebbe più dubbi.
-Sì, Joe, voglio sposarti. – rispose Claire in un sussurro annuendo, mentre Joe si apriva in un sorriso.
Si baciarono di nuovo, sempre più dolcemente. Quei due ragazzi erano innamorati, lo erano davvero, lo si vedeva ad ogni sorriso, ad ogni sguardo ad ogni bacio.
E se c’è amore, c’è speranza, e fin quando c’è speranza, ogni cosa è possibile.
 
Quelle due gocce d’acqua si erano incontrate una prima volta, e si erano attraversate così nel profondo che i cerchi provocati da ognuna di loro al contatto con la distesa blu avevano raggiunto il luogo in cui l’altra goccia era caduta, erano entrati ognuno nel cuore dell’altra.
Poi, irrimediabilmente, le due gocce si erano perse in quell’oceano così grande, così vasto, fino al giorno in cui non erano cadute dal cielo, di nuovo, imbattendosi questa volta su un vetro di un ospedale, e, attratte l’una dall’altra si erano raggiunte, e si erano unite in un’unica grande gocciola, e avevano proseguito insieme.
Questo significava che quelle due gocce, in un modo o nell’altro erano destinate a stare insieme, e anche qualcosa li avesse fatte allontanare di nuovo,loro si sarebbero ritrovate sempre e comunque, perché in natura, vige un’unica e inviolabile legge: la legge dell’amore. 







Buonasera gente!
Allora, per prima cosa volevo scusami per il ritardo. Ho avuto ispirazione pari a zero in questi giorni e sono stata super insicura a proposito di questo capitolo. Alla fine è uscito ciò.
Dai, sono stata buona. Il pensiero di far morire qualcuno mi ha sfiorato la mente più di una volta in realtà ahahahahah
(A dire il vero sono ancora in tempo u.u)
Allora, che ne dite di questo ultimo capitolo?
Ovviamente manca ancora l'epilogo,eh!
Fatemi sapere che ne pensate, un bacione a tutte!
<3

 

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Capitolo 32
*** Epilogue ***



Epilogue

 



 
August 2017
 
Claire era seduta su quella panchina già da qualche tempo quando Joseph la raggiunse. Le si sedette accanto, e ricordò una delle loro prime chiacchierate che avevano fatto proprio in quel luogo, circa tre anni prima.
-Ehi. – le disse sorridendole. Claire non disse nulla, si avvicinò a suo marito,e appoggiò la testa sulla sua spalla dopo avergli dato un bacio dolce sulla guancia.
Mancava poco tempo all’inizio della cerimonia.
Era caldo, eppure l’escursione termica dal giorno alla notte e viceversa continuava a farsi sentire.
Il sole stava scendendo sempre di più verso quella linea dell’orizzonte, e quello splendido paesaggio si colorava sempre di più di tonalità stupefacenti e inaspettate, ombre allungate e perfette, quasi come se fossero disegnate sul terreno. Il rumore della savana, lì a Maun, continuava a farsi sentire forte e chiaro, e a volte era il suono più bello di tutti.
Quando tre anni prima, Claire e Joseph lasciarono quella cittadina non credevano che il loro mal d’Africa fosse così forte. Così forte da farli tornare lì a Maun ogni luglio e agosto di ogni anno da quel 2014.
Si erano sposati l’11 ottobre dello stesso anno, per più motivi, per più ricorrenze importanti per entrambi, perché era stato il giorno in cui Claire era stata adottata, perché i Jonas Brothers, il gruppo di Joe e i suoi fratelli Nick e Kevin l’11 ottobre del 2012 avevano fatto il loro ritorno, perché Joe aveva fatto uscire il suo primo album da solista proprio in quella data, ma soprattutto per un’altra ragione: era il giorno del compleanno di Asabi.
In quegli anni da marito e moglie si erano fatti in quattro per adottare Ike, ma prima dei tre anni di matrimonio non c’era speranza. Così si erano limitati a venirlo a trovare ogni estate, ed ora erano non solo come dei genitori per lui, ma anche degli amici.
Ike si era fatto grande, era diventato più alto, ed anche più sorridente. Ormai era un ometto di 10 anni, in gamba e estroverso.
-E se non fossi fatta per essere una madre? … Nel senso se non riusciamo ad avere un bambino, magari è perché non sono portata per fare la madre, forse perché non sarò neanche una buona madre per Ike. – disse Claire continuando a guardare verso il sole tramontante.
-Sei forse impazzita, Claire? Come ti vengono in mente certe cose? – le disse sorpreso Joe. – Se tu non sei portata a fare la madre mi chiedo chi lo sia. Poi, secondo il tuo ragionamento,neanche io sarei portato a fare il padre. – disse il ragazzo. Gli occhi della ragazza cominciarono a diventare lucidi. -Hai un cuore enorme, Claire. Sei dolce, gentile, calma, divertente, paziente e impazzisci per i bambini. Sarai la migliore madre del mondo, amore mio.
-E tu sarai il padre migliore del mondo, Joe. – disse Claire sicura baciandolo – e sei già il marito migliore del mondo.
Joseph sorrise, baciandola di nuovo.
 
