Lullaby for Emily di _Princess_ (/viewuser.php?uid=38472)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Little Star ***
Capitolo 2: *** Expect The Unexpected ***
Capitolo 3: *** Meeting the Dream ***
Capitolo 4: *** Interlude ***
Capitolo 5: *** A Night Like This ***
Capitolo 6: *** A Modest Proposal ***
Capitolo 7: *** Jump In The Dark ***
Capitolo 8: *** Little Touches Of Jealousy ***
Capitolo 9: *** Dinner For Two ***
Capitolo 10: *** Saturday Night Fever ***
Capitolo 11: *** Kiss Kiss, Bye Bye ***
Capitolo 12: *** Home ***
Capitolo 13: *** Bad Dreams ***
Capitolo 14: *** Stolen Fleeting Moment ***
Capitolo 15: *** Give Me Strength To Face The Truth ***
Capitolo 16: *** The Doubt Within My Soul ***
Capitolo 17: *** Good News Gone Bad ***
Capitolo 18: *** Heartbeats ***
Capitolo 19: *** Double Trouble ***
Capitolo 20: *** Giving Up For You ***
Capitolo 21: *** Reden ***
Capitolo 22: *** The Promise ***
Capitolo 23: *** Back To You, Back To Us ***
Capitolo 24: *** Your Song ***
Capitolo 25: *** Epilogue ***
Capitolo 1 *** Little Star ***
Nota dell'Autrice: ho scritto questa storia senza il minimo scopo di lucro, per puro divertimento personale. Fatti e persone riportati non hanno la pretesa di rispecchiare la realtà o di rappresentarla in alcun modo, e qualunque dettaglio possiate riconoscere non appartiene a me.
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And I don't know where I am
Should she really say goodbye?
So happy and so young
And I stare... But...
I can't find myself
I can't find myself
I can't find myself
I can't find myself
I got lost in someone else
[The Cure, Lost]
***
“Farà schifo.” Imprecò Tom, ciondolando per il camerino con la quarta sigaretta della serata fra le dita ed assestando calci casuali a tutto ciò che gli capitava a tiro. Il countdown segnava dieci minuti allo spegnimento delle luci, seicentocinque secondi all’inizio dello show, e nessuno sembrava soddisfatto di qualcosa. “Farà tutto schifosamente schifo.”
Sprofondato in una poltrona con la testa fra le mani, Georg emise un rantolo frustrato.
“Il nuovo tecnico luci va licenziato prima di subito.” Si lamentò, sfregandosi gli occhi. “È un incompetente.”
“Vero,” confermò Bill, il respiro praticamente inesistente. “E per di più ha rotto già due dei nostri riflettori più costosi.”
Borbottii sommessi di assenso.
Andrà tutto male.
La tensione era palpabile ed in costante aumento, i loro muscoli rigidi e freddi, le loro menti in completo blackout. Quattro battiti cardiaci in fibrillazione.
Nulla funzionerà.
Chiusi in quella stanza troppo piccola, i quattro componenti dei Tokio Hotel respiravano la stessa aria densa di ansia e tensione, e si guardavano l’un l’altro pieni di sconforto.
“Un disastro, ecco cosa sarà,” berciò Gustav, strappandosi di dosso la cuffia connessa al riproduttore mp3. “Il peggio del peggio.”
Deluderemo tutti quanti.
Qualcuno bussò alla porta e li invitò ad uscire, e loro, obbedienti ma con una buona dose di riluttanza, seguirono Saki fino al backstage, dove decine di persone si affaccendavano per i preparativi dell’ultimo minuto.
Al di là dei pannelli scenografici, il pubblico già urlava in preda all’eccitazione.
Gustav serrò le dita fasciate di scotch bianco attorno alle proprie bacchette.
Merda.
Gli occhi di Bill si sgranarono mentre lui perdeva la cognizione di tempo e spazio.
Merda. Merda.
Tom si sistemò per la milionesima volta l’auricolare ed aggiustò senza alcun motivo la visiera del berretto.
Merda. Merda. Merda.
Il cuore di Georg si fermò nell’esatto istante in cui l’eco di una voce lontana ordinava loro di prepararsi.
Merda. Merda. Merda. Merda.
“Cinque secondi!”
E le luci si spensero.
“Quattro!”
E il pubblico esplose.
“Tre.”
Loro quattro sul palco.
“Due.”
Adrenalina alle stelle nel buio assoluto.
“Uno.”
Un’esplosione di luce su Bill con il microfono in mano, la mano tremante.
Urla, grida e strilli in un crescendo spaventoso di decibel ed isteria.
Pulsazioni intrappolate in emozioni soverchianti.
Un attimo di nulla.
Poi l’ouverture.
“Ciao, Parigi!”
E tutto cominciò.
***
Parigi era magica. Lo era sempre stata, fin da quando Nicole era bambina e i suoi genitori portavano lei e sua sorella maggiore Brenda a fare shopping sugli Champs Elyseés per Natale, con tutti quei milioni di luci e persone che affollavano le strade. Certo, era molto diversa dalla sua Lipsia, ma forse era per quello che l’aveva sempre trovata così affascinante.
Ma adesso – in quel preciso istante – Parigi non era semplicemente magica… Parigi era magia pura.
E Nicole si mangiava con gli occhi lo spettacolo che aveva davanti a sé: un’arena immensa e colma fino all’ultimo centimetro occupabile, viva come se si fosse trattato di un’unica creatura pulsante di entusiasmo, e quella grande creatura, quella sera, aveva voce solo per loro, per i quattro ragazzi che, da laggiù, sul palco, venivano acclamati come divinità discese sulla terra.
Forse, in effetti, un po’ lo erano.
Nicole li osservava rapita da non molto lontano, la mano di Emily stretta nella sua, mentre anche lei fissava i ragazzi come se fossero stati tutto ciò che al mondo c’era da vedere, gli occhioni spalancati dall’emozione.
“È bellissimo.” Aveva sussurrato Emily con un fil di voce, quando erano entrate e si erano sistemate davanti alle transenne, sulla sinistra del palco.
Ora tutto stava per finire, perché An Deiner Seite già risuonava con le sue prime note, e dopo quello, tutto si sarebbe spento, la folla sarebbe svanita, e tutto ciò che sarebbe rimasto della grande creatura adorante era un involucro di cemento vuoto e silenzioso, la cui anima stanca ma felice si sarebbe dispersa per la città raccontandosi quella serata che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato. Magica, appunto.
Completamente ipnotizzata dalla bravura del gruppo, Nicole si raccolse rapidamente i capelli in una coda, facendo ben attenzione a non perdere nemmeno un nanosecondo del concerto che aveva atteso per mesi.
Forse anni, forse di più… Forse li aspetto da una vita, inconsciamente. Ed è valsa la pena di questa lunga attesa.
“Ti è piaciuto, vero, Emily?” domandò Nicole, sorridendo, lo sguardo concentrato su Bill che cominciava a cantare. Nessuna risposta le tornò indietro. “Emily?” guardò al proprio fianco e, con orrore, vide che Emily era scomparsa.
Tre secondi. Per tre miseri secondi – per quegli stupidi capelli – le aveva lasciato la mano, e ora lei era svanita nel nulla, e chissà dov’era finita, in mezzo a tutta quella gente. Chissà cosa le sarebbe potuto succedere.
Chissà… Che parola orribile, sembrava. Una porta aperta su mille possibilità, o anche di più.
Nicole sentì un vuoto soffocante scoppiarle nel cuore.
Panico.
“EMILY!”
***
“Mi scusi,” Nicole arrancò disperata tra la folla in direzione dei bodyguards, sforzandosi di non farsi soffocare dalla calca di ragazzine in delirio che la sballottavano in ogni direzione. “Per favore, mi scusi…” Una delle guardie si voltò e le rivolse uno sguardo interrogativo. “Ha visto una bambina?” gli chiese Nicole, sull’orlo delle lacrime. “È piccola, alta così,” e misurò circa un metro da terra con la mano. “Bionda…”
La guardia cambiò rapidamente espressione: sembrava quasi divertito. Nicole non condivideva il sentimento.
“Ha un vestitino rosso, per caso?” indagò l'uomo.
“Sì!” Nicole trasse un sospiro di sollievo, cominciando a riacquisire il controllo delle proprie emozioni. “L’ha vista?”
La guardia lanciò una rapida occhiata alla propria sinistra e le rivolse uno sguardo penetrante.
“Signorina, credo che l’intera arena l’abbia vista.” Disse, e si voltò ad additare il palco. E là, proprio al centro dello stage, tranquilla come se nulla fosse – come se non ci fosse stata tutta quella gente a guardarla a bocca aperta – c’era Emily, con il suo ragno di peluche in mano, e stava andando dritta dritta verso Bill.
La musica si era fermata, e tutti i presenti – band compresa – stavano fissando la bimba, e la indicavano, e bisbigliavano – qualcuno protestava – e lei se ne stava là, perfettamente a proprio agio nonostante il frastuono e le luci troppo forti che la facevano brillare come una piccola ciliegia fuori posto tra quella gente. Tutto attorno, diciottomila persone si chiedevano a voce alta cosa ci facesse una bambina di quattro anni sullo stage.
Ma Bill non si scompose troppo, almeno in confronto a chiunque altro. Andò verso Emily con un grande sorriso amichevole e le offrì la propria mano, che la piccola accettò senza troppi complimenti. Bill, apparentemente divertito, le fece salutare il pubblico, e lei lo assecondò, sventolando tutta compiaciuta la mano che ancora stringeva il grosso ragno nero.
Nicole imprecò fra sé e sé, mentre la mandibola le cedeva.
Lei non poteva saperlo, ma il suo pensiero riprese esattamente quello che i quattro ragazzi che ora sorridevano ad Emily avevano pensato solo un paio d’ore prima.
Oh, merda!
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Note: eccomi qui con la questa mia storia che da un po' mi frullava in testa. Non l'ho ancora sviluppata tutta, ma la trama è già ben delineata nella mia testa, e spero che vorrete onorare questo breve capitolo introduttivo (i prossimi saranno più lunghi) con delle recensioni. Ci sarà un po' di tutto nei futuri sviluppi: amicizia, amore, incompresioni, malintesi, gelosie, e immancabili impervisti. Per ora, grazie per aver letto fin qui, e danke a chi recensirà. Alla prossima!
P.S. Dimenticavo di aggiungere la traduzione della canzone che ho citato in apertura, per chi non sapesse l'inglese:
E io non so dove sono
Lei dovrebbe davvero dire addio?
Così felice e così giovane
E resto a guardare... Ma io...
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Mi sono perso in qualcun altro. |
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Capitolo 2 *** Expect The Unexpected ***
Tom non riusciva a smettere di fissare accigliato quella bambina senza peli sulla lingua che si era materializzata sul placo, comparendo dal nulla.
Bill non si era fermato a farsi troppe domande, visto che – bambino lui stesso, nonostante i diciotto anni ormai compiuti da un pezzo – l’imprevisto gli era parso come un gioco potenzialmente divertente, e così aveva cantato le ultime battute di An Deiner Seite con la piccola sconosciuta – Emily – e se l’era portata in braccio nel backstage come se fosse stata ordinaria amministrazione, discutendo con lei di quanto si fosse divertita durante il concerto, perché nonostante Bill fosse un incapace col francese, si era presto scoperto che – per quanto fosse assurdo, o perlomeno improbabile, data la location – la piccola era tedesca.
A Tom capitava spesso di non riuscire a capacitarsi di certi modi di fare del fratello, ma stavolta doveva ammettere che Bill aveva davvero superato se stesso.
È completamente pazzo giuro. Gli voglio bene, ma è fuori di testa.
E così ora il pazzo non era più uno solo, ma ben tre, perché a Bill si erano aggiunti anche Georg e Gustav, e ora se ne stavano tutti inginocchiati a terra davanti a quella che doveva essere la fan più giovane che avessero mai incontrato – se non addirittura la più giovane in assoluto – e chiacchieravano con lei come avrebbero fatto con un vecchio amico, in attesa che la madre venisse a prenderla.
Tom doveva ammettere che la piccola era carina, incredibilmente simile ad una bambola: seppur pallida, aveva delle belle guance rosee e paffute, che le facevano risaltare i grandi occhi a mandorla, di un verde identico a quelli di Georg (tanto che Tom non poté fare a meno di insospettirsi circa una loro possibile parentela stretta), ed i capelli biondi le scendevano in soffici boccoli fino alle spalle.
Proprio un angioletto.
C’era però una scintilla di vispa intelligenza in lei e nella sua innocente sfacciataggine, e Tom era certo che non fosse poi così angelica come poteva apparire.
Deve avere un bel caratterino, pensò, osservandola mentre mostrava orgogliosa il suo polsino firmato Tokio Hotel che le pendeva largo dal piccolo polso.
Sei proprio carina, Emily, riconobbe Tom, con una punta di delusione. Se solo tu avessi una dozzina di anni in più… O una sorella maggiore…
“Emily!”
Tutti si voltarono nella direzione da cui era provenuta la voce sconvolta: dal lato del corridoio che conduceva al palco, una ragazza stava correndo verso di loro scortata da Saki. A giudicare dalla maglietta, doveva essere una loro fan, ma Tom la vide oltrepassarlo come se nemmeno l’avesse visto, e chinarsi in lacrime sulla bambina per stringersela forte al petto.
“Razza di incosciente che non sei altro!”, singhiozzò la ragazza. “Ti avevo detto di restare con me, qualunque cosa fosse successo!”
Emily, nemmeno remotamente scossa, le avvolse le braccia intorno a collo e prese a darle delle piccole pacche di conforto sulla schiena. Era una scena un po’ buffa a vedersi, con quest’insolita inversione di ruoli.
“Scusami,” disse la sua vocina vellutata. “Ma volevo tanto vedere da vicino i capelli del signor Bill.”
Tom dovette ricorrere ad ogni suo grammo di buonsenso per non scoppiare a ridere, ma non si risparmiò l’occhiatina ilare che lanciò a Bill, il quale rispose con un gesto che fortunatamente Emily non vide.
“Scusami se me la sono portato via così,” esordì Bill, lievemente imbarazzato di fronte allo stato d’animo della ragazza, che ora si era alzata in piedi e si asciugava frettolosamente il viso, senza lasciare la mano di Emily. “È che hai una sorellina davvero irresistibile.” Ed ammiccò verso la diretta interessata, che gli sorrise da dietro il suo peluche decisamente fuori dal comune.
La ragazza, invece, era leggermente arrossita.
“Mi dispiace,” balbettò, a disagio. “Devo avere un aspetto orribile.”
Ma, a modesto parere di Tom, le cose non stavano proprio così.
La ragazza non somigliava alla bimba in modo vistoso: avevano la stessa corporatura esile ma sana, la stessa carnagione pallida, lo stesso naso a scivolo, la stessa forma degli occhi, ma mentre una li aveva verdi, quelli dell’altra erano di uno strano azzurro vagamente simile al lilla, ed i suoi capelli erano lunghi e lisci, di una sfumatura di rosso molto scura, ed era bella, bella in un modo semplice e naturale che non capitava molto spesso di vedere.
Per quanto lo riguardava, Tom poteva tranquillamente ritenere i propri desideri esauditi.
“Scusatela,” mormorò la ragazza, guardandoli uno ad uno. “Normalmente non fa certe cose, ma quando si tratta di voi…”
“Dai, non è successo niente, infondo,” sdrammatizzò Gustav con un sorriso, e Georg e Bill annuirono. “Anzi, è stato un bel colpo di scena, non ti preoccupare…”
“Nicole,” si presentò lei in fretta, andando a riempire il vuoto lasciato dall’esitazione di Gustav. “Mi chiamo Nicole.”
“Piacere, Nicole,” Bill le sorrise e lei arrossì, stavolta visibilmente. “Non ti scusare, Emily è stata bravissima. È impressionante che una bambina come lei conosca già anche i testi in inglese.”
Emily sorrise compiaciuta davanti alle lusinghe, ma Nicole non sembrava dello stesso parere.
“Comunque non avrebbe dovuto allontanarsi,” insistette. “E ancora non mi spiego come abbia fatto ad arrivare fino a voi senza essere notata.”
Tom fece spallucce.
“È piccola, le nostre guardie sono alte un metro più di lei, chi volete che la noti?” intervenne, accovacciandosi accanto ad Emily, ritrovandosi così a fissare due piccoli oceani smeraldini. “Giusto, soldo di cacio?”
Emily fece una faccia a mezza via tra l’offeso e l’arrabbiato e si aggrappò alla gonna di Nicole.
“Mamma, mi ha chiamata come un formaggio!”
Tom, così come gli altri, ci mise un istante più del normale a processare l’informazione appena appresa.
Ho capito male.
Ad occhio e croce, Nicole non dimostrava più di diciotto anni – venti, a esagerare – ed Emily doveva averne almeno quattro. Non poteva essere…
Ho sicuramente capito male.
Ma Nicole non aveva battuto ciglio. Aveva anzi riso sommessamente all’osservazione della bambina e ora la scrutava con tenerezza.
“Sentite,” disse Nicole, rivolgendosi ai ragazzi. “Posso far finta di essere arrabbiata quanto voglio, ma la verità è che questa sua piccola bravata mi ha dato la possibilità di essere qui, ora, e mentirei se dicessi che non è una cosa che ho sempre sognato.”
Tom pensò che la vita poteva essere veramente strana.
Incontravano fans ogni giorno, ed erano più o meno tutte uguali, tutte come lei: giovani, chi più chi meno carina, pazze di loro… E a volte anche le loro madri, più o meno entusiaste dell’ossessione smisurata delle figlie. Era però la prima volta che gli capitava di incontrare una fan ed una madre nella stessa persona, ed era chiaro come il sole che Nicole stesse morendo dalla voglia di comportarsi come tutte le sue coetanee – e mettersi a strillare ed abbracciarli e fare tonnellate di fotografie – ma era anche altrettanto evidente che ci fosse un velo di maturità prematura, in lei, e che certe cose non le faceva più da un pezzo.
Come se le avesse letto nel pensiero, Georg strinse le spalle di Gustav e Bill sotto le proprie braccia e sorrise amichevole:
“Allora, facciamo qualche foto?”
Il bel viso di Nicole si dipinse di gratitudine ed Emily si mise a saltare entusiasta.
Fecero diversi scatti con la fotocamera digitale di Nicole – nella metà delle quali Bill teneva Emily e il suo ragno in braccio – poi Tom e gli altri autografarono per loro qualche cartolina promozionale del tour, ma il tempo a disposizione era agli sgoccioli. Il gruppo aveva l’after-show party e un minuto solo di ritardo avrebbe causato il panico di David, nonché un conseguente esaurimento nervoso del resto della crew.
Dopo il terzo avvertimento di Saki, Nicole, stringendo tra le mani gli autografi, assunse un’espressione stoica.
“Credo che sia ora di togliere il disturbo.” Sospirò, forzando un sorriso. Emily, però, non sembrava d’accordo.
“Ma io voglio restare!” protestò.
Nicole sospirò, e la prese in braccio.
“Niente storie,” l’ammonì. “I ragazzi hanno i loro impegni, e poi zia Brenda ha bisogno di me al locale, lo sai.”
“Che genere di locale?” Domandò Georg. Tom sogghignò: quando si trattava di feste e divertimento, Georg era sempre il primo a farsi avanti.
“Una discoteca,” spiegò Nicole, lasciando che Emily andasse da Bill per giocare assieme a lui con il peluche. “Non so se avete mai sentito parlare del Vibe, qui a Parigi…”
“Altroché!” confermò Gustav. “Ci siamo stati l’altra sera. È una favola.”
Tom non poté che concordare. Del Vibe aveva particolarmente apprezzato la massiccia affluenza di ragazze niente male (anche se per la maggior parte erano state tutte scortate da un accompagnatore), ma anche l’organizzazione estetica del locale lo aveva colpito non poco.
“L’effetto scenografico è pazzesco,” commentò. “I giochi di luci sulle pareti fluorescenti… Per un attimo mi hanno distratto dalle ragazze.”
Una risata generale si levò dai presenti.
“Lavori lì?” domandò Bill, senza sollevare lo sguardo dal ragno che Emily gli stava facendo camminare sul braccio. A Tom non sembrava cresciuto di un giorno da quando se ne stavano in salotto a giocare alle costruzioni.
“No,” Nicole si scostò una ciocca di capelli dal viso, sorridendo con modestia. “Mi devo solo occupare dell’illuminazione, mia sorella sostiene che l’impostazione che le ho fatto lo scorso anno ha fatto il suo tempo.”
Mentre Bill rideva a crepapelle sotto al solletico di Emily, nel cervello di Tom qualcosa aveva cominciato a smuoversi lentamente.
“Hai programmato tu le luci del Vibe?” chiese lentamente.
Nicole annuì.
“Sì,” Fissò accigliata le espressioni che una ad una comparvero sui volti di Tom, Georg e Gustav. “Che c’è?”
Ignorando il baccano che Bill ed Emily stavano facendo cantando Wonderwall degli Oasis – una bambina di quattro anni che canta gli Oasis… Adesso le ho viste tutte – Tom si ritrovò ad esultare di speranza prima ancora che riuscisse ad elaborare con precisione un’idea semplicemente geniale.
“Ragazzi,” si rivolse a Gustav e Georg. “Pensate anche voi quello che penso io?”
I due annuirono trionfanti.
“Oh, sì!”
“David!” chiamarono all’unisono. In un attimo, il loro giovane manager, David Jost, comparve alle loro spalle, ansante.
“Ragazzi, non è il momento,” annunciò, sistemandosi l’auricolare nell’orecchio. “Domani si replica e stasera lo show faceva schifo, le luci erano un disastro e –”
“Proprio a questo proposito,” intervenne Tom, e, raggiante, avvolse le spalle di Nicole con un braccio. “Noi avremmo trovato una soluzione.”
David li squadrò confuso, e Georg indicò Nicole.
“Ricordi il Vibe, Dave?” chiese al manager, il quale annuì senza però abbandonare quell’aria perplessa. “Dì un po’, Nicole,” proseguì Georg, voltandosi verso la ragazza. “Quanto urgente è il tuo intervento al Vibe, esattamente?”
Notevolmente disorientata, Nicole li guardò come se stessero parlando una lingua ignota.
“Sicuramente non vitale, ma –”
“So che potrà sembrarti una richiesta un po’ azzardata,” fece Tom, sfoderando il suo miglior tono persuasivo. “Ma devi assolutamente salvarci la vita.”
Più le spiegazioni andavano avanti, più Nicole sembrava confusa.
“Prego?”
“Devi sistemare le loro luci, mamma!” gridò Emily dal divanetto su cui lei e Bill sedevano. “Sono bruttissime!”
Stavolta Tom non riuscì ad impedirsi di ridere, soprattutto scorgendo la faccia sofferente di David, che sembrava essere stato apertamente schiaffeggiato dalle parole candide della bambina.
Ecco, la voce della verità. Quello che tutti pensano e nessuno osa dire.
“Possibilmente entro domani sera.” Precisò Gustav.
“Ma non sono qualificata a livello professionale,” intervenne Nicole, vagamente allarmata. “È solo un hobby…”
Ma Tom era determinato a salvare la faccia dei Tokio Hotel e non avrebbe ceduto tanto facilmente.
“Non ha importanza.”
“La persona qualificata ce l’abbiamo già,” gli diede man forte Georg, con una smorfia. “Adesso ci servirebbe quella in gamba.”
Anche se chiaramente controvoglia, David fu praticamente costretto ad annuire mestamente.
“Ti stiamo letteralmente supplicando,” disse Gustav, esibendo il suo sguardo da cerbiatto migliore. “Siamo disperati.”
“Hai visto anche tu, no?” soggiunse Tom, sollevando un sopracciglio in modo molto eloquente. “Le luci stasera facevano pena.”
“Più che pena.” Concordò Bill, inserendosi nella conversazione, ed Emily lo seguì a ruota:
“Dai, mamma, aiutiamoli!”
“Ma –”
“Basta ma,” Tom le puntò un dito contro con fare severo. “Non ti è concesso rifiutare.”
Nicole sembrava seriamente combattuta. Si morse il labbro inferiore, esitando di fronte ai loro sguardi carichi di aspettativa. Tom si sforzò di imitare una di quelle facce dolci che a Bill venivano sempre così spontanee, ed incrociò mentalmente le dita.
Alla fine, Nicole sospirò impotente, e cedette.
“E va bene.”
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Note: Volevo ringraziare tutti voi che avete letto e, soprattutto, commentato. Mi ha fatto davvero piacere ricevere un feedback così positivo, e spero vivamente che continuerete così. ^^ Un grazie speciale a sososisu, che ci tengo a rassicurare circa la modalità di svolgimento dei capitoli: l'introduzione era un po' 'frettolosa' perché volevo dare quella sensazione di ansia pressante, sia per i Tokio Hotel che per Nicole. Come avrai notato, da questo capitolo già si vede il cambiamento nell'andamento della narrazione. Più dettagli su Nicole ed Emily verranno spiegati pian piano in futuro, quindi siate pazienti, molte delle domande che probabilmente vi state ponendo avranno una risposta molto presto. ;)
Un bacio, leute, alla prossima! |
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Capitolo 3 *** Meeting the Dream ***
“Alla buonora!” tuonò Brenda, alzandosi dal divano del salotto con un salto, una sigaretta in mano e il viso tirato dalla stanchezza. Sopra la sua testa, l’orologio segnava l’una del mattino passata. “Ti aspettavo un’ora e mezza fa al Vibe.”
Nicole si richiuse la porta alle spalle con uno sbadiglio, cercando di trattenere Emily, che le scalpitava in braccio.
C’era il solito, accogliente profumo di magnolia nell’aria (il cui solo scopo era mascherare quello del fumo), e le luci soffuse del salotto lo facevano sembrare quasi un prolungamento della città, che luccicava nella sua vita notturna al di là delle immense vetrate, diverse decine di metri più in basso. Nicole aveva un passione smisurata per l’attico di Brenda, perché il solo ingresso era grande come metà del suo appartamentino di Lipsia, e mille volte più elegante.
“Scusami, abbiamo avuto un piccolo imprevisto.” Borbottò, appendendo il cappotto nel guardaroba.
Tua nipote si è solo messa a fare la superstar ad un concerto non suo, ma che vuoi che sia.
“Zia, zia, zia, è stato bellissimo!” trillò Emily eccitata, saltando qua e là non appena i suoi piedi toccarono terra, con un’energia che Nicole avrebbe tanto voluto avere.
Brenda mulinò la lunga chioma corvina e si voltò a posare il posacenere sul tavolino lì accanto, poi fluttuò verso la nipote con un sorriso radioso, la vestaglia di seta che le svolazzava alle spalle, porgendole la guancia perché la baciasse.
“Ci credo, zucchero,” le disse, scompigliandole affettuosamente i capelli. “Se la tua mamma ti ha fatto fare così tardi, doveva proprio valerne la pena.” E lanciò un’occhiata penetrante a Nicole, che roteò gli occhi spazientita.
“Bree, ti prego, siamo stanche, rimandiamo i dettagli a domani, va bene?” Adesso lasciami vivere il mio sogno in santa pace, prima che suoni la sveglia e sia troppo tardi.
Nicole adorava sua sorella con tutto il cuore, non solo perché era l’unica parente che le restasse, ma anche perché era sempre stata un modello per lei: più grande di dieci anni, Brenda era sempre stata molto diversa da lei, uno spirito autonomo ed indipendente, molto forte e coraggiosa, ed era stato grazie a quelle doti che era riuscita a diventare un’imprenditrice di successo lì in Francia, con le sue tre discoteche che spopolavano e una fiorente agenzia di pubbliche relazioni che aveva messo su dal niente con Gabriel, l’attuale fidanzato. L’unica cosa che a Nicole non andasse giù, di Brenda, era l’iperprotettività che di tanto in tanto tirava fuori.
“Nicky,” Brenda si era chinata su Emily e stava osservando qualche cosa che Nicole non riusciva a vedere. “Perché Emily stringe delle bacchette da batteria?”
“Me le ha regalate il signor Gustav!” annunciò la piccola, tutta contenta, prima che Nicole potesse intervenire e tapparle la bocca.
Lo sguardo di Brenda mutò all’istante da accigliato a sconvolto.
“Gustav?” esclamò, incredula. “Gustav Schäfer? Il batterista dei Tokio Hotel? Quel Gustav?”
“Sì!” Emily brandì le bacchette con foga, e per poco non cavò un occhio alla zia, mentre Nicole cercava di lasciare la stanza passando inosservata. “Io e la mamma li abbiamo conosciuti!”
Brenda si voltò di scatto verso Nicole, un lampo di elettrizzato stupore negli occhi sgranati.
“Tu!”
Nicole si strinse nelle spalle a sentire il proprio nome pronunciato in quel modo e dovette fermarsi appena prima di riuscire a varcare la soglia del corridoio.
Maledizione.
“Nicole, torna subito qui!” Branda la costrinse a guardala. “Cos’è questa storia?” indagò, le mani piantate sui fianchi, gli occhi blu che brillavano.
Nicole adocchiò lo sguardo colpevole ma non troppo di Emily oltre le spalle della sorella.
Piccola peste che non sei altro!
Tentò di inventarsi qualcosa per riuscire a rimandare la discussione almeno fino alla mattina successiva, ma ogni sua forza, quella sera, era stata consumata dall’esuberanza inarginabile del suo piccolo diavoletto e dalle conseguenze della stessa.
Non che non avesse voglia di raccontare l’incredibile esperienza appena vissuta – tutt’altro – ma il fatto era che non riusciva a rendersi ancora conto di ciò che fosse realmente successo. Era stata una serata così densa di emozioni impreviste che a stento le sembrava reale.
Aveva bisogno di metabolizzare il tutto, di realizzare cosa fosse veramente accaduto in quelle poche ore appena trascorse, perché tutto ciò che al momento riusciva a pensare era un pateticissimo ‘Ommioddio!’.
“Diciamo che siamo capitate nel backstage.” Spiegò, tenendosi preventivamente sul vago, sperando – consapevolmente invano – che Brenda non avrebbe insistito di fronte alla sua mancanza di entusiasmo.
“Nicole,” Brenda le teneva gli occhi puntati addosso ed ostentava una pazienza che mal celava un attacco isterico. “Non si capita nel backstage di un concerto, di quello dei Tokio Hotel tanto meno,” fece una breve pausa per riprendere fiato, improvvisamente preoccupata in volto. “Dimmi che non hai concesso favori sessuali davanti a tua figlia solo per incontrare l’ottava meraviglia del patrimonio universale…”
“Bree!” esclamò lei, inorridita al solo pensiero che la sorella la considerasse anche solo capace di pensare una cosa simile. “Non dire sciocchezze, per favore. Li abbiamo conosciuti, tutto qui.”
Ma Brenda, più che rassicurata, sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. Poteva anche avere ventinove anni per l’anagrafe, ma certe volte ne dimostrava ancora quindici.
“Voi li avete conosciuti.” razionalizzò Brenda con calma.
“Esatto.”
“Tutto qui.”
“Sì.”
“Fammi capire bene,” Brenda trasse un lungo respiro, spargendo cenere su tutto il parquet mentre si portava la mano alla fonte. “Tu questa sera hai conosciuto i Tokio Hotel – i Tokio Hotel, Nicole! – e volevi rimandare i dettagli a domani?”
Nicole sapeva che ormai non aveva via di scampo.
Che qualcuno mi salvi, per pietà…
“È una storia davvero molto lunga, Bree…” E se te la raccontassi adesso, non mi lasceresti più dormire.
“La mamma lavora per loro!” cinguettò Emily. Saltava sul divano con una zampa del suo ragno Wilhelm stretta in una mano e le bacchette di Gustav nell’altra.
“Fila a lavarti i denti, tu!” abbaiò Nicole, braccata dalla sorella. “E vedi di metterti a letto entro cinque minuti, o domani te ne resti a casa!”
Con una linguaccia, Emily saltò giù dal divano e trotterellò attraverso il salotto, scomparendo oltre la porta che conduceva alla zona notte dell’attico. Quando Nicole tornò a rivolgere la propria attenzione verso Brenda, la trovò con un’espressione interrogativa dipinta in faccia.
“Domani se ne resta a casa… Da dove?” chiese, sospettosa. “E cos’è questa storia che lavori per i Fantastici Quattro?”
Nicole sbuffò.
“Non prendere alla lettera tutto quello che dice Emily, lo sai che ha una percezione dei fatti tutta sua.”
Brenda tirò una boccata di fumo e la studiò sottecchi con un mezzo ghigno sornione.
“Sentiamo, allora, la percezione dei fatti tutta tua quale sarebbe?”
Suo malgrado, Nicole si ritrovò a sorridere a fior di labbra.
Che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che in realtà non è successo un bel niente.
“Hanno bisogno di un piccolo favore, tutto qui.” Rispose, tenendosi sul vago, ma non l’avrebbe scampata: Brenda sapeva fiutare i sotterfugi a chilometri e chilometri di distanza.
Nicole la guardò increspare appena la fronte mentre chinava la testa di lato e esalava un sottile filo di fumo.
“E questo piccolo favore in cosa consisterebbe?”
Nicole esalò un sospiro sconfortato.
Sarà una lunga, lunghissima nottata...
***
Nicole si specchiò con aria critica nella porta d’ingresso posteriore dello Zenith, presa dall’ansia.
Era tutto in ordine?
La maglietta rossa che appena si intravedeva sotto la lunga giacca di ecopelle era perfettamente stirata (grazie alla domestica di Brenda), e i jeans erano quelli nuovi, presi in saldo solo tre giorni prima a Lafayette. L’unica cosa che poteva non essere perfetta erano le scarpe, le sue vecchie Nike Silver decisamente vissute, che però adorava e sembravano portarle fortuna, ed erano quindi state un elemento irrinunciabile.
Tutto in ordine.
Il suo cuore avrebbe retto abbastanza a lungo da riuscire almeno a salutare i ragazzi in modo quantomeno decente?
Le pulsazioni, ad occhio e croce, dovevano essere sui centoventi, e, a giudicare da come le girava la testa, la consapevolezza di quello che era successo il giorno prima – e che stava per accadere adesso – si era fatta fin troppo concreta.
Dovrei farcela.
C’erano delle ombre scure sotto i suoi occhi, conseguenza ovvia di una notte passata a rigirarsi nel letto senza pace, rimuginando su ogni minimo dettaglio di quel post concerto che nemmeno si era mai azzardata a sognare.
E adesso… Adesso stava per incontrarli di nuovo, su loro stessa richiesta, e sarebbe rimasta con loro per l’intera giornata. Era troppo, anche per un dono del cielo come quello.
No, non ce la farò.
Nicole sapeva di non doversi costruire castelli in aria, perché le aspettative, come lei stessa sosteneva da sempre, erano dannose: rovinavano le sorprese e ingigantivano le delusioni, e lei era cosciente di aver avuto già fin troppo dal destino, e proprio non voleva ritrovarsi a lamentarsi se qualcosa fosse andato diversamente dalle sue speranze.
Niente illusioni, si disse con fermezza, osservando il proprio riflesso nel vetro. Ti sfrutteranno per queste maledette illuminazioni e poi ognuno andrà per la propria strada, quindi non ti mettere a fantasticare, Nicole, perché ti farà male, molto male, e altro male è l’ultima cosa di cui hai bisogno.
Avvertì una leggera pressione alla mano destra, e guardò in giù: Emily le sorrideva, gli occhi ridotti a due verdi mezzelune luccicanti, roteando la gonnellina rosa avanti e indietro.
“Sei bella, mamma.” La rassicurò, in tono quasi esasperato, ma sicuramente divertito.
Nicole emise una piccola risata nervosa, che più che altro ricordava un singhiozzo isterico, e strinse un po’ più forte la manina della figlia.
Era felice, adesso, che i ragazzi avessero insistito affinché si portasse dietro anche Emily, perché poteva anche essere una piccola impertinente combinaguai, ma se non altro aveva il potere di rompere qualunque ghiaccio e tensione, e ce ne sarebbe stato bisogno.
Finalmente, Nicole trovò il coraggio di spingere la porta ed entrare. Fu immediatamente accolta da un uomo di colore che aveva la stazza di tre messi insieme, con un auricolare all’orecchio e una ricetrasmittente in mano.
“Posso aiutarla?” le domandò con voce baritonale, gettando uno sguardo stranito verso Emily. Un po’ intimidita, Nicole gli porse il foglio che le aveva consegnato David Jost ed attese.
“Va bene,” La guardia le restituì il documento e fece cenno ad un collega che beveva un caffè in fondo all’atrio di raggiungerlo. “Scorta le signorine dal signor Jost, per favore.”
Senza emettere mezzo suono, il giovane fece loro strada attraverso un lunghissimo corridoio di cemento illuminato da luci al neon, mentre degli strani ronziii provenivano dalla trasmittente che portava agganciata alla cintura.
Nicole non era del tutto sicura che il suo passo fosse fermo e aveva la ferma certezza che da un momento all’altro le sue ginocchia avrebbero ceduto.
Era stato diverso, la sera prima, quando era accaduto tutto così in fretta che nemmeno era riuscita a realizzarlo. Adesso aveva avuto un’intera nottata per potersi agitare in tutta calma ed entrare in piena coscienza della cosa, ed ora poteva tranquillamente collassare davanti ai Tokio Hotel come una ragazzina qualsiasi che si presentasse loro davanti.
Dio, era umiliante, ma non poteva farci niente.
L’omone si fermò davanti ad una porta di metallo e, senza bussare la aprì.
“Signor Jost,” chiamò. “Sono arrivate le sue ospiti.”
Nicole ebbe appena il tempo di sentire un remoto ‘Falle entrare’, che l’uomo le spinse praticamente al di là della porta e poi la richiuse alle loro spalle con un colpo secco, che rimbombò orribilmente nella testa già vorticante di Nicole.
“Che brutto maleducato.” Bisbigliò Emily, seguendola verso Jost, che le salutava da un angolo dell’immenso retropalco, mentre con una mano si reggeva il cellulare all’orecchio e con l’altra scribacchiava qualcosa su una cartelletta che aveva appoggiato ad un amplificatore.
Sparsi un po’ ovunque, decine di tecnici ed addetti trafficavano con ogni genere di attrezzatura.
L’impressione che ne ebbe Nicole era di un formicaio in piena attività.
Wow… E così è questo l’incantesimo dietro alla magia…
“Buongiorno.” Salutò Nicole, non appena Jost chiuse il cellulare con uno scatto frenetico.
“Ciao, Nicole, grazie di essere venuta.” Jost le strinse educatamente la mano. “Scusa ancora se ieri sera abbiamo fatto le cose così di fretta, ma i tempi scanditi dal tour sono infernali.”
“Me ne rendo conto.”
Mentre l'uomo salutava Emily, Nicole si guardò intorno, ma non per via della curiosità che provava verso quell’ambiente del tutto nuovo. C’era qualcosa che mancava, qualcosa che lei avrebbe tanto voluto scorgere, in mezzo a tutti quei volti ignoti, ma poi ricordò che ai ragazzi piaceva dormire fino a tardi, finché possibile, e probabilmente non si sarebbero visti fino al pomeriggio.
“Hey, David, hanno bisogno di te, di là!” gridò una voce che si avvicinava. A Nicole ci volle una frazione infinitesimale di secondo per riconoscerla.
Gustav!
Il batterista stava avanzando verso di loro e parve non poco stupito di scorgerla accanto a Jost, il quale si congedò ed allontanò senza che nemmeno Nicole se ne accorgesse.
“Nicole!” la salutò con calore e un sorriso così dolce che mise a dura prova il suo equilibrio psico-fisico. “E c’è anche Emily! Buongiorno a entrambe.”
“Buongiorno, signor Gustav.” Ricambiò Emily, profondendosi in un buffo inchino da ballerina, dimostrando così una maggiore prontezza di spirito di Nicole stessa, che se ne stava a guardare imbambolata, rigida come una statua di sale.
Maledizione, perché era così facile, ieri?
“Ciao.” Pigolò alla fine, ad un volume che rasentava gli ultrasuoni.
Gustav sorrise ad entrambe.
“Gli altri arriveranno più tardi,” disse, a mo’ di scusa. “Probabilmente sono ancora in piena fase rem, in questo momento.”
Fase rem alle dieci del mattino?, Nicole era a dir poco incredula e verde d’invidia. Dovrebbero proprio avere un assaggio dell’ Uragano Emily come sveglia mattutina, qualche volta.
“Senti,” Nicole occhieggiò Gustav con fare incerto. “Tu sai cosa devo fare, esattamente?”
“Oh, quanta fretta,” Gustav sorrise indulgente. “Sei proprio così ansiosa di scappare via?”
Nicole arrossì leggermente, ma non si scompose.
“Sono ansiosa di fare un buon lavoro.”
Lei e Gustav si scrutarono per un istante, e Nicole poté godersi per la prima volta in tutta calma – o quasi – i suoi bellissimi occhi scuri.
Merda, ieri sera non aveva quest'effetto destabilizzante...
Ad essere del tutto onesta, era Bill il suo preferito, e un po’ si vergognava di aver inizialmente dimostrato così poca considerazione verso gli altri tre membri del gruppo, ma ora li adorava ed ammirava tutti, anche se quel debole per il dolce Kaulitz minore non accennava a svanire.
“Signor Gustav,” Emily si era avvicinata al ragazzo e ora lo tirava per la maglietta, Wilhelm penzoloni nella sua mano. “Per favore, mi piacerebbe molto suonare la sua batteria.”
Gustav rise di cuore.
“Facciamo così,” rispose. “Adesso faccio vedere alla tua mamma quello di cui si deve occupare e poi andiamo tutti insieme a suonare un po’, va bene?”
Emily battè le mani felice.
“Grazie, grazie, grazie!”
Nicole sospirò fra sé e sé. Era incredibile come Emily non avesse nulla del suo carattere. Anzi, certe volte era così simile a Brenda che sembrava essere figlia sua, tanto più che, quando Brenda non aveva i capelli tinti di qualche strano colore, erano pressoché identiche anche fisicamente.
Misteri della genetica…
E, proprio a proposito di misteri della genetica, fu con un tuffo al cuore che Nicole scorse un guizzo di rasta biondi dietro ad uno dei pannelli di acciaio che costituivano la scenografia,e, un secondo più tardi, l’intera, meravigliosa persona di Tom Kaulitz si voltò verso di lei e Gustav, accennando un saluto portandosi la mano sull’aletta del berretto bianco. E quel mezzo sorriso che aveva le esatte sembianze dell’espressione di un gatto, quel sorriso furbo e malizioso, le causò una momentanea paralisi di ogni singolo muscolo che avesse in corpo, cuore compreso.
Tom. Tom Kaulitz è qui, e sta sorridendo a me…
Era un pensiero piuttosto stupido, visto che Tom Kaulitz era stato lì anche il giorno prima, ed anche il giorno prima le aveva sorriso, ma, in qualche modo, ora la cosa sembrava terrificantemente vera.
“Hey, gente!” esclamò, poi si voltò indietro. “Ragazzi, sono già qui!”
E, come per incanto, Georg apparve accanto a lui, assolutamente mozzafiato con quell’attillata maglia nera stampata in schizzi rossi e i jeans sfilacciati. Sollevò un braccio muscoloso e le fece un cenno con la mano, che lei ricambiò senza riuscire a respirare.
Sono qui… Sono davvero qui…
E poi, a coronare quell’immagine già di per sé così surreale, Nicole vide una lunga chioma spinosa spuntare da dietro il pannello, e là, tra Tom e Georg, più bello e sorridente che mai, arrivò Bill, e lei ebbe la sensazione che il mondo fosse assurdamente perfetto.
Ommioddio!
“Hey, ciao!” Bill salutò allegramente, facendosi avanti a larghe falcate. Nicole si rese conto, con sommo orrore, che la sua facoltà di parola era andata perduta da qualche parte in mezzo a quel sovraccarico di adrenalina che il suo sangue stava subendo.
“Buongiorno, signor Bill!” esultò Emily, correndogli incontro. La collisione con i ragazzo fu discreta: Bill fece appena in tempo a chinarsi per prenderla tra le proprie braccia, che le già gli era saltata in braccio e per poco non gli fece perdere l’equilibrio.
Nicole avrebbe voluto sotterrarsi per la faccia tosta di Emily, ma lui sembrava contento, e rideva, anche con il ragno Wilhelm schiacciato in faccia.
La bocca aperta, gli occhi sbarrati, Nicole restò a guardare mentre Bill le arrivava di fronte e si chinava – e di molto, visto che era alto una ventina di centimetri più di lei – per baciarla sulle guance.
“Tutto bene?” le chiese, cordiale, ma tutto quello che Nicole percepì fu un vago suono indistinto e lontano, persa com’era nella contemplazione più totale di colui a cui Brenda era solita riferirsi come ‘quella maledetta pertica sexy’.
E adesso?
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Note: allora, se non sbaglio ho un mucchio di ringraziamenti da dispensare, giusto? Bene, cominciamo.
clasaru, sososisu, eddy, lolly, selina89, LiSa90, Bell_Lua, FrancescaKaulitz, Kit2007, BeA...!!, enlil, picchia, shine_angel, fullmetalQUEEN, e tutti gli altri che hanno recensito il primo capitolo... Vi adoro, continuate così, magari non sembra, ma i commenti sono un toccasana per l'ispirazione e spronano uno scrittore a continuare il proprio lavoro con entusiasmo. Spero che l'aggiornamento sia stato di vostro gradimento. Come qualcuno di voi ha già saggiamente notato, questa è una storia che nasconde diversi colpi di scena, quindi state pronti ad essere stupiti. ^^
Danke, leute, al prossimo capitolo! ;) |
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Capitolo 4 *** Interlude ***
Bill si chiedeva se magari non avesse
esagerato con quei due
baci sulle guance di Nicole.
La ragazza, pietrificata al suo
cospetto, lo fissava come un
pellegrino avrebbe fissato la celeste apparizione della Vergine Maria:
uno
sguardo estasiato e terrorizzato insieme, quasi devoto, e la cosa lo
metteva
leggermente a disagio. Ci era abituato, vero, ma in genere si trattava
di pochi
secondi, il tempo di un autografo e una foto, e se la ragazza non si
fosse un
po’ rilassata, non sarebbe mai riuscita ad accendere nemmeno
una lampadina.
“Abbiamo pensato di alzarci
un po’ prima,” le comunicò
gentilmente, mentre Emily giocherellava con la catena che portava al
collo. “Per
non farti sentire troppo un pesce fuor d’acqua in mezzo ai
nostri tecnici.”
L’espediente, comunque, era
stato del tutto inutile, secondo
lui, perché Nicole non solo sembrava decisamente un pesce
fuor d’acqua, ma addirittura
ne ricalcava la stessa esatta espressione.
“Non – non
avreste dovuto disturbarvi…” mugolò
lei,
fissandosi i piedi.
“Ah, figurati,”
interloquì Georg con un’alzata di spalle.
“A
mezzanotte eravamo già a letto…
L’after-show faceva schifo.”
Bill dovette amaramente convenire.
Mai visto un’after-show
party così squallido e noioso in vita sua. Lui e gli altri
avevano supplicato
in ginocchio David di essere sollevati dall’onere del
presenzialismo forzato ed
avevano tagliato la corda prima ancora che lui potesse aprir bocca per
acconsentire.
Vatti a
fidare dei PR
francesi…
“Mamma, posso dare i miei
regali, adesso?” esordì Emily,
dalla sua posizione strategica sulle spalle di Bill, il quale fu
piacevolmente
solleticato dalla parola ‘regalo’.
“Ci avete portato dei
regali?”
Nicole abbassò lo sguardo
su una grossa busta che teneva in
mano, quasi nemmeno si fosse accorta di averla, ed Emily si mise a
dimenarsi
sulle spalle di Bill.
Fortuna che
è leggera,
pensò lui, divertito.
“Signor Bill, mi fa
scendere, per favore?” gli chiese, persa
da qualche parte dietro la sua chioma leonina. Bill obbedì,
ed Emily corse
dalla madre: una volta strappatale dalle mani la busta –
grande pressappoco
come lei – si mise a frugarci dentro, immersa fino al collo.
“Ha voluto a tutti i costi
portarvi questa roba,” spiegò
Nicole sottovoce, passandosi con rassegnazione una mano tra i capelli.
“Non so
nemmeno cosa ci sia in quei pacchetti, si è alzata alle
sette e ha fatto tutto
da sola.”
Bill si soffermò a
studiarla meglio: aveva l’aria di non
aver chiuso occhio durante la notte, ma ciononostante sembrava in
forma, o
forse era merito del fisico tonico che la sera prima si poteva
intravedere
dall’abito corto, e che ora era invece nascosto da vestiti
più casual.
Non somiglia
particolarmente ad Emily, rifletté, ma
hanno lo stesso viso, a ben guardare.
“Signor Bill, questo
è per lei e il signor Tom.”
Bill guardò in
giù: Emily gli stava davanti, allungandogli
un involto bitorzoluto fatto con della carta colorata e montagne di
scotch,
così spesso che nemmeno si riusciva ad intuire la forma di
quello che conteneva.
“Grazie.” Dissero
lui e Tom in coro, accettando il dono.
Bill lo esaminò e lo soppesò con attenzione,
curioso di scoprire cosa potesse
mai contenere.
Emily, intanto, era corsa anche da
Gustav e gli stava
porgendo un pacchetto identico al precedente:
“Signor Gustav,”
Gustav si abbassò su di lei e lei si mise
in punta di piedi per sussurrargli all’orecchio:
“Il suo è più grosso perché
lei mi ha regalato le bacchette.”
Ridendo, Gustav le sfiorò
la guancia con le labbra e prese
tra le mani il proprio regalo, con la stessa faccia incuriosita che
avevano
avuto anche Bill e Tom.
Tutta soddisfatta, Emily
andò a consegnare l’ultimo
pacchetto – il più piccolo – a Georg.
“Ecco,” gli porse
il regalo, ed era incredibile quanto
grandi fossero le mani di lui in confronto a quelle di lei.
“Per lei, signor
Georg.”
Lui sfoderò uno dei suoi
sorrisi migliori, e Bill era quasi
certo – per quanto folle la sola idea fosse – che
Emily avesse ammiccato in
risposta.
“Grazie mille,
piccola.”
Sotto allo sguardo interessato di
Nicole, Bill si mise a
scartare il proprio pacchetto assieme a Tom, subito imitato dagli altri.
Tempo tre secondi, e tutti quanti
fissavano straniti gli
oggetti emersi dagli strati di carta. Personalmente, Bill non ricordava
di
essersi mai divertito così tanto, ultimamente.
“Uno shampoo alla
camomilla?” Tom fissava accigliato il
flacone perlaceo.
Emily annuì con veemenza.
“Sì,”
disse. “È per fare venire i capelli lunghi belli
morbidi come i miei e quelli della mamma e quelli del signor
Georg.”
“Emily,”
intervenne Nicole, una vibrazione preoccupata nella
voce. “Dove hai preso questi regali?”
Dal modo in cui lo chiese, era ovvio
che già conoscesse la
risposta.
“Nel bagno della
zia.” Rispose la bambina, con tutto il
candore possibile.
Bill scosse il capo con indulgenza.
Ma come si
fa a non
adorarla?
A corto di parole, si unì
alla risata che, di fronte alla
faccia incredula di Tom, sfuggì ai due compagni e a Nicole.
“Grazie, Emily,
è davvero un regalo azzeccato.”
“Che cosa vuol dire
azzeppato?”
“Azzeccato,” la
corresse Tom, con un tono soave che Bill non
ricordava di avergli mai sentito usare prima. “Vuol dire che
è proprio il
regalo giusto per noi.”
“Io mi associo,”
disse Gustav, spiegando un bellissimo
asciugamano bianco che portava addirittura una G ricamata in un angolo.
“Chiunque
sia il proprietario di quest’asciugamano, devo dire che si
tratta bene.”
Nicole si era coperta il viso con le
mani, e non si capiva
bene se stesse ridendo o piangendo.
“Puoi tenerlo,”
gli assicurò, incrociando le braccia, e Bill
scoprì che l’ipotesi corretta era la prima: era
decisamente divertita. “È
l’asciugamano del fidanzato di mia sorella, ma non gli ci
vorrà nulla a
comprarsene un altro. Anzi, credo che quello sia addirittura nuovo di zecca, vedo che ha ancora il cartellino.”
“E di questo che mi
dite?”
Tutti si voltarono verso Georg, e per
un momento Bill si
chiese di cosa stesse parlando, ma quando l’amico
voltò la testa di lato, fu
praticamente impossibile non notare il grosso fermaglio di strass che
si era
infilato tra i capelli.
“Emily!”
esclamò Nicole, che sembrava sull’orlo di una
crisi
di risate. “Quello è mio!”
“È
più bello lui, però.” obiettò
Emily, osservando Georg con
la bionda testa inclinata da un lato.
Di nuovo, tutti quanti scoppiarono a
ridere, e Bill non
sapeva se fosse per via della simpatia di Emily, o per
l’aspetto ridicolo di
Georg, o per l’espressione ai limiti
dell’ilarità che faceva brillare gli occhi
a Nicole, ma per la prima volta da tempo si stava divertendo veramente,
e
questo lo faceva sentire insolitamente bene.
Finalmente posso concordare con Tom
quando dice che le
ragazze sono un toccasana.
“Ragazzi, prestatemi Nicole
un momento.” David era apparso
dal nulla e aveva afferrato la ragazza per un polso, facendole segno di
seguirlo. “Ve la riporto subito,” fece per
andarsene assieme a lei, ma prima
lanciò uno sguardo indietro: “A
proposito… Quell’affare ti sta da dio,
Georg!”
***
Georg riteneva che David avesse
bisogno urgente di
revisionare un po’ il suo concetto di ‘un
momento’ e ‘subito’: si era portato
via Nicole quasi un’ora prima, e ancora non c’era
segno di un loro ritorno.
A parte quello, comunque, il tempo
non aveva certo pesato:
avevano portato Emily a suonare la batteria, e, cosa sensazionale, Tom
l’aveva
addirittura tenuta in braccio per aiutarla a suonare la chitarra. Il
meglio,
però, era venuto quando la bimba si era messa in piedi su un
amplificatore e
aveva cominciato a cantare Spring Nicht, ben presto accompagnata da
Bill, ed
era stato allora che Georg aveva realizzato che la piccola, esattamente
come
Bill, aveva una leggerissima zeppola, che al momento stava esibendo in
tutta la
sua tenerezza mentre cantava Songbird degli Oasis in coro con Bill, Tom
e
perfino Gustav.
“Gonna write a song so she can see, give her
all the love she gives to me, talk of better days that have yet to
come, never
felt this love from anyone…”
Da amante degli Oasis, Georg si
godeva lo spettacolo
appoggiato a braccia conserte al muro, e l’insolito quartetto
nemmeno si accorse
di lui quando li lasciò per andare a controllare cosa stesse
facendo fare David
a quella povera ragazza.
Dopo aver cercato un po’
ovunque, trovò Nicole seduta a
terra a gambe incrociate, un portatile sulle ginocchia, che picchiava
freneticamente sulla tastiera.
In silenzio, Georg le si
avvicinò ed allungò uno sguardo
allo schermo, ma gli schemi che vide erano arabo, per lui.
“Roba
complicata.” Osservò, e lei trasalì,
portandosi le
mani al petto.
“Georg!”
voltò la testa verso di lui, corrucciata. “Dio, mi
hai fatto prendere un colpo.”
“Chiedo umilmente
venia,” replicò lui, e le si sedette
accanto. “Correggi lo scempio del nostro tecnico?”
Le labbra di Nicole si incurvarono
all’insù, e due piccole
fossette le apparvero ai lati della bocca.
“Diciamo che sto perfezionando
qualche dettaglio,” disse. “Ma, se fossi in voi,
assumerei un nuovo tecnico
delle luci.”
“Emily ha un impressionante
repertorio di canzoni in
inglese,” osservò, ammirato. “Si direbbe
che conosca bene la lingua…”
Nicole non rispose subito.
Continuò a lavorare alla
programmazione per qualche istante, e Georg attese paziente.
“Mia madre era
irlandese,” raccontò con un filo di voce.
“Io
e mia sorella siamo cresciute bilingui, e ho pensato che sarebbe stato
vantaggioso per Emily se avesse imparato fin da subito sia il tedesco
che
l’inglese.”
Parlava con serenità, ma
era una serenità che aveva il forte
retrogusto amaro del rimpianto, della nostalgia. E c’era
quell’orribile ‘era’,
che altro non poteva significare che un’unica cosa.
“Lei e mio padre sono
morti,” proseguì, rispondendo ad una
domanda che lui non avrebbe mai osato porle. “Un incidente,
due anni fa.” Un
sospiro. “Sono riuscita a tirare su Emily da sola grazie ai
soldi che mi hanno
lasciato, non devo nemmeno lavorare…”
Ora c’era
un’altra domanda che Georg avrebbe voluto
esternare, ma non era sicuro che fosse molto educato, da parte sua,
essere così
invadente. Alla fine, però, la curiosità vinse su
tutto.
“E suo padre?”
La fronte di Nicole si
corrugò lievemente e lei strinse le
labbra tra loro.
“Suo padre aveva la tua
età quando sono rimasta incinta,” I
suoi occhi erano innaturalmente fissi su un punto imprecisato dello
schermo del
notebook. Non si girò a guardarlo, ma non sembrava turbata
dal suo stupore. “Se
dovesse capitare a te, ti addosseresti una responsabilità
simile, a soli
vent’anni?”
Così
mi metti in
difficoltà…
“È difficile a
dirsi, così a priori,” rispose, sforzandosi
di essere diplomatico, ma mentire sarebbe stato stupido. “Ma
no, credo di no.
Anzi, probabilmente me la batterei a gambe levate.”
Nicole annuì senza
guardarlo.
“È quello che ha
fatto lui.”
Georg odiò se stesso per
quella risposta. Essere paragonato
ad un bastardo che lasciava sola una ragazza nel momento del bisogno lo
faceva
sentire un infame di smisurate proporzioni.
Viva i
paradossi.
“Mi dispiace.”
Soffiò, costernato, ma Nicole scosse la testa
con un accenno di sorriso.
“A me no. Meglio soli che
male accompagnati.”
“Giusto.”
Approvò lui, restituendo il sorriso. “Toglimi una
curiosità… Come mai ci sai fare con questa roba?
Hai frequentato una scuola
professionale, o…”
“Mio padre,”
Nicole si portò i capelli dietro all’orecchio,
scoprendo un paio di piercing al lobo ed in cima all’orecchio.
“Era un
appassionato di fisica della luce, la studiava nei momenti liberi, e mi
ha
insegnato un sacco di cose. Stavamo alzati ore e ore la notte a
progettare
grandi sale da ballo e palchi come questo… Mia madre andava
su tutte le furie
ogni volta.”
Georg aveva un’idea
approssimativa di che cosa si potesse
provare a vivere senza i proprio genitori. I suoi, dopotutto, si erano
separati
quando lui aveva solo due anni, ed aveva praticamente vissuto senza suo
padre.
“Ti mancano,
vero?”
“Sì,
moltissimo.” Il tono era serio, ma i suoi lineamenti si
distesero in un gran sorriso. “Per fortuna però ho
il mio piccolo demonietto
che mi tiene occupata dalla mattina alla sera e mitiga un po’
tutte le
amarezze.”
Non riesco
ad in
quadrarti, Nicole… Sembri così forte, ma
c’è tanta fragilità in te…
Era inconcepibile pensare che una
ragazza intelligente e
carina come lei avesse praticamente dovuto rinunciare alla propria vita
per
poterne dare una alla figlia.
“Parlando del tuo piccolo
demonietto,” Georg sollevò la mano
e si sfilò il fermaglio dai capelli. “Credo che
questo sia tuo.”
Nicole lo guardò per un
istante, ma poi lo respinse,
rivolgendo a Georg un’occhiata sorniona che la fece apparire
più simile che mai
ad Emily.
“Tienilo,” gli
disse. “Il demonietto ha ragione, sta meglio
a te.”
“D’accordo,”
Georg si mise il fermaglio in tasca. “Per la
cronaca, comunque, il demonietto ha detto che io sono più
bello, non che sta
meglio a me.”
Nicole non seppe trattenere una
risatina sommessa.
Sembrava un po’
più rilassata rispetto a quando era
arrivata, e forse stava cominciando a capire che infondo i Tokio Hotel
non
erano le divinità che le leggende metropolitane dipingevano,
ma semplicemente
quattro ragazzi a cui il destino aveva concesso una svolta fortunata.
In quella, Georg si rese conto che le
quattro voci concitate
di Bill, Tom, Gustav ed Emily si stavano avvicinando, e quando si
voltò, trovò
Tom chino sul pc, tra le teste sua e di Nicole.
“Ciao ciao,
gente,” li salutò. “Siamo venuti a
vedere a che
punto è il salvataggio della reputazione dei Tokio
Hotel.”
“Buona, direi.”
annunciò Nicole.
“Buona nel senso
‘tra due minuti ho finito’ o buona
‘lasciatemi in pace, ho ancora una montagna di cose da
fare’?” si informò
Gustav.
“Una via di
mezzo.”
“Ragazzi, io ho
fame.” Si lamentò Bill, proprio mentre il
suo stomaco gorgogliava rumorosamente.
“Anche io!”
soggiunse Emily, avvolgendo le proprie braccia
attorno al collo della madre, mentre, dalle sue spalle, tentava di
sbirciare ciò di cui si stesse occupando. “Voglio la pizza!”
“Ottima idea!”
Bill saltò su come se gli avessero iniettato
un siero miracoloso nelle vene e si mise a guardarsi intorno.
“Saki!” chiamò a
gran voce, fino a che la sua imponente guardia del corpo non si fece
avanti da
chissà dove.
“Saki, ci ordini un
po’ di pizza, per favore?” supplicò,
congiungendo
le mani. “Pizza per sei, rigorosamente italiana.”
“Senza peperoni!”
precisò Georg.
“E senza
cipolle!” aggiunse Bill.
“Facciamo margherita,
magari?” suggerì Saki, inarcando un
sopracciglio, poi attese altre richeste, e, non ricevendone, se ne andò.
Con lo stomaco che brontolava, Bill
si sedette a terra alla
destra di Nicole, mettendosi a curiosare sulla scheda a cui stava
lavorando.
“Non ci capisco un bel
niente.” Osservò allegramente, mentre
le dita di Nicole si irrigidivano e smettevano di picchiettare sulla
tastiera.
“Bill, lasciala in pace,
non vedi che le stai dando
fastidio?” esclamò Tom, ma Nicole scosse la testa.
“Non fa niente,
davvero.” Poco più di un sussurro, appena
udibile, forte a sufficienza perché fosse chiaro che non
voleva affatto che
Bill si muovesse da quell’esatto punto in cui stava.
Georg notò che Nicole
aveva sempre questa sorta di chiusura
a riccio istantanea quando Bill era nei paraggi.
“Signor Georg,”
Emily gli si parò di fronte, le mani unite
dietro la schiena. “Mi potrei sedere sulle sue gambe, per
favore? Da dietro non riesco a vedere niente...”
Georg si sciolse davanti al suo
visetto candido che si
illuminava con un sorriso non troppo timido.
Se me lo
chiedi così,
ti darei anche la luna…
“Si accomodi,
signorina.”
“Signorina no, per
favore!” protestò Emily, facendo una
smorfia mentre si sedeva con attenzione sulle gambe incrociate di
Georg. “La
signora antipatica che abita vicino a noi mi chiama sempre
‘signorina
Sandberg’, e non mi piace.”
“Emily!” Nicole
saltò su, scandalizzata. “Ti avevo detto di
non parlare più male della signora Fuchs!”
“Ma mamma, tu dici sempre
che è una vecchia megera!”
Georg e gli altri risero nel vedere
Nicole che sbiancava di
imbarazzo.
Erano diverse settimane che non si respirava un'aria così rilassata, e la presenza di Nicole ed Emily stava anche nettamente allentando l'ansia da pre-concerto. Il bello di replicare uno spettacolo in uno stesso luogo il giorno dopo la prima, era che non c'era il soundcheck da ripetere e le prove si limitavano a quattro accordi poco prima dell'apertura dei cancelli, e il pomeriggio restava libero, a meno che - cosa che accadeva piuttosto spesso - David non se ne uscisse con qualche appuntamento preso all'ultimo minuto, cosa che nè a Georg nè agli altri faceva mai particolarmente piacere.
Ma c'est la vie, dopotutto...
“Il vostro cognome
è davvero Sandberg?” domandò Gustav,
avvicinandosi interessato, e Nicole confermò.
“Però,”
Tom sogghignò divertito. “Come i tuoi bassi,
Georg!”
“Io non sono
bassa!” puntualizzò Emily, arrabbiata, tirando
un acuto che tramortì sia Georg che Nicole e
causò agli altri tre una crisi
irrefrenabile di risa.
“Che cosa ho
detto?” chiese Emily, confusa. Gerog si limitò
ad accarezzarle i capelli e scambiare un sorriso d’intesa con
Nicole.
“Niente, Emily, non ti
preoccupare.”
Avevo
dimenticato
quanto può essere semplice e bella la vita…
-----------------------------------------------
Note: Spero che il capitolo non sia parso troppo noioso, ma è un capitolo di transizione e mi serviva per spiegare alcune cosette, come avrete notato, quindi se siete rimasti un po' delusi, sono già prostrata a chiedere scusa, prometto che il prossimo sarà decisamente migliore. ;)
DankeDankeDanke a tutte le gentile persone che hanno lasciato un commento per lo scorso capitolo, ossia: Ihateyou, Muny_4Ever, fulmetalQUEEN, FrancescaKaulitz, clasaru, camus, Zickie, Lit2007, lolly, Clodie, enilil, shine_angel, Bell_Lua, dark_irina e LiSa90... Siete il mio carburante, gente! Spero recensirete anche questo, e che anche chi legge per la prima volta vorrà avere la bontà di fare felice un'umile scrittrice e farle sapere cosa ne pensa della sua opera. :)
Vi lascio anche la traduzione del pezzo della canzone Songbird degli Oasis che canta il nostro adorabile quartetto, non si sa mai (leggasi: servirà in futuro, ma non voglio anticipare niente. ^^): "Scriverò una canzone, così lei capirà, le darò tutto l'amore che lei da a me, parlerò di giorni migliori che devono ancora arrivare, non ho mai sentito un amore così da parte di qualcuno..."
Un bacio, e al prossimo capitolo! |
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Capitolo 5 *** A Night Like This ***
Il problema della pizza era che, in
un modo o nell’altro, riusciva a far dimenticare qualunque
altra cosa, e Gustav non avrebbe saputo dire da quanto tempo se ne
stavano seduti a quel tavolo a oziare, ma la quantità di
tovaglioli e bicchieri di carta usati e bottiglie vuote gli forniva
un’idea quantomeno approssimativa.
“Cazzo, ho mangiato come
otto buoi messi insieme.” Borbottò Tom, battendosi
una mano sullo stomaco.
“Non si dice quella parola,
signor Tom!” lo ammonì Emily, portandosi scioccata
una manina alla bocca. “Si dice
‘cavolo’!”
Una calda risata si diffuse tra i
presenti.
“Scusalo, Emily,”
le disse Bill, scolandosi il millesimo bicchiere di coca cola.
“Tomi non è famoso per la sua finezza,
sai…”
“Ah, tu invece parteciperai
ai campionati mondiali di Bon Ton, vero?” replicò
Tom, imbronciato. Georg sogghignò.
“Tra tutti e due, potreste
anche arrivare a contendervi il gradino più alto del
podio.”
“Zitto, tu!”
esclamarono Bill e Tom, e gli allungarono entrambi uno scappellotto
sulla nuca. Nicole ed Emily risero.
“Vedi?” Gustav si
chinò verso Nicole. “Siamo esattamente come
qualunque altro ragazzo della nostra età… Dei
completi idioti.”
“Non è vero,
signor Gustav!” s’intromise Emily, corrucciata.
“Siete carini, invece!”
Gustav le rivolse un sorriso
affettuoso, facendo del suo meglio per non scoppiare a ridere di fronte
a quel ‘carini’ che si andava ad aggiungere per la
prima volta alla lista di complimenti bizzarri che fossero mai stati
loro fatti.
“Cosa ne diresti di
chiamami Gustav e basta?” le propose.
“Giusto,”
concordò Georg. “E magari di darci anche del tu?
Tanto ormai siamo amici.” Ed ammiccò.
“Va bene.”
Assentì Emily, tutta contenta.
Gustav si chiese da quanto tempo
fossero lì, perché aveva la sensazione che un
break così piacevole sarebbe senz’altro finito
troppo presto.
Tra tranci di margherita, coca cola e
chiacchiere varie ed eventuali, il tempo era scivolato via in fretta,
tanto che quando arrivò il loro coordinatore generale Fabian
ad avvisarli che era ora di cominciare a darsi da fare per prepararsi
al concerto, lui dovette controllarsi l’orologio per
capire che non era affatto uno scherzo.
“Le quattro?”
esclamò Bill, strabuzzando gli occhi. “Ma se ci
siamo messi a mangiare venti minuti fa!”
Gustav non ebbe nemmeno il tempo di
dispiacersi per la fine del divertimento, che notò
l’espressione afflitta di Nicole, e non gli ci volle
più di tanto a comprenderla: quel ‘Diamoci una
mossa’ che Fabian aveva buttato lì quasi per caso,
significava che non solo di lì a poche ore i cancelli
sarebbero stati aperti, ma anche che il divertimento era finito, e con
esso anche il sogno di Nicole.
Peccato, però,
si disse, mentre ammucchiavano i resti del pranzo dentro uno
scatolone. Ci stiamo divertendo. Emily è il
più potente antistess che io abbia mai visto, e
Nicole… Nicole è talmente carina…
Carina, sì, ma nel senso
lato del termine, perché Nicole era bella, impossibile
negarlo, ma non somigliava a quelle ragazze un po’ troppo
sicure di sé che era abituato a incontrare di recente: era
introversa, timida, a tratti addirittura insicura, ma bastava vedere
come si comportava con Emily per capire quanto infondo fosse dolce ed
amichevole. Del resto, a conti fatti era solo con Bill che sembrava
avere difficoltà a rapportarsi, ma quella era ordinaria
amministrazione.
Mentre si alzavano da tavola
– prodigandosi in borbottii e lamentele sommessi –
la testa di David fece capolino dalla porta e i suoi occhi cercarono
Nicole.
“Nicole,” la
chiamò. “Non abbiamo ancora discusso del tuo
compenso, per te va bene se –”
“No, no,
assolutamente,” si schermì lei in fretta.
“Ci mancherebbe, per me è stato un piacere, ho
già avuto fin troppo.”
“Ma –”
“No, sul serio,”
insistette lei, risoluta. “Va bene così.”
David inarcò le
sopracciglia con fare scettico, ma non fece ulteriori pressioni.
“Come vuoi.” disse tentennante, poi li
lasciò.
“Allora stasera ti lasci
offrire qualcosa, dopo il concerto.” Esordì Tom,
accendendosi una sigaretta. Il volto di Bill si illuminò
alla proposta del fratello.
“Non si accettano
rifiuti,” le intimò, ed Emily, seduta sulle sue
ginocchia, ascoltava tutta orecchi. “Conosciamo un locale
poco lontano da qui che ha un’ottima sala vip, possiamo
andare lì! Com’è che si chiamava,
Georg?”
“Random.” Rispose
l’altro, senza esitazioni.
“Ecco!” Bill si
voltò trionfante verso Nicole. “Vedrai che ti
piacerà.”
Lei sorrise, e Gustav era pronto a
scommettere che fosse ormai sul punto di arrendersi – cosa
peraltro abbastanza scontata, visto che Bill sarebbe facilmente
riuscito a persuadere un musulmano a mangiare carne di maiale in pieno
Ramadan.
“So già che mi
piacerà,” disse Nicole enigmatica.
“Visto che è uno dei locali di mia
sorella.”
“Lo prendiamo per un
sì?” fece Bill, speranzoso.
“Certo che è un
sì,” disse Tom. “Giusto,
Nicole?”
“Mi piacerebbe da
morire,” ammise lei debolmente.
“Ma mia sorella ha sempre da fare, come faccio con
Emily?”
Era dispiaciuta, era evidente, ed un
pesante silenzio riflessivo cadde all’interno della stanza.
Questa non ci voleva.
“Posso occuparmene
io,” esordì Georg ad un tratto. “Se tu
ti fidi, ovviamente.” Aggiunse, rivolto a Nicole.
“Certo che mi fido, ma
–”
“Tu non vieni a
ballare?” Tom lo fissava stranito. Non era esattamente
ordinario sentire una cosa del genere da Georg.
“Potrei cercare una
babysitter...” Azzardò Nicole, trasudando
incertezza.
“Mamma, no!”
protestò Emily, indignata.
“Non ti
preoccupare,” la rassicurò Georg placido.
“Avevo comunque intenzione di riposare un po’, non
mi sento particolarmente in forma.”
“Non consiglierei la
compagnia di Emily ad una persona non particolarmente in
forma.” Rispose Nicole, dubbiosa.
“Starò buona, lo
prometto!” esclamò Emily, saltando in piedi sulla
propria sedia.
Nicole gettò
un’occhiatina in tralice a Georg.
“Sei proprio sicuro di
volerlo fare?” gli chiese titubante.
“Perché è mio dovere avvertirti che
sarà un’esperienza traumatica, ed è
statisticamente provato che il tuo sistema nervoso riporterà
danni medio-gravi e permanenti.”
“Credo che ci sia ben poco da daneggiare.”
replicò lui, sorridendo.
Gustav pensò che Nicole
fosse un po’ esagerata, ma forse Emily era facile da
sottovalutare, angelica come appariva. A pensarci bene, Emily era
esattamente come Bill.
“Tu vai e
divertiti,” disse Georg a Nicole. “Noi staremo
bene, vero Emily?”
La bimba sorrise radiosa ed
annuì, i capelli biondi che seguivano ogni suo movimento.
“Sì!”
La situazione poteva ufficialmente dirsi risolta, e sembrava che
nessuno ne sarebbe uscito deluso, anche se non era da Georg tirarasi
indietro di fronte ad un salto in discoteca, ma effettivamente Gustav
doveva riconoscere che lui stesso si sentiva un po' stanco. Nicole, dal
canto suo, sembrava troppo occupata a contenere la propria gioia per
poter esternare pensieri di alcun tipo.
“Allora Nicole,”
Tom la fissava sardonico. “Mi pare che tu non abbia
più valide obiezioni da avanzare, adesso.”
***
Un abitino di raso nero, ballerine
nere bordate di rosso, un nastro scarlatto annodato con un piccolo
fiocco attorno al collo, un velo appena accennato di trucco nero
attorno agli occhi, niente gioielli all’infuori di due
piccoli anellini d’argento alle orecchie. Nicole era apparsa
così, quella sera, dietro le quinte del concerto,
stringendosi convulsamente la giacca di ecopelle tra le mani, e tutti
l’avevano fissata per diversi, lusinghieri istanti prima che
uno di loro fosse riuscito a profferire parola.
Lei, rossa in viso, con Emily in tuta
rosa accanto, li aveva salutati tutti, profondamente a disagio di
fronte a tutta quell’attenzione.
Era stata Brenda a costringerla
– dietro esplicita minaccia – a vestirsi
così, e Nicole alla fine si era vista costretta a cedere
alla coercizione, seppur nemmeno remotamente convinta della
bontà della scelta, ma era già stato un miracolo
che fosse riuscita a scampare all’imposizione di un paio di
scarpe i cui tacchi avrebbero potuto tranquillamente essere usati come
spiedi.
L’abito non faceva il
monaco, e ora più che mai sentiva di crederci fino in fondo.
Come immersa in un onirico involucro
ovattato, Nicole aveva lasciato Emily con Georg, senza riuscire a
smettere di ringraziarlo tra una raccomandazione e l’altra,
poi Tom l’aveva praticamente trascinata via e, una volta
sedutasi nella lussuosa Mercedes tra lui e Bill, tutto ciò
che era rimasto nella mente frastornata di Nicole era, per la prima
volta da anni, il più assoluto, completo, sterminato,
paradisiaco nulla.
***
Georg era sorpreso dallo spirito di
adattamento di Emily e dalla disinvoltura che dimostrava in un ambiente
a lei del tutto nuovo: la piccola non aveva fatto in tempo a mettere
piede nella sua stanza che, trascinandosi dietro il ragno Wilhelm e lo
zainetto di Nightmare Before Christmas con tutte le sue cose, si era
accomodata sul divano e aveva preso a sfogliare l’opuscolo
illustrativo dell’hotel.
Dopo essersi assicurato che in giro
non ci fosse nulla che un bambina di quattro anni non dovesse vedere o
potenzialmente trasformare in pericolo, Georg aveva chiesto alla sua
piccola ospite se gli avrebbe concesso un minuto per farsi una doccia,
e lei aveva semplicemente annuito, completamente assorta nella lettura,
ed ora che lui era uscito dal bagno piacevolmente rinfrescato, lei era
ancora lì, le due piccole trecce bionde che le accarezzavano
le spalle, l’espressione concentrata.
