Narnia's Rebirth

di ranyare
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Inevitable Embrace. ***
Capitolo 2: *** Memories. ***
Capitolo 3: *** Memories of trees. ***
Capitolo 4: *** Ode to solitude ***
Capitolo 5: *** Quietus. ***
Capitolo 6: *** Bleeding Love ***
Capitolo 7: *** Bleed. ***
Capitolo 8: *** Bittersweet ***
Capitolo 9: *** Desert Rose. ***
Capitolo 10: *** Mother Earth. ***
Capitolo 11: *** Blue Eyes. ***
Capitolo 12: *** Caged. ***
Capitolo 13: *** Our Solemn Hour. ***
Capitolo 14: *** Stand My Ground. ***
Capitolo 15: *** To End The Rapture. ***
Capitolo 16: *** Seize The Day. ***
Capitolo 17: *** Buried Alive. ***
Capitolo 18: *** Dear God. ***
Capitolo 19: *** The Nymph Enchantment. ***
Capitolo 20: *** Wild Child. ***
Capitolo 21: *** Moonlight. ***
Capitolo 22: *** Frozen. ***
Capitolo 23: *** What do you got. ***
Capitolo 24: *** Disappear. ***
Capitolo 25: *** Time Forgets. ***
Capitolo 26: *** New way to bleed. ***
Capitolo 27: *** Nightmare. ***
Capitolo 28: *** Sweet Sacrifice. ***
Capitolo 29: *** Sahara. ***
Capitolo 30: *** Need. ***
Capitolo 31: *** Sleeping Sun. ***
Capitolo 32: *** Disarm Me. ***
Capitolo 33: *** The Foreboding Sense of Impending Happiness. ***
Capitolo 34: *** Empire of the Sun. ***
Capitolo 35: *** Arabesque. ***
Capitolo 36: *** Song of Myself. ***
Capitolo 37: *** Turn loose the Mermaids. ***
Capitolo 38: *** Powerless. ***
Capitolo 39: *** Dance of Fate. ***
Capitolo 40: *** Demons. ***
Capitolo 41: *** The Swan Song. ***
Capitolo 42: *** Victims. ***
Capitolo 43: *** Eagleheart. ***
Capitolo 44: *** Deconstruct. ***
Capitolo 45: *** Our Destiny. ***
Capitolo 46: *** Consign to Oblivion. ***
Capitolo 47: *** The End of every Story. ***
Capitolo 48: *** Sisters of the Light. ***
Capitolo 49: *** Firelands. ***
Capitolo 50: *** Calls Me Home. ***



Capitolo 1
*** Inevitable Embrace. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
1st Chapter

Inevitable Embrace - Epica

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-Combatterò per restituire Narnia ai suoi legittimi abitanti.-

Erano state quelle le parole che avevano convinto i narniani. I centauri, i nani, persino i burberi minotauri e i fauni diffidenti: la passione nelle sue parole, la forza e la determinazione con cui aveva promesso di schierarsi al loro fianco, erano state decisive.

Caspian sospirò appena nel buio della notte, disteso nella macchia più scura formata dall’ombra di un’immensa quercia nodosa.

Era tardi: le creature magiche, dopo ore ed ore di discussioni, fraintendimenti, stesure di piani uno più improbabile dell’altro, erano finalmente crollate dal sonno, dandogli la possibilità di distendersi lì, in quel silenzio ovattato e ristoratore, a pensare.

Sarebbe stata una lunga e difficile guerra quella che si prospettava dinanzi a lui.

Si era ritrovato senza nemmeno comprendere come a capo di un esercito eterogeneo, male organizzato, composto da creature che spesso e volentieri non si sopportavano.

Come avrebbe sconfitto Miraz, il traditore, a capo di uno sparuto gruppo di creature troppo pure perché il suo cuore idealista potesse pregarli di entrare in battaglia? Come avrebbe potuto chiedergli di macchiare le loro mani, zampe, zoccoli, del sangue immondo dei traditori?

Sospirò di nuovo, passandosi una mano fra i lunghi capelli boccoluti, sparsi sulla nuda terra. Il viso affilato era teso, gli occhi neri angosciosi e persi nel cielo stellato che brillava sopra di lui…

Se soltanto i Re e le Regine del passato fossero arrivati, e al più presto…

-AIUTO!-

Caspian balzò in piedi, sguainando istintivamente la spada; il sibilo della lama spezzò il silenzio che, inquietante, era calato dopo quell'agghiacciante grido che aveva squarciato l’aria fredda della notte di Narnia.

Una donna, fu il suo primo pensiero, era certo di averla sentita gridare, non molto lontano da dove si trovava lui.

Con tutti i sensi tesi al massimo seguì il suono del disperato grido che aveva udito, correndo attraverso la foresta addormentata ormai da secoli, inciampando sulle insidiose radici invisibili ai suoi occhi e scostando con le braccia i sadici rami più bassi degli alberi che sferzavano il suo volto, ferendolo e facendolo lacrimare.

-AIUTO!-

Di nuovo udì quell'urlo e i suoi passi lievi e concitati sul terriccio; un’altra coppia di passi, molto più pesanti, parevano inseguirla… un uomo, probabilmente piuttosto massiccio a giudicare dalla sua  corsa pesante e rumorosa.

Non gli ci volle molto per comprendere la situazione.

Caspian irruppe in una radura non molto dissimile da quella dove lui era rimasto fino a quel momento; una figura alta e massiccia si stava curvando minacciosamente su un’altra, esile e avvolta in un mantello scuro…

-Ehi, tu! Lasciala subito andare!-

Fra i rami di uno degli alberi più alti, celato dall'oscurità, un sorriso soddisfatto si dipinse su un paio di labbra sottili, pallide, incastrate in un viso altrettanto diafano.

-Ma bravo, principino. Corri in aiuto della fanciulla in difficoltà.- mormorò quella bocca crudele.

Mani chiare e rovinate tesero la corda della balestra, mentre un occhio si chiudeva e l’altro mise a fuoco il profilo del principe Caspian, che aveva appena gridato un cavalleresco e decisamente poco furbo avvertimento all’“aggressore” della “fanciulla” in difficoltà.

Con quel sogghigno soddisfatto ancora sul volto, lo sconosciuto premette il grilletto della balestra, e la spessa freccia di acciaio sibilò con un fischio inquietante verso la schiena del ragazzo.

Caspian trattenne una bestemmia quando picchiò la testa, per la seconda volta in pochi giorni, e la vista gli s'offuscò.

-Ma cosa diamine__- imprecò quando si rese conto di non essere in grado di rialzarsi – aveva udito soltanto un sibilo prima che qualcosa di pesante gli crollasse addosso, spezzandogli il respiro e scaraventandolo sul brullo sottobosco.

Una pesante rete d’acciaio gli impediva qualsiasi movimento, persino alzare il braccio armato gli era impossibile. Era steso supino a terra, completamente indifeso, mentre l’uomo massiccio e la giovane “indifesa” si stavano avvicinando; poteva scorgere i loro ghigni compiaciuti anche nel buio.

Una trappola, si disse, maledicendo fra sé la propria ingenuità.

-Pensavo fosse più difficile catturare un principe, sai?- disse la voce divertita e profonda dell’uomo, prima che due immensi occhi azzurri occupassero il campo visivo di Caspian.

Trasalì, quando si rese conto che l’uomo che aveva partecipato alla sua cattura altro non era che un ragazzo: poteva avere qualche anno più di lui, e il suo volto era pulito, allegro, e arruffati riccioli color miele spuntavano da sotto il cappuccio che aveva calcato in testa.

-Sinceramente anch’io. Sei una delusione, principe Caspian.- commentò un’altra voce, ironica ed irridente, che per un istante il ragazzo non riuscì a collegare all’atterrito grido d’aiuto di poco prima.

La ragazza si era sfilata il mantello, rivelando un fisico minuto e sottile fasciato da abiti comodi dello stesso verde della foresta. Era una tunica semplice, aderente sul petto snello e sul ventre piatto, legata in vita da una spessa cintura di cuoio, da cui pendevano un’anonima spada ed uno stiletto. Sulla schiena portava una faretra, le piume delle lunghe frecce erano di un bel verde smeraldo, ed un arco lungo – misurava probabilmente più di un metro e mezzo, quasi quanto lei –, bellissimo ed elegante, era assicurato alla sua figura da un fodero in pelle.

Non aveva mai visto una donna vestire in quel modo.

Da quel che poteva intravedere, sdraiato com’era a terra molto più in basso di lei, aveva i capelli scuri e corti – un altro dettaglio assolutamente singolare: le donne non tagliavano mai i capelli, a Narnia. Gli occhi erano nocciola, grandi ed allungati in un visetto ovale e dall’aspetto spigliato.

Ma ciò che lo sorprese di più, che lo fece sussultare, allibito, furono le orecchie.

Non potevano, non potevano assolutamente essere… umane.

Erano grandi, molto più simili a quelle di una volpe piuttosto che a quelle di una donna; erano spostate più in alto rispetto alla loro normale posizione, ed emergevano dalla zazzera di capelli scuri, ben dritte ed eleganti come tutto ciò che riguardava la ragazza dalla pelle olivastra.

Aveva sentito parlare di quelle creature… che, come tutti gli abitanti di Narnia, erano state credute estinte.

Elfo.

Ma… c’era qualcosa, in lei, che contrastava con l’immagine che si era fatto di loro tramite i racconti del suo maestro, del suo mentore, Cornelius.

Gli elfi erano descritti tutti come altissimi, dalla carnagione quasi diafana e dai capelli indifferentemente chiari o scuri, creature eteree e apparentemente fragili come un alito di vento…quella ragazza era sì bellissima ma, a parte le orecchie ed il portamento inequivocabilmente elegante, era ben lontana da quella descrizione poco veritiera.

-Più che altro è fortunato, Tallie.- commentò il ragazzone, rivolgendosi a lei con un sorriso entusiasta e quasi innocente. Sembrava un bambino – un bambino muscoloso alto un metro e novanta e con le spalle altrettanto larghe. -Se avessimo fatto come pensava Sir si sarebbe fatto molto più male.- aggiunse, divertito, mentre la ragazza chiamata Tallie alzava gli occhi al cielo, esasperata.

-Se avessimo fatto come diceva Sir non so nemmeno se sarebbe sopravvissuto…- commentò, provocando un brivido gelato lungo la schiena del principe in trappola.

Il ragazzone spostò repentinamente gli occhi verso la foresta, e la sua espressione si fece immediatamente più seria e determinata.

-Parli del demonio…- sussurrò e, nella sua voce, nell’istantaneo mutamento del suo atteggiamento, Caspian scorse un’emozione vibrante che seppe riconoscere all’istante: rispetto. -…Siria.-

Dunque il fantomatico “Sir” non era un uomo…

Incuriosito dalla reazione che quella donna misteriosa sembrava scatenare nel giovane biondo – ma non nell’altra ragazza, notò, che semmai sembrava più divertita che altro –, Caspian si sforzò di alzare lo sguardo, tentando di scorgere la nuova arrivata.

Nello stesso istante vide una scintilla zampillare e, un attimo più tardi, una fiamma divampò, accecandolo momentaneamente; quando tornò a vedere Caspian trattenne il respiro, allibito, nell'attimo stesso in cui mise a fuoco la donna più bella che avesse mai avuto la fortuna – fortuna? – di incontrare.

Era vestita di verde e di nero, in un completo non molto dissimile da quella dell’altra ragazza. La scollatura del corsetto era ampia e lasciava intravedere il solco dei seni generosi nell’incavo che formava, su cui gli occhi neri ed allibiti di Caspian si soffermarono per qualche istante più del necessario. Il suo volto era affilato e chiaro, tanto bianco da sembrare innaturale: gli zigomi erano alti ed arcuati, ed il tutto sembrava essere troppo affilato e scavato per risultare affascinante nel senso comune del termine; gli occhi erano grandi, allungati come quelli di una cerbiatta – ma voraci come quelli di un predatore –, di un colore indefinito fra il blu e il grigio.

Rimase per un istante a guardarli, affascinato, cogliendo soltanto con dopo un istante la folta chioma di capelli rossi che le contornava le guance, ricadendo sulla schiena fino alla vita.

Erano occhi… magnetici. Magnetici e spietati.

Caspian si costrinse a sottrarsi da quello sprazzo d’incredulità in cui era sprofondato, distogliendo lo sguardo dall’espressione indifferente della donna. Notò che era armata, come gli altri due: portava a vita bassa un cinturone a cui era appesa una spada dall'aspetto molto più intarsiato rispetto a quella dell'elfa, ed un pugnale le penzolava dal fianco. Anche lei aveva una faretra ma, a differenza della piccoletta, le sue frecce erano ornate da piume cremisi e la sua arma, stretta in mano, era ben più pesante e pericolosa: una balestra.

Era – non poteva essere altro – una guerriera.

Tutto in lei urlava forza, spietatezza; era una donna ed era perfettamente conscia di esserlo… ma, allo stesso tempo, in un connubio quasi impossibile, era un sicario – qualcuno abituato ad usare le armi, qualcuno senza la minima remora nell’uccidere.

-Preso, immagino.- mormorò. Aveva una voce calda, sarcastica e suadente; per qualche istante, gli occhi di Caspian indugiarono sulle sue labbra chiare e sottili, quelle labbra che si muovevano lentamente, articolando parole dal marcato accento di Telmar.

-Vantati un po' meno, lo sappiamo che hai una buona mira.- fece Tallie, sorridendo divertita.

Gli occhi di Siria dardeggiarono per qualche istante sulla radura, alla ricerca di eventuali pericoli, prima di soffermarsi sul volto di Caspian.

Istintivamente, il ragazzo rabbrividì. Era uno sguardo gelido, quello di Siria, calcolatore ed intelligente; fin troppo, forse. Ma allo stesso tempo era caldo, avvolgente, pareva affondare nelle sue iridi con una forza ed una passionalità inaspettate…

-Talia, per favore, non farle anche dei complimenti, o diventerà più insopportabile di quanto già non sia.- una quarta voce, maschile, non molto dissimile come pronuncia a quella di Siria, emerse dal buio della foresta. Caspian alzò lo sguardo, sempre più allarmato, quando altre due persone, una alta ed una molto più bassa, fecero capolino dalla fitta boscaglia.

L’uomo, dai capelli rossi ed arruffati, si accostò a Siria, sussurrandole qualcosa che Caspian non riuscì a cogliere. Superava la giovane, che comunque era stranamente alta per essere una donna, di tutta la testa, le spalle erano larghe ma aveva il fisico snello e nervoso di un cacciatore o di un esploratore. La ragazzina, invece – perché ciò era l’altra figura –, era piccolina e snella, dagli occhi celesti e troppo scaltri per appartenere ad una bambina. Una cascata di capelli biondi e lisci ricadeva sulla sua schiena esile, a cui era assicurato uno spadino sottile ed insidioso, e le ciocche ribelli erano tenute indietro da un fermaglio.

-Che cosa…- Caspian riuscì finalmente a trovare il fiato per parlare, dopo la dolorosa botta che gli aveva mozzato violentemente il respiro. -…chi siete? Cosa volete?- si rivolse istintivamente a Siria: l’atteggiamento che i quattro sconosciuti usavano verso di lei, esclusa forse l’elfa mora, facevano intuire che, di quel manipolo di guerrieri eterogenei, lei fosse il capo.

-Oh, ma allora sai anche parlare.- commentò la rossa, sarcastica, muovendo qualche passo ed avvicinandosi a lui.

Si piegò sulle ginocchia, il volto illuminato dal fuoco. I suoi lineamenti erano strani, esotici: sembravano quelli di un gatto, e lo guardava da sotto le palpebre appena socchiuse, incuriosita.

-Ho chiesto chi siete.- replicò lui, tentando di mantenere un minimo di tono sostenuto, nonostante la vicinanza di quella donna che non avrebbe mai potuto immaginare nemmeno nei suoi sogni più arditi.

-Siamo il tuo peggior problema, al momento.- replicò lei, un lieve sorriso divertito che si dipingeva sulle labbra chiare, nel notare lo sguardo di lui lottare per non lasciarsi irretire dalle forme che il corpetto rigido metteva spietatamente in evidenza. Le giunse all’orecchio la prevedibile, argentina risata di Talia… la sua amica si divertiva sempre più di quanto fosse lecito quando l'atteggiamento prepotente di Siria provocava quelle reazioni alquanto prevedibili nei loro prigionieri.

Si alzò, rivolgendosi con una civettuola occhiata che non convinse nessuno ai due uomini, il biondo Caleb ed Aaron, il rosso.

-Non vorrete mica far faticare una fanciulla, vero?- gli chiese, sbattendo angelicamente le palpebre. Talia scoppiò di nuovo a ridere quando i due alzarono gli occhi al cielo, esasperati.

-Io non vedo fanciulle, qui intorno, ma solo schiaviste...- borbottò Caleb, scuotendo la testa, avvicinandosi a Caspian assieme al rosso. Di peso, scostando la pesante rete d’acciaio, lo sollevarono bruscamente e lo rimisero in piedi.

Siria tornò ad avvicinarglisi, con l’espressione insolente ed un lieve sorriso sul volto.

-Non provare ad urlare, principino…- sussurrò, accostando provocante il proprio corpo flessuoso a quello alto e dinoccolato del moro. Vide le iridi scure dardeggiare un istante, confuse, allibite…forse, probabilmente, confuse dal contatto accennato dei loro corpi, delle labbra a pochi millimetri dalle sue. -…sarebbe completamente inutile.-

Così dicendo, le lunghe dita diafane scivolarono, delicate, sui lineamenti del ragazzo. Percorsero la linea del mento, degli zigomi sottili, in un tocco appena accennato eppure capace di dargli i brividi. Il volto di Siria era a pochi centimetri dal suo… gli occhi ad un soffio da lui, le labbra schiuse ed il respiro che accarezzava il suo volto…

L’istante più tardi sentì una stretta sulla nuca tutt’altro che gentile, ed un bavaglio apparentemente comparso dal nulla gli impedì di pronunciare alcunché.

Siria sorrise, divertita e soddisfatta, allontanandosi repentinamente. Caspian avvertì una dolorosa stretta ai polsi quando Caleb vi avvolse bruscamente una spessa corda nodosa, intrecciata, bloccandogli le braccia in una morsa innaturale dietro la schiena. Avvertì la pelle degli avambracci lacerarsi violentemente ma represse un gemito, maledicendosi quando si rese conto di essere in trappola.

Si era lasciato catturare come un perfetto idiota.

Non si era nemmeno ribellato, ammaliato com’era da quella ragazza – da quei capelli rossi, da quegli occhi felini, da quel corpo ancheggiante –; non riuscì ad impedirsi di fissarla, stralunato, di guardare i suoi fianchi muoversi morbidamente ad ogni passo, su e giù…

-Ehi, ragazzino.- Aaron gli rifilò una botta tutt’altro che gentile sulla schiena, facendolo barcollare in avanti. Lo afferrò per il bavero e lo costrinse a guardarlo: a differenza di Siria, con cui condivideva i lineamenti assurdi ed esotici, aveva gli occhi di un azzurro talmente chiaro da parer quasi bianco. -Se non vuoi morire prima di tornare fra le mani di Miraz, modera gli sguardi.- lo avvisò, lasciandolo poi bruscamente andare, facendolo barcollare sotto il peso di quella rivelazione che sapeva di morte.

Miraz.

Chiunque fossero quei cinque sconosciuti, lo stavano portando da Miraz.

Improvvisamente conscio di ciò che stava succedendo, di quello che rischiava, Caspian lanciò un’occhiata allarmata verso gli alberi, cercando disperatamente qualcuno – uno scoiattolo, un uccello, qualsiasi animale potesse avvertire le altre creature che il loro novello capo si era lasciato catturare come un emerito cretino…

Dopo lunghi, ansiosi istanti di ricerca, eccolo.

Un martin pescatore stava osservando tutta la scena, e i suoi occhi piccoli e lucenti parevano allibiti. Caspian sperò ardentemente che sapesse parlare, che potesse avvertire i centauri ed il tasso…

Una mano ruvida e grande lo sfiorò, distraendolo.

-Vuoi un consiglio, ragazzo?- era il biondo, Caleb. Non sembrava malvagio, dovette ammettere con se stesso: i suoi occhi azzurri erano puliti come ne aveva visti pochi, e sembrava incapace di fare del male persino ad una mosca… -…se non vuoi che Aaron ti faccia muovere a frustate, cammina.- gli suggerì, divertito. Caspian lanciò un’occhiata intorno a sé: la bambina, la mezz’elfa e il rosso erano già scomparsi nella foresta, lasciando soli lui, Caleb e la rossa, Siria.

-Seguila.- gli ordinò Caleb, spingendolo in avanti con minor violenza di quanta ne avesse usata il rosso poco prima – e Caspian si ritrovò ad annuire mestamente, sconfitto, gli occhi che seguivano la figura dannatamente provocante di lei.

Cos’altro poteva fare se non obbedire?

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My Space:
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CAPITOLO CORRETTO
E RIPOSTATO IL 26/01/2014



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Siria: Talia:
Caleb: Aaron:

Tara:



Nota dell'Autrice:
La descrizione di Siria è volutamente esagerata, dettagliata e descritta per esigenze di trama; le motivazioni di questa scelta stilistica si capiranno durante lo svolgimento della storia. In questa fanfiction non si parlerà di Mary Sue/Gary Stu.
Big hugs,
B.
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Capitolo 2
*** Memories. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
2nd Chapter

Memories - Within Temptation

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-Ma dov’è finito quel benedetto ragazzo?!- Tartufello sospirò, alzando lo sguardo verso il soffitto di rami intrecciati della sua tana. Caspian era scomparso, sarebbe dovuto tornare più di un’ora prima…

-Sarà scappato come il coniglio che è.- commentò il nano al suo fianco, sarcastico come sempre.

-Piantala, prevenuto! È un bravo ragazzo!- replicò l’altro, punto sul vivo. Si era affezionato subito a quel principe, a quel giovane idealista; per certi versi, se fosse stato umano, sarebbe stato molto simile a lui.

Ma ora dove era andato a cacciarsi!?

-TARTUFELLO!- la vocina acuta e petulante di Martin fece sobbalzare tanto il tasso quanto il nano, quando un fulmine blu attraversò con veemenza l’aere intorno a loro, rischiando di privare di un occhio l’irritante e burbero gnomo.

-Martin!- riuscì soltanto ad esclamare il quadrupede, allibito dal nervosismo di quell’uccellino solitamente pacifico e mansueto.

-Tasso!! Allarme! Allarme improvviso!-

Fu Nikabrik ad afferrare l’uccellino al volo, impedendogli di continuare a scorrazzare liberamente per l’angusta tana del Tasso, rischiando prima di tutto di ferire se stesso.

-Martin, cosa succede? Prendi un bel respiro e parla.- la voce gentile e tranquillizzante del morbido quadrupede riuscì a calmare il piccolo animaletto, che, non appena liberato dalla salda presa dello gnomo, balzò sulla testa di quest’ultimo, sbattendo le ali nell’aria ferma ed arruffando le penne, agitatissimo.

-Il principe! Caspian, il principe!- a quelle parole sia Tartufello che Nikabrik alzarono gli occhi, improvvisamente allarmati.

-Cos’è successo a Caspian?- chiese il quadrupede, preoccupato.

-Cos’ha fatto?- domandò invece l’altro, più prudente e sospettoso.

-Rapito! Principe Caspian è catturato! Mercenari di Miraz!!-

 

§

 

Peter Pevensie aprì di scatto gli occhi, quando un fruscio sospetto spezzò il suo già di per sé leggero sonno.

Balzò a sedere, la mano destra che istintivamente si avvolgeva intorno all’elsa d’oro della sua fidata spada – la spada del Re Supremo, la spada la cui elsa era intarsiata sull’aspetto di Aslan…

Represse all’istante quella figura ammantata di malinconia e livore, quando il chiaro ricordo del leone fece prepotentemente capolino fra i suoi pensieri. Non poteva pensare adesso a dove fosse finito Aslan; non poteva chiedersi perché non fosse accanto a loro, a combattere per quel regno che amavano entrambi; non poteva rimuginare su tutte quelle domande che avrebbe voluto porgli, a tutti i perché irrisolti.

Ma forse, forse Aslan li aveva abbandonati… forse se n’era andato, forse aveva voltato le spalle al suo regno, forse li aveva lasciati in balia di una morte certa…

Si voltò, istintivamente, per controllare che i suoi fratelli stessero bene. Susan dormiva profondamente, sdraiata su un fianco; Edmund era accanto al nano, Trumpkin, e russava piano, beatamente disperso nel mondo dei sogni; Lucy, invece…

-Lucy!- sibilò, scattando in piedi come punto da uno scorpione.

Lucy…

I suoi occhi dardeggiarono, allarmati, intorno a lui, cercando di scrutare oltre l’impenetrabile muro della foresta silente. Dov’era finita quella piccola peste? Perché doveva sempre farlo preoccupare?

Improvvisamente udì un secondo fruscio, del tutto simile a quello che lo aveva strappato al suo sonno leggero. Alzò lo sguardo, ansioso e preoccupato, appena in tempo per vedere un lembo della veste color pesca della più piccola dei Pevensie sparire in un tortuoso sentiero, oltre il suo campo visivo.

Masticando un’imprecazione scavalcò in silenzio i tre ancora profondamente addormentati, stringendo più forte la sua fidata spada in pugno, e si lanciò di corsa lungo quel viottolo con l’ansia che pulsava forte nelle sue tempie insieme all’adrenalina.

Se Lucy fosse stata attaccata… non se lo sarebbe mai perdonato.

Emerse dal sentiero di corsa, registrando automaticamente di trovarsi in una radura deserta e silenziosa – troppo silenziosa per essere rassicurante – mentre i suoi occhi e la sua mente focalizzarono immediatamente la figuretta di Lucy.

La bambina era là… stava per parlare ma sicuramente qualcuno là intorno li stava osservando, pronti a ghermirli al minimo suono…

Silenziosamente, ma il più rapidamente possibile, le arrivò alle spalle e la trascinò giù con sé, ignorando il suo sussulto e nascondendo entrambi dietro ad un cespuglio. La ragazzina gli lanciò un’occhiata allarmata, come se non capisse… Lucy non capiva mai, non si rendeva conto che Narnia non era più, per lei, il luogo sicuro che era stato una volta.

Quasi a confermare il suo istinto infallibile, avvertì un pesante rumore di passi, come se una creatura molto, molto grossa stesse camminando a pochi centimetri da loro. Poteva avvertirne il respiro pesante, l’andatura cadenzata simile a quella di un orso… minotauro, suggerì una voce nella sua testa. Li avrebbe riconosciuti ovunque, ed anche il tanfo, l’odore acre che sentiva nell’aria era quello che aveva imparato ad associare a quelle creature.

Uno… se fosse riuscito a coglierlo di sorpresa avrebbe avuto buone probabilità di finirlo subito.

Due… doveva colpirlo alla base del collo, dove i minotauri erano più vulnerabili.

Tre!

Con un ruggito silenzioso, Peter si lanciò oltre l’improvvisato riparo, brandendo la spada. Eccolo, il minotauro: non si sarebbe nemmeno accorto del suo arri__

-FERMO!-

 

 

-E così Caspian è scomparso?-

Il tasso, torcendosi nervosamente le zampe pelose, annuì. Non capitava tutti i giorni di ritrovarsi davanti ai Grandi Re del passato, era una situazione complicata, una situazione ansiosa… e di sicuro non se li era sicuramente immaginati così giovani.

-Martin sostiene che dei mercenari lo hanno catturato.- confermò bruscamente Nikabrik, scrutandoli con la stessa diffidenza con cui aveva soppesato lo stesso principe Caspian. Non si fidava degli umani, lui. Erano tutti semplicemente feccia.

-Sapreste descrivermeli?- Peter scambiò soltanto una breve occhiata con Edmund, che annuì lievemente; entrambi i fratelli Pevensie pensavano già al futuro, a cosa avrebbero fatto una volta scoperti tutti i dettagli di quel rapimento. Dietro di loro, Trumpkin sedeva accanto a Lucy, dedicando uno sguardo diffidente a tutti loro fuorché alla ragazzina.

-Erano in cinque, secondo Martin. Due donne, due uomini e una ragazza più giovane.- spiegò lo gnomo dai capelli scuri, bruscamente, torcendosi le mani e lanciando un’occhiata pensierosa ai graffiti sulle pareti, quei segni iscritti nelle lingue ormai quasi estinte degli abitanti di Narnia. Raccontavano una storia, quei disegni fatti col carboncino… narravano di una grande personalità del passato, e della sua discendenza che forse, dopo tanto tempo, sarebbe giunta per occupare quel trono che le spettava di diritto… -Conosciamo i due rossi che ne sono a capo, la ragazza è__-

Il tasso si schiarì violentemente la voce, interrompendolo sul nascere del suo discorso.

-Nikabrik!- lo avvertì, in tono severo, lanciandogli un’occhiata di puro rimprovero. Anche Trumpkin, insolitamente silenzioso, alzò lo sguardo per dedicargli un muto, ma cristallino, avvertimento. -Non sai nemmeno se si tratta di lei.-

Nikabrik, per tutta risposta, scrollò rabbiosamente le spalle, irritato.

-Ha affascinato Caspian con uno sguardo soltanto, Trumpkin; chi altri potrebbe essere?- sbottò, ripetendo semplicemente le parole che Martin aveva riferito loro: Caspian era rimasto completamente imbambolato davanti a quella ragazza, e, per quanto una donna potesse essere bella, certo non poteva provocare una reazione del genere.

Edmund, appena confuso, scambiò un’occhiata con i fratelli, vedendo sui loro volti la sua stessa espressione.

-Potremmo sapere di cosa state parlando?- chiese, educatamente, una nota interrogativa nella voce.

Il tasso agitò una zampa, liquidando la faccenda… senza, però, guardare nessuno di loro negli occhi.

-Nulla che sia importante, Vostra Maestà.- affermò, con un sorriso che, tutti quanti se ne accorsero, era palesemente falso. Ma Tartufello cambiò rapidamente argomento, rivolgendosi a Peter, seduto nel medesimo punto in cui lo stesso Caspian si era fermato per ascoltare lui e Nikabrik, qualche giorno prima. -Caspian è riuscito a ridare fuoco agli animi sopiti dei nostri guerrieri, Sire… senza di lui, sebbene il vostro arrivo abbia suscitato grandi speranze, non__-

Il Re Supremo alzò una mano, fermando il fiume di parole accorate e sincere dell’emotivo tasso.

-Ho compreso, Tartufello.- disse soltanto, prima che le sue labbra si piegassero in un lieve sorriso, così raro sul suo volto. Si voltò verso la sorella che, come lui, aveva seguito tutto il discorso, analizzando ogni parola. Era un grande pregio di Susan quello di riuscire a comprendere ogni minima sfumatura delle parole, ogni secondo fine nelle frasi di chi aveva davanti. -D’altronde, non possiamo far ammazzare un ragazzo… Susie?- la chiamò.

Lei annuì, decisa.

-Assolutamente. Miraz va fermato.- affermò, nel tono fermo e fiero di una vera Regina. -Quando è scomparso?- chiese poi, rivolgendosi a Tartufello.

-Ieri notte, mia Regina.-

-Non dev’esserci molta distanza fra noi e loro… Ed, quanto credi possano essere andati lontani?- Peter si rivolse al fratello minore, ben conscio di quanto Edmund fosse più abile di lui nelle arti dell’inseguimento e della guerriglia.

Era sempre stato così a Narnia, fra loro: Peter aveva imparato la saggezza di rivolgersi ai fratelli e l’umiltà di riconoscere che, per alcuni motivi, era più proficuo affidarsi a loro più che a se stesso.

-Se hanno marciato tutta la notte? Un paio di miglia, almeno.- gli rispose il moro, dopo un rapido calcolo.

-Narnia è molto cambiata da quando voi regnavate, miei Re.- gli rammentò Trumpkin, parlando per la prima volta da quando avevano raggiunto la capanna del tasso.

-Sappiamo cavarcela.-

Lucy rovesciò gli occhi al cielo; ecco, nell’orgoglio Peter non sarebbe mai cambiato.

-Non ne dubito… ma una guida che conosca queste genti selvagge, le creature che ora popolano Narnia, vi sarebbe utile.- la voce di Trumpkin fu un po’ troppo condiscendente, per i gusti dell’Alto Re di Narnia.

-Hai qualcuno da proporci?- gli chiese, cercando di moderare il sarcasmo che, lo sapeva, compariva nella sua voce quando qualcuno metteva in dubbio le sue capacità.

I due gnomi si fissarono per un attimo, prima che CPA, come ormai lo avevano soprannominato Susan e Lucy, annuisse.

-Le naiadi.-

 

 

Le naiadi erano un popolo di ninfe dell’acqua, ritiratesi nei loro rifugi all’avvento dei telmarini. Peter le ricordava come esseri eterei e bellissimi, dalla pelle trasparente e limpida come gli specchi dei laghi in cui vivevano; sempre allegre, accoglievano il loro passaggio vicino alle loro case con gioia, giocando con la magia che era stata loro donata da Madre Natura, riempiendo di zampilli e arcobaleni l’aria fragrante dei pomeriggi del regno.

Non avrebbe mai pensato che proprio loro, creature perfette e pacifiche come poche, potessero diventare quello che Trumpkin e Nikabrik gli avevano descritto.

Le naiadi si erano erette come protettrici di quelle creature magiche che ancora sopravvivevano a Narnia; quelle poche che avevano deciso di non vivere nel rifugio del Regno, ben celato negli Acquitrini Settentrionali, erano comunque in contatto con la Sovrana Mairead, sempre disposta ad accogliere i fuggiaschi.

Era difficile immaginarle in quelle vesti; secondo i due gnomi, erano riuscite a mutare il loro aspetto in modo semipermanente, facendo in modo di riuscire a cambiare per assomigliare agli esseri umani, ed a loro piacimento potevano tornare alla forma d’acqua.

Ricordava Mairead: quando lui ed i suoi fratelli regnavano su Narnia, spesso la Sovrana delle Naiadi si era recata come emissaria a Cair Paravel, ed in ogni singola occasione il Re Supremo era rimasto stupito dalla forza e dalla pacatezza con cui la giovane parlava e si muoveva. Non avrebbe potuto immaginare guida migliore per quel popolo diventato l’ultima difesa dei narniani.

-Peter, non puoi andare da solo!- sbottò Edmund, strappandolo ai suoi pensieri. Peter non si voltò nemmeno, finendo di imbrigliare uno dei cavalli rubati alle truppe di Miraz.

-Posso e lo farò. Sono comunque il Re, Ed.- mormorò, allacciando con fermezza uno dei passanti.

-È una pazzia! Sono passati milletrecento anni, idiota!- solitamente, quando Susan perdeva la calma era meglio fermarsi ed ascoltarla: poteva diventare davvero pericolosa se si arrabbiava, la cara, dolce Susie.

Si voltò verso di lei sospirando, tenendo ben strette le briglie del cavallo.

-Sue, sono l’unico a cui potrebbero dare udienza, l’hai sentito anche tu Nikabrik.-

La Sovrana delle Naiadi era sottoposta soltanto al Re di Narnia; era sempre stato così e questo, perlomeno, sembrava non essere cambiato.

-Non mi fido di lui.- mugugnò la ragazza, scuotendo la testa. Suo fratello aveva quel brutto vizio di volersi sempre, ostinatamente mettere nei guai…

-Nemmeno io… ma mi fido del tasso e di Trumpkin, e loro sono d’accordo.- a questo, per fortuna, Susan non seppe ribattere.

-Peter, non è una buona idea.- la voce di Lucy, più sottile ma ugualmente penetrante, lo fece trasalire. Aveva un debole per la sua sorellina, era sempre stato così e soltanto lei riusciva, il più delle volte, a farlo desistere dai suoi propositi.

-Devo farlo, Lu. Voi dovete radunare queste creature; devono essere pronte.- mormorò, alzando gli occhi azzurri su quelli identici della piccina. Stava crescendo, la sua Lucy. Si stava facendo donna, come già una volta era stata… abbandonarla, lasciarla sola in quella Narnia che non riconosceva più, gli sembrava sempre di più una follia. -Nel nascondiglio delle naiadi si celano gran parte delle creature di Narnia… devo convincere anche loro. Abbiamo bisogno di un esercito.- le spiegò, inginocchiandosi di fronte a lei e posando una mano sulla sua spalla esile, cercando di convincere delle sue parole prima di tutto sé stesso.

La piccola, testarda Lucy annuì, gli occhioni limpidi tutt’altro che felici.

-Stai attento, fratellone.- sussurrò soltanto, alzando lo sguardo lucido ma fiero sul biondo.

Peter montò a cavallo con scioltezza, grato della sensazione di ritrovarsi sulla sella di uno di quegli animali che tanto adorava, che tanto gli erano mancati.

-Tornerò presto, piccolina. Promesso.-

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My Space:
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CAPITOLO CORRETTO
E RIPOSTATO IL 26/01/2014



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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 3
*** Memories of trees. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
3rd Chapter

The Memories of the Trees - Enya

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-Muoviti!- sbottò Aaron, spintonando violentemente Caspian per costringerlo a camminare; il ragazzo barcollò, rischiando di perdere l’equilibrio, digrignando i denti quando i polsi legati lanciarono una fitta e maledicendo il bavaglio che gli impediva di rispondere a tono a quel bastardo d'un rosso.

-Dovremmo trovargli un cavallo, il principino non pare intenzionato a collaborare.- commentò Caleb divertito, gli occhi azzurri accesi e brillanti nel Sole mattutino, scambiando un’occhiata maliziosa con la mezz'elfa.

-Non ha tutti i torti, no? Nemmeno tu saresti tanto contento di farti portare al patibolo…- replicò lei, inarcando un sopracciglio, piegando le labbra in un sorrisetto ironico. Caleb rallentò l’andatura per affiancarlesi, lasciando soli Aaron e Caspian – povero Caspian.

-Beh…- gli occhi di Caleb dardeggiarono verso Siria, che saltellava sorridendo fra i rami sopra di loro prima di tornare alla mezz’elfa, percorrendo con lo sguardo il suo corpo snello e minuto, le labbra che si arricciavano in un mezzo sorriso malizioso. -…se fossi tu a portarmi alla morte ci andrei col sorriso, nanerottola.- mormorò, rivolgendole un occhiolino.

Talia sospirò, alzando gli occhi al cielo.

-Ma quanto sei stupido da uno a dieci, sottospecie di minotauro malformato?- replicò, scoccandogli uno sguardo di rimprovero – in realtà, molto in fondo, lusingata da quei commenti decisamente poco casti che Caleb, nemmeno tanto raramente, le dedicava.

Magari, un giorno…”

Talia scosse appena la testa, allontanando quel pensiero prima che divenisse proprietà anche di una persona decisamente troppo ficcanaso, per i suoi gusti, che certo non avrebbe mancato di farle notare che__

Guarda che ti ho sentita.”

__appunto.

Gli occhi scuri della mezz’elfa si rovesciarono verso l’alto, cercando istintivamente la figura ora immobile dell’amica dai capelli rossi: Siria era là, in piedi sul robusto ramo di un tasso, e la stava fissando, la testa che si muoveva appena in un inequivocabile segno di esasperazione.

Era soltanto un pensiero, Sir.” le rispose subito, abituata com'era a quel contatto mentale che, ormai da tempo, le univa.

Il loro era un rapporto ai confini dell'assurdità, secondo Caleb, ma tutti loro sapevano bene quale fosse l'origine tutt'altro che assurda di quel contatto e di quella affinità.

Le due ragazze si erano conosciute molti anni prima quando Siria, poco più che bambina, si era perduta in un bosco non molto dissimile da quello che stavano attraversando in quel momento; Talia l'aveva trovata e si era presa cura di lei e, col passare degli anni, fra loro si era instaurata un'amicizia salda e forte come ben poche potevano sperare di nascere in un periodo turbolento come quello che Narnia stava attraversando.

Non offendere la mia intelligenza, Tallie.”

La voce sarcastica, seppur mentale, dell’amica strappò un sorriso a Talia che, sentendosi punta sul vivo, distolse gli occhi dalla figura allampanata della rossa per riportarlo sul sentiero a malapena distinguibile che stavano percorrendo.

Davvero, Sir. Lascia stare.” sussurrò, mentalmente, costringendo i propri pensieri a non soffermarsi su quello – stranamente difficile da reprimere – di Caleb.

-Intorno al milione, direi.- commentò una voce più acuta ed infantile, seccata.

La mezz’elfa si voltò, sorridendo, per vedere la piccola Tara che quasi correva per mantenere il passo spedito degli altri; la ragazzina sollevò gli occhioni azzurri sul fratello maggiore che, come lei, si era voltato al suono della sua voce indispettita, scoccandogli uno sguardo capace di ridurre a più miti consigli persino un uomo grande e grosso come Caleb.

-Potresti anche fare il galantuomo per una volta, almeno con tua sorella!- sbottò, irritata, sventolandosi una mano davanti al volto accaldato.

Talia, ridacchiando, l’afferrò al volo e, con uno scatto rapidissimo che solo il sangue elfico poteva permettere ad un corpo, si spostò alle spalle di Caleb, permettendo alla piccola di arrampicarsi sulla sua schiena poderosa.

-Tuo fratello è uno scimmione, piccina, non puoi pretendere che conosca il galateo.- commentò, ironica, strizzando l'occhio alla bambina.

Lei la adorava, Tara.

Le ricordava un po’ se stessa… la se stessa che era stata tanto, tantissimo tempo prima. Più o meno cinquecento anni, commentò mentalmente, con una smorfia. Almeno li porto bene.

-Almeno io supero il metro d’altezza, nanerottola.- replicò Caleb, piccato, affondando la mano grande, lievemente callosa ma calda e rassicurante, fra i corti capelli di Talia, arruffandoli.

-Caleb ho ucciso per molto meno! I capelli no!- sbottò lei, scacciandolo bruscamente e sferrandogli un pugno, per'altro non troppo determinato a ferirlo, sulla spalla.

Caleb scoppiò a ridere, accusando il colpo ed esagerando il dolore mentre Tara, appollaiata come un piccolo folletto sulla sua spalla, gli appioppava un poco simpatico scappellotto sulla nuca.

-Oh, insomma!- esclamò, fingendosi esasperato, alzando gli occhi verso la rossa che li stava guardando, di cui sentiva la risata argentina fin da laggiù. -Sir, le tue amiche, qui, mi picchiano! Non è giusto!- protestò, afferrando Talia quando lei tentò di superarlo e tirandola verso di sé, avvolgendole un braccio intorno ai fianchi asciutti.

Oh, ma Siria doveva smetterla di sogghignare.

-Caleb mollami!- protestò lei, avvampando di botto quando Caleb, senza troppe cerimonie, se la caricò in spalla accanto a Tara: era forte, abbastanza per sollevare la ragazzina e la mezz’elfa, non molto più pesante.

-Non mollarla, Cal, vediamo se per una volta la pianta di blaterare.-

Ridacchiando, la figura troppo alta e smagrita della mercenaria dai capelli rossi piombò come un falco a poca distanza da loro, sollevando uno sbuffo di foglie secche.

Istintivamente, i suoi occhi dardeggiarono verso il principe prigioniero.

Nel medesimo istante, come richiamato dalla sua presenza – eppure non avrebbe dovuto trovarsi ancora sotto l'effetto dei fumi della malia Caspian si voltò di scatto, udendo il suono dei suoi calzari sul terreno; e per un attimo, soltanto per un rapido attimo, i loro occhi s’incrociarono.

C'era determinazione, nello sguardo ribelle del principe di Telmar.

Caspian sostenne l'occhiata curiosa di Siria senza cedimenti, senza paura, nonostante si sentisse a disagio sotto quell'indagine spietata; tuttavia, nonostante quelle sgradevoli emozioni, la curiosità prevalse.

Per la prima volta, da quando era stato catturato, riuscì a guardare per bene quella donna che gli era parsa tanto bella e surreale durante l'agguato: l'alone misterioso e seducente che lo aveva irretito in precedenza sembrava essere scomparso, rifletté, concedendosi di studiarla più a lungo di quanto, forse, si sarebbe dovuto permettere.

Aveva due begli occhi blu e dei lineamenti affilati, forse troppo, che contrastavano con il naso rotondo e con la simpatia innata che suscitavano le decine di lentiggini che le punteggiavano tutto il viso. Era pallida e profonde occhiaie dall'aspetto vecchio e trascurato le segnavano le guance ma, quando la ragazza prese fiato dopo la corsa fra gli alberi, Caspian notò che aveva i denti puliti e regolari – strano, per una popolana.

Ciò che lo aveva colpito subito era stata quella capigliatura meravigliosamente folta e brillante: i capelli di Siria sembravano la criniera di un leone, ricci e ribelli e lunghi sino alla vita – una criniera imbrigliata in una serie di lacci che, tuttavia, non riuscivano a trattenere lunghe ciocche fuggiasche dal darsi alla pazza gioia attorno al suo viso.

Era decisamente troppo magra, come tutti coloro che non potevano permettersi dei pasti regolari ed abbondanti, ma era di costituzione robusta e proporzionata e, dal modo in cui si muoveva, si potevano intuire muscoli affusolati e ben definiti sotto la calzamaglia, il giustacuore, la camicia ed il corpino.

Una bella ragazza, tutto sommato, ma non c'era niente in lei che gli riportasse alla mente la figura sensuale ed irresistibile che lo aveva fatto capitolare.

Però c'era quello sguardo... quello sguardo ferace e guardingo che contrastava con tutto ciò che poteva dedurre dal suo aspetto.

Non appena quel pensiero lo sfiorò, un ennesimo spintone lo distolse dai suoi pensieri: Aaron lo aveva spinto avanti e Siria, incupita da chissà cosa, si era voltata verso gli amici – quel dannato ragazzino non aveva alcun diritto di guardarla in quel modo.

Scosse appena la testa, come se volesse scacciare una mosca fastidiosa, e sogghignò quando notò che Talia non era ancora riuscita a liberarsi della salda presa del biondo.

Gli occhi nocciola della mezz’elfa si soffermarono su di lei, mentre quella sgambettava per liberarsi dalla presa di Caleb.

Quello cos’era, Sir?”

La domanda quasi ovvia di Talia non la sorprese affatto, a dirla tutta; a loro non servivano parole né discorsi, per comprendersi: bastava uno sguardo.

Quello cosa?”

Siria si strinse appena nelle spalle, alzando gli occhi al cielo.

Sapeva a cosa si stava riferendo Talia: era raro che qualcuno riuscisse a destare la curiosità di Siria – e lei, Talia, aveva sentito chiaramente i pensieri di Siria concentrarsi sul ragazzo, irritarsi davanti alla determinazione e alla testardaggine con cui lui la stava fissando sino a poco prima, domandarsi perché quello stupido principino non la smettesse di osservarla.

Sapeva che Siria, con un vecchio trucchetto appreso da una chiromante di uno sperduto villaggio di Archen, aveva ammaliato Caspian per catturarlo; tuttavia, da allora, si era ben guardata dall’utilizzare lo stesso giochetto per sedurlo o attrarlo verso di sé – anzi, aveva mantenuto una prudente distanza di sicurezza da quel giovane che aveva suscitato, primo fra tanti, la sua inesauribile curiosità.

Quello sguardo.”

Quale sguardo? Pensa a liberarti dell’uomo-minotauro, piuttosto che vagare nella mia testa…”

Talia alzò gli occhi al cielo in risposta alla prevedibile replica della rossa. Era un classico che Siria cambiasse bruscamente discorso, spostandolo verso argomenti meno vicini alla sua preziosissima persona… se Talia non l’avesse conosciuta bene l’avrebbe sicuramente scambiata per un’altezzosa egoista – e mai errore sarebbe stato più fatale.

Ah, beh, di sicuro vagherei in un posto molto spazioso!”

Suo malgrado Siria sorrise al commento ironico e pungente dell’amica, tornando ad arrampicarsi sull’albero più vicino.

Sì, ti voglio bene anch’io.” fu la sua risposta divertita, gli occhi blu che, senza davvero volerlo, tornavano a cercare la figura di Caspian.

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§

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Peter prese un lungo respiro, costringendosi a mantenere un rigido e ferreo autocontrollo sulle proprie emozioni.

Eppure era così difficile…

La commozione ed il peso grande e doloroso che vigevano nel suo petto da quando aveva rimesso piede a Narnia erano, ad ogni lieve passo del cavallo, un poco più forti.

Davanti a lui, silenzioso e mite come non avrebbe desiderato vederlo, un fauno lo guidava attraverso strade che sembravano non essere mai cambiate, in una foresta minuta i cui rami danzavano. Danzavano.

Gli alberi ballavano intorno a lui, le foglie brillavano di un verde acceso, vivo, un verde che niente poteva eguagliare in ciò che aveva visto sino a quell’istante.

Creature fatte soltanto di fiori di pesco, d’arancio, di ciliegio, si radunavano ai lati di quel sentiero stretto che serpeggiava in un bosco come credeva non esistessero più, a Narnia.

Quella era la sua Narnia.

Fauni, elfi, folletti, gnomi, unicorni d’un bianco abbacinante, danzatrici, ninfe – decine e decine di paia d’occhi facevano capolino ogni volta che il suo sguardo si allontanava da un punto preciso, da dietro i tronchi che, con un suono familiare quanto alieno, si muovevano al ritmo di una musica muta.

Era incredibile – era incredibilmente assurdo che un luogo del genere esistesse ancora…

Aveva varcato la soglia di quel rifugio guidato da Tartufello e da Nikabrik, poche ore prima.

Aveva guardato, perplesso, quella cascata prepotente, scrosciante, che sembrava nascere dal nulla e nel nulla pareva sparire. I due lo avevano spinto ad attraversarla, nonostante il suo cavallo non fosse per nulla contento di farlo, assicurandogli che non sarebbero stati travolti dall’acqua.

Perplesso ma fiducioso, soprattutto nei confronti del tasso, aveva obbedito.

Aveva attraversato quella cascata, senza esserne bagnato nemmeno minimamente, e si era ritrovato… a Narnia.

La gente era la stessa con cui aveva convissuto per trent’anni, le creature le medesime, il luogo era esattamente come lo ricordava – solamente gli sguardi erano diversi: erano occhiate timorose, diffidenti, dense di un velato rimprovero che lui prima di chiunque altro si rivolgeva.

Soltanto i centauri, possenti, scuri, misteriosi, avanzavano sicuri in mezzo agli alberi di quella foresta incantata, fermandosi sul ciglio della strada per osservarlo sicuri, fieri, enigmatici com’erano sempre stati.

Aveva chiesto di parlare con Mairead, una volta varcata quella soglia, una volta superato l’iniziale stupore di ritrovarsi sotto il tiro di una decina di frecce. Si era presentato, mantenendo il più possibile una calma che non possedeva e, nello stupore generale, era stato riconosciuto; ed ora uno dei fauni armati lo stava conducendo in un silenzio denso di magia verso la residenza della Sovrana delle Naiadi.

Non era un edificio imponente, eppure era rimasto lo stesso, identico luogo che rammentava del suo passato a Narnia.

Era una residenza forse modesta, per gli standard di Cair Paravel, ma comunque immensa; ciò che era visibile agli occhi di chi non vi era ancora entrato era un castello difficile da riconoscere, illuminata dai raggi di un raro Sole che fendeva le uniformi nubi candide che velavano il cielo. L’edera cresceva rigogliosa su tutta la struttura, intrecciandosi in mille disegni spezzati soltanto dalle ampie vetrate ora spalancate, ricoprendo quasi totalmente le pareti del loro incredibile verdeggiare. Fiori candidi, piccoli e delicati, adornavano il giardino e persino le mura, inerpicandosi sui rami dell’edera come serpenti su un albero.

Sorrise, Peter.

Caprifogli.

Quei piccoli, delicati fiori bianchi che tanto amava, che spesso aveva osservato con tenerezza ornare i muri di Cair Paravel, crescevano rigogliosi su quelle pareti anomale, il loro candore illuminato dai tenui raggi del Sole.

Sentì il cuore gonfiarsi di commozione a quella vista, quando distinse i grifoni solcare il cielo al di sopra della reggia.

Era a casa.

-La Sovrana Mairead la sta aspettando, sire.- il fauno, con devozione, s’inchinò di fronte al giovane, quando raggiunsero la soglia di quel palazzo sempre più grande mano a mano che s’avvicinavano.

Conosceva quel luogo. Il sentiero che avevano percorso si snodava su uno specchio d’acqua profondo, un lago immenso che si stendeva racchiuso in muraglie di monti impervi. La rocca, costruita nella stessa pietra bruna di Cair Paravel e che lui ricordava nel pieno dello splendore, si ergeva alla fine di quella strada. C’erano differenze, però: piante di tutti i tipi avevano ricoperto la maggior parte della struttura arrotondata del castello, presentando alla mente una costruzione che pareva partorita dalla natura stessa.

-Ti ringrazio…- Peter tacque un istante, osservando il fauno prostrato ai suoi piedi. Non aveva mai chiesto – né mai preteso – tutto questo.

La creatura alzò lo sguardo, comprendendo il desiderio del biondo di conoscere il suo nome. Lo vide appena imbarazzato da quel gesto, ma il Re non se ne curò: era sempre stato un sovrano attento al suo popolo, ai bisogni del regno, sempre pronto a rendersi loro pari quando giungevano a chiedergli aiuto.

-…Pallante, mio sire.- mormorò il fauno, abbassando di nuovo lo sguardo.

Peter sorrise, smontando da cavallo e posando con tranquilla e studiata serenità una mano sulla spalla dell’altro, vedendolo sobbalzare al contatto inaspettato.

-Ti ringrazio infinitamente, Pallante.- mormorò, gli occhi azzurri penetranti ed eccezionalmente calmi. Vide il fauno sbalordirsi di quell’azione, e lo lasciò lì, soddisfatto di sé e del suo operato, varcando senza esitazione la soglia della residenza di Mairead.

Il peso che gravava sul suo petto non poté che aumentare quando i suoi occhi celesti dardeggiarono con un gesto doloroso sui corridoi ampiamente illuminati, tinteggiati nelle calde tonalità dell’oro e dell’ocra. I dipinti alle pareti, i mobili in legno chiaro – di faggio, colto col consenso dell’albero stesso – le spade e gli archi racchiusi in eleganti teche di cristallo: tutto era esattamente come ricordava. E l’erba soffice, sotto di lui, troppo perfetta per non essere frutto di magia, era la stessa su cui tanti anni prima correva ridendo con i suoi fratelli, giocando come i regnanti felici che erano.

Tutto, tutto quanto, era come ciò che aveva lasciato, in una sfolgorante e luminosa imitazione della sua Cair Paravel.

I suoi passi lenti, misurati, risuonavano nel silenzio ovattato del palazzo come le pulsazioni del cuore nel suo petto.

Fu davanti alle grandi porte di vetro soffiato, smerigliato ad arte in modo da lasciar intravedere soltanto ombre confuse della sala che racchiudevano, che si fermò. Per la prima volta, in tanto tempo, non sapeva cosa aspettarsi dalle creature del suo regno.

Ma non servì che fosse lui ad aprire le porte: non appena il Re smise di camminare ed il suo sguardo indugiò sulle maniglie dorate il portone, semplicemente, si aprì.

Il prato incantato si stendeva in quell’ampia sala come in nessun altro luogo di Narnia avrebbe mai potuto fare: l’erba sarebbe stata soffocata dal fogliame e dai frutti degli alberi… ma lì no, lì poteva crescere rigogliosa e lucente come appariva soltanto nei ricordi più sbiaditi del Re, mossa da una brezza inesistente che accarezzò per un istante il volto del biondo, portandolo a socchiudere gli occhi per ricacciare indietro la commozione, con l’angoscia che gonfiava il suo cuore.

-Re Peter.-

Peter spalancò nuovamente le palpebre quando, in quel silenzio quasi innaturale, risuonò una voce eterea capace però di spezzare l’aria come il ruggito di un leone. Dolcezza e fermezza, ecco cos’era quella voce. Ecco cos’era sempre stata.

Sorrise, Peter. Un sorriso sorpreso e forzato, doloroso… un sorriso, però, sincero.

-Sovrana Mairead.- mormorò, chinando il capo in un decoroso e cavalleresco cenno di saluto, avanzando di qualche passo nell’immensa sala alberata.

Pareva una radura, la stanza del trono di Mairead: vi si snodava pigro un corso d’acqua, un ruscello limpido e trasparente che scorreva su ciottoli levigati e troppo perfetti per essere naturali, ed un enorme salice piangente velava quella creatura meravigliosa che ricordava essere molto, molto diversa da ora.

-Ti trovo splendida, come sempre.- mormorò, la voce rotta appena dall’emozione, quando la Sovrana delle Naiadi si alzò dal morbido tappeto verdeggiante per andargli incontro.

Gli ultimi ricordi che aveva di Mairead erano di una creatura allegra, vivace, modellata dall’acqua e nell’acqua. Ora, invece, la donna che aveva dinanzi era di carne e ossa, viva e concreta almeno quanto lui.

Si chiese quanti anni avesse in realtà; ai suoi occhi di figlio d’Adamo non ne dimostrava più di una trentina.

Morbide onde dorate ricadevano intorno a quel volto dalla carnagione chiara, eburnea quasi, priva di qualsivoglia tipo d’imperfezione. Il viso era affilato ma delicato allo stesso tempo, le labbra chiare e carnose, le guance delicate simili a panna…

E gli occhi, gli occhi erano due specchi di un celeste chiarissimo, quasi simile a ghiaccio; altrettanto taglienti, all’occorrenza, ma ora dischiusi in un sorriso sereno, un sorriso che metteva in evidenza una chiostra di denti bianchissimi e un sincero affetto nei confronti del giovane regnante.

Mairead camminò con leggiadria verso Peter, quasi danzasse; fu lei ad inchinarsi al giovane, sorridendo lievemente quando Peter, galante e signore esattamente com’era sempre stato, sfiorò appena il dorso della sua mano con un lievissimo bacio.

-Ed io ti trovo inaspettatamente più giovane, mio Re, nonostante siano passati secoli dal tuo avvento.- mormorò la Sovrana, sempre con quella voce mistica, eterea, quasi lontana. Gli rivolse un morbido cenno con la mano affusolata, invitandolo a seguirla verso il luogo in cui era in meditazione fino a pochi istanti prima.

-È una lunga storia.- fu il commento neutro di Peter, che continuava a guardarsi intorno, cercando di imprimersi ogni dettaglio di quel luogo nella mente.

-Ho tempo per ascoltarti.- il biondo sospirò, guardando Mairead tornare ad accoccolarsi con dolcezza accanto al salice, posando le mani candide sulla sua corteccia – una corteccia viva, pulsante d’energia, diametralmente opposta agli alberi all’infuori di quel posto.

-Sono desolato… ma il tempo invece è proprio ciò che manca a me, adesso.- mormorò, inginocchiandosi accanto a lei prima di lasciarsi stancamente cadere contro il tronco del salice, chiudendo gli occhi soltanto per un istante; non era abituato a mostrare così le proprie debolezze, la propria fragilità, ma sapeva bene che Mairead era una delle poche persone, a Narnia, di cui poteva fidarsi ciecamente.

-Qualcosa turba i tuoi occhi, Peter.- la sentì infatti mormorare, avvertendo su di sé quello sguardo limpido, celeste e tagliente.

Schiuse di nuovo le palpebre, alzando le iridi sul volto splendido della donna. Ma esitò, soltanto per un istante, quando poté chiaramente sentire il contorcersi del suo orgoglio nello stomaco.

-Sono qui per implorare il tuo aiuto.- il sapore amaro dell’umiltà con cui aveva parlato si fece presto sentire fra le sue labbra, in bocca – ma lo sapeva, quella perdita di orgoglio era necessaria, per il suo popolo, per Narnia… sebbene bruciasse, bruciasse come fuoco. -Stanno succedendo molte cose a Narnia. Il principe di Telmar si è posto a capo dei narniani, li ha radunati, li ha spronati a combattere per riprendersi la loro terra.- distolse lo sguardo, portandolo sul fiume che scorreva placido di fronte a lui. Quel principe, da ciò che aveva scoperto di lui, gli sarebbe piaciuto… -Ha fatto ciò che avrei fatto io…- sussurrò, rivolto più a se stesso che alla naiade.

-Azioni degne di stima.-

Tornò a guardare la ninfa, lo sguardo greve, angosciato, più distante che mai. -Ma è scomparso, Mairead. Nonostante il nostro arrivo i narniani fanno affidamento su di lui, li ha spronati, li ha guidati.-

Ciò che non ho fatto io…

-Ho bisogno di una guida che conosca questa nuova Narnia.- affermò, dopo un secondo, ignorando quel pensiero che ardeva più della perdita d’orgoglio.

-E che possibilmente possa affrontare anche la magia che tanto temi.- completò per lui la naiade, in quel tono sereno e pacato che celava un carattere tanto attento quanto scaltro e calcolatore.

Peter esitò soltanto un istante prima di annuire, lo sguardo ancor più cupo.

-È in tempi come questi che prendono il potere le creature come Jadis.-

Mairead, a quelle parole, annuì. Peter nemmeno era ben conscio di quanto quel timore potesse essere fondato, in quell’istante… il sangue della Strega Bianca scorreva ancora sulle terre di Narnia… e presto, molto presto, si sarebbe rivelato.

Posò una mano affusolata sul braccio del ragazzo, guardandolo con uno sguardo greve, deciso.

-Ti prego di uscire, Peter. Ho necessità di pensare.- mormorò, sostenendo il suo sguardo con quell’ammirevole caparbietà che lui non aveva mai dimenticato.

Il biondo annuì, distogliendo gli occhi dai suoi, sentendo l’ansia crescere ad ogni passo che muoveva fin quando non si ritrovò fuori da quella sala di nuovo chiusa, per lui.

.
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-Shaylee.- la voce di Mairead echeggiò nella sala improvvisamente vuota, il silenzio spezzato soltanto dal gorgoglio delicato del torrente limpido.

Eppure, Mairead sapeva bene di non parlare al nulla.

Socchiuse gli occhi per un momento, le dita sottili ed eleganti che andavano a racchiudere un boccolo nella loro pelle color panna, aspettando.

Dopo un istante, il suo fine udito colse lievi passi di piedi nudi sull’erba soffice, ed il respiro accennato di una creatura di fronte a lei. Alzò gli occhi, per nulla sorpresa di ritrovarsi davanti ad un’altra ninfa: la nuova arrivata era giovane, aveva il volto e l’aspetto di una ragazza umana ma, come la sua signora, anche la seconda naiade nascondeva dietro il suo volto molti più anni di quelli che dimostravano.

-Mi ha chiamato, mia Sovrana?- la voce melodiosa della fanciulla risuonò come un’eco nel soffice silenzio della sala, il volto chinato verso il basso, la veste candida che velava il suo corpo chiaro.

Mairead alzò lo sguardo, gli occhi azzurri e freddi improvvisamente privi di quella patina di cortesia che avevano velato il suo sguardo in presenza di Peter.

-Ho un incarico da affidarti.- affermò alzandosi in piedi, più alta della ragazza di almeno una spanna. Si voltò verso le ampie vetrate del suo castello, scrutando il popolo nascosto nel suo regno, guardando con ansia sempre crescente il cielo terso di Narnia. -Gli Antichi Re sono tornati a Narnia.- mormorò, piano. E sentì sussultare Shaylee, a quell’affermazione; anche senza guardarla poté vedere i suoi occhi sgranare, il suo volto deformarsi nella rabbia.

-Pensavo fossero soltanto voci.- fu infatti la fredda constatazione della ragazza – la voce gelida, vibrante di odio a stento trattenuto.

-È la realtà. Il Re Supremo è qui.- Mairead si voltò a guardarla; negli occhi della giovane c’era un misto di sorpresa, di rabbia, di dolore, che la Sovrana comprendeva perfettamente. -È giunto per implorare il nostro aiuto. Ha bisogno di una guida magica; non conosce più questo mondo, mentre tu sì.- vide chiaramente Shaylee impallidire, a quell’affermazione.

-Mia Sovrana, io__- cominciò lei, ma Mairead alzò una mano, interrompendola.

-Tu sei la mia risorsa più importante. Sei la più saggia e giusta fra le mie ninfe, e so di potermi fidare ciecamente di te. So che non fallirai.- le spiegò, sostenendo il suo sguardo con la determinazione di una regina, con la forza e la pacatezza di chi ha tanto sofferto – e sacrificato – per il suo popolo.

Shaylee era, senza altre definizioni possibili, la più fidata delle sue ancelle personali: le naiadi erano state costrette ad imparare a difendersi molto tempo prima, quando gli invasori telmarini le avevano cacciate come selvaggina; a quei tempi, Shaylee era poco più che una novizia delle battaglie… una novizia che aveva costretto se stessa a rinchiudersi nel guscio di una lottatrice incantata, armata solamente della sua magia ma guidata da un dolore immenso che Mairead non era riuscita ad evitarle.

Orfana, sola al mondo, era nata poco tempo prima che i Quattro Regnanti abbandonassero Narnia; i suoi genitori erano rimasti uccisi tempo dopo, durante le prime sanguinose schermaglie con gli abitanti di Telmar, affidando quella bambina al fato e a Mairead, già allora Sovrana che, colpita da subito da quegli occhioni dorati e limpidi, si era presa cura di lei come della figlia che non aveva mai concepito.

-Ne sono onorata.- Shaylee chinò il capo, i lunghi capelli lisci che velavano appena il suo volto candido.

Mairead si limitò ad annuire, più conscia della giovane di quanto quella decisione avrebbe potuto cambiare tutto.

-Peter.- sussurrò soltanto, voltandosi verso le ampie porte. Bastò quell’unica parola, quel nome, per far sì che si spalancassero.

Peter era là, appoggiato alla parete di fondo con la schiena, le braccia incrociate sul petto; alzò gli occhi dai suoi pensieri, quando la grande sala tornò ad accogliere il suo sguardo… e un brivido di sorpresa lo attraversò di botto quando distinse la seconda donna accanto a Mairead.

Il primo, assurdo pensiero che la sua mente produsse fu quello di trovarsi davanti ad un cammeo: l’espressione della ninfa era rigida, troppo forse, gli occhi erano socchiusi, le labbra strette e la veste severa, capace comunque di valorizzare il suo corpo minuto ma ben proporzionato.

Aveva la carnagione bianca come la spuma delle onde marine sugli scogli e lunghi capelli dorati le incorniciavano i lineamenti dolci; gli occhi erano lontani dai suoi, stretti fra ciglia chiare e folte come pizzo, le labbra sottili serrate in una inequivocabile espressione di disprezzo.

Rimase a guardarla, improvvisamente incapace di pensare ad altro: non era la ragazza più bella che avesse mai visto, ma c’era qualcosa… qualcosa che non aveva mai notato in nessun’altra.

Forse erano le mani chiare, affusolate, minute, strette rigidamente nei pugni, le braccia rigide sui fianchi; forse il collo arcuato, teso e rigido per il nervoso; o forse quello sguardo che repentinamente si spostò su di lui – forse fu tutto questo a fargli comprendere esattamente ciò che lo aveva colpito di lei.

Aveva gli occhi dorati, liquidi e grandi ed allungati come quelli di una cerbiatta: erano luminosi, in splendida armonia con la carnagione chiara e le labbra rosee, e spiccavano nel suo volto come un dente di leone in mezzo ad un prato innevato.

Ed erano pieni d'odio.

Rabbia, veleno, ira: in quegli occhi c’era una marea di emozioni terribili, angosciose, che lo trafissero con la prepotenza e la violenza di una lama.

Odio.

Non seppe il motivo, non seppe il perché, ma ne fu certo praticamente all’istante: la ninfa, quella bella ninfa sconosciuta, lo odiava.

Rimase a guardarla, sorpreso, allibito… ferito da qual fendente che aveva trapassato senza motivo apparente il suo petto, spezzando il suo respiro e rendendo, per un istante, silenzioso il suo cuore.

-Peter, lei è Shaylee. Fa parte della mia scorta personale e conosce ogni… ah, ogni più singolare creatura di Narnia.- la voce di Mairead si velò per un istante di una lievissima malizia, scoccando un’occhiata a Shaylee. La vide chinare appena il capo senza, però, allontanare quegli occhi densi d’odio dalle iridi azzurre e colpevoli di Peter. -Sarà la tua guida.-

Un sorriso enigmatico si disegnò sulle labbra della Sovrana, quando si accorse di quella lotta di sguardi.

Oh, sì. Sarebbe presto cambiato tutto.

-Ti sono riconoscente, Mairead. E a te, Shaylee.- sentì mormorare Peter, e distinse la testa bionda chinarsi, in un muto gesto di ringraziamento.

Fu tagliente, e per nulla sorprendente, la risposta secca di Shaylee: -Dovere.-

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Le creature di Narnia avrebbero lasciato il loro rifugio: Mairead aveva assicurato a Peter che presto si sarebbero congiunti ai loro fratelli rimasti nelle foreste, che sarebbero tornati alla loro terra per combattere, per riprendersela.

Il suo esercito sarebbe tornato ad essere glorioso come una volta… le creature magiche avrebbero avuto ragione di Miraz, dei suoi uomini. Avrebbe schiacciato Telmar, e riportato Narnia al suo splendore – avrebbe dovuto pensare tutto questo, Peter. Avrebbe dovuto pianificare, congetturare, elaborare ogni dettaglio delle future battaglie, di ciò che poteva succedere. Mai come in quel momento avrebbe avuto bisogno di Edmund: era lui lo stratega fra i quattro, era lui il giocatore di scacchi.

Avrebbe dovuto concentrarsi sul suo popolo mentre, a cavallo, seguito da una quanto mai silenziosa figura elegantemente in groppa ad un pony non sellato, ripercorreva a ritroso la strada alberata che lo aveva condotto alla reggia di Mairead.

Avrebbe dovuto, ma non vi riusciva.

I suoi pensieri, l’angoscia che penetrava come una lama il suo cuore, continuavano a rivedere lo sguardo carico d’odio che gli aveva rivolto Shaylee.

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CAPITOLO AGGIORNATO IL 02/03/2015

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Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 4
*** Ode to solitude ***


34 chap

Narnia's Rebirth
4th Chapter

Ode to solitude - HIM

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-Smettila di fissarlo.- Siria distolse bruscamente la propria attenzione dalla figura addormentata di Caspian quando quel sibilo irato attraversò il buio della notte e la colpì con la forza di uno schiaffo.

Si voltò, sorpresa e a disagio, quando gli occhi grigio-azzurri di Aaron lampeggiarono rabbiosamente verso di lei.

-Non lo sto fissando.- rispose, sussurrando, per non svegliare Caleb e Tara – Tallie, lo sapeva, dormiva sempre con un occhio soltanto: la mezz’elfa stava sicuramente ascoltando il dialogo appena iniziato fra lei e suo fratello, ne era certa.

Il rosso storse la bocca in un inequivocabile segno di disprezzo.

-Lui ti fissa, e va bene, lo stai ammaliando, posso capi__- cominciò, ma l’espressione sorpresa e irritata della sorella lo interruppe.

-Io non lo sto ammaliando. Sta facendo tutto da solo.- replicò, piccata, assottigliando gli occhi grandi e blu in un inequivocabile sguardo indignato.

-Davvero?- Aaron sembrava sorpreso – fin troppo, notò Siria, con un moto ben più violento di rabbia negli occhi e nella mente.

La incuriosiva il modo in cui la guardava il principino.

Non era lo sguardo degli uomini di paese, quell’occhiata famelica e porcina che dedica un affamato a un pezzo di carne, né quelli istupiditi dalla malia che esercitava per ottenere ciò che voleva da quei pecoroni schiavi delle pulsioni carnali: Caspian la guardava come se volesse studiarla, capirla, e lei voleva assolutamente comprendere perché quel ragazzetto si stesse intestardendo a voler risolvere l'enigma che, evidentemente, lei doveva essere per lui.

Talia, da figlia dei boschi e sorella delle creature che li abitavano, aveva ottenuto alcune informazioni che non avevano fatto altro che aumentare la confusione di Siria: Caspian aveva riorganizzato i narniani, li aveva spronati a uscire di nuovo allo scoperto e a prepararsi per combattere le truppe di Miraz, aveva persino ottenuto la fedeltà dei centauri. Era rimasta affascinata da quella notizia, da quell’impresa quasi impossibile che era riuscito a compiere il ragazzo dopo milletrecento anni di fughe continue, di nascondigli, di paura: convincerli a combattere per se stessi, per la giustizia, per la libertà

-Sì, davvero. Magari, per una volta, attiro qualcuno senza diavolerie.- sbottò, più duramente di quanto in realtà avrebbe voluto essere nei confronti di suo fratello.

Aaron sospirò, rovesciando per un istante gli occhi al cielo.

-Ehi, sorellina, calmati. Non intendevo offenderti.- sbottò, attizzando il fuoco in procinto di spegnersi con un lungo bastone nodoso e rivolgendo un’occhiata appena divertita alla sorella – ma quella scintilla di allegria scomparve quasi immediatamente quando distinse il volto chiaro di lei ancora corrucciato, pensieroso, lontano.

-Potremmo lasciarlo tornare indietro.- mormorò infatti la giovane dopo un istante, senza riuscire ad alzare gli occhi su Aaron. Lo sentì sospirare, paziente.

-Non dire sciocchezze. Avrebbe portato i narniani solo allo sterminio.- le fece notare con una tranquillità solo apparente: Siria non aveva mai avuto cedimenti, ripensamenti, ripicche... nonostante il tono calmo della voce, quell'improvviso ripensamento lo preoccupava non poco.

-Magari invece li avrebbe portati alla vittoria. Miraz è un bastardo, mira soltanto al trono… lui vuole riportare la pace, e noi lo stiamo portando alla morte.- replicò lei col viso nascosto fra le braccia, gli occhi blu fissi sulle fiamme – quelle fiamme che non riuscivano a scaldarla, che non riuscivano a raggiungerla, vacue e fredde come il ghiaccio che pareva attanagliare il suo cuore immobile. -Non è giusto.-

Non è giusto.

Con un gesto frustrato scosse la testa, affondando il viso fra le ginocchia: non riusciva ad accettare tutte le ingiustizie che i telmarini avevano perpetrato contro Narnia… ma non riusciva nemmeno a capire perché improvvisamente le interessasse tanto la causa del principe.

Non erano affari suoi.

Non si era mai interessata a tutto ciò che non fossero i suoi interessi, i suoi compagni. Il mondo intorno a loro era gretto, meschino e corrotto, e nessuno meglio di Siria ne era conscio… e allora perché, adesso, la semplice consapevolezza che qualcuno aveva deciso di lottare per Narnia la turbava in quel modo?

È un illuso. È soltanto un illuso. Narnia non può più essere salvata…

Aaron parve dar voce ai suoi dilemmi, alla sua stessa sorpresa. -Sir, da quando ti fai questi problemi? Giusto, sbagliato, hai sempre sostenuto fossero__-

La rossa alzò gli occhi sul fratello, zittendolo all’istante con uno sguardo triste, abbattuto… sconfitto.

Sconfitto quanto Narnia.

-__soltanto parole. Lo so.- terminò per lui, mesta, un lieve sorriso sardonico che si dipingeva sulle sue labbra rosse. -Ma continua a non essere giusto.- aggiunse, dopo un attimo, con sarcasmo.

Si accorse del movimento, del gesto repentino del fratello, ma non volle fermarlo. Ritrovò gli occhi di Aaron, freddi, diversi dai suoi, a poco più di una spanna dal proprio volto; l’aveva presa per le spalle costringendola bruscamente a guardarlo, a vedere l’espressione preoccupata ed allarmata che aveva preso il posto dell’imperturbabilità caratteristica del suo fratellastro.

-Quello che è successo a tua madre è giusto? Quello che fa la feccia che catturiamo di solito è giusto?- sbottò il rosso, sentendo il corpo della ragazza fremere sotto le mani, vedendo i suoi occhi oscurarsi di botto quando nominò sua madre, quella madre che i due non condividevano, ma che li aveva cresciuti entrambi come figli propri.

Lasciò andare la sorellastra, guardandola chiudersi di nuovo in se stessa con le ginocchia strette al petto e il viso contratto, pensieroso, distante.

-Narnia è un posto crudele. Non c’è spazio per la pietà.- le ricordò, più duro di quanto non volesse in realtà essere.

Doveva assolutamente proteggerla; anche – soprattutto – da se stessa.

Siria era già stata ferita così tante volte da quel mondo crudele in cui non sembrava trovare il suo posto… non avrebbe lasciato che qualche bizzarro rimorso la portasse a soffrire ancor di più.

Non per quello stupido principe.

-È soltanto uno dei tanti.- si limitò ad aggiungere, con una nota definitiva in quell’ultima frase.

Non è vero.

Siria si strinse di più su se stessa, serrando gli occhi umidi, lanciando un’occhiata angosciata al ragazzo legato poco lontano da lei, abbandonato in un sonno inquieto.

Lui non è feccia… lui non è come me.



§



-Ragazzi… lei è Shaylee. Shaylee, loro… beh, immagino tu ci conosca tutti.- Peter sorrise debolmente, indicando con un gesto morbido della mano i suoi fratelli – sorriso che svanì quasi all’istante davanti all’espressione fredda della naiade.

-Sì, esattamente.- rispose lei, rigidamente, con un mezzo inchino. -È un onore incontrarvi di persona.- mormorò, a testa bassa, cercando di non mostrare l’odio e la rabbia che provava verso gli antichi regnanti.

-Il piacere è nostro.- inaspettatamente, Susan e Lucy fecero una lieve riverenza, sorprendendo non poco la ninfa: i regnanti, solitamente, non ricambiavano così accuratamente… o forse lei non vi era più abituata.

Alzò lo sguardo, altezzosa, scrutando tutti loro con diffidenza decisamente mal celata; Edmund, però, si accostò a lei, prendendole galantemente la mano per portarsela alle labbra, sfiorandone appena il dorso.

-Grazie per l’aiuto.- sussurrò con gentilezza il moro, sorridendole.

La ragazza ritrasse la mano, incredula, guardandosi intorno come per scrutare il paesaggio circostante, cercando di nascondere l'imbarazzo che sentiva minacciarla di arrossarle il volto.

-Sei… diversa da come ricordavo le ninfe.-

Shaylee si voltò repentinamente verso la voce che, esitante, le si era rivolta: a parlare era stata la ragazzina, la più giovane, la Regina Lucy.

-Siamo state costrette a cambiare. Narnia si è fatta più selvaggia, più aspra… non saremmo sopravvissute, altrimenti.- spiegò Shaylee, sospirando, cercando di non soffermarsi sulla figura della piccola Regina. Non voleva ricominciare a soffrire, non voleva scorgere il dolore che lei stessa aveva vissuto per quel cambiamento violento riflesso in quel volto giovane, troppo giovane.

-Non è più Narnia…- mormorò, con voce spezzata, la piccola Pevensie.

-Regina Lucy…-

-Per favore, soltanto “Lucy”. Sono solo una bambina.- la interruppe lei, stirando le labbra in un sorriso cordiale, con un’ombra di giocosa malizia sul visino delicato.

-Va bene… Lucy.- la naiade s’inginocchiò dinanzi alla ragazzina, osservandola prima di appoggiare una mano sulla sua spalla esile. -Narnia si è chiusa in se stessa tanto tempo fa. Quasi tutti i suoi abitanti sono stati costretti a farlo.- raccontò e, nel suo sguardo malinconico, Lucy poté scorgere tutti gli anni passati, tutte le battaglie, le perdite avvenute, il dolore inciso a fuoco nella sua anima – nell'anima di ogni abitante di Narnia.

-Anche tu?- domandò la ragazzina, incuriosita da quella sofferenza antica che poteva scorgere nello sguardo diffidente della naiade; tuttavia Shaylee si limitò ad annuire rigidamente, prima di rialzarsi.

-Quanti anni hai, Shaylee?- chiese Susan, scrutandola con quell'alterigia che, nel corso dei secoli, era stata cantata infinite volte dalle ballate dei fauni.

-Ero bambina quando Aslan v’incoronò Re e Regine.- rispose seccamente la ninfa, sfuggendo all'indagine silenziosa ed implacabile della Regina più grande. Lucy, sorpresa, le rivolse un’occhiata incredula e, malgrado tutto, quell’espressione strappò un sincero sorriso alla ninfa.

-Viviamo molto più a lungo degli umani, Lucy, lo sai.- le ricordò.

-Eppure non sembri più grande di mia sorella. Voglio diventare una ninfa.-

Shay sorrise ancora di più notando che, malgrado tutto, ciò che si era narrato di Lucy Pevensie era vero: nessuno, in nessun caso, sarebbe mai stato in grado di impedire a quella piccola regnante di conquistare la fiducia e la simpatia del suo prossimo.

-A volte una vita troppo lunga diventa noiosa, sai?- le disse, alzando gli occhi verso il cielo coperto dalla fitta chioma degli alberi.

-Come vivere due volte la stessa.-

Un brivido gelido trafisse il petto di Peter quando la naiade si voltò di scatto verso di lui, sorpresa e infastidita dal suo intervento. Si pentì all’istante di essersi intromesso in quella discussione, di aver osato spezzare quel fragile cameratismo appena sbocciato fra la ninfa e la sua sorellina.

Prese un lungo respiro, cercando di non dare a vedere quanto quello sguardo, quelle iridi dorate ricolme di puro odio, lo turbassero.

-La… direzione è quella giusta?- le chiese, a disagio.

-Sì. Sono andati a nord, verso il castello di Telmar.- fu la gelida risposta della ragazza, indicando tracce invisibili che soltanto lei – che avvertiva la magia, avvertiva ciò che altri non avrebbero mai compreso – poteva aver notato.

Peter si volse verso il ramo dove Martin, il fedele martin pescatore amico di Tartufello, aspettava diligentemente i suoi ordini.

-Fai radunare le truppe ad est della Cittadella di Miraz.- gli ordinò soltanto, seccamente. Avvertì pizzicare sulla nuca lo sguardo gelido della naiade, quando l’uccellino sfrecciò via, obbedendo fedelmente a ciò che gli era stato imposto.

-Dobbiamo essere pronti… se non riuscissimo a prendere i mercenari prima che arrivino da Miraz dovremo fare irruzione.- le spiegò, senza riuscire a voltarsi, a fronteggiarla.

-Pensavo di essere stata scelta per essere una guida.-

Non lo sorprese proprio del tutto la sua risposta caustica, talmente fredda da riuscire a congelare persino l’aria intorno a loro.

Lo superò di scatto, camminando con passo spedito, svelto, la pratica veste da viaggio che frusciava nsul sottobosco.

Peter scambiò un’occhiata perplessa con Edmund, allibito tanto quanto lui, quando la sentirono mormorare solamente due parole:

-Ci riusciremo.-



§



Il fuoco era spento, le braci cupe ardevano ancora di un misterioso rossastro nel buio fitto della notte.

Aaron giaceva tranquillo poco distante da Caleb e sua sorella ed anche Talia, finalmente, pareva essersi assopita completamente. Il respiro pesante e tranquillo del biondo risuonava nell’aria fredda, dando un ritmo cadenzato, regolare, sonnacchioso all’atmosfera altrimenti gelida di quel luogo.

Siria sospirò di sollievo, allungando le flessuose gambe sul terriccio appena erboso, stiracchiando le braccia rimaste troppo a lungo conserte sul petto.

Lanciò un’occhiata guardinga alla foresta intorno a loro ma la trovò calma e cheta, profondamente addormentata; nessuno sguardo pareva turbare il sonno dei suoi compagni… il suo, invece, era troppo impegnato.

Per l’ennesima volta portò gli occhi in basso, alla sua sinistra, avvertendo un fremito dalle parti della spina dorsale quando incontrò i lineamenti contratti di Caspian.

Il ragazzo dormiva, ma non era un sonno tranquillo quello che, dispettoso, era calato sui suoi occhi neri: le labbra erano serrate, le iridi parevano sfrecciare terrorizzate sotto le palpebre chiare e lui mugolava appena, sfregando i polsi fra loro: le spesse corde che lo imprigionavano probabilmente gli davano fastidio… si voltò di scatto, sul fianco, i capelli riccioluti che ricadevano sul suo volto angosciato.

Una fitta di tenerezza attraversò repentinamente il cuore di Siria, a quella vista: quel ragazzo ne aveva passate già così tante…

Perché mi sto preoccupando per te, principino?

Se fosse stato per lei, se non ci fossero state conseguenze, lo avrebbe lasciato scappare. Già quando Aaron aveva accettato il lavoro si era dimostrata scettica, irritata dal dover obbedire a un tiranno del calibro di Miraz; loro non catturavano altro che ladri, truffatori, feccia insomma, ma Caspian… Caspian era diverso.

Se non fossero stati con l’acqua alla gola, se suo padre non avesse rischiato tutti i giorni di morire per stenti…

Sospirò, spostando le iridi blu sulle braci ormai spente.

Avrebbe voluto fare la cosa giusta, ma farla avrebbe significato mettere in pericolo tutti quanti… Miraz li avrebbe condannati e Aaron, Caleb, Tara… Talia – a cui doveva tutto – sarebbero stati braccati, costretti a fuggire il più lontano possibile.

E tutto a causa della sua coscienza, una coscienza tormentata che non riusciva a zittire in nessun modo.

Chiuse gli occhi per un istante. Quanto avrebbe desiderato dormire…

Caspian si mosse ancora, sfregando nuovamente i polsi, frustrato anche nel sonno da quelle corde troppo strette; le si strinse il cuore, di nuovo, a quella vista, perché quel ragazzo davvero non meritava di essere trattato in quel modo… nessuno lo avrebbe mai meritato.

E cedette.

Esitando appena allungò una mano, sfiorando con delicatezza i capelli scuri del principe. Erano incredibilmente soffici… scivolavano fra le sue dita come seta corvina.

Con gentilezza, temendo in cuor suo di svegliarlo, scostò quei morbidi riccioli dal volto del ragazzo, accarezzandogli poi i capelli, la fronte, la guancia liscia. Lo vide rilassarsi appena, le labbra socchiudersi… ne percorse il profilo con la punta dell’indice, rabbrividendo violentemente, dicendosi che no, non poteva farlo, doveva allontanarsi subito da lui prima che…

Eppure… era così dolce quel volto di giovane.

Un lieve sorriso si disegnò sulle guance di Siria, quando lo vide più tranquillo sotto le sue attenzioni – non era mai, mai stata così tenera, con nessuno –, sicuramente molto più calmo.

Dormi sereno, principe Caspian.

Veglierò io su di te, questa notte.

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CAPITOLO AGGIORNATO IL 03/03/2015

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Nota dell'Autrice:

Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
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Capitolo 5
*** Quietus. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
5th Chapter

Quietus - Epica

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Gli ultimi giorni erano passati placidamente fra le marce sostenute imposte da Aaron e brevi pause raramente notturne, perché si muovevano solamente quando il favore delle tenebre avrebbe permesso loro un maggior anonimato. Il gelo dell’autunno inoltrato infastidiva Caleb e rendeva Tara più taciturna del solito, mentre Aaron non dava segni di avvertire la temperatura scendere ad ogni calar del Sole e Talia, probabilmente in favore della sua natura elfica, non accusava alcun fastidio.

Siria, tuttavia, che temeva il gelo che aveva dentro di sé più d’ogni altra cosa, negli ultimi giorni non aveva fatto altro che incupirsi e chiudersi ancor di più in se stessa. Gli occhi ed il corpo avevano continuato, ligi al dovere, a controllare dall’alto ogni possibile pericolo per i suoi compagni; ma la sua mente vagava, ideava, progettava… e il centro di tutti quei pensieri era il bel principe dagli occhi neri che, testardo come pochi, aveva perseverato nello studiarla e nell'osservarla con un'insistenza quasi maleducata.

Aaron aveva perseverato nel tentare di sciogliere quel legame bizzarro e non voluto che era venuto a crearsi fra il prigioniero e sua sorella, ma Siria gli aveva impedito di maltrattare Caspian più del dovuto – voleva cavarsela da sola, capire da sola che cosa Caspian volesse da lei.

Lo aveva osservato a lungo, in quei giorni.

Non si lamentava delle corde, del bavaglio, nonostante entrambi avessero ormai scavato solchi sicuramente dolorosi nella sua pelle; non parlava, non tentava di ribellarsi – nonostante i suoi sforzi, il trattamento di Aaron aveva sortito i suoi effetti, scoraggiando qualunque velleità di fuga.

Per un istante, una fitta ormai ben conosciuta attraversò il petto della rossa.

Era soltanto un ragazzo…

La forza e l’idealismo in quegli occhi – non poteva negarlo – l’avevano colpita.

Caspian non pareva intenzionato ad arrendersi: aveva in volto lo sguardo di chi avrebbe lottato fino all’ultimo pur di non cedere allo sconforto e alla sconfitta, e nei gesti un’inquieta remissività preludio di tempeste e ribellioni.

Lui era tutto ciò che lei non aveva mai avuto occasione di essere.

-Con un paio di moine il ragazzo farebbe tutto quello che vuoi, lo sai?-

Siria ridacchiò, divertita, seduta accanto all'amica meticcia mentre Caleb e Tara dormivano ed Aaron si era allontanato per perlustrare la zona in cui si erano accampati. Le piaceva la schiettezza irriverente di Talia: era uno dei motivi per cui si era affezionata tanto a lei, la sorella che non aveva mai avuto, quando si erano incontrate… più di sette anni prima.

Il ricordo, per qualche istante, offuscò la sua vista.

Aveva avuto tredici anni, all’epoca.

Lei, Aaron e suo padre, a quel tempo, erano in viaggio: erano fuggiti dal villaggio in cui avevano vissuto per tutta l’infanzia dei due ragazzi, esiliati dalla loro stessa gente; loro padre, zoppo, non poteva badare a loro, non poteva nemmeno garantirgli un pasto al giorno… non era una vita facile quella di tre rinnegati.

Una notte, stanca dei continui rimproveri di Aaron su quanto fosse bellamente inutile, aveva preso arco e frecce e si era addentrata nel bosco, decisissima a fare la sua parte, a trovare qualcosa da mangiare, intestardendosi sull’idea di dimostrare quanto non fosse inutile.

Era stato allora… là, niente più di una bambina ingenua, si era perduta. E non inconsapevolmente.

Il bosco non le era mai parso tanto terrificante: le ombre degli alberi erano divenute minacciose e sembravano allungarsi verso di lei, pronte a ghermirla come quei mostri di cui tanto parlavano i più vecchi del villaggio quando narravano di creature dall’aspetto terribile pronte a mangiarsi i bambini ignari… lei aveva sempre ribattuto che dormiva con un occhio solo e una mano sulla sua spada, spavalda – ma quelle storie la terrorizzavano ancor ora.

Era caduta a terra, le mani e le ginocchia che si scorticavano sulle radici che emergevano dal terreno, senza il minimo desiderio di rialzarsi.

Sentiva ancora il sapore del sangue, l’odore metallico nelle narici, la testa che girava… non aveva mai dimenticato quelle sensazioni. Erano ancora il suo incubo peggiore.

Era stata Talia a trovarla.

Nonostante ora sembrassero coetanee, Talia era molto più vecchia di Siria: essendo elfa, anche se solo per metà, invecchiava molto, molto più lentamente rispetto agli esseri umani.

Talia l’aveva trovata e l’aveva portata via con sé.

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-Chi sei?-

-La domanda più impellente, ragazzina, è chi sei tu.-

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Talia conosceva la risposta a quella domanda spinosa, e non ne aveva fatto mistero alla ragazzina che si era ritrovata fra capo e collo.

Siria non era telmarina: era un ibrido, come la mezz’elfa, ma al contrario di Talia poteva facilmente passare per un’umana. Sua madre era stata uccisa, bruciata sul rogo dalla popolazione di quel villaggio che avevano abbandonato, proprio perché non del tutto umana…

Siria fremette, serrando il pugno con tanta forza da sentire le unghie ferire il palmo della mano.

Sua madre…

I suoi occhi, freddi, si fissarono con astio su Caspian, mezzo addormentato.

Erano stati i telmarini ad uccidere sua madre sotto i suoi occhi – sotto gli occhi di quella bambina che piangeva disperata, mentre suo fratello la tratteneva dal correre in suo aiuto, mentre le fiamme divampavano alte nella piazza del villaggio e le grida della donna riempivano l’aria…

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-MAMMA! NO! MAMMA!-

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La rossa scosse la testa, allontanando bruscamente quei ricordi; tornò a concentrarsi su Talia e su ciò che si erano dette quel mattino, dopo essersi risvegliata lontano dalla foresta in cui si era perduta.

La sua prima reazione, davanti ad una creatura così palesemente magica, era stata di repulsione: Siria sapeva che molti narniani vivevano ancora ma quelle creature, quei mostri, avevano, con la loro sola esistenza, causato la morte di sua madre.

Le era servito tanto tempo per cominciare a guardare al di là dell’odio: tempo, ma, soprattutto, l’amicizia di Talia. Era rimasta con lei a lungo, imparando su Narnia molto più di quanto avesse mai potuto apprendere dai libri.

La bruna, per farle comprendere di non essere una creatura malvagia, le aveva raccontato la sua storia.

Essendo mezz’elfa, figlia di un’umana e un elfo di sangue, Talia era stata condannata a morte fin dalla sua nascita; da quel che aveva scoperto, il padre l’aveva portata via poco prima che la sentenza degli umani la uccidesse, salvandola… l’aveva portata dagli altri elfi, dove Tallie era cresciuta e aveva imparato a combattere.

Ma lei, esattamente come Siria, non era mai stata accettata per ciò che era.

La sua natura di mezzosangue, d’ibrido, l’aveva sempre allontanata da tutti quelli che aveva intorno: i telmarini non erano mai stati molto democratici, specialmente con delle creature come lei, ma nemmeno gli elfi, famosi di solito per la loro tolleranza, avevano mai accettato davvero quella ragazzina troppo bassa, troppo scura di pelle… troppo umana per essere una di loro.

Gli elfi invecchiavano molto più lentamente degli umani: Talia aveva passato quasi ottocento anni in quel luogo per lei infernale, troppo giovane per badare a se stessa ma troppo diversa per essere accettata. Quando il suo aspetto e la sua mente erano stati maturi, e la sua pazienza ormai finita, aveva raccolto armi e bagagli e se n’era semplicemente andata.

Talia era una persona schietta, ironica: il mondo le andava stretto, e preferiva vivere all’insegna dell’avventura e del rischio piuttosto che fermarsi in un posto dove, comunque, non sarebbe stata ben accolta.

A Siria, tredicenne purtroppo già adulta, era piaciuta subito.

La mezz’elfa l’aveva accudita, si era presa cura di lei e del ginocchio che si era rotta vagando nella foresta e, quando aveva ripreso a camminare e a correre, aveva deciso di insegnarle a combattere.

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-Tieni.-

-Grazie, ma_-

-Non hai capito. Adesso difenditi.-

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Siria si era da subito dimostrata dotata di un’affinità quasi istantanea con le armi, che sopperiva alla sua palese inesperienza; Talia era rimasta stupita dalla forza e dalla rabbia che metteva in quei colpi, dalla luce assassina che si accendeva nei suoi occhi durante un duello, dalla velocità e dalla spietatezza di quella lama saettante.

Stupita e preoccupata.

La mezz’elfa sapeva bene cosa era esattamente quella ragazzina – una creatura unica quanto lei ma, purtroppo per Siria, ben più pericolosa: se quella ragazzetta avesse continuato a vivere in mezzo ai telmarini, a quella gente che detestava e denigrava creature come loro, quell’odio e quella rabbia sarebbero degenerati… e Talia non poteva, non poteva permetterlo: la sua nuova amica, che in tre settimane aveva imparato a maneggiare una spada con l’abilità di un soldato di fanteria, avrebbe potuto essere la causa di un disastro.

Per questo si era presa l’onere di insegnarle a combattere, di farle apprendere ciò che significavano l’onore e il rispetto per l’avversario, di raccontarle la storia di Narnia come soltanto il popolo magico poteva narrarla – di insegnarle capire, da sola, cosa era giusto e cosa sbagliato.

Doveva tanto a Talia.

Se non fosse stato per lei probabilmente il suo cuore sarebbe stato gonfio di odio, di sete di vendetta… e invece, dopo due mesi di convivenza, Talia le aveva suggerito l’unico impiego possibile per quelle sue capacità: suo padre aveva bisogno di denaro, suo fratello non riusciva a badare nemmeno a se stesso nel piccolo paesino dov’erano approdati, e l’unica cosa che Siria avrebbe potuto fare era cominciare a cacciare.

Ladri, assassini, traditori: le prede di un cacciatore di taglie, di un mercenario, abbondavano fra la gente di Telmar.

Siria aveva deciso subito: una volta ritrovato il fratello e dopo averlo convinto a seguirla si era messa alla ricerca di una squadra, di gente abbastanza spietata e singolare da poterla aiutare in quei compiti dalla morale alquanto discutibile.

Aveva cercato, ed aveva trovato Caleb.

Lo avevano conosciuto in una locanda ai limiti delle terre di Narnia: era rimasto coinvolto in una rissa, solo contro sei uomini ubriachi ma nerboruti, e ne era uscito vincitore senza riportare altro che qualche livido e un graffio sulla guancia.

Il modo in cui si batteva, sfruttando la forza bruta e l’insospettabile agilità di cui aveva dato prova, aveva subito convinto Siria.

Caleb era rimasto orfano tanti anni prima: aveva cresciuto sua sorella, la quattordicenne Tara, fin dalla più tenera età. Come Siria, Talia e Aaron aveva sempre vissuto ai margini, mal visto per la sua giovane età e per la sua inclinazione alle scazzottate, sebbene fosse uno dei ragazzi più dolci e sinceri che avessero mai conosciuto.

Caleb era stato entusiasta di poterli seguire e guadagnare qualche soldo in più; l’unica pretesa che aveva avanzato, e che Siria non gli aveva negato, era stata quella di portare con sé sua sorella.

E Talia… Talia era stata a dir poco entusiasta del suo arrivo.

Siria non ne aveva mai nemmeno accennato, in quegli anni passati in mezzo a quell'eterogeneo e bizzarro gruppetto di mercenari, ma già da tempo la convinzione che la mezz’elfa e Caleb si ronzassero intorno più o meno dal momento stesso in cui si erano incontrati aveva preteso spazio nella sua mente. Chissà: magari, un giorno, uno dei due si sarebbe finalmente deciso a dichiararsi...

-Sir? Sei sveglia?-

Siria riaprì di scatto gli occhi, in risposta al suono divertito della voce dell’amica.

-Sì… pensavo.- mormorò, stirando le braccia e lanciando un’occhiata alla radura dove si erano accampati: Caleb dormiva profondamente, avvertiva il suo respiro profondo e pesante; accanto a lui, Tara, i lunghi capelli biondi sparsi sul mantello che usava come cuscino; Aaron, invece, era in perlustrazione nella foresta.

-È un evento.- la rossa replicò al commento dell’amica con una smorfia, ma Talia si limitò a ridere. -Cos'ha che ti disturba tanto, questo principe? È il titolo nobiliare che ti lascia perplessa?- continuò a punzecchiarla bonariamente.

-Penso di essere una delle poche donne in questo mondo disgraziato a non vedere di buon occhio l'idea di avere sangue blu nelle vene.- borbottò l’altra, cupa, lanciando un’occhiataccia al buio che celava il punto in cui avevano legato Caspian. -Non riesco a capirlo, Tallie. Parte di me è convinta che sia solo un povero pazzo, ma...- cominciò, ma la sua voce scemò in un indefinibile mugugno che nemmeno l’udito della mezz’elfa riuscì a comprendere.

-Beh, chiediglielo.-

Rise, Talia, quando Siria le scoccò uno sguardo palesemente scettico.

-Ehi, domandare è lecito, rispondere è cortesia.- si difese da quelle accuse silenziose, ammiccando. -E poi non credo che ti negherebbe nulla, se tu lo guardassi sbattendo le tue lunghe ciglia rosse...-

-Ma piantala!- sbottò Siria, arrossendo furiosamente, e Talia rise più forte quando le lentiggini cosparse sul suo viso sembrarono quasi lampeggiare. -Non sto più usando nessun trucco, su di lui. Non mi interessa.- brontolò, a disagio, alzandosi in piedi e voltando le spalle all’amica per dirigersi verso il folto della foresta.

-Lo so. È proprio questo il lato divertente di questa situazione.-

La risposta di Talia, però, la raggiunse comunque, strappandole un versaccio esasperato che, sicuramente, l’altra non mancò di cogliere.

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-Ehi, principino.-

Caspian si lasciò strappare violentemente dal dormiveglia in cui era scivolato da quella voce brusca, che aveva la stessa tonalità dei suoni di quella stessa foresta in cui gli sembrava di essersi perduto ormai da una vita intera.

La riconobbe all’istante: Siria.

Un suono attutito, una lama che sfregava su un tronco, e Caspian sentì le ginocchia cedere, improvvisamente prive dello scomodo sostegno della corda che lo aveva trattenuto contro l’albero. Crollò a terra, in ginocchio, con le gambe intorpidite ed i polsi ancora legati dietro la schiena.

Fu lei, Siria, a sorreggerlo. Sorpreso, il principe telmarino alzò lo sguardo, distinguendo gli occhi allungati della rossa nella penombra di quel bosco illuminato dal chiarore della bellissima Luna crescente che aveva permesso loro di marciare a lungo, fino a poche ore dall'alba.

Tacque per un istante, sentendo la bocca inaridirsi e la gola farsi dolente. Come mai Siria, quella sedicente mercenaria che lo aveva intrappolato come un pivello alle prime armi, ora lo stava liberando? Cosa c’era dietro?

-Cosa stai facendo?- sussurrò, cercando di ignorare il brivido caldo che le mani bollenti di lei, posate con grazia sulle sue spalle, gli provocavano – non era sicuro di apprezzare quella sensazione, perché sentirsi a disagio era qualcosa che l’orgoglioso principe di Telmar non aveva mai davvero accettato: eppure, dovette ammettere con se stesso, non si sentiva davvero pronto a rinunciare al tumulto di dilemmi e sensazioni che Siria scatenava nel suo animo.

-Io?- la rossa sembrò divertita dalla domanda – si stava prendendo gioco di lui –, aiutandolo intanto a sedersi. -Sto soltanto preservando i miei interessi. Se ti avessi lasciato così, domattina non saresti stato in grado di camminare.-

-Molto disinteressato da parte tua.- replicò lui, piccato, scoccandole un’occhiataccia quando lei ridacchiò e alzò lo sguardo al cielo – aveva le lentiggini, su quella pelle bianca, ed il labbro superiore più carnoso rispetto a quello inferiore… sembrava molto più umana, adesso, priva di quell’alone di perfezione che tanto lo aveva irretito al momento della cattura.

-Oh, quanto sei scontroso. Ed io che sto provando ad essere gentile.-

-Tu non sei gentile, sei opportunista.- si ritrovò a commentare, grato come mai prima alle interminabili lezioni di dialettica che Cornelius si era ostinato ad impartirgli nel corso degli anni.

Si accomodò contro il tronco, cercando di non mostrare il proprio sollievo, allungando le gambe sulla nuda terra del sottobosco e appoggiando la schiena al legno palpitante di vita. Almeno con se stesso avrebbe dovuto ammetterlo: così era decisamente più comodo.

-E tu sei un illuso. Ad ognuno i suoi problemi.- replicò, inaspettatamente, la ragazza. Alzando lo sguardo, Caspian trovò nei suoi duri occhi blu – in pochi, a corte, avevano gli occhi blu – qualcosa di molto simile al rimprovero.

-Perché io sarei un illuso?- le domandò, sinceramente incuriosito dalla piega che stava prendendo quella conversazione.

-Narnia non può essere salvata. Nemmeno dal tuo bel faccino.- fu l’acida risposta che lei, senza nemmeno un istante di esitazione, gli diede, mentre si sedeva accanto a lui e sospirava, apparentemente esausta. -Stai combattendo una causa persa.- aggiunse, mesta, aprendo un occhio per scoccargli un’occhiata di compatimento.

Forse fu la sicurezza cinica e disillusa che avvertì nelle sue parole a smuovere qualcosa, dentro di lui, che non aveva pensato di possedere fino a poco tempo prima: drizzò le spalle e si volse completamente verso di lei, irritato dalla cecità inspiegabile di quella persona che viveva proprio grazie al lerciume di cui era insozzata Narnia.

-E chi sei, tu, per dire una cosa del genere con tanta sicurezza?- la affrontò, piccato, ma lei si limitò a scuotere la testa e a mormorare qualcosa d’incomprensibile fra sé, prima di rispondergli.

-L'esempio lampante di quanto questa terra sia marcia fino al midollo.- sussurrò, prima di allungare una mano per allontanarlo momentaneamente dall’albero, dandosi così la possibilità di armeggiare con le corde che lo ammanettavano.

-Che cosa stai facendo?- ripeté il principe, allarmato, quando avvertì la morsa allentarsi e, dopo un istante, sparire: si portò subito le mani al petto, massaggiandosi i polsi lividi e arrossati e fissando, costernato, la ragazza al suo fianco.

-Te l'ho detto. Cerco di essere gentile.- non seppe spiegarsi il motivo ma, stavolta, Caspian si sentì propenso a crederle: la voce di Siria si era fatta molto più amichevole, perdendo tutta la durezza che il ragazzo le aveva sentito usare fino a quel momento.

Tacquero entrambi per una manciata di minuti, mentre Caspian cercava di individuare la trappola in quel comportamento anomalo e lei, insolitamente tranquilla, chiudeva gli occhi, appoggiando la testa al tronco alle sue spalle.

Quella donna era incomprensibile.

Le domande e le obiezioni che gli stava ponendo non potevano essere quelle di un mercenario qualsiasi: Siria sembrava volerlo convincere ad abbandonare la causa di Narnia non tanto per cinismo, quanto più per… esperienza diretta? Che cosa significava quella sua affermazione tanto criptica e piena di sofferenza? Che razza di mercenario discorreva di politica e di ideali con un prigioniero, addirittura liberandolo dai ceppi che avrebbero potuto impedirgli di fuggire?

-Perché?- gli domandò, infine, dando voce ad uno dei dubbi che, forse, la stavano divorando proprio come stava succedendo a lui.

Il principe si sfregò il viso, sentendo la barba pungergli il palmo.

Si era posto la stessa domanda, molti giorni addietro, quando aveva parlato davanti alle creature di Narnia e si era violentemente reso conto di quanto il suo animo stesse chiedendo a gran voce di restituire la giustizia ad un mondo corrotto: si era risposto più volte, sì, ma sentirsi porre quella domanda cruciale – che nessuno aveva avuto l’accortezza o la gentilezza di fargli – gli trasmise un sollievo incredibile, come se… come se lei lo avesse capito.

-Perché sono convinto che ne valga la pena.- affermò semplicemente, accennando addirittura un sorriso e sentendo un peso sollevarsi dal suo petto: dirlo ad alta voce, dirlo a lei, rese quella causa a cui si era votato molto più chiari e luminosi di quanto non fossero stati sino a quel momento. -Perché tu ti ostini a pensare il contrario?- aggiunse, appoggiando i palmi sul terreno e sollevandosi sulle braccia per qualche attimo, sgranchendosi i muscoli.

Siria non si mosse né aprì gli occhi, assorta in chissà quali ragionamenti.

-Ho visto i lati peggiori sia di Narnia che di Telmar.- rispose, atona e apparentemente tranquilla, ma Caspian scorse i suoi pugni stringersi nella penombra.

-Non esistono soltanto quelli.- obiettò, e lei aprì gli occhi per sorridergli debolmente.

-Sei una strana creatura, principe Caspian.- commentò, allungando una mano per dargli un buffetto innocuo sulla guancia.

Il principe represse un brivido, sorpreso dal contatto fisico: a corte, nessuna donna si sarebbe mai permessa di sedere tanto vicina ad un uomo, né di toccarlo in quel modo inaspettatamente intimo che, però, non gli dispiacque.

Tuttavia, Siria emanava un calore fin troppo piacevole in quella notte fredda, un calore che lo attirava irresistibilmente: le loro spalle si toccavano, il braccio della rossa era premuto contro al suo fianco… non si era mai reso conto di quanto una donna potesse essere destabilizzante semplicemente esistendo – ma non aveva mai nemmeno incontrato una donna come lei.

-Ti pregherei di spostarti.- mormorò sebbene tutto, in lui, si stesse ribellando all’idea: Siria era calda e voleva toccare quelle lentiggini, sentire se il profilo affilato dei suoi zigomi fosse scolpito nel marmo o nella carne, se quei capelli erano davvero così morbidi come apparivano…

Nella sua mente le immagini si rincorrevano veloci e si sovrapponevano alla realtà: i lunghi capelli rossi che svolazzavano intorno al corpo asciutto della ragazza quando saltellava fra i rami, il seno spietatamente schiacciato dal giustacuore – quelle stupide lentiggini

-No, non credo proprio che lo farò.-

Sembrava divertirsi parecchio nello stuzzicarlo, come un gattino alle prese con un insetto dispettoso e, proprio come un micetto selvatico, sembrava allo stesso tempo incuriosita e spaventata da quell'intima vicinanza che nessuno dei due aveva davvero visto incombere fra loro.

Le dita calde e affusolate della giovane si posarono nuovamente sulla guancia di Caspian ma, stavolta, lì rimasero, annullando la percezione che Caspian aveva del mondo intorno a loro: aveva un tocco insolitamente ruvido, rovinato, e Caspian comprese che quelle non erano mani di donna: erano le mani di un guerriero.

-Non credo sia una buona idea__- sussurrò, odiando quella bocca invece tremendamente morbida che si avvicinò alla sua, quei due grandi occhi blu che lo fissavano – ardenti di desiderio, di curiosità, di aspettativa.

-Sì?-

-__che tu resti così vici__-

-Baciami e stai zitto.-

-__na a m_eh!?-

Caspian ebbe soltanto il tempo di comprendere il significato della sua parola. Prima che potesse risponderle, fermarla – obbedirle –, la rossa aveva già annullato quel soffio che separava le loro labbra.

L’ondata di sensazioni, per Siria, fu travolgente.

Non si era aspettata che la bocca di Caspian le sembrasse tanto attraente: chissà quando aveva cominciato a guardarle, quelle labbra… ma sentirlo parlare di idealismo, di speranza – di quelle fesserie – le aveva acceso una strana smania, addosso, che l’aveva spinta a fare qualcosa che non avrebbe mai avuto l’ardire di compiere con chiunque altro.

Fece per allontanarsi, per spezzare quel contatto seducente che avrebbe potuto farla impazzire; ma Caspian alzò le mani e le allargò intorno al suo viso, intrecciando la punta delle dita ai suoi capelli e imprigionandola in una carezza da cui lei seppe di non avere via di scampo.

Si aggrappò alla tunica del ragazzo quando lui la trasse a sé, scoprendosi bisognosa di toccarlo almeno quanto lui sembrava ansioso di stringerla – che cosa stava succedendo? – e trattenendo il respiro quando lui approfondì il bacio, accarezzandole una spalla per poi cingerle la vita per tirarla contro il proprio petto.

Fu un bacio tenero, inaspettatamente tenero, che li colse entrambi impreparati: eppure s’inseguirono come se non avessero aspettato altro – l’aveva desiderata fin dal mattino dopo essersi fatto catturare –, come se abbracciarsi sotto quel grosso albero fosse l’unico modo per scacciare ciò che stava accadendo al mondo – non c’era nessun mondo, fra le braccia di Caspian.

Siria gli infilò le dita nei capelli, scoprendo di saper sorridere quando li sentì morbidi, al tatto, e folti, e piacevoli. Si separarono per qualche istante e si sorprese nel trovare un sorriso anche sulle labbra di lui, in quegli occhi neri che, nonostante il colore scuro, sembravano più luminosi e vividi della luce del Sole.

-Permettimi di obbedire al tuo volere.- le sussurrò e Siria rise, dentro di sé, sentendo montare il languore e il palpito del proprio cuore quando si lasciò travolgere di nuovo dal bacio di Caspian, dimenticandosi beatamente di tutto il resto.

-Siria?-

No, dannazione, adesso NO!

Caspian e Siria si separarono di scatto, allarmati, tendendo istintivamente ogni muscolo del corpo e del viso. Sarebbe stato buffo, per chi li avesse visti in quel momento: la loro espressione, su due volti così diversi, era assolutamente identica.

-Aaron.- sibilò Siria, la mente che bruscamente tornava alla realtà e si accorgeva di botto della situazione disdicevole, impropria e pericolosa in cui era andata a cacciarsi: se Aaron l’avesse trovata lì, in quel momento e in quel modo, avrebbe ucciso Caspian e avrebbe riempito lei di tanti calci nel sedere da farla arrivare fino a Telmar e ritorno.

Volse lo sguardo verso il principe, rimanendo però interdetta quando scovò, negli occhi scuri tipici dei telmarini, un ardore impetuoso e determinato che sarebbe bastato, da solo, per farle perdere il senno: Caspian aveva un’espressione di fuoco, in volto, l’espressione di chi non aveva la minima intenzione di lasciarsi sfuggire… beh, lei.

Per un folle istante Siria desiderò di restare lì, di mandare a monte tutto quanto, di correre il rischio – ma fu proprio Caspian, con uno sforzo che le parve titanico, ad allontanarla con delicatezza da sé, alzandosi in piedi e porgendole una mano per aiutarla ad alzarsi.

Stringere quella mano, però, fu troppo, per Siria.

Si aggrappò a quella stretta e seppe che non sarebbe stata in grado di lasciarlo andare, che avrebbe fatto qualunque cosa per sottrarlo a Miraz, ad Aaron e a chiunque altro: la sicurezza che le trasmisero quelle dita intrecciate alle sue fu troppa per rinunciarvi e, per un istante, un ruggito d’approvazione le squassò il petto, confondendola ancora di più.

-Siria.- sussurrò il principe, riscuotendola dal suo torpore, porgendole le corde che aveva raccolto.

Si sarebbe lasciato intrappolare di nuovo? Ma era completamente pazzo?

Perplessa, la rossa prese i ceppi fra le mani e lo guardò, incapace di credere a ciò che stava accadendo davanti ai suoi occhi anche quando lui le porse gli avambracci, senza esitare.

Non sarebbe fuggito. Si sarebbe davvero lasciato intrappolare.

Senza una parola, Siria lo legò di nuovo e assicurò i ceppi all’albero, ma seppe per certo di aver fatto dei nodi approssimativi che persino un bambino avrebbe potuto sciogliere: Caspian se ne accorse ma non vi badò, perché niente lo avrebbe portato lontano da quella ragazza – nemmeno la prospettiva della morte.

-Vai.- la avvisò, udendo l’avvicinarsi dei passi di Aaron. Lei fece per dire qualcosa ma poi annuì, allungando una mano per sfiorargli una guancia prima di sparire nel buio della foresta in un guizzo scarlatto subito inghiottito dal buio.

Quando Aaron emerse dal bosco lo trovò proprio come lo aveva lasciato, scomodamente legato ad un solido tasso che gli avrebbe impedito di darsi alla fuga.

Il rosso avanzò circospetto nel piccolo spiazzo fra gli alberi, guardandosi intorno, cauto. Aveva lasciato il principe scomodamente legato in piedi, per ripicca nei confronti di quegli sguardi che – lo aveva notato persino quel tontolone di Caleb – correvano fra lui e sua sorella.

La sua sorellina troppo adulta non meritava niente di tutto questo: quel principe non avrebbe minato la fragile sicurezza a cui Siria stava lavorando da anni per tenere insieme i cocci della sua esistenza, né – tantomeno – li avrebbe messi in pericolo tutti cercando di affascinare Siria in modo da riottenere la libertà.

Scosse la testa, distogliendo lo sguardo da quello stupido ragazzetto con la testa piena d’aria e di idee assurde: doveva assolutamente tenere quell’illuso lontano da Siria, si disse, perché non osasse metterle in testa idee che le avrebbero portato solamente altra sofferenza.

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My Space:
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CAPITOLO AGGIORNATO IL 23/07/2015

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Nota dell'Autrice:

Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 6
*** Bleeding Love ***


1 chap Narnia
Non è una gran giornata, oggi...sono contenta che le recensioni siano tornate ad aumentare, la cosa mi ha resa felicissima ^__^ oggi sono solo un pò giù di morale, ma non preoccupatevi, dovrei tornare alla ribalta a breve ^^'
Capitolo più corto; ho deciso di alternare capitoli brevi a capitoli lunghi, e nel prossimo - per la gioia di chi ha osservato con curiosità i loro primi incontri/scontri - torneranno anche Peter e Shaylee.
A PROPOSITO!
William Moseley torna a recitare! A ottobre, inizieranno le riprese, reciterà con Hilary Duff *__________* piccolo dolce Will, sono immensamente contenta per lui *__________*
*strapazza William*
romina, grazie mille per la risposta, mi sei stata tanto d'aiuto <3 ogni tanto ho questi crolli, e la nostalgia non è passata, proprio per niente...però sto cercando di ovviarci ^^ parlando del capitolo, Siria e Caspian a me piacciono molto come coppia, sono praticamente l'uno l'opposto dell'altra; Siria è una maschera, la maschera di donna vissuta e passionale, mentre Caspian è l'apparente principe giovane ed un pò ingenuo - ciò che, come si vedrà più avanti, non è. Insomma, conoscendosi si completano, Siria riscoprirà la parte più umana di sé mentre lui crescerà (d'altronde, ci vuole una Donna per far diventare un ragazzo un Uomo, non trovi?)
Vesi Schwartz, ma grazie *-* hai colto appieno gli obiettivi che mi ero prefissata; dare a Narnia quel tocco di sensualità e realtà in più. Insomma, va bene tutto, ma non ci credo che quei due poveretti di Peter e Caspian, in un'età di scleri ormonali e di pesanti insicurezze, non abbiano almeno qualche volta pensato a soddisfare i propri istinti maschili, no? E la stessa cosa può valere per Susan, e più avanti anche per Edmund. La componente fiabesca di Narnia sto cercando di mantenerla, perché comunque la mia è una storia fantasy, una storia che voglio mantenere nei canoni del regno in cui viene ambientata. Sono contentissima che tu abbia letto le mie storie, ed ancor più che tu ora voglia commentare *.* grazie per i complimenti, ma non sento di meritarli, non tutti almeno ^^'
KissyKikka, staaaaaaaaaaai tranquilla, spero che tu ti sia divertita in gita e respira, io non scappo, la storia è sempre qua che aspetta i tuoi commenti (fra parentesi, io ADORO le tue recensioni, sono fra quelle che mi spronano di più a scrivere) ^___^
lucia la misteriosa,  grazie mille per i complimenti, e tranquilla, non sono persona da lasciare le cose a metà ^^ ho scritto diverse long, e a costo di sacrifici le ho sempre volute terminare tutte quante ^^ spero di rivederti fra i recensori!
MarziaIrish, ma perseguitami quanto vuoi, a me fa solo che piacere!! Ecco qua il nuovo capitolo, alterno capitoli lunghi e spesso molto fisici/psicologici a capitoli in cui prediligo una pausa ad effetto, una sospensione della trama; è già molto veloce di per sé, e quindi questi stacchi dalla tensione continua della situazione in cui si trovano i personaggi sono utili per far prendere fiato ai lettori ^^ spero che anche questo capitolo, nonostante l'assenza di colpi di scena - ma con la compresenza di sonore pippe mentali xD - ti piaccia, fammi sapere!
Bon, io ho finito, vi lascio al capitolo. Come al solito, le recensioni sono molto, molto bene accette! Fate la gioia degli autori, recensite!! ^___^

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Narnia's Rebirth

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Bleeding Love - Leona Lewis

-Sveglia, principino.-

Caspian spalancò di botto gli occhi, balzando repentinamente in piedi. La prima cosa che vide, di fronte a sé, furono due accigliate iridi scure, allungate in un visetto spigliato e arrogante.

Talia, la riconobbe subito.

-Sveglio. Sono sveglio.- borbottò, scuotendo appena la testa, i capelli ancora arruffati da...

Il ricordo, improvvisamente, lo assalì.

Le mani di Siria...le sue labbra, i suoi occhi, la sua gola perfetta...era stata soltanto un sogno? Un meraviglioso sogno dai capelli rossi?

-Si può sapere che hai fatto a mia sorella, principe del cazzo?- sbottò l'elfa, senza molti preamboli.

-Io?- replicò lui, ancora rintontito, senza ben capire a cosa si stesse riferendo.

Talia sbuffò, già spazientita. Era più bassa di Caspian di almeno venti centimetri, ma sembrava comunque sovrastarlo, notò lui...non era una persona da far arrabbiare, la mezz'elfa. Incuteva davvero tanto, tanto timore.

-Sì, tu!- esplose, la voce che si alzava di due ottave nel silenzio ovattato dell'alba. -Cos'hai fatto a Siria? Ieri notte era stravolta, e so che era venuta da te!- Caspian vide il pugno della brunetta fremere, come se volesse stamparlo definitivamente sulla sua faccia.

-Stravolta?- chiese, preoccupato suo malgrado.

Siria era stata stravolta? Da cosa, esattamente?

Era stata lei ad andarlo a cercare, a baciarlo...ma poi, se n'era accorto anche lui, si era completamente abbandonata alle sensazioni, lasciando che la toccasse, che le sue mani corressero su di lei non proprio gentilmente...

-Sì, porca miseria, stravolta! Cosa le hai fatto?- replicò Talia, esasperata.

-Io non le ho fatto nulla.- Caspian distolse lo sguardo da lei, pensieroso.

Non poteva negarsi, non con sé stesso, di quanto la rossa lo attirasse. Era un magnete, un incantesimo irresistibilmente potente, quello che esercitava su di lui; non poteva fare a meno di guardarla, di desiderarla...di perdersi in quegli occhi di zaffiro e ametista, di un blu denso e malinconico...scorgeva tanto dolore, tanta solitudine, in quegli occhi splendidi e misteriosi.

E voleva scoprire perché.

Non desiderava soltanto quel corpo mozzafiato, no.

Durante quella notte, passata praticamente insonne a cercare di calmare i propri istinti violentemente divampati a causa di Siria, se n'era lentamente reso conto: non voleva soltanto quel corpo, averla per una notte e basta, sfogare la propria brama maschile.

No.

Voleva scoprire qualcosa su di lei. Voleva scoprire tutto, su di lei.

Voleva capire il perché di quella malinconia, di quella solitudine, voleva trovare il vero motivo per cui una così bella ragazza si fosse ritrovata in una vita tanto violenta che pareva calzarle così a pennello...

Sospirò, quando nella sua mente ripresero vita le stesse parole che in quelle ore insonni erano state la sua unica conclusione.

Si stava innamorando di lei.

-Balle.- la risposta cinica della mezz'elfa lo fece trasalire, strappandolo ai suoi pensieri. -La stai facendo innamorare di te.-

A quelle parole, Caspian sobbalzò, alzando repentinamente gli occhi neri su quelli altrettanto scuri di lei.

Siria.

Siria si stava...

-Che cosa?- chiese, incredulo. Ma l'elfa sospirò, alzando gli occhi al cielo, chiedendosi fra sé perché, perché sua sorella fosse andata a scegliersi un principe tanto coglione.

-Siria non ha mai guardato nessuno come fa con te. Non è mai rimasta confusa e stravolta dopo qualsiasi cosa abbiate fatto ieri, e non l'ho mai, ripeto mai, sentita chiedere ad Aaron di liberare un prigioniero.- sbottò, irritata.

-Cosa!?- Tallie gli rivolse un'occhiataccia, spazientita.

-Non conosci altri termini? Ha chiesto ad Aaron di liberarti, Caspian! L’ha scongiurato, lei, lei! Caspian, Siria col suo orgoglio valicherebbe le montagne, te ne rendi conto!?- esclamò, ignorando l'acuto strillo di disappunto di un animaletto svegliatosi di soprassalto fra i rami sopra di loro.

-E perché?- insistette lui, incredulo.

Siria aveva chiesto...aveva chiesto di liberarlo?

-Te l'ho detto il perché! Lei non lo sa, non conosce l'amore, ma tu in pochi giorni sei riuscito a cambiarla fin nel profondo, la vedo sorridere appena come un'idiota, la vedo arrossire, la vedo perdersi nel mondo dei sogni! Porca puttana, principino, un po' di cervello!- ormai Talia quasi urlava, la sua già poca pazienza ormai finita.

-Io non...- cominciò lui, ma la sua voce, quasi subito, si perse.

Siria si stava innamorando di lui. Non se ne rendeva conto, a detta di Talia, ma l'elfa pareva conoscerla meglio di sé stessa.

E, con un tempismo perfetto, anche lui arrivava alla conclusione di provare per lei qualcosa di altrettanto potente.

-...io non so che cosa tu voglia da me, Talia.- sospirò, riportando gli occhi in quelli dell'elfa, la voce bassa e sincera.

L'elfa parve sgonfiarsi, quando scorse negli occhioni limpidi e scuri del principe la stessa confusione, la stessa cacofonia di sentimenti e di emozioni, che riusciva a leggere negli occhi di Siria.

-Voglio soltanto che tu non le faccia del male.- mormorò, improvvisamente cupa, le orecchie che si afflosciavano fra i capelli scuri.

-Io non voglio farle del male.- Caspian rispose subito, prim'ancora di rendersene conto, le parole che salivano repentine dal suo cuore.

Era vero.

Non poteva, non avrebbe mai potuto farle del male.

Soltanto il pensiero di ferirla era inaccettabile...era assurda, quella situazione. Non la conosceva, non sapeva da dove veniva, non sapeva dove andava, eppure...eppure, aveva già rubato il suo cuore.

L'elfa scosse appena la testa, cominciando a misurare a grandi passi la piccola radura solitaria dove si trovavano. Aveva un'espressione concentrata, pensierosa: sembrava preda di mille e più pensieri diversi, di mille e più idee che si accavallavano l'una sull'altra.

-Aaron non ti lascerà andare via. Dei soldi della ricompensa ne abbiamo tutti bisogno, specialmente loro...- s'interruppe, sorvolando sul penoso ricordo del padre dei fratelli dai capelli rossi, a cui tutti i soldi dei due andavano. -...Siria non oserà mettersi contro suo fratello. Sembra molto più forte di lui, ma in realtà è Aaron a prendere le decisioni più importanti...quei due si adorano, si sono sempre adorati. Ma Aaron non capisce...no, non capisce niente...- scosse la testa, prendendola fra le manine sottili, sentendola pulsare per il peso di quei troppi pensieri.

-Cosa non capisce?- le chiese Caspian, osservandola andare su e giù per la radura, sempre più agitata.

-Siria ha avuto tanti amanti, Caspian, ma non ha mai incontrato qualcuno capace di farle in così poco tempo quello che le stai facendo tu. Vuole proteggerla, e da una parte lo capisco: ne ha già passate troppe, e soffrire per amore sarebbe la classica goccia a far traboccare il vaso.- le orecchie della mezz'elfa fremettero, intimidite. -E non si può permettere questo, Siria...- soltanto Aslan avrebbe potuto immaginare le devastanti conseguenze del dolore di Siria, se la rossa si fosse abbandonata al dolore e all'oscurità.

Non era, non era davvero un bel pensiero, pensare a ciò che sarebbe potuto succedere.

Siria era ben conscia della propria pericolosità, del proprio essere anormale; era stata lei stessa, quando aveva incontrato Talia, a scongiurarla di trattenerla, di evitare che venisse travolta dal male, cancellando ciò che di buono c'era nel cuore di quella creatura misteriosa.

E Talia, Talia si era offerta di proteggerla, di evitare che il male avesse il sopravvento su di lei...in primis, perché già si era affezionata a quella rossa assurda capace di entrare troppo facilmente nel cuore di chiunque.

L'elfa tornò a guardare il principe, che la fissava, allibito, da almeno quindici minuti.

-Hai due possibilità, moretto.- mormorò infine, le iridi inchiodate con forza in quelle di lui. -Uno: la lasci in pace, le stai lontano e la ignori completamente.- Caspian fece per ribattere, ma lei alzò la mano, zittendolo. -Due: per quel poco tempo che vi rimane, vi lasciate completamente andare, godendovi almeno per poco il tempo che avete.-

 .

 .

-Aaron, è soltanto un ragazzo!- sbottò Siria, per l'ennesima volta, passandosi esasperata le dita fra i lunghi capelli ramati.

Se esisteva qualcosa in grado di farle perdere il controllo, era la cocciutaggine. Specialmente se proveniva dall'unica persona capace di farle abbassare la cresta, specialmente se quella persona era suo fratello.

-Sarà anche un ragazzo, ma quei soldi ci servono, Sir.- replicò Aaron. Pacato, freddo, controllato: esattamente il contrario di lei. -E poi, non hai pensato ad una cosa; se non lo portiamo a Miraz, saremo noi quelli a cui verrà data la caccia.-

I pugni della rossa si serrarono, le unghie affilate che affondavano con violenza nei palmi diafani delle sue mani.

Era vero: se avessero lasciato andare Caspian, sarebbero stati sicuramente additati come traditori, sarebbero stati costretti a fuggire, a nascondersi, braccati quanto e più del principino...

-Sir, vuoi davvero rischiare così per quel ragazzo?- insistette Aaron, cogliendo la sua indecisione. Non poteva permetterle di mettersi nei guai per quell'idiota; era già abbastanza in pericolo per conto suo, sua sorella. Non le serviva proprio che un principe imbecille la costringesse a darsi alla latitanza, e tutti loro con lei...

Stava accadendo ciò che aveva temuto di più. Siria si era invaghita dell'idiota, e adesso la stava soltanto usando per fuggire.

Questa me la paghi, principe Caspian.

-Di solito catturiamo dei delinquenti peggiori di noi. Perché hai accettato questo incarico, Aaron? È soltanto un ragazzo come me, cosa avrà poi fatto?- mormorò lei, gli occhi bassi, la voce ridotta ad un sibilo nervoso.

-Non m'interessa, e non deve nemmeno interessare a te.- la rispostaccia di suo fratello fu una secchiata d'acqua gelida, per Siria.

Aveva ragione.

Aaron aveva ragione, avrebbe dovuto fregarsene di tutto questo, di Caspian, del suo destino, del mistero su ciò che aveva spinto Miraz ad ingaggiarli...eppure, non ci riusciva.

Non ci riusciva, perché lei se lo sentiva. Lo sapeva, non si capacitava di esserne così certa, ma Caspian non era un reietto, non aveva fatto nulla di sbagliato.

Oppure sei tu, Siria? Sei tu che non vuoi vedere cos'è, chi è davvero?

Forse era quell'assurdo ascendente che il moretto aveva su di lei, a farla dubitare, a far nascere per la prima volta degli scrupoli nel suo cuore.

Forse è quello che ti ha fatto provare...forse sei tu che sorvoleresti su qualsiasi cosa, pur di appartenergli, vero?

Ma perché, perché quella stupida vocina nella sua testa le ricordava tanto Shaylee?!?!?

-Dimenticalo, Sir.- la voce di Aaron era bassa, schietta, dannatamente seria, mentre lei si voltava per andarsene, irritata. Da lui, dalla situazione, da quella stupida voce della verità che le rimbombava nel petto.

Dimenticalo.

 

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Capitolo 7
*** Bleed. ***


 

Sì, non fate quelle facce. Sono viva xD Purtroppo questo capitolo è stato duro da scrivere, e non mi piace, no, proprio per niente -.-

Alchemia: chicaaaaa <3 questo capitolo non mi piace, non mi piace, non mi piace -.-’’’’

Brillina: non preoccuparti, spero solo che ti piacciano comunque i miei capitoli ^__^

Romina75: beh, Caspian non è un genio di furbizia, povero scemo xD però è tanto bellino *-* lo si perdona solo per questo *-* su Siria, beh, c’è ancora taaaanto da scoprire, e non escludo che nei prossimi capitoli riesca a sorprenderti ^^ la mail l’ho ricevuta, ho anche visto il film in italiano….Bwahahahahahahah ma quanto non sarà scemo!? XD

MarziaIrish: innanzitutto, GRAZIE per aver segnalato la storia su Will *____* mi sono venuti i lacrimoni a vederla *___* spero che ti piaccia anche questo capitolo, sebbene non mi convinca per nulla…sappimi dire!

KissyKikka: traaaaaaaaaaaaaanzolla, quando avrai tempo e pazienza per scrivere una recensione, io sto qui ^___^ non ti preoccupare, capisco benissimo cosa significa essere pieni di impegni -.-

 

Niente immagine né link alla canzone; non sono dal mio piccì Augusto (è dal dottore ç___ç), quindi non ho nemmeno NVU T___T speriamo di non fare disastri con l’html!

Alla prossima!!!

 

 

 

 

 

Bleed - Evanescence

Due occhi nocciola scattarono fra gli alberi silenti della foresta.

-Peter, c’è silenzio.-

Edmund sguainò la spada, una frazione di secondo più tardi di suo fratello; Peter era già accanto a lui, la lama d’acciaio che rifletteva i bagliori del sole morente, gli occhi celesti che dardeggiavano rapidamente nella foresta silenziosa.

Troppo silenziosa.

Non un cinguettio, non un fruscio nel sottobosco…

-Lo so.- sussurrò soltanto, il sibilo inudibile della lama che fendeva l’aria che vibrava attraverso il suo braccio, la sua mano, saldamente stretta intorno all’elsa istoriata. Si voltò di scatto, notando lo sguardo allarmato della ninfa, quello confuso di Lucy; Susan era già al suo fianco, una freccia incoccata nell’arco e il volto duro, concentrato.

-Lucy, Shaylee, state indietro.- ordinò seccamente il Re, con un vigoroso cenno della testa bionda rivolto alla ninfa. Lei serrò gli occhi, piccata da quell’ordine assolutamente ingiusto.

-Sono una naiade guerriera, non ho bisogno di…- provò a protestare; ma lo sguardo gelido di Peter fu più che sufficiente per far morire ogni singola parola sulle sue labbra.

-Per l’appunto, Shaylee. Proteggi mia sorella.- rincarò lui, una punta di sarcasmo nella voce.

Ebbe solo il tempo di vedere gli occhioni dorati della ragazza stringersi, indispettiti, prima che si scatenasse l’inferno.

-PETER!- l’urlo di avvertimento di Edmund giunse appena in tempo; il biondo abbassò di scatto la testa, sentendo un violento sibilo saettare con rabbia sopra di sé.

Senza premeditare, sferrò un fendente alle proprie spalle, roteando su sé stesso; il suono ributtante della carne perforata dall’acciaio raggiunse il suo udito fine, disgustandolo come ogni, singola volta.

Finalmente, riuscì ad alzare lo sguardo, gemendo sgomento quando vide la situazione in cui si trovavano.

Susan scagliava frecce su frecce, colpendo gli uomini che tentavano di circondarla con le estremità rinforzate dell’arco. Si batteva con la fierezza di una leonessa, il viso teso e concentrato, lo sguardo gelido che si posava, uno dopo l’altro, sugli obiettivi che un istante dopo cadevano, morti.

Edmund era quasi invisibile; saettava rapidissimo intorno agli uomini di Miraz, affondando stoccate e menando fendenti quasi impossibili da vedere, scivolando alle loro spalle grazie al suo fisico asciutto, allampanato, decisamente più veloce di tutti quegli uomini bardati di tutto punto.

Peter sorrise appena, soddisfatto nel vederli combattere, rassicurato…e un istante dopo si buttò nella mischia, con un ruggito baldanzoso.

Era il suo elemento, quello.

La spada stretta in pugno, il sudore che colava sulla tempia, l’adrenalina che pompava prepotente nelle sue vene…era ciò per cui era nato, ciò a cui era destinato. Un destino forse crudele, ma che al Re Supremo di Narnia andava più che a genio.

Combattere.

Combattere e, soprattutto, vincere.

Schivò un colpo troppo lento, atterrò un altro soldato; era fin troppo facile, sembrava che gli uomini tentassero di ignorarlo, concentrandosi sugli altri…

A quel pensiero, un campanello d’allarme cominciò a suonare nel suo petto.

Si voltò di scatto; i suoi fratelli erano in piedi, combattevano, si difendevano senza troppi problemi.

Ma…

-Peter!- non gli servì l’urlo angosciato della sorella più grande, per capire dove stavano convergendo i soldati.

Si voltò di scatto, e quello che vide lo raggelò lì, dove si trovava.

Lucy era alle spalle di Shaylee, che la tratteneva saldamente con un braccio, impedendole di allontanarsi da sé. Ma entrambe arretravano, mentre un ghignante omaccione armato di un lungo spadone macchiato di sangue si avvicinava a loro, come il lupo con un cerbiatto indifeso.

Vide gli occhi di Shay fremere, i pugni stringersi.

Troppo tardi, Peter si rese conto dell’errore commesso.

Shaylee era una Naiade; la sua miglior difesa era la sua magia, legata all’acqua dei fiumi e dei laghi, quell’acqua che poteva evocare soltanto con un pensiero. Era magia, lei stessa era una creatura forgiata da malie ed incantesimi…

Ed i Telmarini odiavano gli esseri magici…

-NO!- il suo grido echeggiò nella radura, sopra il clangore e le urla di Edmund, Susan e dei loro assalitori. I suoi occhi saettarono attraverso lo spiazzo erboso, piantandosi addosso alla naiade con una forza impressionante; una forza che la lasciò interdetta, le labbra abbandonate in un incanto lasciato a mezzo.

Con un ruggito esasperato, il Re Supremo affondò violentemente la spada nel petto del suo aggressore; non si fermò a guardarlo morire, odiava vedere la vita spegnersi negli occhi dei suoi avversari. Lui non era mai stato un assassino…

Vide un altro uomo scagliarsi verso Lucy, verso Shaylee; la naiade si ritrasse, obbedendo senza pensarci all’ordine di non utilizzare la magia, trascinando con sé, alle proprie spalle, la piccola Regina.

Usando violenza su se stesso, ignorò Edmund in difficoltà, lanciandosi alla massima velocità consentita alle sue gambe verso le due giovani.

Guardò la lama della spada già sporca di sangue alzarsi verso la ninfa…lei rimaneva immobile, gli occhi dorati fissi con orrore sul rosso che colava dal metallo, puro odio in quelle iridi che aspettavano con suicida determinazione il colpo letale.

Ebbe appena un istante per distinguere il movimento, Peter. Sentì l’orrore mascherare il suo viso, un ributtante disgusto prendere vita nel suo petto; la lama si scaraventò con prepotenza contro Shaylee, troppo lontana, troppo distante per poterla difendere…

Il suono dell’acqua che s’infrangeva su sé stessa lo distrasse, facendogli sgranare gli occhi.

Shaylee…

Shaylee non era più di fronte all’uomo, di fronte a Lucy.

Al suo posto, l’espressione rabbiosa incisa in ogni singolo tratto del viso traslucido, stava ritta in piedi una creatura che Peter ricordava di aver visto soltanto molto, molto tempo addietro.

Acqua; c’era soltanto acqua, pelle disegnata dalla spuma che si forma sulla cresta delle onde, occhi trasparenti addensati dall’ira, dall’odio, le labbra carnose serrate fra loro.

La Naiade

Rimase paralizzato per un istante, il biondo Re di Narnia, completamente allibito nel fissare quella creatura proiettata nel presente direttamente dal passato.

Il loro passato.

Edmund, Lucy, Susan…lui…un brivido serpeggiò violentemente nei corpi dei Re e delle Regine di Narnia, quando i loro occhi si legarono indissolubilmente a quella figura che apparteneva ad un luogo lontano, abbandonato, per sempre perduto.

Durò soltanto un istante; un battito di ciglia più tardi, Shaylee aveva assunto nuovamente il proprio aspetto umano, l’espressione l’unica cosa identica a quella della ninfa.

Odio.

Il suo aggressore fu il primo a riprendersi.

-Strega!- sputò con rabbia, alzando nuovamente la spada, brandendola con foga, con disgusto.

Fu allora, che un lampo biondo si frappose fra loro. Con un movimento rapido, troppo rapido, Peter alzò di scatto il pugno armato, il suono delle lame che cozzavano fra loro che risuonava, agghiacciante, nelle sue vene.

Avvertì un bruciore intenso a livello del sopracciglio, un qualcosa di caldo e viscoso che colava sulla sua tempia, sulla guancia; un taglio, probabilmente…

Serrò i denti, ignorando il dolore, roteando la spada con maestria e aprendosi un varco, lasciando che il braccio dell’altro si spostasse naturalmente, per il peso della propria arma violentemente sbalzata di lato. Vide la breccia aprirsi, il petto dell’uomo scoperto, il cuore esposto e vulnerabile.

E colpì.

Improvvisamente, nella radura fu silenzio.

Il tonfo del corpo già cadavere dell’uomo fu l’ultimo suono ad echeggiare fra gli alberi. Peter non riuscì a guardarlo; distolse gli occhi celesti, disgustato da sé stesso e da ciò che aveva compiuto, costringendosi a rivolgere lo sguardo verso i suoi fratelli, preoccupato. Ma Sue ed Edmund stavano benissimo; l’unico che pareva aver riportato una qualche ferita era proprio lui.

-Da dove diavolo sono saltati fuori!?- sbottò, irritato, rinfoderando rabbiosamente la spada e rivolgendo una smorfia irata ad Edmund.

-Non ne ho la minima idea…- fu il sussurro del fratello, mortificato. Peter prese un lungo respiro, tentando in tutti i modi di calmarlo, di tranquillizzarsi almeno un poco; nemmeno lui li aveva notati, non era colpa di Ed…

-Peter, sei ferito.- gli fece notare Susan, avvicinandosi rapidamente di qualche passo al fratello, preoccupata.

Fu soltanto un lampo, un’immagine impressa sulla retina, prima che Shaylee si frapponesse fra loro.

-Non è il momento. Potrebbero non essere stati soli.- Peter inarcò un sopracciglio, passandosi una mano sulla fronte, detergendo il sangue dalla propria pelle.

-Ha ragione. Abbiamo passato un fiumiciattolo poco fa, torniamo lì.- annuì, sorpreso dall’assoluta concordanza fra i pensieri suoi e quelli della ninfa. Shaylee s’irrigidì, alle sue parole, lo vide dalle sue spalle repentinamente drizzate; ma non disse nulla, limitandosi a precedere tutti quanti sul sentiero che avevano appena percorso.

 

-E’ meglio pulirla, quella ferita.-

Peter alzò lo sguardo dall’acqua in cui stava per immergere il viso, sorpreso.

La naiade era in piedi di fianco a lui, inginocchiato sul greto del minuscolo fiume dove erano appena tornati. Si era distanziato un poco dai fratelli, liberandosi della cinta, della spada, restando soltanto con la casacca addosso, sospirando di piacere nel sentirsi finalmente libero da quegli impedimenti soffocanti.

Ogni volta, provava sempre il medesimo sollievo.

Era come se, liberandosi degli abiti in eccesso, potesse per un poco sfilarsi anche quella maschera di Re che pesava ogni istante un poco di più.

Era come se, in quei momenti, potesse tornare ad essere semplicemente un ragazzo, semplicemente Peter.

I suoi fratelli conoscevano quella sua abitudine, quella sua debolezza; ma la ninfa no, e sebbene mostrasse apertamente verso di lui un astio assolutamente non ricambiato, si era spinta a disturbarlo, per…per?

-Oh…no, non è necessario.- mormorò lui, tanto sorpreso dalla sua volontaria vicinanza da non riuscire nemmeno a trovare qualcosa di più intelligente, da dire.

Lo sbuffo di Shay lo avrebbe fatto sorridere, in un’altra situazione, in un altro mondo. Un mondo dove loro sarebbero soltanto stati due ragazzi comuni, magari nemmeno amici, e dove lui non sarebbe stato costretto a portare una spada al fianco.

-Non ho intenzione di lasciar morire il mio Re per una stupida infezione.- sbottò; un attimo dopo, però, si rese conto delle parole e del tono che aveva appena utilizzato. Arrossì furiosamente, biascicando delle scuse incomprensibili per il suo atteggiamento irrispettoso.

Un lieve sorriso arricciò le labbra del biondo, che si alzò in piedi, lentamente, osservandola.

-Se ci tieni.- commentò, sedendosi obbediente sulla roccia più vicina, senza perderla d’occhio nemmeno per un istante. Non poteva nascondersi quanto fosse divertente, far arrossire quella ragazza piena di misteri…

La vide esitare un istante, le mani che tormentavano una ciocca dei lunghi capelli dorati. Evidentemente, nel suo cuore stava divampando una feroce battaglia fra il risentimento e l’altruismo, fra l’odio che provava per lui e l’umana, gentile disponibilità ad aiutare qualcuno…

Un istante più tardi, però, la distinse chiaramente annuire, gli occhi chiusi per un attimo, prima che con poche falcate gli si avvicinasse.

Nessuno dei due disse nulla, mentre le dita sottili ed abili della ninfa danzavano con cura sulla sua ferita ancora aperta. Peter ignorò il vago dolore dell’ago di sutura che ricuciva i lembi strappati della sua pelle – era stata Susan, un tempo, ad importare quell’innovazione a Narnia –, dedicandosi più che altro a studiare l’atteggiamento della ragazza.

Le sue mani erano calde, dolci.

I muscoli del corpo erano in tensione, il respiro rapido; poteva avvertire l’avversione verso in ogni singola cellula del suo corpo, del suo fiato, del suo ventre liscio che poteva intravedere attraverso la veste candida. Si permise di guardarla, di guardarla come un uomo, soltanto per il tempo che lei impiegò per ricucirgli il taglio sulla fronte.

-Fatto.- lo informò gelidamente Shaylee, una volta terminato, allontanandosi con uno scatto da lui. Non le piaceva il brivido che le causavano gli occhi celesti del Re. Nemmeno un po’.

-Grazie.- Peter non si sorprese, non più, del repentino scatto della ragazza, fatto per allontanarsi il più possibile da lui. Ci aveva fatto l’abitudine, in quei giorni.

-Dovere.- fece lei, voltandosi verso il fiume, sentendosi progressivamente sempre più a disagio nel restare sola con l’alto Re di Narnia.

Cosa diavolo le era saltato in mente!? Per quello che le interessava, poteva anche morire dissanguato. Non si sentiva in colpa per essere stata la causa di quel taglio, non si sentiva in colpa e basta, non aveva motivo di sentirsi in colpa, in pena. No. Assolutamente no.

-Shaylee. Devo parlarti.- oh, ma perché quello stupido, stupido re non poteva semplicemente starsene zitto e continuare a soffrire della sua sindrome dell’eroe?

-Sto ascoltando.- replicò freddamente, sentendo le guance imporporarsi per il nervosismo, per la rabbia.

-Non puoi usare la magia, di fronte ai telmarini.- a quell’affermazione, la ninfa dimenticò istantaneamente ogni tipo di timidezza, voltandosi con uno scatto di rabbia verso il biondo.

-Che cosa!?- sbottò, improvvisamente furibonda, sostenendo senza il minimo problema le iridi celesti e trapassanti del giovane re. Re che non si scompose minimamente alla sua esplosione, trafficando intanto con l’elsa della spada, senza perderla di vista.

-I Telmarini odiano la magia. Rischieresti non soltanto la tua vita usando la magia, non scordarlo mai.- il biondo terminò di allacciarsi la cinta in vita, qualcosa di dorato stretto nel pugno destro.

-L’ho sempre fatto! Non ho intenzione di nascondermi da loro, che mi scoprano, non…- la furiosa protesta della Naiade si perse, in quei baratri azzurri e divertiti che erano gli occhi meravigliosi di Peter.

Arrossì ancor di più, nel riconoscere che sì…era un bel ragazzo, dopotutto.

-Shaylee, non ti sto dicendo che non dovrai combatterli.- le spiegò lui, pacatamente, avvicinandosi con lentezza estrema alla diffidente ninfa ersa sul ciglio del fiumiciattolo. -Sto soltanto chiedendoti di tenere la tua magia come ultima risorsa, e nel caso, difenderti con questo.- aggiunse, porgendole ciò che aveva estratto dal fodero della sua spada.

Shaylee, allibita, abbassò lo sguardo. Era uno stiletto, un pugnale lungo e sottile che si sarebbe adattato perfettamente alle sue manine affusolate; l’impugnatura era dorata, il fodero di un bel rosso sanguigno…e sull’elsa istoriata, riconobbe immediatamente il simbolo del leone stilizzato.

Aslan.

-Io…io non credo, di…- ancora una volta, a Peter fu sufficiente uno sguardo, per zittirla. Sospirando, sentendosi trapassata da quegli occhi assurdamente penetranti, allungando una manina e chiudendo cautamente le dita intorno a quella piccola, infida arma.

Stando bene attenta a non sfiorare, nemmeno con il pensiero, la pelle calda e ruvida delle mani di Peter.

 

Più tardi.

Si erano accampati lì, vicino a quel rigagnolo. Ed aveva acceso il fuoco, Susan aveva estratto dalla sua borsa i viveri recuperati a Cair Paravel, Lucy era seduta a gambe incrociate, vispa e pensierosa come sempre. Nessuno diceva niente; la battaglia li aveva lasciati stanchi, spossati.

-Dov’è Shaylee?- furono le prime parole che spezzarono quel silenzio innaturale. Parole rauche, borbottate a mezza voce, una mano che scivolava ansiosa fra serici capelli biondi.

Peter si rivolse al fratello, che si strinse nelle spalle, ignaro quanto lui su dove fosse finita la ninfa. Era scomparsa appena dopo averlo medicato, ricordava benissimo il tocco lieve e soffice delle sue dita sottili sulla pelle; non aveva pronunciato una parola che fosse una, da quando le aveva consegnato il pugnale.

-L’ho vista andare verso il fiume.- fu Lucy a rispondere alla sua domanda angosciata, gli occhi azzurri che si alzavano,vispi e allegri, sul fratello. Chissà cos’aveva in mente quel piccolo tornado, si ritrovò a chiedersi Peter; aveva la tipica, palese espressione che compariva sul suo visetto quando un’idea alquanto malvagia prendeva forma nella sua testolina.

Avrebbe compreso più tardi il piano oscuro della sorellina. Di scatto, senza nemmeno farci caso, balzò in piedi, improvvisamente desideroso di raggiungere la naiade, di parlarle, di scusarsi per come l’aveva trattata e cercare di lenire un poco quell’odio che, lo sapeva ormai, Shaylee provava verso di lui.

Fu la voce di Susan, bassa e appena concitata, a fermarlo.

-Peter…lasciala stare.- mormorò, decisamente comprensiva verso quella ragazza in cui aveva visto non soltanto la rabbia, la diffidenza, l’odio; no. Susan sapeva riconoscere il dolore e la solitudine, quando le si presentavano davanti con così tanta chiarezza.

Ma il fratello, invece di darle retta, scosse la testa bionda, esasperato.

-Voglio solo essere sicuro che stia bene.- commentò, ed un istante più tardi era scomparso nel fitto fogliame del sottobosco.

Non ci mise molto tempo, a trovarla. Era là, seduta sul greto di quel piccolo fiume, gli occhi dorati socchiusi e l’espressione stanca, vuota, le dita che scioglievano lentamente i capelli arruffati.

Una sensazione strana, mai provata prima d’allora, si agitò violentemente nel petto del ragazzo, quando si rese conto che perlacee lacrime sottili rigavano quelle guance candide.

Piangeva.

Peter dovette costringersi a restare dov’era, all’ombra degli alberi che nascondevano completamente la sua figura alla ninfa.

Piangeva. Shaylee stava piangendo.

Perché non poteva andare da lei, e tentare di confortarla?

Perché ti odia. Ti manderebbe via, Peter, ti caccerebbe.

Era immobile, soltanto brevissimi singhiozzi scuotevano la sua schiena sottile. Sembrava volersi trattenere dallo scoppiare in un pianto a dirotto, le dita che lievemente sfioravano la superficie limpida delle acque tranquille.

E poi la sentì sussurrare. Soltanto quattro parole.

Quattro parole che ebbero il potere di spalancare un dolore immenso nel suo petto, trafiggendo da parte a parte quel qualcosa che si agitava ansioso nel suo petto.

-Mi manchi, amore mio.-

 

Il mattino dopo.

Talia sospirò, esasperata, quando si rese conto della tensione che aleggiava nella loro stranamente silenziosa marcia giornaliera.

Aaron era semplicemente infuriato; soltanto lo sguardo gelido di Siria gli aveva impedito di prendersela con Caspian, e l’elfa lo sapeva, sua sorella non avrebbe esitato a mettersi in mezzo fra loro – con delle probabili, poco piacevoli conseguenze per il fratellastro.

Siria era come al solito arrampicata sugli alberi, procedeva dall’alto per controllare la situazione da un punto di vista privilegiato; ma lo avvertiva nella sua mente, la sua amica non era mai stata meno attenta come in quell’istante; non le serviva guardarla, per sapere che gli occhi della rossa erano piantati addosso al principe.

Caspian era il più bravo, in quel bizzarro triangolo di silenzi, a mantenere un’aria imperturbabile. Non portava il bavaglio, le corde intorno ai polsi erano sicuramente meno strette; probabilmente era opera di Siria, ma Talia sapeva che poteva essere stato anche Aaron. Era tutto fuorché crudele, il rosso, e sebbene lo guardasse con astio, non avrebbe dimenticato di trovarsi davanti ad un ragazzo anche più giovane di sua sorella.

Sospirò di nuovo, scambiando un’occhiata preoccupata con Caleb; il gelo che emanavano gli occhi invisibili di Siria aveva persino zittito i loro continui, scherzosi battibecchi.

Doveva fare qualcosa.

-Fermiamoci qui.- sbottò all’improvviso, facendo sobbalzare tutti quanti. Aaron si voltò a guardarla, indispettito ed oltraggiato, ma ben lungi dal protestare; Talia sapeva essere davvero spaventosa, se si arrabbiava.

-E’ una buona idea.- fu il commento di Caleb, che colse al volo l’intenzione della piccoletta e si spostò rapidamente accanto a Caspian, sottraendolo dalle grinfie del rosso.

Avvertì addosso gli occhi di Siria, quando trascinò verso un albero abbastanza sottile il principe, assicurandovi la corda che legava i suoi polsi con un’altra, non troppo strettamente. Aveva visto giusto; Siria era pesantemente persa per il ragazzo, non c’era più alcun dubbio. Un rapido sguardo, e ne ebbe la conferma; l’amica stava fissando insistentemente il ragazzo, che senza molti problemi teneva gli occhi color pece inchiodati sul suo viso affilato.

Incredibile, a dirla tutta.

-Siria, fai un giro qui intorno, controlla che non ci sia nessuno.- fu il secco ordine di Talia, e, per una volta, la rossa fu grata che qualcuno le dicesse cosa fare, senza dover pensare a nulla che non fosse obbedire.

Mentre sfrecciava fra gli alberi, la mente assente ben lontana dal suo compito, si permise di divagare di nuovo sul pensiero di Caspian, perché era doloroso – non poteva negarlo – sapere di provare qualcosa, ma allo stesso tempo era l’agonia più dolce che avesse mai provato.

Sentire il cuore battere d’un amore neonato, struggeva la sua anima ma curava i suoi sentimenti, sanando ferite e vuoti che nemmeno aveva mai nemmeno definito realmente.

Si sentiva viva, molto più di quanto non fosse mai stata in vent’anni; nelle sue vene non scorreva lo scherzo maligno della natura, ma puro e semplice amore, di quell’amore vero e genuino che soltanto una volta, nella vita, si può provare.