La cerimonia non era nulla di particolare o complicato: era solo l’affido ufficiale dei bambini alle nuove famiglie. La famiglia in questione questa volta era soltanto quella formata da Claire e Joseph che si trovava da un lato del cortile, in piedi, mano nella mano. Dall’altro c’era Falala, rappresentante dell’orfanotrofio, che dava la mano ad Ike.
Tutti i bimbi e tutto il personale erano lì a guardare ciò che stava per accadere.
Per i due ragazzi non erano facce nuove quelle, né cose che non avevano mai visto, ma quando Falala e Ike cominciarono ad avanzare verso di loro, i loro occhi si velarono di lacrime, senza che se ne accorgessero davvero.
Erano sempre più vicini, sempre di più. Il viso di Falala era disteso in un bel sorriso luminoso, lo stesso quello di Ike.
Era un momento estremamente toccante. Durò solo una manciata di secondi, ma a Claire i Joseph sembrò una vita intera.
Quando la donna lasciò nelle mani della sua nuova famiglia il bambino, i due ragazzi lo strinsero in un dolce abbraccio, con tutto l’amore del mondo. Come se non l’avessero mi visto, e nello stesso tempo come se lo conoscessero da sempre.
Si commossero tutti e tre, e finalmente si sentirono davvero parte di qualcosa che c’era stata dal primo momento ma che non era mai stata riconosciuta. Qualcosa all’interno della quale ognuno è necessario e indispensabile. Qualcosa in cui ognuno costituisce il cuore di un solo corpo. Qualcosa in cui ognuno è amato ed ama davvero. Quel qualcosa che si chiama famiglia.
 
*
 
April 2018
 
Claire non riusciva a credere ai suoi occhi quando vide quelle due linee segnate su quel test. Cominciò ad andare avanti e indietro nella sua camera da letto. Era sola a casa: Ike era a scuola e Joe in studio di registrazione.
Cominciò a saltellare come una ragazzina e subito dopo entrò in panico perché si rese davvero conto di cosa stesse accadendo.
Era troppo per sopportarlo tutto da sola, aveva bisogno di farlo sapere a tutti, aveva bisogno di farlo sapere al suo Joseph.
Il tragitto dal loro appartamento allo studio di registrazione dei Jonas Brothers sembrò infinito a Claire. Continuava a non pensare alla guida, continuava a vivere in un’altra dimensione in cui i suoi pensieri, i suoi sogni, le sue aspettative si materializzavano davanti a sé. Nello stesso tempo continuava a guardarsi intorno, a guardare Los Angeles in maniera diversa, accorgendosi di ogni cosa, di ogni bellezza nascosto, tanto che anche il cielo sereno la fece sorridere.
Quello era il mondo che avrebbe dovuto ospitare suo figlio, e per quanto sarebbe stato duro, lei l’avrebbe protetto, l’avrebbe amato, l’avrebbe cresciuto proprio come stava facendo con Ike.
Il suo Ike avrebbe avuto un fratello, o una sorella, di cui prendersi cura, a cui voler bene.
Era così agitata, insicura e felice allo stesso tempo. Sapeva soltanto una cosa, che aveva bisogno di dirlo a Joe.
Appena fuori al grattacielo dello studio di registrazione suonò al 16esimo piano, fu Nicholas ad aprirle la porta d’ingresso. Premette il pulsante dell’ascensore un milione di volte in circa tre secondi per quanto era agitata.
Quando arrivò davanti al portone dello studio, vide la porta semichiusa e proprio lì davanti Joe stava ridendo a qualche battuta di Kevin. Era così bello che Claire sorrise automaticamente come lo vide. Quel ragazzo era stato una benedizione, la sua benedizione.
Gli si avvicinò e attirò la sua attenzione posando le sue mani sui fianchi di suo marito. Lo sguardo del cantante dagli occhi ambrati si spostò sugli occhi di sua moglie. Le sorrise.
-Ehi, tutto bene? Che ci fai qui? – le disse sorridente e felice. Lei annuì, mentre il suo sorriso si faceva sempre più grande.
-Sono incinta. – affermò con decisione e un sorriso stampato in faccia, senza neanche pensarci un secondo di più.
-Cosa? – chiese sconvolto tanto da cadere quasi a terra. Intrecciò le sue mani con quelle della ragazza.
-Sono incinta, Joe – ripeté quando i suoi occhi si furono velati di lacrime.
Joseph la abbracciò, la baciò, la sollevò da terra facendosi circondare la vita dalle gambe della ragazza, e la baciò di nuovo.
Non poteva crederci, ed era felicissimo.
-Dai ragazzi, almeno prendetevi una stanza! – disse acido Nicholas, che insieme a Kevin, poiché si trovavano alla stanza affianco la quale era divisa dall’altra soltanto con una lastra di vetro, non si era accorto di nulla di quello che stava accadendo.
Joe fece scendere a terra Claire, e scosse la testa divertito continuando a stringerle la mano.
-Evita le tue battutacce una volta ogni tanto, Nick. Tanto non sei capace! – disse Joseph – Evita, perché questo non è proprio il caso, Claire è incinta.
-Sei incinta? – dissero praticamente all’unisono Nicholas e Kevin.
Claire annuì, tentando di asciugarsi le lacrime, con un sorriso enorme sul viso.
 
