Lullaby for Emily

di _Princess_
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Little Star ***
Capitolo 2: *** Expect The Unexpected ***
Capitolo 3: *** Meeting the Dream ***
Capitolo 4: *** Interlude ***
Capitolo 5: *** A Night Like This ***
Capitolo 6: *** A Modest Proposal ***
Capitolo 7: *** Jump In The Dark ***
Capitolo 8: *** Little Touches Of Jealousy ***
Capitolo 9: *** Dinner For Two ***
Capitolo 10: *** Saturday Night Fever ***
Capitolo 11: *** Kiss Kiss, Bye Bye ***
Capitolo 12: *** Home ***
Capitolo 13: *** Bad Dreams ***
Capitolo 14: *** Stolen Fleeting Moment ***
Capitolo 15: *** Give Me Strength To Face The Truth ***
Capitolo 16: *** The Doubt Within My Soul ***
Capitolo 17: *** Good News Gone Bad ***
Capitolo 18: *** Heartbeats ***
Capitolo 19: *** Double Trouble ***
Capitolo 20: *** Giving Up For You ***
Capitolo 21: *** Reden ***
Capitolo 22: *** The Promise ***
Capitolo 23: *** Back To You, Back To Us ***
Capitolo 24: *** Your Song ***
Capitolo 25: *** Epilogue ***



Capitolo 1
*** Little Star ***


Nota dell'Autrice: ho scritto questa storia senza il minimo scopo di lucro, per puro divertimento personale. Fatti e persone riportati non hanno la pretesa di rispecchiare la realtà o di rappresentarla in alcun modo, e qualunque dettaglio possiate riconoscere non appartiene a me.


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And I don't know where I am
Should she really say goodbye?
So happy and so young
And I stare... But...
I can't find myself
I can't find myself
I can't find myself
I can't find myself
I got lost in someone else

[The Cure, Lost]






***





“Farà schifo.” Imprecò Tom, ciondolando per il camerino con la quarta sigaretta della serata fra le dita ed assestando calci casuali a tutto ciò che gli capitava a tiro. Il countdown segnava dieci minuti allo spegnimento delle luci, seicentocinque secondi all’inizio dello show, e nessuno sembrava soddisfatto di qualcosa. “Farà tutto schifosamente schifo.”

Sprofondato in una poltrona con la testa fra le mani, Georg emise un rantolo frustrato.

“Il nuovo tecnico luci va licenziato prima di subito.” Si lamentò, sfregandosi gli occhi. “È un incompetente.”

“Vero,” confermò Bill, il respiro praticamente inesistente. “E per di più ha rotto già due dei nostri riflettori più costosi.”

Borbottii sommessi di assenso.

Andrà tutto male.

La tensione era palpabile ed in costante aumento, i loro muscoli rigidi e freddi, le loro menti in completo blackout. Quattro battiti cardiaci in fibrillazione.

Nulla funzionerà.

Chiusi in quella stanza troppo piccola, i quattro componenti dei Tokio Hotel respiravano la stessa aria densa di ansia e tensione, e si guardavano l’un l’altro pieni di sconforto.

“Un disastro, ecco cosa sarà,” berciò Gustav, strappandosi di dosso la cuffia connessa al riproduttore mp3. “Il peggio del peggio.”

Deluderemo tutti quanti.

Qualcuno bussò alla porta e li invitò ad uscire, e loro, obbedienti ma con una buona dose di riluttanza, seguirono Saki fino al backstage, dove decine di persone si affaccendavano per i preparativi dell’ultimo minuto.

Al di là dei pannelli scenografici, il pubblico già urlava in preda all’eccitazione.

Gustav serrò le dita fasciate di scotch bianco attorno alle proprie bacchette.

Merda.

Gli occhi di Bill si sgranarono mentre lui perdeva la cognizione di tempo e spazio.

Merda. Merda.

Tom si sistemò per la milionesima volta l’auricolare ed aggiustò senza alcun motivo la visiera del berretto.

Merda. Merda. Merda.

Il cuore di Georg si fermò nell’esatto istante in cui l’eco di una voce lontana ordinava loro di prepararsi.

Merda. Merda. Merda. Merda.

“Cinque secondi!”

E le luci si spensero.

“Quattro!”

E il pubblico esplose.

“Tre.”

Loro quattro sul palco.

“Due.”

Adrenalina alle stelle nel buio assoluto.

“Uno.”

Un’esplosione di luce su Bill con il microfono in mano, la mano tremante.

Urla, grida e strilli in un crescendo spaventoso di decibel ed isteria.

Pulsazioni intrappolate in emozioni soverchianti. Un attimo di nulla.

Poi l’ouverture.

“Ciao, Parigi!”

E tutto cominciò.

***


Parigi era magica. Lo era sempre stata, fin da quando Nicole era bambina e i suoi genitori portavano lei e sua sorella maggiore Brenda a fare shopping sugli Champs Elyseés per Natale, con tutti quei milioni di luci e persone che affollavano le strade. Certo, era molto diversa dalla sua Lipsia, ma forse era per quello che l’aveva sempre trovata così affascinante.

Ma adesso – in quel preciso istante – Parigi non era semplicemente magica… Parigi era magia pura.

E Nicole si mangiava con gli occhi lo spettacolo che aveva davanti a sé: un’arena immensa e colma fino all’ultimo centimetro occupabile, viva come se si fosse trattato di un’unica creatura pulsante di entusiasmo, e quella grande creatura, quella sera, aveva voce solo per loro, per i quattro ragazzi che, da laggiù, sul palco, venivano acclamati come divinità discese sulla terra.

Forse, in effetti, un po’ lo erano.

Nicole li osservava rapita da non molto lontano, la mano di Emily stretta nella sua, mentre anche lei fissava i ragazzi come se fossero stati tutto ciò che al mondo c’era da vedere, gli occhioni spalancati dall’emozione.

“È bellissimo.” Aveva sussurrato Emily con un fil di voce, quando erano entrate e si erano sistemate davanti alle transenne, sulla sinistra del palco.

Ora tutto stava per finire, perché An Deiner Seite già risuonava con le sue prime note, e dopo quello, tutto si sarebbe spento, la folla sarebbe svanita, e tutto ciò che sarebbe rimasto della grande creatura adorante era un involucro di cemento vuoto e silenzioso, la cui anima stanca ma felice si sarebbe dispersa per la città raccontandosi quella serata che nessuno di loro avrebbe mai dimenticato. Magica, appunto.

Completamente ipnotizzata dalla bravura del gruppo, Nicole si raccolse rapidamente i capelli in una coda, facendo ben attenzione a non perdere nemmeno un nanosecondo del concerto che aveva atteso per mesi.

Forse anni, forse di più… Forse li aspetto da una vita, inconsciamente. Ed è valsa la pena di questa lunga attesa.

“Ti è piaciuto, vero, Emily?” domandò Nicole, sorridendo, lo sguardo concentrato su Bill che cominciava a cantare. Nessuna risposta le tornò indietro. “Emily?” guardò al proprio fianco e, con orrore, vide che Emily era scomparsa.

Tre secondi. Per tre miseri secondi – per quegli stupidi capelli – le aveva lasciato la mano, e ora lei era svanita nel nulla, e chissà dov’era finita, in mezzo a tutta quella gente. Chissà cosa le sarebbe potuto succedere.

Chissà… Che parola orribile, sembrava. Una porta aperta su mille possibilità, o anche di più.

Nicole sentì un vuoto soffocante scoppiarle nel cuore.

Panico.

“EMILY!”

***


“Mi scusi,” Nicole arrancò disperata tra la folla in direzione dei bodyguards, sforzandosi di non farsi soffocare dalla calca di ragazzine in delirio che la sballottavano in ogni direzione. “Per favore, mi scusi…” Una delle guardie si voltò e le rivolse uno sguardo interrogativo. “Ha visto una bambina?” gli chiese Nicole, sull’orlo delle lacrime. “È piccola, alta così,” e misurò circa un metro da terra con la mano. “Bionda…”

La guardia cambiò rapidamente espressione: sembrava quasi divertito. Nicole non condivideva il sentimento.

“Ha un vestitino rosso, per caso?” indagò l'uomo.

“Sì!” Nicole trasse un sospiro di sollievo, cominciando a riacquisire il controllo delle proprie emozioni. “L’ha vista?”

La guardia lanciò una rapida occhiata alla propria sinistra e le rivolse uno sguardo penetrante.

“Signorina, credo che l’intera arena l’abbia vista.” Disse, e si voltò ad additare il palco. E là, proprio al centro dello stage, tranquilla come se nulla fosse – come se non ci fosse stata tutta quella gente a guardarla a bocca aperta – c’era Emily, con il suo ragno di peluche in mano, e stava andando dritta dritta verso Bill.

La musica si era fermata, e tutti i presenti – band compresa – stavano fissando la bimba, e la indicavano, e bisbigliavano – qualcuno protestava – e lei se ne stava là, perfettamente a proprio agio nonostante il frastuono e le luci troppo forti che la facevano brillare come una piccola ciliegia fuori posto tra quella gente. Tutto attorno, diciottomila persone si chiedevano a voce alta cosa ci facesse una bambina di quattro anni sullo stage.

Ma Bill non si scompose troppo, almeno in confronto a chiunque altro. Andò verso Emily con un grande sorriso amichevole e le offrì la propria mano, che la piccola accettò senza troppi complimenti. Bill, apparentemente divertito, le fece salutare il pubblico, e lei lo assecondò, sventolando tutta compiaciuta la mano che ancora stringeva il grosso ragno nero.

Nicole imprecò fra sé e sé, mentre la mandibola le cedeva.

Lei non poteva saperlo, ma il suo pensiero riprese esattamente quello che i quattro ragazzi che ora sorridevano ad Emily avevano pensato solo un paio d’ore prima.

Oh, merda!


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Note: eccomi qui con la questa mia storia che da un po' mi frullava in testa. Non l'ho ancora sviluppata tutta, ma la trama è già ben delineata nella mia testa, e spero che vorrete onorare questo breve capitolo introduttivo (i prossimi saranno più lunghi) con delle recensioni. Ci sarà un po' di tutto nei futuri sviluppi: amicizia, amore, incompresioni, malintesi, gelosie, e immancabili impervisti. Per ora, grazie per aver letto fin qui, e danke a chi recensirà. Alla prossima!

P.S. Dimenticavo di aggiungere la traduzione della canzone che ho citato in apertura, per chi non sapesse l'inglese:

E io non so dove sono
Lei dovrebbe davvero dire addio?
Così felice e così giovane
E resto a guardare... Ma io...
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Non riesco a trovare me stesso
Mi sono perso in qualcun altro
.

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Capitolo 2
*** Expect The Unexpected ***


Tom non riusciva a smettere di fissare accigliato quella bambina senza peli sulla lingua che si era materializzata sul placo, comparendo dal nulla.

Bill non si era fermato a farsi troppe domande, visto che – bambino lui stesso, nonostante i diciotto anni ormai compiuti da un pezzo – l’imprevisto gli era parso come un gioco potenzialmente divertente, e così aveva cantato le ultime battute di An Deiner Seite con la piccola sconosciuta – Emily – e se l’era portata in braccio nel backstage come se fosse stata ordinaria amministrazione, discutendo con lei di quanto si fosse divertita durante il concerto, perché nonostante Bill fosse un incapace col francese, si era presto scoperto che – per quanto fosse assurdo, o perlomeno improbabile, data la location – la piccola era tedesca.

A Tom capitava spesso di non riuscire a capacitarsi di certi modi di fare del fratello, ma stavolta doveva ammettere che Bill aveva davvero superato se stesso.

È completamente pazzo giuro. Gli voglio bene, ma è fuori di testa.

E così ora il pazzo non era più uno solo, ma ben tre, perché a Bill si erano aggiunti anche Georg e Gustav, e ora se ne stavano tutti inginocchiati a terra davanti a quella che doveva essere la fan più giovane che avessero mai incontrato – se non addirittura la più giovane in assoluto – e chiacchieravano con lei come avrebbero fatto con un vecchio amico, in attesa che la madre venisse a prenderla.

Tom doveva ammettere che la piccola era carina, incredibilmente simile ad una bambola: seppur pallida, aveva delle belle guance rosee e paffute, che le facevano risaltare i grandi occhi a mandorla, di un verde identico a quelli di Georg (tanto che Tom non poté fare a meno di insospettirsi circa una loro possibile parentela stretta), ed i capelli biondi le scendevano in soffici boccoli fino alle spalle.

Proprio un angioletto.

C’era però una scintilla di vispa intelligenza in lei e nella sua innocente sfacciataggine, e Tom era certo che non fosse poi così angelica come poteva apparire.

Deve avere un bel caratterino, pensò, osservandola mentre mostrava orgogliosa il suo polsino firmato Tokio Hotel che le pendeva largo dal piccolo polso.

Sei proprio carina, Emily, riconobbe Tom, con una punta di delusione. Se solo tu avessi una dozzina di anni in più… O una sorella maggiore…

“Emily!”

Tutti si voltarono nella direzione da cui era provenuta la voce sconvolta: dal lato del corridoio che conduceva al palco, una ragazza stava correndo verso di loro scortata da Saki. A giudicare dalla maglietta, doveva essere una loro fan, ma Tom la vide oltrepassarlo come se nemmeno l’avesse visto, e chinarsi in lacrime sulla bambina per stringersela forte al petto.

“Razza di incosciente che non sei altro!”, singhiozzò la ragazza. “Ti avevo detto di restare con me, qualunque cosa fosse successo!”

Emily, nemmeno remotamente scossa, le avvolse le braccia intorno a collo e prese a darle delle piccole pacche di conforto sulla schiena. Era una scena un po’ buffa a vedersi, con quest’insolita inversione di ruoli.

“Scusami,” disse la sua vocina vellutata. “Ma volevo tanto vedere da vicino i capelli del signor Bill.”

Tom dovette ricorrere ad ogni suo grammo di buonsenso per non scoppiare a ridere, ma non si risparmiò l’occhiatina ilare che lanciò a Bill, il quale rispose con un gesto che fortunatamente Emily non vide.

“Scusami se me la sono portato via così,” esordì Bill, lievemente imbarazzato di fronte allo stato d’animo della ragazza, che ora si era alzata in piedi e si asciugava frettolosamente il viso, senza lasciare la mano di Emily. “È che hai una sorellina davvero irresistibile.” Ed ammiccò verso la diretta interessata, che gli sorrise da dietro il suo peluche decisamente fuori dal comune.

La ragazza, invece, era leggermente arrossita.

“Mi dispiace,” balbettò, a disagio. “Devo avere un aspetto orribile.”

Ma, a modesto parere di Tom, le cose non stavano proprio così.

La ragazza non somigliava alla bimba in modo vistoso: avevano la stessa corporatura esile ma sana, la stessa carnagione pallida, lo stesso naso a scivolo, la stessa forma degli occhi, ma mentre una li aveva verdi, quelli dell’altra erano di uno strano azzurro vagamente simile al lilla, ed i suoi capelli erano lunghi e lisci, di una sfumatura di rosso molto scura, ed era bella, bella in un modo semplice e naturale che non capitava molto spesso di vedere.

Per quanto lo riguardava, Tom poteva tranquillamente ritenere i propri desideri esauditi.

“Scusatela,” mormorò la ragazza, guardandoli uno ad uno. “Normalmente non fa certe cose, ma quando si tratta di voi…”

“Dai, non è successo niente, infondo,” sdrammatizzò Gustav con un sorriso, e Georg e Bill annuirono. “Anzi, è stato un bel colpo di scena, non ti preoccupare…”

“Nicole,” si presentò lei in fretta, andando a riempire il vuoto lasciato dall’esitazione di Gustav. “Mi chiamo Nicole.”

“Piacere, Nicole,” Bill le sorrise e lei arrossì, stavolta visibilmente. “Non ti scusare, Emily è stata bravissima. È impressionante che una bambina come lei conosca già anche i testi in inglese.”

Emily sorrise compiaciuta davanti alle lusinghe, ma Nicole non sembrava dello stesso parere.

“Comunque non avrebbe dovuto allontanarsi,” insistette. “E ancora non mi spiego come abbia fatto ad arrivare fino a voi senza essere notata.”

Tom fece spallucce.

“È piccola, le nostre guardie sono alte un metro più di lei, chi volete che la noti?” intervenne, accovacciandosi accanto ad Emily, ritrovandosi così a fissare due piccoli oceani smeraldini. “Giusto, soldo di cacio?”

Emily fece una faccia a mezza via tra l’offeso e l’arrabbiato e si aggrappò alla gonna di Nicole.

“Mamma, mi ha chiamata come un formaggio!”

Tom, così come gli altri, ci mise un istante più del normale a processare l’informazione appena appresa.

Ho capito male.

Ad occhio e croce, Nicole non dimostrava più di diciotto anni – venti, a esagerare – ed Emily doveva averne almeno quattro. Non poteva essere…

Ho sicuramente capito male.

Ma Nicole non aveva battuto ciglio. Aveva anzi riso sommessamente all’osservazione della bambina e ora la scrutava con tenerezza.

“Sentite,” disse Nicole, rivolgendosi ai ragazzi. “Posso far finta di essere arrabbiata quanto voglio, ma la verità è che questa sua piccola bravata mi ha dato la possibilità di essere qui, ora, e mentirei se dicessi che non è una cosa che ho sempre sognato.”

Tom pensò che la vita poteva essere veramente strana.

Incontravano fans ogni giorno, ed erano più o meno tutte uguali, tutte come lei: giovani, chi più chi meno carina, pazze di loro… E a volte anche le loro madri, più o meno entusiaste dell’ossessione smisurata delle figlie.
Era però la prima volta che gli capitava di incontrare una fan ed una madre nella stessa persona, ed era chiaro come il sole che Nicole stesse morendo dalla voglia di comportarsi come tutte le sue coetanee – e mettersi a strillare ed abbracciarli e fare tonnellate di fotografie – ma era anche altrettanto evidente che ci fosse un velo di maturità prematura, in lei, e che certe cose non le faceva più da un pezzo.

Come se le avesse letto nel pensiero, Georg strinse le spalle di Gustav e Bill sotto le proprie braccia e sorrise amichevole:

“Allora, facciamo qualche foto?”

Il bel viso di Nicole si dipinse di gratitudine ed Emily si mise a saltare entusiasta.

Fecero diversi scatti con la fotocamera digitale di Nicole – nella metà delle quali Bill teneva Emily e il suo ragno in braccio – poi Tom e gli altri autografarono per loro qualche cartolina promozionale del tour, ma il tempo a disposizione era agli sgoccioli. Il gruppo aveva l’after-show party e un minuto solo di ritardo avrebbe causato il panico di David, nonché un conseguente esaurimento nervoso del resto della crew.

Dopo il terzo avvertimento di Saki, Nicole, stringendo tra le mani gli autografi, assunse un’espressione stoica.

“Credo che sia ora di togliere il disturbo.” Sospirò, forzando un sorriso. Emily, però, non sembrava d’accordo.

“Ma io voglio restare!” protestò.

Nicole sospirò, e la prese in braccio.

“Niente storie,” l’ammonì. “I ragazzi hanno i loro impegni, e poi zia Brenda ha bisogno di me al locale, lo sai.”

“Che genere di locale?” Domandò Georg. Tom sogghignò: quando si trattava di feste e divertimento, Georg era sempre il primo a farsi avanti.

“Una discoteca,” spiegò Nicole, lasciando che Emily andasse da Bill per giocare assieme a lui con il peluche. “Non so se avete mai sentito parlare del Vibe, qui a Parigi…”

“Altroché!” confermò Gustav. “Ci siamo stati l’altra sera. È una favola.”

Tom non poté che concordare. Del Vibe aveva particolarmente apprezzato la massiccia affluenza di ragazze niente male (anche se per la maggior parte erano state tutte scortate da un accompagnatore), ma anche l’organizzazione estetica del locale lo aveva colpito non poco.

“L’effetto scenografico è pazzesco,” commentò. “I giochi di luci sulle pareti fluorescenti… Per un attimo mi hanno distratto dalle ragazze.”

Una risata generale si levò dai presenti.

“Lavori lì?” domandò Bill, senza sollevare lo sguardo dal ragno che Emily gli stava facendo camminare sul braccio. A Tom non sembrava cresciuto di un giorno da quando se ne stavano in salotto a giocare alle costruzioni.

“No,” Nicole si scostò una ciocca di capelli dal viso, sorridendo con modestia. “Mi devo solo occupare dell’illuminazione, mia sorella sostiene che l’impostazione che le ho fatto lo scorso anno ha fatto il suo tempo.”

Mentre Bill rideva a crepapelle sotto al solletico di Emily, nel cervello di Tom qualcosa aveva cominciato a smuoversi lentamente.

“Hai programmato tu le luci del Vibe?” chiese lentamente. Nicole annuì.

“Sì,” Fissò accigliata le espressioni che una ad una comparvero sui volti di Tom, Georg e Gustav. “Che c’è?”

Ignorando il baccano che Bill ed Emily stavano facendo cantando Wonderwall degli Oasis – una bambina di quattro anni che canta gli Oasis… Adesso le ho viste tutte – Tom si ritrovò ad esultare di speranza prima ancora che riuscisse ad elaborare con precisione un’idea semplicemente geniale.

“Ragazzi,” si rivolse a Gustav e Georg. “Pensate anche voi quello che penso io?”

I due annuirono trionfanti.

“Oh, sì!”

“David!” chiamarono all’unisono. In un attimo, il loro giovane manager, David Jost, comparve alle loro spalle, ansante.

“Ragazzi, non è il momento,” annunciò, sistemandosi l’auricolare nell’orecchio. “Domani si replica e stasera lo show faceva schifo, le luci erano un disastro e –”

“Proprio a questo proposito,” intervenne Tom, e, raggiante, avvolse le spalle di Nicole con un braccio. “Noi avremmo trovato una soluzione.”

David li squadrò confuso, e Georg indicò Nicole.

“Ricordi il Vibe, Dave?” chiese al manager, il quale annuì senza però abbandonare quell’aria perplessa. “Dì un po’, Nicole,” proseguì Georg, voltandosi verso la ragazza. “Quanto urgente è il tuo intervento al Vibe, esattamente?”

Notevolmente disorientata, Nicole li guardò come se stessero parlando una lingua ignota.

“Sicuramente non vitale, ma –”

“So che potrà sembrarti una richiesta un po’ azzardata,” fece Tom, sfoderando il suo miglior tono persuasivo. “Ma devi assolutamente salvarci la vita.”

Più le spiegazioni andavano avanti, più Nicole sembrava confusa.

“Prego?”

“Devi sistemare le loro luci, mamma!” gridò Emily dal divanetto su cui lei e Bill sedevano. “Sono bruttissime!”

Stavolta Tom non riuscì ad impedirsi di ridere, soprattutto scorgendo la faccia sofferente di David, che sembrava essere stato apertamente schiaffeggiato dalle parole candide della bambina.

Ecco, la voce della verità. Quello che tutti pensano e nessuno osa dire.

“Possibilmente entro domani sera.” Precisò Gustav.

“Ma non sono qualificata a livello professionale,” intervenne Nicole, vagamente allarmata. “È solo un hobby…”

Ma Tom era determinato a salvare la faccia dei Tokio Hotel e non avrebbe ceduto tanto facilmente.

“Non ha importanza.”

“La persona qualificata ce l’abbiamo già,” gli diede man forte Georg, con una smorfia. “Adesso ci servirebbe quella in gamba.”

Anche se chiaramente controvoglia, David fu praticamente costretto ad annuire mestamente.

“Ti stiamo letteralmente supplicando,” disse Gustav, esibendo il suo sguardo da cerbiatto migliore. “Siamo disperati.”

“Hai visto anche tu, no?” soggiunse Tom, sollevando un sopracciglio in modo molto eloquente. “Le luci stasera facevano pena.”

“Più che pena.” Concordò Bill, inserendosi nella conversazione, ed Emily lo seguì a ruota:

“Dai, mamma, aiutiamoli!”

“Ma –”

“Basta ma,” Tom le puntò un dito contro con fare severo. “Non ti è concesso rifiutare.”

Nicole sembrava seriamente combattuta. Si morse il labbro inferiore, esitando di fronte ai loro sguardi carichi di aspettativa. Tom si sforzò di imitare una di quelle facce dolci che a Bill venivano sempre così spontanee, ed incrociò mentalmente le dita.

Alla fine, Nicole sospirò impotente, e cedette.

“E va bene.”




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Note: Volevo ringraziare tutti voi che avete letto e, soprattutto, commentato. Mi ha fatto davvero piacere ricevere un feedback così positivo, e spero vivamente che continuerete così. ^^ Un grazie speciale a sososisu, che ci tengo a rassicurare circa la modalità di svolgimento dei capitoli: l'introduzione era un po' 'frettolosa' perché volevo dare quella sensazione di ansia pressante, sia per i Tokio Hotel che per Nicole. Come avrai notato, da questo capitolo già si vede il cambiamento nell'andamento della narrazione. Più dettagli su Nicole ed Emily verranno spiegati pian piano in futuro, quindi siate pazienti, molte delle domande che probabilmente vi state ponendo avranno una risposta molto presto. ;)

Un bacio, leute, alla prossima!

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Capitolo 3
*** Meeting the Dream ***


“Alla buonora!” tuonò Brenda, alzandosi dal divano del salotto con un salto, una sigaretta in mano e il viso tirato dalla stanchezza. Sopra la sua testa, l’orologio segnava l’una del mattino passata. “Ti aspettavo un’ora e mezza fa al Vibe.”

Nicole si richiuse la porta alle spalle con uno sbadiglio, cercando di trattenere Emily, che le scalpitava in braccio.

C’era il solito, accogliente profumo di magnolia nell’aria (il cui solo scopo era mascherare quello del fumo), e le luci soffuse del salotto lo facevano sembrare quasi un prolungamento della città, che luccicava nella sua vita notturna al di là delle immense vetrate, diverse decine di metri più in basso. Nicole aveva un passione smisurata per l’attico di Brenda, perché il solo ingresso era grande come metà del suo appartamentino di Lipsia, e mille volte più elegante.

“Scusami, abbiamo avuto un piccolo imprevisto.” Borbottò, appendendo il cappotto nel guardaroba.

Tua nipote si è solo messa a fare la superstar ad un concerto non suo, ma che vuoi che sia.

“Zia, zia, zia, è stato bellissimo!” trillò Emily eccitata, saltando qua e là non appena i suoi piedi toccarono terra, con un’energia che Nicole avrebbe tanto voluto avere.

Brenda mulinò la lunga chioma corvina e si voltò a posare il posacenere sul tavolino lì accanto, poi fluttuò verso la nipote con un sorriso radioso, la vestaglia di seta che le svolazzava alle spalle, porgendole la guancia perché la baciasse.

“Ci credo, zucchero,” le disse, scompigliandole affettuosamente i capelli. “Se la tua mamma ti ha fatto fare così tardi, doveva proprio valerne la pena.” E lanciò un’occhiata penetrante a Nicole, che roteò gli occhi spazientita.

“Bree, ti prego, siamo stanche, rimandiamo i dettagli a domani, va bene?” Adesso lasciami vivere il mio sogno in santa pace, prima che suoni la sveglia e sia troppo tardi.

Nicole adorava sua sorella con tutto il cuore, non solo perché era l’unica parente che le restasse, ma anche perché era sempre stata un modello per lei: più grande di dieci anni, Brenda era sempre stata molto diversa da lei, uno spirito autonomo ed indipendente, molto forte e coraggiosa, ed era stato grazie a quelle doti che era riuscita a diventare un’imprenditrice di successo lì in Francia, con le sue tre discoteche che spopolavano e una fiorente agenzia di pubbliche relazioni che aveva messo su dal niente con Gabriel, l’attuale fidanzato. L’unica cosa che a Nicole non andasse giù, di Brenda, era l’iperprotettività che di tanto in tanto tirava fuori.

“Nicky,” Brenda si era chinata su Emily e stava osservando qualche cosa che Nicole non riusciva a vedere. “Perché Emily stringe delle bacchette da batteria?”

“Me le ha regalate il signor Gustav!” annunciò la piccola, tutta contenta, prima che Nicole potesse intervenire e tapparle la bocca.

Lo sguardo di Brenda mutò all’istante da accigliato a sconvolto.

“Gustav?” esclamò, incredula. “Gustav Schäfer? Il batterista dei Tokio Hotel? Quel Gustav?”

“Sì!” Emily brandì le bacchette con foga, e per poco non cavò un occhio alla zia, mentre Nicole cercava di lasciare la stanza passando inosservata. “Io e la mamma li abbiamo conosciuti!”

Brenda si voltò di scatto verso Nicole, un lampo di elettrizzato stupore negli occhi sgranati.

“Tu!”

Nicole si strinse nelle spalle a sentire il proprio nome pronunciato in quel modo e dovette fermarsi appena prima di riuscire a varcare la soglia del corridoio.

Maledizione.

“Nicole, torna subito qui!” Branda la costrinse a guardala. “Cos’è questa storia?” indagò, le mani piantate sui fianchi, gli occhi blu che brillavano.

Nicole adocchiò lo sguardo colpevole ma non troppo di Emily oltre le spalle della sorella.

Piccola peste che non sei altro!

Tentò di inventarsi qualcosa per riuscire a rimandare la discussione almeno fino alla mattina successiva, ma ogni sua forza, quella sera, era stata consumata dall’esuberanza inarginabile del suo piccolo diavoletto e dalle conseguenze della stessa.

Non che non avesse voglia di raccontare l’incredibile esperienza appena vissuta – tutt’altro – ma il fatto era che non riusciva a rendersi ancora conto di ciò che fosse realmente successo. Era stata una serata così densa di emozioni impreviste che a stento le sembrava reale.

Aveva bisogno di metabolizzare il tutto, di realizzare cosa fosse veramente accaduto in quelle poche ore appena trascorse, perché tutto ciò che al momento riusciva a pensare era un pateticissimo ‘Ommioddio!’.

“Diciamo che siamo capitate nel backstage.” Spiegò, tenendosi preventivamente sul vago, sperando – consapevolmente invano – che Brenda non avrebbe insistito di fronte alla sua mancanza di entusiasmo.

“Nicole,” Brenda le teneva gli occhi puntati addosso ed ostentava una pazienza che mal celava un attacco isterico. “Non si capita nel backstage di un concerto, di quello dei Tokio Hotel tanto meno,” fece una breve pausa per riprendere fiato, improvvisamente preoccupata in volto. “Dimmi che non hai concesso favori sessuali davanti a tua figlia solo per incontrare l’ottava meraviglia del patrimonio universale…”

“Bree!” esclamò lei, inorridita al solo pensiero che la sorella la considerasse anche solo capace di pensare una cosa simile. “Non dire sciocchezze, per favore. Li abbiamo conosciuti, tutto qui.”

Ma Brenda, più che rassicurata, sembrava sull’orlo di una crisi di nervi. Poteva anche avere ventinove anni per l’anagrafe, ma certe volte ne dimostrava ancora quindici.

“Voi li avete conosciuti.” razionalizzò Brenda con calma.

“Esatto.”

Tutto qui.”

“Sì.”

“Fammi capire bene,” Brenda trasse un lungo respiro, spargendo cenere su tutto il parquet mentre si portava la mano alla fonte. “Tu questa sera hai conosciuto i Tokio Hotel – i Tokio Hotel, Nicole! – e volevi rimandare i dettagli a domani?”

Nicole sapeva che ormai non aveva via di scampo.

Che qualcuno mi salvi, per pietà…

“È una storia davvero molto lunga, Bree…” E se te la raccontassi adesso, non mi lasceresti più dormire.

“La mamma lavora per loro!” cinguettò Emily. Saltava sul divano con una zampa del suo ragno Wilhelm stretta in una mano e le bacchette di Gustav nell’altra.

“Fila a lavarti i denti, tu!” abbaiò Nicole, braccata dalla sorella. “E vedi di metterti a letto entro cinque minuti, o domani te ne resti a casa!”

Con una linguaccia, Emily saltò giù dal divano e trotterellò attraverso il salotto, scomparendo oltre la porta che conduceva alla zona notte dell’attico. Quando Nicole tornò a rivolgere la propria attenzione verso Brenda, la trovò con un’espressione interrogativa dipinta in faccia.

“Domani se ne resta a casa… Da dove?” chiese, sospettosa. “E cos’è questa storia che lavori per i Fantastici Quattro?”

Nicole sbuffò.

“Non prendere alla lettera tutto quello che dice Emily, lo sai che ha una percezione dei fatti tutta sua.”

Brenda tirò una boccata di fumo e la studiò sottecchi con un mezzo ghigno sornione.

“Sentiamo, allora, la percezione dei fatti tutta tua quale sarebbe?”

Suo malgrado, Nicole si ritrovò a sorridere a fior di labbra.

Che domani mattina mi sveglierò e scoprirò che in realtà non è successo un bel niente.

“Hanno bisogno di un piccolo favore, tutto qui.” Rispose, tenendosi sul vago, ma non l’avrebbe scampata: Brenda sapeva fiutare i sotterfugi a chilometri e chilometri di distanza.

Nicole la guardò increspare appena la fronte mentre chinava la testa di lato e esalava un sottile filo di fumo.

“E questo piccolo favore in cosa consisterebbe?”

Nicole esalò un sospiro sconfortato.

Sarà una lunga, lunghissima nottata...
***



Nicole si specchiò con aria critica nella porta d’ingresso posteriore dello Zenith, presa dall’ansia.

Era tutto in ordine?

La maglietta rossa che appena si intravedeva sotto la lunga giacca di ecopelle era perfettamente stirata (grazie alla domestica di Brenda), e i jeans erano quelli nuovi, presi in saldo solo tre giorni prima a Lafayette. L’unica cosa che poteva non essere perfetta erano le scarpe, le sue vecchie Nike Silver decisamente vissute, che però adorava e sembravano portarle fortuna, ed erano quindi state un elemento irrinunciabile.

Tutto in ordine.

Il suo cuore avrebbe retto abbastanza a lungo da riuscire almeno a salutare i ragazzi in modo quantomeno decente?

Le pulsazioni, ad occhio e croce, dovevano essere sui centoventi, e, a giudicare da come le girava la testa, la consapevolezza di quello che era successo il giorno prima – e che stava per accadere adesso – si era fatta fin troppo concreta.

Dovrei farcela.

C’erano delle ombre scure sotto i suoi occhi, conseguenza ovvia di una notte passata a rigirarsi nel letto senza pace, rimuginando su ogni minimo dettaglio di quel post concerto che nemmeno si era mai azzardata a sognare.

E adesso… Adesso stava per incontrarli di nuovo, su loro stessa richiesta, e sarebbe rimasta con loro per l’intera giornata. Era troppo, anche per un dono del cielo come quello.

No, non ce la farò.

Nicole sapeva di non doversi costruire castelli in aria, perché le aspettative, come lei stessa sosteneva da sempre, erano dannose: rovinavano le sorprese e ingigantivano le delusioni, e lei era cosciente di aver avuto già fin troppo dal destino, e proprio non voleva ritrovarsi a lamentarsi se qualcosa fosse andato diversamente dalle sue speranze.

Niente illusioni, si disse con fermezza, osservando il proprio riflesso nel vetro. Ti sfrutteranno per queste maledette illuminazioni e poi ognuno andrà per la propria strada, quindi non ti mettere a fantasticare, Nicole, perché ti farà male, molto male, e altro male è l’ultima cosa di cui hai bisogno.

Avvertì una leggera pressione alla mano destra, e guardò in giù: Emily le sorrideva, gli occhi ridotti a due verdi mezzelune luccicanti, roteando la gonnellina rosa avanti e indietro.

“Sei bella, mamma.” La rassicurò, in tono quasi esasperato, ma sicuramente divertito.

Nicole emise una piccola risata nervosa, che più che altro ricordava un singhiozzo isterico, e strinse un po’ più forte la manina della figlia.

Era felice, adesso, che i ragazzi avessero insistito affinché si portasse dietro anche Emily, perché poteva anche essere una piccola impertinente combinaguai, ma se non altro aveva il potere di rompere qualunque ghiaccio e tensione, e ce ne sarebbe stato bisogno.

Finalmente, Nicole trovò il coraggio di spingere la porta ed entrare. Fu immediatamente accolta da un uomo di colore che aveva la stazza di tre messi insieme, con un auricolare all’orecchio e una ricetrasmittente in mano.

“Posso aiutarla?” le domandò con voce baritonale, gettando uno sguardo stranito verso Emily. Un po’ intimidita, Nicole gli porse il foglio che le aveva consegnato David Jost ed attese.

“Va bene,” La guardia le restituì il documento e fece cenno ad un collega che beveva un caffè in fondo all’atrio di raggiungerlo. “Scorta le signorine dal signor Jost, per favore.”

Senza emettere mezzo suono, il giovane fece loro strada attraverso un lunghissimo corridoio di cemento illuminato da luci al neon, mentre degli strani ronziii provenivano dalla trasmittente che portava agganciata alla cintura.

Nicole non era del tutto sicura che il suo passo fosse fermo e aveva la ferma certezza che da un momento all’altro le sue ginocchia avrebbero ceduto.

Era stato diverso, la sera prima, quando era accaduto tutto così in fretta che nemmeno era riuscita a realizzarlo. Adesso aveva avuto un’intera nottata per potersi agitare in tutta calma ed entrare in piena coscienza della cosa, ed ora poteva tranquillamente collassare davanti ai Tokio Hotel come una ragazzina qualsiasi che si presentasse loro davanti.

Dio, era umiliante, ma non poteva farci niente.

L’omone si fermò davanti ad una porta di metallo e, senza bussare la aprì.

“Signor Jost,” chiamò. “Sono arrivate le sue ospiti.”

Nicole ebbe appena il tempo di sentire un remoto ‘Falle entrare’, che l’uomo le spinse praticamente al di là della porta e poi la richiuse alle loro spalle con un colpo secco, che rimbombò orribilmente nella testa già vorticante di Nicole.

“Che brutto maleducato.” Bisbigliò Emily, seguendola verso Jost, che le salutava da un angolo dell’immenso retropalco, mentre con una mano si reggeva il cellulare all’orecchio e con l’altra scribacchiava qualcosa su una cartelletta che aveva appoggiato ad un amplificatore. Sparsi un po’ ovunque, decine di tecnici ed addetti trafficavano con ogni genere di attrezzatura.

L’impressione che ne ebbe Nicole era di un formicaio in piena attività.

Wow… E così è questo l’incantesimo dietro alla magia…

“Buongiorno.” Salutò Nicole, non appena Jost chiuse il cellulare con uno scatto frenetico.

“Ciao, Nicole, grazie di essere venuta.” Jost le strinse educatamente la mano. “Scusa ancora se ieri sera abbiamo fatto le cose così di fretta, ma i tempi scanditi dal tour sono infernali.”

“Me ne rendo conto.”

Mentre l'uomo salutava Emily, Nicole si guardò intorno, ma non per via della curiosità che provava verso quell’ambiente del tutto nuovo. C’era qualcosa che mancava, qualcosa che lei avrebbe tanto voluto scorgere, in mezzo a tutti quei volti ignoti, ma poi ricordò che ai ragazzi piaceva dormire fino a tardi, finché possibile, e probabilmente non si sarebbero visti fino al pomeriggio.

“Hey, David, hanno bisogno di te, di là!” gridò una voce che si avvicinava. A Nicole ci volle una frazione infinitesimale di secondo per riconoscerla.

Gustav!

Il batterista stava avanzando verso di loro e parve non poco stupito di scorgerla accanto a Jost, il quale si congedò ed allontanò senza che nemmeno Nicole se ne accorgesse.

“Nicole!” la salutò con calore e un sorriso così dolce che mise a dura prova il suo equilibrio psico-fisico. “E c’è anche Emily! Buongiorno a entrambe.”

“Buongiorno, signor Gustav.” Ricambiò Emily, profondendosi in un buffo inchino da ballerina, dimostrando così una maggiore prontezza di spirito di Nicole stessa, che se ne stava a guardare imbambolata, rigida come una statua di sale.

Maledizione, perché era così facile, ieri?

“Ciao.” Pigolò alla fine, ad un volume che rasentava gli ultrasuoni.

Gustav sorrise ad entrambe.

“Gli altri arriveranno più tardi,” disse, a mo’ di scusa. “Probabilmente sono ancora in piena fase rem, in questo momento.”

Fase rem alle dieci del mattino?, Nicole era a dir poco incredula e verde d’invidia. Dovrebbero proprio avere un assaggio dell’ Uragano Emily come sveglia mattutina, qualche volta.

“Senti,” Nicole occhieggiò Gustav con fare incerto. “Tu sai cosa devo fare, esattamente?”

“Oh, quanta fretta,” Gustav sorrise indulgente. “Sei proprio così ansiosa di scappare via?”

Nicole arrossì leggermente, ma non si scompose.

“Sono ansiosa di fare un buon lavoro.”

Lei e Gustav si scrutarono per un istante, e Nicole poté godersi per la prima volta in tutta calma – o quasi – i suoi bellissimi occhi scuri.

Merda, ieri sera non aveva quest'effetto destabilizzante...

Ad essere del tutto onesta, era Bill il suo preferito, e un po’ si vergognava di aver inizialmente dimostrato così poca considerazione verso gli altri tre membri del gruppo, ma ora li adorava ed ammirava tutti, anche se quel debole per il dolce Kaulitz minore non accennava a svanire.

“Signor Gustav,” Emily si era avvicinata al ragazzo e ora lo tirava per la maglietta, Wilhelm penzoloni nella sua mano. “Per favore, mi piacerebbe molto suonare la sua batteria.”

Gustav rise di cuore.

“Facciamo così,” rispose. “Adesso faccio vedere alla tua mamma quello di cui si deve occupare e poi andiamo tutti insieme a suonare un po’, va bene?”

Emily battè le mani felice.

“Grazie, grazie, grazie!”

Nicole sospirò fra sé e sé. Era incredibile come Emily non avesse nulla del suo carattere. Anzi, certe volte era così simile a Brenda che sembrava essere figlia sua, tanto più che, quando Brenda non aveva i capelli tinti di qualche strano colore, erano pressoché identiche anche fisicamente.

Misteri della genetica…

E, proprio a proposito di misteri della genetica, fu con un tuffo al cuore che Nicole scorse un guizzo di rasta biondi dietro ad uno dei pannelli di acciaio che costituivano la scenografia,e, un secondo più tardi, l’intera, meravigliosa persona di Tom Kaulitz si voltò verso di lei e Gustav, accennando un saluto portandosi la mano sull’aletta del berretto bianco. E quel mezzo sorriso che aveva le esatte sembianze dell’espressione di un gatto, quel sorriso furbo e malizioso, le causò una momentanea paralisi di ogni singolo muscolo che avesse in corpo, cuore compreso.

Tom. Tom Kaulitz è qui, e sta sorridendo a me…

Era un pensiero piuttosto stupido, visto che Tom Kaulitz era stato lì anche il giorno prima, ed anche il giorno prima le aveva sorriso, ma, in qualche modo, ora la cosa sembrava terrificantemente vera.

“Hey, gente!” esclamò, poi si voltò indietro. “Ragazzi, sono già qui!”

E, come per incanto, Georg apparve accanto a lui, assolutamente mozzafiato con quell’attillata maglia nera stampata in schizzi rossi e i jeans sfilacciati. Sollevò un braccio muscoloso e le fece un cenno con la mano, che lei ricambiò senza riuscire a respirare.

Sono qui… Sono davvero qui…

E poi, a coronare quell’immagine già di per sé così surreale, Nicole vide una lunga chioma spinosa spuntare da dietro il pannello, e là, tra Tom e Georg, più bello e sorridente che mai, arrivò Bill, e lei ebbe la sensazione che il mondo fosse assurdamente perfetto.

Ommioddio!

“Hey, ciao!” Bill salutò allegramente, facendosi avanti a larghe falcate. Nicole si rese conto, con sommo orrore, che la sua facoltà di parola era andata perduta da qualche parte in mezzo a quel sovraccarico di adrenalina che il suo sangue stava subendo.

“Buongiorno, signor Bill!” esultò Emily, correndogli incontro. La collisione con i ragazzo fu discreta: Bill fece appena in tempo a chinarsi per prenderla tra le proprie braccia, che le già gli era saltata in braccio e per poco non gli fece perdere l’equilibrio.

Nicole avrebbe voluto sotterrarsi per la faccia tosta di Emily, ma lui sembrava contento, e rideva, anche con il ragno Wilhelm schiacciato in faccia.

La bocca aperta, gli occhi sbarrati, Nicole restò a guardare mentre Bill le arrivava di fronte e si chinava – e di molto, visto che era alto una ventina di centimetri più di lei – per baciarla sulle guance.

“Tutto bene?” le chiese, cordiale, ma tutto quello che Nicole percepì fu un vago suono indistinto e lontano, persa com’era nella contemplazione più totale di colui a cui Brenda era solita riferirsi come ‘quella maledetta pertica sexy’.

E adesso?




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Note: allora, se non sbaglio ho un mucchio di ringraziamenti da dispensare, giusto? Bene, cominciamo.
clasaru, sososisu, eddy, lolly, selina89, LiSa90, Bell_Lua, FrancescaKaulitz, Kit2007, BeA...!!, enlil, picchia, shine_angel, fullmetalQUEEN, e tutti gli altri che hanno recensito il primo capitolo... Vi adoro, continuate così, magari non sembra, ma i commenti sono un toccasana per l'ispirazione e spronano uno scrittore a continuare il proprio lavoro con entusiasmo. Spero che l'aggiornamento sia stato di vostro gradimento. Come qualcuno di voi ha già saggiamente notato, questa è una storia che nasconde diversi colpi di scena, quindi state pronti ad essere stupiti. ^^

Danke, leute, al prossimo capitolo! ;)

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Capitolo 4
*** Interlude ***


Bill si chiedeva se magari non avesse esagerato con quei due baci sulle guance di Nicole.

La ragazza, pietrificata al suo cospetto, lo fissava come un pellegrino avrebbe fissato la celeste apparizione della Vergine Maria: uno sguardo estasiato e terrorizzato insieme, quasi devoto, e la cosa lo metteva leggermente a disagio. Ci era abituato, vero, ma in genere si trattava di pochi secondi, il tempo di un autografo e una foto, e se la ragazza non si fosse un po’ rilassata, non sarebbe mai riuscita ad accendere nemmeno una lampadina.

“Abbiamo pensato di alzarci un po’ prima,” le comunicò gentilmente, mentre Emily giocherellava con la catena che portava al collo. “Per non farti sentire troppo un pesce fuor d’acqua in mezzo ai nostri tecnici.”

L’espediente, comunque, era stato del tutto inutile, secondo lui, perché Nicole non solo sembrava decisamente un pesce fuor d’acqua, ma addirittura ne ricalcava la stessa esatta espressione.

“Non – non avreste dovuto disturbarvi…” mugolò lei, fissandosi i piedi.

“Ah, figurati,” interloquì Georg con un’alzata di spalle. “A mezzanotte eravamo già a letto… L’after-show faceva schifo.”

Bill dovette amaramente convenire. Mai visto un’after-show party così squallido e noioso in vita sua. Lui e gli altri avevano supplicato in ginocchio David di essere sollevati dall’onere del presenzialismo forzato ed avevano tagliato la corda prima ancora che lui potesse aprir bocca per acconsentire.

Vatti a fidare dei PR francesi…

“Mamma, posso dare i miei regali, adesso?” esordì Emily, dalla sua posizione strategica sulle spalle di Bill, il quale fu piacevolmente solleticato dalla parola ‘regalo’.

“Ci avete portato dei regali?”

Nicole abbassò lo sguardo su una grossa busta che teneva in mano, quasi nemmeno si fosse accorta di averla, ed Emily si mise a dimenarsi sulle spalle di Bill.

Fortuna che è leggera, pensò lui, divertito.

“Signor Bill, mi fa scendere, per favore?” gli chiese, persa da qualche parte dietro la sua chioma leonina. Bill obbedì, ed Emily corse dalla madre: una volta strappatale dalle mani la busta – grande pressappoco come lei – si mise a frugarci dentro, immersa fino al collo.

“Ha voluto a tutti i costi portarvi questa roba,” spiegò Nicole sottovoce, passandosi con rassegnazione una mano tra i capelli. “Non so nemmeno cosa ci sia in quei pacchetti, si è alzata alle sette e ha fatto tutto da sola.”

Bill si soffermò a studiarla meglio: aveva l’aria di non aver chiuso occhio durante la notte, ma ciononostante sembrava in forma, o forse era merito del fisico tonico che la sera prima si poteva intravedere dall’abito corto, e che ora era invece nascosto da vestiti più casual.

Non somiglia particolarmente ad Emily, rifletté, ma hanno lo stesso viso, a ben guardare.

“Signor Bill, questo è per lei e il signor Tom.”

Bill guardò in giù: Emily gli stava davanti, allungandogli un involto bitorzoluto fatto con della carta colorata e montagne di scotch, così spesso che nemmeno si riusciva ad intuire la forma di quello che conteneva.

“Grazie.” Dissero lui e Tom in coro, accettando il dono. Bill lo esaminò e lo soppesò con attenzione, curioso di scoprire cosa potesse mai contenere.

Emily, intanto, era corsa anche da Gustav e gli stava porgendo un pacchetto identico al precedente:

“Signor Gustav,” Gustav si abbassò su di lei e lei si mise in punta di piedi per sussurrargli all’orecchio: “Il suo è più grosso perché lei mi ha regalato le bacchette.”

Ridendo, Gustav le sfiorò la guancia con le labbra e prese tra le mani il proprio regalo, con la stessa faccia incuriosita che avevano avuto anche Bill e Tom.

Tutta soddisfatta, Emily andò a consegnare l’ultimo pacchetto – il più piccolo – a Georg.

“Ecco,” gli porse il regalo, ed era incredibile quanto grandi fossero le mani di lui in confronto a quelle di lei. “Per lei, signor Georg.”

Lui sfoderò uno dei suoi sorrisi migliori, e Bill era quasi certo – per quanto folle la sola idea fosse – che Emily avesse ammiccato in risposta.

“Grazie mille, piccola.”

Sotto allo sguardo interessato di Nicole, Bill si mise a scartare il proprio pacchetto assieme a Tom, subito imitato dagli altri.

Tempo tre secondi, e tutti quanti fissavano straniti gli oggetti emersi dagli strati di carta. Personalmente, Bill non ricordava di essersi mai divertito così tanto, ultimamente.

“Uno shampoo alla camomilla?” Tom fissava accigliato il flacone perlaceo.

Emily annuì con veemenza.

“Sì,” disse. “È per fare venire i capelli lunghi belli morbidi come i miei e quelli della mamma e quelli del signor Georg.”

“Emily,” intervenne Nicole, una vibrazione preoccupata nella voce. “Dove hai preso questi regali?”

Dal modo in cui lo chiese, era ovvio che già conoscesse la risposta.

“Nel bagno della zia.” Rispose la bambina, con tutto il candore possibile.

Bill scosse il capo con indulgenza.

Ma come si fa a non adorarla?

A corto di parole, si unì alla risata che, di fronte alla faccia incredula di Tom, sfuggì ai due compagni e a Nicole.

“Grazie, Emily, è davvero un regalo azzeccato.”

“Che cosa vuol dire azzeppato?”

“Azzeccato,” la corresse Tom, con un tono soave che Bill non ricordava di avergli mai sentito usare prima. “Vuol dire che è proprio il regalo giusto per noi.”

“Io mi associo,” disse Gustav, spiegando un bellissimo asciugamano bianco che portava addirittura una G ricamata in un angolo. “Chiunque sia il proprietario di quest’asciugamano, devo dire che si tratta bene.”

Nicole si era coperta il viso con le mani, e non si capiva bene se stesse ridendo o piangendo.

“Puoi tenerlo,” gli assicurò, incrociando le braccia, e Bill scoprì che l’ipotesi corretta era la prima: era decisamente divertita. “È l’asciugamano del fidanzato di mia sorella, ma non gli ci vorrà nulla a comprarsene un altro. Anzi, credo che quello sia addirittura nuovo di zecca, vedo che ha ancora il cartellino.”

“E di questo che mi dite?”

Tutti si voltarono verso Georg, e per un momento Bill si chiese di cosa stesse parlando, ma quando l’amico voltò la testa di lato, fu praticamente impossibile non notare il grosso fermaglio di strass che si era infilato tra i capelli.

“Emily!” esclamò Nicole, che sembrava sull’orlo di una crisi di risate. “Quello è mio!”

“È più bello lui, però.” obiettò Emily, osservando Georg con la bionda testa inclinata da un lato.

Di nuovo, tutti quanti scoppiarono a ridere, e Bill non sapeva se fosse per via della simpatia di Emily, o per l’aspetto ridicolo di Georg, o per l’espressione ai limiti dell’ilarità che faceva brillare gli occhi a Nicole, ma per la prima volta da tempo si stava divertendo veramente, e questo lo faceva sentire insolitamente bene.

Finalmente posso concordare con Tom quando dice che le ragazze sono un toccasana.

“Ragazzi, prestatemi Nicole un momento.” David era apparso dal nulla e aveva afferrato la ragazza per un polso, facendole segno di seguirlo. “Ve la riporto subito,” fece per andarsene assieme a lei, ma prima lanciò uno sguardo indietro: “A proposito… Quell’affare ti sta da dio, Georg!”

 

***

 

Georg riteneva che David avesse bisogno urgente di revisionare un po’ il suo concetto di ‘un momento’ e ‘subito’: si era portato via Nicole quasi un’ora prima, e ancora non c’era segno di un loro ritorno.

A parte quello, comunque, il tempo non aveva certo pesato: avevano portato Emily a suonare la batteria, e, cosa sensazionale, Tom l’aveva addirittura tenuta in braccio per aiutarla a suonare la chitarra. Il meglio, però, era venuto quando la bimba si era messa in piedi su un amplificatore e aveva cominciato a cantare Spring Nicht, ben presto accompagnata da Bill, ed era stato allora che Georg aveva realizzato che la piccola, esattamente come Bill, aveva una leggerissima zeppola, che al momento stava esibendo in tutta la sua tenerezza mentre cantava Songbird degli Oasis in coro con Bill, Tom e perfino Gustav.

Gonna write a song so she can see, give her all the love she gives to me, talk of better days that have yet to come, never felt this love from anyone…

Da amante degli Oasis, Georg si godeva lo spettacolo appoggiato a braccia conserte al muro, e l’insolito quartetto nemmeno si accorse di lui quando li lasciò per andare a controllare cosa stesse facendo fare David a quella povera ragazza.

Dopo aver cercato un po’ ovunque, trovò Nicole seduta a terra a gambe incrociate, un portatile sulle ginocchia, che picchiava freneticamente sulla tastiera.

In silenzio, Georg le si avvicinò ed allungò uno sguardo allo schermo, ma gli schemi che vide erano arabo, per lui.

“Roba complicata.” Osservò, e lei trasalì, portandosi le mani al petto.

“Georg!” voltò la testa verso di lui, corrucciata. “Dio, mi hai fatto prendere un colpo.”

“Chiedo umilmente venia,” replicò lui, e le si sedette accanto. “Correggi lo scempio del nostro tecnico?”

Le labbra di Nicole si incurvarono all’insù, e due piccole fossette le apparvero ai lati della bocca.

“Diciamo che sto perfezionando qualche dettaglio,” disse. “Ma, se fossi in voi, assumerei un nuovo tecnico delle luci.”

“Emily ha un impressionante repertorio di canzoni in inglese,” osservò, ammirato. “Si direbbe che conosca bene la lingua…”

Nicole non rispose subito. Continuò a lavorare alla programmazione per qualche istante, e Georg attese paziente.

“Mia madre era irlandese,” raccontò con un filo di voce. “Io e mia sorella siamo cresciute bilingui, e ho pensato che sarebbe stato vantaggioso per Emily se avesse imparato fin da subito sia il tedesco che l’inglese.”

Parlava con serenità, ma era una serenità che aveva il forte retrogusto amaro del rimpianto, della nostalgia. E c’era quell’orribile ‘era’, che altro non poteva significare che un’unica cosa.

“Lei e mio padre sono morti,” proseguì, rispondendo ad una domanda che lui non avrebbe mai osato porle. “Un incidente, due anni fa.” Un sospiro. “Sono riuscita a tirare su Emily da sola grazie ai soldi che mi hanno lasciato, non devo nemmeno lavorare…”

Ora c’era un’altra domanda che Georg avrebbe voluto esternare, ma non era sicuro che fosse molto educato, da parte sua, essere così invadente. Alla fine, però, la curiosità vinse su tutto.

“E suo padre?”

La fronte di Nicole si corrugò lievemente e lei strinse le labbra tra loro.

“Suo padre aveva la tua età quando sono rimasta incinta,” I suoi occhi erano innaturalmente fissi su un punto imprecisato dello schermo del notebook. Non si girò a guardarlo, ma non sembrava turbata dal suo stupore. “Se dovesse capitare a te, ti addosseresti una responsabilità simile, a soli vent’anni?”

Così mi metti in difficoltà…

“È difficile a dirsi, così a priori,” rispose, sforzandosi di essere diplomatico, ma mentire sarebbe stato stupido. “Ma no, credo di no. Anzi, probabilmente me la batterei a gambe levate.”

Nicole annuì senza guardarlo.

“È quello che ha fatto lui.”

Georg odiò se stesso per quella risposta. Essere paragonato ad un bastardo che lasciava sola una ragazza nel momento del bisogno lo faceva sentire un infame di smisurate proporzioni.

Viva i paradossi.

“Mi dispiace.” Soffiò, costernato, ma Nicole scosse la testa con un accenno di sorriso.

“A me no. Meglio soli che male accompagnati.”

“Giusto.” Approvò lui, restituendo il sorriso. “Toglimi una curiosità… Come mai ci sai fare con questa roba? Hai frequentato una scuola professionale, o…”

“Mio padre,” Nicole si portò i capelli dietro all’orecchio, scoprendo un paio di piercing al lobo ed in cima all’orecchio. “Era un appassionato di fisica della luce, la studiava nei momenti liberi, e mi ha insegnato un sacco di cose. Stavamo alzati ore e ore la notte a progettare grandi sale da ballo e palchi come questo… Mia madre andava su tutte le furie ogni volta.”

Georg aveva un’idea approssimativa di che cosa si potesse provare a vivere senza i proprio genitori. I suoi, dopotutto, si erano separati quando lui aveva solo due anni, ed aveva praticamente vissuto senza suo padre.

“Ti mancano, vero?”

“Sì, moltissimo.” Il tono era serio, ma i suoi lineamenti si distesero in un gran sorriso. “Per fortuna però ho il mio piccolo demonietto che mi tiene occupata dalla mattina alla sera e mitiga un po’ tutte le amarezze.”

Non riesco ad in quadrarti, Nicole… Sembri così forte, ma c’è tanta fragilità in te…

Era inconcepibile pensare che una ragazza intelligente e carina come lei avesse praticamente dovuto rinunciare alla propria vita per poterne dare una alla figlia.

“Parlando del tuo piccolo demonietto,” Georg sollevò la mano e si sfilò il fermaglio dai capelli. “Credo che questo sia tuo.”

Nicole lo guardò per un istante, ma poi lo respinse, rivolgendo a Georg un’occhiata sorniona che la fece apparire più simile che mai ad Emily.

“Tienilo,” gli disse. “Il demonietto ha ragione, sta meglio a te.”

“D’accordo,” Georg si mise il fermaglio in tasca. “Per la cronaca, comunque, il demonietto ha detto che io sono più bello, non che sta meglio a me.”

Nicole non seppe trattenere una risatina sommessa.

Sembrava un po’ più rilassata rispetto a quando era arrivata, e forse stava cominciando a capire che infondo i Tokio Hotel non erano le divinità che le leggende metropolitane dipingevano, ma semplicemente quattro ragazzi a cui il destino aveva concesso una svolta fortunata.

In quella, Georg si rese conto che le quattro voci concitate di Bill, Tom, Gustav ed Emily si stavano avvicinando, e quando si voltò, trovò Tom chino sul pc, tra le teste sua e di Nicole.

“Ciao ciao, gente,” li salutò. “Siamo venuti a vedere a che punto è il salvataggio della reputazione dei Tokio Hotel.”

“Buona, direi.” annunciò Nicole.

“Buona nel senso ‘tra due minuti ho finito’ o buona ‘lasciatemi in pace, ho ancora una montagna di cose da fare’?” si informò Gustav.

“Una via di mezzo.”

“Ragazzi, io ho fame.” Si lamentò Bill, proprio mentre il suo stomaco gorgogliava rumorosamente.

“Anche io!” soggiunse Emily, avvolgendo le proprie braccia attorno al collo della madre, mentre, dalle sue spalle, tentava di sbirciare ciò di cui si stesse occupando. “Voglio la pizza!”

“Ottima idea!” Bill saltò su come se gli avessero iniettato un siero miracoloso nelle vene e si mise a guardarsi intorno. “Saki!” chiamò a gran voce, fino a che la sua imponente guardia del corpo non si fece avanti da chissà dove.

“Saki, ci ordini un po’ di pizza, per favore?” supplicò, congiungendo le mani. “Pizza per sei, rigorosamente italiana.”

“Senza peperoni!” precisò Georg.

“E senza cipolle!” aggiunse Bill.

“Facciamo margherita, magari?” suggerì Saki, inarcando un sopracciglio, poi attese altre richeste, e, non ricevendone, se ne andò.

Con lo stomaco che brontolava, Bill si sedette a terra alla destra di Nicole, mettendosi a curiosare sulla scheda a cui stava lavorando.

“Non ci capisco un bel niente.” Osservò allegramente, mentre le dita di Nicole si irrigidivano e smettevano di picchiettare sulla tastiera.

“Bill, lasciala in pace, non vedi che le stai dando fastidio?” esclamò Tom, ma Nicole scosse la testa.

“Non fa niente, davvero.” Poco più di un sussurro, appena udibile, forte a sufficienza perché fosse chiaro che non voleva affatto che Bill si muovesse da quell’esatto punto in cui stava.

Georg notò che Nicole aveva sempre questa sorta di chiusura a riccio istantanea quando Bill era nei paraggi.

“Signor Georg,” Emily gli si parò di fronte, le mani unite dietro la schiena. “Mi potrei sedere sulle sue gambe, per favore? Da dietro non riesco a vedere niente...”

Georg si sciolse davanti al suo visetto candido che si illuminava con un sorriso non troppo timido.

Se me lo chiedi così, ti darei anche la luna…

“Si accomodi, signorina.”

“Signorina no, per favore!” protestò Emily, facendo una smorfia mentre si sedeva con attenzione sulle gambe incrociate di Georg. “La signora antipatica che abita vicino a noi mi chiama sempre ‘signorina Sandberg’, e non mi piace.”

“Emily!” Nicole saltò su, scandalizzata. “Ti avevo detto di non parlare più male della signora Fuchs!”

“Ma mamma, tu dici sempre che è una vecchia megera!”

Georg e gli altri risero nel vedere Nicole che sbiancava di imbarazzo.

Erano diverse settimane che non si respirava un'aria così rilassata, e la presenza di Nicole ed Emily stava anche nettamente allentando l'ansia da pre-concerto. Il bello di replicare uno spettacolo in uno stesso luogo il giorno dopo la prima, era che non c'era il soundcheck da ripetere e le prove si limitavano a quattro accordi poco prima dell'apertura dei cancelli, e il pomeriggio restava libero, a meno che - cosa che accadeva piuttosto spesso - David non se ne uscisse con qualche appuntamento preso all'ultimo minuto, cosa che nè a Georg nè agli altri faceva mai particolarmente piacere.

Ma c'est la vie, dopotutto...

“Il vostro cognome è davvero Sandberg?” domandò Gustav, avvicinandosi interessato, e Nicole confermò.

“Però,” Tom sogghignò divertito. “Come i tuoi bassi, Georg!”

“Io non sono bassa!” puntualizzò Emily, arrabbiata, tirando un acuto che tramortì sia Georg che Nicole e causò agli altri tre una crisi irrefrenabile di risa.

“Che cosa ho detto?” chiese Emily, confusa. Gerog si limitò ad accarezzarle i capelli e scambiare un sorriso d’intesa con Nicole.

“Niente, Emily, non ti preoccupare.”

Avevo dimenticato quanto può essere semplice e bella la vita…




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Note: Spero che il capitolo non sia parso troppo noioso, ma è un capitolo di transizione e mi serviva per spiegare alcune cosette, come avrete notato, quindi se siete rimasti un po' delusi, sono già prostrata a chiedere scusa, prometto che il prossimo sarà decisamente migliore. ;)

DankeDankeDanke a tutte le gentile persone che hanno lasciato un commento per lo scorso capitolo, ossia: Ihateyou, Muny_4Ever, fulmetalQUEEN, FrancescaKaulitz, clasaru, camus, Zickie, Lit2007, lolly, Clodie, enilil, shine_angel, Bell_Lua, dark_irina e LiSa90... Siete il mio carburante, gente! Spero recensirete anche questo, e che anche chi legge per la prima volta vorrà avere la bontà di fare felice un'umile scrittrice e farle sapere cosa ne pensa della sua opera. :)

Vi lascio anche la traduzione del pezzo della canzone Songbird degli Oasis che canta il nostro adorabile quartetto, non si sa mai (leggasi: servirà in futuro, ma non voglio anticipare niente. ^^): "Scriverò una canzone, così lei capirà, le darò tutto l'amore che lei da a me, parlerò di giorni migliori che devono ancora arrivare, non ho mai sentito un amore così da parte di qualcuno..."

Un bacio, e al prossimo capitolo!

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Capitolo 5
*** A Night Like This ***


Il problema della pizza era che, in un modo o nell’altro, riusciva a far dimenticare qualunque altra cosa, e Gustav non avrebbe saputo dire da quanto tempo se ne stavano seduti a quel tavolo a oziare, ma la quantità di tovaglioli e bicchieri di carta usati e bottiglie vuote gli forniva un’idea quantomeno approssimativa.

“Cazzo, ho mangiato come otto buoi messi insieme.” Borbottò Tom, battendosi una mano sullo stomaco.

“Non si dice quella parola, signor Tom!” lo ammonì Emily, portandosi scioccata una manina alla bocca. “Si dice ‘cavolo’!”

Una calda risata si diffuse tra i presenti.

“Scusalo, Emily,” le disse Bill, scolandosi il millesimo bicchiere di coca cola. “Tomi non è famoso per la sua finezza, sai…”

“Ah, tu invece parteciperai ai campionati mondiali di Bon Ton, vero?” replicò Tom, imbronciato. Georg sogghignò.

“Tra tutti e due, potreste anche arrivare a contendervi il gradino più alto del podio.”

“Zitto, tu!” esclamarono Bill e Tom, e gli allungarono entrambi uno scappellotto sulla nuca. Nicole ed Emily risero.

“Vedi?” Gustav si chinò verso Nicole. “Siamo esattamente come qualunque altro ragazzo della nostra età… Dei completi idioti.”

“Non è vero, signor Gustav!” s’intromise Emily, corrucciata. “Siete carini, invece!”

Gustav le rivolse un sorriso affettuoso, facendo del suo meglio per non scoppiare a ridere di fronte a quel ‘carini’ che si andava ad aggiungere per la prima volta alla lista di complimenti bizzarri che fossero mai stati loro fatti.

“Cosa ne diresti di chiamami Gustav e basta?” le propose.

“Giusto,” concordò Georg. “E magari di darci anche del tu? Tanto ormai siamo amici.” Ed ammiccò.

“Va bene.” Assentì Emily, tutta contenta.

Gustav si chiese da quanto tempo fossero lì, perché aveva la sensazione che un break così piacevole sarebbe senz’altro finito troppo presto.

Tra tranci di margherita, coca cola e chiacchiere varie ed eventuali, il tempo era scivolato via in fretta, tanto che quando arrivò il loro coordinatore generale Fabian ad avvisarli che era ora di cominciare a darsi da fare per prepararsi al concerto, lui dovette controllarsi l’orologio per capire che non era affatto uno scherzo.

“Le quattro?” esclamò Bill, strabuzzando gli occhi. “Ma se ci siamo messi a mangiare venti minuti fa!”

Gustav non ebbe nemmeno il tempo di dispiacersi per la fine del divertimento, che notò l’espressione afflitta di Nicole, e non gli ci volle più di tanto a comprenderla: quel ‘Diamoci una mossa’ che Fabian aveva buttato lì quasi per caso, significava che non solo di lì a poche ore i cancelli sarebbero stati aperti, ma anche che il divertimento era finito, e con esso anche il sogno di Nicole.

Peccato, però, si disse, mentre ammucchiavano i resti del pranzo dentro uno scatolone. Ci stiamo divertendo. Emily è il più potente antistess che io abbia mai visto, e Nicole… Nicole è talmente carina…

Carina, sì, ma nel senso lato del termine, perché Nicole era bella, impossibile negarlo, ma non somigliava a quelle ragazze un po’ troppo sicure di sé che era abituato a incontrare di recente: era introversa, timida, a tratti addirittura insicura, ma bastava vedere come si comportava con Emily per capire quanto infondo fosse dolce ed amichevole. Del resto, a conti fatti era solo con Bill che sembrava avere difficoltà a rapportarsi, ma quella era ordinaria amministrazione.

Mentre si alzavano da tavola – prodigandosi in borbottii e lamentele sommessi – la testa di David fece capolino dalla porta e i suoi occhi cercarono Nicole.

“Nicole,” la chiamò. “Non abbiamo ancora discusso del tuo compenso, per te va bene se –”

“No, no, assolutamente,” si schermì lei in fretta. “Ci mancherebbe, per me è stato un piacere, ho già avuto fin troppo.”

“Ma –”

“No, sul serio,” insistette lei, risoluta. “Va bene così.”

David inarcò le sopracciglia con fare scettico, ma non fece ulteriori pressioni.

“Come vuoi.” disse tentennante, poi li lasciò.

“Allora stasera ti lasci offrire qualcosa, dopo il concerto.” Esordì Tom, accendendosi una sigaretta. Il volto di Bill si illuminò alla proposta del fratello.

“Non si accettano rifiuti,” le intimò, ed Emily, seduta sulle sue ginocchia, ascoltava tutta orecchi. “Conosciamo un locale poco lontano da qui che ha un’ottima sala vip, possiamo andare lì! Com’è che si chiamava, Georg?”

“Random.” Rispose l’altro, senza esitazioni.

“Ecco!” Bill si voltò trionfante verso Nicole. “Vedrai che ti piacerà.”

Lei sorrise, e Gustav era pronto a scommettere che fosse ormai sul punto di arrendersi – cosa peraltro abbastanza scontata, visto che Bill sarebbe facilmente riuscito a persuadere un musulmano a mangiare carne di maiale in pieno Ramadan.

“So già che mi piacerà,” disse Nicole enigmatica. “Visto che è uno dei locali di mia sorella.”

“Lo prendiamo per un sì?” fece Bill, speranzoso.

“Certo che è un sì,” disse Tom. “Giusto, Nicole?”

“Mi piacerebbe da morire,” ammise lei debolmente. “Ma mia sorella ha sempre da fare, come faccio con Emily?”

Era dispiaciuta, era evidente, ed un pesante silenzio riflessivo cadde all’interno della stanza.

Questa non ci voleva.

“Posso occuparmene io,” esordì Georg ad un tratto. “Se tu ti fidi, ovviamente.” Aggiunse, rivolto a Nicole.

“Certo che mi fido, ma –”

“Tu non vieni a ballare?” Tom lo fissava stranito. Non era esattamente ordinario sentire una cosa del genere da Georg.

“Potrei cercare una babysitter...” Azzardò Nicole, trasudando incertezza.

“Mamma, no!” protestò Emily, indignata.

“Non ti preoccupare,” la rassicurò Georg placido. “Avevo comunque intenzione di riposare un po’, non mi sento particolarmente in forma.”

“Non consiglierei la compagnia di Emily ad una persona non particolarmente in forma.” Rispose Nicole, dubbiosa.

“Starò buona, lo prometto!” esclamò Emily, saltando in piedi sulla propria sedia.

Nicole gettò un’occhiatina in tralice a Georg.

“Sei proprio sicuro di volerlo fare?” gli chiese titubante. “Perché è mio dovere avvertirti che sarà un’esperienza traumatica, ed è statisticamente provato che il tuo sistema nervoso riporterà danni medio-gravi e permanenti.”

“Credo che ci sia ben poco da daneggiare.” replicò lui, sorridendo.

Gustav pensò che Nicole fosse un po’ esagerata, ma forse Emily era facile da sottovalutare, angelica come appariva. A pensarci bene, Emily era esattamente come Bill.

“Tu vai e divertiti,” disse Georg a Nicole. “Noi staremo bene, vero Emily?”

La bimba sorrise radiosa ed annuì, i capelli biondi che seguivano ogni suo movimento.

“Sì!”

La situazione poteva ufficialmente dirsi risolta, e sembrava che nessuno ne sarebbe uscito deluso, anche se non era da Georg tirarasi indietro di fronte ad un salto in discoteca, ma effettivamente Gustav doveva riconoscere che lui stesso si sentiva un po' stanco. Nicole, dal canto suo, sembrava troppo occupata a contenere la propria gioia per poter esternare pensieri di alcun tipo.

“Allora Nicole,” Tom la fissava sardonico. “Mi pare che tu non abbia più valide obiezioni da avanzare, adesso.”

