Bello e impossibile di darkronin (/viewuser.php?uid=122525)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** I stole your love ***
Capitolo 2: *** I was made for lovin' you ***
Capitolo 3: *** Desire ***
Capitolo 1 *** I stole your love ***
Nota
per coloro che non seguono i fumetti (magari solo il film, i cartoni, o
hanno interrotto anticipatamente la lettura o cominciato dopo gli
eventi narrati in questo Crossover in universo alternativo).
In House of M,
la maga e mutante Scarlett (figlia di Magneto) ha alterato la
realtà in modo che tutti i suoi 'amici' possano vivere la
vita che hanno sempre desiderato (accontentando loro, si sente
autorizzata a coltivare la propria illusione genitoriale).
In questo universo, Logan è il nuovo Fury (anche se per
cacciare le visioni si dà all'alcol e alle droghe), Mistyca
il suo secondo e la sua amante... In realtà di Remy e Rogue
non abbiamo alcun dato. Ipotizzo tutto io (perché
sì!). Ma potendo... ecco come andrebbero le cose.
Il rating è arancione per il semplice motivo che,
sì, finiranno per farlo (sono tre capitoli e sarà
un crescendo), ma non sarà un racconto hard (anche se
all'inizio i due mi avevano spaventata con minacce in quel senso).
Penso che l'arancio possa bastare.
Buona lettura.
Questi
personaggi non mi appartengono, ma sono proprietà di Stan
Lee, Chris Claremont, della Marvel, Marvel studio, Walt Disney Pictures
e tutti quelli che mi posso essere dimenticata; questa storia
è stata scritta senza alcuno scopo di lucro.
I stole your love.
Finalmente sono nel pianerottolo del mio appartamento. La settimana
è stata pesante. E siamo solo a mercoledì. Ho
passato tre giorni pieni a inseguire il mio capo, l'uomo che considero
un padre, un fratello, un amico e un confidente.
Logan,
la mattina di lunedì, ci ha lasciati.
Non nel senso tragico del termine: è semplicemente scappato.
All'inizio avevamo dei dubbi sulla sua fuga ma quando l'abbiamo beccato
alla Torre Stark che delirava... beh... è stato
inequivocabile.
Mystica, la mia madre adottiva, la mia superiore e la donna di Logan
ritiene che sia impazzito. Pare che la mattina in cui tutto
è cominciato sia scappato dal loro letto, farneticando sulla
realtà che non era come doveva essere. Prima di lanciarsi
nel vuoto dall'Helicarrier, dritto nel cuore della città.
Trovo
le chiavi con un gesto automatico e cerco di infilarle nella toppa
della serratura.
Logan
che scappa e noi dietro come cani a cercarlo, a cercare di fermarlo, di
parlargli, di farlo ragionare. Ma non c'è stato nulla da
fare. E' il migliore in quello che fa.
Così, dopo tre giorni in cui tutti, nella squadra, non
abbiamo visto un letto che per poco più di un ciclo R.E.M. e
toccato cibo se non per una quantità tale da coprire a
malapena il fabbisogno per la giornata di un bambino depresso e in
stato comatoso, il colonnello Shaw ci ha obbligati ad allontanarci dal
luogo di lavoro. D'altronde, venivamo da un'altra mezza settimana
intensa, una missione snervante e massacrante e già al
momento del fatto non eravamo nel pieno della lucidità. Ora,
la nostra squadra è quanto di meno professionale possa
esserci sulla Terra.
Sbuffo
nervosa: la chiave continua a scivolarmi mentre cerco di imbroccare la
fessura al buio, dato che le luci si sono già spente e non
ho voglia di allontanarmi dalla soglia per riaccenderle.
Shaw
ha ragione: non siamo svegli, sragioniamo e ci azzanniamo tra noi.
Siamo esausti.
La giustificazione è molto semplice, in realtà.
Più della stanchezza è il voltafaccia
incomprensibile del nostro capo ad averci destabilizzati.
Abbiamo cercato di pensare come lui, di esaminare i luoghi dove lui
sarebbe andato. Ma nulla. Logan non si comporta secondo nessun
parametro a lui riconducibile. Sembra un'altra persona. E la cosa ci
spaventa. Perché, in fondo, siamo come una famiglia. Si
potrebbe parlare di nepotismo, ma lavoriamo dannatamente bene, assieme.
Io, Nightcrawler, Mystica, Logan, Toad e la Sapiens geneticamente
potenziata Jessica Drew
La
chiave trova, infine, il suo alloggio e io giro la maniglia senza tanti
complimenti.
A
volte, la vita allo S.H.I.E.L.D. è davvero tutt'altro che
semplice. E' contorta, caotica, imprevedibile. Come ci si
può costruire una famiglia con questi presupposti? Quando
rischi la vita ogni dannato giorno? Non c'è da sorprendersi
se le coppie di colleghi sono la maggioranza e se i figli lavorano
nello stesso luogo dei genitori. Certo, non credo che nessuno vorrebbe
che il proprio figlio facesse questa vita. Ma quando cresci in un
ambiente così affiatato, cameratesco, in cui tutti si
conoscono e tutti hanno gli stessi problemi, diventa difficile tagliare
i ponti. C'è una certa bellezza nostalgica nelle nostre
divise, nei nostri riti, negli odori, nei luoghi, nelle musiche che
accompagnano e scandiscono le nostre giornate, nel vedere e vivere
– e non da turisti – luoghi diversi e non farne mai
parte. E' qualcosa che, credo, nessun'altra professione può
darti. E che, difficilmente, qualcuno potrebbe realmente capire.
Per questo il comportamento di Logan ci suona così alieno.
Ci sono state, certo, come in tutte le professioni, i bravi e i cattivi
comandanti, i traditori e quelli ligi al dovere. Ma James Howlett
è l'esempio per tutto il nostro corpo armato, una legenda
vivente.
Sguscio
all'interno senza un emettere il minimo rumore. Deformazione
professionale. Sono esausta eppure ancora carica d'adrenalina. Avrei
voglia di... non lo so... di fare qualcosa, qualsiasi cosa. Ma mi
è stato impedito.
Allungo la mano a dove so che si trova l'interruttore, mentre poso a
terra il mio borsone. Invece del pulsante, però, incontro la
morbida resistenza del calore di una mano. Sarò piena
d'adrenalina ma non sono lucida. Per niente. Non gli è
difficile piegarmi il braccio dietro la schiena, costringermi col volto
contro la parete mentre con la mano libera mi copre la bocca e col
corpo mi schiaccia al muro.
Reagisco d'istinto, che vedrebbe una persona normale cercare di
togliersi una delle due mani di dosso. Mi sta così vicino
che anche per me, ridotta come sono, è estremamente facile
assestargli, in un'immediata risposta, una gomitata alla bocca dello
stomaco che lo piega in due per il dolore. Senza riflettere, il mio
corpo sta già agendo e avverto appena il movimento d'aria
sollevato dalla mia treccia mentre mi volto. Ha beccato male: un'agente
S.H.I.E.L.D. è l'ultima persona da aggredire. Mi volto,
facendo perno su una gamba mentre l'altra falcia l'aria. Avverto di
aver colpito in pieno il mio aggressore e prima che frani a terra, ho
già acceso la luce.