*
 
July 2023
 
L’aeroporto era sempre stato un luogo pieno di emozioni. Non c’erano solo arrivi e partenze ma storie,lacrime, sorrisi, esperienze, morte e vita nello stesso momento.
Però ogni volta che Claire vedeva decollare, e poi volare, uno di quegli aerei, aveva una strana sensazione addosso, qualcosa di positivo, che lei stessa amava identificare come la speranza. Li vedeva volare in una distesa azzurro, in un cielo terso, e nello stesso momento li vedeva rivolgersi verso il futuro,verso un futuro migliore.
Ogni viaggio porta a dei miglioramenti, porta alla conoscenza di cose sconosciute, porta all’incontro di persone che potrebbero cambiarti la vita, portano a un raggiungimento di un sogno.
 Alla fine, quei grandi aerei erano il risultato del sogno più intrinseco e primitivo di ogni uomo: il sogno di volare.
E quale posto migliore per inaugurare una nuova generazione di persone che portano a un miglioramento nel mondo? Che portano alla realizzazione di un sogno, al sogno di un mondo in cui c’è solo una razza, ed è quella umana, in cui aiutare il prossimo è normale tanto quanto respirare, e in cui non c’è nessun tipo di divario sociale, finanziario o culturale?
Era  quello il luogo in cui Claire, Joseph, Ike e la piccola Sophia di appena 4 anni di trovavano, anche se l’unico a partire sarebbe stato Ike questa volta.
Joe sarebbe partito il giorno dopo per il suo nuovo tour, e Claire si doveva ancora occupare di Sophia.
Ike, però, non aveva voluto saperne, lui doveva tornare alla sua Maun anche quell’anno.
Non era passato un solo anno da quell’ormai lontano 2014 in cui tutti loro non avevano trascorso due mesi all’anno in Africa. Erano andati ad aiutare non soltanto in Botswana, ma in Kenya, in Uganda, e in tanti altri paesi che sembravano dimenticati dal mondo.
Ike era cresciuto sano e forte, ora era un alto sedicenne dal grande sorriso che trasmetteva allegria. I suoi genitori non sarebbero potuti essere più orgogliosi di lui.
E in quel giorno in cui sarebbe partito da solo per Maun, per andare a dare una mano per costruire una nuova scuola, lo erano ancora di più. Chissà, magari lì, da solo, avrebbe vissuto una storia come quella che avevano vissuto i suoi genitori.
Joseph continuava a raccomandargli di salutare tutto il personale e dare un grande abbraccio a tutti i bimbi di cui, a un anno di distanza, ricordava tutti i nomi. Claire, da madre ansiosa com’era, continuava a preoccuparsi per il viaggio e l’atterraggio. Sophia, finché poteva, continuava a stare felicemente in braccio al suo fratellone a cui, anche se piccina, voleva un bene dell’anima. Ogni sua parola era oro colato per lei.
Rimasero così per un po’, poi chiamarono il suo volo. Diede un bacio sulla fronte alla sua sorellina, le sussurrò che la prossima volta sarebbe andata con lui e la consegnò in braccio alla mamma, che, a sua volta, baciò il figlio sulla guancia trattenendosi per non scoppiare a piangere. Anche il papà faticò a rimanere indifferente ai sentimenti che si facevano sentire quando salutò Ike con un bacio sulla guancia , un “Ci sentiamo presto, campione, fai i bravo!” e un saluto con la mano.
Quando Claire e Joseph videro loro figlio allontanarsi da loro e poi confondersi tra la folla, a loro fu tutto molto più chiaro. Entrambi erano stati salvati almeno una volta, l’uno da una bomba e l’altra da un incidente stradale che normalmente sarebbe stato mortale. Questo, però, non era accaduto a caso, tutto era scritto, era tutto già nero su bianco nel loro destino. Loro due dovevano rimanere in vita perché avrebbero fatto la differenza in questo mondo, e i loro figli, dopo di loro, lo avrebbero cambiato il mondo.
Non è difficile cambiare il mondo, basta iniziare da qualche parte.
Non è difficile cambiare il mondo, perché l’umanità è come un oceano.
Non è difficile cambiare il mondo, basta un sola goccia d’acqua.
 