Ma starà
veramente leggendo?
Che fosse un bambina intelligente era
ovvio, ma Georg non sapeva fino a che punto dovesse stupirsi, con lei.
“È
interessante?” le domandò, sedendosi accanto a lei
mentre si infilava una maglietta pulita.
“Mmm,”
l’espressione di Emily si fece pensosa. “Non lo so,
i signori che hanno scritto questa cosa parlano strano,” gli
indicò una parola in una delle pagine. “E scrivono
parolacce!”
Georg rise sommessamente e si
appoggiò con il braccio allo schienale del divano.
“Shiatzu non è
una parolaccia,” le spiegò pazientemente,
afferrando al volo la probabile connessione che la bambina doveva aver
fatto con ‘scheisse’. “È il
nome di un particolare tipo di massaggi.”
Emily fissò la parola per
qualche secondo, come se cercasse di immagazzinarla assieme al suo
significato, poi chiuse l’opuscolo e lo posò sul
tavolino con uno sbadiglio.
“Sei stanca?
“Un pochino.”
Georg lanciò uno sguardo
al letto matrimoniale nella stanza accanto: le lenzuola erano pulite,
ed Emily avrebbe potuto tranquillamente dormire mentre lui si godeva un
po’ di tv.
“Vuoi dormire?”
“Vieni anche tu?”
Controllando l’orologio digitale del lettore DVD, lui si rese conto che non era tardi come aveva creduto:
mezzanotte e trenta in punto.
“È presto per
me,” rispose. “Ma non ti preoccupare, io resto qui.
Se vuoi lasciamo la porta aperta, se la luce non ti da
fastidio.”
Emily scosse il capo.
“Ho paura del
buio,” disse, stringendosi Wilhelm al petto. “La
mamma mi lascia sempre una lucina accesa.”
“Ma non devi avere paura
del buio,” le disse Georg dolcemente, aiutandola a sederglisi
in grembo. “Il buio è bello, sai?”
Ma Emily fece una smorfia poco
convinta.
“Non ci credi?”
riprese lui. “Vogliamo fare una prova, io e te
insieme?”
“Mi fai vedere che il buio
è bello?” chiese Emily incuriosita. Georg
annuì con un sorriso.
“Ti va?”
“Solo se non mi lasci
sola.”
Georg afferrò il piccolo
telecomando che regolava le luci della suite e le spense tutte.
L’unica fonte luminosa che rimase era la piccola candela
profumata sul tavolino lì davanti, che lui aveva acceso
per coprire un po’ l’odore del fumo.
“Promesso.” La
rassicurò, e lei gli si strinse un po’
più saldamente al petto.
Avvolse Emily tra le
proprie braccia e la portò alla grande finestra, oltre la
quale Parigi brillava affacciata sulla Senna scintillante, e non molto
lontano, costellata di migliaia di piccole luci, la Tour Eiffel
dominava quella vista spettacolare.
“Questo buio è
bello,” commentò Emily, appoggiandosi al vetro e
guardando in giù. “Però non
è proprio buio buio.”
“Certo che no,”
rispose Georg. “Basta pochissima luce per far sparire il
buio, è facile, ma è difficilissimo che ci sia
abbastanza buio da far sparire tutta la luce.”
Emily osservò il panorama
cogitabonda, gli occhi che saettavano avidi qua e là.
“Quindi anche se io spengo
la mia lucina, fuori non è mai buio buio.”
“Esatto.”
Restarono ad ammirare il panorama per un
po', e Georg sapeva che, in quel silenzio, Emily stava assorbendo il
concetto di 'buio non buio', poi, tenendola sempre in braccio,
tornò a sedersi sul divano.
“La mamma di solito ti
legge una storia, prima di andare a dormire?” le
domandò, improvvisamente colto dal dubbio. Non era un gran
raccontatore di storie, e il suo repertorio di favole per bambini si
fermava miseramente al lupo che mangia Cappuccetto Rosso.
“Mi canta una
ninnananna.” Rispose Emily, mentre lasciava che la sua testa
si adagiasse lentamente sul petto di Georg.
Grandioso,
pensò lui. Una ninnananna… E chi ne sa
mezza?
Si stava
già dando dell'incapace per non essere in grado di cantare
nemmeno una banalissima ninnananna, quando, improvvisamente, gli venne
un’idea.
“Scommetto che nessuno ti
ha mai cantato una ninnananna con una chitarra.” Disse
compiaciuto. Emily lo guardò con tanto d’occhi.
“No, mai.”
Georg si alzò e
recuperò la propria chitarra acustica all’interno
dell’armadio, poi tornò da Emily e
lasciò che lei gli si accomodasse nuovamente in braccio.
“La conosci Little By
Little degli Oasis?”
“Sì,”
disse lei con entusiasmo. “Mi piace tanto, la mamma la
ascolta sempre.”
Assurdo, ha una cultura musicale che potrebbe far impallidire perfino Gustav.
Georg posò la chitarra
sulle gambe di una eccitatissima Emily e, da dietro di lei, la
imbracciò.
“Allora,”
annunciò. “Stasera sarà la tua
ninnananna speciale.”
***
Nicole si stava davvero godendo
l’uscita. Al di là del fatto che di serate di
svago vere e proprie non ne vedeva da almeno un paio d’anni,
il concetto in sé di trovarsi in una discoteca –
per di più appartenente a sua sorella – in compagnia dei Tokio Hotel era
pericolosamente prossimo ai confini dell’inimmaginabile.
Mai, nemmeno nelle sue più
fervide fantasie ad occhi aperti, si era spinta tanto lontano, ed ora
se ne stava seduta ad un tavolo con ben tre dei suoi più
grandi idoli di tutti i tempi, e loro si comportavano come se la cosa
non avesse alcunché di straordinario.
Nicole si era divertita, in macchina,
a vederli camuffarsi: Gustav si era semplicemente infilato un
cappellino, Tom aveva nascosto i suoi rasta dentro il cappuccio della
felpa, e Bill, la chioma domata in una coda, si era tolto ogni traccia
di trucco ed annodato una bandana rossa sulla testa.
Per la verità, Nicole
riteneva che fossero perfettamente riconoscibili, ma la clientela del
Random era tendenzialmente elitaria, e quindi, anche se non erano
nell’area vip, c’era comunque un certo livello di
discrezione – favorita anche dalla semioscurità
che vigeva all'interno del locale – se non si contavano certi
sguardi invadenti da parte di chi si ritrovava a passare accanto al loro soppalco
riservato.
“Martini?” La
cameriera era arrivata con le loro ordinazioni.
“Mio.” Disse
Gustav.
“Mojito?”
Tom sollevò appena la mano
e la donna gli porse il cocktail, poi afferrò gli ultimi due
che erano rimasti sul vassoio.
“E a voi i due
Baileys.” Disse a Bill e Nicole, porgendolo loro i due
bicchieri. “Buona serata.”
“Devi fare i complimenti a
tua sorella da parte mia,” disse Gustav, guardandosi intorno.
“Ha davvero buon gusto con gli arredamenti.”
A Nicole per poco non andò
di traverso il suo drink. Si era completamente scordata della sorella.
Non appena aveva sentito che non solo
i Tokio Hotel erano stati in ben due delle sue discoteche, ma che
addirittura ci sarebbero tornati quella sera, Brenda era stata presa da
una delle sue crisi isteriche e si era lagnata per ore
dell’importantissima cena di lavoro che la aspettava e che
l’avrebbe tenuta lontana dal club almeno fino
all’una.
“Non ti azzardare
a permettere a uno solo di loro di andarsene prima che io mi faccia
viva,” aveva gracchiato, isterica. “Parola
mia, sorella, se quando io arrivo i quattro angeli
dell’Apocalisse non sono lì ad aspettarmi, tu non
avrai più pace per il resto della vita!”
“Allora,”
esclamò Tom, una volta tracannato il suo cocktail in un
fiato ed aver rumorosamente piantato il bicchiere sul tavolo.
“Credo sia giunto il momento che tu ti diverta veramente,
Nicole, quindi mi sento in dovere di onorarti con un invito a
ballare.”
Nicole deglutì agitata.
Riesco a stento a reggermi
in piedi, come diavolo si aspetta che io possa ballare?
Ma prima che lei potesse anche solo
pensare a che cosa rispondere, Bill si alzò in piedi e le
afferrò una mano, trascinando in piedi anche lei.
“Niente da fare,
fratellino,” disse a Tom. “Nicole adesso balla con
me.”
“Aspetta un attimo, che
storia è questa?” si oppose Tom, e
l’altro
rispose con un sorrisetto saputo.
“Il primo ballo
l’ha promesso a me.”
“Ma dove?”
sbottò Tom, irritato.
“In macchina.”
Tom afferrò la mano libera
di Nicole e la tirò dalla sua
parte.
“Ti faccio presente che in
macchina c’ero anch’io, e non
ricordo di averla vista apporre firme su contratti
vincolanti!”
“Va bene,”
asserì Bill alla fine, e Tom allentò la presa su
Nicole. “Vorrà dire che ballerà con me
perché sono più bello.” E con un rapido
scatto, senza dare al fratello il tempo di reagire –
né a Nicole quello di
rendersi conto della situazione – trottò
giù dai pochi gradini che separavano il soppalco dal resto
del locale, portandosi
dietro una disorientatissima Nicole, la cui testa girava come un
trottola
impazzita.
Tutto questo non sta
succedendo, si disse, seguendo Bill come in un sogno. Non
sta affatto succedendo…
Ma poi Bill, nel bel mezzo della
pista, la cinse in vita e si mise a ballare sulle note leggere e
sensuali di Sly dei Massive Attack, e Nicole percepì
nettamente il contatto del proprio bacino contro il suo, e a quel punto
divenne atrocemente palese che tutto ciò che stava vivendo
in quel momento stava succedendo.
Con un mezzo sorriso, Bill
guidò le sue mani ad allacciarsi dietro il proprio collo, e,
arrossendo, Nicole avvertì la fragranza lieve del suo
profumo, che la inebriò come il Baileys che aveva lasciato
al tavolo non era riuscito a fare, ed il resto del mondo scomparve,
lasciando solo loro due e il sottofondo della canzone.
Vi prego, non svegliatemi.
--------------------------------------------------
Note: Non so più da dove cominciare con i ringraziamenti, sul serio, perché siete tutti così gentili che le umane parole non bastano per esprimervi la mia riconoscenza. DANKE dal più profondo del cuore a susisango, Muny_4Ever, ..GiNgi..GuToBiNa.., nihal_chan, FrancescaKaulitz, _PuCiA_, dark_irina, lilistar, CowgirlSara, Clodie, kit2007, picchia, kag92, LiSa90, shine_angel, ruka88, _martuccia_, loryherm, eddy, Zickie, Camuz e Bell_Lua. Particolare attenzione vorrei dare a MissZombie e LadyVibeke, che mi hanno onorata con due recensioni che in tutta onestà mi sarò riletta centinaia e centinaia di volte, perché è tutto ciò che una scrittrice appassionata come me sogna di sentirsi dire. Grazie, ragazze, sono immensamente lusingata e lieta che il mio lavoro sia così apprezzato.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Le cose cominciano a farsi interessanti, si direbbe, eh? ^^ Mi raccomando, continuate a recensire, per me è davvero importante.
Tschüss, e alla prossima! ;) |
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Capitolo 6 *** A Modest Proposal ***
Più Tom guardava Bill e
Nicole, meno capiva cosa stesse
succedendo veramente.
Bill che accettava di ballare con una
ragazza era un evento
sensazionale (anche perché, detto con tutto
l’affetto possibile, Bill non era
esattamente portato per il ballo da discoteca), Bill che proponeva
ad una ragazza di ballare era qualcosa che Tom non aveva
mai visto e mai avrebbe creduto di vedere, ma Bill che addirittura insisteva per poter ballare con una
ragazza… Be’, quello era qualcosa che proprio non
era possibile concepire.
Eppure
è lì, con lei,
davanti ai miei occhi.
Qualcosa non tornava.
Tom conosceva bene se stesso, e
dunque conosceva bene anche
Bill, e aveva fermamente creduto che le attenzioni che suo fratello
aveva
finora rivolto a Nicole fossero del tutto disinteressate ed amichevoli,
ma ora
un principio di dubbio gli si stava insinuando nella testa. Insomma,
lui aveva
voluto portare Nicole da qualche parte per i soliti tre motivi basilari
per i
quali degnava di attenzione una ragazza: era bella, era bella, era bella; ma
Bill… Bill in
genere parlava alle ragazze con la beata ingenuità di un
minorato cerebrale,
come se quelle che gli capitavano davanti non fossero dei bei
bocconcini
appetitosi in sua adorazione, ma ordinari esseri asessuati che lo
trovavano
semplicemente simpatico.
Detto in altre parole, Bill non aveva
mai fatto nulla di
concreto ed esplicito per smentire tutte quelle ridicole voci sulla sua
presunta ambiguità sessuale.
Che siano
queste le
sue vere intenzioni?, si domandò Tom, sospettoso. Siamo gente famosa in un locale famoso…
Magari c’è sempre qualche
giornalista scandalistico infiltrato, e…
Ma, no, non aveva il minimo senso.
Bill era una mente troppo
elementare per arrivare ad architettare certe manovre machiavelliche, e
per di
più nemmeno gli importava dei pettegolezzi.
L’unica
possibilità rimanente era, se possibile, la più
eclatante.
Che si sia
finalmente
messo fare il vero uomo e a pensare con quello che ha in mezzo alle
gambe?
***
Nicole fissava la spalla destra di
Bill, stretta a lui in un
lento micidiale per i pochi neuroni di cui ancora disponeva, incapace
di
spostare lo sguardo altrove, per timore che le proprie ginocchia
potessero
cedere definitivamente e farle fare una figura ben poco lusinghiera
davanti
all’idolo per eccellenza.
Seguiva come sotto una strana ipnosi
il ritmo voluttuoso
della canzone, ascoltandone le parole con una sorta di udito
secondario, mentre
quello primario era fin troppo impegnato a seguire i battiti irregolari
del suo
cuore e i respiri tranquilli di Bill.
Solamente poco più di
ventiquattr’ore prima era stata ad
ammirarli in un’arena assieme ad altre migliaia di persone, e
ora era lì,
assieme a loro, come se la cosa fosse del tutto normale, come se fosse
una di
loro da sempre, ed ancora persisteva la sensazione che da un momento
all’altro
la sveglia sarebbe suonata e tutto sarebbe svanito nel nulla
Sto ballando
con Bill
Kaulitz, si ripeteva, sempre più incredula. Io, Nicole Sandberg, sto ballando con Bill Kaulitz.
Le mani di Bill le sfioravano i
fianchi e la schiena, quasi
fosse importante averla così vicina, e lei si sentiva i suoi
occhi puntati
addosso, ma non osava contraccambiare, ed anche se la voce del
buonsenso non
faceva che ripeterle che era, dopotutto, solo un semplice ballo, e non
significava proprio un bel niente, e che, in ogni caso, era inutile e,
anzi,
perfino dannoso ricamarci sopra, il suo lato sognatore e romantico
– quello che
era stato forzatamente represso così a lungo –
offuscava tutte queste sagge
riflessioni ricordandole che quello che stava vivendo non era
normalmente
concesso alle comuni mortali come lei.
“Ti stai
divertendo?” le domandò la voce gentile di Bill.
Un
brivido corse lungo la spina dorsale di Nicole mentre lei si imponeva
di
riuscire a guardarlo in faccia almeno per un momento.
“Sì,”
rispose, prima ancora di riflettere, incontrando il
nocciola delle sue iridi. L’effetto fu un istantaneo senso di
smarrimento. “Era
parecchio che non mi godevo una serata come questa, e che non uscivo
con un
ragazzo.”
Il semplice pensiero le fece
stringere il cuore. Era uscita
con qualcuno, di tanto in tanto, ma alla fine la reazione era sempre la
stessa:
non appena venivano a sapere di Emily, si dileguavano tutti come topi
in
presenza di un gatto affamato.
“Be’, sei
particolarmente fortunata, stasera,” disse lui.
“Ben
tre ragazzi a tua completa disposizione.”
Nicole si sentì
un’improvvisa arsura in bocca. Avrebbe
voluto che qualcuna delle sue vecchie compagne di liceo fosse stata
lì a
guardarla, giusto per ripagarle un po’ di tutta la solidarietà che le avevano
dimostrato alla nascita di Emily.
“Siete pazzi, tra
parentesi. Sprecare così la vostra serata
libera…”
“Sprecare?” Bill
sembrava genuinamente stupito. “Ma tu hai
dea di quanto siano noiose di solito le nostre serate, libere e
non?”
“Accidenti, se siete
così repressi e disperati, dovrei farvi
da consulente più spesso.” Scherzò lei,
ma Bill si fece serio.
“Fallo.”
Nicole batté le ciglia
perplessa.
“Che cosa?”
“Diventa il nostro nuovo
tecnico delle luci.”
Nicole era convinta, con una certa
percentuale di sicurezza,
di aver compreso male.
Che razza di
scherzo
di cattivo gusto è questo?
Eppure, da come Bill aveva parlato,
non sembrava una cosa
buttata lì per caso, non sembrava uno scherzo. Non lo sembrava affatto.
“Non è
divertente.” Disse bruscamente, divincolandosi da lui,
ma Bill la afferrò per un polso e la trattenne, lo sguardo
stranito.
“No, sul serio,”
ribadì con più fermezza. “Non hai un
lavoro, no? Sarebbe perfetto: dovresti solo assicurarti che qualche
riflettore
sia posizionato bene e poi avresti un sacco di tempo libero da dedicare
ad Emily.
E saresti pagata.”
Nicole avrebbe preferito non sentire.
La inquietava anche solamente
pensare ad una simile eventualità. Lavorare per i Tokio
Hotel era qualcosa per
cui milioni di ragazze avrebbero volentieri dato uno o più
organi vitali, e la
sua occasione era lì, proposta da Bill Kaulitz in persona,
vantaggiosa ed
invitante, e terribilmente spaventosa.
“Andiamo,”
proseguì lui. “Tu ci piaci, ci piace tua figlia,
e sei sicuramente più brava di quella sottospecie di ameba
cerebrolesa che
abbiamo assunto il mese scorso.” Le sorrise. “Non
ti piacerebbe?”
Non capisci… Tu
non puoi capire, non sai cosa significa…
Ma più Nicole faceva
appello alla propria ragione, più
questa veniva eclissata da una crescente, incontrollabile euforia
istintiva. Ma
non poteva cedere all'incontrollabilità delle emozioni: per il bene proprio e di
Emily,
aveva da tempo imparato a tenere i piedi ben saldi a terra e lasciare
le nuvole
a coloro che potevano permetterselo.
“Non lo so,
Bill,” mormorò, spostandosi al bordo della pista.
“L’idea mi alletta, ma… Ho cercato per
quattro anni di tenere separati realtà e
fantasie, e già essere qui con voi – con
te – adesso, sconfina fin troppo nella parte
proibita. Sarebbe troppo.”
Bill appoggiò la schiena
al muro con fare disinvolto.
“Allora perché
non – che so – non fai un periodo di
prova?”
suggerì con una scrollata di spalle. “Una
settimana, giusto per conoscere i
nostri ritmi, vedere come funziona…” le rivolse
un’occhiatina esitante. “Ad
Emily piacerebbe.”
Nicole sospirò, frustrata.
Sì,
anche a me
piacerebbe, e non immagini quanto.
Al posto suo, qualunque altra avrebbe
urlato un ‘Sì’
istantaneo e si sarebbe messa fare salti di gioia da oro olimpico, ma
lei non
era qualunque altra, lei era Nicole, e non poteva prendere una
decisione come
quella alla semplice luce dei propri desideri. No, quella era
una cosa
a cui aveva dovuto rinunciare da un pezzo.
Persa in mille considerazioni, decise
di prendere tempo.
“A David hai parlato di
questa tua idea?”
“No,” rispose
Bill. “Ma a giudicare dal suo entusiasmo verso
il tuo operato, direi che in questo momento sarà da qualche
parte ad erigerti
un monumento,” Una breve risata, che a Nicole
ricordò molto quelle di Emily.
“So che sarà d’accordo.”
E la guardava… La guardava con quello scintillio
vivace negli occhi, e
Nicole, per quanto ci provasse, non riusciva a seguire un filo logico
di
pensiero.
“Ci penserò
sopra.” Esalò infine.
“Esiste qualche efficace
metodo di corruzione?” indagò lui, sollevando
un sopracciglio.
“Un Bloody Mary, per
cominciare,” rispose lei. “Poi ti farò
sapere.”
“E io che ti credevo
diversa dalle altre…” fece Bill,
schioccando la lingua con disappunto.
“Prego?”
“Ho capito il tuo gioco:
vuoi farmi ubriacare per
approfittarti di me,” L’ombra di un sogghigno gli
incurvò le labbra, rendendolo
più simile che mai a Tom. “Ma guarda che non
serve.”
La mandibola di Nicole cedette e la
lasciò a bocca aperta,
colta alla sprovvista davanti a quella battuta un po’ troppo
audace.
Se non lo
conoscessi,
penserei che ci sta provando con me, pensò,
allibita. Ma in effetti io non lo
conosco…
Il modo di porsi di Bill era sempre
molto spigliato ed
amichevole, quasi infantile, ma in quel momento, vestito di nero da
capo a
piedi sotto alle luci violacee del Random, sembrava più
adulto e maturo che
mai. Un uomo, con tutto ciò che la cosa implicava, a tutti
gli effetti.
Un gran
bell’esemplare
di uomo, per giunta, anche se decisamente atipico.
“Tempo scaduto,
fratellino.” Tom era spuntato dal nulla
assieme a Gustav ed aveva posto un braccio attorno alle spalle di
Nicole. “Adesso
lascia che mostri alla nostra ospite cosa significa divertirsi sul
serio.”
Sulla pelle nuda di Nicole, i muscoli
di Tom erano
perfettamente sensibili, anche attraverso la maglietta. Aveva una
struttura
fisica più mascolina di Bill, più massiccia,
anche se a vedersi sembravano
identici, ma Tom era – in accordo con i gossip e le dicerie
– decisamente più
virile del fratello.
Certo, in
confronto a
Georg, non è niente…
Già, Georg…
Mentre Tom la riportava in pista,
lasciando Bill e Gustav a
guardare, Nicole si domandò come se la stesse cavando il
membro mancante con
Emily.
“Sei molto più
sciolta di quel che sembravi con Bill,” commentò
Tom, risollevando in fretta lo sguardo dalla sua scollatura, ma senza
imbarazzo. “Ritiro tutte le osservazioni che ho fatto alle
tue spalle sulla tua
goffaggine: non sei tu, è mio fratello che ti
inibisce.”
Una serie di battute sulla
disinibizione attraversò la mente
di Nicole, ma lei ritenne che non fosse il caso di esternarle e dare a
Tom
l’impressione – forse nemmeno del tutto sbagliata
– che lei volesse flirtare.
Capisco
perché ti
chiamano Sex Gott, gli disse mentalmente, mentre lui le
sfiorava le braccia
e le spalle. Ce l’hai scritto in
faccia
che sei un pervertito, ma sai giocare questo ruolo con un certo stile.
Stranamente, ballare con Tom dava una
sensazione diversa. Si
sentiva davvero più sciolta, più libera di essere
se stessa e lasciarsi andare,
libera di divertirsi senza pensare ad altro se non al divertimento
stesso – e
al piacere – che la cosa le procurava.
Le tornarono in mente le parole di
una canzone che amava, e
che sembrava scritta apposta per accompagnare i suoi pensieri in quel
momento.
Vorrei che
questa
notte durasse una vita…
***
Erano le sette inoltrate del mattino
quando Nicole, Bill,
Tom e Gustav uscirono dall’ascensore che conduceva al quarto
piano dell’hotel.
Tutti e quattro ridevano, e tutti e quattro cercavano, pur non
riuscendoci, di
non fare rumore.
Reduce da quella che era stata la
serata più bella dacché
avesse memoria, Nicole si guardava intorno pensando che non avrebbe mai
più
avuto la faccia tosta di lamentarsi dell’ingiustizia della
vita: dopo tutto
quello che aveva passato, finalmente un po’ di bene le stata
finalmente
tornando indietro. Fra l’altro, ciliegina sulla torta, Brenda
non era riuscita
a liberarsi dalla cena di lavoro, alla fine, risparmiandole
così delle
imbarazzanti presentazioni e patetiche scenate da ragazzina invasata.
Sei grande,
karma.
Ovviamente, se fosse andata in giro a
raccontare che aveva
ballato e chiacchierato per tutta la notte con tre quarti del gruppo
più acclamato
del momento, nessuno le avrebbe
creduto, ma si accontentava del bellissimo ricordo che
quell’esperienza le
avrebbe lasciato, e dentro di sé gioiva del semplice fatto
che aveva appena
avuto modo di avere un assaggio di qualcosa che la maggior parte delle
sue
coetanee poteva soltanto sognare.
E dì grazie,
Nicole.
Arrivati davanti alla stanza
cinquecentoventisette – la
stanza di Georg – Gustav si mise a frugare nelle proprie
tasche e in pochi
secondi ne estrasse quattro schede magnetiche.
“Tengo io una copia delle
chiavi di tutti,” spiegò, cercando
quella giusta. “Questi tre incapaci dimenticano le loro ogni
due per tre.”
Nicole soffocò una risata
con una mano, mentre guardava
Gustav inserire la scheda all’interno della fessura sopra la
maniglia per poi
estrarla con delicatezza. La porta si aprì.
Entrarono uno dopo l’altro,
cercando di essere il più
silenziosi possibile, e si fermarono all’ingresso.
“Hey, guardate
là!” sussurrò Bill, indicando il lato
opposto
della stanza.
“Oh, ma
guardateli…” sospirò Tom, enfatizzando
il tono melenso.
Georg ed Emily erano addormentati sul
divano, l’una in
braccio all’altro, e una chitarra giaceva ai loro piedi.
Avevano entrambi
un’espressione serena, ed ispiravano un senso di pace diffuso.
“Non saprei dire chi dei
due sia il più tenero.” Disse
Gustav sottovoce.
“Io vado a farmi una
sigaretta, prima di lasciarmi andare
alla commozione.” Disse Tom, ridacchiando, ed uscì
dalla stanza. Bill lo seguì.
“Te ne avanza una,
Tomi?” lo sentì chiedere Nicole, mentre
si allontanava.
“Fottiti,
scroccone!” rispose la voce distante di Tom.
“A questo punto ne
approfitto anch’io,” disse Gustav. “Ti
lascio sola con i due pargoli, se non ti spiace.” Aggiunse,
lanciando
un’occhiata divertita verso Georg, poi se ne andò.
Nicole si avvicinò
lentamente al divano, sorridendo
deliziata di fronte a quella scena così peculiare.
Si rese conto con piacere, ed anche
un certo sollievo, di
aver mal giudicato le capacità di Georg, forse per via della
sua aria da bel
tenebroso, o forse, semplicemente, perché era stata troppo
impegnata ad
ammirare la bravura che dimostrava Bill nel sapersi rapportare con
Emily per
poter notare che qualcun altro ne disponesse.
Si sedette con attenzione sul divano
e fece per svegliare
Georg, ma, per qualche oscuro motivo, non ci riuscì. Lui ed
Emily erano un
quadro perfetto, che Nicole si sorprese a rimirare quasi con rammarico,
una
fitta di nostalgia ingiustificabile.
Mi dispiace
che tu non
abbia potuto avere tutto questo, si rammaricò, studiando la posa
pacifica di
Emily. Mi dispiace tanto…
Cercò di scacciare quel
pensiero dalla mente non appena
sentì gli angoli degli occhi che cominciavano a bruciarle.
Inspirò
profondamente e si morse il labbro, riacquisendo il pieno controllo
emotivo. Accanto
a lei, Georg si mosse nel sonno.
Grazie di
avermi
permesso di godermi questa notte. Nicole sperava che lui
potesse recepire i
messaggi telepatici. E grazie per esserti
preso cura di lei.
Quando il suo sguardo
tornò a posarsi sul volto di Georg,
Nicole si ritrovò a fissare un paio di iridi di una fin
troppo familiare
tonalità di verde: i suoi occhi, notò per la
prima volta, erano dell’esatto
colore di quelli di Emily.
Perché
non ci ho mai
fatto caso, prima? È anche piuttosto lampante…
“Scusa,”
mormorò in un soffio. “Non volevo
svegliarti.”
“Non importa,”
rispose lui, la voce impastata dal sonno. Si
tirò su dallo schienale, ben attento a non svegliare Emily,
e socchiuse gli
occhi per via della luce che entrava ormai a fiotti dalle finestre.
“Che ore
sono?”
“Le sette
passate.”
Georg parve piuttosto sorpreso.
“Ve la siete proprio goduta
fino in fondo, eh?” osservò
malizioso. “Chissà che avete fatto, voi quattro,
sguinzagliati per Parigi…
Soprattutto conoscendo Tom…”
Nicole gli diede un colpetto
scherzoso sul braccio con il
dorso della mano.
“Non ti permetto di fare
insinuazioni,” si difese. “Tu,
piuttosto, come te la sei cavata?”
Non sapeva spiegarsi il
perché, ma la costante tensione che
l’aveva attanagliata per tutta la notte, improvvisamente, era
sparita,
lasciando posto ad una gradevole sensazione di rilassatezza.
“Benone, direi.”
Rispose Georg senza il minimo indugio.
Si era aspettata ogni genere di
risposta, ed era più che
certa di aver previsto ogni sorta di reazione, ma fu con una strana
sensazione
di vuoto allo stomaco che guardò Georg posare dolcemente
Emily sul divano,
afferrare la propria giacca dalla poltrona lì accanto e
coprirla.
Un gesto semplice, naturale, a cui
molti nemmeno avrebbero
fatto caso, ma che sottolineò per Nicole tutto quello che le
mancava, e che
avrebbe tanto voluto avere. Un vuoto da riempire.
Perché aveva passato anni
ad immaginare di avere accanto a
sé un ragazzo che giocasse con Emily come faceva Bill, che
le accarezzasse i
capelli come stava facendo Georg adesso, e faceva insopportabilmente
male
sapere che sarebbe sempre e solo rimasta mera immaginazione.
“Va tutto bene?”
le domandò Georg, scrutandola preoccupato.
Nicole si riscosse dai propri
pensieri e si affrettò ad
annuire con tutta la convinzione che le riuscì.
“Sì,
è che non sono abituata a questi orari sballati.”
Non si era ancora vista allo
specchio, ma a giudicare da
come le bruciavano gli occhi, doveva avere delle occhiaie spaventose, e
probabilmente anche il solito colorito cadaverico di quando faceva le
ore
piccole.
“Ti posso offrire un
caffè?” le propose, avvicinandosi
all’angolo bar del salottino.
Nicole si passò una mano
sul viso, sorridendo suo malgrado.
“Faccio così
pena?”
“Non
particolarmente,” assicurò lui, digitando qualche
cosa
sulla macchinetta del caffè. “Ma non sprizzi
proprio energia e vitalità da
tutti i pori, diciamo.”
Lei accettò.
“Sei stato gentile a badare
ad Emily.”
“È stato un
piacere, non ti preoccupare. È un amore.”
La macchinetta del caffè
emise un acuto bip prolungato.
Georg prese il bicchierino e lo porse a Nicole, la quale lo accolse con
enorme
sollievo.
“Quindi non mi farai causa
per averti lasciato in balia della mia
piccola mina vagante?”
Il modo eloquente in cui Georg
sorrise ed inarcò il
sopracciglio fece saltare un battito al cuore di Nicole. Per un attimo
– un
brevissimo, fugacissimo attimo – il filo della conversazione
divenne una
matassa annebbiata dimenticata in un angolo della sua mente.
Fin da quando aveva conosciuto i
Tokio Hotel, era sempre
stata così presa da Bill, che non si era mai accorta
dell’inaspettata simpatia
di Gustav, della sfacciata socievolezza di Tom, e, ora, anche del
silenzioso
fascino di Georg.
Cos’altro
non mi sono
mai presa la briga di sapere su di loro? Quanti altri loro lati
nascosti mi
perderei, se la storia finisse qui?
Il paradosso della risposta la
turbò più di quanto fosse
disposta ad ammettere.
“Lo sai,” disse
Georg, sorseggiando il suo caffè. “Credo che
lascerete un certo vuoto, tu ed Emily. Vi conosciamo da poco
più di un giorno,
ma a quanto vedo vi siete ambientate abbastanza bene.”
Il tempo sta
per scadere,
e io non so veramente cosa sto lasciando andare…
“Magari vi passiamo a
trovare a Lipsia, una volta finito il
tour…”
Solo metà del cervello di
Nicole ascoltava le parole di
Georg; l’altra metà era impegnata in complicate
riflessioni che si battevano
con desideri istintivi ed emozioni non del tutto comprese o
identificate per
avere il sopravvento.
E il ricordo di quello che aveva
detto Bill si faceva
prepotentemente strada in tutto quell’intrico frastornante,
una subdola, irresistibile
tentazione che diventava più forte di lei di secondo in
secondo, corrompendo un
già di per sé debole buonsenso.
“Non
ti piacerebbe?”
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Note: Un milione di grazie a tutti voi che avete letto e commentato, soprattutto a RubyChubb (anche se ancora non ha commentato ^^), Hermyone e loryherm, che addirittura mi hanno scritto delle bellissime email con dei complimenti in seguito ai quali, sappiatelo, mi sono montata la testa. Inoltre, mi trovo a dovermi inchinare davanti alle recensioni particolarmente lusinghiere lasciate da Bell_Lua, Gufo, Lady Vibeke (mi inQUino, maestra), ..GiNgi..GuToBiNa.., susisango, MissZombie e billakaulitz85, ma anche a quelle un po' più succinte ma ugualmente lusinghiere di Camuz, dark_irina, Muny_4Ever, LiSa90, shine_angel, kag90, Clodie, billie94, _PuCiA_, Hizu e Chiara88. VIEL DANKE, LEUTE! Vi prego, continuate ad essere così supportivi, non smetterò mai di ripeterlo, perché è fondamentale. ;)
Un bacio, e a presto! |
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Capitolo 7 *** Jump In The Dark ***
“Tu che
cosa?”
Lo strillo di Brenda, Nicole ne era
sicura, era stato
sentito fino a quindici piani più sotto, e probabilmente
anche nella
metropolitana. Non che non avesse previsto la cosa, ma la portata delle
reazioni di Brenda era variabile e del tutto imprevedibile, e stavolta
doveva
addirittura aver passato la normale soglia massima.
“È solo una
settimana, Bree,” ribatté Nicole, mentre lei se
ne andava avanti e indietro per tutta la cucina, alle prese con la
preparazione
di un’improbabile sformato di verdure. “Non ti
preoccupare.”
Brenda sbatté
l’anta del frigo e si portò una ciocca di
capelli dietro l’orecchio con una certa stizza.
“Preoccuparmi?”
berciò, quasi ansimando. “E chi si
preoccupa?” Mollò la bottiglia di vino bianco sul
bancone e si piantò le mani
sui fianchi. “Io non sono preoccupata, sono disgustata
da questa tua lurida, vergognosa, sfacciatissima fortuna,
e sconvolta dal fatto che tu abbia addirittura dovuto rifletterci
sopra!”
Nicole era indecisa se ridere o darsi
per spacciata. Brenda
era a dir poco ridicola con i suoi vestiti firmati e
quell’orrido grembiulino
rosa, tutto pizzi e trine, e sicuramente la cucina non era il suo
ambiente, ma
la cuoca era in malattia, e Gabriel sarebbe stato ospite a pranzo,
quindi si
era deciso di tentare. E fallire, a quanto pareva.
Forse Nicole avrebbe dovuto scegliere
un momento meno
caotico per informarla del fatto che avrebbe fatto da tecnico delle
luci per i
Tokio Hotel per la settimana successiva. Forse avrebbe dovuto limitarsi
a
raccontare della serata al Random, o magari svicolare anche quella.
“Non sei degna
dell’onore che ti è stato concesso,
sorellina,” stava farneticando Brenda, cercando di capire
come si usasse il
forno. “Ma proprio per niente! È proprio vero che
chi ha il pane non ha i
denti.”
Nicole la scrutò a braccia
conserte.
“Hai finito?”
“No, aspetta, mi manca il
sospiro frustrato finale e la
parte in cui mi sparo in bocca con una nove millimetri.”
Nicole volse gli occhi al cielo e,
mossa a pietà dalla
completa incompetenza di Brenda, accese il forno, poi si
palò davanti a lei con
tutta la determinazione possibile.
“Ti spiacerebbe far finta
di essere una matura sorella
maggiore, solo per un momento, e lasciarmi spiegare?”
Brenda emise un sospiro un
po’ troppo simile ad un ringhio,
ma la assecondò.
“Sono tutta orecchie, anche
se il mio stato di indignata
alterazione permane,” le puntò un dito sporco di
farina contro. “E ti avverto
che non se ne andrà tanto presto.”
E Nicole raccontò del
discorso che le aveva fatto Bill, e di
quanto a Emily fosse piaciuto trascorrere qualche ora con Georg.
“Avrò bisogno di
un lavoro, prima o poi,” aggiunse alla
fine. “Insomma, è… È
un’esperienza formativa giusto? Mi sarà
utile.”
Brenda sbuffò.
“Utile, ma
certo,” Sarcasmo, ironia, e quant’altro potesse
esprimere scetticismo emanava dalla sua voce. Estrasse un pacchetto si
sigarette dalla tasca del grembiule, ne estrasse una e se la accese sul
fornello. Si tranquillizzò dopo la prima boccata,
massaggiandosi la fronte con
la mano. “D’accordo, si tratta della tua vita,
delle tue decisioni, e ti reputo
abbastanza matura da cavartela da sola.”
Nicole le sorrise, piena di
gratitudine. Brenda poteva anche
essere una pazza isterica, a volte, ma sapeva il fatto suo: nonostante
la
scenata in merito a fortuna e simili, era chiaramente consapevole dell'importanza
della situazione.
“Solo, non ti affezionare
troppo a loro, Nicky,” aggiunse,
con una serietà che raramente Nicole le aveva visto usare.
“Lo so che non sei
un’ingenua, ma la storia della fan e della rockstar
è solo una bella favola per
ragazzine.” Una pausa di enfasi, lunga quanto bastasse
perché Nicole potesse
avvertire un profondo senso di disagio. “Tu non sei Courtney,
e Bill non è Kurt,
quindi vedi di non perdere il contatto con la
realtà.”
Nicole era impietrita, anche se un
discorso simile se l’era
già fatto almeno un milione di volte, e comunque non aveva
mai creduto a quella
favola. La favola di Kurt Cobain e Courtney Love, della
celebrità e della
groupie. La favola senza lieto fine.
Tutt’al più
poteva credere alla favola di John Lennon e Yoko
Ono – la fine dei Beatles – ma era una brutta
favola a cui pensare, in quel
momento, e nemmeno quella aveva un lieto fine.
“Voglio solo conoscerli
meglio, Bree.” Fiatò, più verso se
stessa, che verso Brenda. “E se il lavoro dovesse piacermi,
non mi
dispiacerebbe che mi assumessero.”
Ma l’altra scuoteva la
testa, per niente persuasa.
“E cosa mi dici di
Emily?” incalzò. “Te la vuoi portare
dietro così, come un bagaglio qualsiasi?”
Non osare
darmi della
cattiva madre, non te lo permetto, pensò, punta
nel vivo.
“È stata lei ad
insistere perché accettassi.”
“E tu pensi che una bambina
di quattro anni sappia che cosa
è meglio per lei?”
“Non la sto portando al
macello, Bree!” gridò Nicole esasperata,
gli occhi che le bruciavano. “È solo una
stupidissima settimana in tour con dei
ragazzi che adora!”
Brenda sembrò quasi urtata
dal suo tono, ma, dopo un istante
di esitazione, le fece cenno di tacere.
“Abbassa la voce, Emily ti
sentirà.”
“Emily è in
camera ad ascoltare i suddetti ragazzi che
adora, e non sentirebbe nemmeno la terza guerra mondiale.”
Prese un paio di
profondi respiri, e proseguì con più calma.
“Ascolta, lo so che può sembrare
avventato, ma ci ho riflettuto non poco, e tentare non costa nulla,
no?”
“No, hai
ragione.” Concordò Brenda, abbassando lo sguardo.
Quando lo risollevò, sorrideva. “Va bene, dopo
pranzo, se mai ci sarà un pranzo,
ti darò una mano a fare i bagagli.”
Un enorme peso si dileguò
dalla coscienza di Nicole. per lei
era importante avere la piena approvazione della sorella.
“Grazie,” disse,
rincuorata.
“Poi magari, se a Gabe non
dispiace, vi accompagniamo in
aeroporto.”
Nicole rise: Brenda voleva a tutti i
costi incontrare i
ragazzi.
“Hey, che
cos’è questa puzza?”
Brenda trasalì come se
avesse preso la scossa e si chinò sul
forno, da cui usciva un sottile filo di fumo grigiastro.
“Cazzo!”
tirò fuori la teglia abbrustolita e la sbatté sul
bancone con un’imprecazione indispettita. Il pranzo era
andato, e Gabriel
sarebbe stato lì a minuti. “Nicole?”
rantolò, rassegnata.
“Sì?”
“Chiama il take-away,
dì che è un’emergenza.”
***
“Ricordatemi
perché siamo qui.” Borbottò Tom,
stravaccato in
una poltroncina dell’area di attesa dell’aeroporto
che era stata loro
riservata.
“Perché arrivare
a Vienna in pullman sarebbe giusto un
pelino complicato.” Replicò Bill acido,
praticamente sepolto da sciarpa,
cappellino e occhiali da sole oversize.
Gustav si preparò
psicologicamente allo scoppio
dell’ennesimo scontro tra Kaulitz. Un diverbio più
o meno acceso tra i gemelli
era ordinaria amministrazione, soprattutto quando c’era
un’imminente partenza.
Stress da viaggio, diceva David. In genere i due si scambiavano qualche
insulto, opportunamente intervallato da raffinati intercalari, fino a
che la
voglia di litigare scemava e Bill metteva su un broncio brevettato che
avrebbe
suscitato tenerezza anche in un pezzo di marmo, figurarsi nel suo amato
fratellone.
“Allora spiegami a cosa ci
serve il tourbus, se tanto
facciamo su e giù dagli aerei la metà del
tempo!” stava dicendo Tom, anche
lui nascosto dagli occhiali da sole. L’unico a non portarli,
in effetti, era
Gustav, che sedeva con Georg poco lontano da Bill, il quale stava
facendo il
verso al fratello.
“Per l’altra
metà del tempo, magari?”
Che qualcuno
li spenga,
pregò Gustav, coprendosi le orecchie.
“Che spreco di
soldi.” Brontolò Tom, dopo aver vuotato la
sua terza lattina di Red Bull.
“Disse il proprietario di
una Cadillac da centomila euro.” lo
schernì Bill.
“Novantamila.”
“Contavo anche i diecimila
della riparazione al danno che
hai fatto mentre la provavi.”
“Vaffanculo!”
“Non si dicono quelle
parole!” intervenne una vocetta
saccente che ormai tutti loro conoscevano bene.
“Emily!”
La piccola scrutava Tom
dall’ingresso della saletta, le
manine puntellate sui fianchi con fare contrariato. Accanto a lei
c’erano
Nicole ed una bella donna sulla trentina in tailleur rosso.
“Ciao,”
Salutò Nicole, facendosi avanti, sospinta da quella
che Gustav intuì dovesse essere sua sorella Brenda.
“Scusate il ritardo.”
Nel caos di bagagli e gente che si
alzava in piedi, Tom fu
il primo ad andare ad accoglierle.
“Non ti
preoccupare,” disse a Nicole con un gran sorriso,
poi passò in fretta a Brenda, analizzandola da capo a piedi
con un’espressione felina.
“E tu devi essere…”
“Brenda,”
completò la ragazza, stringendogli la mano con
aria professionale. “È un piacere
conoscervi!”
“Anche per me.”
ricambiò Tom, leccandosi le labbra. Gustav
gli diede una gomitata tra le costole mentre Brenda era impegnata a
conoscere
gli altri.
“Stai sbavando.”
Tom rise con tutta la malizia di cui
disponeva.
“Prova a darmi
torto.”
“Guarda che è
fidanzata.” Gli rammentò a bassa voce.
“Sì,”
fece Tom, sogghignando. “E allora?”
Gustav preferì ignorarlo.
***
Per Nicole la situazione,
più che concretizzarsi, andava
sempre più sul surreale: sua sorella che, finalmente,
riusciva ad incontrare i
ragazzi era un evento che poteva solo essere paragonato al papa che
incontra il
Dalai Lama. Fu divertente vederla praticamente arrivare
all’estasi mistica
mentre Bill la salutava entusiasta, e Nicole era certa di non
sbagliarsi
nell’affermare che lo avesse stretto per un paio di istanti
in più del
necessario. Ovviamente, visti i precedenti di Brenda, si era aspettata
qualcosa
di simile. Quello che non si era aspettata, invece, era
un’altra cosa.
Quando arrivò –
quasi distrattamente – a Georg, lo sguardo
di Brenda divenne improvvisamente sorpreso e si fermò,
restando in stand by per
diversi, imbarazzanti secondi. Alla fine, avvolto in uno strano
silenzio, fu
lui a farsi avanti e a porgerle la mano con un sorriso incerto.
Brenda assecondò il gesto
in modo del tutto assente, gli
occhi che non riuscivano a restare concentrati su quelli di lui, ma che
vagavano febbrilmente su ogni suo centimetro guardabile, quasi
assaggiandolo.
Nicole la vide indugiare dapprima sui capelli, raccolti in una coda
sfilacciata
che, impossibile negarlo, gli donava molto, poi giù, verso
il collo e le
spalle, scendendo per i pettorali ben risaltati dalla maglietta
bianca, poi
una rapida occhiata in basso, per ritornare infine in alto, sulle
labbra, il
tutto senza apparentemente inspirare o espirare una singola molecola di
ossigeno.
Una
radiografia alla
Sandberg con fiocchi e controfiocchi, pensò
Nicole, ridacchiando fra sé, e
anche piuttosto indiscreta.
Osservando la sua espressione
strabiliata, Nicole poteva
quasi sentire quello che stava pensando la sorella.
“Dio
santo, se il mio
macellaio vendesse carne di prima qualità come questa,
potrei diventare
carnivora.”
Effettivamente, Georg in fotografia o
sullo schermo poteva
fare una notevole figura, ma dal vivo aveva un impatto visivo che a
livelli
estetici avrebbe stroncato la più pura idea platonica di
Attraenza.
“Piacere di conoscerti,
finalmente.” Le disse Georg con una
stretta vigorosa. Brenda gli rivolse il suo classico sorriso da
predatrice.
“Il piacere è
tutto mio, credimi.”
Contrariamente a lei, Georg sembrava
un po’ a disagio.
Nicole era sicura che fosse più che abituato ad essere
squadrato in lungo e in
largo con la stessa espressione avida che gli stava ora riservando
Brenda, solo
che conosceva bene la propria sorella, e non era certo una
novità che
quel suo temperamento così esuberante riuscisse a mettere in
soggezione anche
il ragazzo più sicuro di sé.
Fu Saki ad andare, pur
involontariamente, in soccorso di
Georg.
“Credo sia ora di
andare,” Annunciò dispiaciuto. “Abbiamo
la
precedenza di imbarco, dobbiamo sbrigarci.”
“Temo di essere piuttosto
di corsa anch’io,” tubò Brenda,
più civettuola che mai. “Sorella,
nipote,” si volse verso Nicole ed Emily.
“Abbiate cura l’una dell’altra.”
Abbracciò prima Emily e le
diede un grosso bacio sulla
guancia, che lei le restituì tirando su con in naso, poi
passò a Nicole.
“Tu non fare nulla che io
non farei,” le bisbigliò in un
orecchio, stringendola a sé.
“Questo mi lascia
un’ampia gamma di cose da fare.” Osservò
Nicole, muovendo appena le labbra.
“In effetti è
meglio che tu non faccia nulla che io farei,”
si corresse Brenda, sciogliendo
lentamente l’abbraccio. “Soprattutto con
l’Adone dagli occhi verdi.” Aggiunse
poi. “Tieniti pure la pertica sexy, se vuoi, il sesso
ambulante lo voglio io.”
Certe volte era difficile credere che
Brenda fosse la
sorella maggiore e Nicole la minore, ma infondo quello
“Lo farò sapere
a Gabriel.”
Un’occhiata penetrante di
Brenda le fece capire che non
fosse affatto uno scherzo, ma poi Brenda sorrise, e Nicole avrebbe
giurato che
ci fosse della commozione nel suo tono insolitamente pacato.
“Sul serio,”
disse. “Tieni tutto sotto controllo,
d’accordo?”
Rassicurandola meglio che
poté, Nicole annuì.
“Farò il
possibile.”
Brenda sembrava restia ad andarsene,
ma alla fine dovette
cedere alle pressioni di Saki.
“È stato un
piacere, ragazzi,” salutò. “Buon tour, e
tenetemi d’occhio le mie bambine.” E
strizzò l’occhio. Tom fu il solo a
ricambiare il gesto, ma lei parve soddisfatta.
Guardandola andare via, uno strano
senso di nostalgia colse
Nicole. Era sempre stata il tipo da affezionarsi facilmente alle
persone, ma
c’era un posto tutto speciale per Brenda nel suo cuore, e il
pensiero che non
l’avrebbe rivista per almeno un paio di mesi era atterrente.
“Gnocca, tua
sorella.” Disse Tom, posandole una mano sulla
spalla. Forse non era stato nelle intenzioni di Tom, ma la cosa
allentò
nettamente la tensione.
“Sì,”
concordò lei, lasciandosi andare in una piccola risata
liberatoria. “Lo dicono in molti.”
Nicole rimase ferma, mentre tutti
quanti si avviavano verso
l’uscita, carichi di borsoni.
Sto per fare
uno dei
più grandi salti nel buio della mia vita, rifletté, e non so cosa aspettarmi…
Perfino Emily, che si stava
allontanando mano nella mano con
Bill, sembrava più tranquilla di lei.
Avrò
fatto la cosa
giusta?
“Non
preoccuparti,” Gustav le era apparso accanto, e le
porgeva una bottiglietta d’acqua, sorridendo incoraggiante.
“Andrà tutto bene.”
E forse era l’effetto
calmante dei piccoli sorsi d’acqua
fresca che le scesero lungo la gola, o forse la gentilezza avvolgente
della
voce di Gustav, ma Nicole, nonostante l’agitazione e la
novità dell’esperienza
che aveva davanti, gli credette.
***
Tom si stava divertendo parecchio nel
vedere le espressioni
entusiasmate di Nicole ed Emily mentre se ne stavano a rimirare Vienna
da
dietro i finestrini dell’auto. Se già di solito
non si sarebbe detto che
fossero madre e figlia, in quel particolare frangente sembravano
più che mai
due sorelle – o, meglio ancora, due amiche un po’
fuori dal comune – che ammiravano
le attrazioni di un parco divertimenti.
Non era tanto Nicole a stupirlo,
quanto più Emily: com’era
possibile che una bambina di quattro anni fosse così
interessata ai palazzi ed
ai monumenti che si succedevano ai lati della strada uno dopo
l’altro?
Cazzo, io
alla sua età
gli unici monumenti a cui ero interessato erano i nani da giardino dei
vicini…
“Mamma, guarda!”
Emily era saltata da una parte all’altra
dell’auto in meno di un nanosecondo e si era fiondata al
finestrino posteriore
destro in un turbinio di boccioli biondi, buttandosi in braccio a Tom
senza
praticamente rendersene conto.
“Che bello, ci
andiamo?” esclamò, le manine piantate sul
finestrino, al di là del quale il celeberrimo Prater si
metteva in mostra con
tutte le sue giostre colorate e la folla di turisti che lo gremiva.
Appena l’autista si
fermò al semaforo, Emily prese a saltare
e strillare, inginocchiata sulle gambe di Tom.
“Hey, piano,” la
ammonì lui, cercando di trattenerla, per di
più piuttosto goffamente. “Guarda che le gambe mi
servono, sai?”
Non ci sapeva fare con i bambini: non
aveva la naturale
attitudine da bambino cresciuto di Bill, né
l’innata dolcezza di Gustav, né
tanto meno la disinvoltura di Georg, e Tom si domandò
perché loro tre, che
erano così bravi con Emily, fossero tutti
sull’altra auto, mentre lui,
l’incapace, fosse invece lì con lei, a farle da
tappeto elastico. C’erano due
sole cose che lui sapesse fare veramente bene: suonare e sedurre
ragazze, ma
nessuna delle due gli sarebbe mai potuta tornare utile se per caso
avesse
dovuto badare ad una bambina, soprattutto una vivace come Emily.
“Non si fanno queste cose
in macchina,” le disse, cercando
di tenerla ferma. Una sola delle sue mani le copriva quasi
metà schiena. “In
macchina si sta buoni e seduti, come me e la tua mamma.”
Sorrise a Nicole, la
quale aveva assunto un colorito accesso sulle guance e scuoteva il capo
a mo di
scusa.
“Scusami,” fece
Emily, sedendosi più composta, ma sempre
sulle sue gambe. “Ecco, va bene così?”
Per la verità, non era
proprio quello che Tom avrebbe voluto
intendere, ma tutto sommato non era poi così male.
Emily era adorabile con quella
minuscola salopette di jeans
e la maglietta rossa, identica a quella che portava Nicole, e vestita
così
sembrava ancora più frizzante di quanto già non
fosse.
“Tesoro, forse Tom starebbe
più comodo senza il tuo dolce
peso addosso.” Intervenne Nicole, ma Tom minimizzò.
“Non fa niente, non mi da
fastidio. È più sicuro che se ne
resti qui che sguinzagliata in giro per
l’abitacolo.”
“Va bene,”
acconsentì Nicole, poi puntò un dito ad Emily.
“Ma se provi ancora a fare un salto come quello di prima, ti
giuro che ti
lego.”
“Forse dovremmo comprare
una di quelle gabbie per cani…”
suggerì lui, con aria complice. “La sistemiamo nel
bagagliaio, secondo me ci
sta comoda…”
Nicole sorrise impercettibilmente,
senza tradire l’ostentata
serietà che lei e Tom stavano esibendo di fronte ad una
ormai calmissima Emily.
“Faccio la brava,
promesso!” esclamò la piccola, allarmata,
poi guardò in su verso Tom, gli occhioni sgranati.
“Non ti do più fastidio.”
Tom non si era mai reso conto prima
di allora che al mondo
esistessero dei tipi di bellezza mozzafiato diversa da una donna ben
attrezzata, ma ora che osservava Emily così da vicino, si
rese conto, con una
certa dose di vergogna, che molto probabilmente c’era molta
altra bellezza al
mondo di cui non era minimamente consapevole, e la cosa lo fece
sentire, per la
prima volta in vita sua, un superficiale.
“Non mi dai
fastidio.” Le disse con un sorriso, che
normalmente veniva accompagnato da esplosioni nucleari di urla e
strilli micidiali,
ma stavolta, per la prima volta dopo tanto tempo, fu un semplice
sorriso che
gli arrivò in risposta.
“Sei più carino
quando non dici le parolacce e non dici
quelle cose strane sulle bocce delle signorine.” Gli disse
Emily, con un
candore disarmante, mentre Nicole cercava disperatamente di non
scoppiare a
ridere. Tom le lanciò uno sguardo che implorava aiuto, ma
lei arricciò le
labbra, come per dirgli ‘Te la sei cercata’.
Sto
prendendo lezioni
di educazione da una pulce di quattro anni, pensò,
sconcertato. Tra un po’ Bill
verrà a spiegarmi da dove
vengono i bambini…
Scambiò un rapido sorriso
con Nicole, poi lei tornò a
guardare fuori dal finestrino, e lui fece lo stesso. Nemmeno si rese
conto che
le sue braccia stavano tenendo Emily un po’ più
forte.
------------------------------------------------
Note: Oook, e il capitolo 7 è andato. Se vi è parso un po' statico e noioso, chiedo scusa. Magari non è all'altezza degli altri, ma è una capitolo di transizione ed ho cercato di fare del mio meglio, visto che è un periodo molto pieno e devo rispettare una rigida gerarchia di priorità (ma un giorno sarò una scrittrice di professione, e le cose cambieranno! ^^). Un grazie immenso a tutti quanti, non so come ringraziarvi, le vostre chilometriche recensioni sono un vero toccasana per il mio cuoricino esausto. ;) A chi aveva richiesto un carattere più grande, devo purtroppo delle scuse, ma ho visto che ingrandendo il carattere anche di un solo punto, la pagina diventa enorme e difficile da leggere per via del dover continuare ad andare avanti e indietro con la barra, quindi il mio consiglio, a chi la scrittura piccola desse fastidio, è di fare un semplice copia-incolla in una pagina di word ed impostare la dimensione preferita. :)
Un bacio, e a presto!
P.S.: ho letto il commento di bluebutterfly, e, oltre a darle un caloroso benvenuto nella "Lullaby Family" (XD), voglio anche rassicurarla su quel "troppo buoni, troppo belli"... So di non essere ancora nota, in questo sito, ma dovete sapere che la mia indole è piuttosto sadica, e amo molto la corruzione di tutto ciò che è perfetto ed immcolato (chi ha orecchie per intendere, intenda ^^). Questa situazione relativamente 'bucolica' verrà meno molto presto, quindi mettetevi pure comodi ed aspettate con pazienza il giro di boa. ;) |
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Capitolo 8 *** Little Touches Of Jealousy ***
C’erano aspetti della vita
dei Tokio Hotel che Nicole aveva
evidentemente ignorato, e altri che, semplicemente, non aveva mai
considerato.
Per esempio, non avrebbe mai e poi mai pensato che i ragazzi potessero
avere
giornate così fitte di impegni da avere a stento il tempo di
sbocconcellare un
panino tra uno spostamento e l’altro, o che spesso non
riuscissero a dormire a
causa del sovraccarico di stress.
Quella mattina Gustav non si era
alzato per primo, come suo
solito, ma aveva dormito fino a mezzogiorno a causa di un brutto mal di
testa,
e Bill e Tom avevano inaugurato la giornata con una litigata da manuale
scatenata dal fatto che il primo aveva deciso che la musica in auto lo
infastidiva, mentre il secondo aveva voluto a tutti i costi ascoltare
il nuovo
cd di Samy Deluxe nel breve tragitto che separava l’hotel
dalla Wien Stadhalle.
Il risultato era stato un pandemonio apocalittico, il cui strascico
attuale
consisteva in un reciproco ignorarsi ed essere inavvicinabili da
chiunque non
avesse desiderio di mutilazione istantanea di uno o più arti.
Mentre aiutava un paio di tecnici a
disporre i riflettori
nella giusta sequenza ed angolazione, Nicole gettava occasionalmente
delle
occhiatine fugaci ad Emily, che se ne stava seduta su uno dei sedili
della sala
deserta a disegnare, il suo Wilhem fedelmente accanto.
Erano a Vienna da solo poche ore, ma
Emily, pur non essendo
affatto abituata a viaggiare, ovunque andassero si comportava come se
fosse a
casa propria. Tutto sommato, Nicole trovava che fosse un bene.
“Bill, non
rompere!” esclamò
la voce di Tom, sovrastando
all’improvviso la generale confusione di sottofondo.
A Nicole ci volle un istante per
individuare i due gemelli
al centro del palco, che si fronteggiavano minacciosi. Nonostante
sembrassero
entrambi molto irritati, Bill sembrava particolarmente vulnerabile
dalla
presenza più imponente di Tom, ed era quasi buffo a vedersi,
così arrabbiato,
perché era uno stato d’animo che non gli si
addiceva affatto: i suoi lineamenti
delicati non erano compatibili con certe espressioni furibonde.
“E invece io
rompo!” stava replicando Bill infiammato,
picchiando un piede per terra. “Mi vorresti fare la cortesia
di accordare
quella dannata chitarra prima del
soundcheck,
la prossima volta?”
“Scusami se prima del
soundcheck io stavo scarrozzando
attrezzatura qua e là, mentre tu
tracannavi Red Bull spaparanzato nel
camerino!”
Nicole notò che Georg e
Gustav, che osservavano in silenzio
dalle rispettive posizioni, non seppero sopprimere un vago sorrisino
di chiara
compassione.
“E tu scusami se non posso
correre il minimo rischio che mi
vada via la voce se mi prendo un colpo d’aria!” gli urlò indietro Bill.
La spavalderia di Tom
vacillò, ma troppo brevemente perché
Bill potesse effettivamente vantarsi di aver segnato un punto. Infatti
Tom
ribatté in fretta:
“Se tu fossi abituato a
faticare, probabilmente non saresti
così delicatino, non ti pare?”
Bill afferrò di scatto
l’asciugamano che aveva attorno al
collo e glielo sbatté in faccia, piantando lui e il
microfono in mezzo al palco
in allestimento.
“Bravo, fai la mammoletta
offesa!” gli gridò dietro Tom, la
chitarra che gli pendeva da un lato. “Cresci un
po’, cazzo!”
La risposta di Bill, che si
allontanava dandogli le spalle,
fu un gesto della mano che nessuno avrebbe mai potuto avere
difficoltà ad
interpretare. Nicole lo vide salire gli spalti a larghe falcate, fino a
che non
si lasciò cadere pesantemente su uno dei sedili, il
cappellino calcato sugli
occhi; la sua espressione diceva chiaramente: ‘Attenzione:
mordo’.
Tom, nel frattempo, aveva abbandonato
la chitarra a terra ed
era scomparso chissà dove, lasciando Georg, Gustav e una
serie di altre persone
a scambiarsi occhiate di sopportazione.
Anche se le era stato abbondantemente
preannunciato che
situazioni simili fossero l’ordine del giorno, non si sarebbe
mai immaginata
che l’intero team potesse prenderla con tanta naturalezza.
“Va bene,” David
era apparso sul palco, fumante di
irritazione, e aveva sbattuto a terra la cartella con la scaletta.
“Mezz’ora di
pausa, e che qualcuno si procuri del valium, per favore!”
“David, lo sai che a Bill
il valium fa male!” esclamò Georg,
mentre appoggiava il basso ad un amplificatore.
L’altro si portò
le mani alle tempie ed emise un rantolo
sconfortato.
“Non per loro,”
borbottò seccamente, allontanandosi. “Per
me!”
Nessuno dei presenti
riuscì a risparmiarsi una risata, ma a
Nicole quell’atmosfera negativa non piaceva. Le ricordava
quando era bambina e
sentiva i suoi genitori discutere a voce un po’ troppo alta:
più volte aveva
seriamente temuto che si sarebbero separati, ma era troppo piccola per
capire che
la forza di un rapporto comprendesse il saper affrontare i problemi, a
volte
anche attraverso una lite.
“Non
devi avere paura
quando papà e io litighiamo, Nicole,” le
diceva sempre sua madre con
dolcezza. “Se due persone che si
vogliono
bene non bisticciano mai, forse stanno tenendo gli occhi chiusi davanti
a
qualche problema, sai?”
E Nicole, anche se molto piccola, lo
aveva capito.
“Gente, chi vuole uno
spuntino, sia dia una mossa!” annunciò
Fabian, uno dei tanti membri del vasto team dei ragazzi. Nicole
notò che stava
portando un paio di confezioni dall’aspetto invitante, e si
affrettò, come
tutti gli altri, ad abbandonare ciò che stava facendo per
concedersi un piccolo
rifocillamento.
“Oh, no, merda!”
Nell’alzarsi in piedi dalla
posizione inginocchiata in cui
si era finora trovata, aveva scordato il bicchierino di
caffè che aveva in
mano, il quale aveva traboccato abbondantemente, e ora metà
del contenuto
formava una bella macchia sulla sua t-shirt.
Complimenti
vivissimi,
Nicole, hai la stessa agilità di un bradipo sotto sedativi.
Cercando di arginare il danno
tamponandosi la maglietta con
un fazzoletto, si voltò a cercare Emily con lo sguardo,
pronta a domandarle se
le andasse uno spuntino, ma al suo posto erano rimasti solo
l’album da disegno
e i pastelli.
Il suo cuore fece in tempo a
contrarsi spiacevolmente, prima
che il cervello potesse intervenire con una rassicurante notizia:
tutt’altro
che sparita, Emily era riuscita a trascinarsi assieme al suo Wilhelm su
per gli
spalti e a raggiungere l’elevata posizione di Bill. Sebbene il
primo pensiero di
Nicole fu che non fosse un bene stuzzicare un cane arrabbiato, dovette
ricredersi nel momento in cui Bill si lasciò sfuggire una
piccola risata quando
Emily prese a strofinargli Wilhelm su tutto il viso, in una versione
molto
personale di una pioggia di baci.
“La dovresti brevettare, lo
sai? Riesce a risolvere qualunque problema si presenti.”
La voce di Gustav la fece voltare
indietro: il ragazzo stava
camminando verso di lei, reggendo una mela in una mano e una ciambella
in un’altra.
“Concentrato di zuccheri o
salutari vitamine?” le domandò,
mostrandole ciò che aveva da offrire.
Nicole non esitò nemmeno
un istante: afferrò la piccola mela
e ringraziò. Gustav addentò soddisfatto la
ciambella rimastagli mentre la
scortava verso il palco, dove era stata portata anche qualche bevanda,
poi lo
sguardo gli cadde sulla t-shirt di Nicole:
“Piccolo
incidente?”
Lei guardò automaticamente
in basso e sbuffò, avvilita.
“Asciugherà,
prima o poi.”
“Asciugherà,”
le fece eco Gustav, in tono scettico. “In
pieno febbraio, con l’umidità che
c’è?” le puntò un dito allo
stomaco. “Non è
una bella posizione in cui procurarsi una macchia
bagnata che presto sarà gelida.”
In effetti, non aveva tutti i torti.
Anche perché Nicole era
stata accaldata fino a pochi minuti prima, ma ora che aveva smesso di
lavorare,
cominciava ad avvertire un certo rigore nella temperatura del
palazzetto.
“Bill e Georg si portano
sempre delle magliette di
ricambio,” la informò Gustav. “Sai
com’è, le dive devono sempre avere pronto un
look alternativo.” Nicole rise sommessamente, e lui la
seguì a ruota. “Ora, non
credo che un indumento di Bill possa andare bene a qualche cosa di
diverso da
uno stuzzicadenti – anche perché sei decisamente
più prosperosa di lui, lì in
alto – ma magari una di Georg…”
“Chi osa pronunciare il
nome di dio invano?” intervenne il
diretto interessato, mentre Nicole e Gustav gli si avvicinavano.
Un guizzo di iridi verdi, e un
brivido attraversò Nicole da
parte a parte, come una piccola scossa.
Fa
più freddo di quel
che pensassi, si disse, stupita, anche se in
realtà non lo avvertiva poi
così tanto da addirittura rabbrividire.
“Hai la pelle
d’oca,” Osservò Georg, corrugando la
fronte. “Dov’è
finita la felpa che portavi stamattina?”
Nicole accolse volentieri il
bicchiere di tè caldo che
si era voltato a prenderle.
“L’ho tolta, si
muore di caldo con quella roba addosso.”
Lui squadrò di nuovo la
maglietta, e solo allora sembrò
accorgersi della vasta macchia di caffè. Aprì la
bocca per dire qualcosa, ma
Gustav lo precedette:
“Pensavo che potresti
prestarle la tua maglietta di scorta.”
Buttò lì.
Georg lo fissò per un paio
di secondi, incerto, poi fece lo
stesso con Nicole, la quale stava seriamente cominciando a temere di
essere sul
punto di prendersi una polmonite, tanta era la sensazione di gelo che
avvertiva
dentro di sé.
“Direi che non
c’è problema. “ Georg abbozzò
un sorriso e le
fece cenno di seguirlo. “Vieni, ce l’ho nel
camerino.”
Nicole lanciò uno sguardo
di congedo a Gustav, cogliendolo
con uno strano sogghigno, ma non stette a farsi domande.
Seguì Georg nel dedalo
di ostacoli che saturavano la quasi totalità del pavimento
del backstage, poi
si infilò con lui attraverso una porticina che conduceva in
un largo corridoio
illuminato di neon, identico in tutto e per tutto a quello che aveva
già
percorso allo Zenith di Parigi.
Questi
mostri di
cemento sono tutti uguali, pensò. Danno
l’impressione di essere sempre nello stesso posto…
Non dev’essere una
sensazione piacevole, per i ragazzi…
“Eccoci qui,”
Georg aprì una porta che recava un piccolo
cartello con stampato sopra a chiari caratteri ‘Tokio Hotel,
Garderobe’.
“Dunque, la mia borsa…”
Nicole aspettò che fosse
lui a mettersi a frugare qua e là,
sentendosi un po’ un’intrusa in quella stanza che
era esclusivamente loro.
Provò un disagio simile a quando
una volta, alle elementari, l’avevano portata a vedere una
dimostrazione in
costume di come realmente vivesse la famiglia reale a Versailles ai
tempi di
Maria Antonietta: era stato come vedere tutto il magico di una fiaba
spazzato via
dall’umana piccolezza che anche i nobili avevano. Ora era
più o meno la stessa
cosa.
“Tieni.”
Nicole si ritrovò ad
afferrare al volo la maglietta azzurra
che Georg le aveva lanciato. Se la accostò addosso e, in
effetti, non poteva
dirsi esattamente calzante a pennello.
“Ho il vago presentimento
che ti andrà un po’ larga,”
scherzò lui. “Ma non credo che tu possa
permetterti di fare la schizzinosa su
certi dettagli, no?”
“No, suppongo di
no.” Concordò lei, poi lo vide voltarsi
verso il muro, dandole le spalle, e capì che le stava dando
la possibilità di
cambiarsi.
“Se preferisci che
esca…”
“No,” rispose lei
in fretta. Posò la maglia pulita sul
tavolo lì accanto e si sfilò quella bagnata.
“Non sono mai stata il tipo da
imbarazzarsi troppo per certe cose.”
“Sul serio?” fece
lui, suonando sorpreso, senza voltarsi.
“Sembri così riservata,
così…”
“Pudica?”
completò lei, sardonica, mentre si infilava
l’altra t-shirt. Profumava di bucato appena fatto, ma
c’era una seconda
fragranza che si accostava piacevolmente a quella di talco del
detersivo, che
però Nicole non seppe individuare.
Vide Georg che annuiva con la testa.
“Ti ricordo che quasi
quattro anni or sono me ne stavo ad
urlare disperata in una sala parto mentre una mezza dozzina di persone
mi
guardava tranquillamente in mezzo alle gambe.”
La risata di Georg fu così
improvvisa che presto si tramutò in
un eccesso di colpi di tosse, con lui piegato di due su se stesso.
“Ho finito.” Gli
comunicò, ridendo a sua volta, e lui si
tirò su, cercando di tornare a respirare regolarmente. Degli
accenni di lacrime
gli inumidivano gli occhi, ancora ridotti a due sottilissime mezzelune rivolte
all’ingiù, in perfetta armonia con le labbra
ancora sorridenti.
All’improvviso, Nicole non
sentiva più freddo.
“Wow, ti sta
d’incanto!” la prese in giro lui, prendendo
tra le dita un lembo cadente di tessuto. Nicole avrebbe potuto entrarci
comodamente un’altra mezza volta, almeno.
Era un capo che, ad occhio e croce,
doveva costare più o meno
come un’intera settimana di affitto
dell’appartamentino che lei aveva a Lipsia,
con quella colossale firma Vans nel bel mezzo della parte anteriore, e
si
chiese se per caso certi abbigliamenti costosi non fossero studiati
appositamente per essere indossati solo da quell'unica persona che poteva permettersi di acquistarli. Era un'ipotesi verosimile, comunque, vista la particolarità del fisico di Georg, così stretto nella parte inferiore del tronco rispetto alle spalle più robuste.
Lui restò immobile per
pochi istanti, come se non fosse
perfettamente conscio della situazione, poi sembrò
riscuotersi e chiese a
Nicole se fosse a posto. Lei annuì.
“Farò in modo
che, quando la riavrai indietro, sarà esattamente
com’è uscita dalla tua borsa.” Gli disse
mentre uscivano dal camerino, del
tutto dimentica della mezza mela che aveva abbandonato sul tavolo,
assieme alla
maglietta macchiata.
“Puoi tenerla,”
disse lui, camminandole avanti ad ampi
passi. “Così la prossima volta hai già
un cambio pronto.”
Nicole inorridì al solo
pensiero: poteva tenersi una
maglietta che valeva quanto metà del suo intero guardaroba?
“Veramente non mi sembra
giusto…”
“Davvero,” la
interruppe lui. “Quel colore sta meglio a te
che a me.”
Non la guardava, né si
sforzava di farlo, ma il suo tono era
giocoso. Nicole faticava ad inquadrarlo: dei quattro, era forse
quello che
si comportava in modo più enigmatico, almeno con lei: non
riusciva a capire se
gli stesse o meno simpatica, perché, anche se per la maggior
parte del tempo si
dimostrava amichevole e disponibile, spesso aveva anche un
atteggiamento un po’
schivo, come se qualcosa di lei lo infastidisse.
“Mi auguro che non ci sia
mai una prossima volta.” Replicò
lei, divertita. Georg si volse indietro e le lasciò appena
il tempo di cogliere
l’accenno di un sorriso, poi aprì la porta e le
cedette il passo.
Mentre ripercorrevano in senso
inverso il labirinto di
attrezzature che ricopriva il retro del palco, Nicole
incespicò in un cavo e
per poco non finì a terra, e sarebbe sicuramente finita
lunga distesa,
se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Georg: la
afferrò appena
prima che perdesse l’equilibrio, e la aiutò a
districarsi dal groviglio di
cavi, chiedendo poi ad uno dei tecnici lì attorno di fare in
modo di toglierli
dal passaggio.
“E tu impara a guardare
dove metti i piedi, anziché il mio
fondoschiena.” Ironizzò infine. Nicole si
sentì avvampare fino alla punta delle
orecchie, pur sapendo che si trattava di una semplice battuta, e la sua
reazione lo fece ridere di gusto.
“Credevo non esistessero
più le ragazze ingenue come te,” le
confidò, posandole una mano su una spalla mentre facevano il
loro ingresso sul
palco. “In senso buono, intendo.”
Specificò poi.
Fiato sprecato, comunque,
perché Nicole non aveva sentito
una sola sillaba: la sua presenza mentale era andata a farsi benedire
nell’esatto istante in cui i suoi occhi si erano posati sulla
fila più bassa
degli spalti, dove Emily era intenta a scarabocchiare sul suo album,
comodamente accoccolata in braccio ad un Bill decisamente partecipe.
Nicole si
ritrovò così a sospirare deliziata.
Credo che
questo
superi ogni mia precedente nozione di
‘adorabile’…
***
“Stai fermo, se no non riesco a
farti bene il naso!”
Bill assecondò
l’ordine di Emily e si mise ritto in posa,
mostrandole accuratamente ogni angolazione del proprio viso, mentre lei
lo
esaminava da vicino, una manina posata sulla sua guancia.
Gli si era avvicinata qualche minuto
dopo che lui si era
confinato lassù, imbronciato come non mai a causa dello
scontro con Tom, e in quattro
e quattr’otto non solo gli aveva fatto passare
l’arrabbiatura, ma lo aveva
perfino messo di buonumore. Era stata lei a volergli fare un ritratto,
e lui
aveva acconsentito, lasciandosi trascinare giù per la lunga
rampa di gradini,
fino a dove lei aveva lasciato il suo album e i colori.
“Qualcosa non
va?” indagò, fingendosi preoccupato. Emily
assunse un’espressione assorta, facendolo voltare in ogni
direzione.
“La situazione è
controversa.” Disse lei, tutta seria, e Bill
dovette far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non mettersi a
sghignazzare.
“Cosa ne sai tu di
situazioni controverse?”
Senza smettere di esaminarlo, Emily
spiegò:
“Lo dicono sempre al
telegiornale quando non sono sicuri di
qualche cosa.”
“E tu di
cos’è che non sei sicura?”
“Non trovo la tua
macchiolina nera.”
Bill batté le ciglia,
interdetto.
Non trova la
mia che?
“Ce l’hai sempre
qui,” proseguì Emily, puntandogli un dito
sotto la bocca. “Ma non c’è
più.”
Bill scoppiò a ridere non
appena si rese conto di quello di
cui stesse parlando. Per tutta risposta, si inumidì la punta
dell’indice tra le
labbra e se lo strofinò contro un punto preciso delle pelle,
poco sopra il
mento, togliendosi il leggero strato di fondotinta che la truccatrice
gli aveva
passato prima del servizio fotografico in cui lui e gli altri avevano
posato quella
mattina.
“Ecco qui,” disse
mostrando ad Emily il risultato. “Questa
macchiolina nera si chiama neo.”
