*14 mesi dopo*
- David, io non credo
che sia il momento più adatto per parlargli… -
- PASSAMELO HO DETTO! –
Tom sobbalzò. Entrambi i
responsabili della sua levataccia avevano urlato. Uno dal microfono del suo
cellulare, l’altro dal letto della camera dove si trovava.
Tom guardò Bill che con
cipiglio furioso tendeva il palmo aperto della mano verso di lui.
- Andate un po’ a
fanculo tutti e due – disse rivolgendosi al fratello, con una mano posta sul
microfono del cellulare - si, te lo passo subito David – disse poi con voce
gentile, prima di mettere il cellulare in mano a Bill con tanta violenza da
farlo sbilanciare.
- Pronto? – disse Bill
con voce stizzita.
Tom lo osservò seduto
sul bordo del letto, gli occhi ancora gonfi di sonno.
Era l’una che cazzo!
Quale persona sana di mente si svegliava all’una durante le vacanze di Natale
per parlare con Bill?
Il chitarrista si grattò
la testa. Beh, David in effetti non era sano di mente.
Dal piano di sotto salì
un piacevole odorino speziato. Sua madre stava preparando il pranzo.
- No, forse sei tu a non
aver capito. Io non ho NESSUNA, ripeto NESSUNA intenzione di rovinarmi un altro
anno di vita. Dimenticati i concerti un giorno dopo l’altro, dimenticati
sessioni improbabili d’interviste. Io così non arrivo ai vent’anni –
Tom sorrise tra se e se.
Bill indossava una fascia per capelli lilla, e agitava le mani davanti al viso,
le labbra assottigliate di quando si arrabbiava. Sembrava una suocera.
Doveva smetterla di
nascondergli gli accessori per i capelli, il lilla della fascia di sua madre non
gli donava.
- Non me ne frega niente
dell’organizzazione e dei costi! E’ compito tuo! – urlò il fratello. Le guance
gli si colorarono di rosso.
- Ho detto che non mi
interessa. O così, o quel contratto te lo puoi ficcare nel c… -
Tom atterrò con un salto
sullo stomaco di Bill, afferrando il cellulare e togliendoglielo di mano.
- Nel comodino!
Esattamente! Il giusto posto per un contratto. Ora scusami David ma dobbiamo
lasciarti, nostra madre ci sta minacciando con una motosega. Prima che tagli
qualche ciocca a Bill è meglio che intervenga. Ciao! –
Con un urlo belluino
Bill, che aveva lottato con lui per i restanti secondi della chiamata, lo lanciò
giù dal letto.
Tom fece appena in tempo
a vedere la faccia ovale di suo fratello circondata dalla fascia lilla, e poi
Bill gli fu sopra, cercando di sottrargli il cellulare dalla mano.
Tom se lo scrollò di
dosso con difficoltà e si guardò intorno. Poi si accese la lampadina.
Con un lancio preciso
spedì il suo cellulare verso la finestra.
Fu quando sentì un
rumore di vetri infranti e vide il guscio metallizzato scomparire oltre il
davanzale seguito da mille schegge danzanti, che si rese conto di non essersi
accorto che la finestra era chiusa.
Entrambi i fratelli
saltarono in piedi, guardando con espressione atterrita il vetro frantumato.
- Bill! Tom! – un urlo
agghiacciante li raggiunse, sollevandosi dal piano inferiore.
- Oh cazzo – mormorò
Tom.
Tutti e due si
lanciarono fuori dalla stanza.
Bill lanciò per la
ventesima volta la pallina di gomma azzurra in alto, e la riafferrò.
Guardava nel vuoto con
aria assente, appoggiato allo schienale del letto.
Mancavano appena due
giorni a Capodanno, e quindi alla fine delle vacanze natalizie. Il che voleva
dire che di li a quattro giorni avrebbe dovuto ricominciare a dormire nel
tourbus, con l’odore sgradevole dei piedi di Georg che lo raggiungeva nel suo
abitacolo.
Ma non era quello il
problema… il problema era ben più grave delle dubbie abitudini igieniche del
bassista.
La pallina di gomma
cadde a terra, dopo un lancio sbagliato.
Era stanco.
Infinitamente stanco ancora prima di partire.
Per la prima volta non
voleva più tornare su nessun palco.