 
The End.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Buonasera gente,
siamo alla fine. L’ho conclusa ieri notte, e quando ho spento il pc (alle 4,30 di mattino!) mi sono sentita come se una parte di me non ci fosse più, fosse scomparsa.
Mi sono ritrovata a fissare il pc spento come una cretina e mi è dispiaciuto da morie. Non so precisamente perché mi sono affezionata così tanto ai miei personaggi, e soprattutto a questa fan fiction. Forse perché non è soltanto una storia d’amore, ma c’è di più, c’è più di me, c’è più di Joseph.
Ma sono sicura di una cosa: questa storia non sarebbe stata lo stesso senza di voi, voi che commentate e leggete, voi che leggete e che magari non recensite, a cui spero di aver trasmesso un po’ di me.
Voglio ringraziare ognuna di voi, per essere state qui a sostenermi. (L’ordine, ovviamente, è puramente casuale)
La mia dolce dearjoseph che ancora non è venuta a cercarmi sotto casa per picchiarmi per aver fatto finire male ogni capitolo, anche quelli che iniziano bene ahahahah. Sul serio, sei sempre stata qui a dirmi parole bellissime, anche se magari il capitolo non era il massimo, e delle volte mi hai fatto ridere come una cretina mentre leggevo cosa mi scrivevi. E sai? Personalmente non sono per i sentimentalismi, ma credo di volerti bene.
ILifeOfYou tu sei sempre così gentile con me, e mi fai assolutamente troppi complimenti ahahaha. Davvero grazie per ogni parola, per ogni recensione, per ogni cosa, è davvero importante per me.
fadingsound beh, cosa dire di te Simo? Direi che bastano poche parole in ogni tua recensione per farmi sorridere come una cretina. E sì, sembri proprio una persona speciale.
HelloPrudence grazie, grazie per ogni singola parola, complimento, mi hanno aiutato tanto, per ogni cosa.  
Laay  per te Laay, servirebbe un trattato intero. Perché ciò che fai per me non si ferma soltanto a questa fan fiction, è molto di più. Credo che tu sappia quanto significhi per me, Laay. Ormai credo di non riuscire più ad immaginare una vita senza saperti dalla mia parte, a sostenermi in ogni momento, anche nel pieno della notte. Ti voglio tanto bene, davvero.
_Jikey  le tue recensioni sono qualcosa di magnifico, lo sai? Ogni tanto vado a rileggerle. Il commento più bello che tu hai mai scritto e che credo che sia a uno dei più belli mai ricevuti, ed è quello che mi hai scritto al capitolo “Alone”. È davvero meraviglioso quello che mi hai detto, e sì, credo anche io di volerti bene solo attraverso quello che mi hai detto.
Come dimenticare @_DreamingYou e  @thatsjoesmile che da twitter mi hanno sempre comunicato il loro entusiasmo e supporto in ogni modo possibile?    
Ho sicuramente dimenticato una marea di gente, ma sono davvero tante le persone che hanno messo piede in questa storia almeno una volta.
Credo di aver occupato fin troppo spazio in questo angolo dell’autore ahahahah però davvero tenevo a ringraziare tutti. Un grazie enorme anche a chi ha inserito la storia nelle seguite/preferite/ricordate.
Anche se la FF è finita credo che Claire, Ike, Joseph, e tutti gli altri rimarranno con me, più o meno per sempre.
Ricordate anche che non vi libererete così facilmente di me, eh. Scrivere per me ormai è una necessità. Quindi, alla prossima.
Un bacione grande a tutti, vi voglio bene,
Marta <3

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