“Sì,
sì, è questo!” esclamò lei,
contenta, mentre si
affrettava a prendere il pastello del colore giusto ed aggiungere il
dettaglio
al disegno. Bill non era certo di sapere da che parte osservare il
ritratto, ma
se non altro ora, grazie all’aggiunta del neo, aveva una vaga
idea di dove
rintracciare la bocca.
“Hai uno stile che mi
ricorda molto Picasso,” le disse,
mentre lei cominciava a disegnare i capelli. “Era un pittore
molto famoso,
sai?”
Con suo sommo stupore, lei
annuì.
“Lo dice sempre anche la
mamma,” replicò, china sul foglio.
“Ma li ho visti, i suoi quadri, e mi fanno un po’
schifo.”
Di nuovo, Bill fu colto da quello che
aveva preso a
denominare ‘Effetto Emily’, ossia un calore diffuso
nel cuore e tanta voglia di
ridere fino allo sfinimento.
Ma poi, tutt’un tratto,
quella voglia svanì.
Il suo sguardo aveva vagato per un
po’ per la zona
antistante, osservando la gente che lentamente riprendeva a lavorare
all’allestimento, e stava già per tornare verso
l’opera di Emily, non fosse
stato per un particolare che aveva colto la sua attenzione: Nicole e
Georg
erano spuntati dalle quinte ridendo apertamente, la mano di lui posata
sulla
spalla di lei con una confidenza che Bill non seppe spiegarsi.
Restò a fissarli senza ben
riuscire a focalizzare la
situazione, sorprendendosi ad interrogarsi su come e perché
quei due sembrassero
improvvisamente così… Così…
Intimi?
Si rabbuiò non appena
quella parola gli balenò in testa, e
nemmeno ne capì il motivo.
“Allora, Bill, ti
piace?” chiese la voce di Emily, remota
come se provenisse da un’altra dimensione, con lei che lo
tirava per una
manica, e lui rispose a se stesso senza distogliere gli occhi da
ciò che stava
osservando.
No.
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Note: Allora, avevo fatto una lunghissima nota di fine capitolo, in cui vi ringraziavo uno per uno, ma internet mi ha tradita e quindi tutto è andato perduto. Non ho purtroppo il tempo di riscrivere tutto da capo, ma credo di avervi lasciato con qualche interrogativo su cui rimuginare, quindi date pure sfogo ad ogni ipotesi e congettura che le vostre menti stanno macchinando... Ci sono diverse sorprese in serbo per voi nei prossimi capitoli, e qualcuna vi piacerà, qualcun'altra forse un po' meno... Staremo a vedere. Qualcuno si domanda se siano tutti interessati a Nicole... La risposta è sì e no, perché esistono diversi modi di interessarsi a qualcuno, e avrete modo di stupirvi man mano che la storia si svilupperà, quindi pazientate e pian piano tutti i nodi verranno al pettine, e allora ne vedrete delle belle.
Intanto, un immenso, gigantesco, colossale grazie a tutti voi che leggete e, soprattutto, commentate. Vi adoro, siete tutti talmente adorabili che prima o poi mi sentirò autorizzata a montarmi la testa! ^^" Un bacione, a presto! |
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Capitolo 9 *** Dinner For Two ***
Quella sera Bill era strano
– perlomeno più del solito – e,
benché Tom ancora non fosse riuscito a trovare una
spiegazione per quel
nuvolone nero che da diverse ore incombeva minaccioso sulla sua testa,
era fin troppo scontato che si trattasse di qualcosa di mediamente
serio: non
era da Bill scomodare tutte le sue innumerevoli e discrete doti di
drama queen,
e, qualunque cosa ci fosse sotto, non era da poco.
Se solo se
ne andasse
in camera sua a consumare il suo melodramma…
Non che gli desse fastidio ospitarlo,
ma, quando ci si
metteva, Bill sapeva asciugare la pazienza anche del più
virtuoso uomo di buona
volontà.
Al momento le preziose energie della
star della tragedia
greca, che se ne stava stravaccato sul divano come un sacco vuoto,
erano concentrate
nell’arduo intento di perforare la parete di fronte al divano
su cui sedeva,
tramite il più truce degli sguardi che Tom gli avesse visto
esibire negli
ultimi dieci anni, e non sembrava intenzionato a cambiare espressione
entro il
tramonto del secolo.
“Bill,” Tom si
trascinò pesantemente attraverso il salotto,
stanco fino al midollo, e si palò tra lui e il muro.
“Sei in fissa da almeno
mezz’ora, e la tua performance, stasera, è stata
– come dirlo senza che tu ti
offenda? – desolante,”
gli si
avvicinò e si sedette davanti a lui sul tavolino.
“Posso osare chiederti cosa
cazzo ti prende?”
“Il concerto ha fatto
pena.” Sbottò Bill, senza degnarlo di
uno sguardo.
Tom sospirò paziente.
Il
fratricidio è
perseguibile dalla legge, Tom, ricordatelo, anche quando pienamente
giustificabile.
“Lo so che il concerto ha
fatto pena, mezza Vienna se n’è
accorta,” rispose con calma. “Vorrei solo capire
cos’è successo tra le
brillanti prove di pomeriggio e quello sfacelo che stasera abbiamo
propinato al
nostro beneamato pubblico, perché qualcosa deve
essere successo, per farti cambiare umore così, e so che non
è stato il nostro
battibecco.”
Forse non era esattamente la
verità, ma anche se Tom non
aveva l’assoluta certezza che il morale di Bill non fosse
colato a picco proprio
per quel motivo, sapeva che in genere per loro sputarsi addosso insulti
reciproci aveva
più o meno lo stesso significato che scambiarsi pacche sulla
schiena aveva per
la gente normale, quindi non poteva trattarsi di quello.
“Bill,”
insisté, dopo aver atteso invano una risposta.
“Non
sono disposto a sorbirmi tutta questa tua negatività
gratuitamente,” si portò
le mani sui fianchi e piegò la testa da un lato.
“Perciò, a te la scelta: o ti
decidi a sputare il rospo, o alzi le chiappe dal mio
divano e te ne torni nella tua
camera.”
Bill sbuffò come una
locomotiva con la bronchite e borbottò
qualcosa a proposito di palle girate, che Tom non si degnò
di considerare.
“Se devi fare la spina nel
fianco, almeno falla come si
deve.” Gli intimò, e gli si sedette accanto.
“Allora, il mio sesto senso
fraterno mi dice che queste ‘palle girate’ hanno
qualcosa a che vedere con
Georg, anche se non so perché.”
Occhieggiò Bill con fare inquisitivo, cercando
qualche conferma. “Non ti ha fatto niente, mi
pare…”
Un’occhiata obliqua di Bill
gli fece capire che le cose non
stavano proprio così, anche se, in tutta onestà,
Tom non avrebbe saputo
immaginare una cosa simile, nemmeno per assurdo. Il rapporto tra Bill e Georg era
probabilmente il più strano, all’interno del
gruppo, il meno pubblico, per
così dire, ma era molto
profondo e solido, anche se decisamente peculiare. Bill e Georg erano i
due
grandi opposti della band: il più giovane e il
più anziano, il più infantile e
il più maturo, il più spensierato e il
più responsabile. Erano il bianco e il
nero, ma il loro incontro era un’armonica sfumatura di
grigio, e non si era mai
sentito che uno dei due avesse dato fastidio all’altro.
Finora.
Il fatto che Bill lo avesse
deliberatamente ignorato per
tutto il pomeriggio e poi anche per tutta la sera, concerto compreso,
rendendo
così l’atmosfera sensibilmente tesa, era un chiaro
indicatore che qualcosa non
andasse, un campanello d’avvertimento, ma come si poteva
risolvere un problema
che non si conosceva?
Non si
può,
rifletté Tom, mentre Bill si intestardiva a non aprire
bocca. E se domani si presenta alle
interviste con
questa faccia, David sarà capacissimo di smontarci tutti e
quattro, atomo per
atomo.
“Domani abbiamo una
conferenza stampa, due apparizioni
televisive e una radiofonica,” gli rammentò.
“E tu sei praticamente la voce
eletta del gruppo. Se la tua incontenibile logorrea non si riversa su
quei
microfoni, noialtri saremo a malapena in grado di spiaccicare mezza
sillaba, visto
che in genere il nostro ruolo è sincronizzare un
‘Tokio Hotel’ comprensibile dopo
il tuo ‘Ciao, siamo i…’
d’apertura, e siccome –”
“Tom, finiscila,”
lo mise a tacere Bill, sventolando una
mano annoiato. “Mi sparo un’aspirina o due per
questo mal di testa del cazzo,
poi una bella notte di sonno, e domani mattina sarò di nuovo
il solito
adorabile bocconcino da prostituire ai media.”
Tom sogghignò davanti a
quell’espressione. L’idea di
prostituzione ai media era, seppur ridicola, discretamente calzante,
almeno nel
caso di Bill: era il più adatto a gestire le loro pubbliche
relazioni, non solo
perché era il frontman, ma anche perché era
affabile, paziente, e poco gli
importava delle insinuazioni. Tom era invece, come Georg, un
po’ troppo
orgoglioso per glissare su certe provocazioni e trovare una risposta
diplomatica a certe domande invadenti, per non parlare di Gustav, che
preferiva
astenersi direttamente da ogni commento. Insomma, se entro il mattino
seguente
Bill non si fosse veramente rimesso in sesto, sarebbero stati
– per citare una
delle espressioni più colorite e ricorrenti di David – nella
merda fino al collo.
“Okay,” Tom si
alzò in piedi con un discreto sforzo e scompigliò
i capelli flosci del fratello. “Ti vado a preparare
l’aspirina, ma poi te ne
vai dritto dritto nel tuo lettuccio, ci siamo capiti?”
Bill emise un grugnito di assenso, e
a Tom bastò. Fece per
dirigersi verso il bagno, quando venne afferrato per un lembo della
t-shirt.
Guardò in basso verso Bill, le sopracciglia inarcate.
“Che vuoi?”
Bill si fissava le gambe, i capelli
che gli nascondevano gli
occhi, ma un debole sorriso gli era comparso sulle labbra.
“Grazie.”
Mormorò.
Tom gli diede un colpetto affettuoso
sulla spalla.
Di niente,
fratellino.
***
Mio dio,
sono a pezzi.
Gustav osservò accigliato
il proprio riflesso nelle porte
dell’hotel e si fece pietà da solo: aveva un
aspetto a dir poco disastroso. La
cosa confortante era che non era il solo.
Alle sue spalle, Bill, Georg e Tom lo
seguivano a passi
strascicati, rifugiati dietro a degli strategici occhiali da sole,
nonostante
il sole stesse ormai tramontando. Certe giornate così fitte
di appuntamenti
erano delle vere e proprie imprese titaniche, ed uscirne –
più o meno vivi –
era già di per sé una gran bella soddisfazione,
anche se ciò implicava avere
l’aspetto di relitti umani.
Bill si era comportato in modo strano
per tutto il giorno
(un po’ troppo gioviale, per essere credibile, ma nessuno a
parte loro tre se
n’era accorto), Tom non aveva smesso un secondo di
tampinarlo, mentre Georg era
stato più taciturno del solito, perfino davanti alle
esplicite frecciatine di Tom. Insomma,
sembravano un po’ tutti fuori fase.
“Voglio una doccia
bollente.” Rantolò Tom, con uno sbadiglio
plateale.
“Io due.” Disse
Georg, mentre varcavano l’ingresso. “E
magari anche un analgesico.”
“Io voglio
mangiare.” Soggiunse Bill, andando dritto verso
l’ascensore, dove si mise pigiare tasti a caso, senza nemmeno
badare ai piani
che comparivano sul display. Salì in ascensore, seguito
dagli altri, poi si
mise a frugarsi in tutte le tasche, per poi finire col voltarsi verso
Gustav
con aria innocente. “Non trovo la mia chiave, non
è che per caso –?”
Gustav gli pose sotto il naso la
tessera magnetica con un
sorriso obliquo.
“Ridammela, quando hai
aperto, o la prossima volta ti tocca
chiamare la reception.”
Non appena l’ascensore,
miracolosamente, raggiunse il loro piano
e si aprì sul corridoio, i quattro si dispersero
frettolosamente, ciascuno
nella rispettiva stanza, senza emettere un suono che non fosse un
sommesso
brontolio insensato.
Il sollievo immediato che Gustav
provò nel varcare la soglia
fu strabiliante: mollò giacca e borsone
nell’armadio, calciò via le scarpe e si
buttò sul letto, esausto.
Dalle nove di quella mattina, ora in
cui si erano alzati,
fino a quel momento – le otto di sera passate – non
avevano fatto altro che
andare su e giù dall’auto, da
un’emittente televisiva all’altra, senza un
attimo di sosta. Non gli sembrava vero che finalmente fosse finita, e
che ci
fossero ventiquattro, meravigliose ore, l’indomani, da
godersi in santa pace,
lontano da giornalisti e fan psicotiche.
Chissà cos’hanno
fatto Nicole ed Emily, nel frattempo…
Fu con quest’interrogativo
che, dopo una doccia rinvigorente
e una coca fresca di frigo, si incamminò verso la doppia
alla fine del
corridoio e bussò. Dall’interno proveniva un
vocìo concitato, e gli toccò
bussare nuovamente perché qualcuno lo sentisse.
Quando Nicole venne ad aprire la
porta, Gustav fu stupito di
notare che nel piccolo salotto della stanza erano già
riuniti i due Kaulitz e
Georg, che, insieme ad Emily, se ne stavano seduti sul tappeto con dei
joystick
in mano, un rumore di auto che correvano in sottofondo.
“Be’, suppongo
che ora ci siamo tutti.” Gli disse Nicole con
un sorriso luminoso, lasciandolo entrare. “A quanto pare hai
sentito anche tu
il richiamo della playstation.”
Gustav avrebbe senz’altro
risposto, non fosse stato così stupito,
non solo del fatto di non essere stato l’unico ad avere avuto
l’idea di andare
a trovare lei ed Emily, ma di essere stato addirittura preceduto, e non
di
poco, a quanto pareva.
Non ho mai
visto
questi tre lavarsi e rivestirsi così in fretta,
Gustav sorrise fra sé,
osservandoli divertito. Se fossero
così
svelti anche quando serve, le coronarie di David starebbero molto
meglio.
“Buonasera.” Li
salutò, ma loro erano così assorti che a
stento mugolarono un ‘ciao’ di risposta.
Erano divisi a squadre: Tom e Bill
contro Georg ed Emily, e,
incredibile ma vero, i primi erano in netto svantaggio.
“Sono qui da un quarto
d’ora,” raccontò Nicole, “Tom
le
aveva promesso una partita a South Park Rally… Non ho fatto
in tempo a far
entrare lui, che Bill e Georg erano già alla
porta.” Si voltò verso di lui,
incrociando le braccia. “Mi stavo giusto domandando quando
saresti arrivato
tu.” Sorrise, e a Gustav quel sorriso piacque, forse
perché tutto il viso di
Nicole lo aveva assecondato, non solo le sue labbra. Era talmente
abituato a
vedersi rivolgere dei plastici sorrisi di circostanza, che quasi aveva
scordato
quanto fosse bello riceverne uno sincero.
“Alt, fermi
tutti!” esclamò Bill ad un tratto. Il rumore
delle auto del videogioco cessò e l’attenzione di
tutti si concentrò su di lui,
chino sulla propria mano con aria angosciata.
“Cos’è
successo?” indagò Gustav, avvicinandosi.
“Mi si stava per spezzare
un’unghia!”
Un coro di commenti increduli si
levò da Georg e Tom, ma
Bill appioppò loro uno sguardo di sufficienza e si
alzò con tutta la dignità
possibile.
“Che qualcuno mi
sostituisca, mi dichiaro indisposto.”
“Voglio te,”
disse subito Tom, additando Gustav. “Nicole non
sa nemmeno tenere in mano il joystick.”
Lei roteò gli occhi,
sbuffando, ma c’erano due
arricciature divertite agli angoli della sua bocca.
“Non avevo mai toccato una di
quelle schifezze in vita mia.” Si
difese, accennando alla playstation.
“Nemmeno Emily,”
intervenne Georg, sornione. “Eppure è
bravissima.”
Emily sorrise compiaciuta, beandosi
quando Georg le fece
battere un cinque trionfante.
“Aspettate a cantare
vittoria, voi due,” fece Tom, sdegnoso.
“Adesso che la signorina Bill si è levata di
torno, Gustav e io recuperiamo
come niente.”
Bill si stiracchiò le
braccia, ridacchiando sotto i baffi.
“Credici,
credici…”
Gustav era certo che Tom avrebbe
replicato, se Georg non
avesse avuto la prontezza di spirito di allungargli una gomitata di
avvertimento e scongiurare la catastrofe.
In quella, lo stomaco di Nicole
decise di rendere pubblicamente
noto che lei avesse un certo appetito. Imbarazzata, si portò
le mani al ventre, le guance che le si colorivano.
“Credo che sia ora di
andare a cena.” Ci scherzò su.
“Mi associo!”
disse Bill, sfregandosi le mani.
“No, dai, ancora un
po’!” protestarono Tom ed Emily
all’unisono.
Gustav aveva ormai passato la soglia
della fame, e doveva
ammettere che gli piaceva il clima familiare che aleggiava nella
stanza. Non
gli sarebbe dispiaciuto finire almeno la partita, prima di scendere.
“Ma è
tardi…” tentò di dissuaderli Nicole, ma
prima che lei
potesse concludere, Tom aveva già riavviato il gioco, e
tutti e quattro i
giocatori si erano ributtati a capofitto nel rally.
“Andiamocene a
cena,” disse Bill a Nicole. “Se loro vogliono
fare notte su una stupida partita, si accomodino, ma io voglio
mangiare.”
Ci fu una breve pausa di silenzio,
poi Tom sollevò una mano,
senza staccare gli occhi dallo schermo.
“Già che
scendete, fateci portare su qualcosa. Una bistecca,
un hamburger, vedete voi…”
“A me un piatto di
spaghetti al pomodoro.”
Aggiunse Georg. Gustav la trovò una buona
idea.
“Anche per me,
grazie.”
Nicole e Bill si scambiarono
un’occhiata significativa, ma
non obiettarono.
“Emily, tu cosa
–?”
“Mamma, zitta, io e Georg
stiamo vincendo!”
“Piccola impertinente che
non sei altro!” abbaiò Tom, facendo
l’offeso, e le diede una spallata scherzosa. “Non
si umiliano le persone più
anziane, lo sai?”
“Scusami,”
replicò Emily, genuinamente costernata. “La
prossima
volta ti prometto che vi lasciamo vincere, vero Georg?”
“Verissimo.”
“Eh, no,”
obiettò Gustav, categorico. “La prossima volta tu
stai in squadra con me, Tom fa schifo… Poi osa dare tutta la
colpa a Bill.”
Tom per tutta risposta gli inferse
una controproducente
spinta interattiva, che mandò l’auto di Gustav
fuoristrada, facendo perdere
alla squadra un bel po’ di punti.
“Bene, allora noi
andiamo,” annunciò Bill. “Sicuri che
nessun altro voglia venire?”
Forse era solo
un’impressione, ma a Gustav parve di cogliere
nel suo tono una sorta di invito a tacere, che sembrò
peraltro essere accolto.
“Come volete, allora ci
andremo soli soletti.”
L’auto di Georg
sbandò e tamponò quella di Tom, che fece
appena in tempo a trattenersi da un’imprecazione che Emily
non gli avrebbe
facilmente perdonato. Gustav gli lesse negli occhi una voglia
inespressa di
alzarsi ed aggregarsi a Bill e Nicole, ma non gli ci volle molto ad
intuire che
cosa lo frenasse. A Nicole piaceva Bill, era stato chiaro fin
dall’inizio, ma
ultimamente anche Bill aveva cominciato a dare avvisaglie di un
possibile
interesse, ed intromettersi sarebbe stato fuori luogo.
Eppure…
Senza attendere oltre, Bill
afferrò il polso di Nicole e se
la trascinò dietro, uscendo dalla stanza. Quando la porta si
richiuse, la
vettura di Georg accelerò di parecchio.
Eppure
qualcosa non
torna.
***
Perdersi in Bill era, nei limiti del
possibile, anche più
facile di quanto si sarebbe potuto immaginare.
Non si poteva dire che
fosse un
tipo espansivo, ma possedeva una di quelle personalità spontanee e vivaci che
Nicole aveva raramente
incontrato, nella sua vita: era in grado di farsi amare semplicemente
esistendo, standosene seduto su una sedia del ristorante
dell’hotel, senza far
altro che fissare con occhi vispi l’ambiente attorno a
sé.
Normalmente i ragazzi della sua
età avevano già perso da un
pezzo lo spirito di curiosità verso il mondo, e lei aveva
creduto che proprio
lui, fra tutti, avendo praticamente girato mezzo mondo, fosse stato
già
contaminato dall’asettico cinismo che ormai vigeva sovrano
all’interno della
società, ma si era sbagliata, e di grosso, anche,
perché la purezza di Bill era
– sotto quello e molti altri aspetti –
assolutamente intatta. Quando poi lo
sentì chiedere al cameriere se gli potesse portare il
contorno di patatine
fritte separato dalla carne ai ferri, Nicole dovette rinunciare al vano
sforzo
di non lasciarsi coinvolgere a cui si era votata nell’esatto
istante in cui il
suo cervello aveva realizzato che sarebbe stata a cena con Bill, lui e
lei
soli.
“Un bel po’
affollato, eh?” commentò Bill, guardandosi
intorno.
Nicole, seduta accanto a lui, dovette convenire: la sala da pranzo era
piena
zeppa, e anche se loro erano stati fatti accomodare nell’area
riservata,
riuscivano comunque a sentire il chiacchiericcio generale che si
mescolava
all’acciottolio delle stoviglie.
Tutta quella frenesia era come acqua
sul fuoco per il suo
nervosismo. Era felice di essere lì con lui – come
non esserlo? – ma ancora non
le riusciva di convincersi del tutto che non si trattasse di una
fantasia un
po’ troppo lunga e realistica.
“Nicole,” Bill le
tolse di mano il tovagliolo, che lei
nemmeno si era accorta di star torcendo convulsamente. “Ti
vuoi
tranquillizzare? Mica ti mangio.”
I suoi occhi nocciola la
accarezzavano incoraggianti, ma
lei, più che sentirsi incoraggiata, provava una crescente
voglia di
sotterrarsi.
Perché diavolo non
riusciva a godersi la compagnia di Bill
senza andare in iperventilazione? Perché non poteva sentirsi
a proprio agio
come con Tom, e Gustav, e Georg?
Perché
le tue
ginocchia non diventano gelatina, con loro, le rispose la sua
parte
razionale.
Ma quella era solo mezza
verità – e mezza bugia, quindi –
anche se lei era così smarrita nello sguardo di Bill da non
accorgersene.
“Scusami,”
mormorò, abbassando il capo. “È solo
che è ancora
talmente assurdo…”
Bill fece una faccia stranita.
“Lo so che guardandomi
è difficile da credere, ma per me cenare non è un concetto poi così
assurdo.”
Con un movimento casuale, le prese
una sottile ciocca che le
ricadeva sul viso e gliela spostò dietro
all’orecchio, per poi appoggiare i
gomiti al tavolo e contemplare la propria opera soddisfatto. Nicole
deglutì, incapace di fare altro.
Quante volte aveva sognato un momento
così? Quel gesto, quel
tono, quello sguardo? Quante volte aveva immaginato l’effetto
che avrebbe avuto
la mano di Bill sul suo viso?
Ora che era successo davvero, non
aveva avuto nemmeno il
tempo di considerare concretamente la cosa, di vivere la sensazione
che quel
semplice gesto le aveva dato ed imprimersela nella mente come avrebbe
voluto.
Era passato in fretta. Troppo in fretta.
Dubitava perfino che fosse successo
davvero.
Dovrebbero
fornire dei
certificati di autenticità per certe esperienze, maledizione.
Ma doveva essere reale per forza,
perché nei suoi sogni
Nicole era sempre benvestita, truccata, e le sue curve miracolosamente
più
accentuate, mentre al momento portava i suoi jeans più
anonimi, e di trucco sul
suo visto non c’era ormai ombra da mesi, per non parlare
delle sue curve – se così poteva azzardarsi a chiamarle – a
stento intuibili al di sotto del largo maglione grigio.
Che squallore,
piagnucolò
con se stessa, sono a cena con Bill
Kaulitz e sembro appena uscita da una puntata di Ugly Betty…
Ma Bill la stava rimirando in un modo
in cui un qualsiasi
uomo dotato di buona vista – e soprattutto buongusto – non avrebbe mai
rimirato
Ugly Betty.
Erano abbastanza vicini da poter
avvertire i rispettivi
respiri sulla propria pelle e, se al posto di Nicole ci fosse stata
un’altra,
quasi sicuramente quella spanna d’aria tra le loro labbra non
ci avrebbe messo
molto ad annullarsi. Ma Nicole non si mosse, e Bill nemmeno, e
l’arrivo del
cameriere con le loro ordinazioni troncò sul nascere ogni
ipotesi di ciò che
avrebbe potuto accadere, e che ormai era chiaro non sarebbe
più successo.
“Buon appetito.”
Augurò loro l’uomo, prima di lasciarli
nuovamente soli.
Nicole era troppo stordita
– troppo delusa, forse – per
ringraziare.
Non
c’è proprio niente
di cui ringraziare, comunque.
“Buon appetito.”
Disse Bill, con molto più sentimento del
cameriere.
“Altrettanto.”
ricambiò lei. Infilzò un pomodorino della sua
insalata greca e lo lasciò ricadere nel piatto, sconsolata,
rimproverandosi per
quella delusione che avrebbe dovuto sforzarsi di prevenire.
Povera
illusa, ma cosa
ti aspettavi?
-------------------------------------------------------------------------
Note: Aaah, vedo molte facce deluse, cari lettori, non è forse così? Chiedo scusa per la tortura psicologica (sia vostra, che di Nicole), ma questa situazione non si chiarirà tanto presto, perciò siate pazienti. ^^ Se fosse tutto rose e fiori, non ci sarebbe gusto, no?
Un grazie colossale a ciascuno di voi, soprattutto a chi si prende il disturbo di lasciare quelle recensioni lunghissime che mi fanno tanto piacere (a proposito: Sara, attenta a come ti muovi, la tua rimozione dal testamento è incombenete!). Grazie di aver letto, e grazie a chi commenterà, e grazie anche a tutti voi che mi avete contattata per email o msn, sommergendomi di complimenti... Ich liebe euch!
Un bacione, alla prossima! ;) |
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Capitolo 10 *** Saturday Night Fever ***
Georg se ne stava appoggiato al
davanzale della finestra
della stanza di Nicole, esplorando la strada sottostante in lungo e in
largo,
aggrappandosi ad ogni minima distrazione – auto, passanti,
pozzanghere – pur di non
pensare.
Pensare…
Esalò una boccata di fumo
verso il cielo, il ronzio della
playstation in piena attività nelle orecchie.
A
cos’è che penserei,
poi?
Dopo la cena, Tom, Gustav ed Emily si
erano rimessi subito a
giocare, ma lui aveva preferito astenersi, soprattutto dopo la pessima
conclusione della partita precedente. Era nervoso, anche se non sapeva
perché.
Residui di stress, probabilmente. Fumare era rilassante, e non
c’era niente di
meglio di una sigaretta per digerire un piatto di spaghetti.
O qualche
altra cosa
di meno digeribile.
Si era lasciato convincere dalle
suppliche di Emily a
mettere nello stereo uno dei cd di Nicole, così ne aveva
pescato uno a caso,
scegliendone uno anonimo, masterizzato, lo aveva inserito nel lettore
cd ed
aveva schiacciato ‘play’.
Aveva ascoltato volentieri le prime
canzoni (scoprendo fra
l’altro che Nicole aveva dei discreti gusti musicali, a parte
rare eccezioni
tipicamente femminili), ma quella che era appena partita lo stava
mettendo di
cattivo umore.
Non che gli Iron Maiden gli
dispiacessero più di tanto, ma
quelle parole gli davano proprio sui nervi. Si sentiva accaldato,
debole, come
se stare in piedi fosse uno sforzo sovrumano che gli stava risucchiando
ogni
briciola di energia che avesse in corpo.
‘I
can't get used to purgatory, you
know it really makes me cry, I'll never know the reason why I had to
go, I'm
crying, deep inside of me…’
Il ritmo era tutt’altro che melanconico,
energico e duro, graffiante, ma
il testo era completamente discordante.
‘Can't
you see me?’
Chissà
cosa stava succedendo
giù, al ristorante. Sicuramente Bill e Nicole si stavano
gustando una bella
cena in tutta calma, beneficiando della reciproca compagnia,
probabilmente
dimentichi di tutto il resto. Stavano bene insieme, anche nonostante i
modi un
po’ impacciati di lei; c’era una certa
affinità, tra loro, e si vedeva a
distanza di chilometri.
‘Can't you see me?’
Chi mai avrebbe potuto negare che
fossero una bella coppia?
‘I'm looking forward
to her spirit coming over
to me, I feel tempted to bring her over to see…’
Sorrise al pensiero di Nicole
intrappolata in una conversazione
a senso unico con Bill, lui che sciorinava cazzate su cazzate a
velocità
supersonica, lei che lo stava a sentire incantata, senza nemmeno
riuscire –
probabilmente per fortuna sua e di Bill stesso – a seguire il
discorso.
Era un’immagine comica, a
pensarci bene, ma in fin dei conti
era quello che ci voleva per Nicole: divertirsi. E chi meglio di Bill
poteva
farla divertire?
‘Just what it's like
to be hanging on the other
side…’
Gustav lanciò un urlo vittorioso e si mise a
festeggiare assieme ad
Emily la vittoria della partita, mentre Tom se ne stava afflitto nel
mezzo, le
labbra imbronciate.
Nessuno dava retta alla musica nello
stereo, e Georg, in
preda a quella terribile emicrania, ne aveva avuto abbastanza. Spense
frettolosamente
la sigaretta contro il davanzale e la lasciò cadere nella
strada deserta, poi
si diresse verso lo stereo e premette ‘stop’.
‘I
feel so lonely…’
gemette l’apparecchio, poi calò il silenzio.
“Hey, Georg, rimetti quel
cd!” berciò Tom, contorcendosi per
riuscire a guardarlo. “Mi piaceva!”
Georg gli lanciò
un’occhiataccia.
Be’,
a me no, caro
Tom.
“Rimettitelo tu se
vuoi,” sbottò, massaggiandosi le tempie.
Non si sentiva granché bene. “Io sono stanco, me
ne vado in camera mia.”
Tom e Gustav si limitarono a fare
spallucce e tornarono alla
playstation, litigando per il prossimo gioco da scegliere. Con ogni
probabilità, se ne sarebbero rimasti incollati lì
fino a che Nicole fosse
tornata – se mai fosse successo, date le circostanze
– e sarebbero stati buttati
fuori da lei stessa.
Senza aggiungere altro, Georg
infilò la porta e tolse il
disturbo.
Marciò pesantemente
attraverso il corridoio, la testa che
gli pulsava dolorosamente; l’effetto
dell’analgesico era durato molto meno del
previsto. Si frugò le tasche alla ricerca della chiave
magnetica, ma non ce
n’era traccia.
“Georg…”
disse una vocina delicata.
Appena sollevò lo sguardo,
notò che Emily stava camminando
verso di lui, tendendogli la tessera.
Lui si sforzò di
sorriderle e la ringraziò. Aprì la porta a
fatica, la vista annebbiata, ed Emily non si mosse da dove stava,
fissandolo
con insistenza. Aveva un’espressione stranamente pacata,
spenta, e il cuore di
Georg gli si strinse nel petto a vederla così.
“Emily,” le si
accucciò di fronte, facendole sollevare il
viso. “Cosa c’è che non va?”
Lei si premette insieme le labbra
contratte, gli occhi che
pian piano andavano colmandosi di lucide lacrime.
“Non ridi, oggi,”
sussurrò ad un volume appena udibile.
“Perché non ridi? A me piace tanto il tuo
sorriso.”
Il battito cardiaco di Georg
cessò del tutto.
Oh,
Emily…
Due grossi lacrimoni scivolarono
lungo il suo visetto
pallido, e lei tirò su con il naso, tentando con evidente
sforzo di
trattenersi. Se ne stava lì, con la sua tutina rosa, ad
aspettare che lui
dicesse o facesse qualcosa. Ma cosa dire, cosa fare, quando una bimba
di
quattro anni che conosceva da pochi giorni lo guardava in quel modo
indifeso?
Provava il desiderio istintivo di
proteggerla, di
confortarla, ma non sapeva da che parte cominciare, avendo anche un
certo
timore di sbagliare.
“Sono solo un po’
stanco,” le disse dolcemente. Gli occhi
gli bruciavano da morire, e si sentiva la fronte sudata, ma non vi
badò. Cercò
invece di regalarle un sorriso rassicurante, asciugandole delicatamente
le
lacrime. “Non ti devi preoccupare, d’accordo?
Passa, dopo un po’.”
Emily fece sì con la
testa, sfregandosi gli occhi.
Lui cercò di rialzarsi in
piedi, ma un capogiro lo fece
vacillare, e dovette aggrapparsi allo stipite della porta per non
cadere.
“Georg!”
esclamò Emily, spaventata. “Non stai
bene?”
“No, sto – sto
bene, tranquilla.” Esalò lui, mentre tutto
gli vorticava intorno.
La sua percezione del mondo esterno
divenne confusa. Sentì delle
voci rimbombargli intorno, ma non riuscì a distinguerne la
provenienza, poi un
familiare profumo indefinito si mescolò al suo respiro, e si
sentì sorreggere
da delle mani incerte.
L’ultima cosa che vide,
prima che tutto diventasse buio, fu un
paio di occhi color pervinca che lo scrutavano ansiosi.
***
Nicole non si era ancora ripresa
dallo spavento.
Dopo essersi goduta quella che
probabilmente era stata la
cena più bella e memorabile della sua vita, aveva lasciato
Bill nella sala
fumatori a scambiare quattro chiacchiere con David e Saki, dicendogli
che
avrebbe cominciato ad avviarsi, e così era salita in
ascensore come immersa in
una nuvola di beatitudine, crogiolandosi nel rivivere ogni singolo
momento
della serata appena trascorsa.
Ma poi le porte
dell’ascensore si erano aperte, e aveva
visto Georg accasciarsi contro la parete, e l’incanto si era
infranto con un violento
colpo al cuore.
Oh, cazzo!
Gli era corsa incontro in fretta e
furia, la sua mente che
valutava rapidamente ogni genere di ipotesi possibile, e lo aveva
aiutato ad
arrivare al letto, in uno stato di semi incoscienza, e ora lei ed Emily
sedevano al suo fianco al bordo del grande letto matrimoniale,
ascoltando lui
che cercava di convincerle che andasse tutto bene, ed era stata solo
una
vertigine improvvisa.
“Non dire
sciocchezze,” lo ammonì Nicole, compunta.
“Hai la
fronte imperlata di sudore freddo e stai tremando, hai decisamente la
febbre.”
Lo sguardo appannato di Georg si
posò su di lei con
impazienza.
“Sul serio, sto
bene,” insisté. “Adesso mi faccio un
tè
caldo e sono a posto.”
Fece per alzarsi, ma Nicole gli
premette una mano sul petto
e lo costrinse a restare sdraiato.
“Non ci provare,”
sentenziò in tono perentorio. “Tu non ti
muovi di lì, il tè te lo faccio io.”
Si alzò, lasciando Emily a
fare il carabiniere, e si diresse
nel salotto, verso il ripiano su cui stavano il minibar e il bollitore
elettrico. Mise dell’acqua a bollire, poi prese una bustina
di tè dalla vassoio
e preparò una tazza.
“Emily, me lo faresti un
favore?” domandò, versando l’acqua
bollente, ma nessuno rispose. Si voltò allora indietro,
scorgendo il letto
oltre la porta aperta, e la vide rannicchiata accanto a Georg,
chiaramente
addormentata.
Nicole sorrise. Lasciò il
tè in infusione ed andò da lei:
la prese in braccio con attenzione e la portò
nell’altra stanza, adagiandola
sul divano cercando di non svegliarla, poi la coprì con una
giacca che era
stata abbandonata lì, e rimase ad osservarla per un
po’.
Ogni tanto, quando ci pensava, non le
sembrava vero di avere
una figlia, ma non si era mai pentita, nemmeno per un solo istante,
della propria
scelta, ed anche se a volte era veramente dura, era sempre stata
abbondantemente ripagata di ogni sacrificio.
Chi
l’avrebbe mai
detto che saremmo finite qui… Avrò fatto bene a
trascinarti in tutto questo?
Ma il volto di Emily era sereno,
sembrava felice, e non
lasciava spazio a molti dubbi sul fatto che si trovasse bene in quel
mondo a
lei del tutto sconosciuto.
Il merito era anche dei ragazzi, che
la trattavano come un’affezionata
sorellina e facevano di tutto per farla contenta. Inoltre, Nicole aveva
la
sensazione che l’avere Emily nei paraggi fosse per loro
particolarmente piacevole,
forse per il fatto che si distraevano volentieri con lei, dimenticando
per un
po’ impegni, stress e problemi.
Era un potere che Emily aveva sempre
avuto, quello di
riuscire ad alleviare le difficoltà della gente, ed era
soprattutto per quello
che Brenda le invitava spesso a stare per qualche giorno da lei a
Parigi.
‘Siete una ventata d’aria fresca’, diceva.
Che vita
strana, che
abbiamo…
Con un sospiro, Nicole si
chinò su di lei e le lasciò un
bacio in fronte, poi andò a recuperare la tazza di
tè e ritornò nell’altra
stanza.
Trovò Georg mollemente
adagiato sul cuscino, il respiro
affannoso ed irregolare, le sopracciglia corrugate in
un’espressione
sofferente.
Posò la tazza sul comodino
e si affrettò a sentirgli la
fronte. Non appena la sua mano sfiorò la sua pelle, la
ritrasse con uno scatto,
sorpresa da quanto fosse bollente.
“Dio mio, scotti
terribilmente.” Esclamò apprensiva.
“Non è
niente.” Replicò lui con un fil di voce che
confermava l’esatto contrario.
Nicole si concesse una risatina
sarcastica.
“Sì, certo, come
no, e io sono la regina d’Inghilterra.”
Le labbra di Georg si incurvarono
lievemente.
“Mi sembrava di averti
già vista da qualche parte…”
ironizzò
in un mormorio strozzato. Lei rise, sollevata nel vederlo
così lucido. Una
febbre alta non era una cosa da sottovalutare.
“Torno subito.”
Gli disse. Andò in bagno e cercò
un’aspirina
nell’armadietto, che fortunatamente trovò, poi
prese un piccolo asciugamano
pulito e lo imbevette di acqua fredda, strizzandolo appena, infine
tornò da
Georg e gli sedette di fianco.
“Ecco qui,” gli
tamponò piano la fronte, con piccoli gesti
calibrati. “Va meglio?”
Georg chiuse gli occhi,
inspirò a fondo ed annuì lentamente.
“Grazie.”
“Figurati,”
replicò lei, mentre con l’altra mano mescolava
il tè in cui aveva sciolto l’aspirina.
“Mi sentirei giusto un pelino in colpa a
lasciar morire di febbre il bassista del mio gruppo preferito. Ti
immagini poi
che fine farei? Ricercata a vita dalle vostre fans assetate di
vendetta.”
Il tentativo di risata di Georg venne
immediatamente
soffocato da un colpo di tosse.
“Ce la fai a tirarti su un
po’?” chiese Nicole, una volta
che l’aspirina fu completamente disciolta. “Ecco,
così.”
Gli sistemò il cuscino
dietro alla schiena per farlo stare
più comodo, e mentre lui si tirava su piano, si accorse che
aveva delle sottili
ciocche di capelli che gli aderivano al viso umido. Senza pensarci due
volte,
Nicole allungò la mano verso di lui, e con un gesto lento e
gentile glieli
scostò di lato. Georg le mormorò un
‘grazie’ roco che la fece sorridere.
Lo aiutò a sorseggiare il
tè poco per volta, e per tutto il
tempo lui tenne lo sguardo fisso su di lei, e lei non riuscì
– pur tentando – a
guardare altrove. Uno strano formicolio le stava solleticando lo
stomaco, e lei
lo attribuì alla preoccupazione che lentamente andava
scomparendo.
Per un
attimo sono
stata sul punto di farmi prendere dal panico,
pensò, sollevata, mentre
Georg si abbandonava nuovamente contro il cuscino, rivolgendole un
flebile
sorriso riconoscente. La sensazione di formicolio allo stomaco si
accentuò
nettamente, e Nicole si sentiva le guance in fiamme.
Se mi sto
ammalando
anch’io sono fregata, rifletté,
corrucciata. Non voglio passare
ciò che resta di questa settimana in stato
semicomatoso!
Ma poi si vergognò
dell’egoismo di quel pensiero, perché se
a Georg quella febbre non passava, ci sarebbero state serie conseguenze
per il
tour. Fortunatamente avrebbe avuto tutto il giorno seguente per
riposarsi e
rimettersi in sesto, perciò, con un po’ di
collaborazione da parte del destino,
si sarebbe ripreso in fretta.
“Ti conviene andare in
camera tua a vedere cosa stanno
combinando quei due,” le mormorò con voce roca.
“Secondo me non si sono neanche
resi conto che Emily li ha piantati in asso.”
Ma Nicole non stava poi
così male, lì dov’era. Georg
l’aveva
incuriosita fin da subito, ma non aveva mai avuto vere e proprie
occasioni per
conversare con lui faccia a faccia. E, okay, forse l’attuale
poteva non essere
il frangente ideale per cominciare, ma, nonostante tutto, lui sembrava
bendisposto verso la comunicazione, e forse era il caso di cogliere al
volo
l’occasione, fintanto che non si chiudeva in se stesso come
suo solito. Magari
era stata proprio la febbre ad allentare un po’ quel suo
distacco perenne.
“Non è il caso
che tu resti solo, stanotte.” Gli disse in
tono pratico. Lui le sorrise in modo ambiguo.
“E che cosa vorresti
fare?” replicò in un soffio, deglutendo
a fatica. “Dormire con me?”
Nicole si sentì avvampare
fino alla punta dei capelli.
Anziché
delirare, mi
tiri fuori queste battutine audaci?
“Smettila, hai capito
benissimo cosa intendevo.” Si schermì
precipitosamente.
“Tu vai a mettere a letto
Emily,” le disse lui. “E non
preoccuparti per me, starò bene.”
Lei esitò titubante:
avrebbe potuto portare Emily nel
proprio letto, e poi tornare a monitorare la situazione, o mandare
Gustav o Tom
a farlo.
“D’accordo,”
decise alla fine. “Ci metterò solo un
minuto.”
Fece per alzarsi, ma Georg la
bloccò per una mano.
“Aspetta.”
Occhi negli occhi, rimasero immobili
per un attimo, senza
battere ciglio, le dita calde di lui sulla pelle fredda di lei. Era
quasi
sconvolgente avere un contatto fisico così improvviso con
lui, benché non fosse
la prima volta, e questo provocò in Nicole un certo senso di
disorientamento.
“Senti,
io…”
“Hey!”
La voce di Bill ruppe quel denso
silenzio, facendola
trasalire bruscamente. Si voltò: lui era sulla porta e
controllava la stanza circospetto,
e lei non poté fare a meno di sentirsi inspiegabilmente in
colpa. Si era
completamente scordata di lui.
“Georg, che ti è
successo?” proseguì Bill, accigliato.
Nicole si levò in piedi
con uno scatto felino, senza nemmeno
accorgersi del fatto che Georg le avesse lasciato la mano.
“Credo sia un po’
di influenza,” rispose, mentre la testa le
si svuotava, come ogni volta che si trovava in sua presenza.
“Qualcuno dovrebbe
restare con lui, stanotte.”
Bill sembrò preoccuparsi
molto. Si fece avanti e passò in
rassegna prima Georg e poi Nicole. Qualcosa nel suo atteggiamento lo
faceva
sembrare insolitamente freddo.
“Resto io,” disse
risoluto. “Non c’è problema, sul serio.
Tu
vai pure a riposare.”
Nicole gettò uno sguardo
incerto a Georg, ma lui le fece un
cenno di conferma con la testa, e lei cedette.
“Se avete bisogno di
qualunque cosa, sapete dove trovarmi.”
Stava già dirigendosi fuori dalla stanza, quando si
ricordò di una cosa. “Stavi
per dire qualcosa, prima?” domandò a Georg.
Lui abbassò lo sguardo,
scuotendo il capo.
“No, nulla. Volevo solo
chiederti di lasciarmi un bicchiere
d’acqua sul comodino.”
“Oh,” Nicole
batté le ciglia, leggermente perplessa. “Mi era
sembrato –”
“A quello posso pensare
io.” Intervenne Bill.
Nicole soppesò
ulteriormente la prospettiva, e giunse alla
conclusione che fosse effettivamente più consigliabile
lasciare che fosse Bill
a restare: lui e Georg erano amici, e sarebbe stato comunque meno
imbarazzante
per entrambi. Non riteneva sconveniente passare la notte al capezzale
di un
ragazzo, ma era sicura che Georg non si sarebbe sentito a proprio agio,
con
lei, ed era quindi meglio farsi da parte.
“Allora io vado,”
Allungò un’occhiata fino al divano, dove
Emily dormiva tranquilla. “Lascio a te le cure del
malato.” Elargì a Bill un
grande sorriso, poi andò a recuperare Emily ed
uscì dalla suite, augurando la
buona notte ai ragazzi. Non appena si fu richiusa la porta alle spalle,
trasse
un profondo sospiro, che esorcizzò parte della tensione di
varia origine che
aveva accumulato.
Che serata
intensa…
***
Bill ancora non aveva compreso cosa
lo avesse mosso a
proporsi per rimanere con Georg quella notte. Non aveva problemi a
tenere
compagnia ad un amico ammalato, ma generalmente non era certo lui la
prima
persona a cui qualcuno si sarebbe rivolto in un caso simile.
Probabilmente, anzi,
era l’ultimo, se non addirittura escluso dalla lista.
Aveva intuito che ci fosse qualcosa
che non andava fin da
quando aveva scorto la porta aperta della camera di Georg, ma la prima
cosa che
aveva provato, quando lo aveva visto disteso sul letto con Nicole
accanto, era
stata un istintivo sentore di fastidio, che la parte più
noiosa di lui si
ostinava a chiamare ‘gelosia’.
Non sono
geloso,
si era detto con veemenza. Non c’
niente
di cui essere geloso, da qualunque punto di vista si guardi la
situazione.
Peccato solo che non fosse bastato
per mettere a tacere quella
voce rodente, che peraltro lo aveva tormentato per tutto il giorno,
rammentandogli
della scena del giorno precedente che tanto si era sforzato di
cancellare dalla
propria memoria. Aveva cercato, non riuscendo a comportarsi in modo
normale con
Georg, di essere almeno equo nella distribuzione del suo malumore,
perciò erano
stati tutti convinti che fosse in preda ad una delle sue lune di
traverso. Era
rimasto intrattabile fino a che non avevano dato inizio a quella
partita alla
playstation, in cui aveva potuto sfogare in modo indiretto la sua
frustrazione
repressa.
Ma il vero
top è stata
la cena, giusto?, suggerì la voce saccente, e
stavolta Bill nemmeno tentò di
scacciarla.
La cena, a tutti gli effetti, era
stata l’aspetto migliore
della giornata.
Raramente gli era capitato di
incontrare ragazze come
Nicole, così matura sotto certi punti di vista, e
incredibilmente bambina sotto
altri, ma si era trovato in sintonia con lei, anche se si era
dimostrato
piuttosto difficile chiacchierare con qualcuno che non riusciva a
guardarti in
faccia per più di tre secondi di fila.
Però
è davvero
piacevole stare con lei.
“Allora, vi siete
divertiti?” Georg lo riscosse dai suoi
pensieri con quella domanda del tutto inattesa. Nella penombra della
stanza, alla
luce giallognola a fioca dell’abatjour, nulla era visibile
tranne vaghe sagome
indistinte, eppure Bill avrebbe scommesso che, nonostante il tono
rilassato,
non ci fosse voglia di sapere, nella voce debole dell’amico.
“Sì,
moltissimo.”
Provò un piacere meschino
nel pronunciare quelle parole, nel
gustare il loro suono, ma se ne vergognò immediatamente.
“È una ragazza
in gamba,” aggiunse, quasi per rimediare alla
propria arroganza. “È facile andare
d’accordo con lei…
Affezionarsi…”
Lasciò in sospeso
quell’ultima parola, cercando di cogliere
la reazione di Georg, ma si sentì molto stupido: uno dei
suoi migliori amici
stava male, e lui pensava a certe emerite cretinate?
Quanto sei
stronzo,
Bill.
Divorato dal senso di colpa,
avvicinò una sedia al
letto e vi si mise sopra a cavalcioni, le braccia avvolte attorno allo
schienale. Si era comportato da perfetto idiota per l’intera
giornata, e forse
sarebbe stato saggio piantarla con le remore puerili, almeno per un
po’.
“Scusa se oggi sono stato
così insopportabile,” disse
umilmente, concentrato su un punto preciso del piumone.
“È stata proprio una
giornataccia.”
L’unica risposta che gli
giunse, però, fu il respiro
regolare e pesante di Georg, che dormiva ormai profondamente. Bill
sorrise e
spense l’abatjour, sperando che la notte gli avrebbe portato
consiglio.
E tu
rimettiti in
fretta, vecchio mio.
----------------------------------------------------------------
Note:
molto bene, credo chi sia ormai giunta l’ora di dare a Cesare
quel che è di
Cesare, o, per meglio dire, ai recensori ciò che
è dei recensori. Innanzitutto voglio
che sappiate che sono profondamente grata a ciascuno di voi per il
vostro
entusiasmo, il vostro sostegno, i vostri complimenti e tutto il
resto… Siete un
pubblico meraviglioso! Ma andiamo con ordine…
Picchia:
sono
costernata, ma Emily non è cedibile. ; ) Se te la senti di
batterti con Nicole
e i Tokio Hotel al gran completo, accomodati, ma al posto tuo non lo
farei. Al
massimo ti possiamo assumere come baby sitter, se ti va!
Kltz:
troppo,
troppo buona. Mi piace sentir definire la mia piccola Emily un
“signor
personaggio”, direi che le sta bene, con quel suo bel
caratterino. Resta
sintonizzata, sono sicura che ti piaceranno i futuri sviluppi.
Lady Vibeke:
doppia
recensione un’altra volta! Viene da chiedersi dove sia la tua
testolina quando
leggi, visto che ti scordi sempre qualcosa! ^^ No, scherzi a parte, da
dove
comincio? Mi prostro in un inchino? Ti bacio l’orlo della
veste? Ti cedo Georg?
No, spiacente, questo mai! ^^ Le tue recensioni diventano sempre
più lunghe e
lusinghiere, e io ormai non so più come fare per non darmi
delle arie per
ricevere tutti questi complimenti da te. Spero di essere sempre
all’altezza
delle tue aspettative.
LiSa90:
sì,
Nicole è un bel po’ smarrita, ma in due occhioni
nocciola in cui chiunque
perderebbe l’anima, tanto da non capire più
niente… Direi che è scusata.
ruka88:
tifosa di
Bill, eh? ^^ Posso solo dirti grazie, perché gli spoiler
sono assolutamente
vietati!
chidroy:
tu
invece sei dalla parte di Georg… presto faremo le squadre,
mi sa. ^^ Grazie per
i complimenti, spero che continuerai a seguirmi.
sososisu:
recensione
significativa, devo dire. ; ) Scommetto che questo capitolo ti
è piaciuto. Chi
vivrà vedrà, comunque, quindi non resta che
attendere. ^^
RubyChubb:
stesso
discorso che ho già fatto a Lady Vibeke, rivolto a te. Conta
molto per me la
tua opinione, anche se qualche vago accenno in merito a questo capitolo
hai già
avuto modo di darmelo… Viel danke!
ada:
spero di
aver aggiornato abbastanza in fretta, almeno stavolta. Ti
dirò, amo tantissimo
le situazioni ambigue, come tu e gli altri avrete senz’altro
capito, perciò c’è
da rassegnarsi, è una cosa che resterà in sospeso
fino alla fine. ^^
Ninnola:
altra
parteggiante per Georg… siete parecchie, vedo! Grazie di
tutto, sei veramente
gentile.
CaTtY:
Bill
poteva eccome farsi furbo, ma che gusto c’era a farli baciare
così presto? ; )
yuke:
immagino
che il tuo adorato sia Gustav o Georg. ^^ E siamo a 4 che si schierano
dalla
parte del bel Listing. (fan di Bill, dove siete??) ^^
Zickie:
grazie
mille!
Chiara88:
e due
per Bill! Lo so, sono stata un po’ stronza con il mancato
bacio, ma era fin
troppo scontato lasciare che succedesse, quindi ho preferito optare per
altri
piani. ; )
kit2007:
la cosa
della prostituzione ai media è un concetto che coltivo da un
bel po’, e in
senso buonissimo, sia chiaro: Bill è l’essere
perfetto per un ruolo come il suo
(ma anche l’essere perfetto e basta), e messo davanti ad una
telecamera soddisfa
ogni possibile qualità richiesta: è esteticamente
favoloso, ha un bellissimo
sorriso, è a proprio agio davanti alle telecamere e la sua
parlantina incanta…
Insomma, questo ragazzo è una “Massmedia
Bitch”!
Kina89:
eccotelo
qui il seguito, spero sia stato di tuo gradimento!
_PuCiA_:
se nei
tuoi biscotti era compreso un ingrediente chiamato cannabis sativa,
allora è il
caso che forse tu inizi a preoccuparti. ; )
Muny_4Ever:
un’altra per Georg… Gente, che qualcuno venga a
sostenermi Bill, o si sentirà
scoraggiato! ^^ Non mi assumo responsabilità in merito alla
scommessa, in
qualunque modo si andrà a concludere. ; )
loryherm:
mi hai
fatta arrossire come un peperone, lo sai? Troppi complimenti! No,
scherzo,
continua pure a farmeli e a nutrire il mio ego, non sarò io
a piangere. ^^
Ranpyon:
ed ecco
qui la vincitrice del premio “Recensione più lunga
della storia”! Complimenti,
mi ha fatto un immenso piacere vedere che la storia ti ha entusiasmata
tanto, è
un onore per me avere lettori partecipi come te.
CowgirlSara:
anche per te vale il discorso che ho già fatto un paio di
volte: il tuo
giudizio è basilare. Sono sorti dubbi, incertezze? Bene, il
mio intento è
riuscito! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo. ^^
Clodie:
sì,
questo capitolo è stato un po’ la chiave di volta
della storia… Ora comincerà
ad arrivare il clou!
dark_irina:
anche
tu parteggi per Georg, dunque? Wow, sinceramente questa cosa mi
stupisce… Dev’essere
scoppiata un’epidemia di Georg-mania! Mi auguro che la tua
pazienza sia stata
debitamente premiata. ^^
valux91:
altra
fan di Bill, eccoti qui! Attenta a dare caramelle a Georg, potrebbe
pensare che
tu ci stia provando, porco com’è. ; )
Bene, ho terminato con i devoti
ringraziamenti, sembra…
Lavoro lungo, ma necessario, visto che vi devo tantissimo per il vostro
incoraggiamento. Vi lascio un grande abbraccio, e vi aspetto tutti al
prossimo
aggiornamento. ^^
P.S. Traduzione canzone citata nella prima parte del capitolo, ossia Purgatory by Iron Maiden: Non riesco ad abituarmi al purgatorio, sai, mi fa davvero piangere, non conoscerò mai la ragione per cui me ne sono dovuto andare, sto piangendo, nel mio profondo... Non mi vedi? Non mi vedi? Non vedo l'ora di scorgere il suo spirito che viene da me, mi sento tentato di portarla qui perché veda... Che cosa significa pendere dall'altro lato... Mi sento così solo...
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Capitolo 11 *** Kiss Kiss, Bye Bye ***
“Certo che se tu ti fossi
degnata di dirmi che sarebbe stata
sufficiente qualche lineetta di febbre per averti al mio capezzale, mi
sarei
fatto una bella nuotata nel Danubio appena messo piede in
Austria!”
“E a quel punto,
anziché la febbre, ti saresti beccato
qualche mutazione genetica.”
Tom continuò a riempirsi
la ciotola di cornflakes, sfoderando
un sogghigno compiaciuto, a cui Nicole rispose con una piccola gomitata.
“Non scherzarci sopra,
comunque,” gli disse, versandogli del
latte. “Guarda che mi sono presa un bello spavento.”
Quando Tom era sceso per la colazione
– insolitamente
presto, per i suoi standard – l’aveva trovata
già seduta al tavolo nella
saletta deserta, intenta ad intingere delle fette biscottate nel suo
caffélatte. L’aveva salutata, poi aveva
sequestrato il dispenser dei cereali
dal tavolo del buffet e se l’era portato dietro con il bricco
del latte, accomodandosi
assieme a lei, e si erano messi a chiacchierare.
“Come mai hai lasciato
Emily da sola?” le domandò, infilandosi
in bocca una generosa cucchiaiata di flakes.
Nicole prese un sorso dalla propria
spremuta d’arancia,
sollevando le spalle.
“Non è da
sola,” rispose enigmatica. Sollevò le mani e si
strinse la coda di cavallo, e Tom si rese conto che era la prima volta
che la vedeva
con i capelli raccolti. Stava molto bene. “Abbiamo incrociato
Gustav mentre
scendevamo.”
“Fammi
indovinare,” la interruppe Tom. “Si stava portando
su
la colazione.”
Nicole fece cenno di sì
con la testa.
“Bah, ma chi glielo fa fare
di fare su e giù? Non so che
cos’abbia contro il servizio in camera mattutino.”
“Magari ha solo voglia di
sgranchirsi un po’,” ipotizzò
Nicole. “Quando Emily ha scoperto che voleva fare colazione
in camera non c’è
stato verso di convincerla a lasciarlo in pace,” scosse la
testa, levando gli
occhi al cielo con fare incredulo. “Alla fine Gustav ci ha
proposto di unirci a
lui, e io non ho proprio potuto dire di no di fronte alle implorazioni
di Emily.”
“E allora cosa ci fai
qui?”
Lei accavallò le gambe e
si abbandonò liberamente nella
comoda sedia, arricciando un angolo della bocca.
“Avevo voglia di
sgranchirmi un po’ anch’io e fare la
signora in questo meraviglioso hotel.” Disse in un
accentuatissimo tono snob.
“Tu invece cosa ci fai già in piedi? Non dovresti
essere quello che dorme fino
alle sei di sera?”
“Tu guardi troppo i nostri
dvd,” la prese in giro lui,
mentre leccava la crema da uno dei biscotti che lei aveva avanzato.
“E comunque
capita a tutti di uscire dalla routine, qualche volta.”
“Sì, il brivido
del rompere gli schemi.” Ironizzò lei.
Tom annuì, fingendosi
pensieroso. Secondo le sue stime
personali, gli altri non si sarebbero fatti vivi prima di almeno un
paio d’ore,
se non addirittura dopo l’ora di pranzo, vista soprattutto la
nottata
turbolenta. Probabilmente Georg non si sarebbe nemmeno alzato, anche se
doveva
stare già molto meglio; conoscendolo, avrebbe oziato tutto
il pomeriggio,
servito e riverito come un pascià.
“Dì un
po’,” le disse, improvvisamente memore di un certo
dettaglio non indifferente. “Com’è
andata alla fine la cena col mio
fratellino?”
La domanda clou, quella che aveva
atteso di porle fin dalla
sera precedente. Si sentiva una ragazzina pettegola per via della
morbosa
curiosità che nutriva per la faccenda, ma, al diavolo, se
Bill si era preso una
cotta decente – e se l’era presa eccome, visti i
suoi atteggiamenti – non ci si
poteva risparmiare sugli interrogatori.
Ma tu, mia
piccola
Nicole? Tom cercava di leggerle nello sguardo qualche segreto
che le sue
parole probabilmente non avrebbero mai raccontato. Tu
cosa diavolo provi, si può sapere?
Come previsto, l’immediata
reazione di Nicole fu di imbarazzo.
Lui rise nel vederla tuffarsi a capofitto nel bicchiere di succo,
cercando di
celare, anche se invano, il diffuso colorito scarlatto che le aveva
tinto le
guance.
“Ma quanto sei
tenera,” sghignazzò. “O forse dovrei
dire
patetica?”
“Ma quanto sei
gentile,” lo rimbeccò lei, mostrandogli la
lingua. “O forse dovrei dire perfido?”
“Realista.”
Puntualizzò lui.
“Secondo te gli da
fastidio?” domandò Nicole timidamente.
“Il fatto che io sia così goffa quando
c’è lui nei paraggi, intendo,”
specificò
quanto Tom assunse un cipiglio interrogativo. “Insomma, a me
darebbe sui
nervi…”
Bene, bene,
bene,
Sandberg, sembra che tu abbia voglia di parlare,
pensò deliziato. Dì
tutto allo zio Tom, sono tutt’orecchi!
“È stato
così carino per tutta la cena, mi ha parlato molto
di voi, della vostra storia come gruppo, e di…”
Aggrottò la fronte accigliata.
“Non sono sicura di aver capito, a metà discorso
mi sono resa conto di non aver
afferrato mezza sillaba.”
Tom rise davanti a lei che si portava
le mani al viso,
gemendo sommessamente.
“Penseresti che una alla
mia età dovrebbe essere in grado di
avere un minimo di autocontrollo… Ma giuro che proprio non
ci riesco.”
“Ho visto donne ben
più mature di te perdere la testa
davanti a Bill,” replicò lui con nonchalance.
“Venerano me, Georg e Gustav come
divinità sacre, ma Bill se ne sta sempre un gradino sopra.
Non è colpa sua,”
precisò, ben conscio del fatto che Bill, per quanto potesse
essere una
primadonna a tutti gli effetti, bisognoso di attenzioni continue, non
si fosse
mai andato a cercare una posizione privilegiata.
“È fatto così…
Conquista.”
Il naso di Nicole si
arricciò.
“Mi piacerebbe avere
cognizione delle mie azioni mentre
parlo con qualcuno, soprattutto se…”
Esitò, lasciando la frase in sospeso sulle
proprie labbra, che prese a mordicchiare nervosamente.
“Soprattutto se quel
qualcuno ti piace.” Finì Tom per lei.
Dall’espressione di Nicole,
fu matematicamente certo di aver
colto nel segno. Non che fosse arduo, vista l’esplicito
favore di cui Bill
aveva goduto fin da subito con lei, ma forse qualcosa era cambiato, da
allora,
forse qualcosa si era smosso, e forse non sarebbe stato male
approfondire la
cosa. Del resto, era stato Bill a volerla portare a cena – e
a costringere
implicitamente chiunque avesse per caso voluto avere l’ardire
di dire ‘Vengo
anch’io’ a tacere per il proprio bene – e
siccome Bill non lasciava mai nulla
al caso, Tom si sentiva autorizzato a cominciare a ricamarci sopra
almeno un
po’, giusto quel minimo sindacale concessogli dal suo solito
menefreghismo,
momentaneamente accantonato in favore di un’avida bramosia di
scoprire.
“Smettila.” Gli
intimò Nicole secca.
Lui batté le ciglia con
assoluta innocenza.
“Smettila cosa?”
“Ti sento pensare da
qui,” ribatté lei, sollevando un
sopracciglio. “E so per certo che qualunque cosa ti stia
passando per la testa non
ha nemmeno un remoto legame con la realtà.”
Qui i casi
sono due,
si disse Tom, o mente spudoratamente, o
non ha la più pallida idea di quello che dice… O
di quello che sente?
Probabilmente la terza supposizione
era la più credibile. E
la peggiore, anche, perché nei primi due casi era implicata
una ben solida
consapevolezza, mentre nel rimanente… Be’, se lei
stessa non sapeva comprendere
i propri sentimenti, allora c’era ben poco da fare.
“Lo stai facendo di
nuovo.” Cantilenò Nicole, sporgendosi in
avanti sul tavolo.
“Sai essere veramente
noiosa, lo sai?” si lagnò Tom. “Il che
è un peccato, perché sei così
carina… Ma se non altro spiega perché tu e Bill
andiate così d’accordo.” Tom la
squadrò, stringendo gli occhi in due fessure.
“Com’è che questo tuo caratterino con
lui non viene mai fuori? Non capisco
perché con me sembri così disinvolta –
così sfacciata – mentre con Bill sei
rigida come i suoi capelli dopo il trattamento mattutino.”
Per tutta risposta, Nicole si
pulì la bocca con un tovagliolo
e si alzò da tavola.
“Dove vai?”
indagò Tom.
“A recuperare mia figlia
prima che Gustav si accorga che è
una peste sotto copertura.”
“È il tuo
messaggio cifrato per comunicarmi che vai a vedere
come stanno Bill e Georg?”
Nicole inarcò le
sopracciglia, scrutandolo dall’alto.
“Anche se fosse?”
Tom fece un gesto incurante, ma non
riuscì a risparmiarsi
una battuta provocativa.
“Nulla. Siete adulti e
vaccinati, e tu sembri addirittura
responsabile…”
Nicole lo mandò
velatamente a quel paese, pur ridendosela
sotto i baffi.
“Prova a non pensare al
sesso per almeno cinque secondi, se
ce la fai.” Lo sfidò, poi gli voltò le
spalle.
Lui la osservò mentre si
allontanava, studiandone i
movimenti con un ghigno malizioso.
Finché
mi concedi
certi spettacoli, te lo puoi scordare, stellina.
La sua domanda, intanto, rimase senza
responso.
***
Bill uscì dalla doccia
meravigliosamente rinvigorito. La
nottata passata a dormire sul divano non era stata delle più
piacevoli – vista
soprattutto la frequenza con cui si era alzato a controllare che Georg
stesse
bene – ed ora aveva il collo indolenzito e la sensazione si
essere stato preso
a mazzate sulle giunture delle ginocchia.
Afferrò uno degli
asciugamani ordinatamente piegati ed
impilati sul vasto ripiano di marmo – prova evidente che
Georg ancora non vi
aveva messo mano – si asciugò in fretta, poi
cominciò a rivestirsi.
Si stava allacciando i pantaloni,
quando qualcuno bussò
piano alla porta.
Andò ad aprire a piedi
nudi, gocciolando qua e là con i
capelli ancora bagnati, sottili rivoli d’acqua che gli
colavano sul petto e
sulla schiena. Quando aprì, trovò qualcuno che
non si era aspettato.
“Nicole,”
esclamò, stupito. “Ciao.”
Lei riuscì a stento ad
abbozzare un sorriso spiazzato,
mentre il suo sguardo indugiava su di lui, sul suo torso nudo ed umido.
Le gote
di Nicole non erano mai state così rosse.
“Scusa,”
balbettò, puntando gli occhi solidamente a terra.
“Volevo solo –” Era deliziosa,
così impacciata e in imbarazzo. “Come sta
Georg?”
“Dorme come un angioletto,
e la febbre sembra passata,” disse
lui con un lieve sorriso rassicurante, e si fece da parte.
“Entra.”
Nicole obbedì remissiva e
Bill richiuse la porta.
“È andato tutto
bene stanotte?” Gli domandò, seguendolo
verso la stanza da letto della suite. “Ero un po’
preoccupata per lui.”
Una sottile scheggia di gelosia
– e stavolta non poté non
riconoscerla come tale – punse Bill alla sinistra del torace.
Non potevo
prendermela
io la febbre?
Bill si diede uno schiaffo
immaginario per via di
quell’assurdo pensiero. Un conto era ribollire di gelosia, un
altro arrivare
addirittura desiderare di ammalarsi per ricevere qualche attenzione in
più. Patetico, ecco cos’era. Vergognosamente, disgustosamente
patetico.
Comprati una
dignità,
Bill, si disse, indignato di se stesso.
Nicole avanzò verso la
porta che l’avrebbe condotta a dove
Georg stava dormendo, ma Bill voleva tenersi almeno un momento con lei
solo per
sé, e prima ancora di accorgersene, le afferrò il
polso e la fermò.
“Aspetta.”
E
lei aspettò. Ci fu
uno strano bagliore nei suoi occhi quando si voltò verso di
lui, un lampo di
sorpresa e stupore, che lui non seppe come interpretare.
“Non ti ho ancora
ringraziata come si deve per la bella cena
di ieri sera.” Disse, buttando fuori la prima cosa che gli
passò per
l’anticamera del cervello.
Il viso di Nicole fu illuminato da un
sorriso radioso. Apparentemente
dimentica del fatto che lui non indossasse altro che un paio di jeans, lei scosse il capo, finalmente guardandolo negli occhi.
“No, sono io quella che
deve ringraziare!” ribatté. “Insomma,
non avrei mai creduto che un giorno io e te…”
Lasciò morire il discorso
a metà, abbassando lo sguardo
mentre lui muoveva un passo in avanti, senza lasciarle il polso. Bill
non era
certo di quel che stesse facendo, ma seguiva ciecamente la propria
volontà,
senza domande, senza riflettere.
Tu stai letteralmente morendo dalla
voglia di baciarla, gli
fece notare una voce petulante
proveniente
da chissà quale anfratto della sua testa. Ma il non riuscire
a vedere gli occhi
di Nicole lo fece rinsavire. Forse non valeva la pena di correre e
spaventarla.
Non voleva darle l’impressione sbagliata.
Se tu la
baciassi,
direi che l’impressione che ne avrebbe sarebbe ben poco
sbagliata, non credi?,
incalzò la voce. Bill fece del proprio meglio per metterla a
tacere; lo stava
confondendo.
Un
compromesso, si
disse determinato, scrutando dall’alto la testa china di
Nicole. Un ragionevole compromesso…
Le sue dita, ancora fredde dopo la
doccia tonificante, si
staccarono dal polso e salirono a posarsi – non senza qualche
esitazione – sul
viso pallido di Nicole, la quale fremette sotto al suo tocco, senza
ancora
osare guardarlo. Stranamente irrequieto, Bill si soffermò un
altro istante a
considerare la situazione: le sue intenzioni erano chiare, e se lei non
lo
avesse voluto, avrebbe già fatto in modo di farglielo capire.
Ragionevole
compromesso, rammentò a se stesso, mentre le si
avvicinava ulteriormente.
Si chinò lentamente su di
lei, calibrando ogni minimo
movimento, e lei rimase immobile, aspettando con un vago sorriso
dipinto sulla
bocca. Bill inspirò profondamente.
Ora o mai
più…
Le sfiorò una guancia con
le labbra, incontrando per un
breve attimo la sua pelle calda. Era morbida, e profumava di agrumi. Si
risollevò lentamente, leccandosi le labbra, un po’
per i dubbi che nutriva in
merito all’imminente reazione di Nicole, un po’ per
riassaporarla di nuovo, in
caso non avesse più avuto un’occasione futura di
ripetere quel gesto.
In caso la risposta che sta per
arrivarmi fosse uno schiaffo
o qualcosa del genere.
Ma era più che evidente
che Nicole non avesse in mente nulla
di tutto ciò. Il suo sorriso, pur intrappolato dagli
incisivi che tormentavano
il labbro inferiore, si era fatto più netto, e le sue gote
più rosse. Bill la
adorò per quella sua aria di genuino smarrimento.
Non credo
che tu ti
renda conto di quanto tu sia irresistibile quando fai così.
“E questo per che
cos’era?” chiese lei in un soffio.
“Niente,” fece
lui con una scrollata di spalle incurante.
“Le tue guance hanno un aspetto invitante.”
Nicole fece per dire qualcosa, ma
proprio allora la porta
che conduceva alla stanza da letto si aprì, e ne emerse la
testa di Georg.
“Mi sembrava proprio di aver
sentito delle voci.” Disse, il tono un
po’ roco, poi lo sguardo gli cadde su Bill e la sua
espressione mutò
all’istante. “Scusate, non volevo
interrompere…”
“Non hai interrotto
niente.” chiarì Bill precipitosamente.
Un po’ troppo precipitosamente, forse.
Georg aveva l’aria di
sentirsi parecchio di troppo.
Era visibilmente provato, gli occhi
gonfi e cerchiati da
ombre scure, il volto sciupato, di un brutto colorito grigiastro, e
Bill si
domandò se fosse nelle condizioni di subire il viaggio fino
a Dublino che li
attendeva nel pomeriggio.
Quasi a voler confermare i sospetti
di Bill, Georg sembrò
sul punto di perdere l’equilibrio e dovette appoggiarsi allo
stipite della
porta per tenersi in piedi.
Ci volle poco più di un
battito di ciglia perché Nicole gli
andasse incontro per aiutarlo.
“È meglio che tu
resti a letto finché puoi,” gli disse,
sorreggendolo, poi si rivolse a Bill. “Dammi una mano,
riportiamolo indietro.”
Lui obbedì.
Riaccompagnarono Georg al letto e lui vi si
sedette con un sospiro.
“Grazie.”
mormorò, sollevando a stento lo sguardo.
Bill osservò attentamente
come Nicole gli si andò a sedere
accanto e gli posò la mano sulla fronte, per poi spostarla
quasi subito, con un
sorriso risollevato. Osservò come Georg sembrava temere di
incrociare i suoi
occhi, rifuggendoli ogni volta che si azzardava ad incontrarli con i
propri.
Osservò la gentilezza con cui lei domandava a lui come
stesse, se gli andasse
di mangiare qualcosa, e stavolta il sentimento che gli
graffiò nel petto non
era semplice gelosia, ma il mostro dagli occhi verdi per eccellenza:
l’invidia.
Gli venne da ridere al pensiero che,
ironia della sorte,
fosse Georg, tra loro due, ad avere gli occhi verdi, ma non era lui
quello che
si stava tacitamente rodendo il fegato.
E mentre Nicole si sporgeva in avanti
oltre Georg per
afferrare la cornetta del telefono e far portare qualcosa per la sua
colazione,
Bill continuava a sentirsi un idiota per via di quelle paranoie
esagerate che
si faceva, ma che, nonostante la consapevolezza che fossero, per
l’appunto,
esagerate, non poteva proprio risparmiarsi.
Forse i
ragazzi hanno
ragione quando mi danno dell’egoista viziato…
Eppure, in quel frangente, sentiva
che quelle paranoie
erano pienamente giustificate.
***
Gustav trottò
giù dagli scalini che conducevano al vicolo
sul retro dell’hotel con Emily in spalla, che rideva a
crepapelle. Da quando
avevano fatto colazione insieme, quella mattina, non si erano
più mollati un
secondo.
Gli erano sempre piaciuti i bambini,
e sicuramente sperava
di averne, prima o poi, con la ragazza giusta, ma Emily era un perfetto
surrogato
di figlia, e giocarci insieme era più spassoso per lui che
per lei, anche
perché la piccola era un vero e proprio vulcano di sorprese.
Gli aveva fatto il disegno di una
batteria su un foglio a
caso che aveva trovato in giro, e anche se non poteva dirsi esattamente
portata
per le arti figurative (almeno per ora), Gustav era rimasto non poco
stupito di
scoprire che era invece abilissima a scrivere: la dedica che gli aveva
lasciato
era non solo grammaticalmente ineccepibile, ma anche piuttosto elegante.
Per Gustav,
il
batterista più bravo del mondo. Grazie per la musica che tu e i Tokio Hotel suonate per noi che vi vogliamo bene. Con tanto affetto, Emily.
Alle loro spalle, Tom, Bill e Nicole
li stavano
raggiungendo, seguiti dal passo più lento di Georg,
imbacuccato per bene, sorvegliato
a vista da Saki.
“Dublino, dolce Dublino,
stiamo arrivando!” esultò Tom,
stiracchiandosi le braccia sopra la testa con un largo sbadiglio. Il
bus era
fermo in mezzo al vicolo, pronto a caricarli.
Gustav pensò fosse un bene
che avessero scelto di evitare
l’uscita principale, almeno stavolta.
“Tom, quanto sei
ipocrita!” lo ammonì, mentre Emily gli
circondava il collo con le braccia. “Dì le cose
come stanno, per una volta.”
Tutti sembravano essere
d’accordo con lui, tranne Nicole,
che li guardava uno ad uno senza capire.
“Devi sapere che un paio di
anni fa, Tom ha conosciuto due
bellissime gemelle, a Dublino, e… Diciamo che ha avuto modo
di approfondire
meglio i costumi locali.” Spiegò Gustav, e allora
Nicole annuì maliziosa.
“Certo, capisco. Due
gemelle tutte per lui, chissà che
divertimento…”
“Oh, ma Tomi non
è l’egoista che sembra,” intervenne
Bill,
con un mezzo ghigno che Gustav trovò eccessivamente perfido
per un banale scherzo. “È
stato così buono da condividere la fortuna con qualcun
altro,” si voltò verso
Georg, il quale gli rivolse un’occhiata a metà
strada tra lo stupefatto e il
collerico, che però parve non impietosire né
intimidire Bill. “Vero, Georg?”
aggiunse, con una punta di veleno che forse Nicole non notò.