 

***

 

Un abitino di raso nero, ballerine nere bordate di rosso, un nastro scarlatto annodato con un piccolo fiocco attorno al collo, un velo appena accennato di trucco nero attorno agli occhi, niente gioielli all’infuori di due piccoli anellini d’argento alle orecchie. Nicole era apparsa così, quella sera, dietro le quinte del concerto, stringendosi convulsamente la giacca di ecopelle tra le mani, e tutti l’avevano fissata per diversi, lusinghieri istanti prima che uno di loro fosse riuscito a profferire parola.

Lei, rossa in viso, con Emily in tuta rosa accanto, li aveva salutati tutti, profondamente a disagio di fronte a tutta quell’attenzione.

Era stata Brenda a costringerla – dietro esplicita minaccia – a vestirsi così, e Nicole alla fine si era vista costretta a cedere alla coercizione, seppur nemmeno remotamente convinta della bontà della scelta, ma era già stato un miracolo che fosse riuscita a scampare all’imposizione di un paio di scarpe i cui tacchi avrebbero potuto tranquillamente essere usati come spiedi.

L’abito non faceva il monaco, e ora più che mai sentiva di crederci fino in fondo.

Come immersa in un onirico involucro ovattato, Nicole aveva lasciato Emily con Georg, senza riuscire a smettere di ringraziarlo tra una raccomandazione e l’altra, poi Tom l’aveva praticamente trascinata via e, una volta sedutasi nella lussuosa Mercedes tra lui e Bill, tutto ciò che era rimasto nella mente frastornata di Nicole era, per la prima volta da anni, il più assoluto, completo, sterminato, paradisiaco nulla.

 

***

 

Georg era sorpreso dallo spirito di adattamento di Emily e dalla disinvoltura che dimostrava in un ambiente a lei del tutto nuovo: la piccola non aveva fatto in tempo a mettere piede nella sua stanza che, trascinandosi dietro il ragno Wilhelm e lo zainetto di Nightmare Before Christmas con tutte le sue cose, si era accomodata sul divano e aveva preso a sfogliare l’opuscolo illustrativo dell’hotel.

Dopo essersi assicurato che in giro non ci fosse nulla che un bambina di quattro anni non dovesse vedere o potenzialmente trasformare in pericolo, Georg aveva chiesto alla sua piccola ospite se gli avrebbe concesso un minuto per farsi una doccia, e lei aveva semplicemente annuito, completamente assorta nella lettura, ed ora che lui era uscito dal bagno piacevolmente rinfrescato, lei era ancora lì, le due piccole trecce bionde che le accarezzavano le spalle, l’espressione concentrata.

Ma starà veramente leggendo?

Che fosse un bambina intelligente era ovvio, ma Georg non sapeva fino a che punto dovesse stupirsi, con lei.

“È interessante?” le domandò, sedendosi accanto a lei mentre si infilava una maglietta pulita.

“Mmm,” l’espressione di Emily si fece pensosa. “Non lo so, i signori che hanno scritto questa cosa parlano strano,” gli indicò una parola in una delle pagine. “E scrivono parolacce!”

Georg rise sommessamente e si appoggiò con il braccio allo schienale del divano.

“Shiatzu non è una parolaccia,” le spiegò pazientemente, afferrando al volo la probabile connessione che la bambina doveva aver fatto con ‘scheisse’. “È il nome di un particolare tipo di massaggi.”

Emily fissò la parola per qualche secondo, come se cercasse di immagazzinarla assieme al suo significato, poi chiuse l’opuscolo e lo posò sul tavolino con uno sbadiglio.

“Sei stanca?

“Un pochino.”

Georg lanciò uno sguardo al letto matrimoniale nella stanza accanto: le lenzuola erano pulite, ed Emily avrebbe potuto tranquillamente dormire mentre lui si godeva un po’ di tv.

“Vuoi dormire?”

“Vieni anche tu?”

Controllando l’orologio digitale del lettore DVD, lui si rese conto che non era tardi come aveva creduto: mezzanotte e trenta in punto.

“È presto per me,” rispose. “Ma non ti preoccupare, io resto qui. Se vuoi lasciamo la porta aperta, se la luce non ti da fastidio.”

Emily scosse il capo.

“Ho paura del buio,” disse, stringendosi Wilhelm al petto. “La mamma mi lascia sempre una lucina accesa.”

“Ma non devi avere paura del buio,” le disse Georg dolcemente, aiutandola a sederglisi in grembo. “Il buio è bello, sai?”

Ma Emily fece una smorfia poco convinta.

“Non ci credi?” riprese lui. “Vogliamo fare una prova, io e te insieme?”

“Mi fai vedere che il buio è bello?” chiese Emily incuriosita. Georg annuì con un sorriso.

“Ti va?”

“Solo se non mi lasci sola.”

Georg afferrò il piccolo telecomando che regolava le luci della suite e le spense tutte. L’unica fonte luminosa che rimase era la piccola candela profumata sul tavolino lì davanti, che lui aveva acceso per coprire un po’ l’odore del fumo.

“Promesso.” La rassicurò, e lei gli si strinse un po’ più saldamente al petto.

Avvolse Emily tra le proprie braccia e la portò alla grande finestra, oltre la quale Parigi brillava affacciata sulla Senna scintillante, e non molto lontano, costellata di migliaia di piccole luci, la Tour Eiffel dominava quella vista spettacolare.

“Questo buio è bello,” commentò Emily, appoggiandosi al vetro e guardando in giù. “Però non è proprio buio buio.”

“Certo che no,” rispose Georg. “Basta pochissima luce per far sparire il buio, è facile, ma è difficilissimo che ci sia abbastanza buio da far sparire tutta la luce.”

Emily osservò il panorama cogitabonda, gli occhi che saettavano avidi qua e là.

“Quindi anche se io spengo la mia lucina, fuori non è mai buio buio.”

“Esatto.”

Restarono ad ammirare il panorama per un po', e Georg sapeva che, in quel silenzio, Emily stava assorbendo il concetto di 'buio non buio', poi, tenendola sempre in braccio, tornò a sedersi sul divano.

“La mamma di solito ti legge una storia, prima di andare a dormire?” le domandò, improvvisamente colto dal dubbio. Non era un gran raccontatore di storie, e il suo repertorio di favole per bambini si fermava miseramente al lupo che mangia Cappuccetto Rosso.

“Mi canta una ninnananna.” Rispose Emily, mentre lasciava che la sua testa si adagiasse lentamente sul petto di Georg.

Grandioso, pensò lui. Una ninnananna… E chi ne sa mezza?

Si stava già dando dell'incapace per non essere in grado di cantare nemmeno una banalissima ninnananna, quando, improvvisamente, gli venne un’idea.

“Scommetto che nessuno ti ha mai cantato una ninnananna con una chitarra.” Disse compiaciuto. Emily lo guardò con tanto d’occhi.

“No, mai.”

Georg si alzò e recuperò la propria chitarra acustica all’interno dell’armadio, poi tornò da Emily e lasciò che lei gli si accomodasse nuovamente in braccio.

“La conosci Little By Little degli Oasis?”

“Sì,” disse lei con entusiasmo. “Mi piace tanto, la mamma la ascolta sempre.”

Assurdo, ha una cultura musicale che potrebbe far impallidire perfino Gustav.

Georg posò la chitarra sulle gambe di una eccitatissima Emily e, da dietro di lei, la imbracciò.

“Allora,” annunciò. “Stasera sarà la tua ninnananna speciale.”

 

***

 

Nicole si stava davvero godendo l’uscita. Al di là del fatto che di serate di svago vere e proprie non ne vedeva da almeno un paio d’anni, il concetto in sé di trovarsi in una discoteca – per di più appartenente a sua sorella – in compagnia dei Tokio Hotel era pericolosamente prossimo ai confini dell’inimmaginabile.

Mai, nemmeno nelle sue più fervide fantasie ad occhi aperti, si era spinta tanto lontano, ed ora se ne stava seduta ad un tavolo con ben tre dei suoi più grandi idoli di tutti i tempi, e loro si comportavano come se la cosa non avesse alcunché di straordinario.

Nicole si era divertita, in macchina, a vederli camuffarsi: Gustav si era semplicemente infilato un cappellino, Tom aveva nascosto i suoi rasta dentro il cappuccio della felpa, e Bill, la chioma domata in una coda, si era tolto ogni traccia di trucco ed annodato una bandana rossa sulla testa.

Per la verità, Nicole riteneva che fossero perfettamente riconoscibili, ma la clientela del Random era tendenzialmente elitaria, e quindi, anche se non erano nell’area vip, c’era comunque un certo livello di discrezione – favorita anche dalla semioscurità che vigeva all'interno del locale – se non si contavano certi sguardi invadenti da parte di chi si ritrovava a passare accanto al loro soppalco riservato.

“Martini?” La cameriera era arrivata con le loro ordinazioni.

“Mio.” Disse Gustav.

“Mojito?”

Tom sollevò appena la mano e la donna gli porse il cocktail, poi afferrò gli ultimi due che erano rimasti sul vassoio.

“E a voi i due Baileys.” Disse a Bill e Nicole, porgendolo loro i due bicchieri. “Buona serata.”

“Devi fare i complimenti a tua sorella da parte mia,” disse Gustav, guardandosi intorno. “Ha davvero buon gusto con gli arredamenti.”

A Nicole per poco non andò di traverso il suo drink. Si era completamente scordata della sorella.

Non appena aveva sentito che non solo i Tokio Hotel erano stati in ben due delle sue discoteche, ma che addirittura ci sarebbero tornati quella sera, Brenda era stata presa da una delle sue crisi isteriche e si era lagnata per ore dell’importantissima cena di lavoro che la aspettava e che l’avrebbe tenuta lontana dal club almeno fino all’una.

“Non ti azzardare a permettere a uno solo di loro di andarsene prima che io mi faccia viva,” aveva gracchiato, isterica. “Parola mia, sorella, se quando io arrivo i quattro angeli dell’Apocalisse non sono lì ad aspettarmi, tu non avrai più pace per il resto della vita!”

“Allora,” esclamò Tom, una volta tracannato il suo cocktail in un fiato ed aver rumorosamente piantato il bicchiere sul tavolo. “Credo sia giunto il momento che tu ti diverta veramente, Nicole, quindi mi sento in dovere di onorarti con un invito a ballare.”

Nicole deglutì agitata.

Riesco a stento a reggermi in piedi, come diavolo si aspetta che io possa ballare?

Ma prima che lei potesse anche solo pensare a che cosa rispondere, Bill si alzò in piedi e le afferrò una mano, trascinando in piedi anche lei.

“Niente da fare, fratellino,” disse a Tom. “Nicole adesso balla con me.”

“Aspetta un attimo, che storia è questa?” si oppose Tom, e l’altro rispose con un sorrisetto saputo.

“Il primo ballo l’ha promesso a me.”

“Ma dove?” sbottò Tom, irritato.

“In macchina.”

Tom afferrò la mano libera di Nicole e la tirò dalla sua parte.

“Ti faccio presente che in macchina c’ero anch’io, e non ricordo di averla vista apporre firme su contratti vincolanti!”

“Va bene,” asserì Bill alla fine, e Tom allentò la presa su Nicole. “Vorrà dire che ballerà con me perché sono più bello.” E con un rapido scatto, senza dare al fratello il tempo di reagire – né a Nicole quello di rendersi conto della situazione –  trottò giù dai pochi gradini che separavano il soppalco dal resto del locale, portandosi dietro una disorientatissima Nicole, la cui testa girava come un trottola impazzita.

Tutto questo non sta succedendo, si disse, seguendo Bill come in un sogno. Non sta affatto succedendo…

Ma poi Bill, nel bel mezzo della pista, la cinse in vita e si mise a ballare sulle note leggere e sensuali di Sly dei Massive Attack, e Nicole percepì nettamente il contatto del proprio bacino contro il suo, e a quel punto divenne atrocemente palese che tutto ciò che stava vivendo in quel momento stava succedendo.

Con un mezzo sorriso, Bill guidò le sue mani ad allacciarsi dietro il proprio collo, e, arrossendo, Nicole avvertì la fragranza lieve del suo profumo, che la inebriò come il Baileys che aveva lasciato al tavolo non era riuscito a fare, ed il resto del mondo scomparve, lasciando solo loro due e il sottofondo della canzone.

Vi prego, non svegliatemi.




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Note: Non so più da dove cominciare con i ringraziamenti, sul serio, perché siete tutti così gentili che le umane parole non bastano per esprimervi la mia riconoscenza. DANKE dal più profondo del cuore a susisango, Muny_4Ever, ..GiNgi..GuToBiNa.., nihal_chan, FrancescaKaulitz, _PuCiA_, dark_irina, lilistar, CowgirlSara, Clodie, kit2007, picchia, kag92, LiSa90, shine_angel, ruka88, _martuccia_, loryherm, eddy, Zickie, Camuz e Bell_Lua. Particolare attenzione vorrei dare a MissZombie e LadyVibeke, che mi hanno onorata con due recensioni che in tutta onestà mi sarò riletta centinaia e centinaia di volte, perché è tutto ciò che una scrittrice appassionata come me sogna di sentirsi dire. Grazie, ragazze, sono immensamente lusingata e lieta che il mio lavoro sia così apprezzato.
Spero che anche questo capitolo sia di vostro gradimento. Le cose cominciano a farsi interessanti, si direbbe, eh? ^^ Mi raccomando, continuate a recensire, per me è davvero importante.

Tschüss, e alla prossima! ;)

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Capitolo 6
*** A Modest Proposal ***


Più Tom guardava Bill e Nicole, meno capiva cosa stesse succedendo veramente.

Bill che accettava di ballare con una ragazza era un evento sensazionale (anche perché, detto con tutto l’affetto possibile, Bill non era esattamente portato per il ballo da discoteca), Bill che proponeva ad una ragazza di ballare era qualcosa che Tom non aveva mai visto e mai avrebbe creduto di vedere, ma Bill che addirittura insisteva per poter ballare con una ragazza… Be’, quello era qualcosa che proprio non era possibile concepire.

Eppure è lì, con lei, davanti ai miei occhi.

Qualcosa non tornava.

Tom conosceva bene se stesso, e dunque conosceva bene anche Bill, e aveva fermamente creduto che le attenzioni che suo fratello aveva finora rivolto a Nicole fossero del tutto disinteressate ed amichevoli, ma ora un principio di dubbio gli si stava insinuando nella testa. Insomma, lui aveva voluto portare Nicole da qualche parte per i soliti tre motivi basilari per i quali degnava di attenzione una ragazza: era bella, era bella, era bella; ma Bill… Bill in genere parlava alle ragazze con la beata ingenuità di un minorato cerebrale, come se quelle che gli capitavano davanti non fossero dei bei bocconcini appetitosi in sua adorazione, ma ordinari esseri asessuati che lo trovavano semplicemente simpatico.

Detto in altre parole, Bill non aveva mai fatto nulla di concreto ed esplicito per smentire tutte quelle ridicole voci sulla sua presunta ambiguità sessuale.

Che siano queste le sue vere intenzioni?, si domandò Tom, sospettoso. Siamo gente famosa in un locale famoso… Magari c’è sempre qualche giornalista scandalistico infiltrato, e…

Ma, no, non aveva il minimo senso. Bill era una mente troppo elementare per arrivare ad architettare certe manovre machiavelliche, e per di più nemmeno gli importava dei pettegolezzi.

L’unica possibilità rimanente era, se possibile, la più eclatante.

Che si sia finalmente messo fare il vero uomo e a pensare con quello che ha in mezzo alle gambe?

***

Nicole fissava la spalla destra di Bill, stretta a lui in un lento micidiale per i pochi neuroni di cui ancora disponeva, incapace di spostare lo sguardo altrove, per timore che le proprie ginocchia potessero cedere definitivamente e farle fare una figura ben poco lusinghiera davanti all’idolo per eccellenza.

Seguiva come sotto una strana ipnosi il ritmo voluttuoso della canzone, ascoltandone le parole con una sorta di udito secondario, mentre quello primario era fin troppo impegnato a seguire i battiti irregolari del suo cuore e i respiri tranquilli di Bill.

Solamente poco più di ventiquattr’ore prima era stata ad ammirarli in un’arena assieme ad altre migliaia di persone, e ora era lì, assieme a loro, come se la cosa fosse del tutto normale, come se fosse una di loro da sempre, ed ancora persisteva la sensazione che da un momento all’altro la sveglia sarebbe suonata e tutto sarebbe svanito nel nulla

Sto ballando con Bill Kaulitz, si ripeteva, sempre più incredula. Io, Nicole Sandberg, sto ballando con Bill Kaulitz.

Le mani di Bill le sfioravano i fianchi e la schiena, quasi fosse importante averla così vicina, e lei si sentiva i suoi occhi puntati addosso, ma non osava contraccambiare, ed anche se la voce del buonsenso non faceva che ripeterle che era, dopotutto, solo un semplice ballo, e non significava proprio un bel niente, e che, in ogni caso, era inutile e, anzi, perfino dannoso ricamarci sopra, il suo lato sognatore e romantico – quello che era stato forzatamente represso così a lungo – offuscava tutte queste sagge riflessioni ricordandole che quello che stava vivendo non era normalmente concesso alle comuni mortali come lei.

“Ti stai divertendo?” le domandò la voce gentile di Bill. Un brivido corse lungo la spina dorsale di Nicole mentre lei si imponeva di riuscire a guardarlo in faccia almeno per un momento.

“Sì,” rispose, prima ancora di riflettere, incontrando il nocciola delle sue iridi. L’effetto fu un istantaneo senso di smarrimento. “Era parecchio che non mi godevo una serata come questa, e che non uscivo con un ragazzo.”

Il semplice pensiero le fece stringere il cuore. Era uscita con qualcuno, di tanto in tanto, ma alla fine la reazione era sempre la stessa: non appena venivano a sapere di Emily, si dileguavano tutti come topi in presenza di un gatto affamato.

“Be’, sei particolarmente fortunata, stasera,” disse lui. “Ben tre ragazzi a tua completa disposizione.”

Nicole si sentì un’improvvisa arsura in bocca. Avrebbe voluto che qualcuna delle sue vecchie compagne di liceo fosse stata lì a guardarla, giusto per ripagarle un po’ di tutta la solidarietà che le avevano dimostrato alla nascita di Emily.

“Siete pazzi, tra parentesi. Sprecare così la vostra serata libera…”

“Sprecare?” Bill sembrava genuinamente stupito. “Ma tu hai dea di quanto siano noiose di solito le nostre serate, libere e non?”

“Accidenti, se siete così repressi e disperati, dovrei farvi da consulente più spesso.” Scherzò lei, ma Bill si fece serio.

“Fallo.”

Nicole batté le ciglia perplessa.

“Che cosa?”

“Diventa il nostro nuovo tecnico delle luci.”

Nicole era convinta, con una certa percentuale di sicurezza, di aver compreso male.

Che razza di scherzo di cattivo gusto è questo?

Eppure, da come Bill aveva parlato, non sembrava una cosa buttata lì per caso, non sembrava uno scherzo. Non lo sembrava affatto.

“Non è divertente.” Disse bruscamente, divincolandosi da lui, ma Bill la afferrò per un polso e la trattenne, lo sguardo stranito.

“No, sul serio,” ribadì con più fermezza. “Non hai un lavoro, no? Sarebbe perfetto: dovresti solo assicurarti che qualche riflettore sia posizionato bene e poi avresti un sacco di tempo libero da dedicare ad Emily. E saresti pagata.”

Nicole avrebbe preferito non sentire. La inquietava anche solamente pensare ad una simile eventualità. Lavorare per i Tokio Hotel era qualcosa per cui milioni di ragazze avrebbero volentieri dato uno o più organi vitali, e la sua occasione era lì, proposta da Bill Kaulitz in persona, vantaggiosa ed invitante, e terribilmente spaventosa.

“Andiamo,” proseguì lui. “Tu ci piaci, ci piace tua figlia, e sei sicuramente più brava di quella sottospecie di ameba cerebrolesa che abbiamo assunto il mese scorso.” Le sorrise. “Non ti piacerebbe?”

Non capisci… Tu non puoi capire, non sai cosa significa…

Ma più Nicole faceva appello alla propria ragione, più questa veniva eclissata da una crescente, incontrollabile euforia istintiva. Ma non poteva cedere all'incontrollabilità delle emozioni: per il bene proprio e di Emily, aveva da tempo imparato a tenere i piedi ben saldi a terra e lasciare le nuvole a coloro che potevano permetterselo.

“Non lo so, Bill,” mormorò, spostandosi al bordo della pista. “L’idea mi alletta, ma… Ho cercato per quattro anni di tenere separati realtà e fantasie, e già essere qui con voi – con te – adesso, sconfina fin troppo nella parte proibita. Sarebbe troppo.”

Bill appoggiò la schiena al muro con fare disinvolto.

“Allora perché non – che so – non fai un periodo di prova?” suggerì con una scrollata di spalle. “Una settimana, giusto per conoscere i nostri ritmi, vedere come funziona…” le rivolse un’occhiatina esitante. “Ad Emily piacerebbe.”

Nicole sospirò, frustrata.

Sì, anche a me piacerebbe, e non immagini quanto.

Al posto suo, qualunque altra avrebbe urlato un ‘Sì’ istantaneo e si sarebbe messa fare salti di gioia da oro olimpico, ma lei non era qualunque altra, lei era Nicole, e non poteva prendere una decisione come quella alla semplice luce dei propri desideri. No, quella era una cosa a cui aveva dovuto rinunciare da un pezzo.

Persa in mille considerazioni, decise di prendere tempo.

“A David hai parlato di questa tua idea?”

“No,” rispose Bill. “Ma a giudicare dal suo entusiasmo verso il tuo operato, direi che in questo momento sarà da qualche parte ad erigerti un monumento,” Una breve risata, che a Nicole ricordò molto quelle di Emily. “So che sarà d’accordo.”

E la guardava… La guardava con quello scintillio vivace negli occhi, e Nicole, per quanto ci provasse, non riusciva a seguire un filo logico di pensiero.

“Ci penserò sopra.” Esalò infine.

“Esiste qualche efficace metodo di corruzione?” indagò lui, sollevando un sopracciglio.

“Un Bloody Mary, per cominciare,” rispose lei. “Poi ti farò sapere.”

“E io che ti credevo diversa dalle altre…” fece Bill, schioccando la lingua con disappunto.

“Prego?”

“Ho capito il tuo gioco: vuoi farmi ubriacare per approfittarti di me,” L’ombra di un sogghigno gli incurvò le labbra, rendendolo più simile che mai a Tom. “Ma guarda che non serve.”

La mandibola di Nicole cedette e la lasciò a bocca aperta, colta alla sprovvista davanti a quella battuta un po’ troppo audace.

Se non lo conoscessi, penserei che ci sta provando con me, pensò, allibita. Ma in effetti io non lo conosco…

Il modo di porsi di Bill era sempre molto spigliato ed amichevole, quasi infantile, ma in quel momento, vestito di nero da capo a piedi sotto alle luci violacee del Random, sembrava più adulto e maturo che mai. Un uomo, con tutto ciò che la cosa implicava, a tutti gli effetti.

Un gran bell’esemplare di uomo, per giunta, anche se decisamente atipico.

“Tempo scaduto, fratellino.” Tom era spuntato dal nulla assieme a Gustav ed aveva posto un braccio attorno alle spalle di Nicole. “Adesso lascia che mostri alla nostra ospite cosa significa divertirsi sul serio.”

Sulla pelle nuda di Nicole, i muscoli di Tom erano perfettamente sensibili, anche attraverso la maglietta. Aveva una struttura fisica più mascolina di Bill, più massiccia, anche se a vedersi sembravano identici, ma Tom era – in accordo con i gossip e le dicerie – decisamente più virile del fratello.

Certo, in confronto a Georg, non è niente…

Già, Georg…

Mentre Tom la riportava in pista, lasciando Bill e Gustav a guardare, Nicole si domandò come se la stesse cavando il membro mancante con Emily.

“Sei molto più sciolta di quel che sembravi con Bill,” commentò Tom, risollevando in fretta lo sguardo dalla sua scollatura, ma senza imbarazzo. “Ritiro tutte le osservazioni che ho fatto alle tue spalle sulla tua goffaggine: non sei tu, è mio fratello che ti inibisce.”

Una serie di battute sulla disinibizione attraversò la mente di Nicole, ma lei ritenne che non fosse il caso di esternarle e dare a Tom l’impressione – forse nemmeno del tutto sbagliata – che lei volesse flirtare.

Capisco perché ti chiamano Sex Gott, gli disse mentalmente, mentre lui le sfiorava le braccia e le spalle. Ce l’hai scritto in faccia che sei un pervertito, ma sai giocare questo ruolo con un certo stile.

Stranamente, ballare con Tom dava una sensazione diversa. Si sentiva davvero più sciolta, più libera di essere se stessa e lasciarsi andare, libera di divertirsi senza pensare ad altro se non al divertimento stesso – e al piacere – che la cosa le procurava.

Le tornarono in mente le parole di una canzone che amava, e che sembrava scritta apposta per accompagnare i suoi pensieri in quel momento.

Vorrei che questa notte durasse una vita…

***

Erano le sette inoltrate del mattino quando Nicole, Bill, Tom e Gustav uscirono dall’ascensore che conduceva al quarto piano dell’hotel. Tutti e quattro ridevano, e tutti e quattro cercavano, pur non riuscendoci, di non fare rumore.

Reduce da quella che era stata la serata più bella dacché avesse memoria, Nicole si guardava intorno pensando che non avrebbe mai più avuto la faccia tosta di lamentarsi dell’ingiustizia della vita: dopo tutto quello che aveva passato, finalmente un po’ di bene le stata finalmente tornando indietro. Fra l’altro, ciliegina sulla torta, Brenda non era riuscita a liberarsi dalla cena di lavoro, alla fine, risparmiandole così delle imbarazzanti presentazioni e patetiche scenate da ragazzina invasata.

Sei grande, karma.

Ovviamente, se fosse andata in giro a raccontare che aveva ballato e chiacchierato per tutta la notte con tre quarti del gruppo più acclamato del momento, nessuno le avrebbe creduto, ma si accontentava del bellissimo ricordo che quell’esperienza le avrebbe lasciato, e dentro di sé gioiva del semplice fatto che aveva appena avuto modo di avere un assaggio di qualcosa che la maggior parte delle sue coetanee poteva soltanto sognare.

E dì grazie, Nicole.

Arrivati davanti alla stanza cinquecentoventisette – la stanza di Georg – Gustav si mise a frugare nelle proprie tasche e in pochi secondi ne estrasse quattro schede magnetiche.

“Tengo io una copia delle chiavi di tutti,” spiegò, cercando quella giusta. “Questi tre incapaci dimenticano le loro ogni due per tre.”

Nicole soffocò una risata con una mano, mentre guardava Gustav inserire la scheda all’interno della fessura sopra la maniglia per poi estrarla con delicatezza. La porta si aprì.

Entrarono uno dopo l’altro, cercando di essere il più silenziosi possibile, e si fermarono all’ingresso.

“Hey, guardate là!” sussurrò Bill, indicando il lato opposto della stanza.

“Oh, ma guardateli…” sospirò Tom, enfatizzando il tono melenso.

Georg ed Emily erano addormentati sul divano, l’una in braccio all’altro, e una chitarra giaceva ai loro piedi. Avevano entrambi un’espressione serena, ed ispiravano un senso di pace diffuso.

“Non saprei dire chi dei due sia il più tenero.” Disse Gustav sottovoce.

“Io vado a farmi una sigaretta, prima di lasciarmi andare alla commozione.” Disse Tom, ridacchiando, ed uscì dalla stanza. Bill lo seguì.

“Te ne avanza una, Tomi?” lo sentì chiedere Nicole, mentre si allontanava.

“Fottiti, scroccone!” rispose la voce distante di Tom.

“A questo punto ne approfitto anch’io,” disse Gustav. “Ti lascio sola con i due pargoli, se non ti spiace.” Aggiunse, lanciando un’occhiata divertita verso Georg, poi se ne andò.

Nicole si avvicinò lentamente al divano, sorridendo deliziata di fronte a quella scena così peculiare.

Si rese conto con piacere, ed anche un certo sollievo, di aver mal giudicato le capacità di Georg, forse per via della sua aria da bel tenebroso, o forse, semplicemente, perché era stata troppo impegnata ad ammirare la bravura che dimostrava Bill nel sapersi rapportare con Emily per poter notare che qualcun altro ne disponesse.

Si sedette con attenzione sul divano e fece per svegliare Georg, ma, per qualche oscuro motivo, non ci riuscì. Lui ed Emily erano un quadro perfetto, che Nicole si sorprese a rimirare quasi con rammarico, una fitta di nostalgia ingiustificabile.

Mi dispiace che tu non abbia potuto avere tutto questo, si rammaricò, studiando la posa pacifica di Emily. Mi dispiace tanto…

Cercò di scacciare quel pensiero dalla mente non appena sentì gli angoli degli occhi che cominciavano a bruciarle. Inspirò profondamente e si morse il labbro, riacquisendo il pieno controllo emotivo. Accanto a lei, Georg si mosse nel sonno.

Grazie di avermi permesso di godermi questa notte. Nicole sperava che lui potesse recepire i messaggi telepatici. E grazie per esserti preso cura di lei.

Quando il suo sguardo tornò a posarsi sul volto di Georg, Nicole si ritrovò a fissare un paio di iridi di una fin troppo familiare tonalità di verde: i suoi occhi, notò per la prima volta, erano dell’esatto colore di quelli di Emily.

Perché non ci ho mai fatto caso, prima? È anche piuttosto lampante…

“Scusa,” mormorò in un soffio. “Non volevo svegliarti.”

“Non importa,” rispose lui, la voce impastata dal sonno. Si tirò su dallo schienale, ben attento a non svegliare Emily, e socchiuse gli occhi per via della luce che entrava ormai a fiotti dalle finestre. “Che ore sono?”

“Le sette passate.”

Georg parve piuttosto sorpreso.

“Ve la siete proprio goduta fino in fondo, eh?” osservò malizioso. “Chissà che avete fatto, voi quattro, sguinzagliati per Parigi… Soprattutto conoscendo Tom…”

Nicole gli diede un colpetto scherzoso sul braccio con il dorso della mano.

“Non ti permetto di fare insinuazioni,” si difese. “Tu, piuttosto, come te la sei cavata?”

Non sapeva spiegarsi il perché, ma la costante tensione che l’aveva attanagliata per tutta la notte, improvvisamente, era sparita, lasciando posto ad una gradevole sensazione di rilassatezza.

“Benone, direi.” Rispose Georg senza il minimo indugio.

Si era aspettata ogni genere di risposta, ed era più che certa di aver previsto ogni sorta di reazione, ma fu con una strana sensazione di vuoto allo stomaco che guardò Georg posare dolcemente Emily sul divano, afferrare la propria giacca dalla poltrona lì accanto e coprirla.

Un gesto semplice, naturale, a cui molti nemmeno avrebbero fatto caso, ma che sottolineò per Nicole tutto quello che le mancava, e che avrebbe tanto voluto avere. Un vuoto da riempire.

Perché aveva passato anni ad immaginare di avere accanto a sé un ragazzo che giocasse con Emily come faceva Bill, che le accarezzasse i capelli come stava facendo Georg adesso, e faceva insopportabilmente male sapere che sarebbe sempre e solo rimasta mera immaginazione.

“Va tutto bene?” le domandò Georg, scrutandola preoccupato.

Nicole si riscosse dai propri pensieri e si affrettò ad annuire con tutta la convinzione che le riuscì.

“Sì, è che non sono abituata a questi orari sballati.”

Non si era ancora vista allo specchio, ma a giudicare da come le bruciavano gli occhi, doveva avere delle occhiaie spaventose, e probabilmente anche il solito colorito cadaverico di quando faceva le ore piccole.

“Ti posso offrire un caffè?” le propose, avvicinandosi all’angolo bar del salottino.

Nicole si passò una mano sul viso, sorridendo suo malgrado.

“Faccio così pena?”

“Non particolarmente,” assicurò lui, digitando qualche cosa sulla macchinetta del caffè. “Ma non sprizzi proprio energia e vitalità da tutti i pori, diciamo.”

Lei accettò.

“Sei stato gentile a badare ad Emily.”

“È stato un piacere, non ti preoccupare. È un amore.”

La macchinetta del caffè emise un acuto bip prolungato. Georg prese il bicchierino e lo porse a Nicole, la quale lo accolse con enorme sollievo.

“Quindi non mi farai causa per averti lasciato in balia della mia piccola mina vagante?”

Il modo eloquente in cui Georg sorrise ed inarcò il sopracciglio fece saltare un battito al cuore di Nicole. Per un attimo – un brevissimo, fugacissimo attimo – il filo della conversazione divenne una matassa annebbiata dimenticata in un angolo della sua mente.

Fin da quando aveva conosciuto i Tokio Hotel, era sempre stata così presa da Bill, che non si era mai accorta dell’inaspettata simpatia di Gustav, della sfacciata socievolezza di Tom, e, ora, anche del silenzioso fascino di Georg.

Cos’altro non mi sono mai presa la briga di sapere su di loro? Quanti altri loro lati nascosti mi perderei, se la storia finisse qui?

Il paradosso della risposta la turbò più di quanto fosse disposta ad ammettere.

“Lo sai,” disse Georg, sorseggiando il suo caffè. “Credo che lascerete un certo vuoto, tu ed Emily. Vi conosciamo da poco più di un giorno, ma a quanto vedo vi siete ambientate abbastanza bene.”

Il tempo sta per scadere, e io non so veramente cosa sto lasciando andare…

“Magari vi passiamo a trovare a Lipsia, una volta finito il tour…”

Solo metà del cervello di Nicole ascoltava le parole di Georg; l’altra metà era impegnata in complicate riflessioni che si battevano con desideri istintivi ed emozioni non del tutto comprese o identificate per avere il sopravvento.

E il ricordo di quello che aveva detto Bill si faceva prepotentemente strada in tutto quell’intrico frastornante, una subdola, irresistibile tentazione che diventava più forte di lei di secondo in secondo, corrompendo un già di per sé debole buonsenso.

“Non ti piacerebbe?”




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Note: Un milione di grazie a tutti voi che avete letto e commentato, soprattutto a RubyChubb (anche se ancora non ha commentato ^^), Hermyone e loryherm, che addirittura mi hanno scritto delle bellissime email con dei complimenti in seguito ai quali, sappiatelo, mi sono montata la testa. Inoltre, mi trovo a dovermi inchinare davanti alle recensioni particolarmente lusinghiere lasciate da Bell_Lua, Gufo, Lady Vibeke (mi inQUino, maestra), ..GiNgi..GuToBiNa.., susisango, MissZombie e billakaulitz85, ma anche a quelle un po' più succinte ma ugualmente lusinghiere di Camuz, dark_irina, Muny_4Ever, LiSa90, shine_angel, kag90, Clodie, billie94, _PuCiA_, Hizu e Chiara88. VIEL DANKE, LEUTE! Vi prego, continuate ad essere così supportivi, non smetterò mai di ripeterlo, perché è fondamentale. ;)
Un bacio, e a presto!

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Capitolo 7
*** Jump In The Dark ***


“Tu che cosa?”

Lo strillo di Brenda, Nicole ne era sicura, era stato sentito fino a quindici piani più sotto, e probabilmente anche nella metropolitana. Non che non avesse previsto la cosa, ma la portata delle reazioni di Brenda era variabile e del tutto imprevedibile, e stavolta doveva addirittura aver passato la normale soglia massima.

“È solo una settimana, Bree,” ribatté Nicole, mentre lei se ne andava avanti e indietro per tutta la cucina, alle prese con la preparazione di un’improbabile sformato di verdure. “Non ti preoccupare.”

Brenda sbatté l’anta del frigo e si portò una ciocca di capelli dietro l’orecchio con una certa stizza.

“Preoccuparmi?” berciò, quasi ansimando. “E chi si preoccupa?” Mollò la bottiglia di vino bianco sul bancone e si piantò le mani sui fianchi. “Io non sono preoccupata, sono disgustata da questa tua lurida, vergognosa, sfacciatissima fortuna, e sconvolta dal fatto che tu abbia addirittura dovuto rifletterci sopra!”

Nicole era indecisa se ridere o darsi per spacciata. Brenda era a dir poco ridicola con i suoi vestiti firmati e quell’orrido grembiulino rosa, tutto pizzi e trine, e sicuramente la cucina non era il suo ambiente, ma la cuoca era in malattia, e Gabriel sarebbe stato ospite a pranzo, quindi si era deciso di tentare. E fallire, a quanto pareva.

Forse Nicole avrebbe dovuto scegliere un momento meno caotico per informarla del fatto che avrebbe fatto da tecnico delle luci per i Tokio Hotel per la settimana successiva. Forse avrebbe dovuto limitarsi a raccontare della serata al Random, o magari svicolare anche quella.

“Non sei degna dell’onore che ti è stato concesso, sorellina,” stava farneticando Brenda, cercando di capire come si usasse il forno. “Ma proprio per niente! È proprio vero che chi ha il pane non ha i denti.”

Nicole la scrutò a braccia conserte.

“Hai finito?”

“No, aspetta, mi manca il sospiro frustrato finale e la parte in cui mi sparo in bocca con una nove millimetri.”

Nicole volse gli occhi al cielo e, mossa a pietà dalla completa incompetenza di Brenda, accese il forno, poi si palò davanti a lei con tutta la determinazione possibile.

“Ti spiacerebbe far finta di essere una matura sorella maggiore, solo per un momento, e lasciarmi spiegare?”

Brenda emise un sospiro un po’ troppo simile ad un ringhio, ma la assecondò.

“Sono tutta orecchie, anche se il mio stato di indignata alterazione permane,” le puntò un dito sporco di farina contro. “E ti avverto che non se ne andrà tanto presto.”

E Nicole raccontò del discorso che le aveva fatto Bill, e di quanto a Emily fosse piaciuto trascorrere qualche ora con Georg.

“Avrò bisogno di un lavoro, prima o poi,” aggiunse alla fine. “Insomma, è… È un’esperienza formativa giusto? Mi sarà utile.”

Brenda sbuffò.

“Utile, ma certo,” Sarcasmo, ironia, e quant’altro potesse esprimere scetticismo emanava dalla sua voce. Estrasse un pacchetto si sigarette dalla tasca del grembiule, ne estrasse una e se la accese sul fornello. Si tranquillizzò dopo la prima boccata, massaggiandosi la fronte con la mano. “D’accordo, si tratta della tua vita, delle tue decisioni, e ti reputo abbastanza matura da cavartela da sola.”

Nicole le sorrise, piena di gratitudine. Brenda poteva anche essere una pazza isterica, a volte, ma sapeva il fatto suo: nonostante la scenata in merito a fortuna e simili, era chiaramente consapevole dell'importanza della situazione.

“Solo, non ti affezionare troppo a loro, Nicky,” aggiunse, con una serietà che raramente Nicole le aveva visto usare. “Lo so che non sei un’ingenua, ma la storia della fan e della rockstar è solo una bella favola per ragazzine.” Una pausa di enfasi, lunga quanto bastasse perché Nicole potesse avvertire un profondo senso di disagio. “Tu non sei Courtney, e Bill non è Kurt, quindi vedi di non perdere il contatto con la realtà.”

Nicole era impietrita, anche se un discorso simile se l’era già fatto almeno un milione di volte, e comunque non aveva mai creduto a quella favola. La favola di Kurt Cobain e Courtney Love, della celebrità e della groupie. La favola senza lieto fine.

Tutt’al più poteva credere alla favola di John Lennon e Yoko Ono – la fine dei Beatles – ma era una brutta favola a cui pensare, in quel momento, e nemmeno quella aveva un lieto fine.

“Voglio solo conoscerli meglio, Bree.” Fiatò, più verso se stessa, che verso Brenda. “E se il lavoro dovesse piacermi, non mi dispiacerebbe che mi assumessero.”

Ma l’altra scuoteva la testa, per niente persuasa.

“E cosa mi dici di Emily?” incalzò. “Te la vuoi portare dietro così, come un bagaglio qualsiasi?”

Non osare darmi della cattiva madre, non te lo permetto, pensò, punta nel vivo.

“È stata lei ad insistere perché accettassi.”

“E tu pensi che una bambina di quattro anni sappia che cosa è meglio per lei?”

“Non la sto portando al macello, Bree!” gridò Nicole esasperata, gli occhi che le bruciavano. “È solo una stupidissima settimana in tour con dei ragazzi che adora!”

Brenda sembrò quasi urtata dal suo tono, ma, dopo un istante di esitazione, le fece cenno di tacere.

“Abbassa la voce, Emily ti sentirà.”

“Emily è in camera ad ascoltare i suddetti ragazzi che adora, e non sentirebbe nemmeno la terza guerra mondiale.” Prese un paio di profondi respiri, e proseguì con più calma. “Ascolta, lo so che può sembrare avventato, ma ci ho riflettuto non poco, e tentare non costa nulla, no?”

“No, hai ragione.” Concordò Brenda, abbassando lo sguardo. Quando lo risollevò, sorrideva. “Va bene, dopo pranzo, se mai ci sarà un pranzo, ti darò una mano a fare i bagagli.”

Un enorme peso si dileguò dalla coscienza di Nicole. per lei era importante avere la piena approvazione della sorella.

“Grazie,” disse, rincuorata.

“Poi magari, se a Gabe non dispiace, vi accompagniamo in aeroporto.”

Nicole rise: Brenda voleva a tutti i costi incontrare i ragazzi.

“Hey, che cos’è questa puzza?”

Brenda trasalì come se avesse preso la scossa e si chinò sul forno, da cui usciva un sottile filo di fumo grigiastro.

“Cazzo!” tirò fuori la teglia abbrustolita e la sbatté sul bancone con un’imprecazione indispettita. Il pranzo era andato, e Gabriel sarebbe stato lì a minuti. “Nicole?” rantolò, rassegnata.

“Sì?”

“Chiama il take-away, dì che è un’emergenza.”

 

***

 

“Ricordatemi perché siamo qui.” Borbottò Tom, stravaccato in una poltroncina dell’area di attesa dell’aeroporto che era stata loro riservata.

“Perché arrivare a Vienna in pullman sarebbe giusto un pelino complicato.” Replicò Bill acido, praticamente sepolto da sciarpa, cappellino e occhiali da sole oversize.

Gustav si preparò psicologicamente allo scoppio dell’ennesimo scontro tra Kaulitz. Un diverbio più o meno acceso tra i gemelli era ordinaria amministrazione, soprattutto quando c’era un’imminente partenza. Stress da viaggio, diceva David. In genere i due si scambiavano qualche insulto, opportunamente intervallato da raffinati intercalari, fino a che la voglia di litigare scemava e Bill metteva su un broncio brevettato che avrebbe suscitato tenerezza anche in un pezzo di marmo, figurarsi nel suo amato fratellone.

“Allora spiegami a cosa ci serve il tourbus, se tanto facciamo su e giù dagli aerei la metà del tempo!” stava dicendo Tom, anche lui nascosto dagli occhiali da sole. L’unico a non portarli, in effetti, era Gustav, che sedeva con Georg poco lontano da Bill, il quale stava facendo il verso al fratello.

“Per l’altra metà del tempo, magari?”

Che qualcuno li spenga, pregò Gustav, coprendosi le orecchie.

“Che spreco di soldi.” Brontolò Tom, dopo aver vuotato la sua terza lattina di Red Bull.

“Disse il proprietario di una Cadillac da centomila euro.” lo schernì Bill.

“Novantamila.”

“Contavo anche i diecimila della riparazione al danno che hai fatto mentre la provavi.”

“Vaffanculo!”

“Non si dicono quelle parole!” intervenne una vocetta saccente che ormai tutti loro conoscevano bene.

“Emily!”

La piccola scrutava Tom dall’ingresso della saletta, le manine puntellate sui fianchi con fare contrariato. Accanto a lei c’erano Nicole ed una bella donna sulla trentina in tailleur rosso.

“Ciao,” Salutò Nicole, facendosi avanti, sospinta da quella che Gustav intuì dovesse essere sua sorella Brenda. “Scusate il ritardo.”

Nel caos di bagagli e gente che si alzava in piedi, Tom fu il primo ad andare ad accoglierle.

“Non ti preoccupare,” disse a Nicole con un gran sorriso, poi passò in fretta a Brenda, analizzandola da capo a piedi con un’espressione felina. “E tu devi essere…”

“Brenda,” completò la ragazza, stringendogli la mano con aria professionale. “È un piacere conoscervi!”

“Anche per me.” ricambiò Tom, leccandosi le labbra. Gustav gli diede una gomitata tra le costole mentre Brenda era impegnata a conoscere gli altri.

“Stai sbavando.”

Tom rise con tutta la malizia di cui disponeva.

“Prova a darmi torto.”

“Guarda che è fidanzata.” Gli rammentò a bassa voce.

“Sì,” fece Tom, sogghignando. “E allora?”

Gustav preferì ignorarlo.

 

***

 

Per Nicole la situazione, più che concretizzarsi, andava sempre più sul surreale: sua sorella che, finalmente, riusciva ad incontrare i ragazzi era un evento che poteva solo essere paragonato al papa che incontra il Dalai Lama. Fu divertente vederla praticamente arrivare all’estasi mistica mentre Bill la salutava entusiasta, e Nicole era certa di non sbagliarsi nell’affermare che lo avesse stretto per un paio di istanti in più del necessario. Ovviamente, visti i precedenti di Brenda, si era aspettata qualcosa di simile. Quello che non si era aspettata, invece, era un’altra cosa.

Quando arrivò – quasi distrattamente – a Georg, lo sguardo di Brenda divenne improvvisamente sorpreso e si fermò, restando in stand by per diversi, imbarazzanti secondi. Alla fine, avvolto in uno strano silenzio, fu lui a farsi avanti e a porgerle la mano con un sorriso incerto.

Brenda assecondò il gesto in modo del tutto assente, gli occhi che non riuscivano a restare concentrati su quelli di lui, ma che vagavano febbrilmente su ogni suo centimetro guardabile, quasi assaggiandolo. Nicole la vide indugiare dapprima sui capelli, raccolti in una coda sfilacciata che, impossibile negarlo, gli donava molto, poi giù, verso il collo e le spalle, scendendo per i pettorali ben risaltati dalla maglietta bianca, poi una rapida occhiata in basso, per ritornare infine in alto, sulle labbra, il tutto senza apparentemente inspirare o espirare una singola molecola di ossigeno.

Una radiografia alla Sandberg con fiocchi e controfiocchi, pensò Nicole, ridacchiando fra sé, e anche piuttosto indiscreta.

Osservando la sua espressione strabiliata, Nicole poteva quasi sentire quello che stava pensando la sorella.

“Dio santo, se il mio macellaio vendesse carne di prima qualità come questa, potrei diventare carnivora.”

Effettivamente, Georg in fotografia o sullo schermo poteva fare una notevole figura, ma dal vivo aveva un impatto visivo che a livelli estetici avrebbe stroncato la più pura idea platonica di Attraenza.

“Piacere di conoscerti, finalmente.” Le disse Georg con una stretta vigorosa. Brenda gli rivolse il suo classico sorriso da predatrice.

“Il piacere è tutto mio, credimi.”

Contrariamente a lei, Georg sembrava un po’ a disagio. Nicole era sicura che fosse più che abituato ad essere squadrato in lungo e in largo con la stessa espressione avida che gli stava ora riservando Brenda, solo che conosceva bene la propria sorella, e non era certo una novità che quel suo temperamento così esuberante riuscisse a mettere in soggezione anche il ragazzo più sicuro di sé.

Fu Saki ad andare, pur involontariamente, in soccorso di Georg.

“Credo sia ora di andare,” Annunciò dispiaciuto. “Abbiamo la precedenza di imbarco, dobbiamo sbrigarci.”

“Temo di essere piuttosto di corsa anch’io,” tubò Brenda, più civettuola che mai. “Sorella, nipote,” si volse verso Nicole ed Emily. “Abbiate cura l’una dell’altra.”

Abbracciò prima Emily e le diede un grosso bacio sulla guancia, che lei le restituì tirando su con in naso, poi passò a Nicole.

“Tu non fare nulla che io non farei,” le bisbigliò in un orecchio, stringendola a sé.

“Questo mi lascia un’ampia gamma di cose da fare.” Osservò Nicole, muovendo appena le labbra.

“In effetti è meglio che tu non faccia nulla che io farei,” si corresse Brenda, sciogliendo lentamente l’abbraccio. “Soprattutto con l’Adone dagli occhi verdi.” Aggiunse poi. “Tieniti pure la pertica sexy, se vuoi, il sesso ambulante lo voglio io.”

Certe volte era difficile credere che Brenda fosse la sorella maggiore e Nicole la minore, ma infondo quello

“Lo farò sapere a Gabriel.”

Un’occhiata penetrante di Brenda le fece capire che non fosse affatto uno scherzo, ma poi Brenda sorrise, e Nicole avrebbe giurato che ci fosse della commozione nel suo tono insolitamente pacato.

“Sul serio,” disse. “Tieni tutto sotto controllo, d’accordo?”

Rassicurandola meglio che poté, Nicole annuì.

“Farò il possibile.”

Brenda sembrava restia ad andarsene, ma alla fine dovette cedere alle pressioni di Saki.

“È stato un piacere, ragazzi,” salutò. “Buon tour, e tenetemi d’occhio le mie bambine.” E strizzò l’occhio. Tom fu il solo a ricambiare il gesto, ma lei parve soddisfatta.

Guardandola andare via, uno strano senso di nostalgia colse Nicole. Era sempre stata il tipo da affezionarsi facilmente alle persone, ma c’era un posto tutto speciale per Brenda nel suo cuore, e il pensiero che non l’avrebbe rivista per almeno un paio di mesi era atterrente.

“Gnocca, tua sorella.” Disse Tom, posandole una mano sulla spalla. Forse non era stato nelle intenzioni di Tom, ma la cosa allentò nettamente la tensione.

“Sì,” concordò lei, lasciandosi andare in una piccola risata liberatoria. “Lo dicono in molti.”

Nicole rimase ferma, mentre tutti quanti si avviavano verso l’uscita, carichi di borsoni.

Sto per fare uno dei più grandi salti nel buio della mia vita, rifletté, e non so cosa aspettarmi…

Perfino Emily, che si stava allontanando mano nella mano con Bill, sembrava più tranquilla di lei.

Avrò fatto la cosa giusta?

“Non preoccuparti,” Gustav le era apparso accanto, e le porgeva una bottiglietta d’acqua, sorridendo incoraggiante. “Andrà tutto bene.”

E forse era l’effetto calmante dei piccoli sorsi d’acqua fresca che le scesero lungo la gola, o forse la gentilezza avvolgente della voce di Gustav, ma Nicole, nonostante l’agitazione e la novità dell’esperienza che aveva davanti, gli credette.

 

***

 

Tom si stava divertendo parecchio nel vedere le espressioni entusiasmate di Nicole ed Emily mentre se ne stavano a rimirare Vienna da dietro i finestrini dell’auto. Se già di solito non si sarebbe detto che fossero madre e figlia, in quel particolare frangente sembravano più che mai due sorelle – o, meglio ancora, due amiche un po’ fuori dal comune – che ammiravano le attrazioni di un parco divertimenti.

Non era tanto Nicole a stupirlo, quanto più Emily: com’era possibile che una bambina di quattro anni fosse così interessata ai palazzi ed ai monumenti che si succedevano ai lati della strada uno dopo l’altro?

Cazzo, io alla sua età gli unici monumenti a cui ero interessato erano i nani da giardino dei vicini…

“Mamma, guarda!” Emily era saltata da una parte all’altra dell’auto in meno di un nanosecondo e si era fiondata al finestrino posteriore destro in un turbinio di boccioli biondi, buttandosi in braccio a Tom senza praticamente rendersene conto.

“Che bello, ci andiamo?” esclamò, le manine piantate sul finestrino, al di là del quale il celeberrimo Prater si metteva in mostra con tutte le sue giostre colorate e la folla di turisti che lo gremiva.

Appena l’autista si fermò al semaforo, Emily prese a saltare e strillare, inginocchiata sulle gambe di Tom.

“Hey, piano,” la ammonì lui, cercando di trattenerla, per di più piuttosto goffamente. “Guarda che le gambe mi servono, sai?”

Non ci sapeva fare con i bambini: non aveva la naturale attitudine da bambino cresciuto di Bill, né l’innata dolcezza di Gustav, né tanto meno la disinvoltura di Georg, e Tom si domandò perché loro tre, che erano così bravi con Emily, fossero tutti sull’altra auto, mentre lui, l’incapace, fosse invece lì con lei, a farle da tappeto elastico. C’erano due sole cose che lui sapesse fare veramente bene: suonare e sedurre ragazze, ma nessuna delle due gli sarebbe mai potuta tornare utile se per caso avesse dovuto badare ad una bambina, soprattutto una vivace come Emily.

“Non si fanno queste cose in macchina,” le disse, cercando di tenerla ferma. Una sola delle sue mani le copriva quasi metà schiena. “In macchina si sta buoni e seduti, come me e la tua mamma.” Sorrise a Nicole, la quale aveva assunto un colorito accesso sulle guance e scuoteva il capo a mo di scusa.

“Scusami,” fece Emily, sedendosi più composta, ma sempre sulle sue gambe. “Ecco, va bene così?”

Per la verità, non era proprio quello che Tom avrebbe voluto intendere, ma tutto sommato non era poi così male.

Emily era adorabile con quella minuscola salopette di jeans e la maglietta rossa, identica a quella che portava Nicole, e vestita così sembrava ancora più frizzante di quanto già non fosse.

“Tesoro, forse Tom starebbe più comodo senza il tuo dolce peso addosso.” Intervenne Nicole, ma Tom minimizzò.

“Non fa niente, non mi da fastidio. È più sicuro che se ne resti qui che sguinzagliata in giro per l’abitacolo.”

“Va bene,” acconsentì Nicole, poi puntò un dito ad Emily. “Ma se provi ancora a fare un salto come quello di prima, ti giuro che ti lego.”

“Forse dovremmo comprare una di quelle gabbie per cani…” suggerì lui, con aria complice. “La sistemiamo nel bagagliaio, secondo me ci sta comoda…”

Nicole sorrise impercettibilmente, senza tradire l’ostentata serietà che lei e Tom stavano esibendo di fronte ad una ormai calmissima Emily.

“Faccio la brava, promesso!” esclamò la piccola, allarmata, poi guardò in su verso Tom, gli occhioni sgranati. “Non ti do più fastidio.”

Tom non si era mai reso conto prima di allora che al mondo esistessero dei tipi di bellezza mozzafiato diversa da una donna ben attrezzata, ma ora che osservava Emily così da vicino, si rese conto, con una certa dose di vergogna, che molto probabilmente c’era molta altra bellezza al mondo di cui non era minimamente consapevole, e la cosa lo fece sentire, per la prima volta in vita sua, un superficiale.

“Non mi dai fastidio.” Le disse con un sorriso, che normalmente veniva accompagnato da esplosioni nucleari di urla e strilli micidiali, ma stavolta, per la prima volta dopo tanto tempo, fu un semplice sorriso che gli arrivò in risposta.

“Sei più carino quando non dici le parolacce e non dici quelle cose strane sulle bocce delle signorine.” Gli disse Emily, con un candore disarmante, mentre Nicole cercava disperatamente di non scoppiare a ridere. Tom le lanciò uno sguardo che implorava aiuto, ma lei arricciò le labbra, come per dirgli ‘Te la sei cercata’.

Sto prendendo lezioni di educazione da una pulce di quattro anni, pensò, sconcertato. Tra un po’ Bill verrà a spiegarmi da dove vengono i bambini…

Scambiò un rapido sorriso con Nicole, poi lei tornò a guardare fuori dal finestrino, e lui fece lo stesso. Nemmeno si rese conto che le sue braccia stavano tenendo Emily un po’ più forte.




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Note: Oook, e il capitolo 7 è andato. Se vi è parso un po' statico e noioso, chiedo scusa. Magari non è all'altezza degli altri, ma è una capitolo di transizione ed ho cercato di fare del mio meglio, visto che è un periodo molto pieno e devo rispettare una rigida gerarchia di priorità (ma un giorno sarò una scrittrice di professione, e le cose cambieranno! ^^). Un grazie immenso a tutti quanti, non so come ringraziarvi, le vostre chilometriche recensioni sono un vero toccasana per il mio cuoricino esausto. ;) A chi aveva richiesto un carattere più grande, devo purtroppo delle scuse, ma ho visto che ingrandendo il carattere anche di un solo punto, la pagina diventa enorme e difficile da leggere per via del dover continuare ad andare avanti e indietro con la barra, quindi il mio consiglio, a chi la scrittura piccola desse fastidio, è di fare un semplice copia-incolla in una pagina di word ed impostare la dimensione preferita. :)

Un bacio, e a presto!

P.S.: ho letto il commento di bluebutterfly, e, oltre a darle un caloroso benvenuto nella "Lullaby Family" (XD), voglio anche rassicurarla su quel "troppo buoni, troppo belli"... So di non essere ancora nota, in questo sito, ma dovete sapere che la mia indole è piuttosto sadica, e amo molto la corruzione di tutto ciò che è perfetto ed immcolato (chi ha orecchie per intendere, intenda ^^). Questa situazione relativamente 'bucolica' verrà meno molto presto, quindi mettetevi pure comodi ed aspettate con pazienza il giro di boa. ;)

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Capitolo 8
*** Little Touches Of Jealousy ***


C’erano aspetti della vita dei Tokio Hotel che Nicole aveva evidentemente ignorato, e altri che, semplicemente, non aveva mai considerato. Per esempio, non avrebbe mai e poi mai pensato che i ragazzi potessero avere giornate così fitte di impegni da avere a stento il tempo di sbocconcellare un panino tra uno spostamento e l’altro, o che spesso non riuscissero a dormire a causa del sovraccarico di stress.

Quella mattina Gustav non si era alzato per primo, come suo solito, ma aveva dormito fino a mezzogiorno a causa di un brutto mal di testa, e Bill e Tom avevano inaugurato la giornata con una litigata da manuale scatenata dal fatto che il primo aveva deciso che la musica in auto lo infastidiva, mentre il secondo aveva voluto a tutti i costi ascoltare il nuovo cd di Samy Deluxe nel breve tragitto che separava l’hotel dalla Wien Stadhalle. Il risultato era stato un pandemonio apocalittico, il cui strascico attuale consisteva in un reciproco ignorarsi ed essere inavvicinabili da chiunque non avesse desiderio di mutilazione istantanea di uno o più arti.

Mentre aiutava un paio di tecnici a disporre i riflettori nella giusta sequenza ed angolazione, Nicole gettava occasionalmente delle occhiatine fugaci ad Emily, che se ne stava seduta su uno dei sedili della sala deserta a disegnare, il suo Wilhem fedelmente accanto.

Erano a Vienna da solo poche ore, ma Emily, pur non essendo affatto abituata a viaggiare, ovunque andassero si comportava come se fosse a casa propria. Tutto sommato, Nicole trovava che fosse un bene.

“Bill, non rompere!”  esclamò la voce di Tom, sovrastando all’improvviso la generale confusione di sottofondo.

A Nicole ci volle un istante per individuare i due gemelli al centro del palco, che si fronteggiavano minacciosi. Nonostante sembrassero entrambi molto irritati, Bill sembrava particolarmente vulnerabile dalla presenza più imponente di Tom, ed era quasi buffo a vedersi, così arrabbiato, perché era uno stato d’animo che non gli si addiceva affatto: i suoi lineamenti delicati non erano compatibili con certe espressioni furibonde.

“E invece io rompo!” stava replicando Bill infiammato, picchiando un piede per terra. “Mi vorresti fare la cortesia di accordare quella dannata chitarra prima del soundcheck, la prossima volta?”

“Scusami se prima del soundcheck io stavo scarrozzando attrezzatura qua e là, mentre tu tracannavi Red Bull spaparanzato nel camerino!”

Nicole notò che Georg e Gustav, che osservavano in silenzio dalle rispettive posizioni, non seppero sopprimere un vago sorrisino di chiara compassione.

“E tu scusami se non posso correre il minimo rischio che mi vada via la voce se mi prendo un colpo d’aria!” gli urlò indietro Bill.

La spavalderia di Tom vacillò, ma troppo brevemente perché Bill potesse effettivamente vantarsi di aver segnato un punto. Infatti Tom ribatté in fretta:

“Se tu fossi abituato a faticare, probabilmente non saresti così delicatino, non ti pare?”

Bill afferrò di scatto l’asciugamano che aveva attorno al collo e glielo sbatté in faccia, piantando lui e il microfono in mezzo al palco in allestimento.

“Bravo, fai la mammoletta offesa!” gli gridò dietro Tom, la chitarra che gli pendeva da un lato. “Cresci un po’, cazzo!”

La risposta di Bill, che si allontanava dandogli le spalle, fu un gesto della mano che nessuno avrebbe mai potuto avere difficoltà ad interpretare. Nicole lo vide salire gli spalti a larghe falcate, fino a che non si lasciò cadere pesantemente su uno dei sedili, il cappellino calcato sugli occhi; la sua espressione diceva chiaramente: ‘Attenzione: mordo’.

Tom, nel frattempo, aveva abbandonato la chitarra a terra ed era scomparso chissà dove, lasciando Georg, Gustav e una serie di altre persone a scambiarsi occhiate di sopportazione.

Anche se le era stato abbondantemente preannunciato che situazioni simili fossero l’ordine del giorno, non si sarebbe mai immaginata che l’intero team potesse prenderla con tanta naturalezza.

“Va bene,” David era apparso sul palco, fumante di irritazione, e aveva sbattuto a terra la cartella con la scaletta. “Mezz’ora di pausa, e che qualcuno si procuri del valium, per favore!”

“David, lo sai che a Bill il valium fa male!” esclamò Georg, mentre appoggiava il basso ad un amplificatore.

L’altro si portò le mani alle tempie ed emise un rantolo sconfortato.

“Non per loro,” borbottò seccamente, allontanandosi. “Per me!”

Nessuno dei presenti riuscì a risparmiarsi una risata, ma a Nicole quell’atmosfera negativa non piaceva. Le ricordava quando era bambina e sentiva i suoi genitori discutere a voce un po’ troppo alta: più volte aveva seriamente temuto che si sarebbero separati, ma era troppo piccola per capire che la forza di un rapporto comprendesse il saper affrontare i problemi, a volte anche attraverso una lite.

“Non devi avere paura quando papà e io litighiamo, Nicole,” le diceva sempre sua madre con dolcezza. “Se due persone che si vogliono bene non bisticciano mai, forse stanno tenendo gli occhi chiusi davanti a qualche problema, sai?”

E Nicole, anche se molto piccola, lo aveva capito.

“Gente, chi vuole uno spuntino, sia dia una mossa!” annunciò Fabian, uno dei tanti membri del vasto team dei ragazzi. Nicole notò che stava portando un paio di confezioni dall’aspetto invitante, e si affrettò, come tutti gli altri, ad abbandonare ciò che stava facendo per concedersi un piccolo rifocillamento.

“Oh, no, merda!”

Nell’alzarsi in piedi dalla posizione inginocchiata in cui si era finora trovata, aveva scordato il bicchierino di caffè che aveva in mano, il quale aveva traboccato abbondantemente, e ora metà del contenuto formava una bella macchia sulla sua t-shirt.

Complimenti vivissimi, Nicole, hai la stessa agilità di un bradipo sotto sedativi.

Cercando di arginare il danno tamponandosi la maglietta con un fazzoletto, si voltò a cercare Emily con lo sguardo, pronta a domandarle se le andasse uno spuntino, ma al suo posto erano rimasti solo l’album da disegno e i pastelli.

Il suo cuore fece in tempo a contrarsi spiacevolmente, prima che il cervello potesse intervenire con una rassicurante notizia: tutt’altro che sparita, Emily era riuscita a trascinarsi assieme al suo Wilhelm su per gli spalti e a raggiungere l’elevata posizione di Bill. Sebbene il primo pensiero di Nicole fu che non fosse un bene stuzzicare un cane arrabbiato, dovette ricredersi nel momento in cui Bill si lasciò sfuggire una piccola risata quando Emily prese a strofinargli Wilhelm su tutto il viso, in una versione molto personale di una pioggia di baci.

“La dovresti brevettare, lo sai? Riesce a risolvere qualunque problema si presenti.”

La voce di Gustav la fece voltare indietro: il ragazzo stava camminando verso di lei, reggendo una mela in una mano e una ciambella in un’altra.

“Concentrato di zuccheri o salutari vitamine?” le domandò, mostrandole ciò che aveva da offrire.

Nicole non esitò nemmeno un istante: afferrò la piccola mela e ringraziò. Gustav addentò soddisfatto la ciambella rimastagli mentre la scortava verso il palco, dove era stata portata anche qualche bevanda, poi lo sguardo gli cadde sulla t-shirt di Nicole:

“Piccolo incidente?”

Lei guardò automaticamente in basso e sbuffò, avvilita.

“Asciugherà, prima o poi.”

“Asciugherà,” le fece eco Gustav, in tono scettico. “In pieno febbraio, con l’umidità che c’è?” le puntò un dito allo stomaco. “Non è una bella posizione in cui procurarsi una macchia bagnata che presto sarà gelida.”

In effetti, non aveva tutti i torti. Anche perché Nicole era stata accaldata fino a pochi minuti prima, ma ora che aveva smesso di lavorare, cominciava ad avvertire un certo rigore nella temperatura del palazzetto.

“Bill e Georg si portano sempre delle magliette di ricambio,” la informò Gustav. “Sai com’è, le dive devono sempre avere pronto un look alternativo.” Nicole rise sommessamente, e lui la seguì a ruota. “Ora, non credo che un indumento di Bill possa andare bene a qualche cosa di diverso da uno stuzzicadenti – anche perché sei decisamente più prosperosa di lui, lì in alto – ma magari una di Georg…”

“Chi osa pronunciare il nome di dio invano?” intervenne il diretto interessato, mentre Nicole e Gustav gli si avvicinavano.

Un guizzo di iridi verdi, e un brivido attraversò Nicole da parte a parte, come una piccola scossa.

Fa più freddo di quel che pensassi, si disse, stupita, anche se in realtà non lo avvertiva poi così tanto da addirittura rabbrividire.

“Hai la pelle d’oca,” Osservò Georg, corrugando la fronte. “Dov’è finita la felpa che portavi stamattina?”

Nicole accolse volentieri il bicchiere di tè caldo che si era voltato a prenderle.

“L’ho tolta, si muore di caldo con quella roba addosso.”

Lui squadrò di nuovo la maglietta, e solo allora sembrò accorgersi della vasta macchia di caffè. Aprì la bocca per dire qualcosa, ma Gustav lo precedette:

“Pensavo che potresti prestarle la tua maglietta di scorta.” Buttò lì.

Georg lo fissò per un paio di secondi, incerto, poi fece lo stesso con Nicole, la quale stava seriamente cominciando a temere di essere sul punto di prendersi una polmonite, tanta era la sensazione di gelo che avvertiva dentro di sé.

“Direi che non c’è problema. “ Georg abbozzò un sorriso e le fece cenno di seguirlo. “Vieni, ce l’ho nel camerino.”

Nicole lanciò uno sguardo di congedo a Gustav, cogliendolo con uno strano sogghigno, ma non stette a farsi domande. Seguì Georg nel dedalo di ostacoli che saturavano la quasi totalità del pavimento del backstage, poi si infilò con lui attraverso una porticina che conduceva in un largo corridoio illuminato di neon, identico in tutto e per tutto a quello che aveva già percorso allo Zenith di Parigi.

Questi mostri di cemento sono tutti uguali, pensò. Danno l’impressione di essere sempre nello stesso posto… Non dev’essere una sensazione piacevole, per i ragazzi…

“Eccoci qui,” Georg aprì una porta che recava un piccolo cartello con stampato sopra a chiari caratteri ‘Tokio Hotel, Garderobe’. “Dunque, la mia borsa…”

Nicole aspettò che fosse lui a mettersi a frugare qua e là, sentendosi un po’ un’intrusa in quella stanza che era esclusivamente loro. Provò un disagio simile a quando una volta, alle elementari, l’avevano portata a vedere una dimostrazione in costume di come realmente vivesse la famiglia reale a Versailles ai tempi di Maria Antonietta: era stato come vedere tutto il magico di una fiaba spazzato via dall’umana piccolezza che anche i nobili avevano. Ora era più o meno la stessa cosa.

“Tieni.”

Nicole si ritrovò ad afferrare al volo la maglietta azzurra che Georg le aveva lanciato. Se la accostò addosso e, in effetti, non poteva dirsi esattamente calzante a pennello.

“Ho il vago presentimento che ti andrà un po’ larga,” scherzò lui. “Ma non credo che tu possa permetterti di fare la schizzinosa su certi dettagli, no?”

“No, suppongo di no.” Concordò lei, poi lo vide voltarsi verso il muro, dandole le spalle, e capì che le stava dando la possibilità di cambiarsi.

“Se preferisci che esca…”

“No,” rispose lei in fretta. Posò la maglia pulita sul tavolo lì accanto e si sfilò quella bagnata. “Non sono mai stata il tipo da imbarazzarsi troppo per certe cose.”

“Sul serio?” fece lui, suonando sorpreso, senza voltarsi. “Sembri così riservata, così…”

“Pudica?” completò lei, sardonica, mentre si infilava l’altra t-shirt. Profumava di bucato appena fatto, ma c’era una seconda fragranza che si accostava piacevolmente a quella di talco del detersivo, che però Nicole non seppe individuare.

Vide Georg che annuiva con la testa.

“Ti ricordo che quasi quattro anni or sono me ne stavo ad urlare disperata in una sala parto mentre una mezza dozzina di persone mi guardava tranquillamente in mezzo alle gambe.”

La risata di Georg fu così improvvisa che presto si tramutò in un eccesso di colpi di tosse, con lui piegato di due su se stesso.

“Ho finito.” Gli comunicò, ridendo a sua volta, e lui si tirò su, cercando di tornare a respirare regolarmente. Degli accenni di lacrime gli inumidivano gli occhi, ancora ridotti a due sottilissime mezzelune rivolte all’ingiù, in perfetta armonia con le labbra ancora sorridenti.

All’improvviso, Nicole non sentiva più freddo.

“Wow, ti sta d’incanto!” la prese in giro lui, prendendo tra le dita un lembo cadente di tessuto. Nicole avrebbe potuto entrarci comodamente un’altra mezza volta, almeno.

Era un capo che, ad occhio e croce, doveva costare più o meno come un’intera settimana di affitto dell’appartamentino che lei aveva a Lipsia, con quella colossale firma Vans nel bel mezzo della parte anteriore, e si chiese se per caso certi abbigliamenti costosi non fossero studiati appositamente per essere indossati solo da quell'unica persona che poteva permettersi di acquistarli. Era un'ipotesi verosimile, comunque, vista la particolarità del fisico di Georg, così stretto nella parte inferiore del tronco rispetto alle spalle più robuste.

Lui restò immobile per pochi istanti, come se non fosse perfettamente conscio della situazione, poi sembrò riscuotersi e chiese a Nicole se fosse a posto. Lei annuì.

“Farò in modo che, quando la riavrai indietro, sarà esattamente com’è uscita dalla tua borsa.” Gli disse mentre uscivano dal camerino, del tutto dimentica della mezza mela che aveva abbandonato sul tavolo, assieme alla maglietta macchiata.

“Puoi tenerla,” disse lui, camminandole avanti ad ampi passi. “Così la prossima volta hai già un cambio pronto.”

Nicole inorridì al solo pensiero: poteva tenersi una maglietta che valeva quanto metà del suo intero guardaroba?

“Veramente non mi sembra giusto…”

“Davvero,” la interruppe lui. “Quel colore sta meglio a te che a me.”

Non la guardava, né si sforzava di farlo, ma il suo tono era giocoso. Nicole faticava ad inquadrarlo: dei quattro, era forse quello che si comportava in modo più enigmatico, almeno con lei: non riusciva a capire se gli stesse o meno simpatica, perché, anche se per la maggior parte del tempo si dimostrava amichevole e disponibile, spesso aveva anche un atteggiamento un po’ schivo, come se qualcosa di lei lo infastidisse.

“Mi auguro che non ci sia mai una prossima volta.” Replicò lei, divertita. Georg si volse indietro e le lasciò appena il tempo di cogliere l’accenno di un sorriso, poi aprì la porta e le cedette il passo.

Mentre ripercorrevano in senso inverso il labirinto di attrezzature che ricopriva il retro del palco, Nicole incespicò in un cavo e per poco non finì a terra, e sarebbe sicuramente finita lunga distesa, se non fosse stato per la prontezza di riflessi di Georg: la afferrò appena prima che perdesse l’equilibrio, e la aiutò a districarsi dal groviglio di cavi, chiedendo poi ad uno dei tecnici lì attorno di fare in modo di toglierli dal passaggio.

“E tu impara a guardare dove metti i piedi, anziché il mio fondoschiena.” Ironizzò infine. Nicole si sentì avvampare fino alla punta delle orecchie, pur sapendo che si trattava di una semplice battuta, e la sua reazione lo fece ridere di gusto.

“Credevo non esistessero più le ragazze ingenue come te,” le confidò, posandole una mano su una spalla mentre facevano il loro ingresso sul palco. “In senso buono, intendo.” Specificò poi.