Ripensò alle urla di
David dell’ultimo anno, a tutte le volte che si era sentito male e non importava
a nessuno, ad eccezione di suo fratello e dei suoi due amici. Alle feste, a
tutti gli Hotel che aveva visto. Alle stesse facce ipocrite che gli stavano
sempre intorno. Nemmeno pensare a tutti i fan sparsi per il mondo che
aspettavano per mesi un loro concerto lo aiutava a ritrovare una motivazione,
uno stimolo, una ragione in più per dover passare un altro anno da incubo… e poi
un altro, e un altro ancora, finché il nome “Tokio Hotel” non fosse scomparso e
i loro volti dimenticati, sostituiti…
Era disgustato. Aveva la
nausea di tutto ciò che lo circondava. Di tutto ciò che lo opprimeva in modo
insopportabile, costringendolo a fare ciò che non voleva: mentire. Ormai la sua
quotidianità ruotava attorno alla menzogna. Falsi sorrisi, false risposte, falso
entusiasmo.
Il suo entusiasmo si era
volatilizzato, seppellito da ingranaggi su ingranaggi, regole, raccomandazioni,
imposizioni… bugie… solitudine.
Si stava perdendo… stava
perdendo se stesso in quel mare di studiata confusione.
Chiuse gli occhi.
Indipendentemente da ciò
che avrebbero detto Tom, o Georg, o Gustav, o David, o Saki… lui non voleva
riprendere… non voleva…
Voleva riposarsi,
riposarsi davvero…
Sarebbe bastato un mese,
o due… solo di quello sentiva il bisogno.
E l’idea che aveva
cominciato a prendere forma nella sua testa all’inizio di quelle agognate, ma
non sufficienti, vacanze, riaffiorò.
Era un’idea assurda,
pericolosa, irresponsabile, che avrebbe mandato tutti nel panico… ma in quel
momento, con la mente piena di ansie e nevrosi, gli sembrava l’ultima soluzione
possibile.
Forse era impazzito…
No, non ancora, per
quello era il momento giusto per staccare. L’ultima occasione.
L’ultima occasione…
- Che c’è? Non mangi? –
Bill giocherellò ancora
un po’ con i pezzettini di carne tagliati nel suo piatto prima di abbandonare la
forchetta sul bordo di porcellana bianca.
- Non ho fame – guardò
Tom. Dall’angolo della bocca del fratello pendeva la metà di una patatina
fritta, che scomparve in pochi istanti.
- A cosa stai pensando?
– chiese.
Bill alzò gli occhi al
cielo.
L’ultima domanda che
avrebbe dovuto fargli.
Decise semplicemente di
non rispondere, anche se non poteva negare che in ogni caso suo fratello avrebbe
ottenuto la spiegazione che voleva.
- Bill? Quale pensiero
malefico e nefasto sta producendo la tua testolina? –.
Infatti.
Tom partì alla carica,
il sorriso sghembo di quando lo coglieva in flagrante a pensare “cose nocive”.
Bill lo guardò di nuovo, cercando di tenere in piedi ancora un po’ il falso
alibi del “non penso a niente”.
- Scusa cosa ti fa
pensare che io stia producendo pensieri malefici e nefasti? – chiese con
studiata innocenza. Tom si asciugò la bocca con il tovagliolo e sorrise.
- Perché hai sempre
quella faccia quando pensi a qualcosa che molto probabilmente metterà nei casini
tutti e due. Soprattutto me. Fai quella faccia da quando ti conosco… cioè… più o
meno… tutta la vita – rispose. Esibì un sorriso strafottente all’espressione
arresa di Bill.
- Su, dai, spiegami
tutto – disse appoggiandosi pesantemente allo schienale.
Bill deglutì.
Sicuramente Tom avrebbe dato di matto, ma prima o poi doveva parlargliene.
- Parto… - disse
soltanto.
Si pentì.
Era il modo peggiore per
dirlo.
Nella sua mente aveva
formato un lungo discorso dai toni pacati e tranquillizzanti, che avrebbe fatto
capire a Tom ciò che aveva intenzione di fare senza il rischio di traumi
(fisici, e per lui).
Perché invece della
pappardella preparata gli era uscita dalla bocca solo la scarna e scioccante
verità?
Suo fratello
inizialmente non si scompose più di tanto. Bill lo conosceva come se stesso.
Sapeva che aveva preso la sua affermazione come uno dei suoi ennesimi momenti di
debolezza, in cui dichiarava di voler farla finita con tutto. Ma non era così.
Quel momento durava da un anno, ed era arrivato ad un punto in cui doveva
parlarne seriamente con Tom.
- Bill, tra poco ti
sentirai meglio. E’ solo il pensiero di dover tornare a lavorare, manda fuori di
testa anche me negli ultimi giorni di vacanza. Lo sai che è sempre così – Tom
fece uno dei suoi sorrisi rassicuranti ed ingoiò un sorso d’acqua.
Bill non rispose al
sorriso. Rimase immobile.