Caspian…

Caspian era il fautore e la causa di quello sconvolgimento, di quella rinascita.

E lei lo amava, sì. Per quanto impossibile ed irrazionale le sembrasse, il suo cuore batteva, batteva davvero; ma soltanto per lui.

Furono i suoi pensieri, le sue emozioni, a distrarla.

Un sibilo.

Lo udì troppo tardi spezzare il silenzio innaturale che la circondava.

Ebbe appena il tempo di sgranare gli occhi, di vedere qualcosa di rosso sangue fare breccia nel fitto fogliame, prima di avvertire qualcosa di orrendamente sbagliato trapassarle la spalla da parte a parte.

-Merda!- sibilò, sentendo mille stelle di dolore esplodere nei suoi occhi, portandosi istintivamente una mano alla spalla destra; una freccia la attraversava da parte a parte, ne avvertiva la punta acuminata…trapassare…

Un violento giramento di testa, seguito dalla nausea, la investì. Il sangue sgorgò rapidamente sulla sua tunica, cancellando tutto ciò che non fosse rosso dai suoi occhi.

Sanguinava; un pensiero così assurdamente illogico da non essere assimilato, gli occhi blu che seguivano increduli la scia rossa, di un rosso vivo, scendere lungo il suo braccio, sulla spalla, sulla scollatura, sul seno, diramarsi in decine di rivoli più piccoli sulla sua pelle candida…

VATTENE!

L’urlo tremendamente forte nella sua mente quasi la fece cadere dall’albero, riscuotendola dall’improvvisa confusione che l’aveva bloccata.

In un guizzo di capelli fiammeggianti, sparì dal punto in cui era stata colpita, nascondendosi al riparo di una gigantesca quercia e cercando di riprendere fiato.

 

-Che cosa, o chi, diamine era?- Susan si voltò rabbiosamente verso la naiade, sperando di trovare una risposta in quel volto perennemente enigmatico.

Ed invece la ninfa fissava intensamente il punto in cui la creatura rossa era scomparsa, gli occhi socchiusi e le labbra convulsamente strette, indecifrabile più che mai.

-Non saprei.- mormorò, senza un particolare tono di voce, il cuore e la mente in tumulto sotto la superficie gelida.

Siria.

Quella figura era assolutamente inconfondibile.

Siria era lì, ed era stata colpita in pieno da una delle frecce di Susan; dopo l’assalto, la Regina era diventata ben più che attenta, per ogni minima cosa. E non sapeva minimamente quanto fosse andata vicina a colpire…

Sostenne il suo sguardo duro, indagatore, celando perfettamente il tumulto che la vista della rossa le aveva causato.

Susan non avrebbe mai capito.

Lei non aveva avvertito la mente di Siria tacere improvvisamente, travolta dallo shock; lei non si era vista passare davanti i pensieri cristallini solitamente imbrigliati in una solida rete mentale, lei non aveva intravisto in quei ricordi fulminei la figura del principe Caspian…

Ed il sapore delle sue labbra, e la forma del suo viso, ed un sentimento che, per un istante, lasciò Shaylee completamente attonita.

Amore?

Siria!? Ma, soprattutto…

Caspian!?

Cercò di raccapezzarsi un istante, completamente travolta dalle emozioni che avevano investito la sua mente, nello stesso attimo in cui la freccia di Susan aveva colpito la rossa. Si massaggiò le tempie, tentando di dare un ordine preciso a quelle immagini confuse.

Caspian.

Aaron aveva catturato Caspian, lo stavano portando da Miraz.

Siria era ferita; non era stato un colpo mortale, sarebbe sopravvissuta.

Caspian e Siria…

Ma non è possibile! È assurdo!

-Che razza di guida saresti, tu?- la voce dura di Susan la riportò bruscamente alla realtà; si ritrovò a specchiarsi in due gelidi occhi di ghiaccio, densi di rabbia, di diffidenza, di pura e semplice ira.

-La migliore. Probabilmente era solo un animale selvatico.- fu la risposta indifferente di Shay, gli occhi che evitavano accuratamente qualsiasi contatto con quelli di Peter. Non sapeva, a dirla tutta, se sarebbe stata in grado di mentire anche a lui.

-Rosso?- replicò scettica la Regina, rinfoderando nervosamente l’arco, senza risparmiare gli sguardi irritati verso la naiade.

Non poteva esserne sicura al cento per cento; ma lo sentiva.

Shaylee stava nascondendo qualcosa.

 

 

Ora sentiva il dolore. Oh, se lo sentiva.

Siria sussultò, rischiando nuovamente di cadere quando vide la traccia del proprio sangue disegnarsi sul sottobosco, fra le fronde. Macchiava, sgorgava sempre più velocemente, scendeva sul suo corpetto e lungo le sue braccia bianche…

Scosse la testa, cercando di scacciare la prepotente nebbia che tentava di avvolgerla, cercando di allontanare il dolore terribile che rischiava di strapparle urla e urla di straziante agonia.

Bruciava.

Dea, quanto bruciava…

Se sentiva sempre più debole, fiacca; stava perdendo molto, troppo sangue, ed il suo respiro era pesante ed irregolare, il cuore batteva furioso per mantenere vivo il suo corpo.

Ma la mente era sempre meno nitida, gli angoli del suo campo visivo si stavano oscurando, i pensieri erano sempre più surreali, incontrollati.

Dolore!

Il dolore era una lama che la trapassava nettamente, che faceva sussultare di convulsioni il suo corpo morbido. Tremava, tremava tanto violentemente da sentire le dita mancare gli appigli sui rami, il braccio destro inerte lungo il fianco insanguinato.

Sarebbe stato più facile lasciarsi cadere. Crollare lì, esausta, sotto il peso di una sofferenza troppo grande, lasciandosi dissanguare da quella ferita netta…avrebbe risolto tutti i problemi, in un colpo solo.

Ma non poteva.

C’era qualcuno che contava su di lei…

Doveva raggiungere i suoi compagni…doveva arrivare da Aaron, da Talia, da…

Caspian.

Quel nome le diede la forza di serrare i denti, contando disperatamente quanti altri balzi ancora le mancassero, la carne scoperta che pulsava terribilmente.

Doveva tornare da Caspian. Doveva andare da lui, doveva baciarlo di nuovo, doveva liberarlo e permettergli di tornare alla sua guerra…

Ma la presa sul ramo venne improvvisamente a mancare, quando ormai mancava pochissimo per giungere dagli altri.

Crollò a terra senza nemmeno accorgersene; il suo corpo già lavorava per non farle sentire dolore, e presto sarebbe tutto finito, perduto. Come lei.

L’ultimo singhiozzo, prima di crollare, fu rivolto all’amica.

Tallie

 

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Capitolo 8
*** Bittersweet ***


Mmmm....le recensioni calano T.T però lo capisco, il periodo è uno dei più orribili per gli studenti ^___^'''
Allora, rispondo in fretta alle recensioni e poi vi lascio al capitolo...Caspiaaaaaaaan *spupazza il principino*
Ehm...scusate....momento di grande amore per il ricciolino di Narnia *.* questo capitolo, a parte  un - finalmente! - inizio fra Caleb e Talia, è tuuuuutto per lui e Siria *-* ammori *-*
*love love love assoluto*
Romina, Siria è meglio di Highlander, non muore mai *rule* comunque, non ti preoccupare, il brutto momento è più o meno passato...sapere che ci sei sempre però è un conforto non da poco, grazie ^_____^ un bacione!
Marzia, ti rivelerò un segreto...io adoro Peter xD lo maltratto, lo picchio, gli faccio fare figuracce (aspetta solo che conosca Siria xD), ma lo adoro *.* Susan...no, lei proprio non la tollero U.U vedremo poi come se la caverà, alle prese con una Shay sempre più incazzosa,  e poi anche con Siria O=D Tranquilla, non ho intenzione di abbandonare questa fic!!!



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Bittersweet - Within Temptation

-AAAAAAH!-

Una fitta di dolore trapassò la mente di Talia, strappandole un grido di dolore che spezzò con l’intensità di un’esplosione il silenzio intorno a loro. L’elfa crollò in ginocchio, le mani che salivano repentinamente a serrarsi sulle tempie, travolta da una nuova ondata di dolore improvviso, violento, distruttivo.

Dolore!

Come poteva ragionare?

Come poteva riuscire a capire, in mezzo a quell’oceano di sofferenza, di confusione, di morte?

Non ragionava, non poteva ragionare, sentiva la sofferenza delle ossa spaccate, della carne che suppurava sangue…vedeva i propri occhi chiudersi, perdere fuoco, sentiva l’oblio farsi strada nel suo petto, scavando voragini là dove una volta pulsavano i suoi organi vitali.

Non sarebbe sopravvissuta. La sua unica certezza era quella.

Non avrebbe vissuto abbastanza da capire, da conoscere il perché di tutto quel male…la sensazione delle foglie secche che si bagnano di sangue

Siria.

Un pensiero lucido in quel mare in cui stava per affogare.

Siria.

Sua sorella…

Quel dolore, apparteneva a Siria.

Lentamente, costrinse la propria mente a riemergere da quell’oceano, da quell’agonizzante sofferenza che aveva attanagliato in una morsa d’acciaio i suoi pensieri, mozzato il suo respiro, accelerato il battito del suo cuore spaventato.

Usò violenza su sé stessa, per strapparsi con un urlo a quel dolore capace di ucciderla.

Lentamente, riprese il controllo di sé, del proprio corpo raggomitolato contro qualcosa di caldo, delle braccia serrate intorno alle ginocchia. Gli occhi erano serrati, aveva paura di aprirli, paura di scoprire che quell’incubo era reale…

Una voce.

-Tallie! Tallie, guardami, avanti piccola, apri gli occhi!-

Una voce che conosceva, che sperava, che…che amava.

-Avanti, nanetta, mi stai spaventando!-

Caleb.

Doveva essere lui, ad averla accolta fra le braccia. Doveva essere suo, il torace contro cui era appallottolata. Doveva essere lui, a scongiurarla di svegliarsi

-Tallie…Tallie ti prego, guardami!-

Con uno sforzo orribile, Talia si strappò violentemente da quel mare di atrocità e sofferenza, spalancando gli occhi scuri con tanta forza che le sue palpebre, doloranti, lanciarono una fitta di protesta.

Ed ecco quel rifugio caldo e sicuro, fatto di muscoli e braccia che l’accoglievano, che non era un sogno…lentamente, mise a fuoco gli occhioni celesti e colmi d’ansia del ragazzone, di Caleb, a poco più di un palmo dal proprio viso.

-Talia…- sussurrò, lasciandosi pesantemente cadere a terra quando finalmente riuscì a distinguere le familiari, calde iridi color nocciola della mezzelfa. La strinse a sé, con forza, con una forza tale che temette per un istante di spezzarla – lei, così piccina, così minuta, eppure così tremendamente forte…

-Cal…tranquillo, sto bene.- furono le prime parole, sussurrate, ansimanti, che le sentì sussurrare nell’incavo del proprio collo.

-Tranquillo…non dirmi di stare tranquillo, Talia!- sbottò il biondo, accarezzandole con dolce premura i capelli arruffati, guardandola negli occhi con un misto di preoccupazione e rimprovero nelle iridi azzurre.

Non poteva spaventarlo così. Lui non doveva aver paura di nulla, non poteva allarmarsi, preoccuparsi come un matto per qualcuno che non fosse lui, o Tara. Non poteva fargli perdere diversi anni di vita, crollando in quel modo, urlando come se la stessero torturando.

Non poteva.

Non poteva, perché in quel modo gli ricordava costantemente quanto quell’elfa mezzosangue in realtà fosse importante per lui…

Talia sospirò, accennando un breve sorriso dolce verso di lui, sfiorandogli i riccioli color miele. Sarebbe stata una perfetta occasione per baciarlo, per dimostrargli quel che provava…e gli occhi di Cal erano tremendamente vicini, sentiva il suo respiro mischiarsi lentamente al proprio, un sapore indistinto e sconosciuto che sfiorava i suoi sensi…

Siria!

L’elfa balzò repentinamente in piedi, seguita a ruota da un Caleb quanto mai allibito.

-Slegalo!- sbottò, indicando con un nervoso cenno della testa il principe, poco lontano. Caspian, sentendosi tirato in causa, alzò il viso, preoccupato ed allibito almeno quanto Caleb.

-Cosa!? Tallie, Aaron ti…- Talia agitò nervosamente la testa scura, zittendolo.

-Non me ne fotte un cazzo! Liberalo, ho bisogno di lui!- replicò, e qualcosa, forse il tono concitato della sua voce, forse la paura che scorgeva nei suoi occhi, convinse il biondo ad obbedire.

-Cosa sta succedendo?- furono le prime parole di Caspian, una volta libero. Aaron era lontano, con Tara, stavano cacciando; tanto meglio.

Talia gli lanciò rapidamente la sua spada, che il principe afferrò al volo, sempre più stupefatto dalle azioni prive di senso dell’elfa. Perché lo stava liberando? Perché lo stava armando? Non c’era alcun motivo logico che l’avrebbe spinta a lasciarlo fuggire…

Ma l’elfa era già al suo fianco, l’espressione dura in volto ed il terrore dipinto in ogni screzio di quegli occhi scuri e taglienti.

E poi pronunciò una parola. Una parola soltanto, capace di cancellare qualsiasi altro pensiero dalla sua mente.

-Siria.-

 .

.

Siria è in pericolo.

Caspian serrò ancor più prepotentemente la mano destra intorno all’elsa della propria spada. Gli occhi neri dardeggiarono in quella foresta tutta uguale, fra gli alberi silenziosi, nell’erba alta; cercava un segno, Caspian, cercava una qualsiasi traccia di rosso che potesse condurlo da lei.

Siria è in pericolo.

Erano bastate quattro parole. Quattro, semplici parole, per cancellare anche solo il più remoto pensiero di fuga dalla sua mente.

Siria è in pericolo.

Non poteva pensarci. Non riusciva ad accettare l’idea, non poteva, non era fisicamente in grado di rendersi conto che Siria poteva essere nei guai, che poteva essere sola, spaventata, ferita…o peggio, morta.

No, no, non doveva, non doveva pensarlo!

L’ansia gli attanagliò i polmoni, mozzandogli il fiato. Non la trovava. Talia era, come lui, a caccia di un dettaglio, di una speranza, di una macchia sanguigna sull’erba verdeggiante…Caleb era andato ad avvertire Aaron, per evitare che, se avesse visto il principe libero, lo ammazzasse.

Non si sarebbe lasciato ammazzare. Lo avrebbe affrontato, piuttosto, lo avrebbe ucciso, se necessario. Ma nessuno, nessuno, si sarebbe frapposto fra lui e Siria, adesso.

Doveva trovarla.

Non contava altro, in quel momento.

Doveva, assolutamente, trovarla.

E come ad esaudire le sue richieste, una macchia. Un colore contrastante, una fiamma accesa nel bel mezzo del sottobosco, lunghi crini infuocati che serpeggiavano fra sottili fili d’erba.

-SIRIA!- urlò, inconsciamente, quando distinse il corpo flessuoso della ragazza abbandonato scompostamente nel prato incolto.

In un attimo, si ritrovò accanto a lei. Si lasciò cadere sulle ginocchia, la spada abbandonata al suo fianco, le braccia che sollevavano quel corpo esanime, ferito, spossato.

Era ferita. C’era una profonda voragine rossa sulla sua spalla, ed era ricoperta di sangue, sangue ovunque, gli sembrava che divorasse ogni centimetro di lei…

Dannazione!

Il viso della ragazza era contratto, le labbra schiuse in sospiri affannati, gli occhi serrati. Soffriva. Soffriva come una bestia ferita a morte, e lui non poteva alleviare quel dolore, non poteva riportare quel sangue che macchiava le sue stesse mani nel corpo della giovane.

Senza nemmeno esitare, lasciò scivolare le braccia sotto al corpo di lei, sollevandola subito dal terreno brullo ed accidentato. I capelli rossi caddero lungo il corpo del principe, il bel capino si posò contro la sua spalla; era leggera, troppo…

La strinse a sé, guardandosi intorno per cercare l’elfa, oppure il biondo; doveva riportarla indietro, e alla svelta, se voleva salvarla. E doveva ignorare il profumo conosciuto che avvertiva sotto l’odore stomachevole del sangue: quell’odore particolare di rose canine e ghiaccio che apparteneva alla rossa esanime fra le sue braccia.

Percorse a ritroso la strada che aveva compiuto in uno stato di trance, di ansia mista a quello stordimento che la sola presenza della ragazza gli provocava. Sarebbe potuto scappare, avrebbe potuto abbandonarla al suo destino, avrebbe potuto tornare indietro e vincere le sue battaglie…

Ma senza di lei? Come sarebbe stato, vivere senza di lei, che in pochi giorni aveva preso prepotentemente posto nel suo cuore, dove nessuno aveva mai avuto accesso?

Non l’avrebbe lasciata morire.

A qualunque prezzo.

 .

.

Un rumore di foglie pestate, di rami spezzati.

Talia si voltò di scatto, l’ansia incisa in ogni tratto del viso affilato. E sgranò gli occhi, sobbalzando, quando la figura del principe Caspian emerse dal fitto della boscaglia, il corpo insanguinato di Siria fra le braccia.

-Oh, merda!- sbottò, e un battito di ciglia più tardi si ritrovò di fronte a lui, più concitata e spaventata di prima.

Perché devi sempre cacciarti nei guai?!

Sembrava che lo facesse apposta, per farla preoccupare.

Era svenuta, ma la sua espressione non era incosciente; stava soffrendo, e Talia sapeva bene che non era soltanto l’orrenda ferita sulla spalla a disegnare il tormento su quel viso tanto conosciuto.

-Stendila qui.- un istante prima non c’era nemmeno un qui, osservò Caspian allibito, vedendo soltanto un guizzo indistinto e una coperta apparire dal nulla sul terreno erboso.

Obbedì, restando inginocchiato accanto a Siria, gli occhi nerissimi inchiodati sul viso sofferente della rossa. Talia gli lanciò un’occhiata: poteva quasi vedere il dolore dell’amica riflesso in quegli occhi, nei tratti tesi di quel viso così giovane.

-Sei tornato.- commentò, atona, trafficando rapidamente per estrarre il proprio pugnale.

-Non potevo lasciarla.- fu la risposta di Caspian, semplice, vera, diretta, così tanto che Talia sgranò di botto gli occhi – per la seconda volta in pochi minuti. Quel ragazzo era fonte di continua sorpresa.

Caspian ignorò la sua sorpresa, sfiorando la pelle candida di Siria con la punta delle dita. Era calda, fin troppo…ed era morbida, delicata, un fiore rosso sbocciato sulla cima di una rupe.

Un premio ambito, meraviglioso, per chi avesse avuto il coraggio di coglierlo.

Talia nascose un minuscolo sorriso, alla vista della premura con cui il principe le restava accanto, ansioso. Dopotutto, Siria non aveva scelto così male, con lui…

Tornò alle sue occupazioni, scoprendosi il braccio destro, posando la lama affilata del pugnale sulla vena blu, pulsante al di sotto della pelle.

-Cosa…- zittì Caleb, giunto silenziosamente alle sue spalle, alzando semplicemente l’indice.

Un lampo, e il sangue scuro zampillò sulla pelle bronzea dell’elfa.

-Non è la prima volta che la salvo, così.- mormorò soltanto, spostando l’avambraccio sanguinante sopra la ferita aperta e suppurante dell’amica.

Come affascinato, Caspian guardò le dense gocce di sangue scivolare lungo il braccio della mezzosangue, addensarsi e poi, con un attimo di esitazione, cadere.

Nello stesso attimo in cui sfiorarono la carne viva di Siria, avvertì l’odore ributtante del sangue bruciato invadergli le narici, riempiendogli gli occhi di lacrime.

La ferita non sanguinava più. Un’evanescente linea di fumo rossastro si alzava da quella carne ancora viva e visibile, mentre le taumaturgiche gocce che appartenevano all’elfa penetravano quello squarcio, sanando la ferita dal profondo, dall’interno.

Sangue elfico.

Forse Talia non era un’elfa pura, ma sicuramente aveva ereditato quel carattere, dalla sua razza.

La giovane si lasciò cadere a terra, esausta. Bastò premere due dita sulla ferita, perché del taglio non rimanesse che un vago segno rossastro che presto sarebbe scomparso, come tutte le ferite sul suo corpo snello.

-Stai bene?- non fu Caleb a porle quella domanda premurosa. Fu Caspian, che, rassicurato sulla sorte di Siria che ora riposava già molto più serena, aveva alzato gli occhi neri e molto più tranquilli su di lei, cortese e sinceramente preoccupato.

Ma era davvero Telmarino, quel ragazzo!?

Nessuno di loro le aveva mai rivolto quel tono…come se fosse una sua pari, come se le sue orecchie e la sua età fossero normalissimi, come se non l’avesse appena vista curare col sangue una ferita a dir poco orribile.

Annuì, guardandolo con un misto di stupore e gratitudine, abbandonandosi esausta contro il petto caldo e rassicurante di Caleb.

Cominciava a starle simpatico, quel principino.

 .

.

.

 .

Calore.

Era questa, la precisa sensazione che provava in quell’istante.

Un calore sconosciuto, strano; qualcosa che l’avvolgeva in una stretta morbida, sicura, qualcosa che la cullava nel buio e nel silenzio calati sui suoi occhi chiusi. E quel profumo…un profumo intenso, un profumo di sole e di foresta, che riempiva ed annebbiava i suoi pensieri, abbandonandola in una dolce inconsapevolezza che mai, era stata più dolce.

Quel profumo…quel profumo apparteneva ad una persona.

-Caspian…?- Siria si mosse appena, il viso che cercava inconsciamente la fonte di quel profumo, di quell’odore meraviglioso. Sentì delinearsi sotto il proprio respiro la linea marcata di un collo, una gola rilassata, morbida, elegante.

-Sssh. Non agitarti, sei ancora molto debole.- una voce dolce, bassa e calda, s’insinuò con dolcezza nella sua mente, risvegliandola da quel torpore da cui si era lasciata volontariamente avvolgere, esausta.

Si mosse di nuovo, cautamente, sentendo qualcosa di soffice e delicato accarezzarle i lunghi capelli. Dita. Caspian. Carezza.

Sembrava che i suoi pensieri non riuscissero a riordinare le parole in frasi di senso compiuto; c’era soltanto una gran confusione, nella sua mente, nomi e sensazioni si rincorrevano senza sosta, mentre la sua volontà ancora intorpidita lottava per schiudere gli occhi, per costringere le palpebre pesanti a lasciarla vedere.

Istintivamente, alzò una mano a velare il proprio sguardo, la tenue luce di un fuocherello che bruciava terribilmente le sue retine fuori fase. Le braccia le sembravano così pesanti, ma cos’era successo? Aveva provato sensazioni simili soltanto dopo…dopo una non indifferente perdita di sangue, se si poteva definire così.

Scacciò quel pensiero, quel ricordo che minacciava di strapparla da quella sconosciuta serenità che la pervadeva. Una, due, tre volte; sbatté le palpebre, riacquistando lentamente il dono della vista, mettendo a fuoco due caldi pozzi neri sorprendentemente vicini a lei.

Sobbalzò, ma qualcosa impedì al suo corpo di allontanarsi da lui, quando si accorse di trovarsi accoccolata fra le braccia calde e sicure del suo principe. Qualcosa che la spinse soltanto ad alzare il viso, la testa pesante come un macigno, e a rivolgere uno sguardo sinceramente allibito al ragazzo che fino a quel momento l’aveva cullata, proteggendola dagli incubi.

-Caspian? Che cosa…cos’è successo? Stai bene, dove sono gli altri?- sorrise, il principe, vedendo gli occhioni blu allargarsi di sorpresa, le guance candide imporporarsi di un imbarazzo del tutto inaspettato, adorabile.

-Calma, una domanda per volta.- la tranquillizzò, sciogliendo soltanto allora la presa fin troppo salda con cui l’aveva stretta a sé, l’ansia negli occhi e la paura nel cuore. La vide mordersi la lingua, e non riuscì a trattenere un secondo sorriso dal disegnarsi sul proprio volto, dinanzi a quel visetto di solito così gelido improvvisamente molto più emotivo.

-Scusami.- mormorò lei, stupendo anche sé stessa per la facilità con cui era in grado di farla arrossire, di farla reagire come una ragazza normale. Era fin troppo assurdo, sentire quell’assurdo battito galoppare nel petto.

Era fra le sue braccia, ed intorno a loro non vedeva altro che un piccolo fuocherello e la foresta immersa nella notte. Non c’erano i suoi compagni, non c’era Talia, non c’era… -Perché Aaron non ti ha ancora ucciso?- gli chiese, non senza una punta di apprensione nella voce.

Sentì il petto di lui sussultare, il volto abbronzato illuminato dalle tenui fiamme che guizzavano a poco più di un metro da loro, ed un istante più tardi vide un nuovo sorriso, indulgente questa volta, prendere vita su quei lineamenti perfetti. Quanto era bello il suo principe, soltanto lei poteva vederlo…ed era così tremendamente vicina, un soffio soltanto e avrebbe potuto sfiorare quel volto perfetto, affilato, quegli zigomi alti, quelle ciglia folte…e quelle labbra…

-Perché penso di averti salvato la vita, e questo lo ha convinto a desistere.- furono le sue parole tranquille, divertite, a riscuoterla da quell’istante che l’aveva lasciata imbambolata a fissarlo, rapita.

Sgranò gli occhi, le mani – fino a quel momento abbandonate sul petto del ragazzo – che si posavano senza premeditazione sulla gola del giovane, il volto tranquillo che accolse serenamente l’espressione allibita di lei.

-Tu…tu mi hai…- balbettò Siria, confusa, sconcertata…felice, immensamente felice di trovarsi lì, di sapere che lui

Caspian le sorrise, accarezzando con tenerezza quella guancia soffice, candida come neve, levigata ma allo stesso tempo calda, invitante.

-Eri svenuta, per colpa di questa…- scese a sfiorare con la punta delle dita la ferita rimarginata sulla spalla della giovane, reprimendo a stento un brivido che però avvertì scuotere il corpo della ragazza, così vicino al suo. -…ti ho trovata, e Talia ha potuto curarti.-

-Sei venuto a cercarmi?- Siria sembrava incredula di quel dettaglio, più che di tutto il resto. Sostenne i suoi occhioni blu senza esitazione, una calda pace nelle iridi profondamente nere, due abissi scuri ed ardenti in cui Siria avrebbe soltanto desiderato sprofondare, senza più alcun pensiero che non fosse lui.

-Sì.- le rispose, serenamente, sfiorando teneramente la punta del naso di lei col proprio. La vide sorridere, imbarazzata e bambina, chiudere gli occhi un istante ed abbassare appena il volto, arrossita.

-Tu devi essere pazzo, principino.- mormorò, ma le sue parole contraddissero il dolce gesto di posare la mano bianca su quella di lui, trattenendo il suo tocco meraviglioso sulla guancia, sul viso.

-E’ probabile, in effetti.- commentò lui, con un accenno di risata, il cuore molto più caldo di fronte a quella vista tanto meravigliosa. Era così bella, la Siria che stringeva fra le braccia, la vera Siria – quella che aveva soltanto scorto da lontano, in quei giorni.

Non c’era più nessuna maschera, fra loro.

Finalmente si trovavano vicini, da soli, senza il terrore di essere scoperti e nuovamente separati; finalmente Siria poteva lasciare che quel cuoricino impazzito rispondesse per lei, finalmente Caspian poteva bearsi di ogni sfumatura del suo sorriso, della sua ironia, della risata argentina che, dopo un istante, riempì l’aria intorno a loro.

Sentirla ridere.

Non avrebbe desiderato altro, per tutta la vita. Quel suono non avrebbe più abbandonato la sua mente, il suo petto, il suo cuore. Durò poco, di sicuro troppo poco perché lui ne fosse sazio; ma si ripromise che avrebbe trovato il modo di sentirla ridere ancora, di farla ridere di nuovo.

-Sei venuto a salvarmi.- commentò lei un istante più tardi, l’ombra di quella risata ancora impressa nel visetto. Caspian annuì, serio, sistemandosi meglio contro il tronco dell’albero, la ragazza accoccolata sul petto.

-Ti sembra così strano?- le chiese, stupito lui stesso da quell’incredulità. Siria non aveva ancora capito quanto tenesse a lei?

La rossa abbassò lo sguardo, un velo di tristezza che oscurava i suoi occhi.

-Io non valgo tutto questo. Io non…non sono abbastanza, non lo merito. Non da te.- mormorò, ma non tentò nemmeno stavolta di allontanarsi da lui.

-E perché?- allibita, alzò gli occhi, non trovando la minima incrinatura nell’espressione serena di Caspian. Premette le dita sulla sua guancia, un gesto semplice, spontaneo, mosso dal genuino desiderio di sentire che fosse vero.

-Perché ti sto portando alla morte.- sussurrò, piano, confessando quella colpa nel silenzio ovattato della foresta.

-Non tu. Tu stai provando ad aiutarmi.- le fece notare il ragazzo, con un mezzo sorriso malandrino che era tutto un programma.

-Tu sai…?- arrossì furiosamente, Siria, quando istantaneamente collegò quelle parole all’unica persona che potesse averle rivelate al giovane. -…Talia.- ringhiò, rovesciando gli occhi al cielo, esasperata.

-Ha un modo tutto particolare di dimostrare le sue simpatie, quella ragazza.- ridacchiò lui, sicuro che Siria stesse rivolgendo qualche silenzioso, ma colorito insulto all’amica.

-E’ unica, sì.- mormorò lei dopo un attimo, scuotendo appena la testa, divertita. Ma un istante più tardi il buio tornò ad aggredire i suoi occhi, gelandoli di nuovo, allontanandoli nuovamente dal volto del giovane. -Tu non sai nulla, Caspian…se sapessi, non saresti così gentile con me.- sussurrò, pianissimo, le braccia che scivolavano dalle spalle di Caspian per serrarsi sul proprio petto, scostandosi per quanto possibile dal petto del ragazzo.

Aveva dimenticato…lei non meritava quel conforto, quel calore. Doveva smetterla di illudersi, doveva trattenere quelle emozioni tanto semplici quanto potenti…sarebbe stato pericoloso, per Caspian, per lei, per chiunque, se quelle barriere di ghiaccio si fossero sciolte.

Ma Caspian la trattenne a sé, le braccia che scendevano ad allacciarsi alla vita esile della ragazza, le mani calde sui suoi fianchi. E Siria non ebbe la forza, il masochismo, di tentare ancora di separarsi da quel conforto meraviglioso; si abbandonò di nuovo sul suo petto, restando però appallottolata su sé stessa, gli occhi che si chiudevano nel profumo del principe.

-Io invece penso che non può essere nulla di così terribile, quello che nascondi.- furono le parole calme del principe, un sorriso enigmatico sul viso alla reazione incredibilmente docile di lei. Le accarezzò i lunghi capelli rossi, cullandola appena contro di sé, protettivo.

-Non sai di cosa parli.- la voce di Siria suonò calda e morbida, quasi trasognata, intenerita da quelle attenzioni che – lo aveva capito, ormai – erano in grado di ammorbidirla molto più di tanto altro.

-E’ vero.- annuì, premendo quasi inconsciamente le labbra fra i capelli profumati della giovane, sentendola rabbrividire. Si separò appena da lei, posando l’indice sotto al suo mento sottile, alzandole il volto. Quei due occhioni tormentati, lucidi, brillanti sotto le lingue guizzanti del fuoco, si spostarono imbarazzati nei suoi, scuotendolo dentro, dentro. -Ma so cosa c’è in questi occhi…e in questo cuore.- aggiunse, dopo un istante, sfiorando appena le ciglia di lei con la punta delle dita, il palpito prepotente che vibrava sotto l’altra mano.

-C’è soltanto il vuoto.- e vuota pareva anche la sua voce, le iridi che fuggivano nuovamente da lui. Caspian scosse appena la testa, sorridendo con una punta d’esasperazione nel viso, tanto da attrarre nuovamente quello sguardo complesso nel proprio.

-C’è paura, del vuoto.- la corresse, la guancia bianca che riempiva perfettamente il suo palmo, gli occhi che ardevano. -Sei tutto fuorché arida, Sir. C’è tanto in questi occhi, sono così belli…- la voce del principe si spense per un istante, perdendosi completamente in quei due occhioni immensi, lucidi in quell’attimo soltanto di qualcosa che sentiva bruciare anche dentro di sé.

-Qualunque cosa sia, non riesce ad intaccarli. Hai mai provato a guardarti dentro? Hai gli occhi di una bambina abbandonata, Siria. Se c’è una cosa di cui sono certo, è che tu non sei malvagia.-

Inaspettatamente…Siria sorrise, arrossendo, senza più abbassare lo sguardo di fronte al suo.

-Non dirlo a nessuno. Ho una reputazione da difendere, io.- commentò, piano, sciogliendo la stretta sul proprio petto e posando le manine candide sul collo profumato del principe, sentendolo morbido, invitante, al tocco delle proprie dita.

-Il tuo segreto è al sicuro, con me.- ed i loro volti, a quel sussurro scivolato fra calde labbra sorridenti, si avvicinarono ancora un poco, i respiri che si mischiavano, fuoco e sale, cannella e rosa canina, uniti in una fragranza del tutto nuova, mai sentita davvero. La loro.

Perché non perdersi, in quei baratri neri?

Caldi, vivi, sicuri, le ricordavano l’abbraccio delle notti di luna nuova, quelle notti in cui il suo animo trovava pace, mentre l’astro moriva per poi rinascere nuovamente – specchio della fenice ancora dormiente, latitante sulla terra di Narnia.

Socchiuse appena gli occhi, Siria, senza però abbassare completamente le palpebre. Sapeva che a Caspian piacevano i suoi occhi, e non gli avrebbe mai negato quella vista, non gli avrebbe tolto la possibilità di scorgere in lei tutto quello che non aveva mai nemmeno avuto il coraggio di ammettere, nemmeno a sé stessa...

Sfiorò timidamente la sua guancia, sentendo i polpastrelli punti appena dalla barba non fatta. Sorrise, sentendo il viso accendersi di un rossore del tutto nuovo – adorabile –, le labbra carnose invitanti, schiuse, che con dolcezza sfioravano quelle di lui…

Il tempo non aveva più significato, adesso. C’erano soltanto loro due, il corpo caldo della ragazza accoccolato fra le sue braccia, i loro volti vicini.

C’era soltanto quel timido accenno di bacio, le labbra di Caspian che fremevano per trascinarla via con sé, per travolgerla, per farla sua.

Erano morbide, le labbra di Siria. Morbide, calde, perfette. Lei era morbida, lei scatenava reazioni contrastanti nel suo corpo, travolgendolo con una tempesta di eccitazione e desiderio nello stesso istante in cui la dolcezza voleva prendere il sopravvento, spingerlo a baciarla con tenerezza e stringerla a sé, senza fare altro.

Era così bella…

-E-ehm.- tanto Siria quanto Caspian sobbalzarono di botto, allontanando repentinamente i volti l’uno dall’altro, quando una sonora schiarita di voce spezzò il silenzio ovattato di quel piccolo angolo di foresta.

La rossa alzò lo sguardo, sciogliendo le mani che aveva intrecciato sulla nuca del moro; ed istintivamente tornò a respirare, distinguendo nel ragazzone sopraggiunto non la figura del fratello, bensì quella altrettanto massiccia, molto più benvenuta, di Caleb.

Si era quasi scordata di loro; di lui, di Tara, di Aaron, soltanto Talia sopravviveva in un angolo della sua mente, stanca ma serena, tranquilla. La presenza di Caspian, i suoi gesti, le sue parole, la sua voce…avevano cancellato tutto il resto. Tutto quanto, tranne lui.

-Oh, ho interrotto qualcosa? Come mi dispiace.- il sorriso sarcastico e trionfante del biondo avrebbe dovuto darle sui nervi; in una situazione normale, gli avrebbe sicuramente tirato qualcosa, sicuramente quattro pedate nel sedere.

Ma essere lì, stretta al petto di un Caspian divertito e assolutamente deciso a non lasciarla andare – come se avesse voluto… –, riusciva a raddolcire parti di lei che credeva ormai consolidate nel ghiaccio.

-Hai lo spirito di un buzzurro, davvero.- commentò soltanto, il viso rosso non soltanto per il calore del fuoco. Il biondo si lasciò andare ad una grossa risata tonante, raggiungendoli in poche falcate, inginocchiandosi accanto a loro. Una piccola parte dell’istinto di Siria, quella non ancora irretita del tutto dal bel principe, si accorse dell’assoluta tranquillità con cui il moro interagiva con Caleb; evidentemente, mentre lei era fuori gioco – quanto aveva dormito? –, i due avevano avuto il tempo di conoscersi, almeno un poco.

-Ringrazia che non sia Aaron! Fra un po’ comincerà a fumare, te l’assicuro, non l’ho mai visto tanto incazzato.- ridacchiò ancora il biondo, ignaro delle sue elucubrazioni. Lei si strinse nelle spalle, sorprendendosi di scoprirsi tanto indifferente alla reazione del fratello.

-Gli passerà.- commentò, e Caleb non poté che sorridere, nel vederla nuovamente strusciare il viso sul collo del principe, intrecciare le sue mani con le proprie, cercarlo. Somigliava ad una gattina, in quel momento; una piccola, fulva, arruffata gattina fra le braccia di un ragazzo innamorato.

Alzò gli occhi celesti sul moro, appena in tempo per vedere lo sguardo dolcissimo, protettivo ed anche un po’ ebete, che Caspian stava rivolgendo alla ragazza.

Quei due erano terribilmente belli, insieme. Diversi, certo; come il giorno e la notte, come il fuoco e l’acqua, come la luce ed il buio. Ma insieme, non potevano essere più semplicemente perfetti.

-Mi dispiace, ma devo…- mormorò, e Caspian alzò lo sguardo, annuendo.

-Lo so, non c’è problema.- a malincuore, convincendola con un solo sguardo penetrante, lasciò che Siria scivolasse delicatamente dal suo abbraccio, porgendo un istante più tardi i polsi al ragazzo. Ne fu certo; il lampo negli occhi azzurri di Caleb fu di rimorso, quando dovette serrare nuovamente le sue mani nella trappola delle corde. Non erano più tanto strette, non sfregavano più dolorosamente sulla sua pelle; Cal era molto più delicato di Aaron, nel legarlo.

-Siria?- mormorò il biondo, la voce che tradiva il conflitto inferiore in atto nel suo cuore; non gli sembrava giusto intrappolarlo, costringerlo a vivere come il prigioniero che in effetti era. Ma Aaron era stato irremovibile; poteva anche aver salvato sua sorella – e questo, in effetti, poteva benissimo spiegare l’indulgenza con cui aveva permesso quella vicinanza –, ma il principino doveva essere legato, per sicurezza.

Lei scosse la testa, accoccolandosi con una naturalezza sorprendente vicino a Caspian. Lui sorrise, di nuovo imbambolato, alzando appena il braccio destro e permettendole d’insinuarsi nuovamente nel suo abbraccio. Poco mancava che facesse le fusa, sogghignò Caleb, divertito.

-Io resto qui.- mormorò Siria; mai tre parole furono più inutili.

-Ci lasci in balia dell’Aaron furioso, eh? Grazie, bell’amica.- commentò il biondo ridacchiando, sfiorando appena la zazzera ribelle della rossa con la punta delle dita. Vedere quella piccola peste così serena, così felice, era un qualcosa di inaspettato; inaspettato, ma assolutamente splendido. -Fai la brava.- le sussurrò soltanto, e dopo uno sguardo amichevole verso Caspian, si alzò in piedi e sparì silenziosamente nel bosco, lasciandoli nuovamente soli.

Il principe di Telmar sorrise, spegnendo con un calcio le tremule fiamme poco distanti da loro. Era stanco, terribilmente stanco; se la testardaggine di volersi godere ogni istante insieme a Siria non avesse prevalso, si sarebbe addormentato già diversi minuti prima.

La sentì accoccolarsi meglio contro di lui, e sorrise, permettendosi di nascondere il viso in quel mare rosso in cui si sarebbe volentieri lasciato affogare.

-Mi togli una curiosità?- la sentì sussurrare, il respiro dolce che stuzzicava la pelle sensibile della sua gola. Nel buio, ogni sensazione era amplificata, quasi esagerata; concentrandosi, avrebbe potuto sentire il battito palpitante del cuore di Siria.

-Tutto quello che vuoi.- le rispose, dolcemente, sentendola rilassarsi contro di sé.

-So quello che vuoi fare per Narnia.- non era una domanda, quella mormorata di lei; la lasciò parlare, intuendo che non avesse terminato il discorso. -Sei un Telmarino…perché vuoi salvare una razza ormai agli sgoccioli?-

La risposta gli salì dal petto, istintiva, spontanea.

-Perché è giusto.- replicò fermamente, la voce calda, bassa, ad un millimetro dall’orecchio di lei. La sentì muoversi, tremare un istante, le dita improvvisamente strette sulla sua casacca; poté quasi vederla serrare gli occhi, il visetto di nuovo tormentato, cupo.

-Come fai a sapere cosa è giusto, cos’è sbagliato? Caspian, come fai?- mormorò infatti, la voce spezzata da un fremito, dalla paura. Perché era così facile, per tutti, distinguere quella labile linea fra giusto e sbagliato, quella stessa linea su cui lei indugiava da vent’anni? -Come fai a pensare che salvarmi, oggi, sia stata la cosa giusta?- non riuscì a soffocare quella domanda, quelle parole che rimbombavano nel suo petto da quando si era svegliata.

Avvertì il calore della mano di lui, per quanto possibile, posarsi sulla propria guancia. Le alzò il volto, ed il respiro caldo di lui tornò ad inebriarla, ad accarezzarle il viso, le labbra.

-Me lo ha detto il mio cuore.- Caspian non poté vederla arrossire, per fortuna.

-Il tuo cuore dovrebbe dar retta al cervello, ogni tanto.- commentò, sussurrando, sentendo però il proprio di cuore accelerare bruscamente.

-E il tuo dovrebbe smettere di farlo, invece.- le fece notare il principe, una risata serena che scuoteva per un istante il suo petto. -Siria, se ho fatto davvero una cosa giusta ultimamente è stata proprio prenderti fra le braccia e portarti da Talia, questa mattina. Non penso ti sarei sopravvissuto.-

Per fortuna, per fortuna non poteva vedere i livelli di rossore che stava raggiungendo il suo viso.

-Mao.- mugolò, affondando repentinamente il viso nel collo di lui, strusciando il viso sulla sua pelle.

-Miagoli, adesso?- ridacchiò lui, lasciando che la sua testa trovasse l’incavo della sua spalla, posando il mento fra i suoi capelli.

-Mao.- fu l’assonnata risposta di Siria, gli occhi che si chiudevano appena, la stanchezza che tornava prepotente a farsi sentire.

Caspian sorrise; un sorriso che illuminò, per qualche istante, il buio della notte.

-Buonanotte, gattina.-

-Buonanotte, principino.-

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My Space:

mi sono fatta perdonare, con questo capitolo? Shi? ^______^

Commentino? Commentinocommentinocommentino? *occhi da cucciolo bastonato*








Pubblicità non-molto-occulta:
Ho pubblicato tre one-shot, mi piacerebbe che le leggeste e mi diceste se sono da buttare o no ^^'''
Something was broken.
Non tutte le favole hanno un lieto fine.
Ciao, piccolo mio.

Ci date un'occhiatina? *occhioni da cucciola ancor più bastonata*

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Capitolo 9
*** Desert Rose. ***


Narnia's Rebirth

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Desert Rose - Sting

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Erano passati diversi giorni, ormai. La temperatura era sempre più calda, afosa, il sole non concedeva la minima pietà a quel bizzarro gruppo di viandanti, la marcia sostenuta e costretta a cui Aaron li costringeva tutti stava seriamente mettendo a dura prova la pazienza di Talia.

Aveva discusso, con lui; ricordava bene la lite furibonda avuta con il rosso, mentre Siria e Caspian, finalmente, si godevano un po’ di tempo soltanto per loro.

-Tu non sei sua sorella! Sto soltanto cercando di proteggerla!-

-Allora lasciala amare! Lascia che si renda conto che non è un mostro, Aaron!-

-Non lui! La sta soltanto usando, non lo vedi nemmeno tu?-

-Sei TU ad essere cieco, Aaron! L’ha salvata! L’ha riportata indietro, invece di scappare!-

-Gliene sarò eternamente debitore, ma la cosa non cambia, se lasciamo andare lui siamo condannati a morte tutti quanti.-

Aaron aveva anche ragione, sotto un certo punto di vista. Se avessero lasciato andare Caspian – e con lui, probabilmente, Siria – si sarebbero trovati alle calcagna un quarto dell’immenso esercito di Miraz, sarebbero dovuti scappare come conigli in trappola, tacciati di aver tradito la grande e giusta corona di Telmar.

Caspian però rendeva felice Siria. Li vedeva, li osservava scambiarsi sguardi, mezze parole e palpitanti sorrisi; non riuscivano più a starsi lontani, e Siria non sarebbe certo stata contenta, nel momento in cui sarebbero entrati a Telmar.

Troppi equilibri, troppi equilibrismi.

Lasciarli andare via, ridursi alla macchia, o salvare sé stessi e condannare quel piccolo, insperato, prepotente amore nascente?

Talia sospirò, massaggiandosi le tempie. Si erano accampati, vicino ad un laghetto questa volta: Aaron sonnecchiava, Caleb montava la guardia mentre Tara affilava il suo piccolo pugnale. Caspian, invece, continuava a guardarsi intorno agitato, preoccupato: Siria era sparita da circa mezz’ora, senza dire nulla a nessuno…e già il principino diventa ansioso, costatò l’elfa, divertita.

Bene.

Doveva fare qualcosa.

Si alzò silenziosamente in piedi, facendo cenno al ragazzo di imitarla. Caspian, i polsi legati ma non più assicurati a qualcosa di immobile, la guardò un istante con la confusione scritta nel volto, prima di obbedire ed alzarsi in piedi, le gambe doloranti per le lunghe ore di marcia sostenuta a cui si stavano costringendo.

La mora mosse appena la testa, senza pronunciare alcunché: Caleb seguiva ogni suo movimento con un mezzo sorriso divertito sul volto, Tara nemmeno vi faceva caso. Ma il ragazzone pareva ipnotizzato dalla figura esile e minuta della mezzelfa, dai bagliori del fuoco in quei vigili ed attenti occhi scuri, del riflesso ambrato della sua pelle illuminata dalle fiamme.

Gli rivolse soltanto un occhiolino, Talia, sentendosi avvampare sotto il suo sguardo adorante. Avrebbe dovuto smetterla, Caleb, di guardarla così. Faceva agitare qualcosa sotto la sua pelle, nel suo petto, ed era una sensazione che Talia non conosceva – che la spaventava, ma allo stesso tempo la emozionava come una bambina dinanzi ad un regalo.

Caspian la seguì in silenzio, cercando di non fare il minimo rumore; Aaron dormiva, ed era tutto fuorché ansioso di svegliarlo e sorbirsi le sue occhiatacce, il suo disappunto, la sua gelosia tutta fraterna.

-Talia…?- la chiamò, dopo una manciata di secondi di marcia, confuso. Distinse fra gli alberi il bagliore del riflesso della Luna sull’acqua, e comprese di trovarsi vicino al laghetto nominato poco prima da Caleb.

Con uno dei suoi movimenti impossibili, Talia apparve alle sue spalle, sorridendo.

-Lavati. Non so se te ne sei accorto, ma puzzi parecchio, principino.- gli fece notare, e con uno schiocco le corde che bloccavano i suoi polsi caddero a terra, spezzate. Il principe scosse la testa, divertito, passandosi una mano fra i capelli e voltandosi a guardarla.

-Ma quanto sei gentile.- commentò, ironico, soppesando il sogghigno decisamente poco rassicurante dell’elfa. Aveva sicuramente in mente qualcosa, oramai aveva imparato un minimo a conoscerla.

-Vero? Sono un mostro di delicatezza.- fu la risposta criptica e divertita di Talia, un sopracciglio inarcato e l’espressione ironica sul visetto affilato.

-Non farmi commentare.- ridacchiò il ragazzo, massaggiandosi lentamente i polsi intorpiditi, doloranti.

La risata di Talia fu l’ultima cosa che riuscì ad udire, prima che la sua figuretta minuta scomparisse, portando via con sé il suono gorgogliante delle sue risate.

Scosse nuovamente la testa, socchiudendo gli occhi, sorridendo fra sé. Quella ragazza cominciava seriamente a stargli simpatica, come del resto anche Caleb; non sarebbe dovuto succedere, non avrebbe mai immaginato di potersi affezionare a due persone che lo stavano molto controvoglia conducendo a morte certa.

Del resto…non si sarebbe nemmeno dovuto invaghire di Siria.

No, gli suggerì quella vocina fastidiosa nella sua mente. “Invaghito” non era la parola più giusta, non calzava al sentimento che provava per la bella, tormentata, enigmatica rossa che non riusciva a smettere di rivedere dinanzi ai propri occhi.

Dipendente. No, non era malsano ciò che sentiva.

Malato. Eppure, avrebbe potuto morire di lei, e nessuna fine sarebbe stata più bella…

Innamorato.

Ecco.

Quella, forse, era la parola più giusta.

Sospirò, liberandosi della casacca e dei pantaloni con un gesto stanco, distratto; nemmeno si accorse del gelo di quell’acqua trasparente, quando s’immerse fra i flutti che accolsero immediatamente le sue membra stanche, restituendovi vigore. Si sentì immediatamente meno confuso, meno stanco: l’acqua fredda aveva quel portentoso effetto, su di lui. Fin da bambino, aveva preferito giocare nelle acqua limpide delle fontane del castello, piuttosto che nelle sontuose vasche da bagno preparate dalle nutrici…

Chiuse gli occhi, immergendosi fino alle spalle, lasciando liberi i pensieri di vagare sulla sua bella raminga.

.

.

.

Siria chiuse gli occhi, lasciando che l’acqua scivolasse lenta e carezzevole lungo il suo corpo nudo, flessuoso, immerso nell’acqua limpida fino al ventre. Portò le dita agili alla propria nuca, sciogliendo il nodo in cui aveva trattenuto i capelli fino a quell’istante.

Scivolarono morbidi lungo la sua schiena, subito catturati dai lievi flutti della cascatella; scesero delicati lungo la schiena, velando di striature infuocate la sua pelle, altrimenti candida, fino alle natiche sode, fino alle cosce.

Si era separata dagli altri per concedersi un’oretta di riflessione, di pace in solitudine. L’acqua fredda della cascata portava via con sé le ultime tracce di sangue lasciate dalla ferita oramai rimarginata, il sudore, l’angoscia. E, purtroppo, anche la presenza di Caspian.

Sospirò, chinando il capo in avanti, le lunghe ciocche ramate che scivolavano ad accarezzarle il seno nudo, velandolo di rosso. L’acqua scorreva copiosa sul suo volto, disegnando alla perfezione i suoi lineamenti esotici, felini; sfiorava le palpebre chiuse, intumidiva le labbra rosse.

Caspian.

I suoi pugni, fino a quell’istante abbandonati lungo i fianchi soffici, si strinsero. L’espressione insolitamente serena si contrasse, facendosi istantaneamente ansiosa, preoccupata; stanca.

Era confusa.

No. Non era semplicemente confusa.

Era terribilmente, maledettamente, completamente innamorata.

L’acqua disegnava pietosa sul suo volto quelle lacrime di frustrazione che l’orgoglio le impediva di piangere, mentre il sanguigno cupo dei suoi capelli cadeva a macchiarle le guance perlacee, la fronte, la bocca carnosa.

Non è possibile.

Non può succedere. Non a me, non a lui.

Caspian…

Non riusciva a smettere di pensarlo. Non ci riusciva, era più forte di lei, gli occhi neri e ardenti del principe di Telmar erano impressi a fuoco nella sua anima inquieta, nella sua mente, nel suo stesso respiro.

Il ricordo del sapore forte delle sue labbra non la abbandonava mai; l’irruenza delle loro bocche l’una nell’altra, il tocco deciso di quelle bellissime mani sul corpo…

Un brivido caldo la percorse, dandole la pelle d’oca. Poteva quasi sentire ancora le dita che sfioravano le sue gambe, i suoi fianchi, il suo viso…

Il fuoco sotto la sua pelle, quel fuoco lontano eppure onnipresente, divampò improvvisamente più forte, irradiandosi nel suo corpo con decisione, languendo poi eccitato nel suo sangue.

Siria sospirò, irritata dalle sue stesse reazioni, dai suoi stessi pensieri.

Non aveva mai, mai provato nulla di simile per un uomo.

Non si era mai preoccupata per qualcuno che non appartenesse a quella stretta cerchia di persone che chiamava famiglia. Aaron, Talia, Caleb, Tara e la ninfa…verso di loro era semplice provare affetto, preoccuparsi per la loro incolumità, desiderare di proteggerli fino all’ultimo respiro…

Eppure, e non capiva come, Caspian sembrava aver prepotentemente scavato un proprio posto in quella nicchia ristretta del suo cuore spaventato.

Sì. Aveva paura, Siria, l’indomata raminga di Narnia.

Una tremenda, incredibile paura che a Caspian succedesse qualcosa, un terrore che attanagliava il suo petto già freddo in una morsa senza fine…

-Cosa mi stai facendo, principino?- mormorò fra sé, scuotendo appena il bel capino fradicio.

Un fruscio nell’acqua.

Il fine udito di Siria si allertò all’istante, quando un lieve rumore di acqua smossa la raggiunse, facendola sobbalzare.

C’era qualcuno.

Persa com’era nei suoi pensieri, non si era accorta della presenza di qualcun altro…ed ora, a giudicare dalla vicinanza del rumore quasi inudibile sotto lo scrosciare della cascata, era a meno di un metro da lei.

D’istinto, le sue dita si allacciarono all’elsa del pugnale d’argento, dalla lama ricurva e affilata, che aveva in precedenza posato sulle rocce di fronte a lei. Non se ne separava mai; non era mai completamente disarmata, la mercenaria.

Ogni singolo muscolo del suo corpo si tese, quando la mano armata salì a proteggerle la gola; tutti i sensi erano all’erta, il respiro talmente flebile da sembrare fermo.

Era lì, vicinissimo a lei, nuda e vulnerabile sotto l’acqua scrosciante della cascata…

Tre…

Due…

Uno.

.

L’acqua schizzò la lama d’argento, quando sibilò rapida e mortale verso la gola dello sconosciuto alle sue spalle.

Ma gli occhi blu mare di Siria sgranarono improvvisamente, quando sottili dita incredibilmente forti si serrarono intorno al suo polso, fermandola appena prima che riuscisse ad affondare.

La lama era immobile, ora.

Ferma, immota a pochi centimetri da una gola maschile, sensuale…perfetta.

Il cuore della rossa sobbalzò; letteralmente, sussultò nel suo petto, dandole un capogiro, quando alzando stupefatta lo sguardo, le sue iridi chiare si persero in due ardenti carboni color pece.

Caspian.

Le sue guance candide avvamparono di botto, quando lo riconobbe.

Caspian era lì, a poco più di una spanna dal suo corpo nudo.

Il suo sguardo era penetrante, indecifrabile, affondava in lei con una prepotenza che Siria non aveva mai subito, mai provato, scatenando un brivido che percorse il suo corpo dalla nuca, ai piedi.

Il suo calore, la sua stessa presenza…parvero riscaldare l’acqua fredda che scrosciava alle sue spalle, mentre la sua pelle sembrava prendere fuoco, il volto acceso da un imbarazzo mai provato prima.

La nudità non l’aveva mai imbarazzata…eppure, di fronte a quelle iridi profonde e scaltre come non ne aveva mai incontrate, provò l’improvviso desiderio di coprirsi, immerita di essere guardata da lui, imperfetta, sbagliata, un errore terribile che viveva per puro dispetto.

Deglutì, la ragazza, il respiro corto, l’espressione allarmata e confusa.

Cosa…cosa ci fai qui?

Perché sei qui, Caspian?

Vai via…stammi lontano…ti prego…

Non costringermi, ti scongiuro, vattene.

Era immobile, il suo polso serrato nella mano. Le labbra rosee e allungate nel suo volto erano appena schiuse, il viso levigato accarezzato dalle gocce d’acqua che schizzavano, come invisibili dita d’amanti, dalla cascata.

Sussultò, Siria, quando si accorse che nulla velava il torace del ragazzo dinanzi a lei.

Nulla.

Sentì il fiato mozzarsi, quando i suoi occhi scesero irreversibilmente sul petto del giovane principe. Il corpo di Caspian era slanciato, alto e snello, i pettorali ampi e scolpiti nella sua pelle chiara, le spalle grandi e nodose, le braccia dai muscoli affusolati in tensione, il ventre appena scolpito.

Avvertì un languore, fra le labbra, quando, nella penombra regalata dalla luce della Luna, distinse le linee marcate del suo torace, dei fianchi asciutti. Avrebbe voluto sfiorarlo, baciare ogni singolo millimetro di quel corpo che non poteva definire diversamente che perfetto, raggiungere la marcata linea dell’inguine che spariva oltre l’acqua cristallina, trasparente…

Siria rialzò repentinamente lo sguardo, richiamata come un magnete dal suo opposto, da quelle pozze nere, da quegli sprazzi d’universo ardente.

Sentiva quegli occhi trafiggerla, attraversarla…mai, mai nessuno l’aveva guardata come faceva lui.

Desiderava soltanto che quegli occhi non si spostassero mai, che continuassero a bearsi di ogni singolo dettaglio di lei, a farla sentire desiderata, bramata come mai prima d’allora, come se non fosse la feccia che era ma qualcosa di bello, di desiderabile…qualcosa, qualcuno, da amare.

Nessuno dei due pareva voler spezzare quell’attimo, il cristallino silenzio spezzato soltanto dagli educati, sommessi zampilli della cascata.

Eppure, entrambi bramavano di affondare le dita fra i capelli dell’altro, di sfiorarsi a vicenda, di trovare, finalmente, sé stessi

Caspian allentò delicatamente la presa sul polso della giovane, senza abbandonare nemmeno per un istante quei due specchi blu, illuminati dal riflesso della Luna, alta nel cielo.

Era…era bellissima.

I capelli bagnati avvolgevano tutto il suo corpo, velandolo appena dal suo sguardo. Scendevano sinuosi sulle spalle sottili, sulla scollatura, aderivano perfettamente ai seni bianchi ed invitanti a poco più di qualche centimetro dal suo petto, accarezzandola poi sinuosi sul ventre morbido, sui fianchi che attendevano soltanto di essere stretti dalle sue mani…

Ed il volto, il volto di lei lo aveva stregato. Quei lineamenti affilati, eppure allo stesso tempo morbidi e delicati, erano diventati una droga, un’ossessione da cui non poteva – non voleva – più fuggire…così come gli occhi, quei due baratri cacofonia di una miriade di emozioni diverse, che spaventati, paurosi, speranzosi, lo guardavano.

Lentamente, le sue dita abbandonarono il polso di Siria, che rimase immobile, la mano ancora armata adagiata nell’aria.

Sfiorando appena la sua pelle, lasciò scivolare le dita sul suo palmo, avvolgendole intorno all’elsa del pugnale. Siria non reagì nemmeno, gli occhioni ancora perdutamente abbandonati in quelli del principe, quando le sfilarono l’arma dalla mano, disarmandola.

L’istante più tardi, avvertì nelle orecchie il suono attutito del metallo caduto in acqua.

Nuda.

Ecco come si sentiva adesso.

Nuda, completamente priva anche dell’ultima, magra difesa ersa intorno al suo cuore impazzito.

Caspian intrecciò le dita alle sue, le palpebre che non osavano spezzare il loro sguardo, le mani ruvide, eppure incredibilmente soffici ed eleganti. Stordita, Siria lasciò che guidasse la sua mano sul proprio petto…là, dove batteva il suo cuore.

Sgranò gli occhi, spostandoli repentinamente sulla pelle chiara del giovane. Là, sotto le dita, poteva sentire un battito prepotente, rapido, lo avvertiva come se fosse parte di sé, come se fra la mano del principe e il suo torace non vi fosse altro che una sua parte…lei.

Avvertì il proprio cuore assumere gradualmente lo stesso ritmo, accordandosi alle pulsazioni rapide ed emozionate del principe. Quel principe che dinanzi a lei non voleva scappare, che era lì non per qualche malia, per qualche giochetto di sguardi e sensualità…che era lì per lei.

Non avrebbe mai pensato di poter essere così importante per qualcuno…non tanto da far accelerare un cuore in quel modo.

Dolcemente, l’altra mano del principe le sfiorò il fianco, sentendola fresca e morbida, umida sotto le dita. La avvicinò a sé con dolcezza, lasciando che i loro corpi, nudi, si sfiorassero appena. Timidi, esitanti, ma allo stesso tempo frementi d’attesa, quell’attesa durata per due vite, due strade destinate a intrecciarsi.

Uno di fronte all’altra, l’acqua che scivolava improvvisamente silenziosa su di loro.

.

Blu contro nero.

Mare contro onice.

Ghiaccio contro carbone.

.

Fu il gesto più semplice, ma allo stesso tempo il più difficile della sua giovane vita, chinare il volto su di lei, il respiro delizioso della ragazza che si mischiava al proprio, e posare le labbra trepidanti sulle sue.

Gli occhioni di Siria sgranarono, a quel gesto.

Caspian…Caspian la stava baciando.

Caspian era lì, Caspian la sfiorava, Caspian la stringeva…

Ma il terrore era prepotente, troppo prepotente. Quelle labbra erano soffici, calde, premevano sulle sue con una dolcezza mai provata…ma temeva, Siria, che quell’istante potesse spezzarsi, che il suo cuore, quel cuore che batteva forsennato nel suo petto, rischiasse di essere frantumato per l’ultima volta…

Aveva paura.

Paura di toccarlo, paura di ricambiare quel bacio delicato che non aveva davvero assaporato appieno…aveva paura di amarlo, e di lasciarsi amare.

Rimase immobile, rimase passiva, soltanto le palpebre si abbassarono lente, celando il fuoco trattenuto nelle sue iridi.

Ma quel bacio, quella dolcezza, non si fermò.

Caspian comprese la sua esitazione, il fremito che aveva attraversato il suo corpo. Avvertì le sue dita stringersi sul suo petto, senza allontanarlo, tremando di quel terrore che era riuscito a scorgere in lei.

Era spaventata…riuscì a capirlo in quello stesso istante, quando l’altra mano della ragazza cercò la sua, avvertendo le labbra tremare, appena schiuse…

Siria, non temere…Siria guardami, sono io, sono Caspian, non ti farò del male.

Se Siria fosse scappata, se avesse ceduto alla paura…

Ho paura Caspian…ho paura di quello che mi stai facendo…

Quanto, quanto avrebbe desiderato fuggire, allontanarsi da lui e da quella bocca che bruciava sulla sua, invitante e proibita. Lei non poteva, lei non amava, lei era destinata a morire il più presto possibile…

Ed eccola, finalmente, quella risposta che il principe tanto aspettava.

Le dita affusolate di Siria risalirono con decisione il suo petto, affondando fra i capelli bagnati sulla sua nuca, provocandogli un intenso brivido di piacere lungo la spina dorsale. Le labbra invitanti della rossa si schiusero appena, la lingua timida che sfiorava, cercava, assaporava quelle di lui.

Soltanto Caspian sapeva quanto le fosse costato, quel gesto. Lasciarsi andare…abbandonarsi a lui…

Sorrise, il principe, inclinando con dolcezza il capo e lasciandosi completamente travolgere da quella bocca, da quel profumo, da quel respiro.

Allacciò fermamente le mani intorno alla vita nuda di lei, stringendola a sé, lasciando che dolcemente i loro corpi s’incontrassero, si premessero l’uno sull’altro.

E per ogni curva, per ogni rotondità di lei, c’era un angolo di lui.

Le lingue giocano, le lingue danzano.

Caspian lasciò scorrere le mani sulla schiena della ragazza, fra i capelli rossi, fradici, scendendo lentamente, coi polpastrelli, lungo la spina dorsale ben marcata, definita. La toccava con dolcezza, con rispetto, con infinito desiderio di far suo ogni millimetro di quel corpo, di quel cuore, di quell’anima.

E Siria non poté far altro che lasciarsi trascinare via, abbandonandosi completamente nel calore di quelle braccia.

Sentiva la linea nodosa delle spalle delinearsi sotto le dita candide, i capelli scuri accarezzarle il dorso delle mani, il torace nudo premere sui seni…

Il bacio si spezzò improvvisamente, i respiri corti, affannati, i polmoni in fiamme, gli occhi che si cercavano.

Ed erano luminosi, rapiti, gli occhi di lei; perduti, in quei baratri neri ed infuocati. Siria lo guardava come non aveva mai fatto, come non aveva mai adorato – non c’era altra definizione possibile – nessun altro nella sua vita. C’era soltanto amore, in quegli occhi enigmatici. Passione, sentimento, desiderio…desiderio di appartenergli, di essere sua.

Soltanto, solamente, sua.

Un lieve sorriso comparve sulle labbra di Caspian, un sorriso imbambolato, completamente ammaliato da ciò che riusciva a distinguere in quei due frammenti d’oceano. Le scostò delicatamente una ciocca di capelli dalla guancia, raccogliendoli dietro l’orecchio candido, soffice.

Siria inclinò appena il capo, seguendo l’onda della sua carezza, gli zampilli argentati della cascata che creavano sulle loro pelli strani giochi di luce e di ombra, giocando con i raggi della Luna che fendevano il cristallo trasparente dell’acqua limpida.

Fu lei a sorridergli di rimando, il cuore che palpitava nel suo petto. Fu lei ad accarezzargli il volto, avvicinandosi di nuovo, lasciando che le loro bocche si trovassero ancora.

Nuovi sospiri riempirono il silenzio ovattato della cascatella, quando a quel nuovo bacio ne seguirono altri, molti altri.

Le mani si cercano, i corpi si trovano.

Un nuovo brivido attraversò il corpo del principe, quando il viso della rossa si nascose repentinamente nell’incavo del suo collo. Quelle labbra…quelle labbra potevano farlo impazzire, percorrevano con una lentezza esasperante le linee marcate della sua gola, catturando il pomo d’Adamo in un bacio più pressante, una dolcezza mai vissuta in ogni singolo gesto.

Il suo respiro si fece irregolare, più rapido. Premette la guancia contro la tempia della ragazza, affondando le dita fra i suoi capelli, chiudendo gli occhi e lasciandole completa libertà in quel punto estremamente sensibile.

Siria chiuse gli occhi, abbandonando il viso in quel rifugio caldo, sicuro, perfetto. Non si sarebbe più mossa da quel punto, si disse, premendo la fronte contro la pelle calda e soffice della gola del principe, lasciando una miriade di piccoli baci su quel collo perfetto. Avrebbe combattuto strenuamente, avrebbe fatto qualsiasi cosa.

Ma non si sarebbe più separata da lui.

-Ti fidi di me?- il sussurro di Caspian la fece sobbalzare, il respiro caldo che solleticava il suo orecchio.

Alzò lo sguardo, rabbrividendo per l’ennesima volta sotto quello sguardo scuro, caldo, denso di sentimenti che non avrebbe mai potuto sperare di scorgervi.

Si fidava di lui? Lei, che mai nella sua vita si era data incondizionatamente a qualcuno, donando la propria fiducia e il proprio cuore, lasciandosi scoprire fino a quell’anima che non credeva di possedere più?

La risposta era una. Una soltanto.

Semplicemente, sorridendo appena, annuì.

Ed il suo sorriso si riflesse istantaneamente sul viso di Caspian, che chinò ancora una volta il viso su quello di lei, lasciando che in quello spazio nullo fra loro si consumasse un nuovo, dolcissimo bacio.

Senza che lei se ne accorgesse, rapita com’era dalle sue labbra, lasciò scivolare una mano lungo il suo corpo, sotto le ginocchia, prendendola in braccio prim’ancora di capire lui stesso ciò che stava facendo.

Una sensazione mai provata, uno sconosciuto calore nel petto, il cuore che batteva forte.

Lì, fra le sue braccia, per la prima volta nella sua vita, Siria si sentì al sicuro.

Si aggrappò alle sue spalle, circondandogli la schiena in un abbraccio spaventato, stretto, gelato; affondò il volto nell’incavo del suo petto, rannicchiandovisi contro come una bambina terrorizzata…come la donna sola che era.

Sorrise, Caspian, stringendola con più forza al proprio corpo, inclinando appena la testa per permetterle di seppellire il volto nella sua spalla, posando con delicatezza le labbra sulla sua guancia levigata, candida. Gli occhi socchiusi, il sorriso indulgente sul volto, nell’avvertire la sua pelle ardere improvvisamente.

Soffice.

Non avrebbe mai nemmeno sognato di poter assaporare quella morbidezza sotto il suo tocco, quel profumo di selvatico e di fuoco, quella fiamma che languiva eccitata nel sangue di entrambi, quel rogo che minacciava di distruggerli, di bruciarli in una passione fin troppo trattenuta.

Chiuse gli occhi, Siria, soltanto per un istante. Il profumo di Caspian le entrava nella mente, la accarezzava, la riempiva come mai nulla era riuscito a fare…

L’odore dell’erba alta si mischiò lentamente a quella fragranza, quando i delicati fili verdeggianti accarezzarono la sua schiena, solleticandola. Riaprì gli occhi, sorpresa, desiderando di vedere dove l’aveva portata, il corpo che si adagiava lentamente sulla terra. Ma il volto di Caspian catturò immediatamente la sua attenzione, a pochi palmi di distanza dal suo, gli occhi neri ardenti del fuoco che bruciava nelle sue vene.

I capelli rossi erano sparsi sull’erba, un mare di fuoco in cui affondare, annegare; quegli occhioni si spostarono nei suoi, lucidi, belli, vivi come non li aveva mai visti.

Non servirono parole, non servì nulla. Semplicemente, le sorrise, lasciando che le loro dita s’intrecciassero, e Siria lo traesse a sé.

Fu quando le loro labbra si trovarono ancora, ed il suo corpo snello si adagiò su quello sinuoso di Siria, che Caspian comprese che non avrebbe più potuto fare a meno di lei.

Non erano più esitanti, le loro bocche; si schiusero naturalmente, come se fosse un qualcosa di conosciuto, di amato, di aspettato, le lingue che andavano a cercarsi freneticamente, bramose.

Non più un pensiero, non più una paura.

Dita che affondavano fra crini scuri, occhi neri che si schiudevano appena, trovando il proprio riflesso in frammenti di mare.

Siria sorrise, lievemente, sentendosi andare a fuoco sotto di lui. Era tutto così perfetto…era tutto semplicemente perfetto.

Lo baciò ancora, ancora ed ancora, quando le loro bocche dovettero lasciarsi in cerca di ossigeno. Baciò quel sorriso che sentiva nascere sul volto del ragazzo, le dita affusolate che accarezzavano la sua nuca, portandola ancor più verso di sé, baciò quelle labbra da cui sentiva di dipendere, drogata dalla pace e dal desiderio che scatenavano nel suo cuore.

Più bramoso di lei, Caspian le spinse nuovamente la lingua fra le labbra, baciandola con impeto, con forza. Lasciò scivolare le dita lungo il suo collo, sulla spalla morbida, sulla clavicola ben esposta; avrebbe voluto baciare ogni singolo millimetro di quel corpo pieno di curve, amarle, venerarle, udire nelle orecchie i sospiri innamorati di lei…

L’ennesimo bacio si spezzò nuovamente, quando la bocca del principe scese sulla sua gola, lambendo quello stesso segno ancora vivido che lui stesso aveva lasciato. Vi passò la lingua con dolcezza, le labbra, vezzeggiando quel marchio che aveva osato martoriare la pelle di panna di Siria, avvertendo le dita di lei stringersi fra i suoi capelli – un tocco afrodisiaco, che lo spinse a scendere ancora di più, appropriandosi di quella clavicola che aveva accarezzato, sentendo Siria fremere.

Fu il sospiro che sfuggì dalle labbra rosee della ragazza, il suo volto sereno, docile, completamente fiducioso, a spezzare anche l’ultima barriera che lo tratteneva.

La baciò di nuovo sulle labbra, e ancora, e ancora, percorrendone ogni millimetro, sentendo lei rispondergli con eguale desiderio. E quelle curve si modellavano sotto di lui, soltanto per lui, le dita che delicate, ma allo stesso tempo esigenti, ne percorrevano ogni millimetro.

Affondò la bocca sul suo seno, nello stesso istante in cui la mano si chiudeva sull’altro.

La schiena di Sir s’inarcò improvvisamente, quando la sua lingua la sfiorò con delicatezza, facendo suo il sapore di quella pelle morbida, terribilmente calda, invitante. Sentì il suo bacino muoversi verso il proprio, ed inconsciamente rispose a quel gesto, spingendosi e lasciando che le loro intimità nude, ma non ancora unite, si premessero l’una sull’altra.

-Caspian…- un mugolio le sfuggì, quando si sentì così vicina a lui, quando avvertì tangibile il suo desiderio. Avrebbe potuto prenderla subito, soddisfacendo la brama del proprio corpo…ed invece la stava vezzeggiando, stava lentamente lasciando che la sua mente si scollegasse, impazzisse del tutto, annegata in quel bisogno sempre più martellante di appartenergli.

-Caspian…- un sussurro ancora più strozzato, gli occhi serrati, le unghie che graffiavano la schiena del ragazzo; dita perse nella sua pelle più nascosta, fra curve che appartenevano soltanto a lei, sfiorando quell’anima che credeva di non possedere più. Era pronta, aspettava soltanto che Caspian la rendesse sua, sua come non era mai appartenuta a nessuno.

Aveva avuto tanti amanti; non era un segreto, per nessuno. Ma ciò che nemmeno suo fratello o Talia sapevano, che soltanto Caleb aveva intuito, era che Siria si era sempre lasciata soddisfare, e soddisfacendo a sua volta, senza lasciarsi prendere.

Ma in quell’istante…in quel momento, seppe che non sarebbe mai appartenuta a nessun altro. Seppe che il suo corpo ed il suo cuore erano già di Caspian, così com’era ben conscia che quel battito forsennato nel petto di lui – quel petto che accarezzava, che vezzeggiava, che venerava con carezze di una dolcezza mai cercata – era soltanto per lei.

Si era sempre considerata un errore…ma in quel momento, comprese che, per lui, era semplicemente perfetta.

Caspian alzò il volto, guardandola sospirare per lui, soltanto per lui; gli occhioni blu erano dischiusi, lo cercavano, lo guardavano con una luce che non aveva mai scorto in nessuno…quella stessa luce che avvertiva ardere nei propri.

-Siria…- mormorò, pianissimo, baciandola ancora a fior di labbra. Avrebbe ripetuto il suo nome per sempre, per ogni singolo secondo in cui il suo cuore avrebbe battuto forte come in quell’attimo, innamorato come in quel momento.

Le loro labbra si sciolsero in un bacio lungo, appassionato, coinvolgente, la pelle di lei che avvampava sotto le dita che, sapienti, l’accarezzavano. Coglievano un fiore, quelle dita sottili. Un fiore che lentamente si schiudeva nel ventre della giovane, un fiore scarlatto che soltanto lui poteva cogliere, assaporare.

Gli occhioni blu tornarono a guardarlo, gemme splendenti nel cuore della notte, mentre lentamente permetteva ai loro corpi di diventare uno soltanto.

Caspian avvertì un violento fremito attraversarla, vide gli occhioni serrarsi improvvisamente.

Tremava.

Tremava, ma non di freddo.

Si mosse lento, fin troppo, avvertendo il suo corpo fremere spaventato nel sentirsi unire al suo. Soltanto quando avvertì una resistenza improvvisa, i suoi occhi nerissimi sgranarono e la sua mente comprese.

Mia.

Era…non era mai stata di nessuno. Mai, lo sentiva dal suo corpo, dal suo respiro irregolare, dalle unghie che graffiavano debolmente le sue spalle.

Ed ora si stava donando a lui…

Sentì il cuore accelerare, farsi martellante, a quel pensiero.

Si stava dando a lui.

Senza remore, senza inibizioni, senza paure.

Mia.

E fece l’unica cosa possibile, ciò che, lo sapeva, avrebbe permesso al suo corpo di adattarsi a sé; ciò che avrebbe cancellato il dolore dal suo volto splendido ora contratto.

Spinse; e in un’unica spinta, sentì lacerarsi e crollare quell’ultima resistenza involontaria, un urlo subito soffocato dai suoi baci sfuggire dalle labbra di Siria.

La vide gemere, serrare le labbra e le palpebre, le unghie che graffiavano i suoi fianchi, la schiena. Le accarezzò il viso, confortandola, baciando tante volte quelle labbra gonfie con dolcezza, con amore.

-Adesso passa…- le sussurrò, piano, passandole una mano sulla schiena e stringendola di più a sé, muovendo con delicatezza il bacino per permetterle di abituarsi alla sua intrusione. No, presenza.

Non c’era niente, niente di sbagliato in tutto quello che stava accadendo…nel suono dei sospiri tremanti di Siria nelle orecchie, del suo corpo caldo e fremente sotto al proprio, dentro di lei. Uniti, in una cosa soltanto.

Le cosce di lei si strinsero intorno ai suoi fianchi, avvertì i suoi muscoli cedere appena, rilassarsi. Gli occhi blu si schiusero dopo quella che gli era parsa un’eternità, lucidi, ardenti, imbarazzati, vividi, una miriade di sensazioni diverse che animavano quei due sprazzi di cielo.

E poi semplicemente Siria alzò il volto, andando a catturare di nuovo le sue labbra, quel sapore da cui ormai sapeva di dipendere, affondando una mano fra i suoi capelli scurissimi, lasciando che il dolore svanisse ed il suo corpo si modellasse insieme a quello di Caspian.

Bastò questo. Bastò soltanto questo, perché entrambi si lasciassero travolgere da quel sentimento che ormai li legava. Indissolubilmente.

Una spinta.

I corpi che si muovono insieme, in una danza tutta loro.

Era bella. Cielo, quant’era bella, in quel momento.

Un sospiro. Labbra che mordono, dita che esplorano, accarezzano, graffiano.

E il suo corpo che danzava. Che ballava per lui, che si fondeva e si lasciava modellare come creta sotto le sue mani, morendo per rinascere nuova, viva, completa.

Occhi negli occhi, blu contro nero.

Come poteva saziarsi di guardarla?

Le mani correvano sui corpi di entrambi, sfiorandosi, intrecciandosi per poi riprendere ad esplorarsi. I respiri si mischiavano, gli sguardi si rincorrevano l’uno nell’altro.

Il lieve dondolio dei loro corpi si fece più profondo, più intenso.

Sempre di più, dentro di lei, fino a sfiorarle l’anima.

Quella era magia.

Quella era l’unica magia che Siria avrebbe desiderato vivere per sempre, che sperava di poter racchiudere dentro di sé, trattenendola nel proprio cuore, nel proprio corpo. Un corpo che non era più soltanto suo, un corpo che era un’unica cosa con lui, con Caspian.

Un nuovo bacio li travolse, bevendo ognuno il respiro dell’altro, le lingue che freneticamente si cercavano, allacciandosi, intrecciandosi.

E la notte, educata, smise di spiare quel caldo abbraccio da cui nessuno dei due si sarebbe separato tanto presto.

.

.

.

Più tardi.

Niente.

Non c’era niente, nella sua mente, se non una meravigliosa sensazione di pace. Non c’era paura, non c’era ansia, non c’era tensione. Vi languiva soltanto un’estrema dolcezza, un respiro caldo, il battito lento e profondo di un cuore innamorato.

Caspian riaprì gli occhi, dopo qualche attimo durato in eterno. E sorrise, non poté impedire alla sua stessa serenità di dipingersi sul proprio volto, quando i suoi occhi incontrarono i rami fruscianti di un salice, ed il suo corpo percepì distintamente la presenza calda e soffice accanto a sé.

Siria.

Era stata sua. Era sua.

Pareva incredibile che fosse passata soltanto mezz’ora, un’ora…gli sembrava di aver vissuto una vita intera, facendo l’amore con lei, quella notte.

La guardò abbandonarsi docilmente al sonno, rannicchiata contro di lui, una mano affondata fra i suoi capelli e l’altra intrecciata alla sua, le dita affusolate abbandonate con grazia fra le proprie.

Il suo visino era rilassato, il corpo morbido e caldo era premuto sul suo.

Come sei bella, Siria.

Distrattamente, con la mano libera, cominciò ad accarezzarle la schiena, sentendola sospirare di piacere e stringersi ancora più a lui, il volto sul suo torace.

Mia.

Fu in quell’istante, quando quella parola risuonò prepotentemente nel suo cuore, che notò un dettaglio ancora non visto.

Avvertì sotto le dita tracciarsi un disegno, un rilievo delicato che premeva sui suoi polpastrelli come il segno di una cicatrice. Cautamente, usando la massima accortezza per non svegliarla, si voltò verso di lei e si sporse appena oltre la sua spalla, incuriosito.

Ciò che vide, lo lasciò letteralmente senza fiato.

Sulla schiena della ragazza, docilmente addormentata sul suo fianco, riposava placida una creatura di cui Caspian aveva soltanto sentito parlare, dai racconti di Cornelius; un magnifico uccello dal piumaggio evanescente, tendente dal sanguigno al dorato, un manto meraviglioso che in delicati intrecci andava a disegnare ogni millimetro della pelle candida di Siria.

Una fenice dormiente, la cui bella testa si posava sulla spalla della giovane.

Rimase a osservare quel tatuaggio, incantato, per quelle che gli parvero ore. Non avrebbe mai potuto pensare ad un qualcosa di più perfetto per la ragazza che riposava accoccolata fra le sue braccia, il viso che andava a trovare l’incavo perfetto fra la sua spalla ed il collo, le mani affusolate che accarezzavano il suo torace, nel sonno.

Soltanto ad un sospiro appena più pesante di lei, un lieve arricciarsi delle sue labbra, si riscosse. Siria, probabilmente, si era accorta della tensione inevitabile del suo corpo ancora sveglio.

Sorrise, accarezzandole la nuca, il collo, la guancia; lei si rilassò quasi immediatamente, stringendosi subito a lui ed affondando il volto sul suo torace, cingendo i fianchi asciutti del principe con un braccio.

Mia.

Ne era certo.

A nessuno, mai, Siria aveva permesso di arrivare dove lui aveva deciso di essere.

Le passò un braccio sulla schiena, dolcemente, andando a velare la fenice nel proprio abbraccio e stringendola a sé, abbandonando il volto fra i crini profumati della rossa.

Il corpo di Siria era caldo, morbido. Sentiva che avrebbe potuto fermarsi lì, con lei fra le braccia finalmente serena, spogliata delle sue paure, finalmente sua, e lasciare che il mondo finisse pure per distruggersi.

Non gli interessava altro.

Chiuse gli occhi, inspirando quel profumo controverso, dolce e forte, passionale e delicato al contempo, capace di eccitarlo quanto di irretire ogni suo senso.

Il suo ultimo pensiero, prima che il buio calasse sui suoi occhi d’onice, fu uno soltanto.

Siria.

.

.

.

.

.

.

My Space:

sì, lo so, sono tremendamente carini *.* sono innamorata persa di questi due ragazzi, ma tanto tanto *.* <3<3<3

Il tatuaggio di Siria potete immaginarlo così:


Alchemia [Contatta] Segnala violazione
04/05/10, ore 22:09 - Capitolo 8: Bittersweet
oramai le tue faccine sono storiche xD tranzolla, tanto tu mi commenti sempre via msn, quindi ho ben precisa l'idea che hai di questa storia e di questo capitolo in particolare ^^'
Micky596 [Contatta] Segnala violazione
02/05/10, ore 16:28 - Capitolo 8: Bittersweet
Oddio, grazie mille per i complimenti *.* fanno un immenso piacere, anche se non credo di meritarmeli tutti. Siria è un personaggio polimorfo, tanto duro quanto fragile...è molto bella da descrivere e caratterizzare ^^ spero che questo capitolo ti piaccia, francamente è il mio preferito in assoluto. Grazie ^^
MarziaIrish [Contatta] Segnala violazione
02/05/10, ore 02:15 - Capitolo 8: Bittersweet
Io non tratto male peter, è lui che mi costringe a farlo xD ha la faccia da uno da picchiare U.U spero che questo capitolo riesca a emozionarti, io lo adoro, personalmente ^^
brillina [Contatta] Segnala violazione
29/04/10, ore 23:55 - Capitolo 8: Bittersweet
Caspian è coccolo tanto *-* spero che anche in questo capitolo ti piaccia, io personalmente lo amo alla follia *-* <3
romina75 [Contatta] Segnala violazione
28/04/10, ore 18:42 - Capitolo 8: Bittersweet
Aaron avrà il suo bel daffare, presto xD Siria e Caspian, aw *-* quanto sono belli *-* non ti preoccupare, sto bene davvero, è un periodo meno nero dei precedenti ^^ un bacione cara! <3

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Capitolo 10
*** Mother Earth. ***


Mother EarthWithin Temptation

Un’altra pausa. L’ennesima.

Susan sospirò, palesemente scocciata. Quelle continue soste, troppe per i suoi gusti, non facevano altro che innervosirla ancor di più; il castello di Miraz era ancora lontano, troppo lontano, e quei mercenari che stavano inseguendo sicuramente erano già arrivati a destinazione, condannando la loro caccia ad un misero fallimento. Erano in viaggio da troppi giorni, da troppe settimane, ormai. Non avrebbe accettato di lasciar morire un innocente soltanto per le pretese di suo fratello, o di quella Naiade.

Quella ninfa che non le piaceva, non le piaceva minimamente; non aveva dimenticato l’accaduto, con quella – ne era sicura – donna che aveva colpito nella foresta. Shaylee aveva finto di non conoscerla, era stata brava; ma Susan aveva scorto capelli rossi, folti, e una figura sicuramente umana che non poteva non appartenere alla mercenaria descritta dal martin pescatore.

Siria

Non ne era sicura, ma quel nome non le piaceva. Portava con sé un alone di disgrazie, di preoccupazioni, di dilemmi uno dopo l’altro. La sparizione del principe era causa sua, la partecipazione quasi forzata della ninfa a quella marcia era sicuramente legata a lei; non l’avrebbe sorpresa minimamente, scoprire che la Naiade era in qualche modo legata alla rapitrice.

Ogni volta che tentava di parlarle di quell’argomento – come poi su qualsiasi argomento –, Shaylee diventava se possibile ancor più scostante e misteriosa, regalando alla Regina soltanto sguardi gelidi e, a meno che il suo intuito non sbagliasse, astiosi.

Oh, sì. Shaylee li odiava. Tutti e quattro. Forse, faceva soltanto eccezione per la piccola Lucy, con cui più di una volta l’aveva vista scambiare qualche parola, qualche mezzo sorriso tirato in quel volto enigmatico.

-Un penny per i tuoi pensieri.- la voce calda e tranquilla di suo fratello, alle sue spalle, la fece sobbalzare. Susan si voltò di scatto, nervosamente, scoccandogli un’occhiataccia per nulla efficace.

-Sto…ragionando, Peter. Cosa che tu non fai mai.- lo punzecchiò; lo conosceva, lo conosceva meglio di quanto lui stesso credesse. Per allontanarlo dai propri pensieri, bastava colpirlo là dove Peter era più sensibile, vulnerabile; nel suo incrollabile, fragile, saccente orgoglio di Re.

-Quanto siamo acide, sorellina…- la punzecchiò lui di rimando, guadagnandosi un’altra smorfia offesa. Quei battibecchi erano all’ordine del giorno, fra loro; nessuno dei due l’avrebbe mai ammesso, ma ad entrambi quegli scontri erano familiari, cari, un’impronta di quotidianità in una situazione del tutto ribaltata.

-Vorrei soltanto ripartire.- sospirò la Regina, scostando i lunghi capelli castani dal viso, raccogliendoli dietro l’orecchio sinistro. Peter annuì, indulgente; sua sorella non aveva tutti i torti, erano parecchio distanti ancora per ritenersi soddisfatti.

Si guardò intorno, pensieroso, cercando la figura inconfondibile della loro guida.

Shaylee aveva sempre insistito per fermarsi vicino agli specchi d’acqua; un laghetto, in questo caso, era stato il rifugio perfetto per quella notte. Poteva benissimo immaginare dove trovarla, dove andarla a cercare; e così sembrava pensarla Lucy, che accanto alla sorella dava evidenti segni di allegria a stento repressa.

-Vieni, andiamo a cercarla.- le disse soltanto, con un sorriso, tendendole la mano. Un istante più tardi, la sorellina era già al suo fianco, un sorrisone da orecchio a orecchio stampato sul visino chiaro, negli occhioni celesti.

-Secondo te cosa fa tutto il tempo da sola?- domandò Lucy, tra il curioso e il preoccupato, lasciandosi guidare dal fratello che tanto adorava. Lo osservò mentre le rispondeva, percependo le sue parole, senza assimilarle del tutto...lo studiò con attenzione: Peter era tormentato... e nei suoi occhi ormai da un anno non riusciva più a scorgere quella meravigliosa luce cristallina che li aveva sempre contraddistinti. A Londra non lo riconosceva da mesi: sempre teso, sempre arrabbiato..mai un secondo sereno. Un piccolo cambiamento l'aveva scorto una volta tornati a Narnia, una luce antica, conosciuta, una speranza…prima, ovviamente, che scoprissero tutto l’accaduto.

Guardava Peter, e inevitabilmente le si presentava davanti agli occhi Shaylee.

Quei due avevano la stessa luce negli occhi: dolore e solitudine.

Lucy s'incupì un istante, prima che la sua testolina ribelle sfornasse repentinamente quell'idea che già da un po’ si arrovellava fra i suoi pensieri: certo che la ninfa e il Re, insieme, avrebbero potuto risolversi tutti i problemi....ghignò, divertita, senza rendersi conto che il biondo stava richiamando la sua attenzione.

-Non saprei…non sono pratico dei passatempi delle Naiadi. Probabilmente ha bisogno di restarsene per conto suo…- le parole del biondo si persero in un borbottio confuso, segno che già da parecchio si barcamenava su quegli stessi pensieri.

Abbassò lo sguardo, cercando in una muta preghiera il visetto sempre allegro della sorellina; sapeva di potervi trovare quella gioia di vivere che a lui mancava, che lui aveva perso troppo tempo prima. Ma ciò che vide, e poteva intuire il perché, lo preoccupò.

Lucy sorrideva; un sorrisetto nascosto ma allo stesso tempo chiaramente distinguibile sulle sue labbra sottili, gli occhi celesti – come i suoi – che brillavano di una luce alquanto pericolosa. Peter conosceva bene, molto bene quelle espressioni a dir poco terrificanti nella sua piccola Pevensie.

Lucy aveva in mente qualcosa.

Cosa, sperava soltanto che non riguardasse anche lui.

Lucy si fermò di botto, costringendo il fratello a fare lo stesso.

-Lu, perché…- le parole morirono in gola al Re, quando la piccola con un'occhiata lo zittì, invitandolo a dare un'occhiata dinnanzi a .

Sussultò, Peter, di fronte a quello spettacolo del tutto inatteso.

Là, come prevedibile, fra i canneti e i salici che proteggevano quel laghetto da sguardi insidiosi, c'era la Naiade. Ma non pareva nemmeno lontanamente simile alla ragazza fredda e chiusa che avevano conosciuto, non aveva nulla della ninfa scostante e gelida con cui convivevano da parecchi giorni, ormai. No.

Per la prima volta, forse potevano scorgere la    vera     Shaylee, in quella creatura accoccolata con grazia sull'orlo del lago.

La ninfa sorrideva, serena. Gli occhi dorati erano illuminati dal riflesso della Luna, infranto in mille piccoli diamanti che danzavano allegramente intorno alla figura snella della giovane. Con un sussulto, Peter si rese conto che quelle minuscole schegge, quei piccoli brillanti nell'oscurità, altro non erano che gocce d'acqua, filamenti che la ninfa aveva sollevato dal lago, chiamandoli a sé come un incantatore attira i propri serpenti.

E danzavano. Danzavano intorno a lei, scivolando fra le sue dita che ballavano con loro, sulla pelle chiara, fra i capelli. La guardava, e non poteva non sorridere come un idiota, semplicemente imbambolato nel fissare la creatura più pura che avesse mai incontrato nella sua vita.

Perché era questo, che Shaylee era; pura. Pura e splendida come l'acqua che ora le accarezzava una guancia, scivolando come perle sulla sua carnagione soffice.

Lucy guardava Shay, e sorrideva, rapita dalla dolcezza di quell'immagine. La Naiade incarnava perfettamente la sua vecchia Narnia…quella splendente, quella libera e popolata dalle creature più belle e disparate, con le quali lei amava passare il tempo. Quella Narnia che, adesso, non c'era più.

Voltò il viso verso il fratello maggiore e sorrise sorniona, notando la sua espressione rapita, sognante. Oh, si, qualcosa stava cambiando nel suo amato fratello. Qualcosa di buono.

Shaylee non si era accorta di loro; sorrideva gioiosa, illuminata dai riflessi lunari nell’acqua, completamente assorta dalla danza priva di musica che ballavano quelle gocce argentate.

Mosse appena le mani, quelle piccole, minute mani da fata che possedeva. Intorno a quelle dita piccine, le gocce d’acqua si raccolsero, si unirono in una sola bolla perlacea, che racchiudeva perfettamente il profilo della falce di luna ardente nel cielo.

Peter si accorse quasi immediatamente del mutamento, del cambiamento nel suo volto. Fu come un’ombra su quel volto chiaro, un rapace alle spalle di quelle iridi dorate.

Non sorrideva più.

Vide la bolla assumere gradualmente sembianze sconosciute, sembianze che non conosceva. Le fattezze erano appena accennate, abbozzate in quella irrealistica scultura fatta di limpida acqua, ma abbastanza distinguibili per permettergli di comprendere che appartenevano ad un uomo.

Che fosse…

Improvvisamente, desiderò di non trovarsi lì. Sperò di riuscire ad allontanarsi, a non essere spettatore – come già era successo – di un dolore che non gli apparteneva, che scatenava in lui un’angoscia del tutto nuova, una frustrazione terribilmente difficile da controllare.

Mi manchi, amore mio.

Quelle parole non avevano smesso di echeggiare nel suo petto. Mai, nemmeno per un istante da quando le aveva udite, sussurrate e spezzate dalle lacrime, era riuscito a dimenticarle, a cancellare quell’immagine tanto bella quanto straziante che era rimasta impressa nella sua mente.

Era arrivato alla conclusione che Shaylee doveva aver perso qualcuno; una persona importante, un uomo, che l’aveva lasciata nel modo più drastico.

Soltanto il pensiero che soffrisse così…in quel modo totale, terribile…e lui non poteva fare niente, per impedirlo. Niente.

-Sai…- il sussurro di Shay fu basso, quasi inudibile; eppure, la sentì chiaramente, come se si trovasse a poco più di un palmo di distanza da lui.

La vide sfiorare appena quel volto, quel ritratto di una vita perduta, di un ricordo dal sapore amaro.

-…avrei potuto lasciarmi colpire, da quell’uomo…sarei tornata da te…-

Una lacrima. Una lacrima soltanto scivolò sulla guancia della Naiade, lacrima che non venne fermata da nulla, libera di scendere fino a perdersi nella sua gola.

Lucy avvertì la stretta di Peter farsi più salda, nella propria mano. Alzò lo sguardo, preoccupata, e vide nello sguardo del fratello una muta angoscia che vi aveva scorto soltanto una volta; quando aveva creduto di aver perso lei, nel fiume ghiacciato, la prima volta a Narnia.

Sarei tornata da te.

Un nuovo tormento andò ad aggiungersi al primo, nel cuore scricchiolante del Re Supremo.

Sarei tornata da te.

Perché faceva così male? Perché lo tormentava così tanto l’idea che Shay avesse desiderato la morte, pur di tornare dalla persona che aveva amato – che amava ancora?

Sarei tornata da te.

Peter non sentì la vocina concitata di Lucy, non la udì chiamarlo indietro. Gli occhi azzurri erano puntati sulla ninfa, sembravano non volersi separare nemmeno per un attimo da quel volto sofferente, malinconico.

Fu lo schianto improvviso dell’acqua, l’incantesimo di Shaylee che si spezzava, a rompere quell’istante di stasi.

Peter e Lucy si voltarono di scatto, quando alle loro spalle risuonò chiaro e limpido l’inconfondibile suono della voce di Susan.

-Peter, Lu…- il viso palesemente irritato di Susan fece capolino da oltre la fitta boscaglia, gli occhi chiari che andavano, con un’ombra di rimprovero, a posarsi sui due fratelli.

-Zitta!- la interruppe bruscamente Lucy, ma era già troppo tardi; uno schiocco, un brivido gelido lungo la schiena, e Peter istintivamente sentì l’obbligo di voltarsi, qualcosa di sgradevole e velenoso che si agitava prepotentemente nel suo stomaco nel vedere l’espressione gelida della ninfa appena apparsa poco dietro di lui.

-Shaylee…- mormorò, senza ben sapere cosa aggiungere, come spiegarle e scusarsi del fatto che la stessero palesemente sbirciando…ma la Naiade pareva non volerlo nemmeno guardare; gli occhioni dorati, ricolmi di rabbia, erano fissi sulla Regina più grande.

-Oh, adesso basta!- sbottò infatti Susan, rovesciando gli occhi al cielo; Peter si comportava fin troppo bene con quella ninfa bugiarda. Si stava invaghendo di lei, persino Ed se n’era accorto; ma lei non diceva la verità, lei era un continuo mistero. -Mi hai stancata, Shaylee. Adesso ripartiamo, senza altre soste.- aggiunse, col tono freddo e distaccato di un despota.

-Le mie sono soste necessarie, regina Susan.- fu la risposta altrettanto gelida della ninfa, le palpebre che si stringevano su quelle stupefacenti iridi d’oro liquido.

-Necessarie per cosa?- sbottò la bruna, avanzando di qualche passo fino a trovarsi esattamente di fronte alla naiade immobile. Fra loro, appena discosti, un alquanto preoccupato Peter e una curiosa, misteriosamente sorridente, Lucy.

-Non sono tenuta a spiegare.-

-Susan.- intervenne il biondo, cercando di placare sul nascere quella discussione che avrebbe portato conseguenze ben più devastanti di un po’ di astio fra le due. Ma tanto Susan quanto Shaylee si voltarono di scatto, fulminandolo con uno sguardo furibondo che lo ridusse immediatamente al silenzio; lui, il grande Re di Narnia, zittito da due donne.

Lucy, alle sue spalle, dovette seriamente trattenersi dallo scoppiare a ridere, all’espressione di puro terrore, misto a orgoglio ferito, apparsa sul viso del fratello maggiore.

-Non sei tenuta a spiegare? Come non vuoi spiegare come mai non ti ha sorpresa la presenza di quella donna, quella che ho colpito?- Susan tornò a rivolgersi duramente alla ninfa, le parole taglienti e sibilanti come la lama di una spada; Shaylee sostenne ampiamente il suo sguardo, i pugni serrati lungo i fianchi, le labbra strette, una furia silenziosa ma dirompente che inondava quelle silenziose, furenti iridi dorate.

-Io non ho nulla da nascondere.- furono le sue attente, controllate, misurate parole, la voce ridotta a nulla più di un sibilo. Ma Susan, Susan era stanca di segreti, era stanca di bugie; schioccò la lingua, irritata, avvicinandosi ancora di un altro passo alla ninfa.

-Invece penso che tu ne abbia fin troppi, di segreti. Tu la conosci, vero? Era Siria, quella a cui stiamo dando la caccia, non è così?- se Susan avesse potuto sentire il battito del cuore di Shaylee, avrebbe trionfato; perché a quell’affermazione, al nome di Siria, qualcosa di sgradevole pareva aver preso vita nel suo stomaco, nella sua pancia, a ricordarle esattamente quanto e cosa stesse celando agli occhi dei quattro Re.

Aveva giurato di servirli, di obbedire ai loro ordini con la remissività degna di un suddito; ma era un altro, il giuramento che doveva e voleva osservare, un giuramento fatto col sangue, compiuto con la consapevolezza di aver legato sé stessa, ed il proprio destino, a qualcosa di ben più grande.

-Probabilmente lo era, stando alla descrizione.- affermò, la voce piatta, atona, gli occhi adombrati da quella dura consapevolezza.

-Tu la conosci.- Shaylee avvertì su di sé tre paia di occhi azzurri; chi sorpreso, chi astioso e furibondo…chi semplicemente confuso, che non comprendeva, che non capiva, che non voleva sapere.

-L’ho sentita nominare. Ha una sua fama, a Narnia.- ammise.

Una mezza verità, un lievissimo accenno di ciò che davvero la legava indissolubilmente a Siria ed anche a Talia.

-Fama di cosa?- insistette la Regina, una luce trionfante che le illuminava il volto a quella rivelazione.

Shaylee abbassò lo sguardo, torcendosi improvvisamente le mani. Quanto avrebbe desiderato zittire quella donna, quanto avrebbe desiderato sparire, non essere lì…

Quanto, quanto avrebbe desiderato non sentire gli occhi celesti del Re trapassarle la nuca, come una lama affilata.

-Di guai.-

 

 

 

Erano ripartiti, avevano marciato ininterrottamente per tutta una notte. Susan non aveva più parlato, non si era più rivolta alla ninfa; camminava sostenuta di fronte a tutti quanti, appena accanto ad Edmund. Edmund, che aveva estorto alla sorella più piccola ogni più infima informazione, che si era fatto spiegare per filo e per segno tutto l’accaduto. Ed ora, sul suo volto, vigeva la tipica espressione che assumeva quando rimuginava, quando studiava.

Peter, invece, pensava.

Pensava a ciò che aveva detto Shaylee, a ciò che Susan le aveva estorto. Pensava al tormento che aveva scorto nelle iridi dorate, pensava alla rabbia che aveva visto sorgere in quei pozzi d’oro. Pensava al fremito impercettibile che l’aveva attraversata, quando Susan l’aveva accusata di conoscere quella misteriosa mercenaria…

-La stai coprendo?- le parole dure e decise del Re di Narnia fecero sobbalzare la silenziosa ninfa, in coda al gruppo. Shaylee alzò lo sguardo, le iridi velate da una densa foschia di pensieri, di tormenti.

-Io non…- cominciò, la voce bassa, sottile, nulla più di un sussurro che solamente il Re riuscì a cogliere.

Peter prese un lungo respiro, rallentando appena l’andatura per affiancarsi alla ninfa.

-Io non sono mia sorella, Shaylee.- affermò, la voce calma, pacata, eppure tagliente. -Voglio solo la verità. Quella vera.- aggiunse, dopo un istante, gli occhi celesti e terribilmente freddi che si spostavano sul volto della naiade.

-…no. Non la sto coprendo.- mormorò la ninfa, senza più nascondersi dietro parole senza senso, le braccia che istintivamente salivano a proteggerle il corpo, ad allacciarsi sul ventre.

-La conosci?- insistette il biondo, la voce sempre troppo tranquilla, troppo calma. Era innaturale. Era frustrante, sentire quell’aura di fermezza e decisione nelle parole di Peter, rendersi improvvisamente conto di quanto, il Re Supremo di Narnia avesse realmente meritato il suo titolo.

La Naiade ricominciò a tormentarsi i capelli, l’orlo della veste, le dita.

-Di persona? L’ho incontrata, una volta. Quando era ancora una bambina.- ammise, piano, lo sguardo che si abbassava sul terriccio incolto.

-Chi è? Perché è così famosa, a Narnia?- la esortò il Re, avendo ormai colto quella breccia, quell’incrinatura nello scudo di freddezza ed indifferenza che la ninfa tanto ostentava.

La vide sospirare, gli occhi ancora più scuri, più angosciati…e per un istante, per un doloroso istante, si odiò. Si odiò, perché la stava usando, si stava costringendo a rubarle ogni informazione che gli sarebbe potuta servire…si odiò, perché Shaylee non meritava questo. Non da lui.

-È una creatura che rinnega sé stessa. E potrebbe diventare un pericolo per tutti quanti.- quasi non avvertì quel sussurro, ma il tono eccessivamente greve, tempestoso della naiade lo sorprese; quanto poteva essere pericolosa, una sola donna?

-Mi sembra che lo sia già, dopotutto.- commentò, il sarcasmo che riempiva la sua voce senza che in realtà lo volesse davvero. Probabilmente Shaylee si sentì ferita, colpita in un punto particolarmente esposto.

-Io non la sto coprendo.- una fitta di dolcezza attraversò il petto del Re, quando vide il tormento disegnarsi sul visetto dolce della ninfa, quel visetto che – troppo spesso, oramai – faceva capolino fra i suoi pensieri.

-Ne sono convinto, Shaylee. Non penso potresti coprirla.- le disse, e la dolcezza che gli aveva provocato si riflesse nella sua voce, nell’inflessione morbida con cui aveva pronunciato il nome della ninfa.

Shay alzò lo sguardo, sorpresa; vide l’espressione sostenuta del Re incrinarsi, vide il Peter umile e cordiale che tanto aveva odiato alla reggia di Mairead fare nuovamente capolino dietro quella maschera invincibile.

Era come lei, come lei giocava un gioco di maschere, di finzioni; come lei, celava ben altro dietro la roccia che tutti credevano che fosse.

Quella consapevolezza si fece improvvisamente strada dentro di lei, annientando per qualche attimo il risentimento che provava nei suoi confronti; come poteva odiarlo, quando vedeva un ragazzo ben più fragile dietro quegli occhi d’acciaio?

-Perché?- chiese, lentamente, suo malgrado molto più gentile.

-Perché è stata lei a catturare Caspian. Forse era l’unico…- un attimo. Un battito di ciglia, una pulsazione del cuore, le ali di una farfalla che si spiegavano.

Peter era nuovamente l’Alto Re, adesso. Quel barlume, quel giovane dolce e tormentato che aveva appena scorto, era già scomparso.

-…a poter fare qualcosa per te, per la tua gente. Forse era davvero l’unico, in grado di restituire la libertà a Narnia…-

Peter vide gli occhioni della ninfa oscurarsi ancora, perdersi nel vuoto. La vide impallidire appena, la vide torcersi le mani, tormentare una ciocca dei lunghi capelli bruni in preda all’ansia, in preda ad una miriade di pensieri che vorticavano in quelle iridi dorate.

Si voltò, semplicemente, lasciandola in preda dei propri pensieri, delle proprie paure…delle proprie colpe.

Dimmi che non sbaglio, Siria.

Dimmi che non sto sbagliando, a proteggerti.

 

 

 

 

 

 

My Space:

ebbene sì, eccomi qua, sono tornata ^__^ e con me sono tornati anche Peter e Shaylee…e la piccola, pestifera Lucy, e Susan – quanto la detesto, non si nota, vero? ^^’ di questo capitolo apprezzo specialmente la parte finale; il dialogo fra Peter e Shaylee, quel gioco di maschere che cadono e si rialzano, s’intrecciano e si abbandonano continuamente. Sono difficili sti due da scrivere, ma danno tante soddisfazioni, a me come spero anche a voi ^__^’’

Spero davvero che questo capitolo vi sia piaciuto; non vi nascondo che scrivere, per me, sta diventando davvero molto difficile. E fa male, perché è sempre stato lo sfogo primario di…beh, di tutto quanto. E sapere che il mio “talento”, se posso osare chiamarlo così, rischia di svanire…fa decisamente un po’ male.

Va beh, basta, della mia depressione non è il caso di parlare qui ^^’

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 KissyKikka [Contatta]

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 16/05/10, ore 00:21 - Capitolo 9: Desert Rose.

Allora, non ti preoccupare per nulla carissima, io sono sempre qua, non fuggo ^__^ stai tranquilla, scrivi con calma e non ammazzarti, che la mia storia non fugge ^^’ sono contenta comunque che ti piaccia, sono molto insicura ultimamente su ciò che scrivo -.- un bacione!

 MarziaIrish [Contatta]

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 07/05/10, ore 23:01 - Capitolo 9: Desert Rose.

Eccoti accontentata con Peteronzolo caro ^^ lui e Shaylee hanno una carica sessuale, intorno, da far esplodere scintille U.U arriverà anche il loro momento, te l’assicuro O=D ma prima li farò dannare parecchio, e anche per Siria e Caspian saranno tutto fuorché rose e fiori…Susan…aaaah, Susan, si nota che la odio profondamente? ^^’’’ sperando di rivederti fra i recensori, un bacione grande!

 brillina [Contatta]

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 05/05/10, ore 21:20 - Capitolo 9: Desert Rose.

Talia e Caleb, che coppia *____* li adoro quasi più di Siria e Caspian xD a proposito di questi due, sono tanto pucciosi *.* sono teneri loro, sono tremendamente coccolosi *.* *anche io spupazza principino, ancheioancheioancheio!* ma anche per Talia e Cal ci sarà da aspettare, temo…insomma, per nessuna delle tre coppie prevedo tempo sereno, anzi, piuttosto burrascoso!!! Alla prossima ^^

 romina75 [Contatta]

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 05/05/10, ore 18:28 - Capitolo 9: Desert Rose.

Tesoro, grazie mille dei complimenti <3 te l’avevo detto che Siria avrebbe riservato tante sorprese ^^ e non ne ho mostrate ancora nemmeno metà, quella donna è un vulcano di segreti e sorprese non da poco ^^ Aaron e Susan…potrei pensarci…oppure no…oppure ci ho già pensato…chissà xD grazie mille dei complimenti, anche a tuo marito ^^ un abbraccio forte forte a tutta la famiglia <3

 

 

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Capitolo 11
*** Blue Eyes. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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{Blue Eyes – Within Temptation}


Pace.

Un brivido scosse dolcemente la sua schiena, un brivido di freddo, un brivido delicato scatenato dai lievi fili d’erba che accarezzavano la sua schiena. Si mosse appena, le mani candide, affusolate, che accarezzavano il petto contro cui era accoccolata, quella sensazione sconosciuta – bellissima – che aleggiava morbida nella sua mente.

Pace.

Il braccio che la cingeva la strinse inconsciamente un po’ di più, avvertendo il fremito della sua spina dorsale, della sua pelle. Sorrise, gli occhi chiusi, i lunghi capelli rossi che velavano il suo corpo come una coperta sanguigna, lunghi crini del colore del fuoco che scivolavano lievi sulla sua pelle lattea.

Pace. Serenità, gioia, completezza.

Inspirò profondamente, Siria, il sorriso che aleggiava inconscio sulle sue labbra, il profumo dell’erba umida di rugiada nella mente, l’essenza ben più prepotente della pelle calda che avvertiva sotto al viso, sotto le dita, ad inebriarla.

Amore.

Non…non si era mai sentita così. Così serena, così felice, così semplicemente in pace con sé stessa. Il suo sonno era stato denso di sogni meravigliosi, sogni che altro non erano che ricordi, ricordi di ciò che avevano vissuto quella notte, di quello che aveva mischiato le loro pelli, le loro anime.

Caspian.

Fu il suo nome a rimbombare dolcemente in quel cuore vivo e galoppante, in quel battito veloce, forte, innamorato. Fu quel nome a far schiudere trepidanti le sue palpebre, gli occhioni d’ametista e cobalto che si affacciavano per la prima volta al mondo con il desiderio di svegliarsi, di vedere, di vivere.

Vivere, vivere davvero, vivere lui, ed essere sicura di non essersi appena svegliata dal sogno più bello che avesse mai vissuto…

Il sorriso si allargò sul suo visetto affilato, quando i suoi occhioni lucidi, vivi, misero a fuoco la figura di Caspian, disteso sul fianco, accanto a lei. Era stretta fra le sue braccia, il viso del principe era affondato fra i suoi capelli, avvertiva sotto la guancia il battito forte, sano, sicuro del suo cuore…

Con cautela, stando bene attenta a non svegliarlo, scivolò a malincuore dal suo abbraccio. Si accoccolò sull’erba, le gambe incrociate, i lunghi capelli scuri e di nuovo asciutti che si attorcigliavano in boccoli rossastri lungo il suo corpo, velando il seno, le gambe, quel corpo che adesso apparteneva a Caspian.

Solo il pensiero riusciva a farla sorridere, ad accendere le sue guance, a far palpitare quel cuore rinato nella sua gabbia toracica. Un refolo d’aria fredda le sfiorò la schiena nuda, costringendola a serrare le braccia intorno al ventre, mentre la fenice rabbrividiva con lei, chiudendosi fra le proprie ali.

Quella fenice…sorrise appena, sfiorando con la punta delle dita la bella testa dell’animale tatuato. Feldir, l’aveva chiamata Mairead.

Schiuderà le sue ali quando troverai la tua strada.

La regina delle ninfe…e Shaylee, Shaylee che l’aveva curata, che le aveva fatto giurare di…scacciò quei pensieri, concentrandosi unicamente sulla sensazione di pura pace che ancora la invadeva, tentando – fallendo – di non lasciare che quei pensieri l’inquinassero, la sporcassero.

Eppure, non poté fare a meno di ricordare.

Shaylee, che l’aveva curata da ferite che lei stessa si era inferta; Shaylee, che cercava disperatamente di capire perché non volesse accettare la sua natura, perché si ostinasse nel non voler vivere, nel voler rinnegare sé stessa; Shaylee, a cui si era affezionata più di quanto avrebbe dovuto, che insieme a Talia l’aveva protetta, che grazie a Talia le aveva permesso di redimersi.

E Feldir, Feldir non era che la dimostrazione più eclatante della promessa che aveva fatto, del giuramento che aveva compiuto. Quel giuramento che legava le sue azioni a Talia e a Shay, quel giuramento che lei era stata disposta a fare, che non avrebbe mai chiesto alle due amiche di compiere con lei.

Come avrebbe fatto, senza di loro? Senza Shay, senza il suo intestardirsi sul farle capire quanto la vita potesse essere bella, senza la sua cocciutaggine? E senza Talia? Solo il pensiero di vivere senza la presenza della mezzelfa accanto era soffocante, era terribilmente doloroso.

Non sarebbe stata niente, senza di loro.

E senza di lui.

Eppure, adesso stava rischiando la vita di un innocente, un innocente che non era soltanto un innocente. Era Caspian, era il suo principe, era il ragazzo dolce e protettivo che aveva fatto l’amore con lei quella notte. Era il giovane che l’aveva stretta, che le aveva sussurrato dolci parole, che aveva baciato le sue labbra, il suo corpo, suggendo la sua anima da quei sospiri innamorati.

Qualcosa turbò improvvisamente la serenità insolita sul suo viso, facendo corrugare la sua fronte, oscurando i suoi occhioni limpidi.

Non poteva.

Non poteva permettere ad Aaron di fargli del male.

Il suo sguardo si posò sul volto del principe, addormentato, sereno, splendido. Con delicatezza, quasi col terrore di toccarlo, allungò una manina candida e le sue dita si posarono con dolcezza sulla sua guancia, sfiorandolo timorosa, timida.

Percorse delicatamente il suo volto, ogni singolo lineamento, ognuno di quei tratti che l’avevano stregata; e si ritrovò ad accarezzargli teneramente i capelli boccoluti, il volto, le palpebre chiuse.

Non lo avrebbe permesso.

Non avrebbe permesso a nessuno di rovinare tutto. Non voleva perderlo…soltanto il pensiero la fece fremere, tremare, gli occhi che si riempivano di lacrime.

Piangi, Siria? Piangi per un uomo?

No, lei non piangeva per un uomo qualsiasi, lei piangeva, soffriva soltanto all’idea che a Caspian succedesse qualcosa…non osava nemmeno pensarlo; il suo Caspian, il suo principe, quel principe a cui aveva donato il cuore, insieme a tutta sé stessa…

Forse doveva solo andare via. Forse era tutta un’illusione. Forse aveva ragione Aaron, forse l’aveva solo usata, forse…

…forse, proprio in quell’istante, aveva deciso di aprire i suoi splendidi occhi neri, cercando istintivamente lei nello sfocato senso di appagamento in cui era sprofondato.

Siria lo stava osservando, accoccolata accanto a lui sulla morbida erba umida di rugiada, il corpo nudo velato dai lunghi capelli ramati. Gli occhioni blu, ferini, angosciati, erano fissi nei suoi, immobili, tanto che nemmeno le palpebre si abbassavano per spezzare quello sguardo intenso, insostenibile.

Era trapassante.

Caspian si sentì trafitto da quegli occhioni, da quei due specchi di cobalto lucidi e spaventati, dall'espressione contratta del suo visetto pallido. Era bella, bellissima; ma qualcosa la turbava, oscurava il suo volto.

Prese fiato, anche se nessuna idea su cosa dirle si presentava alla sua mente.

-Stai bene?- fu l'unica cosa che riuscì a chiederle…l'unica cosa che gli interessasse davvero sapere.

Siria annuì appena, avvicinandosi appena di più a lui, tornando ad accoccolarsi al suo fianco, sentendo il suo respiro fresco, dolce, infrangersi sulle proprie labbra. I loro occhi erano vicini, si specchiavano gli uni negli altri; i corpi si sfioravano appena, spossati dall'appagamento di essersi appartenuti, frementi d'attesa e d'amore nella speranza di toccarsi ancora.

-Ho paura.- sussurrò, col timore infondato di spezzare quell'istante.

Una scintilla di preoccupazione negli occhi del moro.

-Di cosa?- le chiese, accarezzandole inconsciamente la vita, costringendosi a non indugiare sulle curve del suo corpo, accarezzate, accentuate dai lunghi capelli di fuoco che scendevano sulla sua pelle lattea.

Siria socchiuse appena gli occhi; un lieve movimento della testa infuocata, una tensione più visibile del suo volto. Soffriva.

-Che ti succeda qualcosa.- sussurrò, la voce lieve, candida, densa d’angoscia e di terrore. Puro, vero, semplice terrore; qualcosa di così grande da occupare tutto il suo cuore, da oscurare persino la sensazione di pace e gioia che l’aveva avvolta sino a quel momento, che rendeva doloroso ogni singolo battito nel suo petto.

Caspian sospirò appena, lasciando che le proprie mani andassero a intrecciarsi sulla schiena della ragazza, che la testa fulva si nascondesse nell’incavo della propria gola. Era calda, Siria. Era calda, era morbida, era terribilmente profumata…

-Non mi succederà nulla.- mormorò, piano, socchiudendo appena gli occhi nel profumo inebriante della sua…amante?

-Devo fermare tutto questo.- la voce di Siria vibrava decisa come non mai nella sua gola, il respiro caldo che lo solleticava, che lo accarezzava.

-Non devi farlo.- il principe scosse appena la testa, qualcosa di orribilmente pesante, orribile, che sembrava depositarsi nel suo petto. Non poteva nemmeno pensare di metterla in pericolo, di metterla contro Aaron, contro Miraz, contro l’intero esercito…per lui.

Siria era pronta, decisa a farlo…per lui. Perché…Perché lo amava, gli suggerì una vocina insistente nella sua testa.

La rossa alzò lo sguardo, gli occhioni decisi ed angosciati al medesimo tempo che si spostavano rapidamente nei suoi, testardi, infiammati, meravigliosamente cocciuti.

-Caspian, io non voglio che ti uccidano.- gli fece notare, una nota sarcastica nella voce; come se davvero avesse avuto bisogno di puntualizzare, di pronunciare davvero quelle parole.

-Se non lo faranno, uccideranno te.- come diavolo faceva ad essere così tranquillo, Caspian? Rischiava di perderlo, rischiava di vederlo morire…

-Che lo facciano. Non posso perderti, non voglio, io…- le labbra del principe soppressero morbidamente le parole sussurrate di Siria, coinvolgendole in un bacio deciso, trascinante, denso di passione. Le lingue, le bocche; un cercarsi continuo, morbido, i sapori e le anime che si mischiavano, confondendosi ancora.

Il corpo flessuoso di Siria tornò in contatto col suo, adagiandosi morbidamente sul suo petto. Caspian avvertì i seni sodi, quei seni perfetti per essere racchiusi nel palmo di una mano aderire al suo torace, il ventre diventare una cosa soltanto col proprio.

Sospirò, il viso che avvampava, gli occhi blu di Siria ad un millimetro dai suoi. Intrecciò le gambe alle sue, riportandola fra i dolci fili d’erba che già quella notte avevano accolto il loro amore, la loro dolcezza.

Rise, Siria, i capelli che si spargevano nel verde.

-Non è valido tutto ciò, mio principe…lei irretisce l’innocenza di una fanciulla.- sussurrò, la voce spezzata, gli occhioni vividi ad un millimetro da quegli specchi caldi, da quel sorriso trascinante e malandrino.

-Le chiedo perdono, mia dama, per la mia sfrontatezza…- Siria inclinò indietro il capo, un sorriso tenue e sincero sul viso levigato, quando le labbra bollenti di Caspian scesero a percorrere lentamente la sua gola.

-…e per la passione…di ogni singolo bacio.- la sua voce scivolò come cera bollente sulla sua carne, strappandole un brivido, le dita lunghe ed affusolate che percorrevano il corpo nudo del principe, sopra di lei. S’intrecciarono ai capelli scuri, quelle dita, a quei capelli sparsi sul suo seno mentre si scioglieva al tocco di quella bocca che rapiva ogni brandello del suo desiderio, accentuandolo, provocandolo.

Un brivido nacque dalla nuca del giovane, quando quelle dita fresche s’immersero nei riccioli che gl’incorniciavano il volto affilato, regale. Si lasciò condurre nuovamente a quelle labbra, a quegli occhi, naufragando ancora in quei boccioli rossi gonfi di desiderio e di passione.

-Sei mia.- sussurrò, in ogni istante in cui respirare si faceva impellente.

-Sei mia.- le guance bianche tinte di un rosso invitante, seducente nella loro insospettata innocenza.

-Sei mia.- quel corpo…quel corpo che si modellava sotto le sue carezze e le sue spinte, facendo morbidamente l’amore con lui, e quei frammenti d’oceano ricolmi d’amore puro, di quell’amore lucido e vero che nessun altro, mai, avrebbe colto.

-Tua…-

-Mia.-

E su quell’ultima parola, colsero entrambi quel fiore rosso, rosso di sangue, sbocciato quella notte fra i morbidi fili di quell’erba, occasionale talamo di due giovani amanti.

.

.

Aaron sapeva.

Siria non poteva fare a meno di pensarlo, di esserne convinta. Aaron sapeva quel che era successo la notte precedente, sapeva che se non le aveva rivolto la parola per tutto il giorno il motivo era quello.

Scambiò un’occhiata con Talia, rivolgendole un cenno verso il fratello che marciava in silenzio, di fronte a tutti. Si stavano avvicinando ad uno dei villaggi più esterni di Telmar, già intravedevano le luci del paesello attraverso il fitto fogliame.

L’elfa si strinse nelle spalle, rivolgendo al rosso voltato una palese linguaccia, strappando un sorriso all’amica in pena. Era così tenera, Siria, che non poteva non desiderare di fare il possibile per aiutarla; sul suo viso, era scritta una nuova consapevolezza, una serenità che non le aveva mai visto negli occhi.

Non vi era stato bisogno di sentirle dire quelle parole; le era bastato avvertire l’amore, vivo e forte, vibrare fra i pensieri dell’amica, per sapere ciò che era successo fra lei ed il suo principe.

Non sembrava più tormentata; non da sé stessa, se non altro. L’unica paura che avvertiva in lei, era quella che provava nei confronti di ciò che poteva separarla da Caspian.

Aaron sapeva, ma non aveva fatto nulla; Siria e Caspian erano riapparsi prima che si svegliasse, ma i loro sguardi, il sorriso nascosto sul viso di lei, gli occhi neri che non la lasciavano mai, erano fin troppo palesi.

Aaron sapeva, ma Siria non aveva idea di cosa avrebbe fatto.

Caleb era poco indietro, assieme a Tara e Caspian; il principe era libero, Aaron non aveva ordinato di legarlo; forse, si era reso conto che il suo desiderio di scappare era pari a zero, in quel momento.

-Ci fermeremo qui.- la voce di Aaron spezzò in un istante il silenzio che li avvolgeva da diverse ore, ormai.

Siria si guardò intorno, preoccupata; le prime abitazioni del villaggio erano poco distanti, immerse fra gli alberi che parevano formarne le colonne portanti.

-Siamo troppo vicini.- commentò, con una punta di preoccupazione, l’ansia che tornava ad attanagliare il suo cuore palpitante. Erano troppo vicini al castello, qualcuno avrebbe potuto vederli, riconoscerli, riconoscere Caspian

-Vorrà dire che il nostro compito è quasi finito.- replicò duramente il rosso, senza guardarlo; ma Siria era spazientita, Siria non ne poteva davvero più. Talia non ebbe nemmeno il tempo di fermarla, prima che bruscamente costringesse il fratello a voltarsi, a guardarla negli occhi.

-Dannazione, Aaron!- sbottò, quando il viso duro come la roccia del fratello si scontrò con la sua semplice, innamorata paura.

-Taci.- quell’ordine improvviso, gelido come il ghiaccio, fu una dolorosa pugnalata nel petto di Siria. La rossa sgranò gli occhi, qualcosa che s’incrinava violentemente in quelle iridi tanto nuove, tanto limpide.

Aaron non l’aveva mai trattata così.

Nemmeno nei momenti peggiori, si era mai rivolto a lei con tanta durezza, con tanta rabbia…la raminga rimase indietro, rallentando inconsciamente il passo quando il fratello tornò a voltarsi, continuando a camminare; il suo stesso corpo si rifiutava di restare accanto a lui, senza nemmeno accorgersene aveva lasciato che gli altri la superassero.

Finché non avvertì una mano calda, conosciuta, posarsi sulla sua schiena.

Alzò lo sguardo, grata, riconoscendo immediatamente il tocco dolce, sicuro, meraviglioso di Caspian; e quella calma iniziale, quella confortevole scossa elettrica che aveva suscitato la mano di lui, si irradiò in tutto il corpo, quando ritrovò quei caldi occhi neri a poca distanza dai propri.

-Ehi.- sussurrò soltanto il principe, sfiorandole appena con le labbra i capelli, traendola a sé. C’erano Talia e Caleb, dinanzi a loro; due innocenti e ignari fringuelli che casualmente coprivano la visuale di Aaron, rimasto ostinatamente voltato verso la locanda sempre più vicina.

Il principe sorrise, grato a quei due amici – non poteva definirli diversamente, oramai – che tanto stavano facendo per loro; e colse l’attimo, avvolgendo la vita della rossa con un braccio, traendola a sé e sentendola immergere il viso nella propria gola, in quel punto preciso che tanto adorava.

-Ti prego, scappa.- l’avvertì mormorare, le mani candide che si chiudevano sul suo petto, stringendo la casacca fra le dita.

Scosse la testa, abbracciandola con più forza, chiudendo gli occhi e posando la fronte contro la sua spalla, respirando il profumo intenso della sua pelle.

-Non ti lascio.- sussurrò, piano, posando un tenero bacio sulla pelle appena sotto l’orecchio di lei, sentendola sussultare per il contatto delle sue labbra con quel punto incredibilmente sensibile.

La strinse più forte, senza dire niente, sentendola rifugiarsi nel suo abbraccio, spaventata come non mai da ciò che sarebbe inevitabilmente successo.

-Sei un dannato zuccone.- mugugnò, la voce tremante, gli occhioni blu serrati e le dita perse fra i capelli riccioluti del principe.

Aaron a ore dodici!

Di scatto, avvertendo sé stessa protestare come non mai, Siria si separò appena dal corpo del principe, lasciando che soltanto le loro dita s’intrecciassero. Gli rimase però accanto, sillabando il nome del fratello quando lui le rivolse un’occhiata confusa, stupita.

-Tu.- sospirò, la rossa, voltandosi per fronteggiare l’espressione fredda e dolorosa del fratello. Aaron era tornato indietro, ed ora torreggiava su di lei; ma non provava la benché minima traccia di paura, Siria. Sarebbe stata pronta anche a combattere, contro di lui, se avesse tentato di separarla da Caspian.

Caspian, che improvvisamente fissava il rosso con un astio ampiamente ricambiato, la stretta nella mano di lei che si rinsaldava, lo sguardo che sosteneva con rabbia l’occhiataccia che il rosso gli rivolgeva.

Non gli avrebbe portato via Siria. Avrebbe potuto uccidere, se avessero tentato di portarla via da lui.

-Aaron…- cominciò la rossa, con un sospiro, notando le occhiate di fuoco che intercorrevano fra i due giovani. Ma Aaron la zittì con un cenno, fissando insistentemente il volto del principe.

E Caspian se ne accorse; rimase stupito, quando vide che non era realmente odio, quello negli occhi del rosso. Era più una domanda; una muta domanda che Aaron gli rivolgeva, e che gli occhi azzurri cercavano nei suoi, nel suo viso, nel modo in cui stringeva Siria a sé.

Siria non lo vide, concentrata com’era sul fratello; ma Aaron sì, Aaron lo vide sillabare quelle parole che cercava, quella risposta a cui non poteva più fare a meno di credere.

Non le farò del male.

-Tu ti occuperai di lui.- l’espressione mista di sorpresa e pura gioia apparsa sul viso di Siria, a quelle parole, riuscì a strappare un mezzo sorriso persino a quel burbero fratello maggiore non più così cieco.

Un istante dopo, Aaron era tornato lo stesso; duro, lontano, di nuovo a capo del gruppo, mentre una Tallie più allibita che mai lo seguiva con lo sguardo, e Caleb ridacchiava insieme a Tara, osservando l’espressione esilarante di Siria e di Caspian.

-Copritevi, voi due. Siete troppo riconoscibili, e anche il ragazzo.- ordinò soltanto il rosso, rivolgendosi a Talia e Siria mentre lentamente, le luci dell’unica, povera locanda di quel paesucolo illuminavano la notte che li aveva portati sin lì. Le due annuirono, calcando sul viso i cappucci dei mantelli che indossavano; ed anche Caspian fece lo stesso. Mancava soltanto che qualcuno lo riconoscesse, e mandasse a chiamare i soldati di Miraz; sarebbe stata un’alquanto ironica fine, dopotutto.

Procedettero di nuovo in silenzio, per le strade semideserte; era una moda coprire il viso, di notte, notò Caspian…non aveva mai conosciuto altro che il castello e i suoi dintorni benestanti, nei suoi diciassette anni di vita; quella desolazione, quella povertà, stridevano dolorosamente nel suo cuore di principe.

-Ehi!- ebbe solo un istante per comprendere, prima che la cascata rossa dei capelli di Siria illuminasse la strada buia che stavano percorrendo; un uomo l’aveva strattonata, afferrandola con una mano che era apparsa dal nulla, emersa dalle ombre di un vicolo.

Ghignò, lo sconosciuto, ammantato da un tanfo di alcool e sporco che riuscì a far persino inorridire Talia, per nulla preoccupata. Aaron e Caleb si erano appena voltati, ed il biondo aveva fatto appena in tempo ad agguantare Caspian; gli rivolse un cenno, intimandogli di tacere, sogghignando fra sé mentre tornava ad osservare il disgusto altezzoso disegnato sul viso di Siria.

-Ma guarda che bella puledra abbiamo qui…- commentò l’ubriaco, la voce impastata, rauca. Siria strattonò il braccio, rivolgendogli un’occhiata di ghiaccio, la mano sinistra che spariva sotto al mantello.

-Giù le zampe, bifolco, se non vuoi che te le tagli.- sibilò, con una voce tagliente che Caspian non le aveva mai sentito.

L’uomo rise, divertito.

-Oh, sei combattiva, eh, puledrina?- una mezza risata di Talia ruppe il silenzio, quando vide gli occhi di Siria stringersi, una vena pulsare nel suo collo bianco.

-Io non lo direi, se fossi in te…- commentò infatti, osservando la rossa, divertita.

Portate via Caspian, io vi raggiungo subito., sentì infatti mormorare l’amica, mentre il sibilo inconfondibile di una spada risuonava sotto il mantello. Tallie annuì, rivolgendo un cenno a Caleb, che molto gentilmente si trascinò via un Caspian decisamente recalcitrante.

-Ma…- il biondo lo zittì, mentre Aaron sospirava, scuotendo la testa, e le altre due ridacchiavano.

-Tranquillo, Siria è più che capace di difendersi.-

.

Fu semplice, affittare due stanze alla locanda. Aaron conosceva la proprietaria, un donnone enorme dagli occhi buoni, che fece un buon prezzo per le due stanze al secondo piano. Rivolse un cenno alla donna, mentre salivano le scale, prima di agguantare Talia per un braccio e trascinarla dentro la prima stanza vuota, concitato.

-Vieni qui, tu. Caleb, anche tu. Tara, controlla il principe.- ordinò, seccamente, lanciando la chiave dell’altra camera alla piccoletta; lei annuì, trascinandosi un Caspian silenzioso e preoccupato nella stanza di fronte a quella.

-Che gentilezza, rossiccio.- commentò l’elfa, ironica, mentre Aaron richiudeva la porta dietro di loro. -Cos’hai? Pare che t’abbia morso una tarantola…-

-Dobbiamo andare via.- sbottò il rosso, senza guardarla, liberandosi della spada e lanciandola sul letto spartano in un angolo dell’ambiente spoglio. Tallie ridacchiò, scambiando un’occhiata con un Caleb alquanto trionfante.

-Colgo un velato “Talia aveva ragione” nel tuo atteggiamento…- commentò, inarcando un sopracciglio, non nascondendo un ghigno.

-Sì, avevi ragione, va bene?- brontolò il rosso, lasciandosi crollare, esausto, su una seggiola di legno grezzo. Si passò una mano fra i capelli, angosciato.

Non poteva più far finta di non vedere.

Siria si era innamorata, Siria aveva trovato la sua strada, con quel ragazzo. E lui la ricambiava, come aveva fatto a non vederlo? Come la stringeva, come la guardava…

Aveva commesso un errore, con loro. Aveva cercato di dividerli, per proteggere la sua sorellina sì, ma aveva sbagliato.

Era così limpido, lo sguardo di Siria…come aveva potuto dubitare?

Aveva sbagliato. Ma ora, poteva ancora rimediare. -Bisogna trovare un modo. Stanotte possiamo restare qui, il castello e le guardie sono ancora lontane, ma domattina dobbiamo andarcene.- spiegò, senza guardare l’elfa; non avrebbe sopportato la sua espressione trionfante.

-Allora non sei del tutto uno zuccone!- commentò infatti lei, sempre più fintamente sorpresa. Alzò lo sguardo, indispettito, rivolgendole una smorfia.

-Ti sei divertita abbastanza?- le chiese, ironico.

-No, ho appena iniziato, ma continuerò in un altro momento giusto per il piacere di tormentarti.-

-Tallie, dagli tregua, abbiamo appena scoperto che sa usare anche lui il cervello.- s’intromise Caleb, dando una fraterna pacca sulla spalla di un quanto mai esasperato, ma in fondo divertito, Aaron.

-Giusto, non sia mai che si surriscaldi per il troppo uso.-

-Piantatela, tutti e due.- per fortuna, Aaron era una delle poche persone che quei due ascoltavano, quando iniziavano a scherzare fra loro; tornarono tutti e tre seri, pensierosi, nel giro di qualche istante. -Che cos’hai detto su quella freccia? Quella che ha colpito Sir.-

-È una freccia importante. È stata impiumata in un modo particolare, soltanto una persona ne ha fatto uso: la Regina Susan, la Dolce.- spiegò Tallie, estraendola dalla sua fedele faretra e lanciandogliela.

-Quindi i Re sono tornati.- mormorò il rosso, soppesando quell’arma fra le dita, sentendo il peso dei secoli premere in quel legno fine, in quelle piume scarlatte.

-Penso proprio di sì.-

-E stanno cercando il principe.-

-Esatto.-

-E c’è la vostra amica ninfa, con loro.- Talia aveva accennato a Shaylee, lei e Siria ne avevano parlato spesso, nei mesi addietro.

-Giusto anche questo. Ascolti proprio tutto.- commentò l’elfa, ammirata.

-Potremmo fare in modo che il ragazzo li raggiunga, e poi darci alla macchia…o unirci a loro, se ce la vedessimo davvero brutta. Tu e Siria, perlomeno, non penso avreste molti problemi.- rimuginò il rosso, ripensando a tutto quel che sapeva, a quel che sua sorella e Talia erano; creature di Narnia, che a quella terra appartenevano fin dalla nascita.

-No, non con Shay dalla nostra parte. E Caspian, molto probabilmente, dato che non penso sarebbe contento di separarsi da lei.- annuì lei, sedendosi a gambe incrociate sul cassettone abbozzato nel legno.

-Sei davvero disposto a metterti contro Miraz?- chiese invece Caleb, rivolgendosi all’amico; lo conosceva, e sapeva bene quanto Aaron fosse ben più che astioso nei confronti di un qualsiasi motivo di lotta. Farsi gli affari propri era l’occupazione preferita di Aaron; non gli piaceva, l’idea di mettere in pericolo tutti loro.

-Sono stato già abbastanza cieco, Cal.- sospirò invece il rosso, un lieve sorriso a dipingergli le labbra. -Non l’ho mai vista così, e se posso fare qualcosa, ben venga anche questo.- Caleb sorrise, a quelle parole.

-Sei un bravo fratello.-

.

Tara lo aveva lasciato solo da pochi minuti, in quella stanza troppo silenziosa, quando la porta si schiuse di nuovo. Si voltò di scatto, Caspian, illuminandosi quando riconobbe l’inconfondibile massa di capelli scarlatti della donna appena apparsa sulla soglia della porta.

Sorrise, Siria, e nessuno dei due seppe chi corse per primo verso l’altro; si ritrovarono soltanto a metà della stanza, stretti in un abbraccio forte, deciso, innamorato, il profumo del principe che la riempiva come soltanto i suoi baci potevano fare.

-Sir…- mormorò il principe, fra i suoi capelli, accarezzandoli con dolcezza e sentendola abbandonarsi contro di sé.

-Ehi, ti sei preoccupato per me?- ridacchiò lei, accoccolandosi in quell’abbraccio sicuro, caldo, protettivo, posando il viso sul suo petto e chiudendo docilmente gli occhi, serena.

-Non hai idea di quanto.- fu la risposta pronta del principe, che pareva intenzionato a non muoversi tanto presto da quella posizione; le mani che la cingevano, il torace ampio e snello che l’accoglieva, il viso immerso nei suoi capelli.

-Tranquillo, me li mangio a colazione tipi come quello.- lo rassicurò lei, apparentemente tranquilla. Aveva steso quel tipo con un solo colpo di spada; un colpo di piatto, ed era finito direttamente nel mondo dei sogni, senza un fiato.

-Non fatico a crederti.- sorrise, Caspian; sorriso che sparì quasi immediatamente, quando un brivido attraversò la schiena della ragazza, improvvisamente tremante. -Ehi.- mormorò, stupito, stringendola più saldamente quando lei serrò le dita sul suo petto, tremando.

Comprese, un istante più tardi.

Siria aveva paura. Sapeva che il pericolo incombeva, sapeva che lui stava rischiando parecchio, e tremava, tremava come mai aveva fatto prima, aggrappandosi a lui e affondando il viso nella sua gola, spaventata. -Siria… Adesso basta, calmati.- mormorò, accarezzandole i capelli, sentendola singhiozzare.

Repentinamente, Siria alzò il viso, scoccandogli un’occhiataccia improvvisamente furibonda.

-Come faccio a calmarmi?!- sbottò, il tono di voce più alto di due ottave, le lacrime che brillavano nei suoi occhi. -Mi vuoi dire come diavolo posso fare a…- s’interruppe, improvvisamente, quando distinse un lieve sorriso dipingersi lentamente sul volto del principe. -…perché sorridi?- gli chiese, attonita, senza comprendere.

-Sei ancora più bella, quando strepiti.- fu la semplice risposta del ragazzo, gli occhi neri fissi su di lei. Ridacchiò, quando la vide istantaneamente arrossire, andando quasi letteralmente a fuoco.

-Idiota!- sbottò, spingendolo via senza nemmeno troppa convinzione. Il principe si lasciò ricadere indietro, sul letto, trascinando anche lei con sé in una risata trascinante, che riuscì a coinvolgerla mentre si ritrovavano a lottare, a giocare, come bambini.

-E splendida quando ridi…ahi, Sir, dai, non mi picchiare!- perseverò lui, ridendo, proteggendosi dai pugni senza forza con cui lo stava tempestando la rossa.

-Invece ti picchio eccome! Tu…non puoi dirmi così. Non puoi. No.- mugugnò la ragazza, appallottolandosi al suo fianco, il viso sul suo petto ed il mantello abbandonato per terra.

Sorrise, Caspian, passandole un braccio intorno alla schiena accarezzando quei capelli che si spargevano sul letto come un mare scarlatto, in cui affogare.

-E perché?- le chiese, dolcemente, voltandosi verso di lei e premendo le labbra sulla sua fronte, in un tocco gentile, tenero.

-Perché…perché no, ecco.- l’avvertì brontolare, il viso che affondava il più possibile in quell’incavo caldo che era la gola del principe, la pelle sempre più rossa. -Mi…m’imbarazza.- confessò, dopo un istante; e seppe per certo che sarebbe andata a fuoco entro pochi istanti, visto che quel dannato rossore non accennava minimamente a diminuire.

-Come se nessuno ti avesse mai fatto un complimento.- ridacchiò lui, divertito, giocherellando con una ciocca di quei capelli ramati che tanto adorava, sentendoli scivolare morbidamente fra le dita, come seta.

-Non come fai tu.- la sentì lentamente acquietarsi fra le proprie braccia, dopo quelle parole; sentì il suo respiro farsi più tranquillo, ma il battito del cuore rimaneva martellante, forte, prepotente, lo sentiva palpitare sotto le dita che accarezzavano lentamente il suo corpo flessuoso. -Caspian…- si accorse immediatamente della vena di paura nella voce della rossa; nonostante si lasciasse distrarre, per pochi attimi, Siria era ben conscia di cosa li aspettava, del pericolo che aleggiava su di loro.

Il principe scosse la testa, accarezzandole una guancia. Con dolcezza, portò il suo visetto a guardarlo, costringendo quegli occhioni immensi a perdersi nei propri, quelle labbra a sfiorare le sue.

-Ehi, non pensarci. Non pensare a nulla, stanotte, Siria. Soltanto a me.- le sussurrò, piano, scostando dolcemente una ciocca di capelli dalla sua guancia.

E un istante più tardi, un nuovo bacio li coinvolse entrambi; un bacio dapprima leggero, fatto di labbra dolci che si sfioravano, che si accarezzavano lambendo ogni millimetro di pelle, di respiro, di fiato. Un bacio che dopo qualche attimo diventò più intenso; Siria avvertì le mani di Caspian racchiuderle delicatamente il viso, avvertì il suo tocco caldo sulle guance, la pelle morbida delle dita, la sicurezza che le trasmettevano con quelle dolci e lievi carezze.

Sospirò, tremante, gli occhi blu sperduti nel sapore di quei baci di cui non poteva averne mai abbastanza, quei baci che la trascinavano via, che si agitavano nel suo ventre e che acceleravano i palpiti di quel cuore che lottava, per la prima volta, per vivere.

Vivere per lui, vivere di lui.

-Sei un bel pensiero.- sussurrò, piano, quando il respiro tornò a fluire fra le sue labbra, le palpebre socchiuse. Intravide il sorriso del suo principe, i suoi occhi neri brucianti quanto i propri, le proprie mani tanto candide immerse in quei riccioli soffici.

E sentì la pelle ardere nuovamente, il corpo rabbrividire e fremere ed un calore languire nel suo ventre, quando le labbra sottili del principe scesero sul suo collo, baciandola con morbidezza, cancellando in quel sentiero fatto di umidi baci ardenti tutti i pensieri che tormentavano entrambi.

-Anche tu, per me.- lo avvertì sussurrare, e sorrise, arrossendo di nuovo, le dita affusolate e candide che slacciavano i lacci della casacca del principe – ignorando quel terrore che si ritrovò spinto in un angolo, schiacciato dal bisogno di perdersi, ancora una volta, in lui.

.

.

-Caspian.- fu la voce di Siria, nel buio della notte, a risvegliare il principe.

Il ragazzo schiuse bruscamente gli occhi, il ventre avvolto soltanto dal lenzuolo grezzo di quel letto frugale, ritrovando a pochi millimetri dal viso due specchi blu, illuminati dalla candida luce della luna che filtrava dalla finestra.

-Cosa…?- le dita sottili della raminga si posarono sulle sue labbra, la testa rossa, scompigliata, si alzò dal cuscino; Siria era tesa, il suo viso era assente, il suo sguardo pareva perso ad ascoltare qualcosa che lui non poteva udire.

Rimase in silenzio, obbediente, guardando i suoi occhi farsi assenti ed il suo volto dipingersi lentamente di terrore.

-Passi di gente in armatura. Ascolta.- gli sussurrò, e dopo un istante Caspian comprese a cosa si stesse riferendo; conosceva quel suono, lo aveva udito milioni di volte, osservando le truppe del regno sottoposte ai rigidi allenamenti dei loro comandanti…

Con un fruscio, la raminga si lasciò scivolare dalle lenzuola, il corpo nudo, candido, che si accostava prudentemente ad un angolo della finestra. Rabbrividì, tentando di non lasciarsi distrarre dagli ardenti occhi del principe, che avvertì indugiare sulle proprie curve, sul seno, sulle natiche, sulla fenice che vigile adornava la sua schiena liscia.

E ciò che vide, riuscì a fermare per qualche istante quel suo cuore rinato.

-Sono guardie. Merda, sono guardie di Miraz!- sibilò, il terrore che improvvisamente riempiva quegli occhi repentinamente scuriti, raggelati; Caspian distinse soltanto una macchia confusa di capelli, prima di vederla indossare rapidamente il corpetto, la calzamaglia scura, il mantello. Talia! Sono venuti a prenderlo!, sbottò mentalmente la rossa, allacciandosi in cintura la propria fedele spada, passando sulla schiena i lacci della faretra.

Fila via! Portalo via, subito!, sentì ribattere l’amica; Talia era già sveglia e vigile, Talia aveva già visto cosa stava succedendo…

-Dobbiamo andare via…- mormorò, ma per la prima volta non sembrava convinta; non poteva lasciare che prendessero Caspian, ma non poteva nemmeno permettere che i suoi compagni rischiassero la vita…

-Uccideranno gli altri.- Caspian, già vestito, sembrò dare voce ai suoi pensieri. Le si avvicinò, vedendo il tormento tornare ad oscurarle il volto, lo sguardo, prima che la raminga si voltasse verso di lui.

-Tu vai, io non posso lasciarli.- affermò, un po’ più sicura, la mano sinistra che si stringeva quasi convulsamente sull’elsa.

-E io non posso lasciare te. Saranno in trenta, Siria, vi ammazzeranno tutti.- distolse lo sguardo, la raminga; distolse lo sguardo, perché la crudele verità negli occhi di Caspian era troppo pesante, per poter essere accettata.

-Sappiamo cavarcela.- mormorò, ma nemmeno lei era convinta di ciò che stava dicendo.

Fu Caspian a costringerla a guardarlo; fu lui, a prendere il suo viso fra le mani, a guardarla con una decisione cupa e determinata nelle iridi scure.

-Siria.- Siria si sentì morire, quando la sua mente compì quel semplice collegamento che Caspian aveva già fatto.

-No.- scosse la testa, nervosamente.

-Siria.- Siria chiuse gli occhi, le lacrime che pungevano dolorosamente le palpebre serrate; non voleva ascoltarlo, non voleva sentirlo, non voleva essere costretta a capire che lui aveva ragione…

-Non pensarci neanche.- affermò, la voce tremante, i pugni serrati.

-Sir, è l’unica cosa da fare.- e fu quella verità a frantumare l’ultima speranza che si ostinava a proteggere nel proprio cuore.

Una lacrima. Due, tre.

Perle d’argento su velluto candido.

Tentò di resistere, per un istante; tentò di non crollare, di non lasciarsi andare alla frustrazione, alle lacrime. Ci provò davvero, perché sapeva che non era il momento, che doveva essere forte, che doveva combattere…

Fu Caspian, a trarla a sé.

Fu il principe, a passarle un braccio intorno alla vita ed a stringerla contro di sé, sentendola rigida, in tensione, il viso affilato premuto sul proprio torace, le mani serrate nei pugni.

La sentì tremare, scossa da un singhiozzo soffocato.

-Sssh.- mormorò, pianissimo, accarezzandole i capelli, il viso, le guance rigate da quelle uniche lacrime che si era permessa di piangere.

Rimasero lì, immobili, il clangore delle armature e delle armi che risuonava sempre più minacciosamente vicino nel buio tetro di quella notte senza stelle.

-Ti tirerò fuori da lì.- sussurrò improvvisamente Siria, la voce molto più decisa di pochi istanti prima, alzando lo sguardo.

Non piangeva più, Siria; sul suo viso candido, nei suoi lineamenti contratti, c’era soltanto una determinazione che non le aveva mai scorto prima, che intimamente riuscì a farlo sorridere, fiero del coraggio troppo a lungo dimenticato che ora vedeva apparire nei suoi occhi.

Si era ricordata di un particolare; un particolare importante, che la sua mente aveva registrato senza che lei nemmeno se ne accorgesse. Mesi prima, ormai, Aaron l’aveva portata con sé, quando avevano ricevuto l’incarico sottobanco di riportare il principe traditore a palazzo; l’uomo dal volto nascosto, che aveva riconosciuto come uno dei generali più malvagi di Miraz, aveva chiaramente parlato di un’impiccagione pubblica, di Caspian e del nano catturato al suo posto.

Per spronare il popolo contro quella feccia ancora viva che erano gli abitanti di Narnia”.

Siria aveva ignorato il fiotto d’odio che quelle parole le avevano provocato; non erano affari suoi, a quei tempi. Nulla, era affar suo.

Ma adesso, le cose erano cambiate.

-Io so che ce la farai. Mi fido di te, Sir, mi fido ciecamente di te.- incredibilmente, Caspian sorrise; e lei annuì, rincuorata da quel sorriso, da quel viso, dalla sua presenza che non aveva la minima intenzione di lasciare.

-Resisti…ti prego, resisti.- gli accarezzò una guancia, con dolcezza, sentendo il cuore protestare ferito a morte per quella separazione ormai imminente; ma lo ignorò, così come ignorò tutto ciò che non rappresentava il piano folle che stava prendendo forma nella sua mente.

.

Una freccia dalle piume scarlatte.

.

-Sarò lì ad aspettarti. È una promessa.- annuì lui, sempre più fiero del fuoco che vedeva ardere in quelle iridi, vedendo gli altri – Aaron, Talia, Caleb, Tara – entrare nella stanza, con la coda dell’occhio.

E poi la lasciò andare; fu doloroso, separarsi da lei, ma qualcosa gli diceva che non sarebbe stato per troppo tempo.

E poi, sorprendendo tanto lei quanto sé stesso, alzò gli occhi nerissimi per incontrare quelli azzurri ed allarmati di Aaron.

-Aaron…ho bisogno del tuo aiuto.-

.

.

-Angus.-

La voce sprezzante di un ragazzo dai capelli rossi interruppe la marcia dei soldati, ad un rapido cenno del loro comandante.

Il ragazzo era apparso dal nulla, o così pareva: se, fino a pochi istanti prima, il piccolo drappello di una trentina di uomini si stava dirigendo verso la locanda, lungo quella strada costeggiata dagli alberi, ora si ritrovava immobile, una figura alta ed insolente a bloccargli la strada.

Aaron sorrise; il miglior sorriso indifferente che gli potesse riuscire, in quella situazione, vedendo gli occhi di tutti quei soldati puntati su di sé, sapendo che a poco più di qualche metro da loro, Talia e Siria stavano prendendo in prestito (in un modo un po’ ortodosso) un cavallo dalle scuderie della locanda.

Siria aveva un piano, un piano folle, potenzialmente suicida e ad alto tasso di disfatta; ma lui, aveva smesso di mettere in dubbio la parola di sua sorella.

Angus, il comandante dal volto coperto del piccolo drappello, scoprì appena il viso; una lunga cicatrice sfregiava il suo volto ruvido, barbuto ma fin troppo magro, inquietante.

Uno dei soldati più spietati al servizio di Miraz; la spia.

-Il ragazzo. L’avete trovato, ho saputo.- sorrise, crudele, vedendo gli occhi insolenti di Aaron assottigliarsi impercettibilmente.

-Le notizie corrono, a quanto pare.- commentò il mercenario, le braccia muscolose incrociate sul petto, la testa rossa inclinata appena di lato, le fredde iridi azzurre puntate insistentemente sul proprio interlocutore.

-Avete avuto la fortuna di trovarci in questo villaggio. Il nostro reggente sta organizzando un attacco alla foresta.- Aaron non si mosse, mantenendo quell’espressione distaccata che tanto sapeva irritare quell’uomo; ma dentro, avvertì qualcosa contrarsi, rabbiosamente.

Siria si stava già probabilmente addentrando nella foresta, in quel momento. Cosa avrebbe incontrato? Ce l’avrebbe fatta, a compiere ciò che aveva deciso di fare?

-Interessante.- commentò, ignorando le proprie paure, non lasciando che i pensieri oscurassero il suo sguardo. -I nostri soldi?-

-Il ragazzo.- ribatté Angus, seccamente, schioccando le nocche in un gesto decisamente eloquente.

Aaron si odiò, per quello che dovette fare. In quell’istante, in quel cenno che rivolse al buio impenetrabile della notte, riversò tutta la sua rabbia; verso il piano folle di sua sorella, verso quel pazzo di principe che le dava anche corda, verso tutta quella stramaledetta situazione che li aveva messi ampiamente nei casini.

Fosse stato per lui, si sarebbero dileguati nella foresta; impossibile, sussurrò una vocina amara nella sua testa. Tara, dall’alto dei tetti dove s’era arrampicata, gli rivolse un cenno che non fece altro che confermare i suoi dubbi. La locanda era stata circondata, e non certo da soldati in armatura…

Fu Caleb, ad emergere dal buio, impassibile quanto lui. Al suo fianco, silenzioso e scuro in volto, uno stupido principe che se si fosse fatto ammazzare sarebbe incorso nell’ira funesta di un iperprotettivo fratello maggiore.

-Caspian, è un piacere rivederti vivo.- fu il commento di Angus, un sorriso crudele sulle labbra storpiate; il principe non alzò lo sguardo, troppo concentrato a mantenere quell’espressione accuratamente spaventata, rivolgendo solo una rapida occhiata ad Aaron prima che due soldati lo raggiungessero, afferrandolo e sottraendolo dall’amica, rassicurante presenza di Caleb.

In trappola.

Era questa, la sgradevole sensazione che lo animò per un istante, quando si lasciò trascinare, senza una protesta, fra gli altri soldati.

Un sibilo improvviso lo costrinse a voltarsi; e per un istante, sorrise, vedendo l’immenso spadone che Caleb portava sempre con sé puntato alla gola di Angus, il ghigno ancora impresso sul volto.

-I soldi, Angus.- la voce di Aaron vibrava di fastidio; ma Caspian, sapeva bene che non era dettato dalla mancanza del pagamento.

Angus non perse la sua flemma; con lentezza, estrasse un pesante sacchetto di iuta, gettandolo ai piedi di un Aaron sempre più scuro in volto.