Fiato sprecato, comunque, perché Nicole non aveva sentito una sola sillaba: la sua presenza mentale era andata a farsi benedire nell’esatto istante in cui i suoi occhi si erano posati sulla fila più bassa degli spalti, dove Emily era intenta a scarabocchiare sul suo album, comodamente accoccolata in braccio ad un Bill decisamente partecipe. Nicole si ritrovò così a sospirare deliziata.

Credo che questo superi ogni mia precedente nozione di ‘adorabile’…

 

***

 

“Stai fermo, se no non riesco a farti bene il naso!”

Bill assecondò l’ordine di Emily e si mise ritto in posa, mostrandole accuratamente ogni angolazione del proprio viso, mentre lei lo esaminava da vicino, una manina posata sulla sua guancia.

Gli si era avvicinata qualche minuto dopo che lui si era confinato lassù, imbronciato come non mai a causa dello scontro con Tom, e in quattro e quattr’otto non solo gli aveva fatto passare l’arrabbiatura, ma lo aveva perfino messo di buonumore. Era stata lei a volergli fare un ritratto, e lui aveva acconsentito, lasciandosi trascinare giù per la lunga rampa di gradini, fino a dove lei aveva lasciato il suo album e i colori.

“Qualcosa non va?” indagò, fingendosi preoccupato. Emily assunse un’espressione assorta, facendolo voltare in ogni direzione.

“La situazione è controversa.” Disse lei, tutta seria, e Bill dovette far ricorso a tutto il proprio autocontrollo per non mettersi a sghignazzare.

“Cosa ne sai tu di situazioni controverse?”

Senza smettere di esaminarlo, Emily spiegò:

“Lo dicono sempre al telegiornale quando non sono sicuri di qualche cosa.”

“E tu di cos’è che non sei sicura?”

“Non trovo la tua macchiolina nera.”

Bill batté le ciglia, interdetto.

Non trova la mia che?

“Ce l’hai sempre qui,” proseguì Emily, puntandogli un dito sotto la bocca. “Ma non c’è più.”

Bill scoppiò a ridere non appena si rese conto di quello di cui stesse parlando. Per tutta risposta, si inumidì la punta dell’indice tra le labbra e se lo strofinò contro un punto preciso delle pelle, poco sopra il mento, togliendosi il leggero strato di fondotinta che la truccatrice gli aveva passato prima del servizio fotografico in cui lui e gli altri avevano posato quella mattina.

“Ecco qui,” disse mostrando ad Emily il risultato. “Questa macchiolina nera si chiama neo.”

“Sì, sì, è questo!” esclamò lei, contenta, mentre si affrettava a prendere il pastello del colore giusto ed aggiungere il dettaglio al disegno. Bill non era certo di sapere da che parte osservare il ritratto, ma se non altro ora, grazie all’aggiunta del neo, aveva una vaga idea di dove rintracciare la bocca.

“Hai uno stile che mi ricorda molto Picasso,” le disse, mentre lei cominciava a disegnare i capelli. “Era un pittore molto famoso, sai?”

Con suo sommo stupore, lei annuì.

“Lo dice sempre anche la mamma,” replicò, china sul foglio. “Ma li ho visti, i suoi quadri, e mi fanno un po’ schifo.”

Di nuovo, Bill fu colto da quello che aveva preso a denominare ‘Effetto Emily’, ossia un calore diffuso nel cuore e tanta voglia di ridere fino allo sfinimento.

Ma poi, tutt’un tratto, quella voglia svanì.

Il suo sguardo aveva vagato per un po’ per la zona antistante, osservando la gente che lentamente riprendeva a lavorare all’allestimento, e stava già per tornare verso l’opera di Emily, non fosse stato per un particolare che aveva colto la sua attenzione: Nicole e Georg erano spuntati dalle quinte ridendo apertamente, la mano di lui posata sulla spalla di lei con una confidenza che Bill non seppe spiegarsi.

Restò a fissarli senza ben riuscire a focalizzare la situazione, sorprendendosi ad interrogarsi su come e perché quei due sembrassero improvvisamente così… Così…

Intimi?

Si rabbuiò non appena quella parola gli balenò in testa, e nemmeno ne capì il motivo.

“Allora, Bill, ti piace?” chiese la voce di Emily, remota come se provenisse da un’altra dimensione, con lei che lo tirava per una manica, e lui rispose a se stesso senza distogliere gli occhi da ciò che stava osservando.

No.




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Note: Allora, avevo fatto una lunghissima nota di fine capitolo, in cui vi ringraziavo uno per uno, ma internet mi ha tradita e quindi tutto è andato perduto. Non ho purtroppo il tempo di riscrivere tutto da capo, ma credo di avervi lasciato con qualche interrogativo su cui rimuginare, quindi date pure sfogo ad ogni ipotesi e congettura che le vostre menti stanno macchinando... Ci sono diverse sorprese in serbo per voi nei prossimi capitoli, e qualcuna vi piacerà, qualcun'altra forse un po' meno... Staremo a vedere. Qualcuno si domanda se siano tutti interessati a Nicole... La risposta è sì e no, perché esistono diversi modi di interessarsi a qualcuno, e avrete modo di stupirvi man mano che la storia si svilupperà, quindi pazientate e pian piano tutti i nodi verranno al pettine, e allora ne vedrete delle belle.
Intanto, un immenso, gigantesco, colossale grazie a tutti voi che leggete e, soprattutto, commentate. Vi adoro, siete tutti talmente adorabili che prima o poi mi sentirò autorizzata a montarmi la testa! ^^"
Un bacione, a presto!

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Capitolo 9
*** Dinner For Two ***


Quella sera Bill era strano – perlomeno più del solito – e, benché Tom ancora non fosse riuscito a trovare una spiegazione per quel nuvolone nero che da diverse ore incombeva minaccioso sulla sua testa, era fin troppo scontato che si trattasse di qualcosa di mediamente serio: non era da Bill scomodare tutte le sue innumerevoli e discrete doti di drama queen, e, qualunque cosa ci fosse sotto, non era da poco.

Se solo se ne andasse in camera sua a consumare il suo melodramma…

Non che gli desse fastidio ospitarlo, ma, quando ci si metteva, Bill sapeva asciugare la pazienza anche del più virtuoso uomo di buona volontà.

Al momento le preziose energie della star della tragedia greca, che se ne stava stravaccato sul divano come un sacco vuoto, erano concentrate nell’arduo intento di perforare la parete di fronte al divano su cui sedeva, tramite il più truce degli sguardi che Tom gli avesse visto esibire negli ultimi dieci anni, e non sembrava intenzionato a cambiare espressione entro il tramonto del secolo.

“Bill,” Tom si trascinò pesantemente attraverso il salotto, stanco fino al midollo, e si palò tra lui e il muro. “Sei in fissa da almeno mezz’ora, e la tua performance, stasera, è stata – come dirlo senza che tu ti offenda? – desolante,” gli si avvicinò e si sedette davanti a lui sul tavolino. “Posso osare chiederti cosa cazzo ti prende?”

“Il concerto ha fatto pena.” Sbottò Bill, senza degnarlo di uno sguardo.

Tom sospirò paziente.

Il fratricidio è perseguibile dalla legge, Tom, ricordatelo, anche quando pienamente giustificabile.

“Lo so che il concerto ha fatto pena, mezza Vienna se n’è accorta,” rispose con calma. “Vorrei solo capire cos’è successo tra le brillanti prove di pomeriggio e quello sfacelo che stasera abbiamo propinato al nostro beneamato pubblico, perché qualcosa deve essere successo, per farti cambiare umore così, e so che non è stato il nostro battibecco.”

Forse non era esattamente la verità, ma anche se Tom non aveva l’assoluta certezza che il morale di Bill non fosse colato a picco proprio per quel motivo, sapeva che in genere per loro sputarsi addosso insulti reciproci aveva più o meno lo stesso significato che scambiarsi pacche sulla schiena aveva per la gente normale, quindi non poteva trattarsi di quello.

“Bill,” insisté, dopo aver atteso invano una risposta. “Non sono disposto a sorbirmi tutta questa tua negatività gratuitamente,” si portò le mani sui fianchi e piegò la testa da un lato. “Perciò, a te la scelta: o ti decidi a sputare il rospo, o alzi le chiappe dal mio divano e te ne torni nella tua camera.”

Bill sbuffò come una locomotiva con la bronchite e borbottò qualcosa a proposito di palle girate, che Tom non si degnò di considerare.

“Se devi fare la spina nel fianco, almeno falla come si deve.” Gli intimò, e gli si sedette accanto. “Allora, il mio sesto senso fraterno mi dice che queste ‘palle girate’ hanno qualcosa a che vedere con Georg, anche se non so perché.” Occhieggiò Bill con fare inquisitivo, cercando qualche conferma. “Non ti ha fatto niente, mi pare…”

Un’occhiata obliqua di Bill gli fece capire che le cose non stavano proprio così, anche se, in tutta onestà, Tom non avrebbe saputo immaginare una cosa simile, nemmeno per assurdo. Il rapporto tra Bill e Georg era probabilmente il più strano, all’interno del gruppo, il meno pubblico, per così dire, ma era molto profondo e solido, anche se decisamente peculiare. Bill e Georg erano i due grandi opposti della band: il più giovane e il più anziano, il più infantile e il più maturo, il più spensierato e il più responsabile. Erano il bianco e il nero, ma il loro incontro era un’armonica sfumatura di grigio, e non si era mai sentito che uno dei due avesse dato fastidio all’altro. Finora.

Il fatto che Bill lo avesse deliberatamente ignorato per tutto il pomeriggio e poi anche per tutta la sera, concerto compreso, rendendo così l’atmosfera sensibilmente tesa, era un chiaro indicatore che qualcosa non andasse, un campanello d’avvertimento, ma come si poteva risolvere un problema che non si conosceva?

Non si può, rifletté Tom, mentre Bill si intestardiva a non aprire bocca. E se domani si presenta alle interviste con questa faccia, David sarà capacissimo di smontarci tutti e quattro, atomo per atomo.

“Domani abbiamo una conferenza stampa, due apparizioni televisive e una radiofonica,” gli rammentò. “E tu sei praticamente la voce eletta del gruppo. Se la tua incontenibile logorrea non si riversa su quei microfoni, noialtri saremo a malapena in grado di spiaccicare mezza sillaba, visto che in genere il nostro ruolo è sincronizzare un ‘Tokio Hotel’ comprensibile dopo il tuo ‘Ciao, siamo i…’ d’apertura, e siccome –”

“Tom, finiscila,” lo mise a tacere Bill, sventolando una mano annoiato. “Mi sparo un’aspirina o due per questo mal di testa del cazzo, poi una bella notte di sonno, e domani mattina sarò di nuovo il solito adorabile bocconcino da prostituire ai media.”

Tom sogghignò davanti a quell’espressione. L’idea di prostituzione ai media era, seppur ridicola, discretamente calzante, almeno nel caso di Bill: era il più adatto a gestire le loro pubbliche relazioni, non solo perché era il frontman, ma anche perché era affabile, paziente, e poco gli importava delle insinuazioni. Tom era invece, come Georg, un po’ troppo orgoglioso per glissare su certe provocazioni e trovare una risposta diplomatica a certe domande invadenti, per non parlare di Gustav, che preferiva astenersi direttamente da ogni commento. Insomma, se entro il mattino seguente Bill non si fosse veramente rimesso in sesto, sarebbero stati – per citare una delle espressioni più colorite e ricorrenti di David – nella merda fino al collo.

“Okay,” Tom si alzò in piedi con un discreto sforzo e scompigliò i capelli flosci del fratello. “Ti vado a preparare l’aspirina, ma poi te ne vai dritto dritto nel tuo lettuccio, ci siamo capiti?”

Bill emise un grugnito di assenso, e a Tom bastò. Fece per dirigersi verso il bagno, quando venne afferrato per un lembo della t-shirt. Guardò in basso verso Bill, le sopracciglia inarcate.

“Che vuoi?”

Bill si fissava le gambe, i capelli che gli nascondevano gli occhi, ma un debole sorriso gli era comparso sulle labbra.

“Grazie.” Mormorò.

Tom gli diede un colpetto affettuoso sulla spalla.

Di niente, fratellino.

 

***

 

Mio dio, sono a pezzi.

Gustav osservò accigliato il proprio riflesso nelle porte dell’hotel e si fece pietà da solo: aveva un aspetto a dir poco disastroso. La cosa confortante era che non era il solo.

Alle sue spalle, Bill, Georg e Tom lo seguivano a passi strascicati, rifugiati dietro a degli strategici occhiali da sole, nonostante il sole stesse ormai tramontando. Certe giornate così fitte di appuntamenti erano delle vere e proprie imprese titaniche, ed uscirne – più o meno vivi – era già di per sé una gran bella soddisfazione, anche se ciò implicava avere l’aspetto di relitti umani.

Bill si era comportato in modo strano per tutto il giorno (un po’ troppo gioviale, per essere credibile, ma nessuno a parte loro tre se n’era accorto), Tom non aveva smesso un secondo di tampinarlo, mentre Georg era stato più taciturno del solito, perfino davanti alle esplicite frecciatine di Tom. Insomma, sembravano un po’ tutti fuori fase.

“Voglio una doccia bollente.” Rantolò Tom, con uno sbadiglio plateale.

“Io due.” Disse Georg, mentre varcavano l’ingresso. “E magari anche un analgesico.”

“Io voglio mangiare.” Soggiunse Bill, andando dritto verso l’ascensore, dove si mise pigiare tasti a caso, senza nemmeno badare ai piani che comparivano sul display. Salì in ascensore, seguito dagli altri, poi si mise a frugarsi in tutte le tasche, per poi finire col voltarsi verso Gustav con aria innocente. “Non trovo la mia chiave, non è che per caso –?”

Gustav gli pose sotto il naso la tessera magnetica con un sorriso obliquo.

“Ridammela, quando hai aperto, o la prossima volta ti tocca chiamare la reception.”

Non appena l’ascensore, miracolosamente, raggiunse il loro piano e si aprì sul corridoio, i quattro si dispersero frettolosamente, ciascuno nella rispettiva stanza, senza emettere un suono che non fosse un sommesso brontolio insensato.

Il sollievo immediato che Gustav provò nel varcare la soglia fu strabiliante: mollò giacca e borsone nell’armadio, calciò via le scarpe e si buttò sul letto, esausto.

Dalle nove di quella mattina, ora in cui si erano alzati, fino a quel momento – le otto di sera passate – non avevano fatto altro che andare su e giù dall’auto, da un’emittente televisiva all’altra, senza un attimo di sosta. Non gli sembrava vero che finalmente fosse finita, e che ci fossero ventiquattro, meravigliose ore, l’indomani, da godersi in santa pace, lontano da giornalisti e fan psicotiche.

Chissà cos’hanno fatto Nicole ed Emily, nel frattempo…

Fu con quest’interrogativo che, dopo una doccia rinvigorente e una coca fresca di frigo, si incamminò verso la doppia alla fine del corridoio e bussò. Dall’interno proveniva un vocìo concitato, e gli toccò bussare nuovamente perché qualcuno lo sentisse.

Quando Nicole venne ad aprire la porta, Gustav fu stupito di notare che nel piccolo salotto della stanza erano già riuniti i due Kaulitz e Georg, che, insieme ad Emily, se ne stavano seduti sul tappeto con dei joystick in mano, un rumore di auto che correvano in sottofondo.

“Be’, suppongo che ora ci siamo tutti.” Gli disse Nicole con un sorriso luminoso, lasciandolo entrare. “A quanto pare hai sentito anche tu il richiamo della playstation.”

Gustav avrebbe senz’altro risposto, non fosse stato così stupito, non solo del fatto di non essere stato l’unico ad avere avuto l’idea di andare a trovare lei ed Emily, ma di essere stato addirittura preceduto, e non di poco, a quanto pareva.

Non ho mai visto questi tre lavarsi e rivestirsi così in fretta, Gustav sorrise fra sé, osservandoli divertito. Se fossero così svelti anche quando serve, le coronarie di David starebbero molto meglio.

“Buonasera.” Li salutò, ma loro erano così assorti che a stento mugolarono un ‘ciao’ di risposta.

Erano divisi a squadre: Tom e Bill contro Georg ed Emily, e, incredibile ma vero, i primi erano in netto svantaggio.

“Sono qui da un quarto d’ora,” raccontò Nicole, “Tom le aveva promesso una partita a South Park Rally… Non ho fatto in tempo a far entrare lui, che Bill e Georg erano già alla porta.” Si voltò verso di lui, incrociando le braccia. “Mi stavo giusto domandando quando saresti arrivato tu.” Sorrise, e a Gustav quel sorriso piacque, forse perché tutto il viso di Nicole lo aveva assecondato, non solo le sue labbra. Era talmente abituato a vedersi rivolgere dei plastici sorrisi di circostanza, che quasi aveva scordato quanto fosse bello riceverne uno sincero.

“Alt, fermi tutti!” esclamò Bill ad un tratto. Il rumore delle auto del videogioco cessò e l’attenzione di tutti si concentrò su di lui, chino sulla propria mano con aria angosciata.

“Cos’è successo?” indagò Gustav, avvicinandosi.

“Mi si stava per spezzare un’unghia!”

Un coro di commenti increduli si levò da Georg e Tom, ma Bill appioppò loro uno sguardo di sufficienza e si alzò con tutta la dignità possibile.

“Che qualcuno mi sostituisca, mi dichiaro indisposto.”

“Voglio te,” disse subito Tom, additando Gustav. “Nicole non sa nemmeno tenere in mano il joystick.”

Lei roteò gli occhi, sbuffando, ma c’erano due arricciature divertite agli angoli della sua bocca.

“Non avevo mai toccato una di quelle schifezze in vita mia.” Si difese, accennando alla playstation.

“Nemmeno Emily,” intervenne Georg, sornione. “Eppure è bravissima.”

Emily sorrise compiaciuta, beandosi quando Georg le fece battere un cinque trionfante.

“Aspettate a cantare vittoria, voi due,” fece Tom, sdegnoso. “Adesso che la signorina Bill si è levata di torno, Gustav e io recuperiamo come niente.”

Bill si stiracchiò le braccia, ridacchiando sotto i baffi.

“Credici, credici…”

Gustav era certo che Tom avrebbe replicato, se Georg non avesse avuto la prontezza di spirito di allungargli una gomitata di avvertimento e scongiurare la catastrofe.

In quella, lo stomaco di Nicole decise di rendere pubblicamente noto che lei avesse un certo appetito. Imbarazzata, si portò le mani al ventre, le guance che le si colorivano.

“Credo che sia ora di andare a cena.” Ci scherzò su.

“Mi associo!” disse Bill, sfregandosi le mani.

“No, dai, ancora un po’!” protestarono Tom ed Emily all’unisono.

Gustav aveva ormai passato la soglia della fame, e doveva ammettere che gli piaceva il clima familiare che aleggiava nella stanza. Non gli sarebbe dispiaciuto finire almeno la partita, prima di scendere.

“Ma è tardi…” tentò di dissuaderli Nicole, ma prima che lei potesse concludere, Tom aveva già riavviato il gioco, e tutti e quattro i giocatori si erano ributtati a capofitto nel rally.

“Andiamocene a cena,” disse Bill a Nicole. “Se loro vogliono fare notte su una stupida partita, si accomodino, ma io voglio mangiare.”

Ci fu una breve pausa di silenzio, poi Tom sollevò una mano, senza staccare gli occhi dallo schermo.

“Già che scendete, fateci portare su qualcosa. Una bistecca, un hamburger, vedete voi…”

“A me un piatto di spaghetti al pomodoro.”  Aggiunse Georg. Gustav la trovò una buona idea.

“Anche per me, grazie.”

Nicole e Bill si scambiarono un’occhiata significativa, ma non obiettarono.

“Emily, tu cosa –?”

“Mamma, zitta, io e Georg stiamo vincendo!”

“Piccola impertinente che non sei altro!” abbaiò Tom, facendo l’offeso, e le diede una spallata scherzosa. “Non si umiliano le persone più anziane, lo sai?”

“Scusami,” replicò Emily, genuinamente costernata. “La prossima volta ti prometto che vi lasciamo vincere, vero Georg?”

“Verissimo.”

“Eh, no,” obiettò Gustav, categorico. “La prossima volta tu stai in squadra con me, Tom fa schifo… Poi osa dare tutta la colpa a Bill.”

Tom per tutta risposta gli inferse una controproducente spinta interattiva, che mandò l’auto di Gustav fuoristrada, facendo perdere alla squadra un bel po’ di punti.

“Bene, allora noi andiamo,” annunciò Bill. “Sicuri che nessun altro voglia venire?”

Forse era solo un’impressione, ma a Gustav parve di cogliere nel suo tono una sorta di invito a tacere, che sembrò peraltro essere accolto.

“Come volete, allora ci andremo soli soletti.”

L’auto di Georg sbandò e tamponò quella di Tom, che fece appena in tempo a trattenersi da un’imprecazione che Emily non gli avrebbe facilmente perdonato. Gustav gli lesse negli occhi una voglia inespressa di alzarsi ed aggregarsi a Bill e Nicole, ma non gli ci volle molto ad intuire che cosa lo frenasse. A Nicole piaceva Bill, era stato chiaro fin dall’inizio, ma ultimamente anche Bill aveva cominciato a dare avvisaglie di un possibile interesse, ed intromettersi sarebbe stato fuori luogo.

Eppure…

Senza attendere oltre, Bill afferrò il polso di Nicole e se la trascinò dietro, uscendo dalla stanza. Quando la porta si richiuse, la vettura di Georg accelerò di parecchio.

Eppure qualcosa non torna.

 

***

 

Perdersi in Bill era, nei limiti del possibile, anche più facile di quanto si sarebbe potuto immaginare.

Non si poteva dire che fosse un tipo espansivo, ma possedeva una di quelle personalità spontanee e vivaci che Nicole aveva raramente incontrato, nella sua vita: era in grado di farsi amare semplicemente esistendo, standosene seduto su una sedia del ristorante dell’hotel, senza far altro che fissare con occhi vispi l’ambiente attorno a sé.

Normalmente i ragazzi della sua età avevano già perso da un pezzo lo spirito di curiosità verso il mondo, e lei aveva creduto che proprio lui, fra tutti, avendo praticamente girato mezzo mondo, fosse stato già contaminato dall’asettico cinismo che ormai vigeva sovrano all’interno della società, ma si era sbagliata, e di grosso, anche, perché la purezza di Bill era – sotto quello e molti altri aspetti – assolutamente intatta. Quando poi lo sentì chiedere al cameriere se gli potesse portare il contorno di patatine fritte separato dalla carne ai ferri, Nicole dovette rinunciare al vano sforzo di non lasciarsi coinvolgere a cui si era votata nell’esatto istante in cui il suo cervello aveva realizzato che sarebbe stata a cena con Bill, lui e lei soli.

“Un bel po’ affollato, eh?” commentò Bill, guardandosi intorno. Nicole, seduta accanto a lui, dovette convenire: la sala da pranzo era piena zeppa, e anche se loro erano stati fatti accomodare nell’area riservata, riuscivano comunque a sentire il chiacchiericcio generale che si mescolava all’acciottolio delle stoviglie.

Tutta quella frenesia era come acqua sul fuoco per il suo nervosismo. Era felice di essere lì con lui – come non esserlo? – ma ancora non le riusciva di convincersi del tutto che non si trattasse di una fantasia un po’ troppo lunga e realistica.

“Nicole,” Bill le tolse di mano il tovagliolo, che lei nemmeno si era accorta di star torcendo convulsamente. “Ti vuoi tranquillizzare? Mica ti mangio.”

I suoi occhi nocciola la accarezzavano incoraggianti, ma lei, più che sentirsi incoraggiata, provava una crescente voglia di sotterrarsi.

Perché diavolo non riusciva a godersi la compagnia di Bill senza andare in iperventilazione? Perché non poteva sentirsi a proprio agio come con Tom, e Gustav, e Georg?

Perché le tue ginocchia non diventano gelatina, con loro, le rispose la sua parte razionale.

Ma quella era solo mezza verità – e mezza bugia, quindi – anche se lei era così smarrita nello sguardo di Bill da non accorgersene.

“Scusami,” mormorò, abbassando il capo. “È solo che è ancora talmente assurdo…”

Bill fece una faccia stranita.

“Lo so che guardandomi è difficile da credere, ma per me cenare non è un concetto poi così assurdo.”

Con un movimento casuale, le prese una sottile ciocca che le ricadeva sul viso e gliela spostò dietro all’orecchio, per poi appoggiare i gomiti al tavolo e contemplare la propria opera soddisfatto. Nicole deglutì, incapace di fare altro.

Quante volte aveva sognato un momento così? Quel gesto, quel tono, quello sguardo? Quante volte aveva immaginato l’effetto che avrebbe avuto la mano di Bill sul suo viso?

Ora che era successo davvero, non aveva avuto nemmeno il tempo di considerare concretamente la cosa, di vivere la sensazione che quel semplice gesto le aveva dato ed imprimersela nella mente come avrebbe voluto. Era passato in fretta. Troppo in fretta.

Dubitava perfino che fosse successo davvero.

Dovrebbero fornire dei certificati di autenticità per certe esperienze, maledizione.

Ma doveva essere reale per forza, perché nei suoi sogni Nicole era sempre benvestita, truccata, e le sue curve miracolosamente più accentuate, mentre al momento portava i suoi jeans più anonimi, e di trucco sul suo visto non c’era ormai ombra da mesi, per non parlare delle sue curve – se così poteva azzardarsi a chiamarle – a stento intuibili al di sotto del largo maglione grigio.

Che squallore, piagnucolò con se stessa, sono a cena con Bill Kaulitz e sembro appena uscita da una puntata di Ugly Betty…

Ma Bill la stava rimirando in un modo in cui un qualsiasi uomo dotato di buona vista – e soprattutto buongusto – non avrebbe mai rimirato Ugly Betty.

Erano abbastanza vicini da poter avvertire i rispettivi respiri sulla propria pelle e, se al posto di Nicole ci fosse stata un’altra, quasi sicuramente quella spanna d’aria tra le loro labbra non ci avrebbe messo molto ad annullarsi. Ma Nicole non si mosse, e Bill nemmeno, e l’arrivo del cameriere con le loro ordinazioni troncò sul nascere ogni ipotesi di ciò che avrebbe potuto accadere, e che ormai era chiaro non sarebbe più successo.

“Buon appetito.” Augurò loro l’uomo, prima di lasciarli nuovamente soli.

Nicole era troppo stordita – troppo delusa, forse – per ringraziare.

Non c’è proprio niente di cui ringraziare, comunque.

“Buon appetito.” Disse Bill, con molto più sentimento del cameriere.

“Altrettanto.” ricambiò lei. Infilzò un pomodorino della sua insalata greca e lo lasciò ricadere nel piatto, sconsolata, rimproverandosi per quella delusione che avrebbe dovuto sforzarsi di prevenire.

Povera illusa, ma cosa ti aspettavi?




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Note: Aaah, vedo molte facce deluse, cari lettori, non è forse così? Chiedo scusa per la tortura psicologica (sia vostra, che di Nicole), ma questa situazione non si chiarirà tanto presto, perciò siate pazienti. ^^ Se fosse tutto rose e fiori, non ci sarebbe gusto, no?
Un grazie colossale a ciascuno di voi, soprattutto a chi si prende il disturbo di lasciare quelle recensioni lunghissime che mi fanno tanto piacere (a proposito: Sara, attenta a come ti muovi, la tua rimozione dal testamento è incombenete!). Grazie di aver letto, e grazie a chi commenterà, e grazie anche a tutti voi che mi avete contattata per email o msn, sommergendomi di complimenti... Ich liebe euch!
Un bacione, alla prossima! ;)

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Capitolo 10
*** Saturday Night Fever ***


Georg se ne stava appoggiato al davanzale della finestra della stanza di Nicole, esplorando la strada sottostante in lungo e in largo, aggrappandosi ad ogni minima distrazione – auto, passanti, pozzanghere – pur di non pensare.

Pensare…

Esalò una boccata di fumo verso il cielo, il ronzio della playstation in piena attività nelle orecchie.

A cos’è che penserei, poi?

Dopo la cena, Tom, Gustav ed Emily si erano rimessi subito a giocare, ma lui aveva preferito astenersi, soprattutto dopo la pessima conclusione della partita precedente. Era nervoso, anche se non sapeva perché. Residui di stress, probabilmente. Fumare era rilassante, e non c’era niente di meglio di una sigaretta per digerire un piatto di spaghetti.

O qualche altra cosa di meno digeribile.

Si era lasciato convincere dalle suppliche di Emily a mettere nello stereo uno dei cd di Nicole, così ne aveva pescato uno a caso, scegliendone uno anonimo, masterizzato, lo aveva inserito nel lettore cd ed aveva schiacciato ‘play’.

Aveva ascoltato volentieri le prime canzoni (scoprendo fra l’altro che Nicole aveva dei discreti gusti musicali, a parte rare eccezioni tipicamente femminili), ma quella che era appena partita lo stava mettendo di cattivo umore.

Non che gli Iron Maiden gli dispiacessero più di tanto, ma quelle parole gli davano proprio sui nervi. Si sentiva accaldato, debole, come se stare in piedi fosse uno sforzo sovrumano che gli stava risucchiando ogni briciola di energia che avesse in corpo.

‘I can't get used to purgatory, you know it really makes me cry, I'll never know the reason why I had to go, I'm crying, deep inside of me…’

Il ritmo era tutt’altro che melanconico, energico e duro, graffiante, ma il testo era completamente discordante.

‘Can't you see me?’

Chissà cosa stava succedendo giù, al ristorante. Sicuramente Bill e Nicole si stavano gustando una bella cena in tutta calma, beneficiando della reciproca compagnia, probabilmente dimentichi di tutto il resto. Stavano bene insieme, anche nonostante i modi un po’ impacciati di lei; c’era una certa affinità, tra loro, e si vedeva a distanza di chilometri.

‘Can't you see me?

Chi mai avrebbe potuto negare che fossero una bella coppia?

‘I'm looking forward to her spirit coming over to me, I feel tempted to bring her over to see…’

Sorrise al pensiero di Nicole intrappolata in una conversazione a senso unico con Bill, lui che sciorinava cazzate su cazzate a velocità supersonica, lei che lo stava a sentire incantata, senza nemmeno riuscire – probabilmente per fortuna sua e di Bill stesso – a seguire il discorso.

Era un’immagine comica, a pensarci bene, ma in fin dei conti era quello che ci voleva per Nicole: divertirsi. E chi meglio di Bill poteva farla divertire?

‘Just what it's like to be hanging on the other side…’

Gustav lanciò un urlo vittorioso e si mise a festeggiare assieme ad Emily la vittoria della partita, mentre Tom se ne stava afflitto nel mezzo, le labbra imbronciate.

Nessuno dava retta alla musica nello stereo, e Georg, in preda a quella terribile emicrania, ne aveva avuto abbastanza. Spense frettolosamente la sigaretta contro il davanzale e la lasciò cadere nella strada deserta, poi si diresse verso lo stereo e premette ‘stop’.

‘I feel so lonely…’ gemette l’apparecchio, poi calò il silenzio.

“Hey, Georg, rimetti quel cd!” berciò Tom, contorcendosi per riuscire a guardarlo. “Mi piaceva!”

Georg gli lanciò un’occhiataccia.

Be’, a me no, caro Tom.

“Rimettitelo tu se vuoi,” sbottò, massaggiandosi le tempie. Non si sentiva granché bene. “Io sono stanco, me ne vado in camera mia.”

Tom e Gustav si limitarono a fare spallucce e tornarono alla playstation, litigando per il prossimo gioco da scegliere. Con ogni probabilità, se ne sarebbero rimasti incollati lì fino a che Nicole fosse tornata – se mai fosse successo, date le circostanze – e sarebbero stati buttati fuori da lei stessa.

Senza aggiungere altro, Georg infilò la porta e tolse il disturbo.

Marciò pesantemente attraverso il corridoio, la testa che gli pulsava dolorosamente; l’effetto dell’analgesico era durato molto meno del previsto. Si frugò le tasche alla ricerca della chiave magnetica, ma non ce n’era traccia.

“Georg…” disse una vocina delicata.

Appena sollevò lo sguardo, notò che Emily stava camminando verso di lui, tendendogli la tessera.

Lui si sforzò di sorriderle e la ringraziò. Aprì la porta a fatica, la vista annebbiata, ed Emily non si mosse da dove stava, fissandolo con insistenza. Aveva un’espressione stranamente pacata, spenta, e il cuore di Georg gli si strinse nel petto a vederla così.

“Emily,” le si accucciò di fronte, facendole sollevare il viso. “Cosa c’è che non va?”

Lei si premette insieme le labbra contratte, gli occhi che pian piano andavano colmandosi di lucide lacrime.

“Non ridi, oggi,” sussurrò ad un volume appena udibile. “Perché non ridi? A me piace tanto il tuo sorriso.”

Il battito cardiaco di Georg cessò del tutto.

Oh, Emily…

Due grossi lacrimoni scivolarono lungo il suo visetto pallido, e lei tirò su con il naso, tentando con evidente sforzo di trattenersi. Se ne stava lì, con la sua tutina rosa, ad aspettare che lui dicesse o facesse qualcosa. Ma cosa dire, cosa fare, quando una bimba di quattro anni che conosceva da pochi giorni lo guardava in quel modo indifeso?

Provava il desiderio istintivo di proteggerla, di confortarla, ma non sapeva da che parte cominciare, avendo anche un certo timore di sbagliare.

“Sono solo un po’ stanco,” le disse dolcemente. Gli occhi gli bruciavano da morire, e si sentiva la fronte sudata, ma non vi badò. Cercò invece di regalarle un sorriso rassicurante, asciugandole delicatamente le lacrime. “Non ti devi preoccupare, d’accordo? Passa, dopo un po’.”

Emily fece sì con la testa, sfregandosi gli occhi.

Lui cercò di rialzarsi in piedi, ma un capogiro lo fece vacillare, e dovette aggrapparsi allo stipite della porta per non cadere.

“Georg!” esclamò Emily, spaventata. “Non stai bene?”

“No, sto – sto bene, tranquilla.” Esalò lui, mentre tutto gli vorticava intorno.

La sua percezione del mondo esterno divenne confusa. Sentì delle voci rimbombargli intorno, ma non riuscì a distinguerne la provenienza, poi un familiare profumo indefinito si mescolò al suo respiro, e si sentì sorreggere da delle mani incerte.

L’ultima cosa che vide, prima che tutto diventasse buio, fu un paio di occhi color pervinca che lo scrutavano ansiosi.

 

***

 

Nicole non si era ancora ripresa dallo spavento.

Dopo essersi goduta quella che probabilmente era stata la cena più bella e memorabile della sua vita, aveva lasciato Bill nella sala fumatori a scambiare quattro chiacchiere con David e Saki, dicendogli che avrebbe cominciato ad avviarsi, e così era salita in ascensore come immersa in una nuvola di beatitudine, crogiolandosi nel rivivere ogni singolo momento della serata appena trascorsa.

Ma poi le porte dell’ascensore si erano aperte, e aveva visto Georg accasciarsi contro la parete, e l’incanto si era infranto con un violento colpo al cuore.

Oh, cazzo!

Gli era corsa incontro in fretta e furia, la sua mente che valutava rapidamente ogni genere di ipotesi possibile, e lo aveva aiutato ad arrivare al letto, in uno stato di semi incoscienza, e ora lei ed Emily sedevano al suo fianco al bordo del grande letto matrimoniale, ascoltando lui che cercava di convincerle che andasse tutto bene, ed era stata solo una vertigine improvvisa.

“Non dire sciocchezze,” lo ammonì Nicole, compunta. “Hai la fronte imperlata di sudore freddo e stai tremando, hai decisamente la febbre.”

Lo sguardo appannato di Georg si posò su di lei con impazienza.

“Sul serio, sto bene,” insisté. “Adesso mi faccio un tè caldo e sono a posto.”

Fece per alzarsi, ma Nicole gli premette una mano sul petto e lo costrinse a restare sdraiato.

“Non ci provare,” sentenziò in tono perentorio. “Tu non ti muovi di lì, il tè te lo faccio io.”

Si alzò, lasciando Emily a fare il carabiniere, e si diresse nel salotto, verso il ripiano su cui stavano il minibar e il bollitore elettrico. Mise dell’acqua a bollire, poi prese una bustina di tè dalla vassoio e preparò una tazza.

“Emily, me lo faresti un favore?” domandò, versando l’acqua bollente, ma nessuno rispose. Si voltò allora indietro, scorgendo il letto oltre la porta aperta, e la vide rannicchiata accanto a Georg, chiaramente addormentata.

Nicole sorrise. Lasciò il tè in infusione ed andò da lei: la prese in braccio con attenzione e la portò nell’altra stanza, adagiandola sul divano cercando di non svegliarla, poi la coprì con una giacca che era stata abbandonata lì, e rimase ad osservarla per un po’.

Ogni tanto, quando ci pensava, non le sembrava vero di avere una figlia, ma non si era mai pentita, nemmeno per un solo istante, della propria scelta, ed anche se a volte era veramente dura, era sempre stata abbondantemente ripagata di ogni sacrificio.

Chi l’avrebbe mai detto che saremmo finite qui… Avrò fatto bene a trascinarti in tutto questo?

Ma il volto di Emily era sereno, sembrava felice, e non lasciava spazio a molti dubbi sul fatto che si trovasse bene in quel mondo a lei del tutto sconosciuto.

Il merito era anche dei ragazzi, che la trattavano come un’affezionata sorellina e facevano di tutto per farla contenta. Inoltre, Nicole aveva la sensazione che l’avere Emily nei paraggi fosse per loro particolarmente piacevole, forse per il fatto che si distraevano volentieri con lei, dimenticando per un po’ impegni, stress e problemi.

Era un potere che Emily aveva sempre avuto, quello di riuscire ad alleviare le difficoltà della gente, ed era soprattutto per quello che Brenda le invitava spesso a stare per qualche giorno da lei a Parigi. ‘Siete una ventata d’aria fresca’, diceva.

Che vita strana, che abbiamo…

Con un sospiro, Nicole si chinò su di lei e le lasciò un bacio in fronte, poi andò a recuperare la tazza di tè e ritornò nell’altra stanza.

Trovò Georg mollemente adagiato sul cuscino, il respiro affannoso ed irregolare, le sopracciglia corrugate in un’espressione sofferente.

Posò la tazza sul comodino e si affrettò a sentirgli la fronte. Non appena la sua mano sfiorò la sua pelle, la ritrasse con uno scatto, sorpresa da quanto fosse bollente.

“Dio mio, scotti terribilmente.” Esclamò apprensiva.

“Non è niente.” Replicò lui con un fil di voce che confermava l’esatto contrario.

Nicole si concesse una risatina sarcastica.

“Sì, certo, come no, e io sono la regina d’Inghilterra.”

Le labbra di Georg si incurvarono lievemente.

“Mi sembrava di averti già vista da qualche parte…” ironizzò in un mormorio strozzato. Lei rise, sollevata nel vederlo così lucido. Una febbre alta non era una cosa da sottovalutare.

“Torno subito.” Gli disse. Andò in bagno e cercò un’aspirina nell’armadietto, che fortunatamente trovò, poi prese un piccolo asciugamano pulito e lo imbevette di acqua fredda, strizzandolo appena, infine tornò da Georg e gli sedette di fianco.

“Ecco qui,” gli tamponò piano la fronte, con piccoli gesti calibrati. “Va meglio?”

Georg chiuse gli occhi, inspirò a fondo ed annuì lentamente.

“Grazie.”

“Figurati,” replicò lei, mentre con l’altra mano mescolava il tè in cui aveva sciolto l’aspirina. “Mi sentirei giusto un pelino in colpa a lasciar morire di febbre il bassista del mio gruppo preferito. Ti immagini poi che fine farei? Ricercata a vita dalle vostre fans assetate di vendetta.”

Il tentativo di risata di Georg venne immediatamente soffocato da un colpo di tosse.

“Ce la fai a tirarti su un po’?” chiese Nicole, una volta che l’aspirina fu completamente disciolta. “Ecco, così.”

Gli sistemò il cuscino dietro alla schiena per farlo stare più comodo, e mentre lui si tirava su piano, si accorse che aveva delle sottili ciocche di capelli che gli aderivano al viso umido. Senza pensarci due volte, Nicole allungò la mano verso di lui, e con un gesto lento e gentile glieli scostò di lato. Georg le mormorò un ‘grazie’ roco che la fece sorridere.

Lo aiutò a sorseggiare il tè poco per volta, e per tutto il tempo lui tenne lo sguardo fisso su di lei, e lei non riuscì – pur tentando – a guardare altrove. Uno strano formicolio le stava solleticando lo stomaco, e lei lo attribuì alla preoccupazione che lentamente andava scomparendo.

Per un attimo sono stata sul punto di farmi prendere dal panico, pensò, sollevata, mentre Georg si abbandonava nuovamente contro il cuscino, rivolgendole un flebile sorriso riconoscente. La sensazione di formicolio allo stomaco si accentuò nettamente, e Nicole si sentiva le guance in fiamme.

Se mi sto ammalando anch’io sono fregata, rifletté, corrucciata. Non voglio passare ciò che resta di questa settimana in stato semicomatoso!

Ma poi si vergognò dell’egoismo di quel pensiero, perché se a Georg quella febbre non passava, ci sarebbero state serie conseguenze per il tour. Fortunatamente avrebbe avuto tutto il giorno seguente per riposarsi e rimettersi in sesto, perciò, con un po’ di collaborazione da parte del destino, si sarebbe ripreso in fretta.

“Ti conviene andare in camera tua a vedere cosa stanno combinando quei due,” le mormorò con voce roca. “Secondo me non si sono neanche resi conto che Emily li ha piantati in asso.”

Ma Nicole non stava poi così male, lì dov’era. Georg l’aveva incuriosita fin da subito, ma non aveva mai avuto vere e proprie occasioni per conversare con lui faccia a faccia. E, okay, forse l’attuale poteva non essere il frangente ideale per cominciare, ma, nonostante tutto, lui sembrava bendisposto verso la comunicazione, e forse era il caso di cogliere al volo l’occasione, fintanto che non si chiudeva in se stesso come suo solito. Magari era stata proprio la febbre ad allentare un po’ quel suo distacco perenne.

“Non è il caso che tu resti solo, stanotte.” Gli disse in tono pratico. Lui le sorrise in modo ambiguo.

“E che cosa vorresti fare?” replicò in un soffio, deglutendo a fatica. “Dormire con me?”

Nicole si sentì avvampare fino alla punta dei capelli.

Anziché delirare, mi tiri fuori queste battutine audaci?

“Smettila, hai capito benissimo cosa intendevo.” Si schermì precipitosamente.

“Tu vai a mettere a letto Emily,” le disse lui. “E non preoccuparti per me, starò bene.”

Lei esitò titubante: avrebbe potuto portare Emily nel proprio letto, e poi tornare a monitorare la situazione, o mandare Gustav o Tom a farlo.

“D’accordo,” decise alla fine. “Ci metterò solo un minuto.”

Fece per alzarsi, ma Georg la bloccò per una mano.

“Aspetta.”

Occhi negli occhi, rimasero immobili per un attimo, senza battere ciglio, le dita calde di lui sulla pelle fredda di lei. Era quasi sconvolgente avere un contatto fisico così improvviso con lui, benché non fosse la prima volta, e questo provocò in Nicole un certo senso di disorientamento.

“Senti, io…”

“Hey!”

La voce di Bill ruppe quel denso silenzio, facendola trasalire bruscamente. Si voltò: lui era sulla porta e controllava la stanza circospetto, e lei non poté fare a meno di sentirsi inspiegabilmente in colpa. Si era completamente scordata di lui.

“Georg, che ti è successo?” proseguì Bill, accigliato.

Nicole si levò in piedi con uno scatto felino, senza nemmeno accorgersi del fatto che Georg le avesse lasciato la mano.

“Credo sia un po’ di influenza,” rispose, mentre la testa le si svuotava, come ogni volta che si trovava in sua presenza. “Qualcuno dovrebbe restare con lui, stanotte.”

Bill sembrò preoccuparsi molto. Si fece avanti e passò in rassegna prima Georg e poi Nicole. Qualcosa nel suo atteggiamento lo faceva sembrare insolitamente freddo.

“Resto io,” disse risoluto. “Non c’è problema, sul serio. Tu vai pure a riposare.”

Nicole gettò uno sguardo incerto a Georg, ma lui le fece un cenno di conferma con la testa, e lei cedette.

“Se avete bisogno di qualunque cosa, sapete dove trovarmi.” Stava già dirigendosi fuori dalla stanza, quando si ricordò di una cosa. “Stavi per dire qualcosa, prima?” domandò a Georg.

Lui abbassò lo sguardo, scuotendo il capo.

“No, nulla. Volevo solo chiederti di lasciarmi un bicchiere d’acqua sul comodino.”

“Oh,” Nicole batté le ciglia, leggermente perplessa. “Mi era sembrato –”

“A quello posso pensare io.” Intervenne Bill.

Nicole soppesò ulteriormente la prospettiva, e giunse alla conclusione che fosse effettivamente più consigliabile lasciare che fosse Bill a restare: lui e Georg erano amici, e sarebbe stato comunque meno imbarazzante per entrambi. Non riteneva sconveniente passare la notte al capezzale di un ragazzo, ma era sicura che Georg non si sarebbe sentito a proprio agio, con lei, ed era quindi meglio farsi da parte.

“Allora io vado,” Allungò un’occhiata fino al divano, dove Emily dormiva tranquilla. “Lascio a te le cure del malato.” Elargì a Bill un grande sorriso, poi andò a recuperare Emily ed uscì dalla suite, augurando la buona notte ai ragazzi. Non appena si fu richiusa la porta alle spalle, trasse un profondo sospiro, che esorcizzò parte della tensione di varia origine che aveva accumulato.

Che serata intensa…

 

***

 

Bill ancora non aveva compreso cosa lo avesse mosso a proporsi per rimanere con Georg quella notte. Non aveva problemi a tenere compagnia ad un amico ammalato, ma generalmente non era certo lui la prima persona a cui qualcuno si sarebbe rivolto in un caso simile. Probabilmente, anzi, era l’ultimo, se non addirittura escluso dalla lista.

Aveva intuito che ci fosse qualcosa che non andava fin da quando aveva scorto la porta aperta della camera di Georg, ma la prima cosa che aveva provato, quando lo aveva visto disteso sul letto con Nicole accanto, era stata un istintivo sentore di fastidio, che la parte più noiosa di lui si ostinava a chiamare ‘gelosia’.

Non sono geloso, si era detto con veemenza. Non c’ niente di cui essere geloso, da qualunque punto di vista si guardi la situazione.

Peccato solo che non fosse bastato per mettere a tacere quella voce rodente, che peraltro lo aveva tormentato per tutto il giorno, rammentandogli della scena del giorno precedente che tanto si era sforzato di cancellare dalla propria memoria. Aveva cercato, non riuscendo a comportarsi in modo normale con Georg, di essere almeno equo nella distribuzione del suo malumore, perciò erano stati tutti convinti che fosse in preda ad una delle sue lune di traverso. Era rimasto intrattabile fino a che non avevano dato inizio a quella partita alla playstation, in cui aveva potuto sfogare in modo indiretto la sua frustrazione repressa.

Ma il vero top è stata la cena, giusto?, suggerì la voce saccente, e stavolta Bill nemmeno tentò di scacciarla.

La cena, a tutti gli effetti, era stata l’aspetto migliore della giornata.

Raramente gli era capitato di incontrare ragazze come Nicole, così matura sotto certi punti di vista, e incredibilmente bambina sotto altri, ma si era trovato in sintonia con lei, anche se si era dimostrato piuttosto difficile chiacchierare con qualcuno che non riusciva a guardarti in faccia per più di tre secondi di fila.

Però è davvero piacevole stare con lei.

“Allora, vi siete divertiti?” Georg lo riscosse dai suoi pensieri con quella domanda del tutto inattesa. Nella penombra della stanza, alla luce giallognola a fioca dell’abatjour, nulla era visibile tranne vaghe sagome indistinte, eppure Bill avrebbe scommesso che, nonostante il tono rilassato, non ci fosse voglia di sapere, nella voce debole dell’amico.

“Sì, moltissimo.”

Provò un piacere meschino nel pronunciare quelle parole, nel gustare il loro suono, ma se ne vergognò immediatamente.

“È una ragazza in gamba,” aggiunse, quasi per rimediare alla propria arroganza. “È facile andare d’accordo con lei… Affezionarsi…”

Lasciò in sospeso quell’ultima parola, cercando di cogliere la reazione di Georg, ma si sentì molto stupido: uno dei suoi migliori amici stava male, e lui pensava a certe emerite cretinate?

Quanto sei stronzo, Bill.

Divorato dal senso di colpa, avvicinò una sedia al letto e vi si mise sopra a cavalcioni, le braccia avvolte attorno allo schienale. Si era comportato da perfetto idiota per l’intera giornata, e forse sarebbe stato saggio piantarla con le remore puerili, almeno per un po’.

“Scusa se oggi sono stato così insopportabile,” disse umilmente, concentrato su un punto preciso del piumone. “È stata proprio una giornataccia.”

L’unica risposta che gli giunse, però, fu il respiro regolare e pesante di Georg, che dormiva ormai profondamente. Bill sorrise e spense l’abatjour, sperando che la notte gli avrebbe portato consiglio.

E tu rimettiti in fretta, vecchio mio.

 

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Note: molto bene, credo chi sia ormai giunta l’ora di dare a Cesare quel che è di Cesare, o, per meglio dire, ai recensori ciò che è dei recensori. Innanzitutto voglio che sappiate che sono profondamente grata a ciascuno di voi per il vostro entusiasmo, il vostro sostegno, i vostri complimenti e tutto il resto… Siete un pubblico meraviglioso! Ma andiamo con ordine…

 

Picchia: sono costernata, ma Emily non è cedibile. ; ) Se te la senti di batterti con Nicole e i Tokio Hotel al gran completo, accomodati, ma al posto tuo non lo farei. Al massimo ti possiamo assumere come baby sitter, se ti va!

Kltz: troppo, troppo buona. Mi piace sentir definire la mia piccola Emily un “signor personaggio”, direi che le sta bene, con quel suo bel caratterino. Resta sintonizzata, sono sicura che ti piaceranno i futuri sviluppi.

Lady Vibeke: doppia recensione un’altra volta! Viene da chiedersi dove sia la tua testolina quando leggi, visto che ti scordi sempre qualcosa! ^^ No, scherzi a parte, da dove comincio? Mi prostro in un inchino? Ti bacio l’orlo della veste? Ti cedo Georg? No, spiacente, questo mai! ^^ Le tue recensioni diventano sempre più lunghe e lusinghiere, e io ormai non so più come fare per non darmi delle arie per ricevere tutti questi complimenti da te. Spero di essere sempre all’altezza delle tue aspettative.

LiSa90: sì, Nicole è un bel po’ smarrita, ma in due occhioni nocciola in cui chiunque perderebbe l’anima, tanto da non capire più niente… Direi che è scusata.

ruka88: tifosa di Bill, eh? ^^ Posso solo dirti grazie, perché gli spoiler sono assolutamente vietati!

chidroy: tu invece sei dalla parte di Georg… presto faremo le squadre, mi sa. ^^ Grazie per i complimenti, spero che continuerai a seguirmi.

sososisu: recensione significativa, devo dire. ; ) Scommetto che questo capitolo ti è piaciuto. Chi vivrà vedrà, comunque, quindi non resta che attendere. ^^

RubyChubb: stesso discorso che ho già fatto a Lady Vibeke, rivolto a te. Conta molto per me la tua opinione, anche se qualche vago accenno in merito a questo capitolo hai già avuto modo di darmelo… Viel danke!

ada: spero di aver aggiornato abbastanza in fretta, almeno stavolta. Ti dirò, amo tantissimo le situazioni ambigue, come tu e gli altri avrete senz’altro capito, perciò c’è da rassegnarsi, è una cosa che resterà in sospeso fino alla fine. ^^

Ninnola: altra parteggiante per Georg… siete parecchie, vedo! Grazie di tutto, sei veramente gentile.

CaTtY: Bill poteva eccome farsi furbo, ma che gusto c’era a farli baciare così presto? ; )

yuke: immagino che il tuo adorato sia Gustav o Georg. ^^ E siamo a 4 che si schierano dalla parte del bel Listing. (fan di Bill, dove siete??) ^^

Zickie: grazie mille!

Chiara88: e due per Bill! Lo so, sono stata un po’ stronza con il mancato bacio, ma era fin troppo scontato lasciare che succedesse, quindi ho preferito optare per altri piani. ; )

kit2007: la cosa della prostituzione ai media è un concetto che coltivo da un bel po’, e in senso buonissimo, sia chiaro: Bill è l’essere perfetto per un ruolo come il suo (ma anche l’essere perfetto e basta), e messo davanti ad una telecamera soddisfa ogni possibile qualità richiesta: è esteticamente favoloso, ha un bellissimo sorriso, è a proprio agio davanti alle telecamere e la sua parlantina incanta… Insomma, questo ragazzo è una “Massmedia Bitch”!

Kina89: eccotelo qui il seguito, spero sia stato di tuo gradimento!

_PuCiA_: se nei tuoi biscotti era compreso un ingrediente chiamato cannabis sativa, allora è il caso che forse tu inizi a preoccuparti. ; )

Muny_4Ever: un’altra per Georg… Gente, che qualcuno venga a sostenermi Bill, o si sentirà scoraggiato! ^^ Non mi assumo responsabilità in merito alla scommessa, in qualunque modo si andrà a concludere. ; )

loryherm: mi hai fatta arrossire come un peperone, lo sai? Troppi complimenti! No, scherzo, continua pure a farmeli e a nutrire il mio ego, non sarò io a piangere. ^^

Ranpyon: ed ecco qui la vincitrice del premio “Recensione più lunga della storia”! Complimenti, mi ha fatto un immenso piacere vedere che la storia ti ha entusiasmata tanto, è un onore per me avere lettori partecipi come te.

CowgirlSara: anche per te vale il discorso che ho già fatto un paio di volte: il tuo giudizio è basilare. Sono sorti dubbi, incertezze? Bene, il mio intento è riuscito! Sono curiosa di sapere cosa ne pensi di questo capitolo. ^^

Clodie: sì, questo capitolo è stato un po’ la chiave di volta della storia… Ora comincerà ad arrivare il clou!

dark_irina: anche tu parteggi per Georg, dunque? Wow, sinceramente questa cosa mi stupisce… Dev’essere scoppiata un’epidemia di Georg-mania! Mi auguro che la tua pazienza sia stata debitamente premiata. ^^

valux91: altra fan di Bill, eccoti qui! Attenta a dare caramelle a Georg, potrebbe pensare che tu ci stia provando, porco com’è. ; )

 

Bene, ho terminato con i devoti ringraziamenti, sembra… Lavoro lungo, ma necessario, visto che vi devo tantissimo per il vostro incoraggiamento. Vi lascio un grande abbraccio, e vi aspetto tutti al prossimo aggiornamento. ^^



P.S. Traduzione canzone citata nella prima parte del capitolo, ossia Purgatory by Iron Maiden: Non riesco ad abituarmi al purgatorio, sai, mi fa davvero piangere, non conoscerò mai la ragione per cui me ne sono dovuto andare, sto piangendo, nel mio profondo... Non mi vedi? Non mi vedi? Non vedo l'ora di scorgere il suo spirito che viene da me, mi sento tentato di portarla qui perché veda... Che cosa significa pendere dall'altro lato... Mi sento così solo...

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Capitolo 11
*** Kiss Kiss, Bye Bye ***


“Certo che se tu ti fossi degnata di dirmi che sarebbe stata sufficiente qualche lineetta di febbre per averti al mio capezzale, mi sarei fatto una bella nuotata nel Danubio appena messo piede in Austria!”

“E a quel punto, anziché la febbre, ti saresti beccato qualche mutazione genetica.”

Tom continuò a riempirsi la ciotola di cornflakes, sfoderando un sogghigno compiaciuto, a cui Nicole rispose con una piccola gomitata.

“Non scherzarci sopra, comunque,” gli disse, versandogli del latte. “Guarda che mi sono presa un bello spavento.”

Quando Tom era sceso per la colazione – insolitamente presto, per i suoi standard – l’aveva trovata già seduta al tavolo nella saletta deserta, intenta ad intingere delle fette biscottate nel suo caffélatte. L’aveva salutata, poi aveva sequestrato il dispenser dei cereali dal tavolo del buffet e se l’era portato dietro con il bricco del latte, accomodandosi assieme a lei, e si erano messi a chiacchierare.

“Come mai hai lasciato Emily da sola?” le domandò, infilandosi in bocca una generosa cucchiaiata di flakes.

Nicole prese un sorso dalla propria spremuta d’arancia, sollevando le spalle.

“Non è da sola,” rispose enigmatica. Sollevò le mani e si strinse la coda di cavallo, e Tom si rese conto che era la prima volta che la vedeva con i capelli raccolti. Stava molto bene. “Abbiamo incrociato Gustav mentre scendevamo.”

“Fammi indovinare,” la interruppe Tom. “Si stava portando su la colazione.”

Nicole fece cenno di sì con la testa.

“Bah, ma chi glielo fa fare di fare su e giù? Non so che cos’abbia contro il servizio in camera mattutino.”

“Magari ha solo voglia di sgranchirsi un po’,” ipotizzò Nicole. “Quando Emily ha scoperto che voleva fare colazione in camera non c’è stato verso di convincerla a lasciarlo in pace,” scosse la testa, levando gli occhi al cielo con fare incredulo. “Alla fine Gustav ci ha proposto di unirci a lui, e io non ho proprio potuto dire di no di fronte alle implorazioni di Emily.”

“E allora cosa ci fai qui?”

Lei accavallò le gambe e si abbandonò liberamente nella comoda sedia, arricciando un angolo della bocca.

“Avevo voglia di sgranchirmi un po’ anch’io e fare la signora in questo meraviglioso hotel.” Disse in un accentuatissimo tono snob. “Tu invece cosa ci fai già in piedi? Non dovresti essere quello che dorme fino alle sei di sera?”

“Tu guardi troppo i nostri dvd,” la prese in giro lui, mentre leccava la crema da uno dei biscotti che lei aveva avanzato. “E comunque capita a tutti di uscire dalla routine, qualche volta.”

“Sì, il brivido del rompere gli schemi.” Ironizzò lei.

Tom annuì, fingendosi pensieroso. Secondo le sue stime personali, gli altri non si sarebbero fatti vivi prima di almeno un paio d’ore, se non addirittura dopo l’ora di pranzo, vista soprattutto la nottata turbolenta. Probabilmente Georg non si sarebbe nemmeno alzato, anche se doveva stare già molto meglio; conoscendolo, avrebbe oziato tutto il pomeriggio, servito e riverito come un pascià.

“Dì un po’,” le disse, improvvisamente memore di un certo dettaglio non indifferente. “Com’è andata alla fine la cena col mio fratellino?”

La domanda clou, quella che aveva atteso di porle fin dalla sera precedente. Si sentiva una ragazzina pettegola per via della morbosa curiosità che nutriva per la faccenda, ma, al diavolo, se Bill si era preso una cotta decente – e se l’era presa eccome, visti i suoi atteggiamenti – non ci si poteva risparmiare sugli interrogatori.

Ma tu, mia piccola Nicole? Tom cercava di leggerle nello sguardo qualche segreto che le sue parole probabilmente non avrebbero mai raccontato. Tu cosa diavolo provi, si può sapere?

Come previsto, l’immediata reazione di Nicole fu di imbarazzo. Lui rise nel vederla tuffarsi a capofitto nel bicchiere di succo, cercando di celare, anche se invano, il diffuso colorito scarlatto che le aveva tinto le guance.

“Ma quanto sei tenera,” sghignazzò. “O forse dovrei dire patetica?”

“Ma quanto sei gentile,” lo rimbeccò lei, mostrandogli la lingua. “O forse dovrei dire perfido?”

“Realista.” Puntualizzò lui.

“Secondo te gli da fastidio?” domandò Nicole timidamente. “Il fatto che io sia così goffa quando c’è lui nei paraggi, intendo,” specificò quanto Tom assunse un cipiglio interrogativo. “Insomma, a me darebbe sui nervi…”

Bene, bene, bene, Sandberg, sembra che tu abbia voglia di parlare, pensò deliziato. Dì tutto allo zio Tom, sono tutt’orecchi!

“È stato così carino per tutta la cena, mi ha parlato molto di voi, della vostra storia come gruppo, e di…” Aggrottò la fronte accigliata. “Non sono sicura di aver capito, a metà discorso mi sono resa conto di non aver afferrato mezza sillaba.”

Tom rise davanti a lei che si portava le mani al viso, gemendo sommessamente.

“Penseresti che una alla mia età dovrebbe essere in grado di avere un minimo di autocontrollo… Ma giuro che proprio non ci riesco.”

“Ho visto donne ben più mature di te perdere la testa davanti a Bill,” replicò lui con nonchalance. “Venerano me, Georg e Gustav come divinità sacre, ma Bill se ne sta sempre un gradino sopra. Non è colpa sua,” precisò, ben conscio del fatto che Bill, per quanto potesse essere una primadonna a tutti gli effetti, bisognoso di attenzioni continue, non si fosse mai andato a cercare una posizione privilegiata. “È fatto così… Conquista.”

Il naso di Nicole si arricciò.

“Mi piacerebbe avere cognizione delle mie azioni mentre parlo con qualcuno, soprattutto se…” Esitò, lasciando la frase in sospeso sulle proprie labbra, che prese a mordicchiare nervosamente.

“Soprattutto se quel qualcuno ti piace.” Finì Tom per lei.

Dall’espressione di Nicole, fu matematicamente certo di aver colto nel segno. Non che fosse arduo, vista l’esplicito favore di cui Bill aveva goduto fin da subito con lei, ma forse qualcosa era cambiato, da allora, forse qualcosa si era smosso, e forse non sarebbe stato male approfondire la cosa. Del resto, era stato Bill a volerla portare a cena – e a costringere implicitamente chiunque avesse per caso voluto avere l’ardire di dire ‘Vengo anch’io’ a tacere per il proprio bene – e siccome Bill non lasciava mai nulla al caso, Tom si sentiva autorizzato a cominciare a ricamarci sopra almeno un po’, giusto quel minimo sindacale concessogli dal suo solito menefreghismo, momentaneamente accantonato in favore di un’avida bramosia di scoprire.

“Smettila.” Gli intimò Nicole secca.

Lui batté le ciglia con assoluta innocenza.

“Smettila cosa?”

“Ti sento pensare da qui,” ribatté lei, sollevando un sopracciglio. “E so per certo che qualunque cosa ti stia passando per la testa non ha nemmeno un remoto legame con la realtà.”

Qui i casi sono due, si disse Tom, o mente spudoratamente, o non ha la più pallida idea di quello che dice… O di quello che sente?

Probabilmente la terza supposizione era la più credibile. E la peggiore, anche, perché nei primi due casi era implicata una ben solida consapevolezza, mentre nel rimanente… Be’, se lei stessa non sapeva comprendere i propri sentimenti, allora c’era ben poco da fare.

“Lo stai facendo di nuovo.” Cantilenò Nicole, sporgendosi in avanti sul tavolo.

“Sai essere veramente noiosa, lo sai?” si lagnò Tom. “Il che è un peccato, perché sei così carina… Ma se non altro spiega perché tu e Bill andiate così d’accordo.” Tom la squadrò, stringendo gli occhi in due fessure. “Com’è che questo tuo caratterino con lui non viene mai fuori? Non capisco perché con me sembri così disinvolta – così sfacciata – mentre con Bill sei rigida come i suoi capelli dopo il trattamento mattutino.”

Per tutta risposta, Nicole si pulì la bocca con un tovagliolo e si alzò da tavola.

“Dove vai?” indagò Tom.

“A recuperare mia figlia prima che Gustav si accorga che è una peste sotto copertura.”

“È il tuo messaggio cifrato per comunicarmi che vai a vedere come stanno Bill e Georg?”

Nicole inarcò le sopracciglia, scrutandolo dall’alto.

“Anche se fosse?”

Tom fece un gesto incurante, ma non riuscì a risparmiarsi una battuta provocativa.

“Nulla. Siete adulti e vaccinati, e tu sembri addirittura responsabile…”

Nicole lo mandò velatamente a quel paese, pur ridendosela sotto i baffi.

“Prova a non pensare al sesso per almeno cinque secondi, se ce la fai.” Lo sfidò, poi gli voltò le spalle.

Lui la osservò mentre si allontanava, studiandone i movimenti con un ghigno malizioso.

Finché mi concedi certi spettacoli, te lo puoi scordare, stellina.

La sua domanda, intanto, rimase senza responso.

 

***

 

Bill uscì dalla doccia meravigliosamente rinvigorito. La nottata passata a dormire sul divano non era stata delle più piacevoli – vista soprattutto la frequenza con cui si era alzato a controllare che Georg stesse bene – ed ora aveva il collo indolenzito e la sensazione si essere stato preso a mazzate sulle giunture delle ginocchia.

Afferrò uno degli asciugamani ordinatamente piegati ed impilati sul vasto ripiano di marmo – prova evidente che Georg ancora non vi aveva messo mano – si asciugò in fretta, poi cominciò a rivestirsi.

Si stava allacciando i pantaloni, quando qualcuno bussò piano alla porta.

Andò ad aprire a piedi nudi, gocciolando qua e là con i capelli ancora bagnati, sottili rivoli d’acqua che gli colavano sul petto e sulla schiena. Quando aprì, trovò qualcuno che non si era aspettato.

“Nicole,” esclamò, stupito. “Ciao.”

Lei riuscì a stento ad abbozzare un sorriso spiazzato, mentre il suo sguardo indugiava su di lui, sul suo torso nudo ed umido. Le gote di Nicole non erano mai state così rosse.

“Scusa,” balbettò, puntando gli occhi solidamente a terra. “Volevo solo –” Era deliziosa, così impacciata e in imbarazzo. “Come sta Georg?”

“Dorme come un angioletto, e la febbre sembra passata,” disse lui con un lieve sorriso rassicurante, e si fece da parte. “Entra.”

Nicole obbedì remissiva e Bill richiuse la porta.

“È andato tutto bene stanotte?” Gli domandò, seguendolo verso la stanza da letto della suite. “Ero un po’ preoccupata per lui.”

Una sottile scheggia di gelosia – e stavolta non poté non riconoscerla come tale – punse Bill alla sinistra del torace.

Non potevo prendermela io la febbre?

Bill si diede uno schiaffo immaginario per via di quell’assurdo pensiero. Un conto era ribollire di gelosia, un altro arrivare addirittura desiderare di ammalarsi per ricevere qualche attenzione in più. Patetico, ecco cos’era. Vergognosamente, disgustosamente patetico.

Comprati una dignità, Bill, si disse, indignato di se stesso.

Nicole avanzò verso la porta che l’avrebbe condotta a dove Georg stava dormendo, ma Bill voleva tenersi almeno un momento con lei solo per sé, e prima ancora di accorgersene, le afferrò il polso e la fermò.

“Aspetta.”

E lei aspettò. Ci fu uno strano bagliore nei suoi occhi quando si voltò verso di lui, un lampo di sorpresa e stupore, che lui non seppe come interpretare.

“Non ti ho ancora ringraziata come si deve per la bella cena di ieri sera.” Disse, buttando fuori la prima cosa che gli passò per l’anticamera del cervello.

Il viso di Nicole fu illuminato da un sorriso radioso. Apparentemente dimentica del fatto che lui non indossasse altro che un paio di jeans, lei scosse il capo, finalmente guardandolo negli occhi.

“No, sono io quella che deve ringraziare!” ribatté. “Insomma, non avrei mai creduto che un giorno io e te…”

Lasciò morire il discorso a metà, abbassando lo sguardo mentre lui muoveva un passo in avanti, senza lasciarle il polso. Bill non era certo di quel che stesse facendo, ma seguiva ciecamente la propria volontà, senza domande, senza riflettere.

Tu stai letteralmente morendo dalla voglia di baciarla, gli fece notare una voce petulante proveniente da chissà quale anfratto della sua testa. Ma il non riuscire a vedere gli occhi di Nicole lo fece rinsavire. Forse non valeva la pena di correre e spaventarla. Non voleva darle l’impressione sbagliata.

Se tu la baciassi, direi che l’impressione che ne avrebbe sarebbe ben poco sbagliata, non credi?, incalzò la voce. Bill fece del proprio meglio per metterla a tacere; lo stava confondendo.

Un compromesso, si disse determinato, scrutando dall’alto la testa china di Nicole. Un ragionevole compromesso…

Le sue dita, ancora fredde dopo la doccia tonificante, si staccarono dal polso e salirono a posarsi – non senza qualche esitazione – sul viso pallido di Nicole, la quale fremette sotto al suo tocco, senza ancora osare guardarlo. Stranamente irrequieto, Bill si soffermò un altro istante a considerare la situazione: le sue intenzioni erano chiare, e se lei non lo avesse voluto, avrebbe già fatto in modo di farglielo capire.

Ragionevole compromesso, rammentò a se stesso, mentre le si avvicinava ulteriormente.

Si chinò lentamente su di lei, calibrando ogni minimo movimento, e lei rimase immobile, aspettando con un vago sorriso dipinto sulla bocca. Bill inspirò profondamente.

Ora o mai più…

Le sfiorò una guancia con le labbra, incontrando per un breve attimo la sua pelle calda. Era morbida, e profumava di agrumi. Si risollevò lentamente, leccandosi le labbra, un po’ per i dubbi che nutriva in merito all’imminente reazione di Nicole, un po’ per riassaporarla di nuovo, in caso non avesse più avuto un’occasione futura di ripetere quel gesto.

In caso la risposta che sta per arrivarmi fosse uno schiaffo o qualcosa del genere.

Ma era più che evidente che Nicole non avesse in mente nulla di tutto ciò. Il suo sorriso, pur intrappolato dagli incisivi che tormentavano il labbro inferiore, si era fatto più netto, e le sue gote più rosse. Bill la adorò per quella sua aria di genuino smarrimento.

Non credo che tu ti renda conto di quanto tu sia irresistibile quando fai così.

“E questo per che cos’era?” chiese lei in un soffio.

“Niente,” fece lui con una scrollata di spalle incurante. “Le tue guance hanno un aspetto invitante.”

Nicole fece per dire qualcosa, ma proprio allora la porta che conduceva alla stanza da letto si aprì, e ne emerse la testa di Georg.

“Mi sembrava proprio di aver sentito delle voci.” Disse, il tono un po’ roco, poi lo sguardo gli cadde su Bill e la sua espressione mutò all’istante. “Scusate, non volevo interrompere…”

“Non hai interrotto niente.” chiarì Bill precipitosamente. Un po’ troppo precipitosamente, forse.

Georg aveva l’aria di sentirsi parecchio di troppo.

Era visibilmente provato, gli occhi gonfi e cerchiati da ombre scure, il volto sciupato, di un brutto colorito grigiastro, e Bill si domandò se fosse nelle condizioni di subire il viaggio fino a Dublino che li attendeva nel pomeriggio.

Quasi a voler confermare i sospetti di Bill, Georg sembrò sul punto di perdere l’equilibrio e dovette appoggiarsi allo stipite della porta per tenersi in piedi.

Ci volle poco più di un battito di ciglia perché Nicole gli andasse incontro per aiutarlo.

“È meglio che tu resti a letto finché puoi,” gli disse, sorreggendolo, poi si rivolse a Bill. “Dammi una mano, riportiamolo indietro.”

Lui obbedì. Riaccompagnarono Georg al letto e lui vi si sedette con un sospiro.

“Grazie.” mormorò, sollevando a stento lo sguardo.

Bill osservò attentamente come Nicole gli si andò a sedere accanto e gli posò la mano sulla fronte, per poi spostarla quasi subito, con un sorriso risollevato. Osservò come Georg sembrava temere di incrociare i suoi occhi, rifuggendoli ogni volta che si azzardava ad incontrarli con i propri. Osservò la gentilezza con cui lei domandava a lui come stesse, se gli andasse di mangiare qualcosa, e stavolta il sentimento che gli graffiò nel petto non era semplice gelosia, ma il mostro dagli occhi verdi per eccellenza: l’invidia.

Gli venne da ridere al pensiero che, ironia della sorte, fosse Georg, tra loro due, ad avere gli occhi verdi, ma non era lui quello che si stava tacitamente rodendo il fegato.

E mentre Nicole si sporgeva in avanti oltre Georg per afferrare la cornetta del telefono e far portare qualcosa per la sua colazione, Bill continuava a sentirsi un idiota per via di quelle paranoie esagerate che si faceva, ma che, nonostante la consapevolezza che fossero, per l’appunto, esagerate, non poteva proprio risparmiarsi.

Forse i ragazzi hanno ragione quando mi danno dell’egoista viziato…

Eppure, in quel frangente, sentiva che quelle paranoie erano pienamente giustificate.

 

***

 

Gustav trottò giù dagli scalini che conducevano al vicolo sul retro dell’hotel con Emily in spalla, che rideva a crepapelle. Da quando avevano fatto colazione insieme, quella mattina, non si erano più mollati un secondo.

Gli erano sempre piaciuti i bambini, e sicuramente sperava di averne, prima o poi, con la ragazza giusta, ma Emily era un perfetto surrogato di figlia, e giocarci insieme era più spassoso per lui che per lei, anche perché la piccola era un vero e proprio vulcano di sorprese.