“Sei impazzito!” Sbraito riconoscendolo all'istante
mentre lui si rialza da quella posa plastica che assume sempre, dopo
ogni caduta. “Cosa sarebbe successo se non mi fossi
trattenuta, perché troppo stanca?”
“Ah, ma Chére...” sospira e non capisco
se è sollievo o irritazione “Questa è
casa mia...” sorride ma il gesto non raggiunge gli occhi:
è preoccupato e io ho appena versato benzina su quanto deve
aver pensato mi fosse capitato.
“Non è casa tua!”
preciso, cercando di ignorare il senso di colpa.
Tre giorni che non dormo e non mangio decentemente. Ma sono almeno sei
che non rientro.
“Giusto...” risponde condiscendente.
“Dobbiamo smetterla di vederci così,
dolcezza”
“Lo credo anch'io...” replico sbottonandomi la
giacca a doppio petto tricolore. Me la tolgo di dosso quasi con rabbia
e la butto su una sedia un paio di metri più in
là, in cucina, e mi dirigo verso il bagno: ci mancava solo
lui.
“No no no, Marie...” dice con fermezza afferrandomi
per il gomito. “Va a cambiarti mentre io ti preparo
l'acqua...”
Senza rispondergli, imbocco il corridoio che porta alla zona notte. Non
fa domande. Non ne fa mai. Lo apprezzo. Davvero. Non so cosa farei a un
uomo anche minimamente più curioso di lui. Eppure
è chiaro che è roso dalla preoccupazione,
dall'ansia e dalla curiosità. Giustamente.
Ritorno in bagno con indosso solo la biancheria e, in una mano, un telo
per asciugarmi, il pigiama e la biancheria pulita.
Lui è lì, seduto sul bordo della vasca,
l'avambraccio immerso a metà nell'acqua saponata per
controllarne la temperatura, la camicia rimboccata fin sul gomito. Il
rombo prodotto dal rubinetto aperto a piena potenza copre gli eventuali
rumori che potrei produrre entrando.
Ora che mi permetto di osservarlo, ha profonde occhiaie sotto quelle
fessure che ha per occhi: di solito sono due tizzoni ardenti e ora
sembrano come congelati sotto strati di neve. Una stretta mi prende
all'altezza dello stomaco.
Per sei giorni non ha avuto mie notizie, per sei giorni si è
domandato cosa mi fosse successo. Per sei giorni non ho avuto testa di
chiamarlo.
Posso solo immaginare l'angoscia... non so se voglio sapere davvero
cosa ha provato. Mi sarebbe così semplice. Una carezza, un
bacio. Non se ne accorgerebbe nemmeno.
“Scusami...” inizio sedendomi accanto a lui
“Devi aver pensato che fossi morta in missione...”
cerco di abbozzare un sorriso ma mi esce una smorfia patetica.
“Ho sentito che c'è stato un po' di movimento, nei
quartieri alti...”
replica, apparentemente indifferente. “E' un bene che non
abbia lasciato il giro.. lo S.H.I.E.L.D. è abbastanza parco
di informazioni...”
“Quindi sai tutto?” domandò, sollevata
“Sì...” dice allungando il braccio alla
mia spalla nuda per tirarmi a se. Lo lascio fare: ho bisogno di questo
abbraccio. Improvvisamente, sento tutta la stanchezza.
“L'acqua è pronta... riposa... posso solo
immaginare cosa sia successo dopo... la partenza di
Logan...” dice alzandosi per lasciarmi un momento per me,
prima di continuare col terzo grado.
“Remy...” lo trattengo e lui mi tira a
sé. Gli cingo la vita, la guancia poggiata sul suo addome
contratto, le sue mani che mi carezzano i capelli e piano sciolgono la
treccia rigida in cui costringo i miei capelli bicolore quando sono in
servizio. Dopo un minuto passato così, in silenzio, mi alzo
e mi spoglio, pronta a immergermi nella schiuma soffice e nell'acqua
bollente sottostante. Lui fa due passi per andarsene ma, giunto sulla
soglia lo richiamo. “Fa il bagno con me... recuperiamo un po'
di tempo”
Lui si ferma e si volta. Stira un sorriso stanco “Ci
vorrà ben più di un bagnetto per recuperare sei
giorni di lontananza totale... e la tua totale mancanza di buon
senso.” replica ma si toglie la camicia, già
sbottonata sul petto, come fosse una maglietta.
Mi immergo per bagnare anche i capelli e quando riemergo, probabilmente
simile a un barboncino, con tutta quella schiuma sulla testa, lui si
sta immergendo con cautela alle mie spalle.
“Sembrava meno calda...” impreca
“A me piace così...” replicò
abbandonandomi al suo petto come fosse un cuscino. “Cosa hai
fatto mentre non c'ero?”
“Nulla di che... il solito...” risponde prendendo a
massaggiarmi la base del collo con frizionamenti sicuri e precisi
mentre io mi lavo i capelli.
“Remy!” sibilò infastidita
“Gelosa, Chére?” domanda senza sollevare
lo sguardo dal suo lavoro
“Allarmata
è un termine che si avvicina di più...”
Mette il broncio, non è la risposta che voleva sentirsi
dire, lo so. “Ho cercato di farmi arrestare. Da un'altra
agente governativa... forse la conosci... bionda, costume succinto..
una sapiens...
una genezero...”
Parla di Miss Marvel. Una delle poche super-umane che, con le sue gesta,
si sia guadagnata il rispetto dalla comunità mutante al
potere. E una delle poche persone con cui ho avuto ripetuti e violenti
scontri. Ci odiamo reciprocamente, a pelle, anche se, generalmente,
evitiamo incontri-scontri diretti. E, nonostante questo,
è come se una togliesse l'aria all'altra, letteralmente.
“Una Sapiens, eh... quella
Sapiens...” replico, piatta.
“E' un gran bel vedere... dovresti concordare...
Sai...” aggiunge prima che possa riempirlo di insulti
“... mi sentivo solo... e mi mancava essere arrestato da un
agente governativo... dici che qualcuno prima o poi inizierà
a notare una certa ricorrenza tra le mie incarcerazioni e i tuoi
interventi?”
“Abbiamo altro a cui pensare che non i tuoi patetici
tentativi di distrarmi dal mio lavoro...” replico con
più acidità di quanto vorrei.
Avrebbe ogni ragione di essere offeso: gli sputo addosso questo dopo il
suo essere sempre a mia totale disposizione. E c'è anche il
fatto che non mi son fatta viva per giorni.