-Eccoli, i tuoi soldi. Dopotutto, sono l’unica cosa che v’interessa.- commentò, velenoso, mentre Caleb abbassava – con molta poca convinzione – l’arma.

Il soldato si voltò per seguire la sua truppa, che già si stava allontanando, il prezioso principe ben controllato da due soldati massicci.

Sull’ultimo, prima di sparire nei meandri del mantello scuro, Angus si voltò a guardare Aaron, sogghignando.

-Io terrei d’occhio le vostre donne, se fossi in te e nel tuo amico…non si sa mai.-

.

.

-Avremmo potuto trovare una scusa per arrestare anche le due puttane, quelle che il rosso aveva con sé l’altra volta. Te le ricordi?- suo malgrado, Caspian si voltò verso il soldato che aveva parlato, sorpreso ed innervosito insieme.

Siria e Talia, gli suggerì istintivamente la sua mente.

Avvertì il sapore amaro dell’odio farsi strada fra le proprie labbra, insinuarsi come un veleno nella sua mente.

-Altroché! La nana coi capelli scuri sarebbe stata interessante, da provare.- dovette mordersi violentemente un labbro, per non reagire a quelle parole disgustose, una sorta di rabbia fraterna che sorgeva repentinamente ad animare i suoi occhi, sentendo quell’uomo riferirsi così a Talia.

-E la rossa…sarebbe interessante provare a domarla, eh, principino?- l’altro uomo, sghignazzando, si rivolse al ragazzo, vedendo una furia ben più prepotente farsi strada sul suo volto. E lo sguardo di puro odio che Caspian gli rivolse, fu più che sufficiente a far morire ogni goliardico sorriso dal volto del soldato.

.

È andato.

Il pensiero telepatico di Talia non le giunse inaspettato, ma non poté impedire al proprio cuore d’incrinarsi, disperato.

Siria scosse la testa, chiudendo dietro di sé ogni contatto, ogni legame. Avvertì la presenza di Talia affievolirsi, ed improvvisamente, a cavallo di quella bestia lanciata al galoppo in mezzo alla foresta, si ritrovò sola.

Sola. Era sola, lei, e la sua determinazione. Ce l’avrebbe fatta, o sarebbe crollata?

Nemmeno lei ne era ben certa. Sapeva soltanto che non avrebbe permesso che facessero del male a Caspian, sapeva soltanto che in qualche modo, a costo di qualsiasi cosa, lo avrebbe liberato.

Era questo, ad animarla. Era questo, a darle la forza di affondare i talloni nei fianchi dell’animale, spronandolo il più possibile.

Doveva trovarli, si ripeteva, lo scalpitio violento degli zoccoli che scandiva il battito furioso del suo cuore.

Doveva salvare Caspian. Dipendeva soltanto da lei, solamente lei avrebbe potuto salvare quella vita che improvvisamente le pareva la più importante di quella terra. Quella vita che si era intrecciata prepotentemente alla propria, da cui sentiva già di dipendere; e sapeva, che se uno dei due lacci di quel legame fosse stato spezzato, l’altro non avrebbe mai resistito.

Doveva salvare Caspian, si ripeteva, mentre il cavallo correva lungo quei sentieri che soltanto quella mattina avevano percorso.

Doveva trovare i Re.

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My Space:

Eeeeeeeeeeeccomi qua, dopo un bel pò che non aggiornavo ^^' allora, ho tante cose da dire su questo capitolo decisamente concentrato xD in primis, la canzone, Blue Eyes; adoro i Within Temptation, come forse s'è già capito, quindi aspettatene tante di canzoni come questa nei prossimi capitoli :P mi sono fatta perdonare l'assenza? Questo capitolo è luuuuuuuuuuuungo! ^^

Ppppppoi, vediamo un pò, andando per ordine alfabetico.

Aaron. Aaron sta capendo, Aaron ha visto, Aaron ha un pò di cervello dopotutto; la cosa mi sorprende, è un uomo......come sono malefica, lo so xP però davvero, sembra che abbia capito qualcosa di sua sorella, finalmente...o molto più probabilmente Talia gli ha dato una sonora mazzata sulla crapa per farlo rinsavire U.U e poi, a dirla tutta, m'è piaciuto un casino nella scena finale ^^'

Caspian. Caspian è un imbecille, ma a quegli occhioni neri e a quei capelli cotonati si perdona tutto *W* insomma, la sua scelta è semplice; ha messo prima di sé stesso Siria, la donna di cui si è palesemente, ma palesemente innamorato. Si è consegnato alle guardie, ma non è che abbia tutta sta gran voglia di morire; infatti, qualcosa *avrà imparato a conoscere un poco Siria, che dite?* gli dice che Siria non se ne starà propriamente con le mani in mano...

Siria, perl'appunto. La raminga sta crescendo, e sta tirando fuori le palle, finalmente; c'è un breve scorcio di quanto in realtà lei sia capace di combattere, di cavarsela da sola; è un personaggio poliedrico, tanto fragile quanto forte, tanto coraggioso nelle cose "esterne" (battaglie, guerre, morti e via dicendo) tanto pauroso in quelle "interne" (ergo, i sentimenti). Siria oscilla continuamente fra il coraggio e la paura, ma alla fine, riesce sempre a trovare la forza per combattere; e tutto questo grazie a quel BENdiddio di principino, santo ragazzo xD Amo questa donna *W*

Ho un'altra precisazione da fare, per chi ha letto le mie Luce e Buio e Il Sangue della Regina: Siria non è Diana. Siria è simile, per certi versi, ma soprattutto è completamente diversa dalla mia Regina (che mi manca tanto T.T). Diana era figlia di un destino crudele già scritto, che ha concluso fino alla fine; Diana aveva degli ideali, uno scopo, un senso di giustizia ben precisi. Siria no; Siria ha un passato altrettanto scabroso, ma al contrario di Diana non ha mai trovato (prima di Caspian) un motivo valido per cui mettersi in gioco, degli ideali che non fossero "pensiamo soltanto a me e ai miei amici" in cui credere. Caspian ha distrutto tutto quanto, portandola repentinamente a credere in una giustizia che le sembrava tanto lontana, e che invece le è piombata fra capo e collo assieme al principino; è lui, il motivo per cui adesso combatte. Diana è l'eroe; Siria, per certi versi, è molto più umana.

Non mi chiedete chi preferisco fra le due, vi prego: sono due parti di me, egualmente importanti.

Bon, ho da dire solo poche cose; dal prossimo capitolo, la prima "parte della storia è conclusa; ossia la parte dove sono due le vicende parallele che si sviluppano, due le storie che vengono narrate, e che ora, finalmente, s'intrecciano. Ergo, presto vedremo Siria e Peter nello stesso luogo...sarà da riderci *muhahahahahahahahahahahahahahah*

*Will inarca un sopracciglio, decisamente preoccupato*

KissyKikka [Contatta] Segnala violazione
03/06/10, ore 21:52 - Capitolo 10: Mother Earth.
Io ti amo *W*
Seriamente, ti sei fatta ampiamente, ma dico AMPIAMENTE perdonare, anche se non ce n'era alcun bisogno!!! Ho adorato la tua recensione, davvero *.* e merita una risposta come si deve ^^

Aaron è un personaggio complicato; è un fratello maggiore, e ha dalla sua l'arroganza e la saccenza tipici di questa razza (dovrei tacere, visto che sono anch'io sorella maggiore, ma va beh :P); ma non è cattivo, e in questo capitolo, finalmente, si vede ^___^ Siria è anche peggio; ha passato fin troppe brutte esperienze, che l'hanno rinchiusa in un bozzolo di durezza e cinismo in cui prima non era. La tua definizione è praticamente perfetta, davvero! Hai colto l'essenza che voglio dare a Siria, l'essenza mia: Siria si odia, si odia per ciò che è nel profondo, per quel cancro che si porta dietro e che si scoprirà fra parecchio tempo (anche se di indizi ce ne sono già ^^) Shaylee è un personaggio meraviglioso, altrettanto complesso: è dolce, ma ferita; al contrario di Siria, però, si nasconde dietro la freddezza, non la durezza. Con Lucy si troverà presto; sono entrambe decisamente simili. E Peter...aaaaah beh, quell'uomo è una versione di me al maschile, poveretto ^^'''
Talia e Caleb; Talia è un personaggio meraviglioso, specchio fedele della mia migliore amica. E' quel carattere di sorella maggiore che voglio calcare su di lei, ma allo stesso tempo "compagna di marachelle" di Siria; è protettiva, vero, ma non ossessiva come Aaron, come dici tu. Adoro caratterizzare Talia, è una ventata d'aria fresca e travolgente, è uno sprazzo d'ironia e di allegria trascinanti. Con Caspian, sta stringendo una bizzarra amicizia che ha dell'incredibile xD Caleb è adorabile; lo amo, è un orsacchiotto, non ho altro da dire <3
Siria e Caspian: aaaaaaaaaah, li amo *W* li adoro, senza limite *.* lui è tenero, è terribilmente coccoloso, lei con lui riesce ad essere sè stessa, ad essere fragile senza paura di essere spezzata. Questi due mi hanno conquistata, senza scelta ^^' Siria è comunque una guerriera, e presto la vedremo nel suo elemento; il fuoco, l'ardore della battaglia ^__^
Ancora Peter: Peter in battaglia, Peter come Re, Peter in tregua con Shaylee, Peter come ragazzo: amo quest'uomo, amo caratterizzarlo, mi ci rivedo facilmente (forse anche troppo): sono contenta che ti piaccia tanto come lavoro su di lui ^^ e con Shaylee lo adoro: sono una coppia esplosiva, ma che riservano tante, tantissime sorprese. In fondo, l'odio e l'amore non sono così distanti ^^
Susan: Susan la odio, profondamente, e se la maltratto è giusto per questo ^^'' ma li trovo, i suoi dettagli. Non è stupida, è intelligente; è furba, e sarà una presenza ben importante contrapposta a Shay e Siria.
Sono tanto felice che ti piacciano le mie descrizioni *.* adoro descrivere, è forse la cosa che amo di più nella scrittura, forse perché adoro anche osservare ^^ anche per le emozioni, le sensazioni, i sentimenti, cerco di concentrarmi appieno per mettere su carta ciò che intendo far provare, a me, ai miei personaggi, e ai miei lettori ^^
I tatuaggi sono molto importanti, in questa storia: Siria non ha solo quello, ma la fenice è il suo marchio, quella che servirà in un eventuale seguito ^^
Il gioco di maschere fra Peter e Shay l'ho amato; è quasi una danza, un continuo indossare e togliersi queste maschere, questo gioco che corre fra loro che non sono più così lontani ^^
Finito anche io, ho scritto un mezzo poema xD sappi che adoro le recensioni lunghe, ma non farti dei problemi, pensa prima agli esami che sono la cosa più importante in assoluto, tanto la fic è qua, non scappa! ^___^
Un bacione, e grazie di tutto ^__________^ <3
P.S. Sto lavorando ancora a quella benedetta stesura ufficiale di L&B; mi sono arenata di nuovo, è noioso riscrivere tutto T.T
Alchemia [Contatta] Segnala violazione
20/05/10, ore 21:06 - Capitolo 10: Mother Earth.
Non ti farò sentire più in colpa Chica, promesso xP
romina75 [Contatta] Segnala violazione
18/05/10, ore 16:17 - Capitolo 10: Mother Earth.
Renditi conto: "cockerino morbidoso" è diventato il mio epiteto preferito rivolto a Will *W* meraviglia *.*
Il legame fra le tre dame sarà spiegato nel prossimo capitolo; pian piano, siamo arrivati alla conclusione della prima parte della storia ^__^ Lucy è meravigliosa, ma è grazie alla Fla che riesco a scrivere di lei, non la sento molto mia; Susan, eh, Susan ha davvero bisogno di un uomo, basta che non sia Caspian xD un bacione a tutta la famiglia, e un abbraccio forte forte <3
MarziaIrish [Contatta] Segnala violazione
18/05/10, ore 05:01 - Capitolo 10: Mother Earth.
Mother Earth è una canzone meravigliosa, l'ho amata dal primo momento in cui l'ho sentita ^^ i suoni Irish li adoro, hai provato ad ascoltare Medieval Drum Dance su Youtube? E' splendida ^^ Peter e Shay sono meravigliosi, e questo è l'ultimo capitolo in cui sono "separati" dalla vicenda di Siria e Caspian...tremo al pensiero di Siria e Peter nello stesso posto, due zucconi del genere avranno vita dura:P spero che questo, nonostante l'assenza del mio amatodiato biondo, ti sia piaciuto ^_____^

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*Pubblicità occulta*

And To The Clear, Northern Sky...I Give You King Peter, the Magnificent.

Mia ennesima fanfiction, la numero 40 per essere precisi *W* Incentrata sul Re Supremo, si può considerare come un prequel di questa fanfiction...commenti e letture sono sempre gradite ^_____________^

Love you all, B <3

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Capitolo 12
*** Caged. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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{Caged – Within Temptation}

Shaylee smise repentinamente di camminare, quando qualcosa di prepotentemente immenso irruppe con rabbia nella sua mente.

Smise di camminare, le mani affusolate che trovavano istintivamente la corteccia dell’albero più vicino, il corpo attraversato da una scarica elettrica che la costrinse a serrare gli occhi, cercando di trattenere quell’energia dall’esplodere.

Siria.

Avrebbe riconosciuto la sua presenza, i suoi pensieri, la sua energia, in qualsiasi caso. La pelle del collo bruciava, bruciava come non mai; la rossa era vicina, era più vicina di quanto non fosse stata negli ultimi sette anni, ed il simbolo che entrambe portavano impresso sul corpo ardeva per avvertirla dell’avvicinarsi rapido della raminga.

Avvertiva la coscienza della rossa sempre più vicina. Concitata, il cuore che batteva ad una velocità inaudita. Paura.

Paura. Terrore, ansia, paura, terrore.

Decisione.

C’era determinazione, in quel turbinio di emozioni che travolsero la ninfa con una forza inaudita, costringendola ad aggrapparsi a quel tronco pulsante di vita repressa per non crollare in ginocchio.

Non avvertì le voci dei suoi scomodi accompagnatori, non avvertì la voce di una Lucy improvvisamente allibita.

Un calore sconosciuto sulla pelle del braccio.

Un calore che non riconobbe, un calore che il suo corpo accolse con un brivido che nulla aveva a che fare con quelle emozioni dirompenti. Un calore di una mano che non l’aveva mai sfiorata, che si strinse intorno al suo esile avambraccio per sorreggerla, impedendole di cadere.

E riuscì davvero ad impedirglielo.

Fu quel calore a trascinarla fuori dal vorticoso turbinare che era la mente della raminga; fu quel calore, a ridarle coscienza di sé, a farle repentinamente riaprire gli occhi, improvvisamente di nuovo limpidi e vigili.

-Shaylee…?- una voce preoccupata, una voce vicina. Una voce, un calore, che improvvisamente, con un singulto tremendo dalle parti del cuore, riconobbe.

Alzò lo sguardo, allibita.

Capelli biondi.

Stupefacenti occhi celesti.

…Peter.

Sobbalzò, allontanandosi di scatto dal – troppo vicino – Re Supremo, distogliendo immediatamente gli occhi dorati dal viso preoccupato del giovane.

-Shaylee, tutto bene?- improvvisamente, la ninfa si rese conto di essersi aggrappata come un naufrago sballottato dalla tempesta ad un albero, il viso stravolto, il colore scomparso dalla carnagione già chiara di per sé. Li aveva preoccupati, probabilmente – lo

-Sì…sì, tutto bene, è che…- le parole morirono sulle sue labbra, mentre lentamente i suoi occhi mettevano a fuoco la foresta buia che li circondava, lo sguardo diffidente della Regina, quelli sinceramente preoccupati di Lucy e di Edmund…il viso ansioso di Peter, quel volto che faticava a guardare, quasi quanto fissare il Sole.

Siria.

Siria era vicina, era terribilmente vicina. Nel breve scorcio che aveva avuto della sua mente, aveva distinto lo scalpitio di un cavallo, la stessa foresta che la circondava che correva rapida intorno a lei…

Che diamine stai facendo!?

.

Un lieve sorriso si disegnò sulle labbra della raminga, il cavallo che scartava violentemente per evitare lo scontro con un albero.

Tranquilla, non voglio farmi ammazzare.

.

Un’espressione alquanto atterrita si disegnò sul volto della ninfa, alle parole incredibilmente sicure che risuonarono nella sua mente. Non sembrava nemmeno la voce di Siria, quella; c’era troppa sicurezza, troppa determinazione, per una ragazza che non aveva ancora trovato la propria strada.

Trasalì, quando avvertì due suoni quasi sovrapporsi; lo scalpitio di un cavallo, e il sibilo frusciante di una spada elegantemente estratta dal fodero.

-Peter…- mormorò, scuotendo appena la testa, rivolgendo il suo sguardo atterrito agli alberi bui. Il Re aveva sguainato la sua spada, il corpo muscoloso e slanciato era pronto, scattante, la tensione emanava dalla sua pelle in un modo quasi palpabile.

Siria, dannazione, frena!, sbottò con veemenza, sentendo l’avvicinarsi del cavallo in corsa, avvertendo la coscienza dell’amica sempre più vicina.

E la voce irridente, decisa, incredibilmente viva della rossa risuonò nuovamente fra i suoi pensieri, sorprendendola per la determinazione che prevaleva persino su quel terrore quasi atavico.

No.

Si sarebbe messa nei guai, guai grossi. Shaylee ne era davvero certa.

Per fortuna, però, sembrava darle retta. Avvertì il cavallo rallentare, l’andatura si fece meno frenetica, più tranquilla.

E dopo un istante, lo vide emergere dagli alberi; un bel cavallo fulvo, dalla criniera scura e gli occhi dolci, i fianchi poderosi che si allargavano freneticamente dopo una corsa durata probabilmente ore ed ore.

-Ma che diamine…- fu il lieve sussurro di Peter, i muscoli tesi e l’udito pronto a cogliere ogni singolo suono fuori dal normale.

Il cavallo non portava nessuno, in sella. A dir la verità, non portava nemmeno la sella, soltanto una coperta grezza era buttata sul suo dorso, e soltanto le redini apparivano come finimento al muso ansimante.

Non un fruscio, non un suono, precedettero un’unica parola a poco più di una spanna dietro la ninfa.

-Shaylee.- in altre circostanze, Siria avrebbe riso, ed anche di gusto; il balzo della ninfa, l’urlo che riuscì per un pelo a soffocare, furono davvero esilaranti.

Ma la determinazione scolpita nei suoi duri occhi blu le permise soltanto di piegare appena le labbra in un mezzo sorriso frettoloso, quando le iridi dorate della ninfa si posarono su di lei.

-Siria!- la vide serrare le labbra, non appena il suo nome le sfuggì in un’esclamazione quasi esasperata. Vide i suoi occhi saettare sull’altra ragazza, sulla bruna dagli occhi azzurri dal viso improvvisamente illuminato. Vide un ragazzo dai capelli neri sguainare la spada, scrutarla con diffidenza mista a qualcosa di molto simile a spietatezza; e distinse l’espressione confusa di una bambina, una bambina dai limpidi occhi celesti che la fissava completamente allibita.

Ma la sua attenzione, prevedibilmente, venne attratta dal biondo, e dalla spada lucente che in un istante si ritrovò puntata alla gola.

Non mosse un muscolo, quando gli occhi celesti del Re Supremo si scontrarono con i suoi. Non ebbe bisogno di presentazioni, non ebbe bisogno dello sguardo di avvertimento che Shaylee le lanciò con furia, preoccupata.

Le bastò vedere il leone inciso sull’elsa di quella spada, per riconoscere nel suo proprietario l’Alto Re di Narnia.

Rimase completamente immobile, scrutando con palese insolenza il viso contratto del biondo. E sostenne quello sguardo, quello sguardo che veniva da secoli addietro, quei gelidi occhi azzurri che riuscirono, per un istante, a trapassare la flebile maschera che sapeva di dover indossare.

Peter non aveva sentito il sibilo di Shaylee. Non aveva nemmeno collegato la descrizione frettolosa della mercenaria che aveva rapito Caspian alla diafana ragazza avvolta in un mantello nero, che ora aveva dinanzi.

Aveva semplicemente reagito; reagito all’istinto prepotente che quella donna dallo sguardo gelido gli provocava.

Pericolo.

Qualcosa, nel suo stomaco, si stava agitando violentemente; non era una bella sensazione, era la sensazione che aveva provato prima di una battaglia, prima di scontrarsi con nemici pronti a tutto pur di ucciderlo.

Pericolo. Quella donna dagli occhi blu, e i capelli rossi come fuoco, era un pericolo.

Un pericolo spaventato, perché in quelle iridi, sotto una scorza d’indifferenza, c’era il tumulto.

-Shaylee, ho bisogno del tuo aiuto…e del loro.- mormorò Siria, la voce perfettamente calma, il corpo completamente immobile. Istintivamente, Peter allontanò la lama dalla sua gola, sentendola nominare la ninfa; se conosceva Shaylee, se chiedeva il loro aiuto, probabilmente non era un nemico.

Perché, allora, quella sensazione non svaniva?

-Tu chi diavolo sei, rossa?- sbottò, con molta più veemenza di quanto si aspettasse; non era solito rivolgersi così ad uno sconosciuto, e men che meno ad una donna; eppure, il suo istinto continuava a urlargli di tenere la guardia alzata, di tenerla sotto tiro. Rivolse un breve cenno ad Edmund, che annuì, la spada ancora alzata e gli occhi scuri piantati addosso alla rossa.

-Potrei farti la stessa domanda, biondo.- replicò lei, gli insolenti occhi blu che si spostavano di nuovo su di lui, irridenti. E Peter avrebbe probabilmente ribattuto di gusto, se non avesse sentito, alle sue spalle, un esasperato versaccio spazientito proveniente da Shaylee.

-Siria!- la avvertì, infatti, esclamare, la voce venata di rimprovero. E in un istante, Shay si frappose fra loro, ignorandolo completamente per la prima volta da quando l’aveva incontrata, gli occhi dorati posati con aria severa sull’indifferente rossa – più alta di lei di almeno una quindicina di centimetri.

Fu nel sentire quel nome, nel vedere lo sguardo di Susan indurirsi, che qualcosa scattò nella sua mente.

-Aspetta un secondo…Siria? La mercenaria, quella che ha rapito Caspian?- mormorò, mentre una voce prepotente nella sua testa gli dava dell’imbecille; come diavolo aveva fatto a non capire, a non riconoscerla immediatamente!?

Il suo primo istinto, fu quello di rialzare la spada, di puntarla nuovamente contro di lei; ma era disarmata, non indossava armi.

E, soprattutto, due decisi occhi dorati si posarono su di lui, inchiodandolo lì dov’era ed impedendogli di muoversi.

Stai invecchiando, Re Supremo, se una donna ti fa questo effetto

-Proprio io. Immagino che tu sia invece quell'imbecille che ci ritroviamo come Re.- l’irritazione crebbe a dismisura, nello sguardo improvvisamente furibondo del Re, alle parole irridenti e sarcastiche che la raminga, con un lieve ghigno sul viso levigato, gli rivolse.

-Ehi! Come…- sbottò, ma Shaylee ancora si frapponeva fra loro, ancora gli impediva di muovere anche solo un muscolo. Poco dietro di lui, Edmund era in guardia, accanto alle due sorelle; ma per la prima volta non era sicuro di cosa fare, di come muoversi. Shaylee si era guadagnata la sua simpatia ed il suo rispetto, e quella ragazza sconosciuta non poteva essere davvero così sciocca da cacciarsi da sola nella bocca del leone.

-Non ho tempo per discutere con te, idiota.- Siria liquidò in fretta l’orgoglio ferito del Re Supremo; quel ragazzo non le piaceva, non le piaceva proprio. E quel leone, sulla spada…

Ignorò la morsa che serrò il suo stomaco in una stretta d’acciaio, nel fissare per un istante di troppo quell’intaglio che tanto la spaventava, e si rivolse alla ninfa, che ancora la scrutava con un cipiglio di severità mista a preoccupazione.

Doveva spiegarle, doveva raccontarle tutto, e far arrabbiare l’unico che avrebbe potuto fare qualcosa non era, dopotutto, una buona idea…

Improvvisamente, nella sua espressione sostenuta, qualcosa s’incrinò.

-Shaylee…- mormorò, la voce ben diversa, gli occhi blu che si spostavano repentinamente dal volto sorpreso della ninfa.

.

Caspian.

Caspian, che si consegnava spontaneamente ai soldati di Miraz.

Caspian, che si fidava di lei.

Caspian, che stava rischiando la vita.

Caspian…

.

-I soldati hanno preso Caspian…eravamo in una locanda, io non ho potuto…- si odiò, per il fremito che spezzò la sua voce, che riempì i suoi occhi di lacrime trattenute per puro orgoglio. Si odiò, vedendo gli occhi crudeli del Re e della Regina più grande indugiare su quelle crepe, su quelle voragini capaci di spaccare a metà quella sottile maschera che si era costretta ad indossare.

Si odiò, sentendo l’orgoglio ruggire ferito a morte, ma lo ignorò. Lo ignorò, come tutto il resto, chiudendo gli occhi per un istante troppo lungo, vedendo nel buio della mente il riflesso del viso del suo principe.

Avvertì una mano piccina, affusolata, terribilmente calda, posarsi sul braccio scoperto. Non poté impedirsi un sorriso, un minuscolo sorriso denso di gratitudine, riconoscendo all’istante il tocco dell’amica, di Shaylee.

-Calmati. Siria, avanti, calmati.- si rese conto solo in quell’istante, Siria, di tremare; tremava, tremava di un freddo che veniva da dentro di lei, un gelo che minacciava di mangiarla viva, un battito disperato del cuore dopo l’altro.

No.

Non l’avrebbe permesso. Non si sarebbe lasciata sopraffare dal terrore, Caspian ce l’avrebbe fatta, lo avrebbe tirato fuori di lì. Non gli sarebbe successo niente. Non gli succederà niente.

Ma ogni istante che passava, il terrore diventava più grande.

-Shaylee, non posso calmarmi, dannazione!- sbottò, improvvisamente di nuovo determinata, gli occhi blu che si riaprivano e si fissavano con forza in quelli d’oro colato della naiade. -Lo ammazzeranno domattina davanti a tutti, dobbiamo fermarli, lo condanneranno come un traditore!- Shaylee trasalì, quando riuscì per un istante a sfiorare la paura che animava Siria, che Siria stava combattendo per incanalare, per sfruttare; era quella ad averla spinta fin lì, direttamente in mezzo a persone sicuramente ostili.

Vide Peter, alle spalle della ninfa, sgranare gli occhi.

-Scusa…tu vuoi salvarlo? Lo hai consegnato a Miraz, e ora vuoi andare a salvarlo?- Shaylee nemmeno la vide. Avvertì soltanto uno strattone poco gentile, qualche passo, e voltandosi di scatto trovò il viso furibondo di Siria a poco più di una spanna da quello sconcertato del Re.

-Io non ho consegnato nessuno a Miraz.- sibilò la rossa, lo sguardo furibondo, duro come la roccia, che si scontrava con quello altrettanto arrogante di Peter.

Shay fu seriamente tentata di alzare gli occhi al cielo; quei due erano uno più testardo dell’altra, farli andare d’accordo sarebbe stato un miracolo…

-Non mi sfidare, mercenaria.- sibilò Peter, ma non alzò nuovamente la spada; la ferocia della raminga lo aveva sorpreso, non poco…le ipotesi erano due: o era un’attrice formidabile, oppure non mentiva.

E il suo istinto, stavolta, parve stare dalla parte della mercenaria.

-Stai mentendo. Come credi che possiamo crederti?- le chiese, duramente, dopo un attimo di silenzio; ma fu Siria a fare un passo indietro, a voltarsi, a non sostenere più il suo sguardo, di nuovo impaziente, concitata.

Cambiava umore ad una velocità impressionante, una velocità che aveva distinto soltanto in una persona: sé stesso.

-Shaylee, non c'è tempo! Tu sai che non posso mentirti, quindi convinci questo imbecille a darmi retta!- sbottò, rivolgendosi ad una Naiade alquanto pensierosa, che mordendosi nervosamente un labbro scrutava entrambi, tormentata.

Per un istante, rimase in silenzio; un silenzio pesante, gli occhi celesti di Peter piantati addosso, lo sguardo implorante di Siria che la feriva più di quanto potesse immaginare.

-Peter…- mormorò, infine, alzando lo sguardo sul Re sempre più sospettoso. -Siria non può mentire a me, lo ha giurato col sangue tanto tempo fa.- spiegò, il più brevemente possibile.

-Davvero?- Susan si era portata accanto al fratello, che pareva del tutto intenzionato a crederle sulla parola; ma la Regina era un osso ben più duro del biondo, Shaylee se n’era accorta diversi giorni prima, quando quella lite che ancora bruciava negli occhi di Susan era divampata fra loro.

-Io sono una ninfa. La bugia non è annoverata nelle mie capacità.- Siria la fissò, completamente colta di sorpresa dall’astio vibrante nella voce della solitamente gentile e pacifica Shaylee; scoccò un’occhiata allibita a Susan, come a chiedersi cosa potesse aver fatto per irritare l’amica fino a quel punto. Shaylee arrabbiata la spaventava non poco, a pensarci. Decisamente non poco.

-Curai Siria, tanto tempo fa, da una ferita che poteva esserle mortale. La mia regina le fece giurare fedeltà alle ninfe, e fra tutte, fui scelta io come custode della sua lealtà.- con una decisione dettata dal puro disprezzo, Shaylee scostò bruscamente i propri capelli, rivelando un piccolo tatuaggio dorato impresso a fuoco sulla sua pelle altrimenti perlacea.

Un attimo dopo, le dita sottili della ninfa si erano serrate sul cappuccio calato sui capelli rossi di Siria, che non reagì minimamente quando le avvertì ripetere lo stesso gesto su di sé, rivelando il medesimo marchio impresso sul collo bianco della raminga.

Peter e Susan trasalirono visibilmente, nel riconoscere quel simbolo sulla pelle delle due ragazze; era un simbolo molto antico, sigillo di un giuramento prestato con il sangue, formato da una linea continua che s’intrecciava in quattro trifogli stilizzati.

Il sigillo di Iona.

Il sigillo suggellato da Susan stessa, più di milletrecento anni prima. La Regina lo conosceva bene, conosceva gli effetti di quel marchio; chi stringeva quel patto, chi lasciava che il sigillo di Iona s’imprimesse sulla propria pelle, non poteva più mentire a coloro con cui aveva stretto il giuramento. Se l’avesse fatto, sarebbe morto.

E non potevano mentire a lei; a lei, suggello di ogni patto di quel genere che venisse compiuto a Narnia.

Shaylee represse a stento un sorrisetto di vittoria, vedendo la sconfitta disegnarsi sul volto di Susan, e il sollievo su quello di Peter.

Le avevano creduto. Avevano creduto a Siria.

La gratitudine della raminga le invase la mente un istante più tardi, insieme al suono lieve di un sospiro.

Grazie., mormorò. Shay le scoccò un’occhiata burbera, severa, ma non realmente arrabbiata; Siria voleva soltanto proteggere il principe, il suo principe.

Ne parleremo poi., rispose, ma sentiva quell’amore del tutto nuovo vibrare nel cuore dell’amica, e non poteva davvero avercela con lei; non poteva.

-Però, quando vuoi sai tirar fuori le unghie, sorella.- Siria, incredibilmente, riusciva a spezzare la tensione con una battuta, con una vena di sarcasmo, d’ironia; Shay dovette lottare, per non sorridere.

-Tu, zitta, che con te farò i conti più tardi.- le intimò, più dolcemente di quanto in realtà volesse essere; ma non poteva farci niente, era difficile non volerle bene, ed era ancor più difficile arrabbiarsi sul serio con lei. -Allora? Dov'è?- le chiese, nello stesso istante in cui vide quell’istante d’ilarità sparire dal volto della rossa, soppiantato di nuovo da quella rinnovata maschera di durezza.

-Lo hanno portato al castello, presumo sarà tenuto nelle segrete. Le conosco, le ho già viste. Penso non risparmieranno le torture, questa notte, ma so per certo che vogliono un’impiccagione in pompa magna, Miraz l’ha accusato di tradimento e ha sobillato la gente contro di lui.- spiegò la raminga, rapida e concisa, fissando solamente l’amica ed ignorando ancora una volta i Re intorno a loro. -Dobbiamo muoverci subito.-

-E come?- sbottò nervosamente Peter, rinfoderando la spada, la sensazione di pericolo un po’ attenuata dalle parti dello stomaco. -Siamo in sei, se hai notato! Vuoi affrontare un castello intero in questo stato?- le chiese, irritato, notando però il lampo di gratitudine negli occhi di Shaylee, quando entrambi si accorsero che in quel conto, erano incluse anche lei e Siria.

-Io conterei meglio se fossi in te, biondino.- una voce improvvisa fece sobbalzare tutti quanti, echeggiando dal nulla della foresta improvvisamente vicini a loro. Peter si voltò di scatto, sguainando repentinamente la spada quando quattro figure cupe apparvero fra i rami degli alberi, piombando silenziosamente sull’erba come rapaci notturni. Era stato tanto distratto dalla discussione con la ninfa e la rossa, che non se n’era accorto…si maledisse, fra sé, quando distinse in quelle figure due uomini, una creatura strana che pareva un’elfa a metà, e una bambina dai boccolosi capelli biondi non più grande di Lucy.

Ma ancor di più, lo sorprese la voce altrettanto stupita di Siria, che risuonò alle sue spalle in una nota di speranza.

-Aaron!- la ragazza si precipitò in un istante fra le braccia del ragazzo più grande, dai capelli rossi quanto i suoi, abbracciandolo con una forza che sfociava realmente nel terrore. Si staccò in fretta da lui, ma il rosso chiamato Aaron le sorrise, scostandole i capelli dal viso.

-Pensavi davvero che ti avremmo lasciata sola, cretina?- la voce squillante della ragazza bassina dai capelli neri, dalle appuntite orecchie elfiche, risuonò in tutta la radura, vibrando di un’energia incredibilmente prepotente. Scoccò un sorriso allegro e deciso alla ninfa, che sospirò, sorridendo con solo una punta di esasperazione.

Sbaglio o quel ragazzo ha fatto un miracolo?, furono i pensieri che la Naiade le rivolse, a mò di saluto, prendendo finalmente fiato.

Non sbagli. Ed è anche simpatico, solo per questo merita salva la pelle! Suo malgrado, Shaylee non poté non sorridere, all’ironia tutta particolare della mezz’elfa.

-Non vi faranno niente, sono…amici.- mormorò, la voce lievemente più bassa, quando vide l’occhiata interrogativa che tutti e quattro i Re le rivolsero.

Ma guarda te cosa mi tocca vedere

-Ragazzi…voi non c'entrate, è una scelta mia, vi metterete soltanto nei guai, non…- fu Aaron, con un sorriso, a zittire dolcemente le proteste di Siria.

-Non parlare a vanvera, per favore.- le chiese, posando una mano ruvida, calda, sicura, sul viso della sorellastra. Era cambiata così tanto, in quei giorni…sembrava un’altra persona, sembrava una donna fatta e finita. C’era luce, nei suoi occhi, non più il buio. -E’ il mio modo per farmi perdonare.- e dopo quelle parole, vide un sorriso farsi lentamente strada sul suo visetto, illuminandola fin dall’interno.

-Su, gli scambi di effusioni familiari rimandiamole a dopo! Sir, c'è da salvare il tuo principino, ricordi!?- la voce squillante e pratica di Talia strappò un mezzo sorriso ai due fratello, che si voltarono repentinamente verso di lei, ignorando tranquillamente l’espressione sempre più allibita del Re Supremo, quelle attonite dei suoi fratelli.

-Sei di una simpatia quasi innaturale, Tallie.- fu il commento divertito di Aaron, una mano sulla spalla della sorella, gli occhi che scrutavano gli altri presenti. Riconobbe all’istante, nella ragazza bruna dall’espressione esasperata, la ninfa di cui tanto aveva sentito parlare; mentre gli altri quattro dovevano essere i “grandi” Re del passato…inarcò un sopracciglio, soppesandoli ma restando in silenzio, poco convinto.

Di certo, non si sarebbe aspettato una bambina, due ragazzi e una fanciulla.

-Lo so, sono un genio.- replicò Tallie, divertita.

Fu Shaylee, spazientita, a ricordare tanto a lei quanto a Siria la situazione in cui si trovavano.

Ragazze, già è stato abbastanza complicato convincerli, potreste cortesemente darvi una mossa?

Quanto sei acida, Shay, il biondino ti fa un brutto effetto? Non è brutto, però!

Shaylee avrebbe strozzato Talia, prima o poi. Sentì le guance avvampare, mentre con poche, decise falcate si portava fra Peter e il gruppo dei mercenari, decisa più che mai a far sì che quella bizzarra alleanza funzionasse.

Vedessi come l’ha guardata, fino adesso

E anche Siria. Oh, sì, le avrebbe strangolate entrambe.

La mente del Re lavorava veloce; poteva distinguerlo negli occhi azzurri che si posarono un istante nei suoi, prima che saettassero nuovamente su Siria, su Aaron. La sensazione di pericolo pareva essersi chetata, sostituita da un’urgenza del tutto nuova; la rossa non aveva mentito, quindi il principe di Telmar era davvero a poche ore dalla sua fine…

-Dobbiamo muoverci.- affermò, improvvisamente, la spada abbassata ma comunque stretta in pugno. La sua voce era ben diversa, era decisa, dura, calcolata; era la voce di un generale, di un uomo pronto alla battaglia, mentre nel suo sguardo, i suoi fratelli lo sapevano bene, brillava la luce di un piano ardito appena formatosi.

Quel ragazzo era importante, lo sapeva bene; Miraz non si sarebbe aspettato un attacco, in teoria nessuno sapeva che Caspian era stato riportato a Telmar da una banda di mercenari alquanto recalcitranti all’idea…

Si permise di osservare la raminga, per più di un istante. C’era qualcosa in lei che non riusciva a cogliere, che non riusciva ad inquadrare; ma era soltanto un dettaglio, nella miriade di informazioni diverse che soltanto la sua figura gli trasmetteva.

Era una guerriera; portava le armi con fin troppa disinvoltura, una balestra sulla schiena e un’immensa spada a due mani al fianco. Non era una vigliacca, non si era mossa quando le aveva puntato la spada alla gola; oppure, era veramente disperata, e il terrore che aveva scorto nei suoi occhi era davvero legato al principe più di quanto immaginasse…

Spostò gli occhi su Shaylee, che come lui pareva preda di quella sorta di fredda agitazione che precede una battaglia; la sua figura, nonostante la tensione, riuscì a calmarlo, a trasmettergli un vago senso di pace che riuscì ad acquetarlo, a rasserenarlo per qualche istante.

Soltanto un istante, prima che la ninfa spostasse gli occhi su di lui ed il suo sguardo corresse all’elfa anomala accanto alla rossa.

-Tu sei in parte elfa, giusto?- le chiese, non senza cortesia, ma deciso. E Talia, ben sapendo che non era il momento di rispondere ironicamente, si limitò ad annuire, concisa.

-Le truppe sono radunate due miglia indietro da qui, a Sud.- intervenne Edmund, mentre Siria si voltava a guardare Talia, pensierosa. Il Re più giovane aveva capito immediatamente l’idea appena accennata nella mente di Peter; gli elfi, a quanto ne sapeva, potevano muoversi nella foresta a tali velocità da risultare invisibili.

Pensi di farcela?

In mezz’ora due miglia le faccio tre volte, sorella.

-Io conosco il castello.- aggiunse Siria, la voce fredda e decisa quanto quella del Re supremo. -Ci sono stata, più di una volta.- si limitò a spiegare in risposta allo sguardo interrogativo del biondo, sorvolando sulle situazioni poco ortodosse che l’avevano condotta nelle stanze del castello di Miraz.

Eh, rubare nei bei castelli appollaiati sulle rocche, è divertente… Tallie non doveva farla ridere, in quel momento. Era una situazione seria, perdiana.

-Susan, bisogna che tu resti indietro con Lucy.- gli occhi azzurri della fiera Regina di Narnia sgranarono di botto, indignati.

-Io sono perfettamente in grado di combattere, Peter!- sbottò, ferita nel profondo del suo orgoglio, scoccando al fratello maggiore un’occhiataccia che, in circostanze normali, lo avrebbe intimorito non poco.

-Non è questo il problema, Sue.- le rispose, con voce pacata, paziente. -Non voglio che Lucy partecipi a questo. Se qualcosa dovesse andare storto, sarebbe una carneficina.- gli occhi celesti del Re Supremo si spostarono sulla piccola Lucy, che accanto a Shaylee li osservava tutti quanti, pensierosa.

C’erano troppi giochi di equilibrismo, in quel gruppo.

La mercenaria, Siria, pareva pronta a tutto per salvare Caspian; glielo si leggeva negli occhi, nell’espressione altalenante fra terrore e determinazione. Quando la raminga la guardò, soltanto per qualche istante, Lucy le sorrise: uno di quei sorrisi luminosi, rapido come il battito delle ali di una farfalla, che strappò un’espressione raddolcita a quel volto diafano, contratto dall’ansia.

Siria aveva bisogno del loro aiuto; ma l’astio, la testardaggine, l’orgoglio con cui aveva ribattuto a Peter…

Peter…Peter era splendido. Non poteva definirlo diversamente, era meraviglioso; suo fratello era tornato nel suo elemento, nel suo posto. Suo fratello aveva appena ritrovato ciò che lo animava, l’eccitazione e l’adrenalina che precedevano un piano pericoloso, il desiderio di battersi per difendere una causa giusta, per dar sfogo al suo inesauribile senso di giustizia.

Peter guardava Shaylee, cercando nella sua figura conforto, calma, risposte.

Shaylee, Shaylee che le teneva la mano, Shaylee che pareva quasi più decisa di Peter…Shaylee pareva immensamente più sollevata, adesso che aveva potuto rivelare l’entità del suo legame con la rossa. Parevano molto più amiche di quanto probabilmente avesse colto Peter, e qualcosa, negli sguardi che intercorrevano fra la mezza elfa e la rossa, le disse che entrambe avevano già intuito quella conclusione che lei aveva già raggiunto.

Shaylee, che era l’unico nodo che legava tutte le persone presenti; Shaylee, che era l’unico motivo per cui, in quella radura improvvisamente affollata, si era appena stretta un’alleanza mai vista prima, sulle Terre di Narnia.

-La bambina posso portarla via io.- intervenne Talia, pratica, rivolgendosi a Peter e sedando per un pelo l’esplosione ormai imminente di Susan. L’Alto Re le rivolse uno sguardo grato, uno sguardo di chi non voleva altre discussioni, altri problemi; e Susan assunse quell’irritante espressione soddisfatta che prendeva quando otteneva ciò che desiderava, quell’espressione che dava tanto sui nervi al fratello, fin troppo simile a lei.

-Tallie…- fu la voce del biondo gigante a raggiungere l’elfa, strappandole un lieve sorriso molto più dolce di quanto Lucy potesse aspettarsi.

-Anche Tara. Sono mezz’elfa, Cal, sono più forte di te volendo.- il ragazzone sorrise, sollevato, mentre la ragazzina al suo fianco raggiungeva rapida e allegra la bruna elfa, rivolgendole un sorriso; non poteva essere molto più grande di lei, al massimo un paio d’anni.

-Questo è ancora da dimostrare!- ridacchiò l’omone, un ragazzo più alto di una decina di centimetri di Peter, avvicinandosi. Lucy non poté non sorridere, nel vederlo in viso; sembrava un grosso bambinone, non molto più vecchio di Susan.

-Vorrà dire che alla prima occasione te ne darò una prova.- fu Siria, il volto contratto da quel misto di ansia e decisione, a schiarirsi sonoramente la voce, interrompendoli.

-Tallie.- le disse soltanto, il viso terreo che si alzava su quello dell’elfa.

-Giusto. Vado, volo, mi precipito e porto al castello un bel po’ di creaturine bellicose.- Lucy e Tara, a quell’affermazione, al sorriso spigliato di Tallie, non poterono non ridacchiare, divertite; una risatina che attirò loro addosso lo sguardo stralunato di Edmund, decisamente terrorizzato nel capire che, molto probabilmente, Lucy aveva trovato un’anima affine.

-Porta questa con te. Basterà per farti riconoscere e ascoltare.- intervenne Susan, porgendole una delle proprie frecce; la presenza di Lucy sarebbe forse bastata, ma una prova in più non avrebbe certo guastato.

Ridacchiò, Talia, accettando la freccia dalla Regina e riponendola nella faretra, issandosi con un gesto fulmineo le due bambine sulla schiena.

-Si spera! Ora, scusatemi, ma abbiamo un principe da salvare!-

E fu la sua risata cristallina, l’ultimo suono amichevole che Siria riuscì a sentire.

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My Space:

Dai, stavolta sono stata più che brava, guardate con che velocità aggiorno la fanfiction xD

E per di più con un altro capitolo luuuuuuuuuuuungo, oserei dire fulcro per la chiusura di questa prima parte di fiction; ora, saranno come si dice "uccelli senza zucchero", per Peter, per Shaylee, per Siria, per Talia, per tutti quanti xD non vi nascondo che riuscire a far quadrare tutto è stato una faticaccia: intrecciare due storie parallele, ma allo stesso tempo ben distinte l'una dall'altra, non è stato per nulla facile ^^' spero che il risultato sia gradito ^^'

E così si spiega il legame che corre fra Shay e Siria; un legame di cui fa parte anche Talia, nel medesimo modo, un legame su cui tornerò presto ^_____^

MarziaIrish [Contatta] Segnala violazione
10/06/10, ore 02:38 - Capitolo 11: Blue Eyes.
Spero che anche questo capitolo ti piaccia, in quanto a lunghezza xD Aaron vuole tanto bene a Siria, anche ciò che ha fatto in precedenza lo ha fatto esclusivamente per amore; quell'amore fraterno a cui tengo veramente tanto, che mi piace tanto descrivere. Per l'imbecillità di Caspian, concordo pienamente :P per il fatto che non sia né smielato né diabetico, probabilmente è grazie al mio cinismo, e alla mia idiosincrasia per i troppi zuccheri volanti xD che sia protettivo piace tanto anche a me *.* coccoloso lui *.*
Il piano di Siria è chiaro in questo capitolo; ma già il piano di Peter crea non propri grattacapi alla sottoscritta (che ne so io di quel che gli gira in testa...xD) spero ti sia piaciuto il confronto fra Siria e Peter, sono due teste che avranno modo di scontrarsi parecchie volte xD un bacione!
romina75 [Contatta] Segnala violazione
07/06/10, ore 20:47 - Capitolo 11: Blue Eyes.
Tesoro, che piacere risentirti <3 Sto abbastanza bene, si tira avanti, anche se la schiena e la depressione non sono particolarmente semplici da sopportare...ci si prova :)
Aaron è tanto dolce, in questi due capitoli; insomma, non è scemo (forse un pochino... :P), ma vuole farsi perdonare! ^^
Caspian è coccolo; è stupido, fa il principe senza macchia senza paura, ma è tanto coccoloso *W* sono in una fase di adorazione totale per il principino di Narnia ^^'
Ecco qua Siria alle prese con Peter; povera Shaylee, mi fa una pena...ma tanta, tanta pena! Due testoni così, chi li sopporta più? xD
Non penso che voler strizzare le guance di Will sia una cosa da "vecchia zia": è la stessa, identica cosa che vorrei fare io ogni volta che lo guardo in foto xDDDD Per la questione Yin e Yang...concordo completamente!!!! E' una cosa che mi è passata per la mente più e più volte, probabilmente un giorno io e la Fla ne tireremo fuori una fanfiction :) Aaron e Susan...ma sai che li sto considerando? xDDDD
Un abbraccio forte forte a te e alla famiglia <3
Alchemia [Contatta] Segnala violazione
07/06/10, ore 15:29 - Capitolo 11: Blue Eyes.
Contenta? Ecco che aggiorno, in parte l'hai già letto, adesso son curiosa di vedere se recensire ti viene così facilmente anche stavolta xDDDDDDDDDDDd
VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
07/06/10, ore 14:31 - Capitolo 11: Blue Eyes.
ti ringrazio tantissimo per i complimenti *W* il fatto di non essere sdolcinata è una delle poche cose che mi piace realmente di me stessa; non riesco a concepire troppo zucchero, il mio cinismo me lo vieta categoricamente - dannoso alla salute! xD Sono contentissima di rivederti fra i recensori, è un piacere ^____^ le mie protagoniste...sì, sono tutte terribilmente testone, con un passato un pò macabro alle spalle e decisamente troppe pare mentali xD Grazie davvero, non penso di meritarli tutti questi complimenti!

Love you all, B <3

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Capitolo 13
*** Our Solemn Hour. ***


1 chap Narnia

Narnia's Rebirth

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Our Solemn Hour - Within Temptation

Quasi due ore.

Era passato troppo tempo, per i gusti di Siria.

La raminga scalpitava, i suoi bizzarri compagni d’armi potevano chiaramente avvertire la sua agitazione, il suo nervosismo. In particolare, era Peter a scoccarle sempre più spesso una dura e irritantemente saccente occhiata d’avvertimento, che la rossa, senza problemi, ignorava.

Aaron e Caleb si scambiarono un’occhiata, silenziosi come fantasmi, nascondendo un ghigno. Quel biondino poteva essere qualunque Re di quella terra, ma stuzzicare una donna in quello stato – per di più, una donna armata di spada e balestra, con poco autocontrollo e che di nome faceva Siria – poteva risultargli quasi sicuramente fatale.

Erano entrati; in poco più di un’ora, mentre marciavano silenziosi in direzione del castello cupo e minaccioso che si ergeva al centro della cittadella, sei grifoni avevano compiuto una tanto silenziosa quanto improvvisa planata di fronte a loro, una Talia sorridente e trionfante in groppa a quello più massiccio.

Era stato allora, che si erano divisi. Avrebbero agito in due volte, due giri avrebbero compiuto i grifoni. Siria, senza nemmeno parlare, era salita sul grifone non senza nervosismo, vedendo gli occhi intelligenti della creatura scrutarla, ben conscio di chi era la persona che portava in groppa.

Talia e Aaron erano andati senza possibilità di replica con Siria; Peter ed Edmund non avevano sentito ragioni, sarebbero andati loro, per primi. L’ultimo grifone, con somma soddisfazione della Naiade, era stato destinato proprio a lei.

Ricordava bene l’espressione indignata di Susan, alla scelta drastica e impossibile da ribattere di Peter.

-Verrà lei. Della rossa non mi fido, e Shaylee conosce la magia.-

Shay abbassò gli occhi di scatto, nascondendo un sorriso trionfante quando Peter le dedicò una breve, fulminea, intensa occhiata, capace di far contorcere qualcosa nel suo stomaco.

Shaylee, hai fatto colpo sul biondino, a quanto vedo

Ma stai un po’ zitta, Sir, non è assolutamente vero!, replicò, alla voce metallica e quasi incolore di Siria. Avvertiva la sua agitazione, il suo terrore, la sua preoccupazione; ma una flebile nota di sarcasmo era ancora lì, nascosta da qualche parte nel commento della sua amica.

Ah, no? Va bene, vorrei proprio vedere cosa farebbe se ti vedesse ferita

È un Re, sono una dei suoi sudditi. È ovvio che si preoccuperebbe! Ma chi stava cercando di convincere, Shaylee? Siria, o sé stessa?

Non poteva negare che quegli sguardi riuscissero ad irretirla…non poteva negare, che il disagio, l’imbarazzo e il disprezzo si mescolassero sempre più di frequente, di fronte agli occhi celesti del Re Supremo, quando lo sguardo traditore si perdeva ad osservare gli sprazzi dorati fra quei capelli biondo miele, illuminati dal Sole.

Ma no.

Era Re Peter, era Re Peter. Aveva abbandonato Narnia. Aveva abbandonato tutto. Doveva odiarlo, odiarlo

C’è modo e modo, di preoccuparsi.

E il commento di Siria la riportò bruscamente alla realtà, quando si ritrovarono nell’ampio spiazzo dinanzi al mastio, di fronte ad una porta ora aperta ed una guardia appena messa fuori uso da un lieve colpo di Aaron.

-Di là si sale alle stanze reali.- sussurrò Siria, rivolgendosi a Shaylee, non a Peter. Non avrebbe accettato la sua autorità, e questo il Re sembrava averlo capito; di certo, non era una cosa che le attirasse la sua simpatia.

Shaylee annuì, notando che Peter aveva sentito ogni parola, e aveva distinto il gesto secco di Siria verso una scalinata in penombra.

Il piano di Peter era quello; lui, assieme a Susan – distinse i grifoni atterrare dove già loro erano discesi, nel buio fitto della notte illuminata dal vivido chiarore delle torce –, avrebbe raggiunto le stanze di Miraz. Edmund sarebbe rimasto di vedetta, pronto a dare il segnale di attacco alle truppe che si stavano radunando alle porte della cittadella.

Aaron, Caleb e Talia avrebbero coperto Siria. Nessuno aveva ordinato loro di farlo, Siria non lo aveva chiesto; già la preoccupava che fossero lì, con lei, quando avrebbe desiderato essere l’unica a rischiare…

Shaylee, invece, aveva un compito ben più sottile; doveva mettere fuori gioco le guardie al portone, sfruttando l’acqua del fossato. Peter era stato decisamente restio, a darle quel compito, Siria non poteva non notarlo…

-Io vado giù nelle segrete. C'è Caspian, là.- aggiunse, dopo un istante, intravedendo nella penombra quella stessa porta oltre cui aveva visto sparire i soldati che avevano trascinato via tanti prigionieri in catene, mentre spiava, studiava il luogo, prima di un furto. Aveva fatto anche la ladra, per arrotondare le entrate; e quel castello, era pieno di cose preziose e facilmente smerciabili.

-Vedi di non metterci troppo tempo.- sibilò Peter, irritato più che mai dall'arroganza tutta singolare di quella rossa.

-Oh, tranquillo Re Supremo, tornerò in tempo per vederti prenderla in quel posto dai guerrieri di Miraz.- replicò lei, ignorando l'occhiataccia di Shay alle sue parole. Peter fece per ribattere, ma fu Shaylee, esasperata, a zittirlo con uno sguardo. Era strano, quel potere che sembrava esercitare sul Re Supremo…

-Stai attenta.- le sussurrò soltanto Talia, sfiorandole la spalla quando le passò accanto, la spada in pugno e l'espressione determinata.

-Io sono sempre attenta.- fu la risposta della rossa, prima che, con pochi passi silenziosi, scomparisse al di là di quel corridoio buio.

Con un gesto fluido, calcò il cappuccio sopra ai capelli rosso fiamma, troppo evidenti per non attirare gli occhi delle guardie su di sé. I suoi piedi si muovevano silenziosi, veloci e rapidi sulla pietra levigata che componeva il pavimento, le iridi che fendevano senza alcun timore le ombre fra cui si era sempre sentita sovrana.

Se il suo senso d'orientamento non la ingannava, la porta in legno ad un paio di metri da lei, in fondo ad un bivio di due stretti corridoi all'apparenza identici fra loro, era quella che conduceva alle celle.

 

-Caspian!- sibilò, nella penombra, distinguendo la figura del principe incatenato alla parete...sembrava così immobile, così maledettamente immobile...per un istante, per un solo, maledetto istante, credette di essere arrivata troppo tardi.

Ma immediatamente, al suono della sua voce, il moro alzò la testa, l'espressione sorpresa di chi ha appena riconosciuto qualcosa di assolutamente inaspettato.

-Sir? Siria?- chiamò, incredulo, senza riuscire a credere a ciò che vedeva. Doveva essere un'illusione, quell'angelo dai capelli rossi e gli occhi di cobalto che scendeva correndo le scale della prigione, che lo aveva chiamato con la paura, la paura vera, nella voce.

Ma dovette ricredersi, quando vide chiaramente il volto della ragazza che amava accostarsi atterrito alle sbarre arrugginite dal tempo.

Quanto era bella, Siria.

Ancora di più, adesso, preoccupata per lui, ansiosa, il fiato corto ed il seno che si alzava e si abbassava velocemente, agitato, velato soltanto da un corpetto che le lasciava scoperto il ventre ed i fianchi eleganti.

-Caspian, stai bene?- gli chiese, ansimando per la corsa, i lunghi capelli tutti arruffati raccolti in un concio scomposto, da cui ciocche rossastre ricadevano intorno al suo volto.

-Sì, sto bene, ma...tu cosa ci fai qui?- le chiese, senza comprendere, sul momento, la sua – meravigliosa – presenza lì. Aaron gliel’aveva giurato…aveva promesso di tenerla lontana da quel posto, di non permetterle di andare a salvarlo, di tenerla al sicuro…era stata la sua unica consolazione, nelle ultime ore.

Siria era in pericolo, in quel luogo: aveva sentito lui stesso i commenti poco signorili dei soldati di Miraz, sulla mercenaria, e se l'avessero scoperta lì, se fossero riusciti a disarmarla...non osava, non riusciva a sostenere l'orribile idea di cosa avrebbero potuto farle.

-Secondo te?- la rossa, inaspettatamente, gli rivolse un'occhiata ironica, mentre armata di una chiave presa chissà dove apriva la cella dove lui era rinchiuso ed incatenato, avvicinandosi di corsa. -Ti salvo la vita, sciocco.- aggiunse, senza guardarlo, con uno strano sorriso dipinto sulle labbra.

-Sir, come hai fatto a entrare? Il castello...- Siria alzò lo sguardo, zittendolo semplicemente con un'occhiata dei suoi penetranti occhi blu.

E per un istante, Caspian dimenticò tutto il resto.

Quegli occhioni...allungati, belli, sprezzanti del pericolo...in quelle ore lontano da lei, erano sempre stati presenti, sempre vivi ed accesi in un angolo della sua mente. Gli avevano dato la forza di affrontare quella notte, di aspettare l'ora della sua esecuzione, ben sapendo di non avere più scampo...

Almeno, così aveva pensato.

Siria sfiorò appena la sua guancia, il suo viso. Caspian era stato ferito, c'erano dei profondi tagli, sul suo volto...sentì una fitta, da qualche parte in mezzo al petto, quando si rese conto di essere l'unica colpevole di quelle ferite.

-Non guardare.- mormorò, prima di allontanarsi repentinamente da lui, sguainando la spada. Caspian, allibito, seguì con lo sguardo la pesante lama d'argento sfilare via dalla fodera, in un sibilo sommesso ed inquietante.

-Sir, cosa...-

T-CLANG!

Il rumore del ferro spezzato risuonò terribile e prepotente in tutta la segreta, quando Siria, rapida ed efficiente, abbatté la spada sulle catene che lo imprigionavano.

Caspian sgranò gli occhi, improvvisamente libero, quando si rese conto che la bella mercenaria aveva colpito a cinque centimetri di distanza dal suo avambraccio.

-Bel colpo.- commentò, allibito, liberandosi alla svelta di quelle catene ormai inutili.

E lei sorrise: un sorriso vero, bello, sollevato, che riuscì a riscaldare, per quegli attimi in cui durò, persino il freddo gelo della cella in cui si trovavano.

-Andiamo, avanti.- mormorò, voltandosi verso le scale, di nuovo dura, di nuovo tesa e concentrata. Mosse un passo, uno soltanto, con l'intenzione di uscire da quelle segrete che le davano un maledetto senso di claustrofobia...

Ma, prim'ancora di rendersene conto, le dita affusolate di Caspian si erano strette intorno al suo polso, ed il principe l'aveva tratta a sé, catturando le sue labbra con le proprie.

L'ondata di emozioni, di sensazioni, fu immensa.

Siria si ritrovò ad affondare le dita fra i capelli di lui, accarezzandogli una guancia, le braccia forti di Caspian che si stringevano intorno alla sua schiena, il corpo muscoloso che si accostava al suo.

Sollievo, paura, amore...ci fu tutto, in quel bacio breve ma intenso, in quell'abbraccio dolce ma al contempo saldissimo.

Non erano capaci, di parlare. Non erano in grado di spiegare ad alta voce i loro sentimenti, ciò che repentinamente, nell'arco di pochi giorni, si erano ritrovati a provare, a sentire l'uno per l'altra.

Ma durante quel bacio, durante quella stretta morbida e carezzevole, entrambi riuscirono a sentire quelle parole inutili nel cuore martellante dell'altro.

Ti amo...perdonami, dovevo arrivare prima, ho avuto paura di perderti...

Erano questi i pensieri di Siria, era questo che il suo cuore palpitante urlava a quello di lui, accordato sullo stesso ritmo furibondo.

Sapevo che saresti arrivata...lo speravo, speravo di essere per te ciò che tu sei divenuta per me...

Si separarono lentamente, dimentichi entrambi della situazione di pericolo estremo in cui si trovavano, concentrati soltanto sugli occhi dell'altro.

Erano così belli, gli occhi di lei. Erano vivi, erano puliti, lucidi e splendenti come non li aveva mai visti, sembravano per qualche istante privi di quella patina di malinconia che tanto lo aveva incuriosito e rattristato allo stesso tempo...

Le sorridevano, quelle due pozze d'oro nero. Anche soltanto vedendo i suoi occhi avrebbe potuto distinguere il bellissimo sorriso di Caspian, un sorriso che nasceva prima di tutto da quelle iridi profonde e calde, due specchi lucenti in cui distingueva una dolcezza, un senso di pace e protezione, che nessuno le aveva mai rivolto prima d'allora...

-Andiamo.- sussurrò soltanto, intrecciando con delicatezza le dita a quelle di lui e voltandosi, la stretta forte e calda nella sua mano l'unica sicurezza nel buio fitto di quelle inquietanti prigioni.

-Ci sono i Re, qui.- il sussurro di Siria, alle sue spalle, lo fece trasalire. Si voltò di scatto a guardarla, in tempo per vederla avvampare, gli occhi blu che si abbassavano e un mezzo sorriso imbarazzato disegnarsi sulle sue labbra.

-Cosa?- le chiese, completamente allibito, senza comprendere in un primo momento il significato di quelle parole.

Siria arrossì ancor di più, palesemente in imbarazzo.

-Ecco…secondo Talia, a colpirmi era stata la Regina, Susan. Probabilmente ci stavano seguendo, e quando ti hanno portato via, sono tornata indietro…loro sono qui, ora, hanno – abbiamo…un piano.- borbottò, sempre più rossa.

In quell’istante, si rese davvero conto di quello che aveva fatto; era andata contro sé stessa, aveva ingoiato l’orgoglio davanti a quell’antipatico del Re Supremo.

Aveva chinato la testa.

Aveva chiesto aiuto…per lui, per Caspian.

Arrossì ancor più furiosamente, e il principe, nella sua mano, sentì la sua pelle ardere.

Caspian non disse nulla, per qualche istante. Gli stessi pensieri che si rincorrevano veloci nella mente di lei attraversavano i suoi, stupendolo più di quanto avesse potuto pensare; Siria aveva…aveva rischiato la vita, aveva rinunciato all’orgoglio, aveva implorato aiuto…

Per salvarlo.

-Sir…Sir, l’hai fatto…- mormorò, ma non riuscì a continuare a parlare; le dita di lei sulla propria bocca, gli occhioni vividi e lucidi ad un millimetro dai propri, lo zittirono.

-Per te.- lo interruppe la ragazza, sorridendo, ormai dello stesso colore dei propri capelli. -Te l’avevo detto, che non ti avrei lasciato qui.- il sorriso spigliato della ragazza ricomparve, strappandone uno anche al principe; un sorriso quasi adorante, innamorato, perso in quegli occhi blu.

-Non pensavo che avresti mosso tanta gente per venire a salvarmi.- ridacchiò, accarezzandole una guancia, scostando una ciocca di lunghi capelli rossi dal suo viso.

-Mi piace fare le cose per bene.- e in quelle poche parole, Caspian avvertì fremere quel sorriso spigliato, malandrino, sicuro, che per la prima volta poteva ammirare in tutto il suo splendore; lo sentiva, avvertiva un’aura di determinazione e sollievo, di dolcezza e forza emanare da quella ragazza che gli aveva rubato il cuore: sfiorarlo, avvolgerlo in quel calore di cui non poteva più fare a meno, e far accelerare i battiti del suo cuore.

E l’avrebbe sicuramente baciata, entrambi non aspettavano altro, se la voce sibilata – ma udibilissima – di Talia non fosse, in quel momento, risuonata nelle segrete, facendoli sobbalzare entrambi.

-Datevi una mossa, piccioni!-

Improvvisamente, ripiombarono in quel corridoio umido, buio, tetro; repentinamente, si ritrovarono in pericolo, l’ansia che attanagliava nuovamente i loro cuori, i loro petti.

Erano in territorio nemico.

Una guardia, un soldato, avrebbe potuto scoprirli entro pochi secondi, avrebbe potuto ucciderli...e tutto, tutto, sarebbe stato vano…

Si guardarono un istante, prima di annuire all’unisono e cominciare a correre a perdifiato, in quei corridoi che Caspian, per fortuna, conosceva bene; soltanto quando si ritrovarono fuori, ansanti, le dita ancora intrecciate, quella sensazione di terribile oppressione parve attenuarsi un poco, indebolirsi.

-Ma guarda, quanto tempo che non ci vediamo, principino!- la voce sussurrata, ma egualmente squillante di Talia li raggiunse, strappando un sorriso ad entrambi, gli occhi che si alzavano sulla mezz’elfa. Li stava fissando, Talia, le braccia conserte sul petto e l’espressione palesemente divertita.

-E’ un piacere rivederti, Talia. Non immagini quanto.- commentò il ragazzo, sorridendo, passandosi una mano fra i capelli e guardandosi intorno.

Aaron gli rivolse un cenno, guardandolo per la prima volta con rispetto, senza astio; Caleb, invece, sgranò un sorrisone immenso nel riconoscerlo, nel vederlo sano e salvo – e mano nella mano con Siria, soprattutto.

Non se la sentì di non ricambiare; quei mercenari, quell’improbabile banda di delinquenti, era diventata per lui più importante di quanto avesse pensato.

Soprattutto…

Volse il sorriso verso Siria, vedendola ancora molto rossa, ancora imbarazzata, che ostinatamente cercava di evitare lo sguardo di Talia. Incrociò invece per un attimo i suoi occhi, e sorrise, un sorriso celato che vide palpitare nelle sue iridi, ombra sulle sue labbra.

Cornelius.

Quel pensiero improvviso lo colpì con la forza di una mazzata.

Cornelius. Il suo maestro.

Non poteva lasciarlo al castello. Non dopo tutto quello che aveva fatto per lui, non dopo averlo accudito e amato come il padre che il ragazzo aveva perduto…

-Il biondo e la ragazza non sono ancora arrivati.- la voce asciutta e concisa di Aaron, rivolto a Siria, lo fece sobbalzare.

-Dove sono andati?- la domanda del principe fece stringere appena più saldamente la stretta nella sua mano. Si voltò a guardare Siria, sorpreso, e la vide scambiare uno sguardo tormentato con il fratello; e fu lei, in un sussurro, a rispondergli.

-Da Miraz.-

Un odio malcelato distorse per un istante il bel viso del principe; una reazione che Siria si era aspettata, ma che le provocò comunque una fitta, dalle parti del cuore.

Risentire il nome dello zio, ricordare cosa aveva fatto, la cattiveria, la durezza, la spietatezza che lo aveva portato a tentare di uccidere suo nipote…

Siria se ne accorse, vide il suo volto tanto amato adombrarsi improvvisamente, incupirsi. Sapeva cosa aveva fatto Miraz; aveva usurpato il trono di Caspian, aveva ucciso suo padre, lo aveva fatto cercare e catturare da una banda di mercenari…

-Io devo trovare il mio mentore.- la decisione nella voce del ragazzo fece sobbalzare tutti e quattro; otto occhi si puntarono stupiti sul viso nuovamente deciso di Caspian, sugli occhi che bruciavano determinati, accesi, vivi.

-Ma…- Caleb provò a dire qualcosa, ad obiettare; dopotutto, se il ragazzo si fosse fatto catturare di nuovo, sarebbe stato un bel problema per loro e per i due antichi regnanti al momento impegnati a cercare le stanze di Miraz…

Ma fu Siria, alzando appena una mano, a zittirlo. Non fu un ordine, quanto più una muta, gentile richiesta; e Caleb sentì le parole morirgli sulle labbra, quando vide lo sguardo intenso e trapassante che la raminga spostò sul suo principe, distinguendo la decisione, l’affetto, la determinazione dell’uomo di cui si era innamorata.

-Fai in fretta.- gli disse soltanto, ignorando la ragione che le urlava di non lasciarlo andare, ignorando il brutto presentimento che ammorbava i suoi pensieri.

Ma il breve sorriso che apparve sul viso di Caspian fu più che sufficiente per cancellare quelle nubi dalla sua mente, dal suo cuore. Bastò quel sorriso, per rincuorarla, per farle credere che – forse – non tutto sarebbe finito male, quella notte.

Dopotutto, Caspian voleva soltanto salvare il suo mentore. Lo avrebbero portato con loro, al sicuro. Sarebbero usciti di lì, e forse avrebbero persino potuto evitare che si scatenasse un massacro…

Improvvisamente, si sentì stanca.

Stanca di tutto quanto, stanca di vivere sul filo di un rasoio.

Il peso di sette anni passati a vivere agli estremi, passati a scappare, rapire, rubare, le crollò improvvisamente sulle spalle, costringendo le sue ginocchia a piegarsi, il suo viso a celarsi dietro il cappuccio scuro.

Si nascose, dietro quel velo che poteva proteggere i suoi occhi fin troppo espressivi, le nubi che nuovamente li avevano adombrati. Sparì nelle ombre di quel mantello che l’avvolgeva, serrandolo contro di sé, stringendosi in quel manto del colore della notte in cui poteva rifugiarsi, sparire.

Avrebbe soltanto voluto un po’ di pace.

Avrebbe soltanto voluto un angolino sereno, tranquillo. Desiderava soltanto un posto lontano da quel mondo, lontano dagli intrighi, lontano dall’odio, lontano da tutto quanto.

Solo lei e Caspian. Soltanto loro.

Un posticino caldo e tranquillo dove poter naufragare nel suo profumo, nel suo abbraccio; un luogo dove rifugiarsi, e annegare nel sapore delle labbra del suo principe.

E invece, era intrappolata in una guerra da cui sapeva di non potersi esimere.

Caspian la vide.

Caspian vide il suo viso celarsi dietro il mantello, vide l’espressione confusa di Talia – evidentemente, Siria l’aveva tagliata fuori dai propri pensieri. Si era trincerata in sé stessa, qualcosa doveva averla turbata…

Si accostò a lei, scostando il cappuccio con un lieve gesto delle dita, vedendo quelle iridi sfuggenti tentare inutilmente di scappare, di non soffermarsi nelle sue.

-Andrà tutto bene.- le sussurrò, talmente piano che Siria dovette per forza posare lo sguardo sul suo volto, per carpire le sue parole dal movimento di quelle labbra che adorava.

-Stai attento.- fu la sua risposta, la voce – traditrice – che tremava, gli occhioni blu che si spostavano con dolcezza e paura in quelli di lui. E Caspian, nello stesso istante in cui catturò il suo sguardo, seppe che l’avrebbe portata via; che una volta finito tutto questo, una volta lasciatisi alle spalle quella guerra, quei tradimenti, quegli intrighi, l’avrebbe portata lontano da lì, da ciò che la feriva. Sarebbero rimasti solamente loro. Nessun altro, mai.

E l’avrebbe vista di nuovo sorridere.

Annuì, Caspian, il cuore che ruggiva l’impellente desiderio di stringerla, di abbracciarla con forza, di sentirla rannicchiarsi contro di sé.

Ma sapeva di doversi muovere, di dover correre; sapeva, nonostante desiderasse soltanto lei, che in quel momento doveva aspettare. Ci sarebbe stato tempo, dopo, per abbracciarla e sentire quel meraviglioso profumo di fiori intriso nei suoi capelli.

E chinò appena il viso su di lei, rubandole un rapido, intenso bacio sulla bocca, prima di sparire in un istante in quei corridoi bui che sembrava conoscere con tanta sicurezza.

-Ma quanto siete carini.- fu il commento divertito di Talia, alle spalle di una Siria un poco imbambolata.

-Oh, quanto sei spiritosa, davvero.- la replica pronta, sarcastica di Siria la raggiunse nello stesso istante in cui si voltò verso la grata che avrebbero dovuto raggiungere entro pochi attimi.

Calcò con più decisione il cappuccio sul volto, nascondendovisi, celando la propria identità in quell’oscurità fitta che l’avvolgeva; bastò un’occhiata, uno sguardo incrociato con i suoi compagni.

Nessuno, distinse le quattro, silenti ombre sparire nel nero impenetrabile del castello.

 .

.

Shaylee trasse un lungo respiro, tentando inutilmente di calmarsi un poco. Le acque limpide del fossato parevano chiamarla, incantarla con il loro lieve sussurro di magia; fosse stato per lei, si sarebbe lasciata scivolare dal ponte levatoio, immergendosi e diventando una cosa soltanto con quella polla limpida.

Ma non poteva lasciarsi andare, non poteva permettersi di distrarsi neanche per un istante.

Il corpo in tensione, un lungo mantello cupo che copriva anche lei, si acquattò ancor di più nella minuscola nicchia che aveva trovato come provvidenziale nascondiglio.

Lì accanto, due uomini che non sarebbero più andati da nessuna parte.

Chiuse gli occhi, costringendosi a non fissarli, a non guardarli; a non distinguere, sui loro volti, gli inconfondibili segni di una morte per annegamento.

Era stato necessario.

Per loro, come per le guardie che aveva eliminato poco prima.

Era stato necessario. Era il suo compito.

Era una Naiade guerriera; no, non soltanto, lei era la guida delle sue guerriere, aveva rinnegato la sua stessa natura pacifica pur di combattere contro i Telmarini.

Ed era lì per salvare uno di loro.

Le sembrava tutto così assurdo. I Pevensie che accettavano un’alleanza con Siria, Siria stessa che combatteva per uno di quegli uomini che l’avevano costretta all’esilio nelle foreste…e lei? Lei perché era lì, lei perché combatteva?

Perché è giusto…? No, non ci credo più.

Non era la giustizia, il motivo per cui si costringeva a restare lì.

Non era la giustizia, ad averla spinta ad uccidere – di nuovo, troppe volte aveva visto gli occhi dei suoi nemici spegnersi – quei soldati… non era stato un atto voluto, era stato necessario; era ciò che doveva essere fatto. Lei lo aveva fatto.

Sentiva ancora l’odio pulsare nelle sue vene. Quell’odio terribile, quell’odio che minacciava di consumarla, quell’odio che l’aveva spinta a porre fine alle vite di quei telmarini senza il minimo rimorso.

Non poteva perdervisi.

Non poteva lasciarsi andare a quel cancro, a quelle emozioni che minacciavano di sopraffarla.

Non poteva.

Lei era Pura…eppure, era stata costretta a uccidere, più e più volte…

No, no.

Non doveva perdere la concentrazione.

Doveva restare lucida, doveva concentrarsi su ciò che aveva intorno, non poteva perdersi in quei cupi pensieri che avrebbero potuto distruggerla fin da dentro…

Spalancò gli occhi, improvvisamente. Le acque del fossato erano calme, l’acqua che scorreva rapida non dava alcun segno di pericoli imminenti; i suoi sensi erano acuiti dalla vicinanza con quella polla d’acqua, il suo udito poteva carpire ogni suono, i suoi occhi erano gli stessi dell’acqua…

-Shay.- un sussurro flebile, venuto dall’ombra.

La ninfa annuì dopo un istante, senza sobbalzare; l’aveva riconosciuta. Aveva avvertito la sua vicinanza, più per intuizione che per suoni, che per reali avvertimenti della sua presenza.

Talia, Siria e gli altri erano al loro posto. Dall’altro lato della grata, e poteva già sentire le catene tirarsi, il cancello alzarsi lentamente, il cigolio terribile del meccanismo echeggiare nel silenzio.

Chiuse nuovamente gli occhi, chiedendo gentilmente all’acqua di limitare quei suoni, di zittire il metallo arrugginito. Lievi spirali d’acqua serpeggiarono quasi immediatamente dal fossato, andando a lenire quel suono, insinuandosi nei meccanismi e ovattandone il movimento.

Vide gli occhi blu di Siria fare capolino nel buio, mentre lentamente la grata si alzava.

-Sta per succedere qualcosa.- sussurrò Shaylee alla raminga, e la vide annuire, il volto buio contratto per la preoccupazione.

Nemmeno il tempo di pronunciare quelle parole, che uno schianto improvviso spezzò violentemente il silenzio che li circondava.

-ALLARME! INTRUSI NEL CASTELLO!-

-Oh, meraviglioso!-

Tutti e cinque, contemporaneamente, si voltarono a guardare il colonnato del castello; e un indistinto sospiro esasperato sfuggì dalle labbra dei mercenari e della ninfa, quando distinsero la fiumana di soldati che, dal nulla, apparvero dalle porte nascoste nel buio.

E là, da una soglia, videro tre figure ben diverse emergere dall’oscurità, le armi strette in pugno, le gambe che correvano veloci e un grido esasperato sulle labbra.

Peter, Susan…Caspian.

Siria lanciò un’occhiata ai soldati che, come uno sciame d’insetti, stava emergendo dai meandri sconosciuti del castello. Erano tanti, veramente tantissimi; e sembravano non finire mai, sembrava che ad ogni istante, le armature illuminate dal fuoco delle torce infiammate aumentassero.

Vide le armi luccicare sotto le fiamme; vide spade, vide lance, vide pugnali ed archi.

Vide, e avvertì una sensazione ben conosciuta prendere vita dentro di lei.

Adrenalina.

La battaglia, mai troppo lontana, improvvisamente aveva preso forma e spessore; e il suo aspetto, era quello di quelle decine e decine di soldati, che improvvisamente riempivano di riflessi metallici il buio del castello.

E l’eccitazione, dentro di lei, crebbe ad una velocità quasi impossibile.

Strinse le dita candide sull’elsa della spada, sfilandola dal fodero con un gesto fluido, un gesto compiuto mille volte; e la sua arma, ruggente nel clangore assordante delle armi telmarine, brillò per un istante di una luce propria, interna, viva.

Era una spada molto bella, una spada con una storia; l’elsa e la lama erano lavorate per somigliare alle ali di un drago, i fregi su entrambi erano stati incisi dai maghi delle ninfe. L’impugnatura era nera, lavorata nell’onice, mentre le ali erano d’oro, e la spada di un acciaio chiaro, quasi candido.

Una spada unica, una spada inimitabile; una spada bastarda, stretta in un pugno saldo e fremente di eccitazione.

Un sorriso si disegnò sul suo viso affilato, specchio del ghigno decisamente compiaciuto che aleggiava già sul volto di Talia.

La rossa si voltò verso l'elfa, divertita.

-Tallie, ci sei?- le chiese, mentre la spada nel suo pugno sembrava ardere, ansiosa di mettersi alla prova.

-Sì che ci sono.- rispose l'altra, l’arco già teso fra le mani, le frecce dalle piume smeraldine che brillavano alla luce delle torce accese. Fianco a fianco, spalla contro spalla, mentre il sibilo di perlomeno altre due spade sguainate alle loro spalle le avvertiva che Caleb e Aaron si stavano preparando a combattere.

-Bene.- annuì la rossa, guardando i soldati sciamare come mosche dai corridoi bui del castello. Il clangore delle armi la raggiungeva, il suono della battaglia imminente crepitava nel suo petto, nel suo sangue.

Sorrise.

-Allora…- si voltò verso Talia, la spada che brillava dello stesso colore del fuoco. E non ci fu bisogno di parole, fra loro, quando entrambe scagliarono il pugno in aria, la stessa luce combattiva negli occhi così diversi.

-QUESTA…E'…NARNIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!-

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My Space:

Sì, la citazione è di Leonida di Sparta U.U

Non mi piace, questo capitolo. Cioè, l'ho riletto, è scritto bene, l'introspezione è decente; ma boh, non mi attira. Non mi piacciono i capitoli di attesa, non mi piacciono i preludi. Dal prossimo, però...BATTAGLIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!

*risata malefica*

No, dai, scherzi a parte: non è male questo capitolo, ma davvero non mi piacciono davvero molto i preludi alle battaglie, non mi piace la sensazione di attesa, non mi piace l'ansia da palcoscenico; è una delle cose che più mi preoccupano, soprattutto prima di calcare il palco per recitare o cantare. Comunque, spero che vi sia piaciuto ^^'

Ne approffitto: UN AUGURONE IMMENSO a chi ha in questi giorni l'esame di maturità!!!!!!!!!!

Mi dispiace, non ho molto tempo per rispondere alle recensioni; ma un commentino è sempre ben accetto, quindi sotto con le tastiere! xD Spero davvero che la storia vi piaccia...non lo so, momento di insicurezza, non mi piace più nulla di ciò che scrivo :S

Ecco però qualche immagine moooooooolto carina, utile per il capitolo; sperando che passi, questo momento schifoso -.-

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La spada di Siria:

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L'arco di Talia:


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Le spade, rispettivamente, di Aaron e di Caleb; perché, quando si parla di spadoni.............xD

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Love you all, B <3

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Capitolo 14
*** Stand My Ground. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Stand My Ground - Within Temptation.

Il sibilo gelido di Rhindon* fu quasi inudibile, nel minaccioso vociare delle armi e delle urla dei telmarini.

Re Peter scoccò un’occhiataccia al principe Caspian, ostinatamente voltato verso i soldati che emergevano dagli anfratti più bui del castello. Il ragazzo pareva intenzionato a non guardarlo, a non sostenere il suo sguardo; perché lo sapeva, il suo gesto sconsiderato aveva causato l’allarme, e adesso, sarebbero stati sicuramente costretti a combattere.

-Edmund! Dai il segnale!- gridò, nonostante l’impellente desiderio di prendersela con il giovane, alzando lo sguardo e cercando la figura del fratello fra gli alti merli delle torri.

-Sarei giusto un poco impegnato, Peter!- fu la sarcastica risposta di Edmund; e in effetti, il soldato che lo stava attaccando pareva occupare, al momento, la maggior parte dei pensieri del fratello.

Si lasciò sfuggire un’imprecazione, masticata fra i denti; i soldati erano tanti, erano troppi, come uno sciame di formiche stavano riempiendo il cortile dinanzi al mastio. Se Ed non fosse riuscito a dare il segnale, sarebbero stati in pochi, talmente pochi da essere massacrati senza alcuna pietà…

Ma il cancello, i suoi occhi registrarono quell’informazione prima di lui.

La grata era aperta.

Gli occhi celesti sgranarono, quando videro il cancello completamente alzato, il ponte levatoio al suo posto; Reepecheep e Trumpkin avevano compiuto il loro lavoro, l’esercito sarebbe potuto passare, e…

Un lampo.

Un lampo rosso, un nugolo di frecce smeraldine attorno a quella fiamma.

Trasalì, d’istinto, la pelle d’oca che scorreva rapida e sgradevole sulla sua schiena.

Un demone.

Un demone apparso dal nulla, nero come la morte, avvolto in una cascata di capelli che parevano il fuoco dell’Inferno.

Un demone armato di un’inusuale spada bastarda, un demone che stringeva in pugno un’arma particolare, un demone che, il volto assente – trasfigurato, metamorfosato – si scagliò con tutta la sua forza sui soldati di Telmar.

Siria.

La riconobbe con un sussulto, quella sensazione di pericolo che di nuovo prendeva vita nel suo stomaco, nella sua pancia.

Quella donna era un pericolo. Nascondeva qualcosa, qualcosa di spaventoso, qualcosa di marcio – dentro, dentro di sé. Lo aveva intravisto dal disgusto con cui parlava di sé stessa, lo aveva notato dalle ombre che minacciavano in continuazione di sopraffare i suoi occhi.

Era un pericolo.

Ma, soprattutto, in quel momento era anche un’arma.

Un’arma che guardò, allibito e suo malgrado impressionato, scagliarsi fra i soldati telmarini e combattere; combattere, combattere e combattere, la spada che lanciava bagliori incrociando le fiamme delle torce, che affondava, feriva, uccideva senza freni. Un’arma, dotata di una grazia che poteva soltanto associare al movimento fluido della sua spada: era una danza, la sua, una danza mortale fra le frecce letali della sua compagna.

Distinse al suo fianco altri due combattenti: il fratello e il ragazzone biondo, armati di due pesanti spadoni altrettanto unici, altrettanto letali. L’elfa era poco dietro di loro: le frecce, dalle piume smeraldine, sfrecciavano scoccate ad una velocità impossibile attorno a loro, proteggendoli, aiutandoli.

Erano una squadra. Quei quattro erano un meccanismo perfetto, oliato, testato centinaia di volte: non c’era movimento di uno, che non trovasse il suo speculare in quelli degli altri; non c’era affondo, senza una difesa, senza una freccia incoccata.

Erano perfetti, si ritrovò ad ammettere con sé stesso.

Le due ali, la difesa. E l’attacco.

Perfetti.

Ma non gli ci volle molto, per lasciarsi distrarre; in quel breve istante di comprensione, quell’attimo che gl’era servito per assimilare il movimento di quei quattro discutibili alleati, scorse anche qualcos’altro.

Qualcosa che riuscì a coglierlo di sorpresa, a lasciarlo completamente allibito, improvvisamente dimentico di tutto quanto il resto.

Là, nel fossato del castello, vedeva qualcosa rilucere.

Qualcosa che aveva le sembianze di una donna, lunghi capelli intrecciati in argentati fili d’acqua, un viso limpido come la polla che gli dava vita e forma.

Qualcosa, che brillava di una luce interna; viva, pulsante.

Qualcosa, dalle braccia spalancate, l’espressione assente, concentrata, lontana milioni di chilometri da lui e da chiunque altro la circondasse.

Qualcosa, qualcuno, cui le spire d’acqua che s’innalzavano in arabescanti colonne ubbidivano.

Fu il suo cuore, a dargli quella risposta.

Furono i suoi occhi, a distinguere in quella creatura fatta di magia pura, limpida, armoniosa, la silenziosa e lontana compagna di viaggio che non riusciva più a schiodarsi dalla mente.

Shaylee.

Shaylee, che comandava quelle acque trasparenti di alzarsi, di prendere vita, di combattere.

Shaylee, gli occhi chiusi, il corpo soltanto limpida acqua che brillava, che riluceva, che illuminava il buio della notte intorno a sé.

Peter rimase completamente allibito, per un istante infinito che parve dilatarsi nella sua mente, nel suo cuore.

Shaylee era…era indescrivibile.

Era bellissima, era perfetta, era più lontana che mai…non esistevano termini, per definire quello che aveva provocato nel suo cuore. Un turbinio di emozioni diverse, la sensazione che quell’essere etereo fosse troppo perfetto per essere toccato – il desiderio, il bruciante desiderio di sfiorarla, di sentire quella pelle d’acqua scivolare sotto le dita.

Rimase immobile, su quelle scale, per poco più di un paio di secondi. Un paio di secondi, in cui non si rese conto che il suo sguardo era lo specchio esatto di ciò che il ragazzo al suo fianco stava provando, nei confronti di quel demone rosso che aveva catturato i suoi occhi nerissimi.

Siria.

Caspian non si rese nemmeno conto di aver trattenuto il respiro, riconoscendola.

La spada affondava, scartava, danzava con un’eleganza innata fra le lance. Un ballo, una danza mortale che l’aveva completamente assorbita, che leggeva nei suoi occhi blu, vacui, assenti.

Per la prima volta, Caspian la vide sotto quella luce che non aveva forse mai voluto mostrargli.

Per la prima volta, la vide come la guerriera esperta che doveva essere, dalla sua un’agilità di poco, forse, inferiore a quella degli elfi.

Ed era bella.

Era bella, Siria, il corpetto che si alzava e si abbassava freneticamente, i capelli ramati che l’avvolgevano in spire di fuoco, la pelle diafana che riluceva nel buio della battaglia, quanto e più delle cupe armature dei soldati.

Era bella, talmente tanto che rimase incantato per qualche attimo a guardarla; dimenticò la furia che Miraz aveva scatenato nel suo animo, dimenticò la rabbia, il dolore, dimenticò tutto ciò che non fosse il profumo di quei capelli, il sapore di quelle labbra, il suono delle sue parole e del battito del suo cuore.

Era bella. Era nel suo elemento, combatteva con la ferocia e la grazia di un felino, di un puma.

Era bella.

Ed era sua.

Sua, almeno quanto lui apparteneva a lei.

Si concesse solo qualche istante, per guardarla, prima che il frastuono della battaglia irrompesse nuovamente nella sua testa. E fu allora che tutto riacquistò concretezza e orrore; il sangue, le creature e gli uomini che sopperivano, che cadevano sotto i colpi degli avversari. Le spade, che affondavano con odio nei cuori di anime innocenti, che combattevano soltanto per la loro terra. Gli artigli, i denti, le spade dei centauri, che disperatamente si battevano per la loro giustizia.

Era sbagliato.

Era tutto, orribilmente, sbagliato.

Un brivido freddo parve attraversarlo, quando si rese conto che nulla avrebbe mai posto fine a quell’orrore: niente, in quel momento, avrebbe potuto fermare la battaglia cruenta del popolo di Narnia contro gli invasori.

Ma si costrinse a non dare spazio alla tristezza, al senso d’ineluttabile sconforto che gli dava quella consapevolezza.

Sguainò la spada – nello stesso istante in cui un ruggito di guerra irrompeva sulle labbra di Peter, e il Re Supremo si lanciava nella mischia – e si buttò in mezzo alla battaglia, fianco a fianco dei Narniani che aveva giurato di aiutare.

 ,

La battaglia divampò in fretta; più in fretta di quanto chiunque avrebbe mai potuto pensare, osare anche solo immaginare.

La furia dei Narniani pareva non avere limite. Siria li guardava, mentre combatteva al loro fianco, mentre uno dopo l’altro i suoi avversari cadevano: combattevano con la rabbia e l’odio nel corpo, combattevano con quella furia covata nel silenzio delle foreste per secoli, combattevano per difendersi e per sfogare tutto l’odio che i Telmarini avevano lasciato proliferare nei loro cuori.

Non era una battaglia, quella.

Era una carneficina.

Schivò un attacco, roteando su sé stessa e calando con tutta la forza che possedeva in corpo la propria spada, tranciando di netto la leggera armatura del soldato.

Vide il sangue schizzare il metallo, un urlo animalesco sfuggire dalle labbra dell’uomo. Il telmarino sferzò la lancia contro di lei, un gesto disperato, un gesto folle: a Siria bastò saltare, per schivare il colpo, immergendo con un gesto secco la spada nel suo petto.

Distolse lo sguardo, disgustata da sé stessa, da ciò che stava facendo.

Non le piaceva, uccidere.

Era necessario, lo sapeva anche lei; ma ogni volta, ogni volta che il suo Kain – il Guerriero, la sua fidata spada – affondava nella carne di un avversario, ogni volta che vedeva i loro occhi spegnersi…qualcosa, dentro di lei, urlava.

Non si fermava. Uccideva, combatteva fino a battere il suo avversario, non esitava mai dinanzi ad un nemico…ma ogni volta, ogni volta un qualcosa gridava il suo orrore, sepolto nei meandri della sua anima.

Le piaceva, combattere. Le piaceva, l’adrenalina che pompava veloce nel suo corpo, la elettrizzava, la riempiva di un’energia che soltanto in battaglia riusciva a sfruttare.

Adorava, sentire l’elsa di Kain fra le dita; amava sentirla muoversi con leggiadria, sentiva il proprio corpo esultare quando schivava i colpi, attaccare e diventare ella stessa un’arma.

Talia, le aveva insegnato la bellezza del combattimento; Siria era sempre stata portata per i duelli, per gli scontri, e l’elfa non aveva fatto che coltivare quella sua passione, trasformandola in un vero e proprio talento.

Era stata talmente presa dalla battaglia, che non si era resa conto di essersi spostata; le frecce di Talia non fioccavano più dalle sue spalle, Aaron e Caleb si erano buttati a capofitto nella fitta marmaglia di soldati, avvertiva le risate del biondo echeggiare fino a lei.

Ora, guardandosi intorno, vide soltanto il colonnato intorno a sé; il soldato che l’aveva trascinata fin lì, nella foga del duello, oramai giaceva inerte sul pavimento di pietra, una macchia scura che si allargava sotto il suo petto.

Si permise di prendere fiato, dopo quella che le era parsa un’eternità. Chiuse gli occhi per solo un istante, cercando di riordinare le idee, tentando di scacciare il rosso del sangue impresso sulle sue retine in un marchio di fuoco…

 .

Improvvisamente, il sonoro rumore di uno schiaffo.

 .

Siria si ritrovò scaraventata a terra, il volto in fiamme e la mente disorientata. Ebbe appena il tempo di capire cosa le fosse successo, che un peso non indifferente le si buttasse addosso, e due mani crudelmente forti le serrassero i polsi in una morsa di ferro.

-Ma guarda chi c'è…la puttana di Caspian, sicuramente.- Siria si ritrovò stordita dall'alito pesante e cattivo dell'uomo che le era addosso, che le impediva di rialzarsi, di tornare a combattere. Sentì il cuore accelerare bruscamente, spaventato, terrorizzato da quell'improvvisa incapacità di reagire…provò a divincolarsi, scalciando, stringendo i denti e soffocando un ringhio in gola.

-Mollami subito, bastardo!- sbottò, atterrita, serrando istintivamente le gambe e cercando di allontanare il petto dallo sguardo famelico del soldato. Gli occhi chiusi, l'espressione impaurita, costretta; il suo sangue pulsava impazzito di terrore, nelle sue vene, nel suo corpo.

-Non ci penso nemmeno, puttanella!-

SCIAFF!

Un secondo schiaffo la colpì in pieno viso, stordendola ancor di più. Sentì un dolore tremendo al volto, e qualcosa di caldo bagnarle il viso, le labbra: sangue.

Le aveva spaccato un labbro…

-Con te ho intenzione di divertirmi, puttana...hai fatto male a restare sola.- approfittando della confusione di lei, il soldato sconosciuto serrò in una morsa unica i polsi di Siria, liberando una mano che subito scese ad afferrarle le cosce, schiudendole a forza, nonostante lei ancora tentasse di divincolarsi.

No, no, no, no!

Siria serrò i denti, tentando ancora una volta di liberarsi, invano. Si sentiva inerme, era completamente in potere di quell'uomo…quell'uomo che la toccava rudemente, che armeggiava frenetico con i suoi vestiti già a brandelli, con la sua pelle lacera…

 .

Fallo!

No!

Difenditi!

Mai!

Invece sì.

 .

Fu soltanto un istante.

Le iridi di Siria brillarono di rosso, appena per un attimo; più che sufficiente, però, per rendere la sua pelle incandescente come la lava più viva.

Soltanto un istante, perché il baratro dentro di lei si spalancasse di nuovo.

 ,

E si ritrovò perduta, come più aveva temuto in sette anni di odio verso sé stessa.

 .

-AAAARGH!- gridò il soldato, mollando di scatto il corpo della rossa, ustionato da quella pelle che aveva arso come le fiamme dell’inferno.

Siria balzò in piedi con un unico movimento della schiena, gli occhi vacui, pieni soltanto di quel fuoco innaturale. La sua mente era improvvisamente molto più fredda, calma…la paura era scomparsa dal suo viso, così come ogni traccia di umanità.

Ogni pensiero…ogni sensazione…scomparso. Tutto scomparso.

Nella sua testa, solamente un beato vuoto.

Nei suoi occhi, soltanto il freddo calcolo di un predatore.

FERMATI!

Ignorò la voce atterrita nella sua testa, quella voce che sicuramente apparteneva a Talia.

SIRIA FERMATI, MALEDIZIONE! STAI PERDENDO IL CONTROLLO!

E quella era Shaylee. Shaylee, che la sentiva chiaramente, di cui percepiva la magia. Ignorò anche lei, assorta in ciò che l'aveva completamente travolta.

 .

Non ha importanza. Niente ha importanza.

 .

Uccidere.

 .

Uccidere quell’uomo, uccidere quel soldato. Telmar. Lui, come tutti gli altri.

Lui era una delle migliaia di cause del suo dolore.

 .

I suoi occhi, rossi di fuoco, analizzarono perfettamente l'uomo di fronte a lei, che ora indietreggiava, terrorizzato da ciò che stava diventando; trovarono la pulsazione frenetica sul suo collo, il punto preciso del suo petto in cui batteva forsennato il cuore.

Sarebbe bastato soltanto toccarlo, per bruciarlo vivo…

-SIRIA!- una voce spaventata risuonò sotto al porticato…una voce che Siria conosceva, che conosceva fin troppo bene.

 .

Caspian.

Caspian, il suo principe.

Caspian, che era un telmarino.

Caspian, Caspian, Caspian che l’amava, Caspian e la sua voglia di vivere, e il suo sorriso, e il sapore delle sue labbra.

. 

Il baratro, o il suo cuore?

La bestia, affamata di morte e di vendetta, o quell’amore insperato che pulsava insistente dentro di lei?

 .

Le bastò un attimo per riconoscerlo; quello stesso attimo, che costrinse il fuoco a scemare da lei, sparendo veloce com'era apparso.

 .

Via, di nuovo celato negli anfratti più bui della sua anima.

Via, lontano, di nuovo soltanto un brutto ricordo.

E con lui, l’odio. La rabbia, la vendetta, la disperazione di una creatura rimasta sola per sempre.

 .

La ragazza crollò in ginocchio, improvvisamente esausta, tremante quanto il soldato allibito e spaventato a pochi metri da lei.

-Maledetta…- lo sentì mormorare, lo sentì alzarsi in piedi e sguainare la spada…ma era troppo stanca, aveva quasi lasciato che qualcosa prendesse il sopravvento su di lei e la spossasse, ed ora non riusciva quasi a tenere gli occhi aperti, a guardare il soldato che torreggiava su di lei brandendo la sua arma…

-No!- un sibilo metallico, il suono di una lama che affondava nella tenera carne umana, e la figura minacciosa che si stagliava su di lei scomparve.

-Sir, stai bene?- avvertì un suono, una persona che s'inginocchiava di fronte a lei. Prese un lungo respiro, tentando di calmare il battito forsennato del cuore, alzando gli occhi e cercando di rassicurare quelli pieni di spavento di lui.

-S-sto bene, mi sono solo…fatta prendere di sorpresa.- lo rassicurò, accettando la sua mano quando gliela porse, lasciandosi aiutare a rialzarsi.

Il calore della mano di Caspian era bello, era rassicurante. Nulla a che vedere con le fiamme intollerabilmente brucianti che avevano arso dentro di lei, bruciando ogni briciola di umanità dal suo corpo, devastando tutto, facendo di lei solamente un’orribile macchina di morte.

Era durato poco più di qualche istante.

Non si era nemmeno resa conto di ciò che stava accadendo, non si era capacitata nemmeno lei di aver permesso a quell’orrore di riprendere vita.

Un’altra volta

Ingoiò le lacrime a forza, costringendosi dietro una maschera sollevata, nascondendo ciò che era appena successo agli occhi preoccupati del suo principe.

Caspian non doveva, non poteva sapere.

Se fosse successo…lo avrebbe perduto, per sempre. E con lui, ogni motivo che aveva ancora per vivere.

Caspian sorrise, rassicurato, intrecciando le dita alle sue.

-Andiamo, avanti.- la esortò, ed insieme a lei si rituffò nel caos della battaglia. Una battaglia che, Siria se ne accorse immediatamente, non stavano vincendo.

Una battaglia, che stava volgendo in un modo inaspettato.

Gli arcieri e i balestrieri erano apparsi sui merli: Edmund si era salvato a malapena, ma lo vedeva combattere, là, sull’alto dei torrioni, con almeno tre soldati che si accanivano violentemente contro di lui.

-Dannazione!- sbottò la rossa, sentendo le dita del moro scivolare via dalle sue, voltandosi di scatto e vedendo la stessa espressione cupa disegnarsi sul volto del principe.

-Avverti Peter, dobbiamo andarcene di qui!- le gridò, sparendo in mezzo alla battaglia che infuriava, che massacrava, che distruggeva.

Fosse facile!

Siria si lanciò in mezzo ai soldati, ai Narniani, salvando per un pelo Cornell dall’essere pugnalato alle spalle. Lo vide voltarsi, il centauro, lo vide guardarla stupita; ma non ebbe il tempo di dargli spiegazioni, doveva trovare quel dannatissimo Re Supremo – prima che li facesse ammazzare tutti quanti.

-Peter, la grata!- la voce di Susan la raggiunse improvvisamente, con la violenza di una mazzata.

Lei, e nello stesso istante il biondo, si voltarono verso il cancello: c’era un minotauro, a sostenerlo, e la fatica della povera creatura era palese. Non avrebbe retto ancora per molto, sarebbe crollato, e se non fossero fuggiti subito…

Spazientita, Siria si voltò verso Peter: il Re Supremo fissava come spiritato la battaglia, il minotauro, la grata che si abbassava a ogni secondo un millimetro in più.

-DANNATO BIONDO, ORDINA QUESTA FOTTUTA RITIRATA!- strillò, esasperata, la voce tonante che rimbombava in tutto il cortile, anche sopra ai ruggiti delle bestie, alle urla degli uomini.

Lo vide riscuotersi, guardarla improvvisamente con astio, sorpreso e infastidito dalla sua intromissione.

-IO NON PRENDO ORDINI DA TE, ROSSA!- sbottò, ma un attimo più tardi, un violento schianto costrinse entrambi a voltarsi, allarmati.

Tre cavalli avevano sfondato le porte della scuderia, trascinando con sé il resto della mandria, liberata dai propri box. Tre cavalli sellati, in mezzo a un’orda di bestie prive di finimenti, che travolsero tutti coloro non abbastanza veloci per spostarsi dalla loro traiettoria.

C’era Caspian, in groppa ad un bellissimo animale nero come la notte, dal folto manto che arrivava a velare gli zoccoli, la criniera lunga e selvaggia che ricadeva lungo il collo muscoloso. Dietro di lui, stanco e provato ma saldo sulla groppa di un morello, c’era un uomo anziano che Siria riconobbe come Cornelius, il mentore che Caspian era stato tanto deciso ad andare a salvare.

Vide gli occhi scuri di Caspian alzarsi con odio, odio vero, verso la terrazza.

Là, le mani serrate sul cornicione in pietra, gli occhi nerissimi così diversi da quelli del nipote, Miraz lo fissava con una rabbia, un disprezzo, un rancore che mai Siria aveva visto su volto d’uomo.

E poi lo vide incoccare la balestra.

Lo vide puntare alla schiena del nipote, che si era voltato verso di loro, che spronava il suo cavallo verso la grata – già conscio, di quanto quella battaglia fosse perduta.

-NO!- e all’improvviso, la sua fidata balestra aveva già scoccato una freccia.

Una soltanto, un mortale dardo che sfrecciò rapidissimo in direzione di Miraz.

Ma il nuovo Re di Telmar si era scostato, il nuovo Re di Telmar l’aveva guardata con odio, con lo stesso disprezzo che aveva dedicato al nipote: e solamente un segno rosso, un taglio netto ma superficiale sulla guancia irsuta, comparve come indelebile traccia del gesto di Siria.

-RITIRIAMOCI!- l’urlo di Peter le giunse esattamente quando il suo sguardo incrociò quello del despota, sostenendolo senza paura.

In quell’istante, Siria seppe che l’avrebbe uccisa.

Perché Miraz poteva essere un tiranno, poteva essere maligno, ma non era uno sciocco; e, soprattutto, non avrebbe dimenticato quell’affronto. Non avrebbe dimenticato, che una mercenaria qualsiasi si era permessa di togliergli il piacere di uccidere quel nipote traditore.

Non avrebbe dimenticato, di aver visto il legame fin troppo evidente fra quella rossa e il ragazzo.

Ma Siria un istante dopo si era voltata, in tempo per vedere l’acrobatico salto del Re biondo in groppa ad un cavallo in corsa; niente da dire, era un idiota, ma anche un guerriero eccellente.

Vide Talia già fuori, vide anche Aaron e Caleb in salvo. Vide Caspian, in groppa a quel magnifico cavallo, che si voltava a cercarla, appena fuori dalla grata.

E poi lo vide.

Vide l’arciere mirare alla schiena del biondo, di Peter. Distinse la corda tendersi, la freccia dalla punta mortale fissarsi con gelida attenzione in mezzo alle scapole del Re.

No.

Siria non pensò nemmeno, quando con un ruggito esasperato cambiò bruscamente direzione, balzando in avanti e piantando con tutta la forza che aveva la spada nel petto del soldato.

La estrasse praticamente subito, disgustata dal gesto e sorpresa da sé stessa; aveva salvato la vita di quel borioso arrogante, e l’aveva fatto senza esitare…perché?

SBRANG!

Si voltò di scatto, al suono terribile di un corpo schiacciato sotto il metallo.

La grata era caduta. Il minotauro aveva ceduto, non c’era più alcuna via di fuga…e là, dall’altra parte di quel cancello nero, due occhi azzurri la fissarono stupiti.

Aveva salvato la vita del Re Supremo.

E aveva condannato sé stessa, nel farlo.

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My Space:

*Rhindon: è il nome della spada del Re Supremo di Narnia, quella con il pomo lavorato a muso di leone ^__^ la trovate QUI ^^

Aaaaaallora...

WAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA! Battaglie, guerre, morti, distruzione, abomini, creature varie con tante di quelle pippe mentali che in confronto Harry Potter impallidisce *___* Caaaaaaaaaaaaasa! *____________*

Davvero, sono tornata nel mio elemento con questo capitolo: battaglie, introspezione, strategie. Casa *-* E' ciò che mi riesce meglio, che ho imparato ad essere, che SONO. E mi piace, mi piace essere me stessa, mi piace fogarmi come una matta con questi capitoli *.*

Allora, vediamo un pò di andare per ordine, da brave bambini diligenti.

Siria e Caspian vinceranno l'Oscar come coppia più dolciosa di Narnia, questo è poco ma sicuro; il fatto che Peter non si renda conto che ha guardato Shay nello stesso modo in cui il principino ha guardato Siria, la dice lunga sulla sua *quale?* intelligenza...Siria e Peter? Siria e Peter sono due cosi assurdi. Sono due crape dure come il marmo, testardi all'inverosimile, orgogliosi in due modi profondamente diversi: gli sprazzi di lite che si vedono in questo capitolo, non sono altro che un preludio a una bella scazzottata coi controfiocchi. Perché Siria è come me, e io Peter, nel suo egocentrismo, in questa particolare battaglia l'ho profondamente odiato. Sono io stessa una persona dannatamente orgogliosa, ma questo non è più orgoglio: è vanità, è narcisismo, è megalomania. Non ha voluto ordinare la ritirata, perché lui poteva farcela: e sarà questo, che Siria gli rinfaccerà - con decisamente poca gentilezza, penso.

Okay, ho finito di odiare Peter Pevensie, torno a coccolarlo xD *sì, il mio amore/odio per il biondo è mooolto altalenante xD*

E ora? Cosa farà la nostra Siria, intrappolata?

Piccolo spoiler:

-Combattiamo, gente di Narnia! Combattiamo per la nostra terra!- li esortò la rossa, la voce sempre più simile ad un ruggito, ad un esaltato, trionfante grido di battaglia.

-PER...NARNIAAAA!- ruggì, sentendo l'eco delle proprie parole nel petto, nel cuore, nell'urlo di battaglia che risuonò alle sue spalle; e brandì la spada verso il cielo tinto di sangue, mentre al suo fianco i guerrieri sguainavano le loro armi.

...

Sì, ho fregato la battuta a Peter O=D

ALTRA GRANDE NOTIZIA, TROVATI I VOLTI UFFICIALI PER LE TRE GRAZIE!!!! XD

Ecco a voi, in ordine: Siria1 e Siria2, Talia1 e Talia2, Shaylee1 e Shaylee2. Rispettivamente, Rachelle Lefevre - Keira Knightley - Taylor Swift.

Che ne dite?

Noi ci siamo scervellate per trovare le donnette adatte, e non vi nascondo di adorare profondamente Rachelle *W*

Per chi non volesse cliccare sul link, a fondo pagina ci sono le immagini, più qualche foterella dei beniamini maschili della fic, che non fan mai male xD

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 MarziaIrish [Contatta] Segnala violazione
 28/06/10, ore 03:38 - Capitolo 13: Our Solemn Hour.
Per fortuna il momento è passato, ora mi sono ripigliata ^^ Allora...i miei capitoli danno sempre emozioni? *diventa fucsia* ma-ma-ma-mao! Non mi puoi dire cose così, arrossisco!
...
Okay, fanno piacere, fai pure xP
Ecco qua uno dei capitoli che più amo, uno dei capitoli di battaglia: la strada è ancora luuuuunga per arrivare alla fine, ma ci arriverò, amo troppo questa storia - e ho già in mente la trama di altri due seguiti, per di più xD Oddio, incredibile la mia storia? Mannò, cioè...*BLUSH*
Grazie mille, per tutto, per essere sempre fra i recensori e per essere così entusiasta <3 mi date la forza e la voglia di scrivere <3 <3
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 25/06/10, ore 18:24 - Capitolo 13: Our Solemn Hour.
Eccola qua la battaglia, con fiocchi e controfiocchi ^^' mi sono sfogata scrivendo questo capitolo, mi sono sfogata non poco - e Peter, come al solito, è e sarà quello che sopporterà i nervosismi miei e di Siria, poraccio ^^' perché Siria salva Peter? Eh, è un'ottima domanda, ma penso sia soprattutto per il senso di giustizia e il fatto che - comunque - è un'abitante di Narnia anche lei, e senta molto più di quanto dia a vedere Peter come suo Re. Non si lascia ammazzare il Re, anche se è un coglione ^^' c'è anche un breve scorcio su Siria e su ciò che è, ho voluto rivelare un pò di più su questa donna ancora molto misteriosa, spero ti sia piaciuto ^^ per le cose private, ci sentiamo per mail...un abbraccio forte forte <3 <3
 debby95 [Contatta] Segnala violazione
 25/06/10, ore 11:33 - Capitolo 13: Our Solemn Hour.
sono arcicontenta che la mia storia ti piaccia tanto, fin dall'inizio! Spero di rivederti fra i recensori, una voce nuova è sempre splendida da sentire/leggere, mi farebbe piacere sapere cosa pensi anche di questo capitolo! Grazie mille!

Love you all, B <3

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NON SI PUO' NON COCCOLARLO! ç.ç

Una parola: GNOCCO!

Cokerino morbidoso!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! Con la spada, che giochi di mano...

Okay, okay, dopo questa battutaccia mi dileguo xD

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Capitolo 15
*** To End The Rapture. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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To End The Rapture – Avenged Sevenfold 

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Non poteva essere.

Se qualcuno glielo avesse raccontato, Peter non ci avrebbe mai creduto.

Non poteva essere.

Non poteva essere stata Siria, a farlo.

Aveva visto l’arciere. Aveva visto, che mirava a lui, aveva visto che non sarebbe riuscito ad evitare il colpo. Si era preparato, era pronto a subire quel dolore, a rischiare la pelle…

E invece, aveva soltanto udito il “NO!” disperato del principe Caspian.

E invece, aveva visto una confusa macchia di capelli rossi voltarsi orgogliosamente verso di lui, due fieri occhi blu sostenere testardi il suo sguardo allibito attraverso le sbarre crollate.

Gli aveva salvato la vita.

Quella mercenaria, quella rossa che aveva palesemente dimostrato di non soffrirlo minimamente…gli aveva salvato la vita.

Di più. Senza esitare, senza nemmeno pensare…aveva condannato sé stessa a morte certa.

Rimase immobile, sul dorso del cavallo, il volto stravolto e stupefatto voltato verso quella creatura avvolta da un mantello nero, lasciando che il giovane ragazzo moro lo superasse di corsa.

Gli aveva salvato la vita.

Continuava a ripeterselo, continuava a non riuscire a crederci.

Gli aveva salvato la vita.

 .

Siria! Siria, da lontano, vide l’espressione terrorizzata e improvvisamente consapevole di Talia, quando la riconobbe - intrappolata, insieme a buona parte dell’esercito narniano, al di là della grata.

Va tutto bene. Tentò di rassicurarla, costringendosi a reprimere il vuoto tremendo che si era spalancato dentro di lei, nel vedere la grata abbassarsi di botto.

No, non va tutto bene! Siria, esci di lì, trova un modo! Siria sapeva bene, a cosa si stava riferendo la sua amica. Lo sapeva bene, sapeva che ne sarebbe stata in grado…ma non poteva, non poteva farlo, avrebbe significato la fine comunque, la morte comunque.

Non posso. Tallie, non posso, lo sai. Le disse, mesta, rassegnata, cercando di avvicinarsi al cancello mentre le guardie li stavano accerchiando. Erano in una trentina, intrappolati là; una trentina di bestie, mandate al macello.

E in quelle poche parole, Talia avvertì quella decisione mai vista, quella testardaggine, quella cupa rassegnazione, che aveva preso il posto della furia del combattimento nel cuore della sua amica.

Era pronta a morire, Siria.

Era pronta ad andarsene.

Sir, ne va della tua vita! Non possiamo lasciarti là dentro, te ne rendi conto?! Fu la voce determinata, decisa, testarda di Shaylee ad unirsi alle loro, a rimbombarle violentemente in una mente improvvisamente molto più calma.

Forse è meglio così, Shay. Sarà solo un problema di meno. Siria scosse la testa, un sorriso triste disegnato sul viso, gli occhi che cercavano la figura della Naiade, ancora immersa nel fossato. La stava guardando, una scintilla di disperata determinazione nelle iridi dorate, l’espressione furiosa, frustrata, più che mai decisa a non lasciare che si sacrificasse.

Sir, no, no, no, NO! Siria guardò Talia, non del tutto stupita nel vederla scuotere vigorosamente la testa, tutto il suo ferreo autocontrollo ormai dimenticato.

Tallie. Ti voglio bene.

Siria lo vide dagli occhi dell’elfa.

Lo vide, chiaro e cristallino, quanto quelle ultime parole fossero riuscite a colpirla, ad arrivarle fin dentro, nel cuore. Quelle parole che erano vere, quelle parole che troppo poco spesso le aveva detto.

Ti voglio bene.

Avrebbe voluto dare ragione alle due amiche, avrebbe voluto lasciar andare quella belva, dentro di sé, per potersi salvare.

Ma poi, della sua vita non sarebbe rimasto più nulla.

Il Re Supremo l’avrebbe uccisa comunque, e avrebbe fatto bene: in ogni caso, lei era spacciata.

E lo fece lo stesso.

Si costrinse a chiudere ogni contatto, ogni pensiero, interrompendo quel contatto mentale che la legava a Shaylee, a Talia. Si costrinse a distogliere lo sguardo dal viso dell’amica elfa, perché sapeva che non avrebbe retto, se l’avesse guardata ancora per qualche istante.

Sette anni.

Avevano passato insieme sette anni, diventando forse qualcosa in più di semplici sorelle. Erano due parti della stessa anima, non esisteva l’una, senza l’altra: sette anni, in cui si erano ritrovate ad essere due facce della stessa medaglia, due parti dello stesso cuore.

Eppure, adesso, Siria aveva scelto volontariamente di non salvarsi.

Talia lo sapeva. Talia lo sapeva bene, sapeva che non sbagliava, che era nel giusto.

Ma non riusciva ad accettarlo.

Serrò gli occhi, cercando di impedire alle lacrime di scendere lungo le guance, al dolore di prendere il sopravvento su di sé. Si costrinse a voltarsi, si costrinse ad abbassare il capo, impedendo ad Aaron di fiondarsi verso il cancello, serrando una mano sulla sua casacca, trattenendolo.

Non poteva lasciarla morire.

Non la sua amica, non la sua compagna, non sua sorella.

-Tallie.- si costrinse a non ascoltare Caleb, a non dargli retta. Eppure, era quello che il suo cuore avrebbe voluto di più…ma doveva essere forte, non doveva piangere, non doveva stringersi a lui e scoppiare in quel pianto disperato che sentiva pulsare appena dietro le sue strenue difese.

Doveva essere forte.

Doveva.

-Tallie, ascoltami!- le mani forti, grandi, rassicuranti di Caleb si chiusero sulle sue spalle, costringendola a guardarlo.

Costringendola ad alzare quegli occhi scuri, caldi, vivi, pieni di lacrime, sulle iridi celesti – decise, determinate, incapaci di arrendersi – di Caleb.

-Non è finita. Ascoltami bene, non è finita.-

Costringendola ad ascoltarlo, a lasciare che le sue parole la cullassero in un’effimera speranza a cui voleva, con tutte le proprie forze, aggrapparsi.

-Talia, il grifone!-

Soltanto allora, Tallie smise di lasciarsi costringere, e lo guardò davvero.

Caleb stava indicando uno dei grifoni, il grifone che aveva salvato Edmund dalla torre. Sorvolava ancora il castello, poteva distinguere l’espressione angosciata del giovane Re, il suo tormento nel guardare tutti quei guerrieri chiusi in trappola.

Soltanto allora, Talia comprese che Caleb aveva ragione.

Non è finita. Credici Tallie, credigli.

Sostenne il suo sguardo, vedendo quelle iridi celesti pronte a tutto, pur di non lasciarla andare, pur di non lasciarla crollare. Sostenne quegli occhi, quei vividi occhi azzurri che troppo spesso facevano capolino nel suo cuore, sentendo lo stomaco contorcersi terribilmente – una sensazione piacevole, dopotutto. Strana, ma piacevole.

E poi, con un repentino e rapidissimo sorriso, in un guizzo l’elfa scomparve.

. 

Le sbarre tremarono violentemente, sotto l’impatto delle sue mani, della sua rabbia. Sbarre che avrebbe voluto avere la forza di divellere, sbarre nere che significavano soltanto morte, morte del suo cuore, morte della persona per cui si era reso conto di vivere.

-Siria!- sbottò Caspian, angosciato, vedendo la ragazza spintonare i soldati ammassati vicino alla grata, tentando di avvicinarsi a lui.

Lo raggiunse soltanto qualche attimo più tardi, quando le dita del principe s’intrecciarono alle sue, tirandola verso di sé.

Ma c’era quel cancello, a dividerli. C’erano quelle sbarre nere, arrugginite, che si ergevano fra loro a decretare la morte di Siria, dei loro cuori, di quell’amore a cui nessuno dei due era pronto a rinunciare. Non così presto, non adesso, non dopo essersi cercati per così tanto tempo…

-Sir…- sussurrò, lasciando che una mano si perdesse sulla guancia di lei, immergendosi in quei capelli rossi come il fuoco, gli occhi neri a poco più di qualche millimetro dalle iridi allargate, immense, spaventate di Siria.

-Caspian, devi andare via da qui.- il suo sussurro non lo avrebbe nemmeno raggiunto, se non fossero stati così vicini, soltanto quelle sbarre maledette a dividerli.

Scosse violentemente la testa, i lunghi capelli scuri e arruffati, macchiati di sangue, agitati dal gesto.

-No.- affermò, con veemenza quasi, stringendo con più forza le dita di Siria fra le sue. Lasciò scivolare le dita sul suo volto bianco, spaventato ma terribilmente determinato, accarezzandole quelle guance soffici, gli occhi pieni di lacrime, sfiorando i suoi capelli. -Non chiedermelo, non posso andarmene, non posso lasciarti…- la sua voce si ridusse a un sussurro, quasi a una preghiera, una preghiera disperata.

Non poteva, non poteva lasciarla andare.

Non poteva, perché senza di lei lui non era niente.

La amava. La amava forse dal primo attimo in cui i loro occhi si erano incrociati, la amava in tutto e per tutto, con ogni fibra del suo cuore e della sua mente.

La amava, e sapeva che senza di lei non sarebbe più stata vita.

La amava, e non poteva, non poteva nemmeno pensare di abbandonarla alla morte.

Ci fu un istante, fra i loro occhi.

Soltanto un attimo, in cui il nero si specchiò nel cangiante celeste e nell'indaco profondo, in quegli occhi bellissimi ed imploranti in cui Caspian, per un istante, riuscì a scorgere il riflesso di sé stesso.

-Va' via, Caspian.- gli sussurrò lei, la voce ridotta ad un sussurro, bassa, concitata.

Gli prese il viso fra le mani e si spinse sulle punte dei piedi, posando la fronte contro alla sua, perdendosi per quell'istante rubato negli occhi di carbone, vivi, ardenti del ragazzo…quegli occhi che appartenevano all'unico uomo che le fosse entrato nell'anima, quell'uomo che era diventato l’epicentro della sua esistenza, del suo amore…

-Non posso lasciarti qui!- replicò lui, frustrato, serrando le dita intorno alle spesse sbarre di ferro, desiderando soltanto di strapparle, di portarla via da lì…

-Caspian, sei molto più importante di me! Va via, io me la caverò!- sbottò Siria, gli occhi pieni di lacrime che non voleva piangere, spezzando quell'istante dannatamente doloroso che aveva legato i loro sguardi, che aveva sincronizzato il battito dei loro cuori.

Non poteva permetterglielo…non poteva lasciare che rischiasse di nuovo la vita, e stavolta…no, non per lei.

Si allontanò di scatto, mentre la sua anima ed il suo cuore urlavano furiosamente, protestando.

Si voltò, dandogli le spalle e buttandosi attraverso i Narniani affollati intorno al cancello, l'espressione dura e decisa di chi non ha più nulla da perdere.

Là, lenti ma inesorabili come predatori, si stavano lentamente avvicinando i soldati di Miraz.

Si fermò bruscamente sull'orlo dei pochi metri che la separavano da loro, l'affilata spada in pugno, fiera e salda sui suoi piedi.

-Narniani!- gridò, e tutti i guerrieri intrappolati si voltarono a guardarla, sorpresi. Si fece largo fra la folla, recuperando uno scudo da terra, da uno dei guerrieri caduti, proteggendosi dal nugolo di frecce che li stavano tempestando. –Vogliamo lasciarci trucidare come dei topi in trappola? Dico, ma siamo impazziti?- sbottò, il sarcasmo che venava la sua voce.

A cosa sarebbe servito, disperarsi?

Ormai erano condannati. Loro, lei, tutti i combattenti rimasti in trappola.

Sarebbero morti. A cosa serviva, piangersi addosso?

Poteva fare qualcosa di buono. Poteva, per la prima e l'ultima volta, seguire quella sete di giustizia che aveva sempre soppresso, dentro di sé, annegata nel cinismo.

-Noi siamo guerrieri, non siamo carne da macello!- gridò, voltandosi a guardare l’esiguo manipolo di guerrieri che ora la stavano osservando, allibiti. -Siamo in trappola? Moriremo? Bene! Portiamocene dietro il più possibile, allora!- aggiunse, la voce tonante come mai prima, gli occhi blu illuminati dalla foga del combattimento.

-Ha ragione!- la acclamarono i centauri, alzando le spade al cielo, spalleggiandola contro i soldati sempre più vicini.

-Fino alla morte!- gli fecero eco gli altri guerrieri, imitandoli.

-Combattiamo, gente di Narnia! Combattiamo per la nostra terra!- li esortò la rossa, la voce sempre più simile ad un ruggito, ad un esaltato, trionfante grido di battaglia.

-PER…NARNIAAAAA!!!!!!- ruggì, sentendo l’eco delle proprie parole nel petto, nel cuore, nel ruggito di battaglia che risuonò alle sue spalle; e brandì la spada verso il cielo tinto di sangue, mentre al suo fianco i guerrieri sguainavano le loro armi.

E per la prima volta, nella sua vita, si sentì davvero una di loro.

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.

-Tallie…non può averlo detto davvero, vero? - mormorò Shaylee, udendo anche da lontano l'urlo inconfondibile dell'amica dai capelli rossi.

-Sì, l’ha detto. Eccome se l’ha detto, era una vita che voleva farlo.- mormorò l'elfa, scuotendo la testa, una nuova luce negli occhi castani, vividi.

Dietro di loro, Peter inarcò un sopracciglio, scettico: quella battuta gli ricordava vagamente qualcosa…

-Caspian!- l’urlo a pieni polmoni dell’elfa fece sobbalzare il principe, che non pareva intenzionato a rassegnarsi, a lasciare che Siria finisse uccisa.

Il moro si voltò di scatto, udendo nella voce di Talia qualcosa – qualcosa, a cui non sapeva dare un nome, quello stesso qualcosa che lo aveva spinto a fidarsi di lei – che riuscì a strapparlo dalla sua disperazione, dall’odio repentino che animava il suo animo.

Si voltò, e vide l’elfa indicare il grifone, quello stesso grifone che volteggiava alto, nel cielo sopra di loro.

Caspian le superò tutt'e due di corsa, l'espressione stravolta, il respiro corto. Udiva nelle orecchie il suono violento della battaglia…una battaglia che Siria ed i Narniani rimasti in trappola avrebbero perduto...

-EDMUND!- gridò, quando il grifone che cavalcava il Re più giovane si abbassò fin quasi a sfiorare la sua testa. Lo riconobbe subito, anche senza averlo mai visto prima; le miniature che Cornelius gli aveva mostrato, che erano rimaste impresse nel suo cuore, erano molto più dettagliate di quanto avesse mai potuto pensare.

-Cosa c'è?- replicò l'altro, gli occhi che non si separavano dalla cruenta scena dall'altro lato della cancellata. Ma il principe si rivolse al grifone, agitato, la spada stretta in pugno ed un folle piano che prendeva fulmineamente vita nella mente.

-Potresti portarmi dall'altra parte?- gli chiese, ansimando.

-Certo, mio principe.- rispose lui, annuendo, la grande testa d'aquila che si muoveva nell'aria fredda. Ed balzò subito giù dalla sua groppa, immediatamente sostituito dal moro.

-Caspian!- Peter lo raggiunse al galoppo, allibito. -Cosa vuoi fare?- gli chiese, scettico, mentre il grifone sbatteva furiosamente le ali per innalzarsi nell'aria immobile, portando con sé il suo determinato cavaliere.

-Voglio salvarli tutti!-

. 

Un ruggito esasperato sfuggì dalle belle labbra di Siria, quando con una pesante stoccata affondò la lama nell'ennesimo collo umano. Intorno a lei cadevano i fauni, i centauri, gli animali, il sangue bagnava copioso la terra, le lame saettavano, le frecce scagliate dagli arcieri di Miraz sibilavano imprecazioni...

Di scatto, si abbassò e si voltò rapidamente, allungando il braccio e sferrando un colpo tremendo alle gambe del soldato che la stava attaccando alle spalle. Balzò in piedi l'istante più tardi, roteando su sé stessa con grazia letale, una fiamma indistinta che danzava, sensuale, portando con sé la morte.

-AAAH!- il grido di dolore le sfuggì senza che potesse fermarlo, quando una freccia trapassò da parte a parte il suo ginocchio.

Crollò a terra, sbattendo la schiena, il fiato mozzato dalla violenta botta. Per un istante credette di sognare, quando vide un grifone calare dal cielo, afferrare il guerriero più vicino a lei e affondare gli artigli nella sua gola…

Tentò di rimettersi in piedi, combattendo contro un altro soldato nonostante fosse in ginocchio. Parò un attacco da destra, ma l'avversario approfittò della sua debolezza, roteando nell'aria la spada e attaccando il suo fianco scoperto.

Il dolore fu lancinante.

Siria crollò di nuovo a terra, riversa su un fianco, il sapore del terriccio sulle labbra che si mischiava a quello metallico del sangue, che colava dalla sua bocca, violentemente morsa per il dolore assurdo. Era indifesa, il soldato l'avrebbe sicuramente finita…pregò che facesse in fretta, perché la terra bruciava le sue ferite come una lama infuocata.

Pregò perché finisse alla svelta, e liberasse Narnia dal pericolo della sua esistenza.

I suoi occhi, appannati da lacrime di dolore, si alzarono. Videro il grifone, privo di cavaliere, afferrare la catena che sollevava la cancellata e spezzarla, prima di cominciare a tirarla furiosamente. Vide i più vicini Narniani accorgersi della via di fuga, cominciare a fuggire…furbi, loro…

Ma ecco qualcuno di completamente pazzo.

Re Peter aveva spronato il cavallo, costringendolo ad impennarsi e a nitrire furiosamente. Lo vide sguainare la spada, urlare qualcosa, prima che, con un violento colpo di talloni, partisse alla carica.

Dietro di lui, con un sorrisone da orecchio a orecchio ed il suo immenso spadone in mano, avanzava un Caleb chiaramente esilarato dall'adrenalina della situazione, che menava fendenti massacranti a destra e sinistra senza grazia, sfruttando soltanto la forza bruta. E divertendosi come un pazzo.

Dalle sue spalle, silenziose in confronto al caos tremendo della battaglia furibonda, frecce dalle piume di smeraldo e di rubino sfrecciavano verso gli arcieri telmarini, atterrandoli uno ad uno, inesorabili. Riuscì a distinguere la zazzera scompigliata di Talia accanto a Susan, la sua espressione decisa e scanzonata, mentre lentamente avanzavano, passo per passo, scagliando una freccia ad ogni movimento.

Ed ecco là innaturali luci ben conosciute che affondavano nelle acque del fossato, improvvisamente molto più scintillanti, molto più limpide. Con un moto di gioia e di speranza assolutamente inaspettate, riconobbe una figura eterea, dagli occhi chiusi e l’espressione concentrata, in piedi in mezzo alle acque che si innalzavano in mulinelli immensi, che catturavano i soldati, che li affogavano dentro sé stessi…

Shay, le suggerì la sua mente confusa.

Ma…dov’era suo fratello? Dov’era Aaron? E Caspian? Dove…

Siria riportò i suoi occhi confusi sul soldato che l'aveva attaccata, stupita dall'esitazione…avrebbe già dovuto colpirla…

Ma le sue iridi chiare incontrarono una figura alta, slanciata, due spalle larghe e forti contratte per lo sforzo, una lama saettante che sfrecciava verso il petto del suo aggressore.

Sentì un immenso sollievo invaderla improvvisamente, quando riconobbe anche di spalle la figura inconfondibile di Caspian.

Era tornato indietro…era tornato per lei, quello stupido, adorabile idiota

-Cas...pian...- mormorò, tossendo, portando istintivamente una mano a coprire la bocca. Vi lanciò un'occhiata sorpresa, e vide la sua pelle d'avorio macchiata di sangue.

Provò a rialzarsi, la vista sempre più appannata, ma il suo corpo non rispondeva più ai suoi comandi.

Vedeva chiaramente soltanto Caspian, che combatteva furiosamente per proteggerla fianco a fianco con un uomo dai capelli rossi – Aaron! –, mentre il grifone calava dal cielo, artigliando a sua volta i soldati che attaccavano in massa. Vide il principe balzare in groppa alla magnifica bestia, la spada sguainata, il volto lucido di sangue e di sudore, i lunghi capelli scuri arruffati dal vento che le immense ali della creatura innalzavano.

-Siria!-

La stava chiamando…udiva la paura, la paura per lei, nella sua voce, ma non riusciva più a muoversi, era stanca, maledettamente stanca…

Ma non poteva, non poteva rinunciare adesso. Per Aaron, per Talia, per Shay.

Per Caspian…non poteva mollare adesso, non poteva cedere al dolore.

Con un ultimo gesto disperato, afferrò la mano che Caspian tendeva verso di lei, l'ultima ancora per strapparla a morte certa.

-Vai!- lo sentì gridare, distintamente, quando la trasse in groppa al grifone, stringendola al petto ed afferrando la spada di lei con l'altra mano. Sferrò un fendente micidiale contro un soldato troppo vicino, proteggendo le ali del grifone, prima che la creatura li trascinasse entrambi su, sempre più su, lontani dal mastio del castello, lontani dalle pericolose frecce degli arcieri. I Narniani ancora vivi erano riusciti a fuggire, ed ora anche loro stavano fuggendo, miracolosamente scampati da una morte quasi certa.

Ma Siria…Siria era lontano, da tutto questo.

L'ultimo suo pensiero, nella sua mente annebbiata dal dolore, fu quello di trovarsi lì, al sicuro, fra le braccia di Caspian.

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When I Look At You – Miley Cyrus

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Avevano vinto.

Peter quasi non riusciva a crederci, mentre ordinava ai suoi soldati di allontanarsi, di abbandonare quel castello e di lasciarsi alle spalle i nemici uccisi, i nemici distrutti dalla seconda furia che si era abbattuta su di loro.

Avevano vinto.

O, perlomeno, non si erano lasciati trucidare.

Molti soldati telmarini non avrebbero più combattuto per Miraz, da quella notte. Molti, tantissimi, avevano affrontato la forza di Narnia, e non erano riusciti a impedirle di travolgerli, di ucciderli.

Anche tanti Narniani, però, non sarebbero più tornati a casa.

Tanti, ma sicuramente molti meno di quanto, senza l’idea dell’elfa e di Caspian, sarebbero stati se il cancello non fosse stato di nuovo sollevato.

Li guardò fuggire, il cavallo fermo dall’altra parte del ponte levatoio, guardò le sue truppe sparire nel folto dedalo di vie ancora addormentate, diretti verso la foresta.

Ma non tutti, ancora, si erano arresi.

Peter si voltò di scatto, quando udì un ruggito umano troppo lontano dal luogo di battaglia principale, un ruggito di odio, della disperazione dei vinti.

Là, sull’orlo del fossato, vicino a Shaylee, un uomo brandiva una spada, e le si stava velocemente avvicinando. La Naiade era concentrata sulla magia che stava creando, non lo aveva visto, non…

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Un flash improvviso, un balzo indietro di settimane.

Un soldato che brandiva una spada contro di lei.

Un soldato che voleva ucciderla, che voleva farle del male.

Un soldato, che non era riuscito a fermare.

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Quella volta, Shaylee si era salvata soltanto grazie alla sua magia. Si era salvata perché era concentrata, perché era attenta, mentre adesso…

Qualcosa sembrò bruciare, nel suo petto, quando si rese conto che la Naiade non avrebbe potuto fare nulla.

-NO!-  con un ruggito, affondò la spada nell’ennesimo nemico e sferrò un violento colpo di talloni nei fianchi del cavallo, spronandolo brutalmente.

Shaylee!

Vide la spada calare verso di lei…vide la lama rilucere della magia della Naiade, vide gli occhi dorati di lei aprirsi improvvisamente, allarmati e spaventati…

-NO!- gridò di nuovo, sferrando l’ennesimo colpo al cavallo. Quello s’impennò sull’orlo del ponte levatoio, e, lanciando un nitrito esasperato, si tuffò nel vuoto fangoso lasciato dalle acque del fossato.

La spada del Re Supremo, con una violenza mai vista, si abbatté con rabbia inaudita sul braccio armato dello sconosciuto assalitore di Shaylee.

La ragazza si spostò di scatto, perdendo la concentrazione, l’acqua che ricadeva tutt’intorno a loro in mille zampilli simili a pioggia, il cavallo che annaspava nel fossato improvvisamente pieno, i capelli biondi di Peter completamente bagnati…

Per un istante, la vista della Naiade fu offuscata dall’acqua, scurita dal fango, in cui incespicando era ricaduta all’indietro. Ma subito l’Elemento la riconobbe come amica, sciolse la stretta mortale in cui avrebbe avvinghiato un essere umano, la sostenne, accarezzò la sua veste lacera…veste lacera?

Sorpresa ed allarmata, Shay riemerse dalle acque, la testa che infrangeva il tumultuoso profilo delle acque che tornavano prepotentemente nei loro argini artificiali.

La sua veste da battaglia, sul fianco, era lacerata. Abbassò lo sguardo, sorpresa, impallidendo improvvisamente quando vide che il bianco della tunica era mutato in rosso vivo…

-Shaylee!- la voce atterrita di Peter la raggiunse, facendola sobbalzare. Sembrava terrorizzato, lo sentiva metà correre metà nuotare per raggiungerla, sentiva l’acqua infrangersi sui suoi abiti, nonostante quella ferita non fosse così grave come sembrava il Re pareva davvero terrorizzato, davvero in pena per lei…

Come se fosse possibile, pensò amaramente, senza però riuscire a distogliere gli occhi dalla ferita sanguinante, eppure superficiale, sulla sua pelle eburnea.

Shay, perdiana! Fingi di esserti fatta male davvero, e poi vediamo cosa succede!

La Naiade sobbalzò, quando la voce prepotente di Siria risuonò nella sua mente. Quello era il consiglio che le aveva dato poche ore prima, dopo aver notato gli sguardi del biondo verso di lei, quegli sguardi di cui Shay non si era mai accorta…e Siria, almeno sugli uomini, raramente sbagliava giudizio…

Sospirò appena, prima di lasciare che le sue ginocchia cedessero.

Nello stesso istante, avvertì Peter arrivare accanto a lei. Ebbe un attimo di confusione, prima che gli occhi celesti del ragazzo entrassero nel suo campo visivo.

Erano ansiosi…terribilmente ansiosi, come se fosse lui stesso in pericolo, od una persona che…che amava

-Shaylee, stai…stai bene?- ansimò, senza fiato per la corsa in mezzo all’acqua. Solo in quel momento Shay si accorse dei capelli bagnati che ricadevano su quegli occhi azzurri, del colore del mare di Narnia, del petto vestito soltanto della tunica bagnata, che delineava perfettamente ogni curva marcata del suo fisico statuario…arrossì violentemente, quando la mano calda e lievemente ruvida del Re Supremo si posò sulla sua guancia, cercando con lo sguardo i suoi occhi dorati. -Shaylee…?- la chiamò ancora, l’ansia nella voce e negli occhi.

-Sto…sto bene, io…- balbettò, prima di abbassare lo sguardo sul proprio fianco, dove sgorgava il sangue. Non faceva nemmeno tanto male, ma, se voleva davvero seguire il consiglio di Siria, doveva esagerare un po’.

“Ma guarda te…ora seguo i consigli di quella pazza…” si ritrovò a pensare, ironica.

Quella pazza ha ragione! Guardalo in faccia, ingenua d’una Naiade! Sta per venirgli un colpo, come minimo!

Shaylee alzò lo sguardo, sorpresa. E, effettivamente, l’espressione di Peter era alquanto ansiosa…

. 

Perché, quel calore improvviso in mezzo al petto?

Perché, quel rossore sulle guance, quel battito forsennato nella cassa toracica?

Perché, continuarsi a ripetere che lui era Re Peter, che doveva odiarlo, non sembrava servire più a niente?

 .

-Fammi vedere.- così dicendo, il biondo posò una mano sul suo fianco esposto, appena sotto la ferita, sfiorando la sua pelle morbida e chiara.

Nello stesso istante in cui la toccò, la ninfa sobbalzò di scatto, il sangue che affluiva ancor più violentemente al suo viso.

-Oh, io…perdonami.- Peter allontanò repentinamente la mano da lei, credendo di averle fatto del male toccando la ferita.

-Sto…sto bene, credo.- mormorò, gli occhi bassi, il respiro molto più veloce del normale.

Perché lei, in quel momento, non era normale.

Non era normale, che il suo cuore martellasse così forte il suo petto, tentando di farsi sentire da lui. Non era dannatamente normale che soltanto essere sfiorata, da quelle dita, avesse provocato un brivido tanto violento quanto piacevole, dentro di lei.

Non era normale.

Oh, se non lo era.

-Vieni.- la interruppe lui, bruscamente, e prima che la ninfa potesse fare o dire qualsiasi altra cosa già le aveva fatto passare un braccio sotto le ginocchia, l’altro sulla schiena e l’aveva presa fra le braccia, sollevandola ed accogliendola sul suo petto muscoloso.

Shaylee, a quel contatto inaspettato, avvertì il cuore accelerare bruscamente.

Il corpo di Peter era caldo, nonostante fosse fradicio. Caldo e rassicurante, la stringeva a sé con forza, l’espressione dura e decisa, i capelli biondi che ricadevano in ciocche sottili sul suo volto, le spalle contratte per lo sforzo e la stanchezza.

-Non c’è bisogno, davvero potete mettermi…- provò a protestare, quando raggiunsero la riva. Ma Peter la depose con dolcezza sul bagnasciuga, il volto ad una manciata di centimetri dal suo, un lieve sorriso sulle labbra carnose e gli occhi azzurri divertiti fissi nei suoi.

-Shaylee…dammi del “tu”, d’accordo?- mormorò, sorridendole quando vide le sue guance accendersi di nuovo di quel rossore assolutamente adorabile.

Ahahahahahahahahahahahah!

“Perché non taci, stupida vocina di Siria!?”

Perché mi diverto! Ahahahahah ma che razza di Re idiota ci ritroviamo!

“Senti, datti fuoco. Sinceramente. Non dovresti essere moribonda?”

Ho abbastanza forze per romperti le scatole, cara.

-Io…d’accordo, se vuoi…- balbettò la ninfa, avvampando ancor di più quando si accorse della mano di lui, appoggiata sulla sua spalla.

-Certo che voglio. E ora, fammi vedere quella ferita.- Peter abbassò lo sguardo, non riuscendo ad ignorare il profilo morbido e sinuoso del fianco esposto della Naiade, la pelle morbida e vellutata ideale per essere accarezzata…morbida e calda, come quando l’aveva sfiorata appena…

-Ma non è nulla, davvero, io…- Shay tentò di scostarsi, imbarazzata.

-PETER!- la voce di Edmund fece trasalire entrambi. Il biondo alzò lo sguardo, improvvisamente attento, duro e concentrato come il Re che era.

-Ed, tutto bene?- gridò in risposta, quando il fratello apparve sul ponte levatoio, a cavallo dell'animale di Caspian. I loro guerrieri stavano scappando…in tanti, tantissimi. L’idea di Caspian era riuscita a salvarli tutti…e a proposito del principe, ecco il grifone sfrecciare nell’aria, una macchia rossa e viva che ricadeva sulle sue ali, spiccando nella notte.

-Sì, ma andiamo! Ci stanno inseguendo!- sbottò l’altro, agitato, lanciando un’occhiata ansiosa ai soldati che stavano uscendo a frotte dalla cancellata rimasta aperta.

Peter annuì e gli rivolse un cenno, invitandolo a precederli. Corse a prendere il suo cavallo, rimasto sulla riva dopo il bagno improvviso, e tornò in fretta da Shaylee, rimasta dov’era, in procinto di una crisi cardiaca.

Il biondo montò a cavallo, prima di rivolgersi a lei, tendendole una mano, esitante.

-Shaylee…so che non mi apprezzi, ed hai tutte le ragioni di essere diffidente verso di me, ma…- la ragazza non lo lasciò nemmeno finire: afferrò la sua mano tesa e montò a cavallo dietro di lui, senza lasciarsi nemmeno il tempo di pensare.

Peter sorrise appena, quando avvertì il suo corpo tonico e snello premere sulla sua schiena poderosa, il volto dolce posarsi sulla sua spalla, le braccia esili della ninfa avvolgersi intorno ai suoi fianchi.

-Forza bello, un ultimo sforzo.- mormorò al cavallo, spronandolo per l’ennesima volta in direzione della foresta.

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My Space:

Sì, sono cattiva, vi lascio con il destino di Siria in sospeso *mweheheheheheheh*

No, va beh, la gente che mi legge da un pochetto di tempo sa che io sono una fan sfegatata dei "cliff-hanger", ossia di questo preciso metodo: lasciare in sospeso l'azione, fino al capitolo successivo.

Allora, vediamo un pò: stavolta non ho molto da dire, ho da sottolineare solo un paio di cose. La prima, su Siria. Cosa fa lei, quando non ha più nulla da perdere? Non si consuma, non si butta via, ma segue quella sete di giustizia che il principino ha scoperto dentro di lei. E' una cosa importante, che più avanti mi servirà per spiegare la fine che farà Siria, al termine di questa storia. Un'altra cosa che devo segnalare, è l'idiozia dilagante del Re Supremo: ma io dico, è pirla? Insomma...niente da fare, non riuscirò mai a portargli il rispetto dovuto xD

Odio l'estate :( mi sparite tutti!!!!!!! ç_____ç

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 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 29/06/10, ore 15:27 - Capitolo 14: Stand My Ground.
sì, i combattimenti mi vengono dal profondo, forse perché fin da piccola ho provato una passione per questo genere di cose che poi è sfociata in anni e anni di addestramento ^^" Siria non è soltanto la personificazione del fuoco; quello che ho lasciato intendere di lei è soltanto una minima parte di ciò che nasconde: sono due cose distinte, una è il "demone" di cui hai parlato tu, mentre l'altra è la sua vera natura - non necessariamente cattiva, anzi :)
Peter c'è rimasto male, male male quando s'è reso conto che lei l'ha salvato xDDD concordo, le baruffe con Siria e le pene d'amore con Shaylee penso proprio che gli serviranno *mweheheheheeh*
Grazie mille per i complimenti, fanno sempre un immenso piacere :) un abbraccio e un bacione a tutta la famiglia <3
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 29/06/10, ore 11:17 - Capitolo 14: Stand My Ground.
Sì, so che quella descrizione t'è piaciuta parecchio xD questo non mi pare di avertelo mandato tutto, sbaglio? Almeno il pezzo finale...ma boh, te leggi tutto in anteprima, ormai xDDDD

Una piiiiiiiccola recensione? Fa sempre piacere a questa povera donnina!!!!

Love you all, B <3

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Capitolo 16
*** Seize The Day. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Seize The Day - Avenged Sevenfold

Il grifone atterrò con violenza di fronte al palazzo, di fronte ad una Lucy ormai da ore appollaiata sul muretto eroso di fronte alla fortezza.

Caspian balzò a terra, il corpo privo di sensi di Siria stretto fra le braccia, l'armatura leggera macchiata di sangue, del sangue di lei. Poco indietro, sul sentiero, una lunga colonna di persone, animali, guerrieri feriti ma trionfanti, seguiva un cavallo, dove riusciva a distinguere suo fratello più grande e Shaylee. Gli altri due fratelli, montavano poco dietro uno splendido stallone nero, scalpitante.

Talia e Caleb erano più indietro; il biondo pareva ferito gravemente, perché sembrava quasi privo di sensi, aggrappato pesantemente alle spalle del malconcio, ma fondamentalmente sano fratello di…

-Oh, mioddio…- mormorò, esterrefatta, quando riconobbe i lunghi capelli rossi, macchiati di sangue, appartenenti alla ragazza esangue fra le braccia di Caspian.

-Ti prego…- mormorò il moro, disperato, crollando in ginocchio. La ragazzina riuscì a distinguere il volto di Siria, posato sulla spalla del principe, le labbra carnose macchiate di sangue, gli occhi stretti e l’espressione sofferente. Caspian sapeva, Cornelius gli aveva parlato di lei, della pozione che la Regina più giovane portava sempre con sé…

Senza esitare, prese l’ampolla di pozione dalla sua custodia e si avvicinò a lei, versandone una goccia soltanto, più che sufficiente per curarla…se, ovviamente, non fosse stato troppo tardi.

Il silenzio calò improvvisamente, quando Siria, abbandonata fra le braccia di Caspian, i lunghi capelli rossi sparsi sul corpo d’avorio, lacero, la veste strappata, non diede segno di muoversi.

Lucy vide l’espressione del ragazzo spezzarsi, letteralmente. I suoi occhi neri si chiusero, sofferenti, e una mano s'immerse fra i capelli scompigliati della ragazza, stringendola a sé, le labbra premute sulla sua fronte.

La ragazzina avvertì gli occhi pizzicare dolorosamente, a quell’immagine bella quanto straziante. Si era già accorta, dalla veemenza con cui Siria aveva affrontato Peter pur di salvarlo, di quanto quei due fossero legati…ma adesso, il dilaniante senso di colpa tornò ad oscurare i suoi dolci occhi chiari, quando si rese conto di non essere riuscita ad aiutarla in tempo.

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Talia alzò lo sguardo, gli occhi appannati dalla stanchezza e dall’ansia. Caleb era ferito, e se Lucy non lo avesse aiutato subito…quello stupido idiota…

Non aveva mai provato nulla di simile.

Sentiva il cuore che minacciava di spegnersi, di smettere di pulsare ostinato…le sembrava che fosse direttamente collegato alla vita di Caleb: se lui fosse morto, il suo cuore e la sua anima lo avrebbero seguito.

Ma no, no, no…Caleb non poteva morire, non poteva lasciare Tara…non poteva lasciare lei, che si era sempre negata il sentimento ogni giorno più forte verso di lui, che non aveva mai preso il coraggio a due mani per dirgli tutto quanto…per dirgli che fin dal primo momento lei lo aveva amato, da subito, da quel primo incontro di sguardi, da quel primo sorriso scanzonato, da quel primo scambio di battute…

Non poteva morire. Non poteva.

Alzò lo sguardo, pronta a rivolgersi verso la bambina, a pregarla, addirittura scongiurarla purché lo aiutasse…

Ma ciò che vide, per quanto non lo credesse possibile, riuscì anche a farla sentire peggio.

-Sir…- mormorò, gli occhi che si spalancavano, improvvisamente terrorizzati.

Siria…

Siria era là, fra le braccia del suo principino. Abbandonata con grazia sul selciato incolto, i lunghissimi capelli che seguivano le linee del suo volto, del suo corpo, del ventre. Immobile, gli occhi chiusi, immobile come non l’aveva mai vista…

Aaron udì il suo sussurro atterrito, la vide bloccarsi, ignorando le creature che lo superavano, che intralciava.

E alzò lo sguardo.

-…SIRIA!-

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Siria.

Siria, non arrenderti.

Maledetta strega che non sei altro, non arrenderti!

Perché?

Io voglio soltanto morire.

Li senti? Li senti Talia e Aaron? Vuoi davvero fargli del male? Sono i tuoi fratelli, perdiana!

Lo senti Caspian? Dimmi Siria, dimmelo! Lo so che lo senti!

No…non voglio sentirlo, non voglio sopravvivere.

.

-Siria…ti scongiuro, ti prego, non andartene…-

.

Non puoi lasciarlo, non puoi abbandonarlo! Cazzo Siria! Vuoi davvero portargli via la donna che ama? Vuoi davvero fargli del male così, a lui?

Starà meglio senza di me. Sono soltanto un pericolo…

SIRIA, SVEGLIATI!

.

.

-Cas…-

Violentemente, l’aria tornò a pompare nei polmoni, il sangue irruppe nelle vene, la schiena ebbe un sussulto violento ed involontario.

Siria spalancò gli occhi, completamente, un dolore lancinante che s’irradiava in tutto il corpo lacerato; il sangue riprese a scorrere ostinato dentro di lei, e il suo cuore…

Il suo cuore accelerò ancor più bruscamente, quando riconobbe le braccia fra cui si trovava, il petto caldo contro cui era abbandonata la sua schiena, la voce dall’accento ispanico che le riempiva beatamente la testa, escludendo persino il dolore infernale delle ferite.

-Caspian…- sussurrò, chiudendo di nuovo gli occhi per scongiurare la violenta vertigine che la costrinse ad aggrapparsi alla spalla di lui, le sue braccia sicure strette intorno al ventre, il sorriso che poteva avvertire fra i capelli.

-Sono qui.- le rispose, sollevato, stringendola appena di più a sé.

-SIRIA!- il principe alzò lo sguardo per lei, perché la ragazza sembrava sul punto di crollare di nuovo nel sonno, esausta. C’era suo fratello, Aaron, che le stava correndo incontro, mentre Caleb dietro di lui, grazie alla pozione di Lucy, riapriva gli occhi e ritrovava dinanzi a sé gli occhi nocciola di Talia.

-Sta bene.- mormorò Caspian, sentendo improvvisamente la tensione sciogliersi nel suo petto, in ognuno dei suoi muscoli.

Aaron crollò in ginocchio accanto a loro, esausto, privo di forze, il volto sporco e sudato, gli occhi fissi con sollievo sul volto della ragazza.

-Sir...- mormorò, e lei agitò debolmente una mano in risposta, il volto sempre affondato nel collo di Caspian. Non sembrava volersi spostare tanto presto da lì, notò, sorridendo suo malgrado quando vide la ferma dolcezza con cui il principe la stringeva a sé.

Alzò gli occhi sul moro, che teneva gli occhi socchiusi, concentrandosi soltanto sulla rossa.

-Grazie.- mormorò, sentendo il peso della tensione e della paura scaricarsi improvvisamente sui suoi poveri nervi già logori.

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Svegliati.

Talia seguì con terrore quell’unica goccia scarlatta, scivolare sulle labbra carnose di Caleb, fino ad insinuarvisi, fino a sparire in quella bocca socchiusa, dal respiro rantolante.

Svegliati.

Doveva, doveva svegliarsi.

Trattenne il respiro, il cuore che martellava dolorosamente il suo petto, che rimbombava in un silenzio assordante nelle sue orecchie. Caleb non si muoveva, Caleb continuava a rantolare, il respiro sempre più flebile, sempre più spezzato.

Doveva svegliarsi.

Doveva, perché lei doveva dirgli una cosa importante.

Doveva, perché lei era stanca di nascondergli, di nascondersi, quello che provava.

Doveva, perché non gli aveva ancora detto di amarlo.

-Caleb.- nemmeno si accorse di aver parlato. Il suo volto affilato, sottile, era vicino alla guancia macchiata di sangue del biondo, quel biondo immobile, quel biondo il cui respiro rallentava sempre di più, riducendosi ad un sussurro.

-Cal.- un gemito, un singulto di rabbia, di dolore. Ignorò il sangue, lasciando scorrere le dita sul viso un poco ruvido del ragazzo, accoccolandosi accanto a lui.

-Caleb, svegliati.- sussurrò, i corti capelli, sciolti dalla coda alta in cui li teneva sempre stretti, che ricadevano a velarle il viso sporco di terra e di sangue.

Il respiro del biondo era sempre più flebile, sempre più sottile. E non apriva gli occhi, non si svegliava, il sangue continuava a zampillare dalla ferita che gli squarciava il petto.

-Caleb!- e quello di Talia non fu più un sussurro strozzato, non fu più un gemito. La sua voce si alzò di tre ottave, e gli occhi si serrarono con violenza, una lacrima sottile, una soltanto, che le rigava la guancia abbronzata.

Non poteva, non poteva, non poteva morire.

Caleb

Caleb, no, non poteva morire. Si rifiutava di accettarlo, si rifiutava di rendersene conto, si rifiutava anche solo di pensarlo.

Caleb sarebbe sopravvissuto.

Sarebbe sopravvissuto perché lei lo amava, perché Tara aveva bisogno di lui, sarebbe sopravvissuto perché era forte, perché era lui, perché non poteva morire…

No.

Non si svegliava.

Non si sarebbe più svegliato…

-Caleb, prova a morire e giuro che ti verrò a cercare all’inferno, ti riporterò in vita e ti ucciderò con le mie mani!-

Talia serrò i pugni, le lacrime che rigavano le guance sottili, gli occhi serrati ed il cuore che urlava il suo dolore, disperato.

Le sembrava di sentire qualcosa lacerarsi, in quel cuore, sotto il corpetto di pelle scura.

Qualcosa che si spezzava, che si frantumava in un milione di schegge acuminate – schegge che la trafiggevano, la ferivano in ogni millimetro di pelle, la uccidevano.

Sentì le spalle crollare, mentre l’autocontrollo, la sua incredibile forza, crollavano sotto il peso di quel dolore totalmente inaspettato. Abbassò il viso, le lacrime che scorrevano violentemente sulla sua pelle, bagnandole le labbra, il collo, la gola.