Gli aveva fatto il disegno di una batteria su un foglio a caso che aveva trovato in giro, e anche se non poteva dirsi esattamente portata per le arti figurative (almeno per ora), Gustav era rimasto non poco stupito di scoprire che era invece abilissima a scrivere: la dedica che gli aveva lasciato era non solo grammaticalmente ineccepibile, ma anche piuttosto elegante.

Per Gustav, il batterista più bravo del mondo. Grazie per la musica che tu e i Tokio Hotel suonate per noi che vi vogliamo bene. Con tanto affetto, Emily.

Alle loro spalle, Tom, Bill e Nicole li stavano raggiungendo, seguiti dal passo più lento di Georg, imbacuccato per bene, sorvegliato a vista da Saki.

“Dublino, dolce Dublino, stiamo arrivando!” esultò Tom, stiracchiandosi le braccia sopra la testa con un largo sbadiglio. Il bus era fermo in mezzo al vicolo, pronto a caricarli.

Gustav pensò fosse un bene che avessero scelto di evitare l’uscita principale, almeno stavolta.

“Tom, quanto sei ipocrita!” lo ammonì, mentre Emily gli circondava il collo con le braccia. “Dì le cose come stanno, per una volta.”

Tutti sembravano essere d’accordo con lui, tranne Nicole, che li guardava uno ad uno senza capire.

“Devi sapere che un paio di anni fa, Tom ha conosciuto due bellissime gemelle, a Dublino, e… Diciamo che ha avuto modo di approfondire meglio i costumi locali.” Spiegò Gustav, e allora Nicole annuì maliziosa.

“Certo, capisco. Due gemelle tutte per lui, chissà che divertimento…”

“Oh, ma Tomi non è l’egoista che sembra,” intervenne Bill, con un mezzo ghigno che Gustav trovò eccessivamente perfido per un banale scherzo. “È stato così buono da condividere la fortuna con qualcun altro,” si voltò verso Georg, il quale gli rivolse un’occhiata a metà strada tra lo stupefatto e il collerico, che però parve non impietosire né intimidire Bill. “Vero, Georg?” aggiunse, con una punta di veleno che forse Nicole non notò. “Si incontrano tutte le volte che siamo nei paraggi.”

Una pausa di silenziosa tensione piombò tra Bill e Georg, e Gustav scambiò un’occhiata allarmata con Tom, probabilmente ponendosi la sua stessa domanda.

Bill, ma che ti prende?




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Note: Un milione di miliardi di grazie a tutti voi che leggete, recensite, mandate email e mi contattate via msn! Vi amo, dal primo all'ultimo! Un grazie speciale va a Sara, che ha fatto un disegno di Emily e Nicole che dire bellissimo è dire niente... Eccolo qui: http://i40.photobucket.com/albums/e215/SaraLab/EmilyeNicole.jpg?t=1203027118.
Spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, e spero anche che recensierete, perché adoro le vostre recensioni, e soprattutto adoro leggere cosa ne pensate e cosa vi aspettate... Molti di voi hanno un ottimo spirito di osservazione! ^^ Nel prossimo capitolo ci sarà da divertirsi (si fa per dire), quindi aspettatevi di tutto. ;)
Un bacione, alla prossima!

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Capitolo 12
*** Home ***


Il verde brillante delle pianure e delle colline, il blu intenso del cielo, l’aria frizzante e pulita, l’atmosfera che sapeva di antico, di accogliente, di caldo. Un luogo che sapeva di casa.

Erano due anni che non ci metteva piede, ma Nicole non aveva scordato l’Irlanda, né aveva dimenticato la sua splendida capitale. Non aveva scordato l’altra metà di se stessa, e l’amava ancora, esattamente come la prima volta, e come tutte le altre.

Aveva ammirato con gioia la periferia della città, con le sue case bianche e i suoi quartieri ordinati, i prati rigogliosi e ben curati, e gli autobus blu e gialli a due piani che spuntavano in ogni dove: la sua Dublino era ancora il piccolo paradiso che ricordava, sempre identica ai racconti pieni di nostalgia di sua madre.

Non credevo che sarei tornata così presto da te…

Dopo lo spettacolare concerto della sera prima e la lunga sessione di interviste di quella mattina, la troupe al gran completo dei Tokio Hotel si stava ancora godendo i rimasugli di un meritatissimo pranzo di gratifica in un piccolo ristorantino sulla costa, riservato appositamente per loro. Nicole conosceva bene quel villaggio, Howth: ci era stata parecchie volte negli anni precedenti, con la propria famiglia. A Brigit, sua madre, piaceva tornare spesso nella propria terra di origine, e sia Nicole che Brenda avevano presto scoperto di amare quel paese almeno quanto la loro Germania.

Nicole sedeva sulla panchina nel vasto giardino del ristorante, ammirando gli scintillii del sole che brillava sul mare e sulla scogliera della baia.

Emily era con Gustav e Bill al recinto delle pecore, e fissava l’intero gregge con un interesse smisurato, non avendo mai avuto occasione di vederne, se non in televisione.

Era una bella giornata, piuttosto calda, pur essendo solo metà febbraio, e sembrava quasi di trovarsi lì per una vacanza, più che per lavoro.

Mentre osservava un gruppo di gabbiani che atterravano elegantemente sullo specchio d’acqua, il cellulare che aveva in tasca cominciò a suonare. Nicole prese appunto mentale di cambiare la suoneria di Monsoon con una un po’ meno ovvia, poi si portò il cellulare all’orecchio, il nome di Brenda che lampeggiava sul display.

“Ciao Bree.”

“Nicole!” la voce estenuata di Brenda gracchiò dall’altra parte. “Sono secoli che cerco di chiamarti, ma non eri raggiungibile, dove diavolo ti hanno portata, nel Gran Canyon?”

Nicole si sforzò di non ridere.

“Ti avevo fatto una lista di date e luoghi, ricordi?”

“Sì, sì, lo so,” brontolò Brenda, sbuffando impaziente. “Me l’ero scritta da qualche parte, ma non ricordo dove… Forse su quel libro che ho scordato ieri in metropolitana, o forse sul cartone della pizza, che ne so…”

Dalle continue pause, Nicole intuì che stava fumando, e probabilmente, essendo le tre del pomeriggio di lunedì mattina, si era addirittura appena svegliata.

“Dovresti faxarmi di nuovo un riassunto delle prossime tappe,” stava proseguendo, imperterrita. “All’ufficio di Gabe, magari, così so dove trovarlo quando mi serve. Odio non sapere dove siete tu e quella pazza di mia nipote, soprattutto vista la compagnia che –”

“Siamo a casa, Bree.” La interruppe Nicole, sentendosi affiorare un sorriso sulle labbra. Ovviamente, Brenda non afferrò subito.

“A casa?” fece, stupita. “Sono sicura che Lipsia non fosse sulla lista dei concerti… O sì? Maledizione, devo trovare quella cosa dove avevo trascritto tutto…”

“Brenda,” Nicole la interruppe di nuovo, soffocando una risata. “Non a Lipsia… A casa.”

Una pausa di silenzio denotò la riflessione in corso di Brenda.

“Cazzo, è vero!” esclamò alla fine, la voce improvvisamente più trillante e presente. Seguì uno schiocco, presumibilmente di una mano che colpiva la fronte. “Dublino!”

Nicole le raccontò un po’ di tutto quanto avesse fatto finora, e di come Emily si stesse divertendo ed avesse ormai conquistato praticamente chiunque. Le parlò dell’arrivo in Irlanda, dell’organizzazione del concerto e dell’ottimo pranzo che avevano consumato, e Brenda ascoltò con devozione ogni dettaglio, anche dei due turbolenti giorni precedenti in cui non si erano sentite. Quando arrivò a parlare dell’episodio del mattino precedente, le sembrò quasi di vedere le pupille di sua sorella dilatarsi dalla curiosità.

“Aspetta un attimo,” interloquì Brenda, esagitata. “Mi stai dicendo che Bill ‘Sexy’ Kaulitz ti ha baciata?”

“Non baciata baciata,” precisò Nicole, arrossendo. “Solo sulla guancia.”

Il semplice ricordo la fece sentire un po’ disorientata: non era ancora del tutto sicura di aver metabolizzato fino in fondo la cosa, probabilmente per via della buona dose di follia che l’idea implicava. Quante sue coetanee potevano vantare un problema simile? Bill Kauliz, frontman e leader dei Tokio Hotel, aveva consacrato il suo viso con un bacio, e lei ancora era impegnata in un lungo processo di valutazione dei possibili significati di un simile gesto.

Ma perché anziché stare a farti venire queste turbe mentali, non ti accontenti del semplice fatto che sia stato così carino?, suggerì saggiamente l’ultimo rimasuglio raziocinante di se stessa, ma Brenda la distrasse prima che lei potesse veramente pensarci.

“E ora come sta il dio del sesso, a proposito?”

Nicole corrugò la fronte, perplessa.

“Come sta chi?”

“La calamita per estrogeni, Nicole, hai presente?” fece Brenda, sardonica. “Quel ragazzo tutto muscoli e lineamenti da purosangue teutonico, occhi più verdi del verde e voce da orgasmo istantaneo? Quello che mi hai appena detto di aver amorevolmente accudito per via di una brutta febbre, sai…”

Qualche meccanismo scattò nella mente di Nicole, sbloccandola dal pensiero di Bill e riportandola in carreggiata.

“Ah, Georg,” Una vaga sensazione di calore le avvolse il volto. “Sta bene. Ancora un po’ sottotono, ma direi che ormai è guarito. Ieri sera al concerto è stato assolutamente…”

Si bloccò. Un’ombra era apparsa all’improvviso sopra di lei, e, nell’alzare la testa, si era trovata ad incontrare quel famigerato paio di occhi più verdi del verde che Brenda aveva appena nominato.

Georg le rivolse un piccolo sorrisetto curioso, una sigaretta tra le dita, e Nicole ebbe la netta sensazione che stesse aspettando che lei finisse la frase.

“Assolutamente fantastico.” Disse allora, senza smettere di guardarlo, quindi lui le sorrise apertamente, e si appoggiò al muro di pietra, limitandosi a consumare la propria sigaretta in silenzio.

“Salutameli tutti quanti, uno per uno, e dai un bacio gigantesco ad Emily, io devo scappare,” disse Brenda, mentre il suo tono si faceva aspro. “Ho un appuntamento con quella sgualdrina che deve scrivere un pezzo sui miei locali per Le Figaro… Un acido che non ti dico.”

“D’accordo,” rispose lei. “A presto, e salutami Gabe e quella santa donna di Grete, ne ha di coraggio a farti da governante.”

Brenda chiuse la chiamata con qualche raccomandazione estrema ed un ultimo saluto. Nicole ripose il cellulare nella tasca dei propri jeans e guardò di nuovo in su, verso Georg: fumava la sua sigaretta con fare tranquillo, osservando Bill che sollevava Emily per farla sedere sulla staccionata. Nicole si sentiva la sua attenzione addosso, anche se stava scrutando altrove.

“Ho avuto un tempismo vergognoso, vero?” disse, resuscitando nella testa di Nicole la definizione che Brenda aveva efficacemente usato per descrivere la sua voce.

Lei trasferì la propria attenzione sulle sfumature dei propri stivali scamosciati, l’udito concentrato sulle risate di Emily, Gustav e Bill – a cui ora si era unito anche Tom – carpendo con la coda dell’occhio il movimento di Georg che buttava la sigaretta a terra e la spegneva con il piede.

“Non so di cosa tu stia parlando.” Mentì.

Georg sollevò un sopracciglio, e con esso un angolo della bocca.

“Non so se te l’hanno mai detto, ma la bugiarda non è proprio il tuo mestiere.” Le fece notare.

Lei chinò il capo, scuotendolo sconfitta, e risero entrambi, con una rilassatezza che fu un vero sollievo per Nicole.

“Comunque non c’era nulla da interrompere, credimi.” Chiarì, e si stupì nello scoprire di aver inconsciamente classificato l’evento come ‘nulla di sentimentalmente rilevante’.

Se lo sarebbe ricordata a vita, quel piccolo, innocentissimo bacio, non come fonte di inutili illusioni, ma come semplice, bellissimo ricordo da portarsi dentro. Se in futuro avesse dovuto struggersi per qualche cosa, almeno si augurava che sarebbe stato qualcosa più significativo di un bacetto sulla guancia.

“D’accordo,” asserì lui, alla fine. “Diciamo che ti credo.”

“Come sarebbe diciamo che mi credi?” saltò su lei, portandosi le mani sui fianchi esibendo indignazione. Lui roteò gli occhi divertito.

“E va bene, ti credo.”

Restarono per un po’ a guardare Gustav, Bill e Tom che litigavano per chi di loro dovesse portare Emily a cavalluccio, e alla fine fu Tom a spuntarla.

“Sembra che se la stiano proprio spassando.” Osservò Nicole. Aveva creduto che, dato la scarsità di rapporti che aveva avuto con gli uomini, Emily avrebbe avuto qualche problema a rapportarsi con loro, ma si era decisamente sbagliata. “Come mai non sei là anche tu a contendere il prossimo giro?”

Ad una domanda posta per gioco, giunse una risposta che le causò un violento sobbalzo al cuore.

“Volevo stare un po’ con te.”

Nicole deglutì il vuoto mentre uno strano ronzio le riempiva le orecchie.

‘Volevo…’

Lo aveva detto sul serio?

‘Stare…’

Ma, soprattutto, lo aveva detto nel senso in cui lei lo aveva inteso?

‘Un po’…’

E perché lei desiderava così ardentemente che lo avesse detto proprio in quel senso?

‘Con te.’

Nicole dovette muoversi violenza psicologica per impedire alla propria fantasia di uscire da quella minuscola gabbia angusta in cui la aveva imprigionata da anni, ormai.

“Ti va di fare quattro passi?”

Reset.

Pensieri, percezioni e sensazioni si fusero in un unico attimo di nulla, breve ed effimero, ma assoluto, e poi Nicole si sentì articolare quel ‘Sì’ trasognato, e davanti a lei Georg le porgeva una mano per aiutarla ad alzarsi con un sorriso gentile. Un brivido tiepido si diffuse lungo la sua spina dorsale.

Quello sguardo…

Si lasciò issare in piedi dalla forza del braccio di lui, incapace di infrangere quel contatto visivo che si era creato tra loro.

Georg era un tipo taciturno, di norma, ma Nicole aveva avuto il privilegio di vedere quello che c’era dietro la maschera che presentavano la tv e i giornali, di conoscere la persona al di là del personaggio, e quello che aveva scoperto era qualcosa che non avrebbe mai nemmeno immaginato.

E ora, mentre camminava con lui sulla spiaggia di ciottoli antistante il ristorante, c’era qualcosa di elettrico che vibrava tra loro, qualcosa che Nicole non conosceva, ma che scoprì di gradire.

Lo sciabordio lento e ritmico delle onde era rilassante, accompagnava i loro passi assieme alle grida lontane dei gabbiani, e lei si sentiva bene. Veramente bene.

“Hai un’aria strana da ieri sera,” esordì Georg, calciando un sasso, le mani affondate nelle tasche. “Dipende dal fatto che siamo nella patria di tua madre o dal fatto che tu e Bill –”

“Mia madre,” rispose lei repentina, domandandosi quanto e quanto dettagliatamente lui sapesse – o avesse immaginato – di lei e Bill, e, soprattutto, stupendosi del fatto che lui ricordasse le origini di sua madre. “È bello e terribile al tempo stesso essere di nuovo qui” confessò. “È da quando lei e mio padre sono morti che non ci mettevo piede.” Sospirò, accarezzando con le dita la lunga treccia che le raccoglieva i capelli. Era un sentimento strano da comunicare. “Ti è mai capitato di sentirti felice per qualcosa, ma di non riuscire a vivere fino in fondo il momento perché sapevi che non sarebbe durato?”

Georg si fermò, il vento che gli scompigliava i capelli, gli occhi socchiusi per via della forte luce del sole, e la guardò fisso per una manciata di interminabili secondi.

“Sì, “ asserì poi, sorridendo appena. “Ho in mente giusto qualcosa di analogo.”

Nicole si inumidì le labbra, cercando di mettere ordine in ciò che sentiva, e l’impresa si dimostrò più ardua del previsto: troppe cose le affollavano l’anima, molte note e riconoscibili, altre erano solo vaghe ombre senza nome e contorni precisi, novità che ancora non si sentiva di affrontare. Si chinò per raccogliere una bella pietra bianca levigata dalla forma ovale, e alla fine si sedette a terra, rigirandosela tra le mani. Georg la imitò.

“Venivo spesso qui, con la mia famiglia,” Era la prima volta in tutta la sua vita che Nicole si apriva con qualcuno riguardo certi eventi del suo passato, e, stranamente, non nutriva alcun tipo di timore. Lui era lì, si offriva di ascoltarla, di darle conforto, e lei si confidò con lui, semplicemente perché sentiva di fidarsi. “Era una sorta di oasi di pace. Quando eravamo in Irlanda non esistevano problemi o lavoro, c’eravamo solo noi quattro, e mia madre era sempre così felice di tornare qui… Anche adesso che loro non ci sono più, questo posto per me resta un’isola felice, ma…”

“Ma temi che sia solamente lo strascico di questi ricordi a renderla tale.”

“Sì…” Nicole si voltò stupita verso Georg, che scrutava l’orizzonte pensieroso. L’aria salmastra dell’oceano gli stava increspando i capelli, che non erano più perfettamente lisci come al solito, ma cominciavano ad arricciarsi in morbide onde appena accennate.

In quello scenario di natura quasi incontaminata, davanti alla sterminata distesa d’acqua che con l’alzarsi del vento andava lentamente agitandosi, aveva l’aria silenziosa e tormentata di un eroe romantico, la cui passioni se ne stavano celate dietro ad un’impassibile compostezza.

Era vagamente buffo, così assorto in chissà quali riflessioni, eppure allo stesso tempo era anche…

“Davvero bellissimo.”

Nicole si riscosse, riportata alla realtà dal commento di Georg, il cui sguardo abbracciava la baia con uno scintillio ammirato.

“Peccato che non abbiamo cose simili in Germania.”

Lei annuì. Era davvero un panorama mozzafiato.

“Sì, è vero.”

Lui sorrise.

C’erano delle lievi rughe sulla sua fronte, gli occhi strizzati a causa dell'abbagliante riverbero dell'acqua, e a Nicole non sembrava di guardare la stessa persona che aveva sempre visto nei poster, in tv, sui giornali. Non era un pezzo di carta o un mucchio di pixel. Era una persona vera, reale, fatta di carne e ossa come lei, e benché fosse una constatazione piuttosto ovvia, le sembrava credibile per la prima volta.

“Che c’è?” fece lui, quando si accorse di essere fissato. Lei gli sorrise, reclinando il capo di lato, le ginocchia strette al petto.

Non lo so…

“Avevi un’aria cogitabonda.”

“Oh,” Georg si passò una mano tra i capelli, scostandoseli dal viso nel suo classico gesto automatico. “Pensavo solo al party di stasera.”

Il party. Nicole lo aveva completamente rimosso. Sarebbe stato un evento per poche decine di eletti – pezzi grossi della musica, grandi nomi della tv locale, qualche amico personale e qualche inevitabile raccomandato – ma era sulla bocca di tutti, soprattutto perché i Tokio Hotel sarebbero stati gli ospiti d’onore.

Era un mondo sconosciuto, a Nicole, ma immaginava dovesse essere piuttosto noioso per i ragazzi partecipare a certe feste dove non conoscevano pressoché nessuno.

“Pensavo che sarebbe carino se tu venissi.” Aggiunse Georg in tono casuale. Nicole lo fissò allibita.

“Io? Ad un party per vip?”

Georg scrollò le spalle.

“Perché no?”

“Perché…” Nicole trovava l’idea così ridicola che nemmeno riusciva a trovare una risposta. “Perché no! Cosa ci farei in mezzo a voi celebrità? Per non parlare di Emily…”

Georg parve deluso, ma consapevole della validità della sua obiezione.

“Già, non ci avevo pensato.”

Nicole rise sommessamente.

“Si vede che non sei abituato a gestire la tua vita in base a quella di qualcun altro.”

Certo, un party in grande stile ha il suo lato allettante… Ma non è roba per me, proprio per niente.

“E comunque,” riprese poi. “Il giorno in cui parteciperò ad un party così esclusivo, avrò un favoloso paio di Manolo Blahnik ai piedi.”

Georg assunse un’espressione accigliata.

“Un paio di che cosa?”

Nicole rise di nuovo, più vivacemente. Gli uomini certe volte camminavano su altri pianeti.

“Sarebbero costosissime scarpe da centinaia e centinaia di euro,” spiegò. “Che nemmeno vendendo reni e polmoni mi potrò permettere, con la vita che faccio.”

“Ah, capisco.” Annuì Georg. “Dunque non ci onorerai mai della tua presenza.”

Nicole si rese conto che erano più vicini di quanto avesse creduto: seduti l’uno accanto all’altra, le loro spalle si sfioravano ed i loro volti erano separati da una spanna scarsa mentre si scrutavano a vicenda, senza un perché preciso. Un piacevole tepore emanò da quel contatto.

Si sta così bene qui…

Nicole ebbe a malapena il tempo di registrare l’impercettibile movimento che la sua testa e quella di Georg avevano avuto l’una verso l’altra, che qualcosa le piombò di peso sulla schiena, mozzandole il respiro.

“Mamma, mamma, mamma!” stava strillando Emily con foga, stringendole le braccia attorno al collo. “Tom mi ha promesso che quando sono grande e ho un giardino tutto mio, mi regala una pecora!”

Nicole se la portò di fronte, ridendo della sua faccia euforica.

“Una pecora?” Non si rischia mai di annoiarsi con te, eh? “La zia Brenda ne sarà felice, visto che è allergica a qualunque tipo di pelo.” Puntualizzò.

Emily smise subito di saltare e divenne visibilmente preoccupata.

“Ma se io la metto via quando viene lei, non succede niente!”

“Emily, gli animali non si mettono via,” le disse pazientemente, tenendola per le manine. “Non sono come i giocattoli, che si usano quando si vuole. Agli animali bisogna volere bene, e curarli come dei fratellini.”

Emily assunse un’aria concentrata, poi d’un tratto sorrise allegramente.

“Allora è meglio un fratellino, così la zia non è allergica!”

Questa era una risposta che Nicole non aveva previsto. Scambiò un’occhiata di panico con Georg, il quale si limitò a strizzarle un occhio e salvarla da quel cavillo insidioso.

“Una pecora questo riesce a fartelo fare?” esclamò, prendendo Emily in braccio e cominciando a farla volteggiare in aria. Lei rideva come una matta, lanciando piccoli urli divertiti quando lui la sollevava un po’ più in alto, minacciando di buttarla in mare.

“Mamma, fermalo!” gridava tra le risate di tutti e tre. “Mi fa il solletico!”

Tenendola ben stretta tra le mani, Georg la fece volare più in alto, e sembrava addirittura che si stesse divertendo più di lei. A Nicole tornò in mente Bill che cantava con lei, Tom che le diceva di fare la brava in auto, Gustav che la prendeva per mano e la portava a fare colazione, e, osservando Georg che fingeva di lanciarla nell’acqua, si rese conto di non essere riuscita a mantenere una delle promesse fondamentali che aveva fatto a Brenda prima di partire.

“Nicole! Emily sta barando!” urlò Georg, con Emily in braccio che gli tirava i capelli.

“Emily, non tirare i capelli a Georg.” La riprese allora Nicole sorniona, senza metterci troppa autorità.

Lui ed Emily si scambiarono una smorfia e ripresero a farsi il solletico.

Nicole sospirò, appoggiandosi il mento alle ginocchia.

“Non ti affezionare troppo a loro, Nicky.”

 

 

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Note: prima delle note vere e proprie, farò i dovuti ringraziamenti:

susisango: grazie, grazie e ancora grazie! Troppi complimenti in una recensione sola! Adesso voglio sapere in quale altra occasione hai letto qualcosa di così coinvolgente! ;)

loryherm: mia cara, è sempre bello vederti soddisfatta! Sì, i nostri fanciullini hanno davvero dei tempismi da record… Maledetti! Un bacione speciale tutto per te, che mi segui con tanta fedeltà, e soprattutto con recensioni lunghe come le gambe di Bill! XD

Hizu: poche parole, ma pur sempre efficaci. Ti ringrazio davvero tanto!

Chiara88: altroché se comincia a succedere qualcosa, e vedrai! Solo un altro po’ di pazienza… ;)

eddy: spero che anche questo sia stato di tuo gradimento ed aggiornato abbastanza in fretta. ^^

Lady Vibeke: maestra, voi siete sempre molto loquace, vedo, anche in seguito ai boicottaggi del vostro pc, e me ne rallegro. Noto con sommo piacere che hai notato il parallelismo tra i due “Aspetta”, ma da te non mi aspettavo niente di meno. Ami anche tu Dublino, lo so, o non avrei richiesto il tuo aiuto con questo capitolo, e infatti ti devo un grazie grosso così per tutte le info e le foto sull’ambientazione, che hanno reso il capitolo così ben riuscito. /Noterai anche come la descrizione di Georg ad opera di Brenda ricalca molto certe tue digressioni sul suddetto XD)

yuke: sì, il nostro Bill è un po’ nervoso, ma niente paura, la sua dolcezza infinita sta per tornare. ;)

Muny_4Ever: nooo, non odiarmi Bill, povero! Non è colpa sua, sono io che sono una stronza a cui piace fargli fare i capricci! Aspetta e vedrai. Intanto continua a tifare per Georg. ;)

ada: fan di Gusti e dei batteristi? Brava! Anche tu, non odiare il mio piccolo Bill, lui è tanto un tesoro, quando vuole. ^^

kit2007: vedrai che Tomi ne avrà di spazio, man mano che si prosegue, non temere. ;) Grazie per i complimenti! ^^

LiSa90: mi sa che il Bill a petto nudo a stroncato tanti cuoricini… Eh, ma ci voleva, insomma! XD Mi fa piacere che tu condivida con me il punto di vista sul ‘non bacio’, perché anche secondo me è meglio non abusare dei baci: sono gesti pieni di significato che dovrebbero essere sempre dati con consapevolezza, e al momento un bacio sulla guancia era la cosa giusta. J

elli_kaulitz: anche tu stai cercando di calcolare ogni possibile sviluppo? Bene, bene, brava, poi alla fine tutti i nodi verranno al pettine e si vedrà. ;)

lilistar: credo di avere la Nicolite: continuo ad arrossire rileggendomi le vostre recensioni. Danke davvero!

ale: poche parole, ma chiare, direi. ;) Grazie.

Kltz: (un giorno mi spiegherai il significato di questo oscuro nick!) Vedo che il tuo cervello lavora bene, brava, ma non farti traviare da Ruby, o va a finire che tra poco cominci a chiderti se per caso non ci sarà qualche intrallazzo con Saki! XD

RubyChubb: ah, ma cher! Tu sei sempre intenta a districare contorsioni, e va bene, perché conoscendoti credo che qualche cosa lo tirerai fuori, ma non esageriamo, adesso. ^^ Sempre fiera di essere la Signora Fletcher dei sadici, comunque. ;)

CowgirlSara: ma cher bis, tu meriti una vagonata di grazie ed inchini per quel piccolo capolavoro che mi hai regalato, non smetterò mai di ripeterti quanto sei brava. Hai fatto un’osservazione molto, molto ma molto saggia, su cui tutti dovrebbero riflettere, ma non dirò quale, se no la vita è troppo comoda. ;)

dark_irina: intanto spero che latino sia andato bene. ;) Grazie dal più profondo del mio cuoricino borchiato per tutti i tuoi complimenti, sia nelle recensioni che in msn… Chissà se questo capitolo ti è piaciuto. ^^

Ranpyon: ed ecco qui la regina dei commenti chilometrici! Tu, loryherm e Lady Vibeke vi contendete il primato, ma vi adoro tutte, sia perché siete sempre così gentili, sia perché le recensioni così lunghe mi piacciono da morire. Continua così!

sososisu: eeeh, mia cara, la tachicardia chissà dove se n’è andata in questo capitolo… ;) Spero ti sia piaciuto, anche se ho ancora tante di quelle carte da scoprire che mi gira la testa solo pensarci. E non mi sbavare troppo su Georg, che gli si arricciano i capelli! XD

 

Ora, le note vere e proprie: dunque, questo è stato un capitolo un po’ anomalo, interamente dal punto di vista di Nicole, ma è venuto fuori così, e chi sono io per oppormi alla volontà sacra della Musa? Nessuno, appunto. So che si saranno molte persone soddisfatte, e già mi vedo il Georg Fan Club che si alza in una calorosa standing ovation, ma, Bill Fan Club, non temete, la partita è ancora tutta da giocare, quindi che nessuno canti vittoria o si disperi prima del fischio finale. Fino ad allora, però, sappiate che non si sarà mai certi di niente. ;)

Ciò detto, vi lascio con un immenso abbraccio generale e la speranza che vorrete, come sempre, dirmi ciò che ne pensate del capitolo, perché infondo io scrivo per me stessa, è vero, ma anche per voi. ^^

A presto!

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Capitolo 13
*** Bad Dreams ***


Giocare a pingpong era il passatempo preferito del gruppo, anche se nessuno di loro, in tutti quegli anni, era ancora riuscito ad acquisire un vero e proprio stile, ma a loro piaceva, ed il bello era proprio ridere di qualche mossa goffa che di tanto in tanto qualcuno di loro esibiva.

Georg era di recente diventato il migliore (con sommo disappunto di Bill, il quale, nonostante la tecnica decisamente insolita, era sempre stato il più bravo), ma la partita attualmente in corso si stava rivelando un vero sfacelo: otto a tre per Bill.

Non era presente con la testa. Da ore non faceva che pensare e ripensare alla bella chiacchierata con Nicole, alla propria preoccupazione della sua insolita aria seria e taciturna e a come si era sentito dopo, parlando con lei, scoprendola così incline di aprirsi con lui.

E poi c’era stato quel momento, quell’attimo che quasi non era esistito, in cui gli era parso che qualcosa fosse stata lì lì per succedere. Un istante che era svanito troppo presto per poter veicolare certezze.

È stato tutto frutto della tua immaginazione, gli disse l’altro Georg, quello a cui non piaceva perdersi in inutili fantasie. Hai visto quello che volevi vedere, così come ti rifiuti di vedere quello che non vuoi vedere.

Servì, ma il punto non andò a segno. Tom gli fece un applauso sarcastico, che lui ricambiò con un gesto eloquente, ben attento a non farsi vedere da Emily. Anziché intrattenerlo, il gioco lo stava annoiando.

Stavano ammazzando il tempo, giusto per occupare quell’ora scarsa che li separava dal party, anche se nessuno di loro aveva mai visto un tavolo da pingpong sistemato in una saletta così sontuosamente arredata, ma quello era ciò che l’hotel aveva concesso loro, quindi si erano adattati.

“Ha!” esclamò Bill, dopo aver segnato l’ennesimo punto, sollevando un pugno trionfante. “Dieci a tre!”

Georg non riusciva a concentrarsi. Vedeva Tom, stravaccato in una poltrona, fissare con insistenza l’orologio sul caminetto e la porta, e non c’era nessun bisogno di domandarsi perché. Aspettava Elinor e Dianne, le loro fedeli groupies.

Gustav occupava il divano con Nicole, Emily seduta in grembo, e verificava più o meno attentamente il punteggio della partita.

Georg non avrebbe voluto che Nicole fosse presente, non in vista delle imminenti ospiti, ma cosa avrebbe potuto dire?

‘No, grazie, preferisco che tu non veda la ragazza che occasionalmente mi porto a letto.’

Idea geniale, sicuramente.

Bill servì. Georg finse appena di sforzarsi di salvare la pallina, ma questa rimbalzò al centro del campo e poi giù, fino al divano, finendo per essere raccolta da Nicole.

“Undici a tre, e Kaulitz vince!” esultò Bill, saltellando. Emily batté le mani entusiasta, ma Georg non condivise.

“Oggi non è giornata, eh?” lo stuzzicò Tom. Lui lo trafisse con un’occhiata obliqua.

“No, infatti.” sbottò, e lasciò cadere la racchetta di legno con un pesante colpo secco.

Lo fissarono tutti in modo strano, ma Gustav fu l’unico ad avere il fegato di dirgli qualcosa.

“Dovresti imparare ad ingoiare le sconfitte, Georg.”

Lui si immobilizzò per un attimo. Era conscio del fatto che il tono di Gustav era stato leggero, e sicuramente non era stato nelle sue intenzioni urtarlo così, ma quello che aveva detto aveva un significato più profondo di quanto Gustav stesso probabilmente potesse immaginare.

Georg gettò un’occhiata in tralice a Bill, ma lui si era già seduto accanto a Nicole e si stava lasciando lisciare i capelli da Emily.

Ebbe a stento il tempo di avvertire un crescente peso dalle parti dello stomaco, che ci fu un sordo bussare. Immediatamente, si irrigidì.

Cazzo.

“Avanti!” disse Tom.

Lentamente la porta si aprì e Saki diede un rapido sguardo all’interno della stanza, informandoli che ‘le signorine O’Brein erano arrivate’.

Georg osservò quasi con orrore le due ragazze farsi avanti a passo sicuro, due sorrisi più che sicuri stampati sulle labbra.

“Elinor, Dianne, quanto tempo!” Tom saltò su dalla poltrona come una molla e si affrettò ad andare incontro alle due ragazze, gli occhi che gli brillavano come se gli avessero appena fatto dono del dominio del mondo. Le baciò entrambe sulle guance e loro ricambiarono, poi si prese da parte Elinor, e Dianne si voltò verso Georg, le mani puntellate sui fianchi asciutti, invitandolo a salutarla al solito modo.

Ma il solito modo consisteva in una serie di baci e carezze che al momento Georg proprio non se la sentiva di concederle, anche perché la sua testa era occupata da ben altri pensieri.

Allora fu Dianne ad andare da lui, camminando con la sua andatura felpata e sinuosa attraverso la stanza, i tacchi che ticchettavano ritmici e regolari come lancette di un orologio sul pavimento di marmo. Era splendida, alta e snella, con quella minigonna vertiginosa che lasciava scoperte le gambe lunghe e la generosa scollatura che nulla lasciava all’immaginazione, il caschetto rosso fuoco che ondeggiava ad ogni passo.

“Allora, che modi sono questi?” gli disse leziosa, facendogli scorrere un dito lungo il petto. Il suo accento era molto migliorato rispetto all’ultima volta che l’aveva vista, anche se, onestamente, Georg trovava assurdo che qualcuno potesse mettersi a studiare il tedesco con tanta dedizione solo per poter comunicare con lui o gli altri. Lo scrutava imbronciata con i suoi occhi ambrati, aspettando le attenzioni che lui non aveva alcuna voglia di darle. Non stavolta.

“Scusa,” disse lui, sfiorando il proprio zigomo contro il suo. “È che ho appena avuto una febbre tosta, e non sono molto in forma.”

Dianne mutò subito atteggiamento.

“Oh, povero piccolo,” tubò, accarezzandogli il viso, poi gli avvicinò la bocca all’orecchio. “Ti rimetto in forma io, stasera.” Sussurrò.

Nei trenta secondi trascorsi dal suo ingresso nella stanza, Georg non aveva smesso un istante di cercare Nicole con la coda dell’occhio, ma lei se ne stava tranquilla sul divano, chiacchierando con Gustav e Bill come se nulla fosse, Emily seduta in braccio, alle prese con la lettura di una lattina di Red Bull.

“Elinor,” fece Tom, prendendo per mano la ragazza, identica in tutto e per tutta a Dianne, non fosse stato per i vestiti, blu anziché bianchi. “Bill e Gustav ovviamente li conosci già,” I due interpellati fecero un cenno di saluto con la mano, poi Tom proseguì verso Emily e Nicole, e Georg si sentì raggelare. “Lei è Nicole, il nostro tecnico delle luci provvisorio, e questa è –”

“Non toccarmi, brutta stregaccia!” esclamò Emily, soffiando come un gatto inferocito, prima che Tom potesse concludere. Elinor si era chinata ed era stata sul punto di accarezzarle i capelli, intenerita, ma si era ritratta in fretta davanti a quella reazione inaspettata, quasi temendo che Emily potesse morderla.

“Emily!” Avvampando, Nicole le aveva tappato la bocca con una rapidità che denotava una certa abitudine di esecuzione del gesto. “Mi dispiace,” aggiunse in fretta, rivolgendo ad Elinor uno sguardo supplichevole. “Di solito non si comporta così.”

Elinor le concesse un sorriso affettato, risollevandosi in piedi.

“Non fa niente.” Disse, stringendosi a Tom.

Dianne diede un colpetto di tosse significativo, prendendo Georg sottobraccio. Suo malgrado, lui dovette obbedire all’esortazione implicita: condusse Dianne fino al divano e la presentò a Nicole ed Emily.

“Caspita,” esclamò Dianne, una volta che lei e Nicole si furono strette la mano. “Una figlia alla tua età dev’essere un bell’impegno… Ti ammiro.”

Nicole le sorrise educatamente, ma non era esattamente con ammirazione che Dianne stava guardando la sua tuta sciupata.

Sembravano appartenere a due mondi diversi, lei e Nicole: una era benvestita, truccata di tutto punto, l’acconciatura perfetta, probabilmente fresca di parrucchiere, l’atteggiamento disinvolto e un po’ altezzoso di chi camminava al di sopra degli altri da una vita, l’altra era completamente l’opposto, il viso pallido e privo di artefazioni, i capelli sciolti in modo casuale, quella perenne gentilezza mite riflessa negli occhi.

“Verrai al party anche tu, questa sera?” le chiese Elinor.

Nicole scosse il capo.

“Stasera per noi riposo,” disse, guardando in basso, verso Emily. “Non ci piacciono le feste.”

“Oh, che peccato!” fece Dianne, senza riuscire nemmeno lontanamente a sembrare dispiaciuta. “Invece è strepitoso, sai?” Avvolse un braccio attorno alla vita di Georg e appoggiò il mento alla sua spalla. “Io e Georg ci divertiamo sempre un mondo… Soprattutto durante l’afterparty.”

La risata acuta della ragazza colpì Georg dritto nel timpano, causandogli un fastidio che non ricordava di aver mai provato prima.

“Noi togliamo il disturbo,” annunciò Nicole, sollevandosi in piedi con Emily in braccio. “La cena ci aspetta,” Li passò in rassegna uno ad uno con un sorriso che non convinse del tutto Georg, salutò e se ne andò, senza curarsi delle proteste di Emily.

Georg la guardò chiudersi la porta alle spalle con una fitta di panico.

E adesso cosa starai pensando di me?

 

***

 

A Bill tendenzialmente non piacevano i party, ma quello in particolare non somigliava a nessuno a cui avesse mai partecipato.

La musica non era il solito rumore ritmato da discoteca, né il classico repertorio rock anni ‘80, ma un insolito mix di melodie celtiche e canti popolari. Aveva sentito parlare del patriottismo irlandese, ma se in Germania qualcuno avesse osato mettere un cd folk ad una festa, si sarebbe ritrovato licenziato in tronco, con tanto di richiesta di danni tramite avvocato e probabile linciaggio pubblico.

Sarà anche che il folk tedesco non ha niente a che vedere con questa musica così bella…

“Non è la solita festicciola da due soldi, vero?”

Accanto a lui era comparso Gustav, un calice di champagne in mano. Tom e Georg erano al lato opposto della stanza, sorseggiando scuri boccali di Guinness, mentre Elinor e Dianne ronzavano loro attorno come mosche.

Chissà quanto ancora resisteranno, prima di rintanarsi di sopra, si chiese Bill, pensando che effettivamente le loro stanze si trovavano solamente pochi piani più in alto.

Il Four Seasons era uno degli hotel che finora lo avevano impressionato di più: di un’eleganza e una raffinatezza indubbie ma sobrie (a suo parere eccessive, per un gruppo di scapestrati come loro), circondato da un immenso parco con tanto di laghetto e dotato di ben tre locali bar interni di stili differenti, per tutti i gusti, e poi la piscina, la sauna, la boutique, senza contare la palestra, in cui lui aveva messo piede giusto per sfizio. Nemmeno avevano avuto il tempo di disfare i bagagli, figurarsi se potevano spenderne in esercizio fisico.

La nota positiva era che, alloggiando proprio lì, Bill avrebbe potuto abbandonare la serata in qualunque momento, per giunta senza che nessuno se ne accorgesse, perché effettivamente nessuno o ben pochi dei presenti sembravano interessati a lui o agli altri. Ma tutti ridevano, bevevano come spugne e sembravano godersela un mondo, e forse Bill si sentiva così fiacco proprio per via dell’assenza di alcol all’interno del proprio organismo.

“Sembra che si conoscano tutti,” commentò Bill, appoggiandosi con la schiena alla parete. Sfilò il calice di mano a Gustav e lo vuotò in un fiato, restituendoglielo con un ‘Grazie’ stentato. “Mai vista roba simile.”

Gustav osservò interdetto il proprio bicchiere vuoto e appioppò a Bill un’occhiataccia.

“Ti costava sprecarti ad arrivare fino al tavolo delle bevande?”

Bill schioccò la lingua con una scrollata di spalle svogliata, le mani infilate nelle tasche dei pantaloni neri.

“Adesso tu mi spieghi che cos’hai in questi giorni,” gli intimò Gustav, piazzandoglisi davanti a braccia conserte. “È vero che siamo abituati alle tue lune storte, ma tu stai abusando della nostra pazienza.”

Bill abbassò lo sguardo, i capelli che gli ricadevano flosci sulle spalle. Non poteva non riconoscere di essere stato uno stronzo di immani proporzioni, ultimamente, soprattutto con Georg, ma non ci poteva fare niente, era fatto così, e per quanto se ne rammaricasse, proprio non riusciva trattenersi.

“È un periodo un po’ così,” mormorò, strisciando un piede avanti e indietro con aria assente. “Passerà.”

Ma Gustav era un intuitivo, e non si poteva sperare di fargliela sotto al naso così spudoratamente. Tom capiva Bill perché erano gemelli, connessi da quello specialissimo filo sottile che solo loro due avevano; Gustav capiva Bill perché, semplicemente, capiva tutti.

“Tutto questo ha forse qualcosa a che fare con una certa affascinante new entry del nostro team?”

Bill si mordicchiò il labbro, cercando di trovare un modo rapido ed efficace per glissare, ma non ce ne fu bisogno. Georg arrivò trafelato, reggendo in mano un bicchiere di coca cola.

“Tu,” Gustav gli puntò un dito contro, fingendosi sospettoso. “Che cos’è quella roba analcolica che hai lì? Che cos’hai fatto al vero Georg Listing?”

Georg gli lanciò un’occhiata astiosa, e Bill si accorse che sembrava ben poco lieto della serata.

“Dianne non mi da tregua,” brontolò Georg. “Tom ed Elinor sono saliti a parlare già da mezz’ora, e ovviamente lei si aspetta che noi facciamo lo stesso. Non mi devo assolutamente ubriacare, o sono fregato.”

“Be’, sai com’è,” intervenne Bill. “È una groupie, il suo ruolo è precisamente farti parlare.”

“Si da il caso che io non sia in vena di parlare, oggi, va bene?” replicò allora Georg, in tono brusco, ma poi sembrò accorgersi della propria durezza gratuita e si scusò.

Abbiamo i nervi un po’ a fior di pelle, eh, Moritz?, pensò Bill, studiando l’amico, però non poteva dire di non capirlo, infondo.

Gustav disse qualcosa e se ne andò, ma lui non sentì. All’ingresso della stanza, un nugolo di persone si stava facendo da parte per far passare qualcuno, che tutti fissavano in modo strano. Diversi scostamenti più tardi, Bill poté riconoscere Nicole farsi avanti esitante tra la gente, lo sguardo che si sollevava solo a tratti per scrutare intorno.

“Hey!” la chiamò, sventolando una mano in aria. Georg si voltò, e non appena la vide, anche lui prese a farle cenno di raggiungerli. Nicole parve più che sollevata di averli trovati.

Li raggiunse in fretta, sotto agli occhi insistenti di tutti i presenti, che sembravano ritenere il suo abbigliamento un’onta alla festa.

“Guarda un po’, Miss i-party-non-fanno-per-me in persona.” La prese in giro Bill, sorridendole.

Lei ricambiò il sorriso con evidente imbarazzo, tormentando i polsini delle maniche della sua tuta blu notte.

“Non dovrei essere qui,” disse debolmente. “Mi dispiace, davvero, ma ho proprio bisogno di un favore.” Gettò un’occhiata incerta a Georg, e lui sollevò un sopracciglio, come invitandola a parlare. “Emily ha avuto un incubo,” sussurrò, passandosi una mano fra i capelli. “Non vuole saperne di rimettersi a dormire, dice che vuole te.”

Sul volto di Georg, che fino a pochi istanti prima era stato praticamente funereo, comparve un sorriso raggiante. Aprì la bocca per rispondere, ma non gliene fu data l’occasione.

“Georg,” la voce trillante di Dianne lo batté sul tempo. “Ti ho cercato ovunque, che fine avevi fatto?” Sbucata da chissà dove, la ragazza aveva possessivamente avvolto le proprie braccia attorno a quello di lui e guardava Nicole con un velo di ostilità.

Nicole abbassò lo sguardo, ma Bill le pose un braccio sulle spalle e guardò Dianne dall’alto in basso, sfidandola a dire qualcosa.

“Scusami, Dianne,” disse Georg rigidamente, scrollandosi di dosso la ragazza. “È sorto un imprevisto e non mi posso trattenere.”

Bill si complimentò con lui per aver finalmente compreso che quella ragazza altro non fosse che un’esibizionista desiderosa di farsi bella agli occhi di tutti. Georg la lasciò con un palmo di naso e le diede le spalle, infischiandosene deliberatamente della sua faccia sconvolta quando girò i tacchi e si dileguò, furiosa, e si mosse verso Nicole.

No, no, un attimo, non così in fretta!

Bill sapeva che c’era Emily, di sopra, che aspettava di veder tornare Nicole assieme a Georg, ma, egoisticamente, non voleva ancora lasciarla andare. Aveva pregato tutta la sera che lei scendesse.

Lei si mosse sotto al suo braccio, facendo per andarsene, ma lui la trattenne.

 

***

 

“Dai, resta almeno un po’.”

Georg sentì pronunciare queste parole come se si fosse trattato di un dejà vu. Era stato più che certo che Bill avrebbe detto qualcosa del genere.

“Bill, non è il caso che io…” provò ad obiettare Nicole, ma era palese che desiderasse davvero restare. Lo scintillio che Georg aveva colto nel suo sguardo – che gli fece male, molto male – scomparve tanto in fretta quanto ci aveva messo ad apparire, e lei sembrava un po’ avvilita.

Come aveva detto Gustav, Georg poteva rifiutarsi di vedere quello che non voleva vedere, ma gli occhi di Nicole erano concentrati su Bill come una bussola che punta verso Nord, e dunque che senso aveva stare a questionare?

Il confronto nemmeno si poneva.

Mi dovete un favore, voi due…

“Resta,” la esortò, infliggendo una violenta ferita al proprio cuore. “Ad Emily penso io.”

Sperava che il suo modo di incurvare le labbra si avvicinasse almeno lontanamente ad un sorriso, ma non ci avrebbe messo la mano sul fuoco, tanto più che vedere Bill così stretto a lei era una cosa tutt’altro che rallegrante. Anzi, non vedeva l’ora di andarsene.

“Mi sento così fuori posto…” disse Nicole, guardandosi riflessa nel vetro di uno dei giganteschi quadri che ornavano le pareti. Se quella era l’ultima obiezione rimastale, Bill trovò senz’altro il modo di smantellarla una volta per tutte. La sua mossa, in effetti, poteva solo essere definita come un superbo touché.

“Sciocchezze,” ribatté con veemenza. “Sei più bella di tutte le presenti messe assieme.”

E quando Nicole gli sorrise radiosa, improvvisamente più sicura di sé, Georg seppe che era giunto il momento di togliersi di torno.

“Corro da Emily,” annunciò. “Tu non preoccuparti di niente,” aggiunse, rivolgendosi a Nicole. “Resta quanto vuoi, io me ne sarei andato comunque.”

Sia lei che Bill gli regalarono un sorriso riconoscente, e lui, con sentendosi stranamente vuoto dentro, li lasciò soli.

Nicole non ha spesso occasioni come questa, rifletté, mentre saliva con l’ascensore. Spero che si diverta.

Ma il Georg sincero ed onesto non era d’accordo.

Non fare l’ipocrita, razza di cretino che non sei altro, è un pezzo che te ne stai a ribollire di gelosia in silenzio, e adesso l’hai pure intenzionalmente lasciata in pasto a Bill!

L’ascensore si fermò, e lui decise che tutti quei pensieri se ne sarebbero rimasti serrati lì dentro. Non voleva più pensare a niente, se non ad Emily e ai suoi incubi.

Si diresse a passo svelto verso la porta di Nicole e bussò.

“Emily, sono Georg,” disse a voce alta. “Va tutto bene?”

La porta si aprì subito, e prima ancora che lui potesse entrare, Emily gli saltò in braccio, stringendolo forte.

“Georg!” esclamò, lasciandosi abbracciare. “Ho fatto un sogno bruttissimo!”

Lui se la strinse in braccio e la portò dentro, accarezzandole la testa per rassicurarla.

“Raccontami tutto.”

Andò a sedersi sul bordo del letto matrimoniale in cui dormivano lei e Nicole, e lasciò che lei gli scivolasse sulle ginocchia. Aveva le manine fredde ed era scalza, e Georg cercò di avvolgerla il meglio possibile per riscaldarla un po’.

“C’eravamo io e la mamma in una macchina ed era tutto buio, e ci stavano portando via, ma io non volevo, ma la mamma non diceva niente, e allora…”

La sua voce delicata si era rotta dopo un crescendo di tensione, ma non stava piangendo. Era una bambina forte, del resto, e lui sapeva che sarebbe stata una donna altrettanto forte, un giorno, proprio come sua madre, ma in un modo probabilmente più sfacciato, più simile a Brenda.

In quel momento fece caso per la prima volta ad un certo dettaglio, o meglio, all’assenza di un certo dettaglio.

“Che fine ha fatto Wilhelm?” domandò.

Emily indicò la poltrona che stava in un angolo: Wilhelm era là, abbandonato come un oggetto qualsiasi sopra ad una borsa.

“Lui mi proteggeva,” spiegò la piccola. “Ma adesso ci siete tu, e Bill, e Gustav, e Tom. Non mi serve più.”

Georg aveva studiato abbastanza psicologia da capire che in Emily c’erano delle lacune affettive che Nicole da sola non poteva colmare, per quanto ci provasse, e lei aveva trovato in lui e gli altri il riferimento maschile che evidentemente le era sempre mancato.

La tenne un po’ più stretta, pensando a ciò che sarebbe successo quando, presto o tardi, si sarebbero dovuti separare. Sicuramente nessuno avrebbe potuto prevedere che da una semplice offerta di lavoro avrebbe potuto scaturire un vero rapporto affettivo, e in così poco tempo, addirittura.

La cullò dolcemente, compiaciuto del fatto che avesse chiesto di lui, e non di un altro dei ragazzi. Si era affezionato a questo scricciolo biondo, l’arrivo suo e di Nicole stato come un raggio di sole nel grigiore della solita routine, e ora che la settimana di prova cominciava a tramontare, non restava che chiedersi cosa ne sarebbe stato di quell’insolita amicizia che era nata tra tutti loro.

Amicizia?, intervenne il Georg senza peli sulla lingua, ma quale amicizia? Per favore…

“Mi canti una ninnananna?” gli chiese Emily, accoccolandoglisi contro il petto. Lui le sfiorò i capelli con una mano e le sorrise.

Ancora non ho imparato uno straccio di ninnananna…

“Non ho la chitarra,” disse a mo’ di scusa. “Va bene se per stavolta facciamo senza?”

Emily annuì, soddisfatta, e Georg cominciò a cantare.

Talking to the singbird yesterday, flew me to a place not far away, she’s a little pilot in my mind, singing songs of love to pass the time…”

Stavolta era andato a ripescare una canzone che lei e gli altri avevano già intonato, il giorno della loro replica a Parigi. Gli sembrava quella giusta: dolce, piena di significato, e mentre cantava, le parole lo fecero riflettere.

Gonna write a song so she can see, give her all the love she gives to me, talk of better days that have yet to come, never felt this love from anyone…

E l’immagine che si andò a creare dentro di lui non comprendeva solo Emily, ma anche un’altra persona a cui si era reso conto di essersi profondamente affezionato, a cui proprio non riusciva a smettere di pensare.

E lei era da qualche parte con Bill.

She’s not anyone…

 

 

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Note: altro capitolo di transizione, che però preannuncia diverse cosette, qualcuna palese, qualcun'altra probabilmente impercettibile, ma per ora questo è quanto. ^^ Per la canzone, vi rimando al quarto capitolo, visto che è la stessa.

Ora passiamo ai ringraziamenti personalizzati. ;)

SARAthemyth (quale onore saperti tra i miei lettori!), Hizu, blackmoon, outsider, elda, eli_kaulitz, loryherm (kuss!), moonwhisper, Kltz, dark_irina, Ninnola, Chiara88, Sososisu, Ranpyon (w le recensioni chilometriche!), LiSa90, CowgirlSara (tu sei La Saggia delle quattro Moschettiere Salvatrici, e si vede), Muny_4Ever, valux91, thgarnet, kit2007, picchia (che domande esistanziali che ti poni! ^^), ada, Lady Vibeke (lasciami Nicole, per favore! Ti concedo di mandarci Dianne a Timbuctù!), RubyChubb (ragionamente impeccabile, che però non condivido del tutto... si vedrà! ^^), e yuke. E se ho scordato qualcuno, chiedo umilmente venia! ^^

I commenti, come sempre, sono più che benvenuti. ^^

Un bacio!

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Capitolo 14
*** Stolen Fleeting Moment ***


Non era il suo mondo.

Erano anni che Nicole non stava a contatto diretto con una folla simile, e doveva ammettere che non le era mancata quella sensazione di vaga claustrofobia, che le premeva fastidiosamente addosso nonostante la vastità della stanza. Non era il suo mondo, né il suo ambiente, né il genere di compagnia a cui era abituata. Si sentiva un po’ persa.

Più il tempo trascorreva, più capiva di trovarsi nel posto sbagliato, al momento sbagliato, anche se con la persona potenzialmente giusta. Nella sua testa ricorrevano flash della sua stanza di Lipsia, dei poster sulle pareti e dei cd perennemente nello stereo. Il novanta per cento di quei poster erano dei Tokio Hotel – di cui il trenta per cento solo di Bill – e più della metà di quei cd anche.

Riteneva legittimo che a diciannove anni ci si potesse fare qualche bel disegno mentale della vita per come avrebbe potuto essere in una dimensione parallela e perfetta, dove tutto era semplice ed incontrare il tuo idolo con la stessa facilità con cui si incontrava la vicina di casa non era un’utopia, ma se qualcuno le avesse detto che un giorno avrebbe veramente visto parte di quel disegno realizzarsi, allora probabilmente avrebbe riso ed accantonato l’idea con rinnovata razionalità. In più di quattro anni di fedeltà verso i Tokio Hotel, le era capitato così spesso di vedersi ad una serata come quella assieme a Bill, che ora la situazione sembrava quasi priva di magia.

Era lì da quanto? Mezz’ora? Tre quarti d’ora? Non avrebbe saputo quantificarlo, anche perché la presenza di Bill al suo fianco la rendeva piuttosto irrequieta. Se ne stavano rintanati in un angolo isolato, appoggiati al muro sorseggiando champagne, mentre lui stava portando avanti un monologo che lei proprio non riusciva a seguire.

Ti rendi conto di quanto tutto questo sia ridicolo, vero?, borbottò la se stessa perfettamente padrona di sé. Non riesci a goderti una festa perché un all’incirca comune essere non ufficialmente umano ti sta parlando. Tom ha ragione: sei patetica.

Era patetica, era vero, non poteva certo negarlo, ma non era del tutto colpa sua. Anzi, avrebbe dato qualunque cosa per sapere di cosa diavolo le stesse parlando Bill, ma la sua mente era completamente disconnessa.

“Ti sto annoiando?” le domandò Bill ad un tratto, inclinando la testa di lato.

“No!” si sentì rispondere lei, più precipitosamente del dovuto. “Comincio solo a sentirmi un po’ stanca.”

Una bugia grossa come una casa, e, come aveva detto Georg, la bugiarda non era proprio il suo mestiere. Bill, però, sembrò non farci caso.

“Ti accompagno di sopra, se vuoi.” Si offrì, ma non ce n’era alcun bisogno.

Nicole era nervosa e si sentiva fuori posto, e tutto quello che voleva era un po’ di sani zuccheri e magari una stanza vuota in cui fuggire.

“Senti,” proseguì allora lui, fissando il proprio bicchiere vuoto. “Mi dispiace di averti praticamente costretta a restare, è evidente che non ti stai affatto divertendo…”

“Bill,” Con un sorriso, Nicole lo zittì. “Non farti di questi problemi, in questi pochi giorni mi avete già fatta divertire più di quanto non mi sia capitato negli ultimi quattro anni.”

Stavolta era la verità, una verità che portò a galla una questione che Nicole avrebbe preferito non dover affrontare, se non all’ultimo momento.

“A proposito,” disse Bill. “Non mi hai ancora detto se stai considerando seriamente di accettare il posto che ti abbiamo offerto.”

Nicole evitò di incrociare il suo sguardo, sentendosi in colpa. Non se la sentiva di parlarne, o almeno non ora, non così. Sentiva il suo sguardo pesarle sulle spalle, facendola carico di aspettative che avrebbe voluto non dover far crollare. Il fatto era che, nonostante tutto, ci aveva creduto perfino lei.

“Siamo realisti,” sospirò, sconfortata, senza riuscire a guardarlo. “Non posso portarmi Emily in viaggio per il mondo per tre mesi all’anno. Potrebbe funzionare per un altro paio d’anni, forse, ma poi dovrà per forza andare a scuola…”

“Qualcuno dice ‘Carpe diem’,” provò ad obiettare Bill in tono leggero. “Ad Emily piace stare con noi, a noi piace stare con lei, e lo stesso discorso sembra valere per te.”

Certo che vale anche per me, pensò Nicole tristemente, ma non è questo il punto, Bill.

“Ci devo riflettere ancora un po’, penso che tu comprenda il perché non ti posso dare adesso una risposta certa.”

Lui annuì, osservando Gustav che, poco lontano, chiacchierava con Jost e una donna molto avvenente sulla trentina.

“E intanto hai colto la palla al balzo per trascorrere una settimana con i Tokio Hotel e poter correre a raccontarlo alle tue amiche…” replicò, sgarbato. La stava accusando di essere un’approfittatrice, e forse non aveva nemmeno tutti i torti, ma su una cosa si sbagliava, una cosa che a Nicole aveva fatto molto male.

“Ma quali amiche, Bill?” sbottò, ferita da quell’insinuazione, ma anche dal semplice fatto che lui non avesse capito un aspetto fondamentale della sua vita. “Credi che una sola delle mie cosiddette amiche mi sia rimasta accanto dopo che ho avuto Emily?” Lo guardò negli occhi, traboccante di rabbia repressa, gli occhi che lentamente si inumidivano, ma non avrebbe pianto. Aveva smesso di piangere per le cause perse. “Siete voi i miei amici!” esclamò, attirando l’attenzione di mezza sala, ma non le importava. “I soli che io abbia avuto da anni, e forse per te è così scontato avere Tom, Gustav e Georg e chiunque altro, che nemmeno ti puoi immaginare quanto mi stia facendo penare questa decisione, ma mia figlia viene prima di me, prima di voi, prima di tutto, e io non –”

Per un attimo tutto fu solo una macchia indistinta di colori e i suoni scomparvero. A Nicole ci volle un momento per capire che la sensazione di bruciore che avvertiva attorno allo sterno era dovuta al fatto che stava trattenendo il respiro e il suo cuore batteva come una scheggia impazzita. Le ci volle invece molto più di un momento per rendersi veramente conto del perché.

Un tocco morbido e dolce sulle labbra.

Non…

Sapore di champagne e retrogusto di fumo.

Non è…

Una carezza calda sul viso.

Non sta…

Non stava succedendo, non era reale. Non poteva essere reale. Bill Kaulitz non la stava baciando davanti ad un paio di centinaia di emeriti sconosciuti vip che assistevano alla scena a bocca spalancata.

Cazzo.

Nicole si sentiva stordita ad un punto tale da non riuscire a muoversi. Era accaduto troppo in fretta, senza alcun preavviso, e non riusciva nemmeno ad individuare un sentimento preciso in tutto quel caos emotivo.

Ci fu un bagliore azzurro – un flash, probabilmente – e un istante più tardi scoppiò il finimondo: la gente si accalcava per riuscire a scattare qualche fotografia, non solo con le poche fotocamere presenti, ma anche con i cellulari, e in men che non si dica una dozzina di guardie del corpo fecero il loro ingresso nel salone, cercando di contenere la confusione.

“A lei penso io!” urlò la voce di Gustav tra tutte le altre, ad un interlocutore che Nicole non riuscì ad individuare. Sempre più disorientata, si sentì strappare via da Bill, il quale venne portato via da Saki e Jost, voltandosi indietro a guardarla, spaesato almeno quanto lei, che si ritrovò invece chiusa in ascensore senza quasi accorgersene, con una giacca buttata sopra la testa.

Respirava a fatica, e aveva la sensazione che qualcuno le avesse sfilato lo scheletro dal corpo, lasciandola a reggersi in piedi per qualche strano miracolo della natura. La testa che le vorticava, si sorresse contro il corrimano, premendosi una mano contro lo stomaco dolorosamente contratto.

“Ti senti bene?” le chiese Gustav, posandole una mano sulla schiena. Nicole si sbarazzò della giacca ed annuì, facendo così salire a due le bugie della serata.

“Vi siete bevuti il cervello, per caso?” aggiunse lui, sconvolto. “Cosa vi è saltato in mente di mettervi a dare spettacolo ad un party come quello?”

Nicole si tirò su quanto poté e gli gettò un’occhiata significativa.

“Ti sembro il tipo da mettersi a baciare uno come Bill in quel modo?” esalò, mentre l’ascensore saliva. Aveva ancora un groppo alla gola per l’agitazione.

Gustav sospirò e la aiutò a calmarsi con un sorriso rassicurante che, con sommo stupore e sollievo di Nicole, funzionò.

“Ti vedo parecchio scossa.” le disse in tono canzonatorio. Nicole lo guardò storto.

Se vogliamo usare un eufemismo pesante…

Poi però sorrise, perché non era concepibile tenere un’espressione ostile davanti a lui. Gustav era una di quelle rare persone che sapevano ispirare fiducia assoluta al primo sguardo, e forse era proprio lui il più adatto a starle accanto in un momento simile.

“Penso di averne il diritto.”

“Ce l’hai eccome,” concordò lui, mentre lei cercava di riprendere una respirazione normale. “Per fortuna Bill ti copriva, non dovrebbero essere riusciti a fotografarti.”

Non era molto, ma almeno era una buona notizia. L’ultima cosa che le serviva erano valanghe di pubblicità su scala mondiale. L’ascensore si arrestò, ma al piano sbagliato. Gustav provò a digitare di nuovo il numero giusto, ma non successe nulla.

“Sembra avere qualche piccolo problema tecnico,” osservò. “Facciamo l’ultimo piano a piedi.”

Uscirono, e non appena ebbero messo piede fuori, l’ascensore ripartì da solo. Nicole scambiò con Gustav uno sguardo stranito, poi si incamminarono verso le scale.

“Che ne dici,” propose lui, mentre varcavano l’ingresso del corridoio delle loro stanze. “Ci facciamo una tazza di cioccolata mentre David cazzia Bill?”

Nicole suppose che una bella strigliata forse avrebbe giovato a Bill, anche se quello che aveva fatto era stato, almeno per lei, tutt’altro che un crimine, ma era ancora troppo scioccata per concedersi di pensare a lui. La cioccolata era un’idea assolutamente irresistibile.

“Grazie.”

Seguì Gustav fino alla sua stanza: lui tirò fuori le quattro diverse schede magnetiche, facendo sorridere Nicole, e ne estrasse una, con cui aprì la porta. Due minuti più tardi, erano seduti a gambe incrociate sul grande letto matrimoniale, sorseggiando una cioccolata fumante preparata al momento. Era senza dubbio un perfetto calmante.

“Allora,” esordì Gustav, scrutandola sornione da dietro la propria tazza. “A quanto pare qualcuno ha realizzato un sogno, stasera.”

A Nicole andò di traverso la cioccolata, e tossì diverse volte prima di riuscire a capire che Gustav stava ridendo.

Bastardo, pensò affettuosamente, poi qualcosa scattò nella sua mente: Bill l’aveva baciata, e stavolta si era trattato di un bacio a tutti gli effetti. Uno shock da non sottovalutare, visto che aveva sempre creduto che sarebbe sempre e solo rimasta una fantasia scritta nella sua testa.

È una fantasia nella testa di tutte, come accidenti è possibile che ora nella mia sia un ricordo concreto?

“Sarai soddisfatta, adesso.” Incalzò Gustav, con lo stesso tono ammiccante di prima. Dopo un attimo di esitazione, Nicole forzò una breve risata sommessa.

“Già.” rispose, poi si rifugiò nella tazza di cioccolata, cercando di non badare ai tumulti che i recenti avvenimenti avevano scatenato in lei.

E tre…

 

***

 

Quella mattina Bill si svegliò stanco. La ramanzina che David gli aveva rifilato in merito a gesti avventati ed inerenti conseguenze lo aveva logorato fino alle ossa e il sonno era stato ben poco pacifico. Non era andato a cercare Nicole per ovvie ragioni, prima fra tutte il fatto che probabilmente avevano entrambi bisogno di metabolizzare l’accaduto ciascuno per conto proprio.

A Bill quel bacio non era piaciuto, e non perché non fosse stato piacevole in sé, ma più che altro perché si era trattato di un bacio rubato, un gesto istintivo che gli era costato un bel po’ di baccano e una buona dose di flebo post-predica. Il tutto coronato da un certo senso di apatia che non riusciva a ricondurre a niente di preciso.

Sperava solo che Nicole l’avrebbe perdonato per quell’impudenza mossa un po’ dal desiderio e un po’ dall’alcol.

La doccia non sortì l’effetto rinfrescante sperato e fu con un fastidioso cerchio alla testa che Bill scese per la sua ultima colazione a Dublino. Si aspettava di trovare la saletta deserta – o meglio, se l’era augurato – invece c’erano già Tom e Georg seduti al tavolo, il primo con davanti un piatto stracolmo di frittelle e una generosa porzione di cappuccino, il secondo con nient’altro che una tazzina di caffè fumante tra le dita.

Entrò in silenzio, già sapendo di recare scritto in faccia che gatta ci covava. Fortunatamente, per lo meno, Gustav non c’era.

Si diresse al buffet ed afferrò un paio di brioche, poi prese a versarsi latte e caffè.

“No, non salutare, Bill, noi non siamo qui e non ci meritiamo nemmeno un mezzo ‘Ciao’, tranquillo.” Gli disse Tom, a bocca piena.

Senza nemmeno voltarsi, Bill replicò:

“Ciao.”

Prese la propria roba e se la portò al tavolo, mettendosi a sedere accanto a Tom. Si rese conto troppo tardi che quello era il posto peggiore in cui avrebbe potuto mettersi, proprio di fronte a Georg. La prima cosa che notò in lui fu un particolare insolito: non portava una t-shirt come suo solito, bensì una maglia nera a maniche lunghe, parzialmente spinte in su sugli avambracci. Aveva un’aria tetra e discretamente stanca, e non era poi così complicato figurarsi un ipotetico motivo.

Lo so che hai pensato a lei.

Si mise a mangiare come se nulla fosse, ignorando gli altri due fino a che Tom non decise di comportarsi da Tom e sottoporlo all’interrogatorio di prassi.

“Dalla tua faccia da funerale deduco che ieri sera ti è andato storto qualcosa.”

“No.” replicò Bill, asciutto.

“Allora ti è andato storto qualcosa mentre scendevi le scale?” insisté Tom. Georg taceva, e nemmeno sembrava dar segno di provare il minimo interesse per la conversazione. O magari, semplicemente, lo nascondeva bene.

“No.” Ripeté Bill. Tom si sporse in avanti verso di lui con uno sbuffo impaziente e lo scrutò da vicino, i gomiti poggiati al tavolo, le dita giunte tra loro.

 “Allora cosa c’è, ti è finita la lacca?”

Quanto sei spiritoso, Tom…

Bill cominciava ad essere stufo marcio di avere un ficcanaso per fratello, anche se, d’altra parte, avvertiva un certo bisogno di parlarne. Il problema era uno solo: parlarne davanti a Georg.

Che Georg avesse un debole per Nicole, era stato chiaro fin da subito, ma quello che non era stato altrettanto chiaro erano le sue intenzioni verso di lei: cercava la sua compagnia in modo molto discreto, stava volentieri con lei, ma Bill non riusciva a capire come mai, se davvero lei gli piaceva, la aveva lasciata con lui, la sera prima. Georg gli aveva concesso un’occasione che aveva forti probabilità di concludersi come si era conclusa, e probabilmente si stava torturando con una domanda a cui era meglio rispondere subito.

Con un sospiro, Bill si fregò una mano sulla fronte e confessò:

“Sono un idiota.”

 

***

 

Tom inarcò un sopracciglio e squadrò Bill con un’espressione scettica.

“Non per spegnerti l’entusiasmo, ma questa scoperta risale a prima di quella del fuoco.” Gli fece notare, ma Bill non raccolse l’ironia e lo polverizzò con un’occhiata tagliente.

“Ok, ok,” rettificò lui. “Dimmi cos’hai fatto stavolta.”

Ma Bill sembrava avere le labbra incollate tra loro e gli occhi inchiodati alla tovaglia, che stava tormentando con la punta del coltello. Da come esitava, Tom intuì che, qualunque cosa ci fosse sotto, si trattava di qualcosa di piuttosto importante, o quantomeno serio.

Vide che Georg sembrava profondamente interessato al proprio caffè, tanto da comportarsi come se fosse l’unico presente nella stanza. L’ovvietà della causa di quell’atteggiamento era quasi mortificante.

Il meglio – o peggio – però doveva ancora venire.

Bill sollevò lo sguardo, prima su Tom, poi indugiò brevemente su Georg, il quale non avrebbe potuto essere più impassibile, e alla fine lo abbassò di nuovo.

“L’ho baciata.”

Il rumore della tazzina di Georg che si rovesciava fu sordo e quasi trascurabile, ma non lo fu la macchia scura di caffè che si allargava sul bianco della tovaglia, e se prima la tensione era stata un punto interrogativo, adesso era senz’altro diventata un manto pesante che li avvolgeva tutti e tre in modo quasi asfissiante. Pur conoscendo bene l’oggetto implicito della frase di Bill, Tom non poté fare a meno di riservarsi un’ultima goccia di incredula ingenuità.

“Chi?”

“Secondo te?” sbottò Bill. Gli occhi di Tom si sgranarono all’istante.

Oh, cazzo!

“Tu cosa?”

Se volevi far collassare l’equilibrio mondiale, fratellino, direi che come primo passo non è male.

“Ho baciato Nicole,” ripeté Bill, solenne. “Ieri sera.”

“E poi?” indagò Tom, sospettoso.

“E poi niente,” fece Bill, sollevando le spalle. “Un bacio,” chiarì. “Solo un bacio.”

Ci fu un attimo di silenzio, in cui Tom continuava a spostare lo sguardo da Bill a Georg, cercando di prevedere cosa sarebbe successo, ma era impossibile. La situazione era così delicata che la palpabilità della tensione impediva quasi di respirare.

Un pesante tonfo lo fece sobbalzare: Georg aveva sbattuto il tovagliolo sul tavolo con una mano e si era alzato in piedi con uno scatto rabbioso.

“Congratulazioni,” sibilò gelido, guardando Bill con il volto adombrato. “Ce l’hai fatta, alla fine.”

Dopo un primo momento di incertezza, probabilmente sorpreso dall’anomala aggressività di Georg, Bill assunse un cipiglio scontroso.

“Avresti fatto lo stesso, se ne avessi avuta l’occasione,” ribatté acido. “Quindi non guardarmi con quell’aria di uno che è appena stato pugnalato alle spalle.”

Tom però non era d’accordo. Osservò Georg fremere impercettibilmente, gli occhi velati da una tristezza muta, le dita serrate in due pugni le cui nocche erano spaventosamente bianche: non era l’aria di uno che era appena stato pugnalato alle spalle.

È l’aria di uno a cui è mancata la terra sotto i piedi.

“Fa’ come ti pare, Bill,” replicò Georg in tono piatto. “Ottieni sempre tutto quello che vuoi,” Si infilò le mani in tasca, deglutendo con visibile fatica. “Non vedo perché stavolta dovrebbe andare diversamente.” Poi girò loro le spalle e se ne andò a capo chino.

Tom avrebbe tentato di fermarlo, se l’avesse ritenuta una cosa saggia o utile, ma era meglio lasciarlo solo, almeno per ora. Dopo averlo visto sparire tra la gente, si chiese quale sarebbe stata la prossima perfida mossa del destino.