- No Tom, non è la
stessa cosa stavolta – disse. Incrociò lo sguardo di suo fratello. Vide il
sorriso scomparire dalle sue labbra e gli occhi farsi freddi. Tremò appena, come
per scacciare una sensazione fastidiosa.
- E dove andresti
esattamente? – domandò con tono beffardo, ma Bill sapeva che quello era il suo
modo per esorcizzare la paura.
- New York… -
Il sorriso di Tom questa
volta fu sarcastico. Stava cominciando ad innervosirsi.
- New York… - ripeté –
ottima scelta… e quando partiresti esattamente? –
Bill attese un minuto
prima di rispondere, mentre suo fratello gli lanciava sguardi dardeggianti
dall’altra parte del tavolo.
- Il primo di gennaio –
disse.
Per un attimo gli occhi
di Tom si dilatarono. Forse per lo shock, o per la paura che suo fratello
facesse sul serio. Probabilmente era la seconda.
Bill pensò di non dirgli
nulla del biglietto nascosto nella tasca dei suoi jeans preferiti, piegati al
sicuro dentro l’armadio. L’aveva comprato due giorni prima nell’agenzia viaggi
della città, personalmente. Fortuna che nevicava… non aveva dovuto spiegare
perché mai una sciarpa gli circondasse tutta la faccia, comprese le punte delle
orecchie.
- Stai scherzando – Tom
fece cadere le schermaglie. A Bill dispiacque tanto che per un attimo pensò di
mandare all’aria tutto.
No, non stavolta Bill. Stavolta andrai fino in fondo.
- No Tom – rispose
abbassando gli occhi sulla bistecca smembrata nel suo piatto – dico sul serio –
Tom aprì e chiuse la
bocca un paio di volte.
Poi si infuriò.
- Tu… sei… pazzo – disse
puntandogli contro l’indice destro.
- No Tom, non sono
pazzo, sono stanco – disse Bill. Doveva riuscire a rispondere con calma. Non era
il caso di far scoppiare un litigio. Anche se suo fratello non aveva l’aria di
voler collaborare.
Tom si alzò in piedi.
- Non me ne frega un
cazzo Bill. Non mi interessa. Non puoi prendere e mollarci così. Non esiste – la
voce gli tremava dalla collera.
Anche Bill si alzò.
- Tom, non voglio
litigare. Ne riparliamo più tardi. Ti chiedo solo di non riferire niente a
nessuno per il momento – si incamminò verso le scale e fece i primi gradini
senza guardare suo fratello, che sembrava voler rimanere impietrito. Sperò che
non lo seguisse. Non accadde.
Tom lo raggiunse con
rapide falcate al piano superiore. Lo prese per una spalla e lo voltò di scatto.
- Mi chiedi di non
riferire niente a nessuno?! Dovrei lasciare Georg, Gustav e David allo scuro
della tua ennesima stronzata?! – sbraitò il ragazzo. Quando la risposta da parte
del fratello non arrivò scosse la testa.
- No. No Bill. Mi sono
stancato di doverti star dietro. Andate a fanculo tu e tutti i tuoi capricci da
primadonna. Ma pensi prima di dire le cose? Pensi a chi chiederanno i soldi per
coprire vendite che non ci saranno? Per annullare le date dei concerti mentre tu
sarai dall’altra parte del mondo a non fare un cazzo? Ci pensi? O pensi solo a
te e alle tue cazzate come al solito? – Tom si interruppe per riprendere fiato.
Bill sentì un colpo da qualche parte in fondo allo stomaco. – Non ci pensi eh?
Pensi sempre e solo a te stesso… sei proprio uno stronzo egoista –
Suo fratello lo superò e
dopo pochi istanti Bill sentì una porta sbattere alle sue spalle.
Non trovò il coraggio
necessario per voltarsi per diversi minuti.
Quando si decise a
muoversi entrò nella sua stanza e chiuse la porta dietro di se. Scivolò lungo la
superficie di legno, ammaccata e graffiata da anni ed anni di lotte tra fratelli
finite male e oggetti lanciati.
Stai davvero facendo la cosa giusta?
…Si… O vado via, o impazzisco.
Ma non era più tanto
sicuro di se mentre circondava le ginocchia con le braccia, guardando il buio
dietro le palpebre chiuse.
Dormiva da diverse ore
quando sentì qualcuno bussare alla sua porta. Anche da appena svegliato poteva
indovinare chi ci fosse li dietro.
Guardò fuori dalla finestra.
Era buio.
Doveva essersi
addormentato parecchie ore prima.
Si alzò piano, con le
ginocchia che scricchiolavano.
Cercò la maniglia
nell’oscurità e aprì la porta.
Davanti a lui c’era Tom,
appoggiato allo stipite. Lo guardò con espressione indecifrabile.