Sentì le spalle crollare, e le sentì scosse da quei singhiozzi terribili che parevano convulsioni, convulsioni di un cuore spezzato, di un cuore che urlava tutto quel dolore, quella rabbia.

-Sarebbe interessante…magari un giorno…potrei provare.-

In quell’istante, Talia credette davvero di aver sognato. Di aver immaginato quelle parole stanche, divertite ma esauste, quella voce scanzonata che tanto conosceva, che tanto amava.

Ci credette, per quell’attimo di silenzio che seguì le sue parole, finché una mano caldissima, forte, ruvida, non si posò sulla sua guancia bagnata di lacrime.

Uno, due, tre. I secondi che le servirono per capire, per comprendere.

Uno, due, tre. I secondi durante i quali il suo cuore smise di battere, per poi accelerare bruscamente, veloce come non aveva mai fatto.

Uno, due, tre.

E Talia spalancò gli occhi, le manine minute che salivano a bloccare quella grande e forte di Caleb sulla guancia, incredula, stupefatta, allibita…felice.

-Caleb…- riuscì soltanto a mormorare, la testa del biondo in grembo, gli occhioni celesti che la guardavano luminosi, allegri, esausti ma – vivi, dannazione. Vivi.

-Noo, qualcun altro.- fu la risposta divertita, esausta ma immancabilmente allegra, del ragazzo, le dita che con una dolcezza insospettata cancellavano le lacrime dalla sua guancia, beandosi di quella morbidezza che tanto aveva agognato.

Quant’era bella in quell’istante, Talia.

Gli occhi scuri lucidi, gonfi, rossi di pianto; le guance accese di rabbia e di dolore, le lacrime che le rigavano il viso macchiato di terra, i capelli neri tutti arruffati intorno al visetto affilato.

Era bella, Talia.

Non lo era mai stata così tanto.

-Vaffanculo!- sbottò repentinamente lei, tirando su col naso con violenza, scuotendo appena la testa per riprendersi. -Mi hai fatta piangere, pezzo di coglione!- aggiunse, nervosamente, passandosi una mano sul viso per tentare di fermare le lacrime che ancora sgorgavano copiose dai suoi occhi, mentre il cuore batteva con forza nel suo petto, accendendole le guance di rosso. -Sei un coglione, sei una testa di cazzo, io non so perché mi sto anche a…-

Le parole morirono sulle sue labbra, quando qualcosa di caldo e soffice le racchiuse in un bacio.

Un bacio.

Talia sgranò gli occhi, quando sentì quella bocca calda, morbida, carnosa, premere sulla sua.

Caleb.

Avvertì la nuca formicolare, quando le dita del biondo scivolarono fra i suoi capelli arruffati, con dolcezza.

Bacio.

La stava…la stava baciando. L’aveva baciata, l’aveva zittita – dopo anni, che ci provava, aveva trovato un modo per farle dimenticare persino il motivo di tanta rabbia…

Ed era bella, quella sensazione.

Era bello, sentire il cuore palpitare in gola, lo stomaco aggrovigliato, le orecchie piene soltanto di quelle pulsazioni scalpitanti. Era bello, il respiro mozzato da quella bocca, le palpebre che con lentezza si abbassavano, la mente che si abbandonava in quell’oceano di sensazioni.

Il tocco delle sue mani, le sue labbra, la sua bocca. Il calore che il suo corpo ed il suo viso emanavano, il sapore forte e deciso di quel bacio, un sapore appena intuito, la pelle che andava a fuoco.

Lui, che si era alzato sui gomiti, per baciarla.

Lui, che…che ricambiava ciò che provava lei.

Perché non era un bacio di una persona appena scampata alla morte, non era il bacio di un disperato, non era un bacio amichevole; le dita che le accarezzavano i capelli trasudavano amore, e il modo in cui le loro labbra si modellavano le une sulle altre, i respiri si sfioravano, i volti si cercavano, era tutto ciò che in cinque anni non avevano mai avuto il coraggio di ammettere.

Né con sé stessi, né con l’altro.

Durò troppo poco; durò troppo poco perché entrambi ne fossero soddisfatti, ma allo stesso tempo due cuori martellavano lo stesso ritmo scalpitante, la stessa sorpresa e la stessa gioia riempivano due paia di occhi così diversi, e così innamorati.

Si separarono senza davvero volerlo, quando un gemito di dolore costrinse Caleb a lasciar ricadere la testa sul grembo di lei, il torace dolorante, la ferita non del tutto guarita dalla pozione di Lucy.

E Talia non seppe cosa dire. Per la prima volta, nella sua vita, non trovò nulla da dire fra i suoi pensieri, per il semplice motivo che non ricordava più nemmeno il proprio nome, dove si trovasse, cosa stesse facendo prima di quel bacio.

L’unica cosa che vedeva nitida, nella sua mente e nel suo cuore, erano gli occhi caldi e pieni d’amore di Caleb.

Caleb.

-Per la cronaca…non ho intenzione di morire. Né adesso, né in futuro, Tallie.- il sorriso stanco, ma tremendamente felice del biondo riuscì a scaldarle il cuore, a far comparire un’espressione dolce e amorevole sul suo visetto rosso come non mai.

-B-Bene.- balbettò, sfiorando appena i riccioli biondi sulla fronte del ragazzo, scostandoli da un taglio superficiale che rovinava la pelle chiara di Caleb. Lui chiuse gli occhi, provato, entrambi completamente ignari del silenzio attonito che li aveva circondati, degli occhi che li guardavano stupiti.

C’erano soltanto loro, in quel momento.

-Non prima di averti detto una cosa, se non altro.- mormorò Cal, schiudendo gli occhi a fatica, le dita sempre immerse in quei soffici capelli nerissimi che si attorcigliavano disordinati alle sue dita.

E Talia era lì, bella come non mai, le gote rosse per l’imbarazzo e la gioia, per la sorpresa e la felicità, un sorriso ignaro e spontaneo sulle labbra – quelle labbra che aveva potuto sfiorare per troppo poco tempo, che avevano inconsciamente risposto al suo bacio, che sapevano di frutta, di fiori, di lei.

-Dopo.- lo fermò improvvisamente, premendo due dita sottili sulla sua bocca, zittendolo. La guardò interrogativo, senza capire, vedendo quel sorriso allargarsi e farsi spigliato, ironico, vivo – quel sorriso che amava da anni e anni, quel sorriso in grado di illuminare qualsiasi cosa.

-Se vuoi dirmi che mi ami, allora mettiti in fila.- decretò Tallie, senza riuscire a smettere di sorridere, vedendo le iridi celesti allargarsi per la sorpresa, per lo stupore, per la gioia.

-Ho tutti i diritti di dirlo prima io, mi hai fatto venire un colpo, stupido cretino! Qualcuno mi spiegherà perché mi sono innamorata di un idiota, perché io davvero non lo capisco!- continuò, ma non ebbe il tempo di aggiungere altro; perché Caleb, con il sorriso più bello e immenso che gli avesse mai visto, l’aveva di nuovo tratta a sé – le piaceva, quel modo di zittirla. Le piaceva davvero.

E stavolta fu un bacio diverso, fu un bacio intenso, carico, frizzante.

Fu un bacio che spezzò il silenzio intorno a loro, riempiendolo di respiri spezzati, di lingue che si cercavano, di labbra che si premevano le une sulle altre e si davano la caccia, per poi ritrovarsi.

Fu un bacio cui si strinsero entrambi, le mani piccine e affusolate della mezz’elfa fra quei riccioli biondi – ricci, soffici, morbidi come panna – con cui avrebbe voluto giocare all’infinito, per sempre.

Fu un bacio di menta e di frutta, di fresco, di vivo, d’immenso. Fu un bacio che sapeva di fiori selvatici, di gigli candidi, di fiordalisi, un bacio che li strappò via da quel luogo, trascinandoli in un beato oblio che apparteneva solamente a loro.

.

Nello stesso istante, Siria si costrinse ad alzare nuovamente il volto dalla spalla del suo principe, completamente colta di sorpresa dalle emozioni che le avevano repentinamente riempito la mente.

E quello che vide, riuscì a far disegnare un ghigno sul suo volto stanco, nello stesso istante e modo di suo fratello.

-Io l’avevo detto. Sono cinque anni che lo ripeto, ma io l’avevo detto.- borbottò, divertita, quando i due si staccarono e Talia alzò gli occhi verso di lei, palesemente imbarazzata.

Vi farò morire. Quando starò meglio, magari, ma vi farò morire.

Talia scosse appena la testa, divertita, cercando di scuotere via anche il rossore che le accendeva le guance.

Chissà perché, ma lo immaginavo., rispose, mentre guardava Caspian alzarsi in piedi, l’amica esausta fra le braccia. Anche lei si alzò, sostenendo Caleb, passandosi un braccio del biondo sulle spalle.

-Grazie.- si rivolse a Lucy, che le sorrideva, felice.

-Di niente.- rispose la bimba, ma si scostò di scatto quando un cavallo le superò entrambe al galoppo, frenato bruscamente di fronte al principe.

-Siria!- sotto gli occhi allibiti di Lucy, Shaylee si fiondò giù dalla bestia, scattando preoccupata in direzione della rossa ancora accoccolata contro al petto di Caspian.

-Sto bene.- borbottò la ragazza, senza muoversi troppo, sentendo la ferita al fianco e il ginocchio protestare indignati.

-Questo lo deciderò poi io. Aaron, per favore.- il rosso rivolse soltanto un’occhiata divertita a Caspian, prima di prendere con delicatezza la sorellastra fra le braccia, sentendola mugugnare qualcosa di molto simile a “stavo meglio dov’ero prima”.

-Stai buona, Shay ti rimetterà in forma e poi potrai strapazzare il tuo principino quanto vorrai.- le sussurrò lui, sorridendo, sentendola fragile e spossata fra le proprie braccia.

E Siria si limitò ad annuire, stanca, un sorriso lieve sulle labbra e il cuore in pace, dopo troppo tempo.

Caspian ebbe solamente un istante per poterli seguire, con gli occhi, con lo sguardo, con il cuore.

Sorrideva, il principe.

Sorrideva dello stesso sorriso di Siria, sorrideva pacificato, sentendo che qualcosa – finalmente – poteva andare bene, in tutto quel disastro che era diventata la sua vita.

Ma durò poco; durò troppo poco, quell'attimo di quiete, di respiro freddo che riempiva i polmoni, di cuore che chetava il suo battito frenetico.

Troppo poco.

Uno scalpitio di zoccoli alle sue spalle, una voce irridente, e la realtà gli ripiombò bruscamente addosso, pesando sulle sue spalle come un macigno immenso.

-Potevi evitare tutto questo, se era solo per lei.- Caspian si voltò di scatto, la rabbia e l'irritazione che riempivano i suoi occhi nerissimi, irati. E là, prevedibilmente, l'espressione scocciata del Re Supremo accolse il suo sguardo.

Il biondo era ancora a cavallo, gli occhi celesti che seguivano nervosamente i due rossi, fermi sulla soglia della cripta. Nessuno, avrebbe potuto comprendere ciò che lo animava in quell'istante: rabbia, frustrazione, impotenza...miriadi di emozioni animavano quei pozzi celesti, cupi, tempestosi.

Aveva lasciato che Caspian salvasse tutti.

Aveva lasciato che Siria gli salvasse la vita.

Aveva lasciato che il controllo gli sfuggisse dalle mani, come acqua fra le dita...

-Non l’ho fatto solo per lei, ho salvato tutti quanti.- replicò il principe, nervosamente, scoccandogli un'occhiataccia.

-Non era certo il tuo obiettivo.- il Re smontò bruscamente di sella, lasciando che il cavallo trottasse pigramente via, brucando l'erba alta che cresceva un po' ovunque.

-Io almeno ho fatto qualcosa, non sono rimasto a guardare!- Caspian lo fronteggiò senza paura, avvicinandosi con due rapide falcate al biondo, arrivando a poco più di una spanna dal suo volto.

-Nessuno te lo ha chiesto!- sbottò Peter, la mano che fremeva sull'elsa della spada.

Eppure, qualcosa dentro di lui continuava a sussurrare ha ragione, Peter...

-Però io li ho salvati, al contrario di te!- e le parole di Caspian sapevano di veleno, sapevano di una verità troppo dolorosa perché Peter potesse accettarla: era lui, il Re, era suo il compito, il dovere, l'onore di proteggere quel popolo!

-Ci hai chiamati tu!- sbottò, sentendo le dita serrarsi autonomamente sull'elsa dorata, sul leone effige di Aslan. Chissà cos'avrebbe pensato, Aslan, di quelle sue urla infantili ed egocentriche...

-Il mio primo errore.- Peter sentì l'irritazione montare a dismisura, la rabbia che cancellava rapidamente ogni pensiero logico dalla sua mente.

-No, il primo è stato quello di pensare di poter guidare questa gente.- sputò con odio, con rabbia, desiderando soltanto di ferirlo – perché quello che diceva era vero, era maledettamente vero.

-Ti ricordo che non sono io ad aver abbandonato Narnia!- replicò immediatamente il moro, la voce che grondava sarcasmo.

-No, tu l'hai invasa!- vide gli occhi di Caspian lampeggiare d'odio, quello stesso odio che sentiva pulsare dentro di sé: ma non gl'importava, non gl'interessava niente di niente. Voleva solo ferirlo, per tentare almeno un poco di lenire il suo stesso fallimento. -Tu, Miraz, tuo padre…Narnia stava molto meglio senza di voi.-

Seppe di aver sbagliato, nello stesso istante in cui vide le iridi del principe riempirsi di furia.

-EHI!- e l'urlo che seguì, un urlo di entrambi, un urlo tremendo e denso di una rabbia tremenda, precedette solamente di un respiro il sibilo delle spade violentemente estratte, il clangore delle lame che si colpivano.

-BASTA!- il grido prepotente di Talia riempì l’aria intorno a loro, distraendoli entrambi dal sibilo violento delle spade appena incrociate.

Ebbero appena il tempo di distinguerla, prima che un lampo minuto, vestito di verde cupo e dalla scompigliata zazzera nera, si frapponesse. Con un gesto brusco, Tallie spinse via entrambe le spade, costringendoli ad allontanarsi l’uno dall’altro, schiumanti di rabbia. -Siete due adulti, dannazione! Piantatela di fare i bambini!- sbottò, rivolgendosi soprattutto a Peter, che la fissava con un astio ampiamente ricambiato.

-Ma…- provò a protestare il Re Supremo, ma un’ombra alta e massiccia apparve repentinamente accanto all’elfa, le braccia muscolose incrociate sul petto ampio e gli occhi celesti che scrutavano cupi il volto allibito del Re Supremo.

-Ehi, biondino, sbaglio o ti ha detto di stare zitto?- commentò Caleb, palesemente irritato dall’espressione tutt’altro che pacificata dell’irrequieto Re Supremo.

-Io non…- provò ancora a ribattere il biondo, ignorando il brutto presentimento che gli suggeriva di non mettersi contro Caleb; qualcosa, forse la stazza o l’espressione corrucciata del gigante, gli suggeriva che non avrebbe avuto la meglio su di lui.

Ma fu una figura più piccola, a distrarlo; una figura minuta, due severi occhi dorati, una cascata di capelli bruni che scendevano lungo una schiena dritta ed impettita.

Avvertì il respiro mozzarsi, quando riconobbe sul volto di Shaylee quell’espressione dura, fredda, severa, che tanto lo aveva tormentato nelle ultime settimane.

Distinse a malapena Caspian rinfoderare la propria spada, dargli bruscamente le spalle e andarsene via, diretto probabilmente dalla sua rossa, sparita nella cripta con il fratello. A malapena, perché i suoi occhi erano stati catturati dal volto chiaro della Naiade, dalla freddezza di quegli occhi dorati che aveva potuto scorgere – per poco più di un istante – non così ostili.

-Peter, basta.- bastarono due parole, per farlo sentire terribilmente male. Bastarono quelle due semplici parole, quell’occhiata dura e densa di rimprovero, per farlo sentire dannatamente in colpa.

.

Siria.

Aveva bisogno di Siria.

Aveva bisogno di guardarla, di sentire la sua voce, di accarezzarle i capelli. Aveva bisogno di sentire il cuore scaldarsi accanto a lei, la mente sgombrarsi di quei pensieri tremendi che le parole del Re Supremo avevano scatenato dentro di lui.

Aveva ragione.

Lui aveva voluto salvare lei.

Non aveva pensato ad altro, non aveva pensato alla guerra, non aveva pensato a Miraz: tutto era scomparso, tutto si era fatto futile ed inutile, quando l'aveva vista in trappola, destinata a morire.

Raggiunse in fretta la sala più lontana, la caverna che custodiva la storia degli Antichi Re e Regine di Narnia. Sapeva che Siria era là, aveva incrociato Aaron qualche istante prima, proveniente da quello stesso luogo: il rosso si era limitato a una pacca sulla spalla, segno che sapeva bene ciò che era successo là fuori, nei confronti del biondo Re.

E infatti, eccola.

Il suo cuore perse un battito, quando la distinse accoccolata in una nicchia appena in disparte, appena più buia.

Aveva bisogno di lei, ma allo stesso tempo provava vergogna, all'idea di guardarla negli occhi.

Si era lasciato mettere i piedi in testa da quel borioso arrogante. Si era lasciato trattare come un ragazzino, da quello spocchioso ed egocentrico Re che non riusciva ad ammettere di aver sbagliato...

Come avrebbe potuto guardare la sua donna in viso, ora?

La sua donna...Dèi, il suo cuore palpitava solo a pensarle, quelle parole.

Siria lo scorse quasi immediatamente: era accoccolata sul proprio mantello, gli occhi che scrutavano pensierosi e cupi la figura, incisa nella pietra, di Aslan. Ma si voltò subito, nell'avvertire i suoi passi, nel riconoscere la sua presenza, gli occhi blu che lo cercavano, accogliendolo con un'amore che Caspian sentiva di non meritare.

-Ehi.- l’espressione di Siria, dolce come non mai, bastò a fargli capire che la ragazza aveva udito tutto quanto del litigio avvenuto poco prima.

Sospirò, il principe, passandosi una mano fra i capelli e raggiungendola immediatamente. Si sedette dietro di lei, la schiena addossata alla parete cupa, sorridendo appena quando Siria posò la testa sulle sue gambe, ancora stremata dalla battaglia e dalle ferite.

-Bella figura ho fatto, vero?- mormorò, chiudendo gli occhi, vergognandosi di sé stesso di fronte alla donna che amava, accarezzandole lentamente i capelli sparsi sul proprio grembo. -Mi sono lasciato insultare da un idiota vecchio di milletrecento anni. Grandissima figura davvero.- le sue parole sfumarono in un borbottio cupo ed incomprensibile, lo sguardo lontano, le dita perse fra i crini ramati della sua compagna.

Avvertì Siria sospirare appena, accorta; la ferita doveva farle parecchio male, ai gesti più profondi.

-Peter è un cretino, Caspian, ma da una parte lo capisco. È stato Re Supremo per tanto tempo…non riesce ad accettare che le cose siano cambiate, adesso, e che lui non sia più il Re.- Caspian non riuscì a guardarla, nonostante le sue parole gli suonassero terribilmente vere: non riusciva, per quanto stesse provando, a non ricordare che si era reso un idiota davanti a lei.

-Nemmeno io lo sono.- mormorò, la voce spezzata, atona. Ma vide con la coda dell’occhio un sorriso dolce disegnarsi sul suo viso e, dopo un istante, avvertì le ben conosciute dita candide posarsi sulla propria guancia.

Sorrise appena, grato, socchiudendo gli occhi a quel tocco in grado di pacificarlo.

-Ma tu ce l'hai nel sangue, principino.- la voce di Siria era tanto dolce…non poteva non crederle, perché sapeva che Sir non gli avrebbe mai indorato la pillola. Nemmeno per consolarlo.

-Solo…hai ancora un po' di umiltà da imparare, ecco.- Caspian la guardò quasi immediatamente, sorpreso.

-Ossia?- le chiese, senza davvero capire a cosa si riferisse. Ma Siria sorrise, tenera, accarezzandogli il viso e scostando i capelli dalla sua guancia, raccogliendoli dietro l’orecchio.

-Caspian, sei cresciuto in un mondo dove non hai mai dovuto combattere per vivere, per sfamarti, dove ti è stato insegnato a regnare fin da bambino.- gli spiegò, arrossendo appena quando il ragazzo voltò appena il viso, posando un bacio leggero sul palmo della sua mano. -Hai soltanto bisogno di imparare qualcosa sulla tua gente, e su come dimostrare umiltà e pazienza. Sono due fra le doti più importanti di un re.-

Lo vide sorridere, finalmente con sincerità, alle sue parole: e sorrise anche lei, serena, felice in cuor suo di essere riuscita – con così poco, in effetti – a rasserenarlo.

-Non ti sapevo così saggia, sai?- le disse, lasciandosi sfuggire una mezza risata, la tensione che si scioglieva. Le accarezzò il volto candido, percorrendo con tenerezza ogni lineamento: la fronte, le palpebre che si chiudevano docili al suo tocco, il nasino perfetto, le labbra. Indugiò appena, su quelle labbra, sentendo qualcosa nel suo ventre aggrovigliarsi, mentre il ricordo del loro sapore riempiva per un istante la sua mente.

-Ho tante qualità, ricciolino. Almeno la metà dei difetti.- ridacchiò lei, avvampando nel sentire quelle dita affusolate sfiorarle la bocca, facendo leva sui gomiti per alzarsi a sedere, ignorando la fitta, prevedibile, al fianco.

Ma Caspian si accorse immediatamente dello sforzo, del dolore che quel gesto tanto semplice le aveva causato: la cinse immediatamente in un abbraccio delicato, eppure saldo al contempo, lasciando che si abbandonasse già senza forze contro il proprio petto.

La sentì sospirare, trattenendo un gemito di dolore, intrecciando le dita alle sue e stringendo forte, troppo forte; avrebbe voluto evitare di farlo preoccupare, di lasciare che vedesse quanto quella ferita la stesse tormentando, ma non aveva potuto evitarlo.

Il dolore era riuscito a sconfiggerla, ed ora non poteva fare altro che mordersi convulsamente le labbra – sperando, ardentemente, che passasse in fretta.

-Non farlo mai più.- la voce di Caspian le giunse improvvisa, dopo un lungo silenzio.

-Che cosa?- gli chiese, alzando gli occhi appannati di dolore su di lui, sentendo i muscoli rilassarsi pian piano e il dolore scemare.

Il principe le accarezzò una guancia, dolcemente, posando con delicatezza le labbra sulla sua tempia e inspirando il profumo dei suoi capelli; bastò solamente quello per tranquillizzare entrambi, ambedue terribilmente bisognosi di quel contatto, di quella vicinanza.

-Rischiare la vita così. Ti prego, Sir.-

Avevano quasi rischiato di perdersi, in quel castello. Il terrore che aveva attanagliato i loro cuori era stato troppo grande, la paura troppo dolorosa: ora, avevano solamente bisogno di restarsene lì, stretti l’uno all’altra, senza pensare più a niente.

-Hai avuto paura per me, Caspian?- mormorò la rossa, la voce delicata, bassa, quasi come le fusa di un gattino.

Sorrise, Caspian.

Sorrise, lasciando scivolare le dita sotto il volto di lei, intrappolandole il mento fra due dita e sollevandole il viso, portandolo a pochi millimetri dal proprio.

-Sì. Una paura folle.- annuì, le labbra di Siria ad un soffio dalle proprie, gli occhi blu vividi e lucidi riflessi nei propri. -Di perderti.-

Sorrise, la raminga, posando con dolcezza le lunghe dita candide sulla guancia del ragazzo, sfiorando con amore la pelle soffice del suo principe.

-Tranquillo, non ho intenzione di smettere tanto presto di romperti le scatole.- mormorò, con dolcezza, sfiorando lieve le labbra di lui.

E fu Caspian ad approfondire quel contatto, immergendo le dita in quel mare scarlatto ed affogando nel sapore tanto intenso delle sue labbra, una lieve frase che scivolava delicata dalla sua voce.

-Quanto vuoi, Sir. Chiedo soltanto questo.-


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My Space:

uff, ce l'ho fatta xD le recensioni son calate, eh? Ah, l'estate, l'estate...

Mmmmm, che dire di questo capitolo? Aaaaaaaaaaaaaaaaah, sìììì!

FINALMENTE TALIA E CALEB SI SONO DATI UNA MOSSA, SANTA PACE! *una ola per Tallie e Cal*

Caspian e Siria sono sempre terribilmente dolsci, sono la mia endovena di zucchero preferita *W*

Peter...aaaaah Peter, questa è solo la prima lite che ti capita, devi ancora affrontare Siria *mwhehehheeheheh*

No, seriamente: mi è piaciuto, cercare di analizzare questa parte presa chiaramente dal film, dal punto di vista di Peter: secondo me, l'orgoglio del Supremo Coglione ha ricevuto una gran bella botta, in questo caso....xD

Un'ultima cosa, la canzone: splendida, davvero splendida. E' dei miei adorati tori muschiati californiani, QUI trovate testo e traduzione. Vi consiglio di leggerle bene: è pura poesia.

Bon, è tardi, vado a nanna che ho sonno xD Buonanotte, e mi raccomando, non abbiate paura di recensire, mica mordo io xD


Love you all, B <3

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Capitolo 17
*** Buried Alive. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Buried Alive - Avenged Sevenfold

La notte di Narnia ribolliva, ardeva di vendetta nei petti di coloro che presenziavano a quel processo.

Già una volta si erano riuniti: in quella radura dove era cominciato tutto, adesso non era più Caspian ad essere sotto accusa, circondato dalle creature inferocite che abitavano i boschi, le espressioni rabbiose grottescamente illuminate dalle torce di fuoco.

Era Siria.

-Va uccisa!-

-È una cacciatrice di taglie!-

-Potrebbe venderci tutti! Lei e i suoi compagni!- Siria, in piedi al centro di quella baraonda, inarcò un sopracciglio: il suo sguardo corse istintivamente a Talia, seduta fra Aaron e Caleb a pochi metri da lei.

Sono molto bendisposti, vedo mormorò la raminga, caustica, concentrandosi su quel contatto mentale e tentando di escludere il vociare minaccioso dei narniani.

Bella riconoscenza, dopo che gli hai salvato il culo!

Talia, si ritrovò ad affermare Siria fra sé, era tutto fuorché diplomatica.

Non erano passate che poche ore, dal loro arrivo alla cripta di Aslan: la pozione di Lucy aveva fatto rimarginare appena le ferite di Caleb e Siria, ma entrambi avevano ancora bisogno di cure e riposo, almeno per qualche giorno. Ma se Cal era al fianco di Talia, le dita intrecciate a quelle della mezz'elfa con una naturalezza incredibile, Sir non aveva avuto la stessa fortuna: Peter stesso si era premurato di condurla lì, strappandola bruscamente da quella bolla di quiete e serenità in cui lei e Caspian erano sprofondati, nella caverna.

A nulla erano valse le proteste di Caspian, quando l'Alto Re le aveva intimato di muoversi. Ma lo sguardo gelido di Siria, quell'espressione ferina e gelidamente assassina che tanto inquietava il biondo, era bastato per cancellare ogni atto di prepotenza dall'atteggiamento di Peter.

Se n'era accorta, già durante il loro primo “scontro”: il Re la temeva, la considerava un pericolo, una bomba ad orologeria pronta ad esplodere e ad annientarli tutti.

Dopotutto, aveva un buon istinto.

-Al rogo!-

-Alla corda!- sospirò, la raminga, già stufa di quella sequela di cruenti – e fantasiosi, ad un certo punto – modi per farla fuori.

-Posso interrompere questa interessantissima discussione che ha come oggetto la mia morte?- intervenne; la voce, intrisa di sarcasmo, che sì propagò ad una velocità impressionante fra i narniani inferociti, zittendoli quasi all'istante.

Una dopo l'altra, le voci tacquero: cadde il silenzio, sulla radura, un silenzio greve e pesante che ammorbava l'aria, che appestava il respiro della rossa.

Sentiva addosso gli occhi di tutti, e lo odiava.

Il suo istinto le gridava di allontanarsi, di fuggire al più presto da quel luogo: troppa gente la stava accusando, quegli sguardi carichi di disprezzo la tormentavano, le riempivano la pelle di brividi e pugnalate ad ogni istante che passava sotto quelle silenti accuse.

Odiava, essere al centro dell'attenzione.

Lo odiava, con tutta sé stessa. Era qualcosa che non riusciva a tollerare, avrebbe solamente desiderato essere comune, essere come tutto il resto del mondo...e invece, suo malgrado, la protagonista di quelle scomode situazioni era sempre lei.

Che fregatura.

Soltanto dopo un tempo che le parve intollerabilmente infinito, uno dei centauri si fece avanti. Portava due fasce di cuoio intorno alle spalle forti, nodose, ed una casacca da combattimento fasciava il torso imponente: scalpitavano, i suoi zoccoli, i lunghi capelli corvini attorcigliati in treccine intorno al volto, gli occhi scuri che si posavano severi su Siria.

-Parla, mercenaria.- le ordinò, e la ragazza rimase sorpresa dalla calma, e dalla pacatezza, con cui il centauro aveva appena parlato. Era un capo, comprese: era un leader nato, lo vedeva da come gli altri pendevano improvvisamente dalle sue labbra, dall'atteggiamento cauto ma rispettoso con cui si stava rivolgendo a lei.

-Grazie.- disse, il sarcasmo evaporato in un istante, la testa che si chinava appena in un muto cenno di ringraziamento.

-Allora. Avete tutti i motivi di volermi far fuori: ho rapito il vostro principe, l'ho quasi fatto ammazzare, ho combinato un casino assurdo, eccetera, eccetera.- cominciò, contando sulle dita i fatti che elencava: e poté quasi vedere Cornell – era quasi certa si chiamasse così, il suo interlocutore – lasciarsi sfuggire un mezzo sorrisetto, a quella lista tanto frettolosa quanto efficace.

Prese fiato, avvertendo a poco più di un metro dietro di sé la rassicurante presenza di Caspian. La calmava, il pensiero che fosse lì con lei, pronto ad intervenire: sentiva il cuore riscaldarsi, vicino a lui, e sapeva che non avrebbe mai trovato il coraggio di difendersi, se il principe non fosse stato al suo fianco.

-Sono pronta ad affrontare qualsiasi conseguenza vogliate impormi. So di aver sbagliato…io, ed io soltanto.- aggiunse le ultime parole con una voce molto più bassa, frettolosa, quasi non volesse farsi sentire dagli astanti più lontani.

Ma Aaron aveva un udito fin troppo fino, lo sapeva bene: ed infatti, non si sorprese più di tanto quando lo vide balzare in piedi, pronto a protestare e a cacciarsi nei guai insieme a lei.

-Siria!- sbottò, ma quando provò a dire altro la sorella alzò semplicemente una mano, scoccandogli una penetrante occhiata in grado di farlo trasalire.

-Zitto, Aaron.- disse, semplicemente, con una ferma dolcezza che lasciò morire ogni protesta sulle labbra del fratello.

Lei era l'unica, fra loro, con una qualche possibilità di cavarsela.

Talia era una mezzosangue, non le avrebbero mai dato credito; Caleb ed Aaron erano telmarini, ed in più mercenari; e Tara era soltanto una bambina, anche se pur sempre in grado di piantare un pugnale in mezzo alle scapole di un uomo.

Erano un branco di reietti, tutti e cinque.

Ma Siria poteva rischiare. Poteva affrontarli, ed assumersi anche le colpe del fratello, perché sentiva di essere al sicuro.

Caspian non avrebbe mai permesso che le venisse fatto del male.

E saperlo, la riempì di una forza del tutto nuova, una forza che la spinse a sostenere gli occhi scuri di Cornell, e a continuare a parlare.

-Io ho scelto questo compito, ed io sono a capo del mio gruppo di mercenari. Non ero a conoscenza del patto fra i Narniani e il principe Caspian, e mi dolgo di avervi costretti a combattere per salvarlo. Affronterò ogni conseguenza delle mie azioni.-

E la sua voce suonava terribilmente seria, terribilmente sincera. Persino Peter, che la scrutava con una sufficienza capace di irritarla anche da lontano, non riuscì – e ci stava provando, con tutte le sue forze – a ritenerla una bugiarda.

-A morte!- un urlo improvviso, dalle file più indietro dei narniani, spezzò in un istante quell'attimo cristallino. Ma Cornell continuava a fissarla, i trapassanti occhi scuri che spezzavano quelle difese invisibili che Siria ergeva in continuazione fra sé ed il mondo.

Si sentì a disagio, quando lo avvertì scrutare in ogni più profondo meandro di sé.

-Aspettate!- il cuore della rossa sussultò con violenza, quando la voce concitata di Caspian risuonò al suo fianco, quando voltandosi riconobbe il suo viso testardo e meraviglioso, ad una spanna scarsa dal suo. -Lei mi ha salvato la vita, non dimenticatelo. E ha combattuto al nostro fianco, salvando non pochi dei nostri soldati.-

.

-Ecco il prode principe in aiuto della sua amata…- la voce di Peter grondava sarcasmo, in quell'istante: era patetico, vedere come il ragazzo si fosse affezionato tanto a quella che era quasi sicuramente un'infida profittatrice.

Si vedeva lontano un miglio, ne era più che certo: il principe era un ragazzino ingenuo, che si era lasciato trarre nelle malie di quel corpo prorompente, in quella cascata di capelli scarlatti e in quegli occhi blu, tanto pieni di angosce e pensieri.

Ma Shaylee, al suo fianco, pareva di tutt'altro avviso.

Si sentì un bambino colto in fallo, quando i severi occhi dorati della naiade saettarono su di lui, scoccandogli un'occhiataccia capace di far evaporare qualsiasi traccia di cinismo dalle sue intenzioni.

Diamine, quanto era bella.

Diamine, quanto era vicina.

Avrebbe potuto allungare appena una mano, e avrebbe sfiorato ancora quella pelle lattea e soffice, terribilmente soffice...

Scosse repentinamente la testa, allontanando il vivido ricordo della morbidezza di quel corpo snello dalla mente. Non un'impresa facile, dovette ammettere con sé stesso, guardando colpevole lo sguardo severo della ninfa.

-Ascolta, se non taci, ti ficco questo pugno di foglie in bocca.- lo minacciò lei, sorprendendo anche sé stessa per la confidenza improvvisa che pareva essere nata fra loro. Non si diede nemmeno la briga di ripetersi che avrebbe dovuto ignorarlo, trattarlo con quella freddezza che pareva sgretolarsi ad ogni istante di più: sapeva, ormai, che sarebbe stato del tutto inutile.

Ma non riuscì a non sorridere, quando l'espressione di Peter, nei confronti del pugno di foglie secche che stringeva nella manina minuta, si fece terrorizzata.

-Okay, okay, sto zitto!-

.

-Il tuo cuore batte per questa ammaliatrice, principe Caspian. Sei stato catturato dal suo fascino come la mosca dalla tela del ragno.- Cornell dedicò soltanto un sospiro, a Caspian, un'occhiata compassionevole. Non era certo il primo, ad essere ammaliato da una...

-Non è…-

-Io non ho usato nessuna malia!- tutti sobbalzarono, all'improvvisa veemenza di Siria.

Non era una persona incline alle urla, a strepitare: era quasi sconvolgente vederla spingere bruscamente da parte Caspian, restando aggrappata alla sua spalla quando una fitta di dolore attraversò il suo fianco, gli occhi duri e irati fissi su Cornell.

-È vero, ho fatto delle cose sbagliate, ho ucciso, ho derubato, ho guadagnato sulla vita di gente che non conoscevo nemmeno, ma questo no!- sbottò, irritata, ignorando gli sguardi allibiti di tutti: di Peter, di Aaron, di Caleb...di Caspian.

Il centauro strinse gli occhi, sospettoso.

-Neghi di aver usato il tuo fascino sul principe?- le chiese, scettico. Ma Siria sostenne il suo sguardo senza alcun timore: sapeva di non aver ammaliato Caspian…non volontariamente, almeno.

Certe volte, aveva l'impressione di essere stata lei ad esserne rimasta stregata…

-Esatto.- annuì, ed il silenzio calò nuovamente, improvviso, su tutti i presenti.

Cornell continuava a fissarla, con un'insistenza che aveva quasi del morboso.

Siria sapeva, cosa stava facendo.

Sentiva la coscienza pressante ed immensa di quella creatura premere contro la propria, incrinando le sue difese, irretendo i suoi sensi scattanti.

Stava scavando dentro di lei.

Stava cercando risposte, a domande che Siria si poneva quasi ogni giorno.

E non gliele negò.

Gli permise di lasciar fluire la sua coscienza nella propria mente, sentendolo violare ogni pensiero, ogni ricordo, ogni più intimo dettaglio della sua vita: avvertì l'orrore pulsare, assistendo da umile spettatrice ad ogni ricordo sfogliato, ad ogni terrore mai del tutto sopito. Ed arrossì appena, invece, quando i chiari ricordi delle notti che aveva passato con Caspian avvolsero nuovamente i suoi pensieri, nello stesso istante in cui Cornell li studiava.

-Tu non sei Telmarina, ragazza. Sbaglio?- la voce del Tasso, di Tartufello, le giunse lontana, distante.

Un brivido quasi impercettibile attraversò i suoi quattro compagni, Shaylee: e istintivamente, i mercenari accostarono appena le mani alle armi, pronti a dare battaglia per la loro compagna, se la situazione si fosse fatta critica.

-No…no, non lo sono.- cercò di non balbettare, di riprendere coscienza di sé. Non le piaceva, quel metodo dei centauri: sua madre gliene aveva parlato con un timore quasi deferenziale, definendoli spesso gli unici detentori delle vere chiavi della magia.

Siria non aveva mai compreso appieno cosa significassero quelle parole, fino a quel momento.

-Io non ho terra, né patria. Sono una raminga, un'errante. Non ho casa né dimora, se non la mia spada e le stelle sopra la testa.- affermò, alzando la testa e fronteggiando l'intera Narnia raccolta lì, ignorando la sorpresa ed il disprezzo sui volti di tanti.

La raminga.

L'errante.

Era un titolo che le avevano dato nel corso degli anni, un titolo che la rispecchiava: ma le stava scomodo, ormai, perché una volta assaggiato il frutto della pace, dell'amore, si era resa conto di non desiderare altro che quello.

La raminga, la viandante, oramai desiderava soltanto di fermarsi.

Fu Caspian, ad intervenire, cogliendo al volto un'opportunità che lei non aveva scorto subito.

-Allora qual'è il problema? Se Siria non è telmarina, perché non accoglierla fra noi, permetterle di combattere?-

.

Peter sbuffò sonoramente, lanciando un'occhiataccia al ragazzo accanto alla rossa.

-Eddai! Si vede lontano un miglio che fra quei due c’è de…-

-Mmmnf…-

A quel suono soffocato, Siria, Caspian e Cornell si voltarono di scatto, allibiti.

Shaylee aveva un'espressione decisa, soddisfatta, le braccia incrociate sul petto e le gambe elegantemente accavallate. Peter, accanto a lei, non poteva essere più diverso; aveva gli occhi sgranati, allibiti, e un grosso pugno di foglie che curiosamente spuntava dalle sue labbra.

I tre rimasero un istante a fissarlo, completamente stupefatti da quella scena quanto mai ridicola. Siria guardò Caspian, e poi Cornell, scorgendo sui loro visi la sua stessa espressione; poi, senza nemmeno farlo apposta, tutti e tre si strinsero nelle spalle, tornando alla propria discussione.

-Io ho sbagliato. Lo riconosco, e provo rimorso, per ciò che ho fatto.- continuò la rossa, sincera, sforzandosi con tutte le sue energie di non sogghignare a quell'immagine che, poco ma sicuro, non si sarebbe schiodata tanto facilmente dalla sua memoria.

Cornell parve più abile di lei, a nascondere quell'attimo di ilarità che, ne era certa, aveva visto comparire sul suo volto severo.

-Il tuo è un rimorso sincero, raminga.- mormorò, scrutandola negli occhi, vedendo la sua espressione sgranare e farsi completamente stupefatta.

Cornell aveva visto dentro di lei.

Aveva guardato nella sua anima, nel suo cuore, nei suoi pensieri.

E aveva visto qualcosa per cui valeva la pena rischiare...qualcosa che lei non aveva ancora scorto, dopo vent'anni...

-Vorresti espiare, in qualche modo, le tue colpe?- le chiese, la voce più gentile di quanto non fosse stata nei minuti precedenti, sorridendo allo stupore della ragazza.

Quella giovane ancora doveva capire, ciò che di buono serbava il suo animo.

-Sì.- la risposta di Siria risuonò rapida e ferma nella radura improvvisamente silenziosa, gli occhi blu che in fretta si riprendevano dalla sorpresa, dallo sbigottimento.

Sguainò con lentezza la propria spada, il suo fido Kain, sotto lo sguardo vigile e maestoso del centauro dinanzi a lei.

Lasciò che la lama s'immergesse nel soffice terreno erboso, la pelle chiara illuminata dai fuochi intorno a lei, le iridi immense brucianti, tempestose, vive.

-Io vi offro la mia spada e il mio onore...per quanto esso possa valere.- affermò, la voce incrinata dal disgusto sulle ultime parole, rammentando fra sé che di onore, lei, non ne possedeva più da tempo.

L'orgoglio bruciò terribilmente la sua gola riarsa, quando si costrinse a rivolgersi verso i quattro Re...verso Peter, che la guardava con un misto di saccenza, trionfo e sorpresa che la irritarono terribilmente, pugnalando dritto al cuore il suo ego.

Ma non avrebbe ceduto all'orgoglio.

Non stavolta.

Aveva l'occasione per redimersi...per combattere dalla parte giusta, per soddisfare quel terribile bisogno di ideali che l'avevano spinta a battersi nel castello di Miraz, quando tutto pareva perduto, quando la morte era vicina a sfiorarla...

Quegli istanti in trappola, dentro di lei, avevano cambiato qualcosa.

Quegli istanti, dentro di lei, avevano acceso il bruciante desiderio di giustizia.

-A voi, Re e Regine del passato…e a voi, principe Caspian.- nulla, fino a quel momento, era stato così difficile come fu rivolgersi a Caspian in quel modo, con quella educata freddezza che avrebbe usato un soldato nei confronti del suo Re.

-Combatterò al vostro fianco, per liberare Narnia dagli usurpatori.-

E quelle parole, suggellarono un giuramento che Siria non avrebbe infranto.

Un giuramento che le aveva imposto il suo cuore, un sigillo che avrebbe, forse, candeggiato un poco la sua anima lercia.

-E i tuoi compagni?- Cornell rivolse un lieve cenno verso i quattro mercenari, più stupiti di tutti gli altri di quell'improvvisa presa di posizione della rossa: soltanto Talia le sorrideva, fiera, guardandola con lo stesso orgoglio che si riserverebbe ad una sorella improvvisamente cresciuta.

-Loro non hanno colpe. Io li ho comandati, e mi assumo ogni responsabilità per le loro azioni.- la voce di Siria risuonò pacata, calma, in quell'ammissione di colpe che non le appartenevano.

-Siria…!-

-E sia.- fu la voce profonda di Cornell a zittire la protesta di Aaron. Il centauro si voltò verso i suoi compagni, scambiando con loro una lunga, enigmatica occhiata che la rossa, stremata per lo sforzo di restare così a lungo in piedi, non ebbe la forza di decifrare.

Gli altri centauri, le altre creature, annuirono.

-I tuoi compagni non subiranno alcuna punizione, e nemmeno tu, per il momento. Alla fine di questa guerra…- e lo sguardo scuro del centauro si posò nuovamente sulla ragazza, più pallida e determinata che mai. -…sarà allora, che il tuo destino sarà deciso.-

E quella, per Siria, fu la conferma silenziosa che il centauro sapesse perfettamente cosa lei era.

-Ora alza il viso, Siria, raminga solitaria.-

E Siria lo fece, appena in tempo per vedere Cornell voltarsi. Alzò il volto, vedendo l'ostilità scemare dagli sguardi dei narniani, udendo nelle orecchie un rassicurante brusio che spezzò definitivamente la tensione di quell'estenuante processo.

Era stanca.

Soddisfatta, ma esausta. Aveva soltanto bisogno di riposare, adesso, perché le gambe le tremavano e le due ferite, al ginocchio ed al fianco, pulsavano sgradevolmente nella sua carne.

-Sir, vieni. Bisogna fare qualcosa per quella ferita, è ancora aperta.- la voce di Shaylee la raggiunse nello stesso istante in cui avvertì una calda mano posarsi sul fianco ancora sano, ed un corpo più alto del suo accostarsi alla sua schiena.

Si voltò, sentendo l'ansia svanire nello stesso istante in cui i suoi occhi incontrarono il sorriso di Caspian. Quel sorriso sollevato che riuscì a rincuorarla mille volte più efficacemente delle parole di Cornell, quel sorriso che riuscì a strapparne uno anche a lei, nonostante la stanchezza, la spossatezza, le ferite che pulsavano terribilmente.

-Shay, io sto benissimo.- borbottò, contrariata, quando la ninfa apparve senza molti preamboli accanto a lei. Le rivolse un'occhiata esasperata, desiderosa soltanto di restare lì, con Caspian, senza più occhi celesti che la scrutavano con diffidenza.

-Muoviti!- non l'avrebbe nemmeno ascoltata, se non fosse stato per l'espressione severa apparsa sul viso del suo principe, al suo sbuffo.

Gli rivolse un'occhiata implorante, come a scongiurarlo di non permettere a Shay di trascinarla via, ma gli occhi del ragazzo rimasero irremovibili: e Siria sospirò, sconfitta, sapendo che entrambi avevano ragione ma assolutamente decisa a non ammetterlo.

Si voltò verso la ninfa, che la scrutava con un cipiglio severo e le braccia incrociate sul ventre.

-D'accordo, d'accordo, non c'è bisogno di urlare!- sbottò, lasciandosi trascinare via un istante più tardi, rivolgendo una smorfia ad un fintamente soddisfatto principe Caspian.

.

Sospirando, Siria si distese sull’erba, gli occhi blu che istintivamente andavano a cercare il cielo stellato. La ferita le doleva, ma era abituata al dolore fisico, alla sofferenza; non si curò della fitta atroce che l’attraversò con forza, quando si accomodò sull’erba, serrando semplicemente gli occhi.

Shay l'aveva curata, ricucendo gli squarci appena rimarginati sulla sua pelle, fasciando con decisione il suo fianco e il suo ginocchio. Aveva sopportato i rimproveri della ninfa su quanto fosse stata incosciente, su quanto dovesse sempre arrivare quasi a farsi ammazzare, perché altrimenti non era contenta. Aveva ridacchiato, Siria, perché sapeva benissimo che quella di Shay era soltanto preoccupazione.

La ninfa le aveva permesso di andarsene soltanto dopo un bel pezzo, quando era stata sicura che le ferite fossero ben ferme. In teoria, per loro erano stati allestiti degli alloggi: erano molte, le stanze nella cripta di Aslan, ma Siria aveva preferito uscire all'aperto, godendosi il fresco della notte e le stelle che trapuntavano il cielo.

Aveva intravisto Tallie e Caleb, in un angolino. Si erano tenuti lontani, le creature magiche occhieggiavano con disprezzo i capelli scuri e la carnagione olivastra della mezz'elfa.

Ma a Talia pareva non importare, degli sguardi ostici che la fissavano. La sua testa era vicina a quella di Caleb, la fronte premuta sulla sua. Il braccio muscoloso del biondo era intorno alla sua schiena snella, le dita del ragazzo sfioravano i suoi capelli sciolti.

Erano così belli insieme, si disse, sentendo un sorriso lieve disegnarsi sulle labbra stanche.

Era così bello, vedere gli occhi di entrambi cercarsi – e trovarsi, finalmente, dopo troppo tempo che avevano passato sognandosi a vicenda.

Siria non avrebbe potuto desiderare di meglio, per Tallie.

Caleb la amava, la amava con tutto sé stesso: e lei lo sapeva bene, la raminga era l'unica con cui il biondo avesse il coraggio di parlarne, di sfogare la frustrazione per non essere mai stato in grado di dichiararsi a Talia. Solo lei, era ben conscia di quanto il biondo arrivasse ad adorarla: Cal avrebbe volentieri dato la vita, per Talia. E senza pensarci due volte.

Prese fiato, Siria, cercando di concentrarsi il più possibile sui due amici, escludendo tutto il resto.

Non doveva pensare a quanto avesse rischiato, quella notte.

Non doveva pensare, agli occhi cupi di Cornell che la scrutavano dentro, che scoprivano quale orrenda verità si celasse dietro il suo viso candido.

Non doveva pensare, all'astio e all'insofferenza del boriosissimo Re che si ritrovava improvvisamente a dover servire.

Non doveva pensare all'orgoglio pugnalato a morte, non doveva pensare a quanto avesse fatto preoccupare Talia, Shay, Aaron...Caspian.

Caspian.

Non doveva pensare, soprattutto, che Caspian in quel momento era tenuto a debita distanza da lei dal Re Supremo, con la poco convincente scusa di farsi raccontare ogni particolare della sua azione di guerriglia.

All’improvviso, senza un reale motivo, sentì gli occhi riempirsi di lacrime.

Lacrime salate, lacrime di stanchezza, lacrime di una paura a cui non aveva permesso di sfogarsi.

Lacrime che scendevano silenziose lungo le sue guance, una dopo l’altra; lacrime, che rigavano il suo viso, arrossandole gli occhi, scuotendo il suo petto di singhiozzi silenziosi.

Aveva avuto paura. Aveva avuto troppa, paura.

Quel terrore era stato in grado di riempirla, di riempirla di vuoto; un vuoto che l’aveva spaventata come mai prima, un vuoto che era riuscito a scuoterla fin nel profondo. Mai, prima d’allora, qualcosa era riuscita a terrorizzarla così tanto.

E invece…invece, adesso, si ritrovava a rannicchiarsi su sé stessa, le lacrime copiose e silenti, le braccia che salivano a stringerla in quel bozzolo in cui amava, ormai, rinchiudersi.

Aveva rischiato di perderlo. Di perdere lui, di perdere quel ragazzo che era riuscito a farla sorridere. Quel giovane idealista che le aveva portato via il cuore, quel giovane che soltanto guardandola riusciva a farla avvampare, facendole dimenticare il muro di ghiaccio e cinismo che aveva costruito intorno a sé.

Si rannicchiò ancor di più, tremando.

Ora poteva. Ora poteva piangere.

Ora poteva sfogarsi, nessuno avrebbe visto quei singhiozzi, nessuno avrebbe udito quel pianto. Non c’era nessun Re spocchioso pronto a colpirla, non c’era Aaron, non c’erano né Talia né Shay – le aveva chiuse fuori, fuori da quella mente in cui voleva restare da sola.

Adesso, poteva essere di nuovo debole. Debole come aveva rischiato di mostrarsi, debole come non poteva permettersi di essere. Debole come sapeva di essere nel profondo, dietro quella scorza indurita da anni d’intemperie, da anni di dolore.

Ora, poteva lasciarsi andare a quel pianto.

Quel pianto silenzioso ma inesorabile, stretto fra due braccia candide, in un corpo scosso da singhiozzi convulsi, strozzati.

Le lacrime scendevano lente; lente, andavano a bagnare i fili d’erba di rugiada salata, inumidendole le labbra secche, arrossandole gli occhi.

Caspian.

Avrebbe soltanto voluto lui, in quell’istante.

Lui, la sua presenza, il suo calore. Quel tono particolarmente dolce che dava inflessione alla sua voce, quando le parlava. I suoi occhioni neri, le sue labbra soffici, i suoi capelli riccioluti e terribilmente morbidi…la sua risata, la voglia di vivere e combattere che traspariva dalle sue parole, l’energia con cui parlava, con cui viveva…

Aveva bisogno di lui. Aveva bisogno di essere abbracciata, di lasciarsi cullare fra quelle braccia. Aveva bisogno di sentirsi debole e fragile, di lasciarsi andare contro il suo petto e non avere più paura.

E invece, era là. Su quel prato solitario, poco distante dalla cripta. Sola.

Perché nulla, sarebbe andato bene. Pevensie la detestava, avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di allontanarla da quel luogo e, soprattutto, dal principe; e le creature di Narnia la occhieggiavano già con sospetto, per la sua natura, per ciò che nascondeva dentro di sé ormai da vent’anni.

Prima o poi lo avrebbero scoperto. Prima o poi, tutto sarebbe crollato, distrutto, e di lei non sarebbe rimasto che uno sciocco involucro vuoto.

Il suo pianto si fece più violento, a quel pensiero.

Avrebbe perduto tutto quanto. Avrebbe perduto Talia, e suo fratello, e Cal, e Tara. Shay non avrebbe potuto fare nulla, esattamente come loro.

Avrebbe perduto Caspian.

Si ritrovò a tremare, tremare di un gelo che nulla aveva a che fare con ciò che la circondava; quel freddo veniva da dentro di lei, dal suo cuore, dal terrore che stringeva il suo corpo in una morsa d’acciaio.

Sarebbe dovuta andarsene.

Avrebbe dovuto lasciare tutto, sarebbe dovuta fuggire. Avrebbe fatto male, ma forse…forse sarebbe stato meglio, forse non avrebbe fatto del male a nessuno, forse non avrebbe mai avuto il terrore di vedere gli occhi di Caspian pieni di orrore, di disgusto…per lei.

Ma non ci sarebbe riuscita. Lo sapeva.

Non avrebbe potuto vivere lontano dal suo principe. Soltanto quel pensiero, riuscì a strapparle un gemito di dolore, un peso terribile che opprimeva repentinamente il suo petto.

Avrebbe dovuto farlo.

Ma rinunciare a lui…rinunciare a quell’amore che sembrava poter lenire ogni sua sofferenza, ogni suo dolore…rinunciare alla gioia che sentiva vibrare nel corpo, ogniqualvolta si ritrovava accanto a lui, come avrebbe potuto?

No.

Lei non poteva fare a meno di Caspian, non più, mai più. Lo amava, lo amava e ne era ben conscia, lo amava e non avrebbe mai negato quel sentimento che pulsava vivo e forte nel suo cuore.

Perché quell’amore l’aveva salvata da sé stessa.

L’aveva salvata dal suo demone, dalla bestia che quasi l’aveva divorata. L’aveva riportata indietro, semplicemente chiamandola.

La amava.

Era questa la verità, la verità che non poteva e non voleva negare.

La amava.

E in confronto a quelle due semplici parole, tutto perdeva di significato. Tutto, tranne la vivida immagine del volto del suo principe impressa nei suoi occhi pieni di lacrime.

Avrebbe combattuto, per quello. Avrebbe lottato, e avrebbe sconfitto i suoi demoni.

La amava.

La amava, e quell'amore era in grado di costringerla a vivere, ora più che mai.

Lasciò che i singhiozzi continuassero a scuoterla, senza più darvi peso. Divennero soltanto lievi convulsioni inutili, lacrime che non sentiva più, che non avvertiva più.

Non aveva la forza di fermarsi, ma non aveva nemmeno più un motivo per piangere. Aveva deciso quale strada percorrere, e sarebbe stata la più ardua, la più impervia, la più scoscesa; ma era la strada che il suo cuore le comandava, la strada che s’incrociava con quella di Caspian. La strada, che un giorno l’avrebbe portata ad una tanto agognata serenità.

La sua scelta, lei l’aveva fatta quella notte.

.

.

Il sole riempiva ogni spazio intorno a lui, illuminando il verde della foresta, accendendo i colori nascosti di quel luogo al limite della magia. Ma Caspian, per una volta, non si perse a rimirare il fascino della lussureggiante e selvaggia vegetazione intorno a lui.

I suoi occhi, osservavano ben altro.

Era così bella…

Non si sarebbe mai saziato di guardarla. Nemmeno ora, addormentata placidamente nell’erba alta che l’abbracciava, i fili bagnati di rugiada intrecciati con i suoi capelli.

Aveva gli occhi arrossati, era accoccolata su sé stessa, le guance rosse.

Aveva pianto, si disse. Aveva pianto, e lui non era stato lì.

Lui non le era stato accanto, non l’aveva stretta a sé e non aveva impedito che crollasse lì, da sola.

Le accarezzò dolcemente i capelli, con delicatezza, per non svegliarla.

L’aveva cercata per tutta la notte, quando finalmente si era liberato di Peter. L’aveva cercata quasi disperatamente, desiderando soltanto di poterla stringere, dopo tutto quello che era successo, desiderando soltanto di passare qualche ora nel buio rassicurante della notte, con la sua amata fra le braccia.

Ma non l’aveva trovata.

Aveva trovato Shaylee, però. Shaylee, che silenziosa, enigmatica, misteriosa, gli aveva semplicemente detto di non cercarla.

.

-Shaylee...sapresti dove...-

-Dov'è Siria?- un lieve sorriso appena esasperato, ma affettuoso, in fondo. -Non cercarla, Caspian. Ha bisogno di fare i conti con sé stessa, per l'ennesima volta.-

.

E invece, eccola lì, la sua raminga.

Eccola lì, appallottolata come un gattino abbandonato, immersa nell’erba alta, gli occhi rossi per il pianto e la pelle infreddolita.

Con dolcezza, si distese accanto a lei, prendendola delicatamente fra le braccia e lasciando che il proprio petto premesse sulla sua schiena. Non si sorprese minimamente, quando avvertì il lieve sussulto del suo respiro, il suo corpo irrigidirsi appena: era ben conscio, di quanto i riflessi di Siria fossero fulminei.

-Sssh.- sussurrò soltanto, posando le labbra calde sulla sua gola, rassicurandola. E lei, docile, non disse assolutamente nulla, limitandosi ad abbandonarsi completamente contro al su petto, sospirando grata e tornando a chiudere gli occhi.

Sorrise appena, il principe, accarezzando la curva profonda del suo fianco, lasciando che le dita intuissero il corpo candido che si celava al di sotto della calzamaglia scura che la velava.

Le labbra indugiarono sulla pelle soffice, inumidita appena dalla rugiada. Avvertì la schiena della ragazza rabbrividire, quando lasciò piccoli, lievi baci sul suo collo, percorrendolo con lentezza, assaporandone ogni millimetro.

Soltanto quando avvertì le dita di lei immergersi tremanti nei propri capelli, provocando un fremito del tutto piacevole lungo la sua schiena, si decise a parlare.

-Come mai hai pianto?- sussurrò, lasciando che il proprio respiro le sfiorasse la guancia, scorgendo i suoi occhi socchiusi, le labbra che rubavano ogni particella del suo fiato.

Siria sospirò appena, accarezzandogli una guancia, le dita candide che sfioravano delicate il volto del ragazzo. Lo avvertì seguire il movimento della sua mano, lasciando che il suo palmo premesse sul proprio viso, sfiorando la sua pelle con le labbra.

-Troppe...troppe cose tutte insieme.- mormorò, voltando appena il viso verso di lui, gli occhioni ancora arrossati che sostenevano colpevoli quelli dolci di lui.

Si voltò improvvisamente, affondando il viso nel petto del moro e serrando le mani bianche sulla schiena di lui.

Quanto le era mancato, quella notte...

Si strinse a lui, sentendo le sue braccia avvolgerla, il suo petto accoglierla immediatamente. E sorrise, per la prima volta da ore ed ore, sentendo il battito calmo e sereno del suo cuore rimbombare fra i suoi pensieri.

-Peter ti ha tenuto lontano.- sussurrò, quasi impercettibilmente. Caspian le accarezzò i capelli, con dolcezza, accostando le labbra all'orecchio della giovane e posando un lieve bacio sulla sua guancia.

-Non può riuscirci. Ha fallito già in partenza.- la rassicurò, e ci credeva, il principe. Ci credeva con tutto sé stesso.

E sorrise, Siria, rincuorata dalla sua presenza e dalle sue parole, accoccolandosi meglio fra le sue braccia e non pensando più a niente, finalmente pacificata.

.

.

Quel ragazzo era un idiota.

Come aveva fatto, lui quanto Cornell, a lasciarsi convincere sulla sincerità di Siria? Era lui, l'unico a vedere quanto Siria fosse riuscita a gabbare tutti quanti?

Appena la vide apparire dal folto della foresta, insieme a Caspian, interruppe bruscamente la conversazione che stava avendo con Cornell, dirigendosi a passo spedito verso i due piccioncini.

Era arrivato il momento di mettere le cose in chiaro. Una volta per tutte.

-Tu. Seguimi.- ancora una volta, lui stesso si sorprese della veemenza che Siria gli provocava.

La rossa spostò con aria di sufficienza lo sguardo su di lui, posando allo stesso tempo una mano sul petto di Caspian, già pronto a difenderla.

-Mi sembrava di aver già chiarito che non prendo ordini da te, Pevensie.- Siria sentì una qualche parte di sé stessa sospirare, esasperata: a volte, il suo stesso carattere era insopportabile, persino per lei.

Rivolse una fugace occhiata al principe, che fissava con astio il Re Supremo – astio pienamente ricambiato, oltretutto.

-Non intervenire.- soffiò, così piano che soltanto lui riuscì a cogliere quelle parole, quella minuscola preghiera. E Caspian la guardò a lungo, pensieroso, prima di annuire poco convinto e allontanarsi di un passo da lei.

-Hai qualche problema con me, rossa?- il sorriso tracotante, strafottente della raminga si rivolse al Re Supremo, scorgendo alle sue spalle, in arrivo, i suoi compagni e gli altri Pevensie.

-Nooo, perché mai avreste questa impressione, Re Supremo?- inclinò appena la testa, Siria, il sarcasmo che venava ogni singola sillaba, il sorriso irridente rivolto con sufficienza verso il biondo.

-Forse dal fatto che la tua arroganza non conosce confini?- oh, il ragazzo sapeva come giocare quella partita. Vide i suoi occhi celesti assottigliarsi, la mascella contrarsi impercettibilmente: non doveva essere troppo difficile, fargli perdere le staffe.

-Mi sembra che qui l’unico con dei problemi sia lei, Alto Re di Narnia. Avanti, può anche parlare…o magari non è abbastanza uomo, per farlo?- era esilarante, a dirla tutta, vedere una vena pulsare sempre più velocemente sulla tempia di Peter.

Era da quando erano tornati dall'assalto, che moriva dalla voglia di dirgliene quattro.

-Oooh, questa è brutta.- sogghignò, Siria, nel sentire il commento divertito di Caleb. Intravide Talia scoccargli uno scappellotto, abilmente intercettato dal biondo, che la trasse repentinamente a sé – ottimo modo di zittire e calmare Tallie, quello, non poteva negarlo.

-Non ho tempo per parlare con una ladra mercenaria.- Peter si controllava a stento, ormai. Aveva un livello di sopportazione molto vicino allo zero...

-E io non spreco il mio fiato con un borioso, egocentrico ed arrogante.- replicò lei, pronta; al contrario del Re, calmissima.

-Mi sorprende che tu sappia usare dei termini così elevati, rossa!- la voce di Peter tradiva il nervosismo che gli stava provocando, così come i segni sempre più evidenti nel suo corpo.

-E a me sorprende che tu sappia parlare, sottospecie di scimmia dai capelli biondi!- Siria seppe immediatamente di aver toccato un tasto dolente, ferendolo nel suo immenso, spropositato ego.

Distinse alla perfezione lo scatto improvviso della mano destra di Peter, serrata improvvisamente sull'elsa istoriata della propria spada. Ma lo vide anche chiudere gli occhi e respirare profondamente, come a tentare di calmarsi, come a cercare di non...

-Cos’è, cerchi di trattenerti? Guarda che puoi anche provarci, Re Supremo.- rincarò, il corpo teso e vigile, i sensi all'erta, pronta ad accogliere l'attacco che – se lo sentiva, nelle ossa – sarebbe presto arrivato.

-Io non combatto con le donne.- ma Peter era tutto fuorché convinto, in quel momento. Stava tremando: per l'ira, per la rabbia, per la belva che ruggiva rabbiosa nel suo petto, chiamando a gran voce vendetta.

La voce di Siria si fece irrisoria, quando consapevolmente inferse un ennesimo colpo al ruggente ego del Re Supremo di Narnia.

Le sue labbra si storsero in una smorfia crudele, cinica, quando affondò quell'ultima pugnalata – non senza sentirsi in colpa, nel petto di Peter.

-Cos’è, hai paura che io possa rovinare il bel faccino del Re Supremo di Narnia?-

Silenzio.

La netta sensazione di una tempesta imminente.

.

Non vide Susan ed Edmund alzare gli occhi al cielo.

Non vide Lucy coprirsi la bocca con le manine, sgranando gli occhi celesti, spaventata.

Non vide Shaylee sobbalzare, allarmata, repentinamente bloccata da Talia dall'intervenire.

Semplicemente, non vide.

.

T-CLANG!

Un lampo.

Siria balzò indietro, Kain repentinamente estratto dal fodero, sentendo la lama scontrarsi violentemente contro quella del Re Supremo.

-Cos’hai contro di me, dannata rossa?- Peter si scostò rapidamente, gli occhi celesti fiammeggianti d'ira, la spada ersa in difesa.

Aveva attaccato.

Aveva perso il controllo, sentendo solamente un sordo ruggito risuonare in fondo alla sua mente.

Aveva attaccato.

-Ho che non sopporto le persone come te!- Siria, la voce terribilmente dura, imitò le sue identiche mosse: il corpo tonico era pronto a sopportare un altro attacco, ma non pareva intenzionata ad aggredirlo: la sua era una mera difesa, perché le sue vere armi erano le parole che scandiva con una violenza quasi crudele.

-Hai quasi fatto ammazzare un sacco di gente, stupido idiota! Per cosa? Per il tuo stupido orgoglio, per le tue manie di grandezza? Per dimostrare di essere il migliore?- sputò con rabbia, con odio, gli occhi blu inchiodati nelle iridi rabbiose ed azzurre di un improvvisamente confuso Re Supremo.

E le sue parole, con rabbia, flagellarono quell'anima già sufficientemente tormentata.

Per cosa, Peter?

Siria vide la consapevolezza farsi strada sul suo volto, ad una velocità terribilmente rapida.

Per cosa?

Bruciavano, le sue parole. Bruciavano di una verità troppo pesante, troppo dolorosa, troppo vera.

Per il tuo stupido orgoglio? Per le tue manie di grandezza?

Non aveva ordinato la ritirata, perché?

Perché credeva di poter vincere, perché dentro di sé voleva sentire l'esercito acclamare trionfante la vittoria, perché voleva sentire l'adrenalina scorrere ancora una volta come durante le grandi guerre che aveva vinto?

Per dimostrare di essere il migliore?

Come poteva ribattere, prendersela con lei, quando diceva soltanto quella verità che il suo ego non riusciva ad accettare?

Hai fallito.

Sei un fallito, Re Peter, il Magnifico.

-Siria!- stavolta, Peter riuscì a distinguere Shaylee.

La vide avvicinarsi rapidamente, mettersi fra lui e la rossa. Gli dava la schiena, ma vedeva le sue spalle contratte, le mani strette a pugno: poteva immaginare la sua espressione severa, piena di rimprovero, rivolgersi verso una rossa affatto pentita sulle frasi appena pronunciate, la spada in pugno e l'espressione irata.

Siria schioccò le labbra, furibonda, sostenendo l'occhiataccia della ninfa senza cedimenti.

-No, Shaylee, Siria un corno! Ha sbagliato, e qualcuno deve dirglielo! Ha sbagliato, e come ho fatto io deve assumersene le conseguenze!-

Suo malgrado, Peter sentì qualcosa, dentro di lui, concordare con Siria.

Assumersene le conseguenze.

Lui non lo stava facendo.

Lei lo aveva fatto.

Ma lei, non era migliore di lui.

Non poteva ammetterlo, non poteva, non ci riusciva: lui era il Re Supremo, lui era Peter il Magnifico, non avrebbe mai ammesso la possibilità che qualcuno – che Siria – fosse stata più umile di quanto lui era in grado di essere.

-E io dovrei stare qui ad ascoltarti, anche.- si lasciò sfuggire, abbassando la spada, posando una mano sulla spalla di Shaylee e scostandola con tutta la gentilezza di cui era in grado in quel momento.

La ninfa lo guardò storto, ma non ribatté al suo gesto: probabilmente, Shaylee avrebbe volentieri sgridato anche lui, da quanto pareva arrabbiata. Avrebbe anche sorriso, se non avesse sentito quell'odio terribile animargli il cuore, riempirlo e svuotarlo al tempo stesso.

-Ho di meglio da fare che ascoltare una sgualdrina.- sibilò, a denti stretti: ma sapeva, sapeva bene, che Siria lo aveva sentito benissimo.

Così, siamo pari.

.

Una pugnalata.

Le parole s’immersero con violenza nella carne di Siria, bruciando di una lama infuocata piantata con crudeltà in mezzo al suo petto.

Sgualdrina.

Vide Caspian irrigidirsi, lo sguardo di Aaron farsi tagliente. Poco distante, Tallie aveva sgranato gli occhi, scoccando un'occhiata di fuoco a Peter, le mani che fremevano sulla faretra.

Quante volte, si era sentita chiamare così? Oramai aveva perso il conto.

Quante volte, aveva lasciato che la insultassero, celando la propria purezza, terrorizzata all’idea di poter perdere quell’ultima parte di sé ancora candida?

Sgualdrina.

Bruciava.

Sapeva bene quanto potesse bruciare, quella parola, dentro di lei.

Avvertì i pugni serrarsi, il sangue defluire con prepotenza dal suo viso.

I suoi pensieri vorticavano confusi, rabbiosi, prepotenti: ma da quel marasma, da quelle emozioni dirompenti che acceleravano il battito del suo cuore, emergeva solamente una sentimento.

Un sentimento, in grado di spazzare via tutto il resto.

Ira.

E Peter la guardava con odio, affatto pentito di quello che aveva appena detto, trionfante nel vedere il dolore propagarsi troppo rapidamente nei suoi occhi.

-Oh. Addio Re Supremo!- il commento soltanto in apparenza divertito di Caleb le giunse ovattato, lontano, insignificante.

-...come mi hai chiamata?-

Caspian, a pochi metri dietro di lei, avvertì un brivido.

Un brivido freddo, gelido, sgradevole, un brivido che lo attraversò da capo a piedi, quando la voce sibilata di Siria fece calare un gelo innaturale su tutti i presenti.

Peter avvertì lo stomaco contrarsi, quando quei freddi specchi di ghiaccio lo inchiodarono lì dov’era.

Pericolo.

Quella sensazione riprese prepotentemente vita nel suo stomaco, nel guardarla in volto.

Pericolo.

Non lo avrebbe mai ammesso, mai: ma Siria, in quell’istante, lo spaventava.

Non pareva nemmeno un essere umano.

Ogni muscolo era teso, i capelli rossi contornavano un volto contratto, rabbioso, i denti serrati in una inequivocabile espressione di puro disgusto. Le labbra erano violacee, convulsamente serrate, la pelle candida aveva perso anche qualsiasi barlume di colore. Le dita erano serrate sull’elsa della sua spada, serrate tanto da far sbiancare le nocche.

Siria, in quel momento, sembrava più che mai una belva feroce.

E metteva paura.

-Ripetilo, Pevensie. Come mi hai chiamata?-

Peter esitò solamente un istante, prima di maledire sé stesso e la risposta che gli sfuggì prima di poterla trattenere.

-Come quello che sei.- sputò con odio, con rabbia, con il solo desiderio di ferirla che pulsava nelle vene.

.

Perché lei aveva ferito lui.

Perché lei, era stata in grado di rinfacciargli quegli errori che il suo orgoglio non avrebbe mai ammesso.

.

Peter non la vide nemmeno arrivare, stavolta.

Balzò indietro automaticamente, scorgendo solamente una furia scarlatta avventarsi su di lui, la spada bastarda che sfrecciava rapida, mortale, verso la sua gola.

Rhindon vibrò fra le sue dita, quando le lame s'incrociarono di nuovo, a poco più di qualche centimetro dal suo viso.

Riuscì soltanto a distinguere l'odio sul volto della raminga, prima che la rossa attaccasse di nuovo.

Stavolta non si stava trattenendo: la rabbia che animava la sua spada puntava dritto al cuore, al collo, al fegato, e Peter dovette indietreggiare, per riuscire a proteggersi.

Stavolta, Siria mirava ad uccidere.

Non pareva nemmeno lei, in quel momento.

Vedeva soltanto rosso.

Kain affondò repentina e letale ad un soffio dal fianco del biondo, ma non si diede nemmeno il tempo di rendersene conto: la lama sfrecciò verso la testa del Re Supremo, il corpo un unico fascio di nervi, la spada null'altro che un naturale prolungamento del suo braccio.

Soltanto rosso.

L'ira pulsava nei suoi occhi ferini, taglienti come coltelli. Un sordo ronzio le riempiva le orecchie, attutendo ogni singolo suono, lasciando nel suo petto solamente il ruggito furibondo del suo orgoglio ferito.

Rosso.

-Siria!- ignorò palesemente la voce di Aaron, quella improvvisamente atterrita di Shaylee. Li ignorò volutamente, le iridi inchiodate su ogni singolo millimetro lasciato scoperto dalla guardia del Re Supremo, cercando il punto perfetto per colpire.

Sentiva solamente il ringhio feroce della bestia che dimorava nel suo spirito, che ruggiva per quella ferita inferta fin troppo in profondità.

Rosso.

Il rosso della rabbia, il rosso del sangue che ribolliva dentro di lei.

Rosso.

Il rosso che l’accecava, il rosso dei capelli che danzavano intorno a lei, mare di fuoco pronto a bruciare.

Rosso.

Rosso, come il vivido segno che, ad uno scatto inaspettato del suo polso, apparve a deturpare la guancia del Re Supremo.

Rosso. Rosso, come il sangue.

Si fermò nello stesso momento in cui sentì la bestia ruggire di vittoria, nel vedere la macchia scarlatta che improvvisamente sporcava l'acciaio della sua spada.

Si fermò, a poco più di una spanna dal volto allibito di Peter.

Si fermò, il respiro di entrambi accelerato, quello di lei rabbioso, quello di lui stupefatto.

E fu quando parlò, la voce sibilante e densa di rabbia, che Peter avvertì un brivido ghiacciato scendergli lungo la schiena, il taglio sulla guancia che bruciava terribilmente.

-Non dimenticarlo, Re Supremo. Io non sono uno dei tuoi sudditi.- sibilò, scrutandolo in quegli occhi azzurri che la guardavano con paura – e ne godette, di quel timore, la bestia che beveva assetata il sapore amaro del trionfo.

-Siria.- soltanto in quel momento, la furia chetata dall'odore metallico del sangue, la voce di Aaron la raggiunse. Si accorse improvvisamente della mano ferma che serrava la sua spalla, della figura alta e muscolosa accanto a lei.

Spezzò bruscamente la sottile catena che legava i suoi occhi a quelli di Peter, rinfoderando bruscamente la sua spada ed allontanandosi dal biondo, con uno scatto che tradiva tutta la rabbia che aveva dentro.

Si voltò, senza riuscire a guardare nessuno, scattando verso gli alberi a poca distanza. Arrivò soltanto al primo ramo, prima di saltare agilmente e arrampicarsi, sparendo fra le fronde in una confusa macchia rossastra.

.

Si odiò, Siria, quanto avvertì una voce evanescente, lontana, risuonare nel petto dove la bestia ancora ruggiva, chiedendo a gran voce il sangue del Re Supremo.

Sei stata brava.

Ricordalo, mia piccola Siria. Sarà lui, presto, a bere il tuo sangue.


.

.

.

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My Space:

Hooooooooooooooola!!!!

Oggi è uscito il video di Nightmare *O*

Okay, non c'entra nulla con il capitolo, ma per me è una cosa assolutamente meravigliosa xD

Allora: ultimo aggiornamento, prima della partenza della sottoscritta (con la Kiki!!!! *___*) verso i lidi londinesi: ebbene sì, la vostra B si prende 6 giorni di vacanza, e se ne va a Londra xDDDDDDDD

Perciò, ecco a voi un aggiornamento bello lungo, 22 pagine di capitolone ^___^

Vediamo un pò: allora, ce ne sono di cose da dire, su questo capitolo. Il processo a Siria mi è piaciuto molto, così come il confronto con Cornell, il centauro. Gli indizi sulla vera natura di Siria ci sono tutti, neh? Vediamo se qualcuno riesce ad arrivare alla soluzione (silenzio voi, persone che già lo sanno xD)

Lo sfogo di Siria è un pezzo molto personale: è la mia classica "reazione a scoppio ritardato": dopo i guai, finalmente c'è anche il momento in cui potersi lasciare andare. Con Caspian ormai è grande ammmore, mentre con Peter...muhahahahahahah, quanto mi son divertita a scrivere la lite fra Peter e Siria *annuisce convinta*

Sono due testacce, quei due lì: Peter è fin troppo orgoglioso, mentre Siria è insofferente. Sono due testoni fuori misura *zizi*

Peter è un arrogante, e come ha già fatto con Caspian, quando viene ferito attacca: attacca per fare del male, per difendersi, e per non mostrarsi debole. Siria, invece, ha perso un pò il controllo su una parte di sè che è molto oscura, e alquanto pericolosa.

Avanti, chi non ha riconosciuto la guest star dell'ultimo pezzetto del capitolo? xD

 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 12/07/10, ore 12:14 - Capitolo 16: Seize The Day.
So già che il capitolo ti piace, sebbene tu non lo abbia letto tutto intero: ora esigo e pretendo le tue opinioni zizi *annuisce convinta, strapazzando ancora un pochetto Peter, che non fa mai male*
<3
 KissyKikka [Contatta] Segnala violazione
 11/07/10, ore 11:50 - Capitolo 16: Seize The Day.
Nooooooo preoccupe!!! Immaginavo avessi da fare con l'esame, com'è andata? Spero bene :)
Tranzolla, tanto di tempo ne hai, non ti corre dietro nessuno e la storia è sempre qua ^_______^
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 10/07/10, ore 15:10 - Capitolo 16: Seize The Day.
Ehilà!
Allora, ecco qua quel che avevo inteso, quando avevo parlato di Peter e Siria come due tizi che si scornano a vicenda: che te n'è parso? Il capitolo è più lungo del solito, spero non sia un problema ^^"
Ora esigo di vedere Peter e Caspian in perizomino nella marmellata °ç° è una visione alquanto piacevole xD
le canzoni degli Avenged  sono tutte meravigliose, Nightmare (che ho citato prima) è il singolo del nuovo CD, che comprerò nientemeno che...a Londra *-* anche la canzone di questo capitolo è loro, sempre del nuovo CD :) che ne pensi?
Un bacione a tutta la famiglia, poi ci sentiamo su feisbuc ^^

Love you all, B <3

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Capitolo 18
*** Dear God. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Dear .God - Avenged Sevenfold

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-Se n'è andata?-

Tallie scosse la testa, sfiorando con la punta delle dita i riccioli biondi sparsi sul proprio ventre. La stanza, intorno a lei, era illuminata da un fuocherello allegro che rischiarava la penombra della notte, nella camera piuttosto spartana che i narniani avevano concesso a lei e a Caleb.

Un letto, un tavolo, una cassettiera intagliata nel legno: lì finiva l’arredamento, ma era meglio, sicuramente molto meglio rispetto alla nuda terra della foresta.

-No. Se ne sta sugli alberi, non vuole parlare, né scendere.- mormorò, arricciando appena le labbra, i capelli scuri lasciati per una volta sciolti intorno al viso.

Incorniciavano quel visetto abbronzato in un modo particolare, secondo Caleb. Scendevano in morbide ciocche corvine lungo gli zigomi, sfiorando le guance levigate e dividendosi sulla destra, la frangia che continuava a sfuggirle da dietro le orecchie.

Caleb sorrise, alzando con delicatezza una mano e lasciando che le dita s'immergessero in quei sottili fili del colore dell'inchiostro, raccogliendoli lentamente dietro l'orecchio piccino, minuto. Lo sfiorò con appena i polpastrelli, sentendo la linea morbida e delicata dell'orecchio scivolare morbida sotto il suo tocco, gli occhioni scuri di Talia che si socchiudevano piano.

-Prima o poi scenderà, si stuferà di fare l'eremita.- mormorò, il palmo che si riempiva della guancia di lei, la voce serena ed allegra che scendeva come un balsamo a riscaldare il cuore dell'elfa, scorrendo lenta e delicata fino al suo cuore.

-Riesci sempre a sdrammatizzare tutto, vero?- gli chiese lei, le iridi corvine che si posavano con dolce ironia in quelle celesti del ragazzo, la testa bionda e riccioluta posata sul suo grembo.

-E' quello che mi riesce meglio.- annuì convinto lui, arruffandole giocosamente i capelli. Non avrebbe dovuto farlo: Talia brontolò un versaccio indefinito, scacciandolo via e tentando di tirargli senza molta convinzione un pugno, schioccando la lingua per la stizza.

-Mi spieghi perché io sto ancora qua ad accudirti? Sei guarito, stai solo scroccando coccole!- mugugnò, nervosa, rivolgendogli un'occhiata di fuoco: i capelli non doveva toccarli, non doveva assolutamente toccarli. Gli avrebbe tagliato le mani, se lo avesse rifatto. Poco ma sicuro.

Ma Caleb rise, incosciente del pericolo che correva, le limpide iridi chiarissime che la guardavano con tenerezza, dolcissime e carogne. Perché non poteva guardarla così, non era leale. Non poteva scatenare quel gorgoglio nel suo stomaco, con quello sguardo da cucciolo alto due metri e bisognoso di affetto. No.

-Perché mi ami.- le disse, semplicemente, con un sorriso allegro disteso sulle labbra rosee.

-Non cominciare mica a usarla come scusa, eh.- replicò lei, pronta, sventolandogli minacciosamente un dito davanti al volto, le guance che avvampavano e le mani che salivano nervosamente a sistemarle i capelli.

E la risata del biondo risuonò ancora, scatenando una reazione terribilmente dolce nel suo corpo, il sorriso che, nonostante tutto, saliva ad illuminarle il visetto abbronzato.

-Ti amo.- le sussurrò, teneramente, alzandosi appena sui gomiti per accostare il viso a quello di lei, il sorriso appena bastardo una lieve ombra sulle labbra. E prima che la giovane potesse ribattere, le sue labbra avevano già catturato quella bocca calda e vivace, intrappolandola in un bacio giocoso in cui si ritrovarono a rincorrersi, a cercarsi, le manine piccine e delicate dell'elfa che andavano ad intrecciarsi con quei riccioli dorati.

-Non vale.- Talia si separò giusto un istante, la voce morbida e roca, il respiro che si mischiava suadente a quello del biondo, la pelle tonica e calda che scivolava sotto i polpastrelli.

-Sì che vale.- e Caleb la baciò di nuovo, lasciando che le loro labbra si perdessero nuovamente, le lingue che intrecciavano un ballo tutto loro; una danza dolce e frenetica che lasciò naufragare i loro pensieri in un mare di respiri spezzati, di carezze che scendevano lungo gole morbide, di capelli che s'intrecciavano alle dita.

Era difficile, crederci.

Era difficile accettare l'idea di essersi desiderati tanto, per così tanto tempo; e non essersi mai rivelati l'uno all'altro, sprecando anni che avrebbero potuto passare insieme – insieme, e non come compagni d'armi.

Era difficile, capire che quell'amore che tanto gli sembrava lontano ed irraggiungibile, adesso era lì, fra le loro dita.

Era così facile, essere sé stessi.

Non erano cambiati, il loro atteggiamento non era mutato: ma era cambiato il modo di guardarsi, la dolcezza con cui le braccia cingevano l'altro, il sapore di quei baci tanto a lungo sognati – ed erano meglio, mille volte meglio di quei desideri confusi, celati, soffocati dalla paura.

Era così facile, perdersi nell'altro, come se non avessero mai fatto altro che appartenersi.

Era talmente bello, sapere di amarsi e non avere paura di rivelarlo, di gridarlo anche al mondo intero. Lì, in quella stanzetta un poco angusta e frugale nella cripta di Aslan, c'erano soltanto loro: solamente quei due ragazzi che tanto a lungo si erano tacitamente amati, frenati dal terrore di perdersi per sempre.

Ed i loro sapori si mischiavano l’uno all’altro, mentre il bacio si faceva languido, intenso. Tanto intenso che Talia avvertì le orecchie appuntite fremere, un brivido scendere lungo la nuca: tanto intenso, che quando Caleb si alzò da dov’era disteso lei quasi non se ne accorse, finché le mani calde del biondo non si strinsero sulle sue spalle, dolcemente.

Si sentì avvolta, protetta. Le mani di Caleb erano grandi, forti, sicure: erano mani di un guerriero, ma allo stesso tempo erano morbide e soffici come del più esperto amante. Lei, così piccina al suo confronto, sembrava sparire in quei palmi, racchiusa delicatamente, come se fosse una bambola.

Assaporava le sue labbra senza riuscire a stancarsene, a fermarsi. I baci di Caleb erano intensi, di una lentezza che scendeva come miele bollente fra le sue labbra, e via giù; nella gola, nel ventre, fino ad irradiarsi in ogni millimetro del suo corpo.

Lui, soltanto con i suoi baci, riusciva a riempirla.

Lui, e lui soltanto, poteva farla sentire completa.

E lo avvertì sorridere, quando riemerse dal dolce stordimento che quelle labbra soffici le causavano: lo avvertì sorridere, quando le sue dita esili, piccine, s’immersero fra i suoi riccioli biondi, ed il suo corpo snello si posò contro al suo.

Trattenne il respiro, Caleb.

Per un istante, il fiato nei polmoni aveva deciso di bloccarsi: irrigidirsi, immobilizzarsi, quando la consapevolezza del corpo di Talia fra le braccia raggiunse ogni sinapsi della sua mente, stordendolo con la violenza di una mazzata.

Non era la prima volta, certo, che la stringeva contro di sé. Non era la prima volta che sentiva quel corpicino magro e minuto adagiarsi contro il suo petto, minuscola al suo confronto, calda e snella come una fata.

Ma stavolta aveva un significato diverso, quella vicinanza.

Stavolta non era un abbraccio, una stretta giocosa, amichevole.

Stavolta, sentiva quei seni piccoli e sodi adagiarsi contro il proprio torace, premervi, trovare l’incavo perfetto dei suoi muscoli in cui andare a modellarsi. Sentiva le gambe nude ed abbronzate sfiorare le proprie, accostandosi a lui con una scioltezza inconscia, dettata dal trasporto dei loro baci.

Sedeva, Caleb, la schiena addossata alla parete di pietra, le gambe distese sul letto: ed improvvisamente si rendeva conto della vicinanza pericolosa che lo stringeva a Talia, le sue mani traditrici che scendevano a tirarla morbidamente contro di sé, il sapore di lei che lo stordiva, che annebbiava i suoi sensi.

Si ritrovò fra le sue braccia, contro al suo petto, le gambe snelle che sfioravano le sue. Si ritrovò a respirare irregolarmente, Talia, fra un bacio e l’altro, le labbra morbide di Caleb una droga di cui non riusciva a fare a meno. Non si separavano se non per pochi attimi, appena il tempo di immettere aria, prima che le loro bocche tornassero a pretendere quel contatto.

Quel contatto che troppo a lungo avevano negato, e che adesso si era fatto dannatamente indispensabile.

E c’era un’urgenza, nei loro gesti, che tradiva la paura.

La guerra incombeva, ormai: in pochi giorni si erano ritrovati nel bel mezzo di uno scontro che avrebbe portato solamente a sangue, a morti, ad altro dolore.

Avevano comprato la loro salvezza di comune accordo, ma al prezzo più alto: avrebbero rischiato di morire, per una stupida crociata di un tiranno contro della povera gente indifesa.

E loro potevano non avere più tempo, per provare quella gioia.

Poteva essere la prima e l’ultima volta che si stringevano l’uno all’altra, mentre le mani esitanti ma bramose di Caleb sfioravano quelle cosce scoperte, bronzee e soffici: irresistibili.

Poteva essere l’ultima volta: un traguardo ingiusto, per due anime che troppo a lungo si erano amate in silenzio.

Eppure, aveva paura di toccarla.

Aveva paura di lasciarsi andare, di dare sfogo al desiderio insopprimibile che per anni aveva costretto in un angolo della mente, reprimendo le reazioni sempre più pressanti del proprio corpo.

Ma era così difficile…il suo autocontrollo stava svanendo, e quelle manine eleganti sulle spalle, sulle braccia, sul petto, certo non aiutavano.

E Talia non voleva riprendere ragione di sé, non voleva fermarsi; non era un pensiero accettabile, non era qualcosa che riusciva a comprendere, in quella foschia densa d’amore che aveva stordito i suoi pensieri.

L’unica cosa che le interessava, ora, era non tornare alla realtà.

L’unica cosa che desiderava era annegare in quelle sensazioni che palpitavano sottopelle, dove le dita di Caleb premevano tasti del tutto nuovi, accendendo brividi e carezze mai provate.

L’unica cosa che le sembrava di aver sempre desiderato, era lui.

In quel momento, in quella stanza, in quella notte.

Tutto ciò che il suo cuore palpitante bramava era Caleb, il sapore di quella bocca che non le bastava più. Voleva sentire quello della sua pelle, voleva appartenere a lui, voleva che la sottile linea di confine fra i loro corpi si confondesse fino a svanire, nelle fiamme di quel fuoco che scoppiettava a qualche metro da loro.

Lo sentiva palpitare nelle vene, nelle arterie che vibravano appena sotto la pelle così anomala, così scura, per una mezz’elfa.

Fare l’amore con lui.

Ecco, l’unico pensiero concreto dentro di lei.

Fare l’amore con lui.

Perdersi, e ritrovarsi, in quel perfetto miscuglio di labbra e sapori, di lingue e mani che accarezzavano, esitando sull’orlo del desiderio.

La ragione non c’era più; la razionalità che le stava tanto cara, la freddezza con cui per troppo tempo aveva cinicamente guardato il mondo, scomparsa.

C’era solo lui.

C’erano soltanto quei soffici riccioli fra le dita, quel corpo muscoloso che l’accoglieva contro di sé.

Le loro bocche affamate si separarono per qualche istante, le proteste che risuonavano feroci nei loro cuori. Gli occhi si schiusero appena, adombrati dal desiderio, i respiri caldi ed affannati si mischiarono in un fiato soltanto.

Erano ad un soffio, i loro volti.

Poco più di qualche millimetro, le iridi annegate negli occhi dell’altro.

Sentiva di potersi perdere, in quel mare azzurro.

Talia lo seppe in quello stesso istante: niente, mai, avrebbe potuto eguagliare la dolcezza e l’amore che vibravano adesso in quei due oceani celesti, in quelle iridi chiarissime che la guardavano così.

Così, come se finalmente non fosse stata un qualcosa a metà.

Così, come se alla fine avesse scoperto ciò che poteva renderla completa.

Così, amata.

Restarono così, per una volta nessuna parola che spezzava il silenzio carico degli scoppiettii delle fiamme. Restarono così, bevendo il respiro dell’altro, assaporandolo, drogandosene fino a non riuscire più a distinguerne la differenza dal proprio.

Rimasero a guardarsi per un tempo che parve dilatarsi, sembrare immenso fra i loro sguardi.

Posso amarti?

Perché il terrore più grande era fare qualcosa che avrebbe potuto ferirla, spezzare quel corpo tanto minuto, eppure tanto bruciante.

Amami.

Perché ciò che desiderava adesso, era solamente lui. Soltanto, solamente, il suo amore.

Erano così calde, quelle iridi scure. Di una tonalità appena più scura del nocciola, ma più chiara del bruno: non avrebbe saputo dare un nome a quel colore, Caleb.

Ma avrebbe saputo dire quello che aveva riempito quei pozzi color cioccolato. Lo sapeva con estrema chiarezza, come se quelle emozioni fossero state sempre scritte lì, in attesa dell’unico che avrebbe mai potuto leggerle. Lui.

E non riuscì a resistere, a quel barlume di sorriso che apparve in quegli occhi colmi d’amore.

Non riuscì a resistere, quando Talia, Talia, gli sorrise con spigliata dolcezza, un pizzico di dolce irridenza in quelle scintille danzanti che le fiamme illuminavano dentro di lei.

E prima di rendersene conto, le sue labbra avevano di nuovo catturato le sue. Le avevano intrappolate in un bacio forte, tremendamente forte: un bacio che le diede la scossa, che repentinamente la spinse a ricambiare con pari impeto, sorpresa lei stessa di ciò che aveva potuto causare in lui.

E le dita forti di Caleb non si trattennero più, scendendo su di lei.

Le sentì tremare del suo stesso brivido, Talia, quando accarezzò per la prima volta la clavicola esposta, evidente, che la pelle delineava alla perfezione.

Indugiarono per un istante, quelle dita.

Indugiarono per sfiorare con timida dolcezza quella linea marcata, seguendola con curiosità fino al punto in cui s’immergeva nella tunica bruna, sparendo al loro tocco.

E un fremito più forte attraversò la ragazza, quando curiose inseguirono quella linea, scostando con delicatezza la stoffa dalla sua pelle.

La sentì scivolare via, via da lei: un velo inutile che la separava da Caleb, gli occhi chiusi che tremavano sotto le palpebre, il viso bruciante, infiammato. E quelle labbra soffici, troppo soffici e troppo sensuali portavano dolce oblio fra i suoi pensieri, abbandonando la sua bocca per esplorare la sua gola, esposta – vulnerabile – da un lieve ciondolio del suo capino.

Avvertì il fiato caldo di Caleb sfiorarle la spalla, quando la veste fu scostata di lato, la pelle completamente esposta. Non si sentì in imbarazzo, quando avvertì anche ad occhi chiusi le sue iridi scendere ad accarezzarla, a imprimersi ogni dettaglio di lei.

Lei, che da sempre si era considerata uno scherzo della natura, ora sapeva di non poter essere altro che perfetta. Per lui.

Nemmeno si accorse, del movimento delle proprie mani.

Nemmeno si accorse di aver stretto fra le dita i lacci della veste di Caleb, con una forza tale da riuscire a spezzarli.

Nemmeno li vide, i pezzetti di pelle scura cadere inutili sulle lenzuola pulite. Non vi diede la minima importanza, perché sotto i polpastrelli fini, delicati, sentiva formicolare una sensazione del tutto nuova.

Sentiva scivolare calda e tonica la pelle di Caleb, morbida ed invitante come non avrebbe mai potuto immaginarla.

La sua mente riuscì a registrare soltanto quella sensazione, nei propri gesti. Nient’altro, solo quel contatto: le sue mani, che sembravano sparire sul suo petto come petali di giglio su d’uno specchio d’acqua, che lentamente accarezzavano e scoprivano quel torace muscoloso.

Lo avvertì rabbrividire, nello stesso istante in cui qualcosa s’incendiò sulla sua spalla.

Nel medesimo attimo, il tocco di Talia s’insinuò fra la casacca e la pelle bollente del biondo, mentre le labbra di Caleb si posavano per la prima volta su quella spalla bronzea, delicata, dalla linea morbida come un dolce pendio.

Era troppo.

Era un sogno, non c’era altra spiegazione.

Presto si sarebbero svegliati, presto si sarebbero guardati intorno e tutto sarebbe scomparso, svanito nell’evanescente nebbia di quei desideri mai svelati, di quell’amore da sempre nascosto.

Eppure, era così vero…

Era così dannatamente reale sentire l’umida morbidezza di quella bocca sulla spalla, quella scia di baci sempre più bollenti discendere nuovamente la clavicola, la tunica semplice che indossava che scivolava via, inutile.

Era così maledettamente vero, il petto che sentiva scorrere sotto le sue mani, i solchi profondi dei muscoli, i brividi che nascevano dalle sue dita per riempire quel torace statuario di pelle d’oca, di desiderio.

Non era, non era un sogno.

Era Caleb.

Caleb, che sfilava con delicatezza la tunica dal suo corpo.

Caleb, il viso immerso nella sua gola, le labbra che sommergevano di baci la sua pelle fremente, sensibile, le mani forti che la stringevano sotto di sé.

Caleb, che si separò da lei soltanto per lasciare che la propria maglia fosse sfilata via, lampi sanguigni che coloravano di scarlatto quella pelle chiara, affondando nei solchi profondi del suo torace.

Fremette, Talia, brividi bollenti che scendevano lungo la sua spina dorsale.

Mai…mai si era resa conto realmente del corpo di Caleb, della perfezione di ogni singolo muscolo, di ogni scanalatura degli addominali scolpiti. Ignara, curiosa, impaziente, lasciò scivolare le dita lungo il suo petto: dalle labbra, alla gola, sentendolo fremere e vedendolo chiudere gli occhi.

Dalla gola, al petto, avvertendo un mugolio fra le sue labbra. Piccoli disegni, arabeschi accennati, timidi, innamorati.

Dal petto, agli addominali. Quegli addominali che si contrassero al passaggio delle sue dita sottili, come se scottassero, come se fossero carbonelle ardenti che disegnavano un marchio su di lui.

Era così bello

Si sorprese lei stessa di quel pensiero, gli occhi che tornavano ad alzarsi su quel viso, trasalendo nel ritrovarsi in due morbide ed infuocate iridi celesti.

Caleb.

La guardava, e soltanto adesso si rendeva conto di essere quasi nuda, in braccio a lui, le gambe allacciate al suo ventre, il cuore che batteva nell’incavo del suo petto.

Caleb.

Il suo volto era a poco più di un soffio dal proprio: poteva contare le minuscole lentiggini ambrate sul suo naso, vedere la lieve barba ruvida sulle guance chiare, sentire il respiro scivolare da quelle labbra rosee e perfette.

Poteva distinguere sé stessa, in quei due frammenti celesti inchiodati nei suoi occhi.

Caleb.

Caleb, che lasciò scivolare una mano sul suo visetto, dolcemente.

Stentava ancora a crederci, a convincersi di non sognare; ma Talia era lì, .

Bella, calda, perfetta sotto le sue mani come la creatura eterea che era, che lui aveva sempre potuto scorgere solo da lontano.

Era lì, con lui.

Era lì.

E sorrise appena, rabbrividendo quando il suo sguardo scorse il corpo nudo della ragazza; il ventre piatto, l’ombelico rotondo e perfetto in quel pancino morbido in cui affondare.

I fianchi, snelli, lisci sotto le sue mani, sotto le sue dita, perfetti come un’opera d’arte.

E i seni – cielo… –, quei seni sodi e snelli, quei seni che parevano soltanto aspettarlo, chiamarlo in quella sconosciuta lingua che lo attirava a lei.

La guardò. La guardò per un tempo infinito, imprimendosi ogni più piccolo dettaglio di quel corpo tanto meraviglioso, tanto perfetto – per lui, quel corpo che era già suo, che Talia desiderava di donare a lui.

E seppe di essere l’uomo più fortunato del mondo, per meritare di essere lì con lei, di essere la sua scelta – la scelta, del suo cuore.

E poi, con dolcezza, la baciò.

Posò con delicatezza le labbra sulle sue: un bacio tenero, dolce, un bacio che accarezzò l’anima della mezz’elfa senza nemmeno sforzarsi. Era lì, il suo spirito, il suo amore: moriva su quelle labbra, nella bocca morbida e calda di Caleb.

E vincendo il timore, l’esitazione – ascoltando, ancora una volta, il desiderio, Caleb posò le mani sulla sua vita esile, continuando a baciarla mentre con tutta la dolcezza di cui era capace la posava fra le lenzuola appena stropicciate, il torace muscoloso che delicatamente si premeva su quello di lei.

Trattenne il respiro, Talia, beatamente confusa nella dolcezza di quel bacio.

Lo sentiva sopra di sé, sentiva il suo corpo tonico e statuario premere sul proprio.

Sentiva gli addominali scolpiti premersi sul suo ventre, il torace andare a stringersi al suo seno; trovando quel gioco, quell’incastro perfetto che lasciò combaciare i loro corpi, le gambe toniche dell’elfa che s’intrecciavano alle sue.

Lasciò scorrere dolcemente le braccia muscolose sulla schiena nuda di Talia, Caleb, stringendola contro al proprio petto, sorprendendosi ancora una volta di quanto sembrasse minuta al suo confronto.

Era così piccola…

Come avrebbe fatto a non romperla, se solo l'avesse toccata appena un poco di più? Se solo le sue carezze si fossero fatte più audaci, se solo il suo desiderio avesse distrutto le briglie in cui lo tratteneva?

Accostò con delicatezza il volto ai profumati capelli della mezz'elfa, premendo le labbra fra quei crini scuri e soffici. Socchiuse appena gli occhi, godendosi la sensazione di quel corpo flessuoso premuto sul suo: i seni abbronzati si adattavano al suo petto, sembravano fatti apposta per combaciare con i solchi del suo torace, con le mani ampie che vi si racchiudevano con morbidezza.

Era così bella…

Talia era stata il suo sogno per anni...per anni, l'aveva guardata da lontano, terrorizzato alla sola idea di rivelarsi e perderla, e sentire il cuore andare in frantumi al suo rifiuto.

Per anni, si era limitato a sognare quella pelle che ora scorreva morbida sotto i suoi polpastrelli.

Per anni, aveva immaginato il sapore di quelle labbra, l'aspetto delicato e tonico di quel corpo piccolo e scattante.

-Caleb...- per anni, aveva sognato quella morbida voce chiamarlo in quel modo, quel visetto affilato eppure terribilmente dolce abbandonato nel piacere, quelle labbra ora gonfie di baci – dei suoi, baci.

Gli occhi castani si schiusero, rivelando una luce del tutto nuova, una luce diversa: la luce che le sue carezze accendevano in lei, che ardeva nel suo cuore oramai lasciato a briglia sciolta, nel sorriso che non voleva saperne di abbandonare le sue labbra.

Era lì.

Era lì, con lui.

Tutto ciò che aveva sognato, sperato, desiderato di più negli ultimi cinque anni, adesso era dinanzi a lei. Era quell'abbraccio in cui era stretta, quel petto che copriva il suo corpo mezzo nudo, quelle labbra che vagavano con delicata morbidezza sulla sua pelle.

Era lì.

E tutto il resto, davvero adesso non importava.

-...non mi rompo, sai?- sussurrò, un sorrisetto ironico disegnato su quelle labbra che lui amava, quel sorriso irresistibilmente Talia, quel sorriso talmente suo che Caleb non poté far altro che sentire il cuore accelerare bruscamente, innamorato.

E quelle iridi calde gli davano quel tacito permesso che aveva il terrore d'infrangere; il permesso di amarla, il permesso di accarezzarla, di essere suo e di renderla sua allo stesso tempo.

Quelle iridi nere, gli sussurravano la sicurezza che non si sarebbero mai più cercati; ma, solamente, trovati.

E Caleb semplicemente la guardò per qualche istante, gli occhi celesti pieni di un amore e di una felicità terribilmente limpide, chiare, cristalline come il cielo. La guardò, prima che il desiderio si facesse troppo forte, la guardò come soltanto lei poteva guardare, l'unica donna che avrebbe mai potuto amare nella sua vita.

Il bacio che seguì, fu qualcosa di completamente diverso.

Fu irruente, fu bramoso, fu un sussulto di gioia e di sorpresa nel corpo esile di lei. Ma sorrise, Talia, riconoscendolo anche in quel gesto, le braccia che si allacciavano alle spalle di Caleb mentre il suo intimo scivolava via, lasciandola per la prima volta nuda dinanzi ad un uomo.

Al suo, uomo.

All’unico che avrebbe mai desiderato, in tutta la sua lunghissima vita.

A Caleb.

E imbarazzo, lei non lo provò.

Non provò l’istinto di coprirsi, non provò disagio, quando lo sguardo dolce e caldo di Caleb ammirò delicatamente la sua nudità, il suo essere donna, trepidante donna in attesa di amare.

Avvertì solamente un sorriso germogliare sulle sue labbra, raro fiore mai colto che sbocciava – rosso, rosso come il sangue, quando i loro corpi diventarono uno soltanto.

La prima sensazione, fu dolore.

Un dolore lontano ed estraneo che pareva non appartenerle, sordo a quell’unica lacrima che scese lungo la sua guancia.

Fu la sofferenza di un giglio appena colto, macchiato dal sanguigno di un sole morente.

Non avrebbe voluto, avrebbe dovuto controllarsi: ma non riuscì ad impedire al proprio corpo d’irrigidirsi, alle unghie di serrarsi sulle spalle del biondo, le labbra strette e gli occhi strenuamente chiusi.

Si detestò, in quell’istante.

Perché lei aveva amato un uomo soltanto, e quell’uomo era sempre stato lui: e mai aveva permesso a qualcun altro di avvicinarla, il cuore che si dibatteva furioso dentro di lei ricordandole incessantemente a chi avesse deciso di appartenere.

Si detestò, perché la sua inesperienza rischiava di rovinare tutto quanto, di spezzare quegli istanti meravigliosi che l’avevano portata ad essere sua.

Sua.

Soltanto quando quella parola echeggiò nella sua mente, si accorse che Caleb non si era più mosso.

Schiuse gli occhi, sentendoli lucidi, appannati, cercandolo – un terrore, in fondo al cuore. La paura di averlo deluso, di aver distrutto quelle ore, giorni, anni, che avevano passato fino a quel momento là, in quella stanzetta oscura della Cripta di Aslan.

Ma non trovò delusione, nelle iridi di zaffiro che amava.

Nemmeno la più minuscola traccia.

Sorpresa.

Caleb si puntellò appena sui palmi delle mani, terrorizzato all’idea di pesarle troppo addosso, di farle del male.

…e gioia.

In quelle iridi calde, del colore del cioccolato, Caleb vide confusione. Vide paura, vide imbarazzo – per la prima volta, quella notte –, vide vergogna…ma avvertì il cuore palpitare, quando si rese conto che Talia…che Tallie non…

Sorrise, un sorriso immenso pieno di tutta la gioia che provava in quell’istante, quando comprese che Talia, nei suoi tantissimi anni di vita, aveva sempre aspettato lui.

E sapeva come rassicurarla, come farle capire che quell’inesperienza era per lui il dono più bello, più prezioso, che lei avrebbe mai potuto fargli: era la sua purezza, il suo candore, che adesso gli donava senza remore né riserve, nuda e libera nel suo abbraccio. Nel suo posto.

-Ti amo.-

E quelle due parole scesero come un balsamo sulle labbra di Talia, quando un nuovo bacio le coinvolse in una danza del tutto nuova, del tutto diversa.

Scesero come caldo miele lungo il suo corpo, mentre le lingue ballavano intorno a quelle fiamme morenti che illuminavano i loro corpi nudi, la schiena marmorea di Caleb che la nascondeva, avvolgendola.

Scesero, a sciogliere quel nodo di paura e vergogna che attanagliava i suoi muscoli, lasciando dietro di sé soltanto il più puro dei piaceri.

E finalmente trovò il coraggio di rispondere davvero a quel bacio, immergendo le dita sottili di una mano fra i riccioli arruffati di Caleb.

Finalmente, trovò in quel cuore nudo, nudo quanto loro, l’amore che la spinse a stringersi di più a lui, il ventre che si muoveva per cercarlo – sorridendo, beata, quando il calore di quell’unione si irradiò in tutto il suo corpo, riempiendola.

E poi fu un rincorrersi di baci, e di carezze.

E di dolci spinte.

Furono occhi che si specchiavano, furono iridi brucianti di desiderio ad amarsi in uno sguardo.

E di passione che bruciava, lenta e languida.

Furono sorrisi e morsi, furono unghie che graffiavano, mani che si chiudevano sui seni, il piacere che bruciava – forte, sempre più forte.

E amore, annegato nell’oceano del piacere più immenso.

Due corpi che si confondevano, che si mischiavano.

E le anime scambiate, e i cuori confusi l’un l’altro.

E poi fu un nuovo bacio a sciogliersi, ad irrompere nel sangue con la prepotenza di un terremoto.

Fu quel nuovo bacio, a suggellare per sempre la loro unione.

E, finalmente, fu amore.

 .

 .

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-Sono una frana.-

Una risata. La sua, risata.

-Non è vero. Sei perfetta.-

Talia arrossì furiosamente, appallottolandosi contro il petto di Caleb, imbarazzata. Non era abituata ai complimenti, non era abituata ad essere bella agli occhi di qualcuno.

Allora era così, l’amore.

Si sentiva una sciocca.

Per anni, aveva sognato quel momento. Per anni aveva immaginato quelle mani scivolare sulla sua schiena, accarezzandola soltanto con la punta delle dita, mandandola in estasi. Anni, passati a sognare qualcosa che era sempre stato lì, in punta di piedi, nel suo cuore.

Era…era la sensazione di esistere.

Lei, in quel momento, esisteva.

Si sentiva concreta, avvolta da quelle braccia forti, il viso abbandonato sul petto di Caleb: era vivo, vero, palpitante, il battito che avvertì sotto le labbra, quando baciò la pelle tonica che lo nascondeva ai suoi occhi.

Era con lui, con Caleb.

E questo, le dava la sensazione di essere completa.

-Sono una nana.- borbottò, accarezzando il ventre del ragazzo, avvertendo i muscoli del proprio corpo rilassarsi sotto i grattini di lui.

-Talia.- fu il tono serio della sua voce, a farle alzare lo sguardo, curiosa.

Dio, quant’era splendida.

C’era morbidezza, nei suoi tratti. C’era la dolce consapevolezza dell’amore, scritto in ognuno dei suoi lineamenti distesi e abbandonati nel calore che li avvolgeva completamente, distaccandoli dal mondo.

Era bella, era più bella che mai.

Era sua.

-Sei meravigliosa. Così come sei.- le sussurrò, accarezzando quegli spettinati crini corvini che le ricadevano intorno al volto, sentendoli segosi sotto le dita.

Ridacchiò, l’elfa, alzando il volto per posare un morbido bacio sulle sue labbra.

-Tu non sei imparziale.- mormorò, ridendo quando Caleb le impedì di allontanarsi, intrappolandola in una sfida di lingue, denti e labbra da cui lei non volle sottrarsi.

-Continuerò a non esserlo.-

Un sorriso, caldo e innamorato nel buio della notte.

-Potrei abituarmici.-

E vibrava amore, nelle corde di quelle parole senza senso, ma piene di quel sentimento che aveva concesso l’uno, all’altra.

Si accoccolò come un gatto contro al suo petto, Talia, tremando di gioia quando il battito forte e profondo del suo cuore rimbombò nei suoi polmoni, nella sua carne. Il torace di Cal premeva sulla sua schiena, avvertiva il suo volto sulla nuca, il respiro che le solleticava la pelle nuda.

Sorrise, quando le braccia di Caleb si strinsero intorno a lei, racchiudendola in un saldo abbraccio che l’accolse in tutto il suo calore, in tutta la sua sicurezza.

Per la prima volta, adorò sentirsi così piccola, al suo confronto.

Perché Caleb era la sua sicurezza, la sua roccia: lei, che da sempre si era ostinata a credere di bastare a se stessa, adesso avvertiva la netta sensazione che, senza di lui, tutto sarebbe andato distrutto.

In primis, il suo cuore.

Un lieve bacio si posò nell’incavo del suo collo, mentre due lievi parole scivolavano come miele lungo la sua gola, fin su, su fino all’orecchio.

-Ti amo.-

E sorrise ancora, Talia, intrecciando le braccia alle sue e posando appena le labbra sulla spalla su cui riposava, avvertendo il suo volto immergersi nei propri capelli.

Il fuoco oramai languiva, nel buio. La melodia dei loro respiri spezzati aveva lasciato spazio ad un morbido silenzio, saturo d’amore e di un petto muscoloso premuto sulla schiena, la sensazione di essere a casa che riempiva vivida la sua mente.

Avvertì il sorriso imprimersi sulle labbra, quando nell’ultimo barlume di fuoco abbandonò i sensi al sonno, al calore, alla dolcezza di quell’abbraccio…e all’amore, che ancora forte saturava ogni sua parte, riempiendola di lui.

Ti amo anch’io.

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My Space:

Ce l'ho fatta!!!!!

Ormai non ci speravo più di finirlo, questo capitolo ^^""""""""""""

Okay, cosa vi devo dire? Direi che si spiega ampiamente da solo, sono la bellezza di quindici pagine ^^"

A dirla tutta, mi è piaciuto scrivere questa scena. Ho paura di come possa essere uscita, non ne ho idea, ma mi è piaciuto davvero tanto tanto. Forse perché, come si sarà capito, è dedicato alla mia gem, la Donna della mia vita, la Luce delle mie giornate. La mia Kiks, in sostanza. Dire che la amo, penso sia proprio dire poco pochino. <3

Da bon, passando alle cose serie: il prossimo capitolo è già scritto, grazie alla Dea - anche se non l'ho scritto del tutto io, anzi: il mio è solo un piccolo pezzo, e noterete il cambio di tastiera dal cambio di scrittura. Siore e Siori, il prossimo capitolo è stato scritto nientepopodimenoché dalla Fla, circa un annetto fa (giorno più, giorno meno ^^").

Vi assicuro che ne vale la pena, eccome xD

Bon, ho finito: risponderò domani alle recensioni, ora vo a nanna, che sto crollando - ma quando mi prendono i raptus grafomani, c'è poco da fare ^^"

Love you all, B <3

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Capitolo 19
*** The Nymph Enchantment. ***


1 chap Narnia

Narnia's Rebirth

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Caspian sospirò, alzando pazientemente gli occhi nerissimi sulle folte fronde della quercia che lo sovrastava, intravedendo una macchia rossa nel verde carico delle foglie.

-Siria, sono due giorni che stai lì sopra, puoi scendere?- le chiese, non senza una punta di disperazione.

La vide scuotere vigorosamente la testa, le braccia che si stringevano maggiormente intorno alle ginocchia, i lunghi capelli rossi che l’avvolgevano in un bozzolo scarlatto.

Non poteva scendere.

Non poteva, non poteva mettere a rischio tutti quanti.

Si strinse maggiormente su se stessa, accoccolandosi contro quell’albero che le aveva fatto da casa, negli ultimi due giorni.

Non poteva rischiare di perdere di nuovo il controllo…

Aveva sentito la sua voce, dopo quello scontro con il biondo.

L’aveva sentita, viva e terribile dentro di lei, come un mostro in attesa di dilaniare le sue carni per uscire, per distruggere tutto quello che stava faticosamente costruendo.

Era lì.

Il suo incubo più grande, il suo terrore, si era affacciato pericolosamente alla soglia della realtà.

Per questo, non poteva scendere.

Doveva reprimere quella bestia dentro di sé, prima che le sfuggisse di nuovo, prima che potesse ferire qualcuno.

Prima che potesse fare del male a Caspian

-Aspetta, ci penso io.- avvertì la voce allegra di Talia intromettersi inaspettatamente in quel dialogo univoco.

Aveva una voce strana, Talia…

Suo malgrado, Siria si sporse per osservarla, curiosa.

Sorrideva, Tallie; sorrideva di un sorriso che non le aveva mai visto, sorrideva di un sorriso che le sembrava di conoscere…

Perché era lo stesso sorriso che lei stessa faceva, fra le braccia di Caspian.

-Sir, Caleb ed io abbiamo fatto sesso!-

-CHEEE!?-

Caspian udì chiaramente un violento tramestio di foglie, seguito da un’imprecazione piuttosto colorita che riuscì a strappargli un sorriso. E poi la vide sussultare violentemente, perdere la presa sul ramo e scivolare dal suo trespolo solitario.

Sorrise, quando senza nemmeno volerlo Siria gli piombò fra le braccia, aggrappandosi istintivamente alle sue spalle, i capelli tutti arruffati davanti al viso.

-Presa al volo.- ridacchiò, sentendo il respiro tornare a fluire intensamente nei polmoni, il cuore accelerare quando il visetto timido e imbarazzato di Siria fece capolino da quei crini scarlatti.

Sparita.

Arrossì ancor più furiosamente, Siria, quando si ritrovò fra le braccia del suo principe.

Sparita.

Era completamente sparita, quella sensazione.

Tutto quell’odio, quella rabbia, quel rancore…era tutto scomparso, nello stesso istante in cui Caspian l’aveva presa fra le braccia.

Scomparsa.

Sorrise, imbarazzata, scostando con le lunghe dita chiare i capelli arruffati dal viso. Caspian la guardava, ridacchiando – senza prenderla in giro, semplicemente sollevato dal poterla stringere di nuovo, dal riaverla fra le braccia. La guardava, e lei diventava rossa. Anche troppo.

Possibile che quegli occhioni le facessero sempre quell’effetto!?

-Visto? Bastava solo un giusto incentivo.- fu l’esilarato e pungente commento di Talia, a riportarle alla mente un dettaglio importante; decisamente, importante. Fondamentale.

Caspian si lasciò sfuggire una risata, quando vide le iridi blu della sua compagna assottigliarsi come quelle di un rapace, in direzione di una Talia improvvisamente molto meno euforica.

La posò con delicatezza a terra, incrociando un attimo dopo le braccia sul petto, ben conscio di quello che stava per succedere.

Ed infatti, dopo un attimo di immobilità, Siria si fiondò addosso all’amica ad una velocità assurda, bloccandola prima che potesse sparire – senza averle raccontato ogni minimo particolare di quel che era successo, soprattutto.

-Tu. Adesso. PARLA!-

 .

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Quella giornata pareva tranquilla, dopotutto.

Peter si era ritirato, con alcuni soldati, in una radura poco distante dalla cripta; la scusa ufficiale era che voleva organizzare un gruppo scelto di combattenti esperti, in caso di guerriglia.

In realtà, non riusciva più a sostenere il peso delle occhiate severe di Shaylee.

La ninfa non gli aveva rivolto molto la parola, negli ultimi due giorni; si era limitata, ogniqualvolta il Re Supremo tentava un timido avvicinamento, a scoccargli sguardi infuocati capaci di farlo vergognare. A Shaylee non era per nulla piaciuto il litigio con Siria, sebbene fosse convinta che la colpa non fosse tutta del Re Supremo: erano stati due testoni, e come tali si erano scontrati, e scornati.

Lui, Peter il Magnifico, distrutto dagli occhi di una donna.

Quella sera li avrebbero raggiunti anche loro, Siria compresa. Controvoglia, Peter aveva chiesto anche della presenza sua e dei suoi compagni mercenari: nonostante nessuno dei due ne fosse particolarmente entusiasta, dovevano imparare a collaborare…o quantomeno, a sopportarsi quel tanto da non darsi addosso in continuazione.

Tentava di placare il nervosismo, Siria, mentre lucidava con accuratezza la propria spada: era un rituale che la calmava, quello di occuparsi delle sue armi. Aveva già preparato dei nuovi dardi per la faretra, intrecciando le piume scarlatte e annodandole, avendo cura di levigare il legno e pareggiare la lunghezza delle penne.

Seduta a gambe incrociate sull’erba, era totalmente assorbita dalla sua occupazione, per la prima volta da giorni davvero calma, pacificata.

Era bello, vederla finalmente più tranquilla.

Caspian sorrise lievemente, osservandola. Era così tenera, in quel momento, la lingua fra i denti e l’espressione decisa, le dita che, armate di cencio, strofinavano una macchia più ostinata delle altre sull’acciaio lucente di Kain.

Era uno dei rari momenti di vera quiete, quello: i soldati stavano mangiando, sparsi un po’ in tutto l’accampamento, Talia e Caleb erano scomparsi (non aveva intenzione di chiedere dove, Siria; perlomeno, non in quel momento), e lei e Caspian si erano appartati all’ombra di alcuni aceri, approfittando della pace per stare un po’ insieme.

Le bastava la presenza, del suo principe, per essere immensamente più tranquilla.

Caspian non pareva essersela presa. Non sembrava arrabbiato, con lei si comportava nello stesso modo che aveva sempre usato: dolce, protettivo, galante, il suo principe non sembrava covasse rancore per quei due giorni di solitudine.

-Non sei arrabbiato, vero?- la voce di Siria fremette appena, quando gli occhioni blu si alzarono indecisi sul volto sereno del ragazzo. Caspian era disteso al suo fianco, le palpebre socchiuse e le iridi nere immobili su di lei; pareva non stancarsi mai, di guardarla…arrossì, la raminga, quando le dita sottili del principe le sfiorarono delicatamente una guancia.

-Dovrei?- le chiese, serenamente, la voce un balsamo per il cuore pauroso della sua compagna.

La sua compagna.

Era così tremendamente meraviglioso, sentire proprie quelle parole…

Aveva rischiato di mandare in pezzi tutto quanto, dopo la terribile lite fra la sua ragazza e Peter. Aveva seriamente rischiato di finire il lavoro che Siria aveva iniziato, e certo non si sarebbe limitato ad un graffietto sulla guancia.

Era stato solo grazie a Talia ed Aaron, se il principe Caspian aveva evitato di lasciarci prematuramente le penne. Di nuovo.

-Non lo so.- fu la risposta timida e angosciata della rossa, le mani affusolate che posavano la spada. Si accoccolò accanto a lui, posando la testa sulla sua spalla, chiudendo gli occhi quando le dita del suo principe s’immersero in quel mare scarlatto, mandandola in estasi.

-Ehi. Non sei l'unica a voler stare da sola, quando ti fanno del male.- le dita della raminga si strinsero appena sul petto di Caspian; ma immediatamente, la mano del ragazzo le racchiuse in una stretta salda, sicura, una stretta che riuscì a riempirla, a farla sentire di nuovo se stessa.

-Mi dispiace.- mormorò, schiudendo timidamente gli occhi ed alzandoli verso il volto del principe.

Ma Caspian sorrise, accarezzandole il volto e riempiendosi il palmo di quella guancia soffice, candida, alzando appena il volto e posandovi un lieve bacio a fior di labbra.

-Non c'è problema. La prossima volta, però, stiamo da soli insieme.-

 .

 .

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The Nymph Enchantment

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I soldati erano inquieti.

Lì, in quella radura poco inoltrata nel bosco, non molto lontano dalla cripta che faceva da rifugio ai Narniani, una parte dell’esercito era appostata, mentre il resto sorvegliava la base. Tutti discutevano, litigavano, si sfogavano senza preoccuparsi di alzare la voce o meno, di produrre versacci udibili anche a miglia di distanza. Dopotutto, era notte inoltrata; nessuno sembrava riuscire a dormire, troppo frastuono, troppa confusione, troppo turbamento.

In primis, quelli che polemizzavano sopra a tutto e tutti erano il Re Supremo e il Principe.

Peter e Caspian, dopo l’assedio, non si davano pace; continuavano a darsi contro per ordini, decisioni, o semplici futilità; in tal modo, rischiavano seriamente di dividere l’esercito in due fazioni, senza pensare che, in una situazione simile, era la prima cosa da evitare: erano in pochi e molti anche feriti, se avessero spinto anche le milizie a scontrarsi tra loro..beh, Narnia sarebbe stata per sempre sotto il potere dei Telmarini; poco ma sicuro.

Quella che più ne risentiva era probabilmente la Naiade: legata alla natura più di chiunque altro, sentiva e percepiva l’inquietudine di ciò che li circondava.

Sbuffò, spazientita come poche volte, ai battibecchi dei due regnanti e in risposta alle risate di Siria e Talia, accompagnate da quelle della loro banda.

Sarebbe intervenuta lei a separarli, se non ci avessero pensato già Edmund e Susan, come lei esasperati dal loro atteggiamento alquanto infantile. Almeno, li avevano bloccati in tempo prima che estraessero le spade...

Non potevano continuare così. Tutta quell’agitazione non faceva bene a nessuno, soprattutto perché avrebbero dovuto prestare attenzione a ben altro, piuttosto che discutere; Shaylee, all'ennesima rispostaccia di uno dei due, sospirò ancora, spazientita.

Era ora di darci un taglio.

Silenziosamente, i passi felpati ed eleganti, s’inoltrò ancora di più in quel bosco che conosceva tanto bene, i suoni dell'accampamento che abbandonava sempre più attutiti, lontani.

Due occhi color del mare, però, la seguirono attenti, interrogativi.

 .

Peter guardò Caspian, lanciandogli l’ennesima occhiata omicida, alla quale il moro rispose senza remore. A volte sembravano due bambini alle prese con un giocattolo: testardi all’inverosimile, senza mai un accenno di arrendevolezza.

Susan alzò gli occhi al cielo, sedendosi sull’erba vicino ad Edmund, poco distanti dai mercenari, mentre Caspian vagava per l’accampamento improvvisato sicuramente diretto verso Siria. Peter, invece, guardava un punto indefinito tra gli alberi, gli occhi assenti, incantati; era immobile, attento e concentrato come un vero guerriero. La mano sinistra stringeva l’elsa della spada, il pollice poggiato sulla raffigurazione di Aslan...colui che in quel momento avrebbe dovuto essere al loro fianco, per salvare quella terra meravigliosa. E che non c’era.

Mille pensieri riempivano la testa del Re Supremo, quelli più urgenti rivolti alla figura eterea scomparsa tra le piante.

 .

Una melodia improvvisa riempì l’aria, facendolo sobbalzare.

Era dolce, sinuosa, morbida e avvolgente; arrivò istantaneamente alle orecchie delle creature presenti nella radura, chetandole all’istante.

Quei suoni, quelle note cullanti, calmarono gli animi dei combattenti, entrando nelle loro menti, riscaldando i loro cuori e tranquillizzandone gli spiriti.

Li investì come un fiume in piena, rendendo soavi e attutiti tutti i suoni circostanti, come se una soffice nube accerchiasse quel luogo e inebriasse i sensi.

Ad accompagnare la musica, un delicato profumo di ninfee, sfuggente, esaltante, si espanse in tutta la foresta, producendo un effetto ancora maggiore di quiete.

Siria e Talia alzarono entrambe lo sguardo, rapite.

Conoscevano quella musica, quelle sensazioni di pace così estranee ai loro animi perennemente all'erta; era l'effetto di una magia delicata, gentile. La magia della Naiade.

D'istinto, senza averlo premeditato, Siria cominciò a cantare.

La sua voce era qualcosa di unico: dolce e aggressiva, carezzevole e graffiante, come il miagolio soffuso di una gatta; penetrava senza difficoltà in tutti gli esseri, dando piacere all’udito e riposo alla mente.

Caspian alzò lo sguardo, sorpreso. Non si sarebbe mai aspettato di sentirla cantare così...dolcemente; sorrise, incontrando i suoi occhi sereni, tranquilli, che lo guardavano con quell'intensità che aveva imparato ad amare, dandogli la strana sensazione di essere il fortunato uomo a cui quel canto senza parole era dedicato.

A seguirla c’era la mezz’elfa, che con i suoi movimenti sinuosi, eleganti e travolgenti, si muoveva in una danza assolutamente ammaliante, capace di rapire gli occhi e scacciare i pensieri oscuri. Tutto ciò, insieme, portò a poco a poco tutti i soldati a cadere in un mondo di sogni e piaceri.

I mercenari cedettero ad un sonno profondo, accompagnati da Susan, distesa di fianco sull’erba umida, ed Edmund, in posizione supina. Soltanto Caleb rimase sveglio, incantato ad osservare i movimenti lenti e sensuali della sua mezz'elfa, ammaliato dai capelli scuri che ballavano intorno al suo volto affilato, perso nel rimirare i fianchi che delicatamente danzavano nell'aria. Talia aveva gli occhi chiusi, l'espressione serena; non l'aveva mai, mai vista così bella.

Socchiuse gli occhi con l'immagine splendida, impressa nella retina, della donna che amava, della donna a cui da poco, dopo anni di silenzio, aveva rivelato i propri sentimenti; e in pochi istanti, il sonno colse anche lui.

Lo stesso Caspian, affascinato dalla voce della rossa, si sedette accanto a lei e si addormentò quasi subito, la testa posata sulla spalla di Siria, ancora presa dalla musica e dal canto.

Tutti, finalmente, parvero tra le braccia di Morfeo. Solo una figura, alta e slanciata, si stagliava tra i suoi sudditi: Peter continuava ad essere turbato, ma stavolta, questa inquietudine era dettata dalla mancanza della ninfa, che sembrava non tornare.

-Non stare lì impalato! Valla a cercare, stupido di un Re!- la voce di Siria, che aveva smesso da pochi istanti di cantare, gli giunse prepotente alle orecchie, ora accompagnata solo dalla musica avvolgente. Si voltò di scatto verso la rossa, inarcando un sopracciglio, vedendo al contempo Talia acciambellarsi tra i suoi compari, in mezzo a Caleb e sua sorella.

Peter volse di nuovo lo sguardo verso il punto in cui Shaylee era svanita, inghiottita dalle tenebre della foresta. Un brivido di preoccupazione lo attraversò; un brivido freddo che fece sussultare il suo cuore.

Si avviò velocemente tra gli alberi, sperando di ritrovare la naiade prima che le succedesse qualcosa di spiacevole.

-E, se tu non l’avessi ancora capito, segui la musica!- sentì urlare dalla voce potente e sarcastica di Siria.

Scosse la testa, chiedendosi quanto ancora doveva sopportarla, ma decise comunque di considerare con serietà il suo consiglio.

Avanzò tra le piante, scavalcando radici, scostando rami, felci e rovi, domandandosi come Shay potesse essere passata per quei punti senza problemi, nel totale buio.

Ovviamente, pensò, lei conosceva quei boschi come solo le creature della natura erano capaci. Non si limitavano a guardare, no; loro apprendevano, comprendevano qualunque cosa appartenesse a quella terra. Ogni albero, foglia, insetto o sasso, veniva percepito, riconosciuto...amato.

 .

Continuava a camminare, scrutandosi attorno.

La foresta pareva addormentata: amava assaporare il silenzio degli alberi durante la notte, era una cosa che chiunque fosse stato a Narnia avrebbe adorato; era lo stesso silenzio dolce e morbido della nursery di un bambino, mentre la madre lo accarezza gentilmente sulla testolina dalla rada peluria bionda, mentre si addormenta accoccolato vicino ad un giocattolo.

Gli alberi immobili, come non era più abituato a vederli, parevano sussurrare, seguire i suoi passi attutiti nel sottobosco fatto di foglie, erba secca e soffice muschio. Si sentiva osservato, come se creature invisibili accompagnassero il suo percorso, conducendolo dalla Naiade.

Seguiva ancora la melodia e si avvicinava, percepiva il cuore di essa avvicinarsi sempre di più.

Vide una luce filtrare e, spinto da un istinto insopprimibile, la raggiunse.

Lì, a pochi passi da lui, seduta su un masso accostato alla riva di un meraviglioso laghetto, c'era Shaylee.

Istintivamente, il re Supremo trattenne il fiato, davanti a quell'immagine così semplicemente bella.

La Naiade era accoccolata morbidamente sulla roccia levigata dall'acqua, le gambe abbandonate con grazia lungo il profilo della pietra. La pelle chiara, eburnea, risplendeva quasi traslucida, accarezzata con dolcezza dai morbidi raggi lunari che si specchiavano in ogni singolo, perfetto dettaglio sullo specchio d'acqua limpida. Il corpo, fasciato di quell'abito di poco più chiaro della sua pelle, era nulla più del naturale prolungamento della natura, come se appartenesse a quel luogo,a quello scenario così bello - bello quasi da star male, mentre un soffice calore avvolgeva il suo cuore in una sensazione mai provata.

Le spalle scoperte erano illuminate dalla Luna, infima in confronto alla bellezza di quella creatura così pura, così candidamente meravigliosa.

I lunghi capelli, di quel color oro brunito, seguivano alla perfezione ogni lineamento della sua schiena, del suo collo fasciato con eccellenza dal colletto dell'abito.

Gli occhi erano socchiusi, e le dita affusolate accarezzavano morbide le fessure di un flauto di legno, accostato con dolcezza alle sue labbra delicate.

Tutt'intorno a lei, danzava l'acqua.

Zampilli sottili e sinuosi s'innalzavano nell'aria, seguendo le note dolci e lente di quella musica gentile, ballando intorno alla figura eterea della Naiade ed attorcigliandosi in decine di complicati arabeschi iridescenti. I raggi della Luna li attraversavano a momenti, illuminando l'acqua trasparente, appena più densa dell'aria, di riflessi perlacei.

Peter s’incantò su quella figura angelica, quasi irreale.

Non riusciva a distogliere lo sguardo, totalmente rapito; le labbra carnose erano appena dischiuse, curvate in un dolce sorriso che inconsciamente era nato sopra di esse.

Shaylee continuava a suonare, le dita affusolate che scivolavano leggere sullo strumento, la testa che si muoveva appena al ritmo di quella melodia suadente, incantante.

Sentiva un forte desiderio nascere dentro il suo animo: voleva, doveva avvicinarsi a lei.

La mente sembrava non riuscire, non voler, pensare ad altro; si lasciò guidare dal suo corpo e con passi lenti, misurati, la distanza tra loro si assottigliava. L’erba accarezzava le calzature del Re: umida, fresca, il terreno soffice attutiva i rumori delle sue movenze. Respirava sommessamente, con prudenza, come se un respiro appena più forte potesse distruggere quella visione.

Seguì con gli occhi blu tutto il fisico della fanciulla, soffermandosi sulla curva accentuata dei seni, sul ventre piatto e i fianchi sinuosi, sui quali non c’era più traccia di ferite, sulle gambe tornite, fasciate appena da quella veste semplice  coperta in vita da una striscia di cuoio, alla quale erano appesi il fodero per il flauto e quello del pugnale, con arma annessa. Scese poi con lo sguardo verso le sue caviglie, i piedi che sfioravano l’acqua, creando con lievi tocchi cerchi concentrici su di essa.

Shaylee sembrava non averlo sentito.

Era a meno di un metro da lei, quando si fermò di botto. Sentiva il profumo delicato della Naiade, che, accostato alla sua soffice figura, lo mandava totalmente fuori controllo.

Sospirò appena, avvicinandosi ancora di un passo.

In quel momento gli zampilli che prima danzavano attorno alla creatura di fronte a lui gli si avvicinarono, accostandosi e fuggendo un istante più tardi. Lingue d’acqua creavano una danza intorno al corpo del ragazzo; i riflessi perlacei della luna che li attraversavano andavano ad infrangersi sulla pelle appena bronzea di Peter, creando un contrasto sublime.

E notò subito come lo scenario, intorno a lui – a loro -, fosse mutato.

Le foglie seguivano la brezza lieve, tiepida, leggera; una carezza che si mischiò alla freschezza di quelle gocce, un fruscìo che si univa alla musica, accompagnando le note del flauto a risvegliare, intorno a loro, Narnia.

Perché la Natura rispondeva a quella musica antica, i rami degli alberi parevano muoversi in armonia con quella melodia dolce, suadente, surreale; l'acqua danzava, i fiori sembravano riprendere vita e colorarsi, come da troppi secoli non succedeva, di quelle tinte che donavano a quei luoghi mistici un'irrealtà che mai, da nessuna altra parte, sarebbe mai potuta esistere.

I fili d'erba ondeggiavano come un mare smeraldo e le gocce di rugiada catturavano i raggi lunari più vivi che mai, combinati alla luminosità di una moltitudine di lucciole, in quella notte fatata.
Ogni cosa era avvolta in quell'incanto oramai dimenticato - un incanto, che soltanto chi aveva conosciuto l'Antica Narnia poteva ricordare.

E Peter, Peter ricordava.

Peter sentiva.

Avvertiva la magia formicolare nel suo respiro, sulla sua pelle; quella magia che soltanto chi ha amato Narnia può rievocare, quella magia che scorreva in ogni singolo tronco, in ogni filo d'erba tanto bello da fare quasi male agli occhi.

La natura rispondeva alla melodia della Naiade, risvegliandosi nella danza di quelle note troppo, troppo a lungo sepolte nella mente dei Narniani. 

Le iridi del re Supremo tornarono ad alzarsi sulla ninfa, incapaci di restarne separate troppo a lungo.

E incontrarono i suoi occhi dorati.

Lo sguardo della Naiade era indecifrabile per lui, ma…era dolce, deliziosamente dolce. Poteva notare senza difficoltà tutte le sfumature, tutti gli screzi marroncini presenti in quei pozzi dal colore dell’oro fuso. Era un mare in cui perdersi, in cui affogare con dolcezza.

Continuavano a fissarsi, lui ancora ammaliato da tutto ciò, lei misteriosamente eterea, mentre la melodia non terminava, continuando a vibrare intorno a loro insieme a quella strana sensazione, quell’alchimia che era venuta a crearsi.

La luce lunare s’infrangeva sulla pelle d’avorio del viso di lei, accentuandone i lineamenti delicati e morbidi.

Peter avrebbe voluto stringere e sé quel corpo flessuoso, soffice e immergere le mani nei suoi capelli, affondare il viso nel suo collo, aspirare il profumo delicato che lo inebriava, lo mandava in estasi.

S’impose di non farlo; non seppe come, ma si fermò.

Non riuscì però ad evitarsi di alzare una mano e prendere tra le dita una ciocca di quei capelli dal colore unico, morbidi, segosi come non aveva mai neanche immaginato.

La Naiade, a quel tocco, richiuse gli occhi, perdendosi nella miriade di sensazioni che le provocavano: il cuore che aumentava il battito all’inverosimile, il sangue che scorreva più velocemente nel corpo, e il calore…quel dolce tepore assolutamente sublime che la invadeva nel modo più completo, partendo dal cuore e diramandosi ovunque; come, d’altronde, stava succedendo al biondo.

Giocò qualche secondo con quei crini bruni, prima di poggiarli dietro la spalla di Shaylee, che dentro di sé tremò quando lui sfiorò con le dita la spalla scoperta di lei, risalendo appena verso il collo.

La musica cambiò in modo impercettibile, divenendo ancora più travolgente, calda, con una nota di vivacità in più; l’acqua percepì questo cambiamento, poiché gli zampilli si mossero con una velocità di poco maggiore intorno alle due figure.

E fu a quel punto che Peter cedette.

Era riuscito a non farsi prendere da quella melodia, ma adesso che essa era diventata più coinvolgente e sembrava rispecchiare appieno le sue sensazioni, combaciandovi perfettamente, non riuscì più a resistere e con lentezza si abbassò, stendendosi sul terreno appena più umido del resto, coperto dall’erba ricolma di rugiada.

Si addormentò così, assuefatto dalle note incalzanti e dalla visione di pochi istanti prima, vicino a quel masso che ospitava la creatura più bella che avesse mai visto.

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Our (xD) Space:

Fla: Ok, B vi avrà avvisato che questo capitolo l'ho scritto quasi interamente io...... se siete arrivati fino a qui complimenti! O avete uno stomaco molto forte, oppure, magari, non è così raccapricciante.
Speravo non lo postasse, ma quella bionda non mi da mai ascolto >________<
Come avrete sicuramente notato, il rapporto tra Shay e il mio amato Re si sta leggermente evolvendo. Ma ci sono ancora un paio di punti che bisognerà chiarire prima che quei due -forse- si trovino.
Si, siamo bastarde...consapevolmente. U_U
Spero che questo pezzo sia stato in grado di descrivere bene la situazione che ho immaginato...e siate clementi, per favore. Maaaaaaaaaaaaaaao ç___ç

B: ....no bimbe, siate spietate! *mwahahahahahahhahahahah*

 VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
 13/08/10, ore 22:16 - Capitolo 18: Dear God.
Buongiorno e bentornata!!!!
Allora, sono contentissima che il capitolo fra Talia e Cal ti sia piaciuto tanto; a dir la verità, è stato uno di quelli che più ho amato scrivere xD in più, posso assicurarti che di miele ce ne sarà parecchio, con questi due qua sopra U.U
Ti ringrazio per i complimenti *arrossisce*
Sono allergica alle melensaggini, cerco sempre di evitare lo zucchero troppo melenso ^^" a quanto pare non sono l'unica!!! ^^
Ehi, se vuoi, c'è la mia pagina di FB ^^ siamo tutte e tre lì xD
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 04/08/10, ore 12:32 - Capitolo 18: Dear God.
tesoro!!! ^^
Eccoli qua, mancavano giusto questi due a completare il quadretto romantico Narniano xD
Cosa ne pensi? La Fla non voleva mica che lo pubblicassi, a me piace però O.o
Bah, insicurezze d'autore xD
Un bacione!
 brillina [Contatta] Segnala violazione
 03/08/10, ore 12:19 - Capitolo 18: Dear God.
Grazissimissimo dei complimenti!
Tallie e Cal sono adorabili, li amo alla follia *-*
che ne pensi di questo capitolo?
Un bacione!
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 03/08/10, ore 01:20 - Capitolo 18: Dear God.
Regalino di BENTORNATA a casa xD
Va beh che tu questo capitolo lo conosci già....
La caduta di Siria è fenomenale zizi U.U
E Peter e Shay....BAAAAAAAAAAAH! Diamo una martellata in testa al Supremo Idiota U.U
Looooooove you <3

Finito xD

Allora, altre notiziole:

Ho pubblicato una mini longfic, dal titolo Phoenix, nella sezione delle fanfiction sugli attori; inutile dire che ci sono William e Ben, neh? xD Il prossimo capitolo arriverà a breve *annuisce convinta*

La mia pagina di Facebook la trovate invece QUI; sono sempre lì, se avete bisogno lasciate un messaggio, risponderò sicuramente ^^

Altra notiziola: sono orgogliosa di mostrarvi alcuni disegni assolutamente meravigliosi fatti da una carissima amica, Romina ^^, sulle tre balde giovini di questa storia xD visto che sono carogna, gli ometti ve li tengo per il prossimo =P

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SiriaTalia

Shaylee

_

devo solo sottolineare una cosa: Shaylee ha gli occhi dorati, non azzurri ^^"

Bon, ho finito xD

Love you all, B <3

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Capitolo 20
*** Wild Child. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Wild Child - Enya

Le giornate si susseguivano rapide ed intense, all’accampamento dei Narniani. I guerrieri si allenavano duramente, molto più di quanto non avessero mai fatto prima d’allora; Lucy Pevensie li vedeva lottare, vedeva i loro volti contratti dallo sforzo, il sudore imperlare le fronti dei combattenti. Li osservava crollare esausti, la sera, dopo un parco pasto e un sorso di vino dinanzi al fuoco.

Si allenavano, si preparavano per la guerra che incombeva come una malefica ombra su di loro. La respiravano nell’aria stessa, nel fumo dei piccoli fuochi delle vedette, nel sapore amaro del cibo. Sapevano, come la piccola Regina, che le battaglie si avvicinavano ogni giorno un poco di più.

Ma Lucy non riusciva a non sorridere, nemmeno in un clima tanto pesante. Sentiva intorno a sé la presenza della sua stessa casa, del luogo a cui apparteneva: talvolta le pareva ancora di scorgere la criniera dorata di Aslan, danzare fra le fronde scosse soltanto dal vento degli alberi.

Era a casa.

Di più: era a casa, e aveva molte questioni a cui pensare.

I guerrieri sorridevano, vedendola sfrecciare allegra fra loro, quasi saltellando in mezzo alle armi che non la inquietavano, non quanto avrebbero dovuto. A Lucy non piaceva la guerra, ma sapeva che in quel caso era inevitabile: tante volte, durante il regno suo e dei suoi fratelli a Narnia, aveva affrontato battaglie e guerriglie che li avevano sempre visti vincitori.

Lucy non combatteva, non ne era ancora in grado: quindi, aveva necessariamente dovuto trovarsi un hobby, in quei giorni.

E il passatempo più interessante di tutta Narnia era proprio lì, in quella manciata di metri quadrati in cui poteva tranquillamente osservare la nascita di tanti di quei legami, da far girare la testa a chiunque.

Si sedette serena sul muretto dove aveva passato tante giornate, assorta nei suoi pensieri e sulle persone che la circondavano.

Nemmeno a farlo apposta, una delle sue vittime più interessanti attirò quasi immediatamente la sua attenzione, un sorrisone immenso che riempiva il visetto chiaro della piccola Pevensie.

Incrociò le gambe sulla pietra grezza, gli occhioni celesti che osservavano con palese soddisfazione il ragazzo che l’aveva appena superata, seguito da un’altrettanto interessante ragazzina bionda.

Edmund.

Edmund nemmeno si era accorto, di quanto la presenza della piccola Tara gli stesse diventando sempre più indispensabile.

Si erano avvicinati qualche tempo prima, mentre Tara passava a Siria – ostinatamente appollaiata sul suo albero, dopo l’accesa discussione con Peter – un cestino con qualche vivanda e un po’ d’acqua.

.

  Scende dall’albero, Tara, tradendo l’agilità che i tanti anni passati in compagnia di Talia le hanno concesso. Non fanno quasi rumore i suoi piedi, quando atterra morbidamente sul soffice sottobosco di foglie secche.

Quasi.

-Che cosa succede?- la mano sottile di Tara corre allo stiletto in vita, sfilandolo dal fodero ad una velocità quasi innaturale. È piccola Tara, è poco più di una bambina: ma già conosce bene, quanto infidi e cattivi possano essere gli uomini.

Ma subito, si accorge che la persona che l’ha scoperta non è un nemico. Lo riconosce immediatamente, quegli occhi sono troppo particolari: hanno una tonalità che le ricorda l’autunno, la sua stagione preferita. Un caldo, vivace marrone intenso, vicino al nocciola.

Re Edmund.

Non abbassa la guardia, Tara, quando rinfodera il pugnale. Non lo conosce, non sa come comportarsi con lui: per quanto ne sa, potrebbe anche essere d’accordo con Peter, nel detestare a priori la sua amica.

È affezionata, lei, a Siria. Lei e Talia sono state un po’ madri e un po’ sorelle maggiori per lei, in quegli anni.

-Non lascio morire di fame le mie amiche, non per un idiota.- risponde, cauta, non senza evitare una caustica allusione a quel Supremo Imbecille.

Edmund inarca un sopracciglio, dinanzi a quella ragazzina tanto singolare: non ha mai visto una ragazza come lei, nemmeno Lucy ha quella lingua tanto tagliente. La sua sorellina è più tenera, Tara invece ha già perso il candore della fanciullezza.

-In teoria sarebbe mio fratello.- un lampo d’inquietudine, negli occhi celesti della ragazzina.

Ma poi, un sorriso. Un sorriso nel volto magro e già adulto di Edmund, illuminato dall’ironia di quei caldi occhi nocciola.

-Concordo, sull’idiota.-

 .

Sorrise, Lucy, nel vederli così vicini, così impegnati; così uniti, soprattutto.

Se ci fosse stato il tempo, se fossero rimasti a Narnia…chissà. Magari, un giorno, Re Edmund avrebbe cominciato a vedere Tara sotto occhi ben diversi.

-Posso aiutarti?- il sorriso malandrino della piccola Pevensie si allargò istintivamente, quando una voce ben diversa raggiunse le sue orecchie fini.

-Io…sì, ti ringrazio.- si voltò di scatto, appena in tempo per distinguere un lieve rossore imporporare le guance candide di sua sorella, gli occhi azzurri che brillavano di una luce tutta nuova.

Eccone altri due, si disse con un sorriso. A Narnia stava sbocciando la stagione degli amori, a quanto sembrava.

Aaron raccolse con un braccio soltanto il fascio di frecce appena caduto a Susan, gli occhi celesti che sorridevano in direzione della Regina più grande di Narnia. Lucy si lasciò sfuggire un ghigno, quando vide un timido sorriso apparire sulle labbra della sorella, il rossore che si accentuava e le dita che sfioravano appena la gonna dell’abito.

Andava avanti così da giorni, ormai.

Aaron era un uomo discreto, di questo Lucy se n’era accorta immediatamente: e soprattutto, non era affatto uno stupido. Si era accorto subito della reticenza che Susan usava con tutti gli uomini che si avvicinavano, della paura che la coraggiosa Regina provava nei confronti dei sentimenti e dell’amore.

Lucy lo sapeva bene, Susan in realtà era terribilmente fragile; non si sarebbe mai lasciata avvicinare da nessuno, il terrore di perdere se stessa e il controllo sulle proprie emozioni era qualcosa che superava persino il bisogno di amare.

Ma Aaron lo aveva capito, con una rapidità che aveva quasi dello strabiliante. Lucy aveva visto diversi ragazzi provare a corteggiare sua sorella, senza mai un risultato, un accenno d’interesse corrisposto: Susan si era guadagnata la fama di algida, di altezzosa – quando in realtà, la sua era soltanto paura.

E Aaron aveva imparato a comprendere i suoi silenzi, le sue reticenze; era riuscito ad insinuarsi nella stretta cerchia di persone a cui Susan concedeva un sorriso, a cui permetteva di lasciarsi avvicinare, di lasciarsi coinvolgere in discorsi che duravano anche delle ore.

Era stato talmente bravo, accorto e discreto, che soltanto Lucy si era accorta di quanto Susan s’illuminasse, alla presenza del rosso; eppure Aaron si era semplicemente comportato con lei come avrebbe fatto con chiunque altro, guadagnandosi, senza davvero far molto, la fiducia della reticente Regina.

Sarebbe stato interessante, vedere le reazioni di Peter nell’accorgersi di quanto un altro uomo – il fratello di Siria, per di più! – fosse riuscito ad avvicinarsi alla sua iperprotetta, inavvicinabile sorella.

-Mancato!-

-Coglione!- Lucy si lasciò sfuggire una risata, quando distinse un qualcosa di non meglio identificato sfrecciare nell’aria calda e fragrante del pomeriggio, diretto verso una riccia testa di capelli biondi.

Si voltò, appena in tempo per vedere Caleb prendere al volo il qualcosa (rivelatosi un pezzo di una qualche armatura presa chissà dove) e ridere, esilarato, all’espressione palesemente di rimprovero di Talia.

-Io mi chiedo chi me l’abbia fatto fare di trovarne uno come te!- borbottò l’elfa, le guance rosse e l’espressione furiosamente imbarazzata. Chissà cos’aveva combinato il biondo…di sicuro, era riuscito a farla arrossire: qualcosa di più unico che raro, per l’imperturbabile e ironica Talia.

-Ammettilo, queste mie uscite ti fanno sol che piacere.- il biondo scoppiò a ridere quando Talia, con uno dei suoi movimenti fulminei, gli arrivò addosso e cominciò a tempestarlo di pugni – pugni senza forza, senza davvero la traccia di astio.

-Ma questo lo dici tu! Sei un…- quello che Caleb era Lucy poté soltanto immaginarlo, perché Caleb – bravo ragazzo, decisamente un bravo ragazzo – aveva zittito le sue proteste in quel modo che pareva tanto efficace.

Rise, Lucy, quando vide la mezzelfa irrigidirsi appena fra le braccia muscolose del biondo; e abbandonarsi un istante più tardi, rispondendo a quel bacio solo in apparenza prepotente con la stessa decisione, con la stessa passione.

Almeno qualcuno era felice, in quell’accampamento di cuori che agognavano l’amore.

Talia e Caleb erano una ventata d’allegria, in quel clima di guerra e di amori non corrisposti; era impossibile non affezionarsi a quel gigante biondo, dagli occhi così buoni, e a quella ragazza tanto spigliata quanto irriverente.

Si amavano così tanto, si erano amati per così tanto tempo prima di dichiararsi…

Il loro era un amore puro e sincero, limpido come l’aria ma irremovibile come la roccia; era un amore di risate, di serenità, di una complicità maliziosa ma irresistibile.

Erano belli, da guardare; erano un pezzo di gioia in un collage di guai.

Era un piacere, anche, guardare Caspian e Siria insieme. Erano una soddisfazione vera e propria, tanto quanto Talia e Caleb; facevano sperare in bene anche per gli altri, quelle due coppie di innamorati.

Sorrise, Lucy, osservandoli da lontano mentre si allenavano; era un allenamento decisamente inutile, a suo parere, visto che Caspian pareva del tutto incapace di impegnarsi seriamente in un duello contro di lei.

O forse era solo istinto di autoconservazione, il suo: probabile, vista l’abilità di Siria come guerriera. Lucy non aveva mai visto nessuno combattere come lei, o quasi; c’era una rabbia nei suoi fendenti, nelle sue stoccate, una furia a stento repressa che si rifrangeva nella violenza con cui maneggiava quell’inquietante spada nera.

Era una creatura strana, quella ragazza.

Passava quasi tutto il suo tempo in solitudine, ad allenarsi da sola o con la selezionata compagnia dei suoi compagni; eppure, la vicinanza del principe la trasformava in una donna completamente diversa, strappandole sorrisi anche imbarazzati che parevano così fuori posto, sul suo viso. Era fredda con chiunque, specialmente con i suoi fratelli maggiori; ma con Caspian ed i suoi amici, pareva aprirsi come un fiore in sboccio. Era una contraddizione, quella mercenaria; già solo il senso di giustizia che trapelava dalle sue azioni tradiva il suo stesso lavoro, che di giustizia ne aveva ben poca…

Era tante persone diverse, quella giovane.

C’era la guerriera, la combattente valorosa che si era battuta al castello di Miraz, guadagnandosi il rispetto delle creature di Narnia.

C’era l’orgogliosa, che non permetteva a nessuno di sottometterla con arroganza, sfidando anche insensatamente una persona come Peter, riuscendo persino a far breccia nello stesso orgoglio di suo fratello.

C’era il mistero; Siria nascondeva qualcosa, le parole di Cornell erano state cristalline. C’era qualcosa, nel suo passato, che aveva segnato per sempre il buio in quegli occhi talvolta talmente cupi da spaventarla. Come si poteva soffrire così tanto? Lucy non lo sapeva.

La guardò incespicare, inciampata in un colpo piuttosto infido ma innocuo del principe; ma il sorriso sulle loro labbra lasciava intendere che il loro non fosse altro che un gioco, una scusa abbastanza plausibile per finire a rotolarsi nell’erba – cosa che stavano facendo, ridendo come due bambini.

C’erano tante cose, in Siria; ma l’unica che contasse davvero era la luce che la riempiva quando si trovava insieme a Caspian, lasciando emergere la ragazza dolce e persino timida che alla sua età avrebbe dovuto essere.

Ci si poteva fidare, di lei. Qualunque cosa celasse nel suo passato, Lucy ne era certa: non c’era cattiveria, in quella giovane che adesso rideva, una risata rapita dalla bocca dell’uomo che amava.

Assomigliava così tanto a Peter, Siria.

Lo stesso carattere, lo stesso orgoglio, la stessa testardaggine; il tormento, negli occhi a parimenti chiari e tempestosi, la stessa innata scioltezza nei movimenti e nell’eleganza. Se fossero riusciti ad andare d’accordo, sarebbero stati un’accoppiata formidabile: due personalità come le loro avrebbero potuto determinare persino la vittoria contro Miraz.

Ma Peter, al momento, non sembrava molto incline a deporre l’ascia di guerra nei confronti di Siria (tantomeno la rossa, che ancora scoccava sguardi a dir poco acidi nei suoi confronti); il biondo Re era troppo impegnato a struggersi, a struggersi per un amore che non aveva nemmeno riconosciuto in se stesso.

Lucy sospirò, affranta, lanciando un’occhiata al torrente che affluiva al lago, poco lontano dalla cripta; là, seduta sulla riva, i piedi immersi nelle acque limpide, c’era Shaylee.

Quei due erano due dannatissimi rompicapi, bisognava dirlo.

Lucy non sapeva più che cosa fare; ad ogni passo avanti che riusciva a convincerli a compiere, ce n’erano subito due indietro che buttavano all’aria tutto il suo faticosissimo impegno per farli finire insieme.

Perché sì, quei due dovevano finire insieme; se lo sentiva dentro, la piccola Pevensie. Quei due erano perfetti l’uno per l’altra.