“Hai davvero baciato Nicole?” chiese a Bill, quasi sperando di potersi sentir rispondere di no.

Bill lo trafisse con l’ennesima occhiata tagliente.

“Hai problemi di udito?” abbaiò.

Tom lo studiò attentamente, percependo qualcosa di indefinito che però non lo convinceva.

“Non hai una faccia granché soddisfatta.” Constatò.

“Forse ti è sfuggita la parte in cui io racconto ad uno dei miei più cari amici che ho baciato la ragazza a cui è interessato e lui scopre di odiarmi.” Berciò Bill. Era arrabbiato e con i nervi a fior di pelle, e Tom provava una certa compassione per lui: si era venuta a creare una situazione molto complicata, e la minima azione azzardata poteva far precipitare ulteriormente le cose.

“Georg non ti odia,” sospirò, sforzandosi di credere alle proprie parole. “È solo che questa tua confessione l’ha…”

‘Colto alla sprovvista’ era la definizione che avrebbe voluto usare, ma non era quella esatta. Fu Bill a trovare il termine giusto, e l’amarezza con cui lo pronunciò gli inasprì pesantemente i lineamenti.

“Ferito.”

Tom esalò un lungo sospiro sconfortato. In occasioni come quelle c’era sempre qualcuno che soffriva dell’esito finale, perché, nel migliore dei casi, potevano esserci due sconfitti, ma mai due vittoriosi, e questo a Tom non piaceva, non adesso che c’erano suo fratello e uno dei suoi migliori amici in gioco.

 

 

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Note: innanzitutto, ringrazio di cuore tutti voi per il vostro costante e meraviglioso sostegno. Significa molto per me e vi sono grata per tutti i complimenti e le belle parole che non vi mancano mai. Grazie a tutti voi che mi seguite, e grazie anche alle 80 persone che hanno messo questa storia fra i loro preferiti.

Un grazie speciale a coloro che mi hanno onorata di un commento, e cioè: GodFather, starfi, Hizu, Muny_4Ever, Ninnola, DarkAke, Elisa Kaulitz, reven, Sunsetdream, Zickie, Ranpyon, susisango, moonwhisper, valux91, Freiheit 489, sososisu, Alexiel Mihawk, loryherm, Lady Vibeke (grazie per avermi aiutata a sbloccare il dilemma della dinamica del bacio!), blackmoon, kit2007, CowgirlSara, dark_irina, LiSa90 e RubyChubb.

Spero che questo capitolo sia stato di vostro gradimento, e che il Fanclub di Georg non mi odierà troppo. ^^ Nicole, Emily e i ragazzi hanno ancora molto in serbo per voi (mi raccomado, gente, certi dettagli che possono sembrare insignificanti, dicono tante cose!), cari lettori, quindi restate con noi, c’è ancora tutta una storia da raccontare. ; )

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Capitolo 15
*** Give Me Strength To Face The Truth ***


Georg trascorse il resto della mattinata in completa clausura, solo con la propria chitarra e un terrificante nulla cosmico dentro. Si dava dello stupido tra una nota e l’altra, dell’idiota, dell’illuso, intrappolato in un incubo ad occhi aperti da cui nessuno lo avrebbe risvegliato. Suonava quasi per inerzia, come se il suono della chitarra lo tenesse lucido e presente, impedendo alla sua mente di vagare verso mete a cui si rifiutava di pensare.

Dopotutto era praticamente stato lui a spingerli l’uno verso l’altra, di cosa si stupiva? E con che coraggio colpevolizzava Bill? Li aveva lasciati soli, aveva voluto dare a Nicole l’occasione di vivere il suo sogno, perché fin dall’inizio era stato lampante che Bill fosse il suo favorito indiscusso. Solo, Georg non aveva creduto che Bill avrebbe avuto la faccia tosta di fare una cosa simile, approfittando così bassamente della situazione.

Lo stai facendo ancora, gli disse l’altra metà di se stesso, in un tono saccente che non gli piacque affatto, stai di nuovo razionalizzando la realtà a tuo piacimento. Bill è riuscito a baciare Nicole perché infondo era quello che lei voleva, e forse lo sai meglio tu di loro due messi insieme.

No, non voleva ascoltare.

Le sue dita continuarono ad accarezzare le corde della chitarra senza badare a nient’altro che alla musica, a quella melodia lenta e nostalgica che stava scaturendo spontaneamente da lui come una qualunque altra riflessione, fatta però non di parole, ma di note. E più suonava, più la rabbia cocente scivolava via, se ne andava il bruciore di quell’emotivo graffio di gelosia, facendo posto ad una fredda, pacata malinconia.

La mattina grigia e piovosa sembrava volerlo accompagnare nella sua espiazione solitaria, fare da contorno a lui e alla sua canzone senza voce, e c’era qualcosa di romantico e struggente nel modo in cui la luce fioca penetrava in fili sottili tra le pesanti tende bianche e gli scivolava sulle mani e sulle spalle, quasi abbracciandolo. Un abbraccio che non sapeva di niente, se non di asettico vuoto.

Ricordava ancora, e fin troppo bene, la sensazione della mano di Nicole sul proprio volto, il modo in cui lei lo aveva guardato quel giorno, dritto negli occhi, e forse in quel momento di silenzio lui le aveva detto più cose di quante lei fosse stata in grado di percepirne.

Se solo non fosse così concentrata sempre e solo su Bill…

Non era esattamente la verità, ma si trattava comunque di un confronto a cui era inutile sottoporsi, perché gli occhi di Nicole avevano brillato, la sera prima, di fronte alla proposta di Bill, e Georg lo riteneva un segnale più che sufficiente.

In fin dei conti non era una novità, per lui, finire divorato dall’ombra del grande Kaulitz.

Scacciò subito quel pensiero che lo faceva solo stare peggio, poi afferrò la ricevuta dell’ultimo servizio in camera e sul retro annotò un paio di accordi.

La sua razionalità gli diceva che le possibilità che un’eventuale rapporto serio tra Bill e Nicole potesse rivelarsi duraturo rasentavano il nulla, ma restava pur sempre quella minima percentuale a gettarlo nello sconforto.

Sto forse ingigantendo le cose?, si interrogò. È possibile che io stia reagendo così solo perchè mi da fastidio che Bill sia sempre di mezzo, sempre davanti a chiunque?

Se la risposta a quella domanda era no, ed era certo che lo fosse, allora c’era un’altra domanda, anche più impegnativa, se possibile, a cui rispondere.

La conosco solo da pochi giorni, rifletté, appoggiandosi cogitabondo alla chitarra, non posso essermi innamorato di lei in così poco tempo…

Ma una terza opzione non esisteva, e se il crollo di una autenticava automaticamente l’altra, allora non restava molto da considerare.

Georg non versava una lacrima da anni, se non dal ridere, e non avrebbe certamente ricominciato adesso, ma improvvisamente si ricordò di cosa significasse sentirne il bisogno, e la sensazione non gli piacque.

Pensò anche ad Emily, a come lo aveva cercato in un momento di bisogno, a come lui se l’era stretta al petto per rassicurarla, a lei che gli chiedeva una ninnananna. L’affetto sincero che aveva cominciato a nutrire per quella bambina era un sentimento nuovo, per lui, una breccia aperta su un lato della vita che ancora non conosceva, ma in cui stava muovendo i primi passi incerti ma curiosi.

E non si trattava solo di Emily, o solo di Nicole: si trattava di loro due, insieme, perché insieme erano andate ad occupare una nicchia nel suo cuore che finora era sempre rimasta vuota, addirittura sconosciuta, e ora che Bill era ad un passo dal portargliele via entrambe, Georg non poteva non chiedersi quale ruolo sarebbe rimasto a lui.

Chiuse gli occhi, come se quel gesto potesse cancellare ogni cosa, come se un battito di ciglia potesse spazzare via tutto e permettergli di riscrivere la storia da capo.

Invece non puoi.

E anche se sapeva che era inutile ed infantile, tenne gli occhi chiusi mentre stringeva il plettro tra le dita e riprendeva a suonare lentamente, e stavolta la musica fu accompagnata dalla sua voce.

 

***

 

“Mamma, perché sei triste?”

Nicole finì di piegare la maglietta e la sistemò con cura nella valigia aperta sul letto, Emily in piedi accanto a lei che la fissava preoccupata, Wilhelm che le penzolava da una mano. Che cosa poteva risponderle?

Non era triste, o meglio, non esattamente. Il problema era che c’erano tante di quelle emozioni che fremevano dentro di lei che non riusciva a capire quale fosse quella prevalente. Immaginò se stessa a casa, sdraiata sul letto a trascrivere i propri pensieri per poterli analizzare meglio, proprio come faceva al liceo, solo che questa volta non c’era di mezzo il tipo carino della squadra di basket, ma un pesce ben più grosso.

‘Caro diario, ieri Bill Kaulitz mi ha baciata…’

Che cosa assurda.

“Non sono triste, Emily,” mormorò, sorridendole. “Odio solo fare i bagagli.”

Mentire sembrava essere diventato un valido mezzo di rassicurazione del prossimo, anche se a dir poco disonesto, ma in questo caso poteva dirsi una bugia bianca abbastanza innocente: non era certa che ciò che provava fosse effettivamente tristezza, e in quanto al perché si sentisse così, non c’erano spiegazioni vere e proprie, se non una gigantesca incognita.

Dopotutto, quello che le era successo rientrava nella top ten delle ‘Cose che vorrei tanto fare, ma che la vita non mi concederà mai’, e se ne stava anche molto in alto di collocazione. E allora perché non era per niente euforica come avrebbe dovuto essere? Perché non stava delirando in preda all’incredulità e non si sentiva minimamente, come aveva detto Gustav, soddisfatta?

Perché – perché? – tutto ciò che quel bacio le aveva portato era solo uno smisurato, inarginabile, soverchiante senso di confusione più totale?

“Ti aiuto a mettere via le cose?” si offrì Emily, mettendosi ad appallottolare un paio di calzini. Nicole glieli tolse gentilmente di mano.

“No, grazie, tesoro, non ti preoccupare.”

Emily però sembrava più volenterosa del solito: prese un mucchio di vestiti accuratamente piegati da una delle sedie e li portò ciondolando fino al letto.

Nicole sospirò e le chiese di rimetterli dove stavano, che ci avrebbe pensato lei, ma Emily non demorse.

“Voglio aiutarti!”

“Non è necessario.” Disse Nicole, facendo per prendere la pila di vestiti.

“Li metto via io!” insisté Emily, tirando, e così facendo strappò gli indumenti di mano a Nicole, i quali finirono però sparpagliati a terra in un mucchio disordinato.

“Ecco, hai visto?” esclamò Nicole, irritata, alzando la voce. “Adesso mi tocca piegarli di nuovo!”

Se ne pentì prima ancora di aver terminato la frase: gli occhi di Emily si riempirono istantaneamente di lacrime e il labbro cominciò a tremarle, mentre fissava Nicole atterrita, facendola sentire un verme.

Nicole le si inginocchiò di fronte e la abbracciò forte, maledicendosi per quel suo scatto così brusco e gratuito.

Perdonami, si scusò intimamente, non è colpa tua…

“Non volevo arrabbiarmi con te,” le sussurrò, coccolandola, a sua volta stretta dalle sue piccole braccia. Le prese il viso tra le mani e le sorrise, asciugandole gli angoli umidi degli occhi. “Se mi lasci finire di sistemare questa roba, poi andiamo giù e ci prendiamo un bel gelato, va bene?”

“Ma non si mangia il gelato a colazione!” fece Emily, un po’ sospettosa, tirando su con il naso. Nicole le diede un buffetto affettuoso.

“Solo per oggi, facciamo uno strappo alla regola.” Disse in tono cospiratorio. “Ma non lo diciamo a nessuno.”

“Soprattutto alla zia.” Convenne Emily, sottovoce. Nicole rise.

Ti adoro, piccola peste.

“Esattamente. Ora perché non prendi il mio iPod e ascolti un po’ di musica mentre finisco di sistemare qui?”

Emily obbedì di buon grado: prese l’iPod che le veniva porto e se lo portò assieme a Wilhelm sul divano, dove si accomodò con il suo libro illustrato del film Disney Come D’Incanto, che Brenda le aveva acquistato via internet in una libreria lì a Dublino solo il giorno precedente .

Leggermente più tranquilla, Nicole si mise a raccattare i vestiti sparsi per terra, ma mentre se li ammucchiava su un braccio, si ritrovò tra le mani qualcosa che aveva completamente dimenticato di avere, qualcosa che avrebbe di gran lunga preferito non vedere, in un momento come quello.

Fissò il tessuto ceruleo e un po’ sciupato, si rigirò l’indumento tra le mani senza uno scopo, chiedendosi perché le sembrava che fossero passati anni dal giorno in cui ne era entrata in possesso, quando invece erano solo una manciata di giorni.

L’aveva lavata, ma la maglietta era ancora impregnata di quel lieve profumo indelebile, un profumo che ormai conosceva fin troppo bene.

Georg.

Un improvviso, lancinante senso di colpa la trafisse da parte a parte.

Perché mi sento colpevole? Non ho fatto un bel niente, è stato Bill a baciarmi.

La sua mano pose automaticamente la maglietta sul braccio assieme al resto degli abiti e la coprì rapidamente con una felpa nera, il tutto senza che il suo cervello intervenisse minimamente a guidarla.

Ma anche se così non fosse, si disse, infastidita, da dove se ne esce questo dannato senso di colpa?

Spiegare l’irrazionale non era ancora un’abilità padroneggiata dall’umanità, e, per quanto si fosse sforzata, non sarebbe certo stata lei la prima a riuscirci. Ciononostante, l’irrazionale pareva godere nel farsi beffe di lei e non voleva saperne di lasciarla in pace.

“Volevo stare un po’ con te.”

Non significava niente. Non significava un bel niente, perciò era inutile perderci il senno. A Georg non importava di lei, non il quel senso, ed era ridicolo farsi tanti scrupoli per niente.

Ma tu non ti stai facendo scrupoli, Nicole, ghignò la sua coscienza, tu stai letteralmente e molto perfidamente pregando che lui si stia già consumando nella gelosia, e, scusami tanto, ma una vera amica non si comporterebbe mai così.

Cominciava a girarle di nuovo la testa. Non aveva appetito, e la sola idea di mangiare le dava la nausea, ma era inutile tergiversare, a minuti avrebbe comunque dovuto scendere, la partenza era prevista entro un’ora.

E un altro giorno se ne va…

E lei ancora non sapeva cosa fare, ma, anzi, era ancora più indecisa di prima.

Maledizione, Bill, che cos’hai fatto?

Non diede tempo alle emozioni di emergere. Gettò il groviglio di vestiti dentro la valigia senza nemmeno piegarli e si sedette sul letto come svuotata, gli occhi fissi sulla moquette, il sangue che le pulsava con prepotenza nelle tempie.

Perché mi sono voluta complicare la vita così?, si rimproverò. Non mi potevo accontentare di averli conosciuti? Che diavolo ci faccio qui?

Avrebbe dovuto mettere le mani avanti fin dal principio, prima che la situazione cominciasse a sfuggirle di mano, ma in fin dei conti il problema era proprio quello: aveva voluto che la situazione le sfuggisse di mano, aveva deciso di permettere che le cose si evolvessero, e ora non poteva più dire semplicemente ‘Mi piacciono i Tokio Hotel’, perché conoscerli non era stato solamente un privilegio riservato a pochi, ma anche la scoperta di qualcosa che, col senno di poi, sarebbe stato saggio – per quanto triste – non scoprire affatto, perché il rapporto fan-idolo era scemato fin troppo presto, sostituito da qualcosa di molto più complesso e pericoloso.

Io voglio bene ai Tokio Hotel.

Che fregatura, la vita. Mai che qualcosa di buono venisse senza guai, e mai che i guai venissero soli.

Un picchiare deciso alla porta la fece tornare in sé. Ben lieta di essere distratta da quella trappola mentale, Nicole si alzò e si affrettò ad aprire, presumendo che fosse qualcuno del personale che veniva a ritirare qualche bagaglio, ma l’ammasso di rasta biondi che la fissava oltre l’ingresso le smontò la teoria.

“Tom,” fece, stupita. “Sei tu…”

“In carne e ossa,” Il suo tentativo di mettere dell’umorismo nel proprio tono non attaccò. “Volevo avvisarti che stiamo cominciando a caricare la roba sul bus, e… Parlare.”

Nicole lo studiò accigliata.

“Scusa?”

“Sul serio,” asserì lui, indugiando sulla soglia. “Bill ha detto che ti ha baciata, ieri, e la cosa non mi sorprende, ma vorrei sentire la tua versione, adesso, perché ho come la sensazione che qualcosa non torni. Allora,” Inarcò le sopracciglia con fare inquisitorio. “Che succede, Sandberg?”

Nicole lo fece entrare, stringendosi nelle spalle.

“Non lo so.”

“Sì che lo sai.”

Tom la bloccò nel piccolo vano d’ingresso, ergendosi davanti a lei in tutta la sua considerevole altezza. Il bagliore di preoccupazione nei suoi occhi la spronò a tentare di aprirsi un po’. Folle com’era l’idea, Tom Kaulitz era diventato il suo confidente di fiducia.

“Sto impazzendo, va bene?” ammise a bassa voce, per non farsi sentire da Emily, che leggeva ancora il suo libro con la musica nelle orecchie, al di là della parete. “Bill mi bacia ad un party di celebrità in cui non avrei nemmeno dovuto mettere piede, scoppia l’apocalisse e poi nemmeno si fa vedere,” Il semplice ricordo la fece rabbrividire. “Una come si deve regolare, secondo te?”

Con un sospiro pensoso, Tom si sedette nella poltroncina accanto al guardaroba, appoggiandosi con i gomiti alle ginocchia divaricate, le mani giunte davanti la viso.

“E tu come l’hai presa questa faccenda del bacio?” le domandò cauto. Nicole si morse il labbro, incrociando le braccia nervosa.

“Non ne ho idea,” rispose schietta. “Sono ancora discretamente confusa e… E inviperita!”

Tom sogghignò.

“Ti ricordo che Emily non ti può sentire, sei libera di esprimerti.”

“Va bene, sono incazzata fino al midollo!” sbottò allora lei, con una punta di soddisfazione. Lo era davvero, e anche parecchio.

Tom si appoggiò allo schienale della poltrona in modo scomposto, abbandonando le braccia contro i braccioli.

“Bill non è esattamente un modello esemplare di maturità,” commentò asciutto. “Fa i capricci, come qualunque altro moccioso, e stavolta la sua fissa sono un bel paio di occhioni celesti.”

Nicole non fu particolarmente entusiasta di sentirsi definire una ‘fissa’, ciononostante aveva un suo perché essere la ‘fissa’ di Bill Kaulitz, qualunque fan avrebbe concordato su quel punto.

“Sì,” sospirò impotente. “Però…”

“Però ti piace.”

“Già.”

Tom annuì con un’espressione sapiente stampata sul volto.

“E sei confusa.”

No, Tom, figurati, il mio idolo musicale è uscito dal suo poster e mi ha strappato un bacio sotto agli occhi di un nutrito pubblico di sconosciuti, cosa te lo fa pensare?

“Sì, parecchio.”

“Sai, se devo essere sincero, a me le cose paiono piuttosto semplici.” Disse Tom tranquillamente, squadrandola con attenzione. Nicole ricambiò con un’occhiata interrogativa.

“Hai una cotta per lui.” Specificò lui.

“Molto sagace…” fece lei, sarcastica.

“Hai una cotta per lui,” ripeté Tom. “Ma non ne sei innamorata.”

Innamorata, Nicole rabbrividì al solo pensiero della catastrofe che una cosa simile avrebbe rappresentato, per carità, ci mancherebbe solo questa, sono già abbastanza incasinata così…

“E tu che ne sai?”

“Lo so,” Tom incrociò il suo sguardo e la fissò in modo penetrante. “Lo so perché non riesci a guardarlo negli occhi, e se tu fossi innamorata di lui, guardarlo negli occhi sarebbe tutto ciò che vorresti,” Le sue labbra assunsero una leggere incurvatura all’insù. “Tutto ciò che importerebbe.”

Nicole scosse la testa quasi divertita.

“Questa perla così profonda l’hai letta sulle carte dei cioccolatini che ti hanno regalato ieri?”

“Sì, confesso.”

“E c’era anche qualche cosa che mi possa essere d’aiuto con quell’enigma vivente di tuo fratello?”

Tom fece schioccare la lingua con disapprovazione.

“Credimi,” disse. “Se esistesse un decriptatore che aiutasse a capire Bill, sarei il primo a proporre il suo inventore per il Nobel per la Scienza, e forse anche per quello per la Pace, ma temo che sia solo una celestiale utopia.”

Nicole rise.

“Già.”

Si sentiva un po’ più calma. Forse Bill aveva semplicemente agito d’impulso, probabilmente era stato anche un po’ alticcio, e lei aveva solo esagerato nel reagire. Un bacio, anche se ricevuto da Bill, era pur sempre un innocuo bacio, dopotutto. Solo un bacio.

“Georg c’è rimasto molto male, sai?”

L’inaspettata interruzione della breve pausa di silenzio da parte di Tom causò al cuore di Nicole un sobbalzo improvviso. Stava appena cominciando a tornare in possesso delle proprie facoltà mentali, non era psicologicamente preparata ad affrontare l’argomento ‘Bacio di Bill’ assieme a ‘Reazione di Georg’.

Aspetta, aspetta, aspetta!, intervenne una voce esagitata, emergendo dal buio della sua mente, Georg cosa? Quale reazione?

“Cosa intendi?”

“Non fare la finta tonta, Sandberg,” ribatté Tom, sornione. “Georg ha un debole per te da che ti sei presentata nel backstage con quel tuo bel faccino disperato.”

Nicole deglutì, inerme davanti a quell’inaspettata rivelazione.

Il tuo senso di colpa ha effettivamente un senso!, constatò la voce, risorgendo più squillante, sarcastica e fastidiosa che mai. Chi l’avrebbe mai detto, cantante e bassista in un colpo solo… Bingo, Nicole, ottimo lavoro!

Perché non se n’era accorta da sola? Perché Tom lo diceva come se fosse una cosa ovvia e scontata e a lei non era mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello? Ma soprattutto, perché suonava così maledettamente spiazzante?

“Dal tuo silenzio, direi che la notizia ti giunge nuova…”

Lei boccheggiò, incapace di mettere insieme una frase di senso compiuto.

“È solo che non…” Non me ne sono mai accorta. “Non credevo che… Insomma…”

“Le attenzioni di Bill ti hanno fatto bypassare quelle di Georg,” Disse Tom con un piccolo sorriso saputo. “Fin qui nulla di nuovo, no?”

Lo dici come se nulla fosse…

“Se eri venuto con l’intenzione di aiutarmi a schiarirmi le idee, ti informo che hai appena peggiorato esponenzialmente la situazione.”

“Ti ho aiutata a scoprire le carte in tavola,” replicò lui, risoluto. “Adesso sta a te capire cosa ti stanno dicendo.”

Nicole si prese il volto tra le mani, sfregandosi stancamente gli occhi. Era assurdo che tutta quella storia fosse partita da una piccola, insignificante sciocchezza commessa da Emily.

“Che cosa devo fare?” gli chiese, guardandolo quasi implorante. Tom si alzò e le andò di fronte, accennando un sorriso a fior di labbra.

“Posso far finta di essere saggio, profondo e disgustosamente banale?”

“Prego.”

Lui sollevò una mano e gliela pose sulla testa, mentre il suo sorriso si faceva più marcato e dolce. Era un tipo di sorriso che Nicole gli aveva spesso visto rivolgere a Bill, in quei rari momenti di armistizio, un sorriso confortante e fraterno che non avrebbe mai dimenticato.

“Segui il tuo cuore.” Le disse.

Nicole restituì il sorriso, augurandosi che un giorno non troppo lontano il mondo potesse vedere questo Tom così diverso dal personaggio pubblico che tutti conoscevano.

Alla fine li hai anche tu dei sentimenti, sotto quella tua scorza da sciupafemmine in carriera…

“Ah, ho scordato di dirti che dovresti scendere con i documenti tuoi e di Emily a fare il checkout,” aggiunse poi Tom, con la massima nonchalance. “Al più presto, ha detto David.”

Nicole si portò le mani ai fianchi, appioppandogli un’occhiataccia severa.

“Volevi aspettare ancora molto a dirmelo?”

“Chiedo umilmente perdono,” implorò lui, ma la sua espressione non era poi così affranta. “Vai pure,” le disse. “Sto io con Emily.”

Nicole roteò gli occhi, mascherando un mezzo ghigno divertito.

“Grazie.” Gli disse poi, posandogli una mano sul braccio. Afferrò la propria borsa e si affrettò ad uscire dalla stanza, attraversando in fretta il corridoio, diretta verso l’ascensore. Riuscì ad infilarvisi quasi per miracolo, scivolando agilmente tra le porte metalliche che si chiudevano rapidamente, per poi tirare un sospiro di sollievo. Quando però sollevò lo sguardo, un infinitesimale di secondo più tardi, si accorse di non essere sola. Un brivido ormai quasi familiare le attraversò la schiena.

“Georg.” Soffiò, atterrita.

Se ne stava appoggiato con una spalla alla parete di specchio, gli occhiali da sole calcati sul naso, le mani infilate svogliatamente nelle tasche dei jeans, ed era spaventosamente pallido.

“Ciao.” Mormorò lui, la voce corrotta da una strana incrinatura arida, insolitamente distante.

“Ciao.” Miagolò lei, sentendosi sprofondare in una voragine di incertezza. Lo guardò puntare lo sguardo a terra, in un angolo della stretta cabina, evitando lei in modo abbastanza esplicito.

Sa, pensò Nicole, mentre il suo cuore cessava di battere.

Lo spettro di un sorriso si adagiò sulle labbra screpolate di Georg, ma i suoi occhi nascosti restavano invisibili a Nicole. L’argomento cruciale era lì, aleggiava nell’aria come una presenza negativa, e per quanto lei non volesse discuterne ancora, sapeva che avrebbe dovuto affrontarlo, prima o poi, e forse prima sarebbe stato meglio che poi.

A conferma dei suoi timori, Georg sollevò il capo verso di lei, le spalle ricurve, come aggravate da un peso invisibile.

“Spero che sia stato all’altezza delle aspettative.” Le disse pacatamente.

Non c’era bisogno di chiedere cosa, né come lo sapesse. Quello che c’era invece da capire era quel tono in realtà privo di sfumature, quell’espressione illeggibile, quale tipo di emozione si celasse dietro a quelle provvidenziali lenti scure. Per la verità, c’erano una miriade di interrogativi che avrebbero voluto essere chiariti.

E adesso?

Nicole fece per dire qualcosa, ma proprio in quel momento l’ascensore si fermò di colpo, facendoli sobbalzare.



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Note: questo capitolo è in realtà mezzo capitolo, perché l'altra metà è ancora in lavorazione, ma ho visto che stava venendo molto ma molto lungo (già questa metà da sola supera la lunghezza media), quindi ho preferito spezzarlo per facilitarvi la lettura. Ci sono diverse cose più o meno implicite che spero qualcuno abbia notato, ma in caso contrario non allarmatevi, capirete tutto alla fine, in ogni caso. ^^
Mi auguro che vorrete come sempre farmi il sommo onore di lasciarmi due righe con la vostra opinione (club delle recensioni chilometriche, a me! XD), è veramente molto importante pe me capire cosa vi è piaciuto e cosa no, e perché (un giorno mi ci comprerò il pane, con le mie opere! ^^).

Un bacio e mille abbracci, miei cari lettori, e a presto!

P.S. Un premio speciale a chi mi sa dire da dove viene il titolo del capitolo! ;)

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Capitolo 16
*** The Doubt Within My Soul ***


“Merda!” imprecò Nicole con una marcata nota di panico, portandosi una mano sul cuore.

L’ascensore si era improvvisamente arrestato nel bel mezzo della discesa, e non accennava a ripartire, lasciandoli soli insieme – che paradosso – in quel microscopico spazio vitale. Georg non soffriva di claustrofobia, e, per quel che ne sapeva, nemmeno Nicole, ma c’era comunque un sentore di soffocamento, là dentro, che lo opprimeva in modo quasi violento. E gli occhi di Nicole, sbarrati e ansiosi, non erano altro che la provvidenziale sferzata finale di quel brutto tiro mancino del fato. Georg si considerò arbitrariamente preso di mira.

“E adesso che facciamo?” esclamò lei, la voce strozzata dal nervosismo.

Lui considerò la situazione: si trovavano nell’ascensore di un albergo a cinque stelle molto rinomato, ci sarebbero voluti al massimo un paio di minuti perché qualcuno si accorgesse del fatto che fosse bloccato, quindi era inutile agitarsi, sicuramente qualcuno stava già provvedendo a risolvere l’intoppo.

“Aspettiamo, suppongo.” Disse, ostentando una tranquillità che non possedeva, pur lievemente disturbato dal non sapere dove esattamente fossero bloccati. Si lasciò scivolare seduto a terra, e Nicole lo imitò tentennante.

Georg si imponeva di non guardarla, di cercare di non pensare alle labbra di Bill che la toccavano, ma sarebbe stato più semplice chiedere alla terra di smettere di girare attorno al sole. Non sapeva come sentirsi, né tanto meno come comportarsi. Sapeva di essere freddo con lei, non lo faceva di proposito, ma mantenere le distanze, in qualunque senso possibile, gli sembrava l’unica maniera per non dare il colpo di grazia ad un equilibrio emotivo già in pezzi.

Non era colpa di Nicole se era in quelle condizioni, e nemmeno di Bill, tutto considerato. L’unico colpevole era lui, che aveva violato l’unica regola che si fosse mai imposto con le ragazze da quando era diventato famoso: mai lasciarsi coinvolgere. E finora era sempre stato così semplice, così naturale restare indifferente a ciascuna di loro, ma Nicole… Con lei era impossibile restare indifferenti, dolce e sensibile com’era, così matura nonostante la giovane età e i tanti problemi, eppure ancora così bambina sotto molteplici aspetti, fragile dietro al suo scudo pieno di coraggio.

Sei così umana, così piena di contraddizioni, così imperfetta…

La scrutò segretamente da dietro gli occhiali da sole, e ciò che vide gli accese un vivo tepore dentro: Nicole se ne stava accoccolata nell’angolo opposto al suo, le ginocchia strette al petto con un’espressione contrita ed assorta. Era la stessa identica ragazzina che aveva visto pochi giorni prima, ma sotto una luce talmente diversa che a stento riusciva a riconoscerla.

Però sei bella, lo sai?, le disse dentro di sé. Bella in un modo profondo che non credevo potesse esistere…

Non aveva il coraggio di aprire di nuovo bocca, forse perché infondo non voleva veramente conoscere la risposta alla domanda che già le aveva posto, in uno slancio di autolesionistica curiosità che già aveva perso.

Rimasero così per cinque minuti, senza fiatare, semplicemente osservando il pavimento che ancora sapeva di detersivo alla lavanda. Dopo altri cinque minuti, quando era ormai evidente che non sarebbero usciti di lì tanto presto, Georg si infilò una mano nella tasca dei jeans e ne estrasse il proprio cellulare, che vibrava ad intermittenza.

“Che fai?” gli chiese Nicole.

Senza fiatare, Georg le scoccò un’occhiata significativa, poi premette il tasto verde della risposta e si portò il telefono all’orecchio, attendendo di udire una voce ben nota.

“Georg!” esclamò infatti la voce di Bill, pochi istanti dopo, irritandolo come mai prima di allora. “Sei con Nicole?”

“Sì.” Fu la sua semplice risposta.

“Ma dove cazzo siete finiti?” gracchiò Bill dall’altra parte. Georg trattenne un rantolo spazientito.

Sul tuo letto a darci all’amore libero… Ti piacerebbe come risposta?

“Siamo bloccati in ascensore da qualche minuto.” Spiegò a denti stretti. “Sembra non volerne sapere di ripartire.”

Nel silenzio che giunse dall’altra parte, si potevano quasi distinguere i pensieri paranoici di Bill riguardo tutto ciò che un ragazzo ed una ragazza potessero fare chiusi in un ascensore da soli.

“Andiamo a vedere alla reception cosa sta succedendo.” Biascicò sbrigativo.

“Vuoi tenere la chiamata aperta, in caso io dovessi saltarle addosso mentre voi ci salvate la vita?” lo provocò Georg, del tutto gratuitamente. La risposta di Bill – fredda, distaccata, brusca – impiegò un secondo in più del necessario ad arrivare, ma era esattamente quella che Georg si era aspettato:

“Vaffanculo, Georg.” E la chiamata fu chiusa.

Nessuno scherzo, nessuna ironia: per la prima volta Bill lo aveva mandato a quel paese con l’assoluta intenzione di insultarlo, di chiarire che più si sarebbe tenuto lontano da lui, meglio sarebbe stato.

“Non avresti dovuto parlargli così.” sussurrò Nicole ad un tratto, fissandolo con un’espressione illeggibile.

“Lo so.” Ammise lui, lasciando cadere il cellulare sulla moquette blu.

Ma se non posso essere geloso, almeno mi riservo il diritto di essere stronzo.

Lei sembrava delusa dal suo comportamento, o forse delusa e basta. Georg non la capiva. Non riusciva a capire cosa potesse provare, come potesse sentirsi, e odiava non sapere quello che aveva significato per lei baciare Bill. Se c’era una cosa, tra le tante, che si rimproverava, era la propria codardia, il fatto di non aver mai avuto il fegato di mettersi in discussione e dirle come stavano le cose, trattenuto dal terrore di perderla, pur non avendola mai avuta.

“Tu mi piaci, Nicole,” esordì ad un tratto, senza sapere quale volontà, sicuramente non sua, lo stesse guidando. Il suo tono era fermo, ma non lo erano altrettanto le sua mani, che continuava a torturarsi nella speranza che smettessero di tremare in quel modo patetico. “Mi piaci, e l’hanno capito tutti, ormai, quindi non giriamoci intorno, non voglio essere compatito per questo,” Fece una breve pausa, cercando di trovare il coraggio di tirare fuori tutto, una volta per tutte. Probabilmente sarebbe stata la sua ultima occasione di restare da solo con lei. “Se è Bill che vuoi – quello che pensi sia giusto per te – allora va bene, sono felice per voi,” Deglutì, sapendo che ciò che stava per dire avrebbe potuto sembrare crudele, ma doveva dirlo, doveva chiarirlo. “Ma tu hai bisogno di un compagno, di qualcuno che si prenda cura di te, non di un altro figlio.”

 

***

 

Nicole non credeva che una cosa del genere potesse essere concretamente sensibile, non aveva mai pensato che si potesse avvertire l’esatto istante in cui il proprio cuore si spezza, ma Georg le aveva appena dimostrato il contrario.

Anche se Tom le aveva preparato il terreno, anche se sapeva già tutto quanto, sentirlo dalla voce stessa di Georg faceva tutto un altro effetto, e la cosa non significava necessariamente che si trattasse di un cambiamento in meglio: c’era un abisso sensoriale ed emotivo tra il sentirsi dire una cosa del genere da un semplice portavoce e dalla fonte in persona, e non fu piacevole per Nicole sperimentare la seconda opzione.

Tutt’altro.

“Perché non mi hai mai detto niente?” domandò, pur sentendosi estremamente sciocca nel porre un quesito così ovvio ed indelicato.

Tu vivi in simbiosi con Bill, ti comporti come se fosse il Dio Sole disceso in terra, e hai anche il coraggio di chiedergli perché se n’è rimasto zitto fino ad ora? Che faccia tosta!, sbraitò la sua coscienza, così forte che Nicole temeva che anche lui potesse sentirla, ma Georg pareva fin troppo concentrato sulle proprie mani.

“Non volevo turbarti,” disse, accompagnando la risposta con una debole scrollata di spalle e un abbozzo di sorriso che non avrebbe convinto un cieco. “Volevo solo godermi la tua compagnia senza complicare le cose,” proseguì, corrugando la fronte mentre si fissava le ginocchia. “Temevo di metterti in imbarazzo, e poi…” Un’altra scrollata di spalle. “Be’, non volevo rovinarti la tua settimana speciale.”

Stavolta fu Nicole a corrugare la fronte.

“Rovinarmi?” fece, perplessa. Lui annuì.

“È ovvio che stravedi per Bill,” disse in tutta calma. “Ho pensato che volessi stare con lui il più possibile…”

C’era almeno mezza di quelle parole che avesse senso? Se il discorso di Georg era retto da un qualche filo, Nicole non riusciva a trovarlo.

Tu sai benissimo cosa ti sta dicendo, è solo che non ti va di ammettere che sei stata schifosamente egoista, con lui.

“Avresti dovuto parlarmene.” Rispose, mentre dentro di sé cercava di mettere a tacere quella voce fastidiosa.

“E metterti così a disagio?” Georg sorrise. Un vero sorriso, che aveva un che di inspiegabilmente indulgente. “No, avrei solo compromesso la situazione, e inutilmente. Mi stava bene così, sono stato veramente bene con te, e non mi dispiacerebbe se ci dimenticassimo di questa conversazione, ora.”

Ma ciò che Nicole aveva appena ascoltato era ormai indelebilmente impresso dentro di lei, e nemmeno avrebbe voluto dimenticarlo, perché quello che lui aveva detto non era qualcosa che si potesse semplicemente far finta di non aver sentito. Georg le aveva appena rivelato di aver messo in secondo piano i propri desideri per permettere a lei di vivere il suo sogno di sempre, come poteva ignorare un gesto simile? Quante altre persone avrebbero avuto la forza di agire così?

“Ti sono davvero grata per questo.”

“Oh, figurati,” si sminuì lui. “Almeno avrai qualcosa di bello a cui pensare quando tornerai a Lipsia.”

Come diavolo –?

“Ce l’hai scritto in faccia che non resterai.” Esplicitò lui, come leggendole il pensiero. Una coltre di tristezza gli oscurava il viso.

Nicole si strinse le ginocchia al petto, tormentandosi il labbro con gli incisivi.

“È così evidente?”

Lui le rivolse un’occhiata fugace.

“Abbastanza.”

Lei sospirò, abbassando il capo frustrata. Era non poco stupita di come, nonostante la situazione apparentemente scomoda, le fosse facile parlare con lui.

“Bill non l’ha capito.”

Georg emise una flebile risata cupa e sommessa.

“Sarà per via del fatto che tu hai una certa difficoltà a lasciarti guardare in faccia da lui.”

Pur essendo una battuta casuale, quella frase smosse qualcosa in Nicole, qualcosa che era però così vago e sfuocato che lei nemmeno capì di cosa si trattasse.

“Ti prego,” proseguì lui. “Ora non ti devi sentire in dovere di comportarti in modo diverso… Non sprechiamo questi tre giorni scarsi che rimangono a farci problemi per questo mio insulso, effimero capriccio.”

Insulso.

Effimero.

Capriccio.

Perché non suonava rassicurante come avrebbe dovuto? Perché faceva male?

“No,” Convenne lei. “No, hai ragione.” Ed evitò di esternare un’altra domanda che era sicuramente inopportuna, ma piuttosto fondamentale.

Sarebbe stato lo stesso un insulso, effimero capriccio, se non ci fosse stato Bill di mezzo?

“Senti, io…” esordì Nicole, benché non le fosse affatto chiaro cosa dire.

“Non preoccuparti per me,” la interruppe Georg. “Sto bene, credimi.”

Non che non ti credo. L’hai detto anche quando avevi quaranta di febbre.

“Georg, mi dispiace…” Nicole non sapeva esattamente per che cosa glielo stesse dicendo – per quale dei mille e forse più motivi per cui avrebbe voluto scusarsi lo stesse facendo – ma erano state le parole stesse a costringerla a pronunciarle, e lei non sapeva a cosa associarle.

Lui le rivolse un mezzo sorriso obliquo, così carico di tristezza da smorzarle il respiro.

“Doveva pur essere uno di noi,” rispose mesto. “E sapevamo tutti chi dei due sarebbe stato. Avevi già scelto fin dall’inizio, anche se non lo sapevi.”

Sono io l’unica stupida ancora confusa? L’unica che non si è accorta di niente se non di quello di cui voleva accorgersi?

“In ogni caso,” mormorò. “Quanto credi che durerebbe una storia così, per assurdo? Non sono ingenua come sembro, lo so come vanno le cose. Una rockstar – una come Bill, per giunta! – e una ragazza madre: secondo te quanto a lungo potrebbe funzionare? Un mese, due? E poi? Me ne torno a casa con i cocci in mano e una bella dose di autocommiserazione in cui crogiolarmi a vita. No, grazie, la vita mi ha già riservato abbastanza delusioni, non voglio finire di nuovo a pezzi.”

Georg tacque per un lungo minuto, forse anche più a lungo, e i loro occhi non si lasciarono un istante. Si scrutavano a vicenda come tentando di leggersi dentro, e quello che vedeva Nicole era una più o meno serena rassegnazione.

“E se invece dovesse funzionare?” disse improvvisamente lui. “Se Bill fosse pronto a mettersi un po’ di sale in zucca e pensare a te e ad Emily prima che a se stesso?”

A che gioco stai giocando?, si domandò Nicole, sospettosa. Dov’è che vuoi arrivare? Non ti capisco…

Ciononostante, l’osservazione non era da sottovalutare: effettivamente, Bill non era una maestro dell’arte della maturità, lo aveva ampiamente dimostrato, non solo con quel bacio, ma anche con tutto quello che era – o meglio, non era – successo in seguito. Nicole sapeva che gli uomini spesso ritenevano trascurabili certi aspetti della vita sentimentale, ma quello che Bill aveva fatto aveva un certo peso, e lei si sentiva autorizzata ad aspettarsi un confronto postumo. Lo meritava, e Bill non aveva ancora dato segno di volerglielo concedere.

“Sarebbe qui a dirmi queste cose al posto tuo.” Sospirò infine.

“Quindi te ne andrai e basta?” replicò Georg, quasi indispettito. “Chiuderai questo capitolo e tanti saluti?”

“Cos’altro dovrei fare?”

“Forse per una volta potresti sforzarti di raggiungere un compromesso,” disse lui. “Potresti dare un’occasione al destino, lasciare che ti dimostri che puoi dare ad Emily una vita serena senza rinunciare alla tua stessa felicità…”

“Forse, chissà, prima o poi ce la farò,” rispose lei in tono pratico. “Ma non sarà con uno di voi.”

“Perché no?”

“Perché se c’è una cosa che ho imparato dalla vita, è che per un musicista nulla conta più della sua musica, e forse è anche giusto che sia così, ma, come hai detto tu, io ho bisogno di qualche cosa di più.”

Georg la guardò in modo strano, con un misto di curiosità, rispetto e turbamento. Nicole si era sentita pronunciare quella frase con una durezza che credeva di aver ormai dimenticato, ma che evidentemente ancora bruciava in lei, dopo tanto tempo. Sperava che Georg non indagasse su quella sua uscita così criptica, e fu l’ascensore a garantirlo: il meccanismo si smosse all’improvviso, distraendoli dalla conversazione, e riprese a scendere come se nulla fosse accaduto. Scambiandosi un’occhiata incerta, Nicole e Georg si rialzarono in piedi, giusto un paio di secondi prima che le porte si aprissero davanti a loro, rivelando un pubblico di almeno venti persone che li fissavano come fenomeni in esposizione. Fra essi non fu difficile scorgere Gustav, Tom con Emily in braccio, Jost, Saki ed un altro paio di persone note, e infine Bill, in disparte e più pallido del solito, che sembrava non voler guardare.

“Grazie al cielo!” esclamò Jost, brandendo un Blackberry, mentre Georg usciva tentennante. “Cominciavo a temere di dover spostare tutti gli appuntamenti!”

Pian piano il capannello di persone si diradò, lasciando solo un paio di elettricisti a trafficare con i comandi dell’ascensore. Georg stava facendo il checkout, e sembrava ansioso di finire ed andarsene.

Nicole occhieggiò Bill speranzosa, ma lui si infilò le mani in tasca e si diresse rapidamente altrove.

“Ma tu sei una calamita per guai in incognito, per caso?”

Voltandosi, Nicole si trovò faccia a faccia con Gustav, che le sorrideva mellifluo da sotto uno dei suoi berretti. Lei sbuffò tra sé.

A quanto pare…

“Risparmiami la crudele ironia,” lo pregò. “È tutto talmente assurdo che ancora non so se credere se sia reale o meno.”

“Ancora con questa storia del sogno?” fece lui, incredulo. “Credevo avessimo superato la fase della negazione…”

Nicole gli rivolse una dignitosa linguaccia che li fece ridere entrambi, e scoprì di sentirsi un po’ meglio, senza dubbio meno frastornata di prima.

Perché con te è così facile? E anche con Tom… Perché voi due non siete così perfidi da tentarle tutte per farmi impazzire?

Ovviamente non riteneva vera perfidia quella di Bill e Georg, quanto più inconsapevole attitudine al portare scompiglio nel suo ordine interiore, ma avrebbe davvero voluto che le cose fossero andate diversamente.

“Dove sono le sardine?” chiese la vocina di Emily. Nicole sollevò la testa e vide che la piccola si stava sporgendo dalle braccia di Tom per sbirciare nel vano dell’ascensore.

“Quali sardine?”

“Lascia stare,” disse Tom, con un’espressione divertita. “Tua figlia prende troppo sul serio certi modi di dire.”

“Ma voi avete detto che li trovavamo accippicati con le sardine!” protestò Emily.

“Appiccicati,” la corresse Tom, ridendosela sotto i baffi. “E ho detto ‘come’ non ‘con le’…”

Nicole si portò le mani ai fianchi, squadrando ora lui ora Gustav con finta indignazione.

“Cos’è, avete aperto un giro di scommesse, adesso?” commentò. “E coinvolgete nelle vostre losche attività un’innocente di neanche quattro anni?”

Gustav si limitò a fare orecchie da mercante, Tom strinse lievemente gli occhi verso di lei, in un modo naturalmente sensuale che ricordò a Nicole perché si fosse guadagnato, e a pieni meriti, l’appellativo di Sex Gott.

“Spero che abbiate anche discusso di cose serie, là dentro.” Le disse, sardonico. Lei gli diede un colpetto sul braccio.

“Scemo!” ribatté. “Abbiamo discusso di cose serie, e nient’altro.”

Il fatto che poi la discussione non avesse fatto altro che confonderla ulteriormente era del tutto trascurabile. Georg aveva detto molte cose davvero acute, così come ne avevano dette anche Gustav e Tom a loro tempo. Quello con cui ancora non era riuscita a rapportarsi, da quel punto di vista, era Bill, e non poteva mettersi a fare i conti senza di lui. Decise che gli avrebbe concesso un po’ di tempo per riflettere, poi, se lui non si fosse fatto avanti, sarebbe stata lei a farlo.

“Nicole, scusami,” intervenne Jost, chiamandola dal bancone della reception. “Potresti portare i documenti tuoi e di Emily, per favore? Dobbiamo concludere questo maledetto checkout al più presto, siamo già in ritardo mostruoso…”

Con un sospiro, Nicole lasciò Emily, Tom e Gustav e lo raggiunse, recuperando le carte d’identità nella tasca della felpa.

“Grazie.” Disse il receptionist, e si mise a trafficare al computer.

Nicole osservò il proprio volto sul documento, un viso rotondo e decisamente più paffuto, più giovane di allora di quasi cinque anni, e si stupì di quanto fosse cambiata: le lentiggini erano sparite, i capelli mossi si erano fatti lisci, gli zigomi si erano affilati, le guance svuotate, e i suoi occhi non erano più quelli di una bambina. Era completamente un’altra persona.

Anche il giovane receptionist sembrava pensare la stessa cosa, mentre le restituiva le due carte con un sorriso garbato.

Anche la tappa di Dublino era conclusa. Avrebbero lasciato l’Irlanda, diretti a Londra, e Nicole non era mai stata così felice di lasciare la propria casa.

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Note: scusate l'interminabile attesa, tra lavoro, università e vita, mi ci sono voluti secoli con questo capitolo. Spero di non aver lasciato nessuno deluso, vista l'alta densità di seghe mentali e discorsi seri, ma è una parte fondamentale che va affrontata. ^^ Non ho tempo dei ringraziamenti personalizzati, ma vi adoro tutti quanti, e come sempre vi devo molto per il vostro indispensabile supporto e i vostri stupendi commenti! Mi raccomando, keep 'em coming! ;)
Un bacio, alla prossima!


P.S. a proposito, cogratulazioni a tutti coloro che hanno azzeccato il titolo dello scorso capitolo, erano proprio i grandi Within Temptation con la stupenda The Truth Beneath The Rose, proprio come per questo stesso capitolo!

P.P.S. siccome RubyChubb mi sta viziando con la sua bellissima ff sui McFly, Four Guys In Her Hair (che consiglio a tutti voi, anche se non sapete chi sono, si impara ad amarli in fretta ^^), ieri mi stavo guardando per l'ennesima volta Baciati dalla Sfortuna, commedia molto carina in cui compare il suddetto gruppo rock britannico, e visto che il grande magnate della casa discografica sembra ritenere il Blackberry un must per gli uomini in carriera, ho deciso che David Jost ne doveva assolutamente avere uno. Lo so che non vi importerà granché, ma era per rendervi partecipi di come certe volte gli spunti per certe cose caschino letteralmente dal cielo. ^^

P.P.P.S. Un saluto speciale ad un'amica speciale della mia cara Lady Vibeke, che so che mi legge fedelmente: ciao, Anima Gemella N.2 di Lady! ;)

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Capitolo 17
*** Good News Gone Bad ***


L’arrivo a Londra, inizialmente previsto per le sei di sera, fu in realtà ritardato da una lunga serie di contrattempi che dilatarono considerevolmente le procedure di partenza del volo dal Dublin International Airport, primo fra tutti uno sciopero inatteso del personale di volo, accompagnato da un provvidenziale corto circuito al sistema di sicurezza di diversi metal detector e una sconvolgente indisponenza da parte del responsabile del banco informazioni.

Risultato: l’aereo, dopo essere decollato con tre estenuanti ore di ritardo, aveva toccato il suolo britannico intorno alle dieci, nel bel mezzo di un tipico temporale inglese.

Quando si dice che la sfiga ci vede benissimo…

Gustav quasi stentava a credere di essere finalmente in albergo, nella sua stanza comoda ed asciutta, a godersi i piacevoli vapori della doccia bollente. Il clima di Londra sapeva essere terribile: con il sole era tutto fantastico e godibile, ma la pioggia ed il vento sapevano farti penetrare il freddo nelle ossa, e non era impresa da poco sbarazzarsene.

Rivolse il volto verso lo spruzzo vivace dell’acqua, lasciandosi coccolare dal getto delicato e dal profumo di muschio del bagnoschiuma. Nonostante il relativo benessere fisico appena guadagnato, però, non si sentiva tranquillo.

Era preoccupato per Nicole – seriamente preoccupato – e anche per la piccola Emily. Il polverone sollevato dalla questione del bacio aveva posto Nicole al centro dell’attenzione, ma questo aveva fatto sì che si perdesse di vista un altro dettaglio non indifferente: Emily sembrava aver sviluppato un forte attaccamento verso tutti e quattro i Tokio Hotel, cosa ovviamente imprevedibile a priori, ma che poteva rivelarsi molto delicata da gestire in un eventuale futuro – che Gustav riteneva imminente – che avrebbe implicato separazioni non semplici.

E non solo per Emily…

Uscendo dalla doccia, Gustav si avvolse distrattamente un asciugamano in vita e caracollò stancamente fino al proprio letto, dove si lasciò cadere con un tonfo esausto. Era un tipo molto empatico, risentiva molto dell’influenza emotiva altrui, e non c’era nulla di peggio che essere circondato da persone cariche di negatività: Bill era l’emblema vivente del tormento represso, un burattino dal viso esangue e un aspetto tutt’altro che rassicurante, Nicole era una fascio di nervi in tensione massima, mentre Georg sembrava in tutto e per tutto intenzionato a giocare la parte dell’eroe di guerra sacrificatosi per il bene comune: non rivolgeva la parola a Nicole da quando erano usciti dall’ascensore, e dio solo sapeva cosa diavolo ci avessero fatto, là dentro, cosa si fossero detti di così drastico.

Una volta infilatosi i vestiti più comodi che aveva, Gustav gettò un’occhiata alla radiosveglia dell’impianto stereo, che segnava l'una passata, e si stupì: sebbene la giornata fosse stata davvero pesante e il suo corpo lo stesse letteralmente supplicando di dare tregua alle sue membra stanche, non si sentiva poi così spossato come aveva creduto, ma, anzi, la preoccupazione crescente per quella situazione così contorta gli metteva addosso un’inquietudine che gli impediva perfino di riuscire a stare seduto.

Tutto ciò che gli ci voleva era una boccata d’aria fresca e quattro passi nel bel giardino di cui l’hotel Barkston Garden di Earl’s Court disponeva.

Risoluto, afferrò la giacca e se la buttò sulle spalle, poi si infilò la chiave in tasca ed uscì.

Stava cercando di ricordare da che parte fossero le scale (non amava particolarmente gli ascensori, e ancor meno dopo quello che era successo a Dublino), quando con la coda dell’occhio intravide una porta in fondo al corridoio che si apriva. Era certo che Tom avesse la suite, che stava dal lato opposto del piano, dove si trovava anche la camera di Georg, quindi quella stanza poteva essere quella di Bill, o quella di Nicole.

Aveva già sulla punta della lingua un paio di discorsi da propinare ad entrambi, ma la persona che era appena uscita dalla porta era l'unica che non aveva considerato: Emily se ne stava sgattaiolando via in punta di piedi, scalza e con addosso nient’altro che il pigiama bianco e lilla, trascinandosi dietro Wilhelm.

“Emily?” la chiamò in tono cantilenante. Lei si voltò e lo squadrò assonnata, mentre lui le andava incontro. “Ti serve qualcosa?”

Lei fece segno di no con la testa.

“La mamma si è addormentata sul divano. Volevo chiedere a Georg se la portava in braccio fino al letto come lei fa con me. Non voglio svegliarla.”

Intenerito, Gustav le sorrise.

“Georg ti piace molto, vero?”

Emily avrebbe anche potuto non rispondere: la rapidità con cui il suo viso si illuminò alla semplice menzione di quel nome parlò per lei.

“Sì!” esclamò, ma subito dopo parve farsi preoccupata. “Però mi piaci tanto anche tu! E Tom, e Bill!”

“Ma certo,” la rassicurò lui. “Lui però è il tuo preferito.” Aggiunse con in tono complice.

Il sorriso spensierato che Emily gli rivolse andò molto vicino a spezzargli il cuore, e ciò che disse ancora di più.

“Mi sembra tanto un papà.”

Oh, piccola…

Per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, Gustav si sentiva a disagio con lei. Avrebbe voluto cercare di chiarirle un po’ la situazione, spiegarle quanto le cose fossero ben più complicate di come apparissero a lei, ma non poteva addossarsi una simile responsabilità, non ne sarebbe nemmeno stato in grado. Non stava a lui dirle come stavano le cose, e ciononostante sapeva che non era affatto un bene che lei pensasse certe cose.

“Emily,” le disse con dolcezza, prendendola per mano. “Ascolta, lasciamo dormire Georg, ci vengo io ad aiutarti a portare a letto la mamma, va bene?”

“Grazie!”

Rientrarono nella stanza, facendo piano, e Gustav si stupì del fatto che tutte le luci fossero accese: come aveva fatto Nicole ad addormentarsi?

Poverina, pensò, dev’essere veramente esausta, e non solo su un piano fisico…

La scorse sul divano, accoccolata in posizione fetale, un libro aperto tra le mani. Sembrava serena, in pace con il mondo. Somigliava molto di più ad Emily, così addormentata.

Gustav si avvicinò con cautela, attentamente supervisionato da Emily: si chinò su di lei e, con la massima delicatezza, la prese tra le proprie braccia, sollevandola.

Però!, pensò Gustav, sorridendo fra sé e sé, mentre la portava al letto, forse non sei poi così magrolina come sembri…

Emily lo aiutò ad infilarla sotto le coperte, e, miracolosamente, lei non si svegliò.

“Grazie,” gli disse Emily, accarezzando i capelli di Nicole in un modo materno che gli fece venire da ridere. “Adesso ci penso io.”

Quella bambina era a dir poco sorprendente: era sicuramente ingenua e spontanea, com’era giusto che fosse alla sua età, ma certe volte se ne usciva con certi comportamenti seri quasi caricaturali che ti strappavano sempre un pizzico di buonumore.

“Tu adesso ti metti a dormire,” le intimò in un sussurro, facendo il serio. “Altrimenti domani, per punizione, dovrai restare in camera tutta sola, e dormire mentre noi ci divertiamo.”

Le sue parole sortirono l’effetto desiderato: Emily fece una faccia preoccupata e si affrettò ad arrampicarsi sul letto accanto alla madre.

“Ecco, sono brava, vedi?” disse speranzosa, sdraiandosi e tirandosi su le coperte fino al naso.

“Bravissima,” confermò lui. “Ora io esco e spengo la luce, e tu mi prometti che non ti muovi di lì?”

Lei annuì convinta.

“Promesso.”

“Bene,” le lasciò un ultimo sorriso che lei ricambiò subito. “Buonanotte.”

“Buonanotte, Gustav.”

E lui la lasciò, già sapendo che non sarebbe riuscito a prendere sonno, e che avrebbe invece passato la notte a pensare ai mille modi in cui la permanenza delle due ragazze Sandberg presso i Tokio Hotel avrebbe potuto concludersi in uno sfacelo.

A meno che non intervenga un deus ex machina ad impedirlo.

 

***

 

Il fatto che il ragazzi, quel giorno, avessero finalmente una pausa prima della prossima esibizione fu un vero colpo di fortuna: Nicole aveva bisogno di svagarsi, e non c’era niente di meglio di una bella visita a Londra sotto un bel sole tiepido come quello. Per di più, essendo mercoledì, le orde di turisti sarebbero state relativamente contenute, e probabilmente sarebbe riuscita a mostrare ad Emily almeno buona parte delle attrazioni principali della città.

Si erano svegliate di buonora, e, dopo una colazione veloce, si erano preparate per uscire. Emily sembrava una piccola campanella con il suo cappottino color panna coordinato con sciarpa, berrettino e guanti, ed aveva categoricamente insistito a portarsi dietro Wilhelm affinché potesse anche lui vedere Londra. Al momento il ragno di peluche se ne stava comodamente rinchiuso nello zainetto rotondo, recante il disegno della faccia di un sorridente Jack Skeleton, che lei portava sulla schiena, una zampetta pelosa che faceva capolino dalla lampo semiaperta.

Nicole si fermò alla reception a consegnare la chiave della stanza, poi si sistemò meglio il pesante giaccone nero, assicurandosi che il colletto imbottito fosse ben chiuso, poi prese Emily per mano e si diresse verso le ampie porte di vetro, già pregustandosi il piacere di passeggiare per la splendida capitale inglese dopo tanto tempo.

“Hey, Nicole!” la chiamò una voce conosciuta. Lei si voltò e scorse Bill che correva trafelato giù per le scale, spazzando i gradini con la sciarpa nera che gli pendeva dal braccio.

“Buongiorno, Bill!” cinguettò Emily, sventolando la mano libera.

Lui arrivò a loro col respiro affannato, ma non mancò di salutarle con un sorriso.

“Dove andate di bello?” domandò, riprendendo fiato.

Nicole era sorpresa di vederlo in piedi così presto, ma ci stava facendo il callo con le cose inaspettate da parte dei ragazzi, quindi non ci badò troppo.

“Facciamo una gita in città,” gli rispose. “È una bella giornata, è un peccato sprecarla in hotel.”

L’idea parve stuzzicare l’interesse di Bill, il cui volto si aprì in un’espressione entusiasta.

“Posso venire anch’io?”

Tu?, Nicole lo fissò ammutolita. In centro a Londra? Scherzi?

“No che non puoi, sei impazzito?” esclamò, basita. “Vuoi morire asfissiato da una moltitudine di fans esaltate?”

“Ho avuto il permesso!” si giustificò lui, proprio come un bambino. “David ha detto che posso, basta che mi mimetizzo un po’ e mi porto Saki.” Indicò alla cieca un punto alle proprie spalle, e solo allora lei si accorse che Saki era scenso dopo di lui, e ora aspettava vicno allo schermo al plasma della sontuosa sala d’aspetto lì accanto. “A te da fastidio?”

Nicole la trovò una domanda del tutto scontata e superflua: era come chiedere a Tom se gli piacessero le belle ragazze.

“Ma no, affatto,” rispose rapida. “Anzi,” sentì le proprie guance tingersi di rosso. “Mi farebbe piacere, ma… Gli altri?”

La risposta di Bill fu pronta ed esauriente, e Nicole ebbe la sensazione che lui avesse già anticipato quell’obiezione. La cosa la fece sorridere.

“Georg e Tom dormono, e Gustav ha detto che preferisce farsi una nuotata in piscina.”

A Nicole non serviva chissà quale ragionamento contorto per capire che Gustav le stava offrendo un’occasione per riuscire finalmente a parlare a quattr’occhi – o quasi – con Bill, e si ripromise di ringraziarlo, appena l’avesse visto.

“Allora direi che possiamo andare.” Decretò alla fine, infilandosi gli occhiali da sole.

Bill sorrise ampiamente, un sorriso luminoso ed allegro dallo straordinario potere contagioso. Nicole si sentì improvvisamente un po’ più leggera: forse anche lui aveva voglia di chiarire la situazione, o forse voleva semplicemente farla impazzire ancora un po’. Non che avesse importanza, in ogni caso. L’avrebbe accompagnata in giro per una delle più belle metropoli del mondo, a strafogarsi di schifezze e fotografare cavolate: l’esperienza si prospettava divertente.

Cinque minuti più tardi, stavano tutti e quattro dirigendosi verso la fermata del tube, Bill infagottato fino ai denti nel camuffamento più riuscito che Nicole avesse mai visto: si era fatto una coda e l’aveva nascosta nel cappellino nero, la cui ala gli gettava un’ombra leggera sugli occhi privi di trucco. Portava un corto impermeabile beige, che Nicole si domandò dove avesse scovato, ed aveva una vaporosa sciarpa nera avvolta attorno al collo, tirata su fino al mento. Nessuno avrebbe mai potuto dire che quell’anonimo ragazzo fosse il celeberrimo vocalist dei Tokio Hotel.

“Sei pratica di queste zone?” le domandò Bill a voce bassa, una volta che ebbero preso posto nel vagone della metropolitana. Poteva mascherare sé stesso quanto voleva, ma per la lingua non c’era niente da fare.

“L’ultima volta che ci sono venuta avevo tredici anni,” spiegò lei. “Però ho abbastanza familiarità con la città, effettivamente.”

“Ah, bene, allora puoi farci da guida turistica e da interprete!”

“Scroccone.” Lo punzecchiò lei.

Il tragitto fino alla zona del Big Ben fu piuttosto tranquillo, anche se Emily ebbe di che stupirsi quando un variopinto gruppo di punk passò loro davanti all’uscita della metro. Bill, invece, si lasciò incantare dall’elegante imponenza della House of Parliament, soprattutto dalla Clock Tower stessa, che svettava maestosa contro il cielo di un intenso azzurro brillante.

“Oddio, è bellissimo!” chiocciò Bill, le mani giunte come in adorazione, il naso rivolto all’insù e i bellissimi occhi nocciola sgranati dall’ammirazione. “Saki, perché non ci siamo mai venuti?”

“Perché tutte le altre volte siamo passati di qui solo per poche ore, e avevate un’agenda così fitta da far impallidire quella del presidente Bush.” Rispose Saki, con una nota di rammarico.

“Mamma, io voglio andare là!” disse Emily, tirandola per la manica della giacca. Stava indicando il London Eye, la gigantesca ruota panoramica che si affacciava sul Tamigi, direttamente alle loro spalle, appena oltre il ponte.

Nicole si sentì male solo a vedere quanto fosse alta.

“Tesoro, lo sai che le altezze non mi piacciono.”

Emily mise su un broncio monumentale ed incrociò le braccia corrucciata.

“Ti ci porterei io, ma soffro anch’io di vertigini.” Disse Bill, dispiaciuto.

“Posso accompagnarla io,” si offrì Saki. “Ovviamente se per te va bene, Nicole.”

“Oh, grazie mille!” fece lei, profondamente riconoscente. “Emily, tu cosa –” Ma la piccola aveva già afferrato la manona di Saki e se lo stava portando via saltellando felice.

“Mi domando dove diavolo vada a pescare tutta quest’energia.” Sospirò Nicole, incamminandosi con Bill dietro di loro lungo il marciapiedi affollato. Lui si infilò le mani nella tasca del cappotto e fece spallucce.

“I bambini sono vitalità allo stato puro,” commentò. “Emily, poi, è una scintilla vivente.”

Si appoggiarono al parapetto di pietra che costeggiava il fiume e stettero a guardare mentre Saki ed Emily acquistavano un paio di biglietti e si mettevano in coda per salire. Nonostante la zona fosse massicciamente frequentata, nessuno dei numerosi passanti, anche le poche giovani ragazzine, sembrava far caso a Bill.

Il viso di Nicole era piacevolmente sferzato dall’aria frizzante del pieno mattino, che le faceva ondeggiare i capelli sciolti oltre le spalle. Non era certo paragonabile allo stare seduti su una spiaggia rocciosa irlandese a godersi il mare, ma era pur sempre una bella sensazione.

“Nicole, io mi devo davvero scusare con te,” esordì Bill, ad un tratto, gli occhi inchiodati all’asfalto. “Sono stato imperdonabile, in questi ultimi giorni, ti ho trattata come… Come un giocattolo che potessi usare a mio piacimento, e sono sinceramente pentito. Non vorrei che tu ora pensassi che io sia quello che ti ho mostrato, perché non è così, te lo giuro, non so cosa mi sia preso. È che tu mi piaci, e mi capita raramente di riuscire a farmi avvicinare tanto da una ragazza, sia fisicamente che sentimentalmente, e questo mi ha… Be’, un po’ spiazzato. Con questo non mi voglio giustificare, sia chiaro, mi sono comportato molto male con te, e se tu ora volessi prendermi a schiaffi, ti darei ragione, però… Insomma, mi dispiace sul serio se ti ho ferita, offesa o che altro, non era davvero mia intenzione. Il fatto è che non ho confidenza con questo tipo di situazioni, capisci? Sono abituato alle ragazze che arrivano, mi dichiarano il loro imperituro amore e se ne vanno… Erano anni che non avevo occasione di affezionarmi, e adesso arrivi tu, entri in punta di piedi nella nostra vita, e semini scompiglio, anche se involontariamente… Potendo, cancellerei le cazzate che ho fatto, ma ho paura che non esista l’opzione ‘rewind’ nella vita reale, perciò… Be’, ci tenevo solo a dirtelo. Sai, mi sento terribilmente in colpa. Io ti rispetto, con tutto me stesso, e so di essere stato un gran bel cafone ad evitarti, finora, però sto cercando di rimediare, vedi? Anche se sono un disastro in fatto di umiltà e scuse, vorrei davvero che tu mi perdonassi, ci tengo molto a non avere remore con te, e…”

“Bill,” lo interruppe Nicole, ridendo. “Respira.”

Era soddisfatta: Bill aveva tirato fuori l’argomento di sua spontanea volontà, e le sue scuse erano più che accettabili.

Non è stato un sforzo poi così sovrumano, ci voleva molto?, si disse Nicole, sarcastica, ma sapeva di aver già dimenticato ogni traccia di arrabbiatura. Non si poteva non piegarsi davanti all’innata dolcezza di Bill.

Lui le gettò uno sguardo incerto e un po’ ruffiano, appoggiandosi con i palmi al muretto alle sue spalle.

“Ecco,” sbuffò. “Uno dei miei soliti attacchi di logorrea cronica.”

“Si direbbe grave.” Fece Nicole, seria.

Bill sembrò avvedersi della sua voglia di fare della sana e leggera ironia, e la assecondò con apparente piacere.

“Oh, sì,” Le sorrise timidamente. “I medici hanno detto che non c’è niente da fare. Fase terminale.”

“I ragazzi lo sanno?”

“Sì. Sono stati loro a suggerirmi di curarmi, ma la terapia è stata inutile, la mia parlantina è rimasta inarrestabile.”

Un debole formicolio sorse sotto allo stomaco di Nicole, solleticandola piacevolmente.

“È una delle prime cose che ho adorato in te.” Gli rivelò.

In effetti Bill poteva anche colpire e fare centro al primo colpo in fatto di avvenenza, ma era stato guardandolo parlare durante le interviste in tv che Nicole si era fatta conquistare da lui: niente era più adorabile di Bill Kaulitz, se non Bill Kaulitz in piena fase logorroica galoppante.

O forse anche un Bill Kaulitz in piena fase logorroica galoppante e deliziosamente a disagio, pensò Nicole, osservandolo con la coda dell’occhio. Non si poteva non voler bene a Bill, era concretamente impossibile non lasciarsi conquistare da lui, era una sorta di clausola implicita nel contratto di conoscenza, vincolante ed ineluttabile. Sinceramente, Nicole non aveva mai saputo spiegarsi come certa gente potesse provare tanto odio ingiustificato verso una persona pur umanamente fallibile, ma così meravigliosa, dentro e fuori, e ora più che mai se lo domandava.

“Posso considerarmi perdonato?”

Nicole si voltò verso di lui, e lui verso di lei. Per la prima volta Nicole riusciva a guardarlo negli occhi senza sentirsi svenire o altro. Era una bella conquista.

“Non si può restare arrabbiati con te,” gli assicurò. “Sei stato plasmato perché ti fosse condonata ogni malefatta.”

Bill esplose in una piccola risata argentina.

“Lo dice sempre mia madre.”

“Le mamme hanno sempre ragione.”

Si scrutarono l’un l’altra per qualche secondo, poi si sorrisero, suggellando ufficialmente la loro controversia ormai dimenticata.

“Grazie.” Gli disse Nicole, mentre una scolaresca di liceali passava armata di macchine fotografiche digitali di ultima generazione. Bill le strizzò un occhio e ricambiò.

“Grazie a te.”

Nicole stava per parlargli della conversazione che aveva avuto nell’ascensore con Georg, quando dalla sua borsa cominciò a risuonare Monsoon.

“Bella suoneria.” Si complimentò Bill. Lei arrossì e si affrettò a recuperare il cellulare e rispondere alla chiamata. Era un numero che non conosceva.

“Pronto?”

“Nicole!” Quella voce però la conosceva eccome: era Gabriel, il fidanzato di Brenda, e non sembrava affatto tranquillo. “Non voglio allarmarti, ma è successa una cosa, devi tornare subito a Parigi…”

“Gabriel, ma di cosa stai parlando?” chiese, preoccupata, scambiando con Bill un’occhiata incerta.

“Ecco…” L’esitazione di Gabriel la mise ancora più in ansia. Non era il tipo di uomo da indugiare su niente. “Si tratta di Brenda.” Il sangue si raggelò nelle vene di Nicole, mentre un orribile presentimento si impossessava di lei. “Ha avuto un incidente.”

 

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Note: A tutti coloro che non credevano sarei mai riuscita ad aggiornare (me compresa), chiedo scusa, ma il periodo di Pasqua è stato un inferno per me, a partire dall’assassinio di un sogno (la cancellazione del 1000 Hotels Tour e il conseguente annullamento della data di Torino, a cui avrei dovuto partecipare con somma gioia), passando per la folle preoccupazione per Bill e la sua salute, lo studio per l’università da conciliare con il lavoro extra del periodo festivo, per concludere con litigate varie ed eventuali con un paio di amici, ormai risolte. Mi dispiace del mostruoso ritardo, ma cercherò di essere più puntuale, d’ora in poi, nei limiti del possibile.

Voglio ringraziare ancora una volta tutti voi che leggete e soprattutto recensite, mi fate veramente felice. Vedo che molti di voi si pongono le domande giuste ed alcuni addirittura seguono ragionamenti personali molto ma molto acuti… Bravi, tutti quanti! ^^

L’angolo della pubblicità di oggi va alla nuova, attesissima opera della bravissima Lady Vibeke, Il Matrimonio Del Mio Migliore Amico… Non S’Ha Da Fare, sensazionale commedia sui nostri amati Tokio Hotel che vi farà innamorare, garantito! ;)

Per ora vi lascio, sperando che vorrete essere gentili come sempre e dire la vostra sul capitolo. Alla prossima!

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Capitolo 18
*** Heartbeats ***


Poteva una sola, minuscola, semplicissima parola cancellare ogni altra cosa sulla faccia del pianeta con una tale rapidità e drasticità?

Incidente.

Nicole non ne era mai stata convinta, prima, ma ora come ora quel suono spaventoso era tutto ciò che era in grado di percepire, dentro e fuori di sé.

Brenda ha avuto un incidente.

Non poteva essere. Non era assolutamente possibile.

Non esisteva un modo per riuscire a discernere una sensazione dall’altra: era come se qualcuno le avesse sottratto quel filtro sottile che separava la mente dal cuore e ora la sua ragione e i suoi sentimenti si stessero rimescolando tra loro in un caotico vortice destabilizzante che la stava via via sprofondando in un abisso nero e gelido senza fine.

Avere un incidente poteva significare uscirne con un graffio, o magari anche senza la minima ferita, ma anche non uscirne affatto.