“Certo, il fatto che viva con un ladro non getterebbe una
bella luce sul mio CV... Ma né Logan né Mystica
ne farebbero una questione di Stato... visti i loro trascorsi di
mercenari...”
“Tuo fratello non approverebbe, credo...” aggiunge,
quasi sovrappensiero.
“Kurt può farsi una vita sua...”
rispondo stanca “Sono io che ti ho sposato, non lui,
né loro...”
“Indirettamente faccio parte della sua famiglia”
Sarà anche un ladro, ma ha un buon cuore. Non perde
occasione per difendere il mio strambo fratello dall'aspetto demoniaco.
“E tu di quella di un demone...” ribatto per non
essere da meno e dare, idealmente, ancora in testa a Kurt.
“E tu di quella di uno scienziato pazzo” risponde
lui. A quella osservazione non posso replicare nulla. Lascio perdere
quest'inutile discussione e torno ad allungarmi
nell'acqua.“Inoltre, credo che Mortimer abbia un debole per
te. Gradirei marcare il territorio... e schiacciare quel
rospo!”
“Toad? Ma per piacere...” replico divertita
“Ridi ridi... non hai idea di come possa starci... lui ti
vede tutti i giorni. Io no. Forse usate pure gli stessi spogliatoi in nome del supremo spirito di corpo... E' molto brutto essere tagliato
fuori..”
“Ti prego... Toad...” sto ancora ridendo. Non
è possibile che sia geloso. “E poi non parlare
come un maschio alfa a una femmina incapace di ragionare...”
replico “Lo stipendio lo porto a casa io, ti
ricordo”
“Se facessi una vita più tranquilla, potrei anche
lasciar perdere il furto...”
“A proposito di furto... perché mi hai aggredita,
prima?”
“Pensavo fossi un ladro... hai armeggiato troppo, rispetto al
solito, sul cilindro della serratura. Se non fosse stato per il tuo
profumo avrei potuto spezzarti il collo: sei entrata furtiva... troppo
silenziosa. ”
“Ho imparato a muovermi
dal migliore...” lo provoco con cattiveria reclinando la
testa sulla sua spalla.
“Marie...” sospira lui chinandosi sulle mie labbra
in risposta “Senza tener conto che non si ruba in casa di un
ladro...” dice a mo' di rimprovero, come se stuzzicare
l'altro fosse solo una sua prerogativa “Il furto è
una forma d'arte incompresa... e ci sono cose che non vanno violate. E
il domicilio di una dei più begli agenti governativi
è nella lista delle cose da evitare...”
“E cos'altro comprende questa lista?”
“Tu”
“Io so badare a me stessa...” rispondo divertita
trattenendo uno sbadiglio. Potrei uccidere col mio tocco, se solo
volessi.
“Possiamo cambiare argomento? Mi dà terribilmente
fastidio solo l'idea...” dice, mentre le sue mani si spostano
dal collo ai fianchi per poi risalire al seno e la sua bocca si posa
sul mio collo.
“Scusami per averti aggredito...” dico in un
sospiro, reclinando il capo per baciargli, a mia volta, la base della
mascella.
“Sei sicura...?” lo sento fermarsi, incerto. La
domanda di certo non riguarda le mie scuse: sa che se non direi mai
nulla di cui non fossi pienamente convinta “Sei
stanca...”
Grugnisco qualcosa che vorrebbe essere una risposta affermativa. E'
vero, sono stanca e sento le palpebre pesanti.
Ma, forse, si tratta solo del piacere che mi regalano le sue attenzioni.
X - X - X - X -X - X -X - X -X - X -X - X -X - X -X - X -X - X - X
Eccoci qui... spero che il delirio pre-tesi vi sia piaciuto: l'universo
di House of M
è l'unico in cui ste due povere anime possono davvero
combinare
qualcosa (o in cui, cmq, Rogue possa toccare qualcuno a piacere.. a
parte la versione The
End... non è l'universo in cui tutti i
desideri sono realtà?).
Come
Logan ha avuto le sue visioni prima di ricordare la realtà
d'origine e
fuggire alla follia che viveva, vedremo che anche Rogue (nel fumetto
è
una delle poche persone che riescono a far rinsavire) ha questi dubbi
su una vita altra... ma non vi dico altro o vi rovino la sorpresa.
Ci risentiamo tra una settimana mentre, nel frattempo, proseguono le
vicende de L'ira degli
eroi.
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Capitolo 2 *** I was made for lovin' you ***
I was
made for lovin' you
Quando riapro gli occhi sonnacchiosi, il calore non mi ha abbandonato,
ma è... diverso.
Mi sembra di aver solo battuto le palpebre tanto è una
sensazione piacevole e in linea con il momento in cui mi sono
-evidentemente- addormentata: capisco che c'è qualcosa che
non va dal fatto che la stanza è immersa nel buio. Cosa
stavo facendo? Ci impiego un po' a orizzontarmi ma, appena mi muovo, la
stretta sulla mia vita si accentua e la voce di Remy, impastata dal
sonno, mi riporta al qui e ora.
“Ben svegliata...” biascica a occhi chiusi
“Che ore sono?” domando confusa
“Per te è presto... e anche per me”
risponde controvoglia. Certo, io sono in congedo forzato per un giorno
o due e lui... beh, le sue attività non accuseranno la sua
assenza dalle strade.
Mi giro nel suo abbraccio e mentre mi muovo mi rendo conto che la mia
chioma è ancora umida. Devo essermi addormentata mentre mi
coccolava... posso solo immaginare come ci sia rimasto, anche se non mi
sembrava troppo convinto nemmeno lui.
Lo bacio e, nonostante l'abitudine, il mio cuore fa una capriola.
“Buongiorno, dolcezza”
“Non dirlo, Marie...”
“Perché?” lo punzecchio, ormai sveglia,
baciandolo ancora, la barba ispida mi fa il solletico.
“Perché sennò ti salto
addosso...” replica baciandomi a sua volta e stringendomi a
sé. A sottolineare le sue intenzioni, il suo corpo reagisce
in modo inequivocabile ed è allora che mi accorgo che siamo
entrambi già nudi e pronti alla fase successiva.
“Chi ti dice che non sia quello che voglio?” lo
provocò. La stanchezza, ormai, è solo un ricordo
lontano.
“Non me lo farei ripetere due volte... se non fosse
che...” replica baciandomi la punta del naso, le labbra e
l'incavo del collo. “Devi mangiare... non ti voglio ridotta a
uno scheletro...”
Detto ciò, si alza e si infila la biancheria minima. Mio
malgrado mi costringo seduta e lo fisso accigliata dalla nuvola di
lenzuola. “Stai scherzando? Dov'è il
trucco?”
“Che mal pensante... Perché dovrebbe esserci il
trucco? Semplicemente posso aspettare mezz'ora... Non ci impieghi di
più a mangiare, no?” domanda falsamente allarmato.