Eppure parevano così maledettamente stupidi…

Peter era totalmente incapace in campo amoroso; in battaglia era invincibile, fiero e maestoso come il condottiero più abile…ma quando si trattava di faccende di cuore, ecco tornare a galla il ragazzo dolce e un po’ impacciato che Lucy amava tanto.

Il suo fratellone era innamorato, non c’era più alcun dubbio.

Chiunque, in quell’accampamento, aveva ormai capito che gli occhi celesti del Re Supremo, solitamente imperturbabili, si ammorbidivano e si riempivano di tormenti di ben altro calibro in presenza della naiade.

Eppure non si faceva avanti, eppure non si costringeva ad ammettere quello che provava – né a se stesso, né a lei.

Stupido, adorabile fratellone…

E Shaylee…Shaylee aveva paura, una paura matta. Se n’era resa conto immediatamente; in quegli occhi limpidi c’era terrore, c’era un rifiuto di tutto ciò che era amore che non aveva mai distinto in nessun altro.

La ninfa era rimasta bruciata, nel suo passato aveva amato e aveva perduto; Lucy se n’era resa conto ormai già da molto tempo, di quanto la sofferenza e la malinconia velassero ogni azione di quella ragazza.

Shay non ne parlava volentieri con nessuno, mai; ma la piccola era una buona ascoltatrice, oltre che un’irrimediabile ficcanaso, e aveva colto alcuni stralci delle brevi, lapidarie conversazioni che la naiade aveva avuto con Siria.

Il compagno di Shaylee era morto durante le battaglie coi Telmarini, così come i suoi genitori erano periti durante l’invasione di Narnia.

Ora Lucy capiva benissimo cosa avesse generato l’odio tremendo che all’inizio, Shay aveva covato nei confronti degli antichi Re e Regine; il loro abbandono, seppur involontario, le aveva causato così tanto dolore…

Eppure adesso sembrava andare un po’ meglio, se non altro; con lei, con Edmund, con Peter anche…solamente Susan era ancora decisamente ostile alla ninfa.

Ma con Peter, con Peter qualcosa stava succedendo.

Siria si era rivelata una fonte inestimabile d’informazioni, oltre che decisamente convinta, come lei, che quei due dovessero finire insieme al più presto. Le aveva raccontato di quella notte nella foresta, quando Peter aveva seguito la musica della Naiade; e infatti, da quella notte, Shay si era mostrata più amichevole con suo fratello, rivolgendogli anche qualche raro sorriso.

Qualcosa era cambiato, quella notte; sicuramente, era servita perché Peter si rendesse realmente conto di quello che provava per Shaylee.

Ma era un così stupidissimo testone, quando ci si metteva…

Ma Lucy sorrise, quando la soluzione perfetta ad ogni dilemma si presentò, chiara e cristallina, ai suoi limpidi occhi celesti.

Quella notte, Shaylee sarebbe stata di guardia al lago, come ogni sera.

Bene.

Casualmente, per opera di qualcuno, un qualche problema avrebbe spinto il Re Supremo di Narnia ad avvicinarsi a quelle sponde, dopo il tramonto…

, si disse, mentre un sorriso appena malefico si disegnava sul suo visetto.

Sarebbe finito tutto nel migliore dei modi: con un inizio.

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My Space:

buooondì ^^

sì, si sentono i cori dell'alleluia, ho aggiornato ^^"

ma domani comincio una sessione di 4 giorni di esami, tutta una storia lunga e astrusa...quindi aggiorno oggi, sperando sia di buon auspicio ^^"

Cosa dire di questo capitolo? Beh, innanzitutto che è il ventesimo xD E soprattutto, è tutto incentrato su Lucy; piccola, perfida, geniale Lucy Pevensie *muhahaahahhahahah*

Lucy analizza un pò tutti quanti, facendo anche un "punto della situazione"...qualcuno esulterà per Aaron e Susan, ne sono certa xD


 Rinalamisteriosa [Contatta] Segnala violazione
 18/08/10, ore 19:26 - Capitolo 19: The Nymph Enchantment.
Che bello vederti qui *W*
E soprattutto, che bello vedere che ti piace la mia storia *.* del fandom di Narnia siamo poche, però è bello conoscersi ^^
Per la trama, il mio intento era proprio questo:  dare a Narnia uno stampo più...più da adolescenti quali i Pevensie e Caspian sono xD a proposito! Ho iniziato ieri sera "L'ultima battaglia", gli altri li ho letti tutti quanti *W*
Per Peter...eh, mi hai beccata xD il rapporto fra lui e Siria è un pò quello di due grossi tori che si scornano: il loro rapporto si evolverà parecchio, diventeranno qualcosa di tremendamente coccolo ed esilarante xD
Penso che questo capitolo ti piacerà; ti ho pensata mentre lo scrivevo, sai? E' tutto su Lucy, piccolo demonio adorabile *W*
Spero che ti piaccia, questo chappy ^^ e sono taaaanto contenta che ti piaccia la mia Rebirth *.* un bacione!
(e sì, appena finisco gli esami passo dalla tua shot, promesso!!!! ^____^)
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 16/08/10, ore 20:57 - Capitolo 19: The Nymph Enchantment.
eccomi qua, ormai non ci si sperava più ^^"
Siria e Caspian come Bunny e Milord *-* oddio checcarini *-*
(il mio amore per Milord aumenta ogni giorno xD)
Sai che sto rompendo le scatole alla Fla con la storia del cocker? E' troppo divertente maltrattare Will *risata molto malefica*
hai visto? Ci avevi preso su Aaron e Susan xD Aaron è lì apposta, ma ti lascio immaginare Siria e Peter, quando lo scopriranno....xD
Spero che ti sia piaciuto questo capitoolo...sto adorando Lucy, non so se l'ho mai detto xD
Un bacione e un abbraccio forte forte <3
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 16/08/10, ore 20:44 - Capitolo 19: The Nymph Enchantment.
Eccola, ce l'ho fatta, nonostante morsi vari e non morti che distraggono U.U
Questo non l'hai letto, non del tutto almeno; Lucy è un genio U.U
e anche Tara, con l'uscita del Supremo Imbecille xDDDD io l'avevo detto che l'avrei messa *risata malefica*
Ci sentiamo su msn noi due xD <3
 VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
 16/08/10, ore 19:07 - Capitolo 19: The Nymph Enchantment.
Ti ringrazio per i complimenti, magari un pò di autostima entra in quella testa della Fla -.- xD a me personalmente quel pezzo è piaciuto tantissimo, ma sai, l'autostima manca sempre agli autori esordienti ^^"
Il passaggio nella cassapanca ancora non l'abbiamo trovato, ma ora sto andando in giro a divellere quadri con ambientazioni marittime nella speranza di finire a Narnia e farmi salvare dal prode Re Caspian xD non farci caso, è un completo sclero pre esami ^^"
Spero che anche questo chappy ti piaccia; è un momento di calma, non hai idea di quanto sia stato difficile scriverlo ^^"
Un bacione, e grazie!!!!

Qui potete trovare una mise direi adatta alla mia signora in rosso xD Siria

Love you all, B <3

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Capitolo 21
*** Moonlight. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Moonlight - Yiruma

Il lago era l'unico luogo che la tranquillizzasse, che riuscisse a lenire almeno in parte quella sofferenza che prepotente risiedeva nel suo cuore da troppi giorni, ormai.

Si era lasciata gli alberi dietro di sé, mentre lentamente si accostava alla riva. I piedi ora nudi si adagiavano accuratamente tra la ghiaia umida, le mani a tormentare la veste chiara, gli occhi incantati a fissare l'acqua cristallina dai riflessi perlacei, lunari.

Sorrise amaramente, sospirando.

Arrivò a farsi sfiorare dal liquido trasparente, che l'accoglieva e accarezzava come una mamma; Shaylee tante volte aveva ringraziato l'elemento che le era così tanto caro, per averla sostenuta, senza abbandonarla mai; tantomeno nel momento del bisogno.

L'acqua s'innalzò in dolci spirali, arabeschi sinuosi che con i riflessi argentei la sfiorarono, rincuorandola.

-Buonasera anche a te, amica mia.- sussurrò la ninfa sorridendo, dolce suo malgrado, sapendo che poteva gettare tranquillamente la maschera senza rischiare di essere pugnalata, senza la paura di mostrarsi debole.

La Luna piena, quella notte, illuminava il lago di un’insolita bellezza.

Shaylee avvertiva chiaramente la sensazione gioiosa che pervadeva lo specchio d’acqua, gli zampilli che danzavano nell’argentea luce di quell’astro immenso, più grande di quanto non lo ricordasse; lei poteva capire, lei poteva sentire l’impaziente gioia del suo elemento, riunito con la Madre di ogni cosa.

Si lasciò sfuggire un sorriso; un piccolo sorriso terribilmente tirato, stanco, provato da troppi pensieri e da troppa sofferenza. Una sofferenza che martoriava lenta e sadica il suo cuore spaventato, tremante, un cuore che più d’ogni cosa temeva di essere ferito ancora, di essere abbandonato ancora.

L’acqua danzava, danzava felice nella luce perlacea della Luna.

-A volte vorrei essere come te…non avere più il peso di questo corpo, di questo cuore.- mormorò la ninfa, la dolcezza degli arabeschi che le accarezzava appena le spalle, rincuorandola come la stretta di un’amica.

Mosse un altro passo sulla sabbia morbida, sentendo la dolce frescura dell’acqua accarezzarla, accoglierla in un abbraccio che per lei era caldo quanto quello di un compagno.

Un compagno che sentiva sempre più lontano…una persona che aveva amato tanto, che aveva significato tutto, per lei. E che ora, non c’era più.

I suoi occhi dorati si socchiusero appena, sofferenti, quando ricordò…quando i pensieri tornarono inevitabilmente su quell’argomento.

Lui le era stato portato via, tanti anni prima. Erano stati i telmarini ad ucciderlo, durante le battaglie che le naiadi avevano combattuto per strappare agli uomini il controllo sulle foreste, su Narnia. Battaglie che erano state inutili, battaglie che avevano portato solamente troppo dolore…

I Pevensie se n’erano andati, e Narnia era piombata nel caos.

Dalle altre terre erano giunti signori e mercenari, decisi a conquistare e depredare tutto ciò che i quattro Re avevano faticosamente ricostruito; dopo la tirannia di Jadis, i Narniani avevano davvero sperato che la pace regnasse felice in quei luoghi…

I Pevensie avevano abbandonato Narnia a quei mostri, finché i più spietati fra loro non avevano primeggiato sugli altri.

I Telmarini avevano ucciso, avevano saccheggiato, avevano persino distrutto Cair Paravel: e avevano ucciso lui, l’unico lui che Shaylee avesse mai amato, l’unico lui che l’avesse amata davvero.

Eppure…eppure il ricordo del suo viso scivolava via, adesso, negli angoli più reconditi e immortali della sua mente.

Scivolava via, via come l’odio che non riusciva più a provare. Lucy, Edmund…non era in grado di odiare persone simili, cuori puri e buoni come i loro. Susan non era malvagia; non andavano d’accordo, ma la Regina mostrava soltanto irritazione, non cattiveria.

Perché, perché non riusciva ad odiare Peter Pevensie?

Lui era stato la causa principale della sua sofferenza; lui era stato, ed era ancora, il Re Supremo di Narnia; lui, lui aveva abbandonato il suo popolo ai saccheggi e alla sofferenza, alla morte, al dolore…

Eppure, non riusciva ad odiarlo.

Era più forte di lei: ogni volta che riusciva a convincersi di detestarlo, di provare soltanto astio verso di lui…ogni volta che incrociava quegli occhi azzurri, Peter le sorrideva.

Le sorrideva, e lei non capiva più niente. Il cuore cominciava a martellarle nel petto, le guance si accendevano di un rossore che non era mai comparso così frequentemente sul suo volto solitamente imperscrutabile.

Le sorrideva, e le pareva che Narnia potesse davvero tornare allo splendore di una volta, perché in quel sorriso e in quegli occhi del colore del cielo c’era tutto ciò che lei credeva di aver perduto.

Sospirò, lasciando che le palpebre si abbassassero con delicatezza, una sorda morsa al petto che le costringeva il cuore in una vita di dolore e di paura.

Che cosa le stava succedendo?

Non poteva…non poteva essere giusto, quello che il suo cuore provava.

Si costrinse a non lasciare che le lacrime, che dispettose le pungevano gli occhi, le rigassero le guance; non poteva piangere ancora, era stanca di piangere…era stanca, di avere paura dei suoi stessi sentimenti.

-Che cosa sto facendo…- mormorò, la voce bassa e spezzata da un singhiozzo appena trattenuto, il suo tenue riflesso sulla superficie dell’acqua che le restituiva uno sguardo spaventato, confuso…solo.

Prese un profondo respiro, cercando di non piangere; quella Shaylee riflessa non poteva essere lei…lei non era mai stata così, non aveva mai scorto tanta sofferenza nel proprio viso…

Le sue dita sottili si avvicinarono caute a quell’immagine pallida, fioca. Era lì, sotto una patina sottile che la ottenebrava, la rendeva lontana e indefinita come la foschia prima dell’alba. Poteva ancora sperare che la sua confusione svanisse allo stesso modo, dandole la gioia di poter sorridere di nuovo?

-Io non so più chi sei…e cosa desideri…- sussurrò, pianissimo, un sussurro che si perse nello zampillio del lago. Ed una sola lacrima sfuggì al suo controllo, rigandole il volto chiaro e cadendo nell’acqua.

Il suo pallido riflesso scomparve, nei morbidi cerchi che quell’unica goccia aveva provocato.

Shaylee la guardò affranta sparire nei flutti, assieme agli arabeschi guizzanti che la circondavano; ecco cosa le stava succedendo, era esattamente quello che la spaventava di più: stava scivolando via.

Chiuse di nuovo gli occhi, il cuore incrinato da una nuova sofferenza; il suono delle crepe che si aprivano nel suo petto non provocava il minimo rumore, nei sottili schizzi che riempivano il silenzio di quella Luna.

Ma quegli zampilli in un istante si fecero più numerosi, più vivi; le palpebre abbassate, Shay trattenne il respiro, quando avvertì la coscienza immensa e cheta dell’acqua sfiorarla appena, esprimersi in tutta la sua limpida sincerità.

Che cosa stava succedendo?

Era successo qualcosa…quell’unica lacrima versata aveva mosso a compassione la sua compagna più fedele, la sua amica più sincera.

Apri gli occhi, Shaylee.

Io so che cosa desideri, mia diletta; me lo sussurra il tuo cuore.

E come poteva disobbedirle, quando le parlava con il calore e la dolcezza di una madre?

Lasciò lentamente che i propri occhi si schiudessero, per un istante accecati dal riverbero perlaceo della Luna, sull’acqua.

Acqua, che non era più calma e immobile.

Acqua, che non era più lo specchio di lei, di Shaylee.

Acqua, che ora rifletteva il suo cuore più vero.

Sussultò con violenza, il cuore che mancava diversi battiti del suo regolare cammino; lo sentì spegnersi per un istante, atterrito, ma solo per un istante. L’attimo più tardi, le pulsazioni accelerarono come non mai, riempiendole il petto di quel pulsare frenetico, denso di emozioni.

Là, al centro del perlaceo riflesso della Luna, l’acqua aveva preso una forma ben precisa.

Là, perfetto in ogni più piccolo dettaglio, c’era Peter.

Shay rimase completamente immobile, le guance accese del rossore e le orecchie piene del martellare frenetico del suo cuore. Quello era un colpo basso

…era così bello, però.

L’acqua del lago aveva riflesso ciò che lei ricordava, ogni più piccolo dettaglio impresso nella sua mente ora era dinanzi ai suoi occhi, più concreto di qualsiasi ricordo.

Era così…era così Peter.

Si concesse di osservarlo, il cuore che doleva terribilmente nel petto snello. I capelli avevano la stessa piega, il volto la stessa espressione gentile che le rivolgeva in ogni occasione…

Avvertì una carezza più insistente sulle gambe appena immerse, sui piedi, una lieve spinta che la invitava ad avanzare. La invitava a raggiungerlo, ad accettare ciò che il suo cuore desiderava davvero, senza paure né timori. La invitava a vivere.

E lei…dopo solo un istante, un battito frenetico…accettò.

Quasi non avvertì la consistenza soffice della sabbia, quella più brulla della ghiaia del fondale; la sua mente, i suoi sensi, ogni particella del suo corpo e del suo cuore erano concentrati su quella figura eterea, dello stesso colore perlaceo della Luna, quella figura che la aspettava.

Quella figura, che senza un suono alzò appena una mano, allungandola verso di lei.

Trasalì, la ninfa, i piccoli passi che non accennavano però a fermarsi, a trattenerla.

Quel volto era così terribilmente uguale…così terribilmente identico a quello di Peter…non era lui, Shaylee ne era ben conscia. Era soltanto il riflesso di lei.

Si avvicinò appena un poco di più, delicata come solo una ninfa può essere in un lago, la sua attenzione e i suoi pensieri che si focalizzavano su quella mano – tanto uguale, tanto identica – che pazientemente attendeva di essere sfiorata, che aspettava solamente lei.

Era ciò che il suo cuore desiderava?

Era quello, era lui, che lei desiderava?

Era quella, la sua verità?

Le dita minute della ninfa tremarono appena, quando, alzandosi, andarono finalmente a sfiorare quelle della meravigliosa illusione che aveva dinanzi.

E si lasciò trascinare, quando il suo cuore accelerò ancora e quel muto riflesso la trasse a sé, avvolgendola in un abbraccio che per troppo tempo lei aveva sognato, senza nemmeno rendersene conto.

Perché fra quelle braccia finalmente lei si sentiva bene, si sentiva al suo posto, come se per più di mille anni avesse atteso soltanto quel momento. Perché chiudendo gli occhi, poteva avvertire ancora il profumo di Peter, quel profumo che la stordiva ogni volta che le si avvicinava, quel profumo che tratteneva per sé e ricordava in silenzio, nelle sue lunghe ore di solitudine.

Sapeva che non era il vero Peter, che non era il Re in carne e ossa…ma non poteva rovinare quell’illusione, quel momento in cui il suo cuore si schiudeva come un fiore in boccio.

Per la prima volta da tanto tempo lei non aveva più paura…era al sicuro, in quell’abbraccio da cui non avrebbe mai desiderato sciogliersi…

Sospirò appena, alzando gli occhi sul viso di quel riflesso.

Era perfetto, identico in ogni minimo dettaglio. Era stato il suo stesso desiderio, la sua memoria, le lunghe ore passate ad osservarlo senza che Peter se ne accorgesse, a creare quell’immagine. Ma gli occhi…

Un sorriso amaro si disegnò sulle sue labbra, le dita sottili che salivano a sfiorare quel volto fatto d’acqua turbinante.

-Sei stata brava…- sussurrò, rivolta all’amica che le aveva permesso quell’istante d’illusione, di conforto. -…ma i suoi occhi sono unici…- aggiunse, lo sguardo di Peter che improvvisamente si ripresentava alla sua mente.

Perché lui era così; senza nemmeno saperlo irrompeva nella sua mente con una prepotenza assoluta, occupando ogni suo più piccolo pensiero, ogni millimetro del suo cuore.

Sì, gli occhi del Re erano unici.

Erano azzurri, dello stesso azzurro del cielo estivo di Narnia. Tutto in lui le ricordava la Narnia in cui aveva vissuto da bambina, la stessa Narnia che lui aveva governato…ma gli occhi, gli occhi erano lo specchio stesso di tutto ciò che lei ricordava – che lei amava.

In quell’azzurro sentiva di potersi perdere, ogni volta che incrociava il suo sguardo.

C’era tutto in quei due sprazzi limpidi…orgoglio, paura, insicurezza, decisione. Peter era una contraddizione di se stesso; lottava continuamente perché il suo essere Re Peter prevalesse sul ragazzo Pevensie, sul giovane che avrebbe avuto il diritto di essere – che non poteva esistere più, che non era più da troppo tempo.

Erano belli, quegli occhi contornati da ciglia folte e chiare.

La trapassavano ogni volta, la colpivano ogni sacrosantissima volta che li guardava. C’era sempre qualcosa di nuovo in quelle iridi, ad ogni nuova occhiata; qualcosa che non faceva altro che accrescere il suo amore, e la sua paura.

Il sorriso addolorato si accentuò appena, quando le sue dita sfiorarono il riflesso perfetto delle labbra carnose di Peter.

Ah, quelle labbra.

-Non lo avessi mai fatto…- sussurrò, talmente piano che le sue parole si persero nella confusione stessa del suo cuore.

.

Dormiva, dormiva bello come un angelo.

Era stata la mia musica, a concedergli finalmente riposo? Stentavo a crederci, stentavo davvero a pensare di essere stata fonte di pace, per lui.

Era così vicino a me…il cuore mi batteva forte, così forte che temevo potesse svegliarlo. Batteva così da quando mi aveva sfiorata, da quando mi aveva accarezzato i capelli…

Avevo bisogno di toccarlo, di sentire almeno per una volta la consistenza della sua pelle. Avevo bisogno di sapere se era davvero reale, se non era soltanto l’ennesimo parto dei miei sogni…ma la verità è che desideravo restargli accanto in quell’istante, quando il suo sonno avrebbe protetto il mio cuore dal mostrarsi a lui.

Mi arresi a quel desiderio, scostando i crini biondi dalla sua fronte.

Erano soffici, erano morbidi e sottili come fili di seta. Rabbrividii a quel contatto, tremai; una paura che veniva dal profondo, mentre il mio istinto mi sussurrava di allontanarmi, di andarmene prima di fare qualcosa di stupido.

E invece rimasi lì.

Rimasi lì, sfiorando il suo volto con la punta appena delle dita; gli occhi chiusi, le guance…le labbra.

Quelle labbra carnose che non avrei mai potuto avere. Che, dentro di me, desideravo di sentire per una volta sfiorare le mie.

Non avrei dovuto farlo…

Eppure furono così dolci, quando le sfiorai appena con le mie.

Furono così fresche che riuscirono a stordirmi, a cancellare ogni mia paura…furono così soffici dal trattenermi lì, sulla sua bocca, respirando il profumo della sua pelle e del suo respiro.

Era un errore. Era una cosa così stupida…ma non riuscivo ad allontanarmi, volevo bearmi di quell’incoscienza, di quella pace. Stavo lasciando che i miei sentimenti mi governassero…è sempre stato un errore. Io, Shaylee, che mi lasciavo guidare dal cuore…

Mi separai soltanto quando avvertii le sue labbra muoversi appena, sulle mie.

Mi separai di scatto, violentemente, il cuore che mi martellava nel petto.

Mi separai con qualcosa che s’incrinava ancora di più, dentro di me.

.

Shaylee socchiuse gli occhi, ricordando suo malgrado ogni istante di quel bacio rubato.

Era stata una sciocca…ma quel sapore ancora le riempiva la mente, ancora riusciva a cancellare ogni paura dai suoi pensieri. Nonostante fossero passati ormai giorni…nonostante non avrebbe dovuto farlo, quel pensiero ancora la faceva fremere, strappandole dal cuore un battito sempre più innamorato.

Erano così vicine, quelle labbra…

Ma quando la sua soffice bocca sfiorò appena il riflesso di lui, un pensiero improvviso la colpì con una forza tremenda, facendola sobbalzare.

Le acque si mossero appena intorno a lei, agitate, improvvisamente all’erta.

C’è qualcuno.

Il rumore delle frasche…sussultò, Shaylee, quando la sua più fidata compagna le diede quella risposta che il suo cuore temeva e sperava.

È Peter.

E quando quelle parole rimbombarono nel suo cuore…quando i suoi occhi sgranarono, illuminandosi di una paura che si era illusa di non provare più…il riflesso del Re scomparve in un istante, in uno scroscio che la lasciò lì, impaurita e confusa, a sfiorare il nulla.

.

.

.

-Peter, ci sono dei problemi al lago!-

Lucy di certo sapeva come provocargli uno spavento non indifferente, quello era certo.

Peter sospirò appena, rinfoderando con un gesto stanco la propria spada.

Aveva perlustrato ogni millimetro della selva intorno al lago, i calzari che non producevano il minimo rumore sul terriccio incolto; l’avvertimento di Lucy era stato più che sufficiente per spingerlo ad essere anche più minuzioso del solito, nel controllare la foresta alla ricerca di possibili intrusi o nemici…

Non si era però avvicinato alle sponde, alla riva sabbiosa e protetta di quel luogo. Non ne aveva avuto il coraggio, non era riuscito a costringersi ad accostarsi al posto in cui riposava la creatura che occupava sempre più spesso i suoi pensieri.

Sei un idiota.

Non poteva che concordare con quel pensiero, dopotutto.

Lui, il Re Supremo di Narnia, l’Alto Re che aveva sconfitto la Strega Bianca…che si lasciava spaventare dal sentimento, dalla passione, dal dolce desiderio di assaporare l’essenza di una donna.

Di lei.

Era un idiota, questo era poco ma sicuro.

Forse…forse avrebbe potuto avvicinarsi di un poco, no?

Nonostante la sua minuziosa perlustrazione…sarebbe stato meglio controllare anche il lago. Potevano essersi annidati lì, i nemici, le spie…i suoi pensieri, le sue paure, e i suoi desideri più grandi.

Sospirò, passandosi le dita fra i capelli del colore del grano, esasperato lui stesso dalle proprie insicurezze.

Lui non era mai stato così…non si era mai lasciato sconfiggere da nulla, tantomeno dalla paura. Era fiero di se stesso e del coraggio che paventava – coraggio che era in realtà orgoglio, puro orgoglio che lo spingeva a non arrendersi mai, a non cedere dinanzi a nulla.

Eppure…eppure Shaylee distruggeva tutto ciò che aveva così faticosamente eretto intorno al suo cuore, ai suoi sentimenti. Shaylee aveva fatto breccia in quel corpo orgoglioso, colpendo, sotto la patina dorata del Re Supremo, il ragazzo insicuro e romantico che non si era mai permesso di essere.

Le fronde non produssero altro che un lieve fruscio, quando le scostò con delicatezza per superare l’ultima barriera che lo divideva dal lago.

Era un luogo meraviglioso, a sé stante: non era troppo lontano dall’accampamento, ma allo stesso tempo ne era completamente distaccato, diviso da un’impalpabile barriera che per lui, Peter, era più solida di qualsiasi muro fosse mai stato costruito.

E quella barriera era la reticenza che Shaylee ancora dimostrava nei suoi confronti, quel rancore che ogni tanto appariva ad oscurare le sue iridi dorate, quel gelo che la allontanava da lui ogni volta che muoveva un passo verso di lei.

L’ennesimo sospiro si unì agli altri, quando i suoi occhi sfiorarono appena la superficie trasparente e cristallina dell’acqua, completamente immobile.

Capiva perché la ninfa si rifugiasse sempre lì, in quel luogo; il profumo che permeava l’aria, era lo stesso che Peter ricordava fin troppo bene. Era il profumo di Narnia.

Il silenzio era ovattato, calmo; non un fruscio rovinava la bellezza di quella bolla di serenità che riempiva la foresta, di quelle acque limpide ed immobili. Ne riusciva a scorgere solamente un pezzo, ancora intrappolato fra le fronde che non gli permettevano di avvicinarsi alla riva.

Ma improvvisamente, un violento scroscio d’acqua spezzò quella calma innaturale, facendolo sobbalzare di scatto, gli istinti di nuovo all’erta.

Stava succedendo qualcosa.

E quel suono proveniva dal lago, ne era certo; significava soltanto che Shaylee era nel bel mezzo di…di qualunque cosa stesse capitando.

Fu quello a convincerlo, fu quello a spingerlo a valicare quell’ultima barriera che lo divideva da quelle acque limpide.

Ma dovette fermarsi bruscamente, a poco più di qualche metro dalla riva, quando i suoi occhi furono violentemente catturati da una figura al centro del lago.

.

Shaylee.

..

Il suo nome rimbombò chiaro e forte nel suo cuore, nella sua anima, nel suo stesso respiro, quando riconobbe all'istante le curve leggiadre e sensuali del corpo della naiade.

Di quella naiade a cui non riusciva a smettere di pensare, di quella dolcissima ragazza che era sempre, costantemente presente nella sua mente.

Era...era bellissima.

Non trovava termini abbastanza calzanti per descriverla, in quell'istante: era sensuale ed eccitante, ma allo stesso tempo pareva delicata, fragile e sinuosa come cristallo.

Era immersa in quello specchio d'acqua cristallino, completamente trasparente, soltanto fino ai fianchi dalla linea morbida e gentile. Poteva scorgere chiaramente le sue gambe sottili e delicate, gambe di danzatrice, gambe di ballerina, sinuose, eleganti, muoversi in piccoli passi sul letto acciottolato del fiume, scivolando con naturalezza sulle grandi pietre levigate come se lei stessa fosse l'acqua che le accarezzava, modellandole con pazienza e tenacia.

Gli occhi blu di Peter risalirono lentamente lungo il suo corpo. Deglutì, incapace di trattenere i propri impudici pensieri su quella creatura tanto pura quanto meravigliosa, percorrendo con lo sguardo la linea dei fianchi, accarezzando con esso la schiena liscia, dalle curve armoniose ed affusolate.

Indossava soltanto una veste...bianca, bianca come la sua pelle, come la sua purezza.

Una veste, notò un istinto prepotente dentro di lui, bagnata.

Ed ormai completamente trasparente.

Peter sentì il respiro mozzarsi, quando la naiade, ignara del suo sguardo, alzò le braccia esili e le sue dita affondarono fra quei capelli d'oro brunito, sciogliendo il fermaglio che li aveva trattenuti in un concio delicato sulla sua nuca, lasciando che quella soffice cascata accarezzasse il suo corpo fino alle natiche... perfette. Assolutamente perfette.

Era immersa nel riflesso di quella luna piena meravigliosa, infima se confrontata con la sua figura unica. Ogni dettaglio dell'astro, del satellite simbolo per eccellenza della magia, della femminilità, si rifletteva sul pelo dell'acqua, in quel ramo di fiume circondato da alberi e canneti, in uno scenario così bello da far salire le lacrime agli occhi.

E Shaylee, la ninfa dell'acqua, era là, al centro del cerchio perfetto disegnato dai raggi riflessi della luna.

Nonostante fosse di spalle, Peter poteva perfettamente immaginare i suoi lineamenti...il ventre piatto, le ossa del bacino delineate dalla veste fradicia, i seni sodi privi di qualsiasi velo che non fosse quell'abito trasparente, la linea dolce del collo e della gola, i tratti del volto che era sempre nei suoi pensieri...rabbrividì, chiudendo per un istante gli occhi, sentendo l'istinto prevedibile, prepotente, farsi strada nella sua mente e, soprattutto, nel suo corpo.

Avrebbe voluto sfiorarla, almeno per una volta. Avvertire le sue labbra dalla curva dolce e carnosa premere sulle sue, assaporarne per un istante l'aroma, sentire quel corpo snello adattarsi al suo.

Avrebbe voluto toccarla, affondare le mani fra quei morbidi capelli ora fradici sulle punte dorate, accarezzare quella pelle diafana, eburnea, sentirla scorrere sotto le dita come seta vellutata.

Ma non osava.

Non osava, per paura che Shaylee lo allontanasse, che lo rifiutasse. La naiade aveva sempre dimostrato una così palese diffidenza, per lui...

Eppure, il desiderio di scendere in acqua, di avvicinarsi a lei, era quasi irresistibile.

E vai, stupido!

Peter quasi sobbalzò, quando la voce del suo istinto – tremendamente simile a quella di Siria – rimbombò nel suo petto, dandogli una brusca sensazione d'impazienza e di desiderio che, lì per lì, non seppe riconoscere.

Vai da lei! Buttati! Dimostrale cosa provi, dannazione!

...era veramente preoccupante, sentire la voce di quell'irritantissima rossa nella testa.

Ma...

Suo malgrado, si ritrovò a pensare che, forse, non aveva tutti i torti. Avrebbe dovuto almeno tentare di avvicinarsi alla ninfa sempre così sfuggente, provare a dimostrarle, se non a parole almeno a gesti, ciò che si stava lentamente scoprendo a provare...

E poi, repentinamente, qualcosa nel suo petto scattò.

Prim'ancora di rendersene conto, si ritrovò sul bagnasciuga ghiaioso del fiume, le mani che velocemente slacciavano le fibbie della tunica che indossava. Se la sfilò velocemente, animato da una frenesia ed una determinazione insopprimibili, spinto da quell'istinto che ormai urlava il desiderio di sfiorarla, di toccarla, almeno per una volta.

Rimasto a torso nudo, la luce candida della luna che illuminava le scanalature perfette del suo torace statuario, scolpito, e della sua schiena muscolosa, si sfilò i calzari, prima di muovere qualche passo nell'acqua fredda.

I raggi lunari si specchiavano sui suoi capelli biondi, rendendoli quasi adamantini, cangianti e mutevoli per ogni passo che muoveva, ogniqualvolta la luce che li colpiva mutava. Gli occhi blu, fissi su di lei, su Shaylee, brillavano di riflessi celesti, gli stessi che si riflettevano sul pelo dell'acqua opalescente.

La naiade non dava segno di averlo sentito.

Eppure, proprio lei, così in sintonia con il suo elemento, avrebbe già dovuto sapere della sua presenza, avrebbe dovuto avvertire il corpo alto e snello che avanzava lentamente, il più silenziosamente possibile, verso la sua persona...

Quando si ritrovò a pochi centimetri da lei, si fermò.

Poteva scorgere ogni dettaglio del suo corpo, in quel momento.

I capelli umidi che sfioravano il pelo dell'acqua, le ciocche dorate che danzavano ipnotiche fra quei crini bruni.

La linea innocentemente provocante della schiena, delineata alla perfezione dalla veste candida e trasparente, la curva profonda del fondoschiena, le natiche sode...Peter risalì repentinamente con gli occhi, imbarazzato dal pensiero decisamente poco casto che era appena balenato nella sua mente.

-A cosa stai pensando?- la voce della naiade, bassa, sottile, riuscì quasi a costringerlo a sobbalzare. Non si era voltata, non si era minimamente mossa; ma come aveva intuito sapeva che lui era lì, avvertiva la sua presenza, l'elettricità che correva fra loro in quell'istante...

Non sarebbe stata affatto un'idea galante, risponderle sinceramente.

Perché Peter, nonostante fosse un sovrano, nonostante avesse sulle spalle pesi che un ragazzo della sua età non avrebbe mai dovuto portare, era pur sempre un uomo. Ed in quel momento, l'uomo che c'era in lui stava pensando a quanto avrebbe desiderato sfiorare quelle natiche piccole e sode, accarezzarle, stringerle con dolcezza a sé ed avvertire il corpo minuto della ninfa premere sul suo...

-Ma soprattutto...cosa sei venuto a fare qui?- la voce di Shay si spezzò, su quell'ultima domanda. Si confuse con il frinire sommesso dei grilli intorno a loro, nascosti nella foresta, che tessevano e cantavano odi alle loro amate, pregandole di esserne amati a loro volta, anche soltanto per una notte.

Peter non rispose.

Spiegarle...rispondere alla sua domanda, tentare di dar voce a quell'istinto insopprimibile che lo aveva spinto fra le acque limpide di quel fiume, gli sembrava impossibile.

E quindi si limitò a non dire nulla, ad attendere che fosse ancora lei a parlare, per il desiderio recondito di sentirla pronunciare il proprio nome, almeno una volta. Per assaporare il suono dolce e carezzevole della sua voce, mentre lo chiamava...

Avvertì una dolce carezza appena accennata, sulle gambe, sulle cosce tornite, quando l'abito di lei, fluttuante in mezzo alla corrente, ondeggiò fino a sfiorarlo, ed il volto di Shaylee riempì – finalmente – il suo campo visivo.

Il Re Supremo rabbrividì, in quell'attimo, quando gli occhi ambrati della ninfa si spostarono nei suoi. Li vedeva tremare, li vedeva densi di terrore ed esitazione, li vedeva dolci e limpidi come lo specchio d'acqua in cui si trovavano immersi. Aveva paura, Shaylee, lo guardava come se non avesse avuto altro desiderio che fuggire ancora...ancora, per l'ennesima volta.

-Shaylee, io...- mormorò, ma le parole morirono sulle sue labbra soffici, quando lo sguardo della fanciulla si allontanò dal suo. Tutto quel che avrebbe desiderato dirle, tutte le parole, che nel suo cuore rimbombavano con prepotenza, che avrebbe voluto rivelarle...sembravano bloccate lì, nel suo petto, attanagliate da un terrore mai provato prima d'allora. Diverso dalla paura che si prova in battaglia, diverso dal timore umano della morte, diverso da qualsiasi cosa avesse mai sperimentato.

Era quel sentimento che si prova quando si ha il terrore di essere rifiutati.

Prese fiato, un lungo respiro appena spezzato dall'ansia, inclinando appena il viso per cercare quello di lei. Quel volto eburneo e delicato che aveva preso possesso di ogni suo singolo pensiero...

-Ti scongiuro...guardami.- sussurrò, talmente piano che le sue parole sembrarono essere inghiottite dai fruscii del bosco, dallo zampillare delle acque. La vide socchiudere le palpebre, comprese che la ninfa aveva sentito la sua voce. Lui, l'Alto Re, che pregava.

Rimasero entrambi immobili per qualche istante, ed il biondo, non per la prima volta, si ritrovò a temere di aver esagerato ancora. Avrebbe dovuto raccogliere tutto il suo coraggio, quel coraggio che sembrava magicamente scomparso, e dirle tutto quanto...

Con esitazione, la sua mano si alzò verso il volto di lei. Shaylee se ne accorse, restò ferma, esitante quanto lui, insicura, spaventata...

Fu quando le dita sorprendentemente soffici del re sfiorarono la sua pelle che la ragazza chiuse gli occhi, trattenendo una lacrima che lottava per scendere.

Era così meraviglioso, quel contatto...non avrebbe voluto rinunciarvi, avrebbe soltanto desiderato di sentirlo per sempre, di perdersi in quella carezza e sulla bocca soffice del Re di Narnia...ma non riusciva.

Non riusciva a fidarsi di lui, non riusciva a permettersi di rischiare ancora. Il suo cuore era ancora spezzato, ancora racchiuso dietro corazze di terrore che impedivano a quel sentimento oramai onnipresente di rivelarsi, di vivere...l'amore già una volta l'aveva ferita, l'amore già aveva trafitto il suo petto, e lei non poteva, non avrebbe sopportato un'altra volta.

Un battito ostinato, una pulsazione troppo forte, e la ninfa scomparve.

-Shaylee!- il biondo sobbalzò, quando si ritrovò a fissare soltanto l'acqua limpida in cui era immerso fino alla vita, gli alberi silenti della foresta che crescevano robusti poco lontano dalla riva.

Sentì qualcosa sprofondare, nel suo petto, quando si rese conto di averla fatta scappare per l'ennesima volta. Per un attimo, desiderò ardentemente di piangere, di sfogare in qualsiasi modo quel dolore improvviso che attanagliava ogni suo singolo organo, la sua mente, la sua anima.

Serrò gli occhi, impedendosi qualsiasi reazione, la delusione e l'angoscia che prepotenti tornavano a vigere nel suo cuore.

Ma no.

No, stavolta no. Non avrebbe avuto un'altra occasione, non sarebbe più riuscito a trovare quella forza che lo spinse ad alzare lo sguardo, di nuovo determinato, una mano che saliva ad arruffarsi i capelli e la decisione di trovarla più viva che mai.

Uscì dall'acqua cercando di fare il meno rumore possibile, ritrovandosi gocciolante sul greto del lago. Le sue iridi celesti sfrecciavano rapide ed attente intorno a lui, per quanto una vocina continuasse a suggerirgli che era sciocco, Shay era una ninfa dell'acqua, avrebbe potuto tramutarsi in zampilli e sparire completamente...

No.

Eccola.

Gli si strinse il cuore, nel vederla così. Non era molto lontana da dov'era scomparsa, era semplicemente emersa a pochi metri da dove ora si trovava Peter, i piedini delicati immersi ancora nel suo stesso elemento.

Le braccia cingevano quasi convulsamente il suo petto sottile, i seni, l'espressione era tormentata e oscurata dai pensieri. Pensieri che non riusciva più a trattenere, pensieri che la stavano torturando da tanto tempo...

Il Re Supremo esitò solo un istante, prima che la sincera, genuina preoccupazione per lei prendesse il sopravvento.

Sentendo il suolo sabbioso abbassarsi sotto i suoi passi cauti, coprì in una manciata di istanti eterni lo spazio che li separava, arrivando a non più di mezzo metro da lei. Rimase in silenzio, beandosi di guardarla, sperando di riuscire, stavolta, in quello che tentava ormai da giorni.

La vide fremere, quando si accorse della sua presenza, gli occhi socchiusi su quelle iridi ambrate, screziate, venate ancora del più puro terrore: il terrore di amare e di lasciarsi amare, quel timore vero e spontaneo di perdere ancora una volta il proprio cuore.

-No, Shaylee...- proruppe, tendendo di nuovo una mano, una nuova sicurezza nei gesti e negli occhi. La ninfa schiuse le palpebre, alzando timida lo sguardo sul Re, implorandolo quasi di andarsene, di non costringerla sull'orlo di quella terribile incertezza. -...ti prego. Non scappare.- un lieve sorriso incerto comparve sul volto del biondo, la sua voce era calda, per un istante riuscì a far breccia nella cappa di paura che avvolgeva il suo cuore. Quel cuore che sussultò, quando per la seconda volta, quella notte, la mano calda ed incredibilmente soffice del Re si posò sul suo volto.

Ed il suo istinto, stavolta, non le suggerì di scappare.

Chiuse gli occhi, lasciando che quella carezza sfiorasse con esitante dolcezza il suo viso, le dita che accarezzavano le palpebre morbidamente socchiuse, in un modo molto diverso da come aveva sempre fatto nei suoi confronti. Chiudere gli occhi, negarsi la vista, era sempre stato un modo per estraniarsi, per non pensare...invece, ora, riuscì soltanto a moltiplicare la splendida sensazione di benessere che quel tocco le stava trasmettendo, il battito del cuore sempre più forte, sempre più deciso a spezzare ogni sua singola paura.

Schiuse ancora lo sguardo, a malincuore, quando la mano di lui scese con delicatezza sul suo collo, assaporando appieno il calore di quelle dita sulla pelle ancora umida. Quasi sussultò, quando ritrovò il volto di lui così vicino; il respiro le si mozzò, sì. Ma non per paura.

Rimase quasi incantata, a guardarlo. La luna rendeva giustizia al color miele dei suoi capelli, lisci e delicati, che incorniciavano il suo volto di adulto e bambino, angelico, sereno come mai lo aveva visto prima d'allora. Si rese conto che anche Peter era rimasto imbambolato da quella carezza, che le stesse emozioni che avevano attraversato lei avevano trafitto con dolcezza anche il cuore del Re. Lo vedeva dal lieve sorriso su quelle labbra perfette, lo vedeva dall'immensa tenerezza con cui la stava guardando, le iridi celesti rese quasi cerulee dai raggi dell'astro che li osservava, educato e silenzioso.

Ora, o mai più.

Non avrebbe più potuto avere quella possibilità. Avrebbe dovuto parlare, adesso, ma non sarebbe mai riuscito ad esprimere tutto ciò che provava con delle semplici parole. Era un uomo d'azione, lui, in fin dei conti.

Il volto del ragazzo si accostò appena a quello di lei, il respiro che curioso andava ad assaporare quello di lei. Le sue palpebre si abbassarono appena, quando quel profumo dolce, fresco, frizzante, inebriò la sua mente ed i suoi sensi, cancellando per la prima volta qualsiasi altro pensiero dalla sua anima.

Fu proprio quando le loro labbra s'incontrarono per la prima volta, che Shaylee sentì quelle ultime barriere crollare.

Poté avvertirle quasi letteralmente; sussultò, quando il suo cuore finalmente libero poté davvero battere emozionato, a quel contatto appena accennato, che accese le sue guance di rosso e i suoi occhi di una luce che da tanto tempo languiva silente nella sua anima.

Peter si accorse del suo fremito, vide i suoi occhioni colmarsi di sorpresa, un sorriso dolce ed imbarazzato comparire sulle sue labbra. Anche lui sorrise, il cuore che ruggiva di gioia nel petto, accostandosi di più a lei con la sicurezza che, questa volta, non lo avrebbe respinto.

Leggere come il tocco di una farfalla, le sue labbra si posarono di nuovo su quelle della giovane. Non si scostarono subito stavolta, restarono lì, assaporando la morbidezza di quei due boccioli chiari che aveva desiderato, e desiderava, più di qualsiasi altra cosa.

Piano, senza la minima fretta, le loro bocche si adattarono l'una all'altra.

Per la prima volta denudata da tutto, dal timore, dalla diffidenza, guidata soltanto dal battito frenetico ed appassionato nel suo petto, fu lei ad avvicinarglisi, le mani delicate che andavano ad accarezzare delicate ed esitanti le sue spalle, alzandosi sulle punte dei piedi affusolati per cercare ancora quella beatitudine.

L'incredulità, per Peter, fu quasi più forte della felicità. Riusciva a malapena a rendersi conto di ciò che stava succedendo, di essere lì con lei, di poterla sfiorare...posò le mani sui suoi fianchi soffici, volendo trarla a sé, per essere sicuro di non sognare, per realizzare davvero che sì, stavolta era reale davvero.

Si baciarono là, sul greto di quello specchio d'acqua limpida, la Luna che, educata, si velava di opalescenti nubi per non intromettersi in quell'attimo che apparteneva soltanto a loro.

Le loro lingue si trovarono prim'ancora che potessero rendersene conto. Un intreccio leggero, un trovarsi pieno di palpiti emozionati, un esplorare lentamente l'anima dell'altro. Senza fretta, senza irruenza, Peter trasse fra le proprie labbra quella lingua soffice ed ancora cauta, volendo cancellare anche le ultime tracce d'incertezza che avvertiva in lei. Strinse il suo corpo fra le braccia, sfiorando la sua schiena, sentendo quei seni delicati premere sul proprio torace e le gambe snelle aderire alle proprie.

Era il paradiso...non esisteva una definizione più calzante di quella.

E Shaylee, Shaylee sorrideva fra sé, abbandonata fra quelle dolci onde che la trascinavano via, onde d'amore, onde di desiderio, onde che cancellavano tutto quello che era stato fino a quel momento dentro di lei. C'erano soltanto loro, nel cuore che sempre più forte palpitava premuto sul torace di Peter. Soltanto lei e lui.

Quasi non riconobbe sé stessa, quando le sue mani lo trassero a sé, le ginocchia che si piegavano con dolcezza per raggiungere il suolo sabbioso. Ma non le importava, adesso l'unica cosa importante era non perdere nemmeno un istante di quella notte, era sentirsi sua, sentirsi come non era mai appartenuta a nessun altro.

Perché lei lo amava...e cercare di fuggire a quel sentimento le aveva fatto soltanto del male, ne aveva fatto a Peter. Fuggire dall'amore, tentare, era stato sciocco, era stato stupido...

Ma ora, davvero non aveva più importanza.

Si ritrovarono in ginocchio, l'uno di fronte all'altra, le labbra che senza indugio continuavano a cercarsi, ad assaporare con desiderio la bocca dell'altro. Lei era piccina, esile al suo confronto, sul suo petto scoperto si perdeva in un abbraccio saldo e protettivo al tempo stesso.

Ma fu Peter, questa volta, a separarsi da lei.

Shaylee riaprì gli occhi, sorpresa, quando sentì le labbra di lui abbandonare le proprie. Alzò lo sguardo su quello indecifrabilmente penetrante del biondo, di Peter, che la guardava con forza, affondando in quei due pozzi d'ambra in cui più d'ogni altra cosa avrebbe desiderato perdersi.

La osservava, cercava qualcosa dentro di lei ma Shaylee non sapeva cosa, sentiva soltanto una paura diversa farsi strada nel suo cuore. Quel timore che, ora lo sapeva, aveva attanagliato lui per tanto tempo, il terrore di essere rifiutata, di essere lasciata sola...

Ma poi, un sorriso, una nuova carezza data con maggior ardore.

Il nuovo bacio di Peter la sorprese, le fece sgranare gli occhi; il biondo sorrideva, sulle sue labbra, un sorriso sincero e palpitante capace di farla perdere in quei due specchi azzurri che erano le sue iridi.

Arrossì, la serenità in quello sguardo che si trasmetteva istantaneamente anche a lei. Era curioso come provassero gli stessi sentimenti, gli stessi tormenti, le stesse paure...era strano, era inaspettato. Era bello.

Con dolcezza, Peter la posò sulla sabbia soffice, ruvida e scabrosa al confronto della pelle di panna della ragazza, che sentiva accaldata ed umida sotto la vesta ormai trasparente. Il suo corpo si adagiò con morbidezza su quello della ragazza, una mano a terra, puntellandovisi per non pesarle eccessivamente addosso, l’altra che lentamente affondava nei suoi morbidi capelli bronzei.

Shaylee sussultò, quando sfiorò la pelle incredibilmente calda, tonica, liscia, del suo torace; era soffice, aveva un profumo particolare, fresco, dolce…quasi fosse…vaniglia. Si aggrappò alle sue spalle, sentendo il proprio corpo andare a fuoco, riscaldarsi di un desiderio e di una passione mai provati prima d’allora.

Gli occhi di Peter, quei meravigliosi specchi azzurri, cercarono di nuovo i suoi, quando il loro bacio si spezzò ancora. C’era una muta domanda, in quelle iridi pulite, pure come specchi d’acqua, come sprazzi di cielo estivo.

Posso amarti, Shaylee?

Lei lo sapeva, lei capiva cosa le stesse chiedendo. Ma nemmeno per un istante, neanche per un attimo soltanto, dubitò di lui, di sé stessa, di ciò che pulsava vivo e vero nel suo corpo e nel suo sangue.

Le sue guance s’imporporarono di nuovo, un lieve sorriso apparve sulle sue labbra delicate, quando dolcemente, gli occhioni lucidi di vita, annuì.

Amami, Peter. Amami, come mai hai amato prima d’ora.

Gli occhi dorati della ninfa si socchiusero, quando le labbra soffici e bollenti del biondo si posarono sulla sua guancia, all’angolo della bocca. Si perse nel seguirne il percorso, abbandonandosi alla loro morbidezza, alla loro dolcezza, al loro sapore che tornava a mischiarsi col suo in un bacio di passione, di desiderio, le lingue che si catturavano e si sfuggivano ad ogni istante.

Un morbido sospiro sfuggì dalle labbra della giovane, quando quella stessa bocca scese ad accarezzarle la gola, lasciando dietro di sé il desiderio d’essere sfiorata ancora.

Le mani calde di Peter erano sempre sui suoi fianchi, avvertiva la loro forma, la loro morbidezza sulla pelle. Sembrava combattuto, poteva avvertire la sua mente fremere, il suo desiderio imbrigliato dalle ferree redini dell’autocontrollo. Si sarebbe fermato in qualsiasi momento, se soltanto lei lo avesse chiesto…

Ma Peter ancora non capiva, quanto lei non volesse più fermarsi.

Si abbandonò a quei baci delicati, eppure tanto ardenti, che lentamente scendevano sulla sua spalla, delineando la gola, la clavicola delicata e esposta sotto la sua pelle chiara. Sentiva il cuore battere furioso nel suo petto, forte, vivo, sapeva che quelle pulsazioni sempre più rapide, quasi possedute, erano soltanto per lui, per Peter, per l’uomo che amava. Si ritrovò a vagare con le mani sulla sua schiena, sussultando ancora quando le sue dita affusolate scesero a disegnare i solchi del suo torace, ancora nudo, statuario, perfetto.

E Peter, a quel tocco, sentì che quelle carezze non gli bastavano più.

Con un tocco dolce, eppure sicuro, accarezzò le sue gambe partendo dal ginocchio, risalendo sul lato esterno delle cosce sode e delicate fino a scoprirle, raccogliendo la veste sull'anca di lei. Sospirò, quando con un gesto tanto inaspettato quanto naturale, Shaylee lasciò che le proprie gambe si allacciassero al suo ventre, il corpo soffice della ninfa che sussultava nel ritrovare il proprio desiderio specchio evidente nel corpo di lui.

Dal collo, le sue labbra scesero ancora sulle spalle della fanciulla, senza fretta, soffermandosi per assaporare ogni millimetro della sua pelle. Sotto le sue mani, il corpo della ninfa pareva creta da modellare, la sentiva rispondere ad ogni suo tocco in un’armonia mai provata, mai avvertita, da sempre, inconsapevolmente, agognata.

Shaylee sapeva. Sapeva che non le avrebbe fatto del male, adesso, che quella notte apparteneva soltanto a loro, che il battito dei loro cuori premuti l’uno sull’altro pulsava lo stesso ritmo.

Piano, senza fretta, le carezze di lui portarono via con sé i suoi pensieri e le sue vesti.

Istintivamente, un gesto dettato più dal pudore che dalla paura, le braccia della ragazza salirono a coprirsi, a velare un poco il suo corpo nudo dallo sguardo di lui.

Quello sguardo che non possedeva traccia di malizia, quello sguardo pieno soltanto di dolce desiderio, quei due specchi azzurri che la guardavano quasi adoranti, innamorati.

Lo vide sorridere appena, quando avvertì le sue guance accendersi di rossore, dell’imbarazzo che quello sguardo tanto intenso riusciva a provocarle.

Gentilmente, le dita soffici del biondo si chiusero intorno ai suoi polsi esili, spostando le sue mani affusolate sulle proprie spalle, fra i propri capelli. Socchiuse appena gli occhi, beandosi di quel contatto, del tocco fragile e splendido che avvertiva sulla pelle.

-Sei bellissima.- sussurrò, piano, senza spezzare la magia di quel silenzio saturo di sospiri che li avvolgeva in un soffice calore, in una bolla di calda aria che apparteneva soltanto a loro.

Shay si sentì avvampare ancora di più, un lieve sorriso imbarazzato che compariva sulle sue labbra delicate. Il suo corpo si mosse appena, si avvicinò inconsciamente di più a lui, possente in confronto a lei, affondando il viso nell’incavo fra la sua gola e la spalla, sentendolo sorridere.

Avvertì il calore delle sue mani scendere sulla sua schiena. Un tocco piacevole, meraviglioso, che accendeva sensi fino a quel momento mai scoperti; si ritrovò a sospirare, inspirando il profumo della pelle di Peter, quel misto di acqua fresca e aroma di vaniglia, di sole e di terra, la terra di Narnia, la loro terra.

Vinta, dal desiderio, lasciò scivolare le dita lungo le linee del petto di lui, fino alle curve marcate e contratte degli addominali, del ventre. Le avvertì contrarsi sotto al suo tocco, per un attimo si stupì di quella reazione. Era così sensibile a lei…

Una morbida onda di piacere la investì di nuovo, quando avvertì le labbra di lui sulla pelle calda, tonica, vergine del seno. Affondò nuovamente le dita fra i suoi capelli, lasciandosi trasportare, sballottare via da quella marea che cresceva sotto le carezze di una Luna velata, silente spettatrice dell’incontro di due amanti.

Peter vi si dedicò a lungo, beandosi dei suoi sospiri, del suo corpo che avvampava, godendo dei suoi gemiti e del sapore della sua pelle. Delicate le sue mani solcavano quel corpo che amava, ne sfioravano le curve, le veneravano come mai aveva toccato una donna prima di quell’istante. Shaylee non era una; lei era tutto.

Quando avvertì il suo corpo fremere ancora di più, in trepidante attesa di lui, si fermò.

Era più di quanto avesse mai osato sognare.

Era più di quanto avesse mai potuto sperare.

La guardò in volto, beandosi dei suoi tratti rilassati dal piacere, delle sue palpebre socchiuse, delle sue labbra arrossate dal sapore dei baci. Quasi ad avvertire i suoi pensieri, la ragazza schiuse gli occhi, ritrovando con un sospiro innamorato il proprio desiderio, il proprio amore, in quei due sprazzi di cielo estivo.

Fu guardandola, senza mai abbandonare i suoi occhi, che lentamente Peter lasciò unire i loro corpi, le loro labbra, le loro anime.

La avvertì sussultare, quando con delicatezza si fermò, lasciandola abituarsi alla sua presenza. La guardava fremere, sentiva le sue unghie graffiarlo debolmente sulle spalle; con un moto di sorpresa, di gioia, comprese.

Non si mosse più, baciandola con una dolcezza infinita, le labbra che si muovevano gentili su quelle di lei, rassicurandola, riscaldandola. E presto quel dolore inaspettato svanì, lasciando spazio a ben altro.

Non pensava più a nulla, Shaylee. Non osava credere al sogno che stava vivendo, era completamente persa, morta e rinata sotto le carezze ed i caldi baci di Peter.

Fu lei a schiudere gli occhi, dopo un’eternità durata un battito più forte del cuore, cercando le sue labbra, il suo sapore, il suo profumo. Fra le dita la seta dei suoi capelli, nella mente il suo profumo, la sua presenza, lui.

Non c’era più Peter, non c’era più Shaylee. Non erano più due i cuori che battevano, non erano più divisi i loro pensieri. C’erano soltanto loro.

Le spinte iniziarono piano, lente, dolci, misurate.

Labbra che si perdevano, che si ritrovavano, che si cercavano in un dolce rincorrersi sempre più bramoso.

La voce calda, soffice, innamorata di Peter che sussurrava dolci parole sulla sua pelle, sulle sue labbra, le dita che s’intrecciavano sulla morbida sabbia che accoglieva il loro amore, il lieve dondolio di due corpi che si amavano.

-Peter…- un sussurro morbido, un calore ancor più intenso nel ventre e nel cuore. Una spinta più profonda, un bacio più passionale, un gemito sfuggito da quei boccioli rossi che erano le labbra dell’Alto Re di Narnia.

Del suo Re.

E fra morbidi gemiti, fra i loro nomi sussurrati sulla pelle dell’altro, entrambi sentirono di abbandonare anche l’ultima remora, l’ultima paura, il piacere che finalmente non si lasciava più attendere.

Il calore, il respiro mozzato.

Labbra che improvvisamente mordevano, unghie che graffiavano, muscoli repentinamente contratti.

L’estasi li colse all’improvviso, nel silenzio di quella foresta satura di una nuova magia. Travolse i loro corpi, beandoli insieme, nello stesso istante, cancellando dai loro pensieri qualsiasi cosa che non fosse l’altro.

I sospiri si fecero più accelerati, gli occhi di lui si persero, in quelle pozze dorate piene di desiderio.

-Shaylee…-

.

.

.

.

.

Peter sentì un morbido suono gorgogliare poco lontano da lui. Era un suono familiare, amico, conosciuto, ma lì per lì non seppe come mai risuonava così vicino, come se si trovasse a poca distanza dalla sua origine. Era il suono dell’acqua corrente del fiume, del lago poco lontano dalla cripta, ma era ben distante da dove lui solitamente si coricava…

Gli occhi chiusi, l’espressione serena, Peter cercò di riordinare i propri pensieri, ancora confusi, lontani, persi in un’oasi di beatitudine che non avrebbe mai pensato di poter provare.

Un volto, un sapore, un profumo…un istante, il cuore che accelerava, e un’ondata di ricordi e sensazioni si riversarono improvvisamente nella mente del Re Supremo di Narnia, facendolo sobbalzare.

Shaylee.

Sul greto di quello stesso specchio d’acqua…si erano addormentati lì, abbracciati, stretti l’uno all’altra, il visetto della naiade nascosto nel suo collo, le sue braccia a cingerle il corpo esile, il respiro abbandonato fra i suoi capelli bronzei…

Abbiamo fatto l’amore.

Questo, l’unico pensiero che si fece strada nella marea di immagini che affollavano la sua mente.

Eppure…eppure c’era qualcosa che non andava. C’era qualcosa di sbagliato, lo avvertivano i suoi sensi, il suo istinto, il suo corpo, i suoi pensieri…qualcosa che avrebbe dovuto esserci, ed invece non c’era.

Provava freddo…non avrebbe dovuto sentire freddo, non ne aveva provato nemmeno per un istante durante quella notte, stretto al corpo sempre caldo di Shaylee…

Con uno sforzo dettato più dalla paura, che da tutto il resto, l’Alto Re di Narnia aprì gli occhi, il gorgoglio ed il profumo del lago che invadevano i suoi sensi.

D’istinto, cercò accanto a sé, cercò quella ragazza dalla pelle di latte, dagli occhi dorati, quegli occhi in cui amava affondare, perdercisi.

Ma Shaylee…Shaylee non c’era più.

Si guardò intorno, aspettandosi, sperando di vederla lì, accanto a lui, pregando per poter rivedere quel viso sereno, come aveva potuto scorgerlo soltanto quella notte…

Niente.

C’era soltanto la silente Narnia, intorno a lui.

E Shaylee, Shaylee se n’era andata.

..

..

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My Space:

B:....E PETER CE LA FAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!! *rotola via*

K *in diretta da non si sa dove*: ma volete prendermi in giro? No, volete davvero dirmi che quel robo lì ha davvero consumato? Ma state scherzando? *ci pensa su* A-AH! Il Re Supremo ha perso la verginitàààà il Re Supremo ha perso la verginitàààà!!!

No, okay, facciamo le persone serie. Più o meno. Insomma, con un capitolo del genere non si può essere troppo seri, via xD Peter sarà preso per il culo a vita....ma già lo è, quindi tanti saluti e complimenti alla mamma xD

E' quasi un mese che non aggiorno, e mi dispiace tantissimo. A mia discolpa, posso dire che ho passato questi giorni cercando di rimettere ordine nella mia vita, nella mia casa, e soprattutto dentro di me. Sto meglio, ora. Mi sono rialzata, e ho ricominciato a combattere. Contro il dolore, contro le paure, contro la mia malattia. Vado avanti.

E un grazie speciale, lei sa per cosa, va alla mia Romy. Ti voglio tanto, tanto bene. Grazie, di tutto quanto, anche solo di esserci. :)

© Ovviamente, i credits su Shaylee e sulle scene che la riguardano sono sempre della Fla :)

Ho il piacere di annunciarvi che la sottoscritta ha passato egregiamente i suoi esami di ammissione alla quinta superiore, che sta frequentando alle scuole serali; media del 7 abbondante in tutte le materie :) (8 in inglese, italiano, storia e tedesco; sono soddisfazioni, se non fosse che faccio ragioneria e in matematica ho il sei tirato ^^") anche se i problemi fisici che mi hanno costretta a lasciare la scuola due volte non sono spariti, ora non sono due anni che ho perso a causa delle malattie, ma soltanto uno. E' una bella soddisfazione :)

Questa immagine è quella che originariamente mi ha ispirata per l'abito di Shaylee in questa occasione:

Questa immagine rappresenta molto, molto bene il luogo che abbiamo immaginato per questo galante incontro xD:

Rinalamisteriosa [Contatta] Segnala violazione
06/09/10, ore 21:58 - Capitolo 20: Wild Child.
Lucy è una bambina alquanto mefistofelica xD non si può non amarla! Sono contenta che tu avessi intuito gli abbinamenti che avevo scelto già da un pò...gli indizi c'erano già da tempo ^^
Anche riguardo a Siria, ho sparso diversi indizi; la sua natura è tutta lì, io l'ho già praticamente detta xD
Peter e Shay...ah, santa pace, ventun capitoli!!!!
E' mio diletto farli dannare i miei personaggi...nella mia prima storia ne impiegai 12, nel seguito della stessa - per due coppie diverse - prima 23 e poi 49...insomma, ormai è assodato, mi diverto a maltrattarli xD
Spero che ti sia piaciuto questo capitolo, questi due sono zuccherosi fino alla carie ^^" Peter è un cocker morbidoso, ne sono sempre più convinta!!! Un bacione!
romina75 [Contatta] Segnala violazione
06/09/10, ore 21:20 - Capitolo 20: Wild Child.
Tesoro :) Sto meglio, sai? Più di tutto il resto, sei stata tu a darmi la spinta per rialzarmi; se ce l'ho fatta, se ho ritrovato di nuovo la voglia e la forza di vivere e combattere, è stato anche (e soprattutto) grazie a quella chiacchierata su Facebook. :)
Parlando del capitolo, che altrimenti gli admin incombono...xD
Finalmente il cockerino arriva in casa base! xD Questo capitolo è pronto più o meno da quando ho cominciato a postare la fanfiction, sai? E all'inizio ero lì a borbottare, nei confronti di Shaylee: "ma tanto io so che fine ci fai con quello...." xDDDD
E' stato lungo da riordinare e da completare, la parte iniziale di Shaylee è stata scritta tutta nell'arco delle ultime due settimane ^^" ma pian piano sto ricominciando a trovare il piacere di scrivere, e non per buttare giù parole piene di dolore. Per puro e semplice piacere mio, perché amo farlo, e perché voglio dare qualcosa.
Edmund e Tara ti hanno sorpresa? xD mi hanno l'aria esplosiva quei due xD
Un bacione, e un abbraccio forte <3
VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
06/09/10, ore 11:43 - Capitolo 20: Wild Child.
TU, SEI STATA, IN FINLANDIA!?!?!?!?!?!
Potevi portare anche me ç.ç voglio vedere Torre Valo ç.ç
Okay, scusa lo sclero, non c'entra niente ^^"
Direi che "il respiro profondo prima del balzo" sia la descrizione azzeccata per il capitolo precedente, visto tutto l'ambaradan che capita in questo xD Peter ce la faaaaaaaaaaaaaaa *riparte a gongolare come una cretina*
Oh, anche io adoro Edmund! Penso che sia quasi meglio di Peter, per alcuni versi, anche se nel Re Supremo continuo a distinguermi di più :) Aaron e Susan hanno tanto ancora da dare, sono una coppia che, a mio parere, si completa ^^
Ho una domanda per te, più un sadismo mio a voler mettere la pulce nell'orecchio alle persone xD ho sparso un pò di indizi in giro per i capitoli, sulla natura di Siria; come ho chiesto a Rina, lo chiedo anche a te...hai intuito qualcosa? xD
Un bacione!!!
Alchemia [Contatta] Segnala violazione
05/09/10, ore 23:00 - Capitolo 20: Wild Child.
Chiiiiiiiiiiiiiiiiiiiica! xD
Ho aggiornato, per la tua spassionatissima giuoia xD Non è che ti metterai a fare i Sims anche di questa povera gente qui, eh? Sai che sarebbe un massacro?
Però un Sim Raperonzolo...no, certe idee è meglio non dartele xD
Supremo Imbecille *-* Amo quella ragazzina, e le mie uscite geniali xD
Chica...Raperonzolo ha consumato! Muaaaaaaaaaaaah! xDDDDDDDDDDDDDDDDDD
Sì, sto sclerando causa quasi-due-di-notte e ormoni in circolo xD
Ti voglio bene <3

Questo è lo spoiler, invece, per il prossimo capitolo:

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L’espressione del telmarino divenne di ghiaccio, quando una macchia rossiccia apparve a livello della sua gola. Un punto mortale, un punto che soltanto un assassino avrebbe potuto colpire con tale precisione.

Peter rimase a guardarlo, mentre lo stesso stupore del nemico si dipingeva sul suo volto. Quella non era una freccia, non apparteneva a Sue; era un dardo di faretra, ma quelli di Edmund erano neri come l’inchiostro…

-Non pensare che sia così semplice morire, Supremo Idiota!-

…doveva essere un incubo, non c’era altra spiegazione possibile.

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Love you all, B <3

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Capitolo 22
*** Frozen. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Frozen - Within Temptation

Siria non era una stupida.

Aveva tanti difetti, sicuramente non era una persona mite e dai ferrei principi morali: ma non era una sciocca, e sicuramente, non era cieca.

Quella mattina si era svegliata alle prime luci dell’alba; era il suo turno di montare la guardia, di dare il cambio ai fauni che avevano vegliato durante la notte.

Aveva lasciato la cripta di Aslan mentre Caspian ancora dormiva profondamente, il braccio abbandonato là dove lei era rimasta accoccolata fino a quel momento.

Era uscita nella tenue foschia dell'alba di Narnia, avvolta nel suo immancabile mantello nero come la notte appena terminata. I lunghi capelli rossi spiccavano nella penombra annebbiata, raccolti in un'acconciatura scomposta sulla nuca; li aveva coperti con il cappuccio, accuratamente.

Un istante più tardi, in una delle sue flessioni impossibili, era già scomparsa fra le ombre sempre più pallide del mattino.

Era uno spettacolo inusuale, vederla muoversi con l'eleganza di una pantera fra i rami degli alberi che tanto bene conosceva. Il mantello frusciava con l'eleganza delle ali di un corvo, velando la sua pelle candida dal gelo del mattino; e gli occhi blu sfrecciavano, rapidi e calcolatori, su tutto ciò che la circondava, attenti.

I calzari quasi non sfioravano il legno dei rami, tanto veloci erano i suoi balzi. Saettava fulminea fra le fronde, silenzioso rapace che non una foglia scuoteva al suo passaggio; doveva raggiungere il suo punto preferito, una quercia più alta delle altre da dove aveva una visuale perfetta di tutto l'accampamento.

Ma qualcosa l'aveva distratta, distogliendo la sua attenzione dalla consueta attenzione che dedicava alla foresta; per lei era diventato un rituale, quella pace mattutina che la pervadeva quando raggiungeva i suoi amati alberi.

C'era una persona, poco lontano dal lago.

In un primo momento, aveva pensato che si trattasse di Shaylee; ma era troppo presto, la ninfa probabilmente ancora riposava fra i suoi flutti...

Aveva rallentato, all'erta, la mano che correva d'istinto alla fedele balestra che portava sempre con sé. Senza un suono si era calata sui rami più bassi, portando l'arma contro la spalla, ascoltando il suono dei passi che si avvicinavano sempre più a lei...

Ma si era ritratta di scatto, allibita, quando aveva riconosciuto un'inconfondibile macchia di capelli biondi spiccare nel verde della foresta.

Era rimasta immobile, protetta dal mantello e dalle folte fronde, gli occhi blu che seguivano la figura del Re Supremo di Narnia.

Era cupo in volto, scuro come non lo aveva mai visto; era la prima volta che si ritrovava così vicina a Peter Pevensie, dopo quella sfuriata di ormai diversi giorni prima...l'astio era oramai sfumato da lei, lasciando soltanto quel vago senso di antipatia a cui ormai aveva fatto l'abitudine.

Ma la cupezza in quegli occhi azzurri...

Che cosa ci faceva Peter al lago dove Shaylee si ritrovava ogni notte?

Dov'era la sua amica, che sicuramente era a conoscenza della sua vicinanza?

E perché era solo, lo sguardo lontano e tanto scuro come quello che distingueva dal suo nascondiglio?

Aveva sospirato, decidendo all'istante di seguirlo. La ricognizione mattutina avrebbe potuto aspettare un po', dopotutto...Peter era decisamente più interessante, da osservare.

Lo aveva seguito come un'ombra fino all'accampamento, faticando quasi per restare al passo con la sua marcia decisa. Pareva intenzionato a volersi allontanare il più possibile dal lago...da Shaylee, forse?

Al campo, in molti avevano cominciato a svegliarsi; Peter non aveva faticato per confondersi fra i guerrieri ancora assonnati, e lei stessa aveva sfruttato la situazione.

Non l'aveva perso d'occhio un secondo; né quando aveva recuperato un arco, cominciando ad allenarsi in quell'arte in cui non avrebbe comunque mai eguagliato la sorella, né quando si era fermato per parlare con Edmund di un qualche argomento che realmente non gli interessava.

Lo vedeva dai suoi occhi, Siria. Qualcosa continuava a tormentarlo, a devastarlo; era qualcosa che lo colpiva da dentro, qualcosa che lo feriva nel punto più fragile di tutti. Nel cuore.

E, poteva scommetterci l'anima, quel qualcosa era Shaylee.

La ninfa era apparsa circa un'ora dopo, cupa quanto e forse più del Supremo Coglione. Siria non era stata sorpresa di trovare intorno alla sua mente una solida barriera che le impediva di contattarla, di sfiorare i suoi pensieri.

Aveva visto Peter guardarla con lo sguardo di un cucciolo abbandonato, implorarla con quegli occhi del colore del cielo di ricambiare le sue occhiate; ma Shaylee era stata sorprendentemente fredda, molto più di quanto non fosse stata nelle ultime settimane.

Sembrava quasi che tutti i passi avanti fatti dal Re non fossero serviti a nulla...

Fra quei due era successo qualcosa, era chiaro come il Sole che sempre più forte era sorto su Narnia.

E ne era stata ancora più certa, quando Peter – Peter, quel Peter – l'aveva presa da parte, senza rivolgerle più di un qualche sguardo.

-Hai finito il tuo turno di guardia?- le aveva chiesto, senza la durezza con cui di solito si rivolgeva a lei. Sembrava dannatamente tormentato...per un istante, Siria aveva sentito l'antipatia che provava incrinarsi, soppiantata da un repentino sentimento di pietà.

-Non...-

-Resta all'accampamento, vado io.- era stata quell'ultima frase, a convincerla del tutto che qualcosa in Peter non andava. Da quando dimostrava anche un solo barlume di gentilezza nei suoi confronti?

Stava male, e più di quanto avesse pensato.

Lo aveva guardato allontanarsi in sella ad un cavallo biondo quanto lui, seguito dagli occhi cupi e tormentati della sua amica ninfa.

Quanto avrebbe desiderato far fronte a quel dramma in compagnia di Talia...ma l'amica elfa era più che impegnata in amabili attività da fare in coppia con Caleb, e per la prima volta da tanto tempo Siria si ritrovava sola, nella propria mente. Sola, lei ed i suoi pensieri, le sue paure.

Era quello, il motivo principale per cui si era decisa ad andare a fondo in quella vicenda fra i due piccioni; se si fosse concentrata su di loro, magari avrebbe tenuto lontani quei mostri che ogni giorno minacciavano di sopraffarla...

Aveva recuperato la propria balestra, assicurandosi che la faretra fosse ben fornita di dardi, e sellato il cavallo di Caspian. Il principe non se la sarebbe presa, se avesse preso in prestito il suo Destriero...nel caso, aveva pensato con un mezzo sorriso, si sarebbe fatta perdonare.

-Tieni d'occhio Shaylee.- aveva soffiato all'orecchio di Aaron, passandogli accanto mentre raggiungeva il limitare della foresta, esattamente dove si trovava in quel momento. Ferma, senza muoversi, perché qualcuno aveva distolto repentinamente la sua attenzione dai suoi propositi di ficcanaso.

Sorrise, Siria; un sorriso vero che illuminò per un attimo anche i suoi occhi, nel riconoscere la figura che correva per raggiungerla, ancora assonnata.

-Buongiorno.- mormorò divertita, non appena Caspian la raggiunse, i lunghi capelli riccioluti tutti arruffati. Si era appena svegliato...con una fitta di dolcezza al cuore, si rese conto che probabilmente era stata proprio la sua assenza a destarlo.

Caspian scosse la testa, passandosi le lunghe dita chiare in quel groviglio disordinato di crini scuri.

Non l'aveva trovata, una volta sveglio. Non avrebbe dovuto sorprendersi, Siria passava anche intere giornate nella foresta, insofferente alla vita frenetica dell'accampamento...ma quella mattina, quella mattina era stata una brutta sensazione a destarlo; come se stesse per succedere qualcosa, come se le stesse per succedere qualcosa di brutto.

-Dove vai?- le chiese, con una punta di preoccupazione nella voce ancora impastata dal sonno. Magari non era sveglissimo, e il suo era soltanto il residuo degli incubi che lo tormentavano ogni notte...ma vederla partire, dopo quella sgradevole sensazione che lo aveva svegliato così di soprassalto, non era di buon auspicio.

Ma Siria sorrise, un sorriso caldo e sincero che rivolgeva solo e soltanto a lui, alzandosi sulle punte dei piedi per baciarlo appena a fior di labbra.

-Devo sparire per qualche ora.- sussurrò, a poco più di un millimetro dalla sua bocca, il respiro delizioso che lo stordiva e lo risvegliava al tempo stesso. Certo, quello era un modo ben migliore di svegliarsi...

-Dove...- cominciò, ma Siria premette con delicatezza l'indice sulle sue labbra, zittendolo.

-Segreto.- sorrise, il principe, alla tenerezza con cui Siria pronunciò quell’unica parola. Soltanto con lui sembrava in grado di essere così, serena e tranquilla come col resto del mondo non si permetteva di mostrarsi; soltanto con lui, il suo volto pareva rischiararsi come il cielo dopo un temporale.

E c’era un meraviglioso arcobaleno, ad attenderlo. Ogni volta.

-Tornerò presto.- lo rassicurò, la voce dolce come una carezza, le dita fredde ed affusolate che gli accarezzavano una guancia.

Era così bella, Siria. Sentiva di non poter più fare a meno neanche di un istante di lei, tanto era diventata essenziale per la sua stessa esistenza. Non riusciva minimamente a ricordare com’era stata la sua vita, prima di conoscerla…gli sembrava impossibile, adesso, vivere senza quella creatura enigmatica e meravigliosa al suo fianco.

-Ci conto.- e prima che Siria potesse fare qualsiasi cosa, le labbra esigenti del principe intrappolarono nuovamente le sue.

Sussultò, la raminga, sentendo il respiro mozzarsi ed il sangue pulsare sempre più violentemente nel suo corpo.

Non era un bacio delicato, morbido; era un bacio che sapeva di possessione, di desiderio, la bocca calda e buona di Caspian che senza indugio si mischiava con la sua, la lingua prepotente che affogava nelle sue labbra con brama, senza esitare.

Prima di rendersene conto, prima di capire anche solo che cosa stesse succedendo, Siria si ritrovò a stringersi al suo petto, il tocco candido delle sue dita che accarezzava quella gola, quel torace; il suo stesso corpo che chiedeva a gran voce un contatto più intimo, la pelle che ardeva di un desiderio bruscamente risvegliato, bruciante come un incendio.

E Caspian pareva pensarla esattamente come lei...fremette, quando le mani del giovane principe corsero sul corpetto che indossava, sfiorando la linea profonda e sensibile della vita, dei fianchi, della schiena.

Sentiva il suo cuore battere, battere con forza contro le sue dita, appena sotto la cotta di maglia.

Oh, ma davvero non c'era bisogno di andarsene così presto...

Si lasciò sfuggire un mugolio di disappunto, Siria, quando Caspian sciolse repentinamente quel bacio che aveva in fretta cancellato ogni suo proposito, lasciando soltanto lui fra i suo pensieri.

C'era soddisfazione, in quelle due braci del colore del carbone. Mischiata al desiderio, alla brama, c'era la soddisfazione di aver causato quel tumulto anche dentro di lei, di averle dato una chiara idea di cosa l'aspettava al ritorno...

In effetti, la sua espressione doveva essere alquanto palese.

Sentiva le guance tremendamente rosse, Siria, gli occhi lucidi di sorpresa e desiderio. Sentiva le proteste del suo corpo, quel corpo che gridava a gran voce il bisogno di tornare esattamente dov’era stato fino a qualche istante prima, fra le braccia di Caspian.

Un Caspian che posò per un lievissimo istante le labbra nuovamente sulle sue, il respiro caldo che la stordiva ancora, il profumo che l’avvolgeva. Fremette, la raminga, un brivido che scendeva caldo lungo la schiena, rivoli di desiderio che riempivano la sua pelle del sapore di quella bocca rosea, perfetta.

-Ci vediamo dopo.- le sussurrò, separandosi troppo bruscamente per i gusti di lei dalla sua bocca, un lieve sorriso appena arrogante sulle labbra sottili. E a Siria non rimase che guardarlo allontanarsi, ancora stravolta, il mantello scuro che non risparmiava le spalle nodose del principe.

-...sì, decisamente presto. Non mi piace lasciare a metà certi discorsi...- mugugnò fra sé, montando in sella con una scioltezza quasi innaturale, quei caldi brividi che riempivano ancora la sua pelle, bruciando là dove Caspian l'aveva toccata.

Peter e Shaylee gliel'avrebbero pagata, prima o poi.

.

.

Peter sospirò, smontando da cavallo con un gesto stanco, privo di passione.

Sentiva che nulla più avrebbe avuto davvero importanza, per lui...l'assenza di Shaylee, quella mattina, quegli sguardi che gli aveva scoccato come tante pugnalate...niente, assolutamente nulla avrebbe potuto restituirgli il desiderio di vivere.

Non avrebbe mai pensato di stare così male per una donna, no. Non era nei suoi piani innamorarsi, perdere la testa e il controllo dei propri sentimenti, smarrire il sentiero del prode Peter il Magnifico per intraprendere una mai battuta strada appartenente al ragazzo, al giovane che non era mai stato.

Non avrebbe mai pensato di soffrire così.

Lui l'aveva amata, quella notte.

Aveva pensato...sperato...che ogni ritrosia sarebbe sparita, fra lui e la bella ninfa che tanto faceva battere il suo cuore. Aveva sognato di svegliarsi al suo fianco, di guardarla dormire fra le sue braccia, di accarezzarle i capelli per svegliarla; non gli sembrava, non riusciva a sembrargli un desiderio così impossibile da realizzare.

Avrebbe soltanto voluto che Shaylee gli permettesse di amarla, come aveva fatto quella notte.

E invece lei era lontana, ora...più lontana che mai, più distante di quanto non fosse mai stata prima d'allora.

Sospirò, Peter, passandosi una mano fra i folti capelli biondo miele e tirandoli indietro, scoprendo la fronte.

Le dita sottili di Shaylee, immerse sulla sua nuca...

Doveva smettere di ripensare alla notte precedente, era soltanto un gesto di autolesionismo. Eppure era così difficile...sul corpo ancora avvertiva la presenza dolce e calda della Naiade, il tocco della sua pelle chiara sui muscoli, l'estasi di appartenerle e di sapere che lei era soltanto sua...

Piantala, Peter.

Si costrinse ad allontanare quei pensieri, sentendo una fitta insolitamente dolorosa trafiggergli il petto.

Era questo, soffrire per amore? Questa lenta agonia che l'avrebbe fatto impazzire, al solo ricordo del sapore di quelle labbra?

Di certo, era molto più doloroso della morte stessa.

Si guardò intorno, per la prima volta cieco dinanzi allo splendore di quella foresta silente; gli alberi muti erano sbiaditi ai suoi occhi, le fronde di quel meraviglioso verde acceso parevano solo pallide imitazioni di una vegetazione.

Nulla aveva colore, quel giorno...lui stesso si sentiva abbandonato, scuro, la passione e la serenità che lentamente erano scivolati via dalla sua pelle.

Si accostò al cavallo, uno splendido esemplare dalla criniera del colore del grano, accarezzando con distratta tenerezza il lungo collo arcuato dell'animale.

Aveva fatto bene ad esonerare Siria dal pattugliamento, dopotutto. Aveva bisogno di restare solo con i propri pensieri, con i propri tormenti...magari però avrebbe potuto chiederle di accompagnarlo, di restare con lui. Siria pareva sempre in grado di risvegliare la sua parte combattiva, e ora più che mai sentiva di aver bisogno di una scossa.

Assurdo...

Doveva aver toccato il fondo più cupo, se pensava seriamente di chiedere aiuto alla raminga.

-Io non so più che cosa fare, sai?- mormorò, alzando gli occhi celesti sul cavallo. La bestia lo guardava, masticando lentamente un ciuffo d'erba strappato dal terreno incolto; magari voleva pensarci un po' su, prima di rispondergli...

Uno scricchiolio.

Peter portò rapidamente la mano destra all'elsa della spada, quando le sue orecchie fini colsero un rumore che non avrebbe dovuto esserci, in mezzo alla foresta.

Calzari.

Sguainò in un istante la lama argentea di Rhindon, posando una mano sul fianco del cavallo; l'animale era all'erta, le orecchie tirate indietro e i denti scoperti. Come lui, la bestia aveva capito che qualcosa non andava...

Lo stridio di ua lama che abbandona il suo fodero.

Era alle sue spalle...

Uno.

Lo sentiva avvicinarsi, i muscoli che si tendevano, i sensi che si acuivano.

Due.

Ormai era vicino...

Tre.

.

E Peter scattò rapido, fulmineo, sferrando un micidiale colpo diretto alla gola del suo silenzioso aggressore.

Ebbe appena il tempo di distinguere un'armatura telmarina, una barba incolta e disordinata, prima che si scatenasse l'inferno.

Dagli alberi apparvero altri soldati, altri sicari di Miraz; li vide apparire fra i tronchi, fra le fronde, le spade e le asce sguainate e sporche di sangue.

Erano arrivati fin lì...

-Muori, maledetto!- il biondo balzò indietro, quando la spada rozza del telmarino saettò rapida verso di lui.

Ma la sua schiena andò a sbattere contro il fianco del cavallo, impedendogli di evitare del tutto il colpo.

E la punta della spada nemica riuscì a scalfire il suo torace, lacerando la tunica e arrivando direttamente alla carne viva.

Sangue.

Peter non aveva mai perso la concentrazione, in un combattimento; nemmeno dopo le ferite, nemmeno dopo la sofferenza...ma adesso, i pensieri concentrati su altre idee...

Barcollò, sentendo la spada sfuggirgli di mano.

Incespicò indietro, evitando per un pelo un secondo fendente; ma una radice traditrice si trovò fra i suoi piedi, costringendolo a cadere.

Il Re Supremo cadde, cadde rovinosamente ai piedi del suo avversario.

Il paradosso di dover morire lì, adesso, senza essere riuscito a far capire cosa provava a Shaylee…era ironico, davvero.

C’era ironia nella morte, e non per la prima volta Peter si sentì soltanto vittima di un gioco più grande, di una partita crudele che aveva in palio vite umane.

Non aveva mai avuto paura della morte; più di una volta la nera signora lo aveva sfiorato, aveva rischiato di portarlo via da Narnia e dalla sua famiglia, ma lui non si era mai tirato indietro. Era fermamente convinto che per tutti esisteva il momento giusto di andarsene, e se il suo fosse arrivato lo avrebbe accettato, affrontandolo con tutto il coraggio che possedeva.

Ma in quel momento…in quel momento riusciva soltanto a pensare a quello che non era riuscito a fare, alla donna che aveva amato la notte precedente e che non era riuscito a trattenere, che aveva lasciato fuggire.

Shaylee

Si lasciò sfuggire un rantolo, un respiro mozzato dal dolore della ferita al torace. Non era una ferita grave, ma il telmarino che gli si stava avvicinando avrebbe presto terminato il lavoro…e lui non aveva la forza di alzarsi, non aveva più la voglia di rimettersi in piedi e tornare a combattere.

Per cosa avrebbe dovuto?

Per la sua Narnia, per la sua famiglia? Non gli sembravano più così importanti, forse era meschino dirlo…per il suo cuore?

Quel cuore che si era irreversibilmente incrinato, quella mattina, quando aveva incrociato gli occhi gelidi e lontani di Shay?

Non aveva più un motivo vero per combattere, adesso. Non aveva più voglia di rialzarsi.

Ma improvvisamente, il dardo.

L’espressione del telmarino divenne di ghiaccio, quando una macchia rossiccia apparve a livello della sua gola. Un punto mortale, un punto che soltanto un assassino avrebbe potuto colpire con tale precisione.

Peter rimase a guardarlo, mentre lo stesso stupore del nemico si dipingeva sul suo volto. Quella non era una freccia, non apparteneva a Sue; era un dardo di faretra, ma quelli di Edmund erano neri come l’inchiostro…

-Non pensare che sia così semplice morire, Supremo Idiota!-

doveva essere un incubo, non c’era altra spiegazione possibile.

Peter avvertì il nodo allo stomaco sciogliersi improvvisamente, quando la consapevolezza di essere ancora vivo lo colpì con la stessa forza della lama d’acciaio appena abbattuta sul cranio di un telmarino.

Era ancora vivo.

Poteva ancora combattere, poteva ancora fare qualcosa per il suo cuore, poteva…poteva ancora vivere.

E se non era un’illusione…la persona a cui per la seconda volta doveva la vita era quella macchia avvolta in un mantello nero come la pece, una cascata di capelli rossi che bruciava su quello sfondo corvino.

Siria.

Balzò in piedi, ancora incredulo, quando vide la figura inconfondibile della rossa fiondarsi dai rami degli alberi dritto in mezzo alla cerchia di soldati, la spada in pugno e la balestra nell’altro. La guardò accostare la punta dello stivale alla sua Rhindon, abbandonata fra le foglie secche del sottobosco, e spingerla bruscamente ai suoi piedi.

-E tu che cosa ci fai qui!?- furono le prime parole che riuscì a pronunciare, allibito, raccogliendo in fretta la spada e dandole le spalle. Fu quasi naturale, per entrambi, ritrovarsi schiena contro schiena a fronteggiare la cerchia di telmarini che li circondava; poteva avvertire i muscoli contratti della rossa, Peter, le braccia forti che sostenevano la pesante spada bastarda.

-Ti salvo la pelle, deficiente.- sibilò lei, caustica, osservando preoccupata i soldati che precludevano lentamente loro ogni possibile via di fuga. Li avevano circondati, e lentamente li stavano stringendo in una morsa; una morsa da cui sarebbero usciti soltanto uccidendoli, o essendone uccisi.

-Continui a salvarmi la vita nonostante non mi sopporti, hai notato?- suo malgrado, Siria si ritrovò d’accordo con il Re Supremo; era già la seconda volta che evitava che quella testaccia bionda finisse staccata dal nobile corpicino, e tutt’e due le volte aveva finito col cacciarsi anche lei nei guai.

-In effetti dovrei smetterla, finisco sempre per rimetterci.- borbottò a mezza voce, più rivolta verso se stessa che verso Peter. Ma lo sapeva bene, non erano veritiere le sue parole; non lo avrebbe lasciato morire, probabilmente in nessuna situazione.

Quel mostro dentro di lei lo odiava, lo odiava con tutta la forza della morte.

Aveva sentito, Siria, che qualcosa non andava.

Non sapeva esattamente come, non sapeva perché; i suoi sensi si erano allertati di scatto, mentre riposava tranquilla a qualche centinaio di metri da dove Peter si era fermato, avvertendola con una forza terribile che stava per succedere qualcosa.

Che stava per succedere qualcosa a Peter.

Non era mai successo, in quel modo; quelle sensazioni Siria le conosceva soltanto nei riguardi di Talia, di Aaron, di Caspian, per le persone che amava e che ricambiavano il suo affetto. Invece Peter era ben lungi da essere una persona che sopportava, figurarsi suo amico

Eppure, eccola lì.

Aveva seguito i suoi pensieri e il suo istinto, balzando fra gli alberi con la sua fidata agilità, cercando di raggiungere il più in fretta possibile il luogo dello scontro.

Si era precipitata per aiutarlo, per salvargli la vita.

Per quanto si detestasse anche solo ad ammetterlo, l’idea che Peter venisse ucciso le pareva intollerabile; era un borioso arrogante, era un saccente egocentrico che l’aveva ferita con una facilità tremenda…eppure, non aveva esitato un secondo nell’accorrere, nel venire in suo aiuto.

Perché?

Perché era una cretina, in fondo; e perché, nonostante tutto, Peter cominciava seriamente a piacerle.

-Io non mi lamento.- commentò Peter, strappandola ai suoi pensieri e riportandola lì, in mezzo ai soldati che ghignanti si stavano avvicinando sempre di più.

Si lasciò sfuggire un sorriso, la raminga; un ghigno divertito e pronto alla battaglia, a combattere, la spada che riluceva nella luce opalescente dell’alba.

-Pronta?- le chiese lui, dopo un altro attimo, la mano che si serrava saldamente sull’elsa di Rhindon. E lei comprese immediatamente a cosa si riferiva, che cosa stava passando per la mente dell’Alto Re.

-Sono nata pronta.- rispose, piano, senza farsi udire.

-Ma sentila!- borbottò lui, pianissimo, in un soffio che precedette di un istante l’attacco. -Vai!-

E poi, fu il caos.

Siria alzò il suo Kain appena in tempo, quando avvertì Peter lanciarsi all'attacco; ebbe appena il tempo di distinguere il ghigno crudele dei soldati, prima che un clangore assordante risuonasse a pochi centimetri dal suo viso.

-Una donna che combatte? Siete patetici, voi Narniani.- ringhiò il soldato che l'aveva appena attaccata, ad un soffio dal suo viso, dandole la nausea quando il suo respiro pesante e viziato le invase sgradevolmente i sensi.

E la rabbia montò repentina, violenta, fomentata dall'orgoglio.

-Ah, davvero?- la raminga balzò indietro, il mantello che fluido danzava insieme a lei come le ali d'un falco corvino. Si accovacciò appena, piegando le ginocchia, alzando con scioltezza la spada fino a portarla a livello del proprio volto, obliqua; gli occhi blu si riflettevano sulla lama d'acciaio, illuminandola di sinistri bagliori simili ad un incendio.

Il soldato la osservò con scherno, sottovalutando la posizione predatoria che il corpo della raminga aveva appena assunto; non aveva riconosciuto il felino che si celava sotto quella pelle candida, gli artigli sguainati che parevano soltanto pronti a ghermirlo nella più feroce delle strette...

Sorrise, Siria. Un sorriso sardonico e privo di gioia, il sorriso di un guerriero.

Il sorriso, di un'assassina.

-Stai a vedere cosa ti combina la donna, telmarino.-

Il soldato non ebbe nemmeno il tempo di sentire il disgusto calcato sull'ultima parola, prima che la furia rossa si scatenasse in tutta la sua ira.

I duelli di Siria erano terribili, combattuti con una spietatezza che avrebbe terrorizzato chiunque si trovasse dinanzi a lei. In battaglia la raminga si trasformava, dimenticando ogni incertezza e lasciando che l'adrenalina, la foga del combattimento prendessero il sopravvento su ogni pensiero razionale.

La sua spada danzava e colpiva, colpiva e uccideva; non c'era scampo, per gli sventurati che capitavano di fronte a lei.

Soltanto la morte.

Era questo di cui Peter era convinto, ammirato suo malgrado per la maestria con cui la raminga combatteva. Guardarla battersi era uno spettacolo affascinante e spaventoso allo stesso tempo; i capelli rossi danzavano intorno a quel corpo tonico, il mantello nero scopriva a tratti la pelle candida della neve.

Era un gioco di fuoco e di ombre, di luce e di sangue.

Un gioco a cui il telmarino di fronte a lei, e i due che seguirono, non riuscirono minimamente a far fronte.

La spada dall'elsa di drago della raminga saettava con una precisione quasi millimetrica, guidata da un istinto freddo e spietato che non lasciava spazio al rimorso; Siria colpiva per uccidere, e dove la lama d'acciaio di Kain si abbatteva, sferrata con una potenza che in una donna era quantomai sorprendente, lasciava soltanto morte e sangue al suo passaggio.

Questa era la convinzione di Peter, maturata dopo diversi giorni passati a studiarla da lontano.

Lei era diventata il suo cruccio personale, la sua nemesi. Il pensiero di quanto facilmente fosse riuscito a ferirlo – la sua guancia ancora bruciava d'orgoglio – lo aveva tormentato a lungo, spingendolo a studiare ogni singolo allenamento della ragazza, imparando su di lei molto più di quanto avesse pensato.

In cuor suo aveva pensato che sarebbe stato meglio conoscere il nemico...non si era fidato di lei, non gli era mai piaciuta.

Eppure, ora era al suo fianco che combatteva.

Eppure, ora, non avrebbe desiderato nessun altro al suo fianco.

Siria era un pericolo, probabilmente; ma nonostante questo, era una guerriera formidabile...e una persona leale, pronta a battersi per qualcuno che detestava.

Sorrise appena, il Re Supremo, ripiombando in mezzo alla battaglia dopo quei pochi attimi che si era preso per osservarla, incantato dalla grazia e dalla potenza di quel combattimento.

Siria, dopotutto, cominciava seriamente a piacergli.

-Stai attento, biondo coglione!- il Re si abbassò di scatto, appena in tempo perché un dardo rosso come il sangue sfrecciasse a pochi centimetri dai suoi capelli, uccidendo all'istante il nemico che stava per attaccarlo di spalle.

Si voltò di scatto, Peter; appena in tempo per vedere un soldato attaccarla alle spalle, serrandole le braccia in una morsa troppo forte perché la raminga potesse liberarsi. Altri due la fronteggiavano, e già vedeva il sangue rigare le braccia candide della ragazza...

Non si diede nemmeno il tempo di pensare; la sua spada si abbatté con violenza su uno dei due aguzzini, il cranio che si frantumava sotto la violenza dell'acciaio, mentre con un calcio ben assestato colpì l'uomo che teneva bloccata Siria, liberandola.

-Io dovrei stare attento, eh?- la rimbeccò, ma non riuscì a non sorridere quando si ritrovarono fianco a fianco, ansimanti ma ebbri dell'adrenalina che soltanto una battaglia poteva donare ad entrambi.

-Avevo tutto sotto controllo!-

Un'altra stoccata, due spade che ballavano la stessa danza mortale.

-Sì, certo! Non sai fare di meglio, Siria?-

Combattevano insieme, l'uno per l'altra; un'armonia, fra loro, mai provata con nessun altro.

Siria sorrise, completamente travolta dalle sensazioni della battaglia, del combattimento; mai, mai in tutta la sua vita battersi al fianco di qualcun altro era stato così...perfetto.

E Peter, incredibilmente, ricambiò il suo sorriso; e c'era la stessa esaltazione, la stessa passione che Siria sentiva ardere appena sotto la pelle, negli occhi celesti di un Re che sentiva di detestare sempre un po' meno ad ogni istante.

In quell'istante, ogni diverbio pareva dissolto nel nulla; ogni discussione, ogni scontro, ogni rancore...tutto era sparito, frantumato nella marmorea consapevolezza di aver scoperto un'affinità del tutto nuova, un'improvvisa complicità che entrambi non avevano mai provato.

La raminga gli scoccò appena un'occhiata, prima di brandire un'ultima volta la sua spada; un lampo, un affondo, un guizzo di capelli rossi come il fuoco, e l'ultimo soldato cadde dopo pochi istanti, sconfitto.

Improvvisamente, nella foresta piombò il silenzio.

Peter odiava quel momento, l'istante in cui la battaglia finisce e i rumori svaniscono in un niente, trascinando con sé le vite dei caduti. Sentiva che in quel baratro avrebbe potuto esserci lui, che in quel silenzio di morte poteva essere lui a cadere...non era piacevole, quel silenzio.

Ma stavolta, questa volta non era solo ad affrontare quell'orrore.

Siria pareva più disgustata di lui, gli occhi che parevano rifiutarsi di guardare i cadaveri scompostamente abbandonati sul terriccio. La osservò respirare a fondo, riprendendo fiato, pulire la spada sull'erba e rinfoderarla un istante prima della balestra; gesti calmi, misurati, quasi freddi. Gesti che tradivano un tumulto che Peter sentiva agitarsi ogni volta nel suo torace, alla fine di ogni massacro.

Senso di colpa.

Ma ebbe soltanto il tempo di rendersi conto di quel particolare, di quel rimorso che caratterizzava entrambi, prima che una fitta lancinante al petto non lo colpisse con una forza inaudita.

-Ah…- si lasciò sfuggire un gemito, la spada che scivolava via dalla sua presa e cadeva fra le foglie, le mani che salivano a tentare di frenare il dolore che si propagava ad una velocità terribile in tutto il suo petto.

Avvertì le ginocchia fremere, le gambe minacciare di abbandonarlo.

Aveva perso troppo sangue…non era una ferita grave, sarebbe sopravvissuto, ma era troppo il rosso che scendeva lungo la sua tunica lacera…

-Ehi!- fu soltanto grazie a Siria che non crollò in ginocchio, le braccia della raminga che lo sostenevano immediatamente, senza esitare nemmeno per un istante.

Si aggrappò a lei, alle sue spalle sottili ma incredibilmente forti, serrando gli occhi per tentare di trattenere la sofferenza.

E in quel momento ringraziò, ringraziò con tutto il cuore che ci fosse Siria, al suo fianco; non avrebbe permesso a nessun altro di vederlo in quello stato, ma lei…lei già due volte lo aveva umiliato, salvandogli la vita, distruggendo la sua fierezza di uomo e di guerriero.

Non c’era più nessun orgoglio, a contrapporlo a quella ragazza.

-Non osare crollarmi, biondo.- con un’insospettata delicatezza, Siria lo costrinse a sedersi a terra, la schiena che incontrava il rassicurante sostegno del tronco di un albero.

Ma cosa mi tocca fare…dannazione, Shay!

Peter era pallido, pallido come non lo aveva mai visto. Ne sapeva abbastanza di ferite per capire che la ninfa doveva arrivare il più in fretta possibile, perché l’emorragia minacciava di accoppare quell’idiota anche prima del tempo…

.

Datti una mossa, altrimenti qua ce lo lasciamo, il biondo!


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My Space:

Ma buongioooorno ^^ che bello vedermi prima di un mese, eh? xD

Allora, ho poco da dire su questo capitolo: Peter in versione emo è sempre un piacere, e Siria è qualcosa di fenomenale xD in questo capitolo non appare Shay, ma per motivi precisi; quel poveraccio di Peter mi muore, fra un pò xD

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 Rinalamisteriosa [Contatta] Segnala violazione
 01/10/10, ore 22:39 - Capitolo 21: Moonlight.
Uh, ciao *-*
Sono contentissima che il capitolo ti sia piaciuto tanto, ero un pò insicura ^^' solitamente io e lo zucchero non andiamo d'accordo, il mio tipo di coppia preferita è tipo Siria e Caspian; sono dolci, ma c'è sempre una tensione (sessuale e non) che non permette alle carie di formarsi xD
Per quanto riguarda Siria...beh, c'è una frase precisa, nel capitolo in cui Peter conosce Shaylee, che è fondamentale xD
(mi piace il mistero, molto *risata malefica*)
Un bacione!
 DreamWanderer [Contatta] Segnala violazione
 28/09/10, ore 22:23 - Capitolo 21: Moonlight.

Bentornata!!!!!!!!!!!! *inneggia una ola per il momento topico*

E' un piacere rileggerti, e rivederti fra i recensori *.* Tranquilla, le recensioni lunghe non mi danno mai fastidio, anzi xD penso ti risponderò nello stesso modo che tu hai usato per recensire,  te lo meriti!!!

 

Recensione per “Moonlight”

Allora, eccomi ^^ la canzone è stata scelta dalla Fla, siamo di comune accordo che Yiruma sia il più adatto a Peter e Shay, come compositore :) E' stato lungo da scrivere, e per nulla semplice: questi due non sono proprio nelle mie corde, e più di una volta mi sono ritrovata a detestarli di cuore ^^' Davvero, i complimenti per questo capitolo vanno tutti alla Fla, io ho fatto solo da amanuense :)  a parte Peter impacciato: quello è un gusto tutto mio, di mostrare il Re Supremo in tutte le salse e in tutti i modi possibili, da indomito Re a ragazzino impaurito dai sentimenti xD

Lo spoiler? Eccoti accontentata xD Siria è geniale, quando si mette in testa di fare qualcosa non c'è santo che tenga, lei deve portarla fino in fondo ^^ ed eccola che finalmente si avvicina di più a Peter; non aspettavo altro, a dirla tutta xD

 

Recensione per “Blue Eyes”

Blue Eyes è stato uno dei miei capitoli preferiti, già dall'inizio. Siria ha perso la maschera, ha perso tutti i suoi gusci più diversi; è finalmente se stessa, con Caspian, è la ragazza che non ha mai potuto essere. C'è un passato di morte e di sangue in lei, un passato che non può sparire del tutto; e con cui arriverà a fare i conti, molto presto.Caspian *-* Caspian è qualcosa di meraviglioso, lo amo ogni volta che scrivo di lui xD  Aaron è un fratello decisamente protettivo, ma alla fine, si da una mossa (anche grazie a Talia, santifichiamola xD)

Nobel per la scrittura? Ma dai, no :S Tolkien è un mostro sacro, io sono una ficwriter xD

 

Recensione per “Caged”

Lo scontro fra Siria e Peter è qualcosa che ho adorato scrivere; sono due personaggi che amo tantissimo, quelli in cui mi calo al meglio. E sono due testoni fuori misura, simili e diversi allo stesso tempo. Sono due personaggi che hanno molto da dare, e che molto daranno ^^ Siria e Aslan...eh, è un pò il cardine di tutto il mistero che circonda Siria, questa reazione ^^

Siria e i tatuaggi mi affascinano molto; non è escluso che ne appariranno altri, prima della fine della storia xD

 

Recensione per “Our Solemn Hour”

Caspian e Siria vinceranno il Nobel, per il romanticismo però xD Sono una delle coppie più belle che abbia mai trattato, secondi soltanto a Diana e Blaise *-* Torturare Peter? Nooo, quando mai!!! Io gli voglio taaanto bene xP

Siria è un personaggio che amo molto, in cui sto mettendo tantissimo di me; è poliedrica, complicata come le lancette di un orologio, ed è affascinante da descrivere e da caratterizzare ^^ 

Shaylee è un'altra bella gatta da pelare, sì u.u non ti nascondo che mi è difficile calarmi in una mentalità così diversa dalla mia; hai presente quanto diverse sono Siria e Shay? Io e la Fla siamo diverse allo stesso modo, e non è semplice entrare nel suo personaggio ^^'

 

Recensione per “Stand My Ground”

La battaglia *-* io amo le battaglie, anche in questo capitolo ho amato la scena del combattimento xD

L'affiatamento fra i mercenari è qualcosa su cui ho calcato volutamente; sono cinque anni che combattono insieme, e volevo premere su quanto siano affini, completandosi l'un l'altro.

Shaylee finalmente tira fuori le unghie xD 

Per Caspian e Peter ho cercato di calarmi nei personaggi dei libri, che ho letto recentemente, ma soprattutto del film; Caspian è un idealista, Peter è un Re, e la differenza (e le similitudini) fra loro sono lampanti.

Siria, eh!  Questo è parte del suo mistero, ma non è come Shay, una creatura legata ad un elemento. Siria è qualcosa di più, è una creatura unica di cui ho dato molti dettagli e molti indizi xD c'è una frase in particolare, nel quarto capitolo mi sembra (quando Peter incontra Mairead); è quella, la verità xD

Siria e Miraz...eh, è un problema che tornerà molto presto xD

 

Recensione per “To End The Rapture”

Peter è un tonto! (e io mi diverto troppo a maltrattarlo, non si nota? xD)

La natura di Siria non è malvagia; è fuori controllo, anzi...non è sotto il controllo di Siria, ma di qualcun altro di ben preciso. Ci arriverò xD

I personaggi in questi capitoli hanno dato il loro meglio; Caleb, Talia, Siria, Caspian. Questi ultimi due li ho nel cuore, ma gli altri due li adoro, senza mezzi termini xD

Una cosa su cui ho puntato è stato il grifone; io ho urlato come una disperata alla prima visione del film, gridando a Edmund "ma vai a fare qualcosa, hai un grifone, è forte, tira su quella grata!!!" insomma, non mi danno retta -.-

Peter e Shaylee, definizione di una mia amica, sono due cuccioli di foca che si rotolano addosso xD sono teneri, impacciati, e carinissimi xD

Ecco, ho finito anch'io xD Non ti preoccupare per i ritardi, lo capisco benissimo, stai tranquilla!!! Amo le tue recensioni ,te l'ho mai detto?

Mi dispiace che tu abbia passato un periodo brutto, davvero. Non è stata una bella estate nemmeno per me, penso di riuscire a capirti almeno un poco; a mia mamma hanno diagnosticato l'epatite, a me una malattia autoimmune. Ci sono state discussioni, liti, tanta rabbia e tanto dolore che si sono accumulati e sono esplosi, lasciando solo macerie. Mi sto cominciando a riprendere davvero soltanto ora, e non è facile; ho rischiato di morire, di morire dentro. Ho visto la mia famiglia sull'orlo del baratro, in procinto di sfaldarsi e autodistruggersi, e ho sopportato tante di quelle pugnalate che pensavo di non avere più spazio per riceverne altre.

Insomma, se Siria è tormentata, è colpa mia ^^'

Un bacione grande, ci risentiamo su questi lidi ^_____^ <3

 SweetSmile [Contatta] Segnala violazione
 27/09/10, ore 14:55 - Capitolo 21: Moonlight.
Cavoli, questo capitolo è stupendo. Mi sono emozionata tantissimo a leggerlo, sei stata davvero brava. E poi... era ora che Peter e Shaylee si dessero una svegliata! Quanto sono carini *-* Io appena leggo qualcosa che riguarda Peter mi sciolgo, non so se ci hai fatto caso :)
Brava brava brava *applaude*
Un bacione, ci sentiamo al prossimo capitolo ;)
 VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
 27/09/10, ore 14:43 - Capitolo 21: Moonlight.
Aaaaah! Nightwish!!!
A canto mi hanno insegnato a cantare Sleeping Sun, io li amo quei ragazzi! E anche gli HIM, sempre finlandesi xD E no, tranquilla che non ti avrei detto nulla  a vederti in T Shirt al freddo...l'avrei fatto anch'io xD
Peter e Shay....*trombe suonate a festa!!!!*
Diana e Blaise...oddio, no, non confrontiamoli ^^' sono due coppie troppo diverse, troppo lontane, troppo...Diana e Blaise sono nell'Olimpo, Peter e Shay ne hanno ancora di crostini da mangiare per raggiungerli xD
(non posso farci nulla, per me Diana e Blaise restano sempre, comunque e dovunque il massimo possibile xD in Peter e Shay mi ci rivedo molto poco...sono troppo diversi da me, adoro molto di più Cispia/Siria e Caleb/Talia xD)
Per Siria...no, non è come la nostra cara vecchia Di xD hanno una cosa in comune, però...complicarsi la vita è troppo divertente xD
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 27/09/10, ore 11:55 - Capitolo 21: Moonlight.
Peter e Shay mi hanno fatta dannare non poco, sai?
Sono stati ben problematici da descrivere xD
Peter è andato a seeeegno xD Peter ce la faaaaaaaaaaa!
Non ci credevo nemmeno io quando l'ho scritto, a dirla tutta xD è proprio un cocker, un cocker emo u.u
Ma non penso chiederà consiglio a Caspian...non ce li vedo, rotolo dal ridere solo al pensiero xD
Un bacione tesoro, e un abbraccio forte forte <3

Love you all, B <3

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Capitolo 23
*** What do you got. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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What do you got - Bon Jovi

Datti una mossa, altrimenti qua ce lo lasciamo, il biondo!

Shaylee si morse la lingua, l’acqua che si scostava per permetterle di riprendere le sue sembianze, dandole la possibilità di correre a riva dopo essersi materializzata nel piccolo ruscello che scorreva poco lontano dal luogo dello scontro.

Quel piccolo torrente l'aveva avvertita, l'aveva costretta a riaprire il contatto mentale che la legava a Siria; e il terrore, l'adrenalina, tutto quanto aveva investito con una violenza terribile la sua mente, stordendola fino a non farle capire più niente.

La mente di Siria solitamente diventava fredda durante una lotta, gelida come un lago d’inverno; si era aspettata di trovare quella spietata macchina di morte che la rossa sapeva diventare, una volta schiuse quelle barriere che dividevano le loro menti…

E invece aveva trovato soltanto un caos di emozioni, tenute appena a freno da un qualcosa che non era riuscita a definire con chiarezza.

Adrenalina, esaltazione, paura, preoccupazione; c’era di tutto in quella testa, tanto da riuscire a stordire anche lei.

Ma era stato un solo pensiero, quello che era stato in grado di emergere in quel tumulto di emozioni.

Peter.

La paura, l’astio, la freddezza…tutto scomparso.

Peter.

Peter era ferito. Peter stava soffrendo, Peter stava rischiando la vita…

Peter.

Non poteva nemmeno pensarci. Il suo cuore urlava disperato al solo pensiero che potesse succedergli qualcosa, che potesse soffrire, che potesse andarsene via anche lui…non sarebbe sopravvissuta a quel dolore, non avrebbe più avuto la forza nemmeno di rialzarsi, se Peter…

La foresta era solo una macchia indistinta, intorno a lei, mentre correva. Correva alla velocità massima che le sue gambe le consentivano, ignorando i rami più bassi che la graffiavano, le radici che minacciavano di farla cadere.

Peter.

E finalmente, una macchia rossa nel verde.

-Peter!- Siria si scostò nello stesso istante in cui la sentì arrivare, un peso che si sollevava dal cuore. Conosceva la magia delle ninfe, sapeva che Shay avrebbe potuto curarlo in un batter d’occhio…e, dopotutto, allontanarsi da quei due non era una così cattiva idea.

Si fece in disparte, stringendosi il mantello addosso per coprire le braccia ferite. L’ultima cosa che voleva era distogliere l’attenzione di Shaylee da Peter, per qualche graffio, per di più.

Shaylee si lasciò crollare in ginocchio accanto al biondo, una morsa terribile che le attanagliava il cuore. Peter era pieno di sangue, era pallido…si sentì sprofondare nel buio, nel distinguere i suoi occhi socchiusi, incoscienti, e i capelli biondi sporchi di rosso, abbandonati sulla fronte.

Aveva un orribile squarcio in mezzo al petto, la tunica non aveva protetto la sua carne dal colpo infertogli con rabbia. Senza pensare, la sua mano piccina e minuta corse al pugnale che lui stesso le aveva donato, sfilandolo dal fodero e lasciando immediatamente scivolare la lama sul petto del ragazzo, tagliando quel che rimaneva dell’abito per poter meglio intervenire su quel taglio.

Tremava, ma le sue mani erano ferme.

Non poteva sbagliare, non poteva nemmeno pensare di non fare tutto il possibile per salvarlo. Erano le due le vite in gioco in quell’istante, due vite che si erano intrecciate e che non aveva la minima intenzione di sciogliere: quella di Peter, e la sua.

Perché lei lo amava, lo amava da tanto tempo. Lo amava più di quanto non avesse mai fatto, lo amava tanto da temere quello sconvolgimento, tanto da avvertire la chiara sensazione che il suo cuore non le apparteneva più.

Perché era lui a possederlo, adesso. Ed era stata lei, lei stessa, a donarglielo.

Avvertiva l’energia pulsare, appena qualche metro sotto i suoi piedi; quella era l’energia a cui attingeva, quella era la forza che le permetteva di guarire: le falde acquifere permeavano l’intera Narnia, e quei bacini sotterranei le trasmettevano la forza stessa della madre di ogni ninfa. Erano incantesimi arcaici, muti, incanti che risalivano persino a prima della nascita dei quattro Re.

Erano il mezzo più rapido per fermare quell’emorragia.

Chiuse gli occhi, cercando di ignorare il battito furioso del proprio cuore incrinato dal terrore, la paura che si mischiava al suo respiro.

Doveva raggiungere quelle polle, doveva implorare il loro aiuto. Le avrebbe pregate persino, di concederle l’energia e la forza che le servivano per aiutare Peter…

Cercò di respirare, cercò di chiudere fuori tutto quanto.

Ma non riusciva a non avvertire la pelle calda e febbricitante del Re sotto le dita appena tremanti, non riusciva a non sentire l’odore metallico del sangue nausearla, terrorizzarla.

Non riusciva a ignorare il pensiero che Peter stesse rischiando la vita a poco più di un respiro da lei, non riusciva ad allontanare quella paura. La stava distruggendo da dentro, la stava corrodendo a partire dal cuore, quello stesso cuore che batteva terrorizzato.

 .

Hai paura, ninfa.

 .

Sussultò, Shaylee.

Quella voce…quella non era il delicato sussurro delle acque di superficie.

Quella voce non era il sussurro della madre, non era la carezza dei suoi specchi d’acqua.

Quella era la voce della sua stessa natura.

Era dal profondo della terra che le parlava, incorporea ed evanescente come un sussurro, ma più terribile di un fulmine a ciel sereno. La riempiva di paura e di rispetto al contempo, costringendola a rabbrividire per l’enorme, gelida presenza che aleggiava improvvisamente intorno a lei.

Quella era la voce della sua stessa origine. Era la fonte, la fonte di tutto. La fonte di lei.

 .

Hai paura per lui, ninfa?

 .

Shaylee seppe subito di non poter mentire. Lo sentiva, lo sapeva, lo avvertiva nelle ossa: quell’essenza stessa che la permeava, che vibrava con una forza terribile nel suo corpo ad ogni sillaba, che la componeva, non avrebbe mai accettato una bugia.

Sì.

E in quelle uniche due lettere, in quell’unico pensiero, Shaylee avvertì fremere una forza del tutto nuova. Un’energia che non pensava potesse appartenerle, ma che veniva da lei, dal battito martellante che le riempiva il petto di amore e di paura. Una forza che non aveva mai posseduto, una decisione che non aveva mai riempito a quel modo la sua mente.

Ma era la convinzione dei suoi stessi sentimenti, ormai troppo grandi per essere ancora imbrigliati.

Era troppo grande quello che sentiva, quello che provava. Non aveva definizioni, né limiti.

.

E nello stesso istante in cui quel pensiero echeggiò di nuovo nel suo corpo, nella sua mente, Shay avvertì qualcosa cambiare.

Schiuse gli occhi, il mondo che girava vorticosamente intorno a lei; per un istante provò vertigine, confusione, mentre i colori della foresta vorticavano rapidi intorno ai suoi occhi. Ma un attimo dopo, un attimo dopo la sua attenzione venne focalizzata dalle proprie mani.

Brillavano appena, brillavano di un’opalescente luce innaturale che rendeva la sua pelle chiara candida, perlacea.

Brillavano, e quella tenue luce riflessa accarezzava dolcemente i lembi della ferita che squarciava il petto di Peter. Come incantata, Shay osservò quel dolce chiarore cancellare le tracce di sangue dalla pelle del Re, ricucire appena lo strappo che deturpava la pelle bronzea dei muscoli del ragazzo.

Lo stava guarendo...per la prima volta, quell'antico potere delle ninfe scorreva impetuoso appena sotto la sua pelle, donandole la forza e la capacità di salvare ciò che le era più caro.

Il chiarore svanì in fretta dalle sue mani, in fretta com'era apparso.

Il calore che le aveva infuso, però, persistette; rimase dentro di lei a languire come un tenue ma resistente fuoco in piena notte, rischiarando i suoi pensieri confusi dalla paura, rendendo limpida e cristallina la sua mente.

Sapeva cosa fare.

Quando quel tepore che irradiava la sua pelle scomparve del tutto, non rimase immobile. Le sue dita corsero rapide alla bisaccia che portava sempre con sé, a tracolla, slacciando i lacci con una rapidità data soltanto dall'esperienza.

Le ninfe erano ottime cerusiche, l'abilità nelle arti mediche era qualcosa che coltivavano fin dagli albori dei tempi; e Shay portava sempre con sé una serie di erbe officinali, erbe che aveva imparato a conoscere fin da bambina, che potevano essere molto utili in situazioni come quella.

Le ci vollero pochi minuti, per ottenere un impacco che avrebbe cicatrizzato in fretta la ferita ancora slabbrata; il suo intervento aveva fermato l'emorragia, saldando i punti critici colpiti dal nemico, ma non era abbastanza.

Fu con delicatezza che le sue dita sfiorarono il torace sofferente del biondo, ancora incosciente. Per fortuna era svenuto...Shay aveva visto più di un guerriero cedere di fronte a quel sordo dolore, le ferite aperte toccate da una mano estranea.

Alzò gli occhi su di lui solamente quando la ferita fu completamente medicata e fasciata; era ancora pallido, ma già sulle guance intravedeva un colorito roseo e molto più sano farsi strada sulla sua pelle, i lineamenti del volto molto più distesi.

Sospirò, sentendo la tensione allentarsi nel petto, il sollievo sciogliere i muscoli rimastri convulsamente contratti fino a quel momento.

Era sano e salvo.

Lasciò che le proprie palpebre si abbassassero, una stanchezza terribile che prendeva lentamente il posto dell'angoscia dentro di lei. Peter era al sicuro, non era più in pericolo, tempo un paio di giorni e di quella ferita sarebbe rimasta solo una sottile cicatrice...eppure, adesso, Shaylee sentiva soltanto il bisogno di piangere.

Aveva avuto così tanta paura…solo il pensiero di essere arrivata vicina a perderlo era insostenibile, troppo doloroso per essere anche solo formulato.

Peter non poteva morire, no…non poteva. Non gli sarebbe sopravvissuta.

Si abbandonò esausta contro il tronco di quell'albero, quella corteccia calda e viva che la accolse con una dolcezza quasi paterna, confortante.

Peter era sano e salvo…si voltò a guardarlo, al suo fianco, le palpebre che racchiudevano dolcemente quegli occhi azzurri che lei tanto amava.

Riposava sereno, finalmente, i lineamenti del viso distesi e meravigliosamente rilassati. Era così bello quando dormiva, lei lo sapeva bene…quella stessa mattina lo aveva osservato a lungo, incredula lei stessa di quanto un essere umano potesse essere tanto perfetto.

E perfetto Peter lo era davvero; non soltanto fisicamente, ma il suo cuore, la sua anima…tutto, in lui, era splendido. Il Magnifico, lo capiva solamente ora, non era un appellativo così sbagliato nei suoi confronti.

Sorrise amaramente, negli occhi una scintilla di dolcezza e sofferenza; quella notte era riuscita a dimenticare tutto, a lasciarsi trasportare da nient'altro che i sentimenti. Le onde di piacere, di    amore    , che l'avevano attraversata erano rimaste impresse a fuoco sul suo corpo, come una dolce lava immersa nelle sue vene insieme al sangue e alla magia.

Gli sfiorò con le dita sottili la ferita che velocemente stava guarendo, percorrendo con cautela il corpo del biondo, sempre più su, arrivando a lambire appena quel punto del collo che aveva scoperto essere perfetto per rifugiarsi, dimenticando tutto il resto.

Il profumo di lui era forte in quel lembo di pelle, la inebriava a tal punto da far svanire ogni insicurezza, ogni timore, con la sola coscienza di essere nel posto giusto al momento giusto.

Peter era la sua casa, il cuore lo urlava battendo furiosamente ogni volta che solo lo intravedeva.

Ma il timore di perderlo era troppo grande e doloroso, per ignorarlo; se solo poche ore prima non avesse ascoltato    quelle     parole...

Improvvisamente, la fronte di Peter si corrugò, le palpebre si strinsero appena.

Shaylee non ebbe nemmeno il tempo di rendersene conto, di accorgersi che il suo respiro si era fatto sempre più pesante; bastò un istante, al Re Supremo, per schiudere gli occhi azzurri e cercare, istintivamente, i suoi.

Sussultò, la ninfa, quando quelle limpide iridi celesti occuparono nel tempo di un battito ogni suo pensiero, ogni sua attenzione. Erano vigili, attente, cristalline come l’acqua; e un qualcosa che si contorceva nel suo ventre le fece intuire che lo fossero troppo, che non esattamente era lo sguardo di una persona appena rinvenuta…

Rimase immobile, ascoltando il suono assordante del cuore che si dibatteva furibondo nel suo petto. Era più coraggioso di lei, mille volte più temerario di quanto lei stessa non sarebbe mai stata…

Erano vicini, erano tremendamente vicini. Riusciva ad avvertire il suo respiro sfiorarle una guancia in una tenue carezza, riusciva a contare ogni singola ciglia bionda, riusciva a vedere ogni domanda inespressa in quei due pezzi di cielo azzurro.

Non disse nulla, Peter, preferendo per una volta restare in silenzio.

Aveva il terrore che se soltanto avesse provato a parlarle, a chiarire, Shaylee sarebbe scomparsa di nuovo… per questo motivo aveva finto, dopo essere rinvenuto in qualche istante. Aveva sbirciato in silenzio le azioni della ninfa, si era beato di quegli istanti in cui si era preoccupata per lui…

Ma voleva parlarle, voleva capire.

Voleva sapere perché, dopo quella notte, era fuggita ancora una volta da lui.

Non sapeva più come farle capire che cosa provava, che non le avrebbe fatto del male, che non l’avrebbe lasciata; non aveva più idea di come trattenerla con sé…

Si mosse appena, sentendo quell’attimo di cristallino silenzio spezzarsi al suo brusco sospiro; la ferita appena curata tirava terribilmente la carne, dandogli un lieve dolore che era più fastidioso che altro.

-Shaylee…- mormorò, ma seppe già nello stesso istante in cui aveva parlato che non sarebbe servito a nulla.

La ninfa si era bruscamente allontanata da lui, gli occhi dorati che si scostavano rapidamente dai suoi; quella paura che Peter stava cominciando ad odiare segnava di nuovo il suo viso, i suoi lineamenti, le labbra strenuamente contratte.

Eppure, Peter lo ricordava anche troppo bene, quelle labbra erano meravigliosamente soffici…

La ninfa si alzò in piedi, rassettando con un gesto nervoso la veste candida. E Peter si sentì sprofondare, il cuore che dolorante perdeva qualche battito, nel vederla così fredda e lontana - terribilmente, maledettamente lontana da lui.

-Shay…-

La Naiade avvertì qualcosa di terribilmente gelido serrare il suo cuore in una morsa, al suono dolce e quasi supplichevole della sua voce. Una parte di lei era allibita, sorpresa da quella mitezza che nell’Alto Re nessuno aveva mai scorto…ma era troppo concentrata su quel dolore soffocante che le riempiva il petto, i pensieri, per accorgersene.

Quanto avrebbe desiderato voltarsi verso di lui, confessargli tutte le sue paure…ma non ci riusciva, non riusciva ad ammettere nemmeno con se stessa che il terrore avesse ripreso con una facilità terrificante il controllo del suo cuore, costringendola a fuggire – per l’ennesima volta – da lui.

Quella mattina…quella mattina si era sentita morire.

Era tornata al campo, più confusa che mai.

Quello che era successo quella notte…quello che era successo era stato troppo grande, troppo intenso, perché riuscisse a raccapezzarsi almeno un poco.

Era stato tutto così meravigliosamente perfetto

Per la prima volta non aveva avuto dubbi, insicurezze, paure; per la prima volta si era donata completamente a lui, donandogli quel cuore che lui si era già preso, mischiando l’anima alla sua.

Eppure…eppure si era allontanata, ancora una volta.

Aveva avuto paura

Paura che tutto quanto si spezzasse, paura che fosse stato soltanto un bellissimo sogno.

Si era allontanata da lui, era scappata; il solo pensiero che fosse stata soltanto una notte era bastato per incrinarle il cuore, per darle l’impulso di quella fuga che tanto male gli aveva fatto.

Quei soldati non si erano accorti della sua presenza silenziosa, quella mattina.

Si era accoccolata in un angolino del campo, osservandoli distrattamente mentre si davano il cambio del turno di guardia; in cuor suo sperava di incontrare Siria, che ogni mattina si occupava della ronda, di poterle parlare, di trovare conforto…

E invece, aveva soltanto trovato un coltello in pieno petto.

 .

-Pensi che i Re resteranno, questa volta?-

-Se ne sono già andati una volta, a guerre finite. Questo non è il loro mondo, dopotutto…-

 .

Questo non è il loro mondo.

Quelle parole risuonavano crudeli nel suo cuore agonizzante, tanto che dovette racchiuderlo fra le dita, terrorizzata all’idea di sentirlo andare in pezzi ancora una volta.

Se ne sarebbero andati…

Peter sarebbe andato via

Non avrebbe potuto sopportarlo.

Preferiva essere lei ad andarsene, preferiva allontanarsi e lasciarsi alle spalle quella notte e quei sentimenti, costringendosi a morire ogni giorno un po’ di più lontana da lui…

Avrebbe voluto credere che fosse la scelta più giusta.

Avrebbe voluto credere davvero che separarsi da Peter fosse la cosa migliore per entrambi, perché lei non era la persona adatta a lui, perché Peter sarebbe dovuto tornare a casa prima o poi, alla sua vita…una vita senza di lei, una vita che avrebbe vissuto senza ricordo di quella misera notte.

Eppure l’unico desiderio che davvero la animava era quello di voltarsi verso di lui, di stringersi ancora una volta a quel petto ampio e sicuro, e di abbandonarsi a quelle lacrime che lottavano per scendere…

Lui era il suo unico desiderio, lui era ciò che il suo cuore chiedeva in un disperato grido d’aiuto.

Ma aveva già sofferto troppotroppo, per permettersi di rischiare ancora.

Aveva amato, aveva perduto; la sua era stata una sofferenza di migliaia di giorni, di centinaia di settimane, di mesi, di anni.

Non avrebbe retto ad un altro dolore…non sarebbe sopravvissuta.

Nemmeno…

Shay, arriva qualcuno.

La naiade sobbalzò di scatto, quando la voce nuovamente fredda e calcolatrice di Siria trapassò con la prepotenza di una spada il tumulto dei suoi confusi pensieri.

-Devo andare.- sussurrò, piano, dando le spalle a Peter.

-Shaylee, aspetta un secondo!-

No.

Non stavolta, non…no.

 .

E quando Peter riuscì ad alzarsi, ancora dolorante, la ninfa già era scomparsa.

 .

 .

Susan spronò appena il cavallo, costringendolo ad avanzare più prontamente fra le folte fronde del sottobosco. Lucy era dietro di lei, in sella ad una giumenta dolce e mansueta catturata pochi giorni prima, fra le colline di Archen.

Le due sorelle si erano accorte ben presto dell’insolita tranquillità al campo; nessun feroce battibecco fra Peter e Siria, nessuno sguardo angosciato rivolto a Shaylee, nessun Alto Re che allenava duramente i suoi uomini per una guerra che aveva poche speranze di vincere.

L’assenza di tutti e tre aveva destato ben presto la loro preoccupazione; non sapevano esattamente che cosa aspettarsi, quando presi i due cavalli si erano avventurate sullo stesso sentiero che i soldati avevano visto imboccare da Peter, qualche ora prima.

Era inquieta, Susan; l’assenza di Siria le pareva soltanto l’ultimo di una serie di inspiegabili avvenimenti che, in qualche modo, sembravano essere tutti collegati a lei…

Come quel dardo, che improvvisamente sibilò a non più di qualche centimetro dal muso del suo destriero.

-Ehi!- la Regina afferrò bruscamente le redini, riuscendo miracolosamente a reggersi in sella senza cadere quando il cavallo s’impennò con rabbia, spaventato. -Stai indietro, Lucy!- ordinò, mettendo istintivamente mano all’arco, reggendosi alla sella serrando le ginocchia sui fianchi dell’animale.

-Non ce n’è bisogno.-

Quella voce gelida colpì la Regina con la forza di una mazzata.

Soltanto una persona le parlava con quel disprezzo, senza un minimo di cortesia, di rispetto.

Soltanto una persona si sarebbe permessa di aizzare così il suo destriero, e quella stessa persona era l’unica che possedeva dardi scarlatti come i suoi capelli.

Susan alzò repentinamente lo sguardo, assottigliando i limpidi occhi celesti quando riconobbe l’eterea figura ammantata nelle ombre della notte.

Siria.

-Mi hai quasi colpita!- sbottò, rinfoderando bruscamente l’arco nella faretra, un moto di disprezzo che riempiva le sue iridi d’ira nell’osservare la felide figura della mercenaria muoversi agile fra le fronde degli alberi.

-Ops. Scusa, non era mia intenzione.- il sarcasmo di Siria riempì in pochi istanti l’aria altrimenti fragrante della foresta, appesantendola di una gelida ironia che colpì, più di tutto il resto, la piccola Lucy.

Siria non si rivolgeva mai così, a nessuno. Nemmeno con Peter arrivava a tanta ira, a tanto disgusto nella voce solitamente, se non rispettosa, il più educata possibile.

Invece con Susan…con Susan, anche quella parvenza di gentilezza spariva del tutto.

-Di solito non colpisco persone a caso nella foresta.- e non aveva poi neanche tutti i torti, la raminga, nel ricordare a Sue la ferita infertale mesi addietro.

Lucy si trattenne a stento dall’alzare gli occhi al cielo, quando Susan esibì orgogliosa il suo miglior cipiglio altezzoso, quell’espressione che a lei proprio non era mai andata giù.

-Non mi pento di quella freccia, raminga.- rispose, fredda, trasalendo però quando con un gesto fulmineo Siria si ritrovò a poche manciate di centimetri da lei, il volto ferino distorto dall’ira, appollaiata con la pericolosa eleganza di un rapace su uno dei rami più bassi.

-Spiegalo alla mia spalla.- sibilò, con rabbia, la voce che tagliava come la lama della sua spada sporca di sangue. -Spiegalo all’ennesima cicatrice che sono costretta a portare.-

Era stanca, Siria.

Era stanca delle cicatrici che la deturpavano, di quelle sottili linee bianche che tracciavano una storia di sangue e di morte sulla sua pelle diafana.

Ed era stanca, soprattutto, di Susan Pevensie e del suo irritante atteggiamento di superiorità.

-Non mi fai paura.- Lucy le osservava fronteggiarsi, in silenzio; Siria e Susan erano quanto di più diverso potesse esistere, sebbene fossero probabilmente coetanee.

Susan era l’emblema dell’eleganza femminile, del portamento fiero e gentile che ogni Regina avrebbe dovuto mostrare. In molti erano stati gli uomini affascinati dalla sua algida bellezza, e altrettanti si erano ritrovati un educato, cortese, e terribilmente fermo due di picche ad ogni tentativo di avvicinamento.

Siria, invece…Siria era il simbolo di un altro tipo di femminilità, una donna selvatica e forte come poche altre. C’era la tempesta nei suoi occhi, il sangue sulle sue labbra e il tumulto nel suo spirito; era una guerriera, quella ragazza, cresciuta e allevata dalla foresta che a Lucy non pareva più il sicuro rifugio di tanto tempo prima.

Erano diverse, diverse come il giorno e la notte; come la luce che illuminava il sorriso di Sue, ed il buio che talvolta riempiva gli occhi di Sir.

-Io non mi fido di te. Tu continui a nascondere qualcosa, qualcosa che potrebbe essere pericoloso per tutti quanti noi.- nonostante tutto, Siria apprezzava una cosa soltanto nel carattere della Regina; era coraggiosa, tanto coraggiosa da dirle in faccia quello che pensava di lei.

Ed aveva ragione

-Sono un pericolo, Susan Pevensie?- le chiese, un sorriso irridente che si disegnava ferino sulle sue labbra.

Me ne sono andata, Sir.

Si trattenne dal rivolgere un’occhiataccia al cielo, Siria, quando il pensiero pacato di Shaylee rimbombò nella sua mente.

Coppia di piccioni insopportabili! Ma quanto ci vuole a capire che state bene insieme, per tutti gli dei di questo mondo e pure degli altri!?!?

Probabilmente, Shaylee nemmeno udì il suo pensiero. C’era già silenzio, fra i suoi pensieri, lo stesso silenzio che tanto l’aveva angosciata quella mattina.

Tornò a guardare Susan, leggendo in quegli occhi tanto simili a quelli di Peter la chiara risposta alla sua domanda retorica.

.

Il sorriso sarcastico della raminga si accentuò, quando con un gesto fluido si ritrovò a terra, i calzari che nemmeno un suono producevano fra le secche foglie del sottobosco.

-Tanto pericolosa da aver salvato per la seconda volta la vita di tuo fratello.- commentò, caustica, vedendo trasalire entrambe le sorelle Pevensie.

-Che cosa…- la rossa si limitò ad un freddo gesto del capo, indicando a Susan la direzione per raggiungere un sicuramente irritato e dolorante Peter.

-Laggiù.- mormorò, e già un istante più tardi la Regina aveva spronato il cavallo al galoppo, allontanandosi da Siria.

Ma Lucy no, Lucy non la seguì.

La piccola rimase dov’era, osservando pensierosa Siria che si avvicinava ad una piccola nicchia fra gli alberi, traendone un cappio che aveva assicurato ad un ramo. Non la sorprese vedere Destriero trottare placidamente da quel nascondiglio sicuro, diretto verso la rossa; e nemmeno notare la dolcezza con cui la bestia si lasciava accarezzare il muso.

-Buono, piccolo.- avvertì il sussurro della raminga, le dita che sfioravano con tenerezza il folto manto corvino del cavallo.

Sospirò, Lucy, spronando la giumenta per avvicinarsi un poco alla ragazza.

-Sue non è malvagia, non…- provò a cominciare, incerta, tentando di giustificare almeno un poco il comportamento che la sorella aveva tenuto con Siria.

Non capiva tutto quell’astio, Lu; Siria aveva dimostrato più e più volte la sua lealtà, e per quanto non andasse d’accordo né con Susan né con Peter non si era mai ribellata, finendo per obbedire agli ordini, come un bravo soldato.

Eppure, Sue non si fidava di lei; forse era Lucy a sbagliare, ad essere troppo ottimista…

-Lo so, piccola.- sussultò, la piccola Pevensie, quando la voce improvvisamente raddolcita di Siria la raggiunse.

La raminga stava fissando la balestra alla custodia della sella, assorta nell’intrecciare le cinghie e i passanti, gli occhi blu dispersi fra pensieri che Lucy non conosceva.

Ma era dolce, la sua voce.

-Ha più ragione di quanto lei stessa pensi…- forse Siria non si accorse di quella frase, sfuggita alla maglia fitta della sua mente sulle sue labbra.

Ma Lucy, al contrario, sì.

-Io non ci credo.- affermò, sicura, smontando dalla giumenta e avvicinandosi alla rossa, costringendola a voltarsi verso di lui. -Tu hai gli occhi buoni, Siria.- affermò, certa, vedendola sussultare appena.

Ma ne era certa, più di qualsiasi altra cosa: gli occhi di Siria potevano essere cupi, lontani, potevano celare misteri che forse avrebbero spaventato molti di loro.

Ma non erano occhi malvagi, né gelidi.

Erano occhi limpidi che improvvisamente si velarono, alle parole sincere e affettuose della più giovane dei Pevensie.

-Piccola…- cominciò, sentendo un qualcosa di terribilmente doloroso annodarsi a livello del torace, le iridi che pungevano.

-Se tu sapessi di essere dannata per qualcosa di cui non hai colpa, cosa faresti?- sussurrò, senza riuscire a sostenere la dolcezza un poco ingenua, terribilmente bella, nello sguardo di Lucy.

-Se fosse il tuo stesso sangue il tuo errore, se già essere nata facesse di te un pericolo per tutta Narnia…come ti sentiresti?-

Era una domanda crudele, quella.

Nessuno, fra loro, avrebbe mai potuto capire davvero cosa significava essere dannata.

Siria ne era conscia, Siria sapeva che la sua dannazione era la stessa solitudine che la riempiva di un vuoto da cui non riusciva a liberarsi da vent’anni, ormai. E sapeva, ne era consapevole con tutto il dolore che riempiva il suo cuore, di non poter condividere quel peso con nessuno.

Lei, era l’unica segnata da quel destino scritto nel sangue.

-Io…io non lo so.- mormorò Lu, dispiaciuta, abbassando appena lo sguardo da quel volto ferino ed angosciato.

Era l’incontro fra due realtà completamente diverse, fra il passato ed il futuro di due anime che, un tempo, dovevano essere state molto simili; ma ciò che rimaneva di Siria era soltanto un brandello che svolazzava stremato nell’impervio vento gelido che l’aveva trafitta troppo spesso, mentre Lucy…

Siria la guardò con tenerezza, una triste dolcezza che velava le iridi di cobalto.

Lucy aveva ancora un futuro, un futuro radioso, ad attenderla. E lo meritava, più di chiunque altro in quel mondo, più di Susan…più di lei.

-Deve fare molto male.- la raminga si strinse nelle spalle, minimizzando appena quel peso che gravava su quella schiena ormai esausta da troppi anni, da troppo tempo.

Non era giusto parlarne con Lucy, non era giusto farle conoscere così presto quanto la vita potesse essere crudele. Non avrebbe nemmeno dovuto accennarle nulla, limitandosi a riportarla al campo…

Non avrebbe permesso alla sua stessa oscurità, al suo stesso cancro, di toccare anche lei. Aveva già coinvolto troppe persone, già in troppi avrebbero presto sofferto a causa sua.

-Ci si abitua.- mormorò, e un istante più tardi montò sul Destriero di Caspian, tendendo una mano alla bimba.

Una mano che Lucy non esitò nemmeno per un attimo ad afferrare, lasciandosi issare dietro di lei, fidandosi senza remore di quella ragazza che ogni giorno di più sentiva di apprezzare.

-Forza piccola, ti riporto al campo. Abbiamo due piccioni da tenere d'occhio.-

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My Space:

Buooondì ^^ anzi, dovrei dire buonasera, credo xD
Vi parrà assurdo, ma sono riuscita ad aggiornare in mezzo ad un sacco di casini che riguardano il negozio, l'apertura, i fornitori, ex affittuari disastrosi e via così...il mondo del lavoro è duro ^^' e lo è ancor di più quando si va ad intuito, senza avere la più pallida idea (o quasi; 5 anni di ragioneria a qualcosa serviranno!!) di quel che si sta facendo ^^'
Vabbeh, a parte i miei scleri da donna in carriera; allora, ho un pò di cosette da dire su questo chap, che (originariamente) era di 24 pagine e ho dovuto spezzare in due; sta diventando un'odissea quella di Peter&Shay, fra un pò Siria mi presenterà il conto per esaurimento a causa piccioncini che si rincorrono e non si decidono xD
Un appunto che tengo a farvi, riguarda la canzone scelta; è stata una folgorazione, scegliere i Bon Jovi per questo capitolo. Il testo della canzone lo trovate QUI (testo, traduzione e video), e penso che si addica tanto alla parte su Shaylee e Peter, quanto a quella su Siria.
A proposito...
Prima o poi Susan e Siria finiscono a botte, me lo sento U.U

*il che sarebbe molto gradito dai maschietti...del tipo:
Peter: sììì! Picchiala!!!
Shay: scusa, chi deve picchiare chi!? O.o
Peter *ci pensa*: .....non lo so, l'importante è che si picchino U.U
Shay *facepalm*: ma chi me l'ha fatto fare........*

Okay, scusate il mio sclero, non posso farci niente ^^' mi escono random queste idiozie ^^'
Voglio dire una cosa ancora, poi vi rispondo e mi eclisso; mi sono concentrata molto sui poteri di Shaylee, poteri che alle ninfe non sono preclusi, ma sono quasi stati dimenticati. E' il potere della guarigione, che Shay scopre di saper usare per la prima volta soltanto in questa occasione, mossa dalla paura e dall'amore nei confronti di Peter. Spero vi sia piaciuto ^^'
Ecco un'immagine del capitolo della battaglia al castello, riguardante Shaylee:

E questa che segue invece è per un paio di capitoli fa xD

 Rinalamisteriosa [Contatta] Segnala violazione
 12/10/10, ore 21:57 - Capitolo 22: Frozen.
Hooola ^^
Allora, che cosa dire?
Il comportamento di Shaylee in questo capitolo si capisce; piccola, ha paura, una paura matta...si è donata, ha lasciato agire il cuore, ma la paura (fomentata dai due soldati che parlavano fra loro) di vedere Peter allontanarsi è stata più forte ^^'
E sì, vedere Peter che non si ripiglia è un tormento anche per me >.<
Nel prossimo capitolo, ci sarà un pezzo particolare, su di lui (e su Siria); penso che ti piacerà ^^
Siria tanto dice, di non sopportarlo; ma in verità quei due sono talmente simili, che non possono non volersi bene, in fondo...mooooooolto in fondo xD
Mi raccomando, acqua in bocca su Siria, eh xD dovrebbero essere più comprensibili i pezzi su di lei, ora che sai ^^'
Un bacione!!
 Alchemia [Contatta] Segnala violazione
 08/10/10, ore 22:26 - Capitolo 22: Frozen.
Lo so, l'Odissea Narniana finirà U.U non so quando, ma finirà xD
Lo sai che i combattimenti mi vengono dal cuore, e aspettavo con ansia il momento in cui Peter e Siria avrebbero combattuto (e non fra loro xD)...comunque sì, meglio che continuino a beccrsi, se diventano troppo amici Cispia fa la fine della lontra xD
*ogni riferimento a persone o fatti realmente accaduti è puramente casuale*
E poi sssssono pucciosi Sir e Peteronzolo, zizi U.U
 romina75 [Contatta] Segnala violazione
 08/10/10, ore 20:26 - Capitolo 22: Frozen.
Tesoro!!!
Mi hai fatta ridere di cuore, parlandomi del film "I Gemelli" xD Quando ero più piccola, l'avrò visto decine e decine di volte, mi ha sempre fatta ridere come una pazza...e sì, è la stessa identica espressione che ho immaginato anche su Peter xDDDDDDDDDDDDD
Anche perché tecnicamente, la prima volta a Narnia Peter può aver avuto esperienze, ma tornando indietro nel tempo, penso che a 15 anni non ne avesse avute...quindi, praticamente, era di nuovo vergine U.U
*frutto delle riflessioni mie e della Kiki in un pomeriggio di dolce far niente xD*
No, Peter non si confiderà con Caspian...con qualcun altro però sì, ti lascio il piacere della scoperta del "con chi" al prossimo capitolo xD
Le battaglie sì, sono sempre il mio punto forte...alla fin fine, sono una guerrafondaia ^^'
E il principino...sì, esatto: è una primadonna con le orecchie a sventola e i capelli cotonati *W* ed è tanto teneroso xD
Un abbraccio forte forte a tutti <3<3
 Eve_Cla84 [Contatta] Segnala violazione
 08/10/10, ore 14:03 - Capitolo 22: Frozen.
Hola! Che bello vedere una nuova persona a recensire!!!!!
Allora, comincio a risponderti; il mio modo di scrivere è abbastanza ricercato, mi sono impegnata molto per maturare nei quasi tre anni passati dalla prima volta che misi piede su EFP...prima era molto più semplice, ma sono cresciuta e la mia scrittura con me ^^
Oh, che bello, ti piacciono Edmund e Tara *W* li adoro, sono troppo splendidi insieme! Ci sarà un qualche pezzo su di loro, oltre che nel seguito ^^
Siria e Caspian sono fenomenali, e anche Talia e Caleb e Aaron e Susan xD
Peter e Shay...eh, loro due sono complicati ^^' Shay è un personaggio pauroso, è un pò la parte paurosa che c'è dentro ogni ragazza...e Peter è uno scemo, è un cocker scemo U.U
Siria è un mito sì xD è folle, perché è fuori come un balcone...ma visto che è il mio personaggio, quello a cui somiglio di più, non mi sorprende xD
Quello che lega le tre bambole? Eh, è una cosa ben ardua, che terrò sospesa fino agli ultimi capitoli xD
E Peter e Siria sì, mi piacciono molto; sono talmente simili e diversi allo stesso tempo, che attendevo con ansia il momento in cui avrebbero iniziato ad andare d'accordo sul serio ^^ fra loro...beh, fai conto che ho appena iniziato a parlare di loro due, e sono una coppia di "amici" decisamente esplosiva xD Ti ringrazio tantissimissimo per la recensione, appena potrò avere una venticinquesima ora di respiro passerò dalle tue fic in questo fandom, promesso! Un abbraccio <3
 lovely_ [Contatta] Segnala violazione
 08/10/10, ore 13:33 - Capitolo 22: Frozen.
Stavolta sono riuscita ad aggiornare in tempi non chilometrici, per fortuna ^^' due settimane non sono tante, almeno credo ^^'
Sono contentissima che ti piaccia tanto Siria *W* la mia donnah *W*
E Peter sì, è coccoloso, anche se per me continua a rimanere un adorabile idiota xD
Un bacione!

Ultima cosa: voglio darvi un indizio sul mistero di Siria xD

Spoiler:

-Ho sbagliato a giudicarti, sai?- lo avvertì sussurrare, il corpo che si rilassava appena a contatto con quello della ragazza, il viso che cercava l’incavo buio della sua spalla.

-Capita spesso anche questo.-

Love you all, B <3

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Capitolo 24
*** Disappear. ***


1 chap Narnia

Narnia's Rebirth

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Disappear - Dream Theater

-Per favore, non dire nulla a Caspian.- Lucy si trattenne dal sorridere, quando Siria coprì con noncuranza le ferite non troppo profonde che le segnavano le braccia. Le aveva raccontato in sintesi cos’era successo a Peter, accennando che qualcosa, quella notte, poteva essere accaduto fra il biondo e Shaylee.

Lucy era una compagnia sorprendente, per Siria; quella ragazzina era intelligente, spigliata ed ironica come sicuramente Peter e Susan non avrebbero mai saputo essere.

Con una fitta al cuore, si era resa conto che le ricordava un po’ se stessa…una sé che era stata troppi anni prima, una sé che aveva abbandonato nel rogo che aveva distrutto la sua innocenza.

La vicinanza di Lucy le trasmetteva un inaspettato sentimento di calma, di pacatezza; la piccola riusciva a farla sorridere, a rasserenarla, mentre entrambe si perdevano in congetture via via più fantasiose ed improbabili per costringere Peter e Shaylee a smetterla, una buona volta, di rincorrersi.

Parlare con Lucy era uno sprazzo di serenità, di luce; le ricordava che non tutto era perduto, che il mondo meritava di essere salvato.

-Va bene.- acconsentì Lucy, annuendo vigorosamente e distinguendo il principe avvicinarsi a loro, appena emerse dal folto della foresta.

Ma non riuscì a trattenere un sogghigno divertito, quando distinse un lieve sorriso disegnarsi sulle labbra solitamente contratte della raminga, le guance nivee che si coloravano di un tenue scarlatto.

Caspian riusciva a compiere un miracolo, semplicemente esistendo.

Ma aveva imparato a riconoscere all'istante i segni di una bugia, di qualcosa che Siria tentava di celargli.

Non lo guardava negli occhi, torceva appena l'orlo del mantello...e sulle sue dita, sul fodero della spada, c'era un'inconfondibile segno rosso che altro non poteva essere che sangue.

-Che cos'è successo?- fu la prima domanda che le pose una volta raggiunte, aiutando Lucy a smontare da cavallo, dietro Siria.

-Niente di...- cominciò la raminga, nascondendo con un gesto quasi impercettibile la spada ancora sporca di sangue, le braccia lacere. Erano delle sciocchezze, non le sembrava giusto farlo preoccupare per qualche graffio...

Ma la piccola, mefistofelica Pevensie la precedette, interrompendola con quella voce squillante impossibile da ignorare.

-Si è ferita aiutando mio fratello, l’ha salvato da un agguato.- le scoccò un'occhiataccia, Siria, ricevendo in cambio uno smagliante sorriso di denti candidi; quella bambina era peggio di entrambi i suoi fratelli maggiori messi insieme, oramai era certo.

Caspian alzò gli occhi su di lei, una luce terribilmente seria nelle iridi scure. Sospirò, Siria, sentendo qualcosa di sgradevole agitarsi nel suo addome; non le piaceva quello sguardo, non le piaceva sentirsi una bambina che ha combinato un qualche disastro, dopotutto era solo qualche taglio superficiale, non...

Si lasciò scivolare dalla sella, i calzari che non produssero nemmeno un suono nel toccare l'erba giallastra e calpestata. Una piccola parte di lei ancora si sorprendeva di quanto un semplice sguardo di Caspian riuscisse a farle dimenticare l'orgoglio, quella testardaggine con cui si ostinava a tenere per sé quasi ogni cosa la riguardasse.

Ma il resto di lei non riusciva a non sentirsi al sicuro, a non sentirsi amata, nel sapere che Caspian era più cocciuto di lei...era stanca di soffrire, ed era stanca dell'orgoglio che racchiudeva ogni dolore dietro quella solida maschera che indossava.

-Fa' vedere.- Siria si sentì arrossire, a disagio, le mani che andavano istintivamente a coprire le braccia candide nell'inchiostro nero del mantello.

-Ma non è niente, non...- le parole le morirono sulle labbra, allo sguardo deciso del suo principe.

-Siria.- e l'inflessione particolare con cui pronunciò il suo nome, quella ferma dolcezza, quel tono, furono più che sufficienti per strapparle un sospiro, le dita che scostavano di malavoglia la stoffa scura dalle proprie braccia.

Si sentì arrossire, quando Caspian alzò lo sguardo su di lei, un sopracciglio inarcato e l’espressione palesemente ironica.

-Sono solo graffi.- borbottò, a disagio, cercando di non abbassare lo sguardo sulle cicatrici più vecchie che solcavano i suoi polsi.

Erano segni che le ricordavano una storia che non aveva voglia di rivivere…

-Non mi sembra proprio.- fu il commento di Caspian, che trattenne a forza un sospiro esasperato. Siria aveva quella brutta mania di minimizzare ogni cosa che la riguardasse…era una cosa che lo faceva impazzire, non sapeva mai quanto esattamente la sua rossa stesse soffrendo.

-Vieni.- affermò, in un tono che non ammetteva repliche, ed intrecciando le dita alle sue la trascinò con sé fino ad un luogo che entrambi avevano eletto a proprio.

Poco lontano dalla cripta di Aslan, sorgeva una collina perennemente sferzata da un vento caldo, un vento che dicevano provenire direttamente dai mari limpidi del Sud.

Era un bel luogo, l’erba alta pareva non fermarsi mai; la carezza del libeccio scuoteva appena il folto verde che la ricopriva, come un inusuale mare verdeggiante che si lasciava accarezzare dal respiro dell’oceano, facendo le fusa come un gatto.

Caspian e Siria spesso si rifugiavano lassù, lontani dal caos dell’accampamento e dagli sguardi ancora sospettosi che li seguivano ogni volta che si sfioravano. Era diventato il loro posto, l’unico dove nessuno avrebbe potuto disturbarli, dove potevano rubare alla guerra qualche ora soltanto per loro.

-Caspian, davvero, non…- bastò uno sguardo, per zittirla.

Uno sguardo, ed il gesto morbido ma deciso del principe, che con fermezza la trasse a sé accogliendola contro il suo torace caldo, sicuro.

Non era valido, Siria lo avrebbe ripetuto fino allo sfinimento. Caspian sapeva benissimo che le bastava trovarsi lì, fra le sue braccia, per dimenticare qualsiasi cosa e sciogliersi, schiudendosi come la rosa canina in fioritura.

Sospirò, socchiudendo gli occhi, lasciando che il profumo intenso della pelle del principe la stordisse, la irretisse.

Era una fragranza così buona…accostò appena il volto alla gola di lui, sfiorando la sua pelle con il nasino congelato, sentendolo rabbrividire. Sorrise fra sé, quando Caspian la strinse appena più forte, cingendole i fianchi con quelle mani che lei tanto amava, serrandola in quella trappola di braccia e di corpi da cui non l’avrebbe lasciata facilmente fuggire.

Il principe si lasciò sfuggire un respiro appena spezzato da un fremito, quando Siria si accoccolò contro al suo petto, posando le dita affusolate sulla pelle scoperta della sua gola.

La sua bellissima raminga nemmeno se ne accorgeva, di quanto poco bastasse per farlo impazzire…era una delle tante cose che amava di lei, quell’ingenuità sorprendente che nessuno avrebbe mai potuto immaginare.

Premette la guancia sui soffici capelli rossi, socchiudendo gli occhi e beandosi del calore che quel corpo trasmetteva al suo.

Siria era così bella…non riusciva a tollerare di essere stato ancora una volta incapace di impedire che le venisse fatto del male, non riusciva a perdonarsi di non averla saputa proteggere per l’ennesima occasione.

-Lascia che dia un’occhiata.- sussurrò al suo orecchio, salendo a sfiorarle una spalla, scostando con i polpastrelli l’orlo del mantello e scostandolo, toccando appena la pelle candida di Siria.