“Si incontrano tutte le
volte che siamo nei
paraggi.”
Una pausa di silenziosa tensione
piombò tra Bill e Georg, e
Gustav scambiò un’occhiata allarmata con Tom,
probabilmente ponendosi la sua
stessa domanda.
Bill, ma che
ti
prende?
-----------------------------------------------------------
Note: Un milione di miliardi di grazie a tutti voi che leggete, recensite, mandate email e mi contattate via msn! Vi amo, dal primo all'ultimo! Un grazie speciale va a Sara, che ha fatto un disegno di Emily e Nicole che dire bellissimo è dire niente... Eccolo qui: http://i40.photobucket.com/albums/e215/SaraLab/EmilyeNicole.jpg?t=1203027118.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, e spero anche che recensierete, perché adoro le vostre recensioni, e soprattutto adoro leggere cosa ne pensate e cosa vi aspettate... Molti di voi hanno un ottimo spirito di osservazione! ^^ Nel prossimo capitolo ci sarà da divertirsi (si fa per dire), quindi aspettatevi di tutto. ;)
Un bacione, alla prossima! |
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Capitolo 12 *** Home ***
Il verde brillante delle pianure e
delle colline, il blu
intenso del cielo, l’aria frizzante e pulita,
l’atmosfera che sapeva di antico,
di accogliente, di caldo. Un luogo che sapeva di casa.
Erano due anni che non ci metteva
piede, ma Nicole non aveva
scordato l’Irlanda, né aveva dimenticato la sua
splendida capitale. Non aveva
scordato l’altra metà di se stessa, e
l’amava ancora, esattamente come la prima
volta, e come tutte le altre.
Aveva ammirato con gioia la periferia
della città, con le
sue case bianche e i suoi quartieri ordinati, i prati rigogliosi e ben
curati, e
gli autobus blu e gialli a due piani che spuntavano in ogni dove: la sua Dublino
era ancora
il piccolo paradiso che ricordava, sempre identica ai racconti pieni di
nostalgia di sua madre.
Non credevo
che sarei
tornata così presto da te…
Dopo lo spettacolare concerto della
sera prima e la lunga
sessione di interviste di quella mattina, la troupe al gran completo
dei Tokio
Hotel si stava ancora godendo i rimasugli di un meritatissimo pranzo di
gratifica in un piccolo ristorantino sulla costa, riservato
appositamente per
loro. Nicole conosceva bene quel villaggio, Howth: ci era stata
parecchie volte
negli anni precedenti, con la propria famiglia. A Brigit, sua madre,
piaceva
tornare spesso nella propria terra di origine, e sia Nicole che Brenda
avevano
presto scoperto di amare quel paese almeno quanto la loro Germania.
Nicole sedeva sulla panchina nel
vasto giardino del
ristorante, ammirando gli scintillii del sole che brillava sul mare e
sulla
scogliera della baia.
Emily era con Gustav e Bill al
recinto delle pecore, e
fissava l’intero gregge con un interesse smisurato, non
avendo mai avuto
occasione di vederne, se non in televisione.
Era una bella giornata, piuttosto
calda, pur essendo solo
metà febbraio, e sembrava quasi di trovarsi lì
per una vacanza, più che per
lavoro.
Mentre osservava un gruppo di
gabbiani che atterravano
elegantemente sullo specchio d’acqua, il cellulare che aveva
in tasca cominciò
a suonare. Nicole prese appunto mentale di cambiare la suoneria di
Monsoon con
una un po’ meno ovvia, poi si portò il cellulare
all’orecchio, il nome di
Brenda che lampeggiava sul display.
“Ciao Bree.”
“Nicole!” la voce
estenuata di Brenda gracchiò dall’altra
parte. “Sono secoli che cerco di chiamarti, ma non eri
raggiungibile, dove
diavolo ti hanno portata, nel Gran Canyon?”
Nicole si sforzò di non
ridere.
“Ti avevo fatto una lista
di date e luoghi, ricordi?”
“Sì,
sì, lo so,” brontolò Brenda, sbuffando
impaziente. “Me
l’ero scritta da qualche parte, ma non ricordo
dove… Forse su quel libro che ho
scordato ieri in metropolitana, o forse sul cartone della pizza, che ne
so…”
Dalle continue pause, Nicole
intuì che stava fumando, e
probabilmente, essendo le tre del pomeriggio di lunedì
mattina, si era
addirittura appena svegliata.
“Dovresti faxarmi di nuovo
un riassunto delle prossime tappe,” stava
proseguendo, imperterrita. “All’ufficio di Gabe,
magari, così so dove trovarlo
quando mi serve. Odio non sapere dove siete tu e quella pazza di mia
nipote,
soprattutto vista la compagnia che –”
“Siamo a casa,
Bree.” La interruppe Nicole, sentendosi
affiorare un sorriso sulle labbra. Ovviamente, Brenda non
afferrò subito.
“A casa?” fece,
stupita. “Sono sicura che Lipsia non fosse
sulla lista dei concerti… O sì? Maledizione, devo
trovare quella cosa dove
avevo trascritto tutto…”
“Brenda,” Nicole
la interruppe di nuovo, soffocando una
risata. “Non a Lipsia… A casa.”
Una pausa di silenzio
denotò la riflessione in corso di
Brenda.
“Cazzo, è
vero!” esclamò alla fine, la voce improvvisamente
più trillante e presente. Seguì uno schiocco,
presumibilmente di una mano che
colpiva la fronte. “Dublino!”
Nicole le raccontò un
po’ di tutto quanto avesse fatto
finora, e di come Emily si stesse divertendo ed avesse ormai
conquistato
praticamente chiunque. Le parlò dell’arrivo in
Irlanda, dell’organizzazione del
concerto e dell’ottimo pranzo che avevano consumato, e Brenda
ascoltò con
devozione ogni dettaglio, anche dei due turbolenti giorni precedenti in
cui non
si erano sentite. Quando arrivò a parlare
dell’episodio del mattino precedente,
le sembrò quasi di vedere le pupille di sua sorella
dilatarsi dalla curiosità.
“Aspetta un
attimo,” interloquì Brenda, esagitata.
“Mi stai
dicendo che Bill ‘Sexy’ Kaulitz ti ha
baciata?”
“Non baciata baciata,”
precisò Nicole, arrossendo. “Solo sulla
guancia.”
Il semplice ricordo la fece sentire
un po’ disorientata: non
era ancora del tutto sicura di aver metabolizzato fino in fondo la
cosa,
probabilmente per via della buona dose di follia che l’idea
implicava. Quante
sue coetanee potevano vantare un problema simile? Bill Kauliz, frontman
e
leader dei Tokio Hotel, aveva consacrato il suo viso con un bacio, e
lei ancora
era impegnata in un lungo processo di valutazione dei possibili
significati di
un simile gesto.
Ma
perché anziché
stare a farti venire queste turbe mentali, non ti accontenti del
semplice fatto
che sia stato così carino?, suggerì
saggiamente l’ultimo rimasuglio
raziocinante di se stessa, ma Brenda la distrasse prima che lei potesse
veramente pensarci.
“E ora come sta il dio del
sesso, a proposito?”
Nicole corrugò la fronte,
perplessa.
“Come sta chi?”
“La calamita per estrogeni,
Nicole, hai presente?” fece
Brenda, sardonica. “Quel ragazzo tutto muscoli e lineamenti
da purosangue teutonico,
occhi più verdi del verde e voce da orgasmo istantaneo?
Quello che mi hai
appena detto di aver amorevolmente accudito per via di una brutta
febbre, sai…”
Qualche meccanismo scattò
nella mente di Nicole,
sbloccandola dal pensiero di Bill e riportandola in carreggiata.
“Ah, Georg,” Una
vaga sensazione di calore le avvolse il
volto. “Sta bene. Ancora un po’ sottotono, ma direi
che ormai è guarito. Ieri
sera al concerto è stato assolutamente…”
Si bloccò.
Un’ombra era apparsa all’improvviso sopra di lei,
e, nell’alzare la testa, si era trovata ad incontrare quel
famigerato paio di
occhi più verdi del verde che Brenda aveva appena nominato.
Georg le rivolse un piccolo
sorrisetto curioso, una
sigaretta tra le dita, e Nicole ebbe la netta sensazione che stesse
aspettando
che lei finisse la frase.
“Assolutamente
fantastico.” Disse allora, senza smettere di
guardarlo, quindi lui le sorrise apertamente, e si appoggiò
al muro di pietra,
limitandosi a consumare la propria sigaretta in silenzio.
“Salutameli tutti quanti,
uno per uno, e dai un bacio
gigantesco ad Emily, io devo scappare,” disse Brenda, mentre
il suo tono si
faceva aspro. “Ho un appuntamento con quella sgualdrina che
deve scrivere un
pezzo sui miei locali per Le Figaro… Un acido che non ti
dico.”
“D’accordo,”
rispose lei. “A presto, e salutami Gabe e
quella santa donna di Grete, ne ha di coraggio a farti da
governante.”
Brenda chiuse la chiamata con qualche
raccomandazione
estrema ed un ultimo saluto. Nicole ripose il cellulare nella tasca dei
propri
jeans e guardò di nuovo in su, verso Georg: fumava la sua
sigaretta con fare
tranquillo, osservando Bill che sollevava Emily per farla sedere sulla
staccionata. Nicole si sentiva la sua attenzione addosso, anche se
stava
scrutando altrove.
“Ho avuto un tempismo
vergognoso, vero?” disse, resuscitando
nella testa di Nicole la definizione che Brenda aveva efficacemente
usato per
descrivere la sua voce.
Lei trasferì la propria
attenzione sulle sfumature dei
propri stivali scamosciati, l’udito concentrato sulle risate
di Emily, Gustav e
Bill – a cui ora si era unito anche Tom – carpendo
con la coda dell’occhio il
movimento di Georg che buttava la sigaretta a terra e la spegneva con
il piede.
“Non so di cosa tu stia
parlando.” Mentì.
Georg sollevò un
sopracciglio, e con esso un angolo della
bocca.
“Non so se te
l’hanno mai detto, ma la bugiarda non è
proprio il tuo mestiere.” Le fece notare.
Lei chinò il capo,
scuotendolo sconfitta, e risero entrambi,
con una rilassatezza che fu un vero sollievo per Nicole.
“Comunque non
c’era nulla da interrompere, credimi.”
Chiarì,
e si stupì nello scoprire di aver inconsciamente
classificato l’evento come
‘nulla di sentimentalmente rilevante’.
Se lo sarebbe ricordata a vita, quel
piccolo, innocentissimo
bacio, non come fonte di inutili illusioni, ma come semplice,
bellissimo
ricordo da portarsi dentro. Se in futuro avesse dovuto struggersi per
qualche cosa,
almeno si augurava che sarebbe stato qualcosa più
significativo di un bacetto
sulla guancia.
“D’accordo,”
asserì lui, alla fine. “Diciamo che ti
credo.”
“Come sarebbe diciamo
che mi credi?” saltò su lei, portandosi
le mani sui fianchi esibendo
indignazione. Lui roteò gli occhi divertito.
“E va bene, ti
credo.”
Restarono per un po’ a
guardare Gustav, Bill e Tom che litigavano
per chi di loro dovesse portare Emily a cavalluccio, e alla fine fu Tom
a
spuntarla.
“Sembra che se la stiano
proprio spassando.” Osservò Nicole.
Aveva creduto che, dato la scarsità di rapporti che aveva
avuto con gli uomini,
Emily avrebbe avuto qualche problema a rapportarsi con loro, ma si era
decisamente sbagliata. “Come mai non sei là anche
tu a contendere il prossimo
giro?”
Ad una domanda posta per gioco,
giunse una risposta che le causò
un violento sobbalzo al cuore.
“Volevo stare un
po’ con te.”
Nicole deglutì il vuoto
mentre uno strano ronzio le riempiva
le orecchie.
‘Volevo…’
Lo aveva detto sul serio?
‘Stare…’
Ma, soprattutto, lo aveva detto nel
senso in cui lei lo
aveva inteso?
‘Un
po’…’
E perché lei desiderava
così ardentemente che lo avesse
detto proprio in quel senso?
‘Con
te.’
Nicole dovette muoversi violenza
psicologica per impedire
alla propria fantasia di uscire da quella minuscola gabbia angusta in
cui la
aveva imprigionata da anni, ormai.
“Ti va di fare quattro
passi?”
Reset.
Pensieri, percezioni e sensazioni si
fusero in un unico
attimo di nulla, breve ed effimero, ma assoluto, e poi Nicole si
sentì
articolare quel ‘Sì’ trasognato, e
davanti a lei Georg le porgeva una mano per
aiutarla ad alzarsi con un sorriso gentile. Un brivido tiepido si
diffuse lungo
la sua spina dorsale.
Quello
sguardo…
Si lasciò issare in piedi
dalla forza del braccio di lui, incapace di infrangere quel contatto visivo che si era creato tra loro.
Georg era un tipo taciturno, di
norma, ma Nicole aveva avuto
il privilegio di vedere quello che c’era dietro la maschera
che presentavano la
tv e i giornali, di conoscere la persona al di là del
personaggio, e quello che
aveva scoperto era qualcosa che non avrebbe mai nemmeno immaginato.
E ora, mentre camminava con lui sulla
spiaggia di ciottoli
antistante il ristorante, c’era qualcosa di elettrico che
vibrava tra loro,
qualcosa che Nicole non conosceva, ma che scoprì di gradire.
Lo sciabordio lento e ritmico delle
onde era rilassante,
accompagnava i loro passi assieme alle grida lontane dei gabbiani, e
lei si
sentiva bene. Veramente bene.
“Hai un’aria
strana da ieri sera,” esordì Georg, calciando
un sasso, le mani affondate nelle tasche. “Dipende dal fatto
che siamo nella
patria di tua madre o dal fatto che tu e Bill –”
“Mia madre,”
rispose lei repentina, domandandosi quanto e quanto dettagliatamente lui sapesse – o avesse immaginato – di lei e
Bill, e, soprattutto,
stupendosi del fatto che lui ricordasse le origini di sua madre.
“È bello e
terribile al tempo stesso essere di nuovo qui”
confessò. “È da quando lei e mio
padre sono morti che non ci mettevo piede.”
Sospirò, accarezzando con le dita
la lunga treccia che le raccoglieva i capelli. Era un sentimento strano
da
comunicare. “Ti è mai capitato di sentirti felice
per qualcosa, ma di non
riuscire a vivere fino in fondo il momento perché sapevi che
non sarebbe
durato?”
Georg si fermò, il vento
che gli scompigliava i capelli, gli
occhi socchiusi per via della forte luce del sole, e la
guardò fisso per una
manciata di interminabili secondi.
“Sì, “
asserì poi, sorridendo appena. “Ho in mente giusto
qualcosa di analogo.”
Nicole si inumidì le
labbra, cercando di mettere ordine in
ciò che sentiva, e l’impresa si
dimostrò più ardua del previsto: troppe cose le
affollavano l’anima, molte note e riconoscibili, altre erano
solo vaghe ombre senza
nome e contorni precisi, novità che ancora non si sentiva di
affrontare. Si
chinò per raccogliere una bella pietra bianca levigata dalla
forma ovale, e
alla fine si sedette a terra, rigirandosela tra le mani. Georg la
imitò.
“Venivo spesso qui, con la
mia famiglia,” Era la prima volta
in tutta la sua vita che Nicole si apriva con qualcuno riguardo certi
eventi
del suo passato, e, stranamente, non nutriva alcun tipo di timore. Lui
era lì,
si offriva di ascoltarla, di darle conforto, e lei si
confidò con lui,
semplicemente perché sentiva di fidarsi. “Era una
sorta di oasi di pace. Quando
eravamo in Irlanda non esistevano problemi o lavoro,
c’eravamo solo noi
quattro, e mia madre era sempre così felice di tornare
qui… Anche adesso che
loro non ci sono più, questo posto per me resta
un’isola felice, ma…”
“Ma temi che sia solamente
lo strascico di questi ricordi a
renderla tale.”
“Sì…”
Nicole si voltò stupita verso Georg, che scrutava
l’orizzonte pensieroso. L’aria salmastra
dell’oceano gli stava increspando i
capelli, che non erano più perfettamente lisci come al
solito, ma cominciavano
ad arricciarsi in morbide onde appena accennate.
In quello scenario di natura quasi
incontaminata, davanti
alla sterminata distesa d’acqua che con l’alzarsi
del vento andava lentamente
agitandosi, aveva l’aria silenziosa e tormentata di un eroe
romantico, la cui
passioni se ne stavano celate dietro ad un’impassibile
compostezza.
Era vagamente buffo, così
assorto in chissà quali
riflessioni, eppure allo stesso tempo era anche…
“Davvero
bellissimo.”
Nicole si riscosse, riportata alla
realtà dal commento di
Georg, il cui sguardo abbracciava la baia con uno scintillio ammirato.
“Peccato che non abbiamo
cose simili in Germania.”
Lei annuì. Era davvero
un panorama mozzafiato.
“Sì,
è vero.”
Lui sorrise.
C’erano delle lievi rughe
sulla sua fronte, gli occhi
strizzati a causa dell'abbagliante riverbero dell'acqua, e a Nicole non sembrava di
guardare la stessa persona che aveva sempre visto nei poster, in tv,
sui
giornali. Non era un pezzo di carta o un mucchio di pixel. Era una
persona
vera, reale, fatta di carne e ossa come lei, e benché fosse
una constatazione piuttosto
ovvia, le sembrava credibile per la prima volta.
“Che
c’è?” fece lui, quando si accorse di
essere fissato. Lei
gli sorrise, reclinando il capo di lato, le ginocchia strette al petto.
Non lo
so…
“Avevi un’aria
cogitabonda.”
“Oh,” Georg si
passò una mano tra i capelli, scostandoseli
dal viso nel suo classico gesto automatico. “Pensavo solo al
party di stasera.”
Il party. Nicole lo aveva
completamente rimosso. Sarebbe
stato un evento per poche decine di eletti – pezzi grossi
della musica, grandi
nomi della tv locale, qualche amico personale e qualche inevitabile
raccomandato – ma era sulla bocca di tutti, soprattutto
perché i Tokio Hotel
sarebbero stati gli ospiti d’onore.
Era un mondo sconosciuto, a Nicole,
ma immaginava dovesse
essere piuttosto noioso per i ragazzi partecipare a certe feste dove
non
conoscevano pressoché nessuno.
“Pensavo che sarebbe carino
se tu venissi.” Aggiunse Georg
in tono casuale. Nicole lo fissò allibita.
“Io? Ad un party per
vip?”
Georg scrollò le spalle.
“Perché
no?”
“Perché…”
Nicole trovava l’idea così ridicola che nemmeno
riusciva a trovare una risposta. “Perché no! Cosa
ci farei in mezzo a voi
celebrità? Per non parlare di Emily…”
Georg parve deluso, ma consapevole
della validità della sua
obiezione.
“Già, non ci
avevo pensato.”
Nicole rise sommessamente.
“Si vede che non sei
abituato a gestire la tua vita in base
a quella di qualcun altro.”
Certo, un
party in
grande stile ha il suo lato allettante… Ma non è
roba per me, proprio per
niente.
“E comunque,”
riprese poi. “Il giorno in cui parteciperò ad
un party così esclusivo, avrò un favoloso paio di
Manolo Blahnik ai piedi.”
Georg assunse
un’espressione accigliata.
“Un paio di che
cosa?”
Nicole rise di nuovo, più
vivacemente. Gli uomini certe
volte camminavano su altri pianeti.
“Sarebbero costosissime
scarpe da centinaia e centinaia di
euro,” spiegò. “Che nemmeno
vendendo reni e polmoni mi potrò permettere, con la
vita che faccio.”
“Ah, capisco.”
Annuì Georg. “Dunque non ci onorerai mai
della tua presenza.”
Nicole si rese conto che erano
più vicini di quanto avesse
creduto: seduti l’uno accanto all’altra, le loro
spalle si sfioravano ed i loro
volti erano separati da una spanna scarsa mentre si scrutavano a
vicenda, senza
un perché preciso. Un piacevole tepore emanò da
quel contatto.
Si sta
così bene qui…
Nicole ebbe a malapena il tempo di
registrare
l’impercettibile movimento che la sua testa e quella di Georg
avevano avuto
l’una verso l’altra, che qualcosa le
piombò di peso sulla schiena, mozzandole
il respiro.
“Mamma, mamma,
mamma!” stava strillando Emily con foga,
stringendole le braccia attorno al collo. “Tom mi ha promesso
che quando sono
grande e ho un giardino tutto mio, mi regala una pecora!”
Nicole se la portò di
fronte, ridendo della sua faccia
euforica.
“Una pecora?” Non si
rischia mai di annoiarsi con te, eh? “La zia
Brenda ne sarà felice, visto
che è allergica a qualunque tipo di pelo.”
Puntualizzò.
Emily smise subito di saltare e
divenne visibilmente
preoccupata.
“Ma se io la metto via
quando viene lei, non succede
niente!”
“Emily, gli animali non si mettono via,” le disse
pazientemente, tenendola per le manine. “Non
sono come i giocattoli, che si usano quando si vuole. Agli animali
bisogna
volere bene, e curarli come dei fratellini.”
Emily assunse un’aria
concentrata, poi d’un tratto sorrise
allegramente.
“Allora è meglio
un fratellino, così la zia non è
allergica!”
Questa era una risposta che Nicole
non aveva previsto.
Scambiò un’occhiata di panico con Georg, il quale
si limitò a strizzarle un occhio
e salvarla da quel cavillo insidioso.
“Una pecora questo riesce a
fartelo fare?” esclamò,
prendendo Emily in braccio e cominciando a farla volteggiare in aria.
Lei
rideva come una matta, lanciando piccoli urli divertiti quando lui la
sollevava
un po’ più in alto, minacciando di buttarla in
mare.
“Mamma, fermalo!”
gridava tra le risate di tutti e tre. “Mi
fa il solletico!”
Tenendola ben stretta tra le mani,
Georg la fece volare più
in alto, e sembrava addirittura che si stesse divertendo più
di lei. A Nicole
tornò in mente Bill che cantava con lei, Tom che le diceva
di fare la brava in
auto, Gustav che la prendeva per mano e la portava a fare colazione, e,
osservando
Georg che fingeva di lanciarla nell’acqua, si rese conto
di non essere
riuscita a mantenere una delle promesse fondamentali che aveva fatto a
Brenda
prima di partire.
“Nicole! Emily sta
barando!” urlò Georg, con Emily in
braccio che gli tirava i capelli.
“Emily, non tirare i
capelli a Georg.” La riprese allora
Nicole sorniona, senza metterci troppa autorità.
Lui ed Emily si scambiarono una
smorfia e ripresero a farsi
il solletico.
Nicole sospirò,
appoggiandosi il mento alle ginocchia.
“Non
ti affezionare troppo
a loro, Nicky.”
-------------------------------------------------
Note:
prima
delle note vere e proprie, farò i dovuti ringraziamenti:
susisango:
grazie,
grazie e ancora grazie! Troppi complimenti in una recensione sola!
Adesso
voglio sapere in quale altra occasione hai letto qualcosa di
così coinvolgente!
;)
loryherm:
mia
cara, è sempre bello vederti soddisfatta! Sì, i
nostri fanciullini hanno
davvero dei tempismi da record… Maledetti! Un bacione
speciale tutto per te,
che mi segui con tanta fedeltà, e soprattutto con recensioni
lunghe come le gambe
di Bill! XD
Hizu:
poche
parole, ma pur sempre efficaci. Ti ringrazio davvero tanto!
Chiara88: altroché se
comincia a succedere qualcosa, e
vedrai! Solo un altro po’ di pazienza… ;)
eddy:
spero che
anche questo sia stato di tuo gradimento ed aggiornato abbastanza in
fretta. ^^
Lady Vibeke:
maestra, voi siete sempre molto loquace, vedo, anche in seguito ai
boicottaggi
del vostro pc, e me ne rallegro. Noto con sommo piacere che hai notato
il
parallelismo tra i due “Aspetta”, ma da te non mi
aspettavo niente di meno. Ami
anche tu Dublino, lo so, o non avrei richiesto il tuo aiuto con questo
capitolo, e infatti ti devo un grazie grosso così per tutte
le info e le foto
sull’ambientazione, che hanno reso il capitolo
così ben riuscito. /Noterai anche come la descrizione di Georg ad opera di Brenda ricalca molto certe tue digressioni sul suddetto XD)
yuke:
sì, il
nostro Bill è un po’ nervoso, ma niente paura, la
sua dolcezza infinita sta per
tornare. ;)
Muny_4Ever:
nooo,
non odiarmi Bill, povero! Non è colpa sua, sono io che sono
una stronza a cui
piace fargli fare i capricci! Aspetta e vedrai. Intanto continua a
tifare per
Georg. ;)
ada:
fan di Gusti
e dei batteristi? Brava! Anche tu, non odiare il mio piccolo Bill, lui
è tanto
un tesoro, quando vuole. ^^
kit2007:
vedrai
che Tomi ne avrà di spazio, man mano che si prosegue, non
temere. ;) Grazie per
i complimenti! ^^
LiSa90:
mi sa che
il Bill a petto nudo a stroncato tanti cuoricini… Eh, ma ci
voleva, insomma! XD
Mi fa piacere che tu condivida con me il punto di vista sul
‘non bacio’, perché
anche secondo me è meglio non abusare dei baci: sono gesti
pieni di significato
che dovrebbero essere sempre dati con consapevolezza, e al momento un
bacio
sulla guancia era la cosa giusta. J
elli_kaulitz:
anche tu stai cercando di calcolare ogni possibile sviluppo? Bene,
bene, brava,
poi alla fine tutti i nodi verranno al pettine e si vedrà. ;)
lilistar:
credo
di avere la Nicolite: continuo ad arrossire rileggendomi le vostre
recensioni.
Danke davvero!
ale:
poche
parole, ma chiare, direi. ;) Grazie.
Kltz:
(un giorno
mi spiegherai il significato di questo oscuro nick!) Vedo che il tuo
cervello
lavora bene, brava, ma non farti traviare da Ruby, o va a finire che
tra poco
cominci a chiderti se per caso non ci sarà qualche
intrallazzo con Saki! XD
RubyChubb:
ah, ma
cher! Tu sei sempre intenta a districare contorsioni, e va bene,
perché
conoscendoti credo che qualche cosa lo tirerai fuori, ma non
esageriamo,
adesso. ^^ Sempre fiera di essere la Signora Fletcher dei sadici,
comunque. ;)
CowgirlSara:
ma
cher bis, tu meriti una vagonata di grazie ed inchini per quel piccolo
capolavoro che mi hai regalato, non smetterò mai di
ripeterti quanto sei brava.
Hai fatto un’osservazione molto, molto ma molto saggia, su
cui tutti dovrebbero
riflettere, ma non dirò quale, se no la vita è
troppo comoda. ;)
dark_irina:
intanto spero che latino sia andato bene. ;) Grazie dal più
profondo del mio
cuoricino borchiato per tutti i tuoi complimenti, sia nelle recensioni
che in
msn… Chissà se questo capitolo ti è
piaciuto. ^^
Ranpyon:
ed ecco
qui la regina dei commenti chilometrici! Tu, loryherm e Lady Vibeke vi
contendete il primato, ma vi adoro tutte, sia perché siete
sempre così gentili,
sia perché le recensioni così lunghe mi piacciono
da morire. Continua così!
sososisu:
eeeh,
mia cara, la tachicardia chissà dove se
n’è andata in questo capitolo… ;) Spero
ti sia piaciuto, anche se ho ancora tante di quelle carte da scoprire
che mi
gira la testa solo pensarci. E non mi sbavare troppo su Georg, che gli
si
arricciano i capelli! XD
Ora, le note
vere
e proprie: dunque, questo è stato un
capitolo un po’ anomalo,
interamente dal punto di vista di Nicole, ma è venuto fuori
così, e chi sono io
per oppormi alla volontà sacra della Musa? Nessuno, appunto.
So che si saranno
molte persone soddisfatte, e già mi vedo il Georg Fan Club
che si alza in una
calorosa standing ovation, ma, Bill Fan Club, non temete, la partita
è ancora
tutta da giocare, quindi che nessuno canti vittoria o si disperi prima
del
fischio finale. Fino ad allora, però, sappiate che non si sarà mai certi di niente. ;)
Ciò detto, vi lascio con
un immenso abbraccio generale e la
speranza che vorrete, come sempre, dirmi ciò che ne pensate
del capitolo,
perché infondo io scrivo per me stessa, è vero,
ma anche per voi. ^^
A presto!
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Capitolo 13 *** Bad Dreams ***
Giocare a pingpong era il passatempo
preferito del gruppo,
anche se nessuno di loro, in tutti quegli anni, era ancora riuscito ad
acquisire un vero e proprio stile, ma a loro piaceva, ed il bello era
proprio
ridere di qualche mossa goffa che di tanto in tanto qualcuno di loro
esibiva.
Georg era di recente diventato il
migliore (con sommo
disappunto di Bill, il quale, nonostante la tecnica decisamente
insolita, era
sempre stato il più bravo), ma la partita attualmente in
corso si stava
rivelando un vero sfacelo: otto a tre per Bill.
Non era presente con la testa.
Da ore non faceva che
pensare e ripensare alla bella chiacchierata con Nicole, alla propria
preoccupazione della sua insolita aria seria e taciturna e a come si
era
sentito dopo, parlando con lei, scoprendola così incline di
aprirsi con lui.
E poi c’era stato quel
momento, quell’attimo che quasi non
era esistito, in cui gli era parso che qualcosa fosse stata
lì lì per
succedere. Un istante che era svanito troppo presto per poter veicolare
certezze.
È stato tutto frutto della
tua immaginazione,
gli disse l’altro Georg, quello a cui non piaceva
perdersi in inutili fantasie. Hai visto quello che volevi
vedere, così come
ti rifiuti di vedere quello che non vuoi vedere.
Servì, ma il punto
non andò a segno. Tom gli fece un
applauso sarcastico, che lui ricambiò con un gesto
eloquente, ben attento a non
farsi vedere da Emily. Anziché intrattenerlo, il gioco lo
stava annoiando.
Stavano ammazzando il tempo, giusto
per occupare quell’ora
scarsa che li separava dal party, anche se nessuno di loro aveva mai
visto un
tavolo da pingpong sistemato in una saletta così
sontuosamente arredata, ma
quello era ciò che l’hotel aveva concesso loro,
quindi si erano adattati.
“Ha!”
esclamò Bill, dopo aver segnato l’ennesimo punto,
sollevando un pugno trionfante. “Dieci a tre!”
Georg non riusciva a concentrarsi.
Vedeva Tom, stravaccato
in una poltrona, fissare con insistenza l’orologio sul
caminetto e la porta, e
non c’era nessun bisogno di domandarsi perché.
Aspettava Elinor e Dianne, le
loro fedeli groupies.
Gustav occupava il divano con Nicole,
Emily seduta in
grembo, e verificava più o meno attentamente il punteggio
della partita.
Georg non avrebbe voluto che Nicole
fosse presente, non in
vista delle imminenti ospiti, ma cosa avrebbe potuto dire?
‘No, grazie, preferisco che
tu non veda la ragazza che
occasionalmente mi porto a letto.’
Idea geniale, sicuramente.
Bill servì. Georg finse
appena di sforzarsi di salvare la
pallina, ma questa rimbalzò al centro del campo e poi
giù, fino al divano,
finendo per essere raccolta da Nicole.
“Undici a tre, e Kaulitz
vince!” esultò Bill, saltellando.
Emily batté le mani entusiasta, ma Georg non condivise.
“Oggi non è
giornata, eh?” lo stuzzicò Tom. Lui lo trafisse
con un’occhiata obliqua.
“No, infatti.”
sbottò, e lasciò cadere la racchetta di
legno con un pesante colpo secco.
Lo fissarono tutti in modo strano, ma
Gustav fu l’unico ad
avere il fegato di dirgli qualcosa.
“Dovresti imparare ad
ingoiare le sconfitte, Georg.”
Lui si immobilizzò per un
attimo. Era conscio del fatto che
il tono di Gustav era stato leggero, e sicuramente non era stato nelle
sue
intenzioni urtarlo così, ma quello che aveva detto aveva un
significato più
profondo di quanto Gustav stesso probabilmente potesse immaginare.
Georg gettò
un’occhiata in tralice a Bill, ma lui si era
già seduto accanto a Nicole e si stava lasciando lisciare i
capelli da Emily.
Ebbe a stento il tempo di
avvertire un crescente peso
dalle parti dello stomaco, che ci fu un sordo bussare. Immediatamente,
si
irrigidì.
Cazzo.
“Avanti!” disse
Tom.
Lentamente la porta si aprì
e Saki diede un rapido sguardo
all’interno della stanza, informandoli che ‘le
signorine O’Brein erano
arrivate’.
Georg osservò quasi con
orrore le due ragazze farsi avanti
a passo sicuro, due sorrisi più che sicuri stampati sulle
labbra.
“Elinor, Dianne, quanto
tempo!” Tom saltò su dalla poltrona
come una molla e si affrettò ad andare incontro alle due
ragazze, gli occhi che
gli brillavano come se gli avessero appena fatto dono del dominio del
mondo. Le
baciò entrambe sulle guance e loro ricambiarono, poi si
prese da parte Elinor,
e Dianne si voltò verso Georg, le mani puntellate sui
fianchi asciutti,
invitandolo a salutarla al solito modo.
Ma il solito modo consisteva in una
serie di baci e carezze
che al momento Georg proprio non se la sentiva di concederle, anche
perché la
sua testa era occupata da ben altri pensieri.
Allora fu Dianne ad andare da lui,
camminando con la sua
andatura felpata e sinuosa attraverso la stanza, i tacchi che
ticchettavano
ritmici e regolari come lancette di un orologio sul pavimento di marmo.
Era
splendida, alta e snella, con quella minigonna vertiginosa che
lasciava
scoperte le gambe lunghe e la generosa scollatura che nulla lasciava
all’immaginazione,
il caschetto rosso fuoco che ondeggiava ad ogni passo.
“Allora, che modi sono
questi?” gli disse leziosa,
facendogli scorrere un dito lungo il petto. Il suo accento era molto
migliorato
rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, anche
se, onestamente, Georg
trovava assurdo che qualcuno potesse mettersi a studiare il tedesco con
tanta
dedizione solo per poter comunicare con lui o gli altri. Lo scrutava
imbronciata con i suoi occhi ambrati, aspettando le attenzioni che lui
non
aveva alcuna voglia di darle. Non stavolta.
“Scusa,” disse
lui, sfiorando il proprio zigomo contro il
suo. “È che ho appena avuto una febbre tosta, e
non sono molto in forma.”
Dianne mutò subito
atteggiamento.
“Oh, povero
piccolo,” tubò, accarezzandogli il viso, poi
gli avvicinò la bocca all’orecchio. “Ti
rimetto in forma io, stasera.”
Sussurrò.
Nei trenta secondi trascorsi dal suo
ingresso nella stanza,
Georg non aveva smesso un istante di cercare Nicole con la coda
dell’occhio, ma
lei se ne stava tranquilla sul divano, chiacchierando con Gustav e Bill
come se
nulla fosse, Emily seduta in braccio, alle prese con la lettura di una
lattina
di Red Bull.
“Elinor,” fece
Tom, prendendo per mano la ragazza, identica
in tutto e per tutta a Dianne, non fosse stato per i vestiti, blu
anziché
bianchi. “Bill e Gustav ovviamente li conosci
già,” I due interpellati fecero
un cenno di saluto con la mano, poi Tom proseguì verso Emily
e Nicole, e Georg
si sentì raggelare. “Lei è Nicole, il
nostro tecnico delle luci provvisorio, e
questa è –”
“Non toccarmi, brutta
stregaccia!” esclamò Emily, soffiando
come un gatto inferocito, prima che Tom potesse concludere. Elinor si
era
chinata ed era stata sul punto di accarezzarle i capelli, intenerita,
ma si era
ritratta in fretta davanti a quella reazione inaspettata, quasi temendo
che
Emily potesse morderla.
“Emily!”
Avvampando, Nicole le aveva tappato la bocca con
una rapidità che denotava una certa abitudine di esecuzione
del gesto. “Mi
dispiace,” aggiunse in fretta, rivolgendo ad Elinor uno
sguardo supplichevole.
“Di solito non si comporta così.”
Elinor le concesse un sorriso
affettato, risollevandosi in
piedi.
“Non fa niente.”
Disse, stringendosi a Tom.
Dianne diede un colpetto di tosse
significativo, prendendo
Georg sottobraccio. Suo malgrado, lui dovette obbedire
all’esortazione
implicita: condusse Dianne fino al divano e la presentò a
Nicole ed Emily.
“Caspita,”
esclamò Dianne, una volta che lei e Nicole si
furono strette la mano. “Una figlia alla tua età
dev’essere un bell’impegno… Ti
ammiro.”
Nicole le sorrise educatamente, ma non
era esattamente con
ammirazione che Dianne stava guardando la sua tuta sciupata.
Sembravano appartenere a due mondi
diversi, lei e Nicole:
una era benvestita, truccata di tutto punto, l’acconciatura
perfetta,
probabilmente fresca di parrucchiere, l’atteggiamento
disinvolto e un po’
altezzoso di chi camminava al di sopra degli altri da una vita,
l’altra era
completamente l’opposto, il viso pallido e privo di
artefazioni, i capelli
sciolti in modo casuale, quella perenne gentilezza mite riflessa negli
occhi.
“Verrai al party anche tu,
questa sera?” le chiese Elinor.
Nicole scosse il capo.
“Stasera per noi
riposo,” disse, guardando in basso, verso
Emily. “Non ci piacciono le feste.”
“Oh, che peccato!”
fece Dianne, senza riuscire nemmeno
lontanamente a sembrare dispiaciuta. “Invece è
strepitoso, sai?” Avvolse un
braccio attorno alla vita di Georg e appoggiò il mento alla
sua spalla. “Io e
Georg ci divertiamo sempre un mondo… Soprattutto durante
l’afterparty.”
La risata acuta della ragazza
colpì Georg dritto nel
timpano, causandogli un fastidio che non ricordava di aver mai provato
prima.
“Noi togliamo il
disturbo,” annunciò Nicole, sollevandosi
in piedi con Emily in braccio. “La cena ci
aspetta,” Li passò in rassegna uno
ad uno con un sorriso che non convinse del tutto Georg,
salutò e se ne andò,
senza curarsi delle proteste di Emily.
Georg la guardò chiudersi
la porta alle spalle con una
fitta di panico.
E adesso cosa starai pensando di me?
***
A Bill tendenzialmente non piacevano i
party, ma quello in
particolare non somigliava a nessuno a cui avesse mai partecipato.
La musica non era il solito rumore
ritmato da discoteca, né
il classico repertorio rock anni ‘80, ma un insolito mix di
melodie celtiche e
canti popolari. Aveva sentito parlare del patriottismo irlandese, ma se
in
Germania qualcuno avesse osato mettere un cd folk ad una festa, si
sarebbe
ritrovato licenziato in tronco, con tanto di richiesta di danni tramite
avvocato e probabile linciaggio pubblico.
Sarà anche che il folk
tedesco non ha niente a che vedere
con questa musica così bella…
“Non è la solita
festicciola da due soldi, vero?”
Accanto a lui era comparso Gustav, un
calice di champagne
in mano. Tom e Georg erano al lato opposto della stanza, sorseggiando
scuri
boccali di Guinness, mentre Elinor e Dianne ronzavano loro attorno come
mosche.
Chissà quanto ancora
resisteranno, prima di rintanarsi di
sopra, si chiese Bill, pensando che effettivamente le loro stanze si
trovavano
solamente pochi piani più in alto.
Il Four Seasons era uno degli hotel
che finora lo avevano
impressionato di più: di un’eleganza e una
raffinatezza indubbie ma sobrie (a
suo parere eccessive, per un gruppo di scapestrati come loro),
circondato da un
immenso parco con tanto di laghetto e dotato di ben tre locali bar
interni di
stili differenti, per tutti i gusti, e poi la piscina, la sauna, la
boutique,
senza contare la palestra, in cui lui aveva messo piede giusto per
sfizio.
Nemmeno avevano avuto il tempo di disfare i bagagli, figurarsi se
potevano
spenderne in esercizio fisico.
La nota positiva era che, alloggiando
proprio lì, Bill
avrebbe potuto abbandonare la serata in qualunque momento, per giunta
senza che
nessuno se ne accorgesse, perché effettivamente nessuno o
ben pochi dei
presenti sembravano interessati a lui o agli altri. Ma tutti ridevano,
bevevano
come spugne e sembravano godersela un mondo, e forse Bill si sentiva
così
fiacco proprio per via dell’assenza di alcol
all’interno del proprio organismo.
“Sembra che si conoscano
tutti,” commentò Bill,
appoggiandosi con la schiena alla parete. Sfilò il calice di
mano a Gustav e lo
vuotò in un fiato, restituendoglielo con un
‘Grazie’ stentato. “Mai vista roba
simile.”
Gustav osservò interdetto
il proprio bicchiere vuoto e
appioppò a Bill un’occhiataccia.
“Ti costava sprecarti ad
arrivare fino al tavolo delle
bevande?”
Bill schioccò la lingua con
una scrollata di spalle
svogliata, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri.
“Adesso tu mi spieghi che
cos’hai in questi giorni,” gli
intimò Gustav, piazzandoglisi davanti a braccia conserte.
“È vero che siamo
abituati alle tue lune storte, ma tu stai abusando della nostra
pazienza.”
Bill abbassò lo sguardo, i
capelli che gli ricadevano
flosci sulle spalle. Non poteva non riconoscere di essere stato uno
stronzo di
immani proporzioni, ultimamente, soprattutto con Georg, ma non ci
poteva fare
niente, era fatto così, e per quanto se ne rammaricasse,
proprio non riusciva
trattenersi.
“È un periodo un
po’ così,” mormorò,
strisciando un piede
avanti e indietro con aria assente.
“Passerà.”
Ma Gustav era un intuitivo, e non si
poteva sperare di
fargliela sotto al naso così spudoratamente. Tom capiva Bill
perché erano
gemelli, connessi da quello specialissimo filo sottile che solo loro
due
avevano; Gustav capiva Bill perché, semplicemente, capiva
tutti.
“Tutto questo ha forse
qualcosa a che fare con una certa
affascinante new entry del nostro team?”
Bill si mordicchiò il
labbro, cercando di trovare un modo
rapido ed efficace per glissare, ma non ce ne fu bisogno. Georg
arrivò
trafelato, reggendo in mano un bicchiere di coca cola.
“Tu,” Gustav gli
puntò un dito contro, fingendosi
sospettoso. “Che cos’è quella roba
analcolica che hai lì? Che cos’hai fatto al
vero Georg Listing?”
Georg gli lanciò
un’occhiata astiosa, e Bill si accorse che
sembrava ben poco lieto della serata.
“Dianne non mi da
tregua,” brontolò Georg. “Tom ed Elinor
sono saliti a parlare già da
mezz’ora, e ovviamente lei si aspetta che
noi facciamo lo stesso. Non mi devo assolutamente ubriacare, o sono
fregato.”
“Be’, sai
com’è,” intervenne Bill.
“È una groupie, il suo
ruolo è precisamente farti parlare.”
“Si da il caso che io non
sia in vena di parlare,
oggi, va bene?” replicò allora Georg, in tono
brusco, ma poi sembrò accorgersi
della propria durezza gratuita e si scusò.
Abbiamo i nervi un po’ a
fior di pelle, eh, Moritz?, pensò Bill, studiando
l’amico, però non poteva dire di
non capirlo, infondo.
Gustav disse qualcosa e se ne
andò, ma lui non sentì.
All’ingresso della stanza, un nugolo di persone si stava
facendo da parte per
far passare qualcuno, che tutti fissavano in modo strano. Diversi
scostamenti
più tardi, Bill poté riconoscere Nicole farsi
avanti esitante tra la gente, lo
sguardo che si sollevava solo a tratti per scrutare intorno.
“Hey!” la
chiamò, sventolando una mano in aria.
Georg si voltò, e non appena la vide, anche lui prese a farle
cenno di
raggiungerli. Nicole parve più che sollevata di averli
trovati.
Li raggiunse in fretta, sotto agli
occhi insistenti di
tutti i presenti, che sembravano ritenere il suo abbigliamento
un’onta alla
festa.
“Guarda un po’,
Miss i-party-non-fanno-per-me in persona.”
La prese in giro Bill, sorridendole.
Lei ricambiò il sorriso con
evidente imbarazzo, tormentando
i polsini delle maniche della sua tuta blu notte.
“Non dovrei essere
qui,” disse debolmente. “Mi dispiace,
davvero, ma ho proprio bisogno di un favore.”
Gettò un’occhiata incerta a
Georg, e lui sollevò un sopracciglio, come invitandola a
parlare. “Emily ha
avuto un incubo,” sussurrò, passandosi una mano
fra i capelli. “Non vuole
saperne di rimettersi a dormire, dice che vuole te.”
Sul volto di Georg, che fino a pochi
istanti prima era
stato praticamente funereo, comparve un sorriso raggiante.
Aprì la bocca per
rispondere, ma non gliene fu data l’occasione.
“Georg,” la voce
trillante di Dianne lo batté sul tempo.
“Ti ho cercato ovunque, che fine avevi fatto?”
Sbucata da chissà dove, la
ragazza aveva possessivamente avvolto le proprie braccia attorno a
quello di
lui e guardava Nicole con un velo di ostilità.
Nicole abbassò lo sguardo,
ma Bill le pose un braccio sulle
spalle e guardò Dianne dall’alto in basso,
sfidandola a dire qualcosa.
“Scusami, Dianne,”
disse Georg rigidamente, scrollandosi di
dosso la ragazza. “È sorto un imprevisto e non mi
posso trattenere.”
Bill si complimentò con lui
per aver finalmente compreso
che quella ragazza altro non fosse che un’esibizionista
desiderosa di farsi
bella agli occhi di tutti. Georg la lasciò con un palmo
di naso e le diede
le spalle, infischiandosene deliberatamente della sua faccia sconvolta
quando
girò i tacchi e si dileguò, furiosa, e si mosse
verso Nicole.
No, no, un attimo, non così
in fretta!
Bill sapeva che c’era Emily,
di sopra, che aspettava di
veder tornare Nicole assieme a Georg, ma, egoisticamente, non voleva
ancora
lasciarla andare. Aveva pregato tutta la sera che lei scendesse.
Lei si mosse sotto al suo braccio,
facendo per andarsene,
ma lui la trattenne.
***
“Dai, resta almeno un
po’.”
Georg sentì pronunciare
queste parole come se si fosse
trattato di un dejà vu. Era stato più che certo
che Bill avrebbe detto qualcosa
del genere.
“Bill, non è il
caso che io…” provò ad obiettare
Nicole, ma
era palese che desiderasse davvero restare. Lo scintillio che Georg
aveva colto
nel suo sguardo – che gli fece male, molto male –
scomparve tanto in fretta
quanto ci aveva messo ad apparire, e lei sembrava un po’
avvilita.
Come aveva detto Gustav, Georg poteva
rifiutarsi di vedere
quello che non voleva vedere, ma gli occhi di Nicole erano concentrati
su Bill
come una bussola che punta verso Nord, e dunque che senso aveva stare a
questionare?
Il confronto nemmeno si poneva.
Mi dovete un favore, voi
due…
“Resta,” la
esortò, infliggendo una violenta ferita al
proprio cuore. “Ad Emily penso io.”
Sperava che il suo modo di incurvare
le labbra si
avvicinasse almeno lontanamente ad un sorriso, ma non ci avrebbe messo
la mano
sul fuoco, tanto più che vedere Bill così stretto
a lei era una cosa tutt’altro
che rallegrante. Anzi, non vedeva l’ora di andarsene.
“Mi sento così
fuori posto…” disse Nicole, guardandosi
riflessa nel vetro di uno dei giganteschi quadri che ornavano le
pareti. Se
quella era l’ultima obiezione rimastale, Bill
trovò senz’altro il modo di
smantellarla una volta per tutte. La sua mossa, in effetti, poteva solo
essere
definita come un superbo touché.
“Sciocchezze,”
ribatté con veemenza. “Sei più bella di
tutte le presenti messe assieme.”
E quando Nicole gli sorrise radiosa,
improvvisamente più
sicura di sé, Georg seppe che era giunto il momento di
togliersi di torno.
“Corro da Emily,”
annunciò. “Tu non preoccuparti di
niente,” aggiunse, rivolgendosi a Nicole. “Resta
quanto vuoi, io me ne sarei
andato comunque.”
Sia lei che Bill gli regalarono un
sorriso riconoscente, e
lui, con sentendosi stranamente vuoto dentro, li lasciò soli.
Nicole non ha spesso occasioni come
questa,
rifletté, mentre saliva con l’ascensore. Spero
che si
diverta.
Ma il Georg sincero ed onesto non era
d’accordo.
Non fare l’ipocrita, razza
di cretino che non sei altro, è
un pezzo che te ne stai a ribollire di gelosia in silenzio, e adesso
l’hai pure
intenzionalmente lasciata in pasto a Bill!
L’ascensore si
fermò, e lui decise che tutti quei pensieri
se ne sarebbero rimasti serrati lì dentro. Non voleva
più pensare a niente, se
non ad Emily e ai suoi incubi.
Si diresse a passo svelto verso la
porta di Nicole e bussò.
“Emily, sono
Georg,” disse a voce alta. “Va tutto
bene?”
La porta si aprì subito, e
prima ancora che lui potesse
entrare, Emily gli saltò in braccio, stringendolo forte.
“Georg!”
esclamò, lasciandosi abbracciare. “Ho fatto un
sogno bruttissimo!”
Lui se la strinse in braccio e la
portò dentro,
accarezzandole la testa per rassicurarla.
“Raccontami tutto.”
Andò a sedersi sul bordo
del letto matrimoniale in cui
dormivano lei e Nicole, e lasciò che lei gli scivolasse
sulle ginocchia. Aveva
le manine fredde ed era scalza, e Georg cercò di avvolgerla
il meglio possibile
per riscaldarla un po’.
“C’eravamo io e la
mamma in una macchina ed era tutto buio,
e ci stavano portando via, ma io non volevo, ma la mamma non diceva
niente, e
allora…”
La sua voce delicata si era rotta dopo
un crescendo di
tensione, ma non stava piangendo. Era una bambina forte, del resto, e
lui
sapeva che sarebbe stata una donna altrettanto forte, un giorno,
proprio come
sua madre, ma in un modo probabilmente più sfacciato,
più simile a Brenda.
In quel momento fece caso per la prima
volta ad un certo
dettaglio, o meglio, all’assenza di un
certo dettaglio.
“Che fine ha fatto
Wilhelm?” domandò.
Emily indicò la poltrona
che stava in un angolo: Wilhelm
era là, abbandonato come un oggetto qualsiasi sopra ad una
borsa.
“Lui mi
proteggeva,” spiegò la piccola. “Ma
adesso ci siete
tu, e Bill, e Gustav, e Tom. Non mi serve più.”
Georg aveva studiato abbastanza
psicologia da capire che in
Emily c’erano delle lacune affettive che Nicole da sola non
poteva colmare, per
quanto ci provasse, e lei aveva trovato in lui e gli altri il
riferimento
maschile che evidentemente le era sempre mancato.
La tenne un po’
più stretta, pensando a ciò che sarebbe
successo quando, presto o tardi, si sarebbero dovuti separare.
Sicuramente
nessuno avrebbe potuto prevedere che da una semplice offerta di lavoro
avrebbe
potuto scaturire un vero rapporto affettivo, e in così poco
tempo, addirittura.
La cullò dolcemente,
compiaciuto del fatto che avesse
chiesto di lui, e non di un altro dei ragazzi. Si era affezionato a
questo
scricciolo biondo, l’arrivo suo e di Nicole stato come un
raggio di sole nel
grigiore della solita routine, e ora che la settimana di prova
cominciava a
tramontare, non restava che chiedersi cosa ne sarebbe stato di
quell’insolita
amicizia che era nata tra tutti loro.
Amicizia?, intervenne
il Georg senza peli sulla lingua, ma quale amicizia? Per
favore…
“Mi canti una
ninnananna?” gli chiese Emily,
accoccolandoglisi contro il petto. Lui le sfiorò i capelli
con una mano e le
sorrise.
Ancora non ho imparato uno straccio di
ninnananna…
“Non ho la
chitarra,” disse a mo’ di scusa. “Va bene
se per
stavolta facciamo senza?”
Emily annuì, soddisfatta, e
Georg cominciò a cantare.
“Talking
to the
singbird yesterday, flew me to a place not far away, she’s a
little pilot in my
mind, singing songs of love to pass the time…”
Stavolta era andato a ripescare una
canzone che lei e gli
altri avevano già intonato, il giorno della loro replica a
Parigi. Gli sembrava
quella giusta: dolce, piena di significato, e mentre cantava, le
parole lo fecero riflettere.
“Gonna
write a song
so she can see, give her all the love she gives to me, talk of better
days that
have yet to come, never felt this love from anyone…”
E l’immagine che si
andò a creare dentro di lui non
comprendeva solo Emily, ma anche un’altra persona a cui si
era reso conto di
essersi profondamente affezionato, a cui proprio non riusciva a smettere di pensare.
E lei era da qualche parte con Bill.
“She’s
not anyone…”
-----------------------------------------------------
Note: altro capitolo di transizione, che
però preannuncia
diverse cosette, qualcuna palese, qualcun'altra probabilmente
impercettibile,
ma per ora questo è quanto. ^^ Per la canzone, vi rimando al
quarto capitolo,
visto che è la stessa.
Ora passiamo ai ringraziamenti
personalizzati. ;)
SARAthemyth (quale
onore saperti tra i miei lettori!), Hizu, blackmoon, outsider,
elda,
eli_kaulitz, loryherm (kuss!), moonwhisper, Kltz,
dark_irina, Ninnola,
Chiara88, Sososisu, Ranpyon (w le recensioni chilometriche!),
LiSa90,
CowgirlSara (tu sei La Saggia delle quattro Moschettiere
Salvatrici, e si
vede), Muny_4Ever, valux91, thgarnet, kit2007, picchia (che
domande
esistanziali che ti poni! ^^), ada, Lady Vibeke (lasciami
Nicole, per
favore! Ti concedo di mandarci Dianne a Timbuctù!), RubyChubb
(ragionamente
impeccabile, che però non condivido del tutto... si
vedrà! ^^), e
yuke. E se ho scordato qualcuno, chiedo umilmente venia! ^^
I commenti, come sempre, sono
più che benvenuti. ^^
Un bacio!
|
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Capitolo 14 *** Stolen Fleeting Moment ***
Non era il suo mondo.
Erano anni che Nicole non stava a
contatto diretto con una
folla simile, e doveva ammettere che non le era mancata quella
sensazione di
vaga claustrofobia, che le premeva fastidiosamente addosso nonostante
la
vastità della stanza. Non era il suo mondo, né il
suo ambiente, né il genere di
compagnia a cui era abituata. Si sentiva un po’ persa.
Più il tempo trascorreva,
più capiva di trovarsi nel posto
sbagliato, al momento sbagliato, anche se con la persona potenzialmente giusta. Nella
sua
testa ricorrevano flash della sua stanza di Lipsia, dei poster sulle
pareti e
dei cd perennemente nello stereo. Il novanta per cento di quei poster
erano dei
Tokio Hotel – di cui il trenta per cento solo di Bill
– e più della metà di
quei cd anche.
Riteneva legittimo che a diciannove
anni ci si potesse fare
qualche bel disegno mentale della vita per come avrebbe potuto essere
in una
dimensione parallela e perfetta, dove tutto era semplice ed incontrare
il tuo
idolo con la stessa facilità con cui si incontrava la vicina
di casa non era
un’utopia, ma se qualcuno le avesse detto che un giorno
avrebbe veramente visto
parte di quel disegno realizzarsi, allora probabilmente avrebbe riso ed
accantonato l’idea con rinnovata razionalità. In
più di quattro anni di fedeltà
verso i Tokio Hotel, le era capitato così spesso di vedersi
ad una serata come
quella assieme a Bill, che ora la situazione sembrava quasi priva di
magia.
Era lì da quanto?
Mezz’ora? Tre quarti d’ora? Non avrebbe
saputo quantificarlo, anche perché la presenza di Bill al
suo fianco la rendeva
piuttosto irrequieta. Se ne stavano rintanati in un angolo isolato,
appoggiati
al muro sorseggiando champagne, mentre lui stava portando avanti un
monologo
che lei proprio non riusciva a seguire.
Ti rendi
conto di
quanto tutto questo sia ridicolo, vero?, borbottò
la se stessa
perfettamente padrona di sé. Non
riesci a
goderti una festa perché un all’incirca comune
essere non ufficialmente umano ti
sta parlando. Tom ha ragione: sei patetica.
Era patetica, era vero, non poteva
certo negarlo, ma non era
del tutto colpa sua. Anzi, avrebbe dato qualunque cosa per sapere di
cosa
diavolo le stesse parlando Bill, ma la sua mente era completamente
disconnessa.
“Ti sto
annoiando?” le domandò Bill ad un tratto,
inclinando
la testa di lato.
“No!” si
sentì rispondere lei, più precipitosamente del
dovuto. “Comincio solo a sentirmi un po’
stanca.”
Una bugia grossa come una casa, e,
come aveva detto Georg,
la bugiarda non era proprio il suo mestiere. Bill, però,
sembrò non farci caso.
“Ti accompagno di sopra, se
vuoi.” Si offrì, ma non ce n’era
alcun bisogno.
Nicole era nervosa e si sentiva fuori
posto, e tutto quello
che voleva era un po’ di sani zuccheri e magari una stanza
vuota in cui
fuggire.
“Senti,”
proseguì allora lui, fissando il proprio bicchiere
vuoto. “Mi dispiace di averti praticamente costretta a
restare, è evidente che
non ti stai affatto divertendo…”
“Bill,” Con un
sorriso, Nicole lo zittì. “Non farti di
questi problemi, in questi pochi giorni mi avete già fatta
divertire più di quanto
non mi sia capitato negli ultimi quattro anni.”
Stavolta era la verità,
una verità che portò a galla una
questione che Nicole avrebbe preferito non dover affrontare, se non
all’ultimo
momento.
“A proposito,”
disse Bill. “Non mi hai ancora detto se stai
considerando seriamente di accettare il posto che ti abbiamo
offerto.”
Nicole evitò di incrociare
il suo sguardo, sentendosi in
colpa. Non se la sentiva di parlarne, o almeno non ora, non
così. Sentiva il
suo sguardo pesarle sulle spalle, facendola carico di aspettative che
avrebbe
voluto non dover far crollare. Il fatto era che, nonostante tutto, ci
aveva
creduto perfino lei.
“Siamo realisti,”
sospirò, sconfortata, senza riuscire a
guardarlo. “Non posso portarmi Emily in viaggio per il mondo
per tre mesi all’anno.
Potrebbe funzionare per un altro paio d’anni, forse, ma poi
dovrà per forza
andare a scuola…”
“Qualcuno dice
‘Carpe diem’,” provò ad
obiettare Bill in
tono leggero. “Ad Emily piace stare con noi, a noi piace
stare con lei, e lo
stesso discorso sembra valere per te.”
Certo che
vale anche
per me, pensò Nicole tristemente, ma
non è questo il punto, Bill.
“Ci devo riflettere ancora
un po’, penso che tu comprenda il
perché non ti posso dare adesso una risposta
certa.”
Lui annuì, osservando
Gustav che, poco lontano,
chiacchierava con Jost e una donna molto avvenente sulla trentina.
“E intanto hai colto la
palla al balzo per trascorrere una
settimana con i Tokio Hotel e poter correre a raccontarlo alle tue
amiche…” replicò,
sgarbato. La stava accusando di essere un’approfittatrice, e
forse non aveva
nemmeno tutti i torti, ma su una cosa si sbagliava, una cosa che a
Nicole aveva
fatto molto male.
“Ma quali amiche,
Bill?” sbottò, ferita da
quell’insinuazione, ma anche dal semplice fatto che lui non
avesse capito un
aspetto fondamentale della sua vita. “Credi che una sola
delle mie cosiddette
amiche mi sia rimasta accanto dopo che ho avuto Emily?” Lo
guardò negli occhi,
traboccante di rabbia repressa, gli occhi che lentamente si
inumidivano, ma non
avrebbe pianto. Aveva smesso di piangere per le cause perse.
“Siete voi i miei
amici!” esclamò, attirando l’attenzione
di mezza sala, ma non le importava. “I
soli che io abbia avuto da anni, e forse per te è
così scontato avere Tom,
Gustav e Georg e chiunque altro, che nemmeno ti puoi immaginare quanto
mi stia
facendo penare questa decisione, ma mia figlia viene prima di me, prima
di voi,
prima di tutto, e io non
–”
Per un attimo tutto fu solo una
macchia indistinta di colori
e i suoni scomparvero. A Nicole ci volle un momento per capire che la
sensazione di bruciore che avvertiva attorno allo sterno era dovuta al
fatto
che stava trattenendo il respiro e il suo cuore batteva come una
scheggia
impazzita. Le ci volle invece molto più di un momento per rendersi
veramente conto del
perché.
Un tocco morbido e dolce sulle labbra.
Non…
Sapore di champagne e retrogusto di
fumo.
Non
è…
Una carezza calda sul viso.
Non
sta…
Non stava succedendo, non era reale.
Non poteva essere reale. Bill
Kaulitz non la
stava baciando davanti ad un paio di centinaia di emeriti sconosciuti
vip che
assistevano alla scena a bocca spalancata.
Cazzo.
Nicole si sentiva stordita ad un
punto tale da non riuscire
a muoversi. Era accaduto troppo in fretta, senza alcun preavviso, e non
riusciva nemmeno ad individuare un sentimento preciso in tutto quel
caos emotivo.
Ci fu un bagliore azzurro –
un flash, probabilmente – e un
istante più tardi scoppiò il finimondo: la gente
si accalcava per riuscire a
scattare qualche fotografia, non solo con le poche fotocamere presenti,
ma
anche con i cellulari, e in men che non si dica una dozzina di guardie
del
corpo fecero il loro ingresso nel salone, cercando di contenere la
confusione.
“A lei penso io!”
urlò la voce di Gustav tra tutte le altre,
ad un interlocutore che Nicole non riuscì ad individuare.
Sempre più
disorientata, si sentì strappare via da Bill, il quale venne
portato via da
Saki e Jost, voltandosi indietro a guardarla, spaesato almeno quanto
lei, che
si ritrovò invece chiusa in ascensore senza quasi
accorgersene, con una giacca
buttata sopra la testa.
Respirava a fatica, e aveva la
sensazione che qualcuno le
avesse sfilato lo scheletro dal corpo, lasciandola a reggersi in piedi
per qualche
strano miracolo della natura. La testa che le vorticava, si sorresse
contro il
corrimano, premendosi una mano contro lo stomaco dolorosamente
contratto.
“Ti senti bene?”
le chiese Gustav, posandole una mano sulla
schiena. Nicole si sbarazzò della giacca ed
annuì, facendo così salire a due le
bugie della serata.
“Vi siete bevuti il
cervello, per caso?” aggiunse lui,
sconvolto. “Cosa vi è saltato in mente di mettervi
a dare spettacolo ad un
party come quello?”
Nicole si tirò su quanto
poté e gli gettò un’occhiata
significativa.
“Ti sembro il tipo da
mettersi a baciare uno come Bill in
quel modo?” esalò, mentre l’ascensore
saliva. Aveva ancora un groppo alla gola
per l’agitazione.
Gustav sospirò e la
aiutò a calmarsi con un sorriso
rassicurante che, con sommo stupore e sollievo di Nicole,
funzionò.
“Ti vedo parecchio
scossa.” le disse in tono canzonatorio.
Nicole lo guardò storto.
Se vogliamo
usare un
eufemismo pesante…
Poi però sorrise,
perché non era concepibile tenere
un’espressione ostile davanti a lui. Gustav era una di quelle
rare persone che
sapevano ispirare fiducia assoluta al primo sguardo, e forse era
proprio lui il
più adatto a starle accanto in un momento simile.
“Penso di averne il
diritto.”
“Ce l’hai
eccome,” concordò lui, mentre lei cercava di
riprendere
una respirazione normale. “Per fortuna Bill ti copriva, non
dovrebbero essere
riusciti a fotografarti.”
Non era molto, ma almeno era una
buona notizia. L’ultima
cosa che le serviva erano valanghe di pubblicità su scala
mondiale. L’ascensore
si arrestò, ma al piano sbagliato. Gustav provò a
digitare di nuovo il numero
giusto, ma non successe nulla.
“Sembra avere qualche
piccolo problema tecnico,” osservò.
“Facciamo l’ultimo piano a piedi.”
Uscirono, e non appena ebbero messo
piede fuori, l’ascensore
ripartì da solo. Nicole scambiò con Gustav uno
sguardo stranito, poi si incamminarono
verso le scale.
“Che ne dici,”
propose lui, mentre varcavano l’ingresso del
corridoio delle loro stanze. “Ci facciamo una tazza di
cioccolata mentre David cazzia
Bill?”
Nicole suppose che una bella
strigliata forse avrebbe giovato
a Bill, anche se quello che aveva fatto era stato, almeno per lei,
tutt’altro
che un crimine, ma era ancora troppo scioccata per concedersi di
pensare a lui.
La cioccolata era un’idea assolutamente irresistibile.
“Grazie.”
Seguì Gustav fino alla sua
stanza: lui tirò fuori le quattro
diverse schede magnetiche, facendo sorridere Nicole, e ne estrasse una,
con cui
aprì la porta. Due minuti più tardi, erano seduti
a gambe incrociate sul grande
letto matrimoniale, sorseggiando una cioccolata fumante preparata al
momento.
Era senza dubbio un perfetto calmante.
“Allora,”
esordì Gustav, scrutandola sornione da dietro la
propria tazza. “A quanto pare qualcuno ha realizzato
un sogno, stasera.”
A Nicole andò di traverso
la cioccolata, e tossì diverse
volte prima di riuscire a capire che Gustav stava ridendo.
Bastardo,
pensò
affettuosamente, poi qualcosa scattò nella sua mente: Bill
l’aveva baciata, e
stavolta si era trattato di un bacio a tutti gli effetti. Uno shock da
non
sottovalutare, visto che aveva sempre creduto che sarebbe sempre e solo
rimasta
una fantasia scritta nella sua testa.
È
una fantasia nella
testa di tutte, come accidenti è possibile che ora nella mia
sia un ricordo
concreto?
“Sarai soddisfatta,
adesso.” Incalzò Gustav, con lo stesso
tono ammiccante di prima. Dopo un attimo di esitazione, Nicole
forzò una breve
risata sommessa.
“Già.”
rispose, poi si rifugiò nella tazza di cioccolata,
cercando di non badare ai tumulti che i recenti avvenimenti avevano
scatenato
in lei.
E
tre…
***
Quella mattina Bill si
svegliò stanco. La ramanzina che
David gli aveva rifilato in merito a gesti avventati ed inerenti
conseguenze lo
aveva logorato fino alle ossa e il sonno era stato ben poco pacifico.
Non era
andato a cercare Nicole per ovvie ragioni, prima fra tutte il fatto che
probabilmente
avevano entrambi bisogno di metabolizzare l’accaduto ciascuno
per conto
proprio.
A Bill quel bacio non era piaciuto, e
non perché non fosse
stato piacevole in sé, ma più che altro
perché si era trattato di un bacio
rubato, un gesto istintivo che gli era costato un bel po’ di
baccano e una
buona dose di flebo post-predica. Il tutto coronato da un certo senso
di apatia
che non riusciva a ricondurre a niente di preciso.
Sperava solo che Nicole
l’avrebbe perdonato per
quell’impudenza mossa un po’ dal desiderio e un
po’ dall’alcol.
La doccia non sortì
l’effetto rinfrescante sperato e fu con
un fastidioso cerchio alla testa che Bill scese per la sua ultima
colazione a
Dublino. Si aspettava di trovare la saletta deserta – o
meglio, se l’era
augurato – invece c’erano già Tom e
Georg seduti al tavolo, il primo con
davanti un piatto stracolmo di frittelle e una generosa porzione di
cappuccino,
il secondo con nient’altro che una tazzina di
caffè fumante tra le dita.
Entrò in silenzio,
già sapendo di recare scritto in faccia
che gatta ci covava. Fortunatamente, per lo meno, Gustav non
c’era.
Si diresse al buffet ed
afferrò un paio di brioche, poi
prese a versarsi latte e caffè.
“No, non salutare, Bill,
noi non siamo qui e non ci
meritiamo nemmeno un mezzo ‘Ciao’,
tranquillo.” Gli disse Tom, a bocca piena.
Senza nemmeno voltarsi, Bill
replicò:
“Ciao.”
Prese la propria roba e se la
portò al tavolo, mettendosi a
sedere accanto a Tom. Si rese conto troppo tardi che quello era il
posto
peggiore in cui avrebbe potuto mettersi, proprio di fronte a Georg. La
prima
cosa che notò in lui fu un particolare insolito: non portava
una t-shirt come
suo solito, bensì una maglia nera a maniche lunghe,
parzialmente spinte in su
sugli avambracci. Aveva un’aria tetra e discretamente stanca,
e non era poi
così complicato figurarsi un ipotetico motivo.
Lo so che
hai pensato
a lei.
Si mise a mangiare come se nulla
fosse, ignorando gli altri
due fino a che Tom non decise di comportarsi da Tom e sottoporlo
all’interrogatorio
di prassi.
“Dalla tua faccia da
funerale deduco che ieri sera ti è
andato storto qualcosa.”
“No.”
replicò Bill, asciutto.
“Allora ti è
andato storto qualcosa mentre scendevi le
scale?” insisté Tom. Georg taceva, e nemmeno
sembrava dar segno di provare il
minimo interesse per la conversazione. O magari, semplicemente, lo
nascondeva
bene.
“No.”
Ripeté Bill. Tom si sporse in avanti verso di lui con
uno sbuffo impaziente e lo scrutò da vicino, i gomiti
poggiati al tavolo, le
dita giunte tra loro.
“Allora
cosa c’è, ti
è finita la lacca?”
Quanto sei
spiritoso,
Tom…
Bill cominciava ad essere stufo
marcio di avere un ficcanaso
per fratello, anche se, d’altra parte, avvertiva un certo
bisogno di parlarne.
Il problema era uno solo: parlarne davanti a Georg.
Che Georg avesse un debole per
Nicole, era stato chiaro fin
da subito, ma quello che non era stato altrettanto chiaro erano le sue
intenzioni verso di lei: cercava la sua compagnia in modo molto
discreto, stava
volentieri con lei, ma Bill non riusciva a capire come mai, se davvero
lei gli
piaceva, la aveva lasciata con lui, la sera prima. Georg gli aveva
concesso
un’occasione che aveva forti probabilità di
concludersi come si era conclusa, e
probabilmente si stava torturando con una domanda a cui era meglio
rispondere
subito.
Con un sospiro, Bill si
fregò una mano sulla fronte e
confessò:
“Sono un idiota.”
***
Tom inarcò un sopracciglio
e squadrò Bill con un’espressione
scettica.
“Non per spegnerti
l’entusiasmo, ma questa scoperta risale a
prima di quella del fuoco.” Gli fece notare, ma Bill non
raccolse l’ironia e lo
polverizzò con un’occhiata tagliente.
“Ok, ok,”
rettificò lui. “Dimmi cos’hai fatto
stavolta.”
Ma Bill sembrava avere le labbra
incollate tra loro e gli
occhi inchiodati alla tovaglia, che stava tormentando con la punta del
coltello. Da come esitava, Tom intuì che, qualunque cosa ci
fosse sotto, si
trattava di qualcosa di piuttosto importante, o quantomeno serio.
Vide che Georg sembrava profondamente
interessato al proprio
caffè, tanto da comportarsi come se fosse l’unico
presente nella stanza.
L’ovvietà della causa di
quell’atteggiamento era quasi mortificante.
Il meglio – o peggio
– però doveva ancora venire.
Bill sollevò lo sguardo,
prima su Tom, poi indugiò
brevemente su Georg, il quale non avrebbe potuto essere più
impassibile, e alla
fine lo abbassò di nuovo.
“L’ho
baciata.”
Il rumore della tazzina di Georg che si rovesciava
fu sordo e quasi trascurabile, ma non lo fu la macchia scura di
caffè che si
allargava sul bianco della tovaglia, e se prima la tensione era stata
un punto
interrogativo, adesso era senz’altro diventata un manto
pesante che li
avvolgeva tutti e tre in modo quasi asfissiante. Pur conoscendo bene
l’oggetto
implicito della frase di Bill, Tom non poté fare a meno di
riservarsi un’ultima
goccia di incredula ingenuità.
“Chi?”
“Secondo te?”
sbottò Bill. Gli occhi di Tom si sgranarono
all’istante.
Oh, cazzo!
“Tu cosa?”
Se volevi
far
collassare l’equilibrio mondiale, fratellino, direi che come
primo passo non è
male.
“Ho baciato
Nicole,” ripeté Bill, solenne. “Ieri
sera.”
“E poi?”
indagò Tom, sospettoso.
“E poi niente,”
fece Bill, sollevando le spalle. “Un bacio,”
chiarì. “Solo un bacio.”
Ci fu un attimo di silenzio, in cui
Tom continuava a
spostare lo sguardo da Bill a Georg, cercando di prevedere cosa sarebbe
successo, ma era impossibile. La situazione era così
delicata che la
palpabilità della tensione impediva quasi di respirare.
Un pesante tonfo lo fece sobbalzare:
Georg aveva sbattuto il
tovagliolo sul tavolo con una mano e si era alzato in piedi con uno scatto
rabbioso.
“Congratulazioni,”
sibilò gelido, guardando Bill con il
volto adombrato. “Ce l’hai fatta, alla
fine.”
Dopo un primo momento di incertezza,
probabilmente sorpreso
dall’anomala aggressività di Georg, Bill assunse
un cipiglio scontroso.
“Avresti fatto lo stesso,
se ne avessi avuta l’occasione,” ribatté
acido. “Quindi non guardarmi con quell’aria di uno
che è appena stato pugnalato
alle spalle.”
Tom però non era
d’accordo. Osservò Georg fremere
impercettibilmente, gli occhi velati da una tristezza muta, le dita
serrate in
due pugni le cui nocche erano spaventosamente bianche: non era
l’aria di uno
che era appena stato pugnalato alle spalle.
È
l’aria di uno a cui
è mancata la terra sotto i piedi.
“Fa’ come ti
pare, Bill,” replicò Georg in tono piatto.
“Ottieni sempre tutto quello che vuoi,” Si
infilò le mani in tasca, deglutendo
con visibile fatica. “Non vedo perché stavolta
dovrebbe andare diversamente.” Poi
girò loro le spalle e se ne andò a capo chino.
Tom avrebbe tentato di fermarlo, se
l’avesse ritenuta una
cosa saggia o utile, ma era meglio lasciarlo solo, almeno per ora. Dopo
averlo
visto sparire tra la gente, si chiese quale sarebbe stata la prossima
perfida
mossa del destino.
“Hai davvero baciato
Nicole?” chiese a Bill, quasi sperando
di potersi sentir rispondere di no.
Bill lo trafisse con
l’ennesima occhiata tagliente.
“Hai problemi di
udito?” abbaiò.
Tom lo studiò
attentamente, percependo qualcosa di
indefinito che però non lo convinceva.
“Non hai una faccia
granché soddisfatta.” Constatò.
“Forse ti è
sfuggita la parte in cui io racconto ad uno dei
miei più cari amici che ho baciato la ragazza a cui
è interessato e lui scopre
di odiarmi.” Berciò Bill. Era arrabbiato e con i
nervi a fior di pelle, e Tom provava
una certa compassione per lui: si era venuta a creare una situazione
molto
complicata, e la minima azione azzardata poteva far precipitare
ulteriormente
le cose.
“Georg non ti
odia,” sospirò, sforzandosi di credere alle
proprie parole. “È solo che questa tua confessione
l’ha…”
‘Colto alla
sprovvista’ era la definizione che avrebbe
voluto usare, ma non era quella esatta. Fu Bill a trovare il termine
giusto, e
l’amarezza con cui lo pronunciò gli
inasprì pesantemente i lineamenti.
“Ferito.”
Tom esalò un lungo sospiro
sconfortato. In occasioni come
quelle c’era sempre qualcuno che soffriva
dell’esito finale, perché, nel
migliore dei casi, potevano esserci due sconfitti, ma mai due
vittoriosi, e
questo a Tom non piaceva, non adesso che c’erano suo fratello
e uno dei suoi
migliori amici in gioco.
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Note:
innanzitutto,
ringrazio di cuore tutti voi per il vostro costante e meraviglioso
sostegno.