Brenda non poteva aver avuto un incidente.

Non poteva e basta.

Brenda era stata con lei fin da quando era nata, ogni singolo momento importante della vita di Nicole era stato accompagnato da lei: c’era stata quando si era presa la sua prima cotta in seconda elementare, quando aveva presentato ai loro genitori il suo primo ragazzo, quando era caduta dalla moto della sua amica e aveva rischiato di rimetterci qualche osso, quando aveva confessato loro di aspettare un bambino, e, soprattutto, quando loro erano morti. Brenda era stata quella che le aveva insegnato a truccarsi e a guidare, ad essere forte ed indipendente, a nascondere il diario segreto tra i libri di scuola, dove mamma e papà non avrebbero mai guardato, quella che l’aveva portata ai concerti degli Iron Maiden e degli Oasis e che le aveva regalato il suo primo cd.

Brenda era uno scoglio sicuro a cui aggrapparsi in qualunque momento, lo era sempre stata, e scoprire che le era successo qualcosa era devastante.

Bree…

Nicole rimase pietrificata dov’era, senza riuscire a muoversi di mezzo millimetro, il cuore improvvisamente tramutatosi in una bomba ad orologeria che da un momento all’altro sarebbe esplosa.

“Gabriel?” esclamò, agitata, quando si accorse di non ricevere più alcun suono. “Pronto?”

Ma Gabriel aveva fatto appena in tempo a pronunciare la parola ‘incidente’ che la linea era caduta, lasciandola con il fiato sospeso e una brutta sensazione di panico che stava dilagando incontrollatamente.

Bill la osservava in tralice, senza che lei quasi riuscisse ad accorgersene. A malapena era cosciente del mondo che la circondava. Doveva trovare il modo di richiamare Gabriel, ma era irraggiungibile. Si scostò il cellulare dall’orecchio e si mise a fissarlo, trasudando nervosismo.

“Maledizione.”

 “Cos’è successo?” domandò Bill cauto, mentre lei tentava in tutti modi di riprendere la linea, ma inutilmente.

“Era Gabriel,” rispose lei, attonita. “Ha detto che… Che Branda ha avuto un…”

Non ce la faceva. Non riusciva a dirlo.

Bill si chinò verso di lei, scrutandola apprensivo con i suoi occhioni nocciola.

“Nicole?”

Lei avrebbe voluto abbracciarlo e cercare conforto, ma il solo pensiero di sentirsi emotivamente vicina a qualcuno la faceva sentire ancora più fragile, ancora più vulnerabile. Prima che lei riuscisse a pronunciare di nuovo qualcosa, Monsoon ripartì di gran carriera e lei ebbe un sussulto nel leggere il nome sul display.

Non si trattava di Gabriel.

“Brenda!” rispose sconvolta, la mano sudata che le tremava. Dall’altra parte, la voce di Brenda rispose in completa rilassatezza.

“Hey, ciao sorellina! Tutto bene?”

Fu come se la terra avesse dato uno scossone di assestamento sotto ai piedi di Nicole: non si sentiva pienamente padrona di sé, ma, pur nello stordimento più assoluto, stava assorbendo con gioia il sollievo di sentirla.

“Ma… Stai bene?” balbettò, interdetta. “Voglio dire, ha… Ha appena chiamato Gabriel, ha detto che hai avuto un incidente, ma è caduta la linea e…”

Accanto a lei, Bill sgranò gli occhi, sorpreso.

“Oh, l’incidente!” esclamò Brenda, come se se ne fosse appena ricordata. “Nulla di grave,” Nicole si sentì rinascere. “Sono in ospedale, mi hanno fatto un paio di lastre e un mucchio di prelievi: qualche costola ammaccata e un braccio rotto, tutto qui. In compenso la Mini è andata. Non ne troverò mai una nuova di quel bel color crema…”

Nicole si portò una mano alla fronte, massaggiandosi una tempia invocando della pazienza.

“Hai appena avuto un incidente e pensi alla macchina?”

Brenda sbruffò all’altro capo, nel suo tipico atteggiamento da donna capricciosa.

“Sto bene, Nicky!” le assicurò. “Ho solo avuto un capogiro al momento sbagliato, tutto qui. Anzi, forse è il caso che io chiami Gabe e lo rassicuri, questa gente deve averlo mandato nel panico più totale.”

Era troppo per Nicole. Prima una notizia così che le piombava tra capo e collo come nulla fosse, poi tutto sfumava in tre secondi netti, e sua sorella sembrava a stento rendersi conto di quanto era successo.

“Signorina, non si può usare il cellulare qui dentro.” Disse una remota voce femminile di sottofondo, probabilmente un'infermiera.

“Soltanto un secondo, le spiace?” sbottò Brenda stizzita. “Sto comunicando a mia sorella che la mia vita non è appesa a un filo!”

Nicole si costrinse a fare un po’ di lucidità nella propria mente, cosa ben difficile con la mano di Bill che le strofinava la schiena in segno di conforto.

Avanti, Nicole, riprenditi!

“Senti,” farfugliò, deglutendo. “Prendo il primo volo per Parigi, sarò lì entro stasera.”

“Non dire eresie,” sbottò Brenda indignata. “Nicole, tu non ti muovi di lì fino a che l’ultima goccia della tua settimana non si è esaurita.”

“Ma…”

“Ho solo un avambraccio ingessato, per l’amor del cielo!” strillò Brenda, esasperata e anche vagamente irritata.

Le guance di Nicole si infiammarono quando lei si rese conto che sua sorella aveva orribilmente ragione. Voleva solo una scusa per andarsene senza dover dare spiegazioni, una giustificazione che non fosse ‘È giusto così’, e ora non l’aveva più. La stupiva il fatto che, nell’ansia generale, fosse riuscita anche a pensare al suo piccolo dramma della partenza.

“Non puoi mollare i quattro evangelisti dell’edonismo per un nonnulla come questo!” aggiunse Brenda, mentre, a giudicare dal rumore, trafficava con qualcosa.

“Ma…”

“Piantala con questi cazzo di ma, non voglio sentire scuse!” Emise un suono simile ad un sospiro, che Nicole fece in fretta ad associare al fumo.

“Lo sai che non si può fumare in ospedale, vero?” domandò retorica.

“Ma sì,” fece Brenda incurante. “Tanto adesso l’infermiera verrà a sequestrarmi tutto.”

Nicole si morse il labbro inferiore, in preda ad una selvaggia lotta con il proprio inconscio per non rabbrividire ogni volta che le dita di Bill la sfioravano con tanta premura.

“Sei proprio sicura che non vuoi che –?”

“Ci vediamo sabato,” decretò Brenda categorica. “Questione chiusa.”

“Bree, aspetta, io non –”

Ma la chiamata era già stata interrotta.

“È tutto a posto?” si informò Bill.

Nicole ripose il telefono nella borsa, fissando il vuoto scioccata.

“Mia sorella è psicopatica.”

Bill non ebbe mai occasione di ribattere, perché in quel momento un piccolo razzo biondo si fiondò tra le braccia di Nicole, facendo sobbalzare entrambi.

“Mamma, voglio una ruota così a casa!” esclamò Emily, agitandosi entusiasta.

Nicole, ancora in preda ai postumi dello shock, non riuscì a far altro che annuire.

Un istante dopo sopraggiunse Saki trafelato, ma con un sorriso che Nicole non gli aveva mai visto, abituata alla solita versione seria e compunta.

“Scommetto che non ti annoi mai, con lei.” Commentò divertito.

Nicole si strinse Emily al petto, sforzandosi di costringere le proprie labbra a sorridere di rimando.

“No, infatti,” confermò.

“Saki, forse è meglio tornare in hotel,” soggiunse Bill. “È sorto un piccolo imprevisto.”

 

***

 

Nicole era taciturna mentre, a bordo di un classico taxi londinese, il bizzarro quartetto si dirigeva nuovamente verso l’hotel.

Bill la osservava a sua insaputa, e più i minuti passavano, più si rendeva conto che quel silenzio diceva più cose di quante avrebbero mai potuto esprimerne le parole.

Era uno abituato ai lunghi discorsi, ad interagire con una o più persone davanti a vasti pubblici, ma era ormai un esperto per quanto riguardava le cose non dette: il taciuto, l’omesso, il tralasciato, quelle erano le parti fondamentali, non gli apparenti lapsus, o le piccole confessioni estorte con l’insistenza. Gli era stato insegnato ad essere diplomatico e politicamente corretto, a dire grazie quando dovuto e a non puntare mai il dito, ma prima ancora di tutto questo, gli era stato insegnato a tenere certi aspetti della verità accuratamente separati dalla massa di informazioni personali che lasciava trapelare, e non gli ci volle un grande sforzo per capire che Nicole stava per l’appunto tenendosi dentro qualcosa.

Che cosa poi fosse, Bill non avrebbe saputo dirlo.

“Questa storia mi piace.” Disse Emily ad un tratto. Poco prima, dopo che Nicole le aveva spiegato la storia dell’incidente, aveva tirato fuori dallo zainetto il suo libro di Come D’Incanto, e si era messa a leggere. A quanto pareva, ora aveva terminato.

Nicole guardava fuori dal finestrino con aria assente e sembrava non aver sentito una sola parola. Bill decise che sarebbe stato meglio lasciarla stare e cercò di distrarre Emily.

“Ah sì? E come mai?” fece, incuriosito.

Emily lisciò la lucida copertina del libro, che teneva chiuso sulle proprie gambe, e sorrise.

“Non è uguale a tutte le altre,” rispose soddisfatta. “Finisce strana ma bella.”

“In che senso strana?”

“Giselle voleva il Principe Azzurro perché tutte le principesse vogliono il Principe Azzurro, però alla fine sceglie Robert, che non è un principe, ma ha fatto tante belle cose per lei, e lei si è innamorata per davvero.”

Per un attimo, gli occhi di Nicole smisero di seguire il paesaggio e si immobilizzarono, quasi sgomenti. A Bill parve di cogliere un certo disagio in lei, ma forse si trattava semplicemente di giustificabile tensione, non certo improvvisa.

Quello che aveva detto Emily, però, per quanto ingenuo ed innocente potesse apparire, nascondeva qualcosa di più di una storia fuori dai canoni su principi e principesse, e se Nicole poteva non essersene accorta – cosa di cui Bill dubitava – di certo così non era per lui.

“Voleva il Principe Azzurro perché tutte le principesse vogliono il Principe Azzurro…”

Paradossalmente, gli venne da sorridere, nonostante tutto. Si sentiva un po’ sciocco per non esserci arrivato da solo, anche se, a conti fatti, probabilmente aveva semplicemente preferito non arrivarci, perché Nicole gli piaceva, e lui piaceva a lei, ed era stato così comodo e semplice che Bill proprio non aveva voluto credere che potesse non essere come sembrava.

Ben presto nella sua bocca sorse un sapore amaro, affiancato però da un senso di colpa piuttosto inusuale, per lui. Nel dissidio provocato da quei sue sentimenti contrastanti, Bill si rese conto di avere un grosso debito da saldare, soprattutto adesso che la trama cominciava a farsi appena più chiara.

Arrivarono in albergo poco prima di mezzogiorno e trovarono gli altri tutti riuniti nella stanza di Tom, a firmare tonnellate di cartoline promozionali e simili. Sfortunatamente per Bill, anche la sua parte era richiesta.

“Ciao!” li salutarono Gustav, Tom e Georg. “Come mai già di ritorno?”

“Vi spiegheremo più tardi.” Rispose Nicole, tranquilla. Stranamente, nessuno indagò oltre.

“Bill, devi mettere la tua zampa di gallina su tutta questa roba.” Berciò Tom, facendogli cenno di avvicinarsi.

Bill fece una smorfia riluttante.

“David ha detto che entro pomeriggio devono essere finite,” gli comunicò Gustav in tono perentorio. “Quindi hai ben mezz’ora prima del pranzo per autografarle tutte e cento.”

Che gioia…

Bill si accomodò così sul letto ed afferrò in malo modo un plico di cartoline già firmate dagli altri, mettendosi a scarabocchiarci sopra con un pennarello scovato tra il disordine.

“Voglio mettere le zampe anch’io!” trillò Emily, arrampicandosi sul letto con tanto di cappottino ancora indosso.

Bill e gli altri risero e le concessero di firmare una delle cartoline, che poi le regalarono.

“Emily, perché adesso non vieni a metterti qualcosa di più comodo e non lasci lavorare i ragazzi?” la esortò Nicole, porgendole la mano, ma la piccola si rifiutò categoricamente di seguirla.

“Lasciala qui,” disse Tom a Nicole. “Almeno ci alleggerisce un po’ l’atmosfera.”

Lei gli scoccò uno sguardo minaccioso e lui si strinse umilmente nelle spalle.

“Ok, come non detto.”

Ma Emily si era già sfilata il cappotto e lo aveva abbandonato assieme allo zainetto in un angolo del letto per andarsi ad accomodare tra Tom e Gustav, e ora li stava aiutando a passare a Bill le cartoline.

Con un sospiro, Nicole raccolse la roba di Emily.

“La state viziando, voi quattro.” Li rimproverò, ma poi uscì senza aggiungere altro.

Cinque minuti dopo, anche Georg lasciò la stanza.

 

***

 

Nicole si sentiva agitata, e poteva affermare con una certa sicurezza che non era per via di Brenda.

Appese il proprio cappotto e quello di Emily all’interno del guardaroba e sospirò senza un motivo preciso. Richiudendo l’anta, si ritrovò a fissare se stessa nello specchio dell’ingresso.

O meglio, qualche distorto riflesso di se stessa.

La ragazza nello specchio aveva un aspetto sciupato e vagamente malinconico, lo sguardo seminascosto da qualche ciuffo di capelli sfuggito al fermaglio che glieli teneva indietro. Nicole era stata una bambina un po’ vanitosa in passato, complice la riuscita mescolanza di geni irlandesi e tedeschi che costituivano il suo dna, ma era ormai un pezzo che aveva smesso di preoccuparsi del proprio aspetto. Tuttavia, in quel preciso momento, le sembrò di vedersi per la prima volta da anni, e si trovò meno bella di quanto ricordasse.

Ti senti uno schifo, quindi ti fai schifo, ragionò l’altra metà di lei. È strano, no? Sembra esserci una convergenza di eventi sconvolgenti sopra la tua testolina…

Nicole abbassò gli occhi per un breve istante per mettere a tacere quella voce fastidiosa, e quando li rialzò non c’era più soltanto lei riflessa nello specchio. Il suo cuore ebbe una lieve contrazione nell’incontrare quegli occhi che la guardavano come se lei fosse tutto ciò che c’era da vedere.

“Non dovresti lasciare la porta aperta,” disse Georg alle sue spalle con un piccolo sorriso. “Anche negli alberghi di lusso ci sono i malintenzionati.”

Nicole sentì le proprie labbra ricambiare spontaneamente il sorriso.

“Lo vedo.” Scherzò, e lui rise.

Era vestito in modo semplice, con dei pantaloni da tuta verde scuro e una t-shirt grigia più larga delle solite, le scarpe da ginnastica slacciate e graffiate in più punti. Visto così, senza il suo basso e lontano dai riflettori, poteva tranquillamente passare per un ragazzo come tanti, che nemmeno aveva mai avuto un piccolo assaggio di celebrità.

Peccato solo che non sia affatto un ragazzo come tanti, s’intromise nuovamente la voce petulante.

“E così anche Londra è agli sgoccioli,” Lo sguardo di Georg scorse sulla valigia aperta sul letto e sui pochi abiti sparsi in giro, per soffermarsi su di lei. “Sentiremo molto la vostra mancanza.”

“Oh, avete già così tanti Sandberg al seguito, che nemmeno vi accorgerete della differenza.”

Fu un tentativo decisamente poco riuscito di fare dell’ironia, ma Georg rispose con altrettanta leggerezza.

“Un basso che si chiama come te non è esattamente te, sai...”

“Io non mi chiamo come i tuoi bassi,” precisò Nicole, che cominciava ad avvertire un sentore di tristezza nella piega che stava prendendo il dialogo. “Sono i tuoi bassi a chiamarsi come me.”

Lui la prese con lo stupore che lei si era aspettata.

“Sei una di quei Sandberg?”

“Sì. Mio padre possedeva un quarto della società.”

Ricordi indesiderati tornarono a galla nella memoria di Nicole, delusioni che credeva di essere riuscita a cancellare, ma che facevano ancora male come in principio.

Georg fece un timoroso passo in avanti e la scrutò serio:

“Lui era un musicista, non è così?” osò chiedere, non senza un po’ di riluttanza. “Il padre di Emily.”

Nicole ingoiò il nodo che le serrava la gola, senza nemmeno fingere indifferenza.

“Hai detto che la vita ti ha insegnato che per un musicista nulla conta più della sua musica,” proseguì lui, senza attendere una conferma del tutto superflua. “È per questo che ti ha lasciata? Per la sua musica?”

Nicole sospirò. Da quanto non parlava più di quella faccenda? Da quanto si era imposta di confinare tutto quanto nel dimenticatoio e semplicemente fare finta che non fosse mai successo?

Tanto tempo. Forse troppo.

“Sì. ”

Era ancora ben chiaro e nitido nella sua mente il volto contrito di Daniel mentre le faceva quel discorso così sentito su quanto gli costasse rinunciare a lei e al bambino in arrivo, ma lui aveva il suo sogno da inseguire, e lei non avrebbe mai potuto chiedergli di rinunciare per lei. Se fosse stato vero amore, il problema non si sarebbe nemmeno posto, infondo.

Lei si era arrabbiata, aveva urlato e strepitato, e lui l’aveva lasciata fare, ma alla fine si era arresa davanti all’evidenza: la vita non era una fiaba, ed era una lezione che aveva imparato molto bene.

“Mi dispiace.” Mormorò Georg.

“È la vita,” sdrammatizzò lei, ansiosa di cambiare argomento. “Amava davvero suonare, ci teneva tantissimo, lo ammiravo molto per questo, però…”

“Ci teneva più di quanto tenesse a te,” completò Georg per lei. “È questo che ti blocca? La paura del confronto?”

Nicole schiuse le labbra, ma non sapeva cosa rispondere.

Sì…

No.

Forse…

No!

Non era solo quello, perlomeno.

Ma la bloccava da cosa, esattamente? Cos’era che lei voleva veramente?

Era successo tutto così in fretta…

“Lo so che per voi niente viene prima della vostra musica,” disse con calma. “Ed è giusto così. Siete giovani, avete un successo incredibile… Siete riusciti ad ottenere tutto ciò che avete sempre desiderato…”

“Non proprio tutto, Nicole.”

Georg accennò un sorriso incurante, ma il suo tono era stato di ben altro tipo. Lei non riuscì nemmeno a formulare un pensiero su quella rassegnazione impotente: lui la precedette.

“C’è una cosa che vorrei darti, però.”

Nicole stette a guardare con tanto d’occhi mentre lui raccoglieva una borsa da terra e gliela progeva. Non l’aveva notata prima: era piuttosto grande, di lucida carta bianca con stampato al centro, a nitidi caratteri neri, un nome inconfondibile.

“Manolo Blahnik!” esclamò, portandosi in automatico le mani davanti alla bocca. I suoi occhi non riuscirono a staccarsi per qualche secondo dalla ghiotta leccornia che Georg stringeva tra le dita, poi si levarono su di lui increduli.

Lui tirò fuori una scatola in tutto e per tutto identica alla busta e gliela mise tra le mani. Guidata da una misteriosa forza superiore a cui non riuscì a sottrarsi, Nicole sollevò piano il coperchio e alla sua vista apparvero un paio di fini decolleté nere, molto sobrie ma eleganti, con un bellissimo strass a forma di spicchio di luna che chiudeva il cinturino della caviglia.

Erano meravigliose.

“Ma sei fuori di testa?” sbraitò, non appena recuperò, a fatica, la facoltà della parola. “Ti saranno costate minimo… No, preferisco non pensarci.”

“Ti piacciono?”

“Ovvio che mi piacciono, sono una donna etero del duemila! Ma…” Nicole non faceva che continuare a spostare lo sguardo da lui alle scarpe, esterrefatta. “Georg, non posso accettarle!”

“Devi, invece, ho buttato lo scontrino.”

“Bugiardo!” ribatté, testarda. “Se poi non mi andassero bene, non potresti cambiarle.”

Ma lui era imperturbabile e le sorrideva senza il minimo indugio.

“Diciamo che ho voluto correre il rischio.” Il suo sopracciglio si sollevò con un che di malizioso, e il cuore di Nicole saltò un battito.

“Non puoi essere così pazzo.” Soffiò, atterrita. Non riusciva, per quanto tentasse, a trovare altre obiezioni coerenti.

“Venerdì c’è una specie di festa di Carnevale, a Marsiglia,” La informò Georg. “So che la tua ultima esperienza ad un party è stata un po’ traumatica, ma saremo tutti mascherati, non ti noterà nessuno.”

“Carnevale era il cinque Febbraio, se non sbaglio.” Sottilizzò Nicole, ostentando una sicurezza che non aveva. La verità era che l’idea la stuzzicava, e anche parecchio.

Georg le rispose con un’alzata di spalle.

Hai ancora in mano delle Blahnik che costano quanto il tuo polmone destro, comunque, le ricordò la sua razionalità.

“Non posso.” Balbettò lei, richiudendo la scatola e cercando di rimetterla nella busta, ma lui non glielo permise.

“Avanti, non fare la stupida,” la blandì. “Si tratta di qualcosa che desideravi e che io posso e voglio darti, l’unica cosa che io possa fare per te.”

Nessun essere umano, di qualsivoglia genere, età ed orientamento sessuale, sarebbe stato in grado di non cedere miseramente davanti alla dolcezza che traspariva dall’espressione di Georg, e Nicole non era da meno.

Restituì lo sguardo con la testa leggera e completamente svuotata da ogni cosa, e fece l’unica cosa che avesse senso fare in un momento così: lo abbracciò, e le parve quasi di sentire il suo cuore battere contro il proprio petto. Lo strinse a sé per la prima volta, con un insopportabile groppo alla gola che non voleva saperne di andarsene. Il calore che sprigionava dal contatto tra di loro le fece subito tornare in mente il pomeriggio sulla spiaggia in Irlanda, e quanto le fosse sembrato strano vivere un momento  che poteva sembrare così ordinario, e che invece era stato così unico.

Anche allora aveva avuto voglia di abbracciarlo, e, non poteva negarlo, anche di qualcosa di più, ma l’occasione era sfumata in fretta, e probabilmente era anche stato meglio così.

“Grazie,” gli sussurrò, respirando il suo profumo come se fosse l’ultima volta che lo poteva sentire. “Di tutto quanto.”

E le sembrò di sentire i versi di una delle canzoni che amava più al mondo echeggiare da qualche fonte lontana.

‘Could she run away with him? So happy and so young…’

Perché non c’era mai nulla di facile nella sua vita?

‘And I stare, as I sing in the lost voice of a stranger in love, out of time, letting go…’

Perché doveva sempre rinunciare a qualcosa?

‘In another world that spins around for fun, and I wonder where I am...’

Sciolse l’abbraccio, sentendosi grata per questo tempo che le era stato concesso di trascorrere con quei ragazzi che per lei erano sempre stati un semplice mito richiuso in un’utopia.

Georg sorrideva, ma in un modo triste che parlava per lui.

‘Could he ever ask her why?’

Una piccola parte di Nicole rimpiangeva di non aver rifiutato fin da subito quell’insulso aiuto da cui era poi conseguito tutto, però sembrava essersene dimenticata, persa com’era in quell’attimo così piccolo, ma così bello.

‘So happy and so young...’

Occhi negli occhi con Georg, capì che in quei pochi giorni erano successe più cose – e più grandi – di quanto si fosse immaginata.

‘And I stare...’

Non era sicura di quel che stesse provando, perché, semplicemente, non aveva mai provato nulla di simile, prima di allora.

‘But...’

 

 

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Note: come sempre, ringrazio dal più profondo del mio cuoricino tutti voi buone genti che avete letto e recensito lo scorso capitolo e che recensirete questo. Un ringraziamento particolare va a ElianaTitti, che ha lasciato il commento che ogni autore di questa sezione sogna di sentirsi dire: cara Eliana, grazie di cuore, non sai quanto le tue parole mi abbiano fatta felice, sono soddisfazioni che ti sanno illuminare anche la giornata più buia. Rigrazio anche le 106 persone che hanno messo questa storia tra i loro preferiti (anche se non hanno mai commentato ^^), perché è un traguardo importante, per me.

Spero che quest’aggiornamento sia stato di vostro gradimento. Come avrete notato, si comincia ad intravedere qualcosa nella fitta rete di eventi e da qui in poi ci sarà di che banchettare.

Ultima noticina, la traduzione della canzone citata a fine capitolo (nonché la stessa citata all’inizio della storia, per chi non l’avesse notato: Lei potrebbe mai scappare via con lui? Così felici e così giovani/E io resto a guardare, mentre canto nella voce smarrita di uno sconosciuto innamorato, fuori dal tempo, lasciando andare…/in un altro mondo che ruota per divertimento, e mi chiedo dove sono/Lui potrebbe mai chiederle perché?/Così felici e così giovani/E io resto a guardare… Ma…

 

Alla prossima, miei cari!

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Capitolo 19
*** Double Trouble ***


Tom imprecò più volte a denti stretti, il borsone buttato casualmente su una spalla, mentre arrancava svogliatamente dietro a Gustav e Georg verso il terminal giusto, Bill alle spalle che sobbolliva come una pentola di fagioli di pessimo umore. Una squadra ben nutrita di bodyguards li circondava su tutti i lati, onde impedire all’imprevista quantità di fans che li avevano accolti all’ingresso in aeroporto di strappare loro di dosso qualche indumento o estremità vitale.

I Tokio Hotel avrebbero avuto per primi accesso all’aereo e il resto dei passeggeri sarebbe salito solo in un secondo momento, quando loro si fossero sistemati nella zona a loro riservata. Nicole ed Emily erano da qualche parte ad ammazzare il tempo, fino a che Saki non le avesse chiamate per raggiungerli.

“Siamo di nuovo in ritardo.” Si lagnò Bill, sventolandosi il biglietto aereo davanti al viso adombrato dal cappellino, in attesa che il personale del terminal controllasse i documenti degli altri.

Tom gemette impaziente.

“Non sono io quello che ha passato tre quarti d’ora a consumare lo specchio in una nuvola di esalazioni tossiche di lacca.”

“Gioverebbe al tuo aspetto se tu lo facessi, di tanto in tanto.” Replicò Bill, velenoso.

“Hey, Bill, ho avuto un’idea grandiosa!” esclamò Tom, eccedendo di sarcasmo, voltandosi indietro verso di lui. “Che ne dici di andare a farti fottere?”

“Dico che tu lo fai già abbastanza per entrambi.”

“Gioverebbe alla tua spocchia, se tu lo facessi, di tanto in tanto.”

“Non sai nemmeno inventarti delle battute di tuo pugno?”

“Un’altra parola e ti faccio vedere che cosa sa fare, il mio pugno.”

“Dateci un taglio, voi due, per pietà!” sbraitò David, con il tono di chi sapeva che non sarebbe stato minimamente considerato.

Dopo essere finalmente riuscito a farsi dare il via libera dalla giovane donna in uniforme blu e bordeaux (la quale gli aveva sorriso in un modo non del tutto professionale), Tom andò a buttarsi su uno dei molti sedili liberi, si infilò le grosse cuffie e si rifugiò nel proprio mondo di musica, felice di isolarsi dalla petulanza del proprio fratello e dall’inquietante espressione assente di Georg. L’unico normale e tollerabile – come sempre – sembrava Gustav, ma anche lui aveva preso la saggia decisione di autoesonerarsi dalle noie esterne tramite una repentina immersione musicale, probabilmente a base di Metallica.

Accompagnando con la testa e con una mano battuta sul ginocchio uno dei suoi pezzi preferiti di Jay-Z, Tom si mise a scandagliare l’area circostante, sperando di riuscire ad individuare qualche elemento interessante, ma, a parte un paio di anziane signore impellicciate che guardavano lui e gli altri disgustate da non molto lontano mentre sfogliavano il Sun (tabloid britannico per eccellenza), non c’era nulla di rilevante all’orizzonte. Tutto piatto, tutto tranquillo.

Che palle…

Era lo scotto da pagare per aver deciso di partire da Luton, il più piccolo degli aeroporti della zona londinese, ma se non altro aveva ancora tutti i rasta in testa e non c’erano graffi di fans isteriche sui pochi centimetri di pelle che teneva scoperti.

Anche se l’antitetanica resta sempre una precauzione fondamentale.

Data la scarsità di intrattenimenti, Tom si tenne occupato cercando di sbirciare chi fosse la star che si era guadagnata la copertina della rivista delle due zitelle: era una donna, accompagnata da un cagnolino dalla vaporosa pelliccia bianca, probabilmente un’attricetta di soap inglese del tutto ignota all’estero e, secondo i gusti raffinati di Tom, nemmeno tanto bella.

Stava per cercarsi una nuova distrazione, quando una delle due donne ripiegò la rivista su se stessa, permettendogli di scorgere, anziché il retro della copertina, una delle pagine interne. Fu con una strana reazione di inquietudine che Tom scorse tra le colonne dell’articolo un’immagine dal soggetto conosciuto.

Cosa cazzo –?

Era imbrigliato in un anonimo soprabito beige e nascosto dietro ad un berretto, ma, anche al primo sguardo, non gli fu affatto difficile riconoscere Bill, immortalato presso una gigantesca ruota panoramica, chinato con confidenza verso una ragazza dai lunghi capelli rosso scuro che stava di spalle, a cui teneva una mano sulla schiena.

Anche una qualunque mente del tutto priva di immaginazione, osservando quella foto, avrebbe pensato immediatamente la medesima cosa che stava pensando Tom.

Si stanno baciando.

Ed effettivamente, pur non essendo un genio dell’inglese, era piuttosto chiaro perfino a lui il significato sommario del titolo: ‘Bill Kaulitz from Tokio Hotel kissing a mysterious girl under the ever-vigilant London Eye.’.

Ragazza misteriosa un cazzo!, pensò Tom, sconcertato, fissando il ben noto lato posteriore della ragazza in questione. Anche da lontano, era assolutamente impossibile non riconoscerla. Perché quel coglione di mio fratello si sta sbaciucchiando Nicole in pieno centro di Londra?

Finalmente Tom si rese conto del perché le due vecchie stessero osservando il loro gruppetto con tanto interesse: accanto alla foto di Bill e Nicole, ce n’era una più piccola del gruppo, in posa agli MTV Europe Music Awards, sfoggiando con orgoglio il premio appena vinto: erano decisamente più riconoscibili di Bill tutto camuffato.

Si tirò un po’ su dalla precedente posizione stravaccata e lanciò qualche occhiatina in tralice a Bill, Georg e Gustav, che se ne stavano in piedi un paio di metri più in là, a chiacchierare, presumibilmente di cavolate, mentre Saki e David davano istruzioni al resto delle guardie del corpo. Se uno solo di loro avesse notato quell’articolo, sarebbe potuto succedere di tutto.

Tom ricordava fin troppo bene il modo in cui Georg aveva reagito alla notizia del primo bacio che Bill aveva strappato a Nicole, e non voleva immaginare come avrebbe potuto prenderla, se avesse appreso del secondo e chissà che altro.

Era divorato dal dubbio.

Da un lato stava morendo dalla curiosità di scolarsi l’intero articolo come un succoso cocktail alla frutta, dall’altro lo frenava la consapevolezza che era cosa ben poco saggia scagliare così disinvoltamente una probabile pietra dello scandalo. Poteva benissimo essere un cumulo di cazzate condite da elucubrazioni degne dei peggiori romanzi rosa – lo era quasi sicuramente – ma non gli importava. Avrebbe domandato a Bill la sua versione dei fatto, dopo, ma prima voleva vedere la situazione da un punto di vista esterno e smaliziato, decisamente più affine al proprio.

Moriva dalla voglia di sapere.

Ti ricordo che non spiaccichi mezza sillaba di inglese, Tomi, gli rammentò una voce sorprendentemente simile a quella di Bill. Cosa ci vuoi capire in un articolo così?

Io un bel niente, rispose lui in automatico, accarezzando un’idea molto acuta, ma qualcun altro tutto quanto.

C’era solo un problema: ora che avevano passato i metal detector, Tom non poteva più tornare indietro nell’area principale, e ciò significava che avrebbe dovuto aspettare. Ma aspettare non era il suo forte, così gli sovvenne che c’era ancora una minuscola possibilità, un’ultima via che poteva tentare. Si alzò quindi in piedi e andò da David con un piccolo sogghigno che sperava di poter smerciare per un sorriso innocente. Se David era preso come suo solito dalla gestione del viaggio, l’avrebbe tranquillamente fatta franca.

“Hey, David,” gli picchiettò un dito sulla spalla per farlo voltare. “Mi presti un attimo il Blackberry?”

David non si sprecò nemmeno in inutili domande: si sfilò il Blackberry da una tasca e glielo porse con impazienza, congedandolo con un ‘Tieni’ vagamente irritato, per poi tornare a conversare con Saki e il resto dei loro energumeni.

È stato più facile del previsto…

Soddisfatto, Tom se ne tornò al proprio posto e si mise a trafficare con quell’aggeggio impossibile, alla ricerca della rubrica. Dopo svariati tentativi, riuscì miracolosamente ad individuarla, e la esplorò in lungo e in largo finché non scovò il nome che si era augurato di poter trovare.

Caro, vecchio David, posso sempre contare sulle tue manie di perfezionismo!

Cliccò sul nome di Nicole, selezionò ‘Invia messaggio’ e cominciò a digitare, fino a che non fu contento del risultato. Rilesse il messaggio, compiaciuto del proprio umorismo, poi premette ‘Invio’ e pregò che Nicole lo leggesse subito.

Non vedeva l’ora di mettere le mani su quell’articolo.

***

La perplessità di Nicole riguardo il criptico messaggio ricevuto pochi minuti prima era notevole. Lo guardò di nuovo, ma continuava a trovarlo sensato quanto un ago senza la cruna, esattamente come la prima, la seconda e la terza volta che lo aveva letto.

“Ciao Sandberg! Sono quel distributore automatico di fascino e carisma di Tom, ti scrivo perché ho bisogno di un paio di favori: il primo è che vorrei che tu cortesemente mi comprassi una copia del Sun (ti rimborso con gli interessi, anche in natura, se vuoi), il secondo te lo dirò quando me l’avrai portata, possibilmente al più presto. Niente domande, ti spiego dopo. Grazie!”

Si domandava cosa ci fosse di così eclatante nel Sun perché Tom arrivasse a scriverle di comprarglielo dal Blackberry di Jost, quando poteva semplicemente andarselo a comprare da solo in uno dei tanti negozi duty-free, ma preferì seguire il consiglio che riportava il testo: niente domande. Con Tom non si poteva mai dire, era perfino poco allettante l’idea di scoprire le risposte.

Dopo aver tranquillamente passato i vari controlli, Nicole si stava dirigendo mano nella mano con Emily verso il punto di ritrovo prefissato, la copia patinata del Sun richiesta da Tom piegata sotto al braccio.

Trovarsi in aeroporto la rendeva irrequieta: quello sarebbe stato il suo ultimo giorno di lavoro. Avrebbe giusto avuto il tempo di arrivare a Marsiglia e pranzare velocemente, poi la attendeva qualche ora di direzione dei lavori di montaggio delle illuminazioni, e infine la festa.

Poi basta.

Quel che era peggio era che ancora non aveva seriamente affrontato la questione con Emily. Le aveva accennato alla possibilità di tornare a Lipsia, ma lei non aveva dimostrato un grande entusiasmo all’idea, e non era un buon segno.

“Emily,” esordì Nicole in tono casuale. “Cosa ne diresti se tu ed io ce ne tornassimo a casa?”

Emily guardò in su verso di lei, gli occhi verdi pieni di genuino stupore.

“A Lipsia?” domandò, mangiandosi un po’ il nome della città.

Nicole assentì.

“E prima andiamo a vedere come sta la zia.”

“Sì, così posso prendere i miei biscotti buoni e farli assaggiare a Gustav!” esultò Emily. “Quelli che ho mangiato con lui sapevano un po’ di carta.”

Ecco, sospirò Nicole dentro di sé, qui cominciano i problemi…

“No, Emily, se andiamo via, non torneremo più indietro.”

“Ma loro vengono con noi?”

“No, lo sai che devono suonare per tantissime persone in tutto il mondo.”

Era già a quota due con i no: se ne usava un altro, Emily avrebbe cominciato a trovare la discussione molto fastidiosa.

“Ma poi come facciamo senza di loro? Io voglio tanto bene a Georg, e a Gustav, e a Tom, e a Bill, e anche a Saki! E il signor David e la signorina Dunja mi regalano sempre le caramelle!”

“Anch’io mi sono affezionata a loro, tesoro, ma lo sapevamo che finita questa settimana forse avremmo dovuto andare via.”

“E allora perché non stiamo qui?”

“Perché…” Nicole si interruppe, incapace di trovare una risposta accettabile per una bambina di quattro anni. Alla fine optò per il vago. “Perché ci sono tante cose che sei troppo piccola per capire, e il nostro posto non è qui.”

Ovviamente Emily non era disposta a permettere che un sua protesta fosse liquidata così facilmente.

“Ma ci piace così tanto stare con loro…” mugolò, sfoderando un musino da cerbiatto che Nicole non si sarebbe mai bevuta.

“Ma ci piace anche stare a casa, giusto?” replicò, scegliendo accuratamente le proprie mosse. “Chissà i tuoi amici del condominio come sono tristi senza di te… Non ti mancano almeno un po’?”

Ma non ti vergogni ad usare certi trucchetti con tua figlia?, si indignò la solita Nicole coscienziosa.

O i trucchetti, o le scenate pubbliche, si difese la Nicole disperata.

“Sì, un po’ sì,” rispose Emily alla fine, un po’ nostalgica, ma subito dopo sorrise felice. “Però ho anche degli amici nuovi!”

Fu una frase dura per Nicole da metabolizzare, che le fece capire quanto oltre il previsto era andato tutto quanto. Mai avrebbe potuto supporre che quattro star come i Tokio Hotel, i cui poster stavano appesi un po’ ovunque per casa, un giorno avrebbero potuto essere chiamati amici da sua figlia.

E tu come li chiameresti, per curiosità?, indagò la voce nella sua testa, con un accenno di perfidia.

Amici, ovviamente, rispose prontamente Nicole.

Davvero? Proprio tutti e quattro?, insisté la voce.

Nicole si rifiutò di degnarla di attenzione, e rispose invece ad Emily:

“Ma i Tokio Hotel li rivedremo, sai? Presto faranno un nuovo concerto, li andremo a vedere ancora.”

“Davvero?” fece lei, speranzosa.

“Sì.”

Il sorriso si Emily si allargò, creandole due fossette nelle guance.

“Allora va bene, andiamo a casa!”

Nicole preferiva ritenere il proprio mezzo di persuasione una mezza verità, piuttosto che una mezza bugia: era chiaro che non potesse affermare con certezza che li avrebbero rivisti davvero, e anche in cuor suo non sapeva se augurarselo o meno. Avrebbe aspettato fino alla fine, fino all’ultimo momento, per decidere, e non era certa che anche allora ne sarebbe stata in grado.

Alla fine del corridoio che stava percorrendo, scorse un piccolo capannello di persone che riconobbe all’istante. Il primo ad accorgersi di lei fu Gustav, che si voltò verso di loro sventolando una mano in aria.

“Hey, ecco le nostre ragazze che arrivano!”

Emily le lasciò immediatamente la mano e corse loro incontro, accolta da un sorriso generale. Nicole si avvicinò con più calma, senza riuscire a vedere Tom in mezzo agli altri, ma Georg le sorrise, e il pensiero di Tom svanì in un lampo.

“Alla buonora,” la prese in giro Bill, che le era parso illuminarsi quando l’aveva vista arrivare. “Credevamo voleste restare qui.”

Lei ribatté con una risatina ironica.

“Cos’hai lì?” curiosò Georg, indicando la rivista che lei teneva ancora sotto il braccio.

“Oh,” Nicole gliela porse senza farsi problemi. “Una copia del Sun che Tom mi ha chiesto di –”

“Georg, lascia stare, tanto è in inglese!” intervenne Tom, sbucato dal nulla, stranamente allarmato.

“Io l’inglese lo mastico, contrariamente a te,” Obiettò Georg, senza permettergli di portargli via la rivista. “Che diavolo ci fai tu con un…”

La frase si smorzò a metà. Gli occhi di Georg si erano fermati su una delle prime pagine del tabloid e la fissavano in modo accigliato. A Nicole, così come a tutti gli altri, bastò mezzo secondo per capire perché.

Merda.

Le pagine su cui si era soffermato Georg contenevano qualche scatto di lei e Bill davanti al London Eye, solamente il giorno prima, e l’angolazione delle foto faceva apparire la situazione estremamente diversa da come era effettivamente stata: Bill era sporto in avanti verso di lei, di cui si vedeva solo la nuca, e l’illusione era così realistica che sarebbe stato impossibile convincersi che fosse un semplice fraintendimento.

Se Nicole non fosse stata là e non avesse personalmente vissuto il momento, perfino lei ne sarebbe stata ingannata: sembrava proprio che si stessero romanticamente baciando sulle rive del fiume.

Con orrore misto a sconcerto, gli occhi di Nicole schizzarono qua e là per le pagine, cogliendo stralci casuali dell’articolo:

“No more doubts regarding Bill Kaulitz’s sexual orientation: the frontman of the world-wide popular German rockband Tokio Hotel was spotted in the centre of London with a pretty girl, with whom…”

“… the lucky girl seems to be very confident with young Bill (18 years old) and he…”

“It is the first time Bill has been caught with his hands in the cookie jar, and what a cookie he has found!…”

“… reliable sources declare they have witnessed to a similar scene a couple of days ago, during a party Tokio Hotel was attending in Dublin. Chaos broke out when the androgynous singer and the same unknown young lady…”

Nicole boccheggiò senza fiato. Non ci voleva credere.

Le girava la testa e le ginocchia sembravano voler cedere da un momento all’altro, mentre le sue pulsazioni aumentavano vertiginosamente.

I quattro Tokio Hotel fissavano l’articolo sbalorditi, Emily saltellava attorno a loro chiedendo di poter vedere, Jost e le guardie se ne stavano pochi metri più in là, ignari di tutto.

Ad un tratto gli occhi di Georg si sollevarono su di lei, velati da una distanza che per Nicole fu peggio di uno schiaffo.

Non le disse nulla, anche se lei avrebbe mille volte preferito vederlo arrabbiato, sentirsi gridare contro, piuttosto che subire quella tortura silenziosa. Era certa che il bruciore che si sentiva in gola fosse dovuto alla voglia di piangere che sapeva di provare, ma che non riusciva a trovare uno sfogo.

Apatia, quello era il sentimento dominante.

Non guardarmi così, lo pregò, non ho fatto niente…

Eppure si sentiva colpevole lo stesso. Pur essendo innocente, pur sapendo che quelle foto altro non erano che una squallida illusione ottica e che né lei né Bill avevano fatto alcunché di cui vergognarsi, Nicole si sentiva male.

“Che mucchio di idiozie!” bofonchiò Bill, schiaffando lontano da sé il Sun, che Georg ancora teneva in mano. “Ne ha di fantasia, queste gente…”

“Vorresti dire che non è vero?” fece Tom, deluso. “Niente sbaciucchiamenti pubblici né effusioni romantiche?”

“Cercavo di rassicurarla per via di Brenda! Credevamo che le fosse capitato qualcosa di serio!”

Gustav spostò meglio il giornale versò di sè e studiò meglio le foto.

“Effettivamente la posizione è equivocabile…”

“Già, sembrava una cosa molto più esplicita da lontano.” Osservò Tom. Tutti si voltarono a guardarlo con espressioni interrogative. “Che c’è?”

Gustav e Bill inarcarono un sopracciglio di fronte alla sua palesemente falsa espressione ignara.

“E va bene,” ammise allora lui. “Avevo notato quest’articolo in mano a un paio di vecchie pettegole e volevo sapere cosa dicesse.”

“Domandare ai diretti interessati era troppo faticoso e complicato?”

“Volevo prima un quadro generale esterno.”

Bill volse gli occhi al cielo esasperato.

“Dio, perché mia hai condannato ad avere un idiota per fratello?”

Georg rivolse a Nicole uno sguardo intenso, quasi le stesse chiedendo implicitamente una conferma alle dichiarazioni di Bill, e prima di dimenticare il nocciolo della discussione, prima di scivolare nel profondo di quella vibrante carezza immateriale, Nicole riuscì ad articolare qualche suono sensato che cercò di rassicurarlo:

“È solo un basso espediente per vendere copie.”

Georg indugiò, ma solo per pochi istanti, poi richiuse la rivista con un sospiro e se la lasciò rubare da Tom.

Nicole non era sicura che fosse persuaso, ma al momento non se la sentiva di tirare troppo la corda: un’eccessiva insistenza lo avrebbe fatto dubitare ancora di più.

“Ho idea che nei prossimi giorni ci sarà un netto incremento dei suicidi tra le donne,” disse Tom. “Queste foto uccideranno metà della popolazione femminile al di sotto dei vent’anni e buona parte di quella al di sopra.”

“Dai qua, Tom, fammi vedere un po’ le altre notizie bomba.” Intervenne Bill, strappandogli di mano la rivista e portandosela via, ma non senza aver prima scoccato a Nicole uno strano sguardo penetrante che la lasciò interdetta.

Che cosa poteva significare?

Poco prima che Bill si voltasse, le sua labbra assunsero una lieve arricciatura agli angoli, un mezzo sorriso felino, sereno ma non del tutto, che la confuse ancora di più. Gustav seguì lui e Tom verso la lunga fila di sedili a ridosso di una delle vetrate e lì si accomodarono, il primo immerso nella sua musica, gli altri due che si litigavano il Sun ormai stropicciato. Lei e Georg rimasero soli. O quasi.

“Mamma!” Emily stava ancora richiedendo attenzione, allungando le braccia in alto per farsi prendere in braccio. “Mamma, mi avevi promesso che mi compravi un gioco nuovo!”

Nicole si sistemò la borsa su una spalla e si sforzò di sorridere.

“D’accordo,” la prese per mano. “Andiamo a vedere cosa c’è in giro.”

“Voglio stare in braccio, non vedo niente qui!”

“Emily, ho mal di schiena, ho dormito malissimo stanotte.”

Era vero. Anzi, era forse più corretto dire che non aveva dormito affatto. La responsabilità non era stata del comodissimo materasso di lattice, né del morbido cuscino di piume, e nemmeno della perfetta temperatura della stanza.

No, non era riuscita a dormire perché la sua testa era troppo affollata di pensieri e sensazioni, troppo preoccupata ed incerta, e chiudere occhio era stato davvero improponibile.

“Vieni qui, piccola peste.” Intervenne Georg, offrendole le proprie braccia. Emily gli saltò al collo senza la minima esitazione.

Andarono insieme a vedere le vetrine che cominciavano poco più in là.

“Hey, Nicole,” fece Georg, mentre si fermavano davanti ad un piccolo negozio di giocattoli. “Ma cosa dai da mangiare a questa bambina? Pesa come un vitello!”

“Non è vero, cattivo!” protestò Emily, prendendogli il viso tra le piccole mani ed appioppandogli, mentre tentava di tirargli la coda, una buffissima smorfia offesa che fece ridere sia lui che Nicole.

Il sorriso di Georg era bellissimo, dolce ed allegro, e non ci si sarebbe mai stancati di guardarlo. Nicole amava quel sorriso.

“Ma guarda che bella famigliola!” chiocciò una voce estasiata accanto a loro. Un’anziana coppia stava uscendo dal negozio con un grosso pacco regalo in mano e la signora stava mangiandosi con gli occhi la scena. Parlava tedesco, lei e l'uomo erano probabilmente turisti, e doveva aver sentito che anche lei, Emily e Georg parlavano la stessa lingua.

Nicole e Georg si guardarono. Lui inarcò le sopracciglia, quasi divertito, lei arrossì violentemente.

La signora si avvicinò ad Emily, ancora ben stretta in braccio a Georg, e le sorrise deliziata.

“Ma sai che sei una bambina stupenda?” le disse cortese, ed Emily, anziché abbaiarle contro qualche impudenza, sorrise serafica.

Nicole se ne stupì non poco: sembrava quasi il piccolo angelo che tutti credevano fosse.

“Hai rubato questi bellissimi occhi al tuo papà?” domandò la donna, rivolgendo a Georg un sorriso, poi si voltò brevemente verso Nicole. “Ma anche la tua mamma ha degli occhi straordinari, vero?”

Il marito della donna non era un uomo di molte parole, ma era evidente che anche lui fosse non poco intenerito da Emily.

A Nicole però sembrava di camminare su un terreno decisamente minato: avrebbe potuto facilmente sorvolare l’imbarazzo dell’equivoco, ma non voleva che Emily si facesse idee strane ed affatto futuribili riguardo quel ‘papà’.

“Scusateci, ma dobbiamo proprio andare,” esordì, frettolosa, afferrando Georg per un braccio. “È stato un piacere.”

Un po’ sbigottita, ma non per questo meno educata, la coppia salutò e li lasciò allontanare, andando per la propria strada.

“La signora ha detto che sono spupenda!” si vantò Emily, ma subito assunse un’espressione perplessa. “Cosa vuol dire spupenda?”

Stupenda,” la corresse Nicole. “Vuol dire molto, molto carina.”

“Quanto molto carina?”

“Come la tua mamma.” Rispose Georg. Emily strabuzzò gli occhi, stupita ma compiaciuta.

“Così tanto?”

Georg annuì, poi le si avvicinò di più per sussurrarle all’orecchio. “Anche di più, ma non glielo dire, o fa come la matrigna di Biancaneve e ti manda dai sette nani.”

Nicole dovette fingere di non sentire, ma stava a malapena trattenendosi dal ridere davanti alla faccia seria di Emily che conveniva con lui.

“Che bella famigliola!”

Già…

Nicole scacciò il ricordo della signora ed obbligò se stessa a pensare ad altro, ma l’unica altra cosa a cui riusciva a pensare era la festa che si sarebbe tenuta quella sera, a cui era stata invitata quasi sotto coercizione e a cui non poteva rifiutarsi di partecipare. Anche perché, doveva ammetterlo, voleva veramente andarci.

I ragazzi avevano preventivamente trovato delle obiezioni schiaccianti ad ogni suo dubbio: per una sera Emily avrebbe benissimo potuto stare alzata fini a tardi, o almeno fino a che non fosse stata stanca. Si sarebbero occupati loro di lei, a turno, e Gustav si era offerto di portarla a dormire quando lei si fosse sentita stanca. E se da un lato Nicole non voleva che si disturbassero tanto, dall’altro le toccò riconoscere che ci tenevano sul serio che lei ci fosse, e declinare così ogni loro sforzo sarebbe stato molto ingrato, nonché altamente stupido.

Sarebbe andata alla festa, avrebbe cercato di divertirsi, di godersi il più possibile quelle ultime ore, di stare con i ragazzi ed imprimersi bene dentro ogni singolo istante, poi… Poi tutto si sarebbe concluso.

E anche stavolta, niente lieto fine.

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Note: Ecco qui, anche il diciannove è andato. Si tratta di una sorta di introduzione alla Grande Vetta, ossia il venti (che emozione!), quindi preparatevi per il prossimo capitolo, gente, perché so già che molti di voi fremeranno nel leggerlo! ;)

Vi lascio le traduzioni dei brevi pezzetti in inglese, nell'ordine in cui sono inseriti:

"Bill Kaulitz dei Tokio Hotel bacia una ragazza misteriosa sotto il sempre vigile Occhio di Londra."

"Niente più dubbi riguardo l'orientamento sessuale di Bill Kaulitz: il frontman della rockband tedesca popolare in tutto il mondo è stato avvistato in centro a Londra con una bella ragazza, con la quale..."

"... la fortunata ragazza sembra molto confidente con il giovane Bill (18 anni) e lui..."

"Per la prima volta Bill viene colto con le mani nel vaso dei biscotti
(tipica espressione inglese), e che biscotto ha trovato!..."

"... fonti attendibili dichiarono di aver assistito ad una scena smile un paio di giorni fa, a Dublino. E' scoppiato il caos quando l'androgino cantante e la stessa giovane sconosciuta..."


Infine, grazie a voi lettori, come sempre, e soprattutto a voi commentatori. Come al solito vi invito a lasciare una recensione, anche breve, comunicandomi tutto quello che avete gradito ma anche quello che non vi è piaciuto. Ci tengo davvero a conoscere la vostra opinione, scrivo per voi, ma anche per me stessa, e quello che pensa il pubblico è fondamentale per me e per qualunque altro autore di questo portale. Se siete anche voi degli autori, capirete senz’altro cosa intendo. ^^ Sono debitrice a tutti voi che mi fate da carburante con le vostre bellissime parole!

Grazie in particolare a:

loryherm: carissima! Sei sempre acuta nell’osservare e molto molto accorta. Spero di non averti delusa, stavolta!

CowgirlSara: MS powah! ^^ Aspetta e vedrai, non dico altro, se non : appoggio quello che hai detto riguardo al bacio! ;)

NeraLuna: niente overdose, mi raccomando! Resta sintonizzata, vedrai che avrai di che soddisfarti!

Lady Vibeke: MS powah anche a te (e alla tua recensione da Guinness! XD)! La tua Brenda è una gran donna, sì, e tu invece sembri sempre leggere otto metri più a fondo della superficie, il che non mi stupisce affatto. ^^ Il prossimo capitolo succederà quello che tu sai, quindi mettiti comoda e prepara l’acqua gelata! ;)

valux91: eh, lo so, il nostro Georg è un tesoro sotto la sua scorza da tenebroso Uomosesso. ^^

dark_irina: hai proprio visto giusto! Quando all’epoca ho letto quella tua recensione sibillina già sapevo che in questo capitolo saresti stata trionfante. ^^ Brava!

kit2007: ci hai azzeccato, direi. ;) Ti ringrazio dei complimenti, sempre deliziosa come al solito!

Muny_4Ever: chi vivrà vedrà. ^^ La questione sarà risolta mooolto presto, credimi.

ElianaTitti: grazie davvero infinitamente! Hai fatto un’osservazione giustissima riguardo Nicole e Georg, assolutamente cruciale, direi! Ottimo acume!

sososisu: dico a te la stessa cosa che ho detto a CowgirlSara: abbiate fede e vedrete. ;)

L_Fy: avresti anche potuto dirmi che la storia ti faceva schifo e che l’avresti sconsigliata a chiunque, per me sarebbe già stato un onore sapere che l’avevi letta e ci avevi addirittura speso del tempo per una recensione. ^^ Grazie, veramente.

RubyChubb: MS powah III! Anche per te, stessa cosa che ho detto a Sara. Il resto lo sai già. ;)

EtErNaL_DrEaMeR: mi auguro veramente che leggerai e commenterai anche questo capitolo e i pochi ultimi che seguiranno, se il precedente ti è piaciuto, credo gradiresti anche questi che verranno. ^^ Grazie di tutto comunque, mi fa piacere aver catturato la tua attenzione!

Bene, miei fedeli lettori, per ora ho concluso. Vi aspetto tutti al varco, preparatevi per il prossimo capitolo: popcorn alla mano e coccola in ghiaccio! ^^

A presto!

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Capitolo 20
*** Giving Up For You ***


Aveva dimenticato tutto, dalla prima all’ultima cosa che da ragazzina ripassava sempre con le sue amiche prima di uscire con un ragazzo.

Quella sera che i ragazzi erano addirittura quattro, e non si trattava nemmeno di ragazzi qualunque, Nicole aveva la sensazione di stare ricominciando da capo con tutta la sua vita: era ansiosa come al primo appuntamento importante ed almeno altrettanto impacciata.

Il suo vestito (lo stesso che aveva indossato una settimana esatta prima, quando era stata ospite dei ragazzi in discoteca) non rendeva giustizia alle splendide Blahnik che calzava perfettamente ai piedi. Era piuttosto carino, a vedersi, ma un abito acquistato per cinquanta euro in saldo al centro commerciale non era fatto per accompagnarsi ad accessori di lusso come quelle scarpe.

Si studiò accigliata nello specchio del bagno e non riusciva a vedere alcunché di soddisfacente: i capelli erano statici e flosci, così dritti che nemmeno un miracolo avrebbe potuto donare loro qualche onda vivace, e il raso nero la faceva sembrare troppo pallida, ma non poteva farci niente. Non aveva portato con sé alcun tipo di trucco, erano anni che non usava make up ed affini, e non sapeva più cosa fare per non sembrare così dannatamente inadeguata.

Controllò l’ora: la festa doveva essere già iniziata, ma loro avrebbero fatto la loro comparsa solo tra un quarto d’ora. Gustav, Georg e Tom erano passati a prendere Emily dieci minuti prima, ma Nicole ancora non era pronta, e temeva che, a questo punto, non lo sarebbe mai stata veramente.

Ripensò a quanto in fretta si fosse esaurita la giornata. L’arrivo in Francia, la trasferta in hotel, e poi i lavori di montaggio delle strutture, il soundcheck e infine la parte più complicata e faticosa: la preparazione per il party.

Ben riuscita, devo dire, ironizzò Nicole con se stessa, incapace di credere che l’avrebbero veramente portata alla festa così.

In quella qualcuno bussò alla porta.

“Nicole, sono Bill.”

Arresasi davanti all’evidenza, Nicole sospirò afflitta e andò ad accoglierlo.

“Ciao.” Mormorò a capo chino.

“Ciao,” ricambiò lui. “Ti ho portato la tua salva-identità, Emily l’ha scordata da me poco fa.”

Non mancò di squadrare Nicole con interesse, ma non appena lei sollevò lo sguardo su ciò che le stava porgendo (la mascherina di pizzo nero che aveva acquistato quella mattina, dalle vaghe sembianze di farfalla), sembrò quasi urtato.

“Non sei ancora pronta?” esclamò, basito. “Sei peggio di me!”

“Io sono pronta.” Rispose lei, sulla difensiva, strappandogli la mascherina di mano. Bill emise un flebile gemito spazientito.

“Nicole, senza offesa, ma sei un vero disastro.” Sbuffò. “Avresti il coraggio di presentarti così alla tua serata?”

“Primo, non è la mia serata,” puntualizzò lei. “Secondo, è inutile perdersi in prediche, non ho un bel niente con cui rendermi presentabile, non mi sono portata dietro nemmeno un mascara. Figuriamoci, l’ultimo che ho comprato deve avere ormai almeno tre anni, quindi anche volendo non –”

Bill le aveva chiuso la bocca con una mano e ora rideva divertito.

“Mi consola sapere che c’è qualcun altro che si lascia prendere dalla logorrea, di tanto in tanto,” commentò, con un’espressione da folletto che, Nicole ne era sicurissima, aveva acceso un po’ di colore sulle sue guance. “Hai qualche cosa da portarti dietro? Borsette o…”

Nicole fece segno di no con la testa.

“Solo la giacca,” disse, indicando imbarazzata la semplicissima giacca di velluto che stava appesa nell’ingresso. “Ma…”

Senza dire altro Bill prese la giacca, le afferrò un polso, estrasse la scheda magnetica dalla fessura nel muro e si portò via Nicole in modo non esattamente delicato.

“Bill,” Lei lo seguì suo malgrado attraverso il corridoio, attonita. “Dove diamine stiamo andando?”

“In camera mia.”

Nicole quasi inciampò nella moquette dallo shock.

Cosa?”

“Mi devo occupare di te.” Fece lui, sbrigativo, ma questo contribuì solo ad aumentare esponenzialmente lo smarrimento di Nicole.

Cosa?”

Lo stesso sogghigno elfico di poco prima le venne in risposta.

“Abbi fede.”

 

***

 

Erano in ritardo di un paio di minuti (cosa già prodigiosa di suo, dato che in genere Georg e Bill facevano a gara per chi faceva più tardi), ma a Gustav non dispiaceva più di tanto. Non lo entusiasmava molto l’idea della festa in maschera, anche se sapeva benissimo che molti dei presenti non sarebbero stati affatto mascherati, esattamente come lui ed il resto della band.

Se mi avessero proposto di mettermi qualche stupido travestimento, ci sarebbe scappato il morto.

Tre dei Tokio Hotel erano riuniti dell’ingresso dell’hotel con un paio di guardie del corpo a testa più quelle di Bill, David, Dunja ed un altro paio di collaboratori, in paziente attesa di Bill e Nicole, ma non era certo una novità.

Emily era esuberanza ed allegria allo stato puro, si pavoneggiava nel bel mezzo della hall nel suo assurdo costume da diavoletto, facendo roteare il povero Wilhelm in aria, tenendolo per una sottile zampetta.

Si era scelta quel costume lei personalmente, aveva detto Nicole, e non c’era stato verso di farle cambiare idea verso qualcosa di più femminile, come una gonnellina rosa ed un paio di alucce da fata, ma Emily era una bambina atipica, ormai lo sapevano bene tutti quanti, e comunque il rosso le donava moltissimo e faceva un bel contrasto con i suoi boccoli biondi ed il suo visetto angelico.

Era curioso di vedere Nicole, adesso. Anche se sapeva che non avrebbe indossato nulla di particolare, Gustav era comunque molto interessato alla presentazione. Era vero che lei non era il suo tipo e che, nonostante la bella amicizia che avevano instaurato, c’erano scarsissime possibilità che loro due si trovassero reciprocamente attratti romanticamente l’uno dall’altra, ma Tom non era il solo a saper apprezzare una bella ragazza per quello che era.

Erano le nove e venti quando l’attesa fu finalmente appagata: quando tutti cominciavano a domandarsi se non fosse il caso di salire ad avvisarli del ritardo, le porte dell’ascensore si aprirono e, finalmente, ne uscì Bill, vestito di tutto punto come suo solito, in nero da capo a piedi, i capelli privi del solito style, e sorrideva piuttosto soddisfatto. All’interno si poteva scorgere il profilo di Nicole.

Gustav non poté impedirsi di lasciarsi sfiorare da un dubbio a suo parere legittimo: prima il bacio a Dublino, poi le foto sul Sun, poi questo.

Poteva davvero essere tutto quanto un fraintendimento?

“Dai, stupida, vieni fuori.” Disse Bill, rivolgendosi all’interno del vano dell’ascensore, ma non venne risposta, così lui dovette allungare una mano e trascinare fuori un’imbarazzatissima Nicole, anch’essa vestita completamente di nero, una giacchetta in una mano ed il viso seminascosto da una mascherina che contornava dolcemente i suoi occhi truccati di nero, evidenziandone il colore e seguendone perfettamente la forma a mandorla. I capelli erano raccolti, tenuti fermi da una specie di bastoncino di metallo, salvo un paio di ciocche sottili che le pendevano ai lati del viso.

Per un lungo, doveroso istante, tutti i presenti trattennero il respiro.

 

***

 

Avrebbe voluto poter dire che era splendida, che era luminosa a raggiante, e soprattutto felice di esserlo, ma non era affatto così.

Più Georg guardava Nicole, più si convinceva che non si sarebbe affatto divertita nelle ore a seguire.

Era rimasta zitta per tutto il brevissimo tragitto che avevano percorso attraverso lussuosi corridoi dell’hotel che conducevano fino all’edificio attiguo, un palazzo costruito appositamente per feste e ricevimenti, e anche ora che erano entrati ad avevano preso posto al loro tavolo con soppalco riservato, non sembrava che il suo umore fosse migliorato.

La osservava in silenzio, ed era bella, sì, ma non come avrebbe voluto lui: sorrideva, ma in modo tirato ed insincero, forzato, e a Georg questo non piaceva. Si intravedeva del trucco nero sotto la mascherina, e probabilmente anche in quel rosa che delicatamente le tingeva le guance, ma dietro a tutta quella finzione, non si intravedeva Nicole.

Erano alla festa da ormai mezz’ora, avevano già ordinato da bere e ad Emily era stata servita un coppa di gelato alla vaniglia ricoperto di cioccolato e zuccherini che l’aveva letteralmente fatta impazzire. Gustav e Tom si stavano vicendevolmente intrattenendo con una conversazione non proprio intelligente sulla preparazione di certi cocktail. Gli unici che sembravano estranei all’ambiente circostante erano Nicole, Georg stesso e Bill, che pareva a mezza via tra l’annoiato e il nervoso.

Invitala a ballare, ripeteva, ormai da diversi minuti, la voce nella testa di Georg. Cosa cazzo aspetti, Hagen?

Non aspettava niente, aveva solo paura di dire o fare le cose sbagliate al momento sbagliato, anche se, come i recenti avvenimenti avevano comprovato, un po’ di avventatezza poteva anche venire premiata.

Datti una mossa, razza di idiota, prima che –

Proprio in quell’attimo Bill si alzò in piedi risoluto e porse a Nicole la propria mano con un sorriso ammiccante.

Mademoiselle, posso avere l’onore di questo ballo?”

E sotto agli occhi di Georg, dopo una breve titubanza, mademoiselle gli concesse quell’onore.

 

***

 

La stasi che sembrava aver preso il dominio della serata non piaceva affatto a Bill.

Aveva atteso a lungo che quell’imbranato di Georg si svegliasse e facesse qualunque cosa, ma lui se n’era rimasto affondato nel divanetto, cupo come un cielo che preannuncia tempesta, senza muovere un muscolo.

Alla fine Bill si era stancato ed aveva deciso di prendere in mano la situazione, così eccolo lì, a ballare – o almeno a tentare di farlo – con Nicole assieme ad un altro centinaio di persone che nemmeno sembravano far caso a loro.

“Stai molto bene stasera.” Le disse, celando la provocazione dietro ad un complimento. Lei nemmeno lo guardò.

“No, non sto affatto bene,” mormorò, quasi atona. “Ma preferirei fare finta di niente, entro i limiti del possibile.”

“Magari ballare ti distrarrà un po’.”

“E se ci fossero dei paparazzi nascosti in giro?”

Non c’era vero interesse o vera preoccupazione nelle sue parole, ma solo l’evidente sforzo di proseguire una conversazione che già da sé aveva ben poco da dire.

“Per questo hai la maschera,” Bill accennò al suo viso. “Resteresti comunque la Ragazza Misteriosa che ha sedotto ed abbandonato Bill Kaulitz.”

Questa volta a Nicole fu impossibile non reagire debitamente.

“Io cosa?”

Codina di paglia?, ridacchiò Bill tra sé e sé.

“Nicole, era una battuta!” la rassicurò immediatamente. “Pietosa, ma lo era.”

Lei gli concesse un accenno di sorriso riconoscente, che però lasciò Bill un poco amareggiato. Era sfuggente, chiusa, e non c’era modo di rallegrarla minimamente. O, per meglio dire, un modo c’era, ma occorreva una doppia collaborazione che per ora proprio non sembrava voler decollare.

“Sei veramente in forma stasera.” Gli disse Nicole, mentre dondolava leggera assieme a lui sulle note di una canzone lenta del tutto ignota.

“Sì?” Arricciò appena le labbra. “Allora anch’io fingo bene.”

Quella dichiarazione toccò Nicole più in profondità del previsto. Lei fece per staccarsi da lui, ma Bill la trattenne.

“Così non mi aiuti, sai?”

Au contraire, Nicole,” replicò Bill, giocando a fare l’enigmatico. “È proprio per questo che ti ho trascinata in pista, anche se era chiaro come il sole che non ne avevi la minima voglia.”

“Mi hai invitata a ballare perché volevi aiutarmi?”

Oui.”

“Non ti seguo.”

A Bill venne un po’ da ridere, ma preferì mantenere la dovuta serietà che l’imminente argomento richiedeva.

“Credo che tu dovresti dirglielo.” Lo disse con la massima calma e disinvoltura, cercando di registrare ogni più insignificante variazione nell’espressione di Nicole, la quale voltò la testa di lato, fissando il pavimento oltre la spalla di Bill, con la massima indifferenza.

“Dirgli cosa?”

Bill soppresse un’esclamazione trionfante.

Ci sei cascata in pieno, mia cara.

“La domanda giusta sarebbe stata: ‘Dire cosa a chi?’,” puntualizzò soave, facendola irrigidire all’istante. “Comunque sia,” proseguì subito. “Non credo dovresti andartene senza dire a Georg cosa provi per lui.”

Nicole insistette a voler fare la parte dell’ignara e gli rivolse qualche battito di ciglia che avrebbe dovuto sembrare perplesso.

“Cosa ti fa pensare che io provi qualcosa per Georg?”

Bill fece spallucce con modestia.

“Io non lo penso,” chiarì. “Si vede.”

“Mi stai sul serio spingendo a confessare a Georg un mio ipotetico sentimento nei suoi confronti?” soffiò Nicole, incredula, ormai del tutto dimentica del ballo e della musica da seguire.

Bill assentì.

“Precisamente.”

“Credevo di piacerti…”

“E mi piaci, infatti,” fece lui con ovvietà. “Altrimenti non ti aiuterei.”

A giudicare dall’atteggiamento di Nicole, non doveva essere stato granché persuasivo, ma non aveva molta importanza. Che lei ci credesse o meno, lui la voleva aiutare.

“Georg è abituato ad avere le ragazze che strisciano ai suoi piedi,” le spiegò. “Sono loro che invitano – anzi, supplicano – lui, di solito, e se devo essere sincero temo che tu l’abbia sconvolto non poco.”

“Io?”  esclamò Nicole, sdegnata.

“Tu, certo, chi altri? Come ho detto, Georg è abituato a scappare dalle ragazze, non a rincorrerle, e io non capisco perché tu ti ostini a negare con tanto spreco di energie qualcosa che potrebbe farti felice.” Bill le pose le mani sulle spalle e la guardò dritto negli occhi. “Fidati, Nicole, quando non hai nulla da perdere, il rimorso è meglio del rimpianto. Sii egoista per una volta, pensa anche a te stessa, non può farti che bene.”

Ed era ovvio che lei fosse stupita da quel ragionamento così profondo che, Bill doveva riconoscerlo, era ben poco da lui, ma sembrò funzionare, perché Nicole annuì.

“Lo so.”

“E allora, dimmi un po’,” Bill la scrutò da vicino, sollevando le sopracciglia. “Cosa diavolo ci fai ancora qui?”

 

***

 

Georg non si sentiva così esausto – sia fisicamente che psicologicamente – da mesi e mesi, e non c’era verso di riuscire a distrarsi, a quella dannata festa.

Aveva lasciato Gustav e Tom al tavolo con Emily per andarsi a cercare qualcosa di più forte da bere di quel blandissimo Irish Coffee che gli avevano portato, ma tutto ciò che era riuscito a rimediare era una Heineken altrettanto blanda, che si stava bevendo in un angolo del salone in fermento, cercando con lo sguardo qualcosa che non voleva vedere.

Non riusciva a non pensare a Nicole, finita chissà dove con Bill, a fare chissà cosa. Su quest’ultimo punto in particolare Georg si era fatto una serie di idee, maturate tra un sorso di birra e l’altro, e non ce n’era mezza che non gli facesse venire voglia di prendere a pugni il muro, anche se per tutto questo non poteva far altro che gridare ‘Mea culpa’.

“Oh, pardon!”

Una ragazza francese lo aveva accidentalmente urtato mentre cercava di farsi strada tra la folla, e ora gli sorrideva dispiaciuta, un bicchiere di champagne in mano.

Era magra come un giunco, alta almeno cinque centimetri più di lui, e, nonostante avesse un bel viso, la sua espressione sembrava vacua, spenta, quasi finta, come il vistoso trucco luccicante tutto sfumature di rosa e lilla che aveva sul viso al posto della maschera. Non si poteva dire che fosse benvestita, più che altro perché non poteva nemmeno dirsi vestita: Georg reputò che le due strisce di tessuto che le fasciavano petto e fianchi dovessero essere una qualche rappresentazione in chiave minimalista di un top e una minigonna (già piuttosto assurdi da indossare una sera di fine febbraio), ed erano per giunta di un’atroce tonalità accesa di rosa che faceva quasi male agli occhi.

Che fosse bella era al di fuori di ogni ragionevole dubbio, ma era come se portasse appiccicata in fronte un’etichetta con scritto sopra ‘sono un’oca’. Il che era già abbastanza sgradevole di per sé, anche tralasciando la nauseabonda tossina al profumo di rose di cui sembrava essere impregnata.

“Non c’è problema.” Rispose lui, senza nemmeno sforzarsi di cambiare lingua, cercando di liquidarla in più galantemente possibile. Non aveva voglia di quel genere di compagnia – per la verità, non aveva voglia di alcun genere di compagnia – ma lei non sembrava in grado di recepire il messaggio.

“Tu vuoi un poco di champagne, sì?” gli chiese in tedesco, ravviandosi con una mano la chioma biondo platino.

No, io non voglio ‘un poco di champagne’, Brigitte Bardot, voglio essere lasciato in pace.

“No, grazie.”

“Mio nome è Jeanne,” gli disse, porgendogli la mano ossuta, che lui si ritrovò a stringere in automatico, peraltro con l’impressione di avere fra le dita un fascio di fragili spaghetti di soia. “Tu sei Georg di Tokio Hotel.” Aggiunse poi, come se a lui servissero delucidazioni circa la propria identità.