La avvertì sospirare; un sospiro che non sapeva se essere esasperato od eccitato.

-Non demordi, vero?- gli chiese, il respiro caldo e profumato che accarezzava la sua gola, dandogli i brividi.

Si avvicinò di più all’orecchio di lei, scostando i capelli con il naso, sfiorandola appena in quel punto dove Siria era estremamente sensibile; c’era un piccolo incavo, appena dietro il lobo, che bastava sfiorare per sentirla tremare – letteralmente – fra le sue braccia.

Ed infatti, avvertì le ginocchia della ragazza fremere terribilmente, il respiro mozzarsi a metà.

-Nemmeno se provi a sedurmi.- le sussurrò, piano, sentendola rabbrividire contro di sé.

-Approfittatore.- mugugnò Siria in risposta, ma non poté fare a meno di sorridere quando Caspian la trascinò con sé nella folta erba alta, lasciando che si accoccolasse fra le sue gambe, contro al suo petto.

-Assolutamente.- annuì lui, soddisfatto, posando un bacio sulla gola di lei, la schiena della ragazza che morbidamente aderiva al suo torace.

Recuperò con un sol gesto la piccola bisaccia che portava sempre in cintura, sfilandone una benda ed una borraccia ricolma di liquore. Quel poco di rudimenti in medicina che Cornelius gli aveva fatto studiare ora tornavano utili, dopotutto…

Fu con delicatezza che imbevette il panno nell’alcool, e con ancor più accortezza che lo accostò alle ferite della sua compagna.

Siria era un bravo soldato, ne era perfettamente conscio; non si era mai lamentata, nemmeno quando la ferita al fianco si era riaperta, rischiando di dissanguarla. Eppure avvertì comunque il suo corpo rabbrividire, al contatto della benda con le ferite ancora aperte.

-Perdonami.- sussurrò, posando nuovamente le labbra sulla pelle chiara di Siria, distogliendola da quel bruciore. E la rossa si rilassò quasi immediatamente contro di lui, reclinando il volto e permettendogli di sfiorarla, concentrandosi sul tocco caldo dei suoi baci e non sul dolore delle ferite.

-Devo farmi male più spesso, se questa è la cura.- sussurrò, sorridendo appena, voltandosi per posare un lieve bacio sulla guancia del ragazzo.

-Non abituartici. La prossima volta ti lascio alle prese con Shaylee.- replicò lui, ridacchiando dell’espressione atterrita dipintasi sul volto della ragazza. Shay era l’unica persona che le facesse abbassare la cresta, e che la rimproverasse anche frequentemente per la sua solita spericolatezza.

-Cattivo.- rise, Caspian, quando la vide assumere un broncio tanto simile a quello di una bambina capricciosa. Era raro scorgere quella dolcezza, quella spontaneità sul suo viso; ma era bellissima, più bella che mai.

-Oh, sì. Cattivissimo.- ridacchiò nella sua gola, sentendola mugugnare.

Fu in pochi minuti che disinfettò le sue ferite, pulendole dal sangue che già si stava rapprendendo sulla sua pelle chiarissima. Adorava la carnagione di Siria, era stata una delle prime cose a colpirlo di lei; amava percorrere quel candore in punta di dita, seguendo le linee delle vene e delle cicatrici, che formavano reticoli di tatuaggi misteriosi e seducenti.

Ma due, due di quei sottili disegni candidi attirarono la sua attenzione.

Perplesso, accarezzò con dolcezza gli avambracci abbandonati sulle ginocchia di Siria; le sue dita erano delicate, non le facevano male, evitavano con accuratezza ognuno dei tagli ancora arrossati che solcavano la sua pelle.

Ma le ci volle soltanto un istante, per capire che gli occhi di Caspian si erano posati esattamente dove lei non voleva finissero.

Il principe la sentì irrigidirsi contro di sé, quando si accorse che le cicatrici sui suoi polsi avevano attirato la sua attenzione; erano due segni quasi invisibili, che sparivano nel punto in cui la mano si lega al braccio.

Forse non avrebbe dovuto interessarsene, forse non avrebbe dovuto fissare quelle due cicatrici, sentendo l’inquietudine montare veloce dentro di lui.

Ma non poteva fare a meno di chiedersi che cosa le fosse successo, che cosa aveva provocato quei segni…

Non fermò le sue carezze, sentendola però di nuovo in tensione, rigida fra le sue braccia come un ciocco di legno.

E, quando sfiorò quella candida cicatrice sul polso sinistro, non si sorprese minimamente di vedere la mano di Siria scattare via, lontano dal suo tocco.

Si voltò appena verso di lei, accoccolata nel suo abbraccio, avvertendo una fitta di preoccupazione nel petto quando scorse nei suoi occhi un tormento che ben conosceva, che oscurava troppo spesso quelle altrimenti limpide iridi di cobalto.

Quelle cicatrici la spaventavano; dovevano essere figlie di un ricordo più doloroso degli altri, più penoso degli altri, un ricordo che la spinse a stringere le braccia contro al seno, appallottolandosi contro di lui, gli occhi che sfuggivano quelli di Caspian.

Era da sola…anche lì, stretta nel suo abbraccio, serrava le braccia intorno alle ginocchia e si nascondeva nel proprio guscio, spaventata.

Il principe non disse nulla, limitandosi a stringerla più saldamente contro di sé, immergendo il viso fra i suoi lunghi capelli rossi e non parlando più per quella che, ad entrambi, parve un’eternità.

Sentiva che non sarebbe stato giusto chiederle che cosa significassero, che cosa fossero. Siria era terrorizzata da quelle linee candide, e non sarebbe stato certo lui a farle patire la sofferenza del ricordo…

-Non sei sola.- le sussurrò ad un certo punto, dopo troppo silenzio, accostando il viso alla guancia soffice di lei. Aveva gli occhi chiusi, Sir, chiusi e sofferenti.

-Sono sempre stata sola...- mormorò, la voce rotta di un pianto a stento trattenuto.

Non voleva ricordare, non voleva tornare a quel giorno…non voleva, la paura era più forte di lei.

Voleva soltanto smarrirsi nell’abbraccio di Caspian, e non ricordare più niente.

Il principe le racchiuse il viso fra le mani, quelle mani affusolate e sicure che Siria amava, le dita sottili ed eleganti che le accarezzavano le guance. La costrinse con dolcezza a guardarlo, a lasciare che quegli occhi pieni di paura incontrassero quelle calde iridi nere che tanto riuscivano a rassicurarla.

-Adesso ci sono io con te. Ci sarò sempre, Sir.- le sussurrò ad un soffio dalle labbra, premendo le proprie sulla sua fronte, sentendola rabbrividire ancora nel suo abbraccio.

Non si sarebbe stancato di ricordarglielo, di rassicurarla.

Avevano intrapreso una strada, loro due. Una strada impervia di cui ancora non potevano scorgere la fine, un percorso difficile e doloroso che li avrebbe fatti incespicare spesso, che talvolta li avrebbe fatti cadere.

Ma ce l’avrebbero fatta, Caspian ci credeva fermamente. Insieme.

-Lo so.- e la vittoria di Caspian fu sancita dall’incerto sorriso che apparve sulle labbra di Siria, gli occhi che si rischiaravano come il cielo dopo un impetuoso temporale.

Le sorrise a sua volta, sentendo il cuore accendersi di palpiti che parevano scatenati da quel semplice tocco, dalle guance nivee che avvertiva sotto le dita.

E non riuscì a resistere, non a quelle morbide labbra che parevano soltanto aspettare lui.

Posò le labbra sulle sue con decisione, una dolce fermezza che le racchiuse il volto fra le sue mani forti. La sentì sussultare, Caspian, colta di sorpresa da quel tocco che non si aspettava, le labbra che assaggiavano le sue come se fossero un morbido frutto succoso, prelibato.

Replicò a quel bacio senza quasi accorgersene, stordita dal profumo del suo principe, dal brivido che l’aveva attraversata al tocco di quella bocca morbida sulla propria.

Si abbandonò completamente a quelle mani bollenti che scesero ad accarezzarle languidamente i fianchi, alzando come in sogno le proprie ed intrecciando le dita sulla nuca di lui, sentendo i lunghi capelli scuri solleticarle il dorso delle mani.

Caspian era come una magia, un incantesimo che riusciva a cancellare ogni agonia dalla sua anima; sentiva il cuore palpitare ferocemente nel petto, e perdendosi nel suo abbraccio riuscì ad avvertire anche il suo principe fremere, docile schiavo consenziente di quello stesso battito innamorato.

Con delicatezza, il ragazzo la trascinò con sé nell’erba alta, il corpo muscoloso, tonico, che si posava su di lei.

Il tocco del suo petto, delle sue labbra era rovente su di sé, e Siria si sentì piacevolmente indifesa fra le sue braccia; era il luogo dove amava essere, dove poteva lasciarsi alle spalle ogni paura, ogni difesa…dove poteva essere Siria, senza il terrore di essere pugnalata.

Accarezzò la schiena di Caspian con dolcezza, percorrendo in punta di dita le linee marcate delle scapole, delle vertebre, avvertendo la sua pelle calda riempirsi di brividi anche attraverso la tunica che indossava.

Era così bello il suo principe…

E le loro labbra si cercavano, catturandosi e sfuggendosi dopo un istante. Si davano la caccia a vicenda, intrappolandosi in tranelli di lingue e di denti, dita candide che salivano ad immergersi nei soffici crini scuri che nascondevano quei baci dalla luce tenue d’un Sole annebbiato.

Sorrise, Caspian, fremendo al tocco fresco e dolce di Siria sul viso, sulla nuca. Le braccia che lo sostenevano dal pesarle addosso cedettero appena, intrappolandola ancor di più nel suo abbraccio, fra il suo corpo e l’erba che tante volte aveva accolto i loro baci nascosti.

Forse avrebbe dovuto…

Siria mugolò qualcosa d’indefinito, quando abbandonò le sue labbra e scese a lambirle la gola, le mani forti che si posavano sui suoi fianchi, accarezzando quelle curve per nulla risparmiate dal corpetto che la sua raminga indossava.

Forse avrebbe dovuto dirle, quello che provava per lei.

Rabbrividì, quando le lunghe gambe di Siria sfiorarono le sue, insinuandovisi e stuzzicando quel desiderio che – se non si fosse fermata – non avrebbe saputo trattenere ancora per molto.

Non era facile resistere a quel corpo, al sapore di quella pelle…

-Io so che vorrete strangolarmi, ma c’è un certo rosso che vi sta cercando e non sarebbe felice di vedervi così!- tanto Caspian quanto Siria sussultarono bruscamente, quando una voce divertita ed ironica spezzò il silenzio delicato di quel momento.

Il principe si scostò di malavoglia dalla sua compagna, ridacchiando suo malgrado; si alzò in piedi e le porse una mano con galanteria, trascinandola di nuovo verso di sé quando Siria vi si aggrappò fiduciosa, sicura.

Si voltarono entrambi, non del tutto sorpresi di vedere la zazzera scompigliata di Talia comparire ai piedi della collina, gli occhi nocciola che li fissavano divertiti.

-Ma tu, non avevi da fare?- le rispose Siria, piccata, stringendosi nell’abbraccio del principe e rivolgendole una smorfia lievemente esasperata.

Divertita, Talia ci mise esattamente un secondo per raggiungerli, il volto rilassato e luminoso come Siria si stava lentamente abituando a vederla.

Aveva un altro motivo per ringraziare Caleb, ne era perfettamente consapevole; non aveva mai visto la sua amica così serena, così semplicemente radiosa…

Tallie non riusciva a nasconderlo, sebbene ci provasse; non a lei, non dopo sette anni di amicizia, non dopo cinque anni che Siria la vedeva struggersi di nascosto per quell’amore che, finalmente, ora era sbocciato.

-E chi t’ha detto che adesso non torno a farlo?- la risposta maliziosa di Talia le strappò una risata, scorgendo con la coda dell’occhio Caspian ridacchiare, alzando gli occhi al cielo.

Sorrise, furba, scoccando ad entrambi una palese occhiata ironica.

-Non posso sparire dalla scena troppo spesso, altrimenti vi cacciate nei guai come al vostro solito…a proposito, ho notato un certo gelo provenire dalle parti del lago.- si rivolse a Siria, chiedendole non molto fra le righe il motivo per cui la mente di Shaylee fosse ermeticamente sigillata ai loro pensieri.

La rossa si strinse nelle spalle, ricordando fin troppo bene l’espressione sconfitta di Peter quella mattina…

Non lo so ancora.

-Anch’io. Prevedo guai all’orizzonte.- mormorò la rossa, vedendo Tallie annuire appena, segno che aveva recepito il reale significato della sua risposta.

E poi l’elfa batté le mani con aria pratica, facendo di nuovo sussultare tutti e due.

-Benissimo, intanto che si consumano tragedie d’amore…principino, Aaron ti sta cercando.- ridacchiò, quando Caspian le rivolse un’occhiataccia esasperata; prima o poi, con quegli scatti improvvisi, Talia gli avrebbe provocato un infarto.

-Che cosa ho fatto stavolta?- le chiese, sentendo una lieve fitta di preoccupazione nel pensare a cosa poteva spingere Aaron a cercarlo.

Ridacchiò, l’elfa, dandogli una divertita pacca sulla spalla.

-Per una volta nulla, ti cercava a proposito di un qualche allenamento. Certo, se ti fai trovare in atteggiamenti equivoci con sua sorella, magari l’istinto omicida si rifà vivo…- gli fece notare, ricordandogli che sì, Aaron aveva accettato quella relazione, ma era meglio non provocarlo troppo.

Sospirò, Caspian, abbassando lo sguardo su Siria che sembrava faticare seriamente per non scoppiare a ridere.

-Andrò a cercarlo prima che mi sfidi a duello per il tuo onore.- affermò, lievemente esasperato, premendo le labbra sulla sua tempia in un bacio lieve. -E in qualche modo riuscirò a terminare quel discorso, con te.- aggiunse, dopo un attimo, sfiorandole non certo casualmente il fondoschiena prima di allontanarsi da lei, un sorriso malizioso sul volto.

-Maniaco!- gli urlò dietro Talia, guardandolo allontanarsi da loro, e vedendolo dopo un istante agitare una mano, segno che aveva sentito e recepito il gentil epiteto.

La mezzelfa scosse la testa, esasperata, dedicando un’occhiata all’espressione confusa, divertita ed esilarata della sua migliore amica.

-Potrei sempre sfidarlo io, per l’onore di mia sorella.- commentò, pensierosa.

Siria le scoccò uno sguardo allibito, senza però riuscire più a trattenere le risate.

-Tallie...devo parlare con Caleb. Il sesso ti fa male.- commentò, molto più serena, vedendola inarcare le sopracciglia con fare malizioso.

-Direi proprio di no.- fu la risposta dell’amica, prima che con l’ombra di un bacio sulla guancia di Siria sparisse, sicuramente diretta a terminare un qualche discorso anche lei.

Narnia stava diventando un posto decisamente poco raccomandabile, bisognava proprio dirlo.

Ancora ridacchiando, Siria si sedette nuovamente sull’erba soffice, estraendo con amorevole delicatezza la propria spada.

Era ancora macchiata di sangue, non aveva avuto tempo di pulirla del tutto.

Recuperò una pezza che portava sempre nel fodero del suo Kain, sedendosi a gambe incrociate e posando la lama sulle ginocchia.

Il suo Guerriero era solcato da miriadi di cicatrici, esattamente come lei. Segni bianchi che narravano una storia, che parlavano di loro e di quante battaglie avessero affrontato insieme.

Quella spada era stata un dono di Talia, quando ancora si trovavano nel regno delle ninfe; era uno degli oggetti che aveva più a cuore, e di cui si occupava quasi tutti i giorni.

La lama era stanca, provata, ma non per questo aveva perso il suo filo; se c’era qualcosa di cui andava fiera Siria, era proprio la fama che aveva quella spada di poter tagliare a metà un capello. Per il lungo.

Sarebbe giunto il giorno in cui avrebbe appeso il suo fido Kain al chiodo…nonostante fosse stanca della guerra, del sangue, delle battaglie, pensare che avrebbe vissuto senza il peso rassicurante della sua spada al fianco le provocava uno strano senso di abbandono.

-Ehm...- Siria alzò lo sguardo, stupita, distogliendo l'attenzione dalla lama e dai suoi pensieri.

Davanti a lei, una mano sulla nuca e l'espressione alquanto penosa, il torace fasciato e il colorito molto più rassicurante di qualche ora prima, c'era nientemeno che Re Peter l'Imbecille.

Lo fissò per qualche istante, sorpresa, chiedendosi come diavolo aveva fatto a sfuggire alle grinfie di una sorella iperprotettiva e rompiscatole come Susan – e, soprattutto, se fosse riuscita a passare almeno un paio di veglie senza vederlo.

Lo fissò senza dar retta al sollievo che comparve repentino dentro di lei, nel vederlo in piedi e decisamente fuori da ogni pericolo.

-Siria, io avrei un problema.- borbottò, gli occhi bassi, l'espressione angosciata.

Siria lo studiò per qualche istante, allibita dal fatto che fosse proprio lei, la persona a cui si stava rivolgendo il biondo.

Dopotutto, gli aveva soltanto salvato la vita; non era certo diventata tutta d’un botto la sua confidente personale…

A meno che…a meno che il motivo fosse quello che Siria sospettava, da quando aveva visto Shaylee occuparsi con un’amorevolezza sospetta della ferita del biondo.

-Shaylee.- mormorò, socchiudendo appena gli occhi, tutti i pezzi del puzzle che andavano improvvisamente al loro posto. L'espressione angosciata di Shay, quella mattina...gli sguardi feriti ed increduli che il biondo le lanciava, la dolcezza con cui si era occupata di lui e la freddezza con cui l’aveva allontanato appena sveglio...

Peter si passò una mano fra i morbidi capelli del colore del grano, a disagio, limitandosi ad annuire senza incontrare lo sguardo della mercenaria.

Siria sospirò, scrutandolo da capo a piedi.

Sembrava davvero angosciato...erano tanti, piccoli particolari, a darle quell'idea. La lieve ombra sotto ai suoi occhi, le labbra strette fra i denti, i capelli continuamente arruffati dalle dita, la sua apparente incapacità di restare fermo...

La sua espressione sostenuta si ammorbidì di colpo, quando gli rivolse un lieve cenno di assenso con la testa. Peter prese fiato, sollevato; si sarebbe aspettato, in fondo al cuore, di essere allontanato, come minimo deriso.

-Allora?- gli chiese, dopo qualche istante di silenzio pesante ed imbarazzato.

Il biondo re si voltò a guardarla, un lieve rossore sulle guance.

-Posso?- sospirò, indicando con un cenno l'erba di fianco a lei. Siria annuì, l'espressione serena, pacata come non l'aveva mai vista. Cautamente si sedette accanto a lei, sentendo lo sguardo indagatore della rossa seguire ogni suo più piccolo movimento, senza separarsi nemmeno per un istante dal suo volto.

-Allora?- ripeté, senza impazienza, quando Peter finalmente alzò gli occhi su di lei.

-E'...è successa una cosa.- borbottò, sentendosi sgradevolmente andare a fuoco. Se solo Siria avesse battuto le palpebre, spezzando per qualche frazione di secondo quello sguardo capace di trafiggerlo... -...con...Shaylee.- aggiunse, continuando inconsciamente ad arruffarsi i capelli.

-A-ah.-

-Così non mi aiuti.- osservò sarcastico il biondo, scoccandole un'occhiataccia. Siria si limitò ad esibire un lieve ghigno soddisfatto, chiudendo finalmente gli occhi e permettendogli di riprendere fiato.

-Se avessi voluto aiuto, saresti andato da qualcun altro.- commentò soltanto, schietta, alzando lo sguardo al cielo. -Tu sei qui perché vuoi la verità.-

-Vero.- Peter dovette ammetterlo con sé stesso; quel particolare atteggiamento di Siria, quella capacità di cogliere sempre ciò che nascondevano le parole più false, gli piaceva.

-Sir...- cominciò, senza nemmeno accorgersi di averla chiamata con il diminutivo. Si lasciò andare ad un lungo sospiro, seguendo l'esempio di lei ed alzando gli occhi verso il cielo plumbeo. -...io non capisco più niente.-

-Non è una novità...- lo sguardo improvvisamente infastidito dell'alto Re di Narnia si spostò di scatto sul viso assolutamente sereno della mercenaria, che si limitò a rivolgergli un'occhiata di sottecchi, priva di veri intenti maligni.

-Limita le battutacce, per favore. È una cosa seria.- la redarguì, la mano sinistra che d'istinto, come sempre quando il nervosismo prendeva il sopravvento sulla sua mente, andava a sfiorare l'elsa della propria spada, al sicuro nel proprio fodero.

-Lo so. Se tu ti decidessi a parlare, invece di balbettare come un dodicenne...- replicò lei, pungente, in cuor suo gongolante di fronte all'evidente imbarazzo del Re.

-Non è mica semplice parlare di queste cose, sai?- sbottò il biondo in risposta, sentendo la solita irritazione che il suo atteggiamento insolente gli provocava tornare a farsi viva nel suo petto.

-Tu provaci, no?- la risposta di Siria, semplice, priva di sarcasmo, lo sorprese. Fu proprio quel modo di porsi, quello sguardo penetrante e deciso che gli rivolse, a indurlo a parlare.

-Stanotte ho fatto l'amore con Shaylee.-

Lo disse tutto d'un fiato, sentendo il viso andare a fuoco; non era facile che lui arrossisse, ma in quell'istante...i ricordi che tornavano prepotenti dinanzi ai suoi occhi, il sapore di quei baci, di quella pelle, la sensazione sublime di appartenere a qualcuno e di sentire lei appartenergli...

Non guardò Siria, ma la sentì sospirare, senza la minima traccia di sorpresa.

-Lo so.- mormorò soltanto la rossa, in replica. Peter inarcò un sopracciglio, preso in contropiede da quelle due semplici, infide parole.

-E allora perché mi hai costretto a dirlo?- protestò, ormai paonazzo, voltandosi bruscamente per guardarla in faccia. La sua espressione tranquilla cominciava a dargli seriamente sui nervi. Decisamente parecchio.

-Perché sì.- fu la flemmatica risposta di Siria.

-Esauriente, rossa.-

-Ma veritiera.- un lieve sorriso accondiscendente si disegnò sul viso di Peter, a quella frase. -Allora, qual'è il problema?- gli chiese finalmente lei, abbandonato repentinamente l'espressione da antico saggio che tanto stava dando sui nervi al biondo.

-Si allontana, Sir. Dopo ieri notte...pensavo che tutto sarebbe cambiato, migliorato, e invece...è accaduto l'esatto opposto.- in quel momento, non poté mancare di osservare lei, Peter non sembrava un indomito condottiero, un Re saggio a cui affidare le proprie vite, i propri destini. No.

Era soltanto un ragazzo. Un ragazzo confuso, un ragazzo ferito...un ragazzo innamorato.

Siria lo soppesò soltanto per un istante, prima di prendere un lungo respiro, alzando lo sguardo al cielo.

-Perdonami, se ti dico che sei un po’ troppo ottimista.- gli occhi azzurri di Peter, in quell’istante tanto simili a quelli della rossa seduta al suo fianco, si spostarono di scatto, sorpresi, sul volto di lei. Siria lo stava osservando, senza tracce di malizia od insolenza nello sguardo; era tranquilla, cosa strana per lei…sembrava molto più adulta, in quel momento.

Quasi come…beh, come lui.

-Shaylee ne ha passate tante, Peter. Non puoi pensare che se per una notte si sia…lasciata andare a quello che prova, dopo tutto vada a posto.- continuò, sorridendo appena alla sua espressione palesemente confusa. -Shay è una creatura pura, Peter. Pura e fragile, come cristallo.-

-Me ne sono accorto.- mormorò lui, sorpreso. Siria pensava, parlava, rispondeva esattamente come avrebbe fatto lui nella sua stessa situazione. Era inquietante, in un certo senso…ma confortante, in un altro. Non aveva mai incontrato nessuno, prima d’allora, che ragionasse esattamente – o quasi – come lui.

-E allora devi essere abbastanza intelligente da proteggerla dagli urti, per continuare sulla strada delle metafore.- sospirò la rossa, spostando di nuovo gli occhi chiari sul cielo tempestoso. Certo che il sole era cosa rara, ultimamente, a Narnia…

Peter si lasciò sfuggire un sospiro, passandosi una mano fra i già arruffati capelli color grano.

Detta così sembrava avere un senso…non aveva pensato a quei particolari dettagli, al fatto che Shay potesse avere ancora tanta paura…di soffrire, di amare, di lasciarsi amare da una persona che già una volta aveva abbandonato lei, e tutta Narnia…

-Stai facendo tutto da solo, lo sai?- la voce divertita di Siria lo riscosse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà. La raminga lo stava osservando di nuovo, questa volta divertita, quasi ridacchiante.

-Cioè?- le chiese, senza capire.

-Stai rimuginando. Te lo si legge negli occhi, Peter, sei un libro aperto.- rispose lei, serenamente, con un sorriso sincero appena accennato sul volto esotico.

Peter rimase un attimo allibito, da quell’affermazione…prima di sorridere, anche lui, chiudendo gli occhi e scuotendo appena la testa.

-Non avevo capito una cosa.- ammise, sorprendendosi di quanto semplice fosse affermare di aver sbagliato, di aver dimenticato qualcosa di importante. Ma forse, forse era così facile proprio perché sapeva che Siria – per quanto assurdo potesse sembrare – non gliene avrebbe fatto una colpa.

-Capita.- rispose lei, stringendosi appena nelle spalle. -Ah, come faresti senza di me, Re Supremo…- commentò un attimo dopo, ridacchiando senza più trattenersi quando lo sguardo di Peter, scettico, ma in fondo divertito quanto lei, si rivolse di nuovo al suo volto.

-Sicuramente starei molto più tranquillo.- replicò, con un mezzo ghigno appena arrogante, sarcastico.

-Ma non avresti nessuno che ti tenga testa.- fu la risposta pronta, decisa, incredibilmente veritiera, della mercenaria. Il biondo sorrise, annuendo, abbassando lo sguardo sulle proprie mani, intrecciate sulle ginocchia.

-Questo te lo concedo.- mormorò, di nuovo perso nei suoi pensieri, nelle sue congetture, nelle sue speranze...e per una volta, si permise di pensare come un ragazzo, come un uomo, non soltanto come Re. Al momento, l’unica cosa che gli interessava davvero era Shaylee.

Nemmeno si rese conto di essersi mosso. Il suo corpo aveva agito da solo, in una muta richiesta di un minimo di conforto, quel conforto che lui per primo si era sempre negato, posando in un gesto semplice, familiare, come se si fosse ripetuto tante volte, la testa sulla spalla della ragazza.

Chiuse gli occhi, per la prima volta dalla sera precedente sicuro di qualcosa, di qualcuno. Per quanto gli risultasse difficile, pensarlo…poteva fidarsi, di lei. Poteva permetterselo.

Ed infatti, la avvertì sospirare, senza che lo scacciasse, lo mandasse via. Anzi, tutt’altro; come se gli avesse letto nel pensiero, la sentì sfiorargli la fronte con le dita stranamente fredde, affusolate, scostando i ciuffi ribelli di capelli biondi in un tocco appena accennato eppure gentile, confortante.

-Ho sbagliato a giudicarti, sai?- lo avvertì sussurrare, il corpo che si rilassava appena a contatto con quello della ragazza, il viso che cercava l’incavo buio della sua spalla.

-Capita spesso anche questo.-

.

.

.

Shaylee alzò lo sguardo verso la collina, distinguendo immediatamente la chioma rosso fuoco di Siria che emergeva dal mare verdeggiante come uno scoglio nell’oceano. Sospirò, sollevata; non c’era altra persona che desiderasse vedere, in quel momento.

Decisa, affrontò la lieve salita che l’avrebbe portata dall’amica, sperando che Siria, come tante volte prima d’allora, vedesse l’ombra dipinta sul suo volto e la costringesse a parlare, a sfogarsi.

Aveva urgente bisogno di parlare, di piangere, di dire tutto ciò che sembrava passarle per la testa…ma nessuno, a parte quella rossa schizzata, l’avrebbe ascoltata davvero.

Il rapporto fra lei e Siria era sempre stato anomalo, tanto da non apparire come subito evidente agli occhi di chiunque le osservasse.

La raminga era l’esatto opposto della ninfa; se una era irascibile, l’altra era pacata e poco incline alle discussioni, se una era una guerriera nata l’altra detestava ogni forma di violenza. Eppure, in comune avevano trovato un punto che entrambe avrebbero preferito non aver vissuto; la sofferenza.

Shay sospirò, i ricordi fin troppo nitidi che comparivano nuovamente fra i suoi pensieri.

Siria era stata un enigma, fin dal primo giorno in cui l’aveva incontrata.

.

-Shaylee!-

La voce dell’elfa era risuonata nel silenzio meditativo della foresta, facendo fremere le fronde altrimenti immobili.

Shaylee, immersa fra i suoi pensieri e fra i morbidi flutti del fiume che scorreva nel regno delle ninfe, aveva alzato gli occhi stupita.

-Talia…?-

L’amica elfa non faceva visita alle ninfe da molti anni, ormai. Certo, per loro equivalevano a pochi mesi, ma rivederla era sempre un piacere inaspettato.

Shay era uscita in fretta dall’acqua, distinguendo soltanto un movimento confuso nel buio della foresta.

E poi, Talia era comparsa nell’incavo fra due alberi, un corpicino esile e pallido fra le braccia.

-Ma che cosa…- Shaylee aveva sgranato gli occhi, senza riuscire a capire che cosa fosse la figuretta dai lunghi capelli rossi abbandonata esanime fra le braccia innaturalmente forti della mezzelfa.

Aveva alzato gli occhi su Talia, trasalendo quando aveva scorto un terrore del tutto nuovo sul volto solitamente imperturbabile e scanzonato della ragazza.

-Salvala.-

.

Rabbrivìdì, Shaylee, ricordando il volto esangue di Siria.

Era soltanto una bambina

Talia l’aveva trovata in mezzo alla foresta, priva di forze, abbandonata ai piedi di una grande quercia che aveva tentato di proteggerla con tutta se stessa.

La mezzelfa era stata attirata lì dal richiamo dei suoi compagni alberi, mai del tutto silenti per lei, che le avevano sussurrato della presenza di una creatura dal sangue magico in pericolo di vita.

Talia aveva raggiunto la bambina, e l’aveva portata nell’unico luogo dove sapeva avrebbe potuto trovare aiuto.

L’aveva portata dalle ninfe.

Shaylee aveva curato la ragazzina senza esitare; Siria era denutrita, assetata, e troppe ferite solcavano la sua pelle chiarissima. La ninfa non aveva pronunciato parola, quando scostando delle bende incrostate di sangue aveva trovato sui polsi della ragazzina due profondi tagli appena rimarginati…

Era stato proprio quel gesto, a risvegliare Siria.

.

Shay aveva sfilato con delicatezza le bende lacere, scoprendo quelle ferite.

I tagli erano profondi, stoccati con decisione; rabbrividì, la ninfa, distinguendo le vene bluastre vivide attraverso la pelle diafana della ragazzina.

Erano ancora sporchi di sangue, i suoi polsi.

Una fitta d’inquietudine l’aveva attraversata, quando il terribile pensiero che si fosse ferita da sola aveva attraversato la sua mente.

Che cosa aveva potuto spingere una bambina tanto giovane ad un gesto così orrendo, a cercare la morte con tanto accanimento?

Aveva preparato un impasto d’erbe taumaturgiche, che avrebbe pulito e disinfettato quelle ferite; il volto della ragazza era graffiato, e lividi vecchi – ormai giallastri – segnavano i suoi zigomi e la gola, le spalle, le braccia.

Non sapeva chi era, quella bambina; ma il suo aspetto la spaventava, e la inquietava allo stesso tempo.

Chi poteva aver ridotto una giovane ragazza in quello stato?

E soprattutto…quale magia celava il suo sangue, perché la foresta stessa implorasse la sua più fedele amica di salvarla?

Aveva sospirato, mille dubbi che le attraversavano la mente, armandosi di un delicato pennellino che non avrebbe quasi sfiorato la pelle della bimba.

Ma soltanto quando aveva sfiorato quel polso, per porlo meglio sotto la luce fioca del camino, uno spasmo aveva attraversato quel corpo rachitico.

Shay non aveva fatto quasi in tempo a vederla; aveva appena avuto il tempo di distinguere due terrorizzati occhioni blu spalancarsi, prima che la giovane si alzasse di scatto, fiondandosi nell’angolo più buio della stanza e rannicchiandosi su se stessa, come una belva ferita.

Era stata una delle immagini più dolorose a cui Shay avesse mai assistito.

Le iridi blu spuntavano da sopra le ginocchia, immense come due grandi laghi vulcanici; c’era terrore in quegli occhi, c’era una paura ancestrale e profonda che riempiva quello sguardo che avrebbe dovuto essere limpido, solare…felice.

E invece, Shay aveva visto soltanto morte, in quegli occhi.

E la voce; la voce della bambina aveva tremato di lacrime, quando soltanto due parole erano sfuggite da quelle sottili labbra screpolate.

-C-Chi sei?-

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Siria aveva rifiutato le cure di chiunque, non aveva più parlato.

A poco era servita la dolcezza di Shaylee, la preoccupazione di Talia; quella che sarebbe diventata la tormentata donna di adesso era soltanto una bambina spaventata, lontana da suo fratello e che aveva perso tutto. In primis, l’innocenza.

Mairead era ben presto venuta a sapere della sua presenza al campo; soltanto dopo molte ore di incessanti richieste, le due creature avevano convinto Siria a lasciarsi almeno disinfettare le ferite, e a mangiare qualcosa di più sostanzioso di un tozzo di pane. Entrambe lo avevano notato, Siria faticava a mangiare nonostante fosse chiaramente denutrita; sembrava che ogni boccone che mandava giù fosse stato addentato con odio, quasi detestasse l’idea di nutrirsi e di rimettersi in forze.

La regina delle ninfe aveva chiesto un’udienza con lei, una settimana dopo il suo arrivo nel regno.

Shay aveva sconsigliato alla sua Regina di conoscerla, Siria quasi non parlava; si limitava a poche domande generiche, a chiedere dove potesse lavarsi, o se disturbasse la sua presenza nelle stanze della ninfa.

Talia si era dimostrata preoccupata anche più della naiade; la mezzelfa aveva intuito cosa Siria realmente fosse, e voleva proteggerla…ad ogni costo.

.

-Non è pericolosa.-

Shaylee e Talia concordavano pienamente su quel dettaglio.

Mairead non aveva fatto che confermare i loro dubbi, definendo Siria come l’ultima di una stirpe che credeva ormai scomparsa.

-Adhara l’ha riconosciuta.- aveva mormorato la Regina, sfiorando con dolce tristezza i capelli rossi di Siria, mentre la bambina dormiva un sonno preda degli incubi. -È lei.-

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La presenza di quella ragazza nel regno delle ninfe aveva fatto scalpore; ma Mairead stessa aveva evitato che sorgessero tumulti e proteste, che sicuramente sarebbero sfociati con la condanna a morte di quella bambina.

Talia non lasciava mai sola la piccola Siria, che faticosamente, giorno dopo giorno, si rimetteva in forze. Quelle due si erano affezionate; con lei, Siria riusciva persino a sorridere, a parlare un poco di più di sé e di quello che le era successo.

A Shaylee, invece, si era attaccata come una bambina sperduta può cercare una madre.

Non le aveva raccontato nulla, ma con lei aveva tenuto lo stesso comportamento che le avevano insegnato, che ogni brava bambina doveva tenere; Shay non aveva faticato ad affezionarsi alla svelta a lei, esattamente come la mezzelfa.

La presenza di Siria, nelle sue stanze, era diventata un conforto non indifferente al dolore che si portava dentro ormai da troppi anni.

Siria aveva capito che qualcosa la tormentava, le faceva male; non aveva chiesto, ma sempre più spesso la abbracciava, con la tenerezza ingenua e disarmante di ogni bambino.

Era questo a preoccupare tanto Shay quanto Tallie; Siria era spaccata a metà fra due mondi, fra la sofferenza che gli adulti le avevano imposto ed un lieve residuo del suo essere bambina, del suo cuore tanto grande quanto pieno di dolore.

Non sapevano quanto avrebbe potuto resistere senza scoppiare, senza soffrire, senza tentare ancora una volta di togliersi la vita; avevano paura per lei, che già aveva conquistato un posto nei loro cuori.

Era stato durante una notte di tempesta, che Siria era crollata.

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Le urla di Siria avevano echeggiato in tutta la reggia, strappando Shaylee dai suoi incubi, dalla sua sofferenza.

-Siria!-

Irrompendo nella piccola cameretta che aveva preparato per lei, Shay aveva trovato la piccola di nuovo rannicchiata in quell’angolo, il viso pieno di lacrime e gli occhi bui, più cupi e tempestosi che mai.

Ma non aveva rifiutato la sua vicinanza, non aveva rifiutato l’abbraccio in cui Shay l’aveva stretta.

-Io non voglio essere cattiva…io non ho fatto niente di male, sono sempre stata una brava bambina, ho sempre voluto bene a tutti quanti…-

Il terrore in quelle parole Shay non era riuscita a comprenderlo; Siria sapeva di essere ciò che era, non era un segreto per nessuno in quel castello. Ma arrivare ad odiarsi tanto, ad avere tanta paura di essere un qualcosa che avrebbe potuto diventare meraviglioso…

-Sssh. Non piangere, Sir.-

-Perché devo essere cattiva, Shay? Perché vogliono che io lo sia?- le domande imploranti della bambina l’avevano turbata, spaventandola più di quanto avesse dato a vedere.

-Chi è che lo vuole?-

-Qualcuno…qualcuno che mi dice di fare del male, ma io non lo ascolto, sono scappata, non voglio vivere se devo fare del male!-

Shay aveva nascosto un sussulto, davanti a Siria.

Conosceva la sensazione di Siria soltanto per sentito dire, in teoria; qualcuno aveva lanciato su quell’innocente bambina una maledizione, una maledizione che la stava convincendo di essere malvagia.

-Tu non sei malvagia, piccola.-

-Io credo di sì. Le persone buone non le bruciano sul rogo.-

A questo, Shay non era stata in grado di replicare.

-Eppure…eppure lo hanno fatto…- nuovi singhiozzi avevano scosso il corpicino ancora esile di Siria, e a nulla era servito stringerla più forte a sé; quel dolore, pareva troppo grande per essere lenito.

-Che cos’è successo, Siria? Che cos’hanno fatto?- le chiese, senza riuscire a trattenersi.

E Siria aveva alzato gli occhioni imploranti su di lei, scongiurandola con quello sguardo tanto vivido di non lasciarla sola.

-Mi hanno portato via la mia mamma.-

Il cristallino dolore nelle iridi di Siria, nel rivelare quel segreto che tanto doveva farla soffrire, era stato tale da far riempire anche gli occhi di Shaylee di lacrime.

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Mairead non si era mostrata sorpresa, quando Shay le aveva riferito precipitosamente la vicenda.

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-Quella bambina è maledetta.-

Shaylee e Talia si erano scambiate uno sguardo spaventato; non per ciò che avrebbe potuto fare quella maledizione, ma per Siria, per quella bambina che era diventata alla svelta parte di loro.

-Chi…mia Regina, chi? Perché?- avevano chiesto, pensando entrambe alla ragazzina che ora dormiva, sotto l’effetto di una pozione.

Mairead aveva sospirato greve, guardandole con la stessa angoscia che riempiva loro.

-Perché Siria cova dentro di sé la salvezza e la condanna di tutta Narnia.-

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Shaylee e Talia avevano discusso a lungo di quella scoperta, incerte se parlarne a Siria oppure no; ma era stata Talia a trovare la soluzione, ed entrambe erano state d’accordo con quella scelta.

Siria aveva dato a tutt’e due un motivo di serenità; a Shaylee aveva donato compagnia, tenerezza, il calore di un affetto puro come solo i bambini possono dare. A Talia aveva regalato un’amicizia, la prima vera amica che la sua vita di reietta le aveva permesso di trovare.

Siria aveva accusato il colpo stoicamente, quando le avevano parlato della maledizione; ma era stata Mairead a volerle parlare, a volerle annunciare cosa le due amiche avessero deciso di fare per lei.

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-Che cosa vuoi fare della tua vita, Siria?- Mairead l’aveva sempre un po’ intimorita, ne aveva parlato con Shaylee molto spesso. Era nel regno delle ninfe da due mesi abbondanti, ma aveva sempre tentato di evitare il confronto diretto con la Regina delle Naiadi.

Ma aveva raccolto tutto il suo coraggio, per affrontare quell’udienza a cui non poteva mancare.

-Non voglio fare del male a nessuno.- aveva risposto. A soli tredici anni, Siria si ritrovava a combattere una battaglia di quelle che non vengono raccontate dai libri, dai menestrelli; era contro se stessa, contro qualcosa che si portava dentro, che Siria lottava.

Mairead aveva annuito, solenne e seria, bellissima nella sua raffinata eleganza.

-Io non posso cancellare la maledizione che ti porti dentro. Solo tu potrai farlo, Siryn; a tempo debito, quando sarai pronta.-

Siria aveva sussultato, gli occhi che si spalancavano nel sentirsi chiamare in quel modo.

Aveva rapidamente rivolto un’occhiata spaventata alle due amiche, che le avevano restituito uno sguardo confuso; soltanto dopo molto tempo, Shaylee e Talia avrebbero scoperto che Siryn non era altro che il diminutivo di Siria.

-Come…- aveva cominciato la ragazzina, le mani che salivano a premersi sul cuore sofferente.

-So che tua madre ti ha chiamata così. So che cosa sei, Siryn.- Siria aveva chiuso gli occhi, ritirandosi inconsciamente un poco dalla figura alta e terribilmente meravigliosa di Mairead.

-Io non sono cattiva, Regina Mairead…io non voglio esserlo…- aveva mormorato, fremendo appena di una paura molto più grande.

Ma Mairead le aveva sorriso; un sorriso triste e dolce che aveva sorpreso la ragazzina, e che aveva diminuito un poco la paura che quella donna le provocava.

-Io non posso cancellarla, non posso liberarti da quel giogo e lasciarti essere lo splendore che diverrai.- la voce di Mairead era carezzevole, nonostante le sue non fossero parole confortanti. -Ma posso aiutarti nel combatterla.-

Era stato allora, che gli occhi di Siria si erano illuminati.

-Davvero?- le aveva chiesto, incredula, senza osare sperare in quella fioca luce che brillava nella sua oscurità.

-Shaylee e Talia hanno proposto di stringere un patto di sangue con te; un patto di Sigillo.- Mairead aveva assottigliato appena gli occhi, quando Siria non aveva mostrato sorpresa alla nomina di quel gesto. -Sai cos’è?-

-S-sì…è un patto che se viene infranto porta alla morte chi ha sbagliato.- aveva sussurrato la piccola, torcendosi le mani e le lunghe trecce rosse. -Me l’ha detto la mia mamma…- quel sussurro si era perso fra quei capelli, su quelle labbra che fremevano di lacrime appena trattenute.

-Brava, piccola.- Mairead le aveva sorriso di nuovo, rassicurante. -Se le tue amiche possono donarti la sicurezza della morte, se mai la maledizione avrà il sopravvento, io posso darti una compagna.-

Ed allora la Regina aveva posato una mano sulla spalla di Siria, sfiorandola con una delicatezza che pareva il tocco d’ali di farfalla; la ragazzina aveva avvertito un calore terribilmente piacevole scendere lungo la sua schiena, accoccolandosi come un gatto sulla sua pelle candida. Chiudendo gli occhi, Siria aveva potuto avvertire una lieve sinfonia riempirle la mente, riscaldandole il cuore troppo freddo.

-Apri gli occhi.-

Diligente, Siria aveva obbedito; e seguendo il gesto aggraziato della Regina, si era voltata verso uno specchio apparso dal nulla, che rifletteva la schiena vestita soltanto di una tunica chiara, semitrasparente.

Là, bellissima e dormiente, riposava una fenice che ricopriva in uno splendido tatuaggio che adagiava il capino sulla sua spalla.

-Che bella…- aveva mormorato, estasiata.

E Mairead aveva sorriso, scorgendo una lieve speranza negli occhi appena meno bui della bambina.

-Il suo nome è Feldir. È una fenice, come te; e quando sarà il momento, schiuderete entrambe le vostre ali.-

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E Siria aveva lentamente iniziato la sua risalita, tenuta per mano da due ragazze che erano diventate la sua nuova famiglia.

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-Perché lo fai, Sir? Perché vuoi combattere?-

Shay non approvava l’operato di Talia, la sua decisione di insegnare a Siria le arti della guerra e del combattimento; ma Siria aveva capito prima di entrambe che l’unica strada che poteva percorrere era quella del sangue, delle battaglie, della guerra.

Con Talia, aveva deciso di diventare mercenaria; avrebbe recuperato suo fratello, avrebbe messo insieme un gruppo di guerrieri, e avrebbe vissuto così.

A Shay quel progetto non piaceva, ma non poteva impedirle di metterlo in atto; se Siria sentiva che catturare ladri ed assassini le sarebbe servito, allora le sarebbe rimasta amica. Per sempre.

E la risposta della ragazza, che presto sarebbe diventata una raminga errabonda, suo malgrado l’aveva fatta sorridere amaramente, fiera della consapevolezza che la piccola aveva raggiunto.

-Perché è la cosa giusta da fare.-

Siria non parlava mai del mostro che covava dentro di sé; la maledizione che Mairead aveva scovato dentro di lei la spaventava, la terrorizzava più di quanto non mostrasse…man mano che cresceva, che diventava una donna, Siria si chiudeva sempre di più in quel guscio da cui nessuno, fino all’arrivo di Caspian, avrebbe saputo tirarla fuori.

.

Shaylee sospirò, abbandonando quei ricordi dolci ed amari fra cui si era facilmente smarrita.

Siria era diventata una donna, chiusa nel suo guscio di ghiaccio fino a che Caspian non aveva saputo donarle di nuovo la speranza; Shaylee l’aveva guardata crescere, il loro contatto non si era mai spezzato nonostante Siria avesse deciso di allontanarsi, di vivere come una mercenaria.

Sebbene entrambe fossero troppo schive per dimostrarlo, nessuna delle due avrebbe mai dimenticato quelle notti in cui Siria si raggomitolava al suo fianco.

Siria era troppo orgogliosa per ammetterlo ad alta voce, ma avrebbe volentieri dato la vita per Shaylee. E senza pensarci due volte.

E Shaylee le voleva bene, sebbene nell’ultimo periodo l’avesse un po’ trascurata…si detestò, sentendosi in colpa per aver lasciato che i suoi sentimenti – Peter – occupassero ogni spazio fra i suoi pensieri.

Forse non avrebbe dovuto chiederle un consiglio…ma Siria era l’unica persona di cui si fidasse davvero, in quel luogo; l’unica, che non le avrebbe mai rifiutato un conforto.

-Sir?- la chiamò, quando ancora si trovava a diversi metri dall’amica, cercando di attirare la sua attenzione.

Un movimento, uno sprazzo di luce del sole che si rifrangeva su una chioma che sicuramente non era rossa. Un balzo in piedi al suono della sua voce, e due dolorosamente familiari occhi azzurri che si voltavano verso di lei.

Sussultò, Shaylee, una morsa terribile che repentinamente serrava il suo cuore.

Peter.

Non era possibile. Il destino doveva avercela con lei, non poteva spiegarselo altrimenti.

Peter era là, accanto ad una Siria che pareva poco lontana dal gongolare soddisfatta. La stava guardando con quegli occhi celesti che erano in grado di farla fremere, di toglierle il respiro, con l’espressione di un bambino colto in flagrante.

Un lieve sorriso si disegnò sulle labbra di Siria, nel vedere le espressioni dei due farsi imbarazzate, confuse…distanti.

-Penso di essere di troppo, no?- commentò, alzando gli occhi verso il cielo plumbeo, coperto.

Lanciò un’occhiata rovesciata a Peter, notando il rossore chiazzare le guance altrimenti bronzee del Supremo Imbecille; la stava giusto un poco esplicitamente invitando ad andarsene, muovendo a scatti la testa bionda.

-D’accordo, ho capito, me ne vado.- balzò in piedi con un gesto fluido, rapido, i capelli rossi che ondeggiavano morbidamente sul corpo tonico; quei due erano alquanto esilaranti, da osservare…erano talmente impacciati da risultare addirittura teneri. Due cuccioli spauriti che non avevano il coraggio di dichiararsi, ecco cos’erano.

Si affiancò alla ninfa, indugiando volontariamente al suo fianco per guardarla un istante negli occhi; la ninfa alzò lo sguardo angosciato su di lei, in una muta richiesta d’aiuto che Siria non volle cogliere.

-Io…- ma gli occhi blu della raminga la inchiodarono lì dov’era, fissandola con quelle iridi di un cupo ghiaccio nato nelle profondità dell’oceano, gelandola in un solo istante.

Basta avere paura, Shaylee.

E l’attimo più tardi, l’eco del suo pensiero che ancora rimbombava nella mente della ninfa, se n’era andata.

Il silenzio cadde fra loro nello stesso istante in cui il mantello svolazzante di Siria scomparve oltre il confine della collina.

Shaylee si strinse nelle braccia, sentendo improvvisamente il vento caldo avvolgerla, quasi spingerla verso di lui.

Avrebbe dovuto…avrebbe dovuto lottare contro la paura, avere il coraggio di alzare gli occhi verso di lui, e…

Non ce la faccio.

Tremò, il dolore che l’attraversava ancora una volta, voltando appena il viso. Eccolo là il sentiero che l’aveva portata su quella collina, quello stesso sentiero che ogni fibra di lei voleva percorrere ancora una volta, a ritroso…

Ma fu quando mosse il primo passo, l’ennesimo passo di fuga, che una stretta calda e decisa si serrò a livello del suo gomito.

-Basta, Shaylee.- la naiade si voltò di scatto, sentendo lo stomaco contrarsi quando riconobbe il calore della stretta di Peter sulla pelle chiara, il profumo della sua pelle così vicino, gli occhi azzurri che la scrutavano finalmente decisi.

Non l’avrebbe lasciata fuggire.

Là, finalmente, aveva preso quella decisione che era da troppo tempo rimandava, spaventato suo malgrado da qualcosa di più grande di lui; era arrivato il momento di affrontare i propri sentimenti, i propri desideri, e ciò che lui voleva era esattamente lì, ad un soffio da lui.

-Non ho intenzione di lasciarti andare ancora una volta. Basta scappare.-

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My Space:

Buoooooooooooongiorno ^.^

Allora, poche ciance, non ho voglia di discorrere troppo oggi xD

1, la canzone del capitolo: è dei bravissimi Dream Theater, il testo vi consiglio di leggerlo perché ha un significato che si adatta perfettamente alla situazione: lo trovate QUI.

Allora; finalmente, Peter e Shay sono arrivati al punto di non ritorno. Ora, o ri-finiscono a letto, oppure Siria li fa fuori tutti e due xD

Approposito di Siria; in questo capitolo il punto focale si sposta su di lei, con Caspian e poi nei confronti di Shaylee. Il rapporto fra lei e Shay mi ha appassionata, finendo per farmi scrivere 8 pagine solo di quello ^^' e Cispia è sempre iper coccoloso, aaaah *-* sembriamo io e il mio ragazzo in questa scena, ora che ci penso O_O ^^'

Vediamo, altre annotazioni...mmm, direi di no ^^

Ho pubblicato, finalmente, il prologo del mio originale: Seven Gods è ciò che ho maturato dopo sette anni, da quando ho cominciato a scrivere. Spero che mi possiate seguire anche in questa nuova avventura, che per me conta moltissimo. (Chi mi conosce, e ha letto altre mie storie, troverà molte vecchie conoscenze xD)

Invece, c'è un regalo per tutti coloro che mi seguono, chi da più chi da meno tempo: Seize The Day è dedicata a voi, a tutti voi, che mi avete dato tantissimo da quando sono approdata su questo sito.

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VesiSchwartz [Contatta] Segnala violazione
27/10/10, ore 14:41 - Capitolo 23: What do you got.
"Nooo però, dai!!!" è stata più o meno la mia reazione alla fine dello scorso chap xD
Ma l'epopea dovrebbe ormai essere giunta alla fine....perlomeno, si spera xD
"Supremo Idiota" va molto in voga come aggettivo, vedo xD *risata malefica*
Per Siria e Susan...ma penso proprio che ti accontenterò, e finiranno a scazzottarsi per benino xD
E non preoccuparti se non riesci a recensire ogni capitolo, ti capisco (fra la scuola e il lavoro ho sì e no il tempo di respirare ^^')
Un bacione, spero di risentirti presto :)
romina75 [Contatta] Segnala violazione
24/10/10, ore 11:47 - Capitolo 23: What do you got.
tesoro! ^.^
voglio anch'io uno scendiletto cockerino!!! A proposito, vicino a casa mia ci sono due cocker che vivono insieme, uno è nero e l'altro è biondo...non ti dico le risate che ho fatto quando li ho visti xD segni del destino!!!
Lucy non è tanto angelica, la vedo molto più come mefistofelicamente innocente xD
Il segreto di Siria per ora è sempre lì, l'indizio che ho dato è l'unico che lascerò ^^
Ti voglio bene tesoro, un bacione e un abbraccio forte <3
Alchemia [Contatta] Segnala violazione
22/10/10, ore 18:50 - Capitolo 23: What do you got.
Dici che non farebbero a botte? Io Sue e Siria ce le vedo però xD con tanto di ometti di contorno e Shay che li annaffia U.U
(e ovviamente, Tallie a bordo campo che fa: BOTTE BOTTE BOTTE BOTTE! xD)
Alloora, pezzi di questo chap ne hai già letti, so che ti piacciono xD invece, l'intervento di Talia non lo sapevi, spero ti sia piaciuto xD
E adesso, Raperonzolo si sveglia! Dici che l'epopea è finita?
Mah, vedremo xD
<3
lovely_ [Contatta] Segnala violazione
22/10/10, ore 16:28 - Capitolo 23: What do you got.

Buondì!!!
Shaylee stavolta non scapperà, Peter non la lascerà scappare...ed era anche ora, non pensi? xD
Peter qua raggiunge apici di coccolosità che spaventano anche me...io di solito lo maltratto ,ma se fa così non ci riesco xD
Oh, non sono così brava a scrivere >.< divento rossa coi complimenti, mao! Ti ringrazio però, è bello sapere di riuscire a trasmettere tanto attraverso quello che scrivo. ^.^
Al prossimo capitolo! Un bacione!

Eve_Cla84 [Contatta] Segnala violazione
22/10/10, ore 00:51 - Capitolo 23: What do you got.
Buongiorno ^^ tranquilla per le confidenze, non mi danno fastidio!!!
Come non mi da fastidio sopportarti, anzi: è un piacere trovare le tue recensioni ^^
Oddio, definire il mio modo di scrivere "divino" no ^////^ così mi sciolgo io!!! ^///^ scrivo quel che sento, e spessissimo non ne sono per nulla convinta ^^'
Susan...ci arriverà, a spiegare quel che succede fra lei e Siria, e con Shay xD e penso proprio ci divertiremo *risata malefica*
Peter e Siria...aaaaah, quei due!!! In questo capitolo mi fanno letteralmente morire, sembrano due fratelli che passano il tempo a punzecchiarsi, ma in realtà si adorano xD amo il loro rapporto, e come si evolverà in futuro ^^
Shaylee, finalmente, è messa alle strette da Peter; ora come reagirà? Lo scopriremo nella prossima puntata xD
Comunque, concordo con te: noi donne siamo parecchio complicate, poveri maschietti xD spero di risentirti presto! Un bacione!

Spoiler:

-Torneremo presto. Non farai nemmeno in tempo a sentire la mia mancanza.-

Love you all, B <3

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Capitolo 25
*** Time Forgets. ***


1 chap Narnia

Narnia's Rebirth

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Time Forgets - Yiruma

Non avrebbe mai potuto credere a ciò che stava accadendo.

Shaylee schiuse gli occhi, serenamente, abbandonata senza pudore contro il petto muscoloso di Peter. Le braccia forti le cingevano la vita snella, il respiro caldo le accarezzava la gola dove il volto del Re era affondato, alla ricerca del suo profumo. Rabbrividì appena, un brivido piacevole, caldo, quando le sue labbra la sfiorarono delicatamente, accennando un bacio.

-Buongiorno.- la voce calda e suadente del biondo penetrò direttamente la sua pelle, disegnando d’istinto un sorriso sulle sue labbra soffici. Si accoccolò meglio nella sua stretta inclinando appena indietro il capo, perdendosi in quegli occhi celesti che soltanto durante quella notte, quella notte passata soltanto da poco più di ventiquattr'ore, aveva visto totalmente sereni.

Non era il Re Supremo di Narnia, in quell'istante. Non era il Magnifico, l'Alto Re, il ragazzo appoggiato al rassicurante tronco di un albero, fra le cui braccia era accoccolata come un gattino desideroso di attenzioni.

No. Era semplicemente Peter.

Il…suo…Peter.

-Buongiorno.- mormorò con dolcezza, i muscoli indolenziti ma allo stesso tempo distesi, rilassati.

-

-Io non scappo mai.-

La voce di Shaylee era stata gelida nei suoi confronti, gelida e spaventata come non mai. Gli occhi dorati avevano sfuggito i suoi, ma Peter non aveva allentato la presa; si era ritrovato stanco di vederla scappare, stanco di lasciarsela sfuggire fra le dita.

-E allora smettila di fuggire da me.-

Lo sguardo terrorizzato della ninfa si era spostato nel suo, e Peter aveva visto tutto il terrore che la sua presenza causava in lei.

Forse avrebbe dovuto lasciarla andare, perché quella paura era intollerabile. Non poteva sopportare di esserne lui la causa ed il motivo, non poteva pensarci, non…

-

Peter le sorrise, con dolcezza, il volto che si alzava appena dal caldo e profumato rifugio del suo collo, gli occhi che andavano a ricercare quelli di lei.

Ancora non riusciva a crederci.

Ancora non riusciva a rendersi conto della fortuna che possedeva, del sogno che stava vivendo proprio in quell'istante.

Lì, accanto a lei.

-

Non l’avrebbe fatta allontanare ancora.

Shaylee se n’era resa conto immediatamente, non appena scorta la determinazione che infuocava quelle iridi celesti e bellissime; iridi in cui aveva amato perdersi, ma in cui aveva il terrore di affogare ancora.

-Io non fuggo da te.-

Bugia.

Shay lo sapeva benissimo.

-Non mi sembra proprio.- la stretta sul suo braccio si era fatta più intensa, e Shay aveva sentito gli occhi pizzicare; voleva andarsene, voleva allontanarsi da lui, voleva che il cuore smettesse di battere tanto furiosamente nel suo petto.

-Shaylee, non scappare più. Basta.-

-

Gli occhi di Shaylee erano calmi, sereni, appena più lucidi. Sorrideva, sorrideva esattamente come lui...che la stringeva a sé, intrecciando le mani sul ventre della ragazza, appena più saldamente di quanto non desiderasse in realtà fare. Non gli sarebbe sfuggita di nuovo, non avrebbe lasciato che gli fosse portata via…più, mai più.

Si erano rifugiati lì, quando il tramonto aveva sostituito il giorno e la notte aveva incalzato; nessuno dei due si era preoccupato di avvertire qualcuno, per una notte se li avessero cercati non ci sarebbero stati.

Si erano rifugiati sulle rive di quel lago che era stato spettatore del loro amore, dei loro baci, accoccolati nell’abbraccio l’uno dell’altro, protetti da un’immensa quercia secolare che li aveva accolti con la dolcezza di una madre.

Ed erano rimasti lì, a parlare, finché Morfeo non li aveva colti in un abbraccio da cui ancora non si erano sciolti.

-

-Io…- aveva vigliaccamente approfittato di quell’esitazione, Peter, per trarla appena più vicino a sé, impedendole del tutto di fuggire.

-Io non me ne vado, Shay.-

Erano bastate quelle parole, per vedere le iridi del colore del miele della ragazza sgranare improvvisamente, allibite.

Sorprese, spaventate, felici, atterrite…c’era tutto, tutto quello che lui cercava da una vita intera.

-Tu non…tu dovrai andartene.- aveva balbettato la ninfa, quasi senza rendersene conto, le lacrime che bruciavano – trattenute, per orgoglio.

Peter aveva sgranato gli occhi, vedendo le guance della naiade imporporarsi appena, lo sguardo farsi lucido.

-Io non ho intenzione di andarmene.- aveva commentato, allibito, guardandola con soltanto lo stupore nel volto.

-

Non disse nulla, limitandosi a guardarla, completamente imbambolato sui lineamenti fini della naiade, quei lineamenti che vedeva perfettamente di profilo. Le labbra, le guance, le ciglia lunghe...e quei due pozzi dorati in cui adorava perdersi.

La vide arrossire, sotto il suo sguardo, imbarazzata.

-

-Shay. Shaylee, guardami.-

La ninfa aveva sentito il cuore impazzire, quando Peter aveva mormorato il suo nome in quel modo, con quel sussurro lieve e dolce che le era entrato dentro, che aveva scaldato il suo cuore e dipanato la paura che lo ammorbava.

Aveva obbedito; non poteva più fare altro, non poteva più scappare. Sentiva il cuore martellarle nel petto, la paura più forte di qualsiasi altra cosa…ma non poteva.

Era stanca, di fuggire: era stanca quanto lui.

“Basta scappare, Shay.”

Lo aveva guardato, tremante; e nei suoi occhi aveva scorto limpida e chiara la decisione, la sincerità…l’amore, quell’amore che era sbocciato fra loro quella notte, quell’amore che nessuno dei due poteva più celare.

Era diventato troppo grande, per essere nascosto.

-Non ho intenzione di andarmene. Non ho intenzione di lasciarti.-

Il cuore le era scoppiato in petto, a quelle parole.

Lasciarti.

Aveva parlato di lei.

Non si era riferito al suo popolo, non si era riferito a Narnia, non si era riferito a nulla che non fosse lei.

Era lei che non avrebbe lasciato.

Era lei, che aveva sentito improvvisamente le lacrime infrangere gli argini sottili in cui le aveva trattenute, e rigarle le guance con la forza impetuosa di un fiume in piena.

Era lei, che si era ritrovata fra le braccia calde e sicure del Re, singhiozzando mentre un sorriso finalmente privo di paura si schiudeva sul suo volto, le mani che salivano a serrare fra le dita minute la casacca di Peter.

Era lei, che finalmente si era trovata a casa.

-

-Perché arrossisci?- le chiese, con dolcezza, posando delicatamente le labbra sulla sua guancia. Lei si torse appena le mani, palesemente imbarazzata, prima di posarle su quelle di Peter, intrecciate sul proprio ventre – e sospirare, serena.

-E'...il tuo sguardo.- confessò, dopo un istante di esitazione, abbassando gli occhi sulle loro dita vicine. Quasi le leggesse nel pensiero, Peter sciolse la stretta delle proprie, racchiudendo dopo un attimo le manine affusolate della ninfa fra le proprie, molto più grandi.

-Il mio sguardo?- Peter non poté impedirsi di sorridere, appena sorpreso, accostando ancor di più il volto al suo e catturando i suoi occhi coi propri.

Quant'erano belle quelle iridi celesti, soltanto Shaylee poteva apprezzarne davvero la dolcezza, la pace, il caldo senso di protezione che le trasmettevano…

Annuì, sentendosi avvampare sempre di più.

-E'...strano. Non sono mai stata guardata così, non...in questo modo.- borbottò, ma non allontanò di nuovo le iridi da quelle di lui. Poteva perdersi, in quei due specchi mai visti così tranquilli, da nessuno.

-Allora non sei mai stata guardata davvero.- fu la semplice risposta del Re Supremo, un sorriso sulle labbra carnose, la testa piena soltanto del profumo, delicato e frizzante insieme, della naiade. Della sua Naiade.

Shaylee socchiuse gli occhi, sorridendo tenera, sincera.

No.

Nessuno l'aveva mai guardata come faceva Peter. Aveva amato, sì…aveva amato il suo compagno con tutto il suo cuore, con tutta la sua anima, e sapeva di esserne stata ugualmente ricambiata. Ma…

Ma quello sguardo, quegli occhi azzurri ed intensi che la osservavano quasi con adorazione, non aveva eguali.

-E' tutto così…strano.- mormorò, dopo un altro lungo istante di fragrante silenzio. -Tu sei il Re, io non dovrei…- le parole morirono sulle sue labbra carnose, quando quelle iridi, ora taglienti e penetranti come spade, si spostarono nuovamente nelle sue.

-Non sono nessun Re al tuo fianco, Shay.- le sussurrò, lo sguardo che si addolciva dopo un istante, una mano che saliva ad accarezzarle con infinita tenerezza il volto dalla carnagione eburnea. Le sorrise; uno di quei rari sorrisi a rilascio lento, splendidi, così strani da vedere su quel volto perennemente contratto. -Sono soltanto Peter.-

Una timida espressione, a metà fra imbarazzo e dolcezza, si dipinse sul visetto della ninfa, quando voltò la testa e si ritrovò esattamente di fronte al volto del Re. Di Peter.

-Allora, "soltanto Peter", permettimi di darti un bacio.- ridacchiò, senza poterselo evitare, accarezzando con dolcezza la guancia glabra ed abbronzata del ragazzo. Lo avvertì sussultare, in uno sbuffo divertito, prima che fossero le sue labbra a cercare quelle di lei, in un tocco sorridente, sereno… semplicemente, assolutamente innamorato.

-

-

Save Me - Avenged Sevenfold

Ma guarda te cosa mi tocca fare!!!

Era l'unico pensiero incessante di Siria, appollaiata come un grosso rapace su uno dei rami più bassi e nodosi degli alberi intorno al lago. Come diavolo aveva fatto quell'idiota biondo a convincerla!?

Controllare che nessuno si avvicinasse…Peter l'aveva scambiata per una dei suoi sudditi, nientemeno. Di nuovo.

Idiota. Idiota! Ma perché gli do anche retta!?

La mercenaria scosse la testa, esasperata, dondolandosi appena sul ramo e finendo a testa in giù, i lunghi capelli ramati che sfioravano quasi terra.

Non avrebbe mai pensato, nemmeno negli incubi più perversi, che sarebbe finita a fare da guardia a due piccioni innamorati.

E, soprattutto, che uno dei due pennuti fosse la sua amica Shaylee.

La concreta Shaylee, quella realista, quella seria, quella…

Quella che si è lasciata imbambolare da due occhioni azzurri da cucciolo!

…era piuttosto caustica, Siria, dopo una notte passata a controllare che nessuno si avvicinasse a quel luogo.

Avrebbe preferito passarla da qualche altra parte, quella notte. Magari con Caspian, che sicuramente si era chiesto dove fosse finita – per l’ennesima volta! –, magari avrebbero potuto terminare quel discorso

Era talmente assorta nei suoi pensieri, che non si accorse minimamente del fruscio del tutto udibile che infranse il morbido silenzio dell'alba narniana.

-Ma dove diavolo è finito quell'idiota!?- la rossa sobbalzò, rischiando di cadere dal suo comodo appiglio, quando la voce di Edmund la raggiunse con l'intensità di un grido di battaglia.

Dannazione! sbottò mentalmente, aggrappandosi di scatto al ramo ed issandosi in piedi con un gesto agile, conosciuto. Tutto merito di Talia, se era in grado di compiere tali acrobazie.

Con un salto il più silenzioso possibile, s'inerpicò fra i rami più alti della quercia che l'aveva ospitata quella notte, recuperando la propria fida balestra riposta con cura in una nicchia del legno. Da quel punto poteva benissimo vedere Peter e Shaylee, del tutto concentrati l'uno sull'altra...ah, ma le doveva un favore il Re, e pure bello grosso.

Con accuratezza, portò l’arma contro la spalla, prendendo accuratamente la mira. Buffo come quello fosse lo stesso gesto che aveva dato inizio a tutto quel casino, tanto tempo prima...

-

-

Un sibilo sinistro, il rumore del metallo conficcato nel terreno.

Peter sobbalzò, la mano destra che correva all'elsa della spada, la sinistra che repentinamente andava a cingere con più forza Shaylee, serrandola contro di sé in una stretta istintivamente protettiva.

Ma si rilassò quasi immediatamente, quando accanto alla sua gamba destra, dove prima non vi era che erba umida di rugiada, svettava un dardo dalle piume del colore del sangue.

I dardi di Siria.

-

-

…ma certo Siria non aveva messo in conto di perdere l’equilibrio – una vertigine improvvisa data dai movimenti troppo repentini – e scivolare dal ramo, per finire poco carinamente a ruzzolare a terra, il fondoschiena che non attutì minimamente l’urto della caduta.

-Ahi.- borbottò, maledicendo fra sé l’assenza di Caspian in quel momento; il principe l’avrebbe presa al volo, ne era certa.

-Piovono rosse dal cielo, a quanto vedo.- Siria s’irrigidì di botto, quando la voce perplessa e divertita di Edmund risuonò decisamente troppo vicina a lei.

Alzò lo sguardo, senza sorprendersi troppo di trovare gli occhi nocciola del giovane Re a fissarla, attenti e vigili almeno quanto i suoi.

-Edmund.- lo salutò, dolorante, alzandosi in piedi e massaggiandosi appena la schiena.

-Siria. Sei…caduta da un albero?- le chiese, e la raminga colse chiaramente una nota divertita nella sua voce.

Gli rivolse una smorfia ironica, senza riuscire però ad arrabbiarsi sul serio; era impossibile prendersela davvero con Edmund, al contrario di quanto sembrasse semplice arrabbiarsi con Peter.

-No, è solo un’impressione.- commentò, ravviandosi indietro i capelli arruffati, rinfoderando la balestra con una scioltezza ed una tranquillità invidiabili. Ed scosse la testa, appena esilarato dalla situazione, porgendole la faretra che le era sfuggita nella caduta.

-Tutto bene?- le chiese, vedendola massaggiarsi un fianco.

-Benissimo.- replicò lei, pronta, rivolgendogli un breve cenno; Edmund era certamente molto più galante di suo fratello, se non altro, questo doveva ammetterlo. -Non stai cercando Peter, vero?- gli chiese a bruciapelo, inarcando appena un sopracciglio quando vide le iridi scure del ragazzo spostarsi sulla foresta intorno a loro, pensierose.

-In verità sì, è sparito da ieri pomeriggio…- la voce del ragazzo si perse sull’espressione scettica della rossa, il volto contratto in una smorfia palesemente sarcastica.

-Eh, lo so.-

-Qualcosa che è meglio che io non sappia?- le chiese, intuendo soltanto dal suo sguardo che Siria non potesse proprio parlare liberamente di ciò che sapeva.

-Qualcosa che è meglio che nessuno sappia.- rincarò lei, eloquente.

Non vi era stato bisogno di discuterne con Peter, o con Shaylee; lei stessa aveva capito in un istante che meno avessero saputo di loro, più al sicuro sarebbe rimasto l’intero accampamento.

Siria conosceva se stessa, e sapeva che Peter avrebbe agito nel suo stesso modo; se avessero fatto del male a Shay, il Re non avrebbe esitato a rinunciare al suo stesso ruolo per correre a salvarla.

Suo malgrado, Siria dovette ammettere che in quell’ambito erano sgradevolmente simili.

Lei stessa stava provando sulla sua pelle cosa significava vivere allo scoperto una relazione come quella che legava lei e Caspian; c’era sempre una morsa ad attanagliarle il cuore, a ricordarle che non poteva rischiare troppo, che non poteva mettersi nei guai.

Avrebbe significato una reazione inevitabile, avrebbe messo in pericolo Caspian – che non l’avrebbe mai abbandonata, che già una volta l’aveva messa davanti al suo popolo e alla sua guerra.

Era un senso di colpa bizzarro, quello che Siria portava con sé da quell’occasione; non riusciva a non essere intimamente felice di essere tanto importante per il suo principe, tanto da spingerlo a rischiare tutto per lei – ma allo stesso tempo, la spaventava.

La spaventava, perché quella era una guerra che nessuno di loro poteva permettersi di perdere.

E se Caspian avesse rischiato ancora la vita per lei… lei stessa, forse, avrebbe perso il controllo e scatenato un inferno che Narnia paventava da più di milletrecento anni.

Per questo, si diceva, Peter e Shaylee dovevano evitare effusioni in pubblico.

Anche perché le avrebbero dato sui nervi, e non poco.

-C’entra la bella ninfa a cui fa gli occhioni dolci da mesi?- la raminga sorrise, a quell’insinuazione; un sorriso esasperato ma sincero, gli occhi che si rivolgevano al cielo e ringraziavano per non essere l’unica spettatrice di quel dramma che si trascinava ormai da troppo tempo.

-Oh, almeno non sono l’unica che l’ha notato!- sbottò, ravviando di nuovo i lunghi e arruffati capelli rossi; avrebbe dovuto pettinarli, una volta tornata al campo.

Edmund si lasciò sfuggire una breve risata, guardandola scuotere la testa e borbottare qualcosa di sicuramente poco carino nei confronti di suo fratello.

-Penso che chiunque l’abbia notato…tranne quei due, ovviamente.- commentò, scrutando lo sguardo corrucciato di Siria con una sorta di divertito ammonimento: quella ragazza gli piaceva, lo incuriosiva, ma non aveva mai avuto occasione di parlarle per più di pochi istanti.

-Perché tuo fratello è un imbecille e Shaylee anche.- commentò venefica la raminga, scoccando un’occhiataccia al folto degli alberi; là, dove sapeva che c’erano due piccioni che le dovevano un favore abnorme.

-Ti noto caustica.- il suo sguardo, rapido e tagliente quanto quello d’un rapace, tornò rapido agli occhi scuri e scaltri di Edmund.

-Noo, ma quando mai? Sono il ritratto della gentilezza, io!- commentò, sarcastica, un fondo divertito nell’ironia della voce.

-Si vede.- ridacchiò il giovane, voltandosi lentamente verso il sentiero che aveva percorso per raggiungere quel punto; se Peter non voleva essere disturbato – tanto da convincere la solitamente recalcitrante Siria a fargli un favore – tanto valeva tornare al campo…sorrise appena, pensando al sorrisetto furbo che Tara avrebbe esibito nell’apprendere quella notizia. -Almeno hai smesso di litigare con Peter.- commentò, rivolgendo un’occhiata obliqua alla rossa; ma Siria scosse la testa, precedendolo lungo quello stesso percorso appena visibile fra gli alberi, velando dietro un cipiglio indifferente un velo d’imbarazzo che quell’affermazione le aveva provocato.

-Guarda, secondo me stavo meglio prima. Mi ha scambiata per…non so neanche io per cosa!- borbottò, sentendo il giovane Re seguirla, il passo leggero e quasi inudibile – persino per lei.

Edmund ridacchiò, scuotendo lieve il capo; parlare con Siria era terribilmente simile a farlo con Peter, tanto erano simili. Entrambi orgogliosi, entrambi fin troppo schivi alle domande che riguardavano i loro pensieri e i loro sentimenti, entrambi incapaci di esprimere a parole un affetto che il giovane Re aveva presagito già dal loro primo scontro.

-No, ti ha scambiata per un’amica.- commentò; e fu una soddisfazione vederla sobbalzare, e in seguito irrigidirsi, al suono di quell’ultima parola che proprio non si sarebbe aspettata.

La raminga si voltò a guardarlo, perplessa.

Amica?

Era una definizione quanto mai assurda, per descrivere ciò che Peter riferiva proprio a lei. Non le pareva calzante, dopotutto gli aveva soltanto salvato la vita, non aveva proprio bisogno di un’altra persona di cui preoccuparsi...

Eppure…

Eppure sentì le guance accendersi di un rossore palesemente imbarazzato, quando Edmund per primo la definì con quel termine che lei stessa stava cominciando ad associare a quel biondo che non riusciva più a detestare così tanto.

Il bruno sospirò, affiancandosi alla rossa mentre lei continuava ad osservarlo, allibita.

-Peter non ha mai avuto molti amici…anzi, proprio nessuno. Non è una persona che si fida molto degli altri, e per questo è sempre stato solo…persino con la sua famiglia non ha mai mostrato troppo di sé.- le spiegò, tranquillamente, mentre alla mente tornavano le nitide immagini delle troppe occasioni in cui Peter si era chiuso in se stesso, allontanando chiunque cercasse di comprenderlo.

Eppure, a Siria aveva permesso di avvicinarsi più che con chiunque altro; li aveva visti, da lontano, mentre parlavano su quella collina – mentre parevano davvero due amici di vecchia data, e gli occhi di Peter parevano più espressivi che mai.

Suo fratello era assolutamente incapace di esprimersi a parole; si difendeva sempre sostenendo di essere un uomo d’azione, non di discorsi, ma più d’una volta Edmund si era reso conto che era tutto lì, in quelle iridi chiare, in una muta speranza che qualcuno potesse comprenderlo.

Peter era un dilemma, ma la chiave per comprenderlo stava in quegli occhi azzurri, tanto diversi dai suoi e da quelli del padre.

E Siria, Siria aveva trovato la chiave di lettura; nemmeno era conscia di quanto preziosa fosse la fiducia che Peter aveva riposto in lei, rara forse ancor di più delle apparizioni di Aslan.

-L’ho notato.- mormorò Siria, sorpresa suo malgrado; non pensava che Edmund si fosse accorto della repentina sopportazione che aveva sostituito l’astio, fra lei e Peter.

Il ragazzo sorrise, divertito; e Siria riuscì a cogliere in quel bel sorriso la stessa rarità che intravedeva in quello del fratello più grande.

-Di te però sì.- le ricordò il bruno, inarcando appena le sopracciglia; ma la rossa agitò una mano, di nuovo nascosta dietro i suoi misteri e i suoi segreti, superandolo quando finalmente trovarono il confine ultimo della foresta.

-Mi fai pensare a lui come ad una persona merita di rispetto, invece che come a un cretino. Non va bene, Edmund, non va proprio bene.- la sentì borbottare, da lontano; e ridacchiò fra sé, esasperato, riconoscendo in quella misteriosa guerriera un altro dettaglio di suo fratello.

-Sono cose che succedono.-

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You Raise Me Up - Westlife

Siria non ebbe nemmeno il tempo di rendersi conto della situazione; non appena abbandonato il rassicurante folto della foresta, ebbe giusto il tempo di distinguere una figura conosciuta avvicinarsi rapidamente a lei, prima di sentirsi sollevare con decisione ed essere travolta dal profumo conosciuto di Caspian.

-Ma che…- lo sentì ridacchiare, divertito, quando senza troppi complimenti se la caricò in spalla, sotto gli occhi divertiti di un Edmund per nulla sorpreso.

Niente di più semplice che fossero d’accordo, quei due.

-Scusa, ma sei impazzito!?- sbottò, sgambettando come una bambina, tentando di alzarsi per guardarlo in viso.

Ma Caspian la trattenne saldamente dov’era, un ghigno malcelato sul viso affilato, bloccandole con un braccio le gambe contro al proprio petto.

-Assolutamente no.- commentò, divertito, mentre gli strilli di Siria attiravano gli sguardi più o meno divertiti di metà dei presenti nell’accampamento.

-Allora mettimi giù! È imbarazzante!- non poteva arrossire ancora. Stava raggiungendo soglie d’imbarazzo mai viste prima, tanto che la differenza fra la sua pelle e i suoi capelli era ormai indefinibile.

-Non ci penso neanche, può sempre capitare qualcos’altro.- replicò lui, pronto, diretto senza troppi preamboli verso la cripta in quel momento praticamente deserta.

-Ma cosa…- Siria smise per un istante di sgambettare, senza capire in un primo momento a cosa si stesse riferendo il suo principe.

Qua stanno andando tutti via di testa!

Lo sentì ridere, mentre varcavano la soglia della cripta, la voce che si abbassava per farsi sentire soltanto da lei.

-Voglio finire quel discorso, prima che capiti qualche altro cataclisma.- mormorò a mezza voce, sentendola irrigidirsi nello stesso istante in cui la verità la raggiungeva, cristallina e perfetta come la pioggia di primavera.

-…ah.- mormorò soltanto, mentre l’idea si faceva lentamente strada dentro di lei.

-…potevi dirlo prima.-

Caspian scoppiò a ridere, al commento, lasciando che scivolasse dalle sue braccia soltanto quando si ritrovarono nella spartana stanzetta che dividevano – la piccola finestra unica fonte di una luce chiara, sbiadita e nebulosa, che dava vita ad una timida penombra che rendeva ogni cosa sfocata e labile.

Tutto, tranne lui.

Tutto, tranne quei carboni ardenti.

Sorrise, Siria, un’ombra malandrina negli occhi di cobalto, quando il sorriso dolce e trionfante del principe la raggiunse a poco più d’un soffio da lei.

-Mi sono concesso il piacere di coglierti di sorpresa.- commentò lui, intrecciando le dita con le sue e traendola contro di sé, l’ilarità che svaniva in quella debole luce che riusciva appena ad illuminare le iridi limpide della sua compagna.

Avvertiva qualcosa d’imminente, Caspian.

-Concedimi allora di prendermi una piccola rivincita, mio principe.- sorrise, il ragazzo, quando le dita sensuali e meravigliosamente calde della sua bella raminga accarezzarono la sua gola, scendendo a sciogliere i nodi della casacca e sfilandogliela con delicatezza, smarrendosi dopo un istante sul suo torace.

Qualcosa di brutto, che presto li avrebbe travolti.

Si lasciò trascinare su quel giaciglio parco, quel letto spartano che per entrambi era diventato un rifugio ed un riparo, il morbido nido d’amore in cui potevano rifugiarsi senza il timore d’esser strappati l’uno dall’altro.

Qualcosa, che avrebbe tentato di portargliela via.

La strinse a sé, intrappolandola fra quelle braccia che non avrebbero mai voluto lasciarla andare via.

Siria era bella, era profumata, aveva lo stesso profumo selvatico e inebriante della foresta; ma erano dolci quelle labbra che in tante piccole carezze percorrevano il suo viso per giungere alle sue, naufragando in un bacio che cancellò in un attimo ogni pensiero dalla sua mente – ogni pensiero che non fosse il suo profumo, il suo sapore… lei.

Presto.

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I giorni si susseguirono veloci, accavallandosi l’uno sull’altro come le foglie secche trascinate dal vento. La primavera di Narnia era sbocciata in tutto il suo fulgore, portando con sé un clima più caldo e mite, una lieve brezza che scuoteva le fronde cariche di teneri virgulti e un’insolita tranquillità nell’accampamento.

Peter e Siria non discutevano più, ormai; nei primi giorni di quell’inusuale cordialità con cui si rivolgevano l’uno all’altra i soldati li avevano squadrati allibiti, di certo chiedendosi se non fossero vittima di una qualche stregoneria. Siria aveva messo da parte i suoi propositi omicidi, mentre Peter si era lentamente accorto che la raminga era una compagnia più interessante di molte altre; Siria, ed aveva dovuto darle pienamente ragione, era arrivata a definirsi come l’unica in grado di tenergli testa.

In un modo completamente diverso da Shaylee, ovviamente.

Sorrise, il biondo Re Supremo, socchiudendo appena gli occhi e rivolgendo lo sguardo al cielo terso e limpido di Narnia. Il profumo della primavera lo raggiungeva anche lì, lontano da tutti, in quel luogo dove aveva imparato a trovare in sé la calma, la pazienza, la pacatezza – tutto ciò di cui non era particolarmente fornito, insomma.

Erano passati dieci giorni, da quel mattino.

Dieci giorni che erano stati, per lui, i giorni più belli che la vita gli avesse mai donato.

Dieci giorni di baci rubati all’ombra degli alberi, baci timidi, veloci, baci di chi vorrebbe avere una vita intera per amarsi.

Dieci giorni di occhi che si cercavano, di mezzi sorrisi e di carezze rapite alla luce del Sole – carezze che si addolcivano e si rincorrevano sulle loro pelli, quando il giorno cedeva il passo alla notte.

Dieci giorni, e nonostante la guerra lui non si era mai sentito più in pace.

Sentiva che finalmente aveva trovato il suo posto, il luogo che troppo a lungo aveva cercato – e che aveva scovato, infine, accanto alla sua dolce ninfa dagli occhi dorati.

Shaylee.

Lei era tutto ciò che non aveva mai osato desiderare, tutto ciò che aveva sperato d’incontrare, un giorno, sulla sua strada.

E quell’ombra, sul viso della sua dolce naiade, era finalmente scomparsa.

Sorrise, sereno, quando intravide poco lontano da lui il vento gonfiare appena una candida veste che conosceva; Shay era là, assieme alle due amiche, le guance rosse per l’aria fresca del mattino ed un sorriso un poco esasperato sulle labbra delicate.

Era bella.

Era magnifica.

Era conscio di perdersi un po’ troppo spesso a guardarla, senza riuscire a mascherare l’espressione sognante e un po’ ebete che sapeva di assumere mentre si perdeva ad ammirare la ninfa; ma di riscuoterlo dai quei momenti si occupava con molto piacere – forse anche troppo – la sua nemesi personale, conosciuta anche come Siria.

Le lanciò un’occhiata divertita, vedendola in piedi accanto alla naiade, più tranquilla di quanto non fosse stata negli ultimi giorni.

Caspian era tornato da una ricognizione il giorno prima, e Siria – che era stata davvero intrattabile durante l’assenza del principe – pareva tornata a quella sorta di inquieta serenità che Peter aveva imparato ad apprezzare.

Aveva cominciato a capire molte cose, di lei; ma l’unica che contasse davvero era quanto s’illuminassero i suoi occhi, accanto al principe di Telmar.

Aveva sbagliato, a giudicarli.

Entrambi.

Accanto alle due ragazze, Talia pareva più iperattiva che mai; si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, Peter, quando vide Shaylee arrossire ancor più furiosamente, lanciandogli una brevissima occhiata imbarazzata prima di tornare a posare lo sguardo sul proprio grembo.

Aggrottò appena le sopracciglia, perplesso.

Forse era davvero malato di egocentrismo, ma aveva la netta impressione che le tre ragazze stessero parlando di lui.

Incuriosito, recuperò il fodero della spada che aveva posato accanto a sé, alzandosi e allacciandolo in vita mentre discendeva agilmente la parete scoscesa della cripta.

Non dovette avvicinarsi troppo, per sentire la voce squillante e divertita di Talia rivolgersi a Siria, che la soppesava con uno sguardo a metà fra l’ilare e il sarcastico.

-Cioè, tu mi stai dicendo che lui c’è riuscito davvero?- non lo sorprese vedere Talia indicarlo con un rapido gesto della mano, nonostante fosse a diversi metri di distanza alle sue spalle; Peter aveva imparato in fretta che era molto difficile – se non impossibile – cogliere di sorpresa quell’elfa.

-Così pare.- Siria si strinse nelle spalle, mordendosi un labbro per non scoppiare a ridere, mentre al suo fianco Shaylee arrossiva ancora di più.

Ma che

Peter non ebbe nemmeno il tempo di formulare quel pensiero, perché Talia apparve quasi dal nulla al suo fianco, le mani strette sui fianchi ed un cipiglio allibito sul viso affilato.

-Scusa eh, ma tu davvero hai fatto sesso? Cioè, stiamo scherzando, vero? Mi state prendendo in giro!- sbottò, scrutandolo diffidente in viso, incredula.

-Eh?- lo colse di sorpresa, quella domanda fatta a bruciapelo e senza un minimo di tatto; e si sentì dannatamente arrossire, quando spostando gli occhi sulla figura di Shaylee ebbe in risposta soltanto uno sguardo appena un poco esasperato.

Talia emise un versaccio che riuscì a farlo sobbalzare, rivolgendo teatralmente il viso verso il cielo, scoccando poi un’occhiata ad una Siria che stava davvero faticando a rimanere seria.

-Oh cielo, l’avete fatto sul serio! Oddio, qua mi crollano tutte le certezze!- sbottò, scuotendo la testa con aria di rimprovero, spostandosi nuovamente, in una delle sue flessioni impossibili, accanto a Shaylee. -Hai uno stomaco forte, ragazza.- le disse, solenne, dandole una lieve pacca sulla spalla mentre la risata della raminga ormai risuonava in tutto l’accampamento.

-Smettila. Siria, smettila di ridere.- sibilò Shaylee all’indirizzo della rossa, che non parve avere la minima intenzione di darle retta.

Peter le scoccò un’occhiataccia, ma non servì a molto; accanto alla mercenaria, Talia annuiva soddisfatta, un cipiglio trionfante sul visetto in apparenza tanto angelico.

-Tutto questo è profondamente ingiusto.- commentò il biondo, sospirando, scuotendo lievemente la testa ed avvicinandosi appena un poco di più alla naiade, posando una mano sull’esile spalla coperta della ninfa.

-Non poteva non saperlo.- mormorò lei, imbarazzata, alzando gli occhioni lucidi per la vergogna su di lui. Ma Peter le sorrise, ignorando non senza difficoltà quanto Siria stesse ancora ridacchiando alle sue spalle, sfiorandole delicatamente il visetto delicato con la punta dell’indice.

-Sopporterò.- la rassicurò, sentendo il cuore accelerare quando le labbra delicate della naiade si distesero in un dolce, morbido sorriso.

-Tallie, perché stai maltrattando il Re Supremo?- mai, mai Peter era stato tanto contento di sentire la voce di Caleb interrompere Talia, che si stava seriamente impegnando a continuare la sua sequela di commenti e battute sarcastiche.

-Perché se lo merita!- fu la flemmatica risposta dell’elfa, mentre Siria tentava un minimo di ricomporsi, le lacrime agli occhi per le troppe risate.

-Questo potrebbe anche essere vero, ma non sta bene!- Caleb sorrise, malandrino, accostandosi a loro e posando una mano sul fianco esile della mezzelfa, traendola a sé senza alcuno sforzo.

-E da quando sei così educato, scusa?- ridacchiò lei, concedendosi a quello scherzo, incrociando le braccia sul seno e rivolgendogli un’occhiata ironica, minuscola fra le braccia possenti del ragazzo.

Era davvero piccola, in confronto a Caleb; arrivava sì e no alle sue spalle, ma nonostante fosse tanto più minuta di lui, nessuno guardandola negli occhi avrebbe dubitato della forza che l’animava, che la presenza e l’amore del biondo avevano acceso dentro di lei.

-Sono un uomo dalle mille sorprese, io.- fu la risposta flemmatica del giovane, il viso che s’accostava lievemente alla guancia della bella mezzelfa, le labbra che lasciavano una delicata impronta sulla sua pelle olivastra.

La sentì ardere a quel contatto, il sangue che affluiva al volto con prepotenza. Farla arrossire non era mai stato facile, ma aveva scoperto con gioia che Talia era molto più sensibile alla dolcezza di quanto non volesse mostrare al mondo; era una sua esclusiva, un’esclusiva che adorava, riuscire a metterla in imbarazzo con un gesto semplice come poteva essere una carezza, un bacio.

-A ah. Certo.- Tallie si rigirò nel suo abbraccio con una mezza piroetta aggraziata, quasi un passo di danza; il suo volto solitamente imperturbabile era arrossito, ma gli occhi scuri brillavano di testardaggine, per nulla pronta a rinunciare a quel battibecco.

Ma Caleb sapeva giocare le sue carte, sapeva come muoversi su quella scacchiera.

Accostò d'un soffio il viso al suo, lasciando che appena un respiro restasse a dividerli; gli occhi celesti vibravano di malizia, di desiderio, di sfida, un miscuglio di sensazioni ed emozioni diverse che Talia conosceva bene – che sapeva essere fin troppo capace di far ribollire il sangue sotto la pelle, le ginocchia che tremavano.

-Devo dimostrartelo?- fu il suo commento appena sussurrato, le labbra che sfioravano quasi inavvertitamente quelle di lei.

Si ritrovò costretta a respirare profondamente, Talia, tentando di reprimere tutto ciò che il suo corpo stava chiedendo a gran voce; sentiva ogni singolo muscolo fremere, impaziente di sfiorare il corpo statuario del biondo, le dita che prudevano per il desiderio impellente di sfiorare quella pelle calda e tonica, per la voglia insopprimibile d’immergersi in quei riccioli biondi…le labbra, invece, le labbra che lottavano per naufragare su quella bocca rossa, morbida, che sapeva di sogni.

Caleb accendeva in lei desideri che non si era mai permessa di provare, che aveva sempre imbrigliato in un ferreo e rigido autocontrollo; era stata cresciuta secondo le regole degli elfi, nonostante fosse una mezzosangue, e sapeva bene che le passioni erano proibite e dissacrate come la più riprovevole debolezza degli esseri umani.

Eppure…eppure non riusciva a sentirsi in colpa, quando la voce di Caleb suonava note meravigliose fra le corde del suo cuore.

Non riusciva a trovare nulla, di sbagliato, nel desiderio e nell’amore che sentiva crescere ogni giorno di più.

Non riusciva a convincersi di essere nel torto, che quell’amore potesse essere sbagliato; si sentiva rinata, felice come non era mai stata in settecento anni di vita, e sapeva che l’unica ragione della sua gioia era lui.

-Non farmi certe proposte, potrei anche accettarle.- mormorò, pensierosa, posando le mani affusolate, eleganti, sulle guance chiare ed appena ruvide di Caleb.

Gli occhioni celesti le sorrisero, prim’ancora della sua bocca.

Le sorrisero, e Tallie sentì il cuore accelerare più del normale, smarrendosi in quei due pozzi chiarissimi, limpidi, che parevano rubati al cielo.

Dobbiamo lasciarvi soli, deduco…?

Quasi non avvertì il pensiero divertito, flebile di Siria.

Quanto sei perspicace, amica mia.

Non si accorse nemmeno dell’assenza degli altri tre; si era scordata di qualsiasi cosa che non fosse Caleb nello stesso istante in cui il giovane mercenario l’aveva tratta a sé, e i loro sguardi si erano incrociati.

Sorrise, una punta di malizia sulle labbra, accarezzando lievemente il profilo del volto di Cal.

-La considero accettata, allora.- fu il commento divertito del biondo, le mani calde, grandi e forti, che si posavano sui suoi fianchi snelli e la stringevano ancor più contro di sé.

Il calore del suo corpo la investì in pieno, il suo profumo la stordì in un istante; e non c’era più nulla davvero, in quel momento, se non il tocco e lo sguardo penetrante del suo compagno.

-Assolutamente.- mormorò, ed in un solo sospiro annegò in quell’oceano di sensazioni che aveva scoperto di amare, immergendosi nel sapore delle labbra di lui, trascinandolo con sé in mare aperto.

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Bells Of Freedom - Bon Jovi

Frustrata, la Regina Susan scoccò l’ennesima freccia in direzione del bersaglio consunto, immediatamente seguita da una seconda, una terza, una quarta.

Quel piccolo campo di addestramento, arrangiato in una radura poco lontana dalla cripta, era divenuto il suo personale rifugio; era il luogo dove poteva permettersi di sfogare quel suo animo all'apparenza così rigido e calcolatore, ma che in realtà era tremendamente fragile, dolce.

Fissava irata il bersaglio, immaginando in alternanza il volto di Miraz e il proprio cuore, così poco incline ai sentimentalismi; non ci riusciva, era più forte di lei. Doveva valutare tutti i pro ed i contro, organizzare e controllare fino al più piccolo dettaglio ogni situazione, anche quelle emotive – senza però grandi risultati, notò, una smorfia frustrata che compariva sulle sue labbra carnose.

Conclusione?

Si richiudeva a riccio per la paura.

Mai nessuno era riuscito a scalfirla così tanto da portare le sue guance ad arrossarsi con un solo sguardo, capace di confondere quei pensieri che vorticavano nella sua mente e mandando alle ortiche ogni logico proposito.

Fino a pochi giorni prima.

Scoccò una freccia, che in un sibilo rapidissimo andò a conficcarsi perfettamente al centro del bersaglio.

Ecco.

Aaron era riuscito a fare lo stesso col suo cuore.

Centro perfetto.

Le bastava pensarlo o scorgerlo a camminare pacatamente chissà dove, per sentire un insolito calore sotto pelle; quando parlavano o si sfioravano accidentalmente, poi, rischiava seriamente l'autocombustione.

In quei momenti, avrebbe volentieri torturato Lucy che, in disparte, era solita lanciarle sguardi e sorrisi di chi la sapeva lunga.

Piccola, sadica peste.

-Dannazione.- sibilò, preparando due frecce e scagliandole una dopo l'altra: si conficcarono accanto a quella precedente, con pochi millimetri di distanza.

Dovevano prepararsi, programmare tutto prima della battaglia, ma Peter e Shaylee, quanto Caspian e Siria o Caleb e Talia, sembravano spariti nel nulla.

Così, però, non aiuto la mia concentrazione…

Il flusso di pensieri fu interrotto da un rumore: un ramo spezzato che la fece voltare di scatto, la freccia regale incoccata, pronta per colpire.

Ma Sue sussultò, quando i suoi occhi incontrarono quelli profondi di un Aaron elegantemente appoggiato al tronco di un abete.

Avvertì lo stomaco contrarsi, le guance imporporarsi in un istante; Aaron la stava guardando, i chiarissimi occhi celesti appena socchiusi in sua direzione. I capelli scarlatti era arruffati, contornavano il volto abbronzato con un’eleganza accuratamente studiata.

Le braccia erano incrociate sul petto ampio, fasciato da una tunica di pelle scura, la pesante spada a due mani fissata nel fodero sulla schiena. Vedeva la pesante elsa lavorata fare capolino oltre le spalle nodose, un pugnale appeso alla cintura.

Era bello, Aaron.

-Regine Susan.- salutò lui, la voce pacata e un sorriso accennato sulle labbra rosee, accennando un inchino per poi avvicinarsi alla ragazza.

-Aaron…- s’irrigidì, Sue, nascondendo il tumulto del proprio cuore alla vista del mercenario.

-Tutto bene? Sembri stanca, provata.- abbozzò lui, fermandosi a circa un metro dalla mora, scrutando i suoi occhi tanto glaciali per il colore quanto – lui lo sapeva – caldi per l'anima delicata che racchiudevano.

-Ti sbagli; va tutto bene.- mentì, senza fare una piega, ma Aaron non si lasciò convincere, accostandosi di altri due passi alla figura della giovane; alzò una mano, delicatamente, per scostarle una ciocca di capelli morbidi e lisci dal viso candido.

Susan, dal canto suo, non poté evitarsi di arrossire e socchiudere gli occhi, sospirando.

Aaron socchiuse appena gli occhi, scrutando quel volto raffinato che fin troppo spesso appariva nei suoi pensieri; sulla pelle solitamente candida di Susan, sotto quegli stupefacenti occhi celesti, spiccavano due occhiaie che non lo convincevano proprio del tutto.

-Lo so che non è così. Ora riposa, farò in modo che niente turbi il tuo sonno.- mormorò, piano, sfiorando con la punta delle dita la guancia eburnea della giovane Regina.

La sua voce parve ovattata e dolce, alle orecchie della ragazza; il respiro fresco e il profumo inebriante dell’affascinante mercenario la stordivano, il volto contratto ed angosciato che si distendeva a poco a poco.

-Non c'è tempo per rilassarsi e pensare al proprio piacere.- mormorò la Regina, affranta, la voce che diveniva incerta.

Lo sbuffo del mercenario si mischiò al vento lieve che soffiava tra le foglie, tra i capelli corti e infuocati di Aaron tanto quanto tra quelli lunghi e scuri di Susan; quella brezza pareva volerli spingere l’uno verso l’altro, avvicinare quei due cuori che palpitavano da troppo tempo in solitudine.

-Eppure gli altri fanno l'esatto opposto. Perchè TU non puoi prendertelo, il tempo che ti spetta?- chiese lui, il tono convinto a sottolineare l'ingiustizia di quella decisione.

Lo aveva capito già da tempo; Susan, la dolce Susan che riusciva a scorgere oltre l’altezzosa scorza della gelida Regina, non si sarebbe mai permessa una debolezza tale da renderla dipendente da un’altra persona.

Non avrebbe mai permesso che il cuore offuscasse la sua vista, che le impedisse di portare a compimento il suo dovere.

Gli occhi celesti penetrarono quelli altrettanto chiari della ragazza, scorgendo il tumulto ben celato dietro quella maschera compita.

Sue era una Regina; e come tale, agiva.

-E' logico; loro se lo prendono e io vi rinuncio. Una cosa in cambio di un'altra. Sono disposta a cedere tutto quello che possiedo affinchè possano avere quell'amore che li ha trovati e legati.- ma gli occhi della ragazza non concordavano con le sue parole; un velo di tristezza aveva racchiuso le sue meravigliose iridi, un tiepido rossore che le colorava le guance.

-Pensaci, Aaron…se questa guerra non dovesse avere i risultati sperati... almeno saprei che è stato concesso loro tutto il tempo possibile. Io, invece, non saprei che farmene.- Sue dischiuse le palpebre, concentrando gli occhi chiari in un punto oltre la figura del ragazzo.

Si pentì dopo pochi istanti delle parole che si era lasciata sfuggire, del sentimento che per pochi istanti aveva lasciato trapelare.

La verità, Susan, è che hai paura.

Quel tempo non sarebbe stato sprecato, se si fosse permessa di avvicinarsi ad Aaron.

Quel tempo non sarebbe stato vano, se avesse ammesso con se stessa ciò che quel giovane mercenario aveva scatenato dentro di lei.

Eppure aveva così tanta paura…

Lei non doveva, non doveva permettersi debolezze.

Lei era una Regina, lei aveva una guerra da vincere, aveva una famiglia da proteggere.

Lei era Susan la Dolce, ma ora più che mai avrebbe desiderato essere soltanto…Sue.

-Ti basterebbe qualcuno con cui poter vivere quel tempo, giusto?-

La domanda fu come una secchiata di acqua gelida; Susan inchiodò lo sguardo azzurissimo in quello sorridente di lui e arrossì vistosamente, riuscendo comunque a non fare una piega.

-Susan…-

Doveva tentare.

Doveva cogliere quell’istante di cedimento.

Tutto ciò che desiderava era lì, ad un soffio dal suo viso, gli occhi celesti che si spostavano appena per non incrociare il suo sguardo.

-Aaron… non può funzionare.- scosse la testa, Sue, con voce sempre più insicura.

-E perchè?- chiese il rosso sorpreso e curioso al contempo, un sopracciglio inarcato.

Susan si lasciò sfuggire un sorriso mesto, triste, un sorriso privo di gioia che non raggiunse gli occhi.

-Ho 1300 anni in più di te.- gli ricordò, piano, arrossendo come una bambina.

Ma Aaron si lasciò sfuggire uno sbuffo divertito, la mano che non si spostava dalla sua guancia, dal suo volto.

-E allora? Li porti bene.- commentò, ironico, strappandole un sorriso che spinse il suo cuore ad accelerare bruscamente.

In quel momento, Aaron prese una decisione.

Doveva agire.

Le mani sicure dell'uomo andarono a racchiuderle il viso, portandolo più vicino al proprio.

Il profumo di Sue era meraviglioso, fresco, suadente, irresistibile; avvertì i pensieri vacillare, quando avvertì la pelle lattea e soffice scorrere delicata sotto le sue dita, gli occhi celesti che sostenevano i suoi, figli dello stesso cielo.

-SUSAN!- la Regina sobbalzò, allontanandosi dal corpo del suo… interlocutore come se si fosse scottata, lasciandolo a metà del tentativo.

-

Oh, sì, pensò Aaron, qualcuno avrebbe dovuto pagare quell'interruzione. Un Supremo Imbecille dai capelli biondi e dalle manie di protagonismo.

-

-Devo andare…- borbottò dispiaciuta la mora, lo sguardo colpevole che sbirciava la reazione del compagno d'armi; il cuore batteva forsennato nel suo petto, uno strano groviglio di emozioni che le si attorcigliava nel ventre.

Stava per baciarla.

Aveva il respiro corto, affannato, sebbene lui non l’avesse nemmeno sfiorata; ma quello scalpitio nel petto, i pensieri confusi e per una volta tutto fuorché razionali, le guance che arrossivano…

Aaron si limitò ad annuire, affatto contento, guardandola voltarsi e fare il primo passo.

Il primo dei passi che l’avrebbero allontanata ancora.

Il primo, dei passi che avrebbero segnato una nuova distanza fra loro.

-

Ma la veste di Susan ondeggiò appena, quando le sue gambe si mossero per tornare da Aaron. E baciarlo.

-

Fu un tocco casto, senza pretese, eppure meravigliosamente intenso: le labbra si modellarono le une sulle altre, le dita affusolare della giovane che affondavano in quei crini rossi e sbarazzini, le braccia di lui a cingerle possessivamente la vita sinuosa, premendo i corpi l'uno contro l'altro.

Fu un bacio lieve, ma che cancellò dalla mente di Susan ogni pensiero che non fosse Aaron; perché il mondo convergeva lì, fra le braccia forti e sicure del rosso, fra quei capelli scarlatti inaspettatamente segosi, in quegli occhi azzurri che parevano rubati al cielo.

Si separarono dopo pochi, ma eterni istanti.

Susan sorrise, rivolgendogli uno sguardo caldo, morbido, finalmente svelato; uno sguardo che fece battere furiosamente il cuore del mercenario.

E poi semplicemente, la Regina si voltò, scomparendo poi nella fitta vegetazione con il cuore che le batteva forte, e qualcosa che sbocciava su quelle labbra che soltanto lui aveva potuto sfiorare.
-

Adesso che so con chi viverlo, Aaron… beh, magari un po' di tempo posso concedermelo.

-

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Paramount - Edenbridge

E i giorni passavano, a Narnia; il ponte dei telmarini, a quanto riferivano le sentinelle, aveva quasi raggiunto l’altra sponda. Presto avrebbero dovuto combattere, presto la guerra avrebbe distrutto quel ritaglio di felicità che ognuno di loro aveva strappato alla realtà; ma Peter non voleva pensarci, non voleva altro che perdersi un’altra volta nel profumo della sua naiade.

-Shay!- la ninfa sobbalzò, allontanandosi immediatamente dall’abbraccio di Peter.

Entrambi alzarono lo sguardo, sorpresi, vedendo un’indefinita macchia scura muoversi troppo rapidamente fra i rami degli alberi della foresta; qualche attimo più tardi, la figura di Talia prese forma e concretezza davanti ai loro occhi stupiti, le iridi scure animate dal tormento. -Staccati dal biondastro e dammi retta!- esclamò, tanto rapidamente che le sue parole furono chiare soltanto qualche attimo più tardi.

-Io non mi devo staccare da nessuno, ti sto dando retta!- replicò la ninfa, divenendo paonazza; ancora non riusciva ad abituarsi all’assenza di tatto di Talia, nei confronti del suo rapporto con Peter.

-Sì, certo.- fu la risposta sbrigativa della mezzelfa, che pareva troppo agitata per riuscire a restare immobile per più di qualche secondo. Fu quel dettaglio, a risvegliare ogni istinto nel biondo; ma cercare di carpire qualcosa dal volto di Talia era impossibile, perché soltanto pochissimi riuscivano ad arrivare oltre quegli impenetrabili occhi scuri.

-C’è un problema, seguimi.- la voce della giovane elfa risuonò fra gli alberi appena dopo la sua sparizione; echeggiò per qualche attimo fra loro, che si scambiarono un’occhiata perplessa e lievemente preoccupata.

Ad indicargli la via, soltanto il movimento delle fronde scostate al suo passaggio.

-Anche tu, biondo!- la sentirono gridare; ed istintivamente si mossero insieme, attraversando rapidi il tratto di foresta che Talia aveva segnato, seguendo il percorso fino a ritrovarsi in una piccola radura un poco discosta dal resto dell’accampamento.

C’erano tutti, là; c’era Siria, Caspian, c’era Caleb, c’era l’irrequieta figura di Talia ora apparsa alle spalle del biondo mercenario, c’era Aaron.

-Che cosa succede?- Peter si rivolse istintivamente a Siria; cupa, avvolta dal suo mantello del colore dell’inchiostro, era rigidamente appollaiata su un ramo basso a poca distanza da Caspian, scuro in volto quanto lei.

La raminga aveva in fretta guadagnato la sua fiducia, oltre che la sua stima; lo sapeva bene, di Siria poteva fidarsi ciecamente… la raminga, gliel’aveva dimostrato più di una volta, non l’avrebbe mai tradito.

La rossa spostò repentinamente i gelidi occhi chiari su di lui, scatenandogli soltanto un lieve brivido che si tramutò presto in pelle d’oca.

Una volta imparato a conoscerla, lo sguardo freddo e tagliente della ragazza aveva smesso di preoccuparlo; o se non altro, lo aveva indotto a pensare che il pericolo non provenisse certo da lei.

-Dobbiamo andare oltre il fiume.- fu la sua rapida, serafica risposta.

-Non è una buona idea.- fu il commento palesemente frustrato di Caspian, che le rivolse un’occhiata inesplicabile che a Peter parve soltanto lo sguardo di un uomo innamorato e disperato al tempo stesso.

Non poteva che essere d’accordo con lui, si disse, scrutando i due con un cipiglio sempre più aggrottato in viso; oltre il fiume vi erano orde di telmarini, e inoltrarsi in quelle zone era poco meno che una pazzia.

Vide la rossa cedere appena, un’ombra scura adombrarle il volto altrimenti imperturbabile.

Aveva imparato presto, Peter, che l’unico in grado di far ragionare Siria – volente o nolente – era proprio il principe. Ciò che li legava era troppo forte, per mettere l’insolitamente irriducibile raminga davvero in condizione di non ascoltare il suo compagno.

-Caspian, non–

-Non dovete andare. Sarebbe un suicidio, e sono stanco di saperti in pericolo.- la interruppe bruscamente, scoccandole un’occhiata di fuoco che riuscì a zittirla definitivamente, gli occhi di cobalto che si abbassavano, colpevoli.

Perplesso, Peter lanciò un’occhiata a Talia; la mezzelfa pareva priva del suo solito autocontrollo, fremente in piedi accanto ad un insolitamente serio Caleb.

Le iridi scure saettavano rapidissime da un volto all’altro, le labbra erano serrate, livide; le dita minute torcevano una ciocca dei corti capelli arruffati lasciati liberi sulle spalle, mentre il suo stesso corpo flessuoso pareva fremere di un’attesa che la stava logorando.

-Non posso ignorare una richiesta d’aiuto.- furono le sue – incomprensibili, per Peter – parole, rivolte ad un Caspian che non si trattenne dal rivolgerle un’occhiata molto simile a quella che aveva zittito Siria.

-Non puoi neanche andare a morire. Né tu, né Siria, né Shaylee.- nel sentirlo pronunciare il nome della naiade, Peter non riuscì a non sobbalzare; i suoi occhi celesti corsero istintivamente al volto della sua compagna, che al suo fianco si era fatta sempre più pallida da quando avevano raggiunto gli altri, il volto più contratto ad ogni pensiero con cui Talia la stava sicuramente aggiornando.

Non puoi andare a morire.

A cosa si riferiva Caspian?

Perché improvvisamente Shaylee sembrava preoccupata, angosciata quanto e forse più delle due compagne?

E perché lui non capiva assolutamente nulla di ciò che stava succedendo?

-Qualcuno si degna di spiegarmi qualcosa?- sbottò, dopo un’altra manciata d’incomprensibili secondi, spezzando quella stasi insopportabile che pareva aver cristallizzato tutti i presenti.

Fu Shay, dopo un breve sospiro, a posare una manina soffice sul suo braccio e a rivolgersi finalmente a lui, dopo un breve cenno di una Talia sempre più impaziente.

-Talia avverte la foresta come io sento i fiumi.- gli spiegò, in breve, senza dargli il tempo di assorbire quella novità; ma Peter non riuscì a trattenersi dal lanciare un’occhiata sorpresa a Talia, che teneva i solitamente imperturbabili occhi scuri fissi sul volto distante e cupo di Caleb.

Talia avverte la foresta come io sento i fiumi.

Non si era mai accorto di una particolarità del genere, in Talia. Aveva pensato che la comunione con le foreste, tanto spiccata negli elfi purosangue, fosse in lei meno radicata…ma evidentemente aveva commesso un errore di giudizio, su di lei.

Non il primo.

-C’è una creatura…- continuò Shay, concitata, gli occhi dorati che si spostavano rapidamente da un volto all’altro.

-Una driade.- la corresse bruscamente la mezzelfa, senza guardarla.

-…una driade, in pericolo. Ha chiesto aiuto alla foresta, e la foresta si è rivolta a Talia.- spiegò Shay, rapidamente, i pensieri confusi che si rincorrevano nelle iridi dorate; ascoltava la voce di Siria, quella rapidissima di Talia, e faticava a mantenere il controllo della propria mente.

-Veniamo con voi.- fu l’affermazione sicura di Caspian, gli occhi neri che si fissavano con un misto di sfida e preoccupazione sul volto turbato di Siria; pareva volerle lanciare una scommessa, pareva voler vedere se la rossa avrebbe ribattuto a quell’affermazione.

Ma fu Talia, inaspettatamente, a replicare.

-Sarebbe la mossa più stupida che potreste fare.- affermò, sicura, apparendo con un gesto quasi invisibile di fronte al principe.

-Perché non sappiamo difenderci, vero?- il sarcasmo velò lo sguardo di Caspian, che non risparmiò un’occhiataccia di rimprovero nemmeno all’agitata mezzelfa.

Ma Talia era troppo ansiosa per dargli retta, e rapidamente gli elencò tutti i motivi per cui la loro presenza sarebbe stata superflua.

-Io sono per metà un’elfa. Schivo anche le frecce, e sono più abile di qualsiasi arciere telmarino.- in una flessione impossibile apparve accanto all’amica dai capelli rossi, che non pareva mostrare nemmeno un’ombra di sorpresa nel vederla muovere a quel modo. -Siria è una guerriera eccellente, e questo lo sapete tutti quanti.-

La raminga alzò repentinamente gli occhi, incrociando lo sguardo pieno di paura della compagna d’armi.

Sir, ti prego. Ho bisogno di te.

Non l’avrebbe lasciata andare da sola.

Non le avrebbe permesso di correre in aiuto di quella driade, non senza di lei; non ricordava nemmeno più l’ultima volta in cui una si era mossa senza l’altra, l’ultima avventura vissuta separatamente dalla compagna.

Non ti lascio sola.

-E tu non ti muovi, senza di me.- affermò, la voce sicura soltanto su quella frase, su quella solida certezza; non avrebbe lasciato sola Talia, non le avrebbe permesso di avventurarsi in terra nemica senza di lei.

Vide la gratitudine apparire nei suoi occhi, prima che entrambe si voltassero a guardare Shaylee.

Non posso chiedertelo, Shay.

Shaylee era piccina, era minuta, pareva una fata; chiederle di unirsi a loro sarebbe stato un gesto egoista, un gesto avventato e pericoloso. Talia non le avrebbe permesso di seguirle, se fosse dipeso soltanto da lei… non riusciva a non avvertire l’ansia premere sul suo sterno, mozzandole il respiro, al pensiero di mettere in pericolo la tanto apparentemente indifesa ninfa.

Siria non era entusiasta dell’idea; lei e Talia erano abituate al pericolo e alle battaglie, ma non poteva pensare di vedere l’amica naiade alle prese con uno scontro, in un pericolo mortale…soltanto l’idea le stringeva il cuore in una morsa, una tenaglia dolorosa che pareva voler frantumarle il respiro.

Istintivamente, entrambe volsero lo sguardo verso Peter; Peter, che nonostante stesse accadendo tutto troppo in fretta tentava di non perdersi nei discorsi, che per una volta si trovò, senza esitazione, concorde con entrambe le mercenarie.

L’amicizia, l’amore che li legavano tutti e tre a Shaylee…

-E io posso curarla.- la ninfa ignorò gli sguardi delle due amiche, voltandosi verso Peter. -Lo sai che posso farlo.- affermò, sicura.

Non avrebbe permesso a quelle due scriteriate di allontanarsi senza di lei.

Era l’unica, fra le tre, ad avere un minimo di buonsenso; Talia era troppo coinvolta, Siria aveva la brutta abitudine di combattere fino allo stremo, e la paura di non vederle tornare era troppo grande.

Non le avrebbe lasciate andare.

Lei poteva curarle, poteva guarirle; si stava esercitando, pian piano, per controllare quel dono che le era stato fatto dal Guardiano dei Fiumi, quel potere dimenticato che in lei si stava sviluppando sempre di più.

Ma Peter scosse la testa, incredulo, guardandola come se non la riconoscesse più.

-Non vorrai andare davvero?- le chiese, allibito, voltandosi verso Siria in cerca di sostegno.

-Shaylee…- mormorò la rossa, più incline che mai a concordare con il biondo.

Ma Shaylee la interruppe bruscamente, serrando i piccoli pugni e scrutandoli entrambi con un cipiglio più determinato che mai.

-So che è pericoloso, non ho bisogno che nessuno dei due me lo ricordi.- affermò, gelida; e Peter, dinanzi a quell’esclamazione, non poté che tacere.

Ma qualcun altro, al contrario, pareva sull’orlo di esplodere.

-È una follia!- sbottò Caspian, furibondo, voltandosi verso Siria con la paura e la rabbia negli occhi scuri, il cuore in tumulto, l’animo che si ribellava a quella decisione che gli pareva assolutamente stupida.

La raminga balzò giù dal ramo, respirando profondamente e socchiudendo gli occhi, sofferente.

Aveva preso la sua decisione.

Si era messa contro Caspian.

Non avrebbe ritrattato, non si sarebbe arresa; Talia e Shaylee erano state a lungo tutto il suo mondo, ed erano, tuttora, due fra le poche persone per cui Siria avrebbe dato la vita senza esitazione.

Ma la rabbia sul volto di Caspian riuscì a farla tremare, le iridi blu che si riempivano di un terrore del tutto nuovo.

Non voleva scontrarsi con lui.

Non poteva.

Tutto il suo essere si ribellava a quella scelta, il suo cuore ed il suo animo lottavano per farla cedere, dinanzi al volto stravolto dalla paura e dall’esasperazione del suo principe.

Caspian lo vide; vide quell’appiglio, quella debolezza, vide l’angoscia dipingersi sul volto della donna che amava.

Non poteva permetterle di andarsene.

Era stanco di vederla rischiare la vita.

Era stanco di non poterla proteggere, era stanco di vederla ferita e di sapere che lui non era al suo fianco, che non era riuscito a salvarla, che…

La prese per le spalle, bruscamente, ignorando l’occhiata gelida che Aaron gli rivolse.

Tutta la sua attenzione, tutto il suo mondo, convergevano lì; lì, in quegli occhi spaventati del colore dell’oceano in tempesta.

-Tu non sei un’elfa! Shay e Talia possono sparire con un niente, ma tu? Se ti prendono? Che cosa faccio io se ti prendono? Hai una minima idea di quello che possono farti?- sbottò, per la prima volta ammettendo ad alta voce il sentimento che provava, la paura di perderla ancora che lo dilaniava da dentro, che marciva nel suo petto come un cancro.

Ma la vide sussultare, gli occhi che sgranavano, le braccia che salivano a proteggerle il ventre.

Fu Aaron, ad intervenire.

Fu Aaron, a scostare appena Caspian da lei.

-Ce l’ha. Anche troppo chiara.- gli disse soltanto, ammonendolo con un’occhiata tagliente di non tirare troppo la corda; il terrore quasi animalesco apparso nelle iridi della sorella era stato più che sufficiente, per spingerlo a proteggerla dai troppi incubi che ancora la tormentavano.

-Io non le lascio andare da sole.- furono le parole tremanti di Siria, gli occhi che nuovamente si alzavano sul volto di Caspian; angosciati, colpevoli, pieni di tutto ciò che avrebbe desiderato dirgli, ma decisi.

-E io non lascio andare te.- fu la replica determinata del principe, che per una volta ignorò Aaron e i suoi avvertimenti, avvicinandosi di nuovo a lei.

-So difendermi da sola.- ma Siria non pareva convinta nemmeno delle sue stesse parole, nemmeno della sua stessa spada.

Caspian rovesciò gli occhi al cielo, ormai disperato.

-E se ti succedesse qualcosa? Mi vuoi dire che cosa farei, io, se ti succedesse qualcosa?- le prese il volto fra le mani, avvicinandolo al proprio e mormorando quelle parole in un sussurro, gli occhi neri che si riempivano di paura.

Nonostante tutto, Siria sentì le guance accendersi, il cuore palpitarle nel petto.

Era la prima volta che Caspian le rivolgeva parole come quelle, parole che vibravano di un amore sempre più forte, di un amore che pareva contrario a restare nascosto lì, fra le sue labbra sottili.

-Non succederà nulla. Torneremo sane e salve.- tentò di rassicurarlo, le mani che tremarono quando le posò sulla gola del suo principe.

C’erano soltanto loro, in quel momento.

C’erano soltanto i loro occhi, persi in quelli dell’altro.

C’era soltanto la loro paura, ed un amore non detto che aleggiava nei loro respiri.

-Promettimelo.- le chiese soltanto, arrendendosi a se stesso e stringendola improvvisamente a sé, le dita che s’immergevano in quel mare scarlatto quasi con rabbia, tentando di trattenerla fra le sue braccia – tentando di trattenerla con sé, al sicuro.

-Torna da me.- e fu su quelle ultime parole che la voce del principe si ruppe, il viso nascosto fra i crini rossi della sua compagna; tremava, Siria, stringendosi a lui come se fosse l’ultima volta.

-Promesso.-

-

-

-Lo sai che devo andare.- Talia tentò di respirare, di calmare il battito forsennato del suo cuore; il richiamo della foresta gridava, in lei, implorava disperatamente l’aiuto dell’unica che sapesse ascoltare, la scongiurava di muoversi e di salvare quella figlia in pericolo.

Sentiva gli alberi sussurrarle le loro preghiere, sentiva la terra pulsare sotto i suoi piedi direttamente nel suo corpo, scuotendola di terrore.

Quell’ansia si rifletteva in lei, quella paura si rifletteva nei suoi occhi più cupi e lontani che mai.

Ma c’era ancora qualcosa, a trattenerla.

C’era ancora qualcuno.

Gli occhi azzurri di Caleb si socchiusero appena, sofferenti; per la prima volta, non distinse quella scintilla allegra e maliziosa in quegli sprazzi di cielo, scuri come non mai.

-So che senti di doverlo fare.- la corresse, piano, i muscoli del collo tesi fino all’inverosimile.

Conosceva Talia, conosceva l’affinità che provava nei confronti della foresta e delle sue creature; sapeva che niente l’avrebbe fermata, ma non riusciva a non sentire il cuore che scalpitava disperato, terrorizzato.

A poco serviva ricordarsi che Talia era forte, che Talia era veloce.

A poco serviva ripetersi che non l’aveva mai vista ferita, che nessun essere umano era riuscito a sconfiggerla.

A poco serviva, perché la nube di terrore e paura che aveva riempito i suoi polmoni lo intossicava, lo rendeva incerto persino delle sicurezze che aveva sempre avuto.

-Cal…- la voce di Talia si addolcì, pronunciando il suo nome, implorante. Ma il biondo dovette distogliere lo sguardo, perché a quegli occhi non poteva resistere, a quegli occhi non poteva negare niente.

-Se devo fingere di non essere preoccupato, dimmelo prima. Almeno mi preparo.- mormorò, la voce arrochita dalla paura, distante.

E Talia abbassò il capo, sconfitta, chiudendo gli occhi per non mostrare quanto il doversi allontanare da lui la terrorizzasse.

Non era pronta.

Non era pronta per allontanarsi da lui.

Non era pronta per affrontare quel viaggio, da sola.

…non era pronta, soprattutto, a dirgli addio.

-No, non devi.- mormorò soltanto, guardandolo ancora quando il biondo tornò a voltarsi verso di lei, avvicinandosi un poco.

-Mi dimentico sempre che tu sei anche più forte di me, sai?- le disse, un mezzo sorriso senza gioia che gli stirava le labbra. -Non riesco a non vederti così piccola, così fragile…-

-Caleb…- il giovane scosse la testa, zittendola.

-Vai. Io mi fido di te, mi fido di come la pensi tu.- quanto gli fosse costato, ammetterlo, soltanto Caleb lo sapeva; significava lasciarla andare, significava rischiare che le succedesse qualcosa, significava…significava fidarsi di lei.

La trasse a sé, abbracciandola con forza, chiudendo gli occhi nei suoi capelli nerissimi. -Ma ho paura lo stesso.- rivelò, a bassa voce; e la sentì sussultare, sorpresa da quelle parole che da lui, proprio non si sarebbe aspettata.

-Tu non hai mai paura di niente, Cal.- la voce di Tallie fremette, su quell’osservazione; non lo aveva mai visto spaventato, in nessuna occasione la paura aveva preso il sopravvento su Caleb…era sempre stato quello forte, Cal, era sempre stato quello più coraggioso fra loro.

-Adesso ho paura. Ho paura che ti succeda qualcosa, mentre sei lontana da me.- la sua sincerità era disarmante, e Talia dovette aggrapparsi alle sue spalle per non crollare, stringendosi forte al suo petto ampio e chiudendo gli occhi per un istante, sofferente.

-Andrà tutto bene.-

-Mi fido di te.-

-

-

-Non sei costretta ad andare.- Shaylee assottigliò lo sguardo, distogliendolo dalle amiche che una dopo l’altra si separavano dai loro compagni; era terribilmente doloroso vederle soffrire, vedere Caspian e Caleb in quello stato – dilaniati dalla paura e dal senso d’impotenza, dal terrore, dalla pessima impressione che quella potesse essere l’ultima volta che le stringevano a sé.

Aveva una pessima sensazione, Shaylee, nei confronti di quella spedizione.

Sapeva che sarebbe successo qualcosa, sapeva che qualcosa sarebbe andato storto; per quel motivo lei doveva esserci, perché non poteva lasciarle sole, perché non poteva nemmeno pensare di essere lontana dalle uniche vere amiche che avesse mai avuto.

-Sono una Naiade guerriera, è il mio compito aiutare e…- cominciò, ma le sue parole si persero quando Peter semplicemente la trasse a sé; la strinse al petto senza lasciarle possibilità di replica, cingendole la schiena esile con le braccia forti, abbassando le palpebre su quelle iridi azzurre e piene di un tumulto che lottava per sopraffarlo.

-Lo so.- le sussurrò soltanto, sentendola fremere, rilassarsi un poco nel suo abbraccio.

Avrebbe voluto tenerla fra le braccia per sempre, avrebbe voluto proteggerla per sempre.

Lasciarla andare, separarsi da lei, era quanto di più doloroso gli fosse mai capitato d’affrontare; ma doveva fidarsi di Siria, doveva fidarsi di Talia, perché l’affetto che aveva visto nei loro occhi avrebbe protetto la sua amata fino allo stremo.

Rimase in silenzio a lungo, semplicemente stringendola a sé, sentendola appoggiarsi a lui e posare le affusolate manine sulla sua schiena.

Non le sarebbe successo niente.

Non le sarebbe successo niente.

Sarebbe tornata sana e salva.

-Ti ricordi il pugnale che ti ho dato?- le chiese, dopo una manciata d’istanti, e la sentì annuire; il pugnale intarsiato brillò appena, assicurato alla vita della naiade da una cinta di pelle intrecciata.

Peter alzò il volto, aprendo gli occhi dopo quella che gli parve un’eternità; Shaylee sembrava così tranquilla, così sicura…per un istante, per un solo istante, quella calma parve infondersi anche a lui.

Prese fiato, senza scostare lo sguardo da quei pozzi dorati che lo guardavano decisi, splendenti, più belli e vividi che mai.

-Non avere paura di usarlo, se serve. E non usare la magia se non è indispensabile, non…ti metterebbe in pericolo.- mormorò, e riuscì persino a sorridere dell’espressione apparsa sul volto di Shay; un misto di dolcezza ed esasperazione, le dita sottili che salivano ad accarezzargli una guancia.

-Non sarò sola, Peter.- gli ricordò, la voce cristallina, il respiro fresco e dolce.

Ma Peter scosse la testa, alzando il viso e lasciando un bacio delicato sulla sua fronte.

-Non ci sarò io a proteggerti.-

-

-

I saluti erano fatti, i convenevoli erano terminati; un rapido controllo delle armi delle due mercenarie, e furono pronte per partire.

Aaron non disse niente, limitandosi a guardare la sorella avvolgersi in quel mantello nero, nero come la notte; la vide calcare il cappuccio sui capelli scarlatti, troppo vividi, troppo accesi per permetterle di sparire nell’ombra.

Non le disse nulla, Siria non si rivolse a lui; ma quando i loro sguardi s’incrociarono, tutto quanto passò fra i due fratelli, tutto ciò che ad alta voce non avevano mai ammesso.

Stai attenta.

Non ho paura.

Stai attenta lo stesso.

Non era mai riuscito a fermarla, mai.

Non era mai riuscito a proteggerla.

Siria portava il nome degli Erranti per un motivo ben preciso, un motivo che era diventato sinonimo stesso della sua essenza; non era capace di restare nello stesso luogo troppo a lungo, non era capace di fermare il suo pellegrinaggio alla ricerca di se stessa.

La conosceva, si fidava di lei, sapeva che Talia gliel’avrebbe riportata a casa sana e salva; e le sorrise, dandole sicurezza, un sorriso caldo e pieno d’affetto che riuscì a scaldarla dentro.

Aaron si fidava di lei.

Si fidava di lei; e per Siria, era tutto ciò che c’era d’importante al mondo.

-Siria.- la sorprese, la voce di Peter; si voltò a guardare il biondo, fermandosi un istante prima di arrampicarsi su di un albero, perplessa.

Peter sembrava combattuto, sembrava preda di un penoso conflitto interiore; ma per una volta, Sir non riuscì a scorgere altro che preoccupazione nelle iridi azzurre del Re Supremo di Narnia.

-Te la riporterò indietro sana e salva.- disse soltanto, rivolgendogli un buffo sorriso incerto prima di balzare fra i rami, agile quanto Tallie.

-

-

Peter guardò Shaylee svanire nel torrente, Siria e Talia confondersi in un istante nel folto cupo e minaccioso delle fronde della foresta.

Sapeva che le due mercenarie erano guerriere formidabili, che insieme erano un’accoppiata quasi invincibile; e sapeva che entrambe avrebbero fatto di tutto, per proteggere l’amica a cui tanto erano legate.

Ma scorgendo con la coda dell’occhio l’espressione angosciata di Caspian e di Caleb, probabilmente riflessi di ciò che vigeva sul suo volto, non riuscì ad evitare la morsa che attanagliò con troppa facilità il suo stomaco, dandogli la nausea.

Qualcosa sarebbe andato storto.

Sospirò, senza capire appieno a cosa fosse dovuta tanta preoccupazione.

Shay era al sicuro, se si fosse trovata in pericolo sarebbe semplicemente scomparsa, diventando acqua di fiume – lui stesso l’aveva vista colpita da una pesante ascia d’acciaio, una volta mutata nella sua forma originaria, e non le aveva provocato un graffio.

Tallie era rapidissima; non era un eufemismo la sua sicurezza di poter schivare le frecce nemiche, Peter l’aveva vista evitare una ad una persino le armi di Susan, più frustrata che mai per tutti quei colpi a vuoto. Era una mezzelfa, era più forte delle altre due, era un’arciera abilissima: era al sicuro, quanto e forse più di Shaylee.

Sospirò di nuovo, quando incrociando lo sguardo disperato di Caspian lo stesso pensiero passò tanto nella sua mente quanto in quella del principe.

Alzò gli occhi verso il nero della foresta, il rosso dei capelli di Siria ancora impresso sulla retina.

Non poteva più sentirlo, ne era certo. Quel sussurro lo avrebbe udito soltanto lui ed infine, forse, sarebbe stata la scelta più giusta.

-Vedi di tornare anche tu, sana e salva.-

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My Space:

....sì, non ditemelo.

Sono in ritardo, in un ritardo mostruoso: più di un mese.

Però mi faccio un pò perdonare, con questo capitolo?

Sono 29 pagine, preludio del ritorno ad un genere che negli ultimi cinque/sei capitoli m'è mancato terribilmente. Aspettatevi bagni di sangue, insomma xD

Ho messo in pratica il sistema di risposta alle recensioni; spero di aver risposto a tutti quanti, così come spero che non vogliate linciarmi per questo ritardo immenso ^^''

Ho avuto un periodo un pò incasinato. Un pò tanto incasinato.

Ma ora, eccomi qua xD

Giustissimi CREDITS vanno alla Fla, che ha scritto la parte di Aaron e Susan; io ho aggiunto solo qualche descrizione qui e là :)

Consolatevi, da qui in poi è tutta discesa; è quasi tutto scritto xD

Love you all, B <3

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Capitolo 26
*** New way to bleed. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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New way to bleed - Evanescence

Il rombo cupo del fiume le accolse nel buio della notte, facendo rabbrividire la pelle chiara di Siria.

I suoi occhi, fendettero facilmente l’oscurità, distinguendo la spuma bianca dell’acqua riverberare appena, le rocce luccicare di onde che violentemente vi s’abbattevano in continuazione, inarrestabili.

Non era una bella situazione.

Il ponte dei telmarini era più a valle, dove il fiume si allargava e si chetava; ma lì, più vicine alla fonte e ai monti che discendevano lentamente verso la pianura, modellandosi in colline ondulate prima di gettarsi nelle praterie, il grande fiume era stretto e impetuoso, impossibile da valicare.

O almeno, impossibile per chi non potesse contare sull’aiuto di una Naiade.

Siria si guardò intorno a lungo, mentre Talia sfrecciava intorno a lei in un confuso contorno quasi impossibile da definire, il volto sfocato ed ansioso. Era agitata, la sua amica; per la prima volta da tanto tempo, Siria si sentiva la più pacata, la più attenta e prudente, fra le due.

Non aveva una bella sensazione.

Era rimasta zitta, diverse ore prima, quando Caspian si era infuriato con lei e con Talia; ma il suo cuore aveva ruggito l’approvazione alle parole del principe, e il suo istinto non poteva che concordare con lui.

Talia forse non poteva vederlo, ma erano in un pericolo più grande di quanto potesse immaginare.

Dalla sponda lontana del fiume, fino ai confini del mare e delle montagne, si stendeva incontrastato il dominio che Telmar aveva imposto su Narnia; a Siria parve ironico, dopotutto, ritrovarsi a voler penetrare la terra telmarina soltanto in tre.

Talia balzò a terra prima di lei, impaziente, agitata, stravolta; il dolore che pulsava fra i suoi pensieri era quello di una creatura sofferente, torturata, atterrita… non riusciva a restare calma, a pensare razionalmente a quello che stava facendo, all’impresa in cui aveva trascinato le due compagne.

Sapeva che Siria non era entusiasta della sua decisione, che l’aveva appoggiata soltanto perché non le avrebbe mai permesso di andare da sola; sapeva che Shaylee si era unita a loro per proteggerle, per impedire che ancora una volta rischiassero la vita, perché fra le tre era sicuramente la più coscienziosa.

Sapeva che stavano per mettersi nei guai, in guai enormi e pericolosi; ma non poteva ignorare quel grido straziante, quella disperata richiesta d’aiuto che echeggiava ancora nel suo petto.

Shaylee?, chiamò, il pensiero basso e concitato che echeggiava nelle acque impetuose del fiume.

Parlare era inutile; la comunione dei loro pensieri doveva essere totale, in quel momento, per permettere a tutt’e tre di difendersi a vicenda e di proteggere le altre.

Sfiorate l’acqua. Basterà questo.

La voce di Shaylee le raggiunse da lontano, eterea e vellutata come una carezza.

Talia e Siria si scambiarono uno sguardo perplesso, poco convinto; il fiume pareva più torbido ed impetuoso che mai, una tempesta di flutti e correnti capaci di trascinare chiunque nella sua furia…

La rossa raggiunse l’amica sul greto dell’acqua, il mantello calcato sui capelli scarlatti a velare quel colore capace d’illuminare la notte.

Sei sicura di poterlo fare?

Siria poté quasi distinguere il sorriso di Shaylee schiudersi fra i suoi pensieri, a quella domanda esitante e decisamente poco convinta.

Fidati.

E Siria si lasciò semplicemente sfuggire un sospiro, serrando gli occhi quando avvertì il freddo delle spire d’acqua che sfioravano la sua pelle e la trascinavano a sé.

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Talia scosse la testa, cercando di riordinare i pensieri che le correnti del fiume parevano aver gettato nel caos più assurdo.

Shaylee le aveva portate con sé, sfiorandole e facendo sì che il fiume le accettasse così come accettava la sua presenza.

Siria non pareva molto contenta di quella scelta, osservò; la sua amica stava nervosamente sfregando le dita ghiacciate sulla pelle chiara, dove ancora avvertiva la consistenza dell’acqua al posto della carne.

Shaylee la osservava divertita, non riuscendo a trattenere un sorriso nel vedere la raminga così palesemente a disagio; Siria non amava la magia, né tantomeno la sensazione di ritrovarsi ad essere acqua.

L’unica cosa di cui Talia era certa era il luogo in cui si trovavano, la terra che vibrava di rabbia sotto i loro piedi; erano appena entrate nel territorio di Telmar.

Non è stato per nulla piacevole, no. il brontolio di Siria riuscì a strapparle un sorriso, in quel momento terribilmente fuori posto sul suo volto contratto; vide Shaylee alzare lo sguardo al cielo, esasperata, precedendo le due amiche verso il fitto della foresta che subito si ergeva appena abbandonato il greto del fiume.

Lo so, Sir, ma era il modo più sicuro per farvi attraversare. le ricordò, paziente, mentre entrambe la raggiungevano e si fermavano nel punto in cui gli alberi chiudevano la vista del cielo.

Fu con una fitta di preoccupazione che alzarono un’ultima volta lo sguardo alla volta stellata, alle costellazioni tanto familiari che tutt’e tre conoscevano alla perfezione; non sapevano quando le fronde si sarebbero schiuse ancora, permettendo loro, di nuovo, la vista delle stelle.

Da che parte dobbiamo andare?, fu la domanda di Siria, la prima a riportare lo sguardo sulla foresta cupa e minacciosa che le attendeva; concreta, fredda, la fida spada ben stretta nel pugno sinistro.

Istintivamente s’avvicinò un poco a Shaylee, quando Talia con un semplice balzo sparì fra i robusti rami carichi di foglie; la ninfa le sembrava pericolosamente fuori posto in quel luogo… e assolutamente, dannatamente in pericolo.

La risposta di Talia le raggiunse dopo un istante, proveniente da un qualche anfratto buio, dove i suoi occhi castani brillavano di una luce non del tutto naturale.

Sudovest. È poco lontano.

.

.

Le aveva distanziate in fretta.

Gli alberi si muovevano sfocati ed indefiniti nella fitta oscurità che la circondava, i rami che vibravano appena sotto il tocco dei suoi calzari delicati. Non una foglia s’agitava al suo rapido passaggio, non uno degli abitanti del bosco si ribellava al tocco esperto e lieve delle piccole mani della mezzelfa.

La foresta la guidava attraverso i suoi invisibili sentieri, mostrandole la via che l’avrebbe condotta dalla driade in pericolo.

Era a casa.

Là, rapida come una freccia, la mezzosangue finalmente si sentiva a casa.

In quelle foreste c’era il suo mondo, la sua vera natura; il suo sangue di elfa cantava le lodi dei tempi perduti, di quando la sua razza – la razza a cui sentiva di appartenere, nonostante l’avessero rinnegata secoli orsono – danzava libera fra le fronde cariche di frutti, e i loro sorrisi illuminavano la foresta quasi a giorno.

La foresta che la stava chiamando a sé, risvegliando in lei un sentimento atavico e quasi del tutto perduto.

La foresta che le stava chiedendo aiuto, madre di ogni creatura che implorava la salvezza di una delle sue figlie; e Talia mai avrebbe rinunciato a quell’eco straziante e meraviglioso che ridondava nel suo petto, voce lontana della terra che supplicava il suo aiuto.

Improvvisamente, seppe di essere arrivata.

La scia che gli alberi avevano schiuso per lei s’interruppe bruscamente, tanto da costringerla a piantare entrambi i piedi su un ramo per balzare immediatamente su quello opposto, spinta dallo slancio della frenata.

I suoi caldi occhi color nocciola si posarono in basso, verso le radici di una grande quercia che pareva chiudersi su se stessa, sofferente; le sue iridi erano più allenate di quelle di un essere umano e, rapidamente, l’oscurità si dipanò dalla direzione del suo sguardo.

Balzò a terra quasi immediatamente, Talia, quando riuscì a distinguere una creatura completamente diversa dagli umani abbandonata contro la corteccia ruvida e antica di quell’albero.

La driade.

Le driadi erano creature molto diverse fra loro; Talia ricordava di essere cresciuta fra quelle creature, di aver giocato e riso con i petali di fiori che davano la forma ad alcune di loro… mentre altre driadi l’avevano sempre affascinata, incantata, per la loro bellezza eterea ed immortale che faceva impallidire persino il fiore più bello.

Ed era esattamente una di loro la creatura agonizzante ai piedi della quercia.

Era… era esattamente come le ricordava.

Era bellissima.

Là, riversa sul legno vivo e palpitante di quelle radici materne, la driade respirava piano, il seno minuto che si alzava irregolarmente velato appena da una tunica di foglie dorate.

La pelle verdastra era più pallida del bel colore che vivido Tallie conservava nella sua memoria; il collo esile fremeva, le orecchie a punta erano afflosciate, i capelli scuri e segosi si stendevano come una cupa macchia di sangue intorno al suo volto levigato.

Aiutami… ti prego il mugolio di dolore della driade la raggiunse con la violenza di una pugnalata, facendola sussultare.

La sua voce risuonava limpida e forte nel suo cuore, come mai un pensiero aveva echeggiato dentro di lei…

Siamo qui per aiutarti, non agitarti, andrà tutto bene.

Talia si lasciò cadere in ginocchio accanto alla driade morente, le orecchie piene soltanto del battito disperato del proprio cuore e di quello della creatura fra le sue braccia esili.

La driade scosse debolmente la testa, il petto pallido e verdastro che suppurava un sangue terribilmente simile alla linfa vitale degli alberi.

Era stata ferita a morte…

Nel buio della foresta, gli occhi allenati di Talia riuscirono a distinguere sulla pelle della creatura una lunga ferita verticale, profonda, che squarciava il torace esile della driade da parte a parte.

Shaylee! chiamò, angosciata, voltandosi verso l’oscurità tremenda che la circondava; non sentiva i passi delle due amiche, non sentiva nulla che non fosse la vita che lentamente scorreva via dal corpo della driade morente…

Le dita sussultanti della creatura si serrarono sul suo braccio, attirando nuovamente il suo sguardo atterrito su di sé.

Era bellissima anche in quel momento, sull’orlo della morte; gli occhi verdissimi immensi come prati allagati dall’orrore, i capelli scomposti che si mischiavano ad una macchia di sottobosco.

Dovete… dovete andarvene… ci sono uomini… in grado di sconfiggere la magia il sussurro della driade fu incomprensibile, per Talia; tutto ciò che vide fu la vita scivolare via da quelle iridi lontane, quelle iridi stupefacenti e bellissime che appartenevano ad un mondo che le era stato precluso per l’eternità.

Il mondo delle creature della Foresta.

Il mondo delle figlie della Madre Terra.

Rimase immobile, senza comprendere, senza capire, senza voler accettare che il corpo della driade fra le sue braccia si fosse improvvisamente abbandonato contro di lei; guardò le palpebre velare per sempre gli occhi verdi di quella creatura, sentendo il suo cuore fremere e spegnersi, abbandonando il suo percorso tanto faticoso.

Rimase immobile, scioccata, senza riuscire a reagire dinanzi a quella visione terribile che proprio non si aspettava; dentro di lei qualcosa si era spento insieme alla driade, qualcosa si era staccato e pareva non volersi più accendere…

Furono il sibilo conosciuto di una lama, la corda tesa di una balestra, a risvegliarla.

Una mano calda e minuta si posò sulla sua spalla, allontanandola con delicatezza dal corpo senza vita della creatura; era successo così in fretta…

E poi, la voce di Siria.

Ha ragione. C’è qualcuno.

Nello stesso istante in cui il pensiero cauto e all’erta della raminga risuonò nella sua mente, un fuoco immenso arse ad anello intorno alla quercia ai cui piedi giaceva la driade spirata.

Per un istante, Talia non riuscì a vedere altro che quella luce accecante; un lampo rosso si parò davanti a lei, a Shaylee che le cingeva le spalle; una spada lunga ed affilata stretta nel pugno, un corpo scattante pronto alla battaglia.

E poi… un secondo, un respiro, e i suoi occhi tornarono a funzionare.

Il cuore mancò un battito, quando riuscì a mettere a fuoco ciò che le aveva improvvisamente circondate – senza nemmeno un suono, senza che nessuna delle tre riuscisse ad accorgersene in tempo.

Erano in trappola.

Una decina di uomini emergeva dal buio fitto della foresta, i sadici sorrisi illuminati grottescamente dal fuoco di altrettante fiaccole che stringevano fra le mani rozze; ma erano fiaccole innaturali, torce di metallo che davano vita a fiamme smeraldine, guizzanti… stregate.

Riconobbe sulle loro armature i fregi di Telmar, le lame corte e spesse delle spade dei soldati.

Erano finite in un agguato.

Shaylee!

Il primo pensiero di Talia andò all’amica naiade; Shaylee era al suo fianco, gli occhi dorati pieni di quella luce verdastra, malata, i denti serrati e l’angoscia dipinta in ognuno dei suoi tratti eleganti.

-Scappa.-

Siria era in piedi di fronte a loro, la balestra nella mano destra e Kain nella sinistra; Tallie riuscì solo a vedere il cappuccio cadere, rivelando la cascata di capelli rossi che strappò un ghigno ad uno dei soldati – che, lenti ma inesorabili, si stavano avvicinando a loro.

Non riesco a usare la magia!

Il grido angosciato di Shaylee distrasse tanto Siria quanto Talia; ed il loro errore più grande fu quello di voltarsi a guardarla, allibite, distogliendo fatalmente l’attenzione dai loro aggressori.

-Attenta!- fu la naiade a vedere il primo colpo abbassarsi violentemente verso Siria; la raminga balzò di lato, schivando per un pelo il fendente e frapponendo la propria lama appena in tempo per evitare che colpisse Shay.

Talia balzò in piedi, l’arco già stretto in pugno; ma il corpo senza vita della driade era ancora alle sue spalle, non riusciva a fermare le mani che tremavano con violenza al ricordo…

-Shaylee, il pugnale!- la voce sferzante di Siria fu una secchiata d’acqua gelida; Tallie incoccò l'arco nello stesso attimo in cui vide la raminga parare un attacco multiplo, messa all’angolo da tre soldati contemporaneamente.

Ma non vide, non riuscì a vedere, la freccia che dal nulla appariva immersa nel suo braccio sinistro.

-Talia!-

Il dolore raggiunse la sua mente con una facilità estrema, ancor più rapido dei suoi impossibili volteggi fra i rami; era assurdo, tutta quella situazione era assurda, poteva essere soltanto un incubo…

Mi ha colpita! Uno stupido umano mi ha colpita! sbottò, incredula, gli occhi che faticavano a focalizzare la freccia piantata in profondità nel suo avambraccio.

Il fraseggiare delle lame era lontano, quasi inudibile; tutto, nella sua mente, si condensava nel dolore pungente che le lacerava le carni, nel sangue scuro – umano – che colava lento e denso sulla sua pelle olivastra…

E sulla driade, la driade uccisa senza che lei potesse salvarla.

Siria fu un lampo rosso nei suoi occhi, quando si frappose fra Shay e una lama che minacciava di ucciderla; doveva reagire, doveva aiutare la sua amica, Siria non ce l’avrebbe mai fatta da sola…

-Fallo fuori, dannazione!- ruggì la rossa, tentando di scuoterla dallo shock che pareva averla completamente sconvolta; gli occhi della sua amica erano laghi di terrore e di confusione che non aveva mai visto prima, che la spaventavano, che minavano alle radici una delle sue sicurezze più grandi…

-SIR ATTENTA!- Siria poté soltanto udire la voce di Shaylee urlare quell’avvertimento, prima che qualcosa di enorme e pesante le piombasse addosso, colpendola alla schiena.

E, inaspettatamente… urlò.

Tanto Talia quanto Shay si bloccarono di scatto, quando videro i capelli rossi macchiarsi del marrone del terreno, il viso bianco sporcarsi di fango.

Siria provò a rialzarsi, gli occhi serrati, le guance rigate dalla frustrazione… ma un secondo calcio in piena schiena la colpì nuovamente, strappandole un secondo grido straziante, il grido di un animale ferito a morte.

-Sir!- Talia fece per fiondarsi verso l’amica, ma una spada sibilante, non vista, calò come una mannaia direttamente verso la sua gola.

NO!

Un ruggito nella mente della mezz’elfa, una massa d’aria più concreta e bollente intorno a lei e il tragitto della lama venne deviato, crollando con una forza devastante, di piatto, sulla sua tempia.

Shaylee nascose un gemito, quando vide Talia accasciarsi a terra, senza un suono. I suoi occhi sfrecciarono verso Siria, semincosciente, che brutalmente veniva sollevata da terra e strattonata; la guardò quando venne scaraventata contro il tronco d’albero più vicino, e nascose un urlo, quando vide più di un pugno affondare nel suo ventre.

Stanne fuori.

La voce ansimante della rossa risuonò nella sua mente, più affaticata di quanto sembrasse. Era sull’orlo di perdere i sensi, di crollare, ma aveva racimolato le ultime energie per ingiungerle di tenersi fuori dai guai.

Non chiedermelo!

Vai… via. Vai da Caspian, vai da Peter… loro

I pensieri di Siria si offuscarono di botto, quando gli occhi della rossa si chiusero ed il suo corpo scivolò lentamente lungo il tronco di quell’albero anonimo.

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Un conato di vomito, il sapore metallico del sangue che le sporcava le labbra.

Siria si svegliò nello stesso momento in cui l’uomo affondò l’ennesimo calcio nel suo stomaco già livido, costringendola a svegliarsi con un violento ascesso di tosse che la piegò in due dal dolore, la nausea che le riempiva gli occhi, repentinamente spalancati, di lacrime.

-Sveglia, mercenaria.- la prima sensazione coerente che il suo corpo le restituì fu il dolore.

Avvertiva ogni centimetro della propria pelle chiazzato di lividi, di ferite più o meno profonde; le ossa parevano incrinate, le costole lanciavano stridule grida di sofferenza, le gambe erano intorpidite e parevano non risponderle del tutto.

I polsi.

I polsi erano serrati in una morsa metallica che li martoriava, che ad ogni pulsazione nelle vene si stringevano ancora di più.

I polsi.

-Ho detto svegliati!-

Un altro calcio.

La rossa si ritrovò rivolta verso il cielo plumbeo e scuro della notte, senza riuscire a vedere altro che rosse stelle di sangue esplodere nei suoi occhi.

Non riusciva a raccapezzarsi, a rimettere insieme i pensieri…

Dolore.

Quella sofferenza si stava insinuando in ogni meandro della sua mente, permeandola, intossicandola, rendendola incapace di far altro che agonizzare e tossire, tossire e sentire il sangue macchiarle la bocca.

No, no! Resta lucida! Resta lucida, Siria!

Era la sua stessa voce che la incitava a non mollare, oppure era Talia, o Shaylee? Non riusciva più a distinguere nulla, in quell’oceano d’agonia in cui stava annegando…

Siria!

Doveva riprendere il controllo su di sé, doveva vincere quel dolore. Non poteva lasciarsi massacrare così, non poteva permettere a quell’uomo sconosciuto di prenderla a calci senza nemmeno vedere l’odio riflesso nei suoi occhi…

Odio.

Per un istante, fu più forte di tutto il resto.

Lo sentì infrangersi sugli argini sempre più deboli del suo autocontrollo, minati alla base da quella tortura che non accennava a lasciarle un attimo di respiro.

Era sul punto d’abbandonarvisi… sarebbe stato più facile, sarebbe stato semplice come riempire d’aria i polmoni.

SIRIA!

Fu uno sforzo immenso, riaprire gli occhi.

Fu un decidere la via più impervia, più dolorosa, spalancare finalmente le palpebre e respirare a fondo l’aria fresca della notte di Narnia, sentendola sfiorare la carne viva esposta alla luce da troppi colpi inferti con cattiveria.

E la prima immagine che Siria mise a fuoco, fu il volto stesso del suo aguzzino.

-Angus…- tentò di soffocare un gemito, le ginocchia che involontariamente si piegavano verso il petto, tentando di arginare le ondate di dolore che la stravolgevano di conati, di fremiti.

Il sangue era ovunque… le riempiva i polmoni, la bocca, le rendeva difficile persino respirare…

-Vedo che ti ricordi di me.- distinse il ghigno dell’assassino di Miraz, stagliato sul buio cielo senza stelle, distorcersi in una smorfia sadica e soddisfatta che prometteva soltanto altra sofferenza.

Angus.

Era quell’uomo che lei odiava con tutta se stessa, l’uomo che aveva dato ad Aaron il compito di riportare Caspian al castello… pareva passata un’eternità dall’ultima volta in cui l’aveva scorto.

In quei pochi mesi erano successe così tante cose, era così cambiata, che il volto di quell’uomo era scivolato in quella fitta foschia in cui aveva riposto ogni ricordo malsano…

Una mano rozza e violenta si serrò fra i suoi capelli, strattonandole bruscamente la testa. Un alito fetido le inondò il volto, intensificando la nausea che la sconvolgeva, i freddi occhi neri dell’assassino a pochi centimetri dai suoi.

-Miraz sarà molto felice di vederti, raminga. Sai, gli è rimasta una cicatrice sulla guancia, grazie a te.- il sussurro soddisfatto e malsano dell’uomo fu solo in grado di farla sentire peggio, lo stomaco che si contraeva terribilmente e minacciava di collassare.

Siria chinò appena il capo, fingendo un’arrendevolezza che – lo sapeva – avrebbe scatenato la soddisfazione perversa di Angus Flynch. Quell’uomo era un pazzo, Miraz se ne serviva per tutto ciò che un Re non avrebbe mai neanche dovuto pensare… i compiti più sporchi, più brutali, portavano tutti la firma di quell’uomo.

Era un maestro della tortura … ma lei non avrebbe ceduto, non gli avrebbe permesso di distruggerla.

E fu un gesto fulmineo, denso di tutta la violenza a cui il dolore aveva rapidamente dato vita, a far scattare la testa rossa di Siria e a sferrare una testata contro il volto ghignante del soldato, sentendo chiaramente il crack del naso spezzato di netto.

-Maledetta!- Siria ebbe solo il tempo di sentirlo abbaiare quell’imprecazione, prima che uno schiaffone in pieno viso non la costringesse a rovinare nuovamente a terra, il mondo che girava vorticosamente intorno a lei prima di spegnersi, trascinandola di nuovo nel buio.

.

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-Non dire niente. Non ti muovere, tieni un profilo non basso, di più.- le istruzioni lapidarie di Talia sibilarono quasi inudibili all’orecchio di una Shaylee sconvolta, inorridita, i polsi serrati in catene che non le permettevano nemmeno di muovere le dita.