Significa molto per me e vi sono grata per tutti i complimenti e le
belle
parole che non vi mancano mai. Grazie a tutti voi che mi seguite, e
grazie anche
alle 80 persone che hanno messo questa storia fra i loro preferiti.
Un grazie speciale a coloro che mi
hanno onorata di un
commento, e cioè: GodFather,
starfi, Hizu,
Muny_4Ever, Ninnola, DarkAke, Elisa Kaulitz, reven, Sunsetdream,
Zickie, Ranpyon,
susisango, moonwhisper, valux91, Freiheit 489, sososisu, Alexiel
Mihawk,
loryherm, Lady Vibeke (grazie per avermi aiutata a sbloccare il dilemma della dinamica del bacio!), blackmoon, kit2007, CowgirlSara, dark_irina,
LiSa90 e RubyChubb.
Spero che questo capitolo sia stato
di vostro gradimento, e
che il Fanclub di Georg non mi odierà troppo. ^^ Nicole,
Emily e i ragazzi
hanno ancora molto in serbo per voi (mi raccomado, gente, certi dettagli che possono sembrare insignificanti, dicono tante cose!), cari lettori, quindi restate con
noi, c’è
ancora tutta una storia da raccontare. ; )
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Capitolo 15 *** Give Me Strength To Face The Truth ***
Georg trascorse il resto della
mattinata in completa
clausura, solo con la propria chitarra e un terrificante nulla cosmico
dentro.
Si dava dello stupido tra una nota e l’altra,
dell’idiota, dell’illuso,
intrappolato in un incubo ad occhi aperti da cui nessuno lo avrebbe
risvegliato. Suonava quasi per inerzia, come se il suono della chitarra
lo
tenesse lucido e presente, impedendo alla sua mente di vagare verso
mete a cui si
rifiutava di pensare.
Dopotutto era praticamente stato lui
a spingerli l’uno verso
l’altra, di cosa si stupiva? E con che coraggio
colpevolizzava Bill? Li aveva
lasciati soli, aveva voluto dare a Nicole l’occasione di
vivere il suo sogno,
perché fin dall’inizio era stato lampante che Bill
fosse il suo favorito
indiscusso. Solo, Georg non aveva creduto che Bill avrebbe avuto la
faccia
tosta di fare una cosa simile, approfittando così bassamente
della situazione.
Lo stai
facendo ancora,
gli disse l’altra metà di se stesso, in un tono
saccente che non gli piacque
affatto, stai di nuovo razionalizzando la
realtà a tuo piacimento. Bill è riuscito a
baciare Nicole perché infondo era
quello che lei voleva, e forse lo sai meglio tu di loro due messi
insieme.
No, non voleva ascoltare.
Le sue dita continuarono ad
accarezzare le corde della
chitarra senza badare a nient’altro che alla musica, a quella
melodia lenta e
nostalgica che stava scaturendo spontaneamente da lui come una
qualunque altra
riflessione, fatta però non di parole, ma di note. E
più suonava, più la rabbia
cocente scivolava via, se ne andava il bruciore di
quell’emotivo graffio di
gelosia, facendo posto ad una fredda, pacata malinconia.
La mattina grigia e piovosa sembrava
volerlo accompagnare
nella sua espiazione solitaria, fare da contorno a lui e alla sua
canzone senza
voce, e c’era qualcosa di romantico e struggente nel modo in
cui la luce fioca
penetrava in fili sottili tra le pesanti tende bianche e gli scivolava
sulle
mani e sulle spalle, quasi abbracciandolo. Un abbraccio che non sapeva
di
niente, se non di asettico vuoto.
Ricordava ancora, e fin troppo bene,
la sensazione della
mano di Nicole sul proprio volto, il modo in cui lei lo aveva guardato
quel
giorno, dritto negli occhi, e forse in quel momento di silenzio lui le
aveva
detto più cose di quante lei fosse stata in grado di
percepirne.
Se solo non
fosse così
concentrata sempre e solo su Bill…
Non era esattamente la
verità, ma si trattava comunque di un
confronto a cui era inutile sottoporsi, perché gli occhi di
Nicole avevano
brillato, la sera prima, di fronte alla proposta di Bill, e Georg lo
riteneva
un segnale più che sufficiente.
In fin dei conti non era una
novità, per lui, finire
divorato dall’ombra del grande Kaulitz.
Scacciò subito quel
pensiero che lo faceva solo stare
peggio, poi afferrò la ricevuta dell’ultimo
servizio in camera e sul retro
annotò un paio di accordi.
La sua razionalità gli
diceva che le possibilità che
un’eventuale rapporto serio tra Bill e Nicole potesse
rivelarsi duraturo
rasentavano il nulla, ma restava pur sempre quella minima percentuale a
gettarlo
nello sconforto.
Sto forse
ingigantendo
le cose?, si interrogò. È
possibile
che io stia reagendo così solo perchè mi da
fastidio che Bill sia sempre di
mezzo, sempre davanti a chiunque?
Se la risposta a quella domanda era
no, ed era certo che lo
fosse, allora c’era un’altra domanda, anche
più impegnativa, se possibile, a
cui rispondere.
La conosco
solo da
pochi giorni, rifletté, appoggiandosi cogitabondo
alla chitarra, non posso essermi innamorato
di lei in così
poco tempo…
Ma una terza opzione non esisteva, e
se il crollo di una
autenticava automaticamente l’altra, allora non restava molto
da considerare.
Georg non versava una lacrima da
anni, se non dal ridere, e
non avrebbe certamente ricominciato adesso, ma improvvisamente si
ricordò di
cosa significasse sentirne il bisogno, e la sensazione non gli piacque.
Pensò anche ad Emily, a
come lo aveva cercato in un momento
di bisogno, a come lui se l’era stretta al petto per
rassicurarla, a lei che
gli chiedeva una ninnananna. L’affetto sincero che aveva
cominciato a nutrire
per quella bambina era un sentimento nuovo, per lui, una breccia aperta
su un
lato della vita che ancora non conosceva, ma in cui stava muovendo i
primi
passi incerti ma curiosi.
E non si trattava solo di Emily, o
solo di Nicole: si trattava
di loro due, insieme, perché insieme erano andate ad
occupare una nicchia nel
suo cuore che finora era sempre rimasta vuota, addirittura sconosciuta,
e ora
che Bill era ad un passo dal portargliele via entrambe, Georg non
poteva non
chiedersi quale ruolo sarebbe rimasto a lui.
Chiuse gli occhi, come se quel gesto
potesse cancellare ogni
cosa, come se un battito di ciglia potesse spazzare via tutto e
permettergli di
riscrivere la storia da capo.
Invece non
puoi.
E anche se sapeva che era inutile ed
infantile, tenne gli
occhi chiusi mentre stringeva il plettro tra le dita e riprendeva a
suonare
lentamente, e stavolta la musica fu accompagnata dalla sua voce.
***
“Mamma, perché
sei triste?”
Nicole finì di piegare la
maglietta e la sistemò con cura
nella valigia aperta sul letto, Emily in piedi accanto a lei che la
fissava
preoccupata, Wilhelm che le penzolava da una mano. Che cosa poteva
risponderle?
Non era triste, o meglio, non
esattamente. Il problema era
che c’erano tante di quelle emozioni che fremevano dentro di
lei che non
riusciva a capire quale fosse quella prevalente. Immaginò se
stessa a casa,
sdraiata sul letto a trascrivere i propri pensieri per poterli
analizzare
meglio, proprio come faceva al liceo, solo che questa volta non
c’era di mezzo il
tipo carino della squadra di basket, ma un pesce ben più
grosso.
‘Caro
diario, ieri Bill
Kaulitz mi ha baciata…’
Che cosa assurda.
“Non sono triste,
Emily,” mormorò, sorridendole. “Odio
solo
fare i bagagli.”
Mentire sembrava essere diventato un
valido mezzo di rassicurazione
del prossimo, anche se a dir poco disonesto, ma in questo caso poteva
dirsi una
bugia bianca abbastanza innocente: non era certa che ciò che
provava fosse
effettivamente tristezza, e in quanto al perché
si sentisse così, non c’erano spiegazioni vere e
proprie, se non una gigantesca
incognita.
Dopotutto, quello che le era successo
rientrava nella top
ten delle ‘Cose che vorrei tanto fare, ma che la vita non mi
concederà mai’, e
se ne stava anche molto in alto di collocazione. E allora
perché non era per
niente euforica come avrebbe dovuto essere? Perché non stava
delirando in preda
all’incredulità e non si sentiva minimamente, come
aveva detto Gustav, soddisfatta?
Perché – perché? –
tutto ciò che quel bacio le aveva portato era solo uno
smisurato, inarginabile,
soverchiante senso di confusione più totale?
“Ti aiuto a mettere via le
cose?” si offrì Emily, mettendosi
ad appallottolare un paio di calzini. Nicole glieli tolse gentilmente
di mano.
“No, grazie, tesoro, non ti
preoccupare.”
Emily però sembrava
più volenterosa del solito: prese un
mucchio di vestiti accuratamente piegati da una delle sedie e li
portò ciondolando
fino al letto.
Nicole sospirò e le chiese
di rimetterli dove stavano, che
ci avrebbe pensato lei, ma Emily non demorse.
“Voglio aiutarti!”
“Non è
necessario.” Disse Nicole, facendo per prendere la
pila di vestiti.
“Li metto via
io!” insisté Emily, tirando, e così
facendo strappò
gli indumenti di mano a Nicole, i quali finirono però
sparpagliati a terra in
un mucchio disordinato.
“Ecco, hai
visto?” esclamò Nicole, irritata, alzando la
voce. “Adesso mi tocca piegarli di nuovo!”
Se ne pentì prima ancora
di aver terminato la frase: gli
occhi di Emily si riempirono istantaneamente di lacrime e il labbro
cominciò a
tremarle, mentre fissava Nicole atterrita, facendola sentire un verme.
Nicole le si inginocchiò
di fronte e la abbracciò forte, maledicendosi
per quel suo scatto così brusco e gratuito.
Perdonami,
si
scusò intimamente, non
è colpa tua…
“Non volevo arrabbiarmi con
te,” le sussurrò, coccolandola,
a sua volta stretta dalle sue piccole braccia. Le prese il viso tra le
mani e
le sorrise, asciugandole gli angoli umidi degli occhi. “Se mi
lasci finire di
sistemare questa roba, poi andiamo giù e ci prendiamo un bel
gelato, va bene?”
“Ma non si mangia il gelato
a colazione!” fece Emily, un po’
sospettosa, tirando su con il naso. Nicole le diede un buffetto
affettuoso.
“Solo per oggi, facciamo
uno strappo alla regola.” Disse in
tono cospiratorio. “Ma non lo diciamo a nessuno.”
“Soprattutto alla
zia.” Convenne Emily, sottovoce. Nicole
rise.
Ti adoro,
piccola
peste.
“Esattamente. Ora
perché non prendi il mio iPod e ascolti un
po’ di musica mentre finisco di sistemare qui?”
Emily obbedì di buon
grado: prese l’iPod che le veniva porto
e se lo portò assieme a Wilhelm sul divano, dove si
accomodò con il suo libro
illustrato del film Disney Come D’Incanto, che Brenda le
aveva acquistato via
internet in una libreria lì a Dublino solo il giorno
precedente .
Leggermente più
tranquilla, Nicole si mise a raccattare i
vestiti sparsi per terra, ma mentre se li ammucchiava su un braccio, si
ritrovò
tra le mani qualcosa che aveva completamente dimenticato di avere,
qualcosa che
avrebbe di gran lunga preferito non vedere, in un momento come quello.
Fissò il tessuto ceruleo e
un po’ sciupato, si rigirò
l’indumento tra le mani senza uno scopo, chiedendosi
perché le sembrava che
fossero passati anni dal giorno in cui ne era entrata in possesso,
quando
invece erano solo una manciata di giorni.
L’aveva lavata, ma la
maglietta era ancora impregnata di quel
lieve profumo indelebile, un profumo che ormai conosceva fin troppo
bene.
Georg.
Un improvviso, lancinante senso di
colpa la trafisse da
parte a parte.
Perché
mi sento
colpevole? Non ho fatto un bel niente, è stato Bill a
baciarmi.
La sua mano pose automaticamente la
maglietta sul braccio
assieme al resto degli abiti e la coprì rapidamente con una
felpa nera, il
tutto senza che il suo cervello intervenisse minimamente a guidarla.
Ma anche se
così non
fosse, si disse, infastidita, da
dove
se ne esce questo dannato senso di colpa?
Spiegare l’irrazionale non
era ancora un’abilità
padroneggiata dall’umanità, e, per quanto si fosse
sforzata, non sarebbe certo
stata lei la prima a riuscirci. Ciononostante, l’irrazionale
pareva godere nel
farsi beffe di lei e non voleva saperne di lasciarla in pace.
“Volevo stare un
po’ con te.”
Non significava niente. Non
significava un bel niente,
perciò era inutile perderci il senno. A Georg non importava
di lei, non il quel senso, ed era
ridicolo farsi tanti
scrupoli per niente.
Ma tu non ti
stai
facendo scrupoli, Nicole, ghignò la sua coscienza,
tu stai letteralmente e molto perfidamente
pregando che lui si stia già
consumando nella gelosia, e, scusami tanto, ma una vera amica non si
comporterebbe mai così.
Cominciava a girarle di nuovo la
testa. Non aveva appetito,
e la sola idea di mangiare le dava la nausea, ma era inutile
tergiversare, a
minuti avrebbe comunque dovuto scendere, la partenza era prevista entro
un’ora.
E un altro
giorno se
ne va…
E lei ancora non sapeva cosa fare,
ma, anzi, era ancora più
indecisa di prima.
Maledizione,
Bill, che
cos’hai fatto?
Non diede tempo alle emozioni di
emergere. Gettò il
groviglio di vestiti dentro la valigia senza nemmeno piegarli e si
sedette sul
letto come svuotata, gli occhi fissi sulla moquette, il sangue che le
pulsava
con prepotenza nelle tempie.
Perché
mi sono voluta
complicare la vita così?, si
rimproverò. Non mi potevo
accontentare di averli conosciuti? Che diavolo ci faccio
qui?
Avrebbe dovuto mettere le mani avanti
fin dal principio,
prima che la situazione cominciasse a sfuggirle di mano, ma in fin dei
conti il
problema era proprio quello: aveva voluto
che la situazione le sfuggisse di mano, aveva deciso di permettere che
le cose si
evolvessero, e ora non poteva più dire semplicemente
‘Mi piacciono i Tokio
Hotel’, perché conoscerli non era stato solamente
un privilegio riservato a
pochi, ma anche la scoperta di qualcosa che, col senno di poi, sarebbe
stato
saggio – per quanto triste – non scoprire affatto,
perché il rapporto fan-idolo
era scemato fin troppo presto, sostituito da qualcosa di molto
più complesso e
pericoloso.
Io voglio
bene ai Tokio Hotel.
Che fregatura, la vita. Mai che
qualcosa di buono venisse
senza guai, e mai che i guai venissero soli.
Un picchiare deciso alla porta la
fece tornare in sé. Ben
lieta di essere distratta da quella trappola mentale, Nicole si
alzò e si
affrettò ad aprire, presumendo che fosse qualcuno del
personale che veniva a
ritirare qualche bagaglio, ma l’ammasso di rasta biondi che
la fissava oltre
l’ingresso le smontò la teoria.
“Tom,” fece,
stupita. “Sei tu…”
“In carne e
ossa,” Il suo tentativo di mettere dell’umorismo
nel proprio tono non attaccò. “Volevo avvisarti
che stiamo cominciando a caricare
la roba sul bus, e… Parlare.”
Nicole lo studiò
accigliata.
“Scusa?”
“Sul serio,”
asserì lui, indugiando sulla soglia. “Bill ha
detto che ti ha baciata, ieri, e la cosa non mi sorprende, ma vorrei
sentire la
tua versione, adesso, perché ho come la sensazione che
qualcosa non torni.
Allora,” Inarcò le sopracciglia con fare
inquisitorio. “Che succede, Sandberg?”
Nicole lo fece entrare, stringendosi
nelle spalle.
“Non lo so.”
“Sì che lo
sai.”
Tom la bloccò nel piccolo
vano d’ingresso, ergendosi davanti
a lei in tutta la sua considerevole altezza. Il bagliore di
preoccupazione nei
suoi occhi la spronò a tentare di aprirsi un po’.
Folle com’era l’idea, Tom
Kaulitz era diventato il suo confidente di fiducia.
“Sto impazzendo, va
bene?” ammise a bassa voce, per non
farsi sentire da Emily, che leggeva ancora il suo libro con la musica
nelle
orecchie, al di là della parete. “Bill mi bacia ad
un party di celebrità in cui
non avrei nemmeno dovuto mettere piede, scoppia l’apocalisse
e poi nemmeno si
fa vedere,” Il semplice ricordo la fece rabbrividire.
“Una come si deve
regolare, secondo te?”
Con un sospiro pensoso, Tom si
sedette nella poltroncina
accanto al guardaroba, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia
divaricate, le
mani giunte davanti la viso.
“E tu come l’hai
presa questa faccenda del bacio?” le
domandò cauto. Nicole si morse il labbro, incrociando le
braccia nervosa.
“Non ne ho idea,”
rispose schietta. “Sono ancora
discretamente confusa e… E inviperita!”
Tom sogghignò.
“Ti ricordo che Emily non
ti può sentire, sei libera di
esprimerti.”
“Va bene, sono incazzata
fino al midollo!” sbottò allora
lei, con una punta di soddisfazione. Lo era davvero, e anche parecchio.
Tom si appoggiò allo
schienale della poltrona in modo
scomposto, abbandonando le braccia contro i braccioli.
“Bill non è
esattamente un modello esemplare di maturità,”
commentò asciutto. “Fa i capricci, come qualunque
altro moccioso, e stavolta la
sua fissa sono un bel paio di occhioni celesti.”
Nicole non fu particolarmente
entusiasta di sentirsi definire
una ‘fissa’, ciononostante aveva un suo
perché essere la ‘fissa’ di Bill
Kaulitz, qualunque fan avrebbe concordato su quel punto.
“Sì,”
sospirò impotente.
“Però…”
“Però ti
piace.”
“Già.”
Tom annuì con
un’espressione sapiente stampata sul volto.
“E sei confusa.”
No, Tom,
figurati, il
mio idolo musicale è uscito dal suo poster e mi ha strappato
un bacio sotto
agli occhi di un nutrito pubblico di sconosciuti, cosa te lo fa pensare?
“Sì,
parecchio.”
“Sai, se devo essere
sincero, a me le cose paiono piuttosto
semplici.” Disse Tom tranquillamente, squadrandola con
attenzione. Nicole
ricambiò con un’occhiata interrogativa.
“Hai una cotta per
lui.” Specificò lui.
“Molto
sagace…” fece lei, sarcastica.
“Hai una cotta per
lui,” ripeté Tom. “Ma non ne sei
innamorata.”
Innamorata,
Nicole
rabbrividì al solo pensiero della catastrofe che una cosa
simile avrebbe
rappresentato, per carità, ci
mancherebbe
solo questa, sono già abbastanza incasinata
così…
“E tu che ne sai?”
“Lo so,” Tom
incrociò il suo sguardo e la fissò in modo
penetrante.
“Lo so perché non riesci a guardarlo negli occhi,
e se tu fossi innamorata di
lui, guardarlo negli occhi sarebbe tutto ciò che
vorresti,” Le sue labbra
assunsero una leggere incurvatura all’insù.
“Tutto ciò che importerebbe.”
Nicole scosse la testa quasi
divertita.
“Questa perla
così profonda l’hai letta sulle carte dei
cioccolatini che ti hanno regalato ieri?”
“Sì,
confesso.”
“E c’era anche
qualche cosa che mi possa essere d’aiuto con
quell’enigma vivente di tuo fratello?”
Tom fece schioccare la lingua con
disapprovazione.
“Credimi,” disse.
“Se esistesse un decriptatore che aiutasse
a capire Bill, sarei il primo a proporre il suo inventore per il Nobel
per la
Scienza, e forse anche per quello per la Pace, ma temo che sia solo una
celestiale
utopia.”
Nicole rise.
“Già.”
Si sentiva un po’
più calma. Forse Bill aveva semplicemente
agito d’impulso, probabilmente era stato anche un
po’ alticcio, e lei aveva
solo esagerato nel reagire. Un bacio, anche se ricevuto da Bill, era
pur sempre
un innocuo bacio, dopotutto. Solo un bacio.
“Georg
c’è rimasto molto male, sai?”
L’inaspettata interruzione
della breve pausa di silenzio da
parte di Tom causò al cuore di Nicole un sobbalzo
improvviso. Stava appena
cominciando a tornare in possesso delle proprie facoltà
mentali, non era
psicologicamente preparata ad affrontare l’argomento
‘Bacio di Bill’ assieme a
‘Reazione di Georg’.
Aspetta,
aspetta,
aspetta!, intervenne una voce esagitata, emergendo dal buio
della sua
mente, Georg cosa?
Quale reazione?
“Cosa intendi?”
“Non fare la finta tonta,
Sandberg,” ribatté Tom, sornione.
“Georg ha un debole per te da che ti sei presentata nel
backstage con quel tuo
bel faccino disperato.”
Nicole deglutì, inerme
davanti a quell’inaspettata
rivelazione.
Il tuo senso
di colpa
ha effettivamente un senso!, constatò la voce,
risorgendo più squillante,
sarcastica e fastidiosa che mai. Chi
l’avrebbe mai detto, cantante e bassista in un colpo
solo… Bingo, Nicole,
ottimo lavoro!
Perché non se
n’era accorta da sola? Perché Tom lo diceva
come se fosse una cosa ovvia e scontata e a lei non era mai passato
nemmeno per
l’anticamera del cervello? Ma soprattutto, perché
suonava così maledettamente
spiazzante?
“Dal tuo silenzio, direi
che la notizia ti giunge nuova…”
Lei boccheggiò, incapace
di mettere insieme una frase di
senso compiuto.
“È solo che
non…” Non me
ne sono mai accorta. “Non credevo che…
Insomma…”
“Le attenzioni di Bill ti
hanno fatto bypassare quelle di
Georg,” Disse Tom con un piccolo sorriso saputo.
“Fin qui nulla di nuovo, no?”
Lo dici come
se nulla
fosse…
“Se eri venuto con
l’intenzione di aiutarmi a schiarirmi le
idee, ti informo che hai appena peggiorato esponenzialmente la
situazione.”
“Ti ho aiutata a scoprire
le carte in tavola,” replicò lui,
risoluto. “Adesso sta a te capire cosa ti stanno
dicendo.”
Nicole si prese il volto tra le mani,
sfregandosi
stancamente gli occhi. Era assurdo che tutta quella storia fosse
partita da una
piccola, insignificante sciocchezza commessa da Emily.
“Che cosa devo
fare?” gli chiese, guardandolo quasi
implorante. Tom si alzò e le andò di fronte,
accennando un sorriso a fior di
labbra.
“Posso far finta di essere
saggio, profondo e
disgustosamente banale?”
“Prego.”
Lui sollevò una mano e
gliela pose sulla testa, mentre il
suo sorriso si faceva più marcato e dolce. Era un tipo di
sorriso che Nicole
gli aveva spesso visto rivolgere a Bill, in quei rari momenti di
armistizio, un
sorriso confortante e fraterno che non avrebbe mai dimenticato.
“Segui il tuo cuore.” Le disse.
Nicole restituì il
sorriso, augurandosi che un giorno non
troppo lontano il mondo potesse vedere questo Tom così
diverso dal personaggio
pubblico che tutti conoscevano.
Alla fine li
hai anche
tu dei sentimenti, sotto quella tua scorza da sciupafemmine in
carriera…
“Ah, ho scordato di dirti
che dovresti scendere con i
documenti tuoi e di Emily a fare il checkout,” aggiunse poi
Tom, con la massima
nonchalance. “Al più presto, ha detto
David.”
Nicole si portò le mani ai
fianchi, appioppandogli
un’occhiataccia severa.
“Volevi aspettare ancora
molto a dirmelo?”
“Chiedo umilmente
perdono,” implorò lui, ma la sua
espressione non era poi così affranta. “Vai
pure,” le disse. “Sto io con
Emily.”
Nicole roteò gli occhi,
mascherando un mezzo ghigno
divertito.
“Grazie.” Gli
disse poi, posandogli una mano sul braccio. Afferrò
la propria borsa e si affrettò ad uscire dalla stanza,
attraversando in fretta
il corridoio, diretta verso l’ascensore. Riuscì ad
infilarvisi quasi per
miracolo, scivolando agilmente tra le porte metalliche che si
chiudevano
rapidamente, per poi tirare un sospiro di sollievo. Quando
però sollevò lo
sguardo, un infinitesimale di secondo più tardi, si accorse
di non essere sola.
Un brivido ormai quasi familiare le attraversò la schiena.
“Georg.”
Soffiò, atterrita.
Se ne stava appoggiato con una spalla
alla parete di
specchio, gli occhiali da sole calcati sul naso, le mani infilate
svogliatamente nelle tasche dei jeans, ed era spaventosamente pallido.
“Ciao.”
Mormorò lui, la voce corrotta da una strana
incrinatura arida, insolitamente distante.
“Ciao.”
Miagolò lei, sentendosi sprofondare in una voragine
di incertezza. Lo guardò puntare lo sguardo a terra, in un
angolo della stretta
cabina, evitando lei in modo abbastanza esplicito.
Sa,
pensò Nicole,
mentre il suo cuore cessava di battere.
Lo spettro di un sorriso si
adagiò sulle labbra screpolate
di Georg, ma i suoi occhi nascosti restavano invisibili a Nicole.
L’argomento
cruciale era lì, aleggiava nell’aria
come una presenza negativa, e per quanto
lei non volesse discuterne ancora, sapeva che avrebbe dovuto
affrontarlo, prima
o poi, e forse prima sarebbe stato meglio che poi.
A conferma dei suoi timori, Georg
sollevò il capo verso di
lei, le spalle ricurve, come aggravate da un peso invisibile.
“Spero che sia stato
all’altezza delle aspettative.” Le
disse pacatamente.
Non c’era bisogno di
chiedere cosa, né come lo sapesse.
Quello che c’era invece da capire era quel tono in
realtà privo di sfumature,
quell’espressione illeggibile, quale tipo di emozione si
celasse dietro a quelle
provvidenziali lenti scure. Per la verità, c’erano
una miriade di interrogativi
che avrebbero voluto essere chiariti.
E adesso?
Nicole fece per dire qualcosa, ma
proprio in quel momento
l’ascensore si fermò di colpo, facendoli
sobbalzare.
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Note: questo
capitolo è in realtà mezzo capitolo,
perché l'altra metà è ancora in
lavorazione, ma ho visto che stava venendo molto ma molto lungo (già questa metà da sola supera la lunghezza media), quindi
ho preferito spezzarlo per facilitarvi la lettura. Ci sono diverse cose
più o meno implicite che spero qualcuno abbia notato, ma in
caso contrario non allarmatevi, capirete tutto alla fine, in ogni caso.
^^
Mi auguro che vorrete come sempre farmi il sommo onore di lasciarmi due
righe con la vostra opinione (club delle recensioni chilometriche, a
me! XD), è veramente molto importante pe me capire cosa vi
è piaciuto e cosa no, e perché (un giorno mi ci
comprerò il pane, con le mie opere! ^^).
Un bacio e mille abbracci, miei cari lettori, e a presto!
P.S. Un premio speciale a chi mi sa dire da dove viene il titolo del capitolo! ;)
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Capitolo 16 *** The Doubt Within My Soul ***
“Merda!”
imprecò Nicole con una marcata nota di panico,
portandosi una mano sul cuore.
L’ascensore si era
improvvisamente arrestato nel bel mezzo
della discesa, e non accennava a ripartire, lasciandoli soli insieme
– che
paradosso – in quel microscopico spazio vitale. Georg non
soffriva di
claustrofobia, e, per quel che ne sapeva, nemmeno Nicole, ma
c’era comunque un
sentore di soffocamento, là dentro, che lo opprimeva in modo
quasi violento. E
gli occhi di Nicole, sbarrati e ansiosi, non erano altro che la
provvidenziale sferzata
finale di quel brutto tiro mancino del fato. Georg si
considerò arbitrariamente
preso di mira.
“E adesso che
facciamo?” esclamò lei, la voce strozzata dal
nervosismo.
Lui considerò la
situazione: si trovavano nell’ascensore di
un albergo a cinque stelle molto rinomato, ci sarebbero voluti al
massimo un
paio di minuti perché qualcuno si accorgesse del fatto che
fosse bloccato,
quindi era inutile agitarsi, sicuramente qualcuno stava già
provvedendo a
risolvere l’intoppo.
“Aspettiamo,
suppongo.” Disse, ostentando una tranquillità
che non possedeva, pur lievemente disturbato dal non sapere dove
esattamente
fossero bloccati. Si lasciò scivolare seduto a terra, e
Nicole lo imitò
tentennante.
Georg si imponeva di non guardarla,
di cercare di non
pensare alle labbra di Bill che la toccavano, ma sarebbe stato
più semplice
chiedere alla terra di smettere di girare attorno al sole. Non sapeva
come
sentirsi, né tanto meno come comportarsi. Sapeva di essere
freddo con lei, non
lo faceva di proposito, ma mantenere le distanze, in qualunque senso
possibile,
gli sembrava l’unica maniera per non dare il colpo di grazia
ad un equilibrio
emotivo già in pezzi.
Non era colpa di Nicole se era in
quelle condizioni, e
nemmeno di Bill, tutto considerato. L’unico colpevole era
lui, che aveva
violato l’unica regola che si fosse mai imposto con le
ragazze da quando era
diventato famoso: mai lasciarsi coinvolgere. E finora era sempre stato
così
semplice, così naturale restare indifferente a ciascuna di
loro, ma Nicole… Con
lei era impossibile restare indifferenti, dolce e sensibile
com’era, così
matura nonostante la giovane età e i tanti problemi, eppure
ancora così bambina
sotto molteplici aspetti, fragile dietro al suo scudo pieno di coraggio.
Sei
così umana, così
piena di contraddizioni, così imperfetta…
La scrutò segretamente da
dietro gli occhiali da sole, e ciò
che vide gli accese un vivo tepore dentro: Nicole se ne stava
accoccolata
nell’angolo opposto al suo, le ginocchia strette al petto con
un’espressione contrita
ed assorta. Era la stessa identica ragazzina che aveva visto pochi
giorni
prima, ma sotto una luce talmente diversa che a stento riusciva a
riconoscerla.
Però
sei bella, lo
sai?, le disse dentro di sé. Bella
in
un modo profondo che non credevo potesse esistere…
Non aveva il coraggio di aprire di
nuovo bocca, forse perché
infondo non voleva veramente conoscere la risposta alla domanda che
già le
aveva posto, in uno slancio di autolesionistica curiosità
che già aveva perso.
Rimasero così per cinque
minuti, senza fiatare,
semplicemente osservando il pavimento che ancora sapeva di detersivo
alla
lavanda. Dopo altri cinque minuti, quando era ormai evidente che non
sarebbero
usciti di lì tanto presto, Georg si infilò una
mano nella tasca dei jeans e ne
estrasse il proprio cellulare, che vibrava ad intermittenza.
“Che fai?” gli
chiese Nicole.
Senza fiatare, Georg le
scoccò un’occhiata significativa,
poi premette il tasto verde della risposta e si portò il
telefono all’orecchio,
attendendo di udire una voce ben nota.
“Georg!”
esclamò infatti la voce di Bill, pochi istanti dopo,
irritandolo come mai prima di allora. “Sei con
Nicole?”
“Sì.”
Fu la sua semplice risposta.
“Ma dove cazzo siete
finiti?” gracchiò Bill dall’altra
parte. Georg trattenne un rantolo spazientito.
Sul tuo
letto a darci
all’amore libero… Ti piacerebbe come risposta?
“Siamo bloccati in
ascensore da qualche minuto.” Spiegò a
denti stretti. “Sembra non volerne sapere di
ripartire.”
Nel silenzio che giunse
dall’altra parte, si potevano quasi
distinguere i pensieri paranoici di Bill riguardo tutto ciò
che un ragazzo ed
una ragazza potessero fare chiusi in un ascensore da soli.
“Andiamo a vedere alla
reception cosa sta succedendo.”
Biascicò sbrigativo.
“Vuoi tenere la chiamata
aperta, in caso io dovessi saltarle
addosso mentre voi ci salvate la vita?” lo
provocò Georg, del tutto
gratuitamente. La risposta di Bill – fredda, distaccata,
brusca – impiegò un
secondo in più del necessario ad arrivare, ma era
esattamente quella che Georg
si era aspettato:
“Vaffanculo,
Georg.” E la chiamata fu chiusa.
Nessuno scherzo, nessuna ironia: per
la prima volta Bill lo
aveva mandato a quel paese con l’assoluta intenzione di
insultarlo, di chiarire
che più si sarebbe tenuto lontano da lui, meglio sarebbe
stato.
“Non avresti dovuto
parlargli così.” sussurrò Nicole ad un
tratto, fissandolo con un’espressione illeggibile.
“Lo so.” Ammise
lui, lasciando cadere il cellulare sulla
moquette blu.
Ma se non
posso essere
geloso, almeno mi riservo il diritto di essere stronzo.
Lei sembrava delusa dal suo
comportamento, o forse delusa e
basta. Georg non la capiva. Non riusciva a capire cosa potesse provare,
come
potesse sentirsi, e odiava non sapere quello che aveva significato per
lei
baciare Bill. Se c’era una cosa, tra le tante, che si
rimproverava, era la propria
codardia, il fatto di non aver mai avuto il fegato di mettersi in
discussione e
dirle come stavano le cose, trattenuto dal terrore di perderla, pur non
avendola mai avuta.
“Tu mi piaci,
Nicole,” esordì ad un tratto, senza sapere quale
volontà, sicuramente non sua, lo stesse guidando. Il suo
tono era fermo, ma non
lo erano altrettanto le sua mani, che continuava a torturarsi nella
speranza
che smettessero di tremare in quel modo patetico. “Mi piaci,
e l’hanno capito
tutti, ormai, quindi non giriamoci intorno, non voglio essere compatito
per
questo,” Fece una breve pausa, cercando di trovare il
coraggio di tirare fuori
tutto, una volta per tutte. Probabilmente sarebbe stata la sua ultima
occasione
di restare da solo con lei. “Se è Bill che vuoi
– quello che pensi sia giusto
per te – allora va bene, sono felice per voi,”
Deglutì, sapendo che ciò che
stava per dire avrebbe potuto sembrare crudele, ma doveva dirlo, doveva
chiarirlo. “Ma tu hai bisogno di un compagno, di qualcuno che
si prenda cura di
te, non di un altro figlio.”
***
Nicole non credeva che una cosa del
genere potesse essere
concretamente sensibile, non aveva mai pensato che si potesse avvertire
l’esatto istante in cui il proprio cuore si spezza, ma Georg
le aveva appena
dimostrato il contrario.
Anche se Tom le aveva preparato il
terreno, anche se sapeva
già tutto quanto, sentirlo dalla voce stessa di Georg faceva
tutto un altro
effetto, e la cosa non significava necessariamente che si trattasse di
un
cambiamento in meglio: c’era un abisso sensoriale ed emotivo
tra il sentirsi dire
una cosa del genere da un semplice portavoce e dalla fonte in persona,
e non fu
piacevole per Nicole sperimentare la seconda opzione.
Tutt’altro.
“Perché non mi
hai mai detto niente?” domandò, pur
sentendosi estremamente sciocca nel porre un quesito così
ovvio ed indelicato.
Tu vivi in
simbiosi
con Bill, ti comporti come se fosse il Dio Sole disceso in terra, e hai
anche
il coraggio di chiedergli perché se n’è
rimasto zitto fino ad ora? Che faccia
tosta!, sbraitò la sua coscienza, così
forte che Nicole temeva che anche
lui potesse sentirla, ma Georg pareva fin troppo concentrato sulle
proprie
mani.
“Non volevo
turbarti,” disse, accompagnando la risposta con
una debole scrollata di spalle e un abbozzo di sorriso che non avrebbe
convinto
un cieco. “Volevo solo godermi la tua compagnia senza
complicare le cose,”
proseguì, corrugando la fronte mentre si fissava le
ginocchia. “Temevo di
metterti in imbarazzo, e poi…” Un’altra
scrollata di spalle. “Be’, non volevo
rovinarti la tua settimana speciale.”
Stavolta fu Nicole a corrugare la
fronte.
“Rovinarmi?”
fece, perplessa. Lui annuì.
“È ovvio che
stravedi per Bill,” disse in tutta calma. “Ho
pensato che volessi stare con lui il più
possibile…”
C’era almeno mezza di
quelle parole che avesse senso? Se il
discorso di Georg era retto da un qualche filo, Nicole non riusciva a
trovarlo.
Tu sai
benissimo cosa
ti sta dicendo, è solo che non ti va di ammettere che sei
stata schifosamente
egoista, con lui.
“Avresti dovuto
parlarmene.” Rispose, mentre dentro di sé
cercava di mettere a tacere quella voce fastidiosa.
“E metterti così
a disagio?” Georg sorrise. Un vero sorriso,
che aveva un che di inspiegabilmente indulgente. “No, avrei
solo compromesso la
situazione, e inutilmente. Mi stava bene così, sono stato
veramente bene con
te, e non mi dispiacerebbe se ci dimenticassimo di questa
conversazione, ora.”
Ma ciò che Nicole aveva
appena ascoltato era ormai
indelebilmente impresso dentro di lei, e nemmeno avrebbe voluto
dimenticarlo,
perché quello che lui aveva detto non era qualcosa che si
potesse semplicemente
far finta di non aver sentito. Georg le aveva appena rivelato di aver
messo in
secondo piano i propri desideri per permettere a lei di vivere il suo
sogno di
sempre, come poteva ignorare un gesto simile? Quante altre persone
avrebbero
avuto la forza di agire così?
“Ti sono davvero grata per
questo.”
“Oh, figurati,”
si sminuì lui. “Almeno avrai qualcosa di
bello a cui pensare quando tornerai a Lipsia.”
Come diavolo
–?
“Ce l’hai scritto
in faccia che non resterai.” Esplicitò
lui, come leggendole il pensiero. Una coltre di tristezza gli oscurava
il viso.
Nicole si strinse le ginocchia al
petto, tormentandosi il
labbro con gli incisivi.
“È
così evidente?”
Lui le rivolse un’occhiata
fugace.
“Abbastanza.”
Lei sospirò, abbassando il
capo frustrata. Era non poco
stupita di come, nonostante la situazione apparentemente scomoda, le
fosse
facile parlare con lui.
“Bill non l’ha
capito.”
Georg emise una flebile risata cupa e
sommessa.
“Sarà per via
del fatto che tu hai una certa difficoltà a
lasciarti guardare in faccia da lui.”
Pur essendo una battuta casuale,
quella frase smosse
qualcosa in Nicole, qualcosa che era però così
vago e sfuocato che lei nemmeno
capì di cosa si trattasse.
“Ti prego,”
proseguì lui. “Ora non ti devi sentire in dovere
di comportarti in modo diverso… Non sprechiamo questi tre
giorni scarsi che
rimangono a farci problemi per questo mio insulso, effimero
capriccio.”
Insulso.
Effimero.
Capriccio.
Perché non suonava
rassicurante come avrebbe dovuto? Perché faceva
male?
“No,” Convenne
lei. “No, hai ragione.” Ed evitò di
esternare
un’altra domanda che era sicuramente inopportuna, ma
piuttosto fondamentale.
Sarebbe
stato lo
stesso un insulso, effimero capriccio, se non ci fosse stato Bill di
mezzo?
“Senti,
io…” esordì Nicole, benché
non le fosse affatto
chiaro cosa dire.
“Non preoccuparti per
me,” la interruppe Georg. “Sto bene,
credimi.”
Non che non
ti credo. L’hai
detto anche quando avevi quaranta di febbre.
“Georg, mi
dispiace…” Nicole non sapeva esattamente per che
cosa glielo stesse dicendo – per quale dei mille e forse
più motivi per cui
avrebbe voluto scusarsi lo stesse facendo – ma erano state le
parole stesse a
costringerla a pronunciarle, e lei non sapeva a cosa associarle.
Lui le rivolse un mezzo sorriso
obliquo, così carico di
tristezza da smorzarle il respiro.
“Doveva pur essere uno di
noi,” rispose mesto. “E sapevamo tutti
chi dei due sarebbe stato. Avevi già scelto fin
dall’inizio, anche se non lo
sapevi.”
Sono io
l’unica
stupida ancora confusa? L’unica che non si è
accorta di niente se non di quello
di cui voleva accorgersi?
“In ogni caso,”
mormorò. “Quanto credi che durerebbe una
storia così, per assurdo? Non sono ingenua come sembro, lo
so come vanno le
cose. Una rockstar – una come Bill, per giunta! – e
una ragazza madre: secondo
te quanto a lungo potrebbe funzionare? Un mese, due? E poi? Me ne torno
a casa
con i cocci in mano e una bella dose di autocommiserazione in cui
crogiolarmi a
vita. No, grazie, la vita mi ha già riservato abbastanza
delusioni, non voglio
finire di nuovo a pezzi.”
Georg tacque per un lungo minuto,
forse anche più a lungo, e
i loro occhi non si lasciarono un istante. Si scrutavano a vicenda come
tentando di leggersi dentro, e quello che vedeva Nicole era una
più o meno
serena rassegnazione.
“E se invece dovesse
funzionare?” disse improvvisamente lui.
“Se Bill fosse pronto a mettersi un po’ di sale in
zucca e pensare a te e ad
Emily prima che a se stesso?”
A che gioco
stai
giocando?, si domandò Nicole, sospettosa. Dov’è che vuoi arrivare? Non
ti capisco…
Ciononostante,
l’osservazione non era da sottovalutare:
effettivamente, Bill non era una maestro dell’arte della
maturità, lo aveva
ampiamente dimostrato, non solo con quel bacio, ma anche con tutto
quello che
era – o meglio, non era
– successo in
seguito. Nicole sapeva che gli uomini spesso ritenevano trascurabili
certi
aspetti della vita sentimentale, ma quello che Bill aveva fatto aveva
un certo
peso, e lei si sentiva autorizzata ad aspettarsi un confronto postumo.
Lo
meritava, e Bill non aveva ancora dato segno di volerglielo concedere.
“Sarebbe qui a dirmi queste
cose al posto tuo.” Sospirò infine.
“Quindi te ne andrai e
basta?” replicò Georg, quasi
indispettito. “Chiuderai questo capitolo e tanti
saluti?”
“Cos’altro dovrei
fare?”
“Forse per una volta
potresti sforzarti di raggiungere un
compromesso,” disse lui. “Potresti dare
un’occasione al destino, lasciare che
ti dimostri che puoi dare ad Emily una vita serena senza rinunciare
alla tua
stessa felicità…”
“Forse, chissà,
prima o poi ce la farò,” rispose lei in tono
pratico. “Ma non sarà con uno di voi.”
“Perché
no?”
“Perché se
c’è una cosa che ho imparato dalla vita,
è che
per un musicista nulla conta più della sua musica, e forse
è anche giusto che
sia così, ma, come hai detto tu, io ho bisogno di qualche
cosa di più.”
Georg la guardò in modo
strano, con un misto di curiosità,
rispetto e turbamento. Nicole si era sentita pronunciare quella frase
con una
durezza che credeva di aver ormai dimenticato, ma che evidentemente
ancora
bruciava in lei, dopo tanto tempo. Sperava che Georg non indagasse su
quella
sua uscita così criptica, e fu l’ascensore a
garantirlo: il meccanismo si
smosse all’improvviso, distraendoli dalla conversazione, e
riprese a scendere
come se nulla fosse accaduto. Scambiandosi un’occhiata
incerta, Nicole e Georg
si rialzarono in piedi, giusto un paio di secondi prima che le porte si
aprissero davanti a loro, rivelando un pubblico di almeno venti persone
che li
fissavano come fenomeni in esposizione. Fra essi non fu difficile
scorgere
Gustav, Tom con Emily in braccio, Jost, Saki ed un altro paio di
persone note,
e infine Bill, in disparte e più pallido del solito, che
sembrava non voler
guardare.
“Grazie al
cielo!” esclamò Jost, brandendo un Blackberry,
mentre Georg usciva tentennante. “Cominciavo a temere di
dover spostare tutti
gli appuntamenti!”
Pian piano il capannello di persone
si diradò, lasciando
solo un paio di elettricisti a trafficare con i comandi
dell’ascensore. Georg
stava facendo il checkout, e sembrava ansioso di finire ed andarsene.
Nicole occhieggiò Bill
speranzosa, ma lui si infilò le mani
in tasca e si diresse rapidamente altrove.
“Ma tu sei una calamita per
guai in incognito, per caso?”
Voltandosi, Nicole si
trovò faccia a faccia con Gustav, che
le sorrideva mellifluo da sotto uno dei suoi berretti. Lei
sbuffò tra sé.
A quanto
pare…
“Risparmiami la crudele
ironia,” lo pregò. “È tutto
talmente
assurdo che ancora non so se credere se sia reale o meno.”
“Ancora con questa storia
del sogno?” fece lui, incredulo.
“Credevo avessimo superato la fase della
negazione…”
Nicole gli rivolse una dignitosa
linguaccia che li fece
ridere entrambi, e scoprì di sentirsi un po’
meglio, senza dubbio meno frastornata
di prima.
Perché
con te è così
facile? E anche con Tom… Perché voi due non siete
così perfidi da tentarle
tutte per farmi impazzire?
Ovviamente non riteneva vera perfidia
quella di Bill e
Georg, quanto più inconsapevole attitudine al portare
scompiglio nel suo ordine
interiore, ma avrebbe davvero voluto che le cose fossero andate
diversamente.
“Dove sono le
sardine?” chiese la vocina di Emily. Nicole
sollevò la testa e vide che la piccola si stava sporgendo
dalle braccia di Tom
per sbirciare nel vano dell’ascensore.
“Quali sardine?”
“Lascia stare,”
disse Tom, con un’espressione divertita. “Tua
figlia prende troppo sul serio certi modi di dire.”
“Ma voi avete detto che li
trovavamo accippicati con le
sardine!” protestò Emily.
“Appiccicati,” la
corresse Tom, ridendosela sotto i baffi.
“E ho detto ‘come’ non ‘con
le’…”
Nicole si portò le mani ai
fianchi, squadrando ora lui ora
Gustav con finta indignazione.
“Cos’è,
avete aperto un giro di scommesse, adesso?”
commentò.
“E coinvolgete nelle vostre losche attività
un’innocente di neanche quattro
anni?”
Gustav si limitò a fare
orecchie da mercante, Tom strinse
lievemente gli occhi verso di lei, in un modo naturalmente sensuale che
ricordò
a Nicole perché si fosse guadagnato, e a pieni meriti,
l’appellativo di Sex
Gott.
“Spero che abbiate anche
discusso di cose serie, là dentro.”
Le disse, sardonico. Lei gli diede un colpetto sul braccio.
“Scemo!”
ribatté. “Abbiamo
discusso di cose serie, e nient’altro.”
Il fatto che poi la discussione non
avesse fatto altro che confonderla
ulteriormente era del tutto trascurabile. Georg aveva detto molte cose
davvero
acute, così come ne avevano dette anche Gustav e Tom a loro
tempo. Quello con
cui ancora non era riuscita a rapportarsi, da quel punto di vista, era
Bill, e
non poteva mettersi a fare i conti senza di lui. Decise che gli avrebbe
concesso un po’ di tempo per riflettere, poi, se lui non si
fosse fatto avanti,
sarebbe stata lei a farlo.
“Nicole,
scusami,” intervenne Jost, chiamandola dal bancone
della reception. “Potresti portare i documenti tuoi e di
Emily, per favore?
Dobbiamo concludere questo maledetto checkout al più presto,
siamo già in
ritardo mostruoso…”
Con un sospiro, Nicole
lasciò Emily, Tom e Gustav e lo
raggiunse, recuperando le carte d’identità nella
tasca della felpa.
“Grazie.” Disse
il receptionist, e si mise a trafficare al
computer.
Nicole osservò il proprio
volto sul documento, un viso
rotondo e decisamente più paffuto, più giovane di
allora di quasi cinque anni,
e si stupì di quanto fosse cambiata: le lentiggini erano
sparite, i capelli
mossi si erano fatti lisci, gli zigomi si erano affilati, le guance
svuotate, e
i suoi occhi non erano più quelli di una bambina. Era
completamente un’altra
persona.
Anche il giovane receptionist
sembrava pensare la stessa
cosa, mentre le restituiva le due carte con un sorriso garbato.
Anche la tappa di Dublino era
conclusa. Avrebbero lasciato
l’Irlanda, diretti a Londra, e Nicole non era mai stata
così felice di lasciare
la propria casa.
--------------------------------------------------------------------
Note:
scusate l'interminabile attesa, tra lavoro, università e
vita, mi ci sono voluti secoli con questo capitolo. Spero di non aver
lasciato nessuno deluso, vista l'alta densità di seghe
mentali e discorsi seri, ma è una parte fondamentale che va
affrontata. ^^ Non ho tempo dei ringraziamenti personalizzati, ma vi
adoro tutti quanti, e come sempre vi devo molto per il vostro
indispensabile supporto e i vostri stupendi commenti! Mi raccomando, keep 'em coming! ;)
Un bacio, alla prossima!
P.S. a proposito, cogratulazioni a tutti coloro che hanno azzeccato il titolo dello scorso capitolo, erano proprio i grandi Within Temptation con la stupenda The Truth Beneath The Rose, proprio come per questo stesso capitolo!
P.P.S. siccome RubyChubb mi sta viziando con la sua bellissima ff sui McFly, Four Guys In Her Hair (che consiglio a tutti voi, anche se non sapete chi sono, si impara ad amarli in fretta ^^), ieri mi stavo guardando per l'ennesima volta Baciati dalla Sfortuna, commedia molto carina in cui compare il suddetto gruppo rock britannico, e visto che il grande magnate della casa discografica sembra ritenere il Blackberry un must per gli uomini in carriera, ho deciso che David Jost ne doveva assolutamente avere uno. Lo so che non vi importerà granché, ma era per rendervi partecipi di come certe volte gli spunti per certe cose caschino letteralmente dal cielo. ^^
P.P.P.S. Un saluto speciale ad un'amica speciale della mia cara Lady Vibeke, che so che mi legge fedelmente: ciao, Anima Gemella N.2 di Lady! ;)
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Capitolo 17 *** Good News Gone Bad ***
L’arrivo a Londra,
inizialmente previsto per le sei di sera,
fu in realtà ritardato da una lunga serie di contrattempi
che dilatarono
considerevolmente le procedure di partenza del volo dal Dublin
International
Airport, primo fra tutti uno sciopero inatteso del personale di volo,
accompagnato da un provvidenziale corto circuito al sistema di
sicurezza di
diversi metal detector e una sconvolgente indisponenza da parte del
responsabile del banco informazioni.
Risultato: l’aereo, dopo
essere decollato con tre estenuanti
ore di ritardo, aveva toccato il suolo britannico intorno alle dieci,
nel bel
mezzo di un tipico temporale inglese.
Quando si
dice che la
sfiga ci vede benissimo…
Gustav quasi stentava a credere di
essere finalmente in
albergo, nella sua stanza comoda ed asciutta, a godersi i piacevoli
vapori
della doccia bollente. Il clima di Londra sapeva essere terribile: con
il sole
era tutto fantastico e godibile, ma la pioggia ed il vento sapevano
farti
penetrare il freddo nelle ossa, e non era impresa da poco sbarazzarsene.
Rivolse il volto verso lo spruzzo
vivace dell’acqua,
lasciandosi coccolare dal getto delicato e dal profumo di muschio del
bagnoschiuma. Nonostante il relativo benessere fisico appena
guadagnato, però,
non si sentiva tranquillo.
Era preoccupato per Nicole
– seriamente preoccupato
– e anche per la piccola Emily. Il polverone
sollevato dalla questione del bacio aveva posto Nicole al centro
dell’attenzione,
ma questo aveva fatto sì che si perdesse di vista un altro
dettaglio non
indifferente: Emily sembrava aver sviluppato un forte attaccamento
verso tutti
e quattro i Tokio Hotel, cosa ovviamente imprevedibile a priori, ma che
poteva
rivelarsi molto delicata da gestire in un eventuale futuro –
che Gustav
riteneva imminente – che avrebbe implicato separazioni non
semplici.
E non solo
per Emily…
Uscendo dalla doccia, Gustav si
avvolse distrattamente un
asciugamano in vita e caracollò stancamente fino al proprio
letto, dove si
lasciò cadere con un tonfo esausto. Era un tipo molto
empatico, risentiva molto
dell’influenza emotiva altrui, e non c’era nulla di
peggio che essere
circondato da persone cariche di negatività: Bill era
l’emblema vivente del
tormento represso, un burattino dal viso esangue e un aspetto
tutt’altro che
rassicurante, Nicole era una fascio di nervi in tensione massima,
mentre Georg
sembrava in tutto e per tutto intenzionato a giocare la parte
dell’eroe di
guerra sacrificatosi per il bene comune: non rivolgeva la parola a
Nicole da
quando erano usciti dall’ascensore, e dio solo sapeva cosa
diavolo ci avessero
fatto, là dentro, cosa si fossero detti di così
drastico.
Una volta infilatosi i vestiti
più comodi che aveva, Gustav
gettò un’occhiata alla radiosveglia
dell’impianto stereo, che segnava l'una passata, e si stupì: sebbene la giornata
fosse stata davvero pesante e il suo corpo lo stesse letteralmente
supplicando
di dare tregua alle sue membra stanche, non si sentiva poi
così spossato
come aveva creduto, ma, anzi, la preoccupazione crescente per quella
situazione
così contorta gli metteva addosso un’inquietudine
che gli impediva perfino di
riuscire a stare seduto.
Tutto ciò che gli ci
voleva era una boccata d’aria fresca e
quattro passi nel bel giardino di cui l’hotel Barkston Garden
di Earl’s Court
disponeva.
Risoluto, afferrò la
giacca e se la buttò sulle spalle, poi
si infilò la chiave in tasca ed uscì.
Stava cercando di ricordare da che
parte fossero le scale
(non amava particolarmente gli ascensori, e ancor meno dopo quello che
era
successo a Dublino), quando con la coda dell’occhio intravide
una porta in fondo
al corridoio che si apriva. Era certo che Tom avesse la suite, che
stava dal
lato opposto del piano, dove si trovava anche la camera di Georg,
quindi quella
stanza poteva essere quella di Bill, o quella di Nicole.
Aveva già sulla punta
della lingua un paio di discorsi da
propinare ad entrambi, ma la persona che era appena uscita dalla porta
era l'unica
che non aveva considerato: Emily se ne stava sgattaiolando via in punta
di
piedi, scalza e con addosso nient’altro che il pigiama bianco
e lilla, trascinandosi
dietro Wilhelm.
“Emily?” la
chiamò in tono cantilenante. Lei si voltò e lo
squadrò assonnata, mentre lui le andava incontro.
“Ti serve qualcosa?”
Lei fece segno di no con la testa.
“La mamma si è
addormentata sul divano. Volevo chiedere a
Georg se la portava in braccio fino al letto come lei fa con me. Non
voglio
svegliarla.”
Intenerito, Gustav le sorrise.
“Georg ti piace molto,
vero?”
Emily avrebbe anche potuto non
rispondere: la rapidità con
cui il suo viso si illuminò alla semplice menzione di quel
nome parlò per lei.
“Sì!”
esclamò, ma subito dopo parve farsi preoccupata.
“Però
mi piaci tanto anche tu! E Tom, e Bill!”
“Ma certo,” la
rassicurò lui. “Lui però è
il tuo preferito.”
Aggiunse con in tono complice.
Il sorriso spensierato che Emily gli
rivolse andò molto
vicino a spezzargli il cuore, e ciò che disse ancora di
più.
“Mi sembra tanto un
papà.”
Oh,
piccola…
Per la prima volta da quando
l’aveva conosciuta, Gustav si
sentiva a disagio con lei. Avrebbe voluto cercare di chiarirle un
po’ la
situazione, spiegarle quanto le cose fossero ben più
complicate di come
apparissero a lei, ma non poteva addossarsi una simile
responsabilità, non ne
sarebbe nemmeno stato in grado. Non stava a lui dirle come stavano le
cose, e
ciononostante sapeva che non era affatto un bene che lei pensasse certe
cose.
“Emily,” le disse con
dolcezza, prendendola per mano.
“Ascolta, lasciamo dormire Georg, ci vengo io ad aiutarti a
portare a letto la
mamma, va bene?”
“Grazie!”
Rientrarono nella stanza, facendo
piano, e Gustav si stupì
del fatto che tutte le luci fossero accese: come aveva fatto Nicole ad
addormentarsi?
Poverina,
pensò, dev’essere
veramente esausta, e non solo su
un piano fisico…
La scorse sul divano, accoccolata in
posizione fetale, un
libro aperto tra le mani. Sembrava serena, in pace con il mondo.
Somigliava molto di
più ad Emily, così
addormentata.
Gustav si avvicinò con
cautela, attentamente supervisionato
da Emily: si chinò su di lei e, con la massima delicatezza,
la prese tra le
proprie braccia, sollevandola.
Però!,
pensò
Gustav, sorridendo fra sé e sé, mentre la portava
al letto, forse non sei poi così
magrolina come
sembri…
Emily lo aiutò ad
infilarla sotto le coperte, e,
miracolosamente, lei non si svegliò.
“Grazie,” gli
disse Emily, accarezzando i capelli di Nicole in
un modo materno che gli fece venire da ridere. “Adesso ci
penso io.”
Quella bambina era a dir poco
sorprendente: era sicuramente ingenua
e spontanea, com’era giusto che fosse alla sua
età, ma certe volte se ne usciva
con certi comportamenti seri quasi caricaturali che ti strappavano
sempre un
pizzico di buonumore.
“Tu adesso ti metti a
dormire,” le intimò in un sussurro,
facendo il serio. “Altrimenti domani, per punizione, dovrai
restare in camera
tutta sola, e dormire mentre noi ci divertiamo.”
Le sue parole sortirono
l’effetto desiderato: Emily fece una
faccia preoccupata e si affrettò ad arrampicarsi sul letto
accanto alla madre.
“Ecco, sono brava,
vedi?” disse speranzosa, sdraiandosi e
tirandosi su le coperte fino al naso.
“Bravissima,”
confermò lui. “Ora io esco e spengo la luce, e
tu mi prometti che non ti muovi di lì?”
Lei annuì convinta.
“Promesso.”
“Bene,” le
lasciò un ultimo sorriso che lei ricambiò subito.
“Buonanotte.”
“Buonanotte,
Gustav.”
E lui la lasciò,
già sapendo che non sarebbe riuscito a
prendere sonno, e che avrebbe invece passato la notte a pensare ai
mille modi
in cui la permanenza delle due ragazze Sandberg presso i Tokio Hotel
avrebbe
potuto concludersi in uno sfacelo.
A meno che
non
intervenga un deus ex machina ad impedirlo.
***
Il fatto che il ragazzi, quel giorno,
avessero finalmente
una pausa prima della prossima esibizione fu un vero colpo di fortuna:
Nicole
aveva bisogno di svagarsi, e non c’era niente di meglio di
una bella visita a
Londra sotto un bel sole tiepido come quello. Per di più,
essendo mercoledì, le
orde di turisti sarebbero state relativamente contenute, e
probabilmente
sarebbe riuscita a mostrare ad Emily almeno buona parte delle
attrazioni
principali della città.
Si erano svegliate di buonora, e,
dopo una colazione veloce,
si erano preparate per uscire. Emily sembrava una piccola campanella
con il suo
cappottino color panna coordinato con sciarpa, berrettino e guanti, ed
aveva
categoricamente insistito a portarsi dietro Wilhelm affinché
potesse anche lui
vedere Londra. Al momento il ragno di peluche se ne stava comodamente
rinchiuso
nello zainetto rotondo, recante il disegno della faccia di un
sorridente Jack
Skeleton, che lei portava sulla schiena, una zampetta pelosa che faceva
capolino dalla lampo semiaperta.
Nicole si fermò alla
reception a consegnare la chiave della
stanza, poi si sistemò meglio il pesante giaccone nero,
assicurandosi che il
colletto imbottito fosse ben chiuso, poi prese Emily per mano e si
diresse
verso le ampie porte di vetro, già pregustandosi il piacere
di passeggiare per
la splendida capitale inglese dopo tanto tempo.
“Hey, Nicole!” la
chiamò una voce conosciuta. Lei si voltò e
scorse Bill che correva trafelato giù per le scale,
spazzando i gradini con la
sciarpa nera che gli pendeva dal braccio.
“Buongiorno,
Bill!” cinguettò Emily, sventolando la mano
libera.
Lui arrivò a loro col
respiro affannato, ma non mancò di
salutarle con un sorriso.
“Dove andate di
bello?” domandò, riprendendo fiato.
Nicole era sorpresa di vederlo in
piedi così presto, ma ci
stava facendo il callo con le cose inaspettate da parte dei ragazzi,
quindi non
ci badò troppo.
“Facciamo una gita in
città,” gli rispose. “È una
bella
giornata, è un peccato sprecarla in hotel.”
L’idea parve stuzzicare
l’interesse di Bill, il cui volto si
aprì in un’espressione entusiasta.
“Posso venire
anch’io?”
Tu?,
Nicole lo
fissò ammutolita. In centro a
Londra?
Scherzi?
“No che non puoi, sei
impazzito?” esclamò, basita. “Vuoi
morire asfissiato da una moltitudine di fans esaltate?”
“Ho avuto il
permesso!” si giustificò lui, proprio come un
bambino. “David ha detto che posso, basta che mi mimetizzo un
po’ e mi porto
Saki.” Indicò alla cieca un punto alle proprie
spalle, e solo allora lei si
accorse che Saki era scenso dopo di lui, e ora aspettava vicno allo
schermo al
plasma della sontuosa sala d’aspetto lì accanto.
“A te da fastidio?”
Nicole la trovò una
domanda del tutto scontata e superflua:
era come chiedere a Tom se gli piacessero le belle ragazze.
“Ma no, affatto,”
rispose rapida. “Anzi,” sentì le proprie
guance tingersi di rosso. “Mi farebbe piacere, ma…
Gli altri?”
La risposta di Bill fu pronta ed
esauriente, e Nicole ebbe
la sensazione che lui avesse già anticipato
quell’obiezione. La cosa la fece
sorridere.
“Georg e Tom dormono, e
Gustav ha detto che preferisce farsi
una nuotata in piscina.”
A Nicole non serviva
chissà quale ragionamento contorto per
capire che Gustav le stava offrendo un’occasione per riuscire
finalmente a
parlare a quattr’occhi – o quasi – con
Bill, e si ripromise di ringraziarlo,
appena l’avesse visto.
“Allora direi che possiamo
andare.” Decretò alla fine,
infilandosi gli occhiali da sole.
Bill sorrise ampiamente, un sorriso
luminoso ed allegro
dallo straordinario potere contagioso. Nicole si sentì
improvvisamente un po’
più leggera: forse anche lui aveva voglia di chiarire la
situazione, o forse
voleva semplicemente farla impazzire ancora un po’. Non che
avesse importanza,
in ogni caso. L’avrebbe accompagnata in giro per una delle
più belle metropoli
del mondo, a strafogarsi di schifezze e fotografare cavolate:
l’esperienza si
prospettava divertente.
Cinque minuti più tardi,
stavano tutti e quattro dirigendosi
verso la fermata del tube, Bill
infagottato fino ai denti nel camuffamento più riuscito che
Nicole avesse mai
visto: si era fatto una coda e l’aveva nascosta nel
cappellino nero, la cui ala
gli gettava un’ombra leggera sugli occhi privi di trucco.
Portava un corto
impermeabile beige, che Nicole si domandò dove avesse
scovato, ed aveva una
vaporosa sciarpa nera avvolta attorno al collo, tirata su fino al
mento.
Nessuno avrebbe mai potuto dire che quell’anonimo ragazzo
fosse il celeberrimo
vocalist dei Tokio Hotel.
“Sei pratica di queste
zone?” le domandò Bill a voce bassa,
una volta che ebbero preso posto nel vagone della metropolitana. Poteva
mascherare sé stesso quanto voleva, ma per la lingua non
c’era niente da fare.
“L’ultima volta
che ci sono venuta avevo tredici anni,”
spiegò lei. “Però ho abbastanza
familiarità con la città,
effettivamente.”
“Ah, bene, allora puoi
farci da guida turistica e da
interprete!”
“Scroccone.” Lo
punzecchiò lei.
Il tragitto fino alla zona del Big
Ben fu piuttosto
tranquillo, anche se Emily ebbe di che stupirsi quando un variopinto
gruppo di
punk passò loro davanti all’uscita della metro.
Bill, invece, si lasciò
incantare dall’elegante imponenza della House of Parliament,
soprattutto dalla
Clock Tower stessa, che svettava maestosa contro il cielo di un intenso
azzurro
brillante.
“Oddio, è
bellissimo!” chiocciò Bill, le mani giunte come in
adorazione, il naso rivolto all’insù e i
bellissimi occhi nocciola sgranati
dall’ammirazione. “Saki, perché non ci
siamo mai venuti?”
“Perché tutte le
altre volte siamo passati di qui solo per
poche ore, e avevate un’agenda così fitta da far
impallidire quella del
presidente Bush.” Rispose Saki, con una nota di rammarico.
“Mamma, io voglio andare
là!” disse Emily, tirandola per la
manica della giacca. Stava indicando il London Eye, la gigantesca ruota
panoramica che si affacciava sul Tamigi, direttamente alle loro spalle,
appena
oltre il ponte.
Nicole si sentì male solo
a vedere quanto fosse alta.
“Tesoro, lo sai che le
altezze non mi piacciono.”
Emily mise su un broncio monumentale
ed incrociò le braccia
corrucciata.
“Ti ci porterei io, ma
soffro anch’io di vertigini.” Disse
Bill, dispiaciuto.
“Posso accompagnarla
io,” si offrì Saki. “Ovviamente se per
te va bene, Nicole.”
“Oh, grazie
mille!” fece lei, profondamente riconoscente.
“Emily, tu cosa –” Ma la piccola aveva
già afferrato la manona di Saki e se lo
stava portando via saltellando felice.
“Mi domando dove diavolo
vada a pescare tutta
quest’energia.” Sospirò Nicole,
incamminandosi con Bill dietro di loro lungo il
marciapiedi affollato. Lui si infilò le mani nella tasca del
cappotto e fece
spallucce.
“I bambini sono
vitalità allo stato puro,” commentò.
“Emily,
poi, è una scintilla vivente.”
Si appoggiarono al parapetto di
pietra che costeggiava il
fiume e stettero a guardare mentre Saki ed Emily acquistavano un paio
di
biglietti e si mettevano in coda per salire. Nonostante la zona fosse
massicciamente frequentata, nessuno dei numerosi passanti, anche le
poche giovani
ragazzine, sembrava far caso a Bill.
Il viso di Nicole era piacevolmente
sferzato dall’aria
frizzante del pieno mattino, che le faceva ondeggiare i capelli sciolti
oltre
le spalle. Non era certo paragonabile allo stare seduti su una spiaggia
rocciosa irlandese a godersi il mare, ma era pur sempre una bella
sensazione.
“Nicole, io mi devo davvero
scusare con te,” esordì Bill, ad
un tratto, gli occhi inchiodati all’asfalto. “Sono
stato imperdonabile, in
questi ultimi giorni, ti ho trattata come… Come un
giocattolo che potessi usare
a mio piacimento, e sono sinceramente pentito. Non vorrei che tu ora
pensassi
che io sia quello che ti ho mostrato, perché non
è così, te lo giuro, non so
cosa mi sia preso. È che tu mi piaci, e mi capita
raramente di riuscire a
farmi avvicinare tanto da una ragazza, sia fisicamente che
sentimentalmente, e
questo mi ha… Be’, un po’ spiazzato. Con
questo non mi voglio giustificare, sia
chiaro, mi sono comportato molto male con te, e se tu ora volessi
prendermi a
schiaffi, ti darei ragione, però… Insomma, mi
dispiace sul serio se ti ho
ferita, offesa o che altro, non era davvero mia intenzione. Il fatto
è che non
ho confidenza con questo tipo di situazioni, capisci? Sono abituato
alle
ragazze che arrivano, mi dichiarano il loro imperituro amore e se ne
vanno…
Erano anni che non avevo occasione di affezionarmi, e adesso arrivi tu,
entri
in punta di piedi nella nostra vita, e semini scompiglio, anche se
involontariamente… Potendo, cancellerei le cazzate che ho
fatto, ma ho paura
che non esista l’opzione ‘rewind’ nella
vita reale, perciò… Be’, ci tenevo solo
a dirtelo. Sai, mi sento terribilmente in colpa. Io ti rispetto, con
tutto me
stesso, e so di essere stato un gran bel cafone ad evitarti, finora,
però sto
cercando di rimediare, vedi? Anche se sono un disastro in fatto di
umiltà e
scuse, vorrei davvero che tu mi perdonassi, ci tengo molto a non avere
remore
con te, e…”
“Bill,” lo
interruppe Nicole, ridendo. “Respira.”
Era soddisfatta: Bill aveva tirato
fuori l’argomento di sua
spontanea volontà, e le sue scuse erano più che
accettabili.
Non
è stato un sforzo
poi così sovrumano, ci voleva molto?, si disse
Nicole, sarcastica, ma
sapeva di aver già dimenticato ogni traccia di arrabbiatura.
Non si poteva non
piegarsi davanti all’innata dolcezza di Bill.
Lui le gettò uno sguardo
incerto e un po’ ruffiano,
appoggiandosi con i palmi al muretto alle sue spalle.
“Ecco,”
sbuffò. “Uno dei miei soliti attacchi di logorrea
cronica.”
“Si direbbe
grave.” Fece Nicole, seria.
Bill sembrò avvedersi
della sua voglia di fare della sana e
leggera ironia, e la assecondò con apparente piacere.
“Oh,
sì,” Le sorrise timidamente. “I medici
hanno detto che
non c’è niente da fare. Fase terminale.”
“I ragazzi lo
sanno?”
“Sì. Sono stati
loro a suggerirmi di curarmi, ma la terapia
è stata inutile, la mia parlantina è rimasta
inarrestabile.”
Un debole formicolio sorse sotto allo
stomaco di Nicole,
solleticandola piacevolmente.
“È una delle
prime cose che ho adorato in te.” Gli rivelò.
In effetti Bill poteva anche colpire
e fare centro al primo
colpo in fatto di avvenenza, ma era stato guardandolo parlare durante
le
interviste in tv che Nicole si era fatta conquistare da lui: niente era
più
adorabile di Bill Kaulitz, se non Bill Kaulitz in piena fase logorroica
galoppante.
O forse
anche un Bill
Kaulitz in piena fase logorroica galoppante e deliziosamente a disagio,
pensò Nicole, osservandolo con la coda
dell’occhio. Non si poteva non voler
bene a Bill, era concretamente impossibile non lasciarsi conquistare da
lui, era
una sorta di clausola implicita nel contratto di conoscenza, vincolante
ed
ineluttabile. Sinceramente, Nicole non aveva mai saputo spiegarsi come
certa
gente potesse provare tanto odio ingiustificato verso una persona pur
umanamente
fallibile, ma così meravigliosa, dentro e fuori, e ora
più che mai se lo
domandava.
“Posso considerarmi
perdonato?”
Nicole si voltò verso di
lui, e lui verso di lei. Per la
prima volta Nicole riusciva a guardarlo negli occhi senza sentirsi
svenire o
altro. Era una bella conquista.
“Non si può
restare arrabbiati con te,” gli assicurò.
“Sei
stato plasmato perché ti fosse condonata ogni
malefatta.”
Bill esplose in una piccola risata
argentina.
“Lo dice sempre mia
madre.”
“Le mamme hanno sempre
ragione.”
Si scrutarono l’un
l’altra per qualche secondo, poi si
sorrisero, suggellando ufficialmente la loro controversia ormai
dimenticata.
“Grazie.” Gli
disse Nicole, mentre una scolaresca di liceali
passava armata di macchine fotografiche digitali di ultima generazione.
Bill le
strizzò un occhio e ricambiò.
“Grazie a te.”
Nicole stava per parlargli della
conversazione che aveva
avuto nell’ascensore con Georg, quando dalla sua borsa
cominciò a risuonare
Monsoon.
“Bella suoneria.”
Si complimentò Bill. Lei arrossì e si
affrettò a recuperare il cellulare e rispondere alla
chiamata. Era un numero
che non conosceva.
“Pronto?”
“Nicole!” Quella
voce però la conosceva eccome: era Gabriel,
il fidanzato di Brenda, e non sembrava affatto tranquillo.
“Non voglio
allarmarti, ma è successa una cosa, devi tornare subito a
Parigi…”
“Gabriel, ma di cosa stai
parlando?” chiese, preoccupata,
scambiando con Bill un’occhiata incerta.
“Ecco…”
L’esitazione di Gabriel la mise ancora più in
ansia.
Non era il tipo di uomo da indugiare su niente. “Si tratta di
Brenda.” Il
sangue si raggelò nelle vene di Nicole, mentre un orribile
presentimento si
impossessava di lei. “Ha avuto un incidente.”
-------------------------------------------------------------
Note:
A
tutti coloro che non credevano sarei mai riuscita ad aggiornare (me
compresa), chiedo
scusa, ma il periodo di Pasqua è stato un inferno per me, a
partire
dall’assassinio di un sogno (la cancellazione del 1000 Hotels
Tour e il
conseguente annullamento della data di Torino, a cui avrei dovuto
partecipare
con somma gioia), passando per la folle preoccupazione per Bill e la sua salute, lo studio per
l’università da conciliare con il
lavoro extra del periodo festivo, per concludere con litigate varie ed
eventuali con un paio di amici, ormai risolte. Mi dispiace del
mostruoso
ritardo, ma cercherò di essere più puntuale,
d’ora in poi, nei limiti del
possibile.
Voglio ringraziare ancora una volta
tutti voi che leggete e
soprattutto recensite, mi fate veramente felice. Vedo che molti di voi
si pongono
le domande giuste ed alcuni addirittura seguono ragionamenti personali
molto ma
molto acuti… Bravi, tutti quanti! ^^
L’angolo della
pubblicità di oggi va alla nuova, attesissima
opera della bravissima Lady Vibeke,
Il
Matrimonio Del Mio Migliore Amico… Non S’Ha Da Fare, sensazionale
commedia sui nostri amati Tokio
Hotel che vi farà innamorare, garantito! ;)
Per ora
vi lascio, sperando
che vorrete essere gentili come sempre e dire la vostra sul capitolo.
Alla
prossima!
|
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Capitolo 18 *** Heartbeats ***
Poteva una sola, minuscola,
semplicissima parola cancellare
ogni altra cosa sulla faccia del pianeta con una tale
rapidità e drasticità?
Incidente.
Nicole non ne era mai stata convinta,
prima, ma ora come ora
quel suono spaventoso era tutto ciò che era in grado di
percepire, dentro e
fuori di sé.
Brenda ha
avuto un
incidente.
Non poteva essere. Non era
assolutamente possibile.
Non esisteva un modo per riuscire a
discernere una
sensazione dall’altra: era come se qualcuno le avesse
sottratto quel filtro
sottile che separava la mente dal cuore e ora la sua ragione e i suoi
sentimenti si stessero rimescolando tra loro in un caotico vortice
destabilizzante che la stava via via sprofondando in un abisso nero e
gelido
senza fine.
Avere un incidente poteva significare
uscirne con un
graffio, o magari anche senza la minima ferita, ma anche non uscirne
affatto.
Brenda non poteva aver avuto un
incidente.
Non poteva e basta.
Brenda era stata con lei fin da
quando era nata, ogni
singolo momento importante della vita di Nicole era stato accompagnato
da lei:
c’era stata quando si era presa la sua prima cotta in seconda
elementare,
quando aveva presentato ai loro genitori il suo primo ragazzo, quando
era
caduta dalla moto della sua amica e aveva rischiato di rimetterci
qualche osso,
quando aveva confessato loro di aspettare un bambino, e, soprattutto,
quando
loro erano morti. Brenda era stata quella che le aveva insegnato a
truccarsi e
a guidare, ad essere forte ed indipendente, a nascondere il diario
segreto tra
i libri di scuola, dove mamma e papà non avrebbero mai
guardato, quella che l’aveva
portata ai concerti degli Iron Maiden e degli Oasis e che le aveva
regalato il
suo primo cd.
Brenda era uno scoglio sicuro a cui
aggrapparsi in qualunque
momento, lo era sempre stata, e scoprire che le era successo qualcosa
era
devastante.