Gli erano sempre piaciute le francesi, ma, per qualche motivo, l’accento di questa gli procurava un fastidio innato, soprattutto quando faceva ricadere l’intonazione sull’ultima sillaba del suo nome, per di più con quel sorriso così palesemente posticcio.

Lasciami in pace, baguette insipida…

Ma, ovviamente, Jeanne sembrava intenzionata a tutto fuorché lasciarlo in pace. Allungò una mano verso di lui e gli sfiorò il braccio con una confidenza eccessiva, considerando il fatto che si conoscevano – se così si poteva dire – da più o meno dieci secondi.

“Tu mi piace tanto.” Mormorò leziosa, muovendo un passo verso di lui.

Tu no, rispose lui nella propria testa, arretrando d’istinto, quindi smettila di molestarmi.

“Solo un bacio.” Disse lei avvicinandosi ancora, con un tono che, per essere fine, Georg avrebbe solo potuto definire lascivo. Lui non mosse più un muscolo.

“Solo un bacio.”

Tre parole così stupide.

“Solo un bacio.”

Così aveva detto Bill, quando aveva rivelato di aver baciato Nicole, come se un bacio fosse sempre e solo un bacio, come se non potesse esserci nient’altro che un incontro fisico, in un gesto così. Come se un bacio altro non fosse che una stretta di mano alternativa.

“Solo un bacio.”

E anche se quella Jeanne non gli piaceva, anche se non aveva il minimo senso che lei fosse lì a pretendere baci da lui, Georg si sentiva così accecato da quel sentimento soffocante – qualunque esso fosse – da non desiderare altro che cercare di seppellire quel ricordo con un qualunque mezzo fuorviante.

Ho fatto tutto quello che potevo per farti capire, Nicole…

La ragazza gli avvolse le braccia attorno al collo e lo bloccò contro il muro.

Tutto quello che potevo…

Lui la lasciò fare.

Mi arrendo.

In quell’istante, lì, in quell’angolo della sala gremita di persone, l’unico mezzo fuorviante che avesse a portata di mano era Jeanne, che chiedeva di essere baciata, e lui, così avventatamente, così stupidamente, in un modo così squallidamente vuoto, decise di accontentarla.

 

***

 

Nicole si guardava febbrilmente intorno, ma trovare una persona in mezzo a quel brulichio di persone era come cercare un ago in un pagliaio. Aveva addirittura perso Bill in mezzo alla folla.

Si sentiva smarrita, ma il suo sguardo non smise di vagare, cercando. Alla sua sinistra, un nutrito gruppo di giovani uomini con maschere variopinte le lanciava delle occhiatine sfuggenti, e pochi metri davanti a lei, una coppietta si stava abbandonando a delle effusioni piuttosto esplicite. Nicole stava per passare oltre, ma si bloccò prima di riuscire a muovere un passo, perché quelle mani sui capelli della ragazza erano così familiari da toglierle il respiro, e così anche il volto del ragazzo, quando questi sollevò la testa per guardare al di sopra della spalla della ragazza.

Due occhi verdi le si puntarono addosso sconvolti, raggelandola.

Gli mancavi proprio tanto, eh?, sibilò il suo perfido raziocinio.

Nicole avrebbe voluto essere inghiottita seduta stante in una voragine buia. Il cuore le pulsava in fondo alla gola, così intensamente da farle girare la testa, e le sue gambe non volevano saperne di obbedire all’ordine di portarla via di lì. Tutto svanì, tranne quegli occhi ed un’irrazionale desiderio di dissolversi nel nulla.

Georg lasciò andare la ragazza e fissò Nicole, frastornato e visibilmente turbato.

Lei ebbe come un flash nella propria mente: vide quella scena ritratta in qualche fotografia e pubblicata su un giornale scandalistico, con tanto di titolo clamoroso in cima: ‘Georg Listing from Tokio Hotel and his brand-new prey kissing at a party in Marseille.’

La ragazza era meravigliosa, con gambe lunghissime ed un fisico che solo una modella avrebbe potuto avere. Nicole si sentì immensamente sciocca a starsene lì impalata a guardare, incapace di muoversi o anche solo pensare, ma cominciava a capire come doveva essersi sentito Georg quando aveva visto quelle immagini sul Sun.

Georg si divincolò rapidamente dalle mani della sconosciuta, che cercavano di trattenerlo, ma Nicole non voleva interrompere niente. Senza aspettare che lui riuscisse ad arrivare a lei, si voltò e fece per andarsene via, ma in quell’esatto istante si scontrò contro qualcuno, ed un paio di esili mani la afferrò bloccò.

“Nicole, eccoti qui!”

La voce di Bill – così dolce e rassicurante – fu come un appiglio a cui aggrapparsi in quell’attimo di confusione totale. Nicole si abbandonò inerme contro il suo petto e si lasciò avvolgere con sollievo dalle sue braccia premurose.

“Hey,” Bill la squadrò perplesso, cercando di farsi sentire al di sopra di Mr Brightside dei Killers, che suonava dalle casse sparse qua e là per la sala. “Cos’è successo?”

‘It started out with a kiss, how did it end up like this?’

Lei guardò altrove.

Non farmelo dire…

“Nicole, è successo qualcosa?”

‘It was only a kiss…’

Con un fil di voce, lei negò.

“Niente. Andiamo via, per favore.”

‘It was only a kiss…’

 

***

 

Georg non ebbe la forza di muoversi davanti a Nicole e Bill, che stavano uscendo l’una accanto dell’altro, la mano di lui appena appoggiata alla base della schiena di lei, proprio come una delle tante coppie che c’erano in giro. Avrebbe voluto andare da lei e spiegarle – forse scusarsi, chiarire – ma cosa, poi? E perché?

Cosa avrebbe dovuto importare a Nicole se lui aveva baciato un’emerita sconosciuta?

Niente.

Faceva qualche differenza, per lei, se Georg Moritz Hagen Listing si intratteneva con la prima venuta?

Nessuna.

Poteva forse lui avere la presunzione di dire che la cosa l’avesse toccata?

No.

No, perché prima ancora che tutto quel ragionamento avesse avuto inizio nella sua mente, Bill era spuntato dal nulla, e Nicole lo aveva guardato con una tale sollievo nello sguardo che nessuno avrebbe osato intervenire. Il quadro era completo, non restava altro da aggiungere, se non la parola ‘fine’ e l’ovazione conclusiva.

Restò a fissare la mano di Bill che si stringeva al fianco di Nicole, completamente impotente.

Bill si chinò verso di lei, sussurrandole qualcosa all’orecchio, e Georg si sentì trafiggere dal dardo della gelosia ancora una volta.

Finisce così, allora, pensò, amareggiato. È qui che cala il sipario e il pubblico applaude…

E Gustav aveva avuto ragione, quel giorno, dopo quella partita a pingpong in cui Bill lo aveva clamorosamente stracciato.

“Dovresti imparare ad ingoiare le sconfitte, Georg.”

Ma lo shock nello sguardo di Nicole, allora? Era stata tutt’altro che felice di vederlo darsi da fare con quella Jeanne, non si poteva negare. Non era qualcosa che lui aveva visto perché voleva vederla. Era stata reale, vera.

Non puoi lasciar correre anche stavolta, si disse, determinato.

E così fece quello che avrebbe dovuto fare fin dall’inizio: ingoiò l’amarezza di vederla assieme a Bill, mando giù il prurito che sentiva salirgli alle mani e la voglia di andarsene e basta, solo per non vedere. Piantò in asso Jeanne senza mezza parola, ma questa non parve preoccuparsene troppo, o forse era semplicemente lui che non sentiva niente all’infuori di un acuto sibilo nelle orecchie. A passo lento ma deciso, avanzò verso il centro della sala, attraverso le persone che ballavano, e raggiunse Bill e Nicole.

“Nicole…”

Lei si voltò, gli occhi lucidi ma imperscrutabili, quasi ostili.

“Hai già finito con lei?” domandò, gelida.

“Non ho nemmeno cominciato.” Replicò lui, rigido.

“A me sembravano degli ottimi preliminari.”

“Che cosa ti aspettavi, posso saperlo?” esplose Georg. “Mi respingi, e io dovrei starmene tutta la vita a piangermi addosso perché tu hai preferito lui a me? Non è una novità, sai?”

“Io ti cosa?”

‘Mi dispiace Georg’…” la citò lui, ricordando il loro piccolo momento in ascensore. “Per cosa ti stavi scusando, se non per questo?”

“Io… Non lo so.”

“Io sì.”

“Tu non sai un bel niente!”

“Allora spiegami, cazzo!”

Le loro urla avevano attirato l’attenzione di buona parte dei presenti, che avevano abbandonato le rispettive occupazioni davanti all’irrinunciabile prospettiva di farsi gli affari altrui, soprattutto visto che gli altrui erano metà della formazione dei Tokio Hotel e una ragazza mascherata dai capelli rossi che probabilmente alcuni di loro avevano già ricondotto alla stessa del Sun.

Sorprendentemente, fu Bill ad avere la prontezza di spirito di avanzare un saggio suggerimento.

“Forse è meglio che voi due andiate a parlare in un posto più tranquillo.”

Georg a stento credeva alle proprie orecchie: Bill Kaulitz aveva appena consigliato a lui e a Nicole di restare soli a parlare, e senza nemmeno mostrare troppo fastidio, ma a quel punto non gli interessava più trovare un senso ad ogni cosa, perché si era reso conto che quell’intera storia aveva effettivamente ben poco senso, se osservata da un punto di vista troppo ristretto. C’erano un’infinità di cose che gli ci erano voluti secoli per capire, altre che ancora non aveva compreso, e altre ancora che probabilmente sarebbero rimaste misteri in eterno, ma ora come ora, presentandosi l’occasione, un minimo di luce la voleva fare.

Seguendo il consiglio di Bill, lui e Nicole lasciarono il caotico salone e presero a camminare per i corridoi, rifuggendo la gente che sembrava essere arrivata ovunque. Dovettero raggiungere la hall dell’hotel per trovare un po’ di quiete, ma, anche lì, gli sguardi indiscreti non mancavano.

Presero allora l’ascensore, visto che sembrava essere un luogo propizio per la conversazione, e selezionarono l’ultimo piano, il tutto senza fiatare.

Si appoggiarono con la schiena alle pareti, l’uno di fronte all’altra, senza fiatare e senza osare guardarsi. Fu Nicole, alla fine, a rompere il ghiaccio.

“E così siamo di nuovo qui,” gli lanciò un’occhiata obliqua.

“Allora, cosa vogliamo fare?” chiese Georg, profondamente a disagio mentre lei gli sembrava allontanarsi ogni secondo di più..

Come si può essere così distanti in uno spazio tanto ristretto?

“Tu cosa vuoi fare?” domandò lei pacata.

“Voglio capire,” dichiarò lui asciutto. “Capire perché riusciamo ad affrontare certi discorsi solo mentre siamo chiusi in un ascensore, perché i giornali pubblicano foto tue e di Bill in atteggiamenti compromettenti, perché passi la serata con lui e poi fai tante storie nel vedermi con un’altra…” una pausa per respirare. “Perché sinceramente tutto questo mi confonde.”

“Quelle foto sono un colossale equivoco!” sbottò lei con uno scatto che le fece sciogliere buona parte dei capelli sulle spalle. “Lo abbiamo già spiegato tutti e due. Credevo che a Brenda fosse successo qualcosa di serio, Bill mi stava rassicurando!” Stava quasi ansimando e la sua voce si era fatta roca. “E non ho passato la serata con lui,” aggiunse poi. “Abbiamo parlato, di cose molto serie. Anche di te, se la cosa ti può interessare.”

Georg si tirò su e le si piantò davanti, incollerito. Non solo i progressi tra lei e Bill erano stati tali da permettere loro di entrare tanto in confidenza, ma addirittura parlavano liberamente di lui alle sue spalle.

“Ed era necessario che parlaste a stretto contatto?”

“Stavamo ballando!”

“Quando io voglio parlare con qualcuno, non lo invito a ballare.”

Nicole scoppiò in una risatina sprezzante.

“Sì, questo l’ho notato.”

E a te cosa importa?, ringhiò Georg, esasperato da quel tira e molla continuo che non arrivava mai ad un punto, d’incontro o di rottura definitiva che fosse.

Le sue dita si strinsero sulle braccia nude di Nicole, mentre i suoi occhi la facevano immobilizzare.

“Che cosa vuoi, Nicole?” la interrogò con una pazienza fittizia. “Dimmelo, perché io non capisco più niente! Ti perdi dietro a Bill, e poi vieni a farmi certe scenate non appena cerco di non pensare a te per un minuto! Cosa cazzo vuoi da me, si può sapere?”

Lei respirava a fondo, il petto che si muoveva lentamente ogni volta, ma sosteneva il suo sguardo con determinazione.

“Vuoi davvero sapere cosa ci stavamo dicendo io e Bill?” Era arrabbiata, furiosa, o forse ferita, o forse entrambe le cose. “Bene! Mi ha chiesto di ballare perché tu non sembravi intenzionato a farlo e, visto che gli piaccio, ha deciso di approfittarne.”

“Buono a sapersi.” La interruppe lui bruscamente, lasciando la propria presa su di lei.

“E mentre ballavamo mi ha detto che avrei dovuto pensare a me stessa e stare con chi volevo veramente, almeno per una volta, e io…” Deglutì, tirando su con il naso mentre stringeva i denti e sospirava. “Io sono venuta a cercare te.”

Una lacrima tinta di nero le scivolò lungo la guancia ed il collo, scomparendole tra i capelli, ormai del tutto sciolti.

Georg impiegò diversi secondi ad elaborare ciò che aveva sentito.

Aveva rovinato tutto? Quel suo gesto così stupido aveva rovinato tutto prima ancora che qualcosa potesse nascere?

Nicole lo fissava, singhiozzando sommessamente, le mani serrate in due pugni frementi.

Invocando mutamente il suo perdono, Georg sollevò lentamente le mani e le tolse la maschera con gentilezza. Quando la abbassò, dietro di essa trovò Nicole – la vera Nicole – piena di timori ed incertezze, dominata da preoccupazioni troppo più grandi di lei, ed era quella la Nicole di cui si era innamorato, la sua Nicole, quella che stava morendo dalla voglia di stringere a sé per non vedere la paura nei suoi occhi spalancati.

Georg smise di pensare e riflettere, mandò a quel paese tutti i vari ragionamenti che si era fatto da diversi giorni a quella parte e prese il volto rigato di nero di Nicole tra le proprie mani, mentre un brivido elettrico percorreva entrambi.

E adesso – adesso che il trucco era rovinato e l’acconciatura disfatta, adesso che la maschera era caduta e non c’era più quel muro ostinato a farle da scudo – adesso sì che era bella.

“Che coglione che sono...”

Ma a Nicole sembrava non importare più del suo errore, né del diverbio appena affrontato, né della francese, né di qualunque altra cosa. Gli sorrise da dietro le lacrime che ancora non avevano smesso di scendere e gli poggiò le mani sul torace, ed un invito più esplicito Georg non lo aveva mai visto.

Sorridendole in risposta – dubbioso, insicuro, esitante, ma così desideroso di farlo – chinò il capo verso di lei e, senza riuscire ad aspettare oltre, il cuore che gli martellava come impazzito nel petto e la testa che vorticava, le si avvicinò piano.

Le dita di Nicole afferrarono saldamente il collo della camicia di Georg, e lui si sentì attirare verso di lei, e dopo tutto quel trambusto e quelle incomprensioni, dopo le lunghe e logoranti attese piene di ‘se’, ‘ma’ e ‘forse’, accostò lentamente le proprie labbra alle sue e, finalmente, la baciò.

 

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Note: capitolo pubblicato prima del dovuto dietro a gentile minacc- ehm, richiesta di Muny_4Ever, che ha la febbre e le serve qualcosa per distrarsi. ;)

Che dire, se non le solite cose? Grazie di aver letto e a chi commenterà, etc… Ma stavolta commentare è d’obbligo, mi pare, no? Allora, che ne dite? Sembra che un paio di teste dure abbiano cozzato, finalmente! ^^ Qualche scintilla è scoccata, quindi vi preannuncio fuoco e fiamme, e non aggiungo altro. ;) La canzone citata è, come già annunciato all'interno della narrazione, la bellissima Mr Brightside dei Killers, le cui parti citate vi traduco qui: "è iniziato tutto con un bacio, come ha fatto ad andare finire così così?/era solo un bacio/era solo un bacio..."

Alla prossima!

P.S. 400 recensioni! Ragazzi, vi adoro, grazie di tutto quanto, anche solo per aver cliccato e letto qualche riga, siete un pubblico fantastico! ^^

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Capitolo 21
*** Reden ***


Se esisteva in natura una qualsiasi maniera per sfiorare la morte e tornare alla vita nel giro di un battito di ciglia, Nicole era certa di averla appena sperimentata.

Sentiva il sapore amaro di caffè di Georg nella propria bocca, i suoi palmi ruvidi che le stringevano delicatamente il viso, mentre lui la teneva avvinta a sé con quel bacio travolgente che troppo a lungo aveva atteso di essere dato, e ricevuto.

Le labbra di Georg erano leggermente screpolate, ma morbide e sensuali, e giocavano con le sue come se sapessero esattamente cosa lei volesse e come. Nicole non aveva baciato molti ragazzi, nella propria vita, ma solo ora si stava rendendo conto che nulla di ciò che avesse provato finora poteva definirsi ‘bacio’ in confronto a questo.

Respirare sembrava diventato un optional assolutamente non fondamentale, così come la facoltà dell’autocoscienza, che andava sbiadendo sempre più verso un totale abbandono agli eventi, alle emozioni, con un crescere preoccupante delle pulsazioni, che le parevano tanto intense da essere quasi assenti.

Non c’era più niente, al di fuori di quel bacio.

Il bacio…

I pensieri erano brandelli sconnessi, stralci di qualcosa che provava ma che non riusciva a tradurre in elementi razionali, un’ombra vaga su un’ondata soverchiante di percezioni più forti di quanto avesse mai provato.

Di Georg.

Si era concessa di sognarlo, qualche volta, lo aveva immaginato spesso, chiedendosi se e come si facesse a distinguerlo, a capire la differenza tra un bacio e il bacio, ma non aveva mai creduto veramente che ci fosse un confine reale e tangibile tra i due. Non aveva mai creduto che qualcosa di così fisico potesse comunicare qualcosa di così impalpabile come un sentimento, ancor meno così efficacemente.

Si era sbagliata di grosso.

Quando Georg lasciò le sue labbra, Nicole si sentì come una bomba sul punto di esplodere disinnescata all’ultimo momento: ogni sensazione in lei era amplificata di migliaia di volte, ogni suo millimetro di pelle sembrava essere diventato ipersensibile, e le dita di Georg, che scorrevano lentamente giù dal viso verso le sue braccia nude mentre lui sembrava perso nei suoi occhi, le stavano causando delle strane vampate di calore diffuso, accompagnate da un vago tremore e dei brividi che ormai aveva, volente o nolente, imparato a conoscere e riconoscere.

Il brivido di sapere che è me che sta guardando in questo modo così intenso.

Era egoista da parte sua pensare una cosa simile? Dire a se stessa che si era guadagnata uno sguardo che migliaia di ragazze sparse per il mondo avrebbero pagato per avere per sé la faceva forse peccare di presunzione?

Eppure…

Le labbra di Georg, ancora umide, si distesero in un sorriso sfumato da una timidezza che Nicole non aveva mai visto, in lui, ma che le si insinuò dentro fino a toccarle e scioglierle il cuore.

Eppure questo è per me.

Si chiedeva cos’avesse di speciale per meritarsi uno sguardo così, cosa ci fosse di straordinario, in lei, che potesse accendergli quella scintilla negli occhi.

Era quello l’aspetto di una persona innamorata?

Le venne in mente il modo in cui erano soliti guardarsi Brenda e Gabriel. Avevano quello stesso luccicore, quella stessa espressione, come se contemplassero l’intero mondo in uno specchio dal volto umano. Anche i suoi genitori si erano spesso guardati in quel modo.

Sì, quello era l’aspetto di una persona innamorata.

Nicole si era sentita speciale – veramente speciale – solo due volte in tutta la sua vita: quando, a nove anni, aveva vinto quella gara di equitazione e i suoi genitori le avevano detto con commozione che erano fieri di lei, e poi a quindici anni, quando aveva guardato negli occhi la sua Emily per la prima volta, sentendosi orgogliosa di avere dato la vita a qualcosa di così meraviglioso e perfetto. Ora, ad anni di distanza, Nicole ricordò quel sentore appagante di sentirsi speciale, e non aveva meriti particolari, stavolta, se non quello di essere stata se stessa dall’inizio alla fine.

La fine.

Si sentì pervasa da un’insopportabile malinconia, un diffuso senso di vuoto che le mise addosso un gelo improvviso. Sentì un paio di grosse lacrime tiepide scenderle sulle guance e morire sulle mani di Georg.

“Accidenti, bacio così male?” ci scherzò sopra lui, e riuscì a strapparle un piccolo singulto che avrebbe potuto passare per una piccola risata strozzata.

Nicole si sentiva nuda ad essere scrutata da lui in quel modo, era come se quel bacio gli avesse garantito libero accesso alla sua mente, alla sua anima, e si chiedeva cosa ci avrebbe trovato, visto che a lei stessa risultava così difficile distinguere una sensazione dall’altra.

“Vedo tanta paura in te,” le sussurrò, mentre con il pollice le asciugava una lacrima. “Perché appena qualcuno riesce ad avvicinarsi un po’ a te, tu ti ritrai come se ti fossi punta o scottata? Cos’è che ti spaventa così tanto?”

“La mancanza.”

“Vuoi dire che ti mancherò?”

“È una domanda retorica, vero?”

“Qualunque sia la risposta, non avevo la minima intenzione di lasciarti andare senza farti giurare che ci rivedremo, presto e spesso.”

“Perché?”

Che domanda ingenua.

“Perché siamo arrivati fin qui,” disse lui, con una leggerezza con non combaciava con la sua espressione seria. “E non è giusto che tutto finisca solo perché c’è qualche chilometro a separarci.”

“Mi stai dicendo che vuoi… Un cosa seria?” Nicole temeva di aver capito male. “Impegnata?”

Georg annuì.

“Vorrei davvero che funzionasse, Nicole, ci tengo davvero, e, a meno che tu non la pensi diversamente, so che ce la possiamo fare.”

“Lo credi veramente?”

Lui corrugò appena la fronte.

“Sì,” rispose sicuro. “E non si tratta solo di noi due, di me e di te, questa non è la turbolenta storia di Georg e Nicole, questa è la storia di Georg, Nicole, Emily, Gustav, Bill e Tom, e sono fermamente convinto che nessuno dei protagonisti abbia voglia di sentire la mancanza di uno o più degli altri.”

“Hai appena detto una cosa perfidamente bellissima.”

“Dimmi che la cosa perfidamente bellissima ti ha convinta che questo rapporto strano ma vero che è nato tra tutti noi non può essere troncato così, senza nemmeno un’occasione di maturare.”

“E come? Voi avete i vostri impegni, siete sempre in giro…” Lo chiedeva con rammarico, obbligandosi a razionalizzare quella possibilità: che futuro poteva esserci per due persone appartenenti a mondi così diversi?

L’ascensore di fermò. Il primo istinto di Nicole fu temere di nuovo un blocco, ma poi notò che avevano raggiunto l’ultimo piano. Georg allora si affrettò a premere il tasto del quinto piano, quello delle loro stanze.

“Noi siamo sempre in giro per circa tre mesi all’anno,” le disse poi. “Al di fuori dei tour, abbiamo impegni vari ma saltuari. Posso – possiamo – venire a trovarvi a Lipsia, voi potete venire a trovare noi… Non è impossibile.”

“Ma è improbabile.”

“Questo dipende da quanto tu desideri che funzioni.”

“Non puoi immaginare quanto, ma è… È folle!”

“Ma non impossibile.” Insisté lui, e dalla sua espressione Nicole capì che sapeva di essere stato più che convincente. “Allora?”

“Allora è una decisione che non poso prendere così, su due piedi.”

Georg sembrava essersi aspettato una risposta del genere, ma mostrava comunque una velata delusione.

L’ascensore si arrestò al quinto piano e le porte si aprirono. Georg uscì e porse la propria mano a Nicole, invitandola a seguirlo.

Era stata una serata sorprendentemente intensa, finora, ma nonostante tutto quello che era successo – la chiacchierata con Bill, la scenata con georg, il bacio – quel gesto così semplice ad apparentemente insignificante fu per Nicole la cosa più bella e romantica di tutte, dolce ed intima, rassicurante.

Lo raggiunse ed intrecciò la propria mano nella sua. Non fece domande mentre lui la guidava verso la fine del corridoio deserto, ma una cosa era certa: stavano andando verso la sua stanza.

C’era una lunga serie di implicazioni al riguardo, e Nicole era abbastanza navigata da saperle considerare tutte, alcune delle quali le fecero salire un imbarazzante bollore alla gote.

“Non pensare a chissà che,” disse Georg, due fossette nelle guance, mentre si sfilava la chiave magnetica dai jeans e la passava nella serratura, senza però lasciarle la mano. “Voglio solo darti una cosa.”

***

 

Tom sedeva annoiato nel loro privée, le braccia adagiate svogliatamente lungo lo schienale, la gambe divaricate in modo ben poco raffinato, ma non gli importava granché. Gli scocciava ammetterlo, ma era troppo dispiaciuto per l’imminente partenza di Nicole ed Emily per godersi la festa o anche solo fare finta.

La musica gli faceva schifo, i drink erano pietosi e per di più quasi tutte le belle ragazze erano già accompagnate. Non c’era più nemmeno Emily a farlo ridere, perché aveva voluto vedere a tutti costi il titanico acquario che occupava quasi metà della parete in fondo alla sala, così Saki ce l’aveva accompagnata un paio di minuti prima, lasciando un altro paio di bodyguards a sorvegliare con discrezione la zona.

Tom aveva già cominciato a meditare la fuga, quando dal nulla comparve Bill, le mani infilate in tasca e una faccia strana. Di Nicole nessuna traccia.

“Hey, cos’è quel muso lungo? Dove hai lasciato Nicole?” gli chiese Tom, quando lui si lasciò cadere mollemente sul divanetto, accanto a Gustav.

Senza dar segno di volerlo calcolare, Bill afferrò un bicchiere a caso dal tavolino – il Baileys alla menta di Gustav – e si mise a sorseggiarlo con disinvoltura.

Non ci voleva un genio per capire che qualcosa non andava.

“Bill?”

Tom e Gustav si scambiarono uno sguardo perplesso. Seguì un silenzio piuttosto prolisso, ma alla fine, quando il bicchiere fu vuoto, Bill si decise ad interrompere la propria omertà.

“Nicole è con Georg.” Sospirò, in tono lievemente amareggiato ma tranquillo.

Era una risposta essenziale, chiara e concisa, che spiegava molte più cose di quel che potesse sembrare. Per Tom fu praticamente automatico associare quell’umore cupo improvviso a quella rivelazione, e anche per Gustav sembrava altrettanto scontato.

Tom pensò a Georg e a come si era sempre tenuto in disparte, anche nonostante l’evidente debole che aveva per Nicole, e, pur dispiacendosi per la palese delusione di Bill, non poté che augurarsi che Georg riuscisse a mettere finalmente in chiaro tutto quanto con Nicole.

Il vero interrogativo riguardava però il dopo, quello che sarebbe successo l’indomani, quando lei ed Emily se ne fossero andate. Era tutto un tale casino che gli veniva il mal di testa solo a pensarci.

Chissà, magari il caro Listing opererà il miracolo e la convincerà a restare…

Ma non sarebbe successo, Tom lo sapeva. Aveva imparato a conoscere Nicole, non sarebbe tornata su una decisione come quella, nemmeno per un paio di supplichevoli e sensuali occhi verdi da cui a stento riusciva a staccarsi.

“Ne vuoi parlare?” domandò a Bill, appoggiandosi con i gomiti alle proprie ginocchia.

“Di che cosa?”

L’unico motivo per cui Tom non gli sferrò un calcio irritato era perché c’era Gustav di mezzo.

“Del collasso delle iperrealtà applicato all’entropia capitalistica post moderna,” sbuffò sarcastico, roteando gli occhi. “Bill, ma di cosa cazzo potresti voler parlare in un momento simile?”

Bill incrociò le braccia ed accavallò le gambe compunto.

“Non mi va di parlare di Georg e Nicole.”

“Ma…”

“Senti,” sbottò Bill, alterato. “A me Nicole piace, va bene? E io piaccio a lei, questo è stato chiaro fin dall’inizio,” Emise un flebile sospiro. “Ma non sono così ingenuo da non capire che Georg le piace in un modo diverso.”

Le dimostrazioni di maturità da parte di Bill erano avvenimenti più unici che rari, e nessuno poteva saperlo meglio di Tom, ma questa volta si era rivelato particolarmente sorprendente. Non era da lui comportarsi così disinteressatamente, il suo concetto di fare del bene prevedeva sempre un valido tornaconto, e non per egoismo, come molti potevano erroneamente pensare, ma per una mentalità ancora molto infantile che richiedeva una gratifica per ogni buona azione. Questa volta non solo non esisteva alcuna gratifica, ma c’era addirittura da perderci. Eppure eccolo lì, Bill, imbronciato ma sereno, che confessava di aver spontaneamente rinunciato a qualcosa a cui tenesse per il bene di qualcun altro.

La mamma non lo deve venire a sapere. Si metterebbe a piangere dalla commozione e gli farebbe erigere un monumento. Come se il fratellino non godesse di attenzioni sufficienti…

Gustav gli sorrise e gli assestò un paio di pacche amichevoli sulla schiena.

“Siamo fieri di te, per quel che vale.”

E Bill, con stupore sempre maggiore di Tom, gli restituì il sorriso, accompagnandolo con un faccino da cucciolo coraggioso che avrebbe messo in ginocchio anche l’animo più duro della terra. La delusione gli sarebbe passata, Tom lo conosceva, si sarebbe ripreso molto presto. Se fosse stato veramente innamorato di Nicole, non sarebbe stato avvicinabile nemmeno da un carro armato supercorazzato.

Gli sorrise anche lui, ma in modo diverso, un po’ per stuzzicarlo, un po’ per comunicargli, in modo molto personale, che anche lui era fiero del suo comportamento.

Come crescono in fretta, ridacchiò con se stesso.

 

 

***

 

Georg aprì la porta a Nicole e le cedette galantemente il passo. Entrando nella stanza, lei lanciò un’occhiata alle sue preziosissime scarpe e si accigliò.

“Un altro regalo?”

Georg accese la luce dell’ingresso della vasta suite, che era una delle più belle camere d’albergo che Nicole avesse mai visto, e la lasciò accanto al divano per andare a recuperare un pacchetto dalla scrivania accanto alla tv, che lei riconobbe come la confezione di un cellulare nuovo di zecca.

Georg glielo porse.

“Tranquilla, stavolta non ho speso un centesimo, è un regalo riciclato.”

“Oh, wow,” fece Nicole, rigirandosi l’oggetto tra le mani. “Sono lusingata.”

Era un Nokia dall’aspetto molto tecnologico e costoso, nero e lucido, nuovo di zecca.

“Ce li hanno regalati,” le rivelò, presumibilmente notando la sua riluttanza ad accettarlo. “Ma non ho bisogno di un cellulare nuovo.” Indicò la scatola. “C’è una sim, dentro, con salvato il mio numero personale, quello che hanno solo i miei e i ragazzi.”

Nicole spalancò gli occhi, incredula: diceva davvero, allora, voleva veramente fare sul serio.

“Tienili,” proseguì Georg. “E se e quando avrai voglia di sentirmi, chiamami, anche a notte fonda. In questo caso non ti garantisco che il mio sonno più che pesante mi consentirà di rispondere, ma almeno vedrò la chiamata e saprò che ti ricordi ancora che esisto.”

“Come se io potessi dimenticarmi della tua esistenza,” replicò Nicole. “Ormai anche i sassi parlano di voi.”

Georg inarcò le sopracciglia, uno sorriso non del tutto trattenuto che gli stiracchiava gli angoli della bocca.

“Perché se non fosse per quello, mi dimenticheresti.”

“Ovvio.”

“Sono commosso.”

“Lo immaginavo.”

Georg si passò la lingua sulle labbra, fissandosi le mani. Ancora quell’accenno di timidezza.

“Allora,” disse in un sussurro, voltandosi verso di lei. “Ti fidi di me se ti dico che voglio che funzioni?”

Nicole non sapeva cosa rispondere.

‘Mi fido’, diceva il suo cuore, ma la sua testa non faceva che urlare ‘È una celebrità, stupida, e tu non sei nessuno! Non può funzionare!’.

“Fino ad un certo punto,” disse infine, maledicendosi per la freddezza involontaria che le era uscita. “Non mi fraintendere, lo so che sei una bella persona,” aggiunse in fretta, con più dolcezza. “Ma anche le belle persone sbagliano, siamo umani e deboli, ma io non so se sarei in grado di sopportare una delusione così.” Nicole si appoggiò con la schiena al muro, senza osare guardare altro che il pavimento. “E se un giorno tu ti stancassi di tutto questo? Di aspettare sempre il momento giusto per vederci? E se ti capitasse una ragazza come quella di prima?” Uno per uno, tutti i suoi dubbi e timori stavano venendo a galla, e più parlava, meno si convinceva che ci fosse qualche possibilità reale che potesse funzionare. “Francamente, non potrei nemmeno biasimarti se tu cedessi alla tentazione.”

Georg le si accostò esitante.

“Nicole,” Il suo tono pacato veleggiò fino a lei come una carezza. “Dimentica quella ragazza, è stata una cazzata, mi sono aggrappato come un idiota alla prima cosa che non fossi tu, perché credevo che tu e Bill…” Si interruppe, cambiando rapidamente filo del discorso, ma Nicole aveva perfettamente capito cos’era stato sul punto di dire, e cosa intendeva.

Chiodo scaccia chiodo, o almeno ci prova.

“Insomma,” Riprese Georg. “Tu cosa sceglieresti tra concederti una scappatella facile e aspettare la persona a cui tieni veramente?”

Era un giro di parole contorto e sottile, ma diceva qualcosa di importante che fece vacillare pesantemente la precedente convinzione di Nicole che quel discorso si fondasse su una prospettiva impossibile.

Vide i suoi occhi brillare alla fioca luce azzurrognola che giungeva dall’ingresso mentre anche lui si appoggiava al muro, e si scoprì incapace di mentire, sia a se stessa che a lui.

“Se sapessi che ci sei tu ad aspettarmi,” sussurrò, spostandosi di fronte a lui. “Io aspetterei.”

 

***

 

Un disarmante senso di euforia mista a stordimento colpì Georg in pieno stomaco, inibendo ogni sua funzione vitale. Si perse in quello sguardo che non sapeva leggere, e non riuscì ad impedirsi di lasciare scivolare la propria attenzione verso il basso, verso le labbra schiuse di Nicole.

Non posso baciarla, si ripeté più e più volte. Se la bacio adesso, qui, non riuscirò più a fermarmi…

Ma più lo pensava, meno il suo cervello sembrava rispondere alle sue disperate richieste di impedire alla propria testa di chinarsi lentamente verso quella di Nicole.

Non dovrei…

Si bloccò ad un soffio da lei, rigido come un pezzo di marmo ed altrettanto gelido dentro, investito in pieno da un’improvvisa resurrezione del proprio senno.

Non posso.

Aggrappandosi ad una misteriosa forza di volontà aliena, fece per risollevarsi, ma fu proprio allora che accadde l’impensabile, quello che a lungo aveva accarezzato nella propria mente, ma che era stato assolutamente certo non sarebbe mai accaduto: Nicole gli afferrò con una mano il collo della camicia, esattamente come in ascensore, e lo attirò a sé, congiungendo le proprie labbra con le sue in un impatto così febbrile da sembrare quasi violento.

Il mondo attorno a Georg si fermò, e poi scomparve in un lampo di luce che riconobbe come l’esplosione finale di troppe emozioni represse.

Lei si avvicinò ancora a lui, fino a che i loro corpi non furono completamente l’uno contro l’altro, e allora sollevò le mani e gliele posò ai lati del viso. Il modo in cui lo sfiorò con le dita gli fece venire la pelle d’oca e provocò un netto sussulto al suo cuore, che pulsava a velocità tale da sembrare fermo. Le sue mani abbandonarono completamente ogni connessione con la sua volontà cosciente e si misero a rispondere automaticamente agli stimoli derivanti dal piacere suscitato dal tocco di Nicole: scesero a posarsi sui suoi fianchi e la trassero verso di lui, mentre le loro labbra si incontravano di nuovo, in un bacio più consapevole e profondo del primo.

Dentro di sé, Georg si domandava se sarebbe mai più riuscito a lasciarla andare.

I muscoli del suo addome si contrassero non appena il bacio si approfondì e lo schiudersi delle loro labbra permise all’una e l’altra lingua di incontrarsi. Nel turbine di sensazioni che lo stava avvolgendo, avvertì distintamente le unghie di Nicole rigare il suo petto contro la camicia, facendolo fremere lievemente, poi, uno dopo l’altro, i bottoni furono slacciati da movimenti abili e rapidi, e si ritrovò così con il torace scoperto. Il polpastrelli freddi di Nicole si posarono su di lui senza esitazioni, mentre il loro bacio si rompeva e le labbra di lei scendevano verso il collo, lasciandosi dietro una calda scia eccitante.

Quando Nicole prese a stuzzicargli il pomo di Adamo, Georg rinunciò a resistere ulteriormente: con un movimento repentino, le prese il viso tra le mani e la baciò nuovamente sulla bocca, invertendo le posizioni e facendola così finire con la schiena contro il muro. Lei respirava a fatica, il petto che saliva e scendeva veloce, lasciato deliziosamente scoperto dalla conturbante scollatura dell’abito.

Le pose una mano sulla nuca, mentre l’altra risaliva voluttuosamente la sua coscia, sollevando il leggero strato di raso che la velava.

Nicole ebbe un attimo di esitazione che lo fece bloccare. La guardò negli occhi, scostandole i capelli scompigliati dal viso e cercò, sebbene invano, di sorriderle. Gli costava ciò che stava per dire, ma non voleva fare nulla che lei non desiderasse veramente.

“Puoi ancora dire basta.”

Lei ricambiò lo sguardo, e per un piccolissimo istante lui fu convinto che da un momento all’altro si sarebbe divincolata da lui con mille scuse e lo avrebbe lasciato lì così, eccitato e frustrato, ma questo non accadde.

“Ma non mi basta.” Rispose lei in un soffio, la voce roca e flebile, e quando iniziò pian piano a sfilargli la camicia, Georg seppe che era determinata almeno quanto lui.

‘The last look back is black…’

La camicia cadde a terra senza l’ombra di un rumore. Le spalline sottili del vestito di Nicole le scesero sulle braccia. Nel buio della stanza, Georg poteva vedere i suoi occhi luccicare di emozione.

‘The night turns dark ahead…’

Abbassò la lampo laterale dell’abito, poi insinuò la propria mano sotto il tessuto, per andare ad accarezzarle la schiena nuda e liscia, ed infine lasciar cadere il vestito a terra, mentre un brivido sensuale la attraversava.

‘When there’s no turning back…’

Se finora tutto era comunque rimasto in forse, se era comunque sopravvissuta una minima possibilità che tutto si fermasse e svanisse nel nulla, quando Nicole, senza distogliere i propri occhi dai suoi, prese a slacciargli la cintura, Georg seppe che stavano davvero oltrepassando la linea del non ritorno.

“Cosa resterà di tutto questo?” osò domandare, a voce bassa e non del tutto ferma.

‘We’re glad…’

“Il ricordo,” rispose lei, ansante, lasciando cadere la cintura. “Il ricordo di un sogno che non poteva realizzarsi.”

“Il ricordo di un sogno che non poteva realizzarsi…

Georg si sforzò di concentrarsi su quella frase, di capire cosa intendesse esattamente Nicole parlando di sogni che non si potevano realizzare.

Che fosse una risposta implicita alla sua proposta?

Ma non riusciva a riflettere, il suo corpo era interamente in preda all’eccitazione e tutto quello che sapeva per certo era che quel motto di squadra dei Tokio Hotel, ‘Vivi l’istante’, non gli era mai parso così sensato.

E quando anche i suoi jeans furono soltanto un ammasso indistinto abbandonato a terra, si dimenticò di tutto e di tutti, di giusto e sbagliato, di passato e futuro, di premesse e conseguenze. Restavano solo lui e Nicole, e quel momento sospeso nel tempo che, Georg lo sapeva bene, sarebbe finito troppo presto, ma non avrebbe mai dimenticato.

Senza smettere di baciarsi, lui e Nicole si spostarono verso il letto, lasciandovisi cadere sopra abbracciati.

‘So glad…’

La pelle calda di Nicole aveva uno buon profumo di limone, e la assaporò in lungo e in largo, lasciando impietosamente che lei gemesse sotto di sé, mentre i suoi boxer si facevano insopportabilmente stretti. Lei inarcava la schiena, premendosi contro di lui con le dita affondate nelle sue spalle, il respiro tiepido che gli torturava l’orecchio, facendolo quasi impazzire.

Lei se ne sarebbe andata, l’indomani, e lui non avrebbe potuto fare altro che lasciarla andare, ma quella notte, quell’unica notte, sarebbe rimasta.

“Nicole…” Georg si fermò, cercando esitante il suo sguardo nel buio.

La risposta a quella domanda mai esternata fu la dolcezza delle carezze delle mani di Nicole sul volto di Georg, le labbra umide e turgide di lei dischiuse ad un soffio da quelle di lui.

Un ultimo sguardo, un ultimo bacio innocente, poi non rimase più nulla da dire.

‘No turning back.’

 

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Note: qualcuno se lo aspettava la scorsa volta, qualcuno non se lo aspettava affatto, e invece eccolo qui, il capitolo spicy! A voi l’ardua sentenza, io mi sono già dilettata a sufficienza nello scriverlo (anche accompagnata dal suggestivo nuovo episodio della Tokio Hotel TV su YouTube, che vi consiglio di correre a vedere se ancora non l’avete fatto). Ringrazio per l’ennesima volta tutti voi che leggete e mi fate l’onore di lasciare un commento, vi sono sempre più grata di tutto l’entusiasmo che dimostrate e per tutti i vostri stupendi complimenti. Grazie, ancora una volta!

Vorrei farvi notare il titolo di questo capitolo, l'unico in tedesco, che ovviamente ha gli stessi toni ammiccanti della fantastica Reden, dei nostri amati Tokio Hotel, e si riferisce ovviamente ad un tipo di conversazione decisamente più piccante della classica. ;)

Come sempre, mi auguro che vogliate recensire, visto che scrivo per me stessa, è vero, ma infondo anche per voi. ^^

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Capitolo 22
*** The Promise ***


Nicole fu svegliata dalla luce del sole, un pizzicore lieve che le investì gli occhi tutt’un tratto, senza preavviso, strappandola al sonno più piacevole della sua vita.

Non ebbe nemmeno il tempo di pensare a dove fosse e perché. Prima ancora del ricordo della notte passata, prima ancora di registrare la presenza di Georg accanto a sé, un braccio avvolto attorno alla sua vita, prima ancora di poter sorridere per la bellezza di quel momento, una morsa feroce le attanagliò il cuore, accompagnata da una dura consapevolezza.

È finita.

Si sentì mancare.

Eppure lo sapevi, l’hai sempre saputo, le fece notare la solita voce saputa. È solo che il tuo bello qui accanto ti ha fatto dimenticare tutto quanto.

Nicole venne attraversata da un brivido di panico. Adesso che si trovava di fronte all’imminente partenza, non era più così facile come prima: aveva la sensazione che, lasciando i ragazzi, avrebbe dovuto imparare di nuovo a camminare da sola.

Provò un forte bisogno di concretezza a cui appigliarsi per non cadere in uno sconforto inopportuno, e cercò con la propria mano quella di Georg e la incontrò sopra il proprio ombelico. Le piaceva sentirsi il suo tepore addosso, essere avvolta dal suo profumo indefinibile, di cui le lenzuola erano impregnate. Era buffo, perché era una cosa del tutto nuova per lei, ma sapeva che le sarebbe mancata da morire.

“Buongiorno.” Mormorò la voce roca e sonnolenta di Georg, mentre lui le appoggiava il mento su una spalla e intrecciava le proprie dita con le sue. Era terribilmente bello e terribilmente doloroso al tempo stesso sentirsi così vicina a lui, la propria schiena appoggiata al suo petto, il suo respiro tra i capelli.

La morsa al cuore di Nicole si strinse.

Buongiorno… Certo, come no.

Restarono in silenzio per un po’, anche se Nicole avrebbe avuto così tante cose da dire da poter parlare per ore.

“Stai bene?” le chiese Georg. La preoccupazione nella sua voce le vibrò dentro, frantumando definitivamente ogni suo tentativo di tenersi per sé tutti i suoi patetici dubbi.

Stava bene? Non lo sapeva nemmeno lei.

A malapena riusciva a credere a quello che era successo quella notte, a quanto più profonda di quel che lei stessa aveva creduto fosse la fiducia che riponeva in lui, tanto permettergli di oltrepassare così rapidamente una linea di confine a cui nessun ragazzo era riuscito ad avvicinarsi da anni, dopo un così breve tempo.

Non poteva dirsi un’esperta in amore, ma se era successo quel che era successo, qualcosa doveva pur voler dire.

“Ho la sensazione di trovarmi in bilico sull’orlo di un precipizio,” sospirò, con un insopportabile groppo alla gola. “Ho paura di cadere al minimo movimento sbagliato.”

Lui sembrò soffermarsi a rifletterci, facendole percepire un’esitazione in quel breve silenzio che poteva essere disagio, o forse semplice necessità di elaborare i giusti pensieri.

“Sì può sempre imparare a cadere in piedi.” Le disse alla fine.

Suo malgrado, Nicole si ritrovò a sorridere amaramente.

Cadere in piedi…

Era un’acrobazia che non le era mai riuscita bene.

Come faccio a cadere in piedi se la vita mi ha messa in ginocchio davanti a te?

Era stato l’imprevisto a portarla fin lì, le sorprese che una dopo l’altra erano saltate fuori in quei giorni. Scioccamente, ingenuamente, si era concentrata così tanto sul non lasciarsi prendere da Bill, che non aveva nemmeno calcolato l’ascendente che Georg aveva su di lei, ed ora era lì, innamorata e spaventata da un sentimento con cui non era preparata a fare i conti.

“Cadendo da così in alto, ti fai male lo stesso.” Gli rispose flebilmente.

Per tutta risposta, Georg la fece voltare verso di sé e le scostò delicatamente i capelli dalla fronte, ma lei non riusciva a guardarlo.

“Nicole,” Georg le pose un dito sotto il mento, costringendola a sollevare il viso. La sua espressione era dolce, ma molto seria. “Lo so che hai paura, ma ti posso assicurare che voglio troppo bene a te e ad Emily per chiedervi di affrontare una situazione così complicata se non fossi sicuro di quello che desidero,” Accennò un sorriso rassicurante. “Non posso prometterti un rapporto liscio come l’olio, perché credo tu abbia capito che di ostacoli se ne presentano tanti, in certi casi,” Nicole riusciva a sentire i suoi battiti accelerati sotto al proprio palmo. “Però ti posso giurare di essere pronto a fare i salti mortali per voi.”

Quell’ultima parte fece bloccare Nicole dallo stupore.

“Per voi.”

Non aveva detto ‘Per te’, non stava parlando al singolare, non si preoccupava solo di lei, e quel particolare, che poteva apparire insignificante a chiunque altro, per Nicole significava tutto.

L’intero discorso di Georg aveva fin da subito compreso anche Emily, e questo significava che lui era pienamente consapevole di quello a cui stava andando incontro, e non solo lo voleva, ma stava addirittura chiedendole di crederci, perché ci teneva davvero. Ma Nicole non aveva bisogno di essere persuasa: gli aveva letto la sincerità negli occhi, l’aveva avvertita nei suoi baci e nelle sue carezze, l’aveva sentita nel tono della sua voce, e, sì, era vero che aveva paura, ma la sua vita era costellata di possibilità mai concesse, e ora che stava a lei decidere se concedere o no, non poteva permettere alla propria paura di precluderle un’occasione così.

“Non sarà facile, sai,” continuò Georg. “Voglio proteggere te ed Emily, e c’è la possibilità che i media vi diano addosso. Ma se facciamo attenzione…”

“Se facciamo attenzione?”

Georg le accarezzò una guancia, scrutandola negli occhi.

“Possiamo davvero farcela, Nicole.”

E benché suonasse assurdo ed inconcepibile – lei, la piccola Nicole Sandberg, la giovane madre single, e Georg Listing, la star, il bassista di uno dei gruppi rock più amati al mondo – si rese conto che era più plausibile di quanto si sarebbe potuta immaginare solo una manciata di giorni prima, quando i Tokio Hotel altro non erano che quattro inarrivabili idoli che suonavano per lei attraverso uno stereo e le sorridevano maliziosi da un poster.

Nicole abbandonò la propria testa contro suo petto e permise a se stessa di sorridere speranzosa.

“Sì,” concordò. “Possiamo farcela.”

E la cosa più incredibile era che ci credeva veramente.

 

 

***

 

 

Il fatto che ci fosse uno scintillante sole a splendere nel cielo cristallino non era di consolazione per nessuno, quella mattina.

Era una giornata perfetta per una scampagnata, per un picnic in un parco, per un concerto all’aperto, ma non era assolutamente una giornata consona agli addii.

Appoggiato al muro, le mani affondate in tasca, Bill guardava la valigia di Nicole che Saki aveva appena portato giù, posata accanto al bancone della reception, e tutto ciò a cui riusciva a pensare era che voleva un palco e un microfono dentro cui poter urlare. La musica era l’unico esorcismo efficace quando si sentiva così male.

Non aveva dormito granché, quella notte, e nemmeno Tom e Gustav. Se n’erano rimasti su a bere Red Bull e parlare di stronzate fino alle quattro. Si erano stancati relativamente presto della festa, e a mezzanotte, quando ormai era diventato chiaro che né Nicole né Georg si sarebbero visti fino alla mattina, erano saliti e si erano sistemati nella stanza di Tom, e avevano giocato un po’ alla Playstation con Emily, fino a che lei non aveva cominciato a dare le prime avvisaglie del sonno. La piccola aveva così dormito comodamente nel vasto letto di Tom, abbracciata ad un cuscino, come un vero angioletto, e loro tre se n’erano rimasti ad osservarla per qualche minuto, per poi guardarsi e scoppiare in una risata sommessa, chiedendosi quanto improbabile dovesse sembrare al mondo esterno che dei tipi come loro finissero a contemplare una bambina di quattro anni che sonnecchiava in uno dei loro letti.

La hall era semideserta, al momento, e alle dieci in punto sarebbe arrivato il taxi che avrebbe accompagnato Nicole ed Emily alla stazione. A nulla erano servite le loro suppliche di farle accompagnare da qualcuno del loro staff, ma Bill capiva perché Nicole si fosse rifiutata così irremovibilmente: serviva un distacco netto, veloce. Quanto più rapida sarebbe stata la partenza, tanto più sarebbe stata anche relativamente indolore.

Emily se ne stava seduta sul divanetto, a leggere a Wilhelm un volantino sui locali di Marsiglia come se nulla fosse, apparentemente ignara di quello che stavano provando lui e gli altri.

Tom si era buttato in una poltrona in un angolo, scomposto come suo solito, e teneva la musica del lettore mp3 a volumi assordanti, senza però dare l’impressione che la stesse ascoltando. Teneva lo sguardo fisso sul tavolino che gli stava davanti, senza battere ciglio, completamente estraniato dalla realtà. Gustav, invece, non faceva che andare avanti e indietro per la hall, una mano in tasca ed una occupata a digitare freneticamente sul cellulare. Occasionalmente sollevava gli occhi per assicurarsi che fosse tutto tranquillo, e poi tornava ad armeggiare con la tastiera, nervoso come mai Bill l’aveva visto.

Era stato quello l’effetto di Nicole su tutti loro: un ingresso in scena in sordina, quasi felpato, un rapido ma silenzioso accostamento a ciascuno di loro, e da lì si era annodato quel legame imprevisto, così solido da averli stupiti tutti quanti, probabilmente lei per prima, ed era stato bello, finché era durato, ma ora arrivava la parte difficile.

Bill non era mai stato bravo a separarsi da ciò che amava. Che si trattasse di oggetti o persone, la sua inclinazione a separarsi da qualcosa era inversamente proporzionale all’affetto che nutriva per quella cosa, e in questo caso si poteva dire che, se avesse potuto, si sarebbe messo a picchiare i piedi per terra ed urlare, proprio come faceva da piccolo, ma l’ultima cosa che voleva era rendere le cose più difficili a Nicole.

Non era affatto maturo come Tom e Gustav avevano sicuramente pensato, aveva tutt’altro che digerito il fatto che lei avesse preferito Georg a lui, ma d’altro canto era anche conscio che non poteva permettersi di reagire così ogni volta che qualcosa non andava come voleva lui, tanto più che non era colpa né sua, né di Nicole, né di Georg, se le cose erano andate così.

Devi imparare a fartene una ragione, Bill, si disse fermamente. Sei tu quello che non sa ingoiare le sconfitte, non Georg. Sii uomo, una buona volta, e accetta il fatto che il mondo non ruota intorno a te.

Sicuramente avrebbe fatto del proprio meglio per riuscirci. Era tutto quello che poteva fare, del resto: mettersi l’animo in pace, curare con la giusta pazienza quella piccola ferita che gli bruciava alla sinistra del torace ed essere semplicemente grato di avere avuto anche solo la fortuna di incontrare Nicole ed Emily.

Erano le dieci meno cinque quando si videro Georg e Nicole apparire in cima alle scale, scendendo lentamente i gradini, quasi a voler prolungare il più possibile quel momento. Come Bill notò immediatamente, si tenevano per mano, ma non si guardavano mentre parlavano, ridevano e sorridevano. Tenevano anzi gli sguardi bassi, e li sollevarono solo nel momento in cui ebbero sceso l’ultimo scalino.

Come sempre, Nicole era vestita in modo semplice, jeans e maglietta bianca, la lunga giacca di ecopelle sopra, ma a Bill non era mai apparsa così bella e radiosa, e non c’era nemmeno bisogno di chiedersi perché. Lei e Georg erano rimasti insieme tutta la notte, e l’intimità che ora mostravano l’uno verso l’altra la diceva lunga su quello che doveva essere successo nelle ultime ore.

Del resto, Bill se l’era aspettato.

Lei arrossì quando si voltò verso di lei, ma non lo evitò. Gli sorrise, invece, e lui poté solo sorriderle in risposta. Sembrava così felice che proprio non gli riusciva di fare l’offeso.

Tom e Gustav restarono in disparte, aspettando, ed Emily nemmeno si accorse dell’arrivo di Nicole e Georg.

“Eccovi qui!” esclamò David, comparso dalla sala fumatori, occhieggiando Georg in modo indecifrabile. “Nicole, ho fatto sistemare tutte le scartoffie, devi soltanto firmare e ritirare i documenti di identità.”

“Grazie.” Rispose lei. Lasciò Georg per andare alla reception, la borsa nera su una spalla, e solo allora Emily la raggiunse. Bill restò ad osservare mentre lei scambiava due parole con il receptionist e si faceva restituire le carte d’identità sua e di Emily, ringraziandolo. Gli altri membri dello staff l’avevano già salutata poco prima, ed ora che mancavano solo pochi minuti all’arrivo del taxi, rimanevano solo i saluti estremi da fare.

Quando Nicole ritornò, si erano riuniti tutti e quattro al centro dell’enorme hall, rattristati e leggermente a disagio. Lei li guardò tutti con occhi lucidi, ma c’era un’espressione serena sul suo volto, che riuscì miracolosamente a contagiare anche Bill e gli altri.

Forse, dopotutto, non sarebbe stato un addio poi così terribile. Anzi, forse non sarebbe nemmeno stato un addio.

“Be’, eccoci qui,” fece Nicole, timidamente. “Non sono brava con i discorsi di partitura, quindi…” Le scappò un sorriso emozionato. “Grazie, non saprei che altro dire. È stata una settimana davvero indimenticabile. Non è andata affatto come avevo immaginato, ma ancora meglio, e vi siamo entrambe riconoscenti per questo,” Mise una mano sulla testa di Emily e le lisciò i capelli. “Grazie, davvero mille grazie di tutto.”

No, Nicole, pensò Bill, matematicamente certo che fosse la medesima cos che stavano pensando anche gli altri. Grazie a voi.

“Abbiamo una cosa per voi,” esordì Tom, infilandosi una mano nella profonda tasca dei jeans oversize. Ne estrasse i due badge che avevano richiesto a David e ne porse uno a lei ed uno ad Emily, sotto alle loro facce sorprese. “Sono passepartout nominali,” Spiegò con aria compiaciuta. “Ogni volta che vorrete venire a trovarci, ovunque ci troviamo, dovete soltanto esibire questi, e vi faranno passare, con o senza preavviso.”

Emily si era già infilata il proprio al collo e lo stava studiando con interesse. Nicole, invece, lo teneva ancora tra le mani, visibilmente commossa.

“L’idea è stata di Gustav,” decise di intervenire Bill, per sdrammatizzare un po’. “Sentiti lusingata, per te ha sacrificato la sua buona idea annuale.”

Una piccola risata simile ad un singulto sfuggì dalle labbra di Nicole, la quale sfoderò un sorriso luminoso per ciascuno di loro.

“Grazie.”

Abbracciò calorosamente Tom, e poi Gustav, e poi ancora fu il turno di Bill.

Lui fu ben lieto di poter ricambiare il gesto, e soprattutto di sentire con quanta energia lei lo stesse stringendo.

“Non tardare troppo ad usare quei pass,” le sussurrò all’orecchio. “Non ho intenzione di sopportare a lungo i lamenti di un Georg Listing nostalgico.”

La risata tremula di Nicole lo fece sentire un po’ meglio. Sentiva che l’avrebbe rivista, e molto presto.

Com’era giusto che fosse, l’ultimo saluto toccò a Georg, mentre Bill, Tom e Gustav salutavano Emily. Nicole gli si avvicinò a labbra strette, ma c’era un’evidente complicità tra loro, e Bill ebbe l’impressione che sapessero qualcosa che nessun altro sapeva, un segreto speciale tutto loro.

Georg fu molto diplomatico: le accarezzò il viso e glielo sfiorò appena con un bacio, sorridendo.

“Cosa mi sarà mai saltato in mente di innamorarmi una ragazza madre…” Sussurrò retorico. Nicole rese il sorriso sorniona.

“Vedo la ragazza madre e rilancio con una rockstar.”

Bill dovette arrendersi davanti all’evidenza: il feeling che era venuto a crearsi fra quei due era innegabile ed impareggiabile. Non gli era facile ammetterlo, ma era fatti l’uno per l’altra.

“Chiama appena arrivi, o ti verrò a cercare.” Disse Georg.

“È una minaccia?” replicò lei, inarcando le sopracciglia. Lui rise e scosse la testa.

“Una promessa.”

Poi Georg prese in braccio Emily e si lasciò abbracciare e sbaciucchiare per bene, facendole promettere di fare impazzire la mamma se non l’avesse portata da loro al più presto, ed Emily ovviamente accolse con entusiasmo la raccomandazione.

“Credo che sia arrivato il taxi.” Fece Saki, indicando la vettura che si era fermata appena fuori dall’ingresso. C’era una discreta quantità di ragazzine strepitanti, là fuori, e ai Tokio Hotel loro non sarebbe stato possibile uscire. Un facchino dell’hotel arrivò a prelevare i bagagli per caricarli sul taxi.

“Allora ciao, ragazzi,” disse Nicole, con Emily per mano. “Ci vediamo.”

“Ci puoi giurare, Sandberg.” Disse Tom, e tutti insieme la guardarono uscire, accolta dalle urla isteriche delle ragazze, che però nemmeno considerarono lei ed Emily. Bill vide Nicole voltarsi indietro un’ultima volta e rivolgere loro un cenno, poi salì in macchina e il taxi partì, portandosi via qualcuno che aveva lasciato un segno troppo grande per essere dimenticato.

A presto, ragazze.

 

 

***

 

 

Nicole non era sicura di sapere cosa stesse provando. Era tutto talmente surreale che aveva la sensazione di trovarsi in un sogno, perché era tutto come ovattato e silenzioso, quasi il mondo si muovesse al rallentatore. Aveva avuto quella percezione distorta fin da quando aveva varcato le porte dell’hotel, ed ora che era seduta in macchina con Gabriel, diretta verso casa di Brenda, nulla di tutto ciò accennava a scemare.

Era stato bello scorgere tra la folla della stazione la figura alta ed elegante di Gabriel, trovare il suo bel viso sorridente dopo le lunghe ore in treno, e sia lei che Emily erano state più che contente di poterlo riabbracciare, ma Nicole si era preoccupata non poco nell’apprendere che Brenda era rimasta a casa perché non si sentiva troppo bene.

“Non ti agitare,” le aveva detto Gabriel, con una strana scintilla nello sguardo. “Ti spiegherà lei.”

E così Nicole non aveva fiatato, lasciandosi condurre alla Mercedes senza fare domande.

Arrivarono all’attico per le cinque del pomeriggio, e quando Nicole varcò la porta d’ingresso, il familiare profumo di magnolia la fece subito sentire la bentornata.

“Eccovi, finalmente!” strillò immediatamente la voce di Brenda. Nicole la vide arrivare dalla cucina in pigiama di seta, il braccio sinistro ingessato che reggeva una ciotola di fragole. Qualcosa non le tornava, ma non ci badò: era troppo felice di rivedere sua sorella.

“Ciao, Bree,” Si abbracciarono e scrutarono a vicenda. “Mi sei mancata.”

“Zia!” esultò Emly, correndole incontro e buttandosi tra le sue braccia con un po’ troppa energia.

“Hey, vacci piano, vulcano!” rise Gabriel, entrando con i bagagli. “La zia non è nelle condizioni di farsi demolire.”

Lui e Brenda si scambiarono un sorrisino enigmatico, che stuzzicò discretamente la curiosità di Nicole. Stava per chiedere se si fosse presa qualche virus, quando, all’improvviso, nella sua mente ci fu come un click, e tutti i tasselli del puzzle andarono ad occupare un senso decisamente logico.

“Bree,” esalò, sconcertata. “Tu stai mangiando delle fragole.”

Brenda gettò un’occhiata incurante alla ciotola di vetro che teneva in mano.

“Sì, e allora?”

“I Sandberg odiano le fragole,” disse Nicole, contenendo a stento l’euforia. “Con una sola, temporanea eccezione.”

Ebbe un flashback di se stessa quindicenne, che si ingozzava di fragole e panna tra un attacco di nausee mattutine e l’altro, e quasi si sentì mancare dallo shock.

Ci fu un nuovo scambio di sguardi tra Brenda e Gabriel, e a quel punto non servivano altre conferme.

“Non ci posso credere!” boccheggiò incredula.

“Vi lascio alle discussioni tra donne,” annunciò Gabriel, sulla porta. “Io vado a prendere la cena.”

“Vengo anch’io!” esclamò Emily, trotterellandogli dietro. Nicole non finiva mai di stupirsi dell’inesauribilità delle sue energie.

“A dopo!” salutò Gabriel, ed uscì, portandosi via Emily.

Appena la porta si fu chiusa, Brenda afferrò Nicole per un braccio e se la trascinò sul divano, indagandola con un’aspettativa piuttosto invadente.

“Allora,” la esortò in tono cospiratorio. “Raccontami tutto per filo e per segno!”

Nicole era francamente molto perplessa.

“Non dovresti essere tu a raccontarmi qualcosa?” obiettò, indicandole il ventre. Brenda si strofinò distrattamente lo stomaco, sollevando le spalle.

“Tuo nipote non scappa, la freschezza delle tue impressioni sì,” disse. “Dai, su, dimmi chi dei quattro ti ha lasciato quel cratere lì a sinistra.”

Stupidamente, Nicole si guardò la maglietta, cogliendo l’allusione troppo tardi. Brenda non perse tempo a prenderla in giro: divorò una fragola e riprese l’interrogatoria.

“Avanti, Nicky, hai una sorella in stato interessante, renditi un po’ interessante anche tu! È successo altro dopo il bacio con Bill?”

Nicole non riuscì nemmeno a mettere insieme le idee per un responso. Brenda stava già agitando la mano con noncuranza.

“Ok, non è Bill.” Decretò decisa.

Nicole corrugò la fronte, basita.

“Come fai ad esserne così sicura?”

Un sogghigno saccente prese possesso della bocca di Brenda.

“Non hai assunto un colorito violaceo quando l’ho menzionato,” disse semplicemente. “E comunque sei una Sandberg, anche se un po’ anomala, sei programmata per innamorarti dei ragazzi virili, non di quelli efebici, e questo lascia due possibilità: Gustav o Georg, e visto che hai dei precedenti incriminanti con la giovane incarnazione del sesso dagli occhi verdi, sono propensa a credere che si tratti di lui.”

Nicole si arrese. Non c’era gusto a giocare a tenere Brenda sulle spine, sapeva leggerle il pensiero come un libro aperto e scritto a caratteri cubitali.

“Con te la privacy è un’utopia, vero?” sbuffò contrariata.

“Quindi ho ragione?” fece Branda, saltando su elettrizzata.

Nicole emise un sospiro sconfitto.

“Sì, hai ragione.”

“Lo sapevo!” esultò Brenda trionfante. “Il mio intuito non sbaglia mai. Vi siete baciati?”

Se si erano baciati?

Nicole considerò il comune concetto di ‘eufemismo’, e si accorse che l’uso stesso di quel termine sarebbe stato un paradossale eufemismo.

“Sì.” Dovette ammettere. Tentò di reprimere quel sorriso che stava lottando per emergere, ma proprio non ce la fece.

Brenda fece sparire un’altra fragola, poi si sporse in avanti, l’avidità di sapere che le trasudava da ogni più piccolo gesto.

“Ed è bravo a letto?”

“Cosa ti fa pensare che ci sia andata a letto?” Nicole non era sicura di essere riuscita a non avvampare.

“Dai, Nicole, sii obiettiva,” Brenda le rivolse uno sguardo eloquente. “Non si può baciare un ragazzo come quello e poi fermarsi lì, sarebbe delittuoso e contro natura,” Si concesse una pausa d’effetto. “Allora, ci sa fare?”

Perché mentire?, rifletté Nicole. Tanto ha già capito tutto, e non ha comunque senso nasconderle la verità.

“Parecchio.”

Vide Brenda allungare un braccio all’indietro, per afferrare la propria borsa, da cui estrasse un pacchetto di sigarette che fece inorridire Nicole all’istante.

“Bree, ma non puoi!”

“Tranquilla,” borbottò Brenda, prendendo una sigaretta per tenerla tra la dita, senza però cercare l’accendino. “Non la fumo, è solo che ho una determinata gestualità in certi momenti catartici, e se non tengo in mano niente mi sento vuota.”

Nicole provò un moto di smisurato affetto verso di lei. In quanto ad unione, loro due potevano definirsi la risposta femminile e non gemellare ai Kaulitz: c’erano dieci anni di età a separarle, ma non avevano mai rappresentato un ostacolo per la loro amicizia, ma, anzi, erano probabilmente uno dei suoi maggiori capisaldi.

“Spero che tu abbia fatto in modo che si ricordasse di te per eventuali possibilità future.” Commentò Brenda con casualità.

Ecco, pensò Nicole, divertita, adesso sì che ti posso sorprendere.

“Bree, Georg ed io non abbiamo alcuna intenzione di instaurare uno squallido rapporto di sesso occasionale.” Dichiarò solenne.

L’espressione entusiasmata di Brenda crollò all’istante.

“Oh.” esalò, delusa.

Nicole le lasciò un paio di secondi per assorbire il colpo, poi scoprì la propria carta vincente:

“Noi due stiamo insieme.”

Ci volle un po’ perché Brenda potesse cogliere il senso della frase. Restò pietrificata per un attimo, poi aprì la bocca, per richiuderla subito dopo ed aprirla di nuovo.

“Stai scherzando?” esclamò, sull’orlo dell’isteria.

Nicole negò con tutta la fermezza di cui disponeva.

“Nicky, stai scherzando?”

“Quante volte ti devo rispondere prima che tu la smetta di chiedere?”

Brenda si raccolse in se stessa per una breve riflessione.

“E sei sicura della sincerità di ambo le parti di questo stare insieme?” domandò infine.

Nicole si indignò davanti a quell’insinuazione.

“Credi che mi imbarcherei in un casino simile se non avessi la certezza che il gioco valga la candela?” sbottò, offesa.

“Hai ragione, scusami,” Brenda fece alla svelta marcia indietro. Restò un momento in silenzio a rimuginare, le mani sulla testa, e Nicole temeva che sarebbe scoppiata, ma quando Brenda risollevò gli occhi su di lei, era semplicemente estatica. “Santo cielo, non ci posso credere,” esclamò. “La mia sorellina si è accaparrata un Uomosesso! E in una sola settimana!” a Nicole venne da ridere quando la prese per le spalle e la guardò dritta in faccia. “Sei cosciente della sconfinata immensità della tua fortuna?”

Nicole tornò indietro con la memoria fino a diversi anni prima, ripercorrendo il tempo come un film in bianco e nero che non sentiva più suo. Arrivò alle luci ed alle grida di un concerto, alla musica che accompagnava una voce, e cominciò ad intravedere i colori. E poi c’era la scena nell’ascensore, quella dove la ragazza qualunque e la rockstar si baciavano dopo mille peripezie, la sua preferita. Lì i colori erano così sgargianti da quasi accecarla.

Con un piccolo sorriso, accarezzò quei ricordi, tenendoseli ben stretti.

“Sì,” rispose quindi. “Direi di sì.”

A quel punto Brenda si alzò di scatto dal divano, una mano premuta sulla bocca, e sparì di corsa nel corridoio della zona notte, portandosi dietro tutta la compassione di Nicole, e fu allora che a lei venne in mente che c’era una cosa che aveva promesso di fare.

Le mani che le tremavano leggermente, prese il cellulare dalla tasca della giacca che ancora indossava – quel Nokia nero da cui dubitava sarebbe mai riuscita a separarsi – e digitò rapidamente un messaggio.

“Siamo arrivate sane e salve, e anche un po’ nostalgiche. Ci sono novità sul fronte Sandberg parigino, ma non è il caso di parlarne via sms. Un abbraccio a tutti, dal primo all’ultimo!”

Non era esattamente il più brillante sfoggio del suo talento, ma non riusciva a concentrarsi per scrivere qualcosa di più adatto o intelligente. Lo inviò e lo rilesse ancora un paio di volte, per niente soddisfatta, poi si rese conto di avere un disperato bisogno di una bella doccia calda e fece per alzarsi, lasciando il cellulare sul divano, ma questo vibrò con un piccolo bip.

Ammutolita dallo stupore, guardò il mittente del messaggio.

Georg.

Si era aspettata quantomeno di dover aspettare diversi minuti prima di ricevere una risposta, ma a quanto pareva non era la sola a non riuscire a staccarsi dal cellulare.

Decisamente lusingata, aprì il messaggio, che però non era un messaggio, bensì un piccolo file audio senza nome, e visto che il suo cuore era già andato in fibrillazione fin da quando aveva letto il nome di Georg, dovette fare uno sforzo notevole per riuscire anche solo a farlo partire.

“I carry your picture deep in me, back to you, over a thousand seas, back to us, don’t you lose your trust and your belief, just trust me…”

Tutto ciò che le riuscì di fare fu mordersi il labbro inferiore e scuotere la testa, incredula ma compiaciuta.

Sì, non c’era assolutamente dubbio: potevano farcela.

 

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Note: ci stiamo avvicinando alla fine, e direi che si nota. Il mio pronostico è che con il venticinquesimo capitolo la storia, aimè, si concluderà. Intanto ringrazio vivamente tutti voi che avete recensito lo scorso capitolo, ossia Ladynotorius, L_Fy, Mairim90, valux91, GaaRa92, loryherm, Schrei, NeraLuna, Muny_4Ever, kit2007, dark_irina, Lady Vibeke, lilistar, CowgirlSara, Purple Bullet, RubyChubb, ElianaTitti e picchia.

Grazie, grazie e ancora grazie.

Ovviamente, come sempre, invito tutti quanti a recensire, qualunque sia la vostra opinione, è sempre la ben accetta, purché posta nel modo giusto. ^^

Alla prossima!

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Capitolo 23
*** Back To You, Back To Us ***


Tornare in Germania fu un piccolo shock, per Nicole, ma anche un gran sollievo. Appena messo piede giù dal taxi, sia lei che Emily avevano fissato per un po’ il portone d’ingresso del condominio, trovando molto strano essere di nuovo lì, come se fossero state via per lunghi anni, e quello non fosse più il loro posto.

Era tutto esattamente identico a come Nicole lo ricordava. Per qualche strano motivo, anche se mancava da solo un paio di settimane, si era aspettata di trovare qualcosa di diverso in quell’ambiente a lei così familiare, ma tutto era rimasto lo stesso.

Quella cambiata era lei.

“Eccoci qui,” disse ad Emily. “Sei contenta?”

Emily annuì sorridente, la punta del naso arrossata.

“Andiamo a vedere se Sissi e Martin sono in cortile!” esclamò, correndo al portone per aprirlo con uno sforzo notevole e permettere così a Nicole di passare.