- Posso entrare? –
chiese.
Bill si limitò ad
annuire.
Tom accese la luce e si
sedette sul suo letto, dove Bill lo raggiunse dopo aver chiuso la porta.
Per un minuto o due ci
fu solo silenzio.
Bill non sapeva cosa
aspettarsi.
Tom doveva avere in
mente qualcosa. Che volesse malmenarlo per distoglierlo dalla sua idea?
Quando il gemello biondo
sospirò forte, trasalì.
- Va davvero male? –
chiese Tom senza guardarlo.
- Si… ricordi tre mesi
fa?
A
Bercy? – disse Bill.
Tom annuì. – Beh
adesso è molto peggio. Non so come ho fatto a resistere fino a queste vacanze…
Non ci riesco più Tom… -
Tom abbassò la testa.
- Sei sicuro che questa
sia la soluzione giusta? –
Bill si permise solo un
attimo di esitazione.
- Si, sono sicuro… Un
altro modo non c’è. Se rimanessi qui David e Peter non mi permetterebbero mai di
fermarmi –
Evidentemente suo
fratello non trovò nulla da ribattere, perché tacque.
- E quanto mancheresti?
Cioè… di quanto tempo hai bisogno per… “riprenderti” ? – chiese poi.
Bill deglutì.
- Un mese… un mese e
mezzo… -
Vide le mani di Tom
stringersi attorno ai lembi del piumone. Si preparò mentalmente ad un’altra
sfuriata… che non arrivò.
- Credo di farcela a
tenerli a bada per un mese – Tom lo guardò e sorrise.
Bill aprì la bocca
scioccato.
- S-stai scherzando?
Stai scherzando vero? –
- No Bill, dico sul
serio. Hai ragione. Ho detto un sacco di cazzate prima… ma non ne pensavo
nessuna. Non voglio vederti ridotto ad un vegetale… se davvero senti che
staccare per un po’ ti aiuterà, io ti appoggio. – Tom parlò con difficoltà. Bill
sapeva che si stava scusando a suo modo.
- Bene… - disse.
- Bene – rispose Tom.
Calò un silenzio carico
di imbarazzo.
- Non lo dirai alla
mamma vero? – chiese Tom. La risposta era scontata.
- No, certo che no. Tu
sarai l’unico a sapere dove sono… anche se gli altri dovranno credere che non lo
sai. Quando sarà il momento mi verrete a cercare, e io mi farò trovare. E
ricominceremo… -
Tom non sembrava troppo
convinto, ma annuì ugualmente. Bill gli fu immensamente grato.
- A che ora prenderai
l’aereo? –
- Alle sei di martedì
mattina –
- Ti ci porto io –
- Non con quella
macchina da rapper arrapato –
Tom gli lanciò un
sguardo eloquente.
***
Note di Phan:
Il titolo di questa fan fiction è "And... you can dream?". Come le nozioni base
di inglese insegnano, nelle frasi interrogative è obbligatoria l'inversione di
soggetto e verbo. Tuttavia il titolo della FF non è sbagliato, perchè la frase "you
can dream?" viene comunque utilizzata nel linguaggio gergale ^^. Volevo solo
fare un piccolo appuntino.
Ringraziamenti a lovelylory che ha letto anche le altre due mie FF ^^. La
cosa non può farmi che piacere. dark_irina, sempre puntuale con le sue
adorabili faccine e i suoi puntini di sospensione che adoro *-*, grazie per la
recensione. Vitto_LF grazie per i complimenti ^^, e accetto volentieri
l'invito di leggere e recensire una tua FF, anche se temo che dovrai adattarti
ai miei tempi q_q, perchè purtroppo faccio fatica a conciliare tutti i casini
vari (ma comunque leggerò ;P). bluebutterfly, una delle mie affezionate
*-*. Grazie come al solito delle tue parole. Lo so che maltratto Bill... ma a
quanto pare non riesco davvero più a farne a meno. La risposta alla tua domanda
si trova in questo capitolo. EtErNaL_DrEaMEr ^^ ah ecco, chiarito chi
sei!!! *-* Piccolo PS... amo i tuoi gusti musicali! E grazie della tua
recensione. pervancablueee finalmente ci ritroviamo!!! Grazie per la
dritta sul codice HTML!!! Mi ero dimenticata come una stupida!!! E grazie per la
recensione... sai che adoro le tue recensioni. loryherm, ho letto la
recensione che hai fatto in Sunburn... sorprendente come tu sia riuscita
perfettamente ad inquadrare il "movente". Il mio e il tuo pensiero sembrano
essere in simbiosi. Grazie anche per la recensione che hai fatto in questa FF.
Bacioni a tutte. =Phan=
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