Bree…
Nicole rimase pietrificata
dov’era, senza riuscire a
muoversi di mezzo millimetro, il cuore improvvisamente tramutatosi in
una bomba
ad orologeria che da un momento all’altro sarebbe esplosa.
“Gabriel?”
esclamò, agitata, quando si accorse di non
ricevere più alcun suono. “Pronto?”
Ma Gabriel aveva fatto appena in
tempo a pronunciare la
parola ‘incidente’ che la linea era caduta,
lasciandola con il fiato sospeso e
una brutta sensazione di panico che stava dilagando incontrollatamente.
Bill la osservava in tralice, senza
che lei quasi riuscisse
ad accorgersene. A malapena era cosciente del mondo che la circondava.
Doveva
trovare il modo di richiamare Gabriel, ma era irraggiungibile. Si
scostò il
cellulare dall’orecchio e si mise a fissarlo, trasudando
nervosismo.
“Maledizione.”
“Cos’è
successo?”
domandò Bill cauto, mentre lei tentava in tutti modi di
riprendere la linea, ma
inutilmente.
“Era Gabriel,”
rispose lei, attonita. “Ha detto che… Che
Branda ha avuto un…”
Non ce la faceva. Non riusciva a
dirlo.
Bill si chinò verso di
lei, scrutandola apprensivo con i
suoi occhioni nocciola.
“Nicole?”
Lei avrebbe voluto abbracciarlo e
cercare conforto, ma il
solo pensiero di sentirsi emotivamente vicina a qualcuno la faceva
sentire
ancora più fragile, ancora più vulnerabile. Prima
che lei riuscisse a
pronunciare di nuovo qualcosa, Monsoon ripartì di gran
carriera e lei ebbe un
sussulto nel leggere il nome sul display.
Non si trattava di Gabriel.
“Brenda!” rispose
sconvolta, la mano sudata che le tremava.
Dall’altra parte, la voce di Brenda rispose in completa
rilassatezza.
“Hey, ciao sorellina! Tutto
bene?”
Fu come se la terra avesse dato uno
scossone di assestamento
sotto ai piedi di Nicole: non si sentiva pienamente padrona di
sé, ma, pur
nello stordimento più assoluto, stava assorbendo con gioia
il sollievo di
sentirla.
“Ma… Stai
bene?” balbettò, interdetta. “Voglio
dire, ha… Ha
appena chiamato Gabriel, ha detto che hai avuto un incidente, ma
è caduta la
linea e…”
Accanto a lei, Bill sgranò
gli occhi, sorpreso.
“Oh,
l’incidente!” esclamò Brenda, come se se
ne fosse appena
ricordata. “Nulla di grave,” Nicole si
sentì rinascere. “Sono in ospedale, mi
hanno fatto un paio di lastre e un mucchio di prelievi: qualche costola
ammaccata e un braccio rotto, tutto qui. In compenso la Mini
è andata. Non ne
troverò mai una nuova di quel bel color
crema…”
Nicole si portò una mano
alla fronte, massaggiandosi una
tempia invocando della pazienza.
“Hai appena avuto un
incidente e pensi alla macchina?”
Brenda sbruffò
all’altro capo, nel suo tipico atteggiamento
da donna capricciosa.
“Sto bene,
Nicky!” le assicurò. “Ho solo avuto un
capogiro
al momento sbagliato, tutto qui. Anzi, forse è il caso che
io chiami Gabe e lo
rassicuri, questa gente deve averlo mandato nel panico più
totale.”
Era troppo per Nicole. Prima una
notizia così che le
piombava tra capo e collo come nulla fosse, poi tutto sfumava in tre
secondi
netti, e sua sorella sembrava a stento rendersi conto di quanto era
successo.
“Signorina, non si può usare il cellulare qui
dentro.” Disse una remota voce
femminile di sottofondo, probabilmente un'infermiera.
“Soltanto un secondo, le
spiace?” sbottò Brenda stizzita.
“Sto comunicando a mia sorella che la mia vita non
è appesa a un filo!”
Nicole si costrinse a fare un
po’ di lucidità nella propria
mente, cosa ben difficile con la mano di Bill che le strofinava la
schiena in
segno di conforto.
Avanti,
Nicole,
riprenditi!
“Senti,”
farfugliò, deglutendo. “Prendo il primo volo per
Parigi,
sarò lì entro stasera.”
“Non dire
eresie,” sbottò Brenda indignata.
“Nicole, tu non
ti muovi di lì fino a che l’ultima goccia della
tua settimana non si è esaurita.”
“Ma…”
“Ho solo un avambraccio
ingessato, per l’amor del cielo!”
strillò
Brenda, esasperata e anche vagamente irritata.
Le guance di Nicole si infiammarono
quando lei si rese conto
che sua sorella aveva orribilmente ragione. Voleva solo una scusa per
andarsene
senza dover dare spiegazioni, una giustificazione che non fosse
‘È giusto così’,
e ora non l’aveva più. La stupiva il fatto che,
nell’ansia generale, fosse
riuscita anche a pensare al suo piccolo dramma della partenza.
“Non puoi mollare i quattro
evangelisti dell’edonismo per un
nonnulla come questo!” aggiunse Brenda, mentre, a giudicare
dal rumore,
trafficava con qualcosa.
“Ma…”
“Piantala con questi cazzo
di ma, non voglio sentire scuse!”
Emise un suono simile ad un sospiro, che Nicole fece in fretta ad
associare al
fumo.
“Lo sai che non si
può fumare in ospedale, vero?” domandò
retorica.
“Ma
sì,” fece Brenda incurante. “Tanto
adesso l’infermiera
verrà a sequestrarmi tutto.”
Nicole si morse il labbro inferiore,
in preda ad una
selvaggia lotta con il proprio inconscio per non rabbrividire ogni
volta che le
dita di Bill la sfioravano con tanta premura.
“Sei proprio sicura che non
vuoi che –?”
“Ci vediamo
sabato,” decretò Brenda categorica.
“Questione
chiusa.”
“Bree, aspetta, io non
–”
Ma la chiamata era già
stata interrotta.
“È tutto a
posto?” si informò Bill.
Nicole ripose il telefono nella
borsa, fissando il vuoto
scioccata.
“Mia sorella è
psicopatica.”
Bill non ebbe mai occasione di
ribattere, perché in quel
momento un piccolo razzo biondo si fiondò tra le braccia di
Nicole, facendo
sobbalzare entrambi.
“Mamma, voglio una ruota
così a casa!” esclamò Emily,
agitandosi entusiasta.
Nicole, ancora in preda ai postumi
dello shock, non riuscì a
far altro che annuire.
Un istante dopo sopraggiunse Saki
trafelato, ma con un
sorriso che Nicole non gli aveva mai visto, abituata alla solita
versione seria
e compunta.
“Scommetto che non ti annoi
mai, con lei.” Commentò
divertito.
Nicole si strinse Emily al petto,
sforzandosi di costringere
le proprie labbra a sorridere di rimando.
“No, infatti,”
confermò.
“Saki, forse è
meglio tornare in hotel,” soggiunse Bill.
“È
sorto un piccolo imprevisto.”
***
Nicole era taciturna mentre, a bordo
di un classico taxi
londinese, il bizzarro quartetto si dirigeva nuovamente verso
l’hotel.
Bill la osservava a sua insaputa, e
più i minuti passavano,
più si rendeva conto che quel silenzio diceva più
cose di quante avrebbero mai
potuto esprimerne le parole.
Era uno abituato ai lunghi discorsi,
ad interagire con una o
più persone davanti a vasti pubblici, ma era ormai un
esperto per quanto
riguardava le cose non dette: il taciuto, l’omesso, il
tralasciato, quelle
erano le parti fondamentali, non gli apparenti lapsus, o le piccole
confessioni
estorte con l’insistenza. Gli era stato insegnato ad essere
diplomatico e
politicamente corretto, a dire grazie quando dovuto e a non puntare mai
il dito,
ma prima ancora di tutto questo, gli era stato insegnato a tenere certi
aspetti
della verità accuratamente separati dalla massa di
informazioni personali che
lasciava trapelare, e non gli ci volle un grande sforzo per capire che
Nicole
stava per l’appunto tenendosi dentro qualcosa.
Che cosa poi fosse, Bill non avrebbe
saputo dirlo.
“Questa storia mi
piace.” Disse Emily ad un tratto. Poco
prima, dopo che Nicole le aveva spiegato la storia
dell’incidente, aveva tirato
fuori dallo zainetto il suo libro di Come D’Incanto, e si era
messa a leggere.
A quanto pareva, ora aveva terminato.
Nicole guardava fuori dal finestrino
con aria assente e
sembrava non aver sentito una sola parola. Bill decise che sarebbe
stato meglio
lasciarla stare e cercò di distrarre Emily.
“Ah sì? E come
mai?” fece, incuriosito.
Emily lisciò la lucida
copertina del libro, che teneva
chiuso sulle proprie gambe, e sorrise.
“Non è uguale a
tutte le altre,” rispose soddisfatta. “Finisce
strana ma bella.”
“In che senso
strana?”
“Giselle voleva il Principe
Azzurro perché tutte le
principesse vogliono il Principe Azzurro, però alla fine
sceglie Robert, che
non è un principe, ma ha fatto tante belle cose per lei, e
lei si è innamorata
per davvero.”
Per un attimo, gli occhi di Nicole
smisero di seguire il
paesaggio e si immobilizzarono, quasi sgomenti. A Bill parve di
cogliere un
certo disagio in lei, ma forse si trattava semplicemente di
giustificabile
tensione, non certo improvvisa.
Quello che aveva detto Emily,
però, per quanto ingenuo ed
innocente potesse apparire, nascondeva qualcosa di più di
una storia fuori dai
canoni su principi e principesse, e se Nicole poteva non essersene
accorta –
cosa di cui Bill dubitava – di certo così non era
per lui.
“Voleva
il Principe
Azzurro perché tutte le principesse vogliono il Principe
Azzurro…”
Paradossalmente, gli venne da
sorridere, nonostante tutto.
Si sentiva un po’ sciocco per non esserci arrivato da solo,
anche se, a conti
fatti, probabilmente aveva semplicemente preferito
non arrivarci, perché Nicole gli piaceva, e lui piaceva a
lei, ed era stato
così comodo e semplice che Bill proprio non aveva voluto
credere che potesse
non essere come sembrava.
Ben presto nella sua bocca sorse un
sapore amaro, affiancato
però da un senso di colpa piuttosto inusuale, per lui. Nel
dissidio provocato
da quei sue sentimenti contrastanti, Bill si rese conto di avere un
grosso
debito da saldare, soprattutto adesso che la trama cominciava a farsi
appena
più chiara.
Arrivarono in albergo poco prima di
mezzogiorno e trovarono
gli altri tutti riuniti nella stanza di Tom, a firmare tonnellate di
cartoline
promozionali e simili. Sfortunatamente per Bill, anche la sua parte era
richiesta.
“Ciao!” li
salutarono Gustav, Tom e Georg. “Come mai già di
ritorno?”
“Vi spiegheremo
più tardi.” Rispose Nicole, tranquilla.
Stranamente,
nessuno indagò oltre.
“Bill, devi mettere la tua
zampa di gallina su tutta questa
roba.” Berciò Tom, facendogli cenno di avvicinarsi.
Bill fece una smorfia riluttante.
“David ha detto che entro
pomeriggio devono essere finite,”
gli comunicò Gustav in tono perentorio. “Quindi
hai ben mezz’ora prima del
pranzo per autografarle tutte e cento.”
Che
gioia…
Bill si accomodò
così sul letto ed afferrò in malo modo un
plico di cartoline già firmate dagli altri, mettendosi a
scarabocchiarci sopra
con un pennarello scovato tra il disordine.
“Voglio mettere le zampe
anch’io!” trillò Emily, arrampicandosi
sul
letto con tanto di cappottino ancora indosso.
Bill e gli altri risero e le
concessero di firmare una delle
cartoline, che poi le regalarono.
“Emily, perché
adesso non vieni a metterti qualcosa di più
comodo e non lasci lavorare i ragazzi?” la esortò
Nicole, porgendole la mano,
ma la piccola si rifiutò categoricamente di seguirla.
“Lasciala qui,”
disse Tom a Nicole. “Almeno ci alleggerisce
un po’ l’atmosfera.”
Lei gli scoccò uno
sguardo minaccioso e lui si strinse
umilmente nelle spalle.
“Ok, come non
detto.”
Ma Emily si era già
sfilata il cappotto e lo aveva
abbandonato assieme allo zainetto in un angolo del letto per andarsi ad accomodare tra Tom e
Gustav,
e ora li stava aiutando a passare a Bill le cartoline.
Con un sospiro, Nicole raccolse la roba di Emily.
“La state viziando, voi
quattro.” Li rimproverò, ma poi uscì
senza aggiungere altro.
Cinque minuti dopo, anche Georg
lasciò la stanza.
***
Nicole si sentiva agitata, e poteva
affermare con una certa
sicurezza che non era per via di Brenda.
Appese il proprio cappotto e quello
di Emily all’interno del
guardaroba e sospirò senza un motivo preciso. Richiudendo
l’anta, si ritrovò a
fissare se stessa nello specchio dell’ingresso.
O meglio, qualche distorto riflesso
di se stessa.
La ragazza nello specchio aveva un
aspetto sciupato e
vagamente malinconico, lo sguardo seminascosto da qualche ciuffo di
capelli sfuggito
al fermaglio che glieli teneva indietro. Nicole era stata una bambina
un po’
vanitosa in passato, complice la riuscita mescolanza di geni irlandesi
e
tedeschi che costituivano il suo dna, ma era ormai un pezzo che aveva
smesso di
preoccuparsi del proprio aspetto. Tuttavia, in quel preciso momento, le
sembrò
di vedersi per la prima volta da anni, e si trovò meno bella
di quanto
ricordasse.
Ti senti uno
schifo,
quindi ti fai schifo, ragionò l’altra
metà di lei. È strano,
no? Sembra esserci una convergenza di eventi sconvolgenti
sopra la tua testolina…
Nicole abbassò gli occhi
per un breve istante per mettere a
tacere quella voce fastidiosa, e quando li rialzò non
c’era più soltanto lei
riflessa nello specchio. Il suo cuore ebbe una lieve contrazione
nell’incontrare quegli occhi che la guardavano come se lei
fosse tutto ciò che
c’era da vedere.
“Non dovresti lasciare la
porta aperta,” disse Georg alle
sue spalle con un piccolo sorriso. “Anche negli alberghi di
lusso ci sono i
malintenzionati.”
Nicole sentì le proprie
labbra ricambiare spontaneamente il
sorriso.
“Lo vedo.”
Scherzò, e lui rise.
Era vestito in modo semplice, con dei
pantaloni da tuta
verde scuro e una t-shirt grigia più larga delle solite, le
scarpe da
ginnastica slacciate e graffiate in più punti. Visto
così, senza il suo basso e
lontano dai riflettori, poteva tranquillamente passare per un ragazzo
come
tanti, che nemmeno aveva mai avuto un piccolo assaggio di
celebrità.
Peccato solo
che non
sia affatto un ragazzo come tanti, s’intromise
nuovamente la voce
petulante.
“E così anche
Londra è agli sgoccioli,” Lo sguardo di Georg
scorse sulla valigia aperta sul letto e sui pochi abiti sparsi in giro,
per
soffermarsi su di lei. “Sentiremo molto la vostra
mancanza.”
“Oh, avete già
così tanti Sandberg al seguito, che nemmeno vi
accorgerete della differenza.”
Fu un tentativo decisamente poco
riuscito di fare
dell’ironia, ma Georg rispose con altrettanta leggerezza.
“Un basso che si chiama
come te non è esattamente te, sai...”
“Io non mi chiamo come i
tuoi bassi,” precisò Nicole, che
cominciava ad avvertire un sentore di tristezza nella piega che stava
prendendo
il dialogo. “Sono i tuoi bassi a chiamarsi come me.”
Lui la prese con lo stupore che lei
si era aspettata.
“Sei una di quei
Sandberg?”
“Sì. Mio padre
possedeva un quarto della società.”
Ricordi indesiderati tornarono a
galla nella memoria di
Nicole, delusioni che credeva di essere riuscita a cancellare, ma che
facevano
ancora male come in principio.
Georg fece un timoroso passo in
avanti e la scrutò serio:
“Lui era un musicista, non
è così?” osò chiedere, non
senza
un po’ di riluttanza. “Il padre di Emily.”
Nicole ingoiò il nodo che le serrava la gola, senza nemmeno
fingere
indifferenza.
“Hai detto che la vita ti
ha insegnato che per un musicista
nulla conta più della sua musica,”
proseguì lui, senza attendere una conferma
del tutto superflua. “È per questo che ti ha
lasciata? Per la sua musica?”
Nicole sospirò. Da quanto
non parlava più di quella
faccenda? Da quanto si era imposta di confinare tutto quanto nel
dimenticatoio
e semplicemente fare finta che non fosse mai successo?
Tanto tempo. Forse troppo.
“Sì. ”
Era ancora ben chiaro e nitido nella
sua mente il volto
contrito di Daniel mentre le faceva quel discorso così
sentito su quanto gli
costasse rinunciare a lei e al bambino in arrivo, ma lui aveva il suo
sogno da
inseguire, e lei non avrebbe mai potuto chiedergli di rinunciare per
lei. Se
fosse stato vero amore, il problema non si sarebbe nemmeno posto,
infondo.
Lei si era arrabbiata, aveva urlato e
strepitato, e lui
l’aveva lasciata fare, ma alla fine si era arresa davanti
all’evidenza: la vita
non era una fiaba, ed era una lezione che aveva imparato molto bene.
“Mi dispiace.”
Mormorò Georg.
“È la
vita,” sdrammatizzò lei, ansiosa di cambiare
argomento. “Amava davvero suonare, ci teneva tantissimo, lo
ammiravo molto per
questo, però…”
“Ci teneva più
di quanto tenesse a te,” completò Georg per
lei. “È questo che ti blocca? La paura del
confronto?”
Nicole schiuse le labbra, ma non
sapeva cosa rispondere.
Sì…
No.
Forse…
No!
Non era solo
quello, perlomeno.
Ma la bloccava da cosa, esattamente?
Cos’era che lei voleva
veramente?
Era successo tutto così in
fretta…
“Lo so che per voi niente
viene prima della vostra musica,”
disse con calma. “Ed è giusto così.
Siete giovani, avete un successo
incredibile… Siete riusciti ad ottenere tutto ciò
che avete sempre
desiderato…”
“Non proprio tutto,
Nicole.”
Georg accennò un sorriso
incurante, ma il suo tono era stato
di ben altro tipo. Lei non riuscì nemmeno a formulare un
pensiero su quella
rassegnazione impotente: lui la precedette.
“C’è
una cosa che vorrei darti, però.”
Nicole stette a guardare con tanto
d’occhi mentre lui
raccoglieva una borsa da terra e gliela progeva. Non l’aveva
notata prima: era piuttosto
grande, di lucida carta bianca con stampato al centro, a nitidi
caratteri neri,
un nome inconfondibile.
“Manolo Blahnik!”
esclamò, portandosi in automatico le mani
davanti alla bocca. I suoi occhi non riuscirono a staccarsi per qualche
secondo
dalla ghiotta leccornia che Georg stringeva tra le dita, poi si
levarono su di
lui increduli.
Lui tirò fuori una scatola
in tutto e per tutto identica
alla busta e gliela mise tra le mani. Guidata da una misteriosa forza
superiore
a cui non riuscì a sottrarsi, Nicole sollevò piano
il coperchio e alla sua vista
apparvero un paio di fini decolleté nere, molto sobrie ma
eleganti, con un
bellissimo strass a forma di spicchio di luna che chiudeva il cinturino
della
caviglia.
Erano meravigliose.
“Ma sei fuori di
testa?” sbraitò, non appena recuperò, a
fatica, la facoltà della parola. “Ti saranno
costate minimo… No, preferisco non
pensarci.”
“Ti piacciono?”
“Ovvio che mi piacciono,
sono una donna etero del duemila!
Ma…” Nicole non faceva che continuare a spostare
lo sguardo da lui alle scarpe,
esterrefatta. “Georg, non posso accettarle!”
“Devi, invece, ho buttato
lo scontrino.”
“Bugiardo!”
ribatté, testarda. “Se poi non mi andassero
bene, non potresti cambiarle.”
Ma lui era imperturbabile e le
sorrideva senza il minimo
indugio.
“Diciamo che ho voluto
correre il rischio.” Il suo
sopracciglio si sollevò con un che di malizioso, e il cuore
di Nicole saltò un
battito.
“Non puoi essere
così pazzo.” Soffiò, atterrita. Non
riusciva, per quanto tentasse, a trovare altre obiezioni coerenti.
“Venerdì
c’è una specie di festa di Carnevale, a
Marsiglia,”
La informò Georg. “So che la tua ultima esperienza
ad un party è stata un po’
traumatica, ma saremo tutti mascherati, non ti noterà
nessuno.”
“Carnevale era il cinque
Febbraio, se non sbaglio.” Sottilizzò
Nicole, ostentando una sicurezza che non aveva. La verità era
che l’idea la
stuzzicava, e anche parecchio.
Georg le rispose con
un’alzata di spalle.
Hai ancora
in mano
delle Blahnik che costano quanto il tuo polmone destro, comunque,
le
ricordò la sua razionalità.
“Non posso.”
Balbettò lei, richiudendo la scatola e cercando
di rimetterla nella busta, ma lui non glielo permise.
“Avanti, non fare la
stupida,” la blandì. “Si tratta di
qualcosa che desideravi e che io posso e voglio darti,
l’unica cosa che io
possa fare per te.”
Nessun essere umano, di qualsivoglia
genere, età ed
orientamento sessuale, sarebbe stato in grado di non cedere miseramente
davanti
alla dolcezza che traspariva dall’espressione di Georg, e
Nicole non era da
meno.
Restituì lo sguardo con la
testa leggera e completamente
svuotata da ogni cosa, e fece l’unica cosa che avesse senso
fare in un momento
così: lo abbracciò, e le parve quasi di sentire
il suo cuore battere contro il
proprio petto. Lo strinse a sé per la prima volta, con un
insopportabile groppo
alla gola che non voleva saperne di andarsene. Il calore che sprigionava
dal
contatto tra di loro le fece subito tornare in mente il pomeriggio
sulla
spiaggia in Irlanda, e quanto le fosse sembrato strano vivere un
momento che poteva
sembrare così ordinario, e che
invece era stato così unico.
Anche allora aveva avuto voglia di
abbracciarlo, e, non
poteva negarlo, anche di qualcosa di più, ma
l’occasione era sfumata in fretta,
e probabilmente era anche stato meglio così.
“Grazie,” gli
sussurrò, respirando il suo profumo come se
fosse l’ultima volta che lo poteva sentire. “Di
tutto quanto.”
E le sembrò di sentire i
versi di una delle canzoni che
amava più al mondo echeggiare da qualche fonte lontana.
‘Could she run away
with him? So happy and so
young…’
Perché non c’era
mai nulla di facile nella sua vita?
‘And I stare, as I
sing in the lost voice of a
stranger in love, out of time, letting go…’
Perché doveva sempre
rinunciare a qualcosa?
‘In another world
that spins around for fun,
and I wonder where I am...’
Sciolse l’abbraccio, sentendosi grata per questo
tempo che le era stato
concesso di trascorrere con quei ragazzi che per lei erano sempre stati
un
semplice mito richiuso in un’utopia.
Georg
sorrideva, ma in un modo triste che parlava per lui.
‘Could he ever ask
her why?’
Una piccola parte di Nicole
rimpiangeva di non aver
rifiutato fin da subito quell’insulso aiuto da cui era poi
conseguito tutto,
però sembrava essersene dimenticata, persa com’era
in quell’attimo così piccolo,
ma così bello.
‘So happy and so young...’
Occhi negli occhi con Georg,
capì che in quei pochi giorni
erano successe più cose – e più grandi
– di quanto si fosse immaginata. ‘And I stare...’
Non era sicura di quel che stesse
provando, perché, semplicemente,
non aveva mai provato nulla di simile, prima di allora.
‘But...’
-------------------------------------------------------------------------------------
Note:
come
sempre, ringrazio dal più profondo del mio cuoricino tutti
voi buone genti che
avete letto e recensito lo scorso capitolo e che recensirete questo. Un
ringraziamento particolare va a ElianaTitti,
che ha lasciato il commento che ogni autore di questa sezione sogna di
sentirsi
dire: cara Eliana, grazie di cuore, non sai quanto le tue parole mi
abbiano
fatta felice, sono soddisfazioni che ti sanno illuminare anche la
giornata più
buia. Rigrazio anche le 106 persone che hanno messo questa storia tra i
loro preferiti (anche se non hanno mai commentato ^^),
perché è un traguardo importante, per me.
Spero che
quest’aggiornamento sia stato di vostro
gradimento. Come avrete notato, si comincia ad intravedere qualcosa
nella fitta
rete di eventi e da qui in poi ci sarà di che banchettare.
Ultima noticina, la traduzione della
canzone citata a fine
capitolo (nonché la stessa citata all’inizio della storia, per
chi non l’avesse notato: Lei
potrebbe mai scappare via con lui? Così
felici e così giovani/E io resto a guardare, mentre canto
nella voce smarrita
di uno sconosciuto innamorato, fuori dal tempo, lasciando
andare…/in un altro
mondo che ruota per divertimento, e mi chiedo dove sono/Lui potrebbe
mai
chiederle perché?/Così felici e così
giovani/E io resto a guardare… Ma…
Alla prossima, miei cari!
|
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Capitolo 19 *** Double Trouble ***
Tom imprecò più
volte a denti stretti, il borsone buttato
casualmente su una spalla, mentre arrancava svogliatamente dietro a
Gustav e
Georg verso il terminal giusto, Bill alle spalle che sobbolliva come
una
pentola di fagioli di pessimo umore. Una squadra ben nutrita di
bodyguards li
circondava su tutti i lati, onde impedire all’imprevista
quantità di fans che
li avevano accolti all’ingresso in aeroporto di strappare
loro di dosso qualche
indumento o estremità vitale.
I Tokio Hotel avrebbero avuto per
primi accesso all’aereo e
il resto dei passeggeri sarebbe salito solo in un secondo momento,
quando loro
si fossero sistemati nella zona a loro riservata. Nicole ed Emily erano
da
qualche parte ad ammazzare il tempo, fino a che Saki non le avesse
chiamate per
raggiungerli.
“Siamo di nuovo in
ritardo.” Si lagnò Bill, sventolandosi il
biglietto aereo davanti al viso adombrato dal cappellino, in attesa che
il
personale del terminal controllasse i documenti degli altri.
Tom gemette impaziente.
“Non sono io quello che ha
passato tre quarti d’ora a
consumare lo specchio in una nuvola di esalazioni tossiche di
lacca.”
“Gioverebbe al tuo aspetto
se tu lo facessi, di tanto in
tanto.” Replicò Bill, velenoso.
“Hey, Bill, ho avuto
un’idea grandiosa!” esclamò Tom,
eccedendo di sarcasmo, voltandosi indietro verso di lui. “Che
ne dici di andare
a farti fottere?”
“Dico che tu lo fai
già abbastanza per entrambi.”
“Gioverebbe alla tua
spocchia, se tu lo facessi, di tanto in
tanto.”
“Non sai nemmeno inventarti
delle battute di tuo pugno?”
“Un’altra parola
e ti faccio vedere che cosa sa fare, il mio
pugno.”
“Dateci un taglio, voi due,
per pietà!” sbraitò David, con
il tono di chi sapeva che non sarebbe stato minimamente considerato.
Dopo essere finalmente riuscito a
farsi dare il via libera
dalla giovane donna in uniforme blu e bordeaux (la quale gli aveva
sorriso in
un modo non del tutto professionale), Tom andò a buttarsi su
uno dei molti
sedili liberi, si infilò le grosse cuffie e si
rifugiò nel proprio mondo di
musica, felice di isolarsi dalla petulanza del proprio fratello e
dall’inquietante espressione assente di Georg.
L’unico normale e tollerabile –
come sempre – sembrava Gustav, ma anche lui aveva preso la
saggia decisione di
autoesonerarsi dalle noie esterne tramite una repentina immersione
musicale,
probabilmente a base di Metallica.
Accompagnando con la testa e con una
mano battuta sul
ginocchio uno dei suoi pezzi preferiti di Jay-Z, Tom si mise a
scandagliare
l’area circostante, sperando di riuscire ad individuare
qualche elemento
interessante, ma, a parte un paio di anziane signore impellicciate che
guardavano
lui e gli altri disgustate da non molto lontano mentre sfogliavano il
Sun (tabloid
britannico per eccellenza), non c’era nulla di rilevante
all’orizzonte. Tutto
piatto, tutto tranquillo.
Che
palle…
Era lo scotto da pagare per aver
deciso di partire da Luton,
il più piccolo degli aeroporti della zona londinese, ma se
non altro aveva
ancora tutti i rasta in testa e non c’erano graffi di fans
isteriche sui pochi
centimetri di pelle che teneva scoperti.
Anche se
l’antitetanica resta sempre una precauzione fondamentale.
Data la scarsità di
intrattenimenti, Tom si tenne occupato cercando
di sbirciare chi fosse la star che si era guadagnata la copertina della
rivista
delle due zitelle: era una donna, accompagnata da un cagnolino dalla
vaporosa
pelliccia bianca, probabilmente un’attricetta di soap inglese
del tutto ignota
all’estero e, secondo i gusti raffinati di Tom, nemmeno tanto
bella.
Stava per cercarsi una nuova
distrazione, quando una delle
due donne ripiegò la rivista su se stessa, permettendogli di
scorgere, anziché
il retro della copertina, una delle pagine interne. Fu con una strana
reazione
di inquietudine che Tom scorse tra le colonne dell’articolo
un’immagine dal
soggetto conosciuto.
Cosa cazzo
–?
Era imbrigliato in un anonimo
soprabito beige e nascosto
dietro ad un berretto, ma, anche al primo sguardo, non gli fu affatto
difficile
riconoscere Bill, immortalato presso una gigantesca ruota panoramica,
chinato con
confidenza verso una ragazza dai lunghi capelli rosso scuro che stava
di
spalle, a cui teneva una mano sulla schiena.
Anche una qualunque mente del tutto
priva di immaginazione,
osservando quella foto, avrebbe pensato immediatamente la medesima cosa
che stava
pensando Tom.
Si stanno
baciando.
Ed effettivamente, pur non essendo un
genio dell’inglese,
era piuttosto chiaro perfino a lui il significato sommario del titolo: ‘Bill Kaulitz from Tokio Hotel kissing a
mysterious
girl under the ever-vigilant London Eye.’.
Ragazza
misteriosa un
cazzo!, pensò Tom, sconcertato, fissando il ben
noto lato posteriore della
ragazza in questione. Anche da lontano, era assolutamente impossibile
non
riconoscerla. Perché quel coglione
di mio
fratello si sta sbaciucchiando Nicole in pieno centro di Londra?
Finalmente Tom si rese conto del
perché le due vecchie
stessero osservando il loro gruppetto con tanto interesse: accanto alla
foto di
Bill e Nicole, ce n’era una più piccola del
gruppo, in posa agli MTV Europe
Music Awards, sfoggiando con orgoglio il premio appena vinto: erano
decisamente
più riconoscibili di Bill tutto camuffato.
Si tirò un po’
su dalla precedente posizione stravaccata e
lanciò qualche occhiatina in tralice a Bill, Georg e Gustav,
che se ne stavano
in piedi un paio di metri più in là, a
chiacchierare, presumibilmente di
cavolate, mentre Saki e David davano istruzioni al resto delle guardie
del
corpo. Se uno solo di loro avesse notato quell’articolo,
sarebbe potuto
succedere di tutto.
Tom ricordava fin troppo bene il modo
in cui Georg aveva
reagito alla notizia del primo bacio che Bill aveva strappato a Nicole,
e non
voleva immaginare come avrebbe potuto prenderla, se avesse appreso del
secondo
e chissà che altro.
Era divorato dal dubbio.
Da un lato stava morendo dalla
curiosità di scolarsi
l’intero articolo come un succoso cocktail alla frutta,
dall’altro lo frenava
la consapevolezza che era cosa ben poco saggia scagliare
così disinvoltamente
una probabile pietra dello scandalo. Poteva benissimo essere un cumulo
di cazzate
condite da elucubrazioni degne dei peggiori romanzi rosa – lo
era quasi
sicuramente – ma non gli importava. Avrebbe domandato a Bill
la sua versione
dei fatto, dopo, ma prima voleva
vedere la situazione da un punto di vista esterno e smaliziato,
decisamente più
affine al proprio.
Moriva dalla voglia di sapere.
Ti ricordo
che non
spiaccichi mezza sillaba di inglese, Tomi, gli
rammentò una voce
sorprendentemente simile a quella di Bill. Cosa
ci vuoi capire in un articolo così?
Io un bel
niente,
rispose lui in automatico, accarezzando un’idea molto acuta, ma qualcun altro tutto quanto.
C’era solo un problema: ora
che avevano passato i metal
detector, Tom non poteva più tornare indietro
nell’area principale, e ciò
significava che avrebbe dovuto aspettare. Ma aspettare non era il suo
forte,
così gli sovvenne che c’era ancora una minuscola
possibilità, un’ultima via che
poteva tentare. Si alzò quindi in piedi e andò da
David con un piccolo
sogghigno che sperava di poter smerciare per un sorriso innocente. Se
David era
preso come suo solito dalla gestione del viaggio, l’avrebbe
tranquillamente
fatta franca.
“Hey, David,” gli
picchiettò un dito sulla spalla per farlo
voltare. “Mi presti un attimo il Blackberry?”
David non si sprecò
nemmeno in inutili domande: si sfilò il
Blackberry da una tasca e glielo porse con impazienza, congedandolo con
un
‘Tieni’ vagamente irritato, per poi tornare a
conversare con Saki e il resto dei
loro energumeni.
È
stato più facile del
previsto…
Soddisfatto, Tom se ne
tornò al proprio posto e si mise a trafficare
con quell’aggeggio impossibile, alla ricerca della rubrica.
Dopo svariati
tentativi, riuscì miracolosamente ad individuarla, e la
esplorò in lungo e in
largo finché non scovò il nome che si era
augurato di poter trovare.
Caro,
vecchio David,
posso sempre contare sulle tue manie di perfezionismo!
Cliccò sul nome di Nicole,
selezionò ‘Invia messaggio’ e
cominciò a digitare, fino a che non fu contento del
risultato. Rilesse il
messaggio, compiaciuto del proprio umorismo, poi premette
‘Invio’ e pregò che
Nicole lo leggesse subito.
Non vedeva l’ora di mettere
le mani su quell’articolo.
***
La perplessità di Nicole
riguardo il criptico messaggio
ricevuto pochi minuti prima era notevole. Lo guardò di
nuovo, ma continuava a
trovarlo sensato quanto un ago senza la cruna, esattamente come la
prima, la
seconda e la terza volta che lo aveva letto.
“Ciao
Sandberg! Sono
quel distributore automatico di fascino e carisma di Tom, ti scrivo
perché ho
bisogno di un paio di favori: il primo è che vorrei che tu
cortesemente mi
comprassi una copia del Sun (ti rimborso con gli interessi, anche in
natura, se
vuoi), il secondo te lo dirò quando me l’avrai
portata, possibilmente al più
presto. Niente domande, ti spiego dopo. Grazie!”
Si domandava cosa ci fosse di
così eclatante nel Sun perché
Tom arrivasse a scriverle di comprarglielo dal Blackberry di Jost,
quando
poteva semplicemente andarselo a comprare da solo in uno dei tanti
negozi
duty-free, ma preferì seguire il consiglio che riportava il
testo: niente
domande. Con Tom non si poteva mai dire, era perfino poco allettante
l’idea di
scoprire le risposte.
Dopo aver tranquillamente passato i
vari controlli, Nicole
si stava dirigendo mano nella mano con Emily verso il punto di ritrovo
prefissato, la copia patinata del Sun richiesta da Tom piegata sotto al
braccio.
Trovarsi in aeroporto la rendeva
irrequieta: quello sarebbe
stato il suo ultimo giorno di lavoro. Avrebbe giusto avuto il tempo di
arrivare
a Marsiglia e pranzare velocemente, poi la attendeva qualche ora di
direzione
dei lavori di montaggio delle illuminazioni, e infine la festa.
Poi basta.
Quel che era peggio era che ancora
non aveva seriamente
affrontato la questione con Emily. Le aveva accennato alla
possibilità di tornare
a Lipsia, ma lei non aveva dimostrato un grande entusiasmo
all’idea, e non era
un buon segno.
“Emily,”
esordì Nicole in tono casuale. “Cosa ne diresti se
tu ed io ce ne tornassimo a casa?”
Emily guardò in su verso
di lei, gli occhi verdi pieni di
genuino stupore.
“A Lipsia?”
domandò, mangiandosi un po’ il nome della
città.
Nicole assentì.
“E prima andiamo a vedere
come sta la zia.”
“Sì,
così posso prendere i miei biscotti buoni e farli
assaggiare a Gustav!” esultò Emily.
“Quelli che ho mangiato con lui sapevano un
po’ di carta.”
Ecco,
sospirò
Nicole dentro di sé, qui
cominciano i
problemi…
“No, Emily, se andiamo via,
non torneremo più indietro.”
“Ma loro vengono con
noi?”
“No, lo sai che devono
suonare per tantissime persone in
tutto il mondo.”
Era già a quota due con i
no: se ne usava un altro, Emily
avrebbe cominciato a trovare la discussione molto fastidiosa.
“Ma poi come facciamo senza
di loro? Io voglio tanto bene a
Georg, e a Gustav, e a Tom, e a Bill, e anche a Saki! E il signor David
e la
signorina Dunja mi regalano sempre le caramelle!”
“Anch’io mi sono
affezionata a loro, tesoro, ma lo sapevamo
che finita questa settimana forse avremmo dovuto andare via.”
“E allora perché
non stiamo qui?”
“Perché…”
Nicole si interruppe, incapace di trovare una
risposta accettabile per una bambina di quattro anni. Alla fine
optò per il
vago. “Perché ci sono tante cose che sei troppo
piccola per capire, e il nostro
posto non è qui.”
Ovviamente Emily non era disposta a
permettere che un sua
protesta fosse liquidata così facilmente.
“Ma ci piace
così tanto stare con loro…”
mugolò, sfoderando
un musino da cerbiatto che Nicole non si sarebbe mai bevuta.
“Ma ci piace anche stare a
casa, giusto?” replicò,
scegliendo accuratamente le proprie mosse. “Chissà
i tuoi amici del condominio
come sono tristi senza di te… Non ti mancano almeno un
po’?”
Ma non ti
vergogni ad
usare certi trucchetti con tua figlia?, si indignò
la solita Nicole coscienziosa.
O i
trucchetti, o le
scenate pubbliche, si difese la Nicole disperata.
“Sì, un
po’ sì,” rispose Emily alla fine, un
po’ nostalgica,
ma subito dopo sorrise felice. “Però ho anche
degli amici nuovi!”
Fu una frase dura per Nicole da
metabolizzare, che le fece
capire quanto oltre il previsto era andato tutto quanto. Mai avrebbe
potuto
supporre che quattro star come i Tokio Hotel, i cui poster stavano
appesi un
po’ ovunque per casa, un giorno avrebbero potuto essere
chiamati amici da sua figlia.
E tu come li
chiameresti, per curiosità?, indagò la
voce nella sua testa, con un accenno
di perfidia.
Amici,
ovviamente,
rispose prontamente Nicole.
Davvero?
Proprio tutti
e quattro?, insisté la voce.
Nicole si rifiutò di
degnarla di attenzione, e rispose
invece ad Emily:
“Ma i Tokio Hotel li
rivedremo, sai? Presto faranno un nuovo
concerto, li andremo a vedere ancora.”
“Davvero?” fece
lei, speranzosa.
“Sì.”
Il sorriso si Emily si
allargò, creandole due fossette nelle
guance.
“Allora va bene, andiamo a
casa!”
Nicole preferiva ritenere il proprio
mezzo di persuasione
una mezza verità, piuttosto che una mezza bugia: era chiaro
che non potesse
affermare con certezza che li avrebbero rivisti davvero, e anche in
cuor suo
non sapeva se augurarselo o meno. Avrebbe aspettato fino alla fine,
fino
all’ultimo momento, per decidere, e non era certa che anche
allora ne sarebbe
stata in grado.
Alla fine del corridoio che stava
percorrendo, scorse un
piccolo capannello di persone che riconobbe all’istante. Il
primo ad accorgersi
di lei fu Gustav, che si voltò verso di loro sventolando una
mano in aria.
“Hey, ecco le nostre
ragazze che arrivano!”
Emily le lasciò
immediatamente la mano e corse loro incontro,
accolta da un sorriso generale. Nicole si avvicinò con
più calma, senza
riuscire a vedere Tom in mezzo agli altri, ma Georg le sorrise, e il
pensiero
di Tom svanì in un lampo.
“Alla buonora,”
la prese in giro Bill, che le era parso
illuminarsi quando l’aveva vista arrivare.
“Credevamo voleste restare qui.”
Lei ribatté con una
risatina ironica.
“Cos’hai
lì?” curiosò Georg, indicando la
rivista che lei
teneva ancora sotto il braccio.
“Oh,” Nicole
gliela porse senza farsi problemi. “Una copia
del Sun che Tom mi ha chiesto di –”
“Georg, lascia stare, tanto
è in inglese!” intervenne Tom, sbucato
dal nulla, stranamente allarmato.
“Io l’inglese lo
mastico, contrariamente a te,” Obiettò
Georg, senza permettergli di portargli via la rivista. “Che
diavolo ci fai tu
con un…”
La frase si smorzò a
metà. Gli occhi di Georg si erano
fermati su una delle prime pagine del tabloid e la fissavano in modo
accigliato. A Nicole, così come a tutti gli altri,
bastò mezzo secondo per
capire perché.
Merda.
Le pagine su cui si era soffermato
Georg contenevano qualche
scatto di lei e Bill davanti al London Eye, solamente il giorno prima,
e
l’angolazione delle foto faceva apparire la situazione
estremamente diversa da
come era effettivamente stata: Bill era sporto in avanti verso di lei,
di cui
si vedeva solo la nuca, e l’illusione era così
realistica che sarebbe stato
impossibile convincersi che fosse un semplice fraintendimento.
Se Nicole non fosse stata
là e non avesse personalmente
vissuto il momento, perfino lei ne sarebbe stata ingannata: sembrava
proprio
che si stessero romanticamente baciando sulle rive del fiume.
Con orrore misto a sconcerto, gli
occhi di Nicole
schizzarono qua e là per le pagine, cogliendo stralci
casuali dell’articolo:
“No more doubts
regarding Bill Kaulitz’s sexual
orientation: the frontman of the world-wide popular German rockband
Tokio Hotel
was spotted in the centre of London
with a pretty girl, with whom…”
“… the
lucky girl seems to be very confident
with young Bill (18 years old) and he…”
“It is the first time
Bill has been caught with
his hands in the cookie jar, and what a cookie he has
found!…”
“…
reliable sources declare they have witnessed
to a similar scene a couple of days ago, during a party Tokio Hotel was
attending in Dublin.
Chaos broke out when the androgynous singer and the same unknown young
lady…”
Nicole boccheggiò senza
fiato. Non ci voleva credere.
Le girava la testa e le ginocchia
sembravano voler cedere da
un momento all’altro, mentre le sue pulsazioni aumentavano
vertiginosamente.
I quattro Tokio Hotel fissavano
l’articolo sbalorditi, Emily
saltellava attorno a loro chiedendo di poter vedere, Jost e le guardie
se ne
stavano pochi metri più in là, ignari di tutto.
Ad un tratto gli occhi di Georg si
sollevarono su di lei,
velati da una distanza che per Nicole fu peggio di uno schiaffo.
Non le disse nulla, anche se lei
avrebbe mille volte
preferito vederlo arrabbiato, sentirsi gridare contro, piuttosto che
subire
quella tortura silenziosa. Era certa che il bruciore che si sentiva in
gola
fosse dovuto alla voglia di piangere che sapeva di provare, ma che non
riusciva
a trovare uno sfogo.
Apatia, quello era il sentimento
dominante.
Non
guardarmi così,
lo pregò, non ho fatto
niente…
Eppure si sentiva colpevole lo
stesso. Pur essendo
innocente, pur sapendo che quelle foto altro non erano che una
squallida illusione
ottica e che né lei né Bill avevano fatto
alcunché di cui vergognarsi, Nicole si
sentiva male.
“Che mucchio di
idiozie!” bofonchiò Bill, schiaffando
lontano da sé il Sun, che Georg ancora teneva in mano.
“Ne ha di fantasia,
queste gente…”
“Vorresti dire che non
è vero?” fece Tom, deluso. “Niente
sbaciucchiamenti pubblici né effusioni romantiche?”
“Cercavo di rassicurarla
per via di Brenda! Credevamo che le
fosse capitato qualcosa di serio!”
Gustav spostò meglio il giornale versò di sè e studiò meglio le
foto.
“Effettivamente la
posizione è equivocabile…”
“Già, sembrava
una cosa molto più esplicita da lontano.”
Osservò Tom. Tutti si voltarono a guardarlo con espressioni
interrogative. “Che
c’è?”
Gustav e Bill inarcarono un
sopracciglio di fronte alla sua
palesemente falsa espressione ignara.
“E va bene,”
ammise allora lui. “Avevo notato quest’articolo
in mano a un paio di vecchie pettegole e volevo sapere cosa
dicesse.”
“Domandare ai diretti
interessati era troppo faticoso e
complicato?”
“Volevo prima un quadro
generale esterno.”
Bill volse gli occhi al cielo
esasperato.
“Dio, perché mia
hai condannato ad avere un idiota per fratello?”
Georg rivolse a Nicole uno sguardo
intenso, quasi le stesse
chiedendo implicitamente una conferma alle dichiarazioni di Bill, e
prima di
dimenticare il nocciolo della discussione, prima di scivolare nel
profondo di
quella vibrante carezza immateriale, Nicole riuscì ad
articolare qualche suono
sensato che cercò di rassicurarlo:
“È solo un basso
espediente per vendere copie.”
Georg indugiò, ma solo per
pochi istanti, poi richiuse la
rivista con un sospiro e se la lasciò rubare da Tom.
Nicole non era sicura che fosse
persuaso, ma al momento non
se la sentiva di tirare troppo la corda: un’eccessiva
insistenza lo avrebbe
fatto dubitare ancora di più.
“Ho idea che nei prossimi
giorni ci sarà un netto incremento
dei suicidi tra le donne,” disse Tom. “Queste foto
uccideranno metà della
popolazione femminile al di sotto dei vent’anni e buona parte
di quella al di sopra.”
“Dai qua, Tom, fammi vedere
un po’ le altre notizie bomba.”
Intervenne Bill, strappandogli di mano la rivista e portandosela via,
ma non
senza aver prima scoccato a Nicole uno strano sguardo penetrante che la
lasciò
interdetta.
Che cosa poteva significare?
Poco prima che Bill si voltasse, le
sua labbra assunsero una
lieve arricciatura agli angoli, un mezzo sorriso felino, sereno ma non
del
tutto, che la confuse ancora di più. Gustav seguì
lui e Tom verso la lunga fila
di sedili a ridosso di una delle vetrate e lì si
accomodarono, il primo immerso
nella sua musica, gli altri due che si litigavano il Sun ormai
stropicciato.
Lei e Georg rimasero soli. O quasi.
“Mamma!” Emily
stava ancora richiedendo attenzione,
allungando le braccia in alto per farsi prendere in braccio.
“Mamma, mi avevi
promesso che mi compravi un gioco nuovo!”
Nicole si sistemò la borsa
su una spalla e si sforzò di
sorridere.
“D’accordo,”
la prese per mano. “Andiamo a vedere cosa
c’è
in giro.”
“Voglio stare in braccio,
non vedo niente qui!”
“Emily, ho mal di schiena,
ho dormito malissimo stanotte.”
Era vero. Anzi, era forse
più corretto dire che non aveva
dormito affatto. La responsabilità non era stata del
comodissimo materasso di
lattice, né del morbido cuscino di piume, e nemmeno della
perfetta temperatura
della stanza.
No, non era riuscita a dormire
perché la sua testa era
troppo affollata di pensieri e sensazioni, troppo preoccupata ed
incerta, e
chiudere occhio era stato davvero improponibile.
“Vieni qui, piccola
peste.” Intervenne Georg, offrendole le
proprie braccia. Emily gli saltò al collo senza la minima esitazione.
Andarono insieme a vedere le vetrine
che cominciavano poco
più in là.
“Hey, Nicole,”
fece Georg, mentre si fermavano davanti ad un
piccolo negozio di giocattoli. “Ma cosa dai da mangiare a
questa bambina? Pesa
come un vitello!”
“Non è vero,
cattivo!” protestò Emily, prendendogli il viso
tra le piccole mani ed appioppandogli, mentre tentava di tirargli la
coda, una
buffissima smorfia offesa che fece ridere sia lui che Nicole.
Il sorriso di Georg era bellissimo,
dolce ed allegro, e non
ci si sarebbe mai stancati di guardarlo. Nicole amava quel sorriso.
“Ma guarda che bella
famigliola!” chiocciò una voce
estasiata accanto a loro. Un’anziana coppia stava uscendo dal
negozio con un
grosso pacco regalo in mano e la signora stava mangiandosi con gli
occhi la
scena. Parlava tedesco, lei e l'uomo erano probabilmente turisti, e doveva aver sentito che anche lei, Emily e Georg parlavano la stessa lingua.
Nicole e Georg si guardarono. Lui
inarcò le sopracciglia,
quasi divertito, lei arrossì violentemente.
La signora si avvicinò ad
Emily, ancora ben stretta in
braccio a Georg, e le sorrise deliziata.
“Ma sai che sei una bambina
stupenda?” le disse cortese, ed
Emily, anziché abbaiarle contro qualche impudenza, sorrise
serafica.
Nicole se ne stupì non
poco: sembrava quasi il piccolo
angelo che tutti credevano fosse.
“Hai rubato questi
bellissimi occhi al tuo papà?” domandò
la
donna, rivolgendo a Georg un sorriso, poi si voltò
brevemente verso Nicole. “Ma
anche la tua mamma ha degli occhi straordinari, vero?”
Il marito della donna non era un uomo
di molte parole, ma
era evidente che anche lui fosse non poco intenerito da Emily.
A Nicole però sembrava di
camminare su un terreno
decisamente minato: avrebbe potuto facilmente sorvolare
l’imbarazzo
dell’equivoco, ma non voleva che Emily si facesse idee strane
ed affatto
futuribili riguardo quel ‘papà’.
“Scusateci, ma dobbiamo
proprio andare,” esordì, frettolosa,
afferrando Georg per un braccio. “È stato un
piacere.”
Un po’ sbigottita, ma non
per questo meno educata, la coppia
salutò e li lasciò allontanare, andando per la
propria strada.
“La signora ha detto che
sono spupenda!” si vantò Emily, ma
subito assunse un’espressione perplessa. “Cosa vuol
dire spupenda?”
“Stupenda,”
la
corresse Nicole. “Vuol dire molto, molto carina.”
“Quanto molto
carina?”
“Come la tua
mamma.” Rispose Georg. Emily strabuzzò gli
occhi, stupita ma compiaciuta.
“Così
tanto?”
Georg annuì, poi le si
avvicinò di più per sussurrarle
all’orecchio. “Anche di più, ma non
glielo dire, o fa come la matrigna di Biancaneve
e ti manda dai sette nani.”
Nicole dovette fingere di non
sentire, ma stava a malapena
trattenendosi dal ridere davanti alla faccia seria di Emily che
conveniva con
lui.
“Che
bella
famigliola!”
Già…
Nicole scacciò il ricordo
della signora ed obbligò se stessa
a pensare ad altro, ma l’unica altra cosa a cui riusciva a
pensare era la festa
che si sarebbe tenuta quella sera, a cui era stata invitata quasi sotto
coercizione e a cui non poteva rifiutarsi di partecipare. Anche
perché, doveva
ammetterlo, voleva veramente andarci.
I ragazzi avevano preventivamente
trovato delle obiezioni
schiaccianti ad ogni suo dubbio: per una sera Emily avrebbe benissimo
potuto
stare alzata fini a tardi, o almeno fino a che non fosse stata
stanca. Si
sarebbero occupati loro di lei, a turno, e Gustav si era offerto di
portarla a
dormire quando lei si fosse sentita stanca. E se da un lato Nicole non
voleva
che si disturbassero tanto, dall’altro le toccò
riconoscere che ci tenevano sul
serio che lei ci fosse, e declinare così ogni loro sforzo
sarebbe stato molto ingrato,
nonché altamente stupido.
Sarebbe andata alla festa, avrebbe
cercato di divertirsi, di
godersi il più possibile quelle ultime ore, di stare con i
ragazzi ed
imprimersi bene dentro ogni singolo istante, poi… Poi tutto
si sarebbe
concluso.
E anche
stavolta,
niente lieto fine.
-------------------------------------------------------------------------------------
Note:
Ecco
qui, anche il diciannove è andato. Si tratta di una sorta di
introduzione alla
Grande Vetta, ossia il venti (che emozione!), quindi preparatevi per il
prossimo capitolo, gente, perché so già che molti
di voi fremeranno nel
leggerlo! ;)
Vi lascio le traduzioni dei brevi pezzetti in inglese, nell'ordine in cui sono inseriti:
"Bill Kaulitz dei Tokio Hotel bacia una ragazza misteriosa sotto il sempre vigile Occhio di Londra."
"Niente più dubbi riguardo l'orientamento sessuale di Bill Kaulitz: il frontman della rockband tedesca popolare in tutto il mondo è stato avvistato in centro a Londra con una bella ragazza, con la quale..."
"... la fortunata ragazza sembra molto confidente con il giovane Bill (18 anni) e lui..."
"Per la prima volta Bill viene colto con le mani nel vaso dei biscotti (tipica espressione inglese), e che biscotto ha trovato!..."
"... fonti attendibili dichiarono di aver assistito ad una scena smile un paio di giorni fa, a Dublino. E' scoppiato il caos quando l'androgino cantante e la stessa giovane sconosciuta..."
Infine, grazie a voi lettori, come sempre, e
soprattutto a voi
commentatori. Come al solito vi invito a lasciare una recensione, anche
breve,
comunicandomi tutto quello che avete gradito ma anche quello che non vi
è
piaciuto. Ci tengo davvero a conoscere la vostra opinione, scrivo per
voi, ma
anche per me stessa, e quello che pensa il pubblico è
fondamentale per me e per
qualunque altro autore di questo portale. Se siete anche voi degli
autori,
capirete senz’altro cosa intendo. ^^ Sono debitrice a tutti
voi che mi fate da
carburante con le vostre bellissime parole!
Grazie in particolare a:
loryherm:
carissima! Sei sempre acuta nell’osservare e molto molto
accorta. Spero di non
averti delusa, stavolta!
CowgirlSara:
MS
powah! ^^ Aspetta e vedrai, non dico altro, se non : appoggio
quello che hai detto riguardo al bacio! ;)
NeraLuna:
niente
overdose, mi raccomando! Resta sintonizzata, vedrai che avrai di che
soddisfarti!
Lady Vibeke:
MS
powah anche a te (e alla tua recensione da Guinness! XD)! La tua Brenda
è una
gran donna, sì, e tu invece sembri sempre leggere otto metri
più a fondo della
superficie, il che non mi stupisce affatto. ^^ Il prossimo capitolo
succederà
quello che tu sai, quindi mettiti comoda e prepara l’acqua
gelata! ;)
valux91:
eh, lo
so, il nostro Georg è un tesoro sotto la sua scorza da
tenebroso Uomosesso. ^^
dark_irina:
hai
proprio visto giusto! Quando all’epoca ho letto quella tua
recensione sibillina
già sapevo che in questo capitolo saresti stata trionfante.
^^ Brava!
kit2007:
ci hai
azzeccato, direi. ;) Ti ringrazio dei complimenti, sempre deliziosa
come al
solito!
Muny_4Ever:
chi
vivrà vedrà. ^^ La questione sarà
risolta mooolto presto, credimi.
ElianaTitti:
grazie davvero infinitamente! Hai fatto un’osservazione
giustissima riguardo
Nicole e Georg, assolutamente cruciale, direi! Ottimo acume!
sososisu:
dico a
te la stessa cosa che ho detto a CowgirlSara: abbiate fede e vedrete. ;)
L_Fy:
avresti
anche potuto dirmi che la storia ti faceva schifo e che
l’avresti sconsigliata
a chiunque, per me sarebbe già stato un onore sapere che
l’avevi letta e ci
avevi addirittura speso del tempo per una recensione. ^^ Grazie,
veramente.
RubyChubb:
MS
powah III! Anche per te, stessa cosa che ho detto a Sara. Il resto lo
sai già.
;)
EtErNaL_DrEaMeR: mi
auguro veramente che leggerai e
commenterai anche questo capitolo e i pochi ultimi che seguiranno, se
il
precedente ti è piaciuto, credo gradiresti anche questi che
verranno. ^^ Grazie
di tutto comunque, mi fa piacere aver catturato la tua attenzione!
Bene, miei fedeli lettori, per ora ho
concluso. Vi aspetto
tutti al varco, preparatevi per il prossimo capitolo: popcorn alla mano
e
coccola in ghiaccio! ^^
A presto!
|
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Capitolo 20 *** Giving Up For You ***
Aveva dimenticato tutto, dalla prima
all’ultima cosa che da
ragazzina ripassava sempre con le sue amiche prima di uscire con un
ragazzo.
Quella sera che i ragazzi erano
addirittura quattro, e non
si trattava nemmeno di ragazzi qualunque, Nicole aveva la sensazione di
stare
ricominciando da capo con tutta la sua vita: era ansiosa come al primo
appuntamento importante ed almeno altrettanto impacciata.
Il suo vestito (lo stesso che aveva
indossato una settimana
esatta prima, quando era stata ospite dei ragazzi in discoteca) non
rendeva
giustizia alle splendide Blahnik che calzava perfettamente ai piedi.
Era piuttosto
carino, a vedersi, ma un abito acquistato per cinquanta euro in saldo
al centro
commerciale non era fatto per accompagnarsi ad accessori di lusso come
quelle
scarpe.
Si studiò accigliata nello
specchio del bagno e non riusciva
a vedere alcunché di soddisfacente: i capelli erano statici
e flosci, così
dritti che nemmeno un miracolo avrebbe potuto donare loro qualche onda
vivace,
e il raso nero la faceva sembrare troppo pallida, ma non poteva farci
niente.
Non aveva portato con sé alcun tipo di trucco, erano anni
che non usava make up
ed affini, e non sapeva più cosa fare per non sembrare
così dannatamente inadeguata.
Controllò l’ora:
la festa doveva essere già iniziata, ma
loro avrebbero fatto la loro comparsa solo tra un quarto
d’ora. Gustav, Georg e
Tom erano passati a prendere Emily dieci minuti prima, ma Nicole ancora
non era
pronta, e temeva che, a questo punto, non lo sarebbe mai stata
veramente.
Ripensò a quanto in fretta
si fosse esaurita la giornata. L’arrivo
in Francia, la trasferta in hotel, e poi i lavori di montaggio delle
strutture,
il soundcheck e infine la parte più complicata e faticosa:
la preparazione per
il party.
Ben
riuscita, devo dire,
ironizzò Nicole con se stessa, incapace di credere che
l’avrebbero veramente
portata alla festa così.
In quella qualcuno bussò
alla porta.
“Nicole, sono
Bill.”
Arresasi davanti
all’evidenza, Nicole sospirò afflitta e
andò ad accoglierlo.
“Ciao.”
Mormorò a capo chino.
“Ciao,”
ricambiò lui. “Ti ho portato la tua
salva-identità, Emily
l’ha scordata da me poco fa.”
Non mancò di squadrare
Nicole con interesse, ma non appena
lei sollevò lo sguardo su ciò che le stava
porgendo (la mascherina di pizzo
nero che aveva acquistato quella mattina, dalle vaghe sembianze di
farfalla),
sembrò quasi urtato.
“Non sei ancora
pronta?” esclamò, basito. “Sei peggio di
me!”
“Io sono
pronta.”
Rispose lei, sulla difensiva, strappandogli la mascherina di mano. Bill
emise
un flebile gemito spazientito.
“Nicole, senza offesa, ma
sei un vero disastro.” Sbuffò.
“Avresti il coraggio di presentarti così
alla tua serata?”
“Primo, non è la
mia
serata,” puntualizzò lei. “Secondo,
è inutile perdersi in prediche, non ho un
bel niente con cui rendermi presentabile, non mi sono portata dietro
nemmeno un
mascara. Figuriamoci, l’ultimo che ho comprato deve avere
ormai almeno tre
anni, quindi anche volendo non –”
Bill le aveva chiuso la bocca con una
mano e ora rideva
divertito.
“Mi consola sapere che
c’è qualcun altro che si lascia
prendere dalla logorrea, di tanto in tanto,”
commentò, con un’espressione da
folletto che, Nicole ne era sicurissima, aveva acceso un po’
di colore sulle
sue guance. “Hai qualche cosa da portarti dietro? Borsette
o…”
Nicole fece segno di no con la testa.
“Solo la giacca,”
disse, indicando imbarazzata la semplicissima
giacca di velluto che stava appesa nell’ingresso.
“Ma…”
Senza dire altro Bill prese la
giacca, le afferrò un polso,
estrasse la scheda magnetica dalla fessura nel muro e si
portò via Nicole in
modo non esattamente delicato.
“Bill,” Lei lo
seguì suo malgrado attraverso il corridoio,
attonita. “Dove diamine stiamo andando?”
“In camera mia.”
Nicole quasi inciampò
nella moquette dallo shock.
“Cosa?”
“Mi devo occupare di
te.” Fece lui, sbrigativo, ma questo
contribuì solo ad aumentare esponenzialmente lo smarrimento
di Nicole.
“Cosa?”
Lo stesso sogghigno elfico di poco
prima le venne in
risposta.
“Abbi fede.”
***
Erano in ritardo di un paio di minuti
(cosa già prodigiosa
di suo, dato che in genere Georg e Bill facevano a gara per chi faceva
più
tardi), ma a Gustav non dispiaceva più di tanto. Non
lo entusiasmava molto
l’idea della festa in maschera, anche se sapeva benissimo che
molti dei
presenti non sarebbero stati affatto mascherati, esattamente come lui
ed il
resto della band.
Se mi
avessero proposto di mettermi qualche stupido travestimento, ci sarebbe
scappato il morto.
Tre dei Tokio Hotel erano riuniti
dell’ingresso dell’hotel
con un paio di guardie del corpo a testa più quelle di Bill,
David, Dunja ed un
altro paio di collaboratori, in paziente attesa di Bill e Nicole, ma
non era
certo una novità.
Emily era esuberanza ed allegria allo
stato puro, si pavoneggiava
nel bel mezzo della hall nel suo assurdo costume da diavoletto, facendo
roteare
il povero Wilhelm in aria, tenendolo per una sottile zampetta.
Si era scelta quel costume lei
personalmente, aveva detto
Nicole, e non c’era stato verso di farle cambiare idea verso
qualcosa di più
femminile, come una gonnellina rosa ed un paio di alucce da fata, ma
Emily era
una bambina atipica, ormai lo sapevano bene tutti quanti, e comunque il
rosso
le donava moltissimo e faceva un bel contrasto con i suoi boccoli
biondi ed il
suo visetto angelico.
Era curioso di vedere Nicole, adesso.
Anche se sapeva che non
avrebbe indossato nulla di particolare, Gustav era comunque molto
interessato alla
presentazione. Era vero che lei non era il suo tipo e che,
nonostante la
bella amicizia che avevano instaurato, c’erano scarsissime
possibilità che
loro due si trovassero reciprocamente attratti romanticamente
l’uno dall’altra,
ma Tom non era il solo a saper apprezzare una bella ragazza per quello
che era.
Erano le nove e venti quando
l’attesa fu finalmente appagata:
quando tutti cominciavano a domandarsi se non fosse il caso di salire
ad
avvisarli del ritardo, le porte dell’ascensore si aprirono e,
finalmente, ne
uscì Bill, vestito di tutto punto come suo solito, in nero
da capo a piedi, i
capelli privi del solito style, e sorrideva piuttosto soddisfatto.
All’interno
si poteva scorgere il profilo di Nicole.
Gustav non poté impedirsi
di lasciarsi sfiorare da un dubbio
a suo parere legittimo: prima il bacio a Dublino, poi le foto sul Sun,
poi questo.
Poteva davvero essere tutto
quanto un fraintendimento?
“Dai, stupida, vieni
fuori.” Disse Bill, rivolgendosi
all’interno del vano dell’ascensore, ma non venne
risposta, così lui dovette
allungare una mano e trascinare fuori un’imbarazzatissima
Nicole, anch’essa
vestita completamente di nero, una giacchetta in una mano ed il viso
seminascosto da una mascherina che contornava dolcemente i suoi occhi
truccati
di nero, evidenziandone il colore e seguendone perfettamente la forma a
mandorla. I capelli erano raccolti, tenuti fermi da una specie di
bastoncino di
metallo, salvo un paio di ciocche sottili che le pendevano ai lati del
viso.
Per un lungo, doveroso istante, tutti
i presenti trattennero
il respiro.
***
Avrebbe voluto poter dire che era
splendida, che era
luminosa a raggiante, e soprattutto felice di esserlo, ma non era
affatto così.
Più Georg guardava Nicole,
più si convinceva che non si
sarebbe affatto divertita nelle ore a seguire.
Era rimasta zitta per tutto il
brevissimo tragitto che
avevano percorso attraverso lussuosi corridoi dell’hotel che
conducevano fino
all’edificio attiguo, un palazzo costruito appositamente per
feste e
ricevimenti, e anche ora che erano entrati ad avevano preso posto al
loro
tavolo con soppalco riservato, non sembrava che il suo umore fosse
migliorato.
La osservava in silenzio, ed era
bella, sì, ma non come
avrebbe voluto lui: sorrideva, ma in modo tirato ed insincero, forzato,
e a
Georg questo non piaceva. Si intravedeva del trucco nero sotto la
mascherina, e
probabilmente anche in quel rosa che delicatamente le tingeva le
guance, ma
dietro a tutta quella finzione, non si intravedeva Nicole.
Erano alla festa da ormai
mezz’ora, avevano già ordinato da
bere e ad Emily era stata servita un coppa di gelato alla vaniglia
ricoperto di
cioccolato e zuccherini che l’aveva letteralmente fatta
impazzire. Gustav e Tom
si stavano vicendevolmente intrattenendo con una conversazione non
proprio
intelligente sulla preparazione di certi cocktail. Gli unici che
sembravano
estranei all’ambiente circostante erano Nicole, Georg stesso
e Bill, che pareva
a mezza via tra l’annoiato e il nervoso.
Invitala a
ballare,
ripeteva, ormai da diversi minuti, la voce nella testa di Georg. Cosa cazzo aspetti, Hagen?
Non aspettava niente, aveva solo
paura di dire o fare le cose
sbagliate al momento sbagliato, anche se, come i recenti avvenimenti
avevano
comprovato, un po’ di avventatezza poteva anche venire
premiata.
Datti una
mossa, razza
di idiota, prima che –
Proprio in quell’attimo
Bill si alzò in piedi risoluto e
porse a Nicole la propria mano con un sorriso ammiccante.
“Mademoiselle,
posso avere l’onore di questo ballo?”
E sotto agli occhi di Georg, dopo una
breve titubanza, mademoiselle gli
concesse quell’onore.
***
La stasi che sembrava aver preso il
dominio della serata non
piaceva affatto a Bill.
Aveva atteso a lungo che
quell’imbranato di Georg si
svegliasse e facesse qualunque cosa, ma lui se n’era rimasto
affondato nel
divanetto, cupo come un cielo che preannuncia tempesta, senza muovere
un
muscolo.
Alla fine Bill si era stancato ed
aveva deciso di prendere
in mano la situazione, così eccolo lì, a ballare
– o almeno a tentare di farlo – con
Nicole assieme ad un altro centinaio di persone che nemmeno sembravano
far caso
a loro.
“Stai molto bene
stasera.” Le disse, celando la provocazione
dietro ad un complimento. Lei nemmeno lo guardò.
“No, non sto affatto
bene,” mormorò, quasi atona. “Ma
preferirei fare finta di niente, entro i limiti del
possibile.”
“Magari ballare ti
distrarrà un po’.”
“E se ci fossero dei paparazzi nascosti in giro?”
Non c’era vero interesse o
vera preoccupazione nelle sue
parole, ma solo l’evidente sforzo di proseguire una
conversazione che già da sé
aveva ben poco da dire.
“Per questo hai la maschera,” Bill
accennò al suo viso. “Resteresti comunque la
Ragazza Misteriosa che ha sedotto ed abbandonato Bill
Kaulitz.”
Questa volta a Nicole fu impossibile
non reagire
debitamente.
“Io cosa?”
Codina di
paglia?,
ridacchiò Bill tra sé e sé.
“Nicole, era una
battuta!” la rassicurò immediatamente.
“Pietosa,
ma lo era.”
Lei gli concesse un accenno di
sorriso riconoscente, che
però lasciò Bill un poco amareggiato. Era
sfuggente, chiusa, e non c’era modo
di rallegrarla minimamente. O, per meglio dire, un modo
c’era, ma occorreva una
doppia collaborazione che per ora proprio non sembrava voler decollare.
“Sei veramente in forma
stasera.” Gli disse Nicole, mentre
dondolava leggera assieme a lui sulle note di una canzone lenta del
tutto
ignota.
“Sì?”
Arricciò appena le labbra. “Allora
anch’io fingo
bene.”
Quella dichiarazione toccò
Nicole più in profondità del
previsto. Lei fece per staccarsi da lui, ma Bill la trattenne.
“Così non mi
aiuti, sai?”
“Au
contraire,
Nicole,” replicò Bill, giocando a fare
l’enigmatico. “È proprio
per questo che ti ho trascinata in
pista, anche se era chiaro come il sole che non ne avevi la minima
voglia.”
“Mi hai invitata a ballare
perché volevi aiutarmi?”
“Oui.”
“Non ti seguo.”
A Bill venne un po’ da
ridere, ma preferì mantenere la
dovuta serietà che l’imminente argomento
richiedeva.
“Credo che tu dovresti
dirglielo.” Lo disse con la massima
calma e disinvoltura, cercando di registrare ogni più
insignificante variazione
nell’espressione di Nicole, la quale voltò la
testa di lato, fissando il
pavimento oltre la spalla di Bill, con la massima indifferenza.
“Dirgli cosa?”
Bill soppresse
un’esclamazione trionfante.
Ci sei
cascata in
pieno, mia cara.
“La domanda giusta sarebbe
stata: ‘Dire cosa a chi?’,”
puntualizzò soave, facendola
irrigidire all’istante. “Comunque sia,” proseguì subito. “Non credo
dovresti andartene senza dire
a Georg cosa provi per lui.”
Nicole insistette a voler fare la
parte dell’ignara e gli
rivolse qualche battito di ciglia che avrebbe dovuto sembrare
perplesso.
“Cosa ti fa pensare che io
provi qualcosa per Georg?”
Bill fece spallucce con modestia.
“Io non lo penso,”
chiarì. “Si vede.”
“Mi stai sul serio
spingendo a confessare a Georg un mio
ipotetico sentimento nei suoi confronti?” soffiò
Nicole, incredula, ormai del
tutto dimentica del ballo e della musica da seguire.
Bill assentì.
“Precisamente.”
“Credevo di
piacerti…”
“E mi piaci,
infatti,” fece lui con ovvietà.
“Altrimenti non
ti aiuterei.”
A giudicare
dall’atteggiamento di Nicole, non doveva essere
stato granché persuasivo, ma non aveva molta importanza. Che
lei ci credesse o
meno, lui la voleva aiutare.
“Georg è
abituato ad avere le ragazze che strisciano ai suoi
piedi,” le spiegò. “Sono loro che
invitano – anzi, supplicano
– lui, di solito, e se devo essere sincero temo che tu
l’abbia sconvolto non poco.”
“Io?” esclamò Nicole,
sdegnata.
“Tu, certo, chi altri? Come
ho detto, Georg è abituato a
scappare dalle ragazze, non a rincorrerle, e io non capisco
perché tu ti ostini
a negare con tanto spreco di energie qualcosa che potrebbe farti
felice.” Bill
le pose le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi.
“Fidati, Nicole,
quando non hai nulla da perdere, il rimorso è meglio del
rimpianto. Sii egoista
per una volta, pensa anche a te stessa, non può farti che
bene.”
Ed era ovvio che lei fosse stupita da
quel ragionamento così
profondo che, Bill doveva riconoscerlo, era ben poco da lui, ma
sembrò
funzionare, perché Nicole annuì.
“Lo so.”
“E allora, dimmi un
po’,” Bill la scrutò da vicino,
sollevando le sopracciglia. “Cosa diavolo ci fai ancora
qui?”
***
Georg non si sentiva così
esausto – sia fisicamente che
psicologicamente – da mesi e mesi, e non c’era
verso di riuscire a distrarsi, a
quella dannata festa.
Aveva lasciato Gustav e Tom al tavolo
con Emily per andarsi
a cercare qualcosa di più forte da bere di quel blandissimo
Irish Coffee che gli
avevano portato, ma tutto ciò che era riuscito a rimediare
era una Heineken
altrettanto blanda, che si stava bevendo in un angolo del salone in
fermento,
cercando con lo sguardo qualcosa che non voleva vedere.
Non riusciva a non pensare a Nicole,
finita chissà dove con
Bill, a fare chissà cosa. Su quest’ultimo punto in
particolare Georg si era
fatto una serie di idee, maturate tra un sorso di birra e
l’altro, e non ce
n’era mezza che non gli facesse venire voglia di prendere a
pugni il muro, anche se per tutto questo non poteva far altro che gridare ‘Mea culpa’.
“Oh, pardon!”
Una ragazza francese lo aveva
accidentalmente urtato mentre
cercava di farsi strada tra la folla, e ora gli sorrideva dispiaciuta,
un
bicchiere di champagne in mano.
Era magra come un giunco, alta almeno
cinque centimetri più
di lui, e, nonostante avesse un bel viso, la sua espressione sembrava
vacua,
spenta, quasi finta, come il vistoso trucco luccicante tutto sfumature
di rosa
e lilla che aveva sul viso al posto della maschera. Non si poteva dire
che
fosse benvestita, più che altro perché non poteva
nemmeno dirsi vestita: Georg
reputò che le due strisce di tessuto che le fasciavano petto
e fianchi
dovessero essere una qualche rappresentazione in chiave minimalista di
un top e
una minigonna (già piuttosto assurdi da indossare una sera
di fine febbraio), ed
erano per giunta di un’atroce tonalità accesa di
rosa che faceva quasi male
agli occhi.
Che fosse bella era al di fuori di
ogni ragionevole dubbio,
ma era come se portasse appiccicata in fronte un’etichetta
con scritto sopra
‘sono un’oca’. Il che era già
abbastanza sgradevole di per sé, anche
tralasciando la nauseabonda tossina al profumo di rose di cui sembrava
essere
impregnata.
“Non
c’è problema.” Rispose lui, senza
nemmeno sforzarsi di
cambiare lingua, cercando di liquidarla in più galantemente
possibile. Non
aveva voglia di quel genere di compagnia – per la
verità, non aveva voglia di alcun
genere di compagnia – ma lei non
sembrava in grado di recepire il messaggio.
“Tu vuoi un poco di
champagne, sì?” gli chiese in tedesco,
ravviandosi con una mano la chioma biondo platino.
No, io non
voglio ‘un
poco di champagne’, Brigitte Bardot, voglio essere lasciato
in pace.
“No, grazie.”
“Mio nome è
Jeanne,” gli disse, porgendogli la mano ossuta,
che lui si ritrovò a stringere in automatico, peraltro con
l’impressione di
avere fra le dita un fascio di fragili spaghetti di soia. “Tu
sei Georg di
Tokio Hotel.” Aggiunse poi, come se a lui servissero
delucidazioni circa la
propria identità.
Gli erano sempre piaciute le
francesi, ma, per qualche
motivo, l’accento di questa gli procurava un fastidio innato,
soprattutto
quando faceva ricadere l’intonazione sull’ultima
sillaba del suo nome, per di
più con quel sorriso così palesemente posticcio.
Lasciami in
pace,
baguette insipida…
Ma, ovviamente, Jeanne sembrava
intenzionata a tutto fuorché
lasciarlo in pace. Allungò una mano verso di lui e gli
sfiorò il braccio con
una confidenza eccessiva, considerando il fatto che si conoscevano
– se così si
poteva dire – da più o meno dieci secondi.
“Tu mi piace
tanto.” Mormorò leziosa, muovendo un passo
verso di lui.
Tu no,
rispose lui
nella propria testa, arretrando d’istinto, quindi
smettila di molestarmi.