Talia stava armeggiando con le manette metalliche che la intrappolavano, senza successo; erano stati furbi, avevano riconosciuto la sua razza e la forza proverbiale che possedeva… e quelle maledette manette non parevano volersi spezzare, nonostante la mezzelfa tentasse di usare tutta la forza che le era rimasta. Non poteva muoversi, non poteva camminare; tanto i polsi quanto le caviglie erano serrate in quel metallo scuro, indistruttibile.

Aveva un occhio gonfio, tanto nero e livido da non riuscire più ad aprirlo; il labbro inferiore era tumefatto, spaccato, e sanguinava da una ferita non troppo profonda che aveva lacerato il suo corpetto a livello del ventre. Niente di grave, per fortuna; un paio d’ore e si sarebbe rimessa in piedi, guarita dal suo stesso sangue impuro.

Ma Siria… Siria non era un’elfa, Siria non avrebbe sopportato ancora a lungo.

Flynch pareva averci preso gusto a massacrarla; Siria aveva di nuovo perso i sensi, ma a lui pareva non importare, continuava a riempirla di calci…

Devo fare qualcosa.

La sua amica era là, più indifesa e fragile di quanto non fosse mai stata…

Qualsiasi cosa.

Era colpa sua.

Era solo colpa sua se si trovavano in trappola.

Era colpa sua se Siria si trovava fra le mani di quel pazzo sadico…

Se solo quelle maledette manette si fossero spezzate, avrebbe potuto intervenire, Shaylee poteva sparire in uno schiocco e, se lei fosse riuscita a trarre in salvo Siria, forse…

Talia, sei ferita. Stai calma.

L’elfa sgranò gli occhi, quando una voce remota e sottile echeggiò flebilmente fra i suoi pensieri.

Sir!

Quel che ne rimane. Ascoltatemi bene: non fate niente. Shay, hai addosso dei legacci che ho già visto una volta; bloccano la magia.

La voce di Siria era lontana, poco più di un refolo di vento. Evidentemente il suo corpo era incosciente, ma la sua mente era abbastanza temprata da poter sopportare, da poter comunicare con loro.

Tallie, quelle manette non puoi spezzarle. Fermano anche te.

Talia si morse le labbra, per evitare di lasciarsi sfuggire una sonora imprecazione.

Dovete stare tranquille. È me che odia, non vi farà nulla.

E quella frase, quella frase era composta dalle parole di un morto che ancora vive per dispetto.

Siria sapeva bene che Angus se la sarebbe presa solo con lei; la odiava da una vita intera, dalla prima volta che aveva consegnato un prigioniero vivo ed illeso ai soldati di Miraz.

L’aveva guardata con occhio porcino, lascivo, predatorio; ma fra le mire di quel discutibile soldato e l’algida mercenaria c’era sempre stata la protezione ben più che sufficiente di Aaron e di Caleb, senza contare l’indubbia abilità con cui Siria era in grado di difendersi. Aveva desiderato di averla per sé, di possederla, di vincere lo sguardo freddo e insolente di quella ragazzina… ma Aaron l’aveva sempre tenuta lontana da lui, trattando di persona per i loro incarichi.

Ma ora, ora Aaron non c’era.

Per un istante, un dolore molto diverso trapassò il cuore di Siria, una lacrima silenziosa che le rigava le guance livide.

Aaron.

Avrebbe tanto desiderato vederlo apparire, sentirlo vicino… la sua sicurezza, la sua famiglia, suo fratello non l’avrebbe mai abbandonata, sarebbe stato in grado di salvarla…

Aaron non sapeva niente.

Peter non sapeva niente.

Caspian non sapeva niente.

Erano sole.

Quella gelida consapevolezza la investì con la violenza di una secchiata d’acqua fredda, facendola sussultare appena, sentendo il corpo contrarsi violentemente sotto i colpi brutali di Flynch.

Ma improvvisamente, senza un motivo logico, la tortura cessò.

-Angus, piantala. Ci servono vive, così l’ammazzi.-

Mai come in quel momento Siria si ritrovò ad essere grata a Miraz, all’ordine di portarle a palazzo vive che aveva provvidenzialmente interrotto quel massacro di cui era la sola vittima.

Si ritrovò a tossire, la rossa, a tossire sangue che macchiava di rosso le sue labbra livide e tumefatte.

Era finita.

Il sollievo riuscì persino a far breccia nella densa cappa di dolore che l’aveva avvolta nelle sue spire, come un crudele serpente che lentamente stritolava ogni suo singolo osso.

Per ora.

Tentò di respirare, i polmoni che in un primo momento non rispondevano alla sua disperata ricerca d’aria, di ossigeno.

-Alzati.- con quale crudele divertimento le intimavano di alzarsi in piedi, quando Angus le aveva probabilmente rotto tutte le ossa?

-È distrutta, dalle un attimo di respiro.- la voce di Shaylee la raggiunse come un boccata d’aria fredda in mezzo ad un inferno di fumo e di fiamme. Si costrinse a schiudere appena gli occhi, più incosciente che sveglia, il bruciore delle ferite sul viso che la tormentava terribilmente.

-Rimettila in piedi bellezza, perché se muore adesso sarà la sua testa ad arrivare da Miraz insieme a voi due.-

Vide una figura sfocata vestita di bianco accostarsi a lei, due mani delicate posarsi sulle sue spalle. Non aveva fiato per dirglielo, ma persino in quel punto provava un dolore tale che, se avesse potuto, l’avrebbe costretta a urlare.

I polsi di Shaylee erano stati intrappolati sul ventre, non dietro la schiena… probabilmente non la consideravano un pericolo. Conoscevano lei e Talia di fama, ma della Naiade non sapevano niente; sarebbe stata una mossa incauta, ma le manette incantate che intrappolavano tutt’e tre erano in grado di assorbire la magia…

-Siria… Sir, non posso curarti con la magia, lo sai vero?- le sussurrò, pianissimo.

La rossa annuì appena, lottando per riuscire a pronunciare qualcosa di più di un violento accesso di tosse.

-Lo so.- riuscì a mormorare, esausta, sentendo la terra sporcare le lacerazioni sul ventre e sulle braccia.

Se anche Shay avesse potuto usare la magia, Siria non gliel’avrebbe permesso; le avrebbero sicuramente fatto del male, se si fosse mostrata per la creatura di Narnia che era.

E Siria non poteva permetterlo, non poteva nemmeno pensare di lasciare che toccassero la sua amica.

Shay era… Shay era troppo fragile, troppo dolce, troppo Shaylee, perché la sua mente potesse anche solo accettare l’idea che le venisse torto anche un solo capello.

Era una delle poche persone per cui Siria avrebbe dato la vita.

-Talia è ferita, ma si sta già rimettendo in sesto.- le sussurrò la ninfa, concitata, alzando gli occhi verso gli assassini che stavano recuperando i propri cavalli da bui anfratti degli alberi.

Gli occhi lucidi di Siria si posarono sul suo viso, quando Shaylee scostò furtivamente la stoffa lacera del corpetto e premette le piccole mani sulle sue ferite. Non sussultò; forse non ne aveva più la forza.

-Mi sono macchiata le mani col suo sangue… non è molto, ma…- Siria la zittì con un debole cenno del capo, quando avvertì immediatamente il sangue di Talia entrare in circolo nel suo corpo.

Sentì le ferite minori sfrigolare e chiudersi, il dolore terribile al ventre e allo stomaco diminuire un poco. Lentamente, riprese coscienza di sé e del proprio corpo, le gambe che riacquistavano un poco di sensibilità, la carne viva esposta al freddo della notte.

La vista si fece via via meno sfocata, la sua stessa mente tornò ad assumere una parvenza di lucidità; il sangue di Tallie ancora una volta la stava salvando, sebbene fosse troppo poco per sanare la maggior parte dei colpi che aveva ricevuto…

Fu in grado di trascinare se stessa in ginocchio, quando Shay ritrasse le mani e la sostenne appena, preoccupata.

Ora vedeva molto più chiaramente qualsiasi cosa; il sollievo sul volto della ninfa, Talia poco più in là, i lividi sul volto già giallastri e un sorriso un po’ spaventato ma familiare solo per lei. Vide le armi sue e della mezzelfa assicurate alla sella di un cavallo e, rapidamente, annotò il numero dei soldati; otto, escluso Angus.

-Ce la faccio.- mormorò, la voce roca ed impastata di sangue ma un poco più sicura. Era ancora terribilmente debole e le ferite non erano svanite per nulla; ma almeno, aveva la forza necessaria per alzarsi in piedi.

Fu una soddisfazione, dopotutto, vedere l’espressione distorta dall’odio che Flynch le rivolse, quando traballante si alzò sulle proprie gambe.

Vide i suoi occhi colmi d’ira spostarsi su Shaylee, sicuramente chiedendosi cosa la ninfa avesse fatto per aiutarla ad alzarsi.

-Cos’hai fatto, sgualdrina?- abbaiò, avvicinandosi con passo pesante e minaccioso alla naiade immobile, gli occhi dorati che non si abbassavano dinanzi a quell’uomo rude, malvagio.

Ma fu una massa di capelli rossi sporchi di terra a frapporsi fra lei e quell’animale, una voce gelida che sussurrava tre parole dense di una minaccia non troppo velata.

-Non osare toccarle.-

Tanto Talia quanto Shaylee rabbrividirono, nel sentire Siria rivolgersi a Flynch in quel modo; faceva accapponare la pelle il suo tono, la sua inflessione bassa ed arrochita dal sangue, la rabbia che ribolliva appena sotto la superficie di ghiaccio.

Fu talmente percepibile che persino Angus non avanzò d’un altro passo, le iridi blu della raminga che coraggiosamente si scontravano con le sue, inquietandolo per la gelida determinazione che vi vedeva divampare.

Non le avrebbe toccate.

Non gli avrebbe permesso di fare del male a Shaylee o a Talia.

Erano troppo importanti, erano troppo importanti per lei, perché potesse permettere che venissero… che le facessero…

Lo sguardo di Siria si fece se possibile ancora più glaciale, quando il pensiero di ciò che avrebbero potuto fare alle sue più care amiche si affacciò alla sua mente, riempiendola di orrore.

Le avrebbe protette, a qualsiasi costo.

Anche al prezzo di una vita; la sua.

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My Space:

Mh. Bah. Boh. Mah.

...si nota che non sono convinta da questo capitolo?

Cioè, non è che non mi piaccia; ma ha preso una piega che proprio non mi aspettavo, che non era nei piani... io l'ho detto, i miei personaggi fanno esattamente quello che gli pare!

Allora, considerazioni a random sul chap;

- Tallie si ritrova in stato di shock, quando la driade muore; questo perché sente chiaramente il richiamo della Foresta, del suo Elemento a cui vorrebbe essere più vicina. Talia è cresciuta lontana dalla comunione che gli elfi praticano con la madre Terra, è cresciuta preclusa da ciò che sente palpitare vivo e forte nella sua parte elfica; e la morte della driade la sconvolge come non credeva possibile, perché sente che il suo rapporto con la Terra è molto più profondo di quanto le sia stato permesso di vivere. Mi piace tanto Tallie in questo capitolo, mi piace perché si mostra sia nel suo lato umano - la paura, l'irrazionalità, la preoccupazione - sia nel suo lato elfico - la miriade di pensieri tutti in una volta, il senso di appartenenza alla foresta, la comunione con le creature della Terra. E' un personaggio poliedrico anche lei, e m'è piaciuto caratterizzarla in questo modo, ossì U.U

- Siria; ahi ahi ahi, io l'ho detto che iniziavano gli spargimenti di sangue... ovviamente, chi vado a pescare come vittima sacrificale della situazione? Ma il mio personaggio, ovviamente! Avanti, alzi la mano chi non se l'aspettava :D

Seriamente, dai; tempi duri attendono le nostre tre eroine...

...perché la vita non gli era già abbastanza complicata xD

*tatatatà, pubblicità!*

La Fla ha (FINALMENTE) deciso di pubblicare la sua prima long fic!!! Si tratta di "I'm your Angel", parla di come nacque la storia fra Angel e Will, sempre nella serie delle Wicked & Humorous Tales ^^

Seize The Day è stata aggiornata qualche tempo fa, non troppo direi, per chi non abbia ancora letto; presto arriva il nuovo capitolo, e arriverà anche l'aggiornamento di Seven Gods!!

Ho pubblicato due shot prettamente natalizie; "But you're too young to be Santa Claus!" e "When Santa Claus' called friends". Tema natalizio, come si nota xD

Ho finito con la pubblicità xD

Al prossimo capitolo!

Love you all, B <3

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Capitolo 27
*** Nightmare. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Nightmare – Avenged Sevenfold

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Galleggiava in un silenzio innaturale, la foresta luminosa e vivida intorno al suo corpo senza consistenza.

Gli alberi parevano immersi in una luce soffusa e dorata, le fronde che delicatamente si lasciavano accarezzare da una brezza che lui non riusciva ad avvertire sulla pelle.

C’era qualcosa di diverso, in quella Narnia.

Le foglie erano di un verde troppo acceso, carico, i frutti erano troppo belli per essere reali; erano succosi, i rami carichi pendevano verso il basso sotto il loro peso, i fiori che si aprivano radiosi in sua direzione.

Si guardò intorno, allibito, scorgendo l’erba alta muoversi al ritmo di una musica suadente che pareva risuonare dolcemente nella sua anima.

Vai avanti.

Qualcosa pareva volerlo spingere a muoversi in quel paesaggio troppo bello per essere reale, a calpestare quell’erba rigogliosa che danzava intorno alle sue gambe.

Si mosse, Caspian, lasciandosi guidare dalla forza invisibile che lo guidava sino al lago.

Una cascata argentea si gettava in mille zampilli cristallini in uno specchio d’acqua che lui ben conosceva, che non poteva non ricordare perfettamente; era un luogo in cui sperava di tornare, un giorno o l’altro, una cascatella figlia della roccia viva che aveva visto sbocciare l’amore nascosto di due corpi perfetti, fatti l’uno per l’altro.

Siria.

Era il luogo in cui, per la prima volta, aveva amato Siria.

L’acqua zampillava placida in un dolce tintinnìo, aprendo effimere polle che si diramavano nel piccolo lago altrimenti deserto.

Deserto, salvo che per la figura lontana che strappò un battito al suo cuore.

Siria.

Siria era là, sul greto del lago limpido e illuminato dalla calda luce dorata del Sole.

Siria era là, assorta, la pelle candida accarezzata dalla stessa brezza che lo aveva condotto da lei.

I capelli rossi ricadevano soffici sulla sua schiena esile, il seno raccolto in un abito d’un candore che superava persino quello della sua carnagione. Era là, accoccolata come una splendida dama pensosa fra le foglie dorate che si posavano gentili sul pelo dell’acqua.

La guardò, meravigliato dalla bellezza del tutto nuova della sua figura, la pelle finalmente libera delle cicatrici che la percorrevano e la deturpavano.

Era meravigliosa, più bella di quanto non l’avesse mai vista.

Era là, assorta, le dita affusolate che accarezzavano il lago e raccoglievano con dolcezza alcune delle foglie arrossate dall’autunno.

Era così bella…

Tanto bella da spingerlo a voler restare per sempre in adorazione della sua figura, eterea e finalmente serena, lontana dal mondo che troppo aveva distrutto nella sua vita.

Rimase immobile, sentendosi in pace con la Narnia sconosciuta che lo circondava, gli occhi che si beavano della figura perfetta della donna che amava.

Oh, sì.

La amava più di quanto lui stesso riuscisse a rendersi conto.

Aveva tanto temuto di perderla, di scoprire che qualcosa nel loro viaggio era andato storto… tutte paure infondate, tutti timori senza fondamenta.

Eccola lì, più splendida che mai, vestita del bianco delle nuvole che si rincorrevano nel cielo.

Non c’era tempo, in quel luogo.

Non c’erano guerre, non c’erano battaglie.

Poteva perdersi nell’ammirarla senza il terrore che qualcosa spezzasse quell’idilliaco silenzio che avvolgeva i suoi pensieri…

Sarebbe rimasto a bearsi di lei per l’eternità, senza mai stancarsene.

Non si sarebbe mai stancato di guardarla, di imprimersi nella mente ogni tratto di quel viso che non si alzava mai verso di lui; quello sguardo tanto lontano pareva intensamente concentrato sulle gocce che coloravano le sue dita candide, sulle foglie dorate che accarezzavano lo specchio limpido dell’acqua.

Ma…

Ma c’era qualcosa di sbagliato.

C’era qualcosa che non andava.

.

La vide alzare lo sguardo verso la foresta che la circondava, le dita che sfioravano il pelo dell’acqua; cerchi concentrici partirono da quel punto, diramandosi in tutto il lago sino alla cascata.

La cascata…

“Siria!” avrebbe voluto gridare, quando la limpidezza dell’acqua si fece improvvisamente torbida, scura d’un rosso che riconobbe con sgomento.

Sangue.

Repentinamente, la guardò balzare in piedi, l’abito candido perfettamente asciutto, i piedi nudi che tentavano di sfuggire le lingue rossastre che si diramavano appena sotto il pelo dell’acqua.

“Scappa!” voleva gridare, ma lui non aveva corpo né consistenza; soltanto occhi, occhi per vedere quel qualcosa avvicinarsi a lei.

Non poteva fare niente.

Per l’ennesima volta, lui non poteva fare niente.

Poteva soltanto restare a guardare il sangue intorbidire il lago, avvicinandosi ratti a Siria, allungando tentacoli rossastri verso i suoi piedi.

La guardò incespicare, tentando di sfuggire a quella presa, la paura scritta sul volto; ma il sangue saliva in viscide spire intorno alle sue caviglie candide, trascinandola verso il centro del lago, verso il punto più profondo che ribolliva di rosso e di stridule urla che…

 .

.

.

-SIRIA!- Caspian balzò in piedi, allarmato, la mano destra che correva all’elsa della sua fidata spada.

Il buio accolse il nero atterrito dei suoi occhi, il respiro affannoso che riempiva il silenzio della stanza che divideva con Aaron e Caleb.

Si guardò intorno, affannato, cercando di distinguere qualcosa nell’oscurità più completa che lo circondava. L’immagine vivida della paura sul viso di Siria era ancora impressa sulla sua retina, il colore rosso del sangue macchiava ancora quell’abito candido…

Mise lentamente a fuoco la figura di Aaron, rigidamente addormentato sul fianco sinistro, la mano sul pugnale da cui non si separava mai; l’unico suono che riempiva il silenzio altrimenti pressante era il suo respiro lieve, in cui però non udiva l’eco di…

Si voltò di scatto, cercando la figura massiccia di Caleb nella fitta penombra; ma il giaciglio del biondo era vuoto, e gli bastò una rapida occhiata per confermare l’assenza anche delle sue armi.

Cercò di riordinare le idee, ancora scosso; quell’incubo era stato terribilmente realistico…

Era solo una sua paura.

Siria era al sicuro… o quantomeno sapeva difendersi, non era in pericolo immediato.

Sospirò, passandosi nervosamente una mano fra i capelli arruffati.

Forse Caleb non riusciva a dormire, esattamente come lui…

Decise istantaneamente di alzarsi, incapace di restare fermo nel suo giaciglio; le ragazze erano partite da un giorno, ormai, l’alba non era lontana…

Irrequieto, infilò alla svelta gli stivali e la tunica scura che si era procurato qualche tempo dopo essere tornato alla cripta di Aslan; l’armatura era troppo ingombrante per essere indossata tutti i giorni, mentre quella semplice giubba di pelle era molto più pratica.

Allacciò in vita il cinturone della spada, rinfoderandola e recuperando lo stiletto da sotto il cuscino; aveva imparato alla svelta a dormire armato e con un occhio solo, sempre pronto a combattere.

Abbandonò la spartana stanzetta in silenzio, attento a non svegliare il rosso, accendendo una fiammella per illuminare il suo cammino nell’oscurità.

La notte fragrante di Narnia lo accolse con dolcezza, il profumo dell’erba alta e dei fiori che lo raggiungeva immediatamente; conosceva quei profumi, quelle dolci essenze che permeavano quel cielo trapunto di milioni di stelle e costellazioni.

Un lieve venticello scuoteva gli alti fili d’erba, spettinando quella viva criniera e trascinandone le punte verso la foresta; quella notte più che mai la natura sembrava viva, pulsante di una forza troppo a lungo rimasta nascosta.

Intravide la figura di Caleb a pochi metri di distanza da lui, immobile, rivolto verso il bosco come se stesse ascoltando la voce di quella brezza leggera che scompigliava i riccioli biondi.

-Caleb?- chiamò, sorpreso, ma il ragazzo alzò repentinamente una mano e zittendolo sul nascere.

-Sssh.- sussurrò, gli occhi azzurri socchiusi, l’espressione più seria di quanto Caspian avesse mai visto. -Chiama Peter e Aaron.- gli ordinò soltanto, perentorio, senza distogliere l’attenzione da un sussurro che pareva ascoltare soltanto lui.

E Caspian non poté far altro che annuire, correndo senza ben saperne il motivo verso le stanze interne della cripta; gli servirono pochi minuti per svegliare Aaron e Peter, entrambi troppo irrequieti per dormire profondamente.

Aaron era taciturno, lo spadone ben fissato in cintura; Peter, al contrario, non aveva rinfoderato la sua fidata Rhindon, ora ben stretta nelle mani forti del Re Supremo.

-Che cosa…- esordì il biondo, una volta raggiunto Caleb sulla lieve altura su cui si era fermato.

Soltanto allora Cal si riscosse da quello stato di concentrazione in cui era calato, voltandosi verso i tre giovani che lo avevano raggiunto in pochi minuti.

Un dolce sussurro lo aveva destato improvvisamente, strappandolo al sonno lieve ed agitato in cui era sprofondato una volta coricatosi; una voce tenue e delicata che lo aveva convinto ad uscire dalla cripta, sospinto da quel lieve vento portato dagli alberi che, per lui, non era semplice brezza.

-Tallie.- affermò soltanto, sicuro; e l’erba danzò con più forza, dirigendo le proprie punte verso il piccolo sentiero che portava…

-Sta andando verso il lago.- commentò Peter, attonito, riconoscendo il linguaggio oramai perduto delle foreste incantate, della magia intrisa in ogni filo d’erba di Narnia.

Caleb, scuro in volto, annuì.

-E’ là che vuole condurci.- sussurrò, precedendoli sicuro verso il sentiero che conduceva al lago della naiade, il rifugio sicuro e solitario di Shaylee.

-Che cosa sta succedendo, Caleb?-

La voce attenta e all’erta di Aaron non riuscì minimamente a far breccia nell’espressione assorta del biondo; il giovane mercenario si stava già addentrando nel folto del bosco, seguendo quei sussurri che soltanto lui riusciva a cogliere, la morbida voce della foresta che lo chiamava a sé.

Avvertì la presenza degli altri alle sue spalle, quando il lago si rivelò fra gli alberi dopo qualche minuto di marcia; lo specchio d’acqua solitamente limpido pareva meno luminoso del solito, la superficie sempre immobile era increspata dallo stesso turbamento che scuoteva le fronde degli alberi.

La piccola fiammella accesa da Caspian tremò, morendo in un inesistente refolo di vento gelato.

Caleb s’inginocchiò sulla riva della polla d’acqua, il mormorio lieve degli spiriti che non si chetava, che sussurrava alle sue orecchie parole dense di paura e di pericolo.

Non sobbalzò nemmeno, pronto, quando quella brezza invisibile sfiorò lo specchio d’acqua e arricciò la spuma bianca venuta a crearsi dal movimento inquieto del lago.

Osservò il liquido tremolare ed innalzarsi piano, delicatamente, accarezzando figure lontane e prendendone lentamente la forma.

Una figura di donna si delineò sulle curve turbolente delle spire d’acqua, prendendo l’aspetto di una giovane donna dalle orecchie troppo evidenti, le spalle esili ed il corpo fasciato in una calzamaglia del colore di una foresta…

Talia.

-Guarda.- sussurrò, più rivolto a se stesso che ai suoi compagni, gli occhi celesti che fissavano duramente il profilo della sua donna riflesso in quel bizzarro ritratto semovente.

-Shaylee…- il sussurro di Peter si riverberò sulla superficie tremula dell’acqua, le figure in rilievo che si muovevano limpide e trasparenti come il lago che le accoglieva.

Soltanto una persona avrebbe potuto dare vita a quella magia, soltanto ad una creatura il lago avrebbe permesso di accedere alle fonti più cristalline di quell’antico incantesimo…

-…questo è ciò che vede Shaylee.- affermò, sicuro senza ben sapere perché delle proprie parole, gli occhi celesti che seguivano attenti la scena che le acque incantate stavano dipingendo.

Distinse il volto di Talia, un’espressione contratta e cupa nel viso affilato; era accanto alla naiade, gli occhi di Shay la vedevano chiaramente, distinguendo la rabbia e la paura nei tratti felidi del suo viso.

Sentì Caleb sospirare appena, al suo fianco; riuscì a comprendere perfettamente il sollievo del biondo mercenario nel riconoscere la donna che amava, nel vederla sana e salva – sebbene quella smorfia d’odio fosse terribilmente inquietante…

Lo sguardo della ninfa si spostò altrove, distogliendo l’attenzione da Talia.

Tutti e quattro si ritrovarono a sussultare, qualcosa di sgradevole che si animava dentro di loro nel distinguere troppi volti emergere dal chiarore indistinto del lago; Shaylee stava guardando un manipolo di uomini che non avrebbero dovuto trovarsi tanto vicini alle ragazze, le armature e i fregi di Telmar erano fin troppo distinguibili…

Era successo qualcosa.

Shaylee e Talia non intervenivano, Siria pareva sparita; ma i telmarini le guardavano di sbieco, gli occhi cattivi si soffermavano fin troppo spesso sulle due ragazze prima di tornare a spostarsi su un punto che Shaylee non stava guardando, lontano dalla loro visuale…

Peter sentì lo stomaco contorcersi violentemente, quando l’amara verità si presentò crudele fra i suoi pensieri.

Erano in trappola.

-Dannazione!- l’esclamazione di Aaron fece sobbalzare tutti e tre, allibiti; non era dal rosso perdere il controllo in quel modo, non era da lui quell’espressione atterrita e orripilata appena apparsa nei suoi occhi… -Quello è Flynch! Dove diavolo è Siria?- sbottò, avvicinandosi un poco alla pozza d’acqua, la frustrazione e la paura disegnati sul viso.

Peter lo osservò attonito, senza capire.

-Che…-

-Angus Flynch è l’assassino diletto di Miraz.- la voce di Caspian era cupa, scura almeno quanto lo sguardo allarmato che rivolse al rosso mercenario.

Angus era uno degli animali più disgustosi che avesse mai avuto la sventura di incontrare sulla sua strada, un uomo dall’indole violenta che compieva sottobanco tutti gli assassinii e le brutalità che non potevano assolutamente portare il nome del vero mandante.

Miraz.

Ma ciò che aveva detto Aaron aveva risvegliato una paura mai del tutto sopita dentro di lui.

Siria.

Gli occhi di ghiaccio del mercenario era venato di paura, di paura vera; non prometteva niente di buono…

-Aaron, cosa c’entra Siria con lui?- chiese, senza esitare, affrontando l’espressione tormentata del rosso senza alcuna paura; erano ormai lontani i tempi del loro astio reciproco, da quando Aaron aveva capito che Caspian voleva esattamente ciò per cui lottava anche lui: proteggere sua sorella.

Ma lo sguardo del mercenario fu cupo, angosciato, quando si alzò negli occhi neri di Caspian e vi vide riflessa la sua stessa paura.

-La vuole per sé. L’ha sempre voluta per sé.- mormorò, sentendo qualcosa agitarsi violentemente dentro di lui nel riconoscere la smorfia di terrore che le sue parole avevano appena provocato nel volto del Principe.

Caspian provò a ribattere, incredulo, l’orrore che lottava per prendere il sopravvento sulla speranza; Siria non poteva essere finita nelle mani di quella lurida carogna, non poteva essere nelle mani di quel bastardo dall’insaziabile sete di sangue…

Fu Caleb a bloccarlo, ad interromperlo prima che potesse anche solo iniziare a parlare; il biondo mercenario era inginocchiato accanto al lago, le dita immerse nell’erba soffice e carnosa che si allungava verso la superficie limpida dell’acqua, gli occhi celesti cupi e inchiodati sul riflesso del volto di Talia.

-Ragazzi… adesso c’è.- mormorò, riconoscendo…

Si voltò verso Peter ed Aaron, allibito, riconoscendo il suo stesso orrore scritto nei loro occhi; forse Caspian non avrebbe dovuto vedere quella scena, forse non avrebbe dovuto avvicinarsi così tanto alle acque innaturalmente in rilievo, alla figura riconoscibilissima di…

Siria.

Il giovane mercenario si scostò con riluttanza, quando il ragazzo si avvicinò rapidamente alla fonte d’acqua per capire, per vedere, per sapere

Ma ciò che vide fu il realizzarsi dei troppi incubi che lo tormentavano, delle troppe paure che vide con orrore realizzarsi in quello specchio tremendamente vivido di ciò che stava succedendo.

-Siria…-
La sua voce era strana, quasi irriconoscibile; pareva un sussurro disperato, una preghiera, uno scongiuro… sembrava il terrore – il terrore di vedersela strappare – che lo aveva attanagliato sin dalla prima volta che aveva sfiorato quelle labbra, che aveva toccato quel corpo, che aveva distinto la dolcezza oltre la barriera di quell’impenetrabile sguardo blu.

Si lasciò crollare in ginocchio, la paura che si dipanava dai suoi occhi in ogni tratto del suo bel volto; qualcosa dentro di lui si era spezzato, qualcosa urlava di una sofferenza tale da non permettergli nemmeno di pensare, le iridi allibite e spaventate fisse sulla scena che il lago rifletteva con angosciante perfezione.

Siria.

Siria era riversa al suolo, i polsi serrati in una morsa dietro la schiena, le braccia livide ed i capelli rossi sporchi di terra.

Stava provando ad alzarsi, ma in piedi dinanzi a lei stava Flynch, un ghigno orrendo dipinto sul viso nerboruto e le mani guantate sporche di sangue.

Siria tremava, il suo volto era in ombra… Angus rideva, rideva di lei, lo stivale che s’infilava sotto la sua spalla e la rivoltava violentemente verso il cielo, i capelli che si scostavano dal viso e…

E poi una mano forte lo costrinse a distogliere lo sguardo, lo tirò di peso in piedi, allontanandolo da quella vista che lo avrebbe fatto sicuramente impazzire di dolore.

Caspian si riscosse solo in quell’istante, il battito rapido e doloroso del cuore che pulsava nelle orecchie, mettendo a fuoco un volto che non si sarebbe mai aspettato di vedere.

Peter.

Era stato Peter a trascinarlo via, a impedirgli di vedere.

Era stato Peter ad assumersi il peso di quella vista, di quell’immagine chiara e nitida che Caspian aveva scorto appena di sfuggita.

Era Peter adesso a non riuscire a distogliere lo sguardo dallo specchio d’acqua, l’orrore scritto negli occhi celesti e la mascella contratta, l’odio che brillava vivido nel suo sguardo.

-Dobbiamo andare.- il Principe ed il Re parlarono nello stesso istante, pronunciarono le medesime parole; si voltarono entrambi verso Caleb ed Aaron… Aaron, che serrava i pugni in una morsa tremenda, un sottile rivolo rosso che gli macchiava le dita.

-Non sappiamo dove sono.- la voce di Caleb era remota, lontana, priva della solita nota scanzonata che riusciva sempre a strappare un sorriso; gli occhi azzurri parevano scavati, il volto che dimostrava improvvisamente molti più anni di quanti ne avesse in realtà.

Caspian e Peter si scambiarono un’occhiata angosciata; Caleb aveva ragione, non avevano la minima idea di dove andare, di dove cercarle…

Una tenue luminescenza si alzò lentamente dalla superficie limpida del lago, attirando immediatamente gli sguardi angosciati dei quattro giovani immobili sulle sue sponde acciottolate.

Nulla più di un sottile nastro di vivida acqua cristallina, lo zampillante riflesso della magia s’innalzò nell’aria in trepidante attesa dell’alba; nessuno dei ragazzi fiatò, otto occhi che seguivano attenti ogni intreccio di quegl’arabescanti fili di cristallo che s’attorcigliavano in morbidi ed evanescenti carezze.

E poi la videro allungarsi verso gli alberi, intrecciandosi ai tronchi che lentamente le aprivano la strada.

E mostrava loro una via.

 .

 .

 .

Un dolore lancinante allo stomaco.

Siria serrò i denti, il corpo che si contraeva di botto all’ennesimo colpo, all’ennesimo calcio in pieno ventre. Sentì calde lacrime bagnarle il volto, rigarle le guance, ma non si permise nemmeno un gemito: non gli avrebbe dato quella soddisfazione.

-Basta!-

Zitta… stai zitta

Un ennesimo calcio, i denti che affondavano convulsamente nel suo labbro inferiore, spaccandolo. Il sapore metallico del sangue inondò la sua mente, i suoi pensieri, annebbiandole la vista e strappandole un conato che per poco non la costrinse a cedere di fronte al soldato che la stava accuratamente pestando.

Le corde segavano i suoi polsi, serravano le sue mani in una stretta terribile, le dita formicolanti e oramai insensibili livide.

La marcia verso la città di Miraz era durata un’intera giornata; dalla loro cattura a quel momento avevano percorso probabilmente qualche miglio nel folto della foresta, percorrendo la stessa strada che Siria e Talia avevano calpestato qualche mese prima, in compagnia di un recalcitrante Caspian e dei loro compagni.

Siria aveva paventato il ritorno della notte, accogliendo il tramonto senza il solito affetto; le ore di buio erano il suo riparo, il momento in cui i suoi sensi e la sua mente si risvegliavano. Amava la notte, ma in quella situazione poteva significare solamente una cosa: la tortura sarebbe ricominciata.

Ed infatti, non appena calato il buio, i soldati di Miraz avevano allestito un frugale accampamento dove passare quel lasso di tempo in cui non avrebbero potuto proseguire.

Flynch si era trattenuto dal toccarla per troppo tempo… Siria lo conosceva, quell’animale, lo conosceva anche troppo bene. La sua sete di sangue non si sarebbe estinta così in fretta…

-Vediamo se hai ancora la forza di reagire, raminga.- un ennesimo calcio in pieno stomaco la fece contrarre su se stessa, riversa a terra, i capelli sporchi di terriccio aggrovigliati sulla schiena.

Sir!

Le voci angosciate delle sue amiche risuonarono debolmente nella sua mente confusa; tentò di riordinare le idee, di riprendere coscienza di sé e di ciò che aveva intorno, ma il dolore pulsante che tutto il corpo mandava al cervello era troppo grande, troppo potente.

Non posso fare niente… riuscì soltanto a sussurrare, persino i pensieri ridotti ad un mormorio esausto.

Non avrebbe resistito ancora a lungo, non sarebbe sopravvissuta ad un’altra notte sotto le mani pesanti di Flynch.

Tentò di respirare, di riempire d’aria i polmoni che sentiva contrarsi faticosamente, allo stremo; persino l’ossigeno doleva, scendendole in petto e acutizzando la sofferenza delle ferite che oramai riempivano ogni lembo scoperto della sua pelle.

-Miraz ti vuole viva… ma non ha specificato in quali condizioni.-

Angus ghignò malignamente, infilando un piede sotto la spalla di Siria e rivoltandola violentemente sulla schiena.

Non gli avrebbe dato la soddisfazione di vederla implorare.

Non gli avrebbe concesso il piacere di vederla piegarsi.

-Muori, bastardo. Tu… e il tuo Re.- la voce di Siria pareva non appartenerle nemmeno. Era roca, impastata di sangue, le labbra spaccate rendevano le sue parole confuse e masticate in mezzo ai lividi.

Non un gemito, quando un ennesimo calcio la colpì in pieno viso.

Shaylee dovette costringersi a serrare le labbra fra i denti, per non gemere nel sentire il violento crack del naso che si spezzava.

Sapeva di non poter chiudere gli occhi… i ragazzi dovevano vedere attraverso di lei, dovevano riconoscere il luogo, dovevano sapere che cosa stava succedendo…

Il sogghigno cattivo di Flynch si accentuò, quando vide il corpo della rossa contrarsi violentemente, in preda al dolore. S'inginocchiò accanto a lei, afferrandole il viso sporco di sangue con una mano lercia, incrostata di fango e di qualcosa di rosso e non del tutto rappreso.

-Non morire adesso, rossa. Pensavi davvero che avrei risparmiato le tue amichette?- le sussurrò, l'alito fetido che le inondava il volto, provocandole violenti conati di vomito.

No.

L’unico pensiero che risuonò nella mente annebbiata di Siria fu quello.

No.

Non poteva permetterlo.

Non poteva lasciare che colpisse anche le sue amiche.

Le avrebbe picchiate per il puro gusto di vederla soffrire, di far del male a qualcuno a lei tanto caro: non poteva permetterlo, non poteva lasciare che le toccasse.

Non avrebbe mai, mai potuto.

Lei era sacrificabile.

Lei poteva, doveva morire.

Lei era un pericolo.

Lei era la causa di quel maledetto rapimento, lei non poteva guardare le sue amiche soffrire, non poteva guardare quell’uomo picchiarle a causa sua…

Doveva resistere.

Doveva proteggerle.

Si costrinse ad alzarsi in ginocchio, un violento fremito che la percuoteva sin nel profondo; il suo corpo non le rispondeva più… la sua arma migliore, ciò su cui aveva sempre fatto affidamento, ora non era altro che un ammasso confuso di carne e di sangue.

Nei suoi confusi pensieri, riuscì solamente a trovare il coraggio disperato di pronunciare quelle poche parole roche, impastate, dal sapore metallico.

-Perché... sei così poco uomo... per continuare con me?- ansimò, la voce rantolante, i polmoni che urlavano per il dolore.

-SIRIA!- il suono violento di uno schiaffo risuonò nel folto del bosco, quando uno dei compagni dell'uomo colpì Talia con uno schiaffo, zittendola.

Tallie.

Siria riuscì soltanto a formulare quel pensiero, una fitta di terrore che l'attraversava al pensiero di Talia, alla terribile consapevolezza di non essere riuscita a impedire che fosse colpita.

E poi, fu soltanto altro dolore.

 .

.

-Vedi di stare buona, mezzosangue.-

Lo avrebbe ucciso.

Mai, mai come in quel momento Talia aveva provato un odio simile; sentiva pulsare nel sangue il terribile desiderio di colpire, di avere in mano il suo arco e colpire con tutto l'odio che stava provando l'uomo dinanzi a lei, che serrava il suo viso in una morsa terribile, il fiato fetido che la soffocava.

Strattonò il volto, liberandosi di quella stretta, mordendosi la lingua per non rispondergli.

Siria si stava lasciando massacrare, per proteggerle... non poteva scatenare l'ira di un altro di loro, non poteva lasciare che il sacrificio della sua amica fosse vano.

Si costrinse a frenare quelle parole dense d'odio che premevano le sue labbra per uscire, quando vide una macchia scarlatta riempire l'erba secca ai suoi piedi.

-Sir!- sbottò, dimentica degli uomini che le avevano catturate, dimentica di qualsiasi cosa. Si lasciò rapidamente scivolare in ginocchio, accanto alla raminga, una voragine di terrore spalancata nel cuore quando la vide in volto.

Una maschera di sangue.

Non riusciva a distinguere i lineamenti della sua amica, sotto quel rosso terribile che sporcava la sua pelle candida. Il naso sanguinava copiosamente, gli occhi erano pesti, un labbro e uno zigomo spaccati; pareva incosciente, ma poteva ancora sentire i suoi pensieri, la sua coscienza, la testardaggine con cui si ostinava a tenerla fuori dal suo dolore.

-Sto bene...- pigolò la rossa, la voce ridotta ad un sussurro impastato di sangue.

-Questo succede a voler aiutare i propri amici, raminga.- la voce piena di scherno di Flynch la raggiunse anche attraverso il velo d’incoscienza calato sui suoi occhi, intorno al decimo pugno.

-Siria… Siria ti prego, dì qualcosa, dimmi che sei viva.- Siria udì soltanto le voci concitate e spaventate di Shaylee e Talia sovrapporsi, mescolarsi nella sua mente confusa e non troppo lucida.

-Non… non preoccupatevi, sopravvivrò anche stavolta.- riuscì soltanto a mormorare, il dolore che trafiggeva ogni millimetro del suo corpo, immergendosi come migliaia di lame affilate nella sua carne.

Non aveva mai sofferto così tanto in vita sua…

Mai, mai nessuno l’aveva portata a quei livelli di sofferenza.

In vent’anni di vita Siria ne aveva passate tante, molte ferite avevano solcato la sua pelle bianca; ma nessuna era riuscita a provocarle tanto dolore come la sensazione che provava in quel momento, come la tortura a cui il suo corpo presto si sarebbe piegato, esausto.

La stava uccidendo.

Colpo dopo colpo, sarebbe riuscito ad ammazzarla; e, se anche fosse sopravvissuta a quel calvario, Miraz avrebbe finito il lavoro del suo assassino.

Shaylee sentì una morsa tremenda stringerle il cuore, quando distinse in quella maschera di sangue e di lividi una trista rassegnazione che la spaventava più di tutto il resto.

Siria si sarebbe arresa

La sua amica non poteva combattere, non poteva reagire a quella violenza gratuita e feroce; nessuna di loro poteva fare qualcosa, Talia non poteva muoversi, la sua forza era intrappolata da quelle manette che le segavano i polsi esili, mentre lei…

Tentò disperatamente, ancora una volta, di chiamare a sé l’acqua che avvertiva scorrere poco lontano; un affluente del Grande Fiume la chiamava a sé, ma lei… lei non riusciva a rispondere.

Frustrata, ricacciò indietro le lacrime che minacciavano di solcarle il viso; non poteva piangere, non adesso.

Doveva essere forte, doveva essere forte anche per Siria.

-Siria, ti ucciderà! Non devi costringerti a tutto questo, non è giusto, non…- cominciò, ma vide un inquietante sorriso piegare per un istante le labbra tumefatte dell’amica; un sorriso senza gioia, gli occhi gonfi socchiusi, i capelli rossi che le rigavano le guance.

-Meglio io che voi.-

E quelle parole sapevano di morte, di una resa terribile a cui non poteva sfuggire.

Talia si lasciò sfuggire un versaccio, la rabbia e l’angoscia che ribollivano dentro di lei, il dolore nel vedere l’amica ridotta in quel modo più insopportabile di qualsiasi altra cosa.

-Magari ogni tanto potresti pensare a non distruggerti per gli altri, vero?- sbottò, ma quel sorriso rassegnato non scomparve dal viso irriconoscibile della ragazza.

-Non posso lasciare che vi facciano del male.-

-E devi farti ammazzare, allora!?- replicò la mezzelfa, disperata, sperando che un minimo di buonsenso tornasse a farsi vivo nella testa della sua amica.

Ma Siria alzò lo sguardo su di lei, socchiudendo a forza le palpebre violacee di lividi, due zaffiri conosciuti che facevano capolino dall’orlo di pelle degli occhi.

E in quelle iridi blu Talia e Shaylee riconobbero la maledizione che Siria portava con sé dalla nascita, quel tormento che l’avrebbe portata alla morte, al sacrificio di sangue che la sua stessa discendenza le imponeva di fare.

Perché era giusto, perché Siria non avrebbe lasciato che l’inferno si scatenasse di nuovo su Narnia; nonostante tutto, in quelle iridi brillava una determinazione che non sarebbe crollata, nemmeno sotto altre cento notti di tortura.

Siria era ben conscia del suo destino: aveva sperato fino all’ultimo di potervi sfuggire, di poter fare qualcosa per cambiare le cose… ma la triste verità era che la morte avrebbe richiesto il suo pegno, presto o tardi che fosse, quella notte o entro pochissimo tempo.

Combattere non aveva più senso, ormai; e la disperazione che le riempì il petto fu tale che non le permise di sopportarla, la testa rossa che si chinava sotto il peso di quel dolore molto più forte delle ferite che riempivano il suo corpo.

-…tanto, devo morire comunque.-

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My Space:

Ditelo che anche stavolta non ci speravate più xD
Invece eccomi qui, con il capitolo nuovo di Narnia's Rebirth (e a breve quello di Seize The Day, quasi ultimato)!!!!
La vita mi sta un pò sballottando da tutte le parti ma non pensate che mi dimentichi delle mie storie, è più semplice che mi scordi il mio nome o il mio codice fiscale piuttosto xD
Allora, cosa dire di questo capitolo:
1) ho scelto una canzone che non poteva starci meglio: Nightmare, degli Avenged Sevenfold. Vi consiglio di leggervi il testo, perché sembra fatta apposta (e poi è meravigliosa U_U)
2) Arrivano i bamboli! Per inciso, la magia di Talia e di Shaylee va oltre le manette che indossano. Non possono attivamente fare qualcosa, ma loro sentono comunque la Terra e l'Acqua, e così riescono ad avvertire i prodi giovincelli. Questa è stata un'idea della Fla, io non sapevo come farli arrivare ^^'''' c'è un piccolo dettaglio che non so se qualcuno coglierà, nella scena dei ragazzi, che riguarda Cispia. Vediamo se è abbastanza in vista :P
3) Siria... eh, Siria si sta arrendendo. Sfido io, penso che chiunque arriverebbe alla resa, in una situazione del genere... eppure, nonostante non speri più di salvarsi da questa tortura e dal suo destino, non molla; la stanno torturando, ma lei rimane salda sulla sua posizione di difendere le sue amiche. Che brava (????) ragazza xD
Il prossimo capitolo... non ho idea di quando arriverà. E' già scritto, quasi, mi mancano qualche correzione e un pò di parti tagliate, ma... non ho idea davvero. Spero presto, ma non garantisco nulla, non con la situazione che sto vivendo ora ^^'''
Al prossimo capitolo!

Love you all, B <3

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Capitolo 28
*** Sweet Sacrifice. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Sweet Sacrifice - Evanescence

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-Shaylee, dobbiamo trovare un modo.-

La voce di Siria era più roca del solito… forse a causa di tutte le percosse che aveva subito, forse a causa della determinazione suicida che la ninfa vedeva nei suoi occhi blu.

La naiade scosse la testa, continuando ad armeggiare con le manette che imprigionavano i suoi polsi.

Se fosse riuscita a schiudere anche solo un dentello, uno soltanto… il rivolo di magia che quel metallo incantato non riusciva a bloccare si sarebbe intensificato, permettendole di richiamare a sé la potenza dell’acqua e di liberare tutt’e tre.

Sarebbe riuscita a salvare tutte loro… ma Siria voleva che andasse via, che tornasse indietro per guidare Caspian e gli altri fino a quel luogo.

Forse era anche un’idea sensata, ma…

-Non posso lasciarvi qui.- affermò, convinta, sentendo una fitta di puro senso di colpa quando i suoi occhi dorati corsero sui volti tumefatti di entrambe le ragazze.

Siria era irriconoscibile: il sangue rappreso ­­macchiava la sua pelle, il volto solitamente candido era livido e pieno di bozzi e tagli più o meno profondi; tremava, tremava di freddo e di dolore, una spalla piegata in una posizione innaturale e la schiena che sussultava, lacera.

La mezzelfa era messa meglio. Siria si era impegnata a fondo per evitare che venissero toccate le altre due ragazze, ma qualche schiaffo era arrivato comunque a segnare il volto già in via di guarigione della mezzosangue.

Talia sospirò, alzando gli occhi scuri verso il cielo nero della notte di Narnia.

-Shay, so che li stai guidando qui, ma stai rischiando sempre di più. E non riusciremo a proteggerti ancora a lungo.- la schiettezza era sempre stata una delle qualità migliori della mezz’elfa.

La ninfa sospirò, sorpresa in cuor suo che la mora si fosse accorta tanto in fretta del suo stratagemma.

Shaylee, ormai da più di due giorni, stava concentrando tutte le sue energie su quel minuscolo rivolo di magia che le permetteva di sentire la presenza dei fiumi e dei torrenti, quel contatto intimo ed atavico che la maledizione di quelle catene non era riuscita a spezzare.

Quelle gocce di magia stavano guidando chiunque avesse visto attraverso i suoi occhi, sulla superficie del lago, verso di loro: mantenere quel contatto continuo era sfibrante, mentre l’incantesimo del metallo che le segava i polsi tentava in tutti i modi di contrastarla.

Shaylee aveva vissuto per la maggior parte della sua vita in un palazzo, in mezzo alle altre naiadi; anche quando si era ritrovata a combattere non era mai stata in mezzo ai rudi guerrieri umani, ma ai leggiadri abitanti di Narnia.

A differenza delle due amiche non avrebbe saputo sopportare quelle percosse; e il suo potere avrebbe preso il sopravvento, avvertendo il pericolo e proteggendola nonostante le catene che la imprigionavano, senza che lei potesse minimamente controllarlo.

Non potevano permettersi che la magia si mostrasse.

Le avrebbero uccise tutt’e tre, se avessero scoperto che fra loro c’era una strega – così avrebbero definito quella magia, Siria lo sapeva fin troppo bene: e se Shaylee non fosse riuscita a mantenere salde le redini sul suo potere, avrebbero rischiato di fare più danno che altro…

-Non posso andare via.- ripeté, nella voce una supplica che Siria e Talia avvertirono sin troppo bene; ma se l’elfa rivolse all’amica uno sguardo dolce, comprensivo e scoraggiato allo stesso tempo, Siria si limitò a stringersi ancor più su se stessa, nascondendo il volto tumefatto fra le ginocchia.

Shaylee doveva andare via.

Era troppo bella, troppo indifesa… presto, fin troppo presto, quegli uomini se ne sarebbero accorti.

Se solo fosse riuscita a liberarsi di quelle manette, avrebbe potuto fare in modo che Talia e Shay potessero fuggire… loro avrebbero potuto, riuscivano a camminare a muoversi, loro dovevano salvarsi…

Chiuse gli occhi, cercando di ignorare le fitte lancinanti che intorpidivano il suo corpo martoriato.

-Ehi, voi tre.- la voce rude di Flynch fece sobbalzare tutt’e tre le ragazze, prima che una mano pelosa, nerboruta, afferrasse bruscamente Siria per una spalla e la scaraventasse lontano dalle altre due, mandandola a sbattere contro il tronco di un albero.

Sentì la schiena schioccare, la raminga, il dolore che si riaccendeva vivo e prepotente.

Serrò i denti per l’ennesima volta, mordendosi le labbra per non lasciarsi sfuggire neanche un gemito, rialzandosi con lentezza sulle ginocchia e rivolgendogli uno sguardo carico di puro odio.

Sentiva un’energia non del tutto sconosciuta pulsare rabbiosamente nelle sue vene… sapeva che, se avesse dato ascolto a quella voce che tanto la spaventava, sarebbe riuscita a spezzare quelle catene, a salvare le sue amiche e ad uccidere quegli animali uno dopo l’altro.

Senza pietà.

E senza rimorso.

 .

Permettimelo, piccola Siryn.

Permettimi di mostrarti quanto potente tu possa essere.

 .

-Siria.- fu soltanto grazie a quell’ammonimento calmo, pacato, che Siria non commise qualcosa di davvero irreparabile.

Sospirò profondamente, cercando di calmarsi… quando un campanello d’allarme nella sua mente risuonò di scatto, prepotente.

Uno dei soldati di Flynch si era voltato improvvisamente verso la ninfa, un’espressione porcina e disgustosa sul volto – una smorfia che tanto Siria quanto Talia conoscevano fin troppo bene.

Si guardarono un istante, improvvisamente spaventate, preoccupate; Shay doveva andarsene subito, doveva mettersi in salvo prima che accadesse l’irreparabile…

Ma, per una volta, la decisione più sensata non sembrava nemmeno sfiorare la ragazza dai capelli dorati.

Gli occhi di Shaylee erano fissi con astio e rabbia in quelli dell’uomo in piedi di fronte a lei; e nonostante i polsi serrati in una morsa, nonostante fosse chiaramente molto più fragile ed indifesa rispetto a lui, non c’era la minima traccia di paura, sul suo volto.

Shay, stai lontana da lui!

Siria tentò di alzarsi, annaspando, ma due mani forti e ruvide si serrarono sulle sue spalle martoriate e la bloccarono lì dov'era.

-Stai buona, ragazzina.- riconobbe la voce di uno dei soldati, quello che più di una volta aveva fermato Angus e le sue torture; a nulla valsero i suoi tentativi di divincolarsi, quell'uomo era troppo forte, lei era troppo debole per liberarsi.

-Shay..!-

Un bavaglio si serrò sulle sue labbra spaccate, uccidendo quel grido e lasciando soltanto i suoi occhi, i suoi pensieri disperati, a implorare l'amica di andarsene prima che le facessero del male.

Shaylee era immobile, gli occhi che bruciavano come oro liquido, incandescente.

La paura pulsava appena sotto la sua pelle, forte e prepotente come aveva imparato a riconoscerla in quei giorni di terrore e di sgomento.

Quel terrore, il terrore che ogni donna serba dentro di sé, stava riempiendo il suo corpo ad una velocità estrema; sentì le ginocchia tremare lievemente, i piccoli pugni serrarsi e le unghie immergersi nel palmo, scosse da un brivido gelato.

Quell’uomo era forte, rude, era abituato a prendersi con la violenza tutto ciò che desiderava: non avrebbe potuto contrastarlo, non ne sarebbe stata in grado, era dannatamente indifesa in quell’istante…

Il soldato le strinse improvvisamente il braccio esile in una mano, strattonandola e costringendola ad alzarsi in piedi.

La morsa di quella mano tozza era dolorosa, quelle dita ruvide e annerite dal metallo delle armi sporcavano la sua pelle chiara; il suo volto era butterato, il sorriso cattivo che storceva la sua bocca illuminava di una luce folle quello sguardo porcino.

Avvertì Talia lottare strenuamente contro un altro di quei mercenari, sentì i suoi pensieri furibondi quando la imbavagliarono e la allontanarono da lei – lasciandola sola, lasciandola completamente sola dinanzi a quel porco che tentava di tirarla verso di sé.

-Ma lo sai che sei proprio bella, ragazza?- fu il commento denso di lascivia che le rivolse, facendola rabbrividire di disgusto e di orrore; lo sguardo famelico e osceno che percorreva il suo corpo la faceva sentire sporca, immensamente sporca, il sangue che accelerava impazzito nelle sue vene…

Shaylee!

Shay ebbe appena il tempo di avvertire l’urlo mentale delle due amiche, prima che la mano forte e affamata del soldato strattonasse con violenza l’orlo della tunica candida che la Naiade indossava.

NO!

Shaylee si divincolò furiosamente, il terrore che rapidamente montava oltre l’oro liquido e denso d’allarme dei suoi occhi.

-Non mi toccare!- sbottò, la voce più alta di due ottave, cercando di allontanarsi con furia dall’uomo – che strappò con violenza l’orlo dell’abito di Shay, aprendo uno strappo profondo che rivelò la coscia bianca e sottile della Naiade.

Il vociare animalesco ed eccitato degli uomini intorno a lei fu un suono confuso, un suono che non fece altro che aumentare il panico.

Shay tentò di spingerlo via, gli occhi dorati ridotti a immensi laghi pieni di terrore, le braccia dolorosamente intrappolate dietro la schiena… ma la mano pesante dell’uomo si abbatté sulla sua guancia, facendola rovinare sulla dura terra che sfregiò la sua pelle chiara ed intatta.

Quelle maledette dita si serrarono sulla stoffa fragile della sua tunica, lo spallino che cedeva sotto la brutalità di quell’uomo che aveva solo intenzione di…

-SIRIA!-

L’urlo di Shaylee risuonò in quella radura, ghiacciando all’istante il sangue di Tallie e di Siria.

La raminga sgranò gli occhi, allibita, quando si rese conto che Shaylee – Shaylee, la sua amica Shaylee, la Shaylee che le aveva fatto da madre e da sorella, la Shaylee per cui provava un affetto immenso… aveva chiesto aiuto.

Aveva chiesto il suo aiuto.

Shay serrò gli occhi, lacrime di dolore e di paura che rigavano le sue guance, tentando per l’ennesima volta di liberarsi di quella rude presa che continuava a strappare il suo abito…

Aveva gridato, aveva ceduto alla paura – aveva chiesto aiuto all’unica persona che avrebbe potuto aiutarla, ma Siria era in trappola quanto lei, costretta a guardare ciò che le stavano facendo, e…

E poi, dopo nemmeno un battito di ciglia, fu libera.

Si ritrovò a terra, tremante, atterrita, all’ombra di una figura salda e terribile che aveva violentemente spinto via il soldato da lei.

Si ritrovò libera da quelle mani maledettamente sporche, il viso che pulsava là dove l’aveva colpita, le escoriazioni sulle gambe e sulle braccia che pizzicavano.

Si ritrovò singhiozzante, sotto shock, rannicchiata su se stessa in un debole tentativo di difendersi.

Capelli rossi.

Fu la macchia vivida di quel fuoco scarlatto a riscuoterla.

Stivali alti, una calzamaglia lacera.

Tentò di calmarsi, di riprendere coscienza di sé, di capire che cosa stava succedendo.

Una manetta che penzolava da un polso soltanto.

-Sir…- sussurrò, stravolta, alzando lo sguardo e riconoscendo la figura dell’amica dinanzi a sé.

Siria.

Siria si era slogata un polso.

Siria era riuscita a sfilarsi le manette.

Siria era in piedi, libera e terribile come un demone vomitato dall’inferno.

Shaylee riuscì soltanto a fissarla, sconvolta, allibita, stupefatta, inorridita, il corpo che non reagiva dinanzi a quella vista spaventosa e terribile che era la sua amica dai capelli rossi.

L’uomo che aveva aggredito la Naiade si rialzò in piedi, lo sguardo furioso ed animalesco che distorceva il suo volto; ma un sorriso trionfante crebbe repentinamente sul viso della raminga e, nelle sue mani, Shaylee distinse chiaramente qualcosa di grigio e…

-Prendi!- l’esclamazione della ragazza precedette di un solo istante un quel qualcosa di pesante, metallico, che cadde a terra accanto alle sue dita.

Le chiavi.

Siria era riuscita a rubare le chiavi delle manette.

Shay agì senza pensare, obbedendo all’istinto che urlava prepotentemente dentro di lei: armeggiò freneticamente con le manette, le dita che tremavano e riuscendo, finalmente, a liberarsi.

Libera.

Era finalmente… libera.

Le sue orecchie erano piene soltanto del suono prepotente del suo cuore spaventato, i tagli sul viso bruciavano come fuoco… la paura era troppa per capire, per pensare, il terrore urlava disperatamente dentro di lei, annebbiando la sua mente e i suoi pensieri.

Voleva scappare.

C’era soltanto il desiderio di scappare, di correre via, di fuggire da quel luogo di dolore e di paura, dentro di lei.

Peter.

Peter non poteva essere troppo lontano, qualcosa dentro di lei riusciva a sentirlo vicino…

Peter.

Peter avrebbe saputo proteggerla… avrebbe sistemato tutto, l’avrebbe salvata da quell’orrore, non…

-VATTENE! VA VIA, ADESSO!- Shay vide Talia scalciare violentemente contro l’uomo che la tratteneva, facendolo crollare a terra: annaspò, riuscendo a sottrarsi dalla vista degli altri soldati, la terra che sporcava i suoi abiti chiari.

Riuscì a sfuggire dalla luce dei fuochi che illuminavano l’accampamento improvvisato, sparendo nel buio fitto della foresta… in salvo.

Siria distinse con la coda dell’occhio la fuga dell’amica, sentendo qualcosa, dentro di lei, esultare: Shaylee era in salvo, lei era libera e in piedi, un pugnale stretto nel pugno – il fiato corto, affannato, troppo rapido per essere normale.

Usò violenza su se stessa per raccogliere tutte le energie che le restavano, fiondandosi con rabbia addosso al soldato che stava aggredendo Tallie: forse potevano farcela, forse poteva salvare l’amica, forse potevano sopravvivere…

Il coltello rubato all’aggressore di Shaylee fu tremendamente pesante, quando con un gesto il più fulmineo possibile lo lanciò; ma gioì, in cuor suo, quando lo vide piantarsi con precisione nella spalla di quell’uomo.

-Maledetta!- lo sentì ruggire, ma qualcun altro approfittò immediatamente di quell’attimo di distrazione: Talia sferrò un calcio con tutta la forza che possedeva, colpendolo su un fianco e riuscendo ad allontanarlo da sé – ritrovandosi un istante più tardi a terra, esausta.

Erano in troppi

Erano troppi per loro due, ammanettate e ferite, esauste e provate da giorni di tortura.

Ma dovevano, dovevano provare.

Fu Siria a scagliarsi con tutto il suo peso contro Flynch, impedendogli di estrarre la pesante ascia che portava nel fodero e facendolo rovinare a terra, ritrovandosi faccia a faccia con lui quando l’assassino balzò nuovamente in piedi.

La rossa prese fiato, attenta, ogni ferita e ogni livido che pulsava dolorosamente nella sua carne: i soldati, intorno a lei, si radunarono e le strinsero in un cerchio da cui sarebbe stato impossibile fuggire, mentre Angus sorrideva di un ghigno sadico e folle che non prometteva nulla di buono.

Era di fronte a lei, sorpreso da quella reazione che non si sarebbe aspettato, gli occhi che, carichi d’odio, si fissavano sul suo volto contratto.

Non aveva scampo.

Aveva reagito, aveva rialzato la testa, lo aveva sfidato apertamente: Siria sapeva bene che cosa la aspettava, che cosa le sarebbe successo di lì a poco… Angus Flynch non avrebbe lasciato un affronto del genere impunito. Mai.

Ma vide la paura… vide la paura nel volto del suo aguzzino, vide l’allarme che lo animava nel rivederla in piedi, pronta a combattere.

 .

Aveva paura di lei.

La temeva.

Temeva ciò che Siria sarebbe stata capace di fare.

 .

Ma Flynch non sapeva nemmeno quale incendio stava divampando appena sotto alla pelle martoriata della raminga…

-Non hai più tanto coraggio, vero, Flynch?- ansimò la rossa, serrando i pugni, le gambe che tremavano per sorreggerla in piedi: non avrebbe resistito ad uno scontro corpo a corpo con quell’uomo, faticava persino a restare in piedi…

Ma doveva.

Doveva dare il tempo a Talia di liberarsi.

Doveva darle la possibilità di riprendersi, di recuperare la sua immensa forza…

Sentì la mezzelfa armeggiare freneticamente con qualcosa di metallico: ma i suoi occhi erano fissi sul volto crudele e rabbioso di Angus, il suo corpo il più immobile e pronto possibile.

Toglitele. Tallie, veloce! Esortò l’amica, l’ansia e la paura che vibravano violentemente dentro di lei, nelle iridi che sostenevano a fatica lo sguardo animalesco del suo aguzzino.

Ma sentì qualcosa sprofondare dentro di lei, quando il pensiero concitato di Talia risuonò fra i suoi pensieri.

Non sono le stesse chiavi!

Angus riuscì a cogliere il lieve fremito dei suoi occhi, l’occhiata rapidissima che Siria lanciò alle sue spalle.

E sorrise, crudele, vedendo le possibilità di scampo delle due ragazze assottigliarsi rapidamente.

-Vuoi affrontarmi, mercenaria?- la derise, il ghigno folle che si accentuava, lo sguardo malato ed eccitato che aspettava soltanto che l’ennesima violenza avesse inizio.

Ma Siria non avrebbe ceduto.

Siria avrebbe combattuto: fino all’ultimo.

-Se non hai paura di farlo.- fu la sua coraggiosa e sprezzante risposta, il corpo che urlò di dolore quando si costrinse a restare all’erta, in tensione: serrò i pugni per fermarne il fremito, tentò di calmare le ginocchia che vibravano dal dolore, ignorando le fitte che la schiena ed il ventre le lanciavano.

Angus la scrutò irridente, ben conscio di avere già la vittoria – la vita di Siria – completamente in pugno.

-Allora avanti, ragazza. Vediamo se hai quanto fegato quanto dici.- la esortò, deridendola, sfidandola apertamente a muoversi e a colpirlo.

Talia vai via, segui Shaylee, vattene in qualche modo! Il pensiero rapido e allarmato di Siria risuonò nella mente dell’amica: la raminga avrebbe combattuto fino alla fine, ma prima doveva assolutamente mettere in salvo Talia.

Ma la risposta sussurrata ed esausta della mezzelfa, i pensieri annebbiati quanto il suo respiro, furono una pugnalata in piena schiena.

Mi hanno rotto una gamba, Sir…

Siria si voltò di scatto verso l’amica, riuscendo soltanto a distinguere un legaccio serrarsi intorno alla gola della mezzosangue. Fece per fiondarsi verso di lei, gli occhi che inorridivano nel distinguere Talia scalciare e divincolarsi inutilmente, la paura che urlava furiosa dentro di lei…

Ma una mano ispida e forte la colpì alle spalle, facendola rovinare a terra.

Il sapore del terriccio si mischiò ancora una volta a quello del sangue, quando quella stretta forte e terribile si serrò sulla sua gola e la sollevò da terra, fragile ed inerme come un fuscello.

Gli occhi annebbiati dalle lacrime, le mani che graffiavano il braccio di Flynch, Siria riuscì soltanto a distinguere il sorriso crudele del soldato allargarsi sempre più – trionfanti, accesi di una luce folle e omicida che, per quattro giorni, non aveva aspettato altro che quel momento.

-Sei morta.-

 .

 .

 .

Doveva correre.

Doveva muoversi, doveva essere più veloce di quanto non fosse mai stata, doveva fare in modo che non fosse troppo tardi…

Seguì le sue stesse tracce, sentendone l’alone magico che aveva lasciato dietro di sé mentre vi passava accanto, correndo.

Stava percorrendo quello stesso sentiero erboso che gli uomini di Flynch le avevano costrette a intraprendere, lo stesso che – mesi prima – avevano calpestato lei ed i Quattro Re di Narnia.

Trasformata avrebbe impiegato soltanto molto più tempo – e lei di tempo non ne aveva, aveva lasciato le sue amiche laggiù, in balia di quegli esseri che nemmeno meritavano di essere chiamati umani.

Doveva trovare Peter

I rami secchi graffiavano le sue gambe scoperte, le braccia esili, ma non le interessava.

L’unica cosa che desiderava il suo corpo stanco era sprofondare nell’abbraccio del biondo, affondare il viso nel suo petto e lasciarsi stringere con forza, finalmente al sicuro, finalmente dove sapeva di essere protetta, amata…

Peter

Sapeva che non poteva essere lontano.

Lo sapeva in un modo che non sarebbe stata in grado di spiegare nemmeno a se stessa: Peter era nei paraggi, Peter sarebbe comparso di lì a poco, Peter aveva seguito la strada che lei stessa aveva tracciato per lui…

Quasi a rispondere al suo disperato richiamo, Shaylee avvertì una voce bassa, pacata ma vibrante di preoccupazione – la voce di un cacciatore, pensò –, risuonare nella foresta altrimenti troppo silenziosa.

-Sono passate di qua.- una scossa elettrica attraversò il corpo della naiade, quando riconobbe all’istante l’inflessione e l’accento di quelle parole.

Peter!

Fu il suo cuore, improvvisamente martellante nel petto, a spingerla a coprire gli ultimi metri di distanza con la forza della disperazione, gli occhi annebbiati dalla stanchezza che distinguevano soltanto il colore acceso delle torce che illuminavano la foresta.

Quelle, e due occhi azzurri venati d’angoscia che si spalancarono di botto, allibiti, quando lei emerse dal fitto fogliame insidioso.

-Shaylee!- prim’ancora che la ragazza potesse davvero rendersi conto di avercela fatta, di averlo trovato… furono le sue braccia calde a stringerla improvvisamente a sé, a sorreggerla, a serrarla in un abbraccio spaventato che la intrappolò con dolcezza sul suo petto, il volto del giovane repentinamente accostato al suo.

Casa

Dopo giorni di paura, di terrore, di tortura… era finalmente a casa.

Il profumo di Peter era lo stesso che ricordava, che le sembrava di aver assaporato per l’ultima volta secoli addietro.

La consistenza solida del suo torace le era meravigliosamente familiare, la forza che la accoglieva in quella stretta era la stessa che aveva imparato ad amare…

Peter.

Peter era lì, era lì con lei, per lei, era lì e finalmente era al sicuro, era protetta dall’uomo che amava, finalmente non aveva più motivo di avere paura…

Peter era lì.

Aveva seguito il suo richiamo, aveva seguito la sua magia.

Lui e gli altri avevano lasciato l’accampamento e le avevano cercate, erano partiti soltanto in quattro per salvare loro la vita, per riportarle indietro sane e salve…

Peter era lì, caldo e forte a stringerla fra le braccia, e finalmente la paura non aveva più motivo di esistere.

-Peter…- mormorò soltanto, ancora incredula, alzando le esili braccia per cingergli la vita in un tocco fragile, stanco, esausto.

Lui non disse nulla, lo avvertì soltanto scuotere la testa; il suo volto era vicino a quello della ninfa, affondato in quei crini dorati, gli occhi chiusi e l’espressione più sofferente che la naiade avesse mai visto su volto d’uomo.

-Shaylee… stai bene…- riusciva soltanto a sussurrare al suo orecchio, le dita che accarezzavano con una dolcezza densa di terrore i suoi capelli, il suo viso, il suo collo, le labbra che si posavano per un solo istante sulla guancia della ragazza.

Lei annuì, riuscendo non comprese come a sorridergli lieve, accarezzando i crini biondi del suo Re per tentare di tranquillizzarlo.

-Sto bene… sta tranquillo.- mormorò, improvvisamente molto più calma, la sua presenza più che sufficiente a dissipare qualsiasi terrore l’avesse attanagliata fino a un istante prima.

Era stanca, provata, ancora scossa da ciò che avevano tentato di farle: ma era con Peter, adesso, e tutto sarebbe andato a posto.

Ne era sicura.

Soltanto allora, quando Peter sembrava ormai dimentico degli altri, Caspian si schiarì sonoramente la voce, spezzando l’attimo.

-Stai bene?- le chiese, ignorando l’occhiataccia fulminante del Re Supremo e avvicinandosi alla naiade, che intanto aveva sciolto, un poco, la stretta fin troppo salda del biondo.

Ma Peter pareva non volesse lasciarla andare, il suo braccio restava protettivo sulla sua vita, trattenendola il più vicino possibile a lui.

La ninfa annuì, notando solo in quell’istante il volto contratto e preoccupato di Caspian e dei due ragazzi più adulti dietro di lui.

Caleb pareva sull’orlo di un collasso, mentre Aaron ricordava – in un modo impressionante – sua sorella; gelido, freddo, completamente estraniato dal mondo, aveva adottato quella tecnica tanto difficile che caratterizzava Siria nei momenti di panico.

Siria.

Siria che si era slogata un polso per aiutarla, per proteggerla, che non era in grado di combattere.

Talia.

Talia che aveva fatto di tutto per aiutarla, che non era riuscita a liberarsi, che rischiava forse anche più di Siria…

Le sue amiche.

Le sue amiche erano ancora in pericolo.

La sua espressione tornò quasi all’istante contratta, ansiosa, quando rialzò gli occhi spaventati su Peter.

-Shay, calmati, va tutto bene.- le sussurrò lui, notando il terrore in quelle iridi dorate, accarezzandole dolcemente una guancia e costringendola a guardare soltanto lui, in volto.

Ma lei scosse la testa, le guance macchiate di terra rigate da argentei fili di frustrazione.

La veste di Shaylee era lacera; Peter se ne rese conto con sgomento, sfiorando con ansia e preoccupazione i lividi sulla guancia e sull’occhio destro della ragazza, distinguendo nella fitta penombra vividi segni rossi sulle sue spalle e sulle cosce scoperte…

Che cosa le avevano fatto?

-Peter, bisogna fare presto, Siria e Talia…-

-Come stanno?- fu la voce quasi ringhiante di Aaron, borbottata fra i denti, ad interromperla.

Aaron adorava sua sorella, e di riflesso non poteva non voler bene a Talia; se fosse successo qualcosa a due delle donne più importanti della sua vita, sarebbe impazzito.

-Sono vive.- al mercenario, quelle due parole sussurrate bastarono.

 .

 .

Un ennesimo pugno, affondato con forza inaudita in uno stomaco ormai livido.

Siria sentì i muscoli contrarsi per il dolore, ma serrò i denti e gli occhi, impedendosi il grido che saliva con prepotenza dal suo petto.

La stavano massacrando nuovamente, ne era ben conscia; in due la tenevano in piedi, mentre Angus, quel maledetto, era di fronte a lei, le labbra storte in un ghigno malvagio e le mani gonfie di pugni.

A Flynch era parso troppo facile soffocarla, strangolarla: aveva deciso di ucciderla nello stesso modo in cui l’aveva rovinata in quei giorni di tortura, in quelle notti di lunghe agonie che adesso stavano finalmente per giungere al termine.

Avrebbe avuto la vita di quella donna, in un modo o nell’altro.

Sentiva Talia divincolarsi e lottare strenuamente alle sue spalle, costretta dalla crudeltà di quegli uomini a guardarla morire senza poter fare niente: presto sarebbe toccato anche a lei…

-E’ divertente… picchiare una donna… o quel che ne resta?- ansimò Siria, rialzando gli occhi e sfidando apertamente l’animale che aveva davanti, scrutandolo con tutta l’insolenza di cui era capace. Per ogni insolenza, per ogni lampo di rabbia che vedeva nel volto di Angus, strappava un minuto in più di vita per Talia…

-Di te non rimarrà più niente, vedrai!- fu il ruggito dell’uomo come risposta, e il suono di uno schiaffo risuonò in tutta l’angusta radura. Siria avvertì il sapore del sangue sulle labbra, in bocca, lo schiocco preoccupante del proprio collo, il bruciore della pelle.

Bruciore.

Avrebbe potuto bruciare, ardere come una stella e liberarsi di tutti loro. E probabilmente morire, nel tentativo.

Ormai non sentiva più nemmeno il dolore. Un colpo, un altro colpo, un ennesimo colpo, per lei ormai erano solo suoni indistinti che percuotevano il suo corpo e le sue orecchie, lontani dalla sua coscienza.

Stava morendo, lo sapeva.

Sapeva che i suoi organi interni erano stati progressivamente distrutti da quel pestaggio, sapeva che le sue costole rotte avevano forato qualcosa di sicuramente importante: a ogni respiro avvertiva una fitta violenta dalle parti della schiena e un brivido di dolore l’attraversava.

Non ci vedeva nemmeno più. Il sangue le sporcava il volto, il naso spaccato e le labbra le impedivano quasi di respirare, lo zigomo le doleva in un modo insopportabile.

Stava morendo, ne era ben conscia.

Proprio adesso… proprio ora che avevo trovato un motivo per vivere

-Basta. Uccidiamole e andiamo via, prima che arrivi qualcuno. A Miraz porteremo le loro teste.-

Una voce, una condanna.

Tallie

Fallo, Sir. Non abbiamo più nulla da perdere, ormai… almeno possiamo portarceli dietro.

Talia…

Non era riuscita a salvare la sua migliore amica.

Non era riuscita a portare in salvo sua sorella.

La sconfitta riempì repentinamente i suoi pensieri, il suo sapore amaro e cattivo che si mischiava a quello metallico del sangue.

Non c’era più speranza, ormai.

Non era riuscita a salvare Talia.

Aveva fallito.

Avrebbe voluto fare in modo che tornasse da Caleb, che fosse felice… avrebbe voluto salvarla.

Il dolore più grande in quell’istante era sapere che, con lei, sarebbe morta una delle persone che più amava in quella terra dannata.

Talia non lo meritava.

Talia era buona, Talia era fantastica, Talia meritava soltanto di vivere la vita felice che le era sempre stata negata…

Non doveva morire lì

Lei era una creatura dannata, non la sua amica.

Talia non poteva, non poteva morire

-Mi dispiace…- il rantolo di Siria raggiunse le fini orecchie della mezzelfa; ma il dolore era oramai troppo, per riuscire a rispondere, per capire cosa stava succedendo.

Non fa niente… sempre insieme, no? Fino alla fine.

Siria si ritrovò a guardare il terreno, la terra che si mischiava al sangue sul suo viso; ma non avrebbe tenuto lo sguardo lontano, avrebbe guardato il suo assassino negli occhi mentre la uccideva; non sarebbe stata codarda.

Dentro di lei sentiva ribollire la sua dannazione, quel fuoco sempiterno che minacciava da vent’anni di consumarla; se solo l’avessero toccata… appena l’avessero colpita a morte, come si fa con le bestie…

Lei li avrebbe uccisi.

Stava aspettando soltanto quel colpo, quell’ultimo colpo. Sarebbe stato tutto finito, non avrebbe sofferto più… non avrebbe più rivisto Caspian

Il cuore si gonfiò di dolore, la lava incandescente che pulsava appena sotto la pelle.

Caspian.

Non aveva nemmeno potuto dirgli addio…

Angus alzò la sua arma prediletta, la pesante ascia di fattura nanica, pronto a calarla come una scure sulla sua gola esposta e fragile.

Quando quella lama l’avesse toccata… sarebbero morti.

Tutti quanti.

L’inferno si sarebbe scatenato su Narnia, ma la minaccia di ciò che Siria rappresentava sarebbe finalmente scomparsa.

E sarebbe tutto finito.

 .

 .

Siria alzò lo sguardo, gli occhi appannati dal sangue che sgorgava dalle ferite sul suo capo: il colpo tardava ad arrivare, l’agonia pareva prolungarsi sin troppo…

Ma Angus non la stava più guardando, non era più su di lei quello sguardo folle e cattivo.

Sentiva soltanto una serie di urla attutite nelle orecchie, i suoni erano confusi, distanti, non c’era più niente che valesse la pena ascoltare…

Ma improvvisamente una lama d’acciaio lucido si frappose fra lei e l’ascia, una disordinata zazzera di capelli biondo miele si mosse veloce nell’aria; la voce di Flynch lanciò un’imprecazione, il tonfo dell’arma nemica caduta a terra.

Siria dovette sfregarsi gli occhi più volte, incredula, quando attraverso la vista appannata riconobbe il volto di Peter nella persona che…

Che le aveva appena salvato la vita.

-Peter?- decisamente doveva aver preso una brutta botta in testa. Non c’erano altre spiegazioni.

Peter Pevensie era lì, la fidata Rhindon stretta in pugno, gli occhi celesti duri e taglienti quanto la sua spada; il fuoco riverberava appena sui suoi capelli dorati, illuminando la sua figura per intero – figura che mai, mai le era stata tanto cara, che mai era stata così felice di riconoscere.

Peter.

Doveva essere già morta, perché quella non poteva essere una visione reale.

Peter era lì.

Era talmente incredula da non riuscire a muoversi, da non riuscire a parlare…

Peter era lì.

Era arrivato appena in tempo.

Le aveva salvato la vita…

-No, mago Merlino.- il biondo s’inginocchiò accanto alla ragazza, ignorando la furibonda battaglia ingaggiata dai suoi compagni intorno a loro, preoccupato.

Era ridotta male.

Tremava, un fremito violento che la scuoteva completamente; sul volto, troppe ferite gli impedivano di riconoscere la sua amica, il corpetto e i pantaloni laceri, sporchi di terra e di sangue, i polsi lividi ma liberi.

-Sei viva…- mormorò, il sollievo più grande di quanto avesse potuto immaginare, nonostante quella visione fosse quanto di più tremendo avesse mai dovuto sopportare nella sua vita.

Siria era viva… ma che cosa le avevano fatto?

Era viva, ma quanto dolore aveva dovuto subire? Quante percosse, quanta violenza, quanto odio?

Non era giusto… non era giusto vedere quel volto solitamente esotico e affascinante ridotto in quello stato.

-Più o meno…- il sussurro esausto della raminga lo sfiorò appena, il viso della ragazza che si nascondeva fra le braccia, pieno di vergogna.

Peter era lì… quasi non riusciva a crederci.

Era viva.

Talia era viva.

Sua sorella… sua sorella sarebbe sopravvissuta. Sentiva il ruggito furibondo di Caleb sovrastare persino il clangore delle lame, Caleb l’avrebbe protetta, l’avrebbe curata, le sarebbe stato accanto…

Caspian.

Shaylee era al sicuro, Peter doveva averla trovata, era stata sicuramente lei condurli lì…

Caspian.

-Resta qui.- esclamò improvvisamente l’Alto Re, in tono brusco, distinguendo nei suoi occhi – l’unica parte del suo volto che riusciva a riconoscere – una luce che per la prima volta non riuscì a comprendere.

Siria era confusa, lo vedeva chiaramente dal suo volto solitamente attento: era più morta che viva, ma… sembrava preda di un terrore che teneva i suoi occhi accesi, spaventati, immensi come l’oceano in tempesta.

Faticava a parlare, a farsi capire… che cosa le avevano fatto per ridurla così?

Se fosse riuscito a portarla indietro, a portarla dove aveva costretto Shaylee a restare…

-Caspian…-

Peter sgranò gli occhi, allibito, quando il sussurro remoto e atterrito della raminga lo raggiunse e lo gelò sin dentro le ossa.

Caspian.

In quel momento, la mente annebbiata dalla sofferenza e dalla paura, Siria aveva chiamato Caspian.

Aveva chiamato l’uomo che amava, a cui forse non aveva mai smesso di pensare in quei giorni di prigionia: lo aveva chiamato col terrore nella voce, con la paura di chi non ha più niente, di chi ha perso tutto sotto le mani cattive di un aguzzino.

Caspian.

Peter rimase a guardarla soltanto per un istante, incredulo, prima di alzarsi in piedi e voltarsi verso la battaglia che incalzava intorno a lui.

Aaron combatteva poco distante da lui, fianco a fianco con il principe: le loro spade saettavano con una rapidità che Peter non vi aveva mai riconosciuto, i gesti dei due giovani erano esattamente gli stessi, l’uno speculare dell’altro.

Aaron e Caspian colpivano e uccidevano, uccidevano e infierivano, negli occhi l’identica luce di odio che Peter non avrebbe mai voluto distinguervi.

Il Principe pareva trasformato, non sembrava più nemmeno lui: si muoveva con un’agilità pari a quella del rosso, gli abiti scuri che facevano di lui un lampo nero ed inquietante che attaccava e ammazzava senza tregua, senza rimorso.

Il Principe di Telmar, idolo e speranza dei Narniani, in quel momento non sembrava altro che un rapido e inesorabile assassino.

I soldati combattevano bene, nonostante fossero nettamente svantaggiati di fronte a quei due: Aaron combatteva con la rabbia di un fratello, Caspian uccideva con l’odio di un innamorato.

Nessuno, nessuno di quei soldati avrebbe potuto sconfiggere uno di quei due.

Ma ciò che più riuscì a spaventarlo fu Caleb, quando distinse il suono secco e orripilante dell’acciaio che frantumava le ossa e la carne.

Caleb combatteva con un braccio soltanto, l’altro che sorreggeva – stretta contro al suo fianco, minuscola al suo confronto – una Talia tremante e incapace di reggersi in piedi da sola; ma il mercenario non pareva minimamente rallentato da quella presenza, anzi…

Nel suo volto, non c’era più traccia né di giocosità né di allegria: nei tratti improvvisamente duri di Caleb c’era soltanto ira, quell’ira animalesca e violenta che animava le stoccate e gli affondi sferrati con furia del suo pesante spadone.

Metteva paura.

Gli occhi di ghiaccio che uccidevano soltanto con lo sguardo, Caleb metteva paura.

Il ragazzo bonario e amichevole che Peter aveva imparato ad apprezzare non esisteva più. Quell’uomo che combatteva, adesso, era accecato dalla rabbia e dal dolore, era una catastrofe che si abbatteva inesorabile contro coloro che avevano fatto del male alla donna che amava.

-È stato lui…- Peter si voltò di scatto verso Siria, vedendo una mano lacera e sanguinante alzarsi per indicare uno dei soldati che combattevano contro Aaron. -Shay… è stato lui…-

Shaylee.

Il significato delle parole di Siria lo raggiunse immediatamente, cancellando tutto il resto.

Shaylee.

Gli abiti laceri, il volto tumefatto, la pelle lacera e sporca di terra.

Quell’uomo.

Era stato lui.

Shaylee.

Era stato lui a osare.

Era stato lui a toccare la donna che amava.

Era stato lui a provocare quelle ferite.

 .

E Siria, Siria sapeva che Peter avrebbe voluto vendetta.

 .

Lo guardò volgersi verso quell’uomo attraverso la vista sfocata, appannata dal dolore e dalle lacrime; lo sguardo di Peter si era fatto duro, tagliente, pressoché identico alla lama vivida di Rhindon.

Per la prima volta, Siria vide il Re Supremo agire in preda alla collera, il suo solito modo di duellare completamente stravolto: la spada si abbatteva su quella dell’avversario con una violenza spropositata, quasi eccessiva, un ringhio animalesco che saliva in gola al biondo Re.

Agiva con l’odio nel cuore, Peter.

Combatteva con l’astio distruttivo e sconvolgente di un uomo innamorato e pugnalato a morte, di un uomo che aveva visto la violenza subita dalla donna che amava, di un uomo accecato dalla rabbia e dal dolore.

Quell’animale che aveva aggredito Shaylee non poteva avere scampo.

Non ebbe la forza, Siria, di continuare a guardare: era stanca del sangue, era stanca della morte, era stanca dell’odio che guidava le azioni degli uomini… avrebbe voluto piangere, provata e distrutta da tutto quello che stava succedendo dinanzi a lei, dallo scontro sanguinoso che stava vedendo i soldati di Miraz soccombere sotto i colpi tremendi dei suoi amici, di suo fratello, di…

Due occhi neri e angosciati si voltarono a guardarla in quello stesso istante, cercandola per assicurarsi che fosse ancora viva, che non l’avessero toccata ancora.

Caspian.

Caspian stava combattendo per lei… ma non doveva distrarsi, non doveva voltarsi a guardarla, perché Flynch…

Un guizzo argenteo.

-NO!-

Un fiotto di sangue.

 .

Siria riuscì a distinguere soltanto lui.

Lui, che crollò a terra di botto, senza grazia.

Lui, dal viso chiaro macchiato di sangue, la tunica squarciata sul petto.

Caspian.

Non dovette nemmeno pensarci, ragionare, capire che ciò che le stava succedendo era fuori dal suo controllo.

Avvertì soltanto un bruciore stillare dalla sua mente, scendere lungo la schiena e ridare vita e vigore al suo corpo devastato; gli occhi vitrei, vacui, focalizzati sul ragazzo a terra.

Caspian.

 .

-CASPIAN!- Peter udì soltanto l’urlo di Siria, una macchia rossa improvvisamente libera che sfrecciava a una rapidità impressionante verso il cuore di quello scontro all’ultimo sangue.

Non pensò nemmeno, non comprese nemmeno cosa stava succedendo: Aaron abbandonò repentinamente il duello che stava sostenendo, fiondandosi verso la sorella ed il principe a terra, Angus Flynch si scagliò con tutta la sua forza addosso alla ragazza…

-Siria!- esclamò, vedendo le mani livide e tumefatte della ragazza chiudersi sulla spada sfuggita a Caspian; chiunque l’avesse vista, ridotta com’era, non avrebbe mai creduto di poterla veder sollevare senza sforzo quell’arma tanto pesante…

E invece Siria la strinse nel pugno senza alcun fremito, il respiro profondo e rapido, gli occhi lucidi, stanchi, brillanti di una luce omicida che Peter le aveva già visto una volta in volto.

La distinse dissentire appena con la testa, il volto immobile e improvvisamente animalesco.

Faceva paura.

Per la prima volta da tanto tempo Peter sentì lo stomaco contrarsi dal terrore, una terribile fitta d’inquietudine che lo trafiggeva senza possibilità di scampo; Siria metteva paura, in quel momento, più simile ad un demone che ad una donna, l’odio scolpito in ognuno dei tratti martoriati del viso.

Rimase lì, paralizzato dall’orrore, quando quella furia rossa di capelli e di sangue si abbatté sui soldati che ancora combattevano.

Doveva fare una scelta.

Peter si sentì in trappola, quando si rese conto della situazione che lo circondava; Caleb combatteva con una mano soltanto, l’altra che sorreggeva Talia, Aaron che invece tentava di aiutare Caspian ad allontanarsi da lì; Shay era al sicuro fra gli alberi, alle sue spalle, gli occhi terrorizzati e immensi, le labbra schiuse in un muto grido di orrore.

Doveva fare una scelta.

Doveva salvare tutti… doveva salvare chi voleva essere salvato.

Ma Siria, in quell’istante, desiderava soltanto la morte.

-Via!- fu il suo unico ordine, voltandosi, distogliendo lo sguardo dal volto terribile dell’amica, cercando e trovando l’espressione inorridita di Shaylee.

Fu accanto a lei in un istante, notando a malapena intorno a lui i loro compagni allontanarsi con la stessa velocità con cui se n’era andato lui, Aaron sostenere un Caspian sanguinante e quasi privo di sensi.

Passò un braccio intorno alla vita della naiade, sollevandola fra le braccia quando si accorse che Shaylee non riusciva a muoversi, costringendola a forza a non guardare, a distogliere lo sguardo.

Balzò in sella al primo cavallo che riuscì a trovare; Aaron e Caleb lo avevano imitato, il rosso portava con sé il principe quasi incosciente, il biondo stringeva al petto una Talia tremante ma dai polsi finalmente liberi… e lui teneva Shaylee contro di sé, una Shaylee dagli occhi spaventati e immensi, che si aggrappava con forza alla sua tunica di pelle brunita.

Voltò le spalle a quella radura, ignorando che ancora quattro dei soldati fossero ancora vivi.

Non lo sarebbero rimasti per molto.

 .

.

Quegli uomini non ebbero nemmeno il tempo di vederla.

Udirono soltanto un ringhio, videro soltanto una macchia rossa sporcare il loro sguardo, prima che di Siria non restasse soltanto quell’essere.

Il primo cadde prim’ancora di rendersene conto; la ragazza gli fu alle spalle in un attimo, spezzandogli il collo con un gesto secco e terribile del braccio. Gli dedicò soltanto una rapida occhiata di crudele compatimento quando lo schiocco risuonò nell’improvviso silenzio della radura, la spada di Caspian ben stretta in pugno.

Gli occhi blu, vacui, pieni soltanto di quella brama improvvisa di sangue, la precedettero di un istante sul corpo della sua seconda vittima.

La lama penetrò facilmente nel suo petto; era così semplice uccidere, era così facile sentire la debole resistenza della carne contro la lama, vedere la vita spegnersi negli occhi delle loro vittime…

Caspian.

Riusciva soltanto a vedere lui.

Riusciva soltanto a distinguere la lama di Angus Flynch affondare nel suo corpo, in quel corpo che amava, riusciva solo a rendersi conto del sangue che era sgorgato copioso sulla pelle chiara del principe, gli occhi neri sbarrati dal dolore…

Una lacrima scivolò lungo la sua guancia tumefatta, quando la rabbia e il vuoto si fecero ancor più prepotentemente strada nel suo petto.

Caspian.

Era rimasto soltanto lui. Lui, l’uomo che l’aveva torturata. Lui, l’uomo che aveva colpito Caspian.

Era rimasto soltanto Flynch, adesso, disarmato e atterrito dinanzi al mostro che Siria non aveva più motivo di trattenere.

Si godette la sua paura, il suo terrore, il fremito che lo attraversava. Ora, era lui ad avere paura di lei.

-Angus.- sussurrò, piano, la voce ridotta ad un’inquietante carezza.

Flynch arretrò, dinanzi all’espressione ferina ed omicida della ragazza; ma in un lampo fulmineo Siria lo colpì alle gambe, spezzando di netto il femore e facendolo crollare a terra in un urlo di dolore.

Non era più lei la vittima, adesso.

-Avanti, mercenaria, uccidimi. Il tuo principe è già morto, e tu presto lo seguirai.- la beffeggiò, la voce intrisa di odio puro, il ghigno malvagio che non spariva da quel viso distorto dalla crudeltà.

Non meritava altro che la morte, quella bestia, non meritava altro che provare un millesimo del dolore che aveva inferto a lei…

Ma per un istante, per un solo istante, Siria esitò.

A cosa sarebbe servito?

Sarebbe soltanto diventata uguale a lui… sarebbe diventata un’animale esattamente come Flynch, una creatura assetata di sangue e di sofferenza, che brama la morte degli altri e ne trae il godimento che le permette di vivere.

Ma lei… lei era già un mostro.

Lo era da sempre.

-Precedimi.- sussurrò, la vita che spariva definitivamente da quegli occhi blu.

 .

E la lama affilata penetrò senza difficoltà nel cuore di Angus Flynch, uccidendolo senza la minima pietà.

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..

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My Space:

Prima di tutto: ho alzato il rating della storia a ROSSO, per la presenza di queste scene non propriamente leggere che non sono del tutto adatte ai lettori minorenni. Se qualcuno avesse desiderio di seguire comunque la storia, mi contatti privatamente per vedere se si può fare qualcosa: la responsabilità di eventuali problemi non voglio averla, per questo mi sembra più accorto e responsabile evitare la lettura ai minori di diciotto anni.

Allora!!!

Visto che ho aggiornato presto? xD oddio, non so quanto contenta io possa essere, visto che qua sto seriamente rischiando di essere linciata per tutto quel che sto combinando... questa lunga notte di dolore non è ancora finita, non del tutto. Il prossimo capitolo sarà quello conclusivo di questa lunga spannung, e finalmente i nostri prodi cavalieri prenderanno un po' di respiro ^^''''

Vorrei solo sottolineare una cosa: le canzoni che scelgo per i capitoli non sono messe a caso, ma sono scelte con cura e pazienza per rispecchiare l'atmosfera e il significato di ogni capitolo. Mi piacerebbe sapere cosa ne pensate :)

Bueno, ho finito: vado a rimettermi in pari con mail/messaggi/recensioni a cui rispondere (e poi magari inizio a studiare storia ç__________ç qualcuno abolisca la quinta superiore!)

UN'ULTIMA COSA!

Per chi volesse seguire la saga di Rebirth&Co, ossia di questa fanfiction e di quelle che seguiranno, mi potrete trovare qui: http://www.facebook.com/pages/Narnias-R/179945688714928, la pagina ufficiale su Facebook! Enjoy it ;D

Love you all, B <3

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Capitolo 29
*** Sahara. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Sahara – Nightwish

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La spada cadde senza un suono nel terriccio incolto, fra le foglie secche e arrossate dal sangue.

La lama d’argento, solitamente lucida e splendente anche alla fioca luce di una lanterna notturna, non brillava più: era sporca di macchie scarlatte, macchie che rapidamente si stavano rapprendendo, incrostando quella nobile arma di cicatrici che non sarebbero più andate via.

Una mano candida tremò terribilmente, quando unghie spezzate abbandonarono quell’elsa umida e viscida che non riusciva più a tenere in pugno.

Gambe slogate fremettero, improvvisamente incapaci di sostenere il peso di quel corpo repentinamente svuotato di tutto.

Siria si lasciò scivolare a terra, sconvolta, gli occhi blu due immensi laghi azzurri ricolmi di orrore e di tempesta.

Non ce la faceva più

Si abbandonò in quel sottobosco selvaggio e disordinato, incapace persino di capire che cos’era successo: la sua mente era vuota e vacua, soltanto una confusa nebbia opalescente velava i suoi occhi e i suoi pensieri.

Che cos’era successo?

Intorno a lei vedeva soltanto dei morti… vedeva soltanto degli uomini uccisi, una spada abbandonata ad un metro o poco più da lei, il sangue che zampillava caldo e denso da una ferita orrenda nel petto di uno di loro.

La sua vista sfocata mise a fuoco lentamente il volto del cadavere, la smorfia cattiva e crudele che non aveva abbandonato quel ghigno distorto dall’odio.

Angus Flynch

Angus Flynch.

Quell’uomo era Angus Flynch.

Lì per lì Siria non comprese, non riuscì a capire perché stava assistendo ad una carneficina che poteva soltanto essere opera di un mostro…

E poi la verità la colpì con la violenza di una mazzata, spezzandole il respiro e facendo sgranare di terrore i suoi occhi.

Era stata lei.

Si guardò intorno, la testa che si muoveva convulsamente, improvvisamente terrorizzata da ciò che aveva intorno: ma non riusciva a comprendere, non riusciva a capire il perché di tutta quella violenza…

I carnefici.

Erano stati loro… i ricordi tornarono a galla con prepotenza, scuotendola fin nel profondo e riempiendola di un orrore che non aveva eguali in nessun altro meandro della sua mente.

Li aveva uccisi lei…

Era stata lei a raccogliere quella spada, era stata lei a dare libero spazio alla furia distruttrice che covava da sempre dentro di sé: aveva permesso alla sua personale dannazione di riemergere, di prendere possesso di lei per vendicare ciò che era stato fatto a lei e alle sue amiche… ma chi aveva scatenato quel mostro? Chi?

Guardò confusamente la spada abbandonata accanto alle sue ginocchia martoriate… lei la conosceva quella spada, non era la sua Kain ma…

Caspian.

Quella… quella era la spada di Caspian

Siria sgranò violentemente gli occhi, quando la realtà le si rovesciò addosso con la violenza della morte.

 .

Caspian era stato ferito. Da Flynch.

Angus lo aveva ferito. Caspian.

Lei aveva visto tutto… il Principe stava guardando lei, si era distratto, e…

E lei aveva reagito: lei aveva permesso al demonio che portava sempre con sé di salire a galla, di darle la forza di reagire e di uccidere uno ad uno quei soldati che avevano soltanto cercato la morte.

Aveva scatenato l’inferno, in quella radura: e Peter… Peter, Peter Pevensie, le aveva permesso di farlo.

 .

Si ritrovò a tremare con violenza, il corpo che non riusciva più a trovare in se stesso un sostegno valido: scossa dalle convulsioni, cercò soltanto l’appoggio della natura, della madre Terra che aveva il profumo della sua amica Talia.

Si accucciò fra le immense radici di una misericordiosa quercia, serrando contro di sé le ginocchia sudice e martoriate, le lacrime che rigavano silenziose ed argentee le sue guance livide.

E fu di nuovo perduta, perduta forse per sempre.

Di nuovo travolta dai suoi incubi, di nuovo in trappola nel buio che per tanto tempo l’aveva divorata da dentro; dentro, nel profondo della sua anima.

Il mostro avanzava, l’orrore si faceva largo dentro di lei, distruggendo tutto quello che faticosamente era riuscita a rimettere insieme di se stessa. La mangiava dall’interno, il sangue imbrattava la sua pelle candida, azzannandola con la stessa crudezza della morte.

Aveva ucciso.

Quel rosso, quel rosso era ovunque, non le dava scampo…

Ne aveva goduto.

Non lo aveva ucciso in battaglia, non era stato un duello leale. Lo aveva giustiziato.

E le era piaciuto. Quella bestia incancrenita dall’odio aveva ruggito di trionfo nel sentire la vita di quegli uomini spegnersi fra le sue dita, nel sentire il sangue sporcarle le mani, insinuandosi sotto le unghie e mischiandosi con la sua pelle non più così pura.

Era lei quella bestia.

 .

 .

Il sapore del terriccio sulle labbra.

La ghiaia le sfregia le guance, il rosso carminio dei capelli è macchiato di un rosso molto diverso: il suo.

-Ha ucciso!-

-È un’assassina!-

Ha ucciso. Ha tredici anni, e ha le mani macchiate di un sangue che non se ne andrà mai.

S’è difesa, lei. Stavano per ammazzarla come un cane idrofobo, per violare quel corpo di ragazzina impura, per la sola colpa di essere figlia di sua madre; e lei non gliel’ha lasciato fare. Ha voluto vivere.

È una bambina; una bambina a cui hanno portato via l’innocenza.

-Io non…non è vero…- singhiozza, cercando di alzarsi: ma un piede la spinge violentemente di nuovo a terra, il volto nel fango.

Ha paura, Siryn.

Hanno ucciso sua madre. Vogliono uccidere anche lei. Ma lei non ha fatto niente, non ha fatto nulla per scatenare quell’ira… prima di quegli uomini che volevano deturparla, ammazzarla. Prima di dover difendere la propria vita e il proprio corpo, lei era innocente.

L’hanno costretta a uccidere.

Cos’altro avrebbe dovuto fare?

-Lasciate stare mia figlia!- sussulta, Siryn, e se potesse alzerebbe lo sguardo; correrebbe da lui.

-Papà…- suo padre è stato ferito, mentre cercava di proteggere sua madre. È zoppo. Non può difenderla.

Ma ci sta provando. Sta tentando di proteggerla, lei, la sua bambina, la sua piccola Siryn… tutto ciò che gli resta di sua moglie, arsa sul rogo. L’odore della sua carne bruciata intossica ancora l’aria.

Odore di morte.

-È figlia di tua moglie! È un mostro come lei, e lo ha dimostrato uccidendo!-

-Io non…- singhiozza, la ragazzina, le lacrime che le rigano le guance. -Io non sono un mostro…-

-A morte!-

-Al rogo!-

-NO!-

Un sibilo, e poi un altro. Due frecce.

-Papà SALI!-

L’uomo che la bloccava a terra cade: e la ragazzina balza in piedi… incredula, sporca, in lacrime, salva.

Aaron.

Aaron è lì. Aaron ha ucciso. Aaron l’ha salvata.

Il cavallo che suo fratello monta s’impenna, dietro di lui suo padre si aggrappa alle spalle ancora esili del ragazzo. C’è un secondo destriero, è per lei.

E Siryn corre. Corre fra mani crudeli che lottano per farle pagare gli omicidi che ha commesso, la sua colpa.

La sua bestia.

 .

-Stai bene?- le chiede suo fratello, quando sono finalmente al sicuro. Ma lei non risponde, rannicchiata in lacrime contro il tronco di un albero; non starà mai bene, mai più.

Quel giorno, Siryn è morta.

È morta la bambina allegra dalle lunghe trecce rosse: l’hanno uccisa quegli uomini, costringendola a lasciare che la violenza prendesse il sopravvento su di lei.

Le braccia, che strette intorno a lei cercano di trattenere i pezzi di un’innocenza andata in frantumi.

 .

Come adesso. Come quella volta.

Siria si strinse ancora di più contro quell’albero, gli occhi spiritati inchiodati sui corpi delle sue ultime vittime.

Le ultime di tante…

 .

È lei il mostro.

È lei la bestia.

 .

Dov’era Aaron, adesso?

Dov’era suo fratello?

-A-Aaron…- singhiozzò, il corpo scosso da fremiti convulsi ed incontrollabili.

Dov’era Aaron?

Suo fratello le aveva giurato di proteggerla… le aveva giurato che non l’avrebbe abbandonata, di difenderla da se stessa e dal mostro che si portava dentro… e lei si era fidata, chi altri aveva al mondo? Aaron era la sua famiglia, lo amava con tutta se stessa…

E invece, anche Aaron l’aveva abbandonata.

Era quello che si meritava.

Era lì, sola, le mani di nuovo macchiate di un sangue che non era mai riuscita a lavare via.

Sola.

 .

 .

.

-Cornell.- la voce di Peter risuonò straordinariamente pacata, fredda, nel caos notturno nel pieno della foresta. Era la voce di un comandante, di un Re; era la voce di chi si aspettava di essere obbedito.

I soldati avevano seguito i quattro ragazzi lungo il sentiero che la magia di Shaylee aveva loro indicato; e adesso erano poco oltre il fiume, al sicuro in terra narniana, a poco più di un’ora di galoppo dal punto in cui avevano lasciato Siria.

Il centauro si voltò immediatamente verso di lui, il biondo che ancora stringeva fra le braccia una Shaylee in evidente stato di shock: la Naiade si stringeva a lui incurante di ciò che chiunque avesse potuto pensare, il viso immerso nel petto ampio e sicuro di Peter.

-Sì, mio signore.- Cornell annuì, rispettoso, chinando la testa al cospetto dell’Alto Re di Narnia.

-Occupati di tutto, riporta tutti alla Casa di Aslan. Ti lascio il comando.- la ninfa alzò gli occhi su di lui, impaurita, confusa. Non voleva separarsi da Peter, non riusciva nemmeno a pensare di…

-Dove…- cominciò, ma l’espressione dura e determinata di Peter non lasciò spazio a domande.

-Devo tornare indietro. Devo andare a prendere Siria.-

 .

 .

Ripercorrere quella strada, a cavallo, era stato molto più veloce di quanto non fosse stata l’andata. Peter aveva ricordato ogni passo, ogni varco fra gli alberi; e a guidarlo c’era l’ansia, la preoccupazione… c’era la sensazione di aver sbagliato, e di aver lasciato l’amica in mezzo ad un massacro da cui non sapeva se sarebbe uscita indenne.

Ma dovette ricredersi quando raggiunse la radura, il tanfo di morte che ammorbava l’aria.

I soldati erano tutti morti, trucidati senza pietà da una spada che riconobbe come quella di Caspian. Eccola lì, abbandonata sull’erba, macchiata di sangue.

Siria non aveva fallito, ma la notizia non lo rincuorava minimamente. Sapeva che ce l’avrebbe fatta, che sarebbe sopravvissuta… ma a quale prezzo? A quale prezzo le aveva lasciato uccidere quegli uomini, ben conoscendo l’orrore che scatenava in lei l’assassinio?

E la risposta la trovò da solo, nello stesso istante in cui distinse la figura tremante della rossa.

Un prezzo troppo alto.

-Siria…- vederla così era una pugnalata, una pugnalata dritta al cuore.

-Siria!- quel richiamo gli uscì istintivo, angosciato, pieno di una paura del tutto nuova che pulsava dentro di lui; e i piedi si mossero da soli, rapidi, veloci, per correre da lei.

Il cuore gli batteva forte, spaventato; Siria era piena di sangue e tremava, tremava con violenza, accucciata come una bestia ferita fra due grosse radici d’albero e col volto nascosto fra le ginocchia lacere.

Corse da lei, crollando in ginocchio al suo fianco, racchiudendo subito quelle spalle sussultanti e lacere fra le mani.

-Siria, guardami!- esclamò, scuotendola appena, concitato… spaventato, da quella reazione che non si sarebbe mai aspettato da lei.

Ma, quando Siria alzò gli occhi lividi sul suo volto… quando rispose al suo richiamo disperato, guardandolo, Peter sentì contrarsi qualcosa, dentro il suo corpo, qualcosa di terribilmente grande e orribilmente doloroso.

Morti.

I suoi occhi erano morti.

Non c’era vita, in quelle iridi vacue: c’erano soltanto lacrime, paura, terrore… un terrore ancestrale che sarebbe riuscito a trascinarlo in quel baratro dove la rossa era sprofondata, dove tremava del freddo e della paura di una morte che le sporcava indelebilmente le mani di rosso.

C’era paura… paura di se stessa, del sangue che aveva addosso, paura della nera falce che aleggiava sinistra nei suoi occhi spaventati.

-Peter…- rabbrividì, il Re, a quel sussurro atterrito che sfuggì da quelle labbra tumefatte, violacee.

-Sono qui Sir… è finita, sono qui.- le sfiorò appena il volto, passandole un braccio intorno alla vita e stringendola lievemente a sé, sentendola accucciarsi come un cucciolo ferito contro al suo petto.

-Li ho uccisi…- sussurrò la ragazza, piano: e quella confessione lo gelò fin nel profondo, per l’orrore che vibrava in quei fremiti convulsi e terribili che scuotevano la ragazza fra le sue braccia. -A sangue freddo… io… io l-lo volevo…- Siria alzò gli occhi supplichevoli e spaventati su di lui, scongiurandolo di non lasciarla sola, di non lasciarla sprofondare…

Peter sospirò, preoccupato, sfiorandole il volto con delicatezza: era così fredda…

-Sir, basta.- le racchiuse il viso fra le mani, guardandola in quegli immensi occhioni da cerbiatta – occhi che, lo notava solamente ora, somigliavano incredibilmente ai suoi. -È finita. È tutto finito.-

Calde lacrime si mischiarono al sangue, macchiando anche le sue mani; ma lui nemmeno se ne accorse, preoccupato com’era, ansioso com’era per quella creatura sconvolta che tremava contro di lui e sembrava sull’orlo di morire per il terrore.

-Sono un’assassina… lo sono sempre stata…- il rantolo di Siria fu una gelida ammissione, un’orribile consapevolezza che nessuno dei due poteva negare: ma, per quanto inequivocabilmente vera, a Peter non sembrò… giusta. Reale.

Siria non era un’assassina.

Quelle iridi erano troppo limpide per essere quelli di una spietata omicida… e quelle, quelle non erano lacrime di morte, ma di sofferenza.

-No, non lo sei.- sussurrò, scostando i capelli rossi dal volto martoriato e accarezzandole con tutta la dolcezza possibile una guancia, tentando di infonderle almeno un poco di pace.

E quella tranquillità, quella decisione con cui Peter pronunciò quelle pochissime parole… riuscirono a far breccia nel terrore che la riempiva, aprendo uno squarcio nella nera cappa di dolore che l’ammorbava.

Alzò gli occhi per guardarlo, lo sguardo appannato dalle lacrime.

C’era una sicurezza tale in quegli occhi azzurri…

Per la prima volta da giorni Siria si sentì protetta, finalmente lontana dalle grinfie di quegli aguzzini che tanto male avevano fatto a lei e alle sue compagne.

Era al sicuro.

Per la prima volta da troppe ore si rese conto di non essere più in pericolo, di poter respirare davvero; la schiena doleva terribilmente ogni volta che inspirava, ma almeno adesso il sapore dell’aria era dolce, confortante, amico.

Era con Peter.

Peter, che era tornato indietro soltanto per aiutarla, per non abbandonarla in quel calvario di morte e di sangue.

Cercò di prendere fiato, di calmarsi almeno un poco.

Socchiuse gli occhi, respirando a fondo e tentando di concentrarsi su qualcosa che non fosse l’odore del sangue che permeava quella radura; cercò di focalizzare l’attenzione su Peter, sulla sua presenza calda e sicura accanto a lei, sul pensiero che le rimbalzava in testa da quando lo aveva riconosciuto.

Era tornato per lei.

-Va tutto bene, Sir. Sono qui io, con te. È finita.- il biondo le accarezzò la fronte, i capelli macchiati di sangue, senza curarsi delle macchioline scarlatte che sfiorarono la sua pelle bronzea. Ci credeva, ci credeva davvero; non l’avrebbe lasciata sola, non l’avrebbe mai abbandonata in un momento del genere.

Ormai era troppo importante, per lui… era la prima persona, a parte Shaylee, che all’infuori della sua famiglia trovava un posto nel suo cuore.

Fu quasi naturale, in quell’attimo, stringerla a sé con tenerezza, la testa rossa che trovava l’incavo del suo collo dove nascondersi e il respiro che si acquietava lentamente contro il suo petto.

Le passò un braccio intorno alla vita, sentendola fredda e ancora tremante al confronto con la temperatura del suo corpo; la serrò maggiormente contro di sé, a quella consapevolezza, avvertendola cercare il suo calore come una bambina nel buio.

Siria era così fragile… non si era mai accorto di quella debolezza, di quella creatura limpida e pura sotto la cinica maschera che la raminga gli aveva sempre mostrato.

Cominciava a capire il motivo per cui era così semplice affezionarsi a lei… era successo con Lucy, con Edmund, per non parlare di Caspian.

E stava capitando anche a lui.

Era difficile, una volta scorta la ragazza sotto quella scorza, non volerle bene.

Ascoltò per molti attimi il suo respiro farsi via via più calmo, la tensione del suo corpo sciogliersi appena; sapeva che Siria aveva gli occhi chiusi, che stava tentando di ignorare il macello che vigeva intorno a loro.

-…Talia?- fu il sussurro tremante della ragazza, dopo un silenzio durato a lungo, accoccolata nel calore di quell’abbraccio che tanto conforto riusciva a trasmetterle.

Non voleva muoversi, non voleva aprire gli occhi e tornare al mondo; avrebbe soltanto rivisto gli uomini che aveva ucciso… era al sicuro lì, con Peter, fra quelle braccia che la stringevano con tanta sicurezza.

Ma doveva sapere… voleva.

-Sta bene, era già in piedi quando sono andato via.- la rassicurò, sentendola rilassarsi impercettibilmente e sospirare, sollevata. Ma Peter sapeva che c’era un’altra domanda che la ragazza voleva porgli; una domanda che la spaventava, che l’angosciava, ma che aveva terribilmente bisogno di una risposta.

Non riusciva a pronunciare quelle parole… era troppa la paura di scoprire che qualcosa di brutto era successo, che il suo cuore non aveva più motivo di battere.

-Caspian è vivo. C’è Shaylee, con lui.- affermò, sicuro, senza nemmeno dubitare di quale fosse la realtà di cui Siria aveva bisogno.

Sollievo.

La rossa si abbandonò completamente contro di lui, a quelle parole.

Caspian era vivo.

Quel massacro non era stato inutile…

Caspian era vivo, non erano riusciti ad ucciderlo… tutta quella paura, quel maledetto terrore non era stato vano…

Socchiuse gli occhi, serena forse per la prima volta da quando aveva visto la spada lacerare il petto di Caspian.

-Grazie.- sussurrò, dolcemente, stringendosi a lui per la prima volta con sincero affetto: fra le braccia di Peter si sentiva al sicuro, si sentiva protetta… si sentiva a casa.

Rimase in quel rifugio caldo per un’altra manciata d’istanti, prima di sciogliere quella stretta gentile e tentare di sollevarsi sulle gambe ancora frementi: tentare, perché la presa immensamente forte di Peter la trattenne contro di lui, nell’incavo del suo petto.

-Dove credi di andare?- le chiese, sentendola sussultare quando la serrò con più decisione contro di sé.

Non le avrebbe permesso di allontanarsi da lui: non l’avrebbe lasciata andare, non dopo lo spavento che aveva preso a causa di quella maledetta rossa a cui tanto si era ritrovato a voler bene.

-Voglio alzarmi.- rispose lei, attonita, senza comprendere l’atteggiamento del biondo: sembrava non volesse lasciarla andare… e infatti Peter serrò maggiormente le braccia intorno alla sua vita esile, guardandola esattamente come se nessun taglio deturpasse il suo viso, come se nessun livido macchiasse la sue pelle: lo sguardo di Peter Pevensie era lo stesso che le aveva sempre rivolto, quel misto d’ironia e di rispetto che le era diventato, alla svelta, essenziale.

-Ah, no…- Siria non ebbe nemmeno il tempo di replicare: il gesto di Peter fu rapido e sciolto, e in meno di qualche istante si ritrovò sollevata fra quelle braccia sorprendentemente forti, mentre con una mano Peter recuperava agilmente la spada di Caspian.

Si sentì arrossire, gli occhi lividi che si allontanavano dal volto irritantemente tranquillo dell’Alto Re, le dita deboli che si stringevano sulla casacca del biondo: mai, mai come in quel momento si era sentita tanto fragile… fragile come un giunco nella tempesta, come la fiammella di una candela nel turbine più impetuoso.

-Peter, so stare in piedi, cammino da sola!- protestò, tentando di divincolarsi – come una bambina, come una creatura molto diversa da quella che Peter aveva imparato a conoscere: sorrise appena, contrastando la sua lotta senza troppo penare, scoccandole un’occhiata di fuoco che riuscì a zittirla – una buona volta, finalmente.

-Piantala.- le ordinò, pentendosene immediatamente quando la vide rabbuiarsi.

Siria assomigliava così tanto a Lucy, in quel momento…

-Ma mangi, ogni tanto? Sei leggerissima.- le chiese, tentando di evitare che le proprie parole tradissero la tenerezza che quella ragazza gli provocava: il mondo in quel momento non esisteva, il massacro intorno a loro aveva perso d’importanza…

C’erano soltanto loro: due ragazzi, due amici, due combattenti ormai stanchi della guerra e della morte che tentavano disperatamente di ignorare la crudeltà del mondo che li circondava.

Siria distolse lo sguardo, quando Peter salì a cavallo non senza difficoltà, portandola con sé.

Non lo avrebbe mai ammesso, ma… doveva essergli grata, per quell’accortezza. Non era sicura di essere in grado di camminare, in quel momento…

-Non ho mai vissuto in palazzi eleganti, Peter. A volte non si trova da mangiare, in mezzo ad una foresta.- mormorò, nella voce una velata critica che spezzava definitivamente quel momento di serenità che era venuto a crearsi fra loro: sentì qualcosa agitarsi nervosamente dentro di lei, a quella consapevolezza… non voleva tornare al mondo, non voleva tornare al sangue e al dolore che la stavano aspettando al di là di quella foresta.

Voleva soltanto restare lì, a godersi il calore dell’abbraccio di quello che stava cominciando a considerare un fratello.

 .

.

.

Il caos, alla Casa di Aslan, regnava totale.

Shaylee si muoveva rapida, sfrecciando da una parte all’altra degli angusti corridoi scavati nella viva pietra; Lucy tentava di assisterla come poteva, ansiosa, maledicendo fra sé sua sorella e l’osservazione maledettamente sensata che le aveva fatto pochi minuti prima.

La Pozione del Fiore di Fuoco avrebbe potuto curare tutti loro, le ferite lievi di Caleb e Aaron e la gamba rotta di Talia: ma Sue le aveva fatto notare che la pozione sarebbe stata molto utile durante le battaglie, che non erano in pericolo di vita… e Shaylee era una cerusica, iniziata all’arte della medicina e della guarigione da diversi secoli, ormai.

Caleb e Aaron avevano riportato ferite lievi, non gravissime: un paio di tagli, una spalla lussata. La gamba di Tallie si era saldata troppo velocemente, l’osso aveva formato un’angolatura innaturale con il ginocchio… la ninfa, i denti stretti e l’orrore negli occhi, si era vista costretta a spezzarla di nuovo, l’urlo muto di Talia che ridondava terribilmente nella sua mente.

Dopo averla steccata a dovere, aveva disinfettato e ricucito Aaron e Caleb; il biondo non aveva fiatato mentre Shay ripuliva la brutta ferita che solcava la sua fronte, gli occhi ancora distanti e preoccupati mentre guardava una Talia esausta e semi incosciente, dolorante per la gamba nuovamente rotta.

La ninfa non si era fermata un secondo, nemmeno quando un fauno aveva annunciato il ritorno dell’Alto Re e di Siria; non si era fermata, perché tutta la sua preoccupazione si era concentrata sulla ferita profonda che squarciava il petto di Caspian.

La Pozione di Lucy, in quel caso, non sembrava avere effetto: il principe aveva la febbre alta, la ferita non accennava a rimarginarsi… Shaylee deterse ancora una volta quella fronte madida con un panno umido, lanciando un’occhiata ansiosa alle bende già arrossate dal sangue.

Caspian respirava affannosamente, i capelli scuri bagnati di sudore e gli occhi serrati, le labbra strette in una smorfia di sofferenza. I pugni erano contratti, il petto si alzava e si abbassava troppo velocemente…

Avrebbe potuto curarlo, forse… avrebbe potuto attingere a quella magia che sentiva sempre più potente, dentro di lei, avrebbe potuto fare qualcosa per migliorare la situazione… ma sentiva che un’altra energia, un’energia che pulsava immensa e terribile a poca distanza da lei, sarebbe stata in grado d’intervenire.

Vibrava con la stessa intensità delle fiamme, quelle fiamme che, in quella notte di sangue, rischiaravano la foresta sino al cielo.

Caspian era grave… molto.

Forse non sarebbe riuscito a passare la notte, senza un intervento magico… senza quell’energia che pulsava d’ostinazione e paura appena sotto il velo di una pelle martoriata.

Pelle che apparteneva alla donna che in quel momento spalancò la porta della spartana stanzetta di Caspian, seguita da un Peter dall’espressione maledettamente preoccupata.

.

. 

-Lascialo riposare.-

Caspian si mosse appena, mugolando qualcosa d’indefinito, muovendo appena la testa.

Si rese appena conto del freddo che attanagliava il suo petto scoperto, le bende strette macchiate di rosso vicine al cuore, un dolore lancinante che trafiggeva ogni singolo millimetro di pelle lacerata.

Quella era la voce di Shaylee, la riconosceva… ma era lontana, lontana come se la stesse ascoltando attraverso la stoffa piena ed isolante di un cuscino…

-Shay, per favore, ti prego, io non…-

La testa gli doleva terribilmente, gli occhi neri erano chiusi e la fronte fasciata. Non stava bene, sentiva la pelle scottare, probabilmente aveva la febbre… si sentiva morire, anzi, forse la morte sarebbe stata un rimedio più pietoso alla tortura che provava in quel momento, il torace squarciato, la carne viva che pulsava sotto la stoffa macchiata delle bende.

Avvertì altre parole, altri discorsi che non riuscì a cogliere, la pelle che bruciava e i pensieri sempre più confusi, deliranti.

-Vai.-

Peter…

Peter, che prendeva le difese di Siria?

Stava delirando, non vi era altra spiegazione possibile. La febbre era più alta anche di quanto si sentiva addosso… era perso in un sogno, in un desiderio, nell’immaginare un tocco caldo e delicato che improvvisamente lo sfiorava sulla guancia.

-Caspian…-

Eppure la sentiva così vera, accanto a sé… piangeva, lo avvertiva nella sua voce tremante, nel tocco insicuro delle sue dita.

Siria, perché piangi?

Non poteva nemmeno immaginarli quei due occhioni blu pieni di lacrime, spaventati, terrorizzati… perché, poi? Per lui? Ma lui stava bene, era vivo…

-Siria…- soltanto mormorare il suo nome, in quell’istante, gli costò un prezzo altissimo. Una terribile vertigine lo travolse, facendo serrare di scatto i suoi pugni – ma sentì qualcosa di soffice nella mano sinistra, mentre dita affusolate accarezzavano tremanti la sua fronte bruciante.

-Stai buono… non agitarti, sono qui.- gli sussurrò, e sì, era davvero Siria, era davvero accanto a lui, gli accarezzava il volto e gli teneva la mano, dolce come non mai, in lacrime, spaventata…

Siria.

Ricordava soltanto di averla vista… in trappola, dopo una lunga tortura che aveva osato rovinare il suo bellissimo viso, il suo corpo, gli occhi blu tumefatti e spaventati… aveva combattuto per salvarla, e poi… quell’uomo, quel soldato…

Serrò gli occhi, quando quel ricordo, il dolore, si fece più forte.

Siria lo guardò agitarsi appena, muovere la testa, il volto imperlato di sudore, la stretta nella sua mano più salda che mai. Le palpebre erano strette, dalle labbra sfuggivano parole senza senso, il petto si alzava e s’abbassava veloce, in scarti diseguali, irregolari.

-Sir…- la rossa si voltò di scatto, ansiosa, verso la Naiade: Shaylee si stava torcendo le mani, i suoi occhi erano lontani, angosciati, le labbra tormentate dai piccoli denti bianchi.

-Dimmi che puoi fare qualcosa.- esordì, una nota di panico nella voce: panico che aumentò non appena distinse l’espressione sconfitta di Shaylee, e i suoi pensieri chiudersi repentinamente a lei.

-Siria…- cominciò la ninfa, senza guardarla, sconfitta.

-Shaylee, ti scongiuro, dimmi che puoi fare qualcosa…- la voce di Siria si ridusse ad un sussurro disperato, ad una preghiera – uno scongiuro che Siria non aveva mai pronunciato, perché lei non avrebbe mai implorato nessuno, non avrebbe mai rinunciato tanto a se stessa per…

Per Caspian?

Shay alzò lo sguardo, stupita da quelle parole e dalla determinazione nelle iridi dell’amica: Siria era pronta a qualsiasi cosa, per il principe… qualsiasi cosa.

-Io no, ma… tu sì.- mormorò, piano, sostenendo finalmente gli occhi improvvisamente terrorizzati della raminga.

-Io?- quasi non credette alle parole della ninfa, Siria.

Lei?

Come avrebbe potuto, lei?

Era soltanto… lei era solo…

Siria avvertì i propri pensieri incespicare, disperdersi, mentre la consapevolezza di ciò che Shaylee aveva appena detto le entrava dentro – con la violenza di una pugnalata in pieno petto.

-Ma io non… non ne sono in grado, non sono capace, non… non è buona la mia magia…- sussurrò, piano, stringendo i pugni tanto da arrivare a far sanguinare i palmi.

Era la prima volta che Siria ammetteva ad alta voce di non essere umana, di non appartenere alla razza di Caspian e degli altri; si ritrovò ad abbassare lo sguardo, vergognandosi di sé e di ciò che non poteva rinunciare ad essere – vergognandosi di essere un mostro, una creatura creata solo per fare del male.

-Eppure ti ha curata.- le fece notare la Naiade, accennando alla sua figura: dopo tutto ciò che aveva passato, la rossa non avrebbe dovuto essere in piedi… e invece, quando aveva visto cadere Caspian, qualcosa dentro di lei era scattato.

Qualcosa di oscuro si era acceso nel suo cuore, ridando vigore alle sue gambe e al suo odio.

Non era riuscita a guarire, a cancellare ciò che deturpava il suo viso e il suo corpo; ma quella forza ancora la teneva in piedi, la sosteneva nel sopportare il dolore immane che avrebbe dovuto provare – e che invece, in quel momento, non sentiva.

-Con la forza dell’odio, sì. Come una maledetta.- mormorò, atona, tornando a guardare il volto di Caspian: il suo principe stava morendo, lo sapeva… e lei non poteva fare niente, per salvarlo. -Shaylee…- iniziò, incerta persino su come continuare, conscia soltanto di non essere in grado di poterlo aiutare.

-Siria, tu puoi farlo. Io lo so.- la voce di Shay le giunse incorporea, lontana, le iridi che non si separavano dal viso di Caspian. -Io mi fido di te.-

Si voltò di scatto, Siria, a quelle parole.

Si fidava di lei?

Come poteva fidarsi di lei, Shaylee? La ninfa aveva visto chiaramente quanto grande e quanto distruttiva potesse diventare, quanto terribile fosse il mostro che si trascinava dietro da una vita intera…

-Io…- non riuscì a sostenere lo sguardo sicuro dell’amica, il coraggio che tentava di infonderle con quelle dannatamente espressive iridi dorate. -Io sono fatta per fare del male, Shaylee…-

Fu un’ammissione difficile, da fare.

Fu difficile, e orribile, ammettere che lei non era nata per qualcosa di buono, per una vita normale e serena, per un’esistenza tranquilla e felice.

Lei era un mostro, e come tale era destinata a vivere.

E a morire.

La mano piccola della naiade si chiuse su quelle livide e rovinate di Siria, fermandone il fremito spaventato.

-Non è vero.- le assicurò, piano, sentendo qualcosa agitarsi dentro di lei quando le iridi piene di supplica dell’amica si voltarono di nuovo a guardarla.

-Io non… non so come fare…- Siria sentì le gambe minacciare di cedere sotto il peso di quella responsabilità, sotto lo sgravo che il terrore stava scavando dentro di lei…

E se avesse sbagliato?

E se gli avesse fatto del male?

Non avrebbe saputo tollerare… non avrebbe potuto sopportare l’idea di aver fatto del male a Caspian.

Sentì calde lacrime di frustrazione rigarle le guance, mischiarsi al sangue che non era nemmeno riuscita a lavare via dal suo volto; ignorò il fastidioso pizzicore di quelle gocce salate sulle ferite ancora aperte, accarezzando con dolcezza la fronte madida di sudore del suo principe.

Caspian gemeva piano, incosciente, tormentato da quella febbre che sentiva ardere sotto le dita sussultanti.

Aveva bisogno di lei…

Ma come poteva agire, come poteva sapere come comportarsi se ciò che aveva dentro non aveva mai fatto altro che distruggere, nella sua vita?

Era una creatura del male… questo aveva imparato, questo la maledizione che gravava sulle sue spalle l’aveva convinta di essere.

Ma Caspian… Caspian si sarebbe fidato di lei…

I suoi occhi arrossati sfiorarono i lineamenti contratti del ragazzo, seguendoli con ansia sempre più grande, la paura che permeava il suo stesso respiro. Scostò i riccioli madidi rimasti incollati alla pelle sudata, l’altra mano che sfiorava tremante le bende umide di sangue che fasciavano il petto di Caspian.

Era caldo… era così maledettamente caldo, il suo corpo, il punto in cui la ferita s’immergeva nella carne ancor più profondamente era bollente quasi quanto il fuoco delle torce che ardevano a pochi metri da Siria.

Le sentiva scoppiettare, la raminga, nel silenzio assoluto rotto soltanto dai singhiozzi che percuotevano crudelmente il suo corpo stremato.

Poteva avvertire l’odore del legno che bruciava lentamente, dell’olio che fungeva da combustibile… poteva sentire la consistenza di quei ciocchi d’albero mentre si sgretolavano e mutavano in cenere, sotto i morsi saldi e voraci delle fiamme.

Poteva sentire il bisogno del fuoco di ardere, di trovare qualcosa da bruciare per non morire lui stesso.

Sussultò, allibita, quando quella sensazione del tutto nuova rimbombò dentro di lei.

Poteva sentire la forza delle fiamme, il loro bisogno di vivere e innalzarsi nell’aria, bruciando tutto ciò che incontravano sulla loro strada.

Vacillò, Siria, sotto l’improvvisa consapevolezza di riuscire ad ascoltare quel fuoco maledetto.

Parte di lei avrebbe voluto scappare, allontanarsi, fuggire… parte di lei aveva il terrore di non essere abbastanza forte, di fallire, di perdere il controllo e arrivare a fare del male a Caspian…

Ma l’altra… l’altra rimase affascinata, da quella voce.

La voce di quelle fiamme la chiamava a sé con tenerezza, attirandola verso ciò che aveva sempre rinnegato, ripudiato, allontanato da sé con terrore e disprezzo.

Ma lei… lei apparteneva a quel fuoco, apparteneva a quell’elemento come mai si era sentita parte di qualcosa.

Corde mai scoperte, dentro di lei, vibravano della stessa armonia di ogni singolo scoppiettio: era come una musica, una melodia scandita dalle lingue di fiamme che bruciavano il legno imbevuto d’olio, danzando dentro di lei.

 .

Non avere paura, Siryn.

 .

Siria si ritrovò a tremare, lacrime silenziose che rigavano il suo viso: quella voce le era terribilmente familiare, sebbene fossero passati tanti anni dall’ultima volta che aveva avuto la possibilità di udirla… quella voce non era la stessa che la spingeva sulla strada dell’odio, del rancore e della vendetta, quella voce era calda, morbida…

Quella… quella era la voce di sua madre.

 .

Andrà tutto bene, bambina. Devi soltanto avere fiducia in te.

 .

Sentì il cuore scoppiare, Siria, quando la dolcezza di quel fuoco fatuo la sfiorò con una carezza lontana, impercettibile.

Sentiva la presenza di un’anima, di una creatura figlia di quello stesso fuoco che ballava suadente nel suo petto, in quelle lingue infiammate; un’anima che aveva avuto un nome ed un corpo, un’anima che quei roghi avevano portato via con sé… prendendola con loro, dandole nuova vita e nuova esistenza.

 .

Io non… io… mamma

 .

Siria sentì calde lacrime bagnarle il viso tumefatto, le palpebre socchiuse da cui sfuggivano scintille scarlatte: la presenza calda e concreta di sua madre colmava quel vuoto che non era mai riuscita a cancellare, ad ignorare dentro di sé… quel vuoto immenso che solo la morte poteva causare, un vuoto che, per Siria, era sempre stato tremendamente presente.

Sua madre

Sua madre era lì, fra quelle fiamme che sprigionavano sicurezza e calore.

Sua madre era lì, e quella magia non poteva essere sbagliata, non poteva essere un errore

 .

Salvalo, bambina mia. Salvalo, amalo come mai sinora.

 .

Non c’era più paura… per un istante, per un solo istante Siria avrebbe voluto ridere, sentendo il cuore esplodere di quelle fiamme che troppo a lungo aveva trattenuto dentro di sé, relegate in un anfratto buio e oscuro della sua anima.

Non c’era nulla di sbagliato

Non poteva esserci nulla di sbagliato nella sensazione che stava provando, nel crepitio che avvertiva appena al di sotto del velo candido della sua pelle: sapeva di essere al posto giusto, nel momento giusto, forse per la prima volta nella sua vita non temeva quel fuoco che aveva sempre temuto potesse dilaniarla…

Caspian.

Il nome del principe rimbombò prepotente fra i suoi pensieri.

Caspian.

Siria spalancò gli occhi, di botto, senza preavviso, rosse scintille che s’impigliavano nelle folte ciglia scure; le iridi solitamente di zaffiro ardevano di un fondo cupo, scarlatto – la fenice impaziente agitava le ali imbrigliate, stanca di non poter volare.

Fra le dita sentiva snodarsi un invisibile lingua di fuoco che brillava soltanto ai suoi occhi, sfuggendo il suo sguardo ma accarezzandole la pelle, trasmettendole il suo calore e sanando i piccoli taglietti sulle nocche e sulle falangine.

Il fuoco distruggeva… il fuoco distruggeva e poi creava, nascendo dalla desolazione e dalla morte.

Il fuoco… il fuoco era ovunque, adesso.

Ardeva ai limiti del suo campo visivo, scacciando la stanchezza ed il dolore che minacciavano di sopraffarla da un istante all’altro: ardeva e le dava la forza di apporre le dita tremanti accanto alla ferita di Caspian, sentendo per la prima volta la pelle del principe più fredda della sua.

Lo stava facendo soltanto per lui

Il crepitio dentro e fuori di lei era alimentato soltanto dalla paura, dal terrore di perderlo.

Avrebbe fatto qualsiasi cosa, per salvarlo

Persino accettare se stessa, persino dare libero sfogo a quella parte di sé che aveva sempre celato, nascosto, odiato… avrebbe fatto tutto, per salvargli la vita.

Tutto.

 .

E allora fallo, Siryn.

Salvalo, riportalo indietro: riportalo da te.

 .

E Siria semplicemente obbedì a quel sussurro dolce e rassicurante, lasciando che la stessa fiamma che languiva calda e densa dentro di lei scivolasse fra le sue dita, sfiorando la ferita bruciante sul petto del principe.

Lei poteva…

Lei poteva vedere.

Lei poteva sentire.

Poteva scorgere le scintille dorate che scoppiettavano fra le ferite che martoriavano la pelle delle sue mani… poteva vederle scivolare sapienti fra le bende inzuppate di sangue che fasciavano il torace snello di Caspian, immergendosi nelle ferite del ragazzo e scendendo a sanare la carne lacerata dalla lama crudele della spada.

Rabbrividì, la ragazza, quando avvertì la sua stessa energia fluire prepotentemente dal suo corpo a quello del principe: le gambe cominciarono a tremare, le ferite lentamente ripresero a tormentarla, i danni interni che ricominciavano a farsi sentire. Serrò le palpebre, la fronte imperlata di sudore e le labbra livide, il sangue che minacciava di fermarsi dal suo naturale corso dentro di lei.

Non poteva farcela

Sarebbe morta, nel farlo.

Sarebbe morta, non sarebbe riuscita a sopravvivere a quel salasso a cui la magia la stava sottoponendo…

Ma sentiva, sapeva che avrebbe funzionato.

Forse lei non ce l’avrebbe fatta… ma non avrebbe fallito.

Sentiva le fiamme scendere a bruciare e distruggere, distruggere e ricostruire quel cuore che Caspian aveva deciso di donare a lei.

Sarebbe guarito… per un istante, per un solo istante, avvertì nel corpo stanco lo stesso battito che riprese violentemente a pulsare nel petto dell’uomo che amava.

 .

Lo sentiva pulsare.

Forte, caldo, vivo, lei lo sentiva battere.

Lo sentiva vivo.

Ascoltava il battito finalmente chiaro e limpido del cuore di Caspian, il sangue che riprendeva a scorrere prepotente e fluido nel suo corpo altrimenti stremato: la riempiva e la completava come mai, quel suono che tante volte aveva ascoltato, di notte, che tante volte aveva percepito sulle sue labbra.

Quel ritmico pulsare arse dentro di lei, accordando il corso di due cuori che vivevano l’uno dell’altro.

 .

Fu quel pensiero, quella parola, quella consapevolezza, a darle la forza di prosciugare completamente se stessa.

Vide e percepì scemare da sé le fiamme nello stesso istante in cui seppe che le ferite di Caspian erano completamente guarite: sentì le gambe crollare, gli occhi che si abbandonavano nell’oscurità che aveva pizzicato agli angoli del suo campo visivo per tutto il tempo, la stanchezza ed il dolore che prendevano il sopravvento sul suo fisico provato.

Ma, mentre crollava nel fitto buio che aveva minacciato sino a quel momento di ghermirla, Siria avvertì ancora una volta spalancarsi quella voragine – quel burrone cupo e malvagio che tentava, ogni volta, di trascinarla con sé.

 .

Non illuderti, Siria.

Tu sei mia.

 .

 .

 .

 .

 .

-Peter!- nessuno, forse, avrebbe mai visto quella precisa espressione sul volto del Re Supremo, in seguito. Nessuno avrebbe mai potuto raccontare del puro terrore apparso sul volto del biondo, al suono angosciato e terribilmente ansioso della voce di Shaylee, che lo chiamava.

Nessuno, avrebbe mai raccontato della fitta di terrore che attraversò il suo petto in quell'istante, cancellando il colore dalle sue guance bronzee.

Peter si fiondò nella stanza alla velocità massima che i suoi piedi gli consentirono: aveva paura, nemmeno lui sapeva perché… aveva paura di scoprire che qualcosa d’irreparabile era appena successo.

Ma, quando irruppe poco gentilmente nell’angusta stanzetta dove Shay aveva fatto portare il principe, rimase attonito davanti ad una scena che non si sarebbe mai aspettato.

Siria.

Siria era abbandonata contro al giaciglio di Caspian, priva di sensi e di qualsiasi colore sulle guance completamente candide. Ogni singolo taglio, livido, ferita, risaltava con orribile freddezza su quel foglio bianco che era la sua pelle, il suo corpo martoriato una cruenta maschera di violenza e dolore.

Pareva non respirare.

Pareva non essere viva.

La testa ramata ciondolava sulla spalla, immobile. L'espressione era esausta, stanca, era l'espressione di chi ha smesso di lottare, di chi si è lasciato andare all'oblio...

-Siria!- Peter non si accorse del terrore che venava la sua voce; non si accorse del cuore che bruscamente pareva incrinarsi, della bolla nera che pareva risucchiare il suo respiro.

Si fiondò semplicemente accanto all'amica, senza il coraggio di sfiorarla, perché la pelle candida pareva così maledettamente fredda...

-Cos'è successo?- ripeté, quasi in un sussurro, rivolgendosi a Shaylee con qualcosa di terribilmente implorante nelle iridi azzurre.

Ma la naiade, non per la prima volta, parve sorda alle sue parole, alla sua richiesta: si avvicinò con dolcezza all’amica, senza guardarlo, sfiorandole il viso e sospirando di sollievo, quando avvertì il respiro flebile, ma presente, della rossa.

-Aiutami, per favore. La portiamo di là.- sussurrò, pianissimo, rivolgendosi al biondo; biondo che non esitò nemmeno per un istante, sollevando il corpo esile e provato della raminga fra le braccia, sentendo nuovamente qualcosa incrinarsi quando si rese conto di quanto Siria fosse leggera.

Seguì Shaylee sino ad una camera attigua a quella del principe, dove non c’erano altro che un giaciglio ed un piccolo mobile intagliato nel legno grezzo. Fu su quel parco letto che posò il corpo dell’amica, facendosi immediatamente da parte quando Shay estrasse dalla sua bisaccia la boccetta di cristallo di Lucy.

Fu soltanto una goccia quella con cui bagnò le labbra dell’amica, una soltanto: ma, con sgomento di Peter, Siria non diede il minimo segno di miglioramento.

Fece per chiedere qualcosa, per intervenire, ma Shay alzò sbrigativamente una mano e lo zittì di scatto: la guardò apporre le mani ad un soffio dal corpetto lacero di Siria, un riflesso dorato che riverberava fra le sue dita sottili e tremanti… sentendo qualcosa agitarsi nello stomaco, Peter si rese conto che la magia della Naiade era cresciuta, che Shay stava imparando a gestirla e controllarla come non aveva mai fatto sino a quel momento.

Non aveva mai assistito ad una scena simile, mai: non aveva mai incontrato, nei suoi anni a Narnia, un guaritore in grado di controllare tanto bene un incantesimo di quella portata…

Li chiamavano pranoterapeuti, maghi, cerusici: ma Peter aveva sempre saputo che la loro era una magia legata alla Natura, agli Elementi che la governavano e che ne facevano parte, che si animavano per ubbidire agli ordini dei pochi in grado di ascoltarli.

Improvvisamente, la vide barcollare.

Non pensò nemmeno, non si rese nemmeno conto di essersi mosso: seppe soltanto di aver reagito, di aver scorto la debolezza nel corpo di Shaylee e di essersi repentinamente accostato a lei, accogliendola sul petto e sostenendo quelle gambe sottili un istante prima che cedessero.

-Ehi.- Shay socchiuse gli occhi, grata, sentendosi sostenere dalle braccia calde e sicure di Peter; lì era a casa, lì era al sicuro, lì era finalmente nel luogo dove nulla di brutto poteva accadere.

Era con lui, con Peter, e niente era più importante di questo.

-Sto bene… sto bene, davvero.- mormorò, ma non protestò quando la stretta del biondo si fece più intensa, più protettiva: si permise finalmente di perdersi nel buio delle sue stesse iridi, aggrappandosi debolmente alla tunica dell’Alto Re e lasciandosi sfuggire un brivido, il fisico esile che tremava sotto il peso delle ferite e della magia.

Era provata, Shaylee, più pallida di quanto Peter non l’avesse mai vista: il livido sullo zigomo pareva ancora più evidente, i tagli arrossati sulla sua pelle spiccavano in un contrasto che a Peter non piaceva per nulla, .

Non aveva nemmeno cambiato la tunica lacera che indossava ancora, limitandosi a strappare il pezzo di stoffa a brandelli per potersi muovere più liberamente, le gambe tornite che recavano ancora i vividi segni di mani che non avrebbero mai dovuto osare toccarla.

-Non mi sembra.- commentò, una nota d’ansia nella voce, stringendola con più forza contro di sé: il pensiero che le avessero fatto del male, che mani indegne l’avessero toccata e sporcata… un lampo scuro attraversò repentino i suoi occhi, oscurandoli di un odio che non sarebbe facilmente sparito dalla sua mente e dai suoi ricordi.

-Sono solo molto stanca ma… starà bene, staranno bene tutti.- Shay non si era accorta di quell’istante, di quell’attimo di cupezza e di rabbia che aveva preso, per qualche attimo, il sopravvento sul volto di Peter.

Si voltò verso Siria, che riposava immobile e pallida a poco più di un metro da loro, preoccupata.

Forse non avrebbe dovuto spingerla a farlo

-Che cos’è successo?- la domanda del Supremo Re la fece sobbalzare, le iridi che sgranavano ed il cuore che perdeva qualche battito: alzò lo sguardo su di lui, improvvisamente ansiosa, l’angoscia che si animava prepotentemente dentro di lei.

Doveva proteggere quel segreto.

Doveva proteggere Siria e ciò che aveva fatto, l'atto di amore che aveva appena compiuto – che aveva rischiato di ucciderla, per di più...

Doveva mentire a Peter.

Per quanto detestasse l'idea doveva mentirgli, e proteggere quel segreto che il Re non doveva, non doveva sapere.

-Siria…- cominciò, sciogliendosi dall’abbraccio del biondo e volgendosi verso la propria bisaccia posata sul grezzo mobiletto, fingendo di cercare qualcosa.

Non era brava a mentire, non le piaceva, non faceva per lei… eppure era la cosa giusta da fare, ne era conscia, perché se Peter avesse saputo la verità Siria non sarebbe uscita viva dalla Cripta di Aslan.

Era terribile, quel pensiero: Peter si era affezionato a Siria, si erano avvicinati molto nell’ultimo periodo, si fidava di lei… ma se avesse saputo, se fosse venuto a conoscenza della vera natura di quella ragazza, Shaylee sapeva che il Supremo Re di Narnia non avrebbe avuto tentennamenti.

-Siria ha salvato la vita di Caspian.- affermò, sospirando, le parole che tremavano lievemente fra le sue labbra. -Io non… non sono riuscita a fare niente, ero stanca…- si ritrovò a balbettare, improvvisamente incapace di continuare a parlare: si odiò, in quell’istante, per la menzogna che stava pronunciando proprio davanti all’unica persona a cui non avrebbe mai voluto nascondere nulla.

Prese di nuovo fiato, gli occhi concentrati intensamente sulla cucitura che univa i lembi di pelle della sua borsa.

-Io e Siria siamo legate, questo lo sai; è stata la sua forza a salvargli la vita.- affermò, la voce più sicura, il cuore che si tormentava per l’empietà che stava compiendo – sì, empietà.

Per una ninfa, per una Naiade, per lei, mentire equivaleva a compiere uno spergiuro dei più terribili e cruenti.

-Starà bene? Siria… starà bene?- la voce di Peter la raggiunse stranamente incolore, lontana.

Non sapeva cosa fare.

Non era riuscito a prevedere nulla, a salvare nessuno.

Shaylee recava ancora le ferite che i soldati di Miraz le avevano inferto, ferite che bruciavano i suoi occhi come lava incandescente.

Siria era priva di sensi, a pezzi, devastata da quella lunga tortura e da quell’ultimo sacrificio che aveva compiuto per Caspian – ed era riuscita a salvarlo, si disse, guardando il moro dormire molto più tranquillamente, gli occhi placidamente chiusi e il colorito molto più sano di pochi minuti prima.

Era stata capace anche di quello.

Aveva protetto Shaylee e Talia, aveva impedito che facessero del male alla sua naiade; aveva avuto la forza di non arrendersi, di rialzarsi e combattere quando Caspian era stato ferito… ed era riuscita anche a salvarlo, pagando un prezzo terribile e consumando quel poco che le era rimasto di sé.

Si era comportata come un eroe, come un eroe che lui non sarebbe mai stato.

-Ci vorrà del tempo… la pozione del Fiore di Fuoco le ha salvato la vita, ma per guarire impiegherà diverse settimane…- le parole di Shay s’incrinarono su quelle ultime sillabe, gli occhi che pizzicavano di lacrime che non riusciva più a trattenere: era stanca, Shaylee, era stanca di quel mondo crudele, era stanca di vedere le persone che amava soffrire a causa di un popolo crudele come la gente di Telmar…

Non si sarebbe mai perdonata, mai.

Non avrebbe mai perdonato la sua debolezza, l’urlo che si era lasciata sfuggire in preda al panico: aveva costretto la sua amica a reagire, a farsi volutamente del male per proteggerla… aveva chiesto aiuto, un aiuto che aveva fatto precipitare la situazione, che aveva portato le sue compagne di vita sull’orlo della morte.

Non si sarebbe mai perdonata.

Mai.

-Shay. Shaylee.- la voce di Peter la riscosse da quei pensieri, dalle lacrime che silenziose rigavano il suo viso esausto e bellissimo: le cancellò in fretta, tentando di nascondere l’angoscia e la paura che ancora provava.

Ma sussultò, colta di sorpresa, quando voltandosi ritrovò il volto di Peter a poco più di una manciata dal suo.

-Sei esausta. Hai dato anche l’anima, adesso basta così.- le disse, piano, accarezzandole i capelli provvidenzialmente raccolti in una coda di fortuna; mille ciocche sottili ricadevano intorno al suo visetto dolce, stanco, ciocche che le sue dita raccolsero dolcemente dietro l’orecchio.

Socchiuse gli occhi, Shay, a quel tocco delicato e morbido che credeva di aver dimenticato: non avrebbe dovuto dargli retta, lei doveva occuparsi di Siria adesso, doveva restarle accanto, aveva bisogno delle sue cure…

-Ma io non…- provò a protestare, debolmente, quel pianto frustrato ed impotente che minacciava ancora di sopraffarla: non avrebbe resistito un istante di più in quella stanza, non avrebbe sopportato ancora di vedere quelle ferite a cui Siria non aveva reagito – per aiutarla, per proteggere lei e Talia.

-Shaylee, esci da qui.- l’ordine perentorio di Peter, pronunciato in quel tono inflessibile che Shay gli aveva sentito utilizzare più di una volta, arrivò quanto mai grato ai suoi pensieri e alle sue orecchie: alla fine lei era una creatura di Narnia, doveva ubbidire al suo Re… un Re che le stava dando la possibilità di allontanarsi da lì, che voleva proteggerla, che l’amava al punto di…

Prese fiato, sfiorando quel viso amato in punta di dita, gli occhi dorati pieni di gratitudine e di lacrime.

-…d’accordo.-

 

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My Space:

Buongiorno!

Si, lo so, come sempre sono in un ritardo mostruoso ad aggiornare. Vi chiedo perdono, sono un disastro e la vita mi risucchia sempre più facilmente via, sempre più lontano. Però dai, mi faccio perdonare, i capitoli sono sempre decentemente lunghi :)

Allora, in questo capitolo ci sono un paio di parti di cui vorrei parlare un attimino:

- il flashback di Siria. Ecco, questa parte mi è molto cara, nemmeno io so bene il perché: è una parte che ho sentito molto, mentre scrivevo, che mi ha strappato una lacrima e sicuramente mi ha messo addosso tantissima angoscia. E' il passato di Siria, quello, è ciò che le hanno fatto, è ciò che l'ha fatta diventare quello che era: Siryn, il nome che sua madre le aveva dato, scompare in quello stesso giorno. In quel momento muore, e nasce Siria: è un momento di passaggio molto importante, che vede la nostra raminga protagonista di un cambiamento che l'ha portata a diventare quello che è.

- la magia. Ecco, la magia di Siria. Siria NON ha poteri di guarigione, come avete letto (complimenti per essere arrivati sino in fondo, eh xD) la prosciuga completamente, la distrugge: ma Shaylee la spinge a farlo, ad accettare se stessa per la prima volta nella sua vita, per amore di Caspian. E' un altro punto di passaggio, è un altro legame fra passato e futuro, un futuro che si avvicina e che, per Siria e per tutti gli altri, non sarà semplice da accettare.

- Shaylee. Perché Shay si sente in colpa? Perché, secondo lei, è stata debole. Ha chiesto aiuto, ha costretto Siria a intervenire quando l'hanno aggredita, è fuggita: per tutto questo la naiade si sente in colpa, si sente una vigliacca, si sente colpevole. Ho voluto basarmi su questo lato di lei non so (ancora) bene perché, ma mi sembra una reazione molto umana, una reazione spontanea e pura esattamente come la ninfa: si vergogna di aver avuto paura, quando in realtà non ne avrebbe assolutamente motivo. Piccina lei!

Bueno, ho finito di ponderare e sproloquiare. Nel pomeriggio, visto che sono a casa con un febbrone da cavallo, risponderò alle bellissime recensioni che mi avete lasciato nello scorso capitolo! Siete meravigliosi, come sempre :D mi fate tanto tanto tanto felice <3

Love you all, B <3

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Capitolo 30
*** Need. ***


need - rebirth
Narnia's Rebirth

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Need - Hana Pestle

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Peter sospirò, scostando una ciocca dei lunghi capelli rossi dal volto dell’amica.

Continuare a ripetersi di non volerle bene, e provare una sgradevole sensazione d’infarto miocardico ogni volta che la vedeva nei guai, era decisamente controproducente: Siria dormiva, adesso, dormiva di un sonno profondo e – sperava – senza incubi.

Aveva costretto Shaylee ad allontanarsi, a non sopportare ancora il dolore che vedere l’amica ridotta in quello stato le provocava; poteva soltanto immaginare la sofferenza della Naiade, il senso di colpa che doveva provare nel sapere quanto Siria si fosse esposta per lei e per Talia…

Le avrebbe dato della sciocca, in un altro momento: si sarebbe arrabbiato, con Siria, per quell’assurda dedizione agli altri che ancora una volta aveva rischiato di ucciderla… eppure, non riusciva a provare altro che gratitudine.

Siria aveva protetto Shaylee.

Gliel’aveva promesso, prima di partire, durante quella notte che pareva lontana oramai secoli.

-Te la riporterò sana e salva.-

Aveva mantenuto quella promessa, la raminga: aveva protetto la sua ninfa, l’aveva riportata a casa… aveva rischiato se stessa pur di salvare le sue amiche, era quasi…

Prese di nuovo fiato, alzandosi finalmente da quello scomodo sgabello su cui era crollato, accanto al giaciglio della rossa. Dormiva, era esausta… povera piccola, sembrava tanto fragile in quel momento.

Non seppe esattamente il perché di quel proprio gesto; non era da lui, non si era mai comportato così con nessuno – eccetto che con Lucy, ovviamente. Ma gli risultò istintivo, naturale, chinarsi sulla fronte della ragazza e sfiorarla appena con le labbra, lasciando un delicato bacio sulla pelle martoriata di Siria.

Un tocco lieve, appena accennato, fraterno; un gesto che non si sarebbe mai permesso se fosse stata sveglia, troppo orgoglioso per dirle davvero quanto si fosse terribilmente affezionato a lei.

Lasciò la stanza alla chetichella, finalmente tranquillo dopo troppe ore di ansia. Siria stava bene, Caspian si sarebbe rimesso, Talia era già sulla via della guarigione, Aaron e Caleb non erano in pericolo… e l’angoscia per quel rapimento improvviso finalmente era cessata.

E, soprattutto, Shaylee era di nuovo accanto a lui.

Provò l’improvviso desiderio di trovarla, di stringerla a sé e non pensare più a nulla. Voleva soltanto annegare nel profumo dei suoi capelli, sentire la pelle soffice e liscia della sua ninfa sotto le dita ed il sapore delle sue labbra soffici sulle proprie…

Erano state lunghe notti, lunghe giornate, lunghe ore d’angoscia e d’ansia; i pensieri che si erano accavallati nella sua mente, in quei giorni, erano stati fra i più terribili e terrificanti che il suo cervello avesse mai partorito.

L’idea che Shaylee fosse in balia dei soldati di Telmar, di quegli uomini dal volto animalesco e butterato capaci di qualsiasi nefandezza, lo aveva spinto a spronare il cavallo che montava più di quanto non avesse mai fatto, la mascella contratta e gli occhi più cupi che mai.

Ma ora… ora, finalmente, era tutto finito.

Percorse in silenzio i corridoi fiocamente illuminati dalla luce tremula delle torce, cogliendone l’insolita smorzatura; sembrava quasi che anche il fuoco fosse stanco di scoppiettare, in quel momento…

Lo sorprese non poco vedere la ninfa accoccolata sulla roccia spezzata, una volta raggiunto il salone della cripta: le braccia erano serrate intorno al ventre, il viso lievemente ripiegato sulla spalla, gli occhioni dorati stretti e fissi in un punto lontano, sfocato.

Per un istante, la confusione prese il sopravvento sulla stanchezza.

Cos’era successo, ora? Perché vedeva in Shay quello stesso dolore di tempo prima, quel dolore che sembrava essersi attenuato, essersi messo in disparte nel volto della sua naiade?

-Shaylee…?- mormorò, piano, avvicinandosi cautamente a lei un passo per volta, fermandosi ai piedi della Tavola di Pietra.

Lei voltò ostinatamente la testa, seccata.