Nicole era felice di vederla così spensierata. Era certa che presto avrebbe cominciato a chiedere dei ragazzi, e a quel punto si sarebbe dovuta armare di pazienza e spiegarle come stavano le cose – come, quando e quanto spesso li avrebbero potuti rivedere – ma per ora voleva solo godersi un po’ di tranquillità casalinga, soprattutto dopo la vivace settimana passata da Brenda.

Respirò a fondo, impugnò la maniglia della valigia e se la trascinò fino all’ingresso. Non fece in tempo a varcare la porta, che Emily era già schizzata verso il piccolo parco giochi del giardino interno, lo zainetto che le ballava sulla schiena, urlando a squarciagola verso i suoi amici, che stavano giocando supervisionati da un paio di genitori volenterosi. La lasciò fare, prendendosela con calma.

C’era una ragazzina che non aveva mai visto davanti alle cassette della posta, e stava svuotando quella dell’appartamento che era rimasto vuoto per diversi mesi. Era un tipo strano, sui sedici anni, vagamente buffa con quella gonna vaporosa fucsia e nera e una vistosissima felpa arancione, che faceva a pugni con i corti capelli color prugna.

Nicole posò valigia e borsone accanto all’ascensore e andò a controllare se era arrivato qualcosa di urgente per lei. Sorrise alla ragazzina, che ricambiò con garbo.

Si avvicinò alla propria cassetta e la aprì con la chiave, per trovare soltanto le solite bollette da pagare e montagne di pubblicità. Sfogliò le buste una per una, la voce acuta di Emily che rideva con i suoi compagni di giochi nelle orecchie, e si accorse che la ragazzina la stava fissando. Si voltò lentamente, ritrovandosi così uno sguardo pieno di stupore puntato addosso.

Cos’ho fatto di così eclatante?, si domandò Nicole, stranita. Messa a disagio da quella sconosciuta così curiosa, le voltò le spalle e fece per andarsene, ma un gridolino acuto la fece sussultare.

“Ommioddio!” esclamò la ragazzina all’improvviso, squadrandola di sotto in su con tanto d’occhi. “Io ti conosco!”

Nicole si girò a guardarla con la fronte corrugata. Di cosa stava parlando? Non si erano mai viste prima.

“Tu sei la Ragazza Misteriosa!”

“Scusa?”

“Sei proprio tu, riconosco i capelli e il fermaglio!” squittì la sconosciuta, euforica, puntandole un dito contro. “Sei sulla copertina dell’ultimo numero di Bravo assieme a Bill!”

Nicole rimase pietrificata sul posto. L’unghia del dito che la indicava era decorato da una french manicure bianca e nera rovinata, ma inconfondibile, e, a conferma di un’ipotesi praticamente certa, sulla felpa erano appuntate un paio di spille, una raffigurante i Tokio Hotel al gran completo e l’altra il loro logo.

Era probabile che quella ragazzina fosse una banca dati vivente ed aggiornatissima sulla band, il che significava guai.

Merda.

“Mi stai sicuramente confondendo con un’altra persona.” Balbettò il più educatamente possibile. La ragazzina, però, sembrava sul punto di mettersi a gridare dall’eccitazione:

“No, sei tu, ne sono sicura!” Gli occhi blu che le brillavano di eccitazione, non demordeva. “Piacere di conoscerti, io mi chiamo Liesel Jensen, abito al quarto piano. Be’, per la verità ci siamo appena trasferiti, da pochi giorni, ma comunque ci abito. Tu e la bambina bionda abitate qui? Non vi ho mai viste, siete sorelle? Siete per caso figlie dei Fuchs? Sono gli unici che io abbia conosciuto, finora, ma sono degli scorbutici. Ops, scusami, non siete veramente figlie loro, vero?”

Nicole era sbalordita dalla parlantina della ragazzina: per un attimo le era quasi venuto il dubbio che fosse in qualche modo imparentata con Bill.

“Io mi chiamo Nicole,” si presentò. “E quella è mia figlia Emily.”

“Tua figlia?” Liesel si portò di scatto le mani alla bocca. “Gesù! Ma quanti anni hai?”

Nicole doveva ammettere che quella piccola invadente le piaceva. Non era proprio un esempio di discrezione, ma sembrava davvero simpatica.

“Vado per i venti.” Ammise.

“Fico!” Liesel dava l’impressione di avere appena trovato un inestimabile tesoro. “E Bill lo sa che hai una figlia?”

“Si, ma questo non – ”

Nicole si morse la lingua davanti al trionfo accesosi sul volto di Liesel. Aveva appena commesso un clamoroso passo falso.

“Lo sapevo! Ommioddio, lo sapevo!” Liesel le afferrò con foga le mani, che ancora reggevano la posta. “Senti, ti prego, devi raccontarmi tutto: come li hai conosciuti, come sono dal vivo, cos’è successo con Bill… Ti giuro che non lo dirò ad anima viva!”

Nicole non sapeva più cosa fare. Era talmente impreparata ad affrontare la questione che non sapeva neanche che scuse inventarsi.

“Io non –”

“Scommetto che è un partner dolcissimo!” Liesel sembrava inarrestabile. “E che ti copre di regali!”

“Liesel, Bill e io non stiamo insieme.” Mise in chiaro Nicole, riuscendo per la prima volta a tirare fuori un po’ di convinzione. La ragazzina ci rimase parecchio male.

“Come sarebbe a dire? Non ci credo! Le foto –”

“Le foto sono un astuto effetto ottico, nient’altro.”

L’espressione giubilante di Liesel si spense in un baleno.

“Quindi non potrò dire alle mie amiche di conoscere la ragazza di uno dei Tokio Hotel?”

Non arrossire, si impose Nicole. Non arrossire, ti prego…

Liesel strizzò gli occhi sospettosa davanti alla sua esitazione.

“Tu non me la racconti giusta!” la accusò.

Nicole si impose di non ridere.

Impertinente, la piccola…

“Dai, a me puoi dirlo!” insisté Liesel, supplichevole. “Ti prometto che sarà il nostro segreto, me lo terrò gelosamente per me! Sarò la tua migliore amica!”

A Nicole scappò di nuovo da ridere di fronte a tutta quella sfrontata esuberanza. Doveva ammetterlo, Liesel era un tipo tenace.

“Ne riparleremo con più calma,” le disse, divertita. “Siamo appena tornate da…” Non era il momento giusto di rivelarle che aveva appena passato una lunga ed intensa settimana con il suo gruppo preferito. “Una piccola vacanza. Siamo un po’ stanche.”

Liesel gettò uno sguardo rapido ad Emily, che si dondolava allegramente sulle altalene con gli altri bambini.

“Certo, capisco. Lascia che ti aiuti a portare su questa roba, allora.” Disse, indicando i bagagli, che giacevano ancora davanti all’ascensore.

“Non mi mollerai fino a che non avrai ottenuto quello che vuoi, vero?” fece Nicole, incrociando le braccia. Liesel le rivolse un sorriso beffardo che le ricordò molto quelli di Bill.

“Esatto.”

A Nicole non restò altro da fare se non arrendersi.

Chissà, potremmo anche andare d’accordo…

 

***

 

Ed effettivamente, Nicole aveva scoperto che Liesel sapeva anche essere un’ottima compagnia, quando non faceva di tutto per impicciarsi dei fatti altrui.

In quelle due settimane avevano avuto modo di conoscersi meglio, anche grazie alla mancanza di scrupoli da parte di Liesel, che si era presentata un paio di volte alla porta di Nicole a chiedere dello zucchero in prestito, finendo poi col venire invitata a prendere un the e farsi mostrare la casa, senza però trovare altro che prove non compromettenti, come l’innocua cartolina autografata appesa nella stanza di Nicole e le due bacchette da batteria che Emily teneva sul comodino, che erano passate quasi inosservate. Le era rincresciuto dover nascondere la fotografia di gruppo – lei, Emily, i Tokio Hotel e tutta la crew – in un cassetto, ma doveva andarci cauta: Liesel le era simpatica, ma non aveva ancora deciso se e quanto potersi fidare di lei.

Da quando era tornata, Nicole era riuscita a sentire Georg quasi tutti i giorni, anche se si erano parlati direttamente solo tre volte, comunicando per lo più tramite messaggi. Gli impegni dei ragazzi erano alle stelle, erano ormai entrati nel vivo del tour ed era quindi ovvio che di tempo libero ce ne fosse sempre meno, e questo un po’ le dispiaceva, ma era preparata, aveva saputo fin dall’inizio – se non da prima – che ci sarebbero stati dei sacrifici da fare.

Il lato positivo di avere per amici un folle gruppo rock la cui fama era giunta pressoché ovunque, comunque, era che si poteva restare aggiornati su di loro semplicemente accendendo la tv o sfogliando un giornale.

C’erano però cose che i media venivano a sapere in relativo ritardo, e non appena si diffuse la notizia della cancellazione di un paio di date del 1000 Hotels Tour 2008, Nicole fu tra le prime persone a venire a sapere dei problemi di salute di Bill e ad essere informata dell’operazione che avrebbe dovuto subire alle corde vocali per via di una cisti che gli impediva di cantare.

Aveva telefonato a Georg quasi ogni giorno, parlato sia con lui che con gli altri, che tentavano invano di rassicurarla, e Bill stesso, il giorno prima dell’operazione, le aveva detto di smettere di fare l’ansiosa e non preoccuparsi, che bastava sua madre a ad andare in paranoia, e che andava tutto bene, ma lei era così di natura, e non ci poteva fare niente se era così agitata.

Il trentun marzo, Nicole rifletté a lungo prima di chiamare. C’erano due motivi per cui lo voleva fare, ma attese fino al primo pomeriggio, quando l’operazione fosse finita.

Sedeva nella propria stanza da sola, Liesel aveva portato Emily a giocare in cortile, lasciandole così tutto il tempo e la privacy che le servivano per quella telefonata. Selezionò il numero con il cuore che le batteva a mille, con il terrore di ciò che avrebbe potuto scoprire. Sapeva che era un’operazione facile e veloce, ma era preoccupata lo stesso.

Il suono dava libero, segno che Georg aveva il cellulare acceso e non si trovava quindi in ospedale. Bastarono pochi squilli per ottenere una risposta:

“Pronto?”

Stanca, flebile, eppure così inconfondibilmente felice: la voce di Georg le causò istantaneamente un’aritmia cardiaca. Non si era ancora abituata del tutto al fatto di poter conversare al telefono con Georg Listing come se nulla fosse, ma, del resto, quella non era nemmeno la cosa più difficile da credere.

È andato tutto bene, pensò, sollevata dal suo tono. Bill sta bene.

“Georg,” Il solo sentirlo la fece sentire infinitamente triste e malinconica. Lui le mancava, non era mai stato un mistero in quelle settimane, ma ogni volta che sentiva la sua voce, quella nostalgia si concretizzava un po’ di più. “Ciao, sono io.”

Temeva di aver parlato così piano che forse lui nemmeno l’aveva sentita, ma, anche se gli ci volle un attimo di assesto, Georg rispose.

“Certo che sei tu,” disse in tono caldo ed affettuoso. “Come stai?”

“Io bene.” Mormorò lei, sperando che il motivo della sua telefonata non lo offendesse in qualche modo.

“Chiami per Bill, vero?” replicò lui, ma Nicole colse un sorriso nel modo in cui lo disse. Un sorriso che da troppo tempo non vedeva di persona.

“Sì,” ammise. “Come sta?”

“A parte il fatto che appena si sveglierà sarà incazzato come una iena e frustrato come un Tom in astinenza, vuoi dire?” Nicole non seppe risparmiarsi una risata. “Bene, direi. L’intervento è andato alla perfezione, è finito più o meno un’ora fa. Gustav e io siamo usciti giusto adesso, Tom è rimasto.”

Nicole sentì la voce di Gustav che la salutava e ricambiò tramite Georg.

“E voi?” chiese poi.

Lui emise una risata leggera.

“Noi divinamente, considerando che Bill non potrà parlare per dieci giorni.”

Sempre il solito, pensò, volgendo lo sguardo al cielo.

Non sapeva per quale motivo, ma ciò che stava per domandare la rendeva nervosa, inquieta.

“Senti, e se… Insomma, cosa ne diresti se io…” Nonostante si trattasse di qualcosa che, lei lo sapeva, gli avrebbe fatto piacere sentire, Nicole non riuscì ad essere disinvolta come avrebbe voluto, forse per via del fatto che il pensiero di rivederlo dopo un lungo, interminabile mese le stava facendo venire uno strano mal di stomaco. “Se io venissi a trovarvi?”

E fu fantastico, indescrivibilmente lusinghiero, avvertire la scintilla di esaltazione accesasi improvvisamente nella voce carezzevole di Georg:

“C’è bisogno di chiederlo?”

No, non ce n’era alcun bisogno, ma Nicole trovava bello sentirselo ricordare.

“Quando posso venire?” gli chiese, incrociando le gambe sopra al copriletto verde.

“Quando vuoi!” rispose Gustav. Si sentì Georg che biascicava qualcosa e diversi fruscii, inframezzati da un paio di imprecazioni che fecero sorridere Nicole.

“Scusa,” riprese Georg, con la risata di Gustav in sottofondo. “Dicevamo?”

“Questo week-end sarebbe troppo presto?” chiese, gettando un’occhiata al calendario.

“No, assolutamente,” rispose subito lui. “Porti anche Emily, vero?”

“Certo.” Confermò Nicole, lieta di trovarla più un’esortazione speranzosa che una semplice domanda.

“Fammi sapere dove e a che ora arrivate, vi vengo a prendere io.”

‘No, figurati, non è necessario!’ era quello che lei avrebbe voluto avere la forza di rispondere, ma la semplice idea di rivederlo le aveva acceso una strana commistione di sentimenti dentro, e ora le sembrava impossibile essere riuscita a stare lontana da lui e dagli altri così a lungo, tanto che non seppe rinunciare alla prospettiva di incontrarlo anche solo pochi minuti prima del dovuto.

“Grazie,” Sussurrò. “Appena prenoto tutto, ti faccio sapere. Salutami i ragazzi,” Si raccomandò poi. “Soprattutto Bill.”

“Certo.”

“E dai un bacio a Gustav da parte mia, visto che è lì.”

“Te lo puoi scordare!” fece Georg, disgustato. “Gustav, Nicole ti manda un bacio.” Aggiunse, e da come il suono si fece remoto, Nicole intuì che aveva messo una mano sul cellulare, che però non le impedì di sentire il ‘Grazie!’ di Gustav. “Gustav ringrazia.” Le comunicò Georg, a volume normale.

“Ho sentito.” ridacchiò Nicole, chiedendosi cos’avrebbe detto Liesel se avesse assistito a quella telefonata. Probabilmente le avrebbe strappato il telefono di mano a si sarebbe messa a strepitare come un’ossessa.

“A presto, allora.” La salutò Georg.

“Sì, a presto.”

Nicole attese che lui chiudesse la chiamata – era patetico, ma non riusciva mai a farlo per prima – ma la conversazione non era finita:

“Nicole?” esordì Georg, dopo una brevissima pausa.

“Sì?”

Era sul punto di dire qualcosa, ma poi sembrò cambiare idea:

“A Bill farà piacere vederti.” Disse pacato, quasi deluso, e Nicole sapeva esattamente perché.

“Georg?” Le veniva da ridere, soprattutto immaginandosi il broncio che lui aveva già prontamente sfoderato.

“Mmh?”

Il sorriso trattenuto di Nicole si trasformò in un mezzo sogghigno.

“Credi veramente che me ne sia dimenticata?”

“Dimenticata di cosa?” domandò lui, senza riuscire a suonare indifferente.

E il sogghigno di Nicole tornò ad essere un sorriso, percependo un sorriso anche dall’altra parte.

“Buon compleanno.” Sussurrò, compiaciuta di quella sorpresa che evidentemente lui non si era aspettato. Non poteva vederlo, ma le sembrò quasi di averlo davanti a sé mentre sorrideva in quel modo luminoso ed aperto, gli occhi che luccicavano di soddisfazione.

“Grazie,” replicò lui, con Gustav che gli diceva ‘Te l’avevo detto’. “A presto.”

“A presto.” Gli fece eco Nicole, e chiuse la chiamata, per la prima volta per prima.

Era a dir poco elettrizzata, e un po’ se ne vergognava, ma non poteva farci niente: non vedeva l’ora di rivederli tutti quanti.

 

***

 

La stazione ferroviaria di Magdeburgo era una piccola opera d’arte, decorata con lucide piastrelle marroni, bianche e verdi, che creavano un bellissimo incontro cromatico con l’intonaco delle pareti. Aveva un nonsoche di magico, e non era affollata come Nicole aveva immaginato, perciò cominciava a capire perché Georg si fosse sentito abbastanza fiducioso da venire lui stesso a prendere lei e Emily.

Appena messo piede giù dal treno, Nicole si mise il grosso borsone su una spalla (si sarebbero fermate un paio di giorni, ospiti a casa Schäfer sotto insistente invito di Gustav stesso, l’unico che avesse una stanza per gli ospiti adatta ad accogliere due persone), prese Emily per mano e cominciò a cercare tra le poche decine di persone che c’erano in giro un volto noto.

“Mamma, ma adesso andiamo da Bill che sta male?” la interrogò Emily, seguendola lungo la banchina, verso il centro della stazione.

“Bill non sta male, tesoro,” la tranquillizzò Nicole. “Solo che non può parlare, quindi comportati bene e non ti preoccupare se non ti dice nulla, dovrà stare zitto per qualche giorno.”

Emily fece una faccia inorridita.

“Poverino!”

Nicole si fermò nel bel mezzo del passaggio, paralizzata,

Eccolo!

Georg se ne stava appoggiato al muro pochi metri avanti a loro, le mani in tasca, coperto da un giubbotto di pelle e un berretto nero. Nicole avrebbe preferito che avesse portato anche un paio di occhiali da sole, perché incrociare nuovamente i suoi occhi così inaspettatamente era più emozionante del previsto, e di molto.

Era ancora più bello di quanto lei ricordasse, o, più probabilmente, le appariva così semplicemente perché aveva sentito quasi disperatamente la sua mancanza. Aveva l’espressione raggiante di un bambino davanti al regalo dei suoi sogni, e la guardava sventolando appena la mano con quel sorriso sincero e felice che mise a dura prova la stabilità delle sue gambe. Nicole si perse per un attimo nell’incantevole sensazione di essere stata ansiosamente attesa.

“Georg!” urlò Emily, e Nicole fu costretta a tapparle la bocca, guardandosi intorno ansiosamente, mentre Georg si avvicinava, ridendosela sotto i baffi.

A Nicole balzò il cuore in gola.

Si chiedeva quanto tempo sarebbe ancora dovuto passare prima che si abituasse all’idea di far parte del suo mondo, al fatto che lui appartenesse a lei tanto quanto lei apparteneva a lui. Ogni tanto era strano svegliarsi la mattina e trovare un SMS di Georg che le augurava il buongiorno, e poi pensare ‘Sono innamorata di lui’. Certo, era qualcosa che molte ragazze sparse per il mondo pensavano, ma per Nicole la cosa più bella, la cosa più folle e stupefacente, era ricordarsi che anche lui era innamorato di lei.

Alla fine fu costretta a lasciare andare Emily, che le stava praticamente scalpitando tra le braccia, e rimase a guardarla correre veloce verso Georg e saltargli in braccio con uno slancio impressionante.

“Accidenti, ti hanno addestrata alla demolizione, in questo mese?” scherzò lui, sorridendo a Nicole che li raggiungeva.

Nessuno sembrava fare caso a loro: tutti passavano senza nemmeno guardarli, andavano e venivano indifferenti, lasciando loro tre indisturbati.

“Ciao.” Georg la accolse raggiante.

“Ciao.” ricambiò lei, che avrebbe voluto poter fare come Emily, ma si obbligò a trattenersi.

“Mamma, dovete baciarvi!”

Nicole sentì un intenso calore salirle al viso. Georg invece rise, causandole un piccolo attacco di palpitazioni. Non si era ancora completamente assuefatta all’effetto che lui aveva su di lei, e con ogni probabilità non sarebbe mai successo.

“Scusami,” disse Georg, sporgendosi verso di lei, Emily ancora stretta in braccio. “Ma non voglio deludere le genuine aspettative di nessuno.” E le sfiorò le labbra con le proprie, facendola rabbrividire suo malgrado.

Emily applaudì soddisfatta, suscitando l’ilarità di entrambi.

“Allora, fatto buon viaggio?” Georg si fece dare il borsone e se ne fece carico, lasciando Emily a terra.

“Liscio e tranquillo,” rispose Nicole, mentre si incamminavano, diretti all’uscita. “E tu? Come te la passi con tutto questo pesantissimo nulla da fare?”

In mezzo a loro due, Emily allungò le proprie braccia per stringere le mani ad entrambi, sollevando lo sguardo soddisfatto verso di loro. Nicole fu lievemente commossa nel notare che Georg sembrava perfettamente a proprio agio con la situazione, e il modo in cui le strizzò l’occhio le mandò completamente in tilt il cervello per una manciata di secondi.

“Ho le mie occupazioni,” le rispose infine. “Vado spesso da Bill assieme a Gustav, tanto per sollevare Tom dal gravame di sorbirselo da solo, anche se per la maggior parte del tempo me ne sono stato sul divano a guardare la tv.”

“E scommetto che sei viziato come un pascià.” Lo stuzzicò Nicole.

Erano arrivati alla strada, in una specie di vasta piazza luminosa e pulita, scarsamente trafficata, anche se lunghe file di auto occupavano i bordi dei marciapiedi fino a perdita d’occhio.

“Dovrei chiamare Brenda e dirle che siamo arrivate vive e vegete.” Nicole si fermò e, con la mano libera, sfilò il cellulare dalla borsa – quello regalatole da Georg solo poche settimane prima – ma questo non diede segni di vita. Nel fervore della partenza, aveva completamente scordato di caricarlo. “Batteria zero.” Sospirò.

“Tieni,” Georg le porse prontamente il proprio Samsung. “Usa il mio.”

“Grazie.”

“Nessun problema.”

“Salutami la zia!” esclamò Emily, strattonandole il braccio.

“Anche a me,” si aggregò Georg. “Nipote compreso.”

Nicole si sentì arrossire: le piaceva sentirlo riferirsi al bambino di Brenda come ‘nipote’, era un termine che a suo parere implicava tante cose.

La chiamata fu breve, dato che Brenda a quell’ora era al lavoro, ma bastò a mettere Nicole in imbarazzo. Si augurava solo che Georg non la avesse sentita definirlo ‘Uomosesso’, come aveva preso a chiamarlo, perché altrimenti si sarebbe dovuta seppellire seduta stante sotto ad un bello strato di asfalto.

Gli restituì il cellulare, soffermandosi a guardarlo un istante più a lungo del necessario.

“Hey, va tutto bene?” indagò lui, premuroso.

“Sì,” gli assicurò Nicole in tono leggero. “È solo che stiamo camminando per strada mano nella mano con un idolo di livelli mondiali, anche se a lui la cosa può sembrare irrilevante.”

“Credimi,” ribatté lui, sorridendo ora a lei, ora ad Emily. “Per lui la cosa ha un immenso rilievo.” Si fermò davanti ad un’auto nera, lussuosa ma discreta. Posò il borsone a terra ed estrasse un paio di chiavi dalla tasca interna della giacca. “Voilà, ecco a voi il mio trabiccolo.”

“Wow, com’è bella!” apprezzò Emily, sfiorando la carrozzeria linda ed immacolata.

“Un’Audi?” Nicole non avrebbe chiamato ‘trabiccolo’ un’auto come quella nemmeno per scherzo, soprattutto essendo abituata a guidare la vecchia Passat di Brenda.

“Sì,” Georg batté sul cofano con modestia, ma si vedeva lontano anni luce che era orgoglioso della sua bella macchina. “Non potevo venire con la Mercedes, è troppo vistosa qui. Per i viaggi semplici come andare a fare la spesa o venire a prendere le mie ragazze alla stazione preferisco non dare troppo nell’occhio.”

“Le mie ragazze.”

Aveva un suono straordinariamente piacevole.

“Comincio a capire perché un paio di Manolo Blahnik ti sembravano un regalo di poco conto.”

“Non sono uno spendaccione come Bill e Tom,” si difese lui. “Ma nemmeno tirchio come Gustav. La Mercedes è stato l’unico vizio che mi sono concesso, per il resto sono un ragazzo sobrio e di poche pretese.”

“Che va a fare la spesa in Audi.” Puntualizzò lei, ricevendo un adorabile sorriso ruffiano in risposta.

“Be’, almeno lo faccio, no?”

“Certo, scusami,” si corresse Nicole, fingendo serietà assoluta. “Non volevo sminuire i tuoi piccoli gesti quotidiani.”

Georg aprì l’auto, sistemò il borsone sul sedile posteriore ed invitò Emily a prendere posto.

“Prego, milady, si accomodi.” Le disse, e la aiutò a salire ed allacciarsi la cintura. Aveva addirittura portato un cuscino su cui farla sedere, per farla stare più comoda.

Nicole era sicura che fosse stato sul punto di dire ‘signorina’, ma si era fermato appena in tempo, ripiegando abilmente su ‘milady’.

“Grazie!” miagolò Emily, completamente a proprio agio. Georg chiuse la portiera ed andò ad aprire quella del passeggero di fronte per Nicole.

“Salta su, bambola,” la esortò, giocando a fare lo spaccone. “Casa Kaulitz ci aspetta.”

“Tu passi troppo tempo con Tom.” Lo prese in giro lei, ma si accomodò senza aggiungere altro, messa a tacere dalla frecciata di fuoco che Georg le indirizzò con esplicita malizia.

“Andiamo da Bill, Tom e Gustav adesso?” domandò Emily, non appena Georg ebbe preso posto al volante.

“Esattamente,” le rispose lui, guardandola dallo specchietto retrovisore. “Non vedono l’ora di rivederti, lo sai?”

Nicole sorrise a se stessa.

Sapeva che non sarebbe sempre potuto essere così – così facile e sereno, così perfetto – però al momento, con Georg accanto che avviava il motore, Emily sul sedile posteriore che chiedeva che fosse messa un po’ di musica, non poté non pensare che, al di là delle attese e della nostalgia, ne valeva assolutamente la pena.

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Note: se volete sapere come la penso, questo capitolo non è il massimo. Non ne sono soddisfatta, l’ho letto e riletto mille volte, ritoccato fino allo sfinimento, ma alla fine mi sono arresa. Ho anche pensato di eliminarlo del tutto, ma ci sono scene a cui tenevo, e alla fine mi sono detta “Va bene, è un capitolo di transizione, postiamolo, e vada come deve andare”. Mi scuso in anticipo se non è all’altezza degli altri, ma vi prometto che gli ultimi due (eh già) saranno nettamente migliori.

Intanto grazie a tutti, come sempre, per aver letto e commentato, mi auguro che sarete clementi, per questo capitolo, anche se non è dei migliori. Se riterrete che valga la pena di recensire vi sarò infinitamente grata.

Vi rimando al prossimo capitolo, ora, l’ultimo prima dell’epilogo finale. Alla prossima!

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Capitolo 24
*** Your Song ***


Da che mondo e mondo, le riunioni erano formalità a cui nessun membro dei Tokio Hotel partecipava con piacere, soprattutto perché, su un piano pratico, il loro ruolo in genere si limitava ad assumere pose scomposte ed annoiate e fare finta di annuire di tanto in tanto, come se fossero stati d’accordo con qualunque cosa si dicesse.

Il fatto era che ritrovarsi chiuso in una stanza afosa dopo un mese di vacanze forzate – benché gradite – era per Bill una presa in giro: aveva aspettato a lungo prima di poter tornare allo studio di registrazione, accumulando una lunga serie di date cancellate e migliaia di fans delusi, ed ora che finalmente ci rimetteva piede, lo costringevano a sopportare quella sottospecie di miniconferenza sul recupero del tempo perduto.

Lui, Tom, Gustav e Georg sedevano pazientemente ad un lato del tavolo di lucido legno, una sfilza di finestre alte e strette alla spalle, assieme all’onnipresente Saki, Dunja e Benjamin (quest'ultimo appena reduce da un importante viaggio negli States proprio per loro), che sedevano al lato opposto, mentre David camminava avanti e indietro per la stanza, a capotavola, illustrando la scaletta di impegni che li aspettavano nei mesi a venire. Bill dubitava che con sole ventiquattro ore giornaliere sarebbero riusciti a stare dietro a quel fitto programma. Avevano molto da recuperare, era vero, ma i miracoli non li sapeva fare nemmeno lui.

“Inoltre,” stava dicendo David, riprendendo fiato dopo una lunghissima tiritera sugli Stati Uniti. “C’è un dettaglio di cui ancora non vi abbiamo parlato, che accompagnerà il vostro atteso ritorno sulla scena.”

Erano parole piuttosto sibilline per Bill, ma nemmeno gli altri parevano aver capito cosa intendesse. Chi invece sembrava sapere esattamente di cosa si stesse parlando erano Benjamin e Dunja, che annuivano con veemenza.

Faceva caldo, e nessuno aveva veramente voglia di starsene chiuso là dentro a parlare di lavoro, ma avevano firmato un contratto, si erano presi l’impegno di darsi da fare per mantenere il loro successo, e ora dovevano rimboccarsi le maniche e mettere tutte le pezze possibili a ciò che restava dell’ancora incompiuto 1000 Hotels Tour.

“In poche parole, ragazzi,” proseguì David. “Quelli della Universal vogliono un pezzo nuovo, da lanciare alla data conclusiva del tour, e vogliono avere in mano il demo per giugno.”

La notizia non ebbe effetto immediato. Erano tutti vagamente intontiti dalla noia e dalla temperatura fiaccante, ma alla fine, uno dopo l’altro, cominciarono tutti ad assumere espressioni sconvolte.

“Cosa?” esclamarono in un coro a quattro, esterrefatti. Bill non poteva credere alle proprie orecchie.

Doveva essere uno scherzo.

Non poteva che essere uno scherzo, e anche di pessimo gusto, perché chiedere ad una band il cui cantante era appena uscito da un mese di riabilitazione delle corde vocali di preparare un nuovo brano in poco più di due mesi non solo andava contro ogni etica professionale del cantante stesso, ma era anche materialmente molto arduo da attuare.

La prossima mossa quale sarebbe stata? Incatenarli ad un palco itinerante e farli esibire per un mese filato?

“È una mossa mediatica che trovo molto intelligente, anche se un po’ impegnativa, per quel che vi concerne.” Soggiunse Dunja, in un tono deciso, ma vagamente compassionevole.

‘Un po’ impegnativa’?

Bill avrebbe volentieri riso, se solo ne avesse avuto la forza e lo spirito. ‘Un po’ impegnativo’ era smisuratamente riduttivo.

“Dovete solo scrivere un nuovo brano entro il mese prossimo,” aggiunse David per sdrammatizzare, appoggiandosi con le mani allo schienale di una delle sedie e scrutandoli uno ad uno. “Niente restrizioni o criteri particolari, quello che volete, purché facciate qualcosa.”

“Stiamo scherzando?” sbraitò Tom indignato, con un salto che fece sussultare tutti i presenti. “Hanno aspettato che Bill finisse in ospedale con una cisti in gola per decidersi a lasciarci una pausa, e ora che lui è di nuovo in forma, anziché concederci ritmi più umani, ci vogliono spremere come limoni?”

“E comunque io non scrivo su commissione,” protestò Bill. “Scrivo quando sento di avere qualcosa da dire.”

“Già,” concordò Gustav. “E poi, in così poco tempo, anche se ci mettessimo sotto di brutto, gli unici brani che avremmo da offrire sarebbero quelli delle nostre carni sfinite.”

Calò un silenzio improvviso, talmente pesante che si poté sentire il cellulare di Benjamin vibrargli nella giacca. L’atmosfera era tesa, ciascuno di loro si stava chiedendo come potessero, nei loro umani limiti, trovare il tempo di scrivere un brano, se la loro agenda registrava il pienone per mesi interi.

“Bene,” disse David, sospettosamente calmo, dando tregua alla momentanea stasi. Si tirò su ed inspirò lentamente. “Allora andate voi ad informare quella simpatica gente di questo calcio in culo che volete inferire alla vostra carriera?”

Era un colpo basso. Un meschino, sleale ricatto. Non era che loro non volessero farlo, il problema stava tutto nella fattibilità della cosa in sé: serviva una buona idea, innanzitutto, e Bill al momento aveva solo appunti vari ed eventuali con ben poco potenziale, senza contare che attorno al testo, che comunque non avevano, sarebbe stato necessario costruire anche la melodia, e non una a caso, ma quella giusta.

Bill odiava vedersi porre delle condizioni riguardo quel genere di cose: scrivere una canzone appositamente per usarla come espediente pubblicitario toglieva significato ad anni ed anni di vita del gruppo.

“Ragazzi,” intervenne Georg ad un tratto, esitante. “Io un pezzo ce l’avrei.”

Sette sguardi increduli piovvero su di lui.

Georg ha un pezzo?

David lo guardò con particolare stupore, misto però ad una speranza nettamente visibile. Dal canto suo, Bill era curioso di saperne di più.

“Sul serio?”

Incrociò gli sguardi stupefatti di Gustav e Tom, e fu lieto di scoprire di non essere l’unico a sentirsi tagliato fuori da quel piccolo pezzo di vita dell’amico. Ma, a ragion veduta, che male c’era se Georg aveva scritto delle canzoni senza parlarne a loro? Bill stesso aveva un mucchio di idee appena abbozzate che teneva per sé fino a che non germogliavano in qualcosa di concreto, era normale. Qualcosa però – sebbene non sapesse dire cosa, esattamente – gli diceva che si trattava di una questione piuttosto personale, e l’atteggiamento riluttante di Georg non fu che una conferma di quella supposizione.

Bill si era tenuto lontano da lui per un po’, dopo la partenza di Nicole, ma da quando lei era venuta a trovarlo dopo l’intervento, era come se fosse rinato in un nuovo spirito più positivo: era stato così contento di rivederla – e di rivedere Emily – che si era reso conto che non gli importava se lei stava assieme a Georg; l’importante era che ci fosse.

“Sì,” Georg non sembrava molto convinto di quel che stava facendo. Teneva gli occhi bassi e tormentava con le dita il sottobicchiere di carta, chiaramente a disagio. “L’arrangiamento è da perfezionare ed adattare, ma è a buon punto.”

Per David sembrò una notizia migliore della pace nel mondo.

“Sia ringraziato il cielo!” sbuffò, raccogliendo un fascicoletto di fogli dal tavolo. “Di cosa si tratta?”

Georg congiunse le mani sopra il tavolo, sollevando appena le spalle.

“Non è esattamente nel nostro solito stile…”

“Non importa,” disse David sbrigativo. “Se è un buon pezzo, può anche darsi che susciterà un interesse superiore del previsto,” Si sentiva da come parlava che trovava quella scoperta inattesa molto interessante. “È una ballata, per caso?”

Georg si passò una lingua sulle labbra, cercando appoggio negli occhi di Bill, Gustav e Tom, i quali, però, non poterono far altro che inarcare le sopracciglia ed invitarlo a spiegare.

Bill lo vide sospirare e annuire.

“In un certo senso…”

 

***

 

Nessuno avrebbe scommesso mezzo centesimo sull’esito positivo da parte della Universal, ma, un pomeriggio di metà giugno, mentre i Tokio Hotel si trovavano in trasferta in Portogallo, a David arrivò la telefonata entusiasta di Dunja, che comunicava che la nuova canzone era stata approvata a pieni voti e che la Universal stava addirittura considerando l’opzione di farla uscire come prossimo singolo, se il responso del pubblico si fosse rivelato positivo, come si prevedeva.

Gustav trovava che tutto questo avesse del miracoloso, e non perché il brano non fosse ben riuscito, ma perché lo avevano riarrangiato e registrato talmente in fretta – in una sola settimana – da essere rimasti loro stessi stupiti dalla qualità che avevano ottenuto.

Gran parte del merito, andava detto, era da attribuire a Georg, che aveva concesso loro di usare il suo pezzo per fini commerciali, consentendo così al mondo intero di conoscere, seppur indichiaratamente, una parte della sua vita di cui pochi eletti erano a conoscenza.

“Quindi la suoneremo alla data conclusiva di Berlino?” chiese conferma Bill quando, la sera stessa, si riunirono con tutta la troupe a festeggiare l’ottima riuscita della loro performance al festival e l’approvazione della nuova canzone.

Seduto davanti a lui, David posò il boccale di birra sul tavolo ed assentì.

“L’idea di farci un singolo è molto allettante,” disse poi. “Vediamo come va, poi ne riparleremo.”

Tom allungò un braccio per circondare le spalle di Georg e scontrò il proprio boccale con il suo.

“Benvenuto nel mondo degli scrittori di canzoni!” esclamò. Era già un po’ brillo, dopo nemmeno mezza pinta di birra.

“Bene, mi toccherà buttare giù qualcosa, o mi sentirò emarginato.” Sospirò Gustav, fingendosi cupo. Al suo fianco, Bill gli diede qualche piccola pacca compassionevole.

“Hey,” esclamò poi, all’improvviso. “Dovremmo invitare un paio di ospiti speciali per quella sera, non credete?”

Non c’era bisogno di domandare spiegazioni: tutti quanti sapevano bene chi intendesse.

“Sarebbe bello riuscire a fare in modo che sia una sorpresa,” Osservò Gustav. “O per lo meno fingere che non sia un invito nostro diretto.”

“E come facciamo?” obiettò Tom, scettico. “Le mandiamo due biglietti e una lettera che dice ‘Congratulazioni, sei stata estratta tra milioni di persone in tutto il paese per partecipare all’esclusiva data di chiusura del 1000 Hotels Tour dei Tokio Hotel’?”

“Io avrei un’idea molto più semplice.” Disse Georg sornione, tirando fuori il proprio cellulare.

Gustav si domandò se l’idea e il cellulare fossero connessi. Guardò l’amico smanettare un po’ sui tasti e poi portarsi il telefonino all’orecchio.

“Chi chiami?” indagò Tom, interessato.

“La sorella di Nicole.”

“Come fai ad avere il suo numero?” volle sapere Bill, sporgendosi in avanti.

Georg guardò il proprio telefono e selezionò il numero una seconda volta, mettendosi una mano sull’orecchio libero.

“Nicole l’ha chiamata dal mio cellulare quando è venuta a trovare Bill.”

Tom scattò verso di lui e tentò di strapparglielo di mano.

“Dai qua, ci voglio parlare io!”

Una risata diffusa animò quel capo del tavolo: tutti ricordavano bene quanto Brenda fosse risultata simpatica a Tom fin dal primo momento.

“Scordatelo.” Berciò Georg, voltandosi dall’altra parte.

“Allora metti il vivavoce.” Gli intimò Tom, tirandolo per la maglia, senza dargli tregua. Georg resistette qualche secondo, poi si arrese.

“Va bene, va bene, ma mollami, per pietà!”

Ebbe giusto il tempo di accontentare Tom, che il segnale di linea libera si interruppe.

“Sì?” rispose una calda voce femminile. Georg ignorò la pagliacciata esibizionista di Tom, lasciando a Gustav e Bill il piacere di zittirlo a suon di colpi di tovagliolo.

“Pronto? Parlo con Brenda Sandberg?”

“Sì,” rispose la voce di Brenda, in assoluto distacco. “Chi parla?”

Georg increspò le labbra in un sorriso ambiguo. Gustav sogghignò nel vederlo pregustare la scena.

“Sono Georg, Georg Listing.”

Seguì una brevissima pausa, poi un’esclamazione di stupore.

“Oh mio dio!”

“Tesoro, chi è?” chiese una voce lontana, maschile e profonda, all’altro capo della linea.

“L’Uomosesso di mia sorella!” urlò Brenda con disinvoltura, causando a Tom un repentino crollo di entusiasmo e agli altri un accesso di risate conseguenti, che contribuirono solo ad avvilirlo ancora di più.

“Chi?” fece di nuovo la voce maschile.

“Il bassista dei Tokio Hotel, Gabe, il ragazzo di Nicky!”

“Oh, certo.”

Gustav soffocò a stento una risata. A primo acchito, Brenda poteva apparire come una sensuale donna in carriera, ma sotto sotto era un’adolescente scalmanata e senza peli sulla lingua, così diversa da Nicole.

“Senti,” le disse Georg, una volta sedatasi la confusione. “Ho chiamato perché io e i ragazzi avremmo bisogno del tuo aiuto.”

 

***

 

Non esistevano parole in grado di descrivere ciò che Nicole stava provando in quel momento. Era come fare un salto indietro di cinque mesi e tornare al fatidico concerto di Parigi, a quella serata magica che aveva segnato il punto di svolta verso un capitolo della sua vita che non si sarebbe mai aspettata di aprire.

Cinque mesi… Possibile che sia passato davvero tanto tempo?

Sedeva sulle tribune, con Emily, Brenda e Gabriel accanto, e le sembrava incredibile essere lì con loro, con la sua famiglia, e condividere con loro un’emozione sicuramente non nuova, ma senz’altro vissuta in modo diverso, rispetto alla prima volta.

Era stata felicissima quando Brenda le aveva detto di aver trovato quattro biglietti per quella data così ambita, e non aveva nemmeno tentato di fingere di essere dubbiosa. Si era ritrovata a dire di sì ancora prima che le venisse esplicitamente chiesto se le andasse di andarci.

Sorrise a Brenda da sopra la testolina bionda di Emily, e Brenda ricambiò estasiata. La sua pancia era cresciuta a dismisura nelle ultime settimane, ben evidenziata dall’abito bianco e leggero, e c’era stata diversa gente che l’aveva guardata in modo strano mentre si faceva largo tra la folla per raggiungere il proprio posto, e anche quando si era messa a urlare come le ragazzine che la circondavano appena la band aveva fatto il suo ingresso spettacolare sul palco.

Sicuramente non era cosa da tutti i giorni vedere una trentenne incinta di sei mesi ad un concerto rock, soprattutto una così vivace, ma nonostante i ripetuti sforzi di Gabriel di farla calmare un po’, Brenda, come sempre, aveva fatto di testa sua tutto il tempo, ed ora si godeva, stanca ma felice, le note dolci di An Deiner Seite.

Gli urli e gli strepiti che per tutta la durata del concerto avevano riempito l’arena si erano placati ed erano stati sostituiti dalle luci soffuse di accendini e cellulari, mentre Bill cominciava a cantare.

Nicole si sentiva orgogliosa di lui, di Gustav, di Tom e di Georg, perché avevano appena regalato a migliaia di fans una performance magnifica, debellando definitivamente ogni residuo di malalingua che osava insistere ancora sulla presunta perdita di abilità vocali da parte del frontman dei pluripremiati Tokio Hotel, pronosticandone la tragica fine.

E invece no.

Quella sera i ragazzi avevano appena dimostrato al mondo che la stella dei Tokio Hotel era appena all’alba del suo splendore, e c’erano quindicimila persone pronte a testimoniarlo, a raccontare della grinta e dell’energia, dell'affetto e della magia di quell’atmosfera così vicina al surreale.

Mentre An Deiner Seite andava spegnendosi, Emily si unì al giubilante coro di lodi che esplose dal pubblico, accompagnato da un applauso scrosciante che a Nicole fece venire e brividi.

Da un lato non vedeva l’ora che il concerto finisse definitivamente per poter correre nel backstage e fare una sorpresa a tutti quanti, dall’altro, invece, avrebbe tanto voluto poter restare in eterno ad ascoltarli suonare e vederli così soddisfatti e commossi.

An Deiner Seite era l’ultimo bis, la scaletta era conclusa. Tutti si aspettavano di vedere i ragazzi che si allineavano per un ultimo inchino e ringraziamento, ma ciascuno rimase al proprio posto. Soltanto Bill si mosse, facendosi avanti attraverso il palco, seguito dal cono di luce che incombeva su di lui, microfono alla bocca.

L’intera arena ammutolì in pochi secondi, spiazzata da quest’evento imprevisto, e un’unica domanda viaggiava di bocca in bocca, in attesa di risposta.

Che sta succedendo?

Bill si fermò a brodo del palco, aspettando pazientemente che il chiacchiericcio incuriosito si spegnesse e che ogni singolo sguardo fosse puntato su di lui.

“Berlino,” esclamò un attimo più tardi, lievemente ansante. “Questa bellissima serata è giunta al termine, e noi non potremmo essere più entusiasti di un concerto così ben riuscito!” Un boato di grida di apprezzamento lo fece interrompere brevemente. “Ora, come gran finale, vorremmo proporvi una canzone nuova, che suoniamo per la prima volta ufficialmente su questo palco, con voi,” Bastò quella sola frase per ottenere un silenzio quasi tombale, cosa alquanto bizzarra ad un concerto, specialmente uno dei loro. “Questa canzone è stata scritta da uno di noi, ed è per una persona molto speciale che ora si trova qui, da qualche parte in mezzo a voi, una nostra giovane amica che per noi significa davvero molto.”

Tutti presero a guardarsi intorno, a scrutare sospettosamente i propri vicini, come aspettandosi di riuscire ad individuare magicamente la misteriosa persona di cui aveva parlato Bill.

Nicole era come paralizzata. Non era abbastanza presuntuosa da pensare che stesse parlando di lei, ma quel ‘giovane amica’ aveva solleticato il suo interesse. Non avrebbe mai detto così, se si fosse trattato di lei; avevano la stessa età, non aveva senso. E poi i ragazzi non potevano sapere che lei si trovava lì.

“Mamma, fanno una canzone nuova!” esultò Emily infervorata, saltando i piedi sul sedile.

A meno che…

“È la prima canzone del nostro repertorio ad essere stata scritta direttamente in inglese,” proseguì Bill, prendendo fiato tra una frase e l’altra. “E non per ragioni commerciali, ma perché sappiamo che colei a cui è dedicata ha una predilezione per le canzoni in questa lingua.” E il sorriso che gli illuminò il viso – così bello e spontaneo – volò in ogni singolo millimetro dell’arena, surriscaldando nuovamente gli spiriti ormai già rassegnati alla conclusione della serata. “Berlino,” esclamò Bill, sollevando un braccio in aria. “Grazie di essere stati qui, stasera, e di aver reso questo concerto davvero indimenticabile!” Si chinò leggermente in avanti, il sorriso sempre più ampio, scorrendo con lo sguardo da una parte all’altra del vastissimo spazio che lo circondava. “Questa è Lullaby For Emily!”

Uno scroscio tonante di applausi che scosse la terra. Un battito cardiaco saltato. Una piccola mano che la afferrava e cominciava a tirarle il braccio.

“Mamma, mamma, hai sentito?” strillava Emily, estatica, saltando su e giù accanto a Nicole. “Mi hanno scritto una ninnananna!”

Nicole fu grata del fatto che nessuno a parte Brenda e Gabriel l’avesse sentita, ma questo era solo un vago pensiero di fondo, come un’eco lontana che era sovrastata da un’emozione incombente, che cancellava ogni altra cosa.

Tom attaccò con la chitarra, una serie di accordi lenti e armonici, molto delicati, a cui si unì il suono profondo del basso, seguito dai toni soffusi della batteria. L’intro durò quasi un minuto, un bellissimo minuto che cullò, proprio come una ninnananna, la grandissima folla, che ascoltava rapita ogni singola nota.

E poi, dopo un brevissimo istante in cui tutto sembrò finire, la musica ripartì, leggermente più decisa, vagamente malinconica, e stavolta c’era la voce di Bill ad accompagnarla.

Hey there, Emily
Don’t fear the dark
Take my hand
Let’s go to dreamland
Where you won’t cry anymore
Where angels will watch after you
Lie down and listen, Emily
This song is for you

Una sensazione strana si diffuse lentamente in Nicole, simile all’angoscia per certi versi, ma calda, morbida, piacevole, e finì con l’abbracciarla completamente.

Stavano suonando una ninnananna per Emily, davanti a quindicimila spettatori.

My lullaby for Emily
I’ve held you through your nightmares
Promised I’d be there
When you’d call for me
My lullaby for Emily
All I have to give

Aveva un groppo alla gola che quasi le impediva di respirare. Sentiva la voce di Brenda che le parlava da lontano, ma non era in grado di distinguere ciò che le stava dicendo, occupata com’era a restarsene pietrificata a fissare il palco, rapita dalla dolcezza delle parole e dalla bellezza della melodia, e più ascoltava, più la sua mente associava spontaneamente delle sensazioni a quel flusso di musica che la attraversava come linfa, avvolgendole le spalle, accarezzandole il viso, gonfiandole il cuore.

Remember me, Emily
I’m always by your side
I carry you deep inside my heart
Forever more
And trust me when I say
It will all be better one day
Tonight we are here with you
Come and listen, Emily
This song is just for you

C’era Georg in quelle parole, in quella tristezza quasi impercettibile, sentiva il suo tocco in certi accordi e in certe espressioni. Anche a di là della voce di Bill, quasi le sembrava di poterlo vedere, lui e la sua chitarra, chiuso da qualche parte a riversare i propri pensieri in una canzone.

Lo guardò, appoggiato con un piede ad un amplificatore, la testa china, il capelli che gli nascondevano il viso, mentre le sue dita scorrevano lente sulle corde del basso, in un modo quasi sensuale, e solo allora lo notò.

Uno scintillio improvviso in corrispondenza della sua spalla attirò l’attenzione di Nicole e di molti altri. ‘Cos’è?’ si chiedevano diverse ragazze, allungando il collo e zoommando con le videocamere per vedere meglio, ma solo Nicole – e probabilmente anche Emily – era in grado di rispondere a quella domanda: Georg aveva una strana decorazione fissata alla cinghia del basso, una farfalla tempestata di brillantini che aveva preso a luccicare quando si erano spente tutte le altre luci e si erano accesi i quattro riflettori sopra le teste di ciascuno di loro, un oggetto che lei conosceva molto bene, e che fu immensamente felice di rivedere in quella posizione, in un momento così speciale.

Per mesi era stata convinta che lui se ne fosse dimenticato, che l’avesse persa e non se ne fosse mai preoccupato, ma ora Nicole sapeva che non se n’era mai separato.

Through the time and the distance
We’ll be together when you close your eyes
Think of me whenever you feel lonely
And never ever forget, Emily
There’s no goodbye

Nemmeno si accorse delle due lacrime che le erano sgorgate dagli occhi, scivolandole ai lati del viso fino a morirle sul collo. Si ricordò delle tante cose successe da cinque mesi a quella parte, e anche se stava piangendo, sorrise a se stessa per la bellezza di quel regalo inatteso.

Era commossa, infinitamente commossa, e voleva che loro lo sapessero.

Non era la sola ad essersi lasciata prendere dall’emotività: moltissime ragazze seguivano le labbra di Bill come ipnotizzate, i volti rigati da rivoli di lacrime che scioglievano il trucco, ma si respirava aria di soddisfazione e gioia.

A lullaby for Emily
I’ve written for the rainy days
A lullaby for Emily
For a smile to light her face
My lullaby for Emily
Is all I have to give
To change what was done
To get her back to me
Lullaby for Emily

E quando l’ultima nota fu suonata, quando la musica si spense piano, e con essa la voce di Bill, e il cuore di Nicole le batteva così forte da farle male, quando i ragazzi si riunirono al centro del palco, stanchi ma palesemente euforici, quando le urla e gli applausi furono così forti da diventare una cosa sola, quando quattro sorrisi velati di commozione – così simili al suo – urlarono un muto ‘Grazie!’ a tutta quella gente, Nicole seppe che, anche se per tutti gli altri poteva sembrare una fine, per lei ed Emily quello non era che l’inizio.

 

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Note: ultimo capitolo, gente, ormai resta solo l’epilogo, e la cosa mi rende molto triste, ma, animo, come qualcuno di voi già sa (ma si è sparsa la voce? XD) c’è un seguito che brama di essere scritto, quindi la fine di Lullaby significherà l’inizio di una nuova storia, di cui vi preannuncio una cosa sola, ossia che il titolo sarà The Truth Beneath The Rose (una canzone stupenda dei miei adorati Within Temptation). Per ora mi limito a ringraziarvi di nuovo tutti quanti ed invitarvi a lasciare un commento, anche piccino, perché le recensioni non fanno mai male, anche perché spero che il capitolo sia stato di vostro gradimento, visto che è tanto importante. ;)

A titolo informativo, la canzone Lullaby For Emily (si sono spiegate tante cose, vero?) è stata inventata di sana pianta dalla sottoscritta, quindi niente credits nè possibilità di andarla a sentire da qualche parte, mi spiace. ^^ Se qualcuno avesse bisogno della traduzione, me lo faccia presente, la aggiungerò al più presto!

Al prossimo e ultimo capitolo!

P.S. durante lo scorso capitolo la storia ha toccato che 483 recensioni (un numero doppiamente apprezzabile, per una fan dei Tokio Hotel ^^) e quella folle di Lady Vibeke ha avuto la prontezza di spirito di immortalarlo: 483

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Capitolo 25
*** Epilogue ***


A metà aprile Nicole comunicò a Georg che aveva cominciato a lavorare in un rifugio per animali abbastanza malmesso, dove però poteva tenere con sé Emily, e dopo pochi giorni era arrivata una generosa donazione anonima, intestata a lei da parte di ‘B.+T.K., G.K.W.S. e G.M.H.L.’.

Anche al di là del lavoro, che le piaceva molto e le consentiva di stare con sua figlia, la vita di Nicole sembrava aver preso una piega del tutto inaspettata, come se l’incrocio tra il suo cammino e quello dei Tokio Hotel avesse cambiato qualcosa nel destino.

Nonostante la differenza di età, Liesel era diventata davvero la sua migliore amica ed era ormai un’ospite abituale a casa Sandberg: Nicole le dava ripetizioni di Inglese e Filosofia, e lei in cambio badava ad Emily di tanto in tanto. Liesel ora sapeva tutto di Georg e del resto della storia, dopo ponderate riflessioni, Nicole le aveva accordato la propria fiducia, ma non prima di aver ricevuto il via libera da parte dei ragazzi e di Benjamin e David, e per suggellare quel loro patto di segretezza aveva chiesto ai ragazzi di mandare per lei un regalo speciale, con il risultato che un’afosa mattina di agosto il fattorino aveva suonato alla porta dei Jensen con un pacchetto per la ragazza, contenente un poster gigante con dedica personale firmata da tutti, più una copia autografata dell’edizione limitata del singolo di Lullaby For Emily, andata esaurita da ormai due settimane. L’intero condominio aveva sentito le urla euforiche di Liesel e i mille ringraziamenti che aveva strillato a Nicole. Da ragazzina intelligente quale era, aveva intuito subito che tenere quel succoso segreto sarebbe andato interamente a suo beneficio.

Georg, dal canto suo, faceva davvero i salti mortali per mantenere la promessa fattale quella sera a Marsiglia: si vedevano spesso, uno, due o tre giorni di fila, a seconda degli impegni dei ragazzi, e, anche se per motivi di sicurezza era sempre lei a raggiungerli, loro erano riusciti a costringerla a lasciarli pagare le pur contenute spese del viaggio.

Nicole era felice, si sentiva completa ed appagata come mai in vita sua, e i mesi passarono quasi senza che se ne accorgesse.

Era una tiepida e soleggiata mattina di settembre, stava rientrando dopo essere stata a fare qualche acquisto, e camminava sola sul marciapiede con due buste della spesa stracolme, godendosi la musica dell’iPod nelle orecchie.

‘I know you're going away, I take my love into another day…’

La canzone le piaceva molto, ma la intristiva sempre un po’, perché le ricordava tutte le volte che lei e Georg dovevano salutarsi.

‘In my thoughts you're with me, I fell in love with your ways…’

La ascoltava lo stesso, però, perchè era così azzeccata e bella che non riusciva a fare a meno di adorarla.

‘I know you're going away, lead my heart into a daze…’

Assieme alla lievissima malinconia, le veniva sempre anche da sorridere, perché anziché vedersi e poi salutarsi, avrebbero potuto non vedersi affatto, non essersi nemmeno mai incontrati, e per lei sopportare qualche giorno o settimana di distanza era un prezzo più che ragionevole da pagare, visto quel che le spettava in cambio.

‘I know you're going away, leaves a void in my heart and soul…’

Sentiva molta nostalgia di Georg e degli altri, soprattutto ora che era qualche giorno che non li sentiva. Sapeva che nel pomeriggio avrebbero avuto un’intervista a Londra, quindi si era messa l’animo in pace, rassegnata al fatto che probabilmente non sarebbero riusciti a farsi vivi prima di sera, visti gli impegni.

Svoltò l’angolo della propria via, proprio nel momento in cui la musica si interrompeva bruscamente. Si fermò a controllare e notò che l’iPod era scarico.

Be’, tempismo perfetto, pensò mentre lo riponeva nella borsa, puntando lo sguardo pochi metri avanti a sé, dove i tre scalini segnalavano l’ingresso del condominio.

Stava per proseguire, quando vide un’auto molto familiare parcheggiata davanti all’ingresso del palazzo, un’Audi nera e lustra da cui stava scendendo qualcuno, reggendo una rosa rossa in mano.

Il suo cuore ci arrivò prima del suo cervello: la portiera si richiuse e rivelò alla sua vista quello che mai si sarebbe aspettata di vedere, almeno non lì a Lipsia, non quel giorno.

Georg le sorrideva a fior di labbra da dietro un paio di occhiali da sole, i capelli raccolti in una coda – che aveva preso a farsi abitualmente solo perché lei gli aveva confidato, un po’ per scherzo, un po’ seriamente, che così lo trovava ancora più sexy – meraviglioso in quei jeans strappati e in quella semplicissima maglia verde scuro. Spalancò le braccia ed allargò visibilmente il proprio sorriso con aria compiaciuta.

“Sorpresa!”

Nicole restò immobile per un attimo fugace, poi si dimenticò delle uova, lasciò cadere le buste a terra e gli corse incontro euforica, gettandogli le braccia al collo.

Georg rise e la strinse a sé, sollevandola leggermente da terra mentre la baciava su una guancia.

“Potrei sbagliare, ma ho la vaga sensazione che tu sia felice di vedermi.” Scherzò, posandole un bacio sulle labbra.

Nicole si sentiva come se qualcuno le avesse iniettato in vena gioia pura.

“Che cosa ci fai qui?” esclamò senza fiato, ancora in preda allo stupore.

Georg assunse un cipiglio offeso.

“Adesso non posso nemmeno venire a trovare le mie ragazze?”

“Ma oggi avevate l’intervista a Londra…”

“Sì, è quello che ti ho detto, in effetti.” Confermò lui, porgendole la rosa. Nicole gliela strappò quasi di mano, troppo felice per accusarlo di averle mentito così spudoratamente.

“Sei un perfido macchinatore.”

Lui sogghignò spavaldo.

“Modestia a parte, lo so,” finse di vantarsi. “Dov’è Emily?” domandò poi.

“Con Liesel,” gli rispose Nicole. “L’ho lasciata da lei per andare a fare la spesa.” E lanciò uno sguardo eloquente alle borse che si era lasciata indietro.

“Oh, perfetto,” Georg appoggiò la propria fronte contro la sua, gli angoli della bocca arricciati. “Allora che ne dici di lasciargliela ancora per un po’ e di mostrarmi il tuo appartamento?”

Nicole annuì, facendo la seria.

“D’accordo. La camera da letto è chiusa al pubblico, però.”

Georg sciolse l’abbraccio ed andò a recuperare le due borse, sollevandole come se fossero state piene di polistirolo.

“Non importa,” la rassicurò poi. “C’è sempre il divano. Tanto ci troviamo bene anche sui divani, se ben ricordo.”

“Io non ricordo…” lo provocò lei, facendogli strada nell’ingresso. Georg le si affiancò davanti all’ascensore, sorridendo malizioso. Nicole capì immediatamente perché.

“Non ci pensare nemmeno,” lo avvertì, pur divertita. “Siamo in un condominio di gente perbene, non in un immenso hotel extralusso,” Lo occhieggiò compunta. “Niente cose strane in ascensore.”

“Oh, ma ci troviamo così bene negli ascensori!” le ricordò Georg, tirando fuori una delle sue migliori espressioni provocanti. Nicole si costrinse ad ignorarlo e concentrarsi sul display che segnava il susseguirsi dei piani, altrimenti era certa che sarebbe riuscito a farla capitolare.

“Quindi quando avete la vera intervista a TRL inglese?” gli chiese, per cambiare argomento.

Georg si appoggiò con una spalla al muro.

“Tra quattro giorni.”

“E quella di ieri com’è andata?”

“Potremo gustarcela pomeriggio,” dichiarò suadente. “Sul suddetto divano.”

Nicole ormai aveva sentito quel tono già diverse volte, eppure ancora non riusciva a non farsi venire la pelle d’oca dall’effetto che le faceva. Con Georg i preliminari non cominciavano con i baci e le carezze, ma con le parole.

“Emily ne sarà felice.” Commentò, attraversata da una piccola scossa di piacere nel sentirlo di nuovo così vicino.

“Prima però fai felice me.” La stuzzicò Georg.

In quella l’ascensore arrivò e le porte si aprirono.

“Non sei già felice di vedermi?” disse Nicole, entrando assieme a lui nello stretto vano. Le porte si richiusero e l’ascensore ripartì.

“Certo,” asserì Georg, lasciando le borse a terra e avvicinandosi a lei con ovvie intenzioni. “Ma ti faccio presente che nelle ultime due settimane ho dovuto avere la tempra morale di mandare in bianco diverse ragazze piene di speranze per colpa tua, quindi gradirei che tu mi dimostrassi di apprezzare la mia buona volontà.”

I loro volti erano vicini, così come le loro labbra. Nicole non avrebbe mai smesso di sorprendersi di come il suo cuore impazzisse quando c’era lui.

“Cosa credi, che io non abbia niente da riscuotere?” replicò serafica.

“Regoliamo questi conti, allora.” Disse lui, la voce bassa e gutturale, sexy come solo lui sapeva essere, ma proprio in quel momento l’ascensore si arrestò e si aprì sul corridoio del terzo piano.

Nicole ridacchiò di fronte allo sbuffo frustrato di Georg, ma lui la redarguì prontamente:

“Non finisce qui, tesoro.” Le sibilò in un orecchio.

Nicole gli sorrise, fermandosi davanti alla porta del proprio appartamento.

Lo so, Georg, si disse, felice di poterlo finalmente accogliere in casa propria. Simbolicamente, era un passo molto importante e significativo, per entrambi. Lo so.

 

***

 

Dopo la sospirata conclusione del 1000 Hotels Tour 2008, il mondo intero sembrava parlare dei Tokio Hotel di come fossero tornati alla grande dopo il problema di Bill che aveva messo in allarme milioni di fans in ogni parte del globo, e tutti sembravano aver notato una sorta di maturazione nei quattro di Magdeburgo, almeno a giudicare dalla nuova distribuzione dei loro impegni, sensibilmente alleggeriti dopo quello che era successo.

L’attenzione massima era, com’era giusto che fosse, rivolta a Bill, che durante le prime settimane di ripresa aveva dimostrato di saper mandare in delirio un vasto pubblico anche senza essere al massimo delle proprie forze, ma, accanto a questo grande evento centrale, erano lentamente emersi altri spunti di riflessione, e uno fra questi riguardava Georg molto da vicino.

Tutti si chiedevano perché da qualche tempo il bassista dei Tokio Hotel portasse sempre un fermaglio di metallo e strass a forma di farfalla appuntato alla cinghia del basso, e una delle domande più gettonate tra i giornalisti era diventata quale fosse il significato di quel dettaglio così insolito. Lo stesso VJ di MTV Britain stava giusto ponendogli quella domanda, leggendola tra le tante che erano giunte in studio nel corso della puntata di TRL a cui erano ospiti, tra le urla e gli strepiti delle molte ragazze presenti.

Ormai ferrato su quella questione, Georg sorrise con disinvoltura al VJ e alle telecamere e spiegò:

“Me lo hanno regalato due fans molto speciali.,” Scambiò un’occhiatina fugace con Tom, Gustav e Bill. “Ciascuno di noi ha ricevuto un regalo da loro, ma devo riconoscere di essere stato il più viziato.”

Gli altri annuirono con lo stesso sorriso un po’ misterioso, e Tom aggiunse con malizia:

“Georg ha avuto senz’altro il regalo più ricercato, ma ci riteniamo tutti e quattro più che soddisfatti.”

“Assolutamente.” Convenne Bill, e Gustav annuì.

Il VJ sfogliò il consistente plico di fogli che teneva in mano e scelse la domanda successiva.

“Bill, qualche mese fa sei stato operato alla corde vocali,” disse in tono quasi solenne. “Molti pensavano che sarebbe stata la fine dei Tokio Hotel, ma avete da poco concluso il tour di recupero, registrando un sold out assoluto che ha fatto storia, e il vostro nuovo singolo è schizzato in vetta alle classifiche di tutta Europa in una settimana scarsa e ancora, dopo più di un mese, non vuole saperne di schiodarsi da lì, mentre negli States è entrato dritto alla numero sette, sbaragliando concorrenti del calibro di Madonna, Christina Aguilera e Linkin Park. Siete soddisfatti di questi risultati?”

“Moltissimo,” fece Bill, accompagnandosi con un cenno del capo. “Gli ultimi mesi sono stati molto intensi per tutti noi,” raccontò. “Abbiamo avuto esperienze davvero toste, nel bene e nel male, prima fra tutte il mio intervento e tutto ciò che ha comportato. Oltre alla grande ripresa dei vecchi ritmi, abbiamo anche rivalutato diversi aspetti del nostro lavoro, ridimensionando un po’ alcune cose e rivalutandone altre. Inoltre abbiamo conosciuto persone nuove che sono diventate importanti, e questo non succedeva da tempo, quindi sì, direi che siamo più che soddisfatti.”

Un’esplosione di grida ed applausi divampò all’interno dello studio. Le ragazze applaudivano, e con esse anche qualche ragazzo, uno dei quali reggeva addirittura un cartellone che diceva, in un tedesco perfetto, ‘Bill, sono tuo!’.

“Un’ultima domanda, che credo interesserà alle nostre ospiti,” intervenne il VJ, cercando di acquietare il più che caloroso pubblico, e in un attimo cadde un rispettoso silenzio curioso. “Abbiamo menzionato lo straordinario successo di Lullaby For Emily, il vostro ultimo singolo, ma quello che tutto il mondo si sta chiedendo è: chi è la misteriosa Emily a cui avete dedicato questa ninnananna rock?”

Un sorrisetto enigmatico si dipinse sui volti di ciascuno di loro.

“Emily è una persona, questo è vero, ma è soprattutto un simbolo,” rispose Gustav. Georg e gli altri sapevano che non era l’esatta verità, ma avevano deciso che la versione più poetica e filosofica sarebbe stata quella ufficiale, almeno per ora. “Rappresenta tutto quello che è semplice e genuino, l’energia e il coraggio affrontare le cose, ma anche la fragilità e la paura. È la chiave per capire e apprezzare meglio la vita.”

“Abbiamo avuto modo di fare qualche conto con le nostre vite, ultimamente,” aggiunse Bill. “Di ampliare un bel po’ le nostre vedute, e ci siamo resi conto che la carriera stava prendendo il sopravvento sul nostro benessere, e anche se amiamo moltissimo la nostra musica, Emily ha risvegliato in noi un po’ di quel buonsenso che stavamo perdendo di vista.”

“Penso che sia ammirevole che siate riusciti a riconoscere i vostri sbagli e porvi rimedio, soprattutto perché alla vostra età è comprensibile che ci si lasci un po’ trasportare dalla fama.” disse il VJ, rivolto a tutti loro.

“Era un po’ come se avessimo dei paraocchi e qualcuno che li avesse strappati,” spiegò Tom. “Sai, come quando sai che qualcosa non va, ma preferisci fare finta di niente, fino a che non ci vai a sbattere contro.”

“Eravamo troppo concentrati sul successo,” proseguì Georg. “Ci stavamo quasi dimenticando che, oltre ad essere dei musicisti, siamo anche dei ventenni come tutti gli altri, con gli stessi bisogni, le stesse insicurezze, ed è stata Emily a ricordarcelo.”

“Possiamo quindi dire che Lullaby For Emily è una sorta di ninnananna alla parte bambina che nessuno di noi dovrebbe dimenticarsi di avere, giusto?”

“Esatto.”

“Per concludere, c’è qualcosa che vorreste dire a tutti coloro che in questo momento vi stanno guardando?”

I quattro si guardarono e si sorrisero, poi Georg, Gustav e Tom annuirono verso Bill, tacitamente accordandogli la responsabilità di assolvere quell’importante compito, così Bill si sporse in avanti e congiunse le proprie mani, i gomiti appoggiati alle ginocchia, e puntò lo sguardo dritto in camera.

“Ognuno di noi ha la sua Emily, da qualche parte là fuori,” dichiarò con un leggero sorriso, circondato da un silenzio carico di aspettativa e rispetto. “Non smettete mai di cercarla, perché solo quando la troverete, capirete la differenza.”

 

 

THE END

 

 

 

Note: le note dell’epilogo sono le più importanti in assoluto, e avrei mille cose da dire, mille persone da ringraziare, ma sinceramente non so da che parte cominciare. Anzi, no, lo so: la soundtrack della storia.

So che avrei dovuto metterla capitolo per capitolo, ma forse è meglio così: per chi ne ha tempo e voglia, consiglio di rileggersi pian piano la storia, ogni capitolo con la rispettiva canzone di sottofondo, e notare quelle piccole cose che forse alla prima lettura sono sfuggite ma che, col senno di adesso, forse vi saranno molto più chiare e sensate. (Fra parentesi, la canzone che Nicole sta ascoltando n questo capitolo è Another Day, dei Within Temptation. Consiglio a tutti di ascoltarli, sia la canzone, che il gruppo.)

Ecco a voi la tracklist:

Little Star: Lost, The Cure

Expect The Unexpected: Beautiful Love, The Afters

Meeting The Dream: Stranger, Elisa

Interlude: Shiver, Natalie Imbruglia

A Night Like This: Little By Little, Oasis

A Modest Proposal: Sleeping Sun, Nightwish

Jump In The Dark: I’ve Got You, McFly

Little Touches Of Jealousy: Stand Inside Your Love, Smashing Pumpkins

Dinner For Two: A Question Of Lust, Depeche Mode

Saturday Night Fever: The Saddest Song I’ve Got, Annie Lennox

Kiss Kiss, Bye Bye: Pieces, Sum 41

Home: Looking Through Your Eyes, The Corrs and Bryan White

Bad Dreams: Here Without You, Three Doors Down

Stolen Fleeting Moment: Mad World, Gary Jules

Give Me Strength To Face The Truth: You Did A Good Thing, Sleepthief feat. Nicola Hitchcock

The Doubt Within My Soul: You Owe Me Nothing In Return, Alanis Morissette

Good News Gone Bad: The Bitter End, Placebo

Heartbeats: Starcrossed, Ash

Double Trouble: A Beautiful Lie, 30 Seconds To Mars

Giving Up For You: Nothing Else Matters, Metallica

Reden: Forgiven, Within Temptation

The Promise: Sweetest Goodbye, Maroon 5

Back To You, Back To Us: You Look So Fine, Garbage

Your Song: Your Song, Elton John

Epilogo: 1000 Meere, Tokio Hotel

 

 

E ora, la parte più importante: i ringraziamenti.

Grazie a voi che avete letto e avete dedicato il vostro tempo a questa storia, che è stata per un me un incredibile viaggio di iniziazione dal mondo della fanfiction sui personaggi famosi; grazie alle 205 persone che hanno messo questa storia tra i loro preferiti e alle 92 che mi hanno aggiunta ai loro autori preferiti; grazie a tutti voi che mi avete seguita, sostenuta, sopportata e consigliata tanto pazientemente (you know who you are ^^); grazie a tutti coloro che mi hanno aggiunta in MSN riempiendomi di complimenti forse non del tutto meritati e regalandomi chiacchierate davvero bellissime; grazie a chi mi ha commentata con recensioni brevi o infinite che fossero, per avermi riempita di orgoglio per essere riuscita a comunicarvi tutte le emozioni che volevo far emergere da questa storia, ma soprattutto, last but not least, grazie infinite e di tutto cuore ai Tokio Hotel, per esistere ed avermi fatto scoprire un mondo con mille porte su altri mondi, per avermi stregata con la loro musica e fatta innamorare di loro e della loro sensualissima simpatia, per avermi permesso di vedere dal vivo quanto sia mostruosamente alto e magro Bill, e quanto sia bello il sorriso di Tom, e quanto sia sconfinatamene stupendo un Gustav un po’ in imbarazzo, e quanto sia irresistibilmente sexy Georg che suona il suo fantastico Mr Sandberg. Insomma, un grazie gigantesco a chiunque abbia contribuito a fare di questa storia quello che è e a rendere la sottoscritta così fiera di se stessa e del proprio pubblico.

Vi amo, tutti quanti!

Ci si vede al sequel! ;)

P.S. Vi lascio una sorta di locandina di Lullaby for Emily, un'immagine che ho fatto tempo fa e che mi sembrava giusto postare, almeno alla fine. Sono Nicole ed Emily, per come me le sono immaginata io, e qualcuno di voi l'ha già vista. Forse non corriponderanno a ciò che avete immaginato voi, ma è giusto che sia così, dopotutto, la fantasia è sempre l'illustrazione migliore che un racconto possa avere. :)

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