“Solo un bacio.”
Disse lei avvicinandosi ancora, con un tono
che, per essere fine, Georg avrebbe solo potuto definire lascivo. Lui
non mosse
più un muscolo.
“Solo
un bacio.”
Tre parole così stupide.
“Solo
un bacio.”
Così aveva detto Bill,
quando aveva rivelato di aver baciato
Nicole, come se un bacio fosse sempre e solo un bacio, come se non
potesse
esserci nient’altro che un incontro fisico, in un gesto
così. Come se un bacio
altro non fosse che una stretta di mano alternativa.
“Solo
un bacio.”
E anche se quella Jeanne non gli
piaceva, anche se non aveva
il minimo senso che lei fosse lì a pretendere baci da lui,
Georg si sentiva così
accecato da quel sentimento soffocante – qualunque esso fosse
– da non
desiderare altro che cercare di seppellire quel ricordo con un
qualunque mezzo
fuorviante.
Ho fatto
tutto quello
che potevo per farti capire, Nicole…
La ragazza gli avvolse le braccia
attorno al collo e lo
bloccò contro il muro.
Tutto quello
che
potevo…
Lui la lasciò fare.
Mi arrendo.
In quell’istante,
lì, in quell’angolo della sala gremita di
persone, l’unico mezzo fuorviante che avesse a portata di
mano era Jeanne, che
chiedeva di essere baciata, e lui, così avventatamente,
così stupidamente, in
un modo così squallidamente vuoto, decise di accontentarla.
***
Nicole si guardava febbrilmente
intorno, ma trovare una
persona in mezzo a quel brulichio di persone era come cercare un ago in
un
pagliaio. Aveva addirittura perso Bill in mezzo alla folla.
Si sentiva smarrita, ma il suo
sguardo non smise di vagare,
cercando. Alla sua sinistra, un nutrito gruppo di giovani uomini con
maschere
variopinte le lanciava delle occhiatine sfuggenti, e pochi metri
davanti a lei,
una coppietta si stava abbandonando a delle effusioni piuttosto
esplicite.
Nicole stava per passare oltre, ma si bloccò prima di
riuscire a muovere un
passo, perché quelle mani sui capelli della ragazza erano
così familiari da toglierle
il respiro, e così anche il volto del ragazzo, quando questi
sollevò la testa
per guardare al di sopra della spalla della ragazza.
Due occhi verdi le si puntarono
addosso sconvolti,
raggelandola.
Gli mancavi
proprio
tanto, eh?, sibilò il suo perfido raziocinio.
Nicole avrebbe voluto essere
inghiottita seduta stante in
una voragine buia. Il cuore le pulsava in fondo alla gola,
così intensamente da
farle girare la testa, e le sue gambe non volevano saperne di obbedire
all’ordine di portarla via di lì. Tutto
svanì, tranne quegli occhi ed
un’irrazionale desiderio di dissolversi nel nulla.
Georg lasciò andare la
ragazza e fissò Nicole, frastornato e
visibilmente turbato.
Lei ebbe come un flash nella propria
mente: vide quella
scena ritratta in qualche fotografia e pubblicata su un giornale
scandalistico,
con tanto di titolo clamoroso in cima: ‘Georg
Listing from Tokio Hotel and his brand-new prey kissing at a party in
Marseille.’
La ragazza era meravigliosa, con
gambe lunghissime ed un
fisico che solo una modella avrebbe potuto avere. Nicole si
sentì immensamente
sciocca a starsene lì impalata a guardare, incapace di
muoversi o anche solo
pensare, ma cominciava a capire come doveva essersi sentito Georg
quando aveva
visto quelle immagini sul Sun.
Georg si divincolò
rapidamente dalle mani della sconosciuta,
che cercavano di trattenerlo, ma Nicole non voleva interrompere niente.
Senza
aspettare che lui riuscisse ad arrivare a lei, si voltò e
fece per andarsene
via, ma in quell’esatto istante si scontrò contro
qualcuno, ed un paio di esili
mani la afferrò bloccò.
“Nicole, eccoti
qui!”
La voce di Bill –
così dolce e rassicurante – fu come un
appiglio a cui aggrapparsi in quell’attimo di confusione
totale. Nicole si
abbandonò inerme contro il suo petto e si lasciò
avvolgere con sollievo dalle
sue braccia premurose.
“Hey,” Bill la
squadrò perplesso, cercando di farsi sentire
al di sopra di Mr Brightside dei Killers, che suonava dalle casse
sparse qua e
là per la sala. “Cos’è
successo?”
‘It started out with
a kiss, how did it end up
like this?’
Lei
guardò
altrove.
Non farmelo
dire…
“Nicole, è
successo qualcosa?”
‘It was only a
kiss…’
Con un fil di voce, lei
negò.
“Niente. Andiamo via, per
favore.”
‘It was only a
kiss…’
***
Georg non ebbe la forza di muoversi
davanti a Nicole e Bill,
che stavano uscendo l’una accanto dell’altro, la
mano di lui appena appoggiata
alla base della schiena di lei, proprio come una delle tante coppie che
c’erano
in giro. Avrebbe voluto andare da lei e spiegarle – forse
scusarsi, chiarire –
ma cosa, poi? E perché?
Cosa avrebbe dovuto importare a
Nicole se lui aveva baciato
un’emerita sconosciuta?
Niente.
Faceva qualche differenza, per lei,
se Georg Moritz Hagen
Listing si intratteneva con la prima venuta?
Nessuna.
Poteva forse lui avere la presunzione
di dire che la cosa
l’avesse toccata?
No.
No, perché prima ancora
che tutto quel ragionamento avesse
avuto inizio nella sua mente, Bill era spuntato dal nulla, e Nicole lo
aveva
guardato con una tale sollievo nello sguardo che nessuno avrebbe osato
intervenire. Il quadro era completo, non restava altro da aggiungere,
se non la
parola ‘fine’ e l’ovazione conclusiva.
Restò a fissare la mano di
Bill che si stringeva al fianco
di Nicole, completamente impotente.
Bill si chinò verso di
lei, sussurrandole qualcosa
all’orecchio, e Georg si sentì trafiggere dal
dardo della gelosia ancora una
volta.
Finisce
così, allora,
pensò, amareggiato. È
qui che cala il
sipario e il pubblico applaude…
E Gustav aveva avuto ragione, quel
giorno, dopo quella
partita a pingpong in cui Bill lo aveva clamorosamente stracciato.
“Dovresti
imparare ad
ingoiare le sconfitte, Georg.”
Ma lo shock nello sguardo di Nicole,
allora? Era stata
tutt’altro che felice di vederlo darsi da fare con quella
Jeanne, non si poteva
negare. Non era qualcosa che lui aveva visto perché voleva vederla. Era stata reale, vera.
Non puoi
lasciar
correre anche stavolta, si disse, determinato.
E così fece quello che
avrebbe dovuto fare fin dall’inizio:
ingoiò l’amarezza di vederla assieme a Bill, mando
giù il prurito che sentiva
salirgli alle mani e la voglia di andarsene e basta, solo per non
vedere.
Piantò in asso Jeanne senza mezza parola, ma questa non
parve preoccuparsene
troppo, o forse era semplicemente lui che non sentiva niente
all’infuori di un
acuto sibilo nelle orecchie. A passo lento ma deciso, avanzò
verso il centro
della sala, attraverso le persone che ballavano, e raggiunse Bill e
Nicole.
“Nicole…”
Lei si voltò, gli occhi
lucidi ma imperscrutabili, quasi
ostili.
“Hai già finito
con lei?” domandò, gelida.
“Non ho nemmeno
cominciato.” Replicò lui, rigido.
“A me sembravano degli
ottimi preliminari.”
“Che cosa ti aspettavi,
posso saperlo?” esplose Georg. “Mi
respingi, e io dovrei starmene tutta la vita a piangermi addosso
perché tu hai
preferito lui a me? Non è una novità,
sai?”
“Io ti cosa?”
“‘Mi
dispiace Georg’…”
la citò lui, ricordando il loro piccolo momento in
ascensore. “Per cosa ti stavi
scusando, se non per questo?”
“Io… Non lo
so.”
“Io
sì.”
“Tu non sai un bel
niente!”
“Allora spiegami,
cazzo!”
Le loro urla avevano attirato
l’attenzione di buona parte
dei presenti, che avevano abbandonato le rispettive occupazioni davanti
all’irrinunciabile
prospettiva di farsi gli affari altrui, soprattutto visto che gli
altrui erano
metà della formazione dei Tokio Hotel e una ragazza
mascherata dai capelli
rossi che probabilmente alcuni di loro avevano già
ricondotto alla stessa del
Sun.
Sorprendentemente, fu Bill ad avere
la prontezza di spirito
di avanzare un saggio suggerimento.
“Forse è meglio
che voi due andiate a parlare in un posto
più tranquillo.”
Georg a stento credeva alle proprie
orecchie: Bill Kaulitz
aveva appena consigliato a lui e a Nicole di restare soli a parlare, e
senza
nemmeno mostrare troppo fastidio, ma a quel punto non gli interessava
più
trovare un senso ad ogni cosa, perché si era reso conto che
quell’intera storia
aveva effettivamente ben poco senso, se osservata da un punto di vista
troppo
ristretto. C’erano un’infinità di cose
che gli ci erano voluti secoli per
capire, altre che ancora non aveva compreso, e altre ancora che
probabilmente
sarebbero rimaste misteri in eterno, ma ora come ora, presentandosi
l’occasione, un minimo di luce la voleva fare.
Seguendo il consiglio di Bill, lui e
Nicole lasciarono il
caotico salone e presero a camminare per i corridoi, rifuggendo la
gente che
sembrava essere arrivata ovunque. Dovettero raggiungere la hall
dell’hotel per
trovare un po’ di quiete, ma, anche lì, gli
sguardi indiscreti non mancavano.
Presero allora l’ascensore,
visto che sembrava essere un
luogo propizio per la conversazione, e selezionarono l’ultimo
piano, il tutto
senza fiatare.
Si appoggiarono con la schiena alle
pareti, l’uno di fronte
all’altra, senza fiatare e senza osare guardarsi. Fu Nicole,
alla fine, a
rompere il ghiaccio.
“E così siamo di
nuovo qui,” gli lanciò un’occhiata
obliqua.
“Allora, cosa vogliamo
fare?” chiese Georg, profondamente a
disagio mentre lei gli sembrava allontanarsi ogni secondo di
più..
Come si
può essere
così distanti in uno spazio tanto ristretto?
“Tu cosa vuoi
fare?” domandò lei pacata.
“Voglio capire,”
dichiarò lui asciutto. “Capire perché
riusciamo ad affrontare certi discorsi solo mentre siamo chiusi in un
ascensore, perché i giornali pubblicano foto tue e di Bill
in atteggiamenti
compromettenti, perché passi la serata con lui e poi fai
tante storie nel
vedermi con un’altra…” una pausa per
respirare. “Perché sinceramente tutto
questo mi confonde.”
“Quelle foto sono un
colossale equivoco!” sbottò lei con uno
scatto che le fece sciogliere buona parte dei capelli sulle spalle.
“Lo abbiamo
già spiegato tutti e due. Credevo che a Brenda fosse
successo qualcosa di serio,
Bill mi stava rassicurando!” Stava quasi ansimando e la sua
voce si era fatta
roca. “E non ho passato la serata
con lui,”
aggiunse poi. “Abbiamo parlato, di cose molto serie. Anche di
te, se la cosa ti
può interessare.”
Georg si tirò su e le si
piantò davanti, incollerito. Non
solo i progressi tra lei e Bill erano stati tali da permettere loro di
entrare
tanto in confidenza, ma addirittura parlavano liberamente di lui alle
sue
spalle.
“Ed era necessario che
parlaste a stretto contatto?”
“Stavamo
ballando!”
“Quando io voglio parlare
con qualcuno, non lo invito a
ballare.”
Nicole scoppiò in una
risatina sprezzante.
“Sì, questo
l’ho notato.”
E a te cosa
importa?,
ringhiò Georg, esasperato da quel tira e molla continuo che
non arrivava mai ad
un punto, d’incontro o di rottura definitiva che fosse.
Le sue dita si strinsero sulle
braccia nude di Nicole,
mentre i suoi occhi la facevano immobilizzare.
“Che cosa vuoi,
Nicole?” la interrogò con una pazienza
fittizia. “Dimmelo, perché io non capisco
più niente! Ti perdi dietro a Bill, e
poi vieni a farmi certe scenate non appena cerco di non pensare a te
per un
minuto! Cosa cazzo vuoi da me, si può sapere?”
Lei respirava a fondo, il petto che
si muoveva lentamente
ogni volta, ma sosteneva il suo sguardo con determinazione.
“Vuoi davvero sapere cosa
ci stavamo dicendo io e Bill?” Era
arrabbiata, furiosa, o forse ferita, o forse entrambe le cose.
“Bene! Mi ha
chiesto di ballare perché tu non sembravi intenzionato a
farlo e, visto che gli
piaccio, ha deciso di approfittarne.”
“Buono a
sapersi.” La interruppe lui bruscamente, lasciando
la propria presa su di lei.
“E mentre ballavamo mi ha
detto che avrei dovuto pensare a
me stessa e stare con chi volevo veramente, almeno per una volta, e
io…”
Deglutì, tirando su con il naso mentre stringeva i denti e
sospirava. “Io sono
venuta a cercare te.”
Una lacrima tinta di nero le
scivolò lungo la guancia ed il
collo, scomparendole tra i capelli, ormai del tutto sciolti.
Georg impiegò diversi
secondi ad elaborare ciò che aveva
sentito.
Aveva rovinato tutto? Quel suo gesto
così stupido aveva
rovinato tutto prima ancora che qualcosa potesse nascere?
Nicole lo fissava, singhiozzando
sommessamente, le mani
serrate in due pugni frementi.
Invocando mutamente il suo perdono,
Georg sollevò lentamente
le mani e le tolse la maschera con gentilezza. Quando la
abbassò, dietro di
essa trovò Nicole – la vera
Nicole – piena
di timori ed incertezze, dominata da preoccupazioni troppo
più grandi di lei,
ed era quella la Nicole di cui si era innamorato, la sua
Nicole, quella che stava morendo dalla voglia di stringere a
sé
per non vedere la paura nei suoi occhi spalancati.
Georg smise di pensare e riflettere,
mandò a quel paese
tutti i vari ragionamenti che si era fatto da diversi giorni a quella
parte e
prese il volto rigato di nero di Nicole tra le proprie mani, mentre un
brivido
elettrico percorreva entrambi.
E adesso – adesso che il
trucco era rovinato e
l’acconciatura disfatta, adesso che la maschera era caduta e
non c’era più quel
muro ostinato a farle da scudo – adesso sì che era
bella.
“Che coglione che
sono...”
Ma a Nicole sembrava non importare
più del suo errore, né
del diverbio appena affrontato, né della francese,
né di qualunque altra cosa.
Gli sorrise da dietro le lacrime che ancora non avevano smesso di
scendere e
gli poggiò le mani sul torace, ed un invito più
esplicito Georg non lo aveva
mai visto.
Sorridendole in risposta –
dubbioso, insicuro, esitante, ma
così desideroso di farlo – chinò il
capo verso di lei e, senza riuscire ad
aspettare oltre, il cuore che gli martellava come impazzito nel petto e
la
testa che vorticava, le si avvicinò piano.
Le dita di Nicole afferrarono
saldamente il collo della
camicia di Georg, e lui si sentì attirare verso di lei, e
dopo tutto quel
trambusto e quelle incomprensioni, dopo le lunghe e logoranti attese
piene di
‘se’, ‘ma’ e
‘forse’, accostò lentamente le proprie
labbra alle sue e, finalmente,
la baciò.
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Note:
capitolo
pubblicato prima del dovuto dietro a gentile minacc- ehm, richiesta di Muny_4Ever, che ha la febbre
e le serve qualcosa per
distrarsi. ;)
Che dire, se non le solite cose?
Grazie di aver letto e a
chi commenterà, etc… Ma stavolta
commentare è d’obbligo, mi pare, no?
Allora, che ne dite? Sembra che un paio di teste dure abbiano cozzato,
finalmente! ^^ Qualche scintilla è scoccata, quindi vi
preannuncio fuoco e
fiamme, e non aggiungo altro. ;) La canzone citata è, come già annunciato all'interno della narrazione, la bellissima Mr Brightside dei Killers, le cui parti citate vi traduco qui: "è iniziato tutto con un bacio, come ha fatto ad andare finire così così?/era solo un bacio/era solo un bacio..."
Alla prossima!
P.S. 400 recensioni! Ragazzi, vi adoro, grazie di tutto quanto, anche solo per aver cliccato e letto qualche riga, siete un pubblico fantastico! ^^
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Capitolo 21 *** Reden ***
Se esisteva in natura una qualsiasi
maniera per sfiorare la
morte e tornare alla vita nel giro di un battito di ciglia, Nicole era
certa di
averla appena sperimentata.
Sentiva il sapore amaro di
caffè di Georg nella propria bocca,
i suoi palmi ruvidi che le stringevano delicatamente il viso, mentre
lui la
teneva avvinta a sé con quel bacio travolgente che troppo a
lungo aveva atteso
di essere dato, e ricevuto.
Le labbra di Georg erano leggermente
screpolate, ma morbide
e sensuali, e giocavano con le sue come se sapessero esattamente cosa
lei
volesse e come. Nicole non aveva baciato molti ragazzi, nella propria
vita, ma
solo ora si stava rendendo conto che nulla di ciò che avesse
provato finora
poteva definirsi ‘bacio’ in confronto a questo.
Respirare sembrava diventato un
optional assolutamente non
fondamentale, così come la facoltà
dell’autocoscienza, che andava sbiadendo
sempre più verso un totale abbandono agli eventi, alle
emozioni, con un
crescere preoccupante delle pulsazioni, che le parevano tanto intense
da essere
quasi assenti.
Non c’era più
niente, al di fuori di quel bacio.
Il bacio…
I pensieri erano brandelli sconnessi,
stralci di qualcosa
che provava ma che non riusciva a tradurre in elementi razionali,
un’ombra vaga
su un’ondata soverchiante di percezioni più forti
di quanto avesse mai provato.
Di Georg.
Si era concessa di sognarlo, qualche
volta, lo aveva
immaginato spesso, chiedendosi se e come si facesse a distinguerlo, a
capire la
differenza tra un bacio e il
bacio, ma non aveva mai creduto
veramente che ci fosse un confine reale e tangibile tra i due. Non
aveva mai
creduto che qualcosa di così fisico potesse comunicare
qualcosa di così
impalpabile come un sentimento, ancor meno così
efficacemente.
Si era sbagliata di grosso.
Quando Georg lasciò le sue
labbra, Nicole si sentì come una
bomba sul punto di esplodere disinnescata all’ultimo momento:
ogni sensazione
in lei era amplificata di migliaia di volte, ogni suo millimetro di
pelle
sembrava essere diventato ipersensibile, e le dita di Georg, che
scorrevano
lentamente giù dal viso verso le sue braccia nude mentre lui
sembrava perso nei
suoi occhi, le stavano causando delle strane vampate di calore diffuso,
accompagnate da un vago tremore e dei brividi che ormai aveva, volente
o
nolente, imparato a conoscere e riconoscere.
Il brivido di sapere che è
me che sta guardando in questo
modo così intenso.
Era egoista da parte sua pensare una
cosa simile? Dire a se
stessa che si era guadagnata uno sguardo che migliaia di ragazze sparse
per il
mondo avrebbero pagato per avere per sé la faceva forse
peccare di presunzione?
Eppure…
Le labbra di Georg, ancora umide, si
distesero in un
sorriso sfumato da una timidezza che Nicole non aveva mai visto, in
lui, ma che
le si insinuò dentro fino a toccarle e scioglierle il cuore.
Eppure questo è per me.
Si chiedeva cos’avesse di
speciale per meritarsi uno
sguardo così, cosa ci fosse di straordinario, in lei, che
potesse accendergli
quella scintilla negli occhi.
Era quello l’aspetto di una
persona innamorata?
Le venne in mente il modo in cui erano
soliti guardarsi
Brenda e Gabriel. Avevano quello stesso luccicore, quella stessa
espressione,
come se contemplassero l’intero mondo in uno specchio dal
volto umano. Anche i
suoi genitori si erano spesso guardati in quel modo.
Sì, quello era
l’aspetto di una persona innamorata.
Nicole si era sentita speciale
– veramente speciale
– solo due volte in tutta la sua vita: quando, a nove anni,
aveva vinto quella
gara di equitazione e i suoi genitori le avevano detto con commozione
che erano
fieri di lei, e poi a quindici anni, quando aveva guardato negli occhi
la sua
Emily per la prima volta, sentendosi orgogliosa di avere dato la vita a
qualcosa di così meraviglioso e perfetto. Ora, ad anni di
distanza, Nicole
ricordò quel sentore appagante di sentirsi speciale, e non
aveva meriti
particolari, stavolta, se non quello di essere stata se stessa
dall’inizio alla
fine.
La fine.
Si sentì pervasa da
un’insopportabile malinconia, un
diffuso senso di vuoto che le mise addosso un gelo improvviso.
Sentì un paio di
grosse lacrime tiepide scenderle sulle guance e morire sulle mani di
Georg.
“Accidenti, bacio
così male?” ci scherzò sopra lui, e
riuscì a strapparle un piccolo singulto che avrebbe potuto
passare per una
piccola risata strozzata.
Nicole si sentiva nuda ad essere
scrutata da lui in quel
modo, era come se quel bacio gli avesse garantito libero accesso alla
sua
mente, alla sua anima, e si chiedeva cosa ci avrebbe trovato, visto che
a lei
stessa risultava così difficile distinguere una sensazione
dall’altra.
“Vedo tanta paura in
te,” le sussurrò, mentre con il
pollice le asciugava una lacrima. “Perché appena
qualcuno riesce ad avvicinarsi
un po’ a te, tu ti ritrai come se ti fossi punta o scottata?
Cos’è che ti
spaventa così tanto?”
“La mancanza.”
“Vuoi dire che ti
mancherò?”
“È una domanda
retorica, vero?”
“Qualunque sia la risposta,
non avevo la minima intenzione
di lasciarti andare senza farti giurare che ci rivedremo, presto e
spesso.”
“Perché?”
Che domanda ingenua.
“Perché siamo
arrivati fin qui,” disse lui, con una leggerezza con non combaciava con la sua espressione seria. “E non è giusto che tutto
finisca solo perché c’è qualche
chilometro a separarci.”
“Mi stai dicendo che
vuoi… Un cosa seria?” Nicole temeva di aver capito male. “Impegnata?”
Georg annuì.
“Vorrei davvero che
funzionasse, Nicole, ci tengo davvero,
e, a meno che tu non la pensi diversamente, so che ce la possiamo
fare.”
“Lo credi
veramente?”
Lui corrugò appena la fronte.
“Sì,” rispose sicuro. “E non si tratta solo di noi due, di me e di
te, questa non è la turbolenta
storia di Georg e Nicole, questa è la storia di Georg,
Nicole, Emily, Gustav,
Bill e Tom, e sono fermamente convinto che nessuno dei protagonisti
abbia
voglia di sentire la mancanza di uno o più degli
altri.”
“Hai appena detto una cosa
perfidamente bellissima.”
“Dimmi che la cosa
perfidamente bellissima ti ha convinta
che questo rapporto strano ma vero che è nato tra tutti noi
non può essere
troncato così, senza nemmeno un’occasione di
maturare.”
“E come? Voi avete i vostri
impegni, siete sempre in giro…”
Lo chiedeva con rammarico, obbligandosi a razionalizzare quella
possibilità:
che futuro poteva esserci per due persone appartenenti a mondi
così diversi?
L’ascensore di
fermò. Il primo istinto di Nicole fu temere
di nuovo un blocco, ma poi notò che avevano raggiunto
l’ultimo piano. Georg
allora si affrettò a premere il tasto del quinto piano,
quello delle loro
stanze.
“Noi siamo sempre
in giro per circa tre mesi
all’anno,” le disse poi. “Al di fuori dei
tour, abbiamo impegni vari ma
saltuari. Posso – possiamo –
venire a trovarvi a Lipsia, voi potete
venire a trovare noi… Non è
impossibile.”
“Ma è
improbabile.”
“Questo dipende da quanto tu
desideri che funzioni.”
“Non puoi immaginare quanto,
ma è… È folle!”
“Ma non
impossibile.” Insisté lui, e dalla sua espressione
Nicole capì che sapeva di essere stato più che
convincente. “Allora?”
“Allora è una
decisione che non poso prendere così, su due
piedi.”
Georg sembrava essersi aspettato una
risposta del genere,
ma mostrava comunque una velata delusione.
L’ascensore si
arrestò al quinto piano e le porte si
aprirono. Georg uscì e porse la propria mano a Nicole,
invitandola a seguirlo.
Era stata una serata sorprendentemente
intensa, finora, ma
nonostante tutto quello che era successo – la chiacchierata
con Bill, la
scenata con georg, il bacio – quel gesto così
semplice ad apparentemente
insignificante fu per Nicole la cosa più bella e romantica
di tutte, dolce ed
intima, rassicurante.
Lo raggiunse ed intrecciò
la propria mano nella sua. Non
fece domande mentre lui la guidava verso la fine del corridoio deserto,
ma una
cosa era certa: stavano andando verso la sua stanza.
C’era una lunga serie di
implicazioni al riguardo, e Nicole
era abbastanza navigata da saperle considerare tutte, alcune delle
quali le
fecero salire un imbarazzante bollore alla gote.
“Non pensare a
chissà che,” disse Georg, due fossette nelle
guance, mentre si sfilava la chiave magnetica dai jeans e la passava
nella
serratura, senza però lasciarle la mano. “Voglio
solo darti una cosa.”
***
Tom sedeva annoiato nel loro
privée, le braccia adagiate
svogliatamente lungo lo schienale, la gambe divaricate in modo ben poco
raffinato, ma non gli importava granché. Gli scocciava
ammetterlo, ma era
troppo dispiaciuto per l’imminente partenza di Nicole ed
Emily per godersi la
festa o anche solo fare finta.
La musica gli faceva schifo, i drink
erano pietosi e per di
più quasi tutte le belle ragazze erano già
accompagnate. Non c’era più nemmeno
Emily a farlo ridere, perché aveva voluto vedere a tutti costi il
titanico acquario
che occupava quasi metà della parete in fondo alla sala,
così Saki ce l’aveva
accompagnata un paio di minuti prima, lasciando un altro paio di
bodyguards a
sorvegliare con discrezione la zona.
Tom aveva già cominciato a
meditare la fuga, quando dal
nulla comparve Bill, le mani infilate in tasca e una faccia strana. Di
Nicole
nessuna traccia.
“Hey,
cos’è quel muso lungo? Dove hai lasciato
Nicole?” gli
chiese Tom, quando lui si lasciò cadere mollemente sul
divanetto, accanto a
Gustav.
Senza dar segno di volerlo calcolare,
Bill afferrò un
bicchiere a caso dal tavolino – il Baileys alla menta di Gustav
– e si mise a
sorseggiarlo con disinvoltura.
Non ci voleva un genio per capire che
qualcosa non andava.
“Bill?”
Tom e Gustav si scambiarono uno
sguardo perplesso. Seguì un
silenzio piuttosto prolisso, ma alla fine, quando il bicchiere fu
vuoto, Bill
si decise ad interrompere la propria omertà.
“Nicole è con
Georg.” Sospirò, in tono lievemente
amareggiato ma tranquillo.
Era una risposta essenziale, chiara e
concisa, che spiegava
molte più cose di quel che potesse sembrare. Per Tom fu
praticamente automatico
associare quell’umore cupo improvviso a quella rivelazione, e
anche per Gustav
sembrava altrettanto scontato.
Tom pensò a Georg e a come
si era sempre tenuto in
disparte, anche nonostante l’evidente debole che aveva per
Nicole, e, pur
dispiacendosi per la palese delusione di Bill, non poté che
augurarsi che Georg
riuscisse a mettere finalmente in chiaro tutto quanto con Nicole.
Il vero interrogativo riguardava
però il dopo, quello che
sarebbe successo l’indomani, quando lei ed Emily se ne
fossero andate. Era
tutto un tale casino che gli veniva il mal di testa solo a pensarci.
Chissà, magari il caro
Listing opererà il miracolo e la
convincerà a restare…
Ma non sarebbe successo, Tom lo
sapeva. Aveva imparato a
conoscere Nicole, non sarebbe tornata su una decisione come quella,
nemmeno per
un paio di supplichevoli e sensuali occhi verdi da cui a stento
riusciva a
staccarsi.
“Ne vuoi parlare?”
domandò a Bill, appoggiandosi con i
gomiti alle proprie ginocchia.
“Di che cosa?”
L’unico motivo per cui Tom
non gli sferrò un calcio
irritato era perché c’era Gustav di mezzo.
“Del collasso delle
iperrealtà applicato all’entropia
capitalistica post moderna,” sbuffò sarcastico,
roteando gli occhi. “Bill, ma
di cosa cazzo potresti voler parlare in un momento simile?”
Bill incrociò le braccia ed
accavallò le gambe compunto.
“Non mi va di parlare di
Georg e Nicole.”
“Ma…”
“Senti,”
sbottò Bill, alterato. “A me Nicole piace, va
bene? E io piaccio a lei, questo è stato chiaro fin
dall’inizio,” Emise un
flebile sospiro. “Ma non sono così ingenuo da non
capire che Georg le piace in
un modo diverso.”
Le dimostrazioni di
maturità da parte di Bill erano
avvenimenti più unici che rari, e nessuno poteva saperlo
meglio di Tom, ma
questa volta si era rivelato particolarmente sorprendente. Non era da
lui
comportarsi così disinteressatamente, il suo concetto di
fare del bene
prevedeva sempre un valido tornaconto, e non per egoismo, come molti
potevano
erroneamente pensare, ma per una mentalità ancora molto
infantile che richiedeva
una gratifica per ogni buona azione. Questa volta non solo non esisteva
alcuna
gratifica, ma c’era addirittura da perderci. Eppure eccolo
lì, Bill,
imbronciato ma sereno, che confessava di aver spontaneamente rinunciato
a
qualcosa a cui tenesse per il bene di qualcun altro.
La mamma non lo deve venire a sapere.
Si metterebbe a
piangere dalla commozione e gli farebbe erigere un monumento. Come se
il
fratellino non godesse di attenzioni sufficienti…
Gustav gli sorrise e gli
assestò un paio di pacche
amichevoli sulla schiena.
“Siamo fieri di te, per quel
che vale.”
E Bill, con stupore sempre maggiore di
Tom, gli restituì il
sorriso, accompagnandolo con un faccino da cucciolo coraggioso che
avrebbe
messo in ginocchio anche l’animo più duro della
terra. La delusione gli sarebbe
passata, Tom lo conosceva, si sarebbe ripreso molto presto. Se fosse
stato
veramente innamorato di Nicole, non sarebbe stato avvicinabile nemmeno
da un
carro armato supercorazzato.
Gli sorrise anche lui, ma in modo
diverso, un po’ per
stuzzicarlo, un po’ per comunicargli, in modo molto
personale, che anche lui
era fiero del suo comportamento.
Come crescono in fretta,
ridacchiò con se stesso.
***
Georg aprì la porta a Nicole e le cedette galantemente il passo. Entrando nella stanza, lei
lanciò un’occhiata alle sue
preziosissime scarpe e si accigliò.
“Un altro regalo?”
Georg accese la luce
dell’ingresso della vasta suite, che
era una delle più belle camere d’albergo che
Nicole avesse mai visto, e la
lasciò accanto al divano per andare a recuperare un
pacchetto dalla scrivania
accanto alla tv, che lei riconobbe come la confezione di un cellulare
nuovo di
zecca.
Georg glielo porse.
“Tranquilla, stavolta non ho
speso un centesimo, è un
regalo riciclato.”
“Oh, wow,” fece
Nicole, rigirandosi l’oggetto tra le mani.
“Sono lusingata.”
Era un Nokia dall’aspetto
molto tecnologico e costoso, nero
e lucido, nuovo di zecca.
“Ce li hanno
regalati,” le rivelò, presumibilmente notando
la sua riluttanza ad accettarlo. “Ma non ho bisogno di un
cellulare nuovo.”
Indicò la scatola. “C’è una
sim, dentro, con salvato il mio numero personale,
quello che hanno solo i miei e i ragazzi.”
Nicole spalancò gli occhi,
incredula: diceva davvero,
allora, voleva veramente fare sul serio.
“Tienili,”
proseguì Georg. “E se e quando avrai voglia di
sentirmi, chiamami, anche a notte fonda. In questo caso non ti
garantisco che
il mio sonno più che pesante mi consentirà di
rispondere, ma almeno vedrò la
chiamata e saprò che ti ricordi ancora che esisto.”
“Come se io potessi
dimenticarmi della tua esistenza,”
replicò Nicole. “Ormai anche i sassi parlano di
voi.”
Georg inarcò le
sopracciglia, uno sorriso non del tutto
trattenuto che gli stiracchiava gli angoli della bocca.
“Perché se non
fosse per quello, mi dimenticheresti.”
“Ovvio.”
“Sono commosso.”
“Lo immaginavo.”
Georg si passò la lingua
sulle labbra, fissandosi le mani.
Ancora quell’accenno di timidezza.
“Allora,” disse in
un sussurro, voltandosi verso di lei.
“Ti fidi di me se ti dico che voglio che funzioni?”
Nicole non sapeva cosa rispondere.
‘Mi fido’, diceva il suo cuore, ma la sua testa
non faceva che urlare ‘È una celebrità,
stupida, e tu non sei nessuno! Non
può funzionare!’.
“Fino ad un certo
punto,” disse infine, maledicendosi per
la freddezza involontaria che le era uscita. “Non mi
fraintendere, lo so che
sei una bella persona,” aggiunse in fretta, con
più dolcezza. “Ma anche le
belle persone sbagliano, siamo umani e deboli, ma io non so se sarei in
grado di
sopportare una delusione così.” Nicole si appoggiò con la schiena al
muro, senza osare guardare
altro che il pavimento. “E se un giorno tu ti stancassi di
tutto questo? Di
aspettare sempre il momento giusto per vederci? E se ti capitasse una
ragazza
come quella di prima?” Uno per uno, tutti i suoi dubbi e
timori stavano venendo
a galla, e più parlava, meno si convinceva che ci fosse
qualche possibilità
reale che potesse funzionare.
“Francamente, non potrei nemmeno
biasimarti se tu cedessi alla tentazione.”
Georg le si accostò
esitante.
“Nicole,” Il suo
tono pacato veleggiò fino a lei come una
carezza. “Dimentica quella ragazza, è stata una
cazzata, mi sono aggrappato
come un idiota alla prima cosa che non fossi tu, perché
credevo che tu e Bill…”
Si interruppe, cambiando rapidamente filo del discorso, ma Nicole aveva
perfettamente capito cos’era stato sul punto di dire, e cosa
intendeva.
Chiodo scaccia chiodo, o almeno
ci prova.
“Insomma,” Riprese
Georg. “Tu cosa sceglieresti tra
concederti una scappatella facile e aspettare la persona a cui tieni
veramente?”
Era un giro di parole contorto e
sottile, ma diceva
qualcosa di importante che fece vacillare pesantemente la precedente
convinzione di Nicole che quel discorso si fondasse su una prospettiva
impossibile.
Vide i suoi occhi brillare alla fioca
luce azzurrognola che
giungeva dall’ingresso mentre anche lui si appoggiava al
muro, e si scoprì
incapace di mentire, sia a se stessa che a lui.
“Se sapessi che ci sei tu ad
aspettarmi,” sussurrò,
spostandosi di fronte a lui. “Io aspetterei.”
***
Un disarmante senso di euforia mista a
stordimento colpì
Georg in pieno stomaco, inibendo ogni sua funzione vitale. Si perse in
quello
sguardo che non sapeva leggere, e non riuscì ad impedirsi di
lasciare scivolare
la propria attenzione verso il basso, verso le labbra schiuse di Nicole.
Non posso baciarla, si
ripeté più e più volte. Se
la bacio adesso, qui, non riuscirò più a
fermarmi…
Ma più lo pensava, meno il
suo cervello sembrava rispondere
alle sue disperate richieste di impedire alla propria testa di
chinarsi
lentamente verso quella di Nicole.
Non dovrei…
Si bloccò ad un soffio da
lei, rigido come un pezzo di
marmo ed altrettanto gelido dentro, investito in pieno da
un’improvvisa
resurrezione del proprio senno.
Non posso.
Aggrappandosi ad una misteriosa forza
di volontà aliena,
fece per risollevarsi, ma fu proprio allora che accadde
l’impensabile, quello
che a lungo aveva accarezzato nella propria mente, ma che era stato
assolutamente certo non sarebbe mai accaduto: Nicole gli
afferrò con una mano
il collo della camicia, esattamente come in ascensore, e lo
attirò a sé,
congiungendo le proprie labbra con le sue in un impatto così
febbrile da
sembrare quasi violento.
Il mondo attorno a Georg si
fermò, e poi scomparve in un
lampo di luce che riconobbe come l’esplosione finale di
troppe emozioni
represse.
Lei si avvicinò ancora a
lui, fino a che i loro corpi non
furono completamente l’uno contro l’altro, e allora
sollevò le mani e gliele
posò ai lati del viso. Il modo in cui lo sfiorò
con le dita gli fece venire la
pelle d’oca e provocò un netto sussulto al suo
cuore, che pulsava a velocità
tale da sembrare fermo. Le sue mani abbandonarono completamente ogni
connessione con la sua volontà cosciente e si misero a
rispondere
automaticamente agli stimoli derivanti dal piacere suscitato dal tocco
di
Nicole: scesero a posarsi sui suoi fianchi e la trassero verso di lui,
mentre
le loro labbra si incontravano di nuovo, in un bacio più
consapevole e profondo
del primo.
Dentro di sé, Georg si
domandava se sarebbe mai più
riuscito a lasciarla andare.
I muscoli del suo addome si
contrassero non appena il bacio
si approfondì e lo schiudersi delle loro labbra permise
all’una e l’altra
lingua di incontrarsi. Nel turbine di sensazioni che lo stava
avvolgendo,
avvertì distintamente le unghie di Nicole rigare il suo
petto contro la
camicia, facendolo fremere lievemente, poi, uno dopo l’altro,
i bottoni furono
slacciati da movimenti abili e rapidi, e si ritrovò
così con il torace
scoperto. Il polpastrelli freddi di Nicole si posarono su di lui senza
esitazioni, mentre il loro bacio si rompeva e le labbra di lei scendevano
verso il collo, lasciandosi dietro una calda scia eccitante.
Quando Nicole prese a stuzzicargli il
pomo di Adamo, Georg
rinunciò a resistere ulteriormente: con un movimento
repentino, le prese il
viso tra le mani e la baciò nuovamente sulla bocca,
invertendo le posizioni e
facendola così finire con la schiena contro il muro. Lei
respirava a fatica, il
petto che saliva e scendeva veloce, lasciato deliziosamente scoperto
dalla
conturbante scollatura dell’abito.
Le pose una mano sulla nuca, mentre
l’altra risaliva
voluttuosamente la sua coscia, sollevando il leggero strato di raso che
la
velava.
Nicole ebbe un attimo di esitazione
che lo fece bloccare.
La guardò negli occhi, scostandole i capelli scompigliati
dal viso e cercò,
sebbene invano, di sorriderle. Gli costava ciò che stava per
dire, ma non
voleva fare nulla che lei non desiderasse veramente.
“Puoi ancora dire
basta.”
Lei ricambiò lo sguardo, e
per un piccolissimo istante lui
fu convinto che da un momento all’altro si sarebbe
divincolata da lui con mille
scuse e lo avrebbe lasciato lì così, eccitato e
frustrato, ma questo non
accadde.
“Ma non mi basta.”
Rispose lei in un soffio, la voce roca e
flebile, e quando iniziò pian piano a sfilargli la camicia,
Georg seppe che era
determinata almeno quanto lui.
‘The
last look back is
black…’
La camicia cadde a terra senza
l’ombra di un rumore. Le
spalline sottili del vestito di Nicole le scesero sulle braccia. Nel
buio della
stanza, Georg poteva vedere i suoi occhi luccicare di emozione.
‘The
night turns dark
ahead…’
Abbassò la lampo laterale
dell’abito, poi insinuò la
propria mano sotto il tessuto, per andare ad accarezzarle la schiena
nuda e
liscia, ed infine lasciar cadere il vestito a terra, mentre un brivido
sensuale
la attraversava.
‘When
there’s no turning
back…’
Se finora tutto era comunque rimasto
in forse, se era
comunque sopravvissuta una minima possibilità che tutto si
fermasse e svanisse
nel nulla, quando Nicole, senza distogliere i propri occhi dai suoi,
prese a
slacciargli la cintura, Georg seppe che stavano davvero oltrepassando
la linea
del non ritorno.
“Cosa resterà di
tutto questo?” osò domandare, a voce bassa
e non del tutto ferma.
‘We’re
glad…’
“Il ricordo,”
rispose lei, ansante, lasciando cadere la
cintura. “Il ricordo di un sogno che non poteva
realizzarsi.”
“Il ricordo di un sogno che
non poteva realizzarsi…”
Georg si sforzò di
concentrarsi su quella frase, di capire
cosa intendesse esattamente Nicole parlando di sogni che non si
potevano
realizzare.
Che fosse una risposta implicita alla
sua proposta?
Ma non riusciva a riflettere, il suo
corpo era interamente in
preda all’eccitazione e tutto quello che sapeva per certo era
che quel motto di
squadra dei Tokio Hotel, ‘Vivi
l’istante’, non gli era mai parso così
sensato.
E quando anche i suoi jeans furono
soltanto un ammasso
indistinto abbandonato a terra, si dimenticò di tutto e di
tutti, di giusto e
sbagliato, di passato e futuro, di premesse e conseguenze. Restavano
solo lui e
Nicole, e quel momento sospeso nel tempo che, Georg lo sapeva bene,
sarebbe
finito troppo presto, ma non avrebbe mai dimenticato.
Senza smettere di baciarsi, lui e
Nicole si spostarono
verso il letto, lasciandovisi cadere sopra abbracciati.
‘So
glad…’
La pelle calda di Nicole aveva uno
buon profumo di limone,
e la assaporò in lungo e in largo, lasciando impietosamente
che lei gemesse
sotto di sé, mentre i suoi boxer si facevano
insopportabilmente stretti. Lei
inarcava la schiena, premendosi contro di lui con le dita affondate
nelle sue spalle,
il respiro tiepido che gli torturava l’orecchio, facendolo
quasi impazzire.
Lei se ne sarebbe andata,
l’indomani, e lui non avrebbe
potuto fare altro che lasciarla andare, ma quella notte,
quell’unica notte,
sarebbe rimasta.
“Nicole…”
Georg si fermò, cercando esitante il suo sguardo
nel buio.
La risposta a quella domanda mai
esternata fu la dolcezza
delle carezze delle mani di Nicole sul volto di Georg, le labbra umide
e
turgide di lei dischiuse ad un soffio da quelle di lui.
Un ultimo sguardo, un ultimo bacio
innocente, poi non
rimase più nulla da dire.
‘No turning back.’
---------------------------------------------------------------------------------------
Note: qualcuno se lo aspettava la scorsa
volta, qualcuno non se
lo aspettava affatto, e invece eccolo qui, il capitolo spicy! A voi
l’ardua
sentenza, io mi sono già dilettata a sufficienza nello
scriverlo (anche
accompagnata dal suggestivo nuovo episodio della Tokio Hotel TV su
YouTube, che
vi consiglio di correre a vedere se ancora non l’avete
fatto). Ringrazio per
l’ennesima volta tutti voi che leggete e mi fate
l’onore di lasciare un commento,
vi sono sempre più grata di tutto l’entusiasmo che
dimostrate e per tutti i
vostri stupendi complimenti. Grazie, ancora una volta!
Vorrei farvi notare il titolo di
questo capitolo, l'unico
in tedesco, che ovviamente ha gli stessi toni ammiccanti della
fantastica
Reden, dei nostri amati Tokio Hotel, e si riferisce ovviamente ad un
tipo di
conversazione decisamente più piccante della classica. ;)
Come sempre, mi auguro che vogliate
recensire, visto che
scrivo per me stessa, è vero, ma infondo anche per voi. ^^
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Capitolo 22 *** The Promise ***
Nicole fu svegliata dalla luce del
sole, un pizzicore lieve
che le investì gli occhi tutt’un tratto, senza
preavviso, strappandola al sonno
più piacevole della sua vita.
Non ebbe nemmeno il tempo di pensare
a dove fosse e perché.
Prima ancora del ricordo della notte passata, prima ancora di
registrare la
presenza di Georg accanto a sé, un braccio avvolto attorno
alla sua vita, prima
ancora di poter sorridere per la bellezza di quel momento, una morsa
feroce le
attanagliò il cuore, accompagnata da una dura consapevolezza.
È
finita.
Si sentì mancare.
Eppure lo
sapevi,
l’hai sempre saputo, le fece notare la solita voce
saputa. È solo che il tuo bello
qui accanto ti ha
fatto dimenticare tutto quanto.
Nicole venne attraversata da un
brivido di panico. Adesso
che si trovava di fronte all’imminente partenza, non era
più così facile come prima:
aveva la sensazione che, lasciando i ragazzi, avrebbe dovuto imparare
di nuovo
a camminare da sola.
Provò un forte bisogno di
concretezza a cui appigliarsi per
non cadere in uno sconforto inopportuno, e cercò con la
propria mano quella di
Georg e la incontrò sopra il proprio ombelico. Le piaceva
sentirsi il suo
tepore addosso, essere avvolta dal suo profumo indefinibile, di cui le
lenzuola
erano impregnate. Era buffo, perché era una cosa del tutto
nuova per lei, ma
sapeva che le sarebbe mancata da morire.
“Buongiorno.”
Mormorò la voce roca e sonnolenta di Georg,
mentre lui le appoggiava il mento su una spalla e intrecciava le
proprie dita
con le sue. Era terribilmente bello e terribilmente doloroso al tempo
stesso
sentirsi così vicina a lui, la propria schiena appoggiata al
suo petto, il suo
respiro tra i capelli.
La morsa al cuore di Nicole si
strinse.
Buongiorno…
Certo,
come no.
Restarono in silenzio per un
po’, anche se Nicole avrebbe
avuto così tante cose da dire da poter parlare per ore.
“Stai bene?” le
chiese Georg. La preoccupazione nella sua
voce le vibrò dentro, frantumando definitivamente ogni suo
tentativo di tenersi
per sé tutti i suoi patetici dubbi.
Stava bene? Non lo sapeva nemmeno lei.
A malapena riusciva a credere a
quello che era successo
quella notte, a quanto più profonda di quel che lei stessa
aveva creduto fosse
la fiducia che riponeva in lui, tanto permettergli di oltrepassare
così
rapidamente una linea di confine a cui nessun ragazzo era riuscito ad
avvicinarsi da anni, dopo un così breve tempo.
Non poteva dirsi un’esperta
in amore, ma se era successo
quel che era successo, qualcosa doveva pur voler dire.
“Ho la sensazione di
trovarmi in bilico sull’orlo di un
precipizio,” sospirò, con un insopportabile groppo
alla gola. “Ho paura di
cadere al minimo movimento sbagliato.”
Lui sembrò soffermarsi a
rifletterci, facendole percepire
un’esitazione in quel breve silenzio che poteva essere
disagio, o forse
semplice necessità di elaborare i giusti pensieri.
“Sì
può sempre imparare a cadere in piedi.” Le disse
alla
fine.
Suo malgrado, Nicole si
ritrovò a sorridere amaramente.
Cadere in
piedi…
Era un’acrobazia che non le
era mai riuscita bene.
Come faccio
a cadere
in piedi se la vita mi ha messa in ginocchio davanti a te?
Era stato l’imprevisto a
portarla fin lì, le sorprese che
una dopo l’altra erano saltate fuori in quei giorni.
Scioccamente,
ingenuamente, si era concentrata così tanto sul non
lasciarsi prendere da Bill,
che non aveva nemmeno calcolato l’ascendente che Georg aveva
su di lei, ed ora
era lì, innamorata e spaventata da un sentimento con cui non
era preparata a
fare i conti.
“Cadendo da così
in alto, ti fai male lo stesso.” Gli
rispose flebilmente.
Per tutta risposta, Georg la fece
voltare verso di sé e le scostò
delicatamente i capelli dalla fronte, ma lei non riusciva a guardarlo.
“Nicole,” Georg
le pose un dito sotto il mento,
costringendola a sollevare il viso. La sua espressione era dolce, ma
molto
seria. “Lo so che hai paura, ma ti posso assicurare che
voglio troppo bene a te
e ad Emily per chiedervi di affrontare una situazione così
complicata se non
fossi sicuro di quello che desidero,” Accennò un
sorriso rassicurante. “Non
posso prometterti un rapporto liscio come l’olio,
perché credo tu abbia capito
che di ostacoli se ne presentano tanti, in certi casi,”
Nicole riusciva a
sentire i suoi battiti accelerati sotto al proprio palmo.
“Però ti posso
giurare di essere pronto a fare i salti mortali per voi.”
Quell’ultima parte fece
bloccare Nicole dallo stupore.
“Per
voi.”
Non aveva detto ‘Per
te’, non stava parlando al singolare,
non si preoccupava solo di lei, e quel particolare, che poteva apparire
insignificante a chiunque altro, per Nicole significava tutto.
L’intero discorso di Georg
aveva fin da subito compreso
anche Emily, e questo significava che lui era pienamente consapevole di
quello
a cui stava andando incontro, e non solo lo voleva, ma stava
addirittura
chiedendole di crederci, perché ci teneva davvero. Ma Nicole
non aveva bisogno
di essere persuasa: gli aveva letto la sincerità negli
occhi, l’aveva avvertita
nei suoi baci e nelle sue carezze, l’aveva sentita nel tono
della sua voce, e,
sì, era vero che aveva paura, ma la sua vita era costellata
di possibilità mai
concesse, e ora che stava a lei decidere se concedere o no, non poteva
permettere alla propria paura di precluderle un’occasione
così.
“Non sarà
facile, sai,” continuò Georg. “Voglio
proteggere
te ed Emily, e c’è la possibilità che i
media vi diano addosso. Ma se facciamo
attenzione…”
“Se facciamo
attenzione?”
Georg le accarezzò una
guancia, scrutandola negli occhi.
“Possiamo davvero farcela,
Nicole.”
E benché suonasse assurdo
ed inconcepibile – lei, la piccola
Nicole Sandberg, la giovane madre single, e Georg Listing, la star, il
bassista
di uno dei gruppi rock più amati al mondo – si
rese conto che era più
plausibile di quanto si sarebbe potuta immaginare solo una manciata di
giorni
prima, quando i Tokio Hotel altro non erano che quattro inarrivabili
idoli che
suonavano per lei attraverso uno stereo e le sorridevano maliziosi da
un
poster.
Nicole abbandonò la
propria testa contro suo petto e permise
a se stessa di sorridere speranzosa.
“Sì,”
concordò. “Possiamo farcela.”
E la cosa più incredibile
era che ci credeva veramente.
***
Il fatto che ci fosse uno
scintillante sole a splendere nel
cielo cristallino non era di consolazione per nessuno, quella mattina.
Era una giornata perfetta per una
scampagnata, per un picnic
in un parco, per un concerto all’aperto, ma non era
assolutamente una giornata
consona agli addii.
Appoggiato al muro, le mani affondate
in tasca, Bill
guardava la valigia di Nicole che Saki aveva appena portato
giù, posata accanto
al bancone della reception, e tutto ciò a cui riusciva a
pensare era che voleva
un palco e un microfono dentro cui poter urlare. La musica era
l’unico
esorcismo efficace quando si sentiva così male.
Non aveva dormito granché,
quella notte, e nemmeno Tom e
Gustav. Se n’erano rimasti su a bere Red Bull e parlare di
stronzate fino alle
quattro. Si erano stancati relativamente presto della festa, e a
mezzanotte,
quando ormai era diventato chiaro che né Nicole
né Georg si sarebbero visti
fino alla mattina, erano saliti e si erano sistemati nella stanza di
Tom, e
avevano giocato un po’ alla Playstation con Emily, fino a che
lei non aveva
cominciato a dare le prime avvisaglie del sonno. La piccola
aveva così dormito
comodamente nel vasto letto di Tom, abbracciata ad un cuscino, come un
vero
angioletto, e loro tre se n’erano rimasti ad osservarla per qualche
minuto, per poi guardarsi e scoppiare in una risata sommessa,
chiedendosi
quanto improbabile dovesse sembrare al mondo esterno che dei tipi come
loro
finissero a contemplare una bambina di quattro anni che sonnecchiava in
uno dei
loro letti.
La hall era semideserta, al momento,
e alle dieci in punto
sarebbe arrivato il taxi che avrebbe accompagnato Nicole ed Emily alla
stazione. A nulla erano servite le loro suppliche di farle accompagnare
da
qualcuno del loro staff, ma Bill capiva perché Nicole si
fosse rifiutata così
irremovibilmente: serviva un distacco netto, veloce. Quanto
più rapida sarebbe
stata la partenza, tanto più sarebbe stata anche
relativamente indolore.
Emily se ne stava seduta sul
divanetto, a leggere a Wilhelm un
volantino sui locali di Marsiglia come se nulla fosse, apparentemente
ignara di
quello che stavano provando lui e gli altri.
Tom si era buttato in una poltrona in
un angolo, scomposto
come suo solito, e teneva la musica del lettore mp3 a volumi
assordanti, senza
però dare l’impressione che la stesse ascoltando.
Teneva lo sguardo fisso sul
tavolino che gli stava davanti, senza battere ciglio, completamente
estraniato
dalla realtà. Gustav, invece, non faceva che andare avanti e
indietro per la
hall, una mano in tasca ed una occupata a digitare freneticamente sul
cellulare.
Occasionalmente sollevava gli occhi per assicurarsi che fosse tutto
tranquillo,
e poi tornava ad armeggiare con la tastiera, nervoso come mai Bill
l’aveva
visto.
Era stato quello l’effetto
di Nicole su tutti loro: un
ingresso in scena in sordina, quasi felpato, un rapido ma silenzioso
accostamento a ciascuno di loro, e da lì si era annodato
quel legame imprevisto,
così solido da averli stupiti tutti quanti, probabilmente
lei per prima, ed era
stato bello, finché era durato, ma ora arrivava la parte
difficile.
Bill non era mai stato bravo a
separarsi da ciò che amava.
Che si trattasse di oggetti o persone, la sua inclinazione a separarsi
da
qualcosa era inversamente proporzionale all’affetto che
nutriva per quella cosa,
e in questo caso si poteva dire che, se avesse potuto, si sarebbe messo
a
picchiare i piedi per terra ed urlare, proprio come faceva da piccolo,
ma l’ultima
cosa che voleva era rendere le cose più difficili a Nicole.
Non era affatto maturo come Tom e
Gustav avevano sicuramente
pensato, aveva tutt’altro che digerito il fatto che lei
avesse preferito Georg
a lui, ma d’altro canto era anche conscio che non poteva
permettersi di reagire
così ogni volta che qualcosa non andava come voleva lui,
tanto più che non era
colpa né sua, né di Nicole, né di
Georg, se le cose erano andate così.
Devi
imparare a
fartene una ragione, Bill, si disse fermamente. Sei tu quello che non sa ingoiare le sconfitte, non
Georg. Sii uomo,
una buona volta, e accetta il fatto che il mondo non ruota intorno a te.
Sicuramente avrebbe fatto del proprio
meglio per riuscirci.
Era tutto quello che poteva fare, del resto: mettersi l’animo
in pace, curare
con la giusta pazienza quella piccola ferita che gli bruciava alla
sinistra del
torace ed essere semplicemente grato di avere avuto anche solo la
fortuna di
incontrare Nicole ed Emily.
Erano le dieci meno cinque quando si
videro Georg e Nicole
apparire in cima alle scale, scendendo lentamente i gradini, quasi a
voler
prolungare il più possibile quel momento. Come Bill
notò immediatamente, si
tenevano per mano, ma non si guardavano mentre parlavano, ridevano e
sorridevano. Tenevano anzi gli sguardi bassi, e li sollevarono solo nel
momento
in cui ebbero sceso l’ultimo scalino.
Come sempre, Nicole era vestita in
modo semplice, jeans e
maglietta bianca, la lunga giacca di ecopelle sopra, ma a Bill non era
mai
apparsa così bella e radiosa, e non c’era nemmeno
bisogno di chiedersi perché.
Lei e Georg erano rimasti insieme tutta la notte, e
l’intimità che ora
mostravano l’uno verso l’altra la diceva lunga su
quello che doveva essere
successo nelle ultime ore.
Del resto, Bill se l’era
aspettato.
Lei arrossì quando si
voltò verso di lei, ma non lo evitò. Gli
sorrise, invece, e lui poté solo sorriderle in risposta.
Sembrava così felice
che proprio non gli riusciva di fare l’offeso.
Tom e Gustav restarono in disparte,
aspettando, ed Emily
nemmeno si accorse dell’arrivo di Nicole e Georg.
“Eccovi qui!”
esclamò David, comparso dalla sala fumatori,
occhieggiando Georg in modo indecifrabile. “Nicole, ho fatto
sistemare tutte le
scartoffie, devi soltanto firmare e ritirare i documenti di
identità.”
“Grazie.” Rispose
lei. Lasciò Georg per andare alla
reception, la borsa nera su una spalla, e solo allora Emily la raggiunse. Bill restò ad
osservare mentre lei
scambiava due parole con il receptionist e si faceva restituire le
carte
d’identità sua e di Emily, ringraziandolo. Gli
altri membri dello staff
l’avevano già salutata poco prima, ed ora che
mancavano solo pochi minuti
all’arrivo del taxi, rimanevano solo i saluti estremi da fare.
Quando Nicole ritornò, si
erano riuniti tutti e quattro al
centro dell’enorme hall, rattristati e leggermente a disagio.
Lei li guardò
tutti con occhi lucidi, ma c’era un’espressione
serena sul suo volto, che
riuscì miracolosamente a contagiare anche Bill e gli altri.
Forse, dopotutto, non sarebbe stato
un addio poi così
terribile. Anzi, forse non sarebbe nemmeno stato un addio.
“Be’, eccoci
qui,” fece Nicole, timidamente. “Non sono brava
con i discorsi di partitura, quindi…” Le
scappò un sorriso emozionato. “Grazie,
non saprei che altro dire. È stata una settimana davvero
indimenticabile. Non è
andata affatto come avevo immaginato, ma ancora meglio, e vi siamo
entrambe
riconoscenti per questo,” Mise una mano sulla testa di Emily
e le lisciò i
capelli. “Grazie, davvero mille grazie di tutto.”
No, Nicole,
pensò
Bill, matematicamente certo che fosse la medesima cos che stavano
pensando
anche gli altri. Grazie a voi.
“Abbiamo una cosa per
voi,” esordì Tom, infilandosi una mano
nella profonda tasca dei jeans oversize. Ne estrasse i due badge che
avevano
richiesto a David e ne porse uno a lei ed uno ad Emily, sotto alle loro
facce
sorprese. “Sono passepartout nominali,”
Spiegò con aria compiaciuta. “Ogni
volta che vorrete venire a trovarci, ovunque ci troviamo, dovete
soltanto esibire
questi, e vi faranno passare, con o senza preavviso.”
Emily si era già infilata
il proprio al collo e lo stava
studiando con interesse. Nicole, invece, lo teneva ancora tra le mani,
visibilmente commossa.
“L’idea
è stata di Gustav,” decise di intervenire Bill,
per
sdrammatizzare un po’. “Sentiti lusingata, per te
ha sacrificato la sua buona
idea annuale.”
Una piccola risata simile ad un
singulto sfuggì dalle labbra
di Nicole, la quale sfoderò un sorriso luminoso per ciascuno
di loro.
“Grazie.”
Abbracciò calorosamente
Tom, e poi Gustav, e poi ancora fu
il turno di Bill.
Lui fu ben lieto di poter ricambiare
il gesto, e soprattutto
di sentire con quanta energia lei lo stesse stringendo.
“Non tardare troppo ad
usare quei pass,” le sussurrò
all’orecchio. “Non ho intenzione di sopportare a
lungo i lamenti di un Georg Listing
nostalgico.”
La risata tremula di Nicole lo fece
sentire un po’ meglio. Sentiva
che l’avrebbe rivista, e molto presto.
Com’era giusto che fosse,
l’ultimo saluto toccò a Georg,
mentre Bill, Tom e Gustav salutavano Emily. Nicole gli si
avvicinò a labbra
strette, ma c’era un’evidente complicità
tra loro, e Bill ebbe l’impressione
che sapessero qualcosa che nessun altro sapeva, un segreto speciale
tutto loro.
Georg fu molto diplomatico: le
accarezzò il viso e glielo
sfiorò appena con un bacio, sorridendo.
“Cosa mi sarà
mai saltato in mente di innamorarmi una
ragazza madre…” Sussurrò retorico.
Nicole rese il sorriso sorniona.
“Vedo la ragazza madre e
rilancio con una rockstar.”
Bill dovette arrendersi davanti
all’evidenza: il feeling che
era venuto a crearsi fra quei due era innegabile ed impareggiabile. Non
gli era
facile ammetterlo, ma era fatti l’uno per l’altra.
“Chiama appena arrivi, o ti
verrò a cercare.” Disse Georg.
“È una
minaccia?” replicò lei, inarcando le sopracciglia.
Lui rise e scosse la testa.
“Una promessa.”
Poi Georg prese in braccio Emily e si
lasciò abbracciare e
sbaciucchiare per bene, facendole promettere di fare impazzire la mamma
se non
l’avesse portata da loro al più presto, ed Emily
ovviamente accolse con
entusiasmo la raccomandazione.
“Credo che sia arrivato il
taxi.” Fece Saki, indicando la
vettura che si era fermata appena fuori dall’ingresso.
C’era una discreta
quantità di ragazzine strepitanti, là fuori, e ai
Tokio Hotel loro non sarebbe
stato possibile uscire. Un facchino dell’hotel
arrivò a prelevare i bagagli per
caricarli sul taxi.
“Allora ciao,
ragazzi,” disse Nicole, con Emily per mano.
“Ci vediamo.”
“Ci puoi giurare,
Sandberg.” Disse Tom, e tutti insieme la
guardarono uscire, accolta dalle urla isteriche delle ragazze, che
però nemmeno
considerarono lei ed Emily. Bill vide Nicole voltarsi indietro
un’ultima volta
e rivolgere loro un cenno, poi salì in macchina e il taxi
partì, portandosi via
qualcuno che aveva lasciato un segno troppo grande per essere
dimenticato.
A presto,
ragazze.
***
Nicole non era sicura di sapere cosa
stesse provando. Era
tutto talmente surreale che aveva la sensazione di trovarsi in un
sogno, perché
era tutto come ovattato e silenzioso, quasi il mondo si muovesse al
rallentatore. Aveva avuto quella percezione distorta fin da quando
aveva
varcato le porte dell’hotel, ed ora che era seduta in
macchina con Gabriel,
diretta verso casa di Brenda, nulla di tutto ciò accennava a
scemare.
Era stato bello scorgere tra la folla
della stazione la
figura alta ed elegante di Gabriel, trovare il suo bel viso sorridente
dopo le
lunghe ore in treno, e sia lei che Emily erano state più che
contente di poterlo
riabbracciare, ma Nicole si era preoccupata non poco
nell’apprendere che Brenda
era rimasta a casa perché non si sentiva troppo bene.
“Non
ti agitare,”
le aveva detto Gabriel, con una strana scintilla nello sguardo. “Ti spiegherà lei.”
E così Nicole non aveva
fiatato, lasciandosi condurre alla
Mercedes senza fare domande.
Arrivarono all’attico per
le cinque del pomeriggio, e quando
Nicole varcò la porta d’ingresso, il familiare
profumo di magnolia la fece subito
sentire la bentornata.
“Eccovi,
finalmente!” strillò immediatamente la voce di
Brenda. Nicole la vide arrivare dalla cucina in pigiama di seta, il braccio sinistro ingessato che reggeva
una
ciotola di fragole. Qualcosa non le tornava, ma non ci
badò: era troppo
felice di rivedere sua sorella.
“Ciao, Bree,” Si
abbracciarono e scrutarono a vicenda. “Mi
sei mancata.”
“Zia!”
esultò Emly, correndole incontro e buttandosi tra le
sue braccia con un po’ troppa energia.
“Hey, vacci piano,
vulcano!” rise Gabriel, entrando con i
bagagli. “La zia non è nelle condizioni di farsi
demolire.”
Lui e Brenda si scambiarono un
sorrisino enigmatico, che
stuzzicò discretamente la curiosità di Nicole.
Stava per chiedere se si fosse
presa qualche virus, quando, all’improvviso, nella sua mente
ci fu come un
click, e tutti i tasselli del puzzle andarono ad occupare un senso
decisamente
logico.
“Bree,”
esalò, sconcertata. “Tu stai mangiando delle
fragole.”
Brenda gettò
un’occhiata incurante alla ciotola di vetro che
teneva in mano.
“Sì, e
allora?”
“I Sandberg odiano le
fragole,” disse Nicole, contenendo a
stento l’euforia. “Con una sola, temporanea
eccezione.”
Ebbe un flashback di se stessa
quindicenne, che si ingozzava
di fragole e panna tra un attacco di nausee mattutine e
l’altro, e quasi si
sentì mancare dallo shock.
Ci fu un nuovo scambio di sguardi tra
Brenda e Gabriel, e a
quel punto non servivano altre conferme.
“Non ci posso
credere!” boccheggiò incredula.
“Vi lascio alle discussioni
tra donne,” annunciò Gabriel,
sulla porta. “Io vado a prendere la cena.”
“Vengo
anch’io!” esclamò Emily,
trotterellandogli dietro.
Nicole non finiva mai di stupirsi
dell’inesauribilità delle sue energie.
“A dopo!”
salutò Gabriel, ed uscì, portandosi via Emily.
Appena la porta si fu chiusa, Brenda
afferrò Nicole per un
braccio e se la trascinò sul divano, indagandola con
un’aspettativa piuttosto
invadente.
“Allora,” la
esortò in tono cospiratorio. “Raccontami tutto
per filo e per segno!”
Nicole era francamente molto
perplessa.
“Non dovresti essere tu a
raccontarmi qualcosa?” obiettò,
indicandole il ventre. Brenda si strofinò distrattamente lo
stomaco, sollevando
le spalle.
“Tuo nipote non scappa, la
freschezza delle tue impressioni
sì,” disse. “Dai, su, dimmi chi dei
quattro ti ha lasciato quel cratere lì a
sinistra.”
Stupidamente, Nicole si
guardò la maglietta, cogliendo
l’allusione troppo tardi. Brenda non perse tempo a prenderla
in giro: divorò
una fragola e riprese l’interrogatoria.
“Avanti, Nicky, hai una
sorella in stato interessante,
renditi un po’ interessante anche tu! È successo
altro dopo il bacio con Bill?”
Nicole non riuscì nemmeno
a mettere insieme le idee per un
responso. Brenda stava già agitando la mano con noncuranza.
“Ok, non è
Bill.” Decretò decisa.
Nicole corrugò la fronte,
basita.
“Come fai ad esserne
così sicura?”
Un sogghigno saccente prese possesso
della bocca di Brenda.
“Non hai assunto un
colorito violaceo quando l’ho
menzionato,” disse semplicemente. “E comunque sei
una Sandberg, anche se un po’
anomala, sei programmata per innamorarti dei ragazzi virili, non di
quelli
efebici, e questo lascia due possibilità: Gustav o Georg, e
visto che hai dei
precedenti incriminanti con la giovane incarnazione del sesso dagli
occhi
verdi, sono propensa a credere che si tratti di lui.”
Nicole si arrese. Non c’era
gusto a giocare a tenere Brenda
sulle spine, sapeva leggerle il pensiero come un libro aperto e scritto
a
caratteri cubitali.
“Con te la privacy
è un’utopia, vero?” sbuffò
contrariata.
“Quindi ho
ragione?” fece Branda, saltando su elettrizzata.
Nicole emise un sospiro sconfitto.
“Sì, hai
ragione.”
“Lo sapevo!”
esultò Brenda trionfante. “Il mio intuito non
sbaglia mai. Vi siete baciati?”
Se si erano baciati?
Nicole considerò il comune
concetto di ‘eufemismo’, e si
accorse che l’uso stesso di quel termine sarebbe stato un
paradossale
eufemismo.
“Sì.”
Dovette ammettere. Tentò di reprimere quel sorriso che
stava lottando per emergere, ma proprio non ce la fece.
Brenda fece sparire
un’altra fragola, poi si sporse in
avanti, l’avidità di sapere che le trasudava da
ogni più piccolo gesto.
“Ed è bravo a
letto?”
“Cosa ti fa pensare che ci
sia andata a letto?” Nicole non
era sicura di essere riuscita a non avvampare.
“Dai, Nicole, sii
obiettiva,” Brenda le rivolse uno sguardo
eloquente. “Non si può baciare un ragazzo come
quello e poi fermarsi lì,
sarebbe delittuoso e contro natura,” Si concesse una pausa
d’effetto. “Allora,
ci sa fare?”
Perché
mentire?,
rifletté Nicole. Tanto ha
già capito
tutto, e non ha comunque senso nasconderle la verità.
“Parecchio.”
Vide Brenda allungare un braccio
all’indietro, per afferrare
la propria borsa, da cui estrasse un pacchetto di sigarette che fece
inorridire
Nicole all’istante.
“Bree, ma non
puoi!”
“Tranquilla,”
borbottò Brenda, prendendo una sigaretta per
tenerla tra la dita, senza però cercare
l’accendino. “Non la fumo, è solo che
ho una determinata gestualità in certi momenti catartici, e
se non tengo in
mano niente mi sento vuota.”
Nicole provò un moto di
smisurato affetto verso di lei. In
quanto ad unione, loro due potevano definirsi la risposta femminile e
non
gemellare ai Kaulitz: c’erano dieci anni di età a
separarle, ma non avevano mai
rappresentato un ostacolo per la loro amicizia, ma, anzi, erano
probabilmente
uno dei suoi maggiori capisaldi.
“Spero che tu abbia fatto
in modo che si ricordasse di te
per eventuali possibilità future.”
Commentò Brenda con casualità.
Ecco,
pensò
Nicole, divertita, adesso sì che
ti posso
sorprendere.
“Bree, Georg ed io non
abbiamo alcuna intenzione di
instaurare uno squallido rapporto di sesso occasionale.”
Dichiarò solenne.
L’espressione entusiasmata
di Brenda crollò all’istante.
“Oh.”
esalò, delusa.
Nicole le lasciò un paio
di secondi per assorbire il colpo,
poi scoprì la propria carta vincente:
“Noi due stiamo
insieme.”
Ci volle un po’
perché Brenda potesse cogliere il senso
della frase. Restò pietrificata per un attimo, poi
aprì la bocca, per
richiuderla subito dopo ed aprirla di nuovo.
“Stai
scherzando?” esclamò, sull’orlo
dell’isteria.
Nicole negò con tutta la
fermezza di cui disponeva.
“Nicky, stai
scherzando?”
“Quante volte ti devo
rispondere prima che tu la smetta di
chiedere?”
Brenda si raccolse in se stessa per
una breve riflessione.
“E sei sicura della
sincerità di ambo le parti di questo
stare insieme?” domandò infine.
Nicole si indignò davanti
a quell’insinuazione.
“Credi che mi imbarcherei
in un casino simile se non avessi
la certezza che il gioco valga la candela?”
sbottò, offesa.
“Hai ragione,
scusami,” Brenda fece alla svelta marcia
indietro. Restò un momento in silenzio a rimuginare, le mani
sulla testa, e
Nicole temeva che sarebbe scoppiata, ma quando Brenda
risollevò gli occhi su di
lei, era semplicemente estatica. “Santo cielo, non ci posso
credere,” esclamò. “La
mia sorellina si è accaparrata un Uomosesso! E in una sola
settimana!” a Nicole
venne da ridere quando la prese per le spalle e la guardò
dritta in faccia. “Sei
cosciente della sconfinata immensità della tua
fortuna?”
Nicole tornò indietro con
la memoria fino a diversi anni
prima, ripercorrendo il tempo come un film in bianco e nero che non
sentiva più
suo. Arrivò alle luci ed alle grida di un concerto, alla
musica che
accompagnava una voce, e cominciò ad intravedere i colori. E
poi c’era la scena
nell’ascensore, quella dove la ragazza qualunque e la
rockstar si baciavano
dopo mille peripezie, la sua preferita. Lì i colori erano
così sgargianti da
quasi accecarla.
Con un piccolo sorriso,
accarezzò quei ricordi, tenendoseli
ben stretti.
“Sì,”
rispose quindi. “Direi di sì.”
A quel punto Brenda si
alzò di scatto dal divano, una mano
premuta sulla bocca, e sparì di corsa nel corridoio della
zona notte,
portandosi dietro tutta la compassione di Nicole, e fu allora che a lei
venne
in mente che c’era una cosa che aveva promesso di fare.
Le mani che le tremavano leggermente,
prese il cellulare
dalla tasca della giacca che ancora indossava – quel Nokia
nero da cui dubitava
sarebbe mai riuscita a separarsi – e digitò
rapidamente un messaggio.
“Siamo
arrivate sane e
salve, e anche un po’ nostalgiche. Ci sono novità
sul fronte Sandberg parigino,
ma non è il caso di parlarne via sms. Un abbraccio a tutti,
dal primo
all’ultimo!”
Non era esattamente il più
brillante sfoggio del suo
talento, ma non riusciva a concentrarsi per scrivere qualcosa di
più adatto o
intelligente. Lo inviò e lo rilesse ancora un paio di volte,
per niente
soddisfatta, poi si rese conto di avere un disperato bisogno di una
bella
doccia calda e fece per alzarsi, lasciando il cellulare sul divano, ma
questo
vibrò con un piccolo bip.
Ammutolita dallo stupore,
guardò il mittente del messaggio.
Georg.
Si era aspettata quantomeno di dover
aspettare diversi
minuti prima di ricevere una risposta, ma a quanto pareva non era la
sola a non
riuscire a staccarsi dal cellulare.
Decisamente lusingata,
aprì il messaggio, che però non era
un messaggio, bensì un piccolo file audio senza nome, e
visto che il suo cuore
era già andato in fibrillazione fin da quando aveva letto il
nome di Georg, dovette fare uno
sforzo notevole per riuscire
anche solo a farlo partire.
“I carry your picture
deep in me, back to you,
over a thousand seas, back to us, don’t you lose your trust
and your belief, just
trust me…”
Tutto ciò che le
riuscì di fare fu mordersi il labbro
inferiore e scuotere la testa, incredula ma compiaciuta.
Sì, non c’era
assolutamente dubbio: potevano farcela.
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Note:
ci stiamo
avvicinando alla fine, e direi che si nota. Il mio pronostico
è che con il
venticinquesimo capitolo la storia, aimè, si
concluderà. Intanto ringrazio
vivamente tutti voi che avete recensito lo scorso capitolo, ossia Ladynotorius, L_Fy,
Mairim90, valux91,
GaaRa92, loryherm,
Schrei, NeraLuna,
Muny_4Ever, kit2007,
dark_irina, Lady
Vibeke,
lilistar, CowgirlSara,
Purple Bullet,
RubyChubb, ElianaTitti
e picchia.
Grazie, grazie e ancora grazie.
Ovviamente, come sempre, invito tutti
quanti a recensire, qualunque
sia la vostra opinione, è sempre la ben accetta,
purché posta nel modo giusto.
^^
Alla prossima!
|
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Capitolo 23 *** Back To You, Back To Us ***
Tornare in Germania fu un piccolo
shock, per Nicole, ma
anche un gran sollievo. Appena messo piede giù dal taxi, sia
lei che Emily
avevano fissato per un po’ il portone d’ingresso
del condominio, trovando molto
strano essere di nuovo lì, come se fossero state via per
lunghi anni, e quello
non fosse più il loro posto.
Era tutto esattamente identico a come
Nicole lo ricordava.
Per qualche strano motivo, anche se mancava da solo un paio di
settimane, si
era aspettata di trovare qualcosa di diverso in
quell’ambiente a lei così
familiare, ma tutto era rimasto lo stesso.
Quella cambiata era lei.
“Eccoci qui,”
disse ad Emily. “Sei contenta?”
Emily annuì sorridente, la
punta del naso arrossata.
“Andiamo a vedere se Sissi
e Martin sono in cortile!”
esclamò, correndo al portone per aprirlo con uno sforzo
notevole e permettere
così a Nicole di passare.
Nicole era felice di vederla
così spensierata. Era certa che
presto avrebbe cominciato a chiedere dei ragazzi, e a quel punto si
sarebbe
dovuta armare di pazienza e spiegarle come stavano le cose –
come, quando e
quanto spesso li avrebbero potuti rivedere – ma per ora
voleva solo godersi un
po’ di tranquillità casalinga, soprattutto dopo la
vivace settimana passata da
Brenda.