-Ti sei… affezionato a lei.- mormorò, con voce incolore, senza riuscire ad alzare gli occhi sul volto innocente di Peter: non avrebbe potuto reggere quegli occhi azzurri, non in quel momento, non mentre quella sensazione terribilmente imbarazzante imperversava dentro di lei. Sapeva quanto fosse irrazionale quel sentimento, sapeva bene che Siria amava oltre ogni limite il suo principino, e che Peter non…

Gelosia.

Ecco di cosa si trattava.

Pura e semplice... gelosia.

Peter aggrottò le sopracciglia, stupito, senza comprendere esattamente il motivo di quell’atteggiamento tanto distaccato. Sì, era affezionato a Siria, era palese, ma…?

-Beh… abbastanza, sì. Anche se non l’avrei mai creduto possibile.- mormorò, passandosi una mano fra gli arruffati capelli biondi, a disagio. Se possibile, l’espressione di Shaylee s’indurì ancora di più, le labbra si serrarono fino a sparire l’una contro l’altra, i pugni si strinsero.

-Bene.- affermò soltanto, la voce che vibrava di rabbia.

-Shay…?- okay, qualcosa non andava. Lo avrebbe capito anche l’immagine inanimata di Aslan, che torreggiava enigmatico su di loro, silenzioso come sempre.

La ninfa non disse nulla, limitandosi a stringersi di più su sé stessa, allontanando il più possibile lo sguardo da quello dell’attonito, un po’ tardo, Alto Re di Narnia.

-Shaylee, si può sapere cosa…?-

Uno, due, tre.

La realtà, pura e cristallina, si fece largo fra i pensieri confusi del biondo.

Siria. Lui si era affezionato a Siria. E Shaylee era… niente avrebbe spiegato altrimenti la sua reazione…

…oh.

-Shay, sei gelosa?- le chiese, senza molti preamboli, un sorriso sollevato che si disegnava sul suo volto improvvisamente molto più giovane – improvvisamente, un volto che dimostrava gli anni che avrebbe dovuto avere.

Non sapeva perché quell’idea gli mettesse addosso tanta contentezza, non era conscio del motivo per cui era in grado di renderlo così felice; ma il pensiero di essere talmente importante, per la ninfa, da scatenare quella reazione, lo riempiva di una serenità molto simile a gioia.

Ma fu un attimo effimero, un sollievo di breve durata; vide le spalle della Naiade sussultare appena, le palpebre abbassarsi di qualche millimetro su quelle sofferenti iridi dorate.

-E’ stupido, vero? Essere gelosi in una situazione simile…- la voce della ninfa sembrava più remota che mai, le dita esili che salivano a velare lo strappo evidente sulla veste; sulle cosce pallide, Peter riuscì a distinguere ancora i segni rossi dei graffi e dei lividi che quegli uomini le avevano inferto.

Si sedette accanto a lei quando la vide tremare, distinguendo le sue labbra ammorbidirsi in un’espressione infelice ed angosciata; nelle sue iridi brillava qualcosa di molto simile a colpa, a frustrazione… a rimorso.

-Tutti si affezionano a Siria, ma io con la mia debolezza l’ho quasi portata alla morte.- sussurrò, piano, nello sguardo le immagini vivide di quella lunga tortura che la sua amica aveva subito al posto suo; perché Shaylee lo sapeva bene, Siria e Talia si erano lasciate ferire soltanto per proteggerla… perché lei era debole, debole quanto non aveva mai creduto di poter essere.

Un tremulo sospiro sfuggì da quella bocca soffice, arrossata dai denti che ne torturavano la pelle sensibile e delicata causandovi minuscoli graffi appena rimarginati; ma a Shaylee, in quel momento, non importava.

Debole.

-Sarebbe stato meglio se fosse successo a me… lei è troppo importante.- le ultime parole svanirono in un mesto e sussurrato borbottio, mentre la consapevolezza di ciò che Siria era – sarebbe diventata, molto presto – si ripresentava chiara e vivida nella sua mente.

Avrebbe preferito mille volte essere lei… avrebbe mille volte desiderato di essere al posto della sua amica, per risparmiarle quella sofferenza che Siria si portava dentro ormai da sette anni, per toglierle dalle spalle quel peso che minacciava, in ogni istante, di spezzarla.

Ma Siria era forte… non gliel’avrebbe mai permesso, convinta com’era di dover fare di tutto pur di proteggere lei e le persone che amava. Siria era forte e incosciente, avrebbe preferito morire pur di non lasciare che qualcun altro sopportasse ciò con cui lei era destinata a combattere.

Era, e sarebbe sempre stata, più forte di lei.

Perduta com’era fra quei pensieri aguzzi, dolorosi, non si accorse – non subito – del braccio che immediato si strinse attorno ai suoi fianchi, tirandola contro il corpo solido e concreto di Peter.

Per un istante, ne rimase stordita… la consapevolezza del torace ampio e tonico del Re Supremo, imponente in confronto a lei, fu improvvisa ed immensa, tanto da scatenare un brivido che percorse rapido il suo corpo, un calore dolce e conosciuto che prendeva vita da qualche parte dentro di lei.

Ma la stretta con cui Peter la serrava contro di sé era forte, più forte del normale, quasi spasmodica.

Paura.

C’era paura in quelle mani, c’era paura in quelle braccia che si aggrappavano alla sua vita esile come se fosse l’unica certezza in quel mondo di dolore e di follia; c’era terrore nel respiro improvvisamente più veloce e rapido che si mischiava ai suoi capelli, c’era agonia negli occhi chiusi del biondo Re che la stringeva a sé come mai aveva fatto sino a quel momento.

Terrore.

Non riusciva nemmeno a pensare… le parole di Shaylee avevano scoperchiato quel vaso di Pandora che Peter aveva tanto faticato a richiudere, permettendo a tutto l’orrore che si era rincorso con l’ansia dentro di lui, in quei giorni, di emergere con la prepotenza e la violenza di una fucilata in pieno petto.

Agonia.

Solamente immaginare Shaylee sotto le mani crudeli di quegli uomini… soltanto una minima percezione del dolore che avrebbero potuto causarle, delle stesse ferite che martoriavano Siria sul corpo esile della naiade…

Non poteva pensarlo, perché solo quel pensiero era capace di portarlo sull’orlo della pazzia.

Ne sarebbe morto, lo sapeva: se Shaylee avesse subito lo stesso trattamento della raminga lui ne sarebbe morto, perché la sofferenza nel vederla in quello stato sarebbe stata più che sufficiente per ucciderlo mille volte, per annientare ogni parvenza di umanità e di speranza dentro di lui.

La strinse più forte, tentando invano di scacciare quei fotogrammi cruenti che non riusciva a cancellare dalla sua mente; lui, Peter Pevensie, il Magnifico di Narnia, ora rischiava di soccombere dinanzi al terrore, debole come mai aveva osato essere prima d’allora, spaventato come non si era mai permesso di mostrarsi a nessuno.

Le accarezzò dolcemente i capelli, una carezza tremante e data a denti stretti; le palpebre del biondo erano serrate, l’espressione sofferente immersa nei crini bruni della ninfa.

-Smettila.- riuscì soltanto a mormorare, ma ciò che gli uscì fu più simile ad un ringhio disperato, al gemito di un animale in agonia.

E Shaylee lo guardò in viso, sentendo il rimorso e il senso di colpa agitarsi di nuovo dentro di lei; aveva soltanto causato dolore… a Siria, a Peter. Era stata soltanto in grado di provocargli sofferenza, prima all’una e poi all’altro… a due persone che l’amavano in due modi molto diversi, a colei che considerava una sorella e all’uomo che amava, che tenevano a lei con la medesima forza e la medesima decisione.

E lei, invece, non era stata in grado di fare niente…

Aveva soltanto potuto guardare le mani crudeli di Angus Flynch calare su Siria, inerme, sulla sua amica che non voleva reagire, che gli aveva permesso di arrivare sin quasi ad ucciderla pur di salvare lei

La morsa che le serrava il cuore si strinse ancora, rammentando ogni singola ferita che deturpava il corpo della sua amica.

Era stata colpa sua.

Era stata soltanto colpa sua… ed era colpa sua se, ora, Peter soffriva di un terrore che non aveva mai visto, prima d’allora, in lui.

Fu quella consapevolezza, fu la colpa, fu il rimorso, a spezzare le barriere che tenevano le lacrime lontane dai suoi occhi.

Un’unica lacrima solitaria rotolò sulla sua pelle nivea, simile ad una pietra preziosa su soffice seta candida; una lacrima che ben presto fu seguita da un’altra e un’altra ancora, mentre il corpo esile si lasciava scuotere da silenziosi singhiozzi capaci di stremarla. Dentro.

Al suo pianto silenzioso, ma incessante, Peter la strinse più forte; la sentì sfregare il volto sul suo petto, cercandovi rifugio e riparo, le mani tremanti che serravano la sua tunica in una morsa disperata.

-Non è colpa tua, Shay.- sussurrò, accarezzando la schiena ed i capelli della naiade, tentando di trovare un modo per trasmetterle una sicurezza che nemmeno lui era sicuro di avere, in quel momento. -Siria ha preferito sacrificarsi, pur di non vedervi soffrire. Non l’hai scelto tu.- aggiunse, piano, intuendo parte dei mille pensieri che vorticavano nella mente della sua compagna.

Ma il pianto della ninfa si fece più violento, violento nell’assordante silenzio in cui si sfogava, quando il pensiero che più la ossessionava si ripresentò agli occhi della sua mente.

Shaylee sapeva qual’era stata la sconfitta più grande, la pugnalata più profonda che aveva squarciato il suo cuore e lo aveva ridotto in mille pezzi, distruggendo anche quel minimo orgoglio che provava nei confronti di se stessa.

Lei non aveva reagito.

In quel momento, quando gli uomini di Flynch l’avevano afferrata e avevano cercato di farle del male… era stata debole, aveva chiesto aiuto.

Aveva chiesto l’aiuto di una persona più forte di lei.

Aveva chiesto l’aiuto di Siria, di una Siria già provata dalla tortura… una Siria che era riuscita a proteggerla nonostante tutto, facendosi del male lei stessa pur di salvarla, pur di permetterle di fuggire.

Perché lei questo aveva fatto.

Era fuggita.

Lei, che le Naiadi consideravano la guerriera più abile di tutte, che Mairead stessa aveva nominato capo delle combattenti… era scappata come una codarda, come una vigliacca, dimentica della sua magia e del fiume che poteva finalmente darle ascolto e intervenire.

Avrebbe potuto salvare le sue amiche, in quel momento… e invece era fuggita, il terrore aveva preso il sopravvento su di lei e l’aveva spinta a fuggire nella foresta, lasciando che fossero Peter e gli altri a salvare Siria e Talia.

Era stata una vigliacca.

Strinse più forte la casacca del Re fra le dita, abbandonando il volto contro la sua spalla, i singhiozzi che la percuotevano con violenza.

-Mi credevo una guerriera…- quel sussurro le sfuggì senza davvero volerlo, senza l’intenzione di rivelare a Peter quali fossero i tormenti che angustiavano la sua naiade.

Ma Peter, Peter udì comunque quelle parole intrise di un senso di colpa più grande di quanto avesse mai potuto immaginare.

Le accarezzò una spalla, capendo soltanto in parte l’angoscia di Shaylee: lui era un guerriero, lo era ormai da tanti anni… conosceva bene la paura, il terrore, sapeva bene quanto a volte potessero essere semplicemente troppo grandi per essere controllati.

Shaylee era fuggita, era vero; ma non gliene avrebbe mai fatto una colpa, perché se non fosse fuggita in quel momento, probabilmente, al posto di Siria vi sarebbe stata lei… e Peter questo non avrebbe mai potuto né permetterlo né, tantomeno, accettarlo.

La baciò dolcemente in fronte, sentendo i suoi singhiozzi scemare mano a mano, stringendola a sé con l’angoscia di non voler più che gliela strappassero via.

-Non mi sarei mai dato pace, se tu avessi combattuto e io ti avessi perduta.- sussurrò, ben sapendo però che le sue parole non avrebbero lenito nulla, se non un minimo del dolore e del senso di colpa che Shaylee provava.

Perché Peter sapeva fin troppo bene che col rimorso non si scendeva a patti. Mai.

-Interrompiamo qualcosa?-
Peter e Shaylee sobbalzarono di scatto, quando una voce ironica e divertita – inequivocabilmente maschile – risuonò nel silenzio pressante della cripta, spezzando la tensione che vibrava fra loro e nei loro cuori, facendoli separare di scatto e voltare verso il corridoio che portava alle stanze private.

-Penso proprio di sì.- una seconda voce si unì alla prima, una voce più squillante e sarcastica, prima che una torcia, sino a quel momento spenta, ardesse e illuminasse due volti giovani e divertiti, appartenenti a due ragazzi semi nascosti nella penombra di quei locali notturni.

I capelli scuri del ragazzo, perennemente arruffati, si lasciarono illuminare dai riflessi dorati delle fiamme; mentre quelli biondi della ragazzina riverberarono di ciocche del colore del platino, mentre i volti di Edmund e Tara prendevano forma nell’altrimenti cupa oscurità della cripta.

-E-Edmund!- Peter sobbalzò di scatto, quando riconobbe il viso saccente e irritantemente soddisfatto del fratello, arrossendo di botto e balzando in piedi di fronte a Shaylee; Ed e Tara li stavano osservando da chissà quanto, dalle loro espressioni trionfanti avevano capito anche troppo…

-No, la fata turchina.- fu la risposta divertita del più giovane dei Pevensie, gli occhi di quel caldo color nocciola che ignoravano tranquillamente lo sguardo omicida del fratello maggiore.

Incrociò le braccia sul petto snello, scambiando una rapida occhiata divertita con la ragazzina al suo fianco; la ragazzina che, ormai, gli era praticamente indispensabile.

Tara era una ragazza forte, spigliata, più ironica di quanto i suoi boccoli biondi e i suoi occhioni azzurri dessero a pensare; era cresciuta in mezzo alle asperità, forte come la più bella delle rose ancora in procinto di sbocciare, le curve ancora acerbe nel corpo ma troppa conoscenza nelle iridi chiare.

Erano due adulti racchiusi nei corpi di ragazzini, lei ed Edmund; entrambi avevano visto e vissuto troppo, per le loro giovani vite, e sulle spalle si portavano pesi che non sarebbero mai svaniti.

Forse era quello, il motivo per cui tanto si trovavano bene insieme. Sì, decisamente.

-C’è forse qualcosa che devi dirmi, Peter?- Edmund si rivolse al fratello, un sogghigno divertito che compariva sulle labbra sottili, una scintilla negli occhi di quel caldo color nocciola; mettere in imbarazzo Peter era da sempre uno dei suoi svaghi preferiti, anche perché vedere il volto dell’insolitamente imperturbabile Pevensie farsi paonazzo era uno spettacolo imperdibile.

-Vai al diavolo…?- suggerì il biondo, sarcastico, incenerendolo con uno sguardo che Edmund, tranquillamente, ignorò.

-Non ci tengo minimamente, grazie.- fu la risposta pragmatica del più giovane, un sopracciglio che s’inarcò nel guardare Shaylee, rossa in volto ma decisamente più composta del suo esuberante accompagnatore dalla chioma biondastra.

Un tocco leggero ma pressante lo distolse dalla coppia d’imbarazzati, riportando la sua attenzione sulla giovane bionda che lo fissava, in attesa, gli occhi assottigliati in una muta richiesta divertita.

-Ho vinto la scommessa, Ed.- commentò, tendendo una manina candida verso di lui; ma il bruno scosse la testa, scrutandola con quel mezzo sorriso tanto capace d’irritarla.

-Questo non mi obbliga a pagarti!- replicò, pronto, scostandosi immediatamente quando Tara reagì subito.

-Brutto bugiardo!- sbottò la ragazzina, facendo per tirargli un pugno; ma Ed si mise alla svelta fuori dalla sua portata, ridacchiando, ignaro degli occhi che li guardavano divertiti e molto più consapevoli di quelli dei due ragazzi. -Aspetta che ti prenda, Pevensie!- Tara fece per inseguirlo, ma Edmund era più rapido della ragazzina; con un movimento veloce, fluido, le passò le braccia intorno ai fianchi e la sollevò da terra, caricandosela in spalla e ignorando tranquillamente le sue stridule proteste.

-Mettimi giù! Edmund, mettimi subito giù!-

Ed ridacchiò, tenendola stretta senza faticare, rivolgendosi di nuovo a Peter e a Shay – che ora lo fissavano sorridendo, una bolla di calore e dolcezza che si schiudeva nei loro petti nel guardare quei due ragazzi, capaci – nonostante tutto – di ridere.

-Perdonatela, ogni tanto ha di queste crisi di pazzia, è un'antipatica scimmietta isterica.- commentò, tranquillamente, mentre Tara sgambettava irata sulla sua spalla.

-Io NON sono una scimmietta isterica!! Mettimi giù!- fu la risposta che Tara sbraitò, tempestando la schiena del giovane Re di pugni, mentre Peter si lasciava sfuggire un sorrisetto malizioso e trionfante.

-Forse non sono l'unico che nasconde qualcosa, vero, Edmund?- commentò, scrutando il fratello in volto; un fratello che arrossì di botto, mentre il significato intriso nelle parole di Peter lo colpiva con la forza di una mazzata, sconvolgendolo più di quanto avesse potuto pensare.

Tara

-Eh?- riuscì soltanto a mormorare, attonito, lasciando inconsciamente andare la presa sui fianchi di Tara, costringendola ad un poco ortodosso ruzzolone sulla roccia viva del pavimento.

-Ahia! Mi hai fatta cadere!- sbottò la ragazzina, balzando in piedi ed incenerendolo con uno sguardo, senza capire quello sguardo enigmatico e confuso che Edmund le stava rivolgendo.

Impiegò soltanto un istante, il giovane, per riprendersi da quell’ipotesi impossibile che Peter aveva presentato alla sua mente; che sciocco, dar retta a quell’idiota… era un’idea tanto irreale che poteva essere soltanto parto della mente bacata di suo fratello, sì.

Ma Peter avrebbe dovuto smetterla, sì, avrebbe dovuto piantarla di sorridere in quel modo tanto irritante.

-Ma ti ho messa giù, no?- replicò, riscuotendosi, voltandosi verso la bionda appena in tempo per avvertire una fitta pungente attraversare la sua spalla; la ragazza gli aveva tirato un sonoro pugno a livello dell’avambraccio e, ora, lo scrutava con le braccia conserte e l’espressione di fuoco. -Tara, non mi picchiare!- sbottò Edmund, sorpreso, ma la risposta della fanciulla lo lasciò basito.

-Te lo meriti!-

Peter si lasciò sfuggire una risata, nel vedere l’espressione mortificata e sorpresa del fratellino; assistere a una scena del genere era una goduria, una goduria per gli occhi e un balsamo per l’animo in pena.

Ma il sollievo era destinato ad essere effimero, effimero come le foglie trasportate dal vento; perché due voci spezzarono quella bolla di calore e di familiarità, giungendo dalla notte scura e finalmente serena dell’accampamento dei Narniani.

Peter, Shaylee, Edmund e Tara si voltarono di scatto, quando due figure apparvero stagliate sul cielo nero come l’inchiostro; ma i due Pevensie boccheggiarono, improvvisamente a corto d’ossigeno, quando riconobbero un uomo e una donna che mai avrebbero immaginato di vedere insieme.

Sulla soglia della segreta, le parole sparite dalle labbra carnose, c’era Susan Pevensie.

E non solo. Con lei, le dita intrecciate a quelle della regina, l’espressione completamente allibita, c’era Aaron.

-Aaron!?- la prima a ritrovare il dono della parola fu Tara, che scrutò il rosso come se non lo avesse mai visto per davvero; le guance del solitamente imperturbabile mercenario si arrossarono, mentre gli occhi di ghiaccio dardeggiavano ovunque non fosse il volto di uno dei presenti.

-Sue?!- l’esclamazione di Peter e di  Edmund fu più isterica, le mani che fremevano in direzione del fodero delle rispettive spade; in quel momento, i due maschi Pevensie erano assolutamente identici, accomunati da una fraterna gelosia che repentinamente ruggì in entrambi i cuori.

 Aaron, notando l’inusuale affollamento della segreta a quell’ora di notte, si separò in fretta dalla mano della bruna, notando lo sguardo omicida che gli rivolsero i fratelli della donna che lo accompagnava.

-Ah... quanta gente, a quest'ora di notte.- commentò, ironico, passandosi le dita fra i capelli e scambiando un’occhiata con Susan; entrambi avrebbero tanto desiderato essere in qualunque altro posto, in quel momento…

-Tu...- Edmund non riuscì a trovare le parole per esprimere tutto il suo severo disappunto, il viso che lentamente si faceva sempre più acceso, gli occhi scuri che mandavano lampi di rabbia.

-Posso… spiegare.- mormorò il rosso, diventando progressivamente sempre più paonazzo, gli occhi chiari mortificati e ricolmi di senso di colpa che non riuscirono a sostenere per più di qualche istante lo sguardo sorpreso di Shaylee.

Perché gli occhi della ninfa gli ricordavano terribilmente lo sguardo ferito che un’altra ragazza, che una ragazza che ora dormiva di un sonno esausto e provato, gli avrebbe rivolto in quell’occasione…

-Tu…- la rabbia a stento contenuta del Re di Narnia sibilò attraverso la segreta, prepotente come il suono di uno scoppio.

Aaron distinse soltanto un lieve movimento di una tunica chiara, prima che la Naiade si spostasse delicatamente di fronte al biondo, che era sceso con un balzo dalla roccia e aveva pericolosamente avvicinato la destra all’elsa della spada.

-Peter.-

-Mia sorella…- la rabbia pareva impedirgli persino di mettere insieme soggetto, predicato e complemento oggetto, osservò Tara, trattenendo un ghigno. Tutta la scena, a dirla tutta, era esilarante.

Shaylee sospirò, posando le manine chiare sul petto inamovibile e marmoreo del ragazzo, sentendo il cuore battere furiosamente sotto le vesti.

Alzò gli occhi, trovando quegli sprazzi celesti che amava scuriti dalla rabbia, dall’ira. Non le avrebbe dato retta; il suo istinto di fratello maggiore era fin troppo radicato, in lui, non avrebbe permesso che…

-Amore, calmati.-

Avvertì il proprio volto andare a fuoco, quando si rese conto di ciò che aveva appena detto.

La rabbia svanì repentinamente dal petto del biondo, quando quelle due semplici parole raggiunsero le sue orecchie, la sua mente, il suo cuore.

Per un istante, pensò di mandare al diavolo qualsiasi cosa; stringerla con forza a sé e baciarla con passione, con gioia, fare l’amore con lei fino a non poterne più, fregandosene altamente di ciò che chiunque avrebbe mai potuto osare obiettare.

E invece si costrinse a restare immobile, allibito, gli occhi celesti che cercavano e trovavano le iridi dorate, imbarazzate e decise insieme, della sua naiade.

Aaron… Aaron, e Susan.

Insieme…

Beh, magari potevano anche aspettare l’indomani.

-Ho come l'impressione che per voi due sarebbe meglio sparire, al momento.- fu invece il commento di Edmund, che non aveva notato la repentina confusione del fratello ma, al contrario, si era in fretta accorto dell’ira che stava velocemente montando sul viso di Susan Pevensie.

Sue, infatti, pareva ardente e battagliera come non mai; i suoi fratelli non avrebbero mai interferito fra lei ed Aaron, non gliel’avrebbe mai permesso. Non avrebbe lasciato che distruggessero quell’angolo di serenità che si era duramente costretta a concedersi, non si sarebbe lasciata strappare il profumo di quei capelli rossi ed il calore di quella bocca sempre ironica.

-Se non volete essere infilzati da un Supremo Idiota in crisi di gelosia...- rincarò Tara, notando la confusione sul volto di Aaron, la mortificazione che provocava nel pensare a quanto sua sorella si sarebbe arrabbiata, nel venire a sapere di qualcosa che lui stesso aveva deciso di nasconderle.

-Peter, non cominciare nemmeno!- fu l’esclamazione di Susan, e fu soltanto grazie alla rapidità di Aaron che non avanzò diretta verso il fratello più grande, pronta a dar battaglia; il rosso la trattenne vicino a sé, cingendole la morbida vita con le braccia forti, il tocco caldo delle sue mani che la distraeva per un istante dai suoi propositi.

-Parlarne ora non è molto auspicabile, siamo tutti molto stanchi.- la voce conciliante di Shaylee spezzò la tensione venuta a crearsi nella segreta; la videro voltarsi verso i due ragazzi più giovani, che parevano più esilarati che mai. -Edmund, Tara.- li avvertì, una nota severa nella voce.

-Ci eclissiamo.- il bruno mimò il saluto militare, sorridendo e ammiccando in direzione della Naiade; qualcosa, in quel gesto, le fece intuire che Edmund già sapesse…

-Siamo già spariti.- aggiunse lei, agguantando il giovane Re per un braccio e trascinandolo in fretta nel buio fitto dei corridoi della segreta.

Shaylee sospirò, divertita suo malgrado, alzando nuovamente gli occhi verso il biondo.

-Peter.-

-D’accordo… ho capito.- borbottò il ragazzo, cercando di dare una calmata a quel sentimento tumultuoso che si agitava nel suo petto, posando delicatamente una mano sulla schiena della ninfa e seguendola quando lo spinse verso quello stesso anfratto dov’erano sparite le due pesti, lasciando Aaron e Susan alle prese rispettivamente l’un con l’altra.

La sentì rabbrividire, al suo tocco, vide la sua pelle chiara ricoprirsi di pelle d’oca.

Sorrise appena, ancora imbambolato, spostandosi accanto a lei e passandole con dolcezza un braccio intorno alla vita, stringendola a sé, accostando il viso ai capelli soffici della ninfa senza però sfiorarla, limitandosi ad assaporare il suo profumo.

Amore.

Magari era una parola stupida. Magari era un semplice luogo comune, un qualcosa di usato e strausato.

Ma a lui non importava.

Amore.

Lo aveva chiamato così. Lei. Shaylee, la sua Shaylee, che non avrebbe potuto mai fargli dono più bello, più prezioso, di quel cuore che già gli apparteneva.

Shaylee si scostò dal biondo, in imbarazzo come poche volte era stata.

   Amore.

   

Quella parola le era uscita spontanea, semplice e pura; era un termine che non le era mai appartenuto, un termine che non era suo, un termine che paventava di pronunciare e di provare – ma che, ormai, non poteva più fare a meno di riconoscere.

Amore.

Ma stavolta... stavolta qualcosa era diverso, non le era difficile – anzi, al contrario – ritenere Peter così.

Inoltre il Re sembrava imbambolato da un po', e dannatamente bello con quel sorrisino ebete e malizioso.

-Sarà meglio che vada giù al lago, almeno aiuto a tener d'occhio la situazione…- mormorò, di spalle al biondo, mentre le mani salivano per raccogliere i capelli da legare con un fermaglio floreale.

-Credo che per una notte si possa fare a meno di te, laggiù.- replicò lui dopo nemmeno un istante, la voce strana ed indecifrabile. Shaylee avvertì soltanto la mano calda e forte del biondo posarsi sul suo fianco, scivolare sul ventre, trarla contro il petto caldo e tonico del giovane, il viso che repentinamente si accostava al suo collo.

Shaylee sospirò, abbandonandosi senza remore contro il corpo caldo ed accogliente del biondo, chiudendo gli occhi e lasciando che l’abbracciasse, che le sue braccia forti l’accogliessero, avvolgendola in una stretta salda e protettiva da cui non avrebbe mai voluto fuggire.

-Peter...- esalò la ninfa, non riuscendo a dire altro, investita dal profumo dolce e forte del ragazzo.

Fece però violenza su se stessa, scostandosi dal corpo maledettamente caldo e accogliente di lui.

-Devi riposare, mio Re, i telmarini potrebbero giungere da un momento all'altro, e tu devi essere in forze per portarci alla vittoria. Tutta Narnia conta su di te, sui tuoi fratelli e su Caspian.- spiegò la bruna, guardandolo dolcemente negli occhi, accarezzandogli la tempia con le dita delicate.

-Prima devo fare una cosa.- fu la risposta sussurrata del biondo Re, le mani che si alzavano per posarsi con delicatezza sulle guance delicate della sua ninfa, della sua compagna. Mai avrebbe pensato di trovare una persona da amare, mai si sarebbe davvero convinto che al mondo esistesse qualcuno per lui.

E invece, eccola lì. Bella, dolce, misteriosa nella sua purezza. La sua naiade, la sua donna, la sua Shaylee.

Vide la curiosità disegnarsi sul suo viso, e sorrise. E dopo un istante, le sue labbra andarono a catturare con dolcezza quelle rosee e sottili della ragazza. Senza fretta, senza foga, la baciò con tutta la dolcezza di cui era capace, la lingua che lievemente faceva capolino, sfiorando il bordo sottile e delicato di quella bocca in cui adorava affogare, perdersi.

Ed avevano tutto il tempo del mondo.

Nessuno li avrebbe interrotti, stavolta, nessuno avrebbe spezzato quel bacio dato con tutto l'amore che batteva forte nel suo petto.

Nessuno.

La ninfa avvertì i propri pensieri vacillare, sull’orlo di un precipizio in cui aspettava soltanto di cadere, precipitando in un baratro confuso che non avrebbe lasciato spazio ai sentimenti. Ma le mani di lui l’avrebbero trattenuta, salvata, quelle stesse mani che ora scivolavano sui fianchi, sulla schiena, premendola contro di sé, contro il petto scolpito su cui sentì delinearsi il proprio corpo minuto.

Si ritrovò ad allacciare le braccia intorno alle spalle del ragazzo, un sospiro tremante che svuotava i suoi polmoni, i suoi pensieri. Si lasciò trascinare via, si abbandonò a quel bacio caldo e lento, umido, travolgente, lasciandosi naufragare sullo scoglio sicuro della presenza di Peter.

-Resta con me, stanotte.- il sussurro del Re accarezzò la sua pelle, scivolò con delicatezza dalle sue labbra al collo sottile, perlaceo, il respiro caldo ed inebriante capace di stordirla che scendeva sulle linee sottili della sua gola.

Annuì soltanto, gli occhi chiusi ed il volto reclinato indietro, l’emozione che le riempiva le labbra, impedendole di parlare.

Ed un istante più tardi si ritrovarono nella stanza del Re, quella stanza un po’ discosta dal resto della segreta, una stanza ben lontana dagli agi a cui entrambi, con un po’ di vergogna, erano abituati.

Sembrava che il mondo convergesse lì; in quei due pozzi celesti ad un soffio dal viso, in quei due sprazzi di cielo rubati al sole dell’estate. Tutto ciò che per lei era importante, vitale, si condensava in quelle due iridi azzurre, azzurre come l’essenza stessa della sua magia.

Arrossì, quando lo vide sfilarsi la tunica, il torace scoperto che attirava irreversibilmente il suo sguardo imbarazzato. Lo aveva già visto nudo, lo aveva toccato, sfiorato, era stato suo…eppure, vederlo lì, la pelle bronzea e levigata a poco più di una spanna da lei…

Si lasciò stringere a lui, le dita che s’intrecciavano a quelle forti, sicure di Peter. Avvertì il profumo del biondo farsi più intenso, meravigliosamente vicino, quando si ritrovò avvolta in quell’abbraccio che sapeva di casa, di sicurezza, di amore.

Il giaciglio modesto, minuto, non era sicuramente adatto ad entrambi. Ma a Peter sembrò non importare, anzi; sorrise, trovando in quel dettaglio una scusa per tenerla ancor più stretta a sé, ancora più vicina, ancora più sua.

La trasse a sé, rapendo una nuova volta quel respiro dolce dalle sue labbra, assaporando appieno la consistenza di quei boccioli rosei e delicati.

Disteso sul giaciglio, la strinse contro di sé, il corpo snello e minuto che si abbandonava completamente sopra il proprio. Quel bacio sapeva di vita, sapeva di amore, sapeva di quella complicità unica e magica che li legava indissolubilmente l’uno all’altra.

Sapeva di un sentimento che nessuno dei due avrebbe mai sperato di cogliere, un fiore ambito sbocciato troppo distante dal sentiero.

Era così bella… non riusciva nemmeno ad accettare l’idea di lasciarla andare. Non quella notte, non il giorno dopo, settimane, mesi, mai.

Amore.

Era questo che era quella ragazza ansante accoccolata significava per lui, che quelle labbra gonfie ad un millimetro dalle proprie valevano per il suo cuore.

-Shay…- sussurrò, pianissimo, gli occhi azzurri completamente perduti in quelle due gemme, in quell’oro liquido e limpido dinanzi a sé. Era stanco, le palpebre erano pesanti e minacciavano di crollare, il suo campo visivo si stava assottigliando sempre di più.

Lei sorrise, innamorata, lasciandosi scivolare al suo fianco, trascinandolo con sé in un abbraccio caldo, innamorato, fragrante nell’aria fresca della notte di Narnia.

Fu Peter ad affondare il volto nella gola profumata della Naiade, sospirando beato, gli occhi che finalmente potevano chiudersi; la mente, che finalmente poteva sentirsi a casa.

-Dormite, mio Re.- avvertì soltanto quel sussurro, le dita sottili della ragazza che s’intrecciavano ai morbidi crini biondi intorno al suo volto.

Peter annuì appena, allacciando un braccio intorno alla vita della ninfa, perdendosi in quel profumo meraviglioso senza pensare più a niente.

 

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My Space:

Mi dispiace.

Mi dispiace tantissimo.

Sono passati quasi due mesi, due mesi dall'ultimo aggiornamento di Rebirth: a mia discolpa posso dire soltanto che ho avuto tanto, tanto da fare, e che questo capitolo non sembrava aver voglia di uscire e di farsi vivo. Boh.

Shaylee soffre, soffre di senso di colpa e di debolezza: come ho detto a DreamWanderer, Shaylee e Talia saranno coloro che patiranno le sofferenze più a lungo termine; Siria invece dorme, dorme del sonno dei giusti, dorme del sonno dei disperati.

La canzone è Need, di Hana Pestle. E' una canzone molto dolce e struggente, e mi sembrava adatta a Peter e Shaylee in questo momento, entrambi coi propri crucci, le proprie paure, i propri mostri da affrontare da soli.

Si nota che non sono proprio soddisfatta di questo capitolo? Sarà che non vado d'accordo con alcune cose che contiene, no. Chi mi conosce bene sa a cosa mi riferisco.

Bon, ho finito. Non ho la forza neanche di continuare a sproloquiare.

Alla prossima... e grazie, se arriverete a leggere sin qui. E scusatemi, per il ritardo immenso che vi ho imposto.

EDIT:

Ecco il TRAILER di Rebirth che ho fatto io, riguardante Peter e Shaylee; ed ecco il TRAILER che invece riguarda Caspian e Siria. Arriverà anche il video su Talia e Caleb, ci sto lavorando ^__^

B.

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Capitolo 31
*** Sleeping Sun. ***


1 chap Narnia
Narnia's Rebirth

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Sleeping Sun – Nightwish

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Il Fuoco danzava, danzava bello e leggiadro nell’oscurità più densa.

Le fiamme s’innalzavano nel buio più fitto, spiccando vivide sull’inchiostro corvino che vi fungeva da sfondo.

Ballava, sì, ballava di una danza ritmica e pulsante a cui presto s’accordò il battito frenetico del suo cuore.

Ballava con le forme di una donna, una donna dai lunghi capelli che – per un eterno istante – scambiò per Siria.

Ma quella creatura era figlia del fuoco, di quel fuoco che riscaldava la sua pelle fredda, che ridava vita e vigore al suo corpo stanco; quella fiamma ardente era diversa da Siria, era più grande, il volto che emergeva dallo scarlatto era più affilato.

Ma gli occhi.

Quegli occhi.

Gli occhi di Siria.

Una voce – una voce diversa, una voce melodica ma matura, una voce che ridondò nel suo petto e lo sconvolse più di quanto avesse mai potuto pensare.

-…Prenditi cura di lei.-

Ed il fuoco esplose in quello stesso attimo, accecando i suoi occhi e costringendolo a spalancare, rapidamente, le palpebre.

 .

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Caspian si sfregò gli occhi, assonnato, la luce fioca della stanza in cui si trovava che feriva i suoi occhi ancora provati dal sonno.

Si trovava in uno dei cubicoli della cripta, dove soltanto pochi mobili spartani erano stati portati. La luce che attraversava le vetrate impolverate era fioca, segno che soltanto da poco il sole aveva fatto capolino oltre l’orizzonte, scacciando una notte che Caspian aveva creduto infinita.

La consistenza del giaciglio era soffice, comoda; per qualche istante, meditò se sprofondare o meno in quel sonno da cui era stato bruscamente strappato, gli occhi socchiusi ed il respiro quiete, solo un fastidio quasi indefinibile a pizzicargli il petto.

Eppure… eppure quel sogno era stato troppo vivido, troppo prepotente, per essere semplicemente abbandonato nell’oscuro oblio del nulla.

-Buongiorno.-

Fu una voce chiara, cristallina, ad attirare la sua attenzione ancora intorpidita dal sonno.

Caspian si voltò di scatto, sentendo ancora una volta, quel vago fastidio al petto in risposta a quel movimento repentino; i suoi occhi scuri misero a fuoco la figura composta e snella della Naiade, che indaffarata si muoveva da un lato all’altro della stanza, raccogliendo bende e unguenti che probabilmente aveva utilizzato sulle sue ferite.

-Buongiorno…- mormorò, ancora attonito, senza riuscire a ricordare nulla che non fosse un indistinto calore, una sensazione di benessere che provava solamente accanto a Siria. Dopo lo scontro nella foresta, dopo averle trovate… tutto spariva in un confuso nulla che annebbiava la sua mente assonnata, poco reattiva. -…cos’è successo? Per quanto ho dormito? Dov’è Siria?- chiede, rendendosi improvvisamente conto dell’assenza della rossa.

Ricordava distintamente di averla avvertita al suo fianco, di averla sentita… non poteva averla sognata. Siria non lo avrebbe lasciato solo, ridotto com’era.

Shaylee sospirò, posando la bisaccia dove stava raccogliendo le sue boccette e i suoi mortaretti.

-Sei rimasto ferito. Eri molto grave, le ferite avevano fatto infezione prima che potessi fare qualcosa.- cominciò, cauta, senza guardarlo. Sedette accanto a lui, incrociando le mani sul grembo, tentando di controllare il respiro e l’espressione del volto.

-Non te lo nascondo… non saresti sopravvissuto, senza Siria.- sussurrò, senza riuscire a sostenere gli occhi confusi e ignari del principe di Telmar.

-Cos’ha fatto?- la voce di Caspian tradì la stessa paura che Shay avrebbe provato nella medesima situazione; il ragazzo aveva imparato in fretta a conoscere la sua compagna… sapeva, sapeva forse fin troppo bene, che Siria non si sarebbe fermata dinanzi a nulla – neppure di fronte alla morte, per lui.

-Mi ha chiesto di aiutarti con la magia.- la Naiade sospirò, spostando gli occhi dorati su un punto indefinito della camera. -Io… ero stanca, non sarei riuscita a sostenere il peso di quell’incantesimo, la pozione del Fiore del Fuoco di Lucy non funzionava… e Siria s’è offerta al mio posto. Se non l’avesse fatto, tu non saresti qui.- spiegò tutto d’un fiato, sorvolando sulla scelta che lei stessa aveva spinto Siria a fare, sull’importante passo avanti che la sua amica aveva fatto per accettare se stessa.

Caspian non meritava altra sofferenza… né lui, né la sua compagna.

Come poteva dirgli ciò che era successo alla donna che amava, ciò che Siria aveva rischiato per salvargli la vita? Come poteva dirgli com’era ridotta in quel momento, e quanto avrebbe dovuto ancora passare per riprendersi?

Forse sarebbe stato meglio lasciare che lo scoprisse più lentamente… che…

-Shay, dov’è Siria?- la ninfa si sentì sprofondare, quando senza preamboli il ragazzo si alzò a sedere, constatando quanto le ferite fossero niente più che un fastidio lontano, gli occhi neri che scrutavano penetranti il volto sin troppo espressivo della ninfa.

-Dovresti riposare. Sei ancora debole.- la voce le uscì sottile, incerta; non provò nemmeno a fermarlo, quando Caspian si alzò in piedi e indossò una casacca pulita sopra le bende che fasciavano il torace snello, muscoloso.

-Shaylee, dimmi dov’è Siria e come sta.- suo malgrado, la Naiade alzò il viso per guardarlo, sorpresa; non si aspettava una tale presa di posizione dal principe che, quando voleva, sapeva usare un tono pacato e deciso molto simile a quello di Peter… un tono da Re.

-Quel tono con me non funziona, sai?- commentò, ironica, soppesandolo con un sopracciglio inarcato, gli occhioni dorati colmi di qualcosa molto simile ad un bonario scherno.

Caspian arrossì di botto, quando si accorse di aver utilizzato con lei un tono fin troppo autoritario; abbassò lo sguardo, penitente, intravedendo i propri calzari posati lì accanto e le sue vesti scure, ormai lacere ed inutilizzabili, gettate in un angolo. Indossò alla svelta le calzature, sentendo però addosso lo sguardo indagatore e leggermente sarcastico della naiade.

-Perdonami… non era mia intenzione.- mormorò, sistemando la casacca sgualcita che indossava come meglio poteva.

Shaylee sorrise, lievemente esasperata dal comportamento testardo e deciso del giovane principe; non si era offesa per il tono utilizzato dal ragazzo, poteva benissimo comprendere l’ansia e la preoccupazione che lo animavano al pensiero della sua amata.

Con un dolce fitta d’angoscia, si rese conto che Caspian non era l’unico giovane uomo protettivo sino a quel punto, da quelle parti…

-Siria sta riposando, Caspian, e dovresti farlo anche tu.- sussurrò, piano, rivolgendogli un’occhiata molto più dolce. Si accostò a lui, premendo le manine delicate sulle sue spalle, costringendolo a rimanere dov’era e armandosi minacciosamente di una garza pulita.

-Io mi sento bene, voglio andare da lei.- protestò il ragazzo, arrossendo ancor di più quando la naiade scostò senza troppe remore la sua casacca, scoprendo il torace snello e fasciato del giovane principe.

Caspian non era abituato ad essere curato da una donna; i cerusici di corte erano tutti uomini per volere di suo zio, ma Shaylee era ben lungi dall’essere un barbuto e solitamente scorbutico vecchietto… si sentì arrossire, imbarazzato dalla situazione, sorridendo suo malgrado al pensiero di quanto si sarebbe infiammata Siria se fosse stata presente.

La ninfa sospirò, guardandolo con uno sguardo che, per un istante, riportò alla sua mente l’espressione esasperata e divertita di sua madre a fronte della sua ennesima marachella; quasi sorrise, colpevole, rammentando la sensazione di essere stato colto sul fatto nel bel mezzo di qualche avventura…

-Ascolta, Siria non scappa e io devo controllare che tu stia davvero bene come sostieni, quindi resta seduto lì dove sei e non mi contraddire.- la voce perentoria di Shaylee lo riscosse, riportandolo al presente; le scoccò un’occhiata ironica, quando si rese conto del tono deciso ed autoritario che la naiade aveva usato per rivolgersi a lui.

-E poi sono io, vero?- commentò, sarcastico. Lei si strinse nelle spalle, facendo così ondeggiare i lunghi capelli dorati, accennando un mezzo sorriso che non raggiunse, però, i tempestosi occhi dorati.

-Cosa c’entra, io posso, sono una donna.-

 .

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Quando Shaylee lo aveva finalmente lasciato andare, Caspian aveva percorso i corridoi della cripta accompagnato dal battito furioso del suo cuore; aveva bisogno di vedere Siria, di sapere che era viva, di sapere che era sana e salva…

Ma, quando era entrato in quella stanza lievemente in disparte rispetto alle altre, quel cuore forsennato si era, repentinamente, zittito.

Per un istante terribile, Caspian aveva sentito il battito vitale nel suo petto incrinarsi, spezzarsi; perché là, davanti ai suoi occhi, si era materializzato uno dei suoi più orribili e ricorrenti incubi, concreto e reale quanto la più orribile realtà.

Siria era là, bellissima bambola spezzata, la porcellana del suo volto deturpata da ferite che affondavano, crudeli, nella sua carne nivea.

Le palpebre livide velavano, caritatevoli, le iridi blu della raminga; Siria riposava, esausta, i capelli raccolti in una treccia morbida, lavati e pettinati da dolci mani di naiade. Le ferite erano state pulite, i vestiti laceri gettati; indossava una delicata veste da notte che le lasciava scoperta buona parte della coscia bianca – probabilmente, quell’abito candido apparteneva a Shaylee, molto più minuta di lei…

Respirava delicatamente, faticosamente, il seno che si alzava e si abbassava piano.

Non trovava calma, Caspian, nel volto addormentato della donna che amava; vedeva il tormento agitarla anche in quel profondo sonno da cui non pareva intenzionata a svegliarsi, le iridi che guizzavano agitate sotto le palpebre.

Sognava, Siria.

 .

-Prenditi cura di lei.-

 .

Le parole del suo sogno rimbombarono improvvisamente fra i suoi pensieri, gli occhi che pizzicavano terribilmente, lacrime di dolore e di paura che lottavano per rigare il suo giovane volto; prendersi cura di Siria… come poteva, lui, prendersi cura di una creatura tanto bella e selvaggia, che non era riuscito – per l’ennesima volta – a proteggere?

Gliel’avevano quasi portata via…

L’avevano quasi uccisa, i profondi squarci appena rimarginati sulla sua pelle ne erano la terribile riprova.

E lui, cos’aveva fatto? Cos’aveva fatto per evitarlo, per salvarla, per proteggerla come avrebbe desiderato fare con tutto se stesso?

Niente.

Sentì il suo respiro farsi affannoso, rapido, irregolare; vedere Siria era qualcosa di orrendamente meraviglioso, un sollievo ed una tortura allo stesso tempo, una gioia ed un dolore che si rincorrevano fra quelle lacrime che nessuno avrebbe visto sul suo viso.

Niente.

Che cos’era, lui, senza Siria?

Niente.

Che cosa poteva fare, adesso, per svegliarla?

Niente.

Si avvicinò lentamente a lei, i piedi pesanti e le gambe più simili a ciocchi di legno piuttosto che ad arti funzionanti; si lasciò crollare al suo fianco, le dita umide di lacrime che sfioravano quel volto meraviglioso e deturpato, le labbra che sussurravano debolmente il nome di quella donna che tanto significava per lui.

-Siria…-

 .

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Le dita affusolate di Shaylee fecero dolcemente scattare la serratura della porta, il cuore terribilmente pesante nel petto, racchiudendo in quella piccola stanza la disperazione ed il dolore di un giovane uomo dal cuore lacerato.

 .

 .

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I giorni passavano, lenti ed inesorabili come l’estate che ormai avanzava su Narnia; l’aria si era fatta più afosa, mentre i frutti abbondavano sui rami degli alberi silenti e la pelliccia dei

centauri si colorava di nuove e più accese tonalità.

Aaron tese l’arco, sentendo il legno piegarsi sotto la sua stretta spietatamente dura; tirò la corda al massimo, temendo per qualche attimo di spezzare l’arma, prima di scoccare la freccia e colpire esattamente il centro di un elmo telmarino, posto ad almeno un centinaio di metri da dove si era posizionato.

Per un istante, si sentì meglio; l’odio che animava furibondo le sue vene da quando avevano trovato sua sorella ridotta in quello stato si placava solamente durante gli allenamenti, mentre visualizzava dinanzi a sé i volti ruvidi e sgradevoli dei soldati telmarini, immaginando di colpirli con la stessa, feroce freddezza che le loro luride mani avevano usato su Siria.

-Aaron…- l’unico balsamo che riusciva a chetare la sua rabbia era la voce dolce della Regina maggiore, in quell’istante in piedi al suo fianco, silenziosa – come sempre, quando Aaron si allenava – ma dagli occhi intelligenti, colmi di qualcosa molto simile a preoccupazione.

-Come sta Siria?- gli chiese, dopo una manciata di secondi passati in un silenzio assoluto, spezzato soltanto dal vibrare della freccia piantata nel metallo scuro dell’elmo trafitto.

-Shay dice che si riprenderà.- fu la risposta atona del rosso, gli occhi che saettavano lontano dalla ragazza; il cielo di Narnia era terso, celeste e meraviglioso come sempre, tanto bello da sembrare quasi dipinto. Le folte fronde degli alberi silenti spezzavano quell’azzurro di plastica, muovendosi in una brezza delicata che la fronte corrugata di Aaron non coglieva.

-Aaron…- il sussurro di Susan lo cullava in una realtà in cui il senso di colpa non esisteva, in cui niente – dentro di lui – gli rinfacciava di non esserci stato, di non aver saputo proteggere una delle persone a cui teneva di più al mondo…

Lui non l’aveva salvata.

Era quella, la verità. L’amara, crudele, vivida verità.

Lui non l’aveva protetta.

Aveva giurato a sua sorella di restarle accanto, di essere quel sostegno e quella protezione che Siria aveva sempre silenziosamente, disperatamente cercato… e invece aveva lasciato che le facessero del male, aveva lasciato che si abbandonasse alla magia, aveva permesso a Shaylee di spingerla su una strada che Siria non voleva e non doveva percorrere…

Sospirò, lasciando cadere l’arco sull’erba, voltandosi finalmente verso l’unica donna in grado di farlo sentire nudo, incapace di affrontare persino se stesso.

Gli occhi celesti di Susan erano lì, ad attenderlo, tersi quanto il cielo che li sovrastava; le labbra carnose della Regina Dolce erano curve in un delicato sorriso, un sorriso speciale che Susan dedicava soltanto a lui, le guance diafane colorate di una delicata tonalità di pesca.

Era bella, Susan; tanto bella da ferire quel cuore dolorante, sanguinolento, carico di un senso di colpa che non riusciva a cancellare.

Il volto sfigurato di sua sorella.

-Ho mancato ad una promessa.- mormorò, la voce intrisa del senso di colpa più tremendo che avesse mai provato, gli occhi solitamente di ghiaccio tempestosi, cupi.

I suoi occhi spaventati, atterriti.

Si prese la testa fra le mani, sedendosi prima che le gambe cedessero sotto il peso della colpa; avvertì Susan avvicinarsi a lui, accomodandosi al suo fianco, sull’erba fresca e carnosa. -Avevo giurato di proteggerla, di salvarla, e non l’ho fatto.-

Quella confessione aleggiò nell’aria fresca, pesante come il groppo fermo nella sua gola da giorni, ormai.

Susan sospirò, sfiorandogli delicatamente i capelli scarlatti, le labbra disegnate da un amaro sorriso affranto.

-Mi ricordi tanto Peter, adesso. Avete entrambi il complesso del fratello maggiore.- mormorò, soppesandolo, tentando di trasmettergli la calma che sentiva vibrare dentro di sé.

Aveva avuto molto tempo per riflettere, Susan, e per rivalutare molte cose che non aveva mai analizzato sino a quel momento.

Siria si era comportata come non si sarebbe mai aspettata, sorprendendola più di quanto avesse mai potuto pensare; la rossa si era sacrificata, mettendo seriamente a repentaglio la sua vita, per salvare le sue amiche… era stata coraggiosa, oltre persino il buonsenso, mettendosi in prima linea per proteggere le persone che amava.

Era un comportamento che Susan aveva apprezzato, e che le aveva permesso di guardare in modo diverso la ragazza che tanta antipatia le aveva causato.

E, soprattutto…

 -Siria è forte e coraggiosa, e se ha fatto quel che ha fatto ne aveva i giusti motivi. Colpevolizzarsi non serve a nulla.- disse, chiara e cristallina come sempre, lasciando che Aaron abbandonasse la testa sul suo grembo, schiacciato dal senso di colpa.

Susan scosse appena la testa, sentendo la verità lottare fra i suoi pensieri, scivolando delicata fra quelle labbra morbide quanto un bocciolo di rosa.

-D’altronde, Siria è più di quanto io possa immaginare, vero?-

Un lungo silenzio di ghiaccio scese fra loro, a quella domanda tranquilla che conteneva mille e più significati che Aaron colse immediatamente, sentendo il sangue gelarsi nelle vene.

-Sue…- cominciò, piano, i pensieri che si bloccavano improvvisamente, incapaci di ragionare, di calcolare, di comprendere…

Sull’orlo di un baratro, sulle cui sponde vertevano l’amore e la famiglia.

Sorrise, Susan, più serena stavolta, quando la voce di Aaron tremò nell’incertezza di un segreto che lei aveva intuito ormai da tanto tempo. Lo interruppe, abbassando lo sguardo e trovando i suoi occhi a fissarla, ansiosi e preoccupati come mai prima di quel momento; Aaron presagiva qualcosa, sapeva che Sue aveva capito…

-Io so che non può essere semplicemente un’umana. Lo so, l’ho visto, l’ho capito nel primo momento in cui ho incrociato il suo sguardo.-

Aaron spalancò gli occhi, scrutando immediatamente il volto sereno e tranquillo della sua compagna; Susan era calma, senza la minima traccia di sorpresa a segnarle il viso elegante, gli occhi che gli sorridevano, luminosi e bellissimi come sempre.

-Non…- cominciò, sentendo il cuore accelerare bruscamente, il segreto di sua sorella improvvisamente in pericolo; ma qualcosa, dentro di lui, si spaccava a metà al solo pensiero di doversi dividere fra Siria e Sue…

Lo zittì dolcemente, Susan, accarezzando dolcemente le sue labbra carnose e posandovi un lieve bacio. Aaron sospirò, socchiudendo gli occhi ed abbandonando la testa sul suo grembo, pacificato da una luce tranquilla e serena che gli occhi celesti della ragazza irradiavano.

Susan non avrebbe tradito Siria.

Qualcosa, in quello sguardo profondo e limpido al tempo stesso, gli assicurava che il segreto di sua sorella sarebbe rimasto al sicuro.

-Qualunque cosa sia, ha il mio rispetto. Magari non la mia simpatia, ma sicuramente il mio rispetto e la mia lealtà.- le parole di Sue non furono che un’ulteriore conferma della sua intuizione; un sorriso sollevato si disegnò sul suo volto, i pensieri che si perdevano sotto le dolci carezze della Regina Dolce.

Ne era certo.

Susan accarezzò lievemente gli scompigliati crini scarlatti del suo compagno, alzando gli occhi al cielo fattosi improvvisamente plumbeo e minaccioso: presto la pioggia avrebbe lavato via tutto, portando con sé il sangue sparso per crudeltà ed il terrore stillato da anime inaspettatamente pure.

Sorrise appena, malinconica, negli occhi impresso chiaramente il volto martoriato di quella che aveva considerato, sino a pochi giorni prima, un pericolo.

-Se le è meritate.-

. 

 .

-DATTI UNA MOSSA!-

Un clangore d’acciaio e di rabbia.

-NON TI STAI CONCENTRANDO! MUOVITI!-

Una voce che le trapanava la testa.

-NON M’INTERESSA NIENTE! REAGISCI, SE SEI UN UOMO!-

Un ruggito esasperato, e di nuovo spade che fraseggiavano bestemmie, ira e dolore che si mescolano nelle scintille furibonde che fremono fra le lame.

 .

Peter.

 .

Siria lo avrebbe maledetto, se ne fosse stata in grado.

Perché Peter urlava? Lei stava dormendo, dannazione. Non poteva lasciarla riposare, una volta tanto? Non poteva contenere il suo indomabile spirito per concederle qualche ora in più di riposo?

Era così stanca… tanto stanca da non ricordare, nemmeno, da quanto stesse dormendo.

Giorni, forse?

Lentamente, si costrinse a riprendere coscienza di sé, riemergendo dal nulla confuso in cui la debolezza e le pozioni sonnifere di Shaylee l’avevano costretta a sprofondare. Il suo corpo era pesante, fragile, i suoi pensieri una matassa intricata ed inesbrogliabile. Vi rinunciò immediatamente, cercando di capire cosa stesse succedendo, l’ira che avvertiva appesantire l’aria intorno a lei.

Peter… la voce di Peter era carica di rabbia, di odio, di un dolore a stento trattenuto.

Era stato quel dettaglio, quei sentimenti che tanto bene riusciva a cogliere, a scuotere il suo sonno drogato, costringendola ad abbandonare il rassicurante oblio dei farmaci e dell’incoscienza.

Peter soffriva.

Il suo amico, il suo rivale, il suo eterno, fraterno avversario… soffriva.

“Perché?”

Tentò di muoversi, di cercare disperatamente il contatto con il proprio corpo – un corpo che avvertiva lento e dolorante, come se… come se avesse subito…

DOLORE!

Una frustata, ed il suo corpo debole crollò nuovamente sulle lenzuola, il dolore fulminante che riportava a galla truci ricordi che Siria non voleva rammentare.

Un gemito sfuggì da quelle soffici labbra ormai guarite, quando la paura ed il terrore tornarono a sopraffare la sua mente impreparata, trasmettendo un tremito orribile a quella carcassa che rimaneva del suo corpo provato.

 .

Angus.

La tortura.

Shaylee e Talia, pericolo.

Sangue, dolore, sangue, carne strappata e lacera.

Spade, terrore, fil di lama sulla pelle; una macchia bionda pronta a combattere.

Caspian.

Sangue.

Caspian.

No.

 .

Un ruggito di dolore sfuggì dalla gola arsa di Siria, quando lacrime calde e spaventate scivolarono lungo le sue guance livide; i ricordi ed il terrore si ravvivarono in un fuoco tremendo che minacciò di sopraffarla, costringendola a rannicchiarsi su se stessa ed a nascondersi fra le morbide coperte in cui era avvolta, i piedi congelati quanto il suo cuore.

Caspian.

Cos’era successo a Caspian? Non rammentava nulla… ricordava soltanto un immenso calore, una sensazione di benessere che l’aveva invasa qualche attimo prima che il dolore la distruggesse quasi completamente, e poi…

Nulla.

No, lei non poteva vivere del nulla.

Ma aveva paura.

Se si fosse alzata, gli incubi sarebbero tornati, il dolore le avrebbe ricordato la tortura subita.

Ma doveva sapere.

Doveva sapere che cosa aveva fatto, doveva essere sicura di non aver…

Doveva sconfiggersi, ancora una volta.

Il volto di Angus Flynch, stirato in quella folle smorfia di crudele e trionfante sadismo che tanto l’aveva tormentata, si fece più vivido dinanzi agli occhi della sua mente, quando le sue gambe incerte la portarono a terra, rischiando quasi di farla rovinare sul brullo pavimento della stanzetta.

Non indossò i calzari, non rammentava nemmeno di possederne ancora un paio; scalza, le mani candide che si aggrappavano convulsamente a qualsiasi appiglio, si trascinò fuori da quella stanza che distingueva sfocata, irriconoscibile ai suoi occhi appannati di dolore e d’angoscia.

Barcollò, ma la testardaggine fu più forte della debolezza che sentiva fremere nelle gambe incerte; doveva uscire da quella cripta, doveva rivedere il verde acceso della foresta e dei prati, doveva sentire di nuovo quel profumo troppo a lungo annebbiato dall’odore ferruginoso del sangue… aveva bisogno di scorgere finalmente il Sole, dopo troppi giorni di buio e di oblio.

Sentì una vampata terribilmente calda imperlarle la fronte di sudore, lievi scie trasparenti che immediatamente ghiacciarono e le trasmisero un orrido brivido: caldo e poi subito freddo, fuoco e ghiaccio… lo stesso contrasto che aveva segnato una vita intera: la sua.

Combatté contro la vista sfocata, Siria, sotto le dita livide la consistenza della parete del corridoio in penombra; mai quel percorso, solitamente breve, le era parso tanto lungo e insidioso… sentiva la febbre alta farsi strada nel suo corpo, minare anche quella fragile testardaggine che la teneva in piedi e la costringeva a muovere un piccolo passo dopo l’altro.

Non c’era nessuno, in giro: era tardo pomeriggio, tutti i guerrieri erano fuori per i consueti allenamenti, Talia e Caleb probabilmente erano assieme a loro, Shaylee chissà dov’era… e Caspian?

Caspian.

Il nome del principe risuonò con forza nel suo debole petto, rinvigorendo quell’ostinazione sempre più labile che ancora le permetteva di camminare.

Aveva bisogno di vederlo, aveva bisogno di essere sicura di saperlo vivo e in salute: aveva rischiato se stessa e la sua salute per salvargli la vita, aveva messo a repentaglio la segretezza di una magia che nessuno avrebbe mai dovuto scorgere a parte le sue compagne, aveva temuto persino di arrivare a fargli del male…

Doveva sapere.

Doveva sapere, per certo, di non aver compiuto l’ennesimo omicidio – l’unico che avrebbe ucciso anche lei, perché la consapevolezza di avergli fatto del male sarebbe bastata per distruggerla, per spegnere definitivamente quell’incerto fuocherello che ancora brillava in un’oscurità troppo fitta.

Ma era inutile perdersi in divagazioni, in pensieri che non facevano altro che serrare la morsa della paura e dell’ansia che stringeva il suo cuore: la soglia della cripta era lì, a pochi passi da lei, ed il Sole caldo del pomeriggio sfiorava – finalmente – la sua pelle martoriata.

Ah

Il calore che si diramò sulla sua pelle fu dolcissimo, quando un raggio dorato sfiorò il suo braccio ancora recante le troppo vivide tracce di quella lunga prigionia.

Era viva.

Per la prima volta da quando erano state catturate, per il primo istante da quando le mani malvagie di Angus Flynch erano calate su di lei… Siria si sentì viva.

Quei lunghi giorni erano stati, per lei, una lotta continua sul filo del rasoio: vivere o morire avevano perso importanza, durante il rapimento, riducendosi ad una mera sopravvivenza durante una tortura infinita.

Si era rassegnata, in quei momenti, a non provare più niente, limitandosi a subire le violente percosse del soldato senza la possibilità e la voglia di reagire: si era arresa, abbandonandosi nel buio di quella morte che sentiva sempre più vicina, il fiato gelido che le riempiva la gola di pelle d’oca.

E invece… invece il Sole caldo di Narnia la riportava alla vita, sfiorando quella pelle lacera su cui ancora s’intravedeva un barlume di candore: quel candore che sembrava esserle stato strappato, quel candore che, troppo a lungo, Siria aveva visto sporcato dal colore rugginoso del sangue.

Narnia si stendeva dinanzi a lei, e mai Siria aveva scorto uno spettacolo più bello.

Il pallido ricordo del verde oceano che ondeggiava sotto la carezza del vento era niente, in confronto alla pura dolcezza che vedeva danzare in ogni singolo filo d’erba, nelle fronde d’ogni albero; e la luce dorata del Sole era il tesoro più splendente che i suoi occhi stanchi avessero mai scorto, la sicurezza di una vita che per poco non l’aveva abbandonata, la bellezza di un panorama che aveva pensato di non poter più scorgere.

Là, aggrappata ad una colonna con tutte le poche forze che le erano rimaste, la verde e ribelle Narnia ai suoi piedi, Siria si sentì finalmente a casa.

Quel cuore dolorante, però, cercava.

Quel cuore spaventato, però, sperava.

Dov’era?

Non poteva… non poteva essere…

E se lei avesse fallito?

Se… se la sua magia dannata avesse compiuto l’ennesimo orrore, strappandole l’unica vita a cui non avrebbe mai potuto rinunciare? Se quel fuoco maledetto avesse arso solo per uccidere, per portarle via ciò che aveva di più caro, ciò che le dava la forza di sopravvivere?

Sentì calde lacrime pungere quegli occhi gonfi, stanchi, mentre il suo sguardo sfocato scivolava ansioso fra i mille volti anonimi dei soldati radunati nell’ampia pianura.

Riconobbe i volti dei suoi compagni, di suo fratello, dei gendarmi al cui fianco aveva combattuto; riconobbe amici e conoscenti, riconobbe tutti coloro che si battevano per la causa a cui Caspian…

Caspian

Dov’era Caspian… dov’era Peter?

Lui non le avrebbe mentito, le avrebbe detto la verità… dov’era Peter?

Nella confusione, nel dolore che pulsava terribile nelle sue carni e nella sua mente, Siria riuscì soltanto a distinguere una lama dai riflessi argentei, una zazzera disordinata di capelli biondi che improvvisamente si fermava, il viso rivolto verso di lei.

Peter.

Cosa c’era, adesso, in quegli occhi azzurri?

Era sempre stata in grado di cogliervi qualsiasi cosa… eppure adesso, per la prima volta, non vi distinse altro che pura sorpresa.

Sorpresa, sgomento, un respiro… come se Peter non si fosse aspettato di vederla in piedi, come se non si fosse aspettato di incrociare ancora il suo sguardo, come se si fosse rassegnato a vederla dormire per sempre… una parola, un borbottio a mezza voce.

Un sorriso.

Un sorriso incredulo che scaldò il cuore della ragazza come il Sole aveva sfiorato la sua pelle.

Un cuore che esplose, che eruppe in un istante quando i suoi occhi misero a fuoco il volto dell’interlocutore di Peter, che rapidamente si era voltato proprio verso di lei.

Notte.

La notte che Siria vide, in quell’istante, fu la Notte che più le era mancata in quelle terribili ore di torture. La Notte che distinse in quel viso aveva la forma di due espressivi occhi del colore dell’inchiostro, caldi e vividi come il sapore di quelle stesse labbra sottili, accesi e tempestosi come la passione che vibrava in quel corpo.

Quella Notte era la stessa che lei aspettava, impaziente, al termine di ogni dura giornata; quella che vedeva soltanto lei e lui, protagonisti di un racconto che bruciava nei fuocherelli dei cantori di strada.

Quella Notte così diversa dal buio che aveva minacciato di divorarla, quella Notte che amava, riflessa in due iridi corvine che si riempirono di mille emozioni quando, finalmente, trovarono le sue.

Caspian.

E il mondo, la bellezza di ciò che Siria aveva appena ritrovato, improvvisamente scomparvero: l’unica figura concreta, solida, reale che la sua vista riuscisse a mettere a fuoco era lui, quel volto affilato di un giovane che troppe ne aveva passate, quei capelli segosi e riccioluti che lei tanto adorava, quelle spalle nodose capaci di sorreggere anche lei.

Accennò un sorriso, Siria.

Un sorriso che non era altro che il pallido, mero riflesso del palpito forsennato che scalpitava dentro di lei, nella sua cassa toracica, opera di un cuore che – alla fine – aveva davvero ripreso a battere.

-Caspian…-

Le sue labbra tumefatte articolarono quel nome, incerte, incespicando su ogni sillaba come se davvero non potessero credere di essere ancora in grado di pronunciarle; ma il suono che le ritornò all’udito fu dolce, fu più dolce di quanto non fosse mai stato prima d’allora.

A Caspian bastò questo.

Bastò vederla lì, tremante, ferita, avvolta in una camiciola che la faceva assomigliare ad una bambina sperduta, i capelli rossi sciolti in una cascata sulla sua schiena, il volto timido e ferito che si alzava a cercarlo con tutto il terrore di un incubo… e il nodo terribile che gli opprimeva il petto si dissolse, liberando le sue gambe dalla morsa che lo teneva inchiodato lì dov’era.

Corse da lei, senza esitare, senza aspettare, nelle orecchie soltanto il suono del suo cuore che batteva furioso.

Perché Siria era là, era viva, e a lui non interessava nient’altro.

E quando tese le braccia verso di lui, abbandonando la sicurezza del suo appiglio per cercarlo… quando il suo corpo caldo entrò a contatto con le sue mani, con il suo petto, quando il profumo di quei capelli che tanto le erano stati pettinati con cura lo investì…

Tutto tornò a posto.

La ritrovò contro di sé, nel suo abbraccio, quando per troppi giorni aveva vissuto nell’agonia di non poterla più toccare; la sentì singhiozzare sul suo torace e la strinse, le mani che spasmodicamente la racchiudevano in una stretta da cui non le avrebbe più permesso di allontanarsi, il volto che s’immergeva in quei rossi crini che lui tanto amava.

Tutto era di nuovo perfetto.

C’era lei, c’era lui, c’era il terrore che li scuoteva in singhiozzi che nessuno dei due sapeva se appartenere all’uno o all’altro; c’erano le braccia che si cercavano con paura, c’erano le lacrime che sgorgavano sulle guance nivee della rossa, c’era il corpo solido di Caspian che l’accoglieva contro di sé.

Erano di nuovo insieme.

Era di nuovo al sicuro: lì, in quell’abbraccio forte e protettivo, quasi eccessivo, quell’abbraccio che la stringeva con amore e con paura ma con tutto il sollievo di averla ritrovata, di saperla abbastanza forte da schiudere gli occhi, di sentire il suo respiro accelerato e i singhiozzi che la facevano tremare.

-Siria…-

 .

.

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..

.

My Space:

Mi dispiace.

Mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace, mi dispiace.

Sono più di tre mesi che non aggiorno: maturità, lavoro, fidanzato, problemi, malattie, genitori, sorella, vita, sopravvivenza. Liti, ed un rifiuto per questa storia che ha perdurato per tanto, troppo, nonostante fosse la mia creatura, il mio tesoro, il mio orgoglio.

Sono tornata, sì. Sembra impossibile, ma sono tornata.

Non abbandonerò Rebirth, né i suoi seguiti: non lo farò, perché ho capito di amare questa storia come forse ho amato soltanto la mia Diana, la mia Regina, la Regina che fu e che non è più.

E sono tornata, con questo capitolo spero abbastanza decente per chiedervi scusa.

Siria si è svegliata. Siria si è ripresa, ancora una volta, Siria si è rialzata. Non sarà facile il suo cammino, ma ce la farà: è Siria, no?

E Susan... sì, Susan se n'è accorta, Susan ha capito. Susan si redimerà e acquisterà nuova luce, agli occhi vostri e anche miei. L'ho rivalutata ^^'

Se vorrete recensire, anche solo per insultarmi per il ritardo, fatelo. Sarà una cosa che mi sarà immensamente utile per vedere di non fare altri danni del genere.

Grazie :)

Love you all, B <3

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Capitolo 32
*** Disarm Me. ***


Narnia's Rebirth



Disarm Me (With Your Loneliness) - HIM

L’umida nebbia del primo mattino velò la pelle ambrata di Talia, le mani affusolate ed i calzari che si fondevano con gli arbusti ed i bassi rami del sottobosco, le snelle gambe che scattavano per portarla a velocità che gli esseri umani non avrebbero mai potuto raggiungere.

Nella sua mente, rapidi quanto i suoi abili salti, si rincorrevano pensieri e tormenti che il riposo forzato dell’ultima settimana non era riuscito, nemmeno lontanamente, a sopire.

Erano passati giorni, ormai; lunghe notti che la sua mente le aveva impedito di vivere nel sonno e nell’oblio, atterrita al sol pensiero di rivivere, ancora una volta, l’incubo che per interminabili ore di buio l’aveva costretta in una fragilità a cui Talia non era mai stata abituata.

Mai.

Lei, fiera del suo mezzo sangue d’elfa, invulnerabile nel suo guscio d’indistruttibile sicurezza, si era ritrovata a combattere contro il suo più grande demone, contro lo sprezzo che provava nei confronti della sua parte più debole e meschina, quel corpo a metà che l’aveva tradita, lasciandola…

Nuda.

Dinanzi a quelle belve che condividevano metà della sua natura, quell’orrida parte umana che avrebbe voluto strappare da sé, lacerarsi la pelle sino a cancellare dalla sua anima ogni traccia di umanità… Talia era rimasta nuda, nuda nella fragilità di un corpo improvvisamente privo della sua impressionante, sicura, confortevole forza, alla mercé di bestie che molto avevano di animalesco e poco, invece, di umano.

Sui polsi, impossibili da cancellare anche per il suo sangue di elfa, Talia recava ed avrebbe per sempre recato i segni di quelle catene maledette, quel metallo incantato che aveva risucchiato via ogni briciolo della sua sicurezza. Sino all’ultimo.

Tentò di scacciare i demoni dai suoi pensieri, relegandoli in quel buio anfratto che soltanto la notte era in grado di svellere dai suoi saldi cardini; il suo corpo si muoveva agile nella foresta, il profumo scuro e denso delle cortecce la cullava in ricordi lontani, nei ricordi di quando, bambina, giocava assieme agli altri fanciulli elfi, ignara del crudo destino che la vita le avrebbe riservato.

Ignara della sua mediocrità, dell’ineluttabile verità che la spaccava a metà fra due mondi.

Due mondi a cui lei non apparteneva.

Due mondi che l’avevano scacciata, allontanata, spezzata in due metà che non potevano in alcun modo ricongiungersi; da una parte e dall’altra, Talia non aveva mai provato l’interezza di appartenere ad un luogo, ad una famiglia, ad un…

Ma il suo mondo, l’unico in cui Talia poteva sentire la spaccatura dentro di sé colmarsi e svanire, era fra le braccia di un ragazzo alto, dai soffici riccioli biondi e dalle spalle nodose e forti, in quel momento accovacciato fra le radici di un immenso ontano incredibilmente frondoso.

Caleb.

In poco meno di un istante, tutti i pensieri e le paure che attanagliavano i suoi pensieri svanirono,  scacciati dalla luminosa e concreta presenza di Caleb, dal celeste profondo dei suoi meravigliosi occhi tanto anomali per un guerriero: occhi caldi, dolci, limpidi come specchi d'acqua, tanto diversi da quelli di qualunque altro soldato dell'esercito narniano.

-Caleb…- chiamò, piano, avvicinandosi piano alla figura contratta e pensierosa del suo compagno. Il volto di Cal era fisso su un punto lontano, un varco fra le fronde degli alberi che lasciava scoperto uno sprazzo delle nubi che ammantavano il cielo ormai da giorni.

Si accostò al biondo, sedendosi al suo fianco e sfiorando delicatamente i riccioli morbidi che ricadevano sulle iridi socchiuse, sofferenti, del ragazzo. -Cos’hai?- gli chiese, piano, il fruscio del vento che scuoteva lievemente le folte chiome degli alberi che li circondavano.

Caleb sorrise lievemente, il corpo che si rilassava impercettibilmente come reazione alla presenza di Talia; il profumo di selvatico e di foreste della mezzelfa lo raggiunse in un attimo, riempiendo il suo ampio petto della presenza della giovane, immortale creatura.

-Nulla, tranquilla.- la rassicurò, alzando delicatamente una mano e racchiudendovi quella minuscola di Tallie, portandola alle labbra e posandovi un lieve, candido bacio.

-Non sono una sciocca.- gli ricordò, un morbido sorriso che appariva, per qualche attimo, sulle sue labbra.

-Lo so bene.- annuì il biondo, tirando un lieve sospiro e costringendosi ad aprire gli occhi, fissandoli in quelli scuri, caldi, dell'elfa. -Non mi aspettavo… non avrei mai voluto vedere ciò che ho visto, fare ciò che ho fatto.-

Quella confessione aleggiò nell'aria per lunghi secondi, appesantendo il respiro ed i pensieri del ragazzo che, da quella notte, non aveva smesso un attimo soltanto di tormentare il suo animo e la sua mente.

Ira e furia, furia e ira; rabbia e dolore, violenza e sangue, condensato in quell'arma mai stata tanto leggera fra le sue mani.

-Mi sono sentito un animale, ma non me ne pento.- aggiunse, la voce amara e distante, rammentando bene quel sentimento cieco ed inarrestabile che lo aveva travolto, cancellando ogni suo pensiero e riducendolo ad una belva assetata di sangue – il sangue di coloro che avevano tentato di portargli via la sua unica ragione di vita, la donna per cui avrebbe dato il sangue e l’anima.

-Cal…- cominciò Talia, incerta su cosa dire, su cosa tentare di pronunciare per lenire il disgusto che il suo compagno provava verso se stesso.

Lo aveva visto combattere come mai prima, la furia che soppiantava il solito atteggiamento scanzonato ed ironico che lo aveva sempre caratterizzato; aveva visto l’allegria sparire dai suoi occhi, sostituita da una cieca sete omicida che l’aveva spaventata – ma cullata, rassicurata nella sua presenza forte ed invincibile, sicura che Caleb non avrebbe mai permesso che le accadesse ancora qualcosa.

Ma il biondo la interruppe, prendendole il viso fra le mani e portandolo repentinamente ad un soffio dal proprio, gli occhi celesti tormentati dall’unica, reale paura che ancora lo stava tormentando sin nel profondo.

-Ti avrebbero uccisa, lo capisci?- mormorò, nella voce un fremito che Talia non aveva mai udito, una debolezza improvvisa che imperversava in quei due pozzi celesti, colmi di terrore. -Ti avrei perduta…- sussurrò, piano, Caleb, accarezzandole una guancia col timore di spezzarla, di rovinare quella pelle risanata dal suo stesso sangue magico.

Non poteva accettare il pensiero di essere stato tanto vicino a perdere Talia.

Non poteva.

Senza di lei, la sua vita non valeva nulla; la sua vita sarebbe stata inutile e grigia, vuota d’ogni sorriso e d’ogni gioia, piena soltanto del dolore della perdita e del rimorso per non averla salvata. -Non ti posso perdere, scricciolo. Io… ho perso la testa, Tallie. Non ho più compreso altro, ho soltanto…- balbettò, calde lacrime che minacciavano di scendere da quelle due iridi stupefacenti, dello stesso colore di un cielo che Talia non vedeva ormai da molti giorni, oscurato dalle nubi.

Ma lei, lei aveva il suo universo personale, in quel volto chiaro spaccato dall’ansia.

-Caleb. Ehi, ragazzone, ascoltami.- esordì, piazzandosi di fronte a lui e racchiudendo fra quelle minuscole manine il volto del guerriero, tentando di trasmettergli tutta la sicurezza che lei provava sempre, al suo fianco.

Accanto a Cal, Talia sentiva che niente avrebbe potuto scalfirla, che nulla avrebbe potuto far del male a nessuno dei due; perché Caleb era la sua forza, la forza centenaria di una mezzosangue dal cuore più puro di entrambe le razze che rappresentava, dal coraggio incredibile di una donna innamorata.

-Dentro ognuno di noi c’è qualcosa che può arrivare a spingere oltre i limiti, oltre la ferocia. È normale, è l’equilibrio stesso della vita.- spiegò, dolcemente, un lieve sorriso che piegava le sue soffici e sottili labbra nel rammentare gli insegnamenti del padre, secoli prima di quel momento.

 

-La natura è in continua evoluzione, Talia.

La natura come tu la vedi è qualcosa di inarrestabile e meraviglioso, sempre in crescita da entrambe le parti che vive; c’è il marcio che aumenta ad ogni foglia esausta che abbandona le fronde, ma allo stesso tempo c’è un nuovo bocciolo pronto a soppiantarlo, a mantenere l’equilibrio del tutto.

La vita stessa è una ricerca dell’equilibrio, un punto perfetto che annulla sia il Bene, che il Male.-

 

-Non puoi essere soltanto bianco, o nero; esiste, per tutti noi, un giusto rapporto fra le due cose.- continuò, il cuore che si stringeva di nostalgia, i tempi passati con suo padre che tornavano prepotentemente dinanzi ai suoi antichi occhi,riempiendoli di una malinconica dolcezza.

Caleb le accarezzò i capelli, sorridendo appena e cancellando, dopo qualche attimo, le lacrime dispettose che avevano rigato le guance di entrambi, mischiandole; non c’era differenza, fra loro, non c’era distanza – nemmeno nelle lacrime, ugualmente disperse fra le dita forti e ruvide del giovane mercenario.

-Ti amo, Talia.-

-Lo so.-

 







Shaylee tirò un lungo sospiro, tentando di controllare la preoccupazione ed il nervosismo mentre cercava di radunare le energie necessarie a compiere l’incantesimo che per lunghi giorni, durante il lungo sonno della rossa, aveva studiato.

Siria la guardava senza dire niente, tormentando nervosamente i lunghi crini rossi che aveva preso l’abitudine di spostare davanti al viso, per nascondere le tumefazioni e le fratture che rovinavano il suo volto una volta tanto esotico, affascinante.

Si trovavano sul greto del fiume poco lontano dall’accampamento narniano, mentre in cielo apparivano i primi squarci d’azzurro nella cappa impenetrabile di nubi che avevano ammantato Narnia per giorni interi.

Shaylee era immersa sino alle ginocchia nell’acqua limpida, i lunghi capelli che sfioravano la superficie cristallina dell’acqua, la veste candida che fluttuava intorno alle sue gambe sottili e tornite; a pochi metri di distanza da lei, pensieroso come poche volte si era mostrato, ritto in piedi sul greto del fiume, stava Peter, a sua volta a poca distanza da un Caspian estremamente ansioso che sosteneva Siria, tremante, quasi incapace di reggersi in piedi.

Aaron era a poca distanza dalla sorella, cupo in volto, gli occhi fissi su Shaylee in una smorfia che tutto poteva essere considerato fuorché amichevole; sapeva benissimo cosa la ninfa aveva in mente di fare, sapeva perfettamente quanto sarebbe stato utile a Siria… ma il dolore che le avrebbe provocato, un dolore che Siria avrebbe sicuramente accettato, era troppo per concedere alla ninfa un’occhiata meno che astiosa.

Shaylee lo ignorò, rivolgendosi invece alla rossa, a pochi metri da lei.

-Ti appoggi a me, per piacere?- le chiese, sentendo qualcosa agitarsi nervosamente nel suo stomaco; non le piaceva vedere Siria in quello stato, non le piaceva vederla così diffidente e taciturna. Non sembrava nemmeno lei, non sembrava nemmeno la Siria a cui tanto era affezionata…

La rossa posò cautamente i piedi sul greto acciottolato del fiume, sentendo le gambe tremare sotto il suo peso ed aggrappandosi istintivamente a Caspian, spaventata più dall’idea di crollare davanti a tutti che dal dolore stesso.

-Con calma, Sir.- le sussurrò il principe, sfiorando con le labbra la tempia nivea della giovane; era uno dei pochissimi punti in cui la sua pelle non era stata rovinata, martoriata – e l’unico punto in cui, sfiorandola, non sussultava dal dolore.

La ragazza annuì, cullandosi nel profumo e nella consistenza del corpo solido di Caspian; avrebbe preferito mille volte non dover sopportare quell’onta, quella vergogna tremenda a cui il suo corpo la stava crudelmente sottoponendo. Avrebbe voluto essere lontana dagli occhi indagatori di Peter, dallo sguardo pieno di dolore di Aaron, dalla preoccupazione di Caspian.

In quell’istante, non per la prima volta, Siria desiderava soltanto rimanere sola.

Con se stessa non poteva mentire, a se stessa non poteva nascondere il dolore e la paura che ancora risuonavano forti e cristalline dentro di lei; tutta la sua forza pareva svanita, ora, parcellizzata in miriadi di lievi frammenti sperduti nel vento, e lei non aveva più il coraggio di mantenere quella farsa di gentilezza e orgoglio per nascondere il tumulto che la scuoteva dentro.

Tutto ciò che le rimaneva era quell’amor proprio, quel lieve barlume di una Siria che pareva essere morta insieme ai suoi aguzzini.

Abbandonò lentamente la sicurezza delle braccia di Caspian, aggrappandosi a quelle più esili e fresche di Shaylee; i suoi occhi blu erano bassi, fissi sulla limpidezza dello specchio d’acqua che lambiva le sue gambe incerte, l’orgoglio che tremava per le continue ferite che quella situazione stava imponendole.

La naiade la strinse a sé, sentendo lo stomaco contrarsi per il nervosismo ed il senso di colpa che sentirla tanto fragile, insicura e timorosa persino di lei, le provocò.

La raminga aveva gli occhi bassi, lontani dai suoi; sapeva cosa l’aspettava, sapeva che sarebbe stato un inferno… ma si era comunque rassegnata all’idea, troppo provata persino per avere paura della sofferenza che stava per giungere a coglierla, lo sguardo vinto da un dolore psicologico di una portata ben più grande di quello fisico.

-Mi dispiace.- sussurrò la naiade, piano, stringendo appena più forte le spalle sussultanti della rossa; fu solo allora che Siria alzò gli occhi, guardandola con la sconfitta nelle iridi blu, il dolore scritto in ogni venatura grigia di quello sguardo terribilmente stanco.

Il pensiero colpì la ninfa con forza, facendo rabbrividire persino il suo corpo, figlio dei Grandi Fiumi, a contatto con l’acqua fredda che lambiva la sua pelle di panna.

 

Era stanca.

Era stanca di vivere.

Quello leggeva nei suoi occhi, Shaylee, quello scorgeva in quell’anima distrutta e provata.

Stanca.

Siria non ne poteva più; Siria voleva soltanto che la sofferenza la sopraffacesse, arrivando al limite, quel limite che le avrebbe concesso, finalmente… pace.

 

Avrebbe voluto abbracciarla, stringerla, dirle che sarebbe andato tutto bene; ma il senso di colpa la dilaniò ancora una volta, ricordandole chi era stata la causa di tutte le ferite, morali e fisiche, che martoriavano quella creatura che, una volta, era stata la sua amica Siria.

Era stata colpa sua.

Siria si era ridotta in quello stato a causa sua.

Avvertì il cuore stringersi in una tremenda morsa, Shay, quando la realtà nuda e cruda di quanto la sua vigliaccheria avesse ferito una persona a cui era affezionata la colpì ancora una volta, ferendola là dov’era più fragile; nel suo orgoglio.

Ma scacciò quei pensieri, chiudendo gli occhi e prendendo un respiro profondo; non sarebbe stato facile, quello che si stava accingendo a fare.

 



Madre, che limpida e pura scorri nelle vene di quest’umile figlia

Rendi sicura la mia mano

Lascia che io possa attingere alla tua immensa benevolenza

Lascia che le tue acque curino questa sorella

Lascia che riportino ciò che è a ciò che era

Donando vita alla morte e morte alla vita.

 



La preghiera che pronunciò mentalmente Shaylee risuonò nella mente di Siria, chiara e cristallina come l’acqua fredda in cui si ritrovava a tremare, terribile preludio di un inferno ghiacciato in cui, senza preavviso, si ritrovò completamente immersa.

Panico.

In un istante, quando i suoi occhi deboli non distinsero altro che il vorticare terribile dei tempestosi flutti che repentinamente l’avvolsero, il panico prese violentemente il sopravvento su di lei.

Aria!

Non c’era aria, là sotto!

Siria si sentì soffocare, senza la forza di trattenersi dal respirare; sentì il suo ventre ed il suo addome riempirsi dell’acqua che i suoi polmoni respirarono coercitivamente, le mani incredibilmente forti di Shaylee che la costringevano appena sotto il pelo dell’acqua, costringendola ad inghiottire quelle spire trasparenti che annegarono nel suo corpo un centimetro alla volta, lacerando le ferite appena rimarginate e spezzando ossa fragilmente ricomposte.

 

-Siria!-

Caspian fece per fiondarsi verso l’acqua, verso la Naiade che tratteneva la rossa sotto il pelo del fiume improvvisamente turbolento, agitato da una forza ancestrale che rendeva l’acqua scura, cupa, mentre una macchia scarlatta si allargava come una lugubre ninfea attorno al corpo sussultante di Siria.

Ma non fece in tempo a scaraventarsi verso le due ragazze, che un mulinello alto ed invalicabile apparve per impedire a lui e a Peter qualsiasi movimento, bloccandoli sul greto del fiume, lontano dalla magia antica e potente che Shaylee stava evocando per curare le ferite di Siria.

Una magia che avrebbe riaperto ogni singolo taglio, ricreato ogni singola frattura, per poterle curare più rapidamente con la magia che sarebbe penetrata fin nei più piccoli meandri di quel corpo lacero, ricreando pian piano ciò che le era stato portato via.

Una magia dal costo altissimo, forse troppo alto per essere sopportato.

Per entrambe.

 

Siria riemerse tossendo furiosamente l’acqua che le aveva invaso i polmoni, tremando come una foglia, il corpo trafitto da un dolore mille volte più grande di ciò che aveva dovuto sopportare sino a quel momento.

Sentiva i muscoli contrarsi in preda alla pazzia, le sembrava che le ferite pulsanti fossero sul punto di aprirsi di nuovo, di lacerarsi un’altra volta… sentì calde lacrime scendere lungo il viso, solcare quei lividi orrendi che era costretta a portare, quando si rese conto che nemmeno le sue braccia riuscivano a sostenerla sotto il peso di quella sofferenza assurdamente immensa.

Non vedeva più niente

Tutto era annebbiato, tutto era sfocato, uno spesso velo d’agonia era calato sui suoi occhi e le impediva di vedere.

Non capiva più niente

La sua stessa mente si dibatteva furiosamente dentro di lei, il panico che saliva fino a livelli quasi incontrollabili, il terrore che riempiva i suoi pensieri ed i suoi occhi.

Riuscì a comprendere qualcosa di più chiaro quando due mani forti si strinsero intorno alla sua vita, sollevandola di peso dall’acqua e stringendola ad un petto forte che Siria conosceva molto bene: in mezzo a quell’agonia terribile, riuscì a cogliere il profumo intenso della pelle e dei capelli di Caspian, il suo tocco deciso e protettivo che la allontanava da quelle acque traditrici.

Si ritrovò a singhiozzare sommessamente contro di lui, le dita che convulsamente si stringevano sulla tunica del principe, le braccia che si serravano convulsamente alle spalle forti del ragazzo.

Faceva male

Sentiva nuovamente ogni singolo colpo che Flynch le aveva inferto, ogni calcio, ogni schiaffo, ogni pugno… tutto sembrava nuovamente vivido, nuovamente reale – e lei non aveva più forze per sopportare ancora quell’incubo, non poteva farcela, il dolore era troppo grande…

Quasì urlò quando il suo stesso polso schioccò chiaramente, rinsaldando l’osso slogato.

Dolore.

Era troppo, era troppo, non riusciva più nemmeno a ragionare, ogni pensiero le sembrava impazzito e fuori controllo… riusciva soltanto a comprendere la consistenza solida del corpo di Caspian, perché lei non era altro che un ammasso di muscoli e ossa che gridavano per la sofferenza immane a cui erano sottoposti.

Caspian la strinse a sé con forza, ogni singhiozzo di Siria che apriva una nuova ferita nel suo cuore; si volse verso Shaylee, furibondo, non riuscendo a distinguere il viso contratto e colpevole della ninfa.

-CHE DIAVOLO TI E’ SALTATO IN MENTE?- ruggì, un braccio che, protettivo, si stringeva attorno alla schiena sussultante di Siria, gli occhi neri che lanciavano fiamme e rabbia in direzione della naiade esausta, provata.

-Io…- Shaylee trasalì, quando la voce furibonda ed irata del Principe la colpì con la violenza di una mazzata, tagliente e cattiva come poche volte aveva avuto occasione di sentir parlare un uomo; gli occhi di Caspian, neri come la notte più buia, ardevano in quell’istante di un’ira terribile mista a terrore – un terrore vero, ancestrale, il terrore che a Siria potesse succedere ancora qualcosa che lo mandava in bestia, scardinando il suo autocontrollo… -La può curare… io non…- le parole della ninfa morirono sulle sue sottili labbra, sotto lo sguardo rabbioso del ragazzo.

-ALLORA POTEVI FARLO PRIMA!- il ringhio di Caspian precedette solo di pochi istanti un gesto fulmineo, rapido quanto un fulmine rossiccio, che si frappose fra lui e la Naiade, due serissimi e gelidi occhi color ghiaccio che trapassavano da parte a parte la mente del Principe.

-Datti una calmata e lascia in pace Shaylee.- la voce di Aaron, gelata quanto i suoi occhi, fu in grado di riportare sul greto del fiume il silenzio più attonito; nessuno, soprattutto un Peter quanto mai allibito dall’intervento, si sarebbe aspettato che Aaron prendesse le difese della Naiade – e con quella veemenza, oltretutto.

Caspian sostenne lo sguardo del rosso, infuriato; non capiva come Aaron potesse essere così tranquillo, così insofferente nel vedere sua sorella travolta da quell’agonia che la scuoteva nel profondo fra le sue braccia, lacrime inconsapevoli che le rigavano le guance…

Anche Peter osservò il mercenario, stupito; Aaron non si era mai esposto tanto per qualcuno che non fosse sua sorella… ma forse, forse Shaylee aveva fatto per lui più di quanto lui potesse immaginare.

 

Aveva salvato sua sorella, restituendole un affetto che lui non era mai stato in grado di darle.

Aveva curato suo padre, evitando che perdesse definitivamente la gamba zoppa.

Aveva vegliato sulla sua famiglia, proteggendo la sua sorellina da se stessa.

Aveva taciuto, Shaylee, proteggendo lui, Susan e quell’amore che avrebbe soltanto messo in pericolo la donna a cui teneva di più al mondo.

 

-Va tutto bene… ha fatto bene…- il mugolio di Siria, il guaito di una bestia morente, catalizzò nuovamente ogni pensiero del principe su di lei; Siria tremava, accucciata agonizzante contro di lui, ma tentava di rivolgere uno sguardo verso la naiade – tentava di rassicurarla, di dirle che andava tutto bene, che aveva fatto bene a compiere quella magia…

Shaylee barcollò, sotto il peso dei pensieri incoerenti e urlanti della raminga; dolore, agonia, frustrazione, debolezza, paura, rabbia, vergogna, orgoglio… una cacofonia di emozioni e sensazioni che la debilitarono quanto e più della magia che aveva appena compiuto, del pagamento che la Dea Madre aveva appena chiesto in cambio dei suoi servigi.

La sua energia.

Vacillò, Shay, sotto il peso della stanchezza che la travolse come un fiume in piena, rischiando di affogarla in quei flutti che tanto le erano amici, compagni, confidenti; ma un petto ampio e conosciuto l’accolse immediatamente, due braccia forti la sostennero, conducendola lontano da quello specchio d’acqua a cui aveva appena pagato un enorme tributo.

Peter le accarezzò i capelli fradici, inumiditi dai mulinelli che si erano alzati intorno a lei e a Siria, scrutando preoccupato il volto esausto della Naiade; Shaylee gli aveva spiegato nel dettaglio ciò che quella magia ancestrale, una delle magie curative più potenti ed antiche tramandate dalle ninfe, avrebbe fatto a lei e all’amica dai capelli rossi. Era stato contrario, inizialmente, ma presto aveva ceduto dinanzi al dilaniante e muto senso di colpa che aveva visto negli occhi della sua compagna, quel rimorso che la spingeva a cercare ogni soluzione possibile per rimediare alla sua debolezza, quel bisogno disperato di rendersi utile e di aiutare, in qualche modo, l’amica che l’aveva protetta.

-Ho… ho dovuto farlo. Ho dovuto, davvero.- mormorò, piano, calde lacrime che scesero a rigare le sue guance nivee e delicate; la sua terribile stanchezza, la mancanza di ogni singola energia, la debolezza, si mischiarono alle sensazioni terribili che scuotevano il corpo di Siria – incapace di chiuderle fuori, incapace di ignorare le disperate urla di dolore che quella magia aveva creato in lei.

Riuscì soltanto ad udire la voce dura di Caspian, il suono dei suoi passi pesanti che affondavano nella ghiaia del greto.

-La riporto alla cripta.-

Singhiozzò, Shaylee, pugnalata da quel tono venato d’ira a stento repressa, stringendo le manine sussultanti sulla casacca di Peter; lo avvertì parlare, chiederle qualcosa, ma le parole non avevano senso né significato, le parole erano false ed inutili in quel momento, mentre il dolore e la colpa la schiacciavano in una morsa da cui era impossibile sfuggire, la mente che tentava in ogni modo di rinchiudersi, ancora una volta, dentro di sé.

E pianse, là, fra le braccia calde di Peter, cercando disperatamente il conforto del suo calore, cercando di annullare se stessa in quel pianto frustrato e terribile che non riusciva, in alcun modo, a calmare.

Pianse.

 

Siria si accasciò sul suo parco giaciglio, incapace anche solo di mantenere in alto la testa, sconfitta persino nel suo orgoglio da quel dolore – da quell’agonia, perché di agonia si trattava: un’inarrestabile, orribile, violenta agonia che affondava pugnali su pugnali nella sua carne provata.

Caspian si era allontanato, era corso a cercare una medicina in particolare che Shay gli aveva consigliato di somministrarle, per aiutarla a sprofondare in un sonno senza percezioni, senza incubi né sofferenza.

Fu un bene, perché gli argini che trattenevano la cacofonia di sensazioni che provava non reggevano, non bastavano più.

Si appallottolò su se stessa, gemendo per il dolore che quel movimento le provocava, affondando le unghie nelle tempie e pregando affinché il dolore finisse, affinché tutto finisse, affinché la sua dannazione emergesse e cancellasse ogni traccia di umanità – liberandola dall’agonia, liberandola dal tormento.

E pianse.

Pianse a lungo, pianse tutte le lacrime che aveva, pianse senza nascondere neanche uno dei gemiti di dolore che mascherava in presenza di chiunque altro; pianse perché c’era soltanto lei ad ascoltarsi, a vedere quelle ferite mostrarsi in tutto il suo orrore, pianse perché l’unica che poteva davvero comprendere la sofferenza in quel corpo era lei stessa.

Si rannicchiò su di sé, quasi urlando quando sentì la spina dorsale schioccare e la pelle lacera tendersi insopportabilmente, ferendola ancora una volta.

Faceva male.

L’unico pensiero razionale nella sua mente era quello: faceva male.

Faceva tutto talmente male che non sarebbe più riuscita a sopportarlo, avrebbe preferito morire piuttosto che sopportare tutto quel dolore…

Si odiò, quando quel pensiero prese vita dentro di lei.

I singhiozzi aumentano, la percezione di quell’agonia si fa più forte.

Non doveva desiderare la morte. Non era giusto, non andava bene, era sbagliato… non doveva desiderare che quella tortura finisse, che il suo corpo smettesse di patire quella sofferenza immane, non doveva sperare di poter finalmente riuscire a riposare

Eppure non riusciva a non augurarselo, non riusciva a non sperare che qualcosa andasse storto e…

Non voleva svegliarsi più, Siria.

Mai nella vita aveva provato un tale desiderio di morire; aveva rischiato la vita più volte, lei stessa – da bambina – aveva tentato… ma stavolta era diverso, stavolta era il suo stesso corpo che implorava pietà, che implorava riposo.

Ma lei non voleva morire

Che cosa sarebbe successo, poi? Quanto avrebbero sofferto le sue amiche? E Lucy, e Aaron? E Peter, quanto si sarebbe odiato per non essere riuscito a salvarla?

E Caspian?

Come sarebbe stata la sua vita, senza di lei?

Come sarebbe stato dirgli addio?

Doveva resistere… doveva resistere per loro, doveva resistere per le persone che amava, doveva sopportare quel dolore perché loro avevano bisogno di lei.

Eppure, avrebbe tanto voluto desiderare di voler guarire per se stessa…

Ma ormai la speranza Siria l’aveva perduta da tempo; non riusciva più a sperare che qualcosa cambiasse, che il suo dolore sarebbe svanito col passare del tempo…

Lei voleva vivere.

Voleva vivere perché niente avrebbe avuto senso, senza Talia e Shaylee.

Voleva vivere perché adorava Peter, sebbene non volesse nemmeno ammetterlo a se stessa.

Voleva vivere perché amare Caspian le aveva donato una felicità e una gioia senza eguali, voleva vivere di lui, con lui, per lui.

 

I singhiozzi si acquietarono lentamente, lasciandola scivolare in un parsimonioso sonno privo d’incubi.

 





 

Paura.

È vivida, è reale, pulsa come impazzita nel suo sangue; sangue che le macchia la pelle, sangue che le riempie le labbra, sangue negli occhi e in un grido soffocato in gola.

Non riesce a muoversi, no, non riesce nemmeno a respirare; c'è sangue ovunque, c'è sangue nel suo respiro, c'è sangue nella sua anima.

Sente quelle mani, quelle mani pesanti e orrende, abbattersi sulla sua carne; non si stancano mai, non si fermano mai, colpiscono e frantumano la pelle e le ossa troppo fragili, per resistere.

 

Doveva svegliarsi.

Non poteva riviverlo ancora, non per l'ennesima volta.

 

Non è più nemmeno un corpo, il suo; è solo un ammasso di carni sanguinolente e scomposte, adombrate da capelli vermigli sporchi di terra.

Sa di ruggine, il sangue.

Ruggine, come quella macchia rossiccia che incrosta la punta di metallo dello stivale che affonda nel suo ventre.

Una volta, due, tre.

Perde il conto.

Perde persino coscienza di chi è.

 

Doveva svegliarsi, doveva aprire subito gli occhi, doveva scacciare quell'incubo prima d'impazzire.

 

Ha paura.

È terrorizzata, non vuole ammetterlo nemmeno con se stessa.

Cerca di sopportare, cerca di tacere, ma calde lacrime le riempiono il viso; ha paura, ma non c'è nessuno che può proteggerla, che può salvarla.

E lei non ha più la forza di farlo da sola.

E lei non ha più voglia di salvarsi, non ha più voglia di reggersi in piedi.

È sola.

Sola.

Il suo corpo non risponde più, la sua mente s'è abbandonata ormai a quel dolore che pare annebbiare persino la sua coscienza, il suo stesso essere.

Forse morire non è così male, rispetto a questo...

Ma i colpi cessano, cessano esattamente quando uno strattone le fa alzare la testa, strappandole i capelli.

Un fiato fetido le inonda il viso, le da i conati.

Un volto è vicino al suo, ma lei non vuole guardarlo, non vuole vederlo, vuole soltanto che quella tortura cessi, che qualcuno arrivi a salvarla; per la prima volta, c'è un muto grido d'aiuto nei suoi occhi serrati.

 

Era sempre così, sempre più vivido... sapeva che cosa sarebbe successo, Siria, sentì che parte di lei lottava per svegliarsi, per non arrivare alla fine dell'incubo.

 

Non vuole, no, non vuole guardarlo.

Non vuole guardare la morte in faccia, vuole vivere, vuole tornare a casa.

...ma dov'è, la sua casa?

 

E poi i suoi occhi si aprono.

Si aprono vacui e vuoti, si aprono sconfitti.

Si aprono accettando l'orrore che l'aspetta.

 

E il volto del suo carnefice è lì, è lì che la guarda, è lì che sorride crudele, è lì che...

 

-AAAAAAAAAAAAAAH!-

Un grido strozzato echeggiò nell'aria fresca della cripta, facendo sobbalzare la naiade che in quel momento stava raccogliendo le ultime misture taumaturgiche che aveva miscelato, in procinto di andare da...

-Siria!- esclamò, il viso che si dipingeva d'orrore nel riconoscere la voce dell'amica.

Balzò in piedi, dimentica degli impasti e delle bende, il cuore che accelerava spaventato quando quel grido echeggiò nella sua memoria, gelandola dentro.

Lei conosceva quell'urlo.

Lo conosceva molto bene.

Erano passati anni dall'ultima volta che l'aveva udito, ma non avrebbe mai dimenticato gli incubi che avevano sconvolto quella bambina troppo adulta, quella ragazzina che tremava come una foglia, terrorizzata dai suoi stessi ricordi...

Siria.

Abbandonando tutto lì, su quel tavolo, Shaylee si fiondò attraverso i corridoi delle segrete; il cuore le batteva all'impazzata, preoccupato, l'angoscia che pulsava sotto la sua pelle e le riempiva gli occhi di paura.

Quel grido l'aveva spaventata, quel grido l'aveva sentito troppe volte, era stanca di sentire intriso in quella voce strozzata tutto il dolore che Siria era costretta a sopportare... lei non lo meritava, non aveva mai meritato nulla di ciò che l’era successo, non riusciva a tollerare che ci fosse sempre qualcosa pronto a distruggerla ancora.

Attraversò la cripta in fretta, senza quasi incontrare nessuno; era ancora presto, erano tutti o addormentati o di ronda, impegnati nelle consuete attività che ognuno di loro aveva in programma di svolgere.

Tutti tranne Siria.

Tutti tranne l'unica che avrebbe desiderato respirare l'aria fresca dell’estate che sembrava non voler arrivare davvero, l'unica che non meritava di essere costretta a letto, lontana da tutti coloro che amava...

Erano passati diversi giorni da quando aveva effettuato quel particolare incantesimo su Siria; giorni che l’avevano aiutata a riprendersi, a nascondere nuovamente dietro i suoi mille pensieri le angosce, le paure, il senso di colpa che la dilaniavano da…

Siria aveva passato gran parte di quel periodo dormendo, tentando di recuperare un minimo di forze mentre la magia faceva il suo corso; in effetti le ferite erano lievemente migliorate e, soprattutto, erano stati sanati quei danni interni che avrebbero potuto facilmente portarla ad una morte lenta e dolorosa.

Shaylee scacciò le sue elucubrazioni, fiondandosi alla massima velocità consentitale dalla sua veste nella cameretta angusta della sua amica; e dimenticò tutto, raggiungendola di scatto quando la vide ridotta in quello stato tremendo, affiancandosi a lei ed accogliendola in un abbraccio spaventato, sentendola aggrapparsi a lei con tutta la forza che le era rimasta.

E Siria si sfogò, in quella stretta, immergendo il volto nella spalla esile e chiara della Naiade; il profumo conosciuto della sua pelle stordì gli ultimi pensieri consci della sua mente, riportandola a quando era soltanto una bambina, a quando Shaylee era l’unica creatura in grado di poterla proteggere.

E Shay le accarezzò i capelli, con dolcezza, quando Siria singhiozzò più forte.

Non era cambiata

Nonostante tutto ciò che era successo, tutto quello che aveva vissuto, Siria era rimasta quella ragazzina spaurita che Talia aveva portato nel regno delle ninfe.

Nonostante tutto, quella bambina dagli occhi pieni di paura era sempre lì, appena sotto una scorza d’orgoglio e di diffidenza.

Le passò un braccio intorno alle spalle sussultanti, cingendole con delicatezza, stringendo a sé la rossa. La avvertì seppellire il viso nell’incavo del suo collo, le lacrime che le bagnavano le guance, le braccia tremanti strette sul seno.

-Sssh.- le sussurrò, socchiudendo appena gli occhi, sentendo le dita insicure dell’amica stringere più saldamente le sue. -Sono qui, Sir. Va tutto bene.- mormorò, sentendosi dilaniare da ogni sussulto, da ogni singhiozzo, da ogni lacrima che Siria non riusciva a trattenere.

-N-non andrà più niente bene…- la voce della rossa non sembrava nemmeno la sua; solitamente, quando parlava, nel suo tono c’era sempre un qualcosa che riusciva istintivamente a rassicurare chiunque, a dare l’impressione che qualunque cosa fosse successa lei sarebbe rimasta in piedi.

In quel momento, invece, no.

-Ho paura… ho paura di tutto…- singhiozzò, cercando disperatamente di esprimere tutto l’orrore che le era rimasto nel cuore, che le riempiva ancora gli occhi di terrore.

Shaylee la strinse un po’ più forte, sentendo in quelle poche parole tutto ciò che Siria aveva represso, tutto ciò che quel maledetto le aveva fatto, tutte le ferite che le aveva inferto.

-Sei al sicuro adesso. Sono qui con te, non ti succederà più niente.- la rassicurò, con voce dolce, tentando di trasmetterle con quell’abbraccio che non doveva più avere paura, che non avrebbe permesso le succedesse ancora qualcosa.

Siria annuì con un gesto della testa, un doloroso groppo in gola che le impediva di parlare.

Era la prima volta che si permetteva di piangere per se stessa, per la paura ed il dolore che quel rapimento avevano instillato nella sua anima, in presenza di qualcuno.

Si era trattenuta con Peter, persino con Caspian era riuscita a celare il terrore che vibrava ancora sottopelle; quel rimasuglio d’orgoglio che era rimasto non glielo aveva permesso, e l’amore che provava verso il principe era stato sufficiente per evitarle di farlo preoccupare ancora di più.

Eppure, adesso non riusciva più a smettere di piangere…

Per la prima volta da quando Peter l’aveva riportata alla cripta si sentiva al sicuro, protetta; per la prima volta, da quel momento, lei si sentiva a casa.

Le sembrava di essere tornata indietro di anni, quando Shaylee l’aveva abbracciata dopo un incubo molto simile a quello; il terrore era lo stesso, il senso di debolezza era lo stesso, le braccia che la cullavano come si culla una bimba erano le stesse.

Era a casa.

Non gliel’aveva mai detto… non aveva mai detto a Shaylee quanto si fosse affezionata a lei, quanto affetto provasse nei suoi confronti.

Non ne era capace, le parole non parevano avere l’intenzione di uscire e spiegarle l’intrico di emozioni che provava nei suoi confronti; era sempre stato uno dei suoi difetti più grandi, quello di non riuscire a spiegare a parole quello che provava.

Era sempre stata incline a chiudersi in se stessa, fin da bambina, fin da piccolissima; nemmeno Aaron era mai riuscito a convincerla ad aprirsi del tutto, nemmeno con Caspian le era semplice dimostrargli ciò che provava.

Eppure, con Shaylee, sì.

Lei c’era stata, quando da ragazzina si era smarrita.

Lei c’era adesso, mentre il terrore e la paura le si riversavano addosso con la prepotenza di una tempesta.

-Va tutto bene, Siria… va tutto bene, adesso.- la voce di Shaylee era dolce, era delicata. Era diversa dai suoni troppo forti della guerra, dal clangore delle armi, dai ruggiti e dai gemiti dei guerrieri che lottavano e morivano… la voce di Shaylee era una carezza, un balsamo per il suo udito provato da troppe battaglie e per il suo cuore, un cuore stanco che non ne poteva più di soffrire.

Si aggrappò alla vita esile della naiade quasi senza accorgersene, i pensieri annebbiati dalla febbre e dall’angoscia.

Sentiva soltanto il bisogno di quell’abbraccio, di quei leggeri e dolci tocchi fra i capelli, della presenza rassicurante e concreta della ninfa accanto a lei; la bambina che non era mai potuta essere ora chiedeva prepotentemente il suo spazio, e implorava di non essere lasciata sola un’altra volta.

Era fragile adesso, più fragile che mai… fragile come una bambola di porcellana, fragile come cristallo.

Gli ultimi, labili resti del suo orgoglio avevano ceduto, erano crollati dopo l’ennesimo incubo. Adesso era soltanto una ragazza spaventata, in lacrime, tremante dinanzi ad un terrore che le aveva inferto ferite molto più profonde di quelle fisiche.

Ferite che non avrebbe mostrato a nessuno, ferite che avrebbe tenuto per sé.

Ferite che soltanto una persona era in grado di vedere; la stessa persona che era lì adesso, l’unica persona che – a dispetto di quanto potesse sembrare, nel vederle – l’avrebbe sempre confortata, protetta… l’unica persona che non era soltanto un’amica, ma una sorella, una confidente, e forse un poco anche una madre.

Perché lì era al sicuro… lì, fra le braccia di Shaylee, cullata dalla sua voce melodiosa, si sentiva a casa.

Si assopì con quella sensazione a rassicurarla, un ti voglio bene intrappolato fra labbra e lacrime, cercando di trattenere per sé il calore e l’affetto di quell’abbraccio che aveva scacciato in pochi attimi i suoi incubi.

 

Sorrise appena, Shaylee, quando avvertì finalmente Siria calmarsi, riuscire a riprendere sonno dopo quel pianto convulso e terribile.

Ti voglio bene, aveva mormorato, stringendosi a lei con tutta la paura che sentiva, il terrore che le riempiva gli occhi.

Ti voglio bene.

Era forse la prima volta in tutta una vita che Siria si apriva in quel modo con qualcuno. Nemmeno con Talia era mai stata tanto esplicita sulle sue emozioni, nemmeno con Caspian era tanto sincera.

Ti voglio bene.

Tre semplici parole che le erano costate uno sforzo immenso, Shaylee lo sapeva benissimo.

Fin da piccola, Siria aveva provato terrore all’idea di schiudere il suo impenetrabile guscio e permettere che qualcuno scorgesse un minimo del suo cuore, della sua anima; gliene aveva parlato, anni prima, e le sue parole erano state di una semplicità sorprendentemente dolorosa.

 

-Ho paura che alle persone a cui voglio bene succeda qualcosa, com’è successo alla mia mamma.

Io non voglio che succeda ancora, non voglio perdere ancora qualcuno che amo per colpa mia, le persone che mi vogliono bene mi vengono sempre portate via…-

 

Shaylee le accarezzò una guancia, attenta a non sfiorare i segni ancora rossi che spezzavano quella carnagione chiarissima. La sistemò con delicatezza sul giaciglio, coprendola per bene, decidendo di rimandare per qualche ora le sue cure; aveva bisogno di riposare, adesso.

Ti voglio bene.

Era un sentimento reciproco, quello intriso in quella breve proposizione.

Siria era più alta di lei, era più grande, era una guerriera forte e coraggiosa; ma per lei restava la stessa bambina che non si separava mai dalle sue gonne, sbirciando il mondo timorosa di tutto, spaventata da tutto, aggrappandosi a lei come l’unica ancora che le fosse rimasta.

Per lei era rimasta la sua piccola Siria, con due trecce rosse e tanta dolcezza nello sguardo.

Lo sarebbe sempre rimasta.

Aveva temuto, forse… aveva avuto paura di perderla, di vederla allontanarsi da lei. Aveva Caspian adesso, aveva accanto un giovane che l’amava e che aveva acceso una luce del tutto nuova nel suo viso e nel suo sguardo; Shaylee non si era mai permessa nemmeno di formulare quel pensiero, ma… aveva temuto che si dimenticasse di lei.

Aveva temuto di vedere quel legame sfilacciarsi, sfaldarsi.

Aveva temuto di dimenticarsi di Siria.

Peter… Peter aveva catalizzato la maggior parte dei suoi pensieri, delle sue giornate, dei suoi respiri. Si rese conto soltanto in quel momento di quanto si fosse alienata da tutto e di quanto, probabilmente, anche Siria avesse formulato i suoi stessi pensieri.

E invece, eccola lì.

Aveva rischiato la vita per proteggerla, per impedire che le venisse fatto del male. Era stata una sciocca, una sciocca coraggiosa; non avrebbe dovuto ridursi in quello stato, per lei.

E adesso stringeva ancora la sua mano, aggrappandosi a lei come aveva sempre fatto, come… come non aveva mai smesso di fare.

Non era cambiato niente.

Era cresciuta, era maturata, era cambiata.

Ma era sempre la sua piccola Siria.

Rimase seduta al suo fianco, guardandola dormire molto più serenamente di quanto non avesse fatto negli ultimi giorni.

Sorrise lievemente, intenerita, sentendola mugugnare qualcosa nel sonno.

-Ti voglio bene anch’io, Siria.-



















My Space:

© Tutti i copyright per il personaggio di Shaylee vanno a Dreamer Angel.

Buongiorno popolo!

Sì, ho aggiornato in tempi decenti, più o meno.

Questo capitolo è basato soprattutto su Shaylee e Siria; è un capitolo che ho scritto molto tempo fa e, nel momento in cui è stato scritto, è diventato molto importante per me. Ci sono alcune cose che vorrei si capissero, alcune cose che vorrei capire anch'io, dentro.

Siria è in un momento molto fragile, un momento in cui tutto le sembra enorme ed insormontabile; ha toccato il fondo, ma il fondo non è che l'inizio per risalire, no?

La pena di Shaylee, invece, è appena cominciata; le ferite più profonde non sono quelle nella carne, ma quelle nell'anima.

Caleb, infatti, continuerà a tormentarsi a lungo; non è bello essere considerati degli animali, non è bello avere certe reazioni, non è bello essere guardati con paura o vedersi, allo specchio, sapendo di essere in grado di fare tante cose del genere. Ve lo assicuro.

Bon, oggi sclero poco. Non ne ho molta voglia.

PS: scusate per l'assenza di immagini, ma non ho NVU sul computer del mio Negozio e ho usato OpenOffice.

Bye,

B.

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Capitolo 33
*** The Foreboding Sense of Impending Happiness. ***


Narnia's Rebirth

.
.

The Foreboding Sense of Impending Happiness - HIM

La vita, lentamente, cominciò a riprendere il suo corso lento, cadenzato.

L’accampamento narniano era un continuo fermento di vita, una vita che continuava a scorrere nonostante alcuni dei suoi abitanti cominciassero solo in quel momento a raccapezzarsi dopo il lungo tormento delle settimane precedenti.

Peter stava dando anima e corpo per addestrare quei soldati che ancora non erano pronti alla battaglia, dimostrando ancora una volta quelle doti di generale, di comandante, che in molti avevano messo in dubbio dopo le sue personali avventure nel territorio telmarino; molti erano stati gli sguardi di rimbrotto che lo avevano sfiorato, in quei giorni, dopo che Peter e Caspian avevano abbandonato il campo per andare a cercare le loro donne – un atteggiamento indegno di due Re, ma la grinta e la forza con cui il Re Supremo stava gestendo l’esercito gli stava rapidamente restituendo i punti perduti agli occhi dei soldati.

Caspian lo aiutava al meglio delle sue capacità attuali, ma il biondo non se la sentiva di biasimarlo; da quando la sua compagna si era svegliata, il Principe evitava la maggior parte dei suoi compiti per passare più tempo possibile assieme a lei – cosa che gli faceva guadagnare sonori rimbrotti da parte di Siria, che spesso e volentieri lo cacciava via urlandogli di “andare a compiere il suo dovere e di vincere quella stramaledettissima guerra”.

La guerriera aveva iniziato una lunga e tediosa riabilitazione non soltanto a livello fisico quanto più, soprattutto, per la sua anima; infatti, il calore e l’affetto di Caspian, di Talia ed Aaron, di Peter anche, stava riuscendo a guarire quelle ferite che sembravano più restie a cicatrizzarsi rispetto a quelle sulla sua candida pelle.

Non riusciva ancora a camminare per più di qualche passo, ma almeno poteva rimanere seduta e leggere, leggere tutti i libri che Aaron aveva recuperato per lei dal capanno in mezzo alla foresta che utilizzavano come deposito per la refurtiva; leggeva fiabe e racconti e trattati, romanzi e gesta di cavalieri che avrebbe desiderato emulare, che erano stati i grandi eroi della sua innocente fanciullezza.

In quella ripresa però, la nota stonata -più di altre- era l'atteggiamento di Shaylee.
Dopo la sera in cui era corsa dalla raminga per consolarla in seguito all'incubo avuto, la ninfa sembrava sempre sulla difensiva in presenza di Siria: la mente chiusa e il corpo rigido. Le chiedeva cosa sentisse, la curava, e poi andava via senza aggiungere altro, lo sguardo basso, lasciando l'amica piena di domande.

La rossa aveva chiesto spiegazioni a chiunque capitasse in camera sua, intuendo appena cosa passasse per la testa della Naiade, ma cercandone conferma: Peter sapeva, Peter era a conoscenza di qualcosa che non voleva - non poteva? - rivelare; ma Siria, per fortuna, non forzò le cose per evitare complicanze sia nel particolare rapporto che la legava a quell'idiota biondo, sia per non minare la relazione tra lui e la Naiade.

 .

-<>*<>-

 .

Leggere.

A Siria era sempre piaciuto.

Da bambina, sua madre le aveva insegnato a decifrare i simboli spigolosi dei caratteri che i telmarini definivano “alfabeto” e che, una parola dopo l’altra, componevano le fiabe che Siria tanto amava ascoltare.

Durante gli anni, i tanti furtarelli che aveva compiuto le avevano permesso di accumulare una collezione impressionante di volumi, ben celati nel rifugio che la sua banda di mercenari aveva nascosto nel fitto della foresta.

Sparendo per qualche giorno, Aaron si era recato in quel luogo e, al ritorno, aveva visto gli occhioni di sua sorella illuminarsi davanti alla pila di libri che le aveva portato.

Perché Aaron sapeva, sapeva molto bene, che Siria sarebbe impazzita, costretta in quel letto, se non avesse avuto almeno qualcosa da fare.

 .

Una visita inaspettata interruppe il suo studio di un volume che si basava sulle tecniche di guerriglia utilizzate dagli eserciti Narniani contro i Calormeniani, utilizzate più di duemila anni prima di quel giorno; alzando gli occhi dal consunto tomo, Siria si ritrovò a fissare l’espressione seria e compita – del tutto innaturale, su di lui – di Edmund Pevensie.

Posò il libro in grembo, lasciandovi un sottile giunco a segnare il punto in cui era arrivata nella lettura, ravviandosi davanti al viso le ciocche scarlatte – nascondendo, con quel gesto, i segni ancora troppo visibili delle torture subite.

Indossava una semplice camicia da notte e una vestaglia, Siria, oggetti che Susan le aveva regalato, asserendo come giustificazione il fatto che Siria non possedesse nemmeno un abito femminile – che cosa indecorosa, aveva detto, per la compagna di un Principe

Osservò il nuovo arrivato, curiosa, gli occhi, che da qualche giorno sembravano aver riacquistato un barlume dell’antica luce, che fissavano curiosi la figura nervosa del ragazzo.

-Noi dobbiamo parlare.- esordì il giovane Re, senza nemmeno darle il tempo di assimilare la sua presenza: si sedette sul giaciglio accanto a lei, la mano destra che tormentava nervosamente l’elsa della spada che portava al fianco, gli occhi castani che guardavano dritti verso il suo volto.

Una sgradevole sensazione si agitò nello stomaco di Siria, che mantenne, però, l’espressione serena ed ingenua che aveva avuto al momento del suo arrivo – non poteva evitarsi di temere, di preoccuparsi per quell’esordio tanto brusco…

-Di cosa, Ed?- gli chiese, osservandolo cauta, come un micio che attende il momento giusto per balzare sull’ignara preda.

La mascella del giovane era contratta, i denti serrati. Negli occhi lontani c’era una luce angosciata che Siria non vi aveva mai scorto, le labbra erano quasi livide tanta era la forza con cui le stringeva l’un con l’altra…

-Io so che cosa sei.-

Siria sgranò gli occhi, allibita, quando quelle poche parole fecero breccia nella sua instabile maschera di tranquillità, rivelando il tumulto che l’arrivo del più giovane dei Re aveva scatenato dentro di lei.

Avvertì un brivido attraversarla con violenza, quando lo sguardo impenetrabile di Edmund si scontrò con le sue incerte iridi chiare: vedeva una terribile consapevolezza brillare negli occhi del ragazzo, una luce dura e severa che risvegliava un mostro sopìto nel ventre della giovane raminga.

Edmund sapeva

In un istante, la mente di Siria corse alla sua spada, a Kain: calcolò in un attimo quanto tempo le sarebbe servito per raggiungere l’elsa prima che Edmund sguainasse la propria arma, quanto le gambe avrebbero retto il suo peso, quanta energia le sarebbe costata…

Per un folle secondo sentì la magia ruggire dentro di lei, ardendo in un istante e formicolando sulle sue labbra e fra le dita serrate a pugno: la sua dannazione era pronta a riemergere, a combattere, a proteggere sino all’ultimo il ricettacolo di un inferno che improvvisamente sembrava terribilmente vicino…

-Io non sono niente.-

Tutti i campanelli d’allarme suonavano con violenza dentro di lei, assordando i suoi pensieri, sfocando la sua vista: Edmund sapeva… lo leggeva nel suo volto, lo leggeva nelle iridi cupe e severe, lo leggeva nelle spalle contratte e nel pugno destro serrato sull’elsa della spada.

-Sono stanco delle menzogne, Siria.-

Finalmente, Edmund la fronteggiò; e la fronteggiò con l’orgoglio e la pacatezza di un Re, gli occhi forti e decisi di un uomo molto più anziano e molto più saggio, il mento alto e fiero segno di un portamento che il ragazzo non aveva mai davvero abbandonato.

-So che hai curato tu Caspian. So riconoscere la magia.- disse, ma non c’era disprezzo nel tono della sua voce; c’era la severità di un padre che scopre la menzogna di una figlia, c’era la sicurezza di un guerriero che sa di avere il suo avversario in pugno… c’era la comprensione di un amico, che capisce gli errori compiuti e li perdona.

-E quindi?- la voce di Siria perse in un solo attimo tutta la sicumera, tutta la forza che l’aveva animata sino a quel momento.

Abbassò lo sguardo sulle proprie mani, distinguendo ancora sin troppo chiaramente le cicatrici candide che solcavano i suoi polsi: la storia di una vita convergeva su quei pallidi tatuaggi che mai sarebbero scomparsi, che avrebbero sempre delineato la vergogna di ciò che era e di ciò che era destinata ad essere…

-Fai ciò che devi fare, allora.- sussurrò, posando con delicatezza le braccia ai lati del corpo e spostando le iridi sul volto teso di Edmund.

Vide gli occhi del Re allargarsi di sorpresa, quando si rese conto della postura arrendevole e mite della giovane donna.

Era pronta ad arrendersi.

Siria, quella Siria che non si fermava mai, quella Siria che combatteva fino all’ultimo respiro…

Quella Siria che aveva ammirato ogni giorno di più, ammirando il suo coraggio e la sua forza che la distinguevano da qualsiasi guerriero avesse incontrato sino a quel momento…

Ora era pronta a gettare le armi, il capo chino e sconfitto dal peso di un segreto che si portava dietro da troppo tempo, gli occhi che si colmavano di lacrime frustrate, addolorate, angosciate, le mani che tremavano convulsamente sulla superficie grezza delle coperte.

Edmund le concesse solo qualche istante di muto tormento, prima di schiarirsi la voce e pronunciare qualche studiata, sicura parola.

-Io non farò proprio niente, non mi chiamo Peter.- la rossa alzò di scatto la testa, allibita.

-Cosa?- sussurrò, stranita, incapace di credere a quella frase, a quell’appiglio, a quella speranza

Edmund scosse la testa, allungando una mano e racchiudendovi quelle sussultanti ed insicure della ragazza, nascondendo alla vista i segni che ancora, purtroppo, le ricordavano la lunga e tormentata tortura che aveva subito.

-Voglio la verità, Siria. Qualunque essa sia.- le spiegò, calmo, tranquillo, accennando un breve sorriso che ebbe il potere di accendere di stupore le guance soffici della ragazza. -E non voglio menzogne: qualunque cosa tu sia, io so che di te mi posso fidare.-

 .

Siria addentò dubbiosa un brandello di carne secca, piccolo dono che il giovane Re le aveva offerto quando aveva notato l’ansia che celavano le sue rapide parole.

-Ci credo che devi nasconderti.- commentò Edmund, ancora strabiliato, osservandola come non aveva mai fatto sino a quel momento; chi avrebbe mai pensato che, dietro quella ragazza magra e ferita, si celasse una creatura tanto potente?

-Come minimo tuo fratello mi ucciderebbe. Ma minimo.- fu il commento esausto della raminga, posando la carne secca in grembo e stringendo le gambe al petto, in un muto gesto di protezione.

-E’ probabile, in effetti.- fu il commento lievemente ironico di Edmund, gli occhi scuri che dardeggiavano preoccupati verso la porta chiusa; se Peter avesse saputo…

Se Peter avesse saputo, l’affetto che provava verso la raminga sarebbe evaporato nel fuoco bruciante dell’odio, portando a gesti scellerati di cui si sarebbe, certamente, pentito.

 -E’ questo che ti tormenta?- le chiese, sfiorandole un braccio e alzando un poco la coperta, proteggendola dal lieve freddo che disegnava pelle d’oca sulla sua carnagione diafana.

Siria gli scoccò un’occhiataccia, inarcando un sopracciglio a quell’affermazione tanto futile.

-Sono un mostro, te ne sei accorto?- gli ricordò, caustica. Edmund non si scosse per quella rispostaccia; anzi, s’arruffò lievemente i capelli, ricordando…

La mente si perde, tornando a ricordi che spera, un giorno, di dimenticare.

-Lo dici a me?- commentò, la voce distante, distaccata, sofferente. -Io ho tradito la mia famiglia, Sir. Ho rischiato di farli uccidere tutti.-

Edmund abbassò lo sguardo, le iridi scure che si riempivano di un tormento che non aveva mai abbandonato la sua anima. -Non è bello convivere con questa colpa, con questa consapevolezza… non è bello sapere di aver quasi ucciso le persone che amo di più.-

-Eri un bambino, Edmund.- cercò di consolarlo lei, posando una mano sul braccio del giovane.

Erano fredde, le mani di Siria.

Il ragazzo alzò gli occhi, spostando le iridi in quelle chiare di lei; ed in quegli occhi, in quello sguardo antico e tormentato, Edmund riuscì a scorgere lo stesso, identico dolore che lo aveva perseguitato da quando si era lasciato abbindolare da Jadis.

La stessa sofferenza.

Lo stesso tormento.

La stessa colpa.

-E tu non sei nata per fare del male.- affermò improvvisamente, sicuro, certo, alzandosi in piedi e guardandola con una forza del tutto nuova negli occhi, la consapevolezza di aver scorto se stesso in qualcun altro che lo rendeva più sicuro, certo che ciò che stava succedendo aveva, sicuramente, un motivo.

Perché Siria non era malvagia; e, se lei non lo era, allora lui aveva ancora una possibilità di redimersi dai suoi sbagli.

 -Io lo so, io lo vedo, ti ho osservata a lungo da quando sei qui. Non saresti capace di fare ciò che è stato fatto un tempo.-

-Sono nata per farlo.- e le parole di Siria suonarono chiare e cristalline, il sapore della condanna che aleggiava pesante nell’aria intorno a lei, adombrandola di paure che nulla – nulla – avrebbe mai potuto cancellare.

-Io ho conosciuto tante donne, come te. Nessuna di loro era malvagia.- replicò Edmund, rammentando la Gilda Bianca del nord, quella Gilda che tanto aveva aiutato i quattro Regnanti…

-Nessuna di loro ero io.- Siria si strinse nelle spalle, conscia del proprio destino e del proprio essere, conscia del terribile peso che la sua discendenza le aveva portato.

-Io ci credo in te.- sorrise, mestamente, alle parole forti e sincere del giovane Re; avrebbe tanto desiderato credere anche lei, in se stessa…

-E non sei l’unico.- Edmund e Siria sobbalzarono violentemente, quando la vocetta acuta e trillante di Tara rimbalzò fra le anguste pareti della stanzetta, la figuretta snella della ragazzina che appariva – quasi magicamente, a dire il vero – dalla soglia della porta un istante prima chiusa.

Siria sospirò, non del tutto sorpresa, lasciandosi sfuggire un mezzo sorriso nel vedere l’espressione di Edmund farsi paonazza ed imbarazzata al tempo stesso.

-Voi due siete inquietanti, lo sapete?- borbottò, suo malgrado rasserenata dalla consapevolezza di essere, finalmente, accettata da qualcuno che non si sentisse in dovere di farlo.

Aaron era suo fratello, Shaylee la sua protettrice… la avrebbero accettata lo stesso, se il Destino non li avesse posti nei ruoli più intrinsecamente legati a lei?

Gli umani odiavano i mostri come lei, li uccidevano… mentre le ninfe mal vedevano quelli della sua razza, che tanto dolore avevano portato nel popolo puro delle Naiadi.

L’avrebbero accettata lo stesso, se non fossero stati suo fratello e Shaylee?

-Nah, non è vero.- ridacchiò Tara, senza riuscire a scorgere il tumulto momentaneo che scurì le iridi di Siria in quell’istante, i luminosi occhi celesti che osservavano, attenti, Edmund.

-Siamo due candide anime innocenti.- rincarò lui, annuendo vigorosamente e raggiungendola in un paio di falcate, posandole una mano sulla spalla; Ed doveva avere qualche problema di temperatura – quando gli capitava di sfiorarla, era sempre tremendamente caldo…

-Senza la minima traccia di malizia.- Tara rivolse un occhiolino all’amica coricata sul giaciglio, vedendo il suo viso – solitamente contratto – rilassarsi un poco dinanzi a quell’esplosione di energia che lei ed Ed sembravano essere in grado di scatenare.

Voleva bene a Siria, Tara.

Le era stata vicina tante volte, quando lei e Caleb erano scappati dal villaggio. Aveva giocato con lei, le aveva letto le fiabe, le aveva trovato dei giocattoli quando Tara aveva sentito la mancanza del suo bambolotto di pezza…

Tara aveva conosciuto un lato di Siria che nessuno era mai stato in grado di scorgere; con lei, la rossa si era sempre comportata con la dolcezza di una madre e di una sorella, con la pazienza di una nutrice e la giocosità di una bambina. Era stata lei ad insegnarle a leggere e a cucinare e, quando era stato il momento, anche ad utilizzare egregiamente un pugnale.

Siria l’aveva salvata, protetta e cresciuta; e Tara l’ammirava, ben sapendo cosa celava dietro il volto umano, proprio per quella sua umanissima capacità di dare completamente il cuore.

Non avrebbe permesso a nessuno di farle del male.

Non per la colpa di essere la persona splendida che Siria era.

La rossa si lasciò sfuggire una risata, guardando le espressioni furbe e mascalzone dei due ragazzini di fronte a lei; erano un balsamo per le ferite, quei due… per quelle ferite che la solitudine aveva scavato profonde voragini dentro di lei.

-Sparite, anime innocenti.-

 .

-<>*<>-

 .

Shaylee riprovò per l'ennesima volta a smuovere l'acqua del fiume in cui era immersa fino alle ginocchia, ricevendo sempre lo stesso risultato. Il nulla.

Sbuffò, contrariata, abbandonando il braccio lungo i fianchi morbidi, sfiorando con le dita il bordo lacero della veste, ancora macchiata in alcuni punti di terra e sangue.

Erano passati giorni da quando aveva curato Siria, e la sua magia continuava a rimanere latente; decise di lasciare la sua postazione, andandosi a sedere su un masso accanto alla riva, lo sguardo che vagava in giro, senza una meta, mentre la sua mente si perdeva in pensieri ormai per lo più malinconici e colpevoli.

Ora che si trovava in quella situazione, senza la parte essenziale di sé... a cosa poteva servire? Il massimo che l’era concesso era aspettare.

 .

Uno scricchiolio proveniente dalla foresta attirò la sua attenzione, e immediatamente provò a trasformarsi in acqua, nel suo essere... Senza riuscirci.

Imprecò, scendendo dal masso e estraendo il pugnale che Peter le aveva donato, sapendo benissimo che se chiunque fosse nascosto avesse avuto un arco, lei sarebbe morta in un batter d'occhio; non era neanche esperta nel corpo a corpo, con le armi, e la cosa la penalizzava fatalmente.

Ma sospirò di sollievo, imponendo al suo cuore impazzito per la paura di acquietarsi, mentre i muscoli si rilassavano: davanti a lei comparve Peter, la fronte corrugata e l’espressione stanca, gli occhi cupi… occhi che s’illuminarono di botto, quando incrociarono lo sguardo della ninfa.

-Ti cercavo...- sussurrò lui, avvicinandosi piano, senza fretta, la paura che lei fuggisse ancora impressa in un angolo remoto della mente; ma Shay sorrise appena, tornando a sedersi sul masso, lasciando un po' di spazio affinché il biondo la raggiungesse.

-Mi hai trovata. Posso… esserti utile?- domandò lei, la voce che si incrinava impercettibilmente, come se fosse ironica, su quelle ultime due parole, come se non credesse a ciò che aveva appena detto.

-Volevo solo avvisarti che Talia sta molto meglio, e pare che a breve riuscirà a correre come prima. Ciò significa che l'avremo di nuovo tra i piedi.- borbottò il Re Supremo, scuotendo il capo mentre si sedeva accanto alla Naiade, cingendole dolcemente la vita con un braccio.

-Siria è con Caspian, e la cosa dovrebbe aiutarla.- commentò, sottovoce, fissando un paio di pesci che passarono davanti a loro, sotto il pelo dell'acqua.

Si voltò verso di lei, notando la sua attenzione lontana, gli occhi quasi vacui. Un brivido spiacevole percorse la sua schiena, la preoccupazione che prendeva posto nel suo cuore e scacciava alla svelta la traballante serenità in cui tentava di cullarsi.

-Shaylee?- chiamò, con voce dolce, facendola sussultare appena.

La ninfa alzò una mano, portandosi una ciocca di capelli dietro all'orecchio, lanciando al compagno un'occhiata fugace prima di rendersi conto che il suo sguardo si era fermato sul braccio che lei aveva mosso, una scintilla mista di rabbia e preoccupazione negli occhi azzurri.

-Perché hai ancora i lividi?- Shaylee si maledisse per non aver coperto i segni che erano rimasti dalla prigionia, lasciandoli davanti agli occhi di tutti.

-Non ho avuto tempo di guarirmi.- buttò lì, legandosi a quella parziale verità, sperando che lui non andasse oltre.

-Puoi farlo adesso. L'acqua ti cura meglio di come ha fatto con Siria. E' la tua essenza, no? Puoi controllarla.-

-No, non posso.- Peter inarcò un sopracciglio, senza capire, decidendo di prendere la ragazza tra le braccia e portarla, tra le sue proteste, verso il corso di fronte a loro; la adagiò tra i flutti, aspettando che l'acqua facesse il suo dovere.

Dopo un minuto di silenzio, in cui Shay era arrossita dalla frustrazione e niente era cambiato, il biondo la fece alzare prendendole le mani, fissandola.

-Shaylee. Che cosa sta succedendo?- domandò, in tono fermo e autoritario, le mani che tremavano appena a contatto con quelle di lei, l'ansia impressa negli occhi.

La Naiade tentennò, abbassando il volto, decisa a non dire nulla.

-Shay.- la bruna scosse il capo, mentre calde lacrime le rigavano le guance, le mani minute che stringevano quelle del ragazzo, la schiena che sussultava appena.

-Non posso più controllare l'acqua. Non posso trasformarmi, non posso attaccare. Ho perso ogni facoltà magica.-

 .

-<>*<>-

 .

Tremava.

Serrò gli occhi, i pugni, le braccia, tentando di mantenere il controllo sul dolore che la travolgeva. Le gambe non rispondevano ai suoi comandi, parevano incapaci di rimanere dritte e salde com’erano sempre state, mentre la forza nelle mani veniva meno.

Tremava.

I muscoli urlavano di dolore, fuori dal suo controllo, l’agonia che li attraversava con la prepotenza di un fulmine. Non poteva esistere un dolore di quell’entità… nessuno sarebbe stato in grado di sopravvivere.

…piangeva.

-Ehi. Va tutto bene.- il calore delle braccia di Caspian fu un balsamo lenitivo, per Siria; si aggrappò alle sue spalle con tutta la forza che le restava, le nocche che sbiancavano per lo sforzo, gli occhi serrati per il dolore.

-Ce la faccio.- mormorò, a denti stretti, ma la sofferenza la vinse ancora una volta; avvertì le ginocchia cedere sotto il peso di quella schiena che pareva non volerla reggere, ogni sinapsi attraversata da quella fitta tagliente che l’aveva piegata senza nemmeno troppo sforzo.

-Sir, forse dovresti riposare ancora. È troppo presto.- Caspian le passò un braccio intorno alla vita, sorreggendola con delicatezza, atterrito al pensiero di farle più male di quanto già non stesse provando.

-Ce la faccio.- replicò lei, il respiro rapido, irregolare, costringendosi con tutta la determinazione che possedeva ad aprire gli occhi.

Già una volta aveva sconfitto il dolore.

Il trucco era solo nel farci l’abitudine, nel prendere confidenza con quelle fitte lancinanti… era tutta lì la soluzione, doveva soltanto abituarsi a patire una pena tremenda, una tortura continua che poteva portare chiunque alla pazzia.

Ma lei, lei non era chiunque.

-Sir, basta.- il tono di Caspian non ammetteva repliche, e suo malgrado Siria si ritrovò ad essergli grata, quando le passò un braccio sotto le ginocchia e la sollevò fra le braccia, riportandola sul modesto giaciglio che oramai la ragazza sentiva di amare e detestare allo stesso tempo.

Sospirò, socchiudendo gli occhi, sentendoli bruciare di qualcosa che non aveva mai tollerato.

Sconfitta.

Il suo stesso corpo, quel corpo su cui aveva sempre fatto un cieco affidamento, la stava tradendo.

Non si era mai sentita più fragile… tutta la sua forza pareva svanita, ridotta in pezzi da un dolore che l’aveva messa in ginocchio come mai nessuno era riuscito a fare.

Le palpebre si serrarono di botto, quando calde lacrime di frustrazione apparvero sull’orizzonte di pizzo delle sue folte e lunghe ciglia scure.

-Ehi…- suo malgrado, Siria s’irrigidì di botto, al tocco lieve sulla guancia delle dita di Caspian.

Non voleva che la vedesse piangere.

Non voleva che si sentisse in colpa.

Ma non riuscì ad evitare che calde linee argentee si disegnassero sulla sua pelle, scivolandovi come spuma candida sulle perle del mare, arrendendosi ancora una volta a quel dolore che non riusciva a vincere.

Si appallottolò su se stessa, dando le spalle a Caspian e odiandosi per quel gesto; non voleva allontanarlo, non voleva ferirlo… aveva bisogno di lui più che mai, ma non tollerava che la vedesse così debole, che la vedesse piangere.

Non era colpa di Caspian.

Lei aveva deciso di fare ciò che aveva fatto, non se ne pentiva; doveva soltanto smettere di piangere, non sarebbe servito a nulla, sarebbe soltanto stata peggio… non aveva alcun diritto di crollare in quel modo, lei aveva fatto quella scelta e, se il risultato era stato sapere che Caspian era sano e salvo… avrebbe accettato volentieri quella sofferenza.

Doveva soltanto abituarvisi.

Eppure non riusciva a fermare quel pianto silenzioso, lottando con se stessa per non permettersi di voltarsi, di cercare conforto dove sapeva di poterlo trovare; non aveva motivo di comportarsi così, sembrava una ragazzina piagnona, doveva soltanto rimettersi in piedi ancora una volta e sarebbe andato tutto bene… non aveva diritto di piangere, quando era stata una sua scelta consapevole a portarla lì – una scelta di cui era fiera, una scelta che aveva salvato il suo principe.

Smettila. Smettila di piangere, adesso! Sei una guerriera, sei un soldato, ora piantala!

Lei era un soldato.

Aveva imparato nel corso degli anni a resistere al dolore, a combatterlo, a sopportarlo… doveva smettere di piangere, doveva tornare ad essere forte, lei non era così fragile... o almeno, il suo corpo non lo era mai stato.

Perché si sentiva nuda, Siria, abbandonata dalla coriacea scorza con cui si era sempre protetta dal mondo intero; le sue gambe non avevano mai ceduto sotto il peso del terrore e dell’angoscia, le sue mani non avevano mai esitato a sorreggere il peso delle armi.

Ma adesso, adesso sentiva che ciò su cui aveva sempre contato se ne stava andando, lasciandola priva delle difese che l’avevano sempre protetta da ogni aggressione.

Si era convinta, negli anni, che se fosse diventata una guerriera invincibile niente avrebbe potuto sconfiggerla; niente avrebbe più potuto ferire quel cuore troppo tenero, quell’anima troppo fragile, perché lei sarebbe diventata abbastanza forte da sopportare anche gli attacchi che non coinvolgevano il suo corpo.

Eppure, adesso non c’era più niente.

Non era più una guerriera, adesso; era soltanto quella ragazza spaventata che tanto odiava mostrare, che tanto facilmente poteva essere ferita.

-Sir, è soltanto troppo presto. Ci vorrà un po’ di tempo.- la voce di Caspian accarezzò delicatamente la sua pelle ancora lacera; non voleva che la vedesse in quello stato, voleva essere… bella, per lui.

Non voleva sembrare un mostro pieno di lividi, di ferite, di sangue a stento rappreso; il suo essere donna in quel modo tanto particolare, il suo orgoglio e la sua femminilità selvatici ma altrettanto sensuali, desideravano soltanto che Caspian non la vedesse ridotta in quello stato.

Era vanità, Siria la riconobbe immediatamente; sbuffò quasi, fra le lacrime, sentendo il dolore che scemava appena e le permetteva nuovamente di respirare.

Si sentiva una sciocca, si sentiva ridicola; non soltanto le sembrava di essere fragile quanto una fogliolina sferzata dai venti più impetuosi, ma anche tanto superficiale e frivola quanto una ragazzina viziata.

Vanità.

-Non guardarmi.- mugugnò, affondando la testa nella propria spalla, avvertendo la pelle ardere dove gli occhi di Caspian la sfioravano.

-E perché non dovrei?- fu la domanda attonita del principe, il tocco caldo e soffice delle sue dita che le sfioravano i capelli; almeno i capelli, pensò lei, erano rimasti i crini folti e rossi che lui tanto amava… oh, ma quanto poteva sentirsi sciocca, in quel momento!?

Vanità.

Aveva sempre creduto di esserne immune, Siria; ma, evidentemente, Caspian l’aveva resa arrendevole persino dinanzi a quella pericolosa patologia.

Avvertì Caspian sorridere, la sua carezza gentile scendere a sfiorarle con delicatezza il viso, alzandolo e portandola a guardarlo in quei meravigliosi occhi neri.

Era cresciuto tanto, Caspian, nelle ultime due settimane; il volto si era fatto più scavato, i capelli più lunghi e disordinati, la pelle delle guance ruvida di una barba folta e neonata… sembrava più un uomo di un ragazzo, adesso, i segni della lunga agonia che aveva vissuto accanto a Siria che marchiavano indelebilmente il suo volto prematuramente invecchiato.

-Sir, pensi di essere meno bella, adesso?- le chiese, un pizzico d’ironia nella calda voce sensuale che riuscì a far avvampare la ragazza, che immediatamente tornò a nascondere il visino nella sua spalla.

-Di sicuro non sono un gran spettacolo.- mugugnò, stringendosi di più a lui, tentando di scacciare quell’inadeguato e irrazionale senso di pudore. -È una cosa sciocca, lascia stare.- tentò di dissuaderlo, imbarazzata, senza però riuscire a sfuggire al penetrante sguardo color carbone di Caspian.

Inaspettatamente, però… una breve, roca, calda risata riscaldò l’aria fredda dell’angusta stanzetta, le flebili fiamme delle candele che tremolavano in risposta a quel suono che da tanto tempo, ormai, nessuno riusciva più ad emettere.

La ragazza si voltò, suo malgrado, per guardare il volto ilare e divertito del principe telmarino; Caspian stava davvero ridendo e, oh, era un suono talmente bello che non si sarebbe mai stancata di ascoltarlo… avrebbe potuto passare l’eternità, lì, fra le sue braccia, l’argentino rintocco delle sue risate a cullarla nei sogni.

-Sir, sai perché non oso toccarti?- esordì lui, accarezzando con riverita tenerezza la guancia della giovane, un caldo bacio che si posava fra i morbidi crini scarlatti.

Bella

Caspian aveva il potere unico di farla sentire bella, amata, desiderata… nella sua stretta, contro il suo petto, il battito forte del suo cuore che le riempiva la mente, Siria riuscì – per la prima volta da giorni – a sorridere, serena, il ricordo della tortura per un istante dissolto nel calore di quell’abbraccio.

Il sonno, la stanchezza, i nervi che si distendevano al contatto col corpo tonico del principe, portarono le sue palpebre a socchiudersi proprio quando il sussurro del ragazzo le accarezzò l’orecchio, lasciandola scivolare nel beato oblio dei sensi.

-Ho soltanto il terrore di ferirti, mia adorata principessa.-

 .

-<>*<>-

 .

-Che cosa??- Peter sbarrò gli occhi, incredulo. Non riusciva a credere a quello che Shaylee gli aveva appena detto. Non era possibile. Lei era una Naiade, la magia era parte integrante del suo essere, senza sarebbe stata una persona... a metà.

-E' il prezzo che ho dovuto pagare per curare Siria.- spiegò lei, la voce che non tradiva alcun ripensamento, alcun rimorso: era ancora convinta di ciò che aveva fatto, sicura che fosse la scelta più giusta. Lei stessa poteva ritirarsi dalla battaglia senza intaccare nessuno dei piani, senza creare problemi; ma se fosse stata Siria a ritirarsi dal combattimento, la situazione avrebbe preso tutta un'altra piega. Non potevano perdere la raminga.

Il volto del Re Supremo si corrucciò per qualche istante.

-Quando ti ho spiegato cosa la mia magia comportava... non ti ho detto tutto.-

-Hai mentito.- Shaylee sussultò a quell'affermazione, scuotendo vigorosamente il capo.

-No, sai che... non riesco a mentire. E' stata un'omissione, perché sapevo che tu e, soprattutto, Siria mi avreste impedito di fare il necessario.- spiegò la Naiade, stringendosi appena le braccia intorno al ventre. Peter sospirò avvicinandosi a lei, alzando una mano per spostarle quella stessa ciocca di capelli dal volto; lei fece un passo indietro per guardarlo direttamente negli occhi, una luce diversa, una di quelle che il Re non aveva mai visto così: un misto tra determinazione e insicurezza.

-Io... ho deciso di tornare a casa, Peter.- mormorò la ninfa, tentando con tutta se stessa di non abbassare lo sguardo; vide il biondo sbiancare appena a quell'affermazione, gli occhi che improvvisamente diventavano due specchi impenetrabili.

-Cosa intendi dire?- domandò, freddo, incredulo.

-Sono senza magia per un tempo a me sconosciuto e non sono capace di difendermi...-

-...ci sono io..-

-Non dire sciocchezze. Tu sei il Re. Devi guidare tutta questa guerra con l'appoggio di persone in grado di starti accanto senza dover essere protette.- prese un lungo respiro, Shay, la sola idea di lasciare lui, il suo lui la faceva vacillare nell'anima come mai prima d'allora.

-Due naiadi domani verranno a prendermi per farmi da scorta. Ho avvertito Mairead di tutto prima di condurre la magia curativa. E' meglio così, per tutti.- sussurrò la bruna, i capelli che ricadevano scompostamente davanti al viso inclinato in avanti, oscurandolo in parte, l'ombra che provocavano che andava a nascondere gli occhi puri e sofferenti della ninfa... ombra che rispecchiava perfettamente la malinconia che adesso permeava lo spirito della ragazza.

-Non posso lasciarti andare.- la voce di Peter fu brusca, ma non più fredda o impersonale: sembrava appena incrinata, qualcosa a trattenere l'esplosione di emozioni che pareva essere sul punto di abbandonare il corpo del Re Supremo.

-Non puoi impedirmelo...- protestò lieve Shaylee, alzando decisa lo sguardo sul compagno, ritrovandoselo a pochi centimetri di distanza.

-Sono il tuo Re. Posso farlo. Resterai nella cripta se necessario, ti proteggerò fino all'ultimo respiro se dovessi farlo... ma non andartene.-

Gli occhi di Peter, quei limpidi frammenti di cielo estivo, quel cielo che le aveva sempre ricordato la vecchia Narnia, erano lucidi come cristalli, appesantiti da qualcosa di molto simile a disperazione; Shay gli accarezzò una guancia con la punta delle dita sottili, la sua mano che saliva a imprigionare quelle dita di fata nel proprio palmo.

-Devo, Peter. Mairead stessa mi allenerà, diventerò una guerriera come fino ad ora non sono stata in grado di essere; così, se sarà necessario, almeno darò il tempo alla mia gente di scappare via se mai i Telmarini dovessero trovarci e attaccarci. Se imparo a usare le armi e a controllare la magia posso dare una minima speranza di salvezza al mio popolo... anche se dovesse costarmi la vita. Tu faresti lo stesso.- mormorò la Naiade, le lacrime che ormai rigavano le sue guance eburnee senza fermarsi, le mani che si stringevano alla casacca del ragazzo, mentre quelle di lui cingevano con morbida fermezza la vita esile della fanciulla.

-Stanotte resta con me. Voglio che tu mi stia accanto… un’ultima volta.-

-Un'ultima volta?- domandò lei, la voce bassa e appena roca.

-Non sarà un addio, questo?-

-No, amore mio. E' un arrivederci.-

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My Space:

© Tutti i copyright per il personaggio di Shaylee e per le parti scritte in "Times New Roman" vanno a Dreamer Angel.

Buongiorno popolo!

Fra tutt'e due, quelle donne sono un concentrato di pare mentali O.o

Con questo capitolo, si conclude definitivamente la parte della storia che riguarda la tortura ed il rapimento delle ragazze; ora comincerà una parte relativamente breve, che durerà al massimo 5 capitoli (e che non dovrei impiegare troppo tempo per scrivere, vita permettendo), e poi ci si avvierà - finalmente - verso il gran finale.

Un finale con il botto xD

Vi avverto, non ho dimenticato Rebirth, il mio amore per Siria è sempre lo stesso; sono soltanto un po' tanto fisicamente ed emotivamente distrutta. La vita sa essere decisamente crudele, alle volte.

Bye,

B.

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Capitolo 34
*** Empire of the Sun. ***


34 chap
Narnia's Rebirth
34th Chapter

Empire of the Sun - Edenbridge

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-Devi smetterla!- Siria, frustrata, si costrinse a non scaraventare la ciotola di terracotta che teneva in mano contro la parete di quella dannata stanzetta; fissò Shay, la rabbia che lampeggiava furibonda negli occhi chiari.

Talia, silenziosa quanto e più che mai, si limitò a spostare lo sguardo sulla finestrella del cubicolo che ospitava la convalescente ed irascibile amica, le braccia conserte ed i capelli raccolti che mettevano in evidenza le lunghe, affusolate orecchie elfiche.

Shaylee, con tutta la calma che possedeva, si avvicinò alla rossa e le tolse il recipiente di mano; si allontanò per posarlo sul tavolo accanto alla porta, i movimenti misurati e calcolati, l’espressione accuratamente neutra.

-Di fare cosa, Siria?- le chiese, con la sua voce più serena ‒ senza, però, voltarsi a fronteggiare lo sguardo pieno d’accusa e sgomento della ragazza. -Voglio solo imparare a combattere. Voglio solo non essere un peso per nessuno.- ripeté, forse per la centesima volta da quando aveva comunicato alle due amiche la sua decisione, abbassando il tono della voce fino a ridurla ad un sussurro dolce e delicato.

Siria, irata, scostò bruscamente le coperte ed afferrò il bastone a cui aveva preso l'abitudine di appoggiarsi per camminare, alzandosi in piedi, traballando un poco, per raggiungere la cassapanca dove aveva raccolto i suoi pochi averi.

-Tu non sei fatta per combattere, dannazione!- sbottò, senza nemmeno guardare l'amica, aprendo il coperchio con violenza: quello, al suo gesto, schioccò al contatto con la parete, un suono che riverberò in tutta la cella.

Shay sospirò, cercando lo sguardo di Talia in aiuto: ma la mezz'elfa non pareva d'accordo con la naiade, tanto che evitò volontariamente di incrociare i suoi occhi, limitandosi a fissare l'esterno della cripta attraverso la finestrella.

-Quella sei tu, vero?- fu il commento esasperato della ninfa, mentre la rossa estraeva un corsetto e una tunica, piuttosto consunti ma tutto sommato in buono stato, e si sfilava la camicia da notte per indossarli.

Talia dovette distogliere lo sguardo dal corpo nudo e terribilmente magro dell'amica, perché le ferite appena rimarginate sulla sua carne bianca disegnavano una storia che lei non voleva rivivere; Shay invece sopportò quella vista, inorridendo però quando vide che persino la fenice dormiente sulla schiena della ragazza era stata intaccata dalla violenza di Flynch.

-Sì!- sbottò la rossa, ponendo fine al supplizio delle due narniane indossando il giustacuore lungo, coprendolo poi con il corpetto per sostenere il seno e rinforzare la spina dorsale malandata.

Si volse verso Shaylee, fronteggiandola con la rabbia ed