“Perché ti conosco...” rispondo uscendo
dal talamo. “E poi dipende tutto dal cuoco...” Non
faccio in tempo a poggiare i piedi a terra che Remy mi ferma e,
scusandosi, mi porge le ciabatte.
“Me ne son dimenticato, ieri sera... sai... a trafugare
cadaveri dalle vasche piene di acqua saponata fumante si possono
perdere pezzi...” ironizza. Dio... chissà la
fatica e le imprecazioni? Dovevo dormire come un ghiro per non
accorgermi di nulla. “Quando avrai mangiato avrai
più energie da dedicarmi, no?” aggiunge facendomi
l'occhiolino.
Mi butto addosso la mia vestaglia color salvia e il mio stomaco decide
che quello è un buon momento per ruggire la sua approvazione
alle parole di mio marito. Sorrido imbarazzata e lo seguo in cucina. In
due e due quattro mi compare davanti al naso una tipica colazione cajun
che ha un che di casa. Anche se sono del Mississipi, il clima, la
vegetazione, l'architettura, la cultura e la cucina sono simili a
quelle della Louisiana.
Mangio con tale voracità che ho già spazzolato il
piatto prima che Remy abbia portato in tavola il caffè.
Me ne scuso ma lui non ci fa caso, anzi, sogghigna divertito.
“Sei abbastanza carica, ora?” domanda dopo un po'.
Ha una strana luce negli occhi, gliela conosco e so che devo aspettarmi
qualcosa.
“Dipende...” dico da brava ruffiana, arricciando le
labbra e buttandomi sul tavolo, il mento poggiato ai palmi delle mani,
le braccia puntellate sul pianale lucido.
“Una seduta sfiancante di sesso estremo?” ironizza.
Ma non troppo.
“Mi è tanto mancato... potrei essere un po' fuori
allenamento...”
“Non dire così che la cosa mi eccita”
replica teatralmente con la bocca piena, segno che quanto dice
è tutto fuorché veritiero. “Doverti
insegnare tutto di nuovo da zero... l'innocenza di una vierge...”
“Non mi provocare, Cajun” sibilo, stando al gioco.
“Potrei farti pentire di aver sottovalutato questa vergine guerriera”
Ma lui si fa serio. “Se ti giro un indirizzo, mi prometti di
mandarci i tuoi ragazzi?” mi chiede fissandomi senza batter
ciglio
“Perché?”
“E' una cosa disgustosa... credo farebbero bene a ficcarli
tutti al Raft”
“Di cosa si tratta?” domando. Il suo tono non
lascia presagire nulla di buono. Altro lavoro. Anche a casa. Che palle!
Remy si alza e sparecchia velocemente, quindi mi precede in soggiorno.
Qui mi porge una confezione rettangolare di plastica. Me la rigiro tra
le mani: non ci vedo nulla di strano. Una divisa S.H.I.E.L.D., cucita
pure male... un costume da Mardì
Gras?
Glielo rendo ma la sua espressione seria mi costringe a esaminarla
ancora.
E' un costume, indubbio.
“Questo è il catalogo...” aggiunge
mostrandomi una brossure. Ci siamo tutte, coi diversi gradi, il diverso
modo di portare l'uniforme. Io, Mystica, Jessica... pure le matricole.
“Non capisco...” ammetto rigirandomi il foglio tra
le mani. E' allora che un sorriso malizioso gli stira le labbra.
Abbasso lo sguardo e capisco: non è propriamente un costume,
nel senso tradizionale del termine. La locandina promette
caratteristiche attagliate a ciascun personaggio. L'uniforme di Mystica
può simulare ogni tipo di superficie e colore ed
è adattabile a ogni corporatura, quella di Jessica promette
una leggera levitazione oltre a piacevoli
scariche elettriche. La mia... beh... è, forse, la
più perversa.
“L'élite dello S.H.I.E.L.D. pare sia uno dei sogni
proibiti più comuni. Umani o mutanti, non c'è
differenza razziale, è una... passione
trasversale...”
“E tu vorresti che noi facessimo chiudere una fabbrica di
sexy costumi...per?”
“Non sopporto che nessuno possa farsi un viaggio su di
te...” mi alita a un dito dal volto. E' rabbia o desiderio
quello che gli arrochisce la voce? Non riesco a dirlo.
Ma lo guardo scettica: non credo proprio di essere questa gran bellezza
che lui crede, ma non glielo dico “Lo farebbero comunque...
in modo più tradizionale!” replico cercando di
mantenere un tono neutrale
“E la cosa mi manda il sangue alla testa...”
“Tu ne hai uno, però...” gli faccio
notare, sventolandogli la scatola sotto gli occhi “Vuoi
negare ad altri il tuo divertimento? La donna che ci starebbe dentro
non sarei comunque io...”
Lui scuote la testa. “Se ci trovassimo a ruoli
invertiti?”
“Se qualcun'altra si facesse viaggetti su di te?”
medito a lungo. Non credo ci troverei nulla di male. Facciano pure. Lui
ha sposato me. E in questa mia sicurezza non c'è solo
altruismo ma anche tanto sadismo: povere sfigate, sognate pure tanto io
posso sapere in ogni istante della sua devozione per me. Ma ho capito
che a lui questo discorso non piace, così glisso
“Vuoi collaudarlo?” propongo maliziosa.
Subito si riaccende, dimentico della sua rabbia “Volevo
proportelo”
“Non mi vedi abbastanza in divisa?”
“Da cui ti ho sempre spogliata...” ghigna divertito.
Lo spingo sul divano e mi accomodo cavalcioni su di lui, a separarci
solo il suo intimo “Siamo in un universo parallelo?
Perché dovrei indossare una cosa del genere -con un unico
taglio strategico- mentre faccio l'amore con mio marito?”
domando. Cerco di resistere alla tentazione di provocarlo ma non riesco
a frenare le mie dita che giochicchiano con i suoi capelli, la pelle
del suo collo, delle spalle... “Un universo in cui non ti
posso toccare?” Azzardo “In cui solo una guaina del
genere potrebbe proteggerci? Insieme, ovviamente, al
preservativo?”
Lui mi scansa infastidito “Non mi piace la piega che sta
prendendo il discorso...”
“Che ho fatto?” domando esterrefatta “Era
per contestualizzare il tuo giochino...”
Lui si morde le labbra, senza guardarmi in faccia “Non dire
con tanta leggerezza che potrebbe esistere una realtà in cui
saremmo condannati a non poterci toccare...”
Il mio sorriso svanisce come è comparso. Non posso
dirglielo. Non l'ho mai detto a nessuno, ma quello è il mio
punto debole, il mio incubo, la cosa che temo di più. Quando
mi sveglio urlando nel cuore della notte non è per il senso
di colpa per le vite che ho mietuto come agente ma è per
quello che la mia vita avrebbe potuto essere. Uccidere col solo
contatto epidermico incontrollato, una vita di privazioni, niente
affetti, niente baci, niente sesso. Essere la morte in persona e non
poter salvare i propri amici in caso di necessità.
“Non lo è...” dico automaticamente
“Fortunatamente” aggiungo nella mia mente, nel
tentativo di tranquillizzarmi: non ci voglio pensare nemmeno io.
“Ti amo, Marie...” dice prendendomi il volto tra le
mani e baciandomi con trasporto. Subito mi lascio andare e rispondo con
dolcezza e urgenza insieme. Devo cacciare dalla mia mente l'idea di non
poterlo toccare e per farlo ho bisogno di sentirlo il più
possibile. “Non sopporterei di non poterti toccare... anche
se mi dicessero che posso avere chiunque altra... Dovrei trovare un
altro modo per comunicarti il mio affetto... e non sarebbe comunque la
stessa cosa...”
Sorrido, triste. Certe parole gli escono con tale
spontaneità... mentre io non riesco nemmeno a dimostrargli
decentemente il mio affetto.
“Dio...” sibilo arrabbiata con me stessa. Scuoto la
testa per cacciare ogni pensiero. Noto la sua espressione smarrita.
Crede che lo stia respingendo, che lo trovi troppo appiccicoso...
“Ce l'avevo con me stessa, mon amour...”
dico per fugare ogni dubbio “A volte vorrei che il mio potere
funzionasse al contrario. Che tu potessi assorbire i miei
pensieri...sentire cosa provo quando sono con te. E anche quando non lo
sono... A me basta poco, mi basta sfiorarti e nemmeno ti accorgi di
essermi entrato in testa... Come non bastasse, mi riempi di attenzioni
e premure. Gesti, parole... tutto trasmette il tuo amore per me, senza
arrivare a quanto di più fisico ci scambiamo come
infoiati... Forse è per questo che non sono
gelosa...”
“No, mon coeur.”
mi zittisce lui con tono dolce “Non ti stavo accusando di
essere troppo poco espansiva. Hai capito male...” mi tira a
sé per cullarmi nel suo abbraccio “Se tu mi amassi
un punto infinitesimale di quanto ti amo io...” si
interrompe, incerto “Dio.. Marie... ti amo e tu mi resti
accanto nonostante tutto. Cosa potrei chiedere di più?
È già un miracolo che una donna come te tolleri
un mascalzone delinquente come me... mi vuoi bene... dici di amarmi...
ma come ti amo io? Non farmelo immaginare, ti prego... morirei dalla
gioia.”
“Ma...” cerco di replicare: siamo sposati, che
cavolo! Crede che l'abbia fatto con leggerezza? Come una povera
sprovveduta che non pensa al domani? Abbiamo i nostri alti e bassi,
come tutti ma... non può credere davvero l'abbia fatto per
compassione o stupidità. “Trovo offensivo quello
che dici, mari...”
“Non capisci!” dice scuotendo la chioma castana con
riflessi dorati “In questo modo sono spronato a darti il
meglio, non posso adagiarmi sugli allori perché potresti
stancarti di me e trovare qualcuno più degno...”
“Certo... Mortimer” ironizzo irritata, rifacendomi
alla sua uscita di ieri sera
Ma lui ignora la frecciata e continua serio “Alla fine
l'amore è qualcosa che serve a noi, a farci stare meglio.
Anche idolatrare un cantante ci fa star bene... ma, oggettivamente, lo
facciamo per noi. Non mi sento alla tua altezza, per questo non mi
sento pronto ad ipotizzare che tu mi ami quanto ti amo io...”
Lo spingo sul divano,interrompendo quel fiume in piena. E' steso sotto
di me. Un servo e il padrone: io ho un ruolo di potere, non solo sul
lavoro, ma anche nella nostra coppia. Io decido se far vivere o far
morire la gente come la nostra relazione. Perché dei due
è Remy che ci mette tutta la passione e l'impegno.
“Io...” comincio ma mi fermo subito, la gola secca,
la mente vuota “Ho il terrore di svegliarmi, un giorno, e
scoprire che tutto questo non è stato altro che un sogno o
il parto di una mente sadica che ci ha ficcati in una specie di
Matrix...” sento le lacrime che pizzicano agli angoli degli
occhi ma non vi bado: se devono uscire, che escano “Che io e
te non siamo sposati, che non possiamo toccarci... che non possiamo
amarci liberamente...”
“Non che tenerlo segreto sia proprio sinonimo di liberamente”
replica lui, divertito, asciugandomi le lacrime.
Sento il cuore scoppiare in petto, un nodo alla gola impedirmi di
respirare. Il calore della sua mano sul mio viso è la mia
ancora. Mi ci aggrappo come non avessi un futuro, cerco di imprimermi
bene, come faccio sempre, anche se lui non lo nota, ogni dettaglio,
ogni sensazione, per ricordarlo un giorno, qualunque cosa accada.
“Una realtà che non sia esattamente questa per me
è inconcepibile. Al di là di tutto, proprio per
te. Credimi! Se solo potessi farei a cambio di poteri,
affinché tu possa leggere quello che provo
davvero...”
Remy si tira su senza fatica e mi bacia le labbra “Non serve
che tu mi offra nulla. Sei qui e tanto basta.” replica con un
fuoco negli occhi “Ti credo quando mi dici così.
Anche perché, volendo essere egoisti, io ti tengo sotto
ricatto, mostrandoti e imponendoti i miei sentimenti. Che tu, da brava
donna quale sei, non puoi ignorare. Soprattutto per un discorso di
empatia.”
Replico baciandolo, avida: devo sentirlo, pelle contro pelle, materia
contro materia. Essere certa che lui esiste e che non è un
sogno o, peggio, che non sono ammattita. Per una volta, forse la prima
nella nostra assurda relazione, sono io a condurre il gioco. Mi libero
della vestaglia e mi offro a lui che mi guarda rapito, estasiato.
X - X - X - X - X - X - X - X -
X - X - X - X - X - X - X - X - X - X - X
Rieccomi, a distanza di una settimana, con il secondo capitolo. Credo
abbiate ormai capito che tipo di piega stiano prendendo gli eventi e
come si concluderà questa short, il prossimo
venerdì.
Un paio di cose, di cui mi sono dimenticata -come sempre- di farvi
nota: i titoli. Sono presi tutti da canzoni anni '80 (sono in quel mood
per la festa che si sta svolgendo nella serie principale... abbiate
pazienza): i primi due sono brani celebri dei KISS che ho sempre
associato a loro due, visto che il soggetto di chi ruba cosa
è confuso, tanto nella realtà marveliana -lo
fanno entrambi, a modo loro-, quanto nella canzone. Il prossimo
sarà un omaggio al brano Desire dei
Radiorama.
Anche il titolo della storia prende da un altra famosissima hit di
Gianna Nannini: non solo, a mio parere, Gambit è bello e
impossibile (soprattutto in quanto figlio/clone di Sinistro con occhi
altrettanto assurdi), "con quel sapor mediorientale" -la Francia non
è così a Est, per gli americani, che possono pure
sbagliarsi sulla posizione geografica- ma lo è soprattutto
il loro amore (motivo per cui è ambientato in House of M).
Ancora una cosa. Mardì
Gras indica sia il periodo carnevalesco che, come da noi,
comincia dopo Epifania, come anche il giorno stesso del finale e, negli
Stati Uniti, è celebrato negli stati dell'Alabama,
Mississippi e Louisiana (ex colonia
francese) ma
è New Orleans a essere famosa per questo tipo di
divertimenti e per i costumi ben colorati che nulla hanno a che fare
con i travestimenti di Halloween. E' un retaggio della cultura
anglicana e cattolica.
Come già detto anche in L'ira
degli eroi, i due eroi vengono da stati confinanti e dalla
cultura simile: per questo -e non solo per la loro convivenza- Rogue
parla un pochino di francese e sa cucinare cibo cajun e, quindi, prova
nostalgia in questo capitolo.
E basta... non mi sembra di avere altro da aggiungere... Al prossimo
aggiornamento.
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Capitolo 3 *** Desire ***
Desire
Con movimenti goffi si libera di quanto ci divide e ribalta la
situazione.
Salta i preliminari a piè pari, lui che è
così bravo e conosce ogni trucco per intrattenere una
signora. Lui che passerebbe le ore a letto giocando col mio corpo e
godendo del piacere che riesce a trasmettermi in quel modo ma riuscendo
a rimanere -lui- abbastanza lucido per studiarmi in ogni dettaglio. Una
cosa che odio ogni volta, perché mi imbarazza, che lui se ne
stia lì, con quel sorrisino ebete stampato in faccia, mentre
io mi contorco come un lombrico preso all'amo.
Ma oggi non giochiamo, non ci coccoliamo minimamente: con rude dolcezza
mi possiede lì, sul divano, forse anche lui divorato dalla
stessa urgenza, dalla stessa paura che mi attanaglia costantemente.
Avverto appena il dolore di un'entrata così brusca, ma una
smorfia mi balena in viso.
“Scusa, Chére...
ho cercato di far attenzione...” Si giustifica anche in
momenti come questo.
Insopportabile: non può limitarsi a scoparmi come farebbe
chiunque altro?
“Colpa tua che sei... dotato”
replico indispettita, sperando di mettere fine subito alla questione.
“Mon Dieu!
Mai sentito che avere un bel grimaldello
fosse un problema per forzare le serrature...”
“Per quelle delicate sì” replico prima
di baciarlo per zittirlo definitivamente.
Siamo pieni di passione e, ancora una volta, tutto questo, in un angolo
della mia mente, mi angoscia, perché un fuoco che brucia a
entrambe le estremità, oltre essere spettacolare, consuma
una candela in metà del tempo.
Ho paura.
Paura di perderlo.
Involontariamente mi sfugge un brivido che non è di piacere
e lui se ne accorge.
Si accorge sempre di tutto.
“Non vado da nessuna parte...” mi tranquillizza con
la sua voce bassa e roca. Un massaggio sulla spalla, lento e dolce, non
so dire se della mano o dei polpastrelli, tenero come una carezza,
arriva subito a cullarmi.
Remy si ferma e si china su di me. Credo sia una cosa difficile, per un
uomo, interrompersi così, a comando, preso come dovrebbe
essere dal bombardamento di sensi che gli arrivano dal resto del corpo.
Ma lui lo fa.
Fa cose assurde.
Come lo stesso gesto circolare e rassicurante...è tutto
così strano e quasi stonato nel bel mezzo di un amplesso.
Lui è così.
Rimane vigile e lucido dove io perdo la testa.
“Non credere che sia così sciocco da lasciarti
incustodita, mon
Trésor...Sei in trappola... non puoi andare da
nessuna parte!” scherza prima di mordicchiarmi il lobo mentre
le sue mani mi avvolgono i seni con fermezza “E come mia prigioniera puoi
andare solo dove vado io. Sei mia!” afferma con sicurezza
prima di baciarmi. È come se cercasse di ammonirmi e, al
tempo stesso, di convincere se stesso di questa cosa che trova ancora
così assurda e miracolosa.
Mi scappa un sorriso.
E' tutto fuori luogo! Le sue moine, la sua dolcezza... e la mia
ilarità.
Mi guarda, prima confuso, poi subito fintamente offeso o arrabbiato,
prima di dare un colpo di lombi, mozzandomi il fiato, in quello che
vorrebbe essere una sorta di punizione per la mia mancanza di rispetto
nei suoi confronti.
“Mon
Chér.....” ghigno io, dopo essermi
ripresa “Se qua c'è qualcuno che tiene prigioniero
qualcun altro...” sillabo prima di alzare le gambe attorno
alla sua vita “... quella sono io!” affermo prima
di ribaltare la situazione con un colpo di reni. Rotoliamo fuori dal
divano, giù per terra e, ancora una volta, sono io a
trovarmi in posizione di comando.
“Mi piace quando sei così aggressiva”
ghigna lui “E mi piacerebbe, prima o poi, vederti con un
costumino come quello di Shanna, la diavolessa1”
dice riportando le mani a coppa al mio seno, quasi per vedere l'effetto
che farebbe uno straccio di quelli su di me.
“A cavallo di un dinosauro? L'abbinata perfetta non
è donne e
motori?”
“Sono avvezzo a vederti sporca di grasso e con la tuta da
lavoro...” replica mentre le sue mani scendono lungo il
torace, il pollice che sembra contarmi le costole una a una, per poi
afferrarmi i fianchi, indicandomi il movimento da riprendere.
“Non mi piace cavalcare dinosauri...” replico con
aria di sufficienza.
“No?”domanda stupito e distratto, preso da altre
sensazioni
“No. Preferisco i cervi che vivono nelle paludi boschive tra
Louisiana e Mississippi, con penetranti occhi
incandescenti...”
“Parbleu...
parli di moi!”
apre gli occhi teatralmente esterrefatto
“No, di Daimon Hellstorm...” replico prima di
chinarmi su di lui e aumentare il ritmo
“Ah, Chére...
in tema di fiamme e spiriti da vendicare... Sicura di non aver nulla a
che fare con la Forza Fenice?”
“Battuta vecchia, Cajun...”
“Sempre attuale...” replica tirandosi su a fatica,
cercando di intercettare uno dei miei seni con le labbra
“...sei un fuoco...” aggiunge ributtandosi
giù, sconfitto.
“E tu uno stupido romantico...”
“Suona come un'offesa, mon
Amour...”replica indispettito
“Continui a ciarlare in questo frangente...” dico
sgranando gli occhi, a sottolineare la palese assurdità
della cosa.
“Anche tu... Devo forse dedurne che non sei
soddisfatta?”
“Sono difficile da accontentare...” replico con un
ghigno. Un'altra battuta ormai trita.
“Mmm... adoro le sfide...” risponde lui, infatti.
Senza aggiungere altro, ci ributtiamo a capofitto in quello che stavamo
facendo, ciascuno concentrato sulle proprie sensazioni.
Finché, nonostante lo stordimento, o forse proprio a causa
della perdita di controllo, la sgradevole sensazione che tutto questo
possa finire o non esistere mai più, torna prepotente e
pressante. Provo a focalizzarmi ancora di più sul dar
piacere a mio marito, sperando che questo presentimento svanisca al
più presto. Ma non sono abbastanza serena per godere io
stessa di questo momento. O meglio, ormai sono stata distratta e
difficilmente potrò rimediare.
Remy, ormai e fortunatamente, è più di
là che di qua per far caso al mio malessere.
La tristezza mi attanaglia il cuore e mi viene da piangere. Vorrei solo
che lui mi stringesse a sé e mi baciasse fino a soffocarmi,
fino a farmi morire d'amore, in modo da smentire tutto quello che ho in
testa.
Affondo su di lui, determinata ad allontanare i cattivi pensieri e mi
accanisco sul suo corpo come se fosse una battaglia e lui il nemico da
infilzare.
Fisicamente siamo entrambi vicini all'apice ma, nonostante tutto, io
non riesco a esserlo mentalmente.
Mi chino sulle sue labbra socchiuse dalle quali lui cerca in ogni modo
di non lasciar scappare alcun gemito di piacere per rispetto, sostiene
lui, nei miei confronti, per non farmi sentire solo un corpo su cui
sfogare i propri istinti.
Il mio Remy, così pieno di attenzioni e dolcezze: come
potrei vivere senza di lui? Lontana da lui?
Lo bacio e assaporo la morbidezza delle sue labbra carnose: sono la
cosa che mi mancherebbe di più se mai noi....
Non riesco a pensarlo, fa troppo male.
E mi sfugge.
Qualcosa che non gli ho mai detto.
Mai.
Lui mi sommerge -ancora adesso- con parole gentili e io, troppo
imbranata e in imbarazzo, non ho mai fatto altro che arrossire alle sue
provocazioni, senza mai allontanarlo con convinzione. E questo, anni
fa, fu un fattore fondamentale nell'innesco della nostra relazione. Con
il suo modo di fare guadagnava fiducia, di volta in volta, nella sua
sfrontatezza e si sentiva autorizzato a farsi sempre più
audace e arrogante. Mi cinse d'assedio come un bravo e valoroso
stratega, trovando falle che io ero convinta di aver tamponato bene e
che lui sfruttava abilmente per scalare la mia ritrosia per vincermi,
infine, per sfinimento.
“Ti amo...” mi mordo le labbra quando è
ormai troppo tardi e lui ha sentito benissimo. Non posso nemmeno
trincerarmi dietro una scusa qualunque, un fraintendimento, un non volevo, non intendevo...
Chiude gli occhi, come se un dardo l'avesse colto di sorpresa:
è irritato ma felice. Una miriade di espressioni balenano su
quel volto spigoloso: per ciascuna so individuare con precisione
chirurgica il pensiero che sottende.
Un attimo prima è confuso e sorpreso, quello dopo
è rigido sotto e dentro di me, percorso dalle lievi
convulsioni del piacere, attanagliato dall'impossibilità di
reagire razionalmente. Nonostante tutto, sono soddisfatta della sua
reazione e lo raggiungo, concedomi pochi secondi di piacere, anche se
non ne godo a fondo come avrei dovuto e voluto.
“Faire foutre!”
impreca “Non potevi scegliere momento meno
adatto...” c'è rabbia nella sua voce, ma non
è rivolta a me “Sapristi...”
si copre gli occhi con i palmi delle mani aperte “Mi fai
sentire un idiota...”
“Sei dolce...” replico stendendomi su di lui e
rubandogli un altro bacio, prima di nascondermi nell'incavo del suo
collo
“Douceur...
sono venuto troppo presto... mi... mi hai...”
Sconvolto. Emozionato.
Lo so.
Lo sono anch'io.
“Non... non me l'avevi mai detto...” la domanda
è implicita e semplice e il suo gesto, passarmi la mano
libera dal mio peso tra i capelli, rassicurante. Rifiuto di muovermi da
lì: non voglio essere cacciata e, come una bambina, mi
aggrappo alle sue spalle. “Però potevi
aspettare...” perché così gli ho negato
di esibirsi a pieno nel perfetto adempimento ai suoi doveri coniugali.
“Non volevo dirlo...” lo informo con cattiveria
punzecchiandogli il petto che si alza e si abbassa al ritmo regolare
dei suoi respiri.
Mi prende la mano e si porta le dita alle labbra per baciarmene le
punte. Una scossa si irradia lungo tutta la colonna vertebrale e sono
costretta a ritrarre la mano per evitare di risvegliare i sensi che si
erano ormai assopiti.
“Sai...” comincia lui dopo un po'. Come sempre
avrà intuito cosa mi agita “Sono convinto che, in
qualunque vita rinascessimo o in qualunque universo ci troveremmo a
vivere, qualunque barriera possa opporsi al nostro amore, dalla razza
all'età alla religione – ammesso di essere vivi
entrambi- ti amerei proprio come ora, con la stessa
intensità. Sai quello che diceva Platone delle anime
gemelle? Ecco... credo che noi due siamo una di quelle coppie. Possono
allontanarci in ogni modo ma troveremmo sempre la strada per tornare
dall'altro. Almeno... io la troverei. E non mi farei certo scoraggiare
da un problema come quello del non poterti toccare. Anche se sarebbe
frustrante. Lo ammetto. Ai limiti della follia. Ma ti troverei e ti
farei innamorare di me.”
“Chi ha...?” domanda scema: non posso
più giocare la solita carta da finta tonta...
“Hai detto che mi ami...” replica lui, divertito,
stringendomi forte a sé “Non hai idea quante volte
mi sia svegliato dopo aver sognato queste due parole... Credevo non
avresti mai ceduto..”
Rialzo la testa, sento i capelli spettinati in modo selvaggio, e,
ammiccando seducente, lo provoco ancora “Non sarai
così patetico da aver sognato qualcosa del
tipo...” mi ributto a cavalcioni e mi inarco indietro
“Ti. Amo.” scandisco, sillabando bene e
prodigandomi in gemiti fintissimi. “O forse lo urlavo
addirittura?” domando inclinando la testa, con un sorriso
birichino.
Remy arriccia le labbra, divertito “No, questa mi mancava, mi
sembrava un po' banale...”
“Sei uno scemo!”
“Siamo una coppia di scemi” ribatte cercando di
mettersi seduto. Si sposta in modo da appoggiare la schiena al divano e
mi tira a sé. “Bene... prendi carta e
penna...” mi dice serio “La prossima frase che devi
imparare è...” lascia la frase in sospeso per
concedersi del pathos che, nudo come un verme com'è,
è l'ultima cosa che potrebbe pretendere “Siamo incinti!”
Subito storco il naso. All'idea e alla forma usata. “E il
toto-nomi... io voto per Rebecca e Olivier”
“Sai come la penso al riguardo...”
“Sì, sì, Chére...
il corpo è tuo e se voglio farmi un figlio posso rivolgermi
altrove. Sono d'accordo. Bisogna essere in due a volerli e non devi
certo mettere al mondo creature solo per farmi contento. Parlavo di un
prossimo futuro ipotetico...”
“I miei figli -se ne avrò- non avranno per padre
un delinquente...”
“Parlò la teppista riconvertita alle forze
dell'ordine” ridacchia.
“Non voglio avere figli. Non con questo lavoro, non in questa
vita.”
“In questa vita puoi...” replica lui, lontano,
facendo riaffiorare l'argomento che, al momento, più mi
disturba. Ha ragione. Ora posso. Chissà cosa potrebbe
succedermi domani, quando tornerò in servizio. Ma no. E'
troppo pericoloso ed entrambi conduciamo una vita tutt'altro che
regolare e dei figli necessiterebbero un ambiente sereno con limiti e
regole... Remy sembra quasi leggermi nel pensiero “Potresti
crescerli allo S.H.I.E.L.D. Lì sarebbero al sicuro. Non
dovresti nemmeno giustificarti... nessuno saprebbe mai chi è
il padre, se non vuoi. E sarebbero seguiti dai migliori educatori e
verrebbero preparati a una vita da campioni... da vincenti.”
la sua voce si è fatta triste. Perché fare il
ladro non è, propriamente, una carriera brillante e di
successo, che qualcuno si augura per il proprio figlio. Un ladro, anche
se ruba a enti e non a persone fisiche, violenta comunque un ambiente e
la sua comunità con un gesto egoistico.
“Hai vinto me, non ricordi?” dico, sperando di
dirottare il discorso su toni più leggeri. Non voglio che,
nel caso succedesse qualcosa, l'ultimo ricordo di mio marito sia quando
l'ho visto afflitto a compatirsi.
Ancora, la sensazione di un'imminente cambiamento mi attanaglia le
viscere.
“Sei stata la mia puntata migliore...” concorda lui
“Oli' e Bekka concorderebbero”
“Smettila con questa storia!” replico picchiandolo
con dolcezza sulla spalla
“Smettila di non volerne nemmeno parlare” ribatte
lui “Saresti una mamma fantastica, se questa è la
tua paura... E, in fondo, siamo cresciuti entrambi abbastanza
equilibrati nonostante tutto... Non trovi? E poi, siamo stati coppia:
dei bambini non rovinerebbero quello che siamo, non ci farebbero vivere
vent'anni una realtà per poi lasciarci con un perfetto
sconosciuto accanto come capita a molti. Per questo devi essere sicura
di volerlo. E io potrei sempre fare il casalingo e badare ai bambini...
mi piacciono i bambini... ci so fare...”
“Gli insegneresti a giocare a carte...”
“Quale bambino non impara a giocare a carte?”
“Gli insegneresti a barare. A fare giochi pericolosi su una
fune e chissà cos'altro...”
“Mosca cieca! Non è pericoloso...”
“E' così che si insegna il borseggio, a New
Orleans?”
“Insegnerei loro a cucinare, per dimostrare il loro affetto
per la loro madre...”
“Smettila...” replico infastidita, ributtandomi su
di lui. Non volevo litigare, non volevo che le cose degenerassero... e
tutto perché mi è sfuggito.
“Però mi ami anche per questo!”
asserisce trionfante.
“Fantastico!” penso alzando gli occhi al cielo
“Gli ho dato un altro giochino con cui infierire su di
me...” Però sono felice di averlo fatto: mi son
tolta un peso e lui... lui è raggiante.
“Sì” ammetto a voce alta tirandomi in
piedi controvoglia e recuperando la vestaglia che giace dimenticata in
un angolo del salotto “Ti amo. Purtroppo. Dovrebbero
uccidermi per farmi cambiare idea. E forse nemmeno quello potrebbe
rimediare a questo tremendo colpo di matto.”
Mi volto, trionfante, lasciandolo a terra, confuso da quella raffica di
parole. Meglio rivestirsi, prima di avere altre tentazioni. E sia mai
che mi richiamino in servizio sul più bello.
Lo amo. E ha ragione lui, come sempre: in ogni universo, in ogni
realtà in cui ci incontrassimo, finiremmo certamente a
rincorrerci come due scemi, a punzecchiarci, a negarci l'un l'altra.
Ora come ora, non mi importa più cosa ne sarà di
noi, domani: avrò sempre e comunque questi ricordi a
sostenermi e la certezza di essere anime affini, che riescono a trovare
sempre una soluzione a ogni problema il destino decida di mettere sul
nostro percorso.
Anche nel
caso in cui domani dovessi svegliarmi e tutto questo essere
svanito.
1 Storica compagna di Ka-Zar (Lord Kevin
"Reginald" Plunder). I due
vivono nella Terra Selvaggia, in Antartide -zona lussureggiante al Polo
Sud -già accennato anche nel capitolo
16 di Rien ne
va plus.
I due sono dei novelli Tarzan & Jane, con una punta di
Mowgli (vista la tigre dai denti a sciabola preistorica di nome Zabu
che i due hanno come animale domestico che gioca un po' il ruolo di
Bagheera e di Cita)
X - X - X - X -X - X -X - X -X -
X -X - X -X - X -X - X -X - X - X
Ed eccoci all'ultimo capitolo di questa mini fic.
Scusate il ritardo ma la consegna della tesi, negli ultimi giorni, mi
ha impegnata parecchio...
Come ha detto giustamente qualcuno, sono una grandissima stronza con i
miei personaggi :)
Da qui in poi, la storia procede come si sa: Rogue e il resto della
squadra tornano al lavoro, intercettano Logan, vengono
“svegliati”, scoprendo così di essere in
una realtà sbagliata,
per poi tornare alla loro vita di tutti i giorni dopo aver sventato il
'piano' di Scarlett di vivere -letteralmente- tutti felici e contenti.
Solo in pochi ricorderanno cosa è successo.
E questo aggiunge sadismo al mio racconto: Gambit non saprebbe di aver
vissuto una vita normale con Rogue. Ma è anche questo il
bello delle coppie tormentate... Non odiatemi... mica posso riscrivere
il Marvelverse.. purtroppo.
A ben vedere può anche essere un'interpretazione di quel what if ipotizzato
da Gambit nel capitolo
26 di Rien ne va plus.
PS: Bekka e Olivier sono i veri figli di Rogue e Gambit. Compaiono un
pò ovunque, da X-men 2099 a X-Men the End. :) quindi non
sono nomi inventati... è un'altra strizzata d'occhio agli
altri universi in cui sono riusciti ad avere una vita felice.
Che dirvi? Grazie a tutti quelli che hanno letto fino alla fine e che
avete sopportato questo delirio.
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