Respirò a fondo,
impugnò la maniglia della valigia e se la
trascinò fino all’ingresso. Non fece in tempo a
varcare la porta, che Emily era
già schizzata verso il piccolo parco giochi del giardino
interno, lo zainetto
che le ballava sulla schiena, urlando a squarciagola verso i suoi
amici, che
stavano giocando supervisionati da un paio di genitori volenterosi. La
lasciò
fare, prendendosela con calma.
C’era una ragazzina che non
aveva mai visto davanti alle
cassette della posta, e stava svuotando quella
dell’appartamento che era
rimasto vuoto per diversi mesi. Era un tipo strano, sui sedici anni,
vagamente
buffa con quella gonna vaporosa fucsia e nera e una vistosissima felpa
arancione, che faceva a pugni con i corti capelli color prugna.
Nicole posò valigia e
borsone accanto all’ascensore e andò a
controllare se era arrivato qualcosa di urgente per lei. Sorrise alla
ragazzina, che ricambiò con garbo.
Si avvicinò alla propria
cassetta e la aprì con la chiave, per
trovare soltanto le solite bollette da pagare e montagne di
pubblicità. Sfogliò
le buste una per una, la voce acuta di Emily che rideva con i suoi
compagni di
giochi nelle orecchie, e si accorse che la ragazzina la stava fissando.
Si
voltò lentamente, ritrovandosi così uno sguardo
pieno di stupore puntato
addosso.
Cos’ho
fatto di così
eclatante?, si domandò Nicole, stranita. Messa a
disagio da quella
sconosciuta così curiosa, le voltò le spalle e
fece per andarsene, ma un
gridolino acuto la fece sussultare.
“Ommioddio!”
esclamò la ragazzina all’improvviso,
squadrandola di sotto in su con tanto d’occhi. “Io
ti conosco!”
Nicole si girò a guardarla
con la fronte corrugata. Di cosa
stava parlando? Non si erano mai viste prima.
“Tu sei la Ragazza
Misteriosa!”
“Scusa?”
“Sei proprio tu, riconosco
i capelli e il fermaglio!” squittì
la sconosciuta, euforica, puntandole un dito contro. “Sei
sulla copertina
dell’ultimo numero di Bravo assieme a Bill!”
Nicole rimase pietrificata sul posto.
L’unghia del dito che
la indicava era decorato da una french manicure bianca e nera rovinata,
ma
inconfondibile, e, a conferma di un’ipotesi praticamente
certa, sulla felpa erano appuntate un paio di spille, una raffigurante i Tokio
Hotel al
gran completo e l’altra il loro logo.
Era probabile che quella ragazzina
fosse una banca dati
vivente ed aggiornatissima sulla band, il che significava guai.
Merda.
“Mi stai sicuramente
confondendo con un’altra persona.”
Balbettò il più educatamente possibile. La
ragazzina, però, sembrava sul punto
di mettersi a gridare dall’eccitazione:
“No, sei tu, ne sono
sicura!” Gli occhi blu che le
brillavano di eccitazione, non demordeva. “Piacere di
conoscerti, io mi chiamo
Liesel Jensen, abito al quarto piano. Be’, per la
verità ci siamo appena
trasferiti, da pochi giorni, ma comunque ci abito. Tu e la bambina
bionda
abitate qui? Non vi ho mai viste, siete sorelle? Siete per caso figlie
dei Fuchs?
Sono gli unici che io abbia conosciuto, finora, ma sono degli
scorbutici. Ops,
scusami, non siete veramente figlie loro, vero?”
Nicole era sbalordita dalla
parlantina della ragazzina: per
un attimo le era quasi venuto il dubbio che fosse in qualche modo
imparentata
con Bill.
“Io mi chiamo
Nicole,” si presentò. “E quella
è mia figlia
Emily.”
“Tua figlia?”
Liesel si portò di scatto le mani alla bocca.
“Gesù!
Ma quanti anni hai?”
Nicole doveva ammettere che quella
piccola invadente le
piaceva. Non era proprio un esempio di discrezione, ma sembrava davvero
simpatica.
“Vado per i
venti.” Ammise.
“Fico!” Liesel
dava l’impressione di avere appena trovato un
inestimabile tesoro. “E Bill lo sa che hai una
figlia?”
“Si, ma questo non
– ”
Nicole si morse la lingua davanti al
trionfo accesosi sul
volto di Liesel. Aveva appena commesso un clamoroso passo falso.
“Lo sapevo! Ommioddio, lo
sapevo!” Liesel le afferrò con
foga le mani, che ancora reggevano la posta. “Senti, ti
prego, devi raccontarmi
tutto: come li hai conosciuti, come sono dal vivo,
cos’è successo con Bill… Ti
giuro che non lo dirò ad anima viva!”
Nicole non sapeva più cosa
fare. Era talmente impreparata ad
affrontare la questione che non sapeva neanche che scuse inventarsi.
“Io non
–”
“Scommetto che è
un partner dolcissimo!” Liesel sembrava
inarrestabile. “E che ti copre di regali!”
“Liesel, Bill e io non
stiamo insieme.” Mise in chiaro
Nicole, riuscendo per la prima volta a tirare fuori un po’ di
convinzione. La
ragazzina ci rimase parecchio male.
“Come sarebbe a dire? Non
ci credo! Le foto –”
“Le foto sono un astuto
effetto ottico, nient’altro.”
L’espressione giubilante di
Liesel si spense in un baleno.
“Quindi non
potrò dire alle mie amiche di conoscere la
ragazza di uno dei Tokio Hotel?”
Non arrossire,
si
impose Nicole. Non arrossire, ti
prego…
Liesel strizzò gli occhi
sospettosa davanti alla sua
esitazione.
“Tu non me la racconti
giusta!” la accusò.
Nicole si impose di non ridere.
Impertinente,
la piccola…
“Dai, a me puoi
dirlo!” insisté Liesel, supplichevole.
“Ti
prometto che sarà il nostro segreto, me lo terrò
gelosamente per me! Sarò la
tua migliore amica!”
A Nicole scappò di nuovo
da ridere di fronte a tutta quella
sfrontata esuberanza. Doveva ammetterlo, Liesel era un tipo tenace.
“Ne riparleremo con
più calma,” le disse, divertita. “Siamo
appena tornate da…” Non era il momento giusto di
rivelarle che aveva appena
passato una lunga ed intensa settimana con il suo gruppo preferito.
“Una
piccola vacanza. Siamo un po’ stanche.”
Liesel gettò uno sguardo
rapido ad Emily, che si dondolava
allegramente sulle altalene con gli altri bambini.
“Certo, capisco. Lascia che
ti aiuti a portare su questa
roba, allora.” Disse, indicando i bagagli, che giacevano
ancora davanti
all’ascensore.
“Non mi mollerai fino a che
non avrai ottenuto quello che
vuoi, vero?” fece Nicole, incrociando le braccia. Liesel le
rivolse un sorriso
beffardo che le ricordò molto quelli di Bill.
“Esatto.”
A Nicole non restò altro
da fare se non arrendersi.
Chissà,
potremmo anche
andare d’accordo…
***
Ed effettivamente, Nicole aveva
scoperto che Liesel sapeva
anche essere un’ottima compagnia, quando non faceva di tutto
per impicciarsi
dei fatti altrui.
In quelle due settimane avevano avuto
modo di conoscersi
meglio, anche grazie alla mancanza di scrupoli da parte di Liesel, che
si era
presentata un paio di volte alla porta di Nicole a chiedere dello
zucchero in
prestito, finendo poi col venire invitata a prendere un the e farsi
mostrare la
casa, senza però trovare altro che prove non compromettenti,
come l’innocua
cartolina autografata appesa nella stanza di Nicole e le due bacchette
da
batteria che Emily teneva sul comodino, che erano passate quasi
inosservate. Le
era rincresciuto dover nascondere la fotografia di gruppo –
lei, Emily, i Tokio
Hotel e tutta la crew – in un cassetto, ma doveva andarci
cauta: Liesel le era
simpatica, ma non aveva ancora deciso se e quanto potersi fidare di lei.
Da quando era tornata, Nicole era
riuscita a sentire Georg
quasi tutti i giorni, anche se si erano parlati direttamente solo tre
volte,
comunicando per lo più tramite messaggi. Gli impegni dei
ragazzi erano alle
stelle, erano ormai entrati nel vivo del tour ed era quindi ovvio che
di tempo
libero ce ne fosse sempre meno, e questo un po’ le
dispiaceva, ma era
preparata, aveva saputo fin dall’inizio – se non da
prima – che ci sarebbero
stati dei sacrifici da fare.
Il lato positivo di avere per amici
un folle gruppo rock la
cui fama era giunta pressoché ovunque, comunque, era che si
poteva restare
aggiornati su di loro semplicemente accendendo la tv o sfogliando un
giornale.
C’erano però
cose che i media venivano a sapere in relativo
ritardo, e non appena si diffuse la notizia della cancellazione di un
paio di
date del 1000 Hotels Tour 2008, Nicole fu tra le prime persone a venire
a
sapere dei problemi di salute di Bill e ad essere informata
dell’operazione che
avrebbe dovuto subire alle corde vocali per via di una cisti che gli
impediva
di cantare.
Aveva telefonato a Georg quasi ogni
giorno, parlato sia con
lui che con gli altri, che tentavano invano di rassicurarla, e Bill
stesso, il
giorno prima dell’operazione, le aveva detto di smettere di
fare l’ansiosa e
non preoccuparsi, che bastava sua madre a ad andare in paranoia, e che
andava
tutto bene, ma lei era così di natura, e non ci poteva fare
niente se era così
agitata.
Il trentun marzo, Nicole
rifletté a lungo prima di chiamare.
C’erano due motivi per cui lo voleva fare, ma attese fino al
primo pomeriggio,
quando l’operazione fosse finita.
Sedeva nella propria stanza da sola,
Liesel aveva portato
Emily a giocare in cortile, lasciandole così tutto il tempo
e la privacy che le
servivano per quella telefonata. Selezionò il numero con il
cuore che le
batteva a mille, con il terrore di ciò che avrebbe potuto
scoprire. Sapeva che
era un’operazione facile e veloce, ma era preoccupata lo
stesso.
Il suono dava libero, segno che Georg
aveva il cellulare
acceso e non si trovava quindi in ospedale. Bastarono pochi squilli per
ottenere una risposta:
“Pronto?”
Stanca, flebile, eppure
così inconfondibilmente
felice: la voce di Georg le causò istantaneamente
un’aritmia cardiaca. Non si
era ancora abituata del tutto al fatto di poter conversare al telefono
con
Georg Listing come se nulla fosse, ma, del resto, quella non era
nemmeno la
cosa più difficile da credere.
È
andato tutto bene,
pensò, sollevata dal suo tono. Bill
sta
bene.
“Georg,” Il solo
sentirlo la fece sentire infinitamente
triste e malinconica. Lui le mancava, non era mai stato un mistero in
quelle
settimane, ma ogni volta che sentiva la sua voce, quella nostalgia si
concretizzava un po’ di più. “Ciao, sono
io.”
Temeva di aver parlato
così piano che forse lui nemmeno
l’aveva sentita, ma, anche se gli ci volle un attimo di
assesto, Georg rispose.
“Certo che sei
tu,” disse in tono caldo ed affettuoso. “Come
stai?”
“Io bene.”
Mormorò lei, sperando che il motivo della sua
telefonata non lo offendesse in qualche modo.
“Chiami per Bill,
vero?” replicò lui, ma Nicole colse un
sorriso nel modo in cui lo disse. Un sorriso che da troppo tempo non
vedeva di
persona.
“Sì,”
ammise. “Come sta?”
“A parte il fatto che
appena si sveglierà sarà incazzato
come una iena e frustrato come un Tom in astinenza, vuoi
dire?” Nicole non
seppe risparmiarsi una risata. “Bene, direi.
L’intervento è andato alla
perfezione, è finito più o meno un’ora
fa. Gustav e io siamo usciti giusto
adesso, Tom è rimasto.”
Nicole sentì la voce di
Gustav che la salutava e ricambiò
tramite Georg.
“E voi?” chiese
poi.
Lui emise una risata leggera.
“Noi divinamente,
considerando che Bill non potrà parlare
per dieci giorni.”
Sempre il
solito,
pensò, volgendo lo sguardo al cielo.
Non sapeva per quale motivo, ma
ciò che stava per domandare
la rendeva nervosa, inquieta.
“Senti, e se…
Insomma, cosa ne diresti se io…” Nonostante si
trattasse di qualcosa che, lei lo sapeva, gli avrebbe fatto piacere
sentire,
Nicole non riuscì ad essere disinvolta come avrebbe voluto,
forse per via del
fatto che il pensiero di rivederlo dopo un lungo, interminabile mese le
stava
facendo venire uno strano mal di stomaco. “Se io venissi a
trovarvi?”
E fu fantastico, indescrivibilmente
lusinghiero, avvertire
la scintilla di esaltazione accesasi improvvisamente nella voce
carezzevole
di Georg:
“C’è
bisogno di chiederlo?”
No, non ce n’era alcun
bisogno, ma Nicole trovava bello
sentirselo ricordare.
“Quando posso
venire?” gli chiese, incrociando le gambe
sopra al copriletto verde.
“Quando vuoi!”
rispose Gustav. Si sentì Georg che biascicava
qualcosa e diversi fruscii, inframezzati da un paio di imprecazioni che
fecero
sorridere Nicole.
“Scusa,” riprese
Georg, con la risata di Gustav in sottofondo.
“Dicevamo?”
“Questo week-end sarebbe
troppo presto?” chiese, gettando
un’occhiata al calendario.
“No,
assolutamente,” rispose subito lui. “Porti anche
Emily,
vero?”
“Certo.”
Confermò Nicole, lieta di trovarla più
un’esortazione speranzosa che una semplice domanda.
“Fammi sapere dove e a che
ora arrivate, vi vengo a prendere
io.”
‘No, figurati, non
è necessario!’ era quello che lei avrebbe
voluto avere la forza di rispondere, ma la semplice idea di rivederlo
le aveva
acceso una strana commistione di sentimenti dentro, e ora le sembrava
impossibile essere riuscita a stare lontana da lui e dagli altri
così a lungo,
tanto che non seppe rinunciare alla prospettiva di incontrarlo anche
solo pochi
minuti prima del dovuto.
“Grazie,”
Sussurrò. “Appena prenoto tutto, ti faccio sapere.
Salutami i ragazzi,” Si raccomandò poi.
“Soprattutto Bill.”
“Certo.”
“E dai un bacio a Gustav da
parte mia, visto che è lì.”
“Te lo puoi
scordare!” fece Georg, disgustato. “Gustav,
Nicole ti manda un bacio.” Aggiunse, e da come il suono si
fece remoto, Nicole
intuì che aveva messo una mano sul cellulare, che
però non le impedì di sentire
il ‘Grazie!’ di Gustav. “Gustav
ringrazia.” Le comunicò Georg, a volume
normale.
“Ho sentito.”
ridacchiò Nicole, chiedendosi cos’avrebbe
detto Liesel se avesse assistito a quella telefonata. Probabilmente le
avrebbe
strappato il telefono di mano a si sarebbe messa a strepitare come
un’ossessa.
“A presto,
allora.” La salutò Georg.
“Sì, a
presto.”
Nicole attese che lui chiudesse la
chiamata – era patetico,
ma non riusciva mai a farlo per prima – ma la conversazione
non era finita:
“Nicole?” esordì Georg, dopo una
brevissima pausa.
“Sì?”
Era sul punto di dire qualcosa, ma
poi sembrò cambiare idea:
“A Bill farà
piacere vederti.” Disse pacato, quasi deluso, e
Nicole sapeva esattamente perché.
“Georg?” Le
veniva da ridere, soprattutto immaginandosi il
broncio che lui aveva già prontamente sfoderato.
“Mmh?”
Il sorriso trattenuto di Nicole si
trasformò in un mezzo
sogghigno.
“Credi veramente che me ne
sia dimenticata?”
“Dimenticata di
cosa?” domandò lui, senza riuscire a suonare
indifferente.
E il sogghigno di Nicole
tornò ad essere un sorriso,
percependo un sorriso anche dall’altra parte.
“Buon
compleanno.” Sussurrò, compiaciuta di quella
sorpresa
che evidentemente lui non si era aspettato. Non poteva vederlo, ma le
sembrò
quasi di averlo davanti a sé mentre sorrideva in quel modo
luminoso ed aperto,
gli occhi che luccicavano di soddisfazione.
“Grazie,”
replicò lui, con Gustav che gli diceva ‘Te
l’avevo
detto’. “A presto.”
“A presto.” Gli
fece eco Nicole, e chiuse la chiamata, per
la prima volta per prima.
Era a dir poco elettrizzata, e un
po’ se ne vergognava, ma
non poteva farci niente: non vedeva l’ora di rivederli tutti
quanti.
***
La stazione ferroviaria di Magdeburgo
era una piccola opera
d’arte, decorata con lucide piastrelle marroni, bianche e
verdi, che creavano
un bellissimo incontro cromatico con l’intonaco delle pareti.
Aveva un nonsoche
di magico, e non era affollata come Nicole aveva immaginato,
perciò cominciava
a capire perché Georg si fosse sentito abbastanza fiducioso
da venire lui
stesso a prendere lei e Emily.
Appena messo piede giù dal
treno, Nicole si mise il grosso
borsone su una spalla (si sarebbero fermate un paio di giorni, ospiti a
casa
Schäfer sotto insistente invito di Gustav stesso,
l’unico che avesse una stanza
per gli ospiti adatta ad accogliere due persone), prese Emily per mano
e
cominciò a cercare tra le poche decine di persone che
c’erano in giro un volto
noto.
“Mamma, ma adesso andiamo
da Bill che sta male?” la
interrogò Emily, seguendola lungo la banchina, verso il
centro della stazione.
“Bill non sta male,
tesoro,” la tranquillizzò Nicole. “Solo
che non può parlare, quindi comportati bene e non ti
preoccupare se non ti dice
nulla, dovrà stare zitto per qualche giorno.”
Emily fece una faccia inorridita.
“Poverino!”
Nicole si fermò nel bel
mezzo del passaggio, paralizzata,
Eccolo!
Georg se ne stava appoggiato al muro
pochi metri avanti a
loro, le mani in tasca, coperto da un giubbotto di pelle e un berretto
nero.
Nicole avrebbe preferito che avesse portato anche un paio di occhiali
da sole,
perché incrociare nuovamente i suoi occhi così
inaspettatamente era più emozionante
del previsto, e di molto.
Era ancora più bello di
quanto lei ricordasse, o, più
probabilmente, le appariva così semplicemente
perché aveva sentito quasi disperatamente
la sua mancanza. Aveva l’espressione raggiante di un bambino
davanti al regalo
dei suoi sogni, e la guardava sventolando appena la mano con quel
sorriso
sincero e felice che mise a dura prova la stabilità delle
sue gambe. Nicole si
perse per un attimo nell’incantevole sensazione di essere
stata ansiosamente
attesa.
“Georg!”
urlò Emily, e Nicole fu costretta a tapparle la
bocca, guardandosi intorno ansiosamente, mentre Georg si avvicinava,
ridendosela sotto i baffi.
A Nicole balzò il cuore in
gola.
Si chiedeva quanto tempo sarebbe
ancora dovuto passare prima
che si abituasse all’idea di far parte del suo mondo, al
fatto che lui
appartenesse a lei tanto quanto lei apparteneva a lui. Ogni tanto era
strano
svegliarsi la mattina e trovare un SMS di Georg che le augurava il
buongiorno,
e poi pensare ‘Sono innamorata di lui’. Certo, era
qualcosa che molte ragazze
sparse per il mondo pensavano, ma per Nicole la cosa più
bella, la cosa più
folle e stupefacente, era ricordarsi che anche lui era innamorato di
lei.
Alla fine fu costretta a lasciare
andare Emily, che le stava
praticamente scalpitando tra le braccia, e rimase a guardarla correre
veloce
verso Georg e saltargli in braccio con uno slancio impressionante.
“Accidenti, ti hanno
addestrata alla demolizione, in questo
mese?” scherzò lui, sorridendo a Nicole che li
raggiungeva.
Nessuno sembrava fare caso a loro:
tutti passavano senza
nemmeno guardarli, andavano e venivano indifferenti, lasciando loro tre
indisturbati.
“Ciao.” Georg la
accolse raggiante.
“Ciao.”
ricambiò lei, che avrebbe voluto poter fare come
Emily, ma si obbligò a trattenersi.
“Mamma, dovete
baciarvi!”
Nicole sentì un intenso
calore salirle al viso. Georg invece
rise, causandole un piccolo attacco di palpitazioni. Non si era ancora
completamente
assuefatta all’effetto che lui aveva su di lei, e con ogni
probabilità non
sarebbe mai successo.
“Scusami,” disse
Georg, sporgendosi verso di lei, Emily
ancora stretta in braccio. “Ma non voglio deludere le genuine
aspettative di
nessuno.” E le sfiorò le labbra con le proprie, facendola rabbrividire suo
malgrado.
Emily applaudì
soddisfatta, suscitando l’ilarità di
entrambi.
“Allora, fatto buon
viaggio?” Georg si fece dare il borsone
e se ne fece carico, lasciando Emily a terra.
“Liscio e
tranquillo,” rispose Nicole, mentre si
incamminavano, diretti all’uscita. “E tu? Come te
la passi con tutto questo
pesantissimo nulla da fare?”
In mezzo a loro due, Emily
allungò le proprie braccia per
stringere le mani ad entrambi, sollevando lo sguardo soddisfatto verso
di loro.
Nicole fu lievemente commossa nel notare che Georg sembrava
perfettamente a
proprio agio con la situazione, e il modo in cui le strizzò
l’occhio le mandò
completamente in tilt il cervello per una manciata di secondi.
“Ho le mie
occupazioni,” le rispose infine. “Vado spesso da
Bill assieme a Gustav, tanto per sollevare Tom dal gravame di sorbirselo
da solo,
anche se per la maggior parte del tempo me ne sono stato sul divano a
guardare
la tv.”
“E scommetto che sei
viziato come un pascià.” Lo stuzzicò
Nicole.
Erano arrivati alla strada, in una
specie di vasta piazza
luminosa e pulita, scarsamente trafficata, anche se lunghe file di auto
occupavano i bordi dei marciapiedi fino a perdita d’occhio.
“Dovrei chiamare Brenda e
dirle che siamo arrivate vive e
vegete.” Nicole si fermò e, con la mano libera,
sfilò il cellulare dalla borsa
– quello regalatole da Georg solo poche settimane prima
– ma questo non diede
segni di vita. Nel fervore della partenza, aveva completamente scordato di caricarlo.
“Batteria zero.”
Sospirò.
“Tieni,” Georg le
porse prontamente il proprio Samsung. “Usa
il mio.”
“Grazie.”
“Nessun problema.”
“Salutami la
zia!” esclamò Emily, strattonandole il braccio.
“Anche a me,” si
aggregò Georg. “Nipote compreso.”
Nicole si sentì arrossire:
le piaceva sentirlo riferirsi al
bambino di Brenda come ‘nipote’, era un termine
che a suo parere implicava
tante cose.
La chiamata fu breve, dato che Brenda
a quell’ora era al
lavoro, ma bastò a mettere Nicole in imbarazzo. Si augurava
solo che Georg non
la avesse sentita definirlo ‘Uomosesso’, come aveva
preso a chiamarlo, perché
altrimenti si sarebbe dovuta seppellire seduta stante sotto ad un bello
strato
di asfalto.
Gli restituì il cellulare,
soffermandosi a guardarlo un
istante più a lungo del necessario.
“Hey, va tutto
bene?” indagò lui, premuroso.
“Sì,”
gli assicurò Nicole in tono leggero. “È
solo che stiamo
camminando per strada mano nella mano con un idolo di livelli mondiali,
anche
se a lui la cosa può sembrare irrilevante.”
“Credimi,”
ribatté lui, sorridendo ora a lei, ora ad Emily.
“Per
lui la cosa ha un immenso rilievo.” Si fermò
davanti ad un’auto nera, lussuosa
ma discreta. Posò il borsone a terra ed estrasse un paio di
chiavi dalla tasca
interna della giacca. “Voilà, ecco a voi il mio
trabiccolo.”
“Wow,
com’è bella!” apprezzò Emily,
sfiorando la carrozzeria
linda ed immacolata.
“Un’Audi?”
Nicole non avrebbe chiamato ‘trabiccolo’
un’auto
come quella nemmeno per scherzo, soprattutto essendo abituata a guidare la vecchia Passat di Brenda.
“Sì,”
Georg batté sul cofano con modestia, ma si vedeva
lontano anni luce che era orgoglioso della sua bella macchina.
“Non potevo
venire con la Mercedes, è troppo vistosa qui. Per i viaggi
semplici come andare
a fare la spesa o venire a prendere le mie ragazze alla stazione
preferisco non
dare troppo nell’occhio.”
“Le mie ragazze.”
Aveva un suono straordinariamente piacevole.
“Comincio a capire
perché un paio di Manolo Blahnik ti
sembravano un regalo di poco conto.”
“Non sono uno spendaccione
come Bill e Tom,” si difese lui. “Ma nemmeno tirchio come
Gustav. La
Mercedes è stato l’unico vizio che mi sono
concesso, per il resto sono un ragazzo
sobrio e di poche pretese.”
“Che va a fare la spesa in
Audi.” Puntualizzò lei, ricevendo
un adorabile sorriso ruffiano in risposta.
“Be’, almeno lo
faccio, no?”
“Certo, scusami,”
si corresse Nicole, fingendo serietà assoluta.
“Non volevo sminuire i tuoi piccoli gesti
quotidiani.”
Georg aprì
l’auto, sistemò il borsone sul sedile posteriore
ed invitò Emily a prendere posto.
“Prego, milady, si
accomodi.” Le disse, e la aiutò a salire
ed allacciarsi la cintura. Aveva addirittura portato un cuscino su cui
farla
sedere, per farla stare più comoda.
Nicole era sicura che fosse stato sul
punto di dire
‘signorina’, ma si era fermato appena in tempo,
ripiegando abilmente su
‘milady’.
“Grazie!”
miagolò Emily, completamente a proprio agio. Georg
chiuse la portiera ed andò ad aprire quella del passeggero
di fronte per
Nicole.
“Salta su,
bambola,” la esortò, giocando a fare lo spaccone.
“Casa Kaulitz ci aspetta.”
“Tu passi troppo tempo con
Tom.” Lo prese in giro lei, ma si
accomodò senza aggiungere altro, messa a tacere dalla
frecciata di fuoco che
Georg le indirizzò con esplicita malizia.
“Andiamo da Bill, Tom e
Gustav adesso?” domandò Emily, non
appena Georg ebbe preso posto al volante.
“Esattamente,” le
rispose lui, guardandola dallo specchietto
retrovisore. “Non vedono l’ora di rivederti, lo
sai?”
Nicole sorrise a se stessa.
Sapeva che non sarebbe sempre potuto
essere così – così
facile e sereno, così perfetto
– però
al momento, con Georg accanto che avviava il motore, Emily sul sedile
posteriore che chiedeva che fosse messa un po’ di musica, non
poté non pensare
che, al di là delle attese e della nostalgia, ne valeva
assolutamente la pena.
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Note:
se
volete sapere come la penso, questo capitolo non è il
massimo. Non ne sono
soddisfatta, l’ho letto e riletto mille volte, ritoccato fino
allo sfinimento,
ma alla fine mi sono arresa. Ho anche pensato di eliminarlo del tutto,
ma ci
sono scene a cui tenevo, e alla fine mi sono detta “Va bene,
è un capitolo di
transizione, postiamolo, e vada come deve andare”. Mi scuso
in anticipo se non
è all’altezza degli altri, ma vi prometto che gli
ultimi due (eh già) saranno
nettamente migliori.
Intanto grazie a tutti, come sempre,
per aver letto e
commentato, mi auguro che sarete clementi, per questo capitolo, anche
se non è
dei migliori. Se riterrete che valga la pena di recensire vi
sarò infinitamente
grata.
Vi rimando al prossimo capitolo, ora,
l’ultimo prima
dell’epilogo finale. Alla prossima!
|
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Capitolo 24 *** Your Song ***
Da che mondo e mondo, le riunioni
erano formalità a cui
nessun membro dei Tokio Hotel partecipava con piacere, soprattutto
perché, su
un piano pratico, il loro ruolo in genere si limitava ad assumere pose
scomposte ed annoiate e fare finta di annuire di tanto in tanto, come
se
fossero stati d’accordo con qualunque cosa si dicesse.
Il fatto era che ritrovarsi chiuso in
una stanza afosa dopo
un mese di vacanze forzate – benché gradite
– era per Bill una presa in giro:
aveva aspettato a lungo prima di poter tornare allo studio di
registrazione,
accumulando una lunga serie di date cancellate e migliaia di fans
delusi, ed
ora che finalmente ci rimetteva piede, lo costringevano a sopportare
quella
sottospecie di miniconferenza sul recupero del tempo perduto.
Lui, Tom, Gustav e Georg sedevano
pazientemente ad un lato
del tavolo di lucido legno, una sfilza di finestre alte e strette alla
spalle,
assieme all’onnipresente Saki, Dunja e Benjamin (quest'ultimo appena reduce da un importante viaggio negli States proprio per loro), che sedevano
al lato opposto, mentre
David camminava avanti e indietro per la stanza, a capotavola,
illustrando la
scaletta di impegni che li aspettavano nei mesi a venire. Bill dubitava
che con
sole ventiquattro ore giornaliere sarebbero riusciti a stare dietro a
quel
fitto programma. Avevano molto da recuperare, era vero, ma i miracoli
non li
sapeva fare nemmeno lui.
“Inoltre,” stava
dicendo David, riprendendo fiato dopo una
lunghissima tiritera sugli Stati Uniti.
“C’è un dettaglio di cui ancora non vi
abbiamo parlato, che accompagnerà il vostro atteso ritorno
sulla scena.”
Erano parole piuttosto sibilline per
Bill, ma nemmeno gli
altri parevano aver capito cosa intendesse. Chi invece sembrava sapere
esattamente di cosa si stesse parlando erano Benjamin e Dunja, che
annuivano
con veemenza.
Faceva caldo, e nessuno aveva
veramente voglia di starsene
chiuso là dentro a parlare di lavoro, ma avevano firmato un
contratto, si erano
presi l’impegno di darsi da fare per mantenere il loro
successo, e ora dovevano
rimboccarsi le maniche e mettere tutte le pezze possibili a
ciò che restava
dell’ancora incompiuto 1000 Hotels Tour.
“In poche parole,
ragazzi,” proseguì David. “Quelli della
Universal vogliono un pezzo nuovo, da lanciare alla data conclusiva del
tour, e
vogliono avere in mano il demo per giugno.”
La notizia non ebbe effetto
immediato. Erano tutti vagamente
intontiti dalla noia e dalla temperatura fiaccante, ma alla fine, uno
dopo
l’altro, cominciarono tutti ad assumere espressioni sconvolte.
“Cosa?”
esclamarono in un coro a quattro, esterrefatti. Bill non
poteva credere alle proprie orecchie.
Doveva essere uno scherzo.
Non poteva che essere uno scherzo, e
anche di pessimo gusto,
perché chiedere ad una band il cui cantante era appena
uscito da un mese di
riabilitazione delle corde vocali di preparare un nuovo brano in poco
più di
due mesi non solo andava contro ogni etica professionale del cantante
stesso,
ma era anche materialmente molto arduo da attuare.
La prossima mossa quale sarebbe
stata? Incatenarli ad un
palco itinerante e farli esibire per un mese filato?
“È una mossa
mediatica che trovo molto intelligente, anche
se un po’ impegnativa, per quel che vi concerne.”
Soggiunse Dunja, in un tono
deciso, ma vagamente compassionevole.
‘Un
po’ impegnativa’?
Bill avrebbe volentieri riso, se solo ne avesse avuto la forza e lo
spirito. ‘Un
po’ impegnativo’ era smisuratamente riduttivo.
“Dovete solo scrivere un
nuovo brano entro il mese prossimo,”
aggiunse David per sdrammatizzare, appoggiandosi con le mani allo
schienale di
una delle sedie e scrutandoli uno ad uno. “Niente restrizioni
o criteri
particolari, quello che volete, purché facciate
qualcosa.”
“Stiamo
scherzando?” sbraitò Tom indignato, con un salto
che
fece sussultare tutti i presenti. “Hanno aspettato che Bill
finisse in ospedale
con una cisti in gola per decidersi a lasciarci una pausa, e ora che
lui è di
nuovo in forma, anziché concederci ritmi più
umani, ci vogliono spremere come
limoni?”
“E comunque io non scrivo
su commissione,” protestò Bill.
“Scrivo quando sento di avere qualcosa da dire.”
“Già,”
concordò Gustav. “E poi, in così poco
tempo, anche se
ci mettessimo sotto di brutto, gli unici brani che avremmo da offrire
sarebbero
quelli delle nostre carni sfinite.”
Calò un silenzio
improvviso, talmente pesante che si poté
sentire il cellulare di Benjamin vibrargli nella giacca.
L’atmosfera era tesa,
ciascuno di loro si stava chiedendo come potessero, nei loro umani
limiti,
trovare il tempo di scrivere un brano, se la loro agenda registrava il
pienone
per mesi interi.
“Bene,” disse
David, sospettosamente calmo, dando tregua
alla momentanea stasi. Si tirò su ed inspirò
lentamente. “Allora andate voi ad
informare quella simpatica gente di questo calcio in culo che volete
inferire
alla vostra carriera?”
Era un colpo basso. Un meschino,
sleale ricatto. Non era che
loro non volessero farlo, il
problema
stava tutto nella fattibilità della cosa in sé:
serviva una buona idea,
innanzitutto, e Bill al momento aveva solo appunti vari ed eventuali
con ben
poco potenziale, senza contare che attorno al testo, che comunque non
avevano,
sarebbe stato necessario costruire anche la melodia, e non una a caso,
ma
quella giusta.
Bill odiava vedersi porre delle
condizioni riguardo quel
genere di cose: scrivere una canzone appositamente per usarla come
espediente
pubblicitario toglieva significato ad anni ed anni di vita del gruppo.
“Ragazzi,”
intervenne Georg ad un tratto, esitante. “Io un
pezzo ce l’avrei.”
Sette sguardi increduli piovvero su
di lui.
Georg ha un
pezzo?
David lo guardò con
particolare stupore, misto però ad una
speranza nettamente visibile. Dal canto suo, Bill era curioso di
saperne di
più.
“Sul serio?”
Incrociò gli sguardi
stupefatti di Gustav e Tom, e fu
lieto di scoprire di non essere l’unico a sentirsi tagliato fuori da quel
piccolo pezzo di
vita dell’amico. Ma, a ragion veduta, che male
c’era se Georg aveva scritto
delle canzoni senza parlarne a loro? Bill stesso aveva un mucchio di
idee
appena abbozzate che teneva per sé fino a che non
germogliavano in qualcosa di
concreto, era normale. Qualcosa però – sebbene non
sapesse dire cosa,
esattamente – gli diceva che si trattava di una questione
piuttosto personale,
e l’atteggiamento riluttante di Georg non fu che una conferma
di quella
supposizione.
Bill si era tenuto lontano da lui per
un po’, dopo la
partenza di Nicole, ma da quando lei era venuta a trovarlo dopo
l’intervento,
era come se fosse rinato in un nuovo spirito più positivo:
era stato così
contento di rivederla – e di rivedere Emily – che
si era reso conto che non gli
importava se lei stava assieme a Georg; l’importante era che
ci fosse.
“Sì,”
Georg non sembrava molto convinto di quel che stava
facendo. Teneva gli occhi bassi e tormentava con le dita il
sottobicchiere di
carta, chiaramente a disagio. “L’arrangiamento
è da perfezionare ed adattare,
ma è a buon punto.”
Per David sembrò una
notizia migliore della pace nel mondo.
“Sia ringraziato il
cielo!” sbuffò, raccogliendo un
fascicoletto di fogli dal tavolo. “Di cosa si
tratta?”
Georg congiunse le mani sopra il
tavolo, sollevando appena
le spalle.
“Non è
esattamente nel nostro solito stile…”
“Non importa,”
disse David sbrigativo. “Se è un buon pezzo,
può anche darsi che susciterà un interesse
superiore del previsto,” Si sentiva
da come parlava che trovava quella scoperta inattesa molto
interessante. “È una
ballata, per caso?”
Georg si passò una lingua
sulle labbra, cercando appoggio negli
occhi di Bill, Gustav e Tom, i quali, però, non poterono far
altro che inarcare
le sopracciglia ed invitarlo a spiegare.
Bill lo vide sospirare e annuire.
“In un certo
senso…”
***
Nessuno avrebbe scommesso mezzo
centesimo sull’esito positivo
da parte della Universal, ma, un pomeriggio di metà giugno,
mentre i Tokio
Hotel si trovavano in trasferta in Portogallo, a David
arrivò la telefonata
entusiasta di Dunja, che comunicava che la nuova canzone era stata
approvata a
pieni voti e che la Universal stava addirittura considerando
l’opzione di farla
uscire come prossimo singolo, se il responso del pubblico si fosse
rivelato
positivo, come si prevedeva.
Gustav trovava che tutto questo
avesse del miracoloso, e non
perché il brano non fosse ben riuscito, ma perché
lo avevano riarrangiato e
registrato talmente in fretta – in una sola settimana
– da essere rimasti loro
stessi stupiti dalla qualità che avevano ottenuto.
Gran parte del merito, andava detto,
era da attribuire a
Georg, che aveva concesso loro di usare il suo pezzo per fini
commerciali,
consentendo così al mondo intero di conoscere, seppur
indichiaratamente, una parte
della sua vita di cui pochi eletti erano a conoscenza.
“Quindi la suoneremo alla
data conclusiva di Berlino?”
chiese conferma Bill quando, la sera stessa, si riunirono con tutta la
troupe a
festeggiare l’ottima riuscita della loro performance al
festival e
l’approvazione della nuova canzone.
Seduto davanti a lui, David
posò il boccale di birra sul
tavolo ed assentì.
“L’idea di farci
un singolo è molto allettante,” disse poi.
“Vediamo come va, poi ne riparleremo.”
Tom allungò un braccio per
circondare le spalle di Georg e
scontrò il proprio boccale con il suo.
“Benvenuto nel mondo degli
scrittori di canzoni!” esclamò. Era
già un po’ brillo, dopo nemmeno mezza pinta di
birra.
“Bene, mi
toccherà buttare giù qualcosa, o mi
sentirò
emarginato.” Sospirò Gustav, fingendosi cupo. Al
suo fianco, Bill gli diede
qualche piccola pacca compassionevole.
“Hey,”
esclamò poi, all’improvviso. “Dovremmo
invitare un
paio di ospiti speciali per quella sera, non credete?”
Non c’era bisogno di
domandare spiegazioni: tutti quanti
sapevano bene chi intendesse.
“Sarebbe bello riuscire a
fare in modo che sia una sorpresa,”
Osservò Gustav. “O per lo meno fingere che non sia
un invito nostro diretto.”
“E come
facciamo?” obiettò Tom, scettico. “Le
mandiamo due
biglietti e una lettera che dice ‘Congratulazioni, sei stata
estratta tra
milioni di persone in tutto il paese per partecipare
all’esclusiva data di chiusura
del 1000 Hotels Tour dei Tokio Hotel’?”
“Io avrei un’idea
molto più semplice.” Disse Georg sornione,
tirando fuori il proprio cellulare.
Gustav si domandò se
l’idea e il cellulare fossero connessi.
Guardò l’amico smanettare un po’ sui
tasti e poi portarsi il telefonino
all’orecchio.
“Chi chiami?”
indagò Tom, interessato.
“La sorella di
Nicole.”
“Come fai ad avere il suo
numero?” volle sapere Bill,
sporgendosi in avanti.
Georg guardò il proprio
telefono e selezionò il numero una
seconda volta, mettendosi una mano sull’orecchio libero.
“Nicole l’ha
chiamata dal mio cellulare quando è venuta a
trovare Bill.”
Tom scattò verso di lui e
tentò di strapparglielo di mano.
“Dai qua, ci voglio parlare
io!”
Una risata diffusa animò
quel capo del tavolo: tutti ricordavano
bene quanto Brenda fosse risultata simpatica
a Tom fin dal primo momento.
“Scordatelo.”
Berciò Georg, voltandosi dall’altra parte.
“Allora metti il
vivavoce.” Gli intimò Tom, tirandolo per la
maglia, senza dargli tregua. Georg resistette qualche secondo,
poi si arrese.
“Va bene, va bene, ma
mollami, per pietà!”
Ebbe giusto il tempo di accontentare
Tom, che il segnale di
linea libera si interruppe.
“Sì?”
rispose una calda voce femminile. Georg ignorò la
pagliacciata esibizionista di Tom, lasciando a Gustav e Bill il piacere
di
zittirlo a suon di colpi di tovagliolo.
“Pronto? Parlo con Brenda
Sandberg?”
“Sì,”
rispose la voce di Brenda, in assoluto distacco. “Chi
parla?”
Georg increspò le labbra
in un sorriso ambiguo. Gustav
sogghignò nel vederlo pregustare la scena.
“Sono Georg, Georg Listing.”
Seguì una brevissima
pausa, poi un’esclamazione di stupore.
“Oh mio dio!”
“Tesoro, chi
è?” chiese una voce lontana, maschile e
profonda, all’altro capo della linea.
“L’Uomosesso di
mia sorella!” urlò Brenda con disinvoltura,
causando a Tom un repentino crollo di entusiasmo e agli altri un
accesso di
risate conseguenti, che contribuirono solo ad avvilirlo ancora di
più.
“Chi?” fece di
nuovo la voce maschile.
“Il bassista dei Tokio
Hotel, Gabe, il ragazzo di Nicky!”
“Oh, certo.”
Gustav soffocò a stento
una risata. A primo acchito, Brenda
poteva apparire come una sensuale donna in carriera, ma sotto sotto era
un’adolescente scalmanata e senza peli sulla lingua,
così diversa da Nicole.
“Senti,” le disse
Georg, una volta sedatasi la confusione.
“Ho chiamato perché io e i ragazzi avremmo bisogno
del tuo aiuto.”
***
Non esistevano parole in grado di
descrivere ciò che Nicole
stava provando in quel momento. Era come fare un salto indietro di
cinque mesi
e tornare al fatidico concerto di Parigi, a quella serata magica che
aveva
segnato il punto di svolta verso un capitolo della sua vita che non si
sarebbe
mai aspettata di aprire.
Cinque
mesi… Possibile
che sia passato davvero tanto tempo?
Sedeva sulle tribune, con Emily,
Brenda e Gabriel accanto, e
le sembrava incredibile essere lì con loro, con la sua
famiglia, e condividere
con loro un’emozione sicuramente non nuova, ma
senz’altro vissuta in modo
diverso, rispetto alla prima volta.
Era stata felicissima quando Brenda
le aveva detto di aver
trovato quattro biglietti per quella data così ambita, e non
aveva nemmeno
tentato di fingere di essere dubbiosa. Si era ritrovata a dire di
sì ancora
prima che le venisse esplicitamente chiesto se le andasse di andarci.
Sorrise a Brenda da sopra la
testolina bionda di Emily, e
Brenda ricambiò estasiata. La sua pancia era cresciuta a
dismisura nelle ultime
settimane, ben evidenziata dall’abito bianco e leggero, e
c’era stata diversa
gente che l’aveva guardata in modo strano mentre si faceva
largo tra la folla
per raggiungere il proprio posto, e anche quando si era messa a urlare
come le
ragazzine che la circondavano appena la band aveva fatto il suo
ingresso
spettacolare sul palco.
Sicuramente non era cosa da tutti i
giorni vedere una
trentenne incinta di sei mesi ad un concerto rock, soprattutto una
così vivace,
ma nonostante i ripetuti sforzi di Gabriel di farla calmare un
po’, Brenda,
come sempre, aveva fatto di testa sua tutto il tempo, ed ora si godeva,
stanca
ma felice, le note dolci di An Deiner Seite.
Gli urli e gli strepiti che per tutta
la durata del concerto
avevano riempito l’arena si erano placati ed erano stati
sostituiti dalle luci
soffuse di accendini e cellulari, mentre Bill cominciava a cantare.
Nicole si sentiva orgogliosa di lui,
di Gustav, di Tom e di
Georg, perché avevano appena regalato a migliaia di fans una
performance
magnifica, debellando definitivamente ogni residuo di malalingua che
osava
insistere ancora sulla presunta perdita di abilità vocali da
parte del frontman
dei pluripremiati Tokio Hotel, pronosticandone la tragica fine.
E invece no.
Quella sera i ragazzi avevano appena
dimostrato al mondo che
la stella dei Tokio Hotel era appena all’alba del suo
splendore, e c’erano
quindicimila persone pronte a testimoniarlo, a raccontare della grinta e dell’energia, dell'affetto e della magia di quell’atmosfera così vicina al surreale.
Mentre An Deiner Seite andava
spegnendosi, Emily si unì al
giubilante coro di lodi che esplose dal pubblico, accompagnato da un
applauso
scrosciante che a Nicole fece venire e brividi.
Da un lato non vedeva l’ora
che il concerto finisse
definitivamente per poter correre nel backstage e fare una sorpresa a
tutti
quanti, dall’altro, invece, avrebbe tanto voluto poter
restare in eterno ad
ascoltarli suonare e vederli così soddisfatti e commossi.
An Deiner Seite era
l’ultimo bis, la scaletta era conclusa.
Tutti si aspettavano di vedere i ragazzi che si allineavano per un
ultimo
inchino e ringraziamento, ma ciascuno rimase al proprio posto. Soltanto
Bill si
mosse, facendosi avanti attraverso il palco, seguito dal cono di luce
che
incombeva su di lui, microfono alla bocca.
L’intera arena
ammutolì in pochi secondi, spiazzata da
quest’evento imprevisto, e un’unica domanda
viaggiava di bocca in bocca, in
attesa di risposta.
Che sta
succedendo?
Bill si fermò a brodo del
palco, aspettando pazientemente
che il chiacchiericcio incuriosito si spegnesse e che ogni singolo
sguardo
fosse puntato su di lui.
“Berlino,”
esclamò un attimo più tardi, lievemente ansante. “Questa bellissima
serata è giunta al termine, e noi non potremmo essere
più entusiasti di un
concerto così ben riuscito!” Un boato di grida di
apprezzamento lo fece
interrompere brevemente. “Ora, come gran finale, vorremmo
proporvi una canzone
nuova, che suoniamo per la prima volta ufficialmente su questo palco,
con voi,”
Bastò quella sola frase per ottenere un silenzio quasi
tombale, cosa alquanto
bizzarra ad un concerto, specialmente uno dei loro. “Questa canzone è stata
scritta da uno di noi, ed è
per una persona molto speciale che ora si trova qui, da qualche parte
in mezzo
a voi, una nostra giovane amica che per noi significa davvero
molto.”
Tutti presero a guardarsi intorno, a
scrutare
sospettosamente i propri vicini, come aspettandosi di riuscire ad
individuare
magicamente la misteriosa persona di cui aveva parlato Bill.
Nicole era come paralizzata. Non era
abbastanza presuntuosa da
pensare che stesse parlando di lei, ma quel ‘giovane
amica’ aveva solleticato
il suo interesse. Non avrebbe mai detto così, se si fosse
trattato di lei;
avevano la stessa età, non aveva senso. E poi i ragazzi non potevano sapere che lei si trovava lì.
“Mamma, fanno una canzone
nuova!” esultò Emily infervorata,
saltando i piedi sul sedile.
A meno
che…
“È la prima
canzone del nostro repertorio ad essere stata
scritta direttamente in inglese,” proseguì Bill,
prendendo fiato tra una frase
e l’altra. “E non per ragioni commerciali, ma
perché sappiamo che colei a cui è
dedicata ha una predilezione per le canzoni in questa
lingua.” E il sorriso che
gli illuminò il viso – così bello e
spontaneo – volò in ogni singolo
millimetro dell’arena, surriscaldando nuovamente gli spiriti
ormai già
rassegnati alla conclusione della serata.
“Berlino,” esclamò Bill, sollevando
un braccio in aria. “Grazie di essere stati qui, stasera, e
di aver reso questo
concerto davvero indimenticabile!” Si chinò
leggermente in avanti, il sorriso
sempre più ampio, scorrendo con lo sguardo da una parte
all’altra del vastissimo
spazio che lo circondava. “Questa è Lullaby For
Emily!”
Uno scroscio tonante di applausi che scosse
la terra. Un battito
cardiaco saltato. Una piccola mano che la afferrava e cominciava a
tirarle il
braccio.
“Mamma, mamma, hai
sentito?” strillava Emily, estatica,
saltando su e giù accanto a Nicole. “Mi hanno
scritto una ninnananna!”
Nicole fu grata del fatto che nessuno
a parte Brenda e
Gabriel l’avesse sentita, ma questo era solo un vago pensiero
di fondo, come
un’eco lontana che era sovrastata da un’emozione
incombente, che cancellava
ogni altra cosa.
Tom attaccò con la
chitarra, una serie di accordi lenti e
armonici, molto delicati, a cui si unì il suono profondo del
basso, seguito dai
toni soffusi della batteria. L’intro durò quasi un
minuto, un bellissimo minuto
che cullò, proprio come una ninnananna, la grandissima
folla, che ascoltava
rapita ogni singola nota.
E poi, dopo un brevissimo istante in
cui tutto sembrò
finire, la musica ripartì, leggermente più
decisa, vagamente malinconica, e
stavolta c’era la voce di Bill ad accompagnarla.
Hey there, Emily
Don’t fear the dark
Take my hand
Let’s go to dreamland
Where you won’t cry anymore
Where angels will watch after you
Lie down and listen, Emily
This song is for you
Una sensazione strana si diffuse
lentamente in Nicole,
simile all’angoscia per certi versi, ma calda, morbida,
piacevole, e finì con
l’abbracciarla completamente.
Stavano suonando una ninnananna per
Emily, davanti a quindicimila
spettatori.
My lullaby for Emily
I’ve held you through your nightmares
Promised I’d be there
When you’d call for me
My lullaby for Emily
All I have to give
Aveva un groppo alla gola che quasi
le impediva di
respirare. Sentiva la voce di Brenda che le parlava da lontano, ma non era
in
grado di distinguere ciò che le stava dicendo, occupata
com’era a restarsene
pietrificata a fissare il palco, rapita dalla dolcezza delle parole e
dalla
bellezza della melodia, e più ascoltava, più la
sua mente associava
spontaneamente delle sensazioni a quel flusso di musica che la
attraversava come
linfa, avvolgendole le spalle, accarezzandole il viso, gonfiandole il
cuore.
Remember me, Emily
I’m always by your side
I carry you deep inside my heart
Forever more
And trust me when I say
It will all be better one day
Tonight we are here with you
Come and listen, Emily
This song is just for you
C’era Georg in quelle
parole, in quella tristezza quasi
impercettibile, sentiva il suo tocco in certi accordi e in certe
espressioni. Anche
a di là della voce di Bill, quasi le sembrava di poterlo
vedere, lui e la sua
chitarra, chiuso da qualche parte a riversare i propri pensieri in una
canzone.
Lo guardò, appoggiato con
un piede ad un amplificatore, la
testa china, il capelli che gli nascondevano il viso, mentre le sue
dita
scorrevano lente sulle corde del basso, in un modo quasi sensuale, e
solo
allora lo notò.
Uno scintillio improvviso in
corrispondenza della sua spalla
attirò l’attenzione di Nicole e di molti altri.
‘Cos’è?’ si chiedevano diverse
ragazze, allungando il collo e zoommando con le videocamere per vedere
meglio,
ma solo Nicole – e probabilmente anche Emily – era
in grado di rispondere a
quella domanda: Georg aveva una strana decorazione fissata alla cinghia
del
basso, una farfalla tempestata di brillantini che aveva preso a
luccicare
quando si erano spente tutte le altre luci e si erano accesi i quattro
riflettori sopra le teste di ciascuno di loro, un oggetto che lei
conosceva
molto bene, e che fu immensamente felice di rivedere in quella
posizione, in un
momento così speciale.
Per mesi era stata convinta che lui
se ne fosse dimenticato,
che l’avesse persa e non se ne fosse mai preoccupato, ma ora
Nicole sapeva che
non se n’era mai separato.
Through the time and the distance
We’ll be together when you close your eyes
Think of me whenever you feel lonely
And never ever forget, Emily
There’s no goodbye
Nemmeno si accorse delle due lacrime
che le erano sgorgate
dagli occhi, scivolandole ai lati del viso fino a morirle sul collo. Si
ricordò
delle tante cose successe da cinque mesi a quella parte, e anche se
stava
piangendo, sorrise a se stessa per la bellezza di quel regalo inatteso.
Era commossa, infinitamente commossa,
e voleva che loro lo
sapessero.
Non era la sola ad essersi lasciata
prendere dall’emotività:
moltissime ragazze seguivano le labbra di Bill come ipnotizzate, i
volti rigati
da rivoli di lacrime che scioglievano il trucco, ma si respirava aria
di soddisfazione
e gioia.
A lullaby for Emily
I’ve written for the rainy days
A lullaby for Emily
For a smile to light her face
My lullaby for Emily
Is all I have to give
To change what was done
To get her back to me
Lullaby for Emily
E quando l’ultima nota fu
suonata, quando la musica si
spense piano, e con essa la voce di Bill, e il cuore di Nicole le
batteva così
forte da farle male, quando i ragazzi si riunirono al centro del palco,
stanchi
ma palesemente euforici, quando le urla e gli applausi furono
così forti da
diventare una cosa sola, quando quattro sorrisi velati di commozione
– così
simili al suo – urlarono un muto
‘Grazie!’ a tutta quella gente, Nicole seppe
che, anche se per tutti gli altri poteva sembrare una fine, per lei ed
Emily quello
non era che l’inizio.
-------------------------------------------------------------------------------------------
Note:
ultimo capitolo, gente, ormai resta solo l’epilogo, e la cosa
mi rende molto
triste, ma, animo, come qualcuno di voi già sa (ma si
è sparsa la voce? XD) c’è
un seguito che brama di essere scritto, quindi la fine di Lullaby
significherà
l’inizio di una nuova storia, di cui vi preannuncio una cosa
sola, ossia che il
titolo sarà The Truth Beneath The
Rose
(una canzone stupenda dei miei adorati Within Temptation). Per ora mi
limito a
ringraziarvi di nuovo tutti quanti ed invitarvi a lasciare un commento,
anche
piccino, perché le recensioni non fanno mai male, anche perché spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, visto che è tanto importante. ;)
A titolo informativo, la canzone
Lullaby For Emily (si sono spiegate tante cose, vero?) è
stata inventata di sana pianta dalla sottoscritta, quindi niente
credits nè possibilità di andarla a sentire da
qualche parte, mi spiace. ^^ Se qualcuno avesse bisogno della traduzione, me lo faccia presente, la aggiungerò al più presto!
Al prossimo e ultimo capitolo!
P.S. durante lo scorso capitolo la storia ha toccato che 483 recensioni (un numero doppiamente apprezzabile, per una fan dei Tokio Hotel ^^) e quella folle di Lady Vibeke ha avuto la prontezza di spirito di immortalarlo: 483
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Capitolo 25 *** Epilogue ***
A metà aprile Nicole
comunicò a Georg che aveva cominciato a
lavorare in un rifugio per animali abbastanza malmesso, dove
però poteva tenere
con sé Emily, e dopo pochi giorni era arrivata una generosa
donazione anonima,
intestata a lei da parte di ‘B.+T.K., G.K.W.S. e
G.M.H.L.’.
Anche al di là del lavoro,
che le piaceva molto e le
consentiva di stare con sua figlia, la vita di Nicole sembrava aver
preso una
piega del tutto inaspettata, come se l’incrocio tra il suo
cammino e quello dei
Tokio Hotel avesse cambiato qualcosa nel destino. Nonostante la differenza di età, Liesel era diventata
davvero
la sua migliore amica ed era ormai un’ospite abituale a casa
Sandberg: Nicole
le dava ripetizioni di Inglese e Filosofia, e lei in cambio badava ad
Emily di
tanto in tanto. Liesel ora sapeva tutto di Georg e del resto della
storia, dopo
ponderate riflessioni, Nicole le aveva accordato la propria fiducia, ma
non
prima di aver ricevuto il via libera da parte dei ragazzi e di Benjamin
e
David, e per suggellare quel loro patto di segretezza aveva chiesto ai
ragazzi
di mandare per lei un regalo speciale, con il risultato che
un’afosa mattina di
agosto il fattorino aveva suonato alla porta dei Jensen con un
pacchetto per la
ragazza, contenente un poster gigante con dedica personale firmata da
tutti,
più una copia autografata dell’edizione limitata
del singolo di Lullaby For
Emily, andata esaurita da ormai due settimane.
L’intero condominio aveva
sentito le urla euforiche di Liesel e i mille ringraziamenti che aveva
strillato a Nicole. Da ragazzina intelligente quale era, aveva intuito
subito
che tenere quel succoso segreto sarebbe andato interamente a suo
beneficio.
Georg, dal canto suo, faceva davvero
i salti mortali per
mantenere la promessa fattale quella sera a Marsiglia: si vedevano
spesso, uno,
due o tre giorni di fila, a seconda degli impegni dei ragazzi, e, anche
se per
motivi di sicurezza era sempre lei a raggiungerli, loro erano riusciti
a
costringerla a lasciarli pagare le pur contenute spese del viaggio.
Nicole era felice, si sentiva
completa ed appagata come mai
in vita sua, e i mesi passarono quasi senza che se ne accorgesse.
Era una tiepida e soleggiata mattina
di settembre, stava
rientrando dopo essere stata a fare qualche acquisto, e camminava sola
sul
marciapiede con due buste della spesa stracolme, godendosi la musica
dell’iPod
nelle orecchie.
‘I know you're going
away, I take my love into
another day…’
La canzone le piaceva molto, ma la
intristiva sempre un po’,
perché le ricordava tutte le volte che lei e Georg dovevano
salutarsi.
‘In my thoughts
you're with me, I fell in love
with your ways…’
La ascoltava lo stesso,
però, perchè era così azzeccata e
bella che non riusciva a fare a meno di adorarla.
‘I know you're going
away, lead my heart into a
daze…’
Assieme alla lievissima malinconia,
le veniva sempre anche
da sorridere, perché anziché vedersi e poi
salutarsi, avrebbero potuto non
vedersi affatto, non essersi nemmeno mai incontrati, e per lei
sopportare
qualche giorno o settimana di distanza era un prezzo più che
ragionevole da
pagare, visto quel che le spettava in cambio.
‘I know you're going
away, leaves a void in my
heart and soul…’
Sentiva molta nostalgia di Georg e
degli altri, soprattutto
ora che era qualche giorno che non li sentiva. Sapeva che nel
pomeriggio
avrebbero avuto un’intervista a Londra, quindi si era messa
l’animo in pace,
rassegnata al fatto che probabilmente non sarebbero riusciti a farsi
vivi prima
di sera, visti gli impegni.
Svoltò l’angolo
della propria via, proprio nel momento in
cui la musica si interrompeva bruscamente. Si fermò a
controllare e notò che
l’iPod era scarico.
Be’,
tempismo perfetto,
pensò mentre lo riponeva nella borsa, puntando lo sguardo
pochi metri avanti a
sé, dove i tre scalini segnalavano l’ingresso del
condominio.
Stava per proseguire, quando vide
un’auto molto familiare
parcheggiata davanti all’ingresso del palazzo,
un’Audi nera e lustra da cui
stava scendendo qualcuno, reggendo una rosa rossa in mano.
Il suo cuore ci arrivò
prima del suo cervello: la portiera
si richiuse e rivelò alla sua vista quello che mai si
sarebbe aspettata di
vedere, almeno non lì a Lipsia, non quel giorno.
Georg le sorrideva a fior di labbra
da dietro un paio di
occhiali da sole, i capelli raccolti in una coda – che aveva
preso a farsi
abitualmente solo perché lei gli aveva confidato, un
po’ per scherzo, un po’
seriamente, che così lo trovava ancora più sexy
– meraviglioso in quei jeans
strappati e in quella semplicissima maglia verde scuro.
Spalancò le braccia ed
allargò visibilmente il proprio sorriso con aria compiaciuta.
“Sorpresa!”
Nicole restò immobile per
un attimo fugace, poi si dimenticò
delle uova, lasciò cadere le buste a terra e gli corse
incontro euforica,
gettandogli le braccia al collo.
Georg rise e la strinse a
sé, sollevandola leggermente da
terra mentre la baciava su una guancia.
“Potrei sbagliare, ma ho la
vaga sensazione che tu sia
felice di vedermi.” Scherzò, posandole un bacio
sulle labbra.
Nicole si sentiva come se qualcuno le
avesse iniettato in
vena gioia pura.
“Che cosa ci fai
qui?” esclamò senza fiato, ancora in preda
allo stupore.
Georg assunse un cipiglio offeso.
“Adesso non posso nemmeno
venire a trovare le mie ragazze?”
“Ma oggi avevate
l’intervista a Londra…”
“Sì,
è quello che ti ho detto, in effetti.”
Confermò lui,
porgendole la rosa. Nicole gliela strappò quasi di mano,
troppo felice per
accusarlo di averle mentito così spudoratamente.
“Sei un perfido
macchinatore.”
Lui sogghignò spavaldo.
“Modestia a parte, lo
so,” finse di vantarsi. “Dov’è
Emily?”
domandò poi.
“Con Liesel,” gli
rispose Nicole. “L’ho lasciata da lei per
andare a fare la spesa.” E lanciò uno sguardo
eloquente alle borse che si era
lasciata indietro.
“Oh, perfetto,”
Georg appoggiò la propria fronte contro la
sua, gli angoli della bocca arricciati. “Allora che ne dici
di lasciargliela
ancora per un po’ e di mostrarmi il tuo
appartamento?”
Nicole annuì, facendo la
seria.
“D’accordo. La
camera da letto è chiusa al pubblico,
però.”
Georg sciolse l’abbraccio
ed andò a recuperare le due borse,
sollevandole come se fossero state piene di polistirolo.
“Non importa,” la
rassicurò poi. “C’è sempre il
divano. Tanto
ci troviamo bene anche sui divani, se ben ricordo.”
“Io non
ricordo…” lo provocò lei, facendogli
strada
nell’ingresso. Georg le si affiancò davanti
all’ascensore, sorridendo
malizioso. Nicole capì immediatamente perché.
“Non ci pensare
nemmeno,” lo avvertì, pur divertita.
“Siamo
in un condominio di gente perbene, non in un immenso hotel
extralusso,” Lo
occhieggiò compunta. “Niente cose strane in
ascensore.”
“Oh, ma ci troviamo
così bene negli ascensori!” le ricordò
Georg, tirando fuori una delle sue migliori espressioni provocanti.
Nicole si
costrinse ad ignorarlo e concentrarsi sul display che segnava il
susseguirsi
dei piani, altrimenti era certa che sarebbe riuscito a farla capitolare.
“Quindi quando avete la
vera intervista a TRL inglese?” gli
chiese, per cambiare argomento.
Georg si appoggiò con una
spalla al muro.
“Tra quattro
giorni.”
“E quella di ieri
com’è andata?”
“Potremo gustarcela
pomeriggio,” dichiarò suadente. “Sul
suddetto divano.”
Nicole ormai aveva sentito quel tono
già diverse volte,
eppure ancora non riusciva a non farsi venire la pelle d’oca
dall’effetto che
le faceva. Con Georg i preliminari non cominciavano con i baci e le
carezze, ma
con le parole.
“Emily ne sarà
felice.” Commentò, attraversata da una
piccola scossa di piacere nel sentirlo di nuovo così vicino.
“Prima però fai
felice me.” La stuzzicò Georg.
In quella l’ascensore
arrivò e le porte si aprirono.
“Non sei già
felice di vedermi?” disse Nicole, entrando
assieme a lui nello stretto vano. Le porte si richiusero e
l’ascensore ripartì.
“Certo,”
asserì Georg, lasciando le borse a terra e
avvicinandosi a lei con ovvie intenzioni. “Ma ti faccio
presente che nelle
ultime due settimane ho dovuto avere la tempra morale di mandare in
bianco
diverse ragazze piene di speranze per colpa tua, quindi gradirei che tu
mi
dimostrassi di apprezzare la mia buona volontà.”
I loro volti erano vicini,
così come le loro labbra. Nicole
non avrebbe mai smesso di sorprendersi di come il suo cuore impazzisse
quando
c’era lui.
“Cosa credi, che io non
abbia niente da riscuotere?” replicò
serafica.
“Regoliamo questi conti,
allora.” Disse lui, la voce bassa e
gutturale, sexy come solo lui sapeva essere, ma proprio in quel momento
l’ascensore si arrestò e si aprì sul
corridoio del terzo piano.
Nicole ridacchiò di fronte
allo sbuffo frustrato di Georg,
ma lui la redarguì prontamente:
“Non finisce qui,
tesoro.” Le sibilò in un orecchio.
Nicole gli sorrise, fermandosi
davanti alla porta del
proprio appartamento.
Lo so, Georg,
si
disse, felice di poterlo finalmente accogliere in casa propria.
Simbolicamente,
era un passo molto importante e significativo, per entrambi. Lo so.
***
Dopo la sospirata conclusione del
1000 Hotels Tour 2008, il
mondo intero sembrava parlare dei Tokio Hotel di come fossero tornati
alla
grande dopo il problema di Bill che aveva messo in allarme milioni di
fans in
ogni parte del globo, e tutti sembravano aver notato una sorta di
maturazione
nei quattro di Magdeburgo, almeno a giudicare dalla nuova distribuzione
dei
loro impegni, sensibilmente alleggeriti dopo quello che era successo.
L’attenzione massima era,
com’era giusto che fosse, rivolta
a Bill, che durante le prime settimane di ripresa aveva dimostrato di
saper
mandare in delirio un vasto pubblico anche senza essere al massimo
delle
proprie forze, ma, accanto a questo grande evento centrale, erano
lentamente
emersi altri spunti di riflessione, e uno fra questi riguardava Georg
molto da
vicino.
Tutti si chiedevano perché
da qualche tempo il bassista dei
Tokio Hotel portasse sempre un fermaglio di metallo e strass a forma di
farfalla appuntato alla cinghia del basso, e una delle domande
più gettonate
tra i giornalisti era diventata quale fosse il significato di quel
dettaglio così
insolito. Lo stesso VJ di MTV Britain stava giusto ponendogli quella
domanda,
leggendola tra le tante che erano giunte in studio nel corso della
puntata di
TRL a cui erano ospiti, tra le urla e gli strepiti delle molte ragazze
presenti.
Ormai ferrato su quella questione,
Georg sorrise con
disinvoltura al VJ e alle telecamere e spiegò:
“Me lo hanno regalato due
fans molto speciali.,” Scambiò
un’occhiatina fugace con Tom, Gustav e Bill.
“Ciascuno di noi ha ricevuto un
regalo da loro, ma devo riconoscere di essere stato il più
viziato.”
Gli altri annuirono con lo stesso
sorriso un po’ misterioso,
e Tom aggiunse con malizia:
“Georg ha avuto senz’altro il regalo più
ricercato,
ma ci riteniamo tutti e quattro più che
soddisfatti.”
“Assolutamente.”
Convenne Bill, e Gustav annuì.
Il VJ sfogliò il
consistente plico di fogli che teneva in
mano e scelse la domanda successiva.
“Bill, qualche mese fa sei
stato operato alla corde vocali,”
disse in tono quasi solenne. “Molti pensavano che sarebbe
stata la fine dei
Tokio Hotel, ma avete da poco concluso il tour di recupero, registrando
un sold
out assoluto che ha fatto storia, e il vostro nuovo singolo
è schizzato in
vetta alle classifiche di tutta Europa in una settimana scarsa e
ancora, dopo
più di un mese, non vuole saperne di schiodarsi da lì, mentre negli
States è
entrato dritto alla numero sette, sbaragliando concorrenti del calibro
di
Madonna, Christina Aguilera e Linkin Park. Siete soddisfatti di questi
risultati?”
“Moltissimo,”
fece Bill, accompagnandosi con un cenno del
capo. “Gli ultimi mesi sono stati molto intensi per tutti
noi,” raccontò.
“Abbiamo avuto esperienze davvero toste, nel bene e nel male,
prima fra tutte
il mio intervento e tutto ciò che ha comportato. Oltre alla
grande ripresa dei
vecchi ritmi, abbiamo anche rivalutato diversi aspetti del nostro
lavoro,
ridimensionando un po’ alcune cose e rivalutandone altre.
Inoltre abbiamo
conosciuto persone nuove che sono diventate importanti, e questo non
succedeva
da tempo, quindi sì, direi che siamo più che
soddisfatti.”
Un’esplosione di grida ed
applausi divampò all’interno dello
studio. Le ragazze applaudivano, e con esse anche qualche ragazzo, uno
dei
quali reggeva addirittura un cartellone che diceva, in un tedesco
perfetto,
‘Bill, sono tuo!’.
“Un’ultima
domanda, che credo interesserà alle nostre
ospiti,” intervenne il VJ, cercando di acquietare il
più che caloroso pubblico,
e in un attimo cadde un rispettoso silenzio curioso. “Abbiamo
menzionato lo
straordinario successo di Lullaby For Emily, il
vostro ultimo singolo, ma
quello che tutto il mondo si sta chiedendo è: chi
è la misteriosa Emily a cui
avete dedicato questa ninnananna rock?”
Un sorrisetto enigmatico si dipinse
sui volti di ciascuno di
loro.
“Emily è una
persona, questo è vero, ma è soprattutto un
simbolo,” rispose Gustav. Georg e gli altri sapevano che non
era l’esatta
verità, ma avevano deciso che la versione più
poetica e filosofica sarebbe
stata quella ufficiale, almeno per ora. “Rappresenta tutto
quello che è
semplice e genuino, l’energia e il coraggio affrontare le
cose, ma anche la
fragilità e la paura. È la chiave per capire e
apprezzare meglio la vita.”
“Abbiamo avuto modo di fare
qualche conto con le nostre
vite, ultimamente,” aggiunse Bill. “Di ampliare un
bel po’ le nostre vedute, e
ci siamo resi conto che la carriera stava prendendo il sopravvento sul
nostro
benessere, e anche se amiamo moltissimo la nostra musica, Emily ha
risvegliato
in noi un po’ di quel buonsenso che stavamo perdendo di
vista.”
“Penso che sia ammirevole
che siate riusciti a riconoscere i
vostri sbagli e porvi rimedio, soprattutto perché alla
vostra età è
comprensibile che ci si lasci un po’ trasportare dalla
fama.” disse il VJ, rivolto a tutti loro.
“Era un po’ come
se avessimo dei paraocchi e qualcuno che li
avesse strappati,” spiegò Tom. “Sai,
come quando sai che qualcosa non va, ma
preferisci fare finta di niente, fino a che non ci vai a sbattere
contro.”
“Eravamo troppo concentrati
sul successo,” proseguì Georg.
“Ci stavamo quasi dimenticando che, oltre ad essere dei
musicisti, siamo anche
dei ventenni come tutti gli altri, con gli stessi bisogni, le stesse
insicurezze,
ed è stata Emily a ricordarcelo.”
“Possiamo quindi dire che
Lullaby For Emily è una sorta di
ninnananna alla parte bambina che nessuno di noi dovrebbe dimenticarsi
di
avere, giusto?”
“Esatto.”
“Per concludere,
c’è qualcosa che vorreste dire a tutti
coloro che in questo momento vi stanno guardando?”
I quattro si guardarono e si
sorrisero, poi Georg, Gustav e
Tom annuirono verso Bill, tacitamente accordandogli la responsabilità di
assolvere
quell’importante compito, così Bill si sporse in
avanti e congiunse le proprie
mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e puntò lo sguardo
dritto in camera.
“Ognuno di noi ha la sua
Emily, da qualche parte là fuori,”
dichiarò con un leggero sorriso, circondato da un silenzio
carico di
aspettativa e rispetto. “Non smettete mai di cercarla,
perché solo quando la
troverete, capirete la differenza.”
THE
END
Note:
le
note dell’epilogo sono le più importanti in
assoluto, e avrei mille cose da
dire, mille persone da ringraziare, ma sinceramente non so da che parte
cominciare. Anzi, no, lo so: la soundtrack della storia.
So che avrei dovuto metterla capitolo
per capitolo, ma forse
è meglio così: per chi ne ha tempo e voglia,
consiglio di rileggersi pian piano
la storia, ogni capitolo con la rispettiva canzone di sottofondo, e
notare
quelle piccole cose che forse alla prima lettura sono sfuggite ma che,
col
senno di adesso, forse vi saranno molto più chiare e sensate. (Fra parentesi, la canzone che Nicole sta ascoltando n questo capitolo è Another Day, dei Within Temptation. Consiglio a tutti di ascoltarli, sia la canzone, che il gruppo.)
Ecco a voi la tracklist:
Little
Star: Lost, The Cure
Expect
The
Unexpected: Beautiful Love, The Afters
Meeting
The
Dream: Stranger, Elisa
Interlude:
Shiver, Natalie Imbruglia
A
Night
Like This: Little By Little, Oasis
A
Modest
Proposal: Sleeping Sun, Nightwish
Jump
In The
Dark: I’ve Got You, McFly
Little
Touches Of Jealousy: Stand Inside Your
Love, Smashing Pumpkins
Dinner
For
Two: A Question Of Lust, Depeche Mode
Saturday
Night Fever: The Saddest Song I’ve
Got,
Annie Lennox
Kiss
Kiss,
Bye Bye: Pieces, Sum 41
Home:
Looking
Through
Your Eyes, The Corrs and Bryan White
Bad
Dreams: Here Without You, Three Doors
Down
Stolen
Fleeting Moment: Mad World, Gary Jules
Give
Me Strength To Face The Truth: You Did A
Good Thing, Sleepthief feat. Nicola Hitchcock
The
Doubt Within My Soul: You Owe Me Nothing
In Return, Alanis Morissette
Good
News Gone Bad: The Bitter End, Placebo
Heartbeats:
Starcrossed, Ash
Double
Trouble: A Beautiful Lie, 30 Seconds To
Mars
Giving
Up For You: Nothing Else Matters,
Metallica
Reden:
Forgiven, Within Temptation
The
Promise: Sweetest Goodbye, Maroon 5
Back
To You, Back To Us: You Look So Fine,
Garbage
Your
Song: Your Song, Elton John
Epilogo:
1000 Meere, Tokio Hotel
E ora, la parte più
importante: i ringraziamenti.
Grazie a voi che avete letto e avete
dedicato il vostro
tempo a questa storia, che è stata per un me un incredibile
viaggio di
iniziazione dal mondo della fanfiction sui personaggi famosi; grazie
alle 205 persone che hanno messo questa storia tra i loro preferiti e alle 92
che mi
hanno aggiunta ai loro autori preferiti; grazie a tutti voi che mi
avete
seguita, sostenuta, sopportata e consigliata tanto pazientemente (you
know who
you are ^^); grazie a tutti coloro che mi hanno aggiunta in MSN
riempiendomi di
complimenti forse non del tutto meritati e regalandomi chiacchierate
davvero
bellissime; grazie a chi mi ha commentata con recensioni brevi o
infinite che
fossero, per avermi riempita di orgoglio per essere riuscita a
comunicarvi
tutte le emozioni che volevo far emergere da questa storia, ma
soprattutto, last but not least,
grazie infinite e di
tutto cuore ai Tokio Hotel, per esistere ed avermi fatto scoprire un
mondo con
mille porte su altri mondi, per avermi stregata con la loro musica e
fatta
innamorare di loro e della loro sensualissima simpatia, per avermi
permesso di
vedere dal vivo quanto sia mostruosamente alto e magro Bill, e quanto
sia bello
il sorriso di Tom, e quanto sia sconfinatamene stupendo un Gustav un
po’ in
imbarazzo, e quanto sia irresistibilmente sexy Georg che suona il suo
fantastico Mr Sandberg. Insomma, un grazie gigantesco a chiunque abbia
contribuito a fare di questa storia quello che è e a rendere
la sottoscritta
così fiera di se stessa e del proprio pubblico.
Vi amo, tutti quanti!
Ci si vede al sequel! ;)
P.S. Vi lascio una sorta di locandina di Lullaby for Emily, un'immagine che ho fatto tempo fa e che mi sembrava giusto postare, almeno alla fine. Sono Nicole ed Emily, per come me le sono immaginata io, e qualcuno di voi l'ha già vista. Forse non corriponderanno a ciò che avete immaginato voi, ma è giusto che sia così, dopotutto, la fantasia è sempre l'illustrazione migliore che un racconto possa avere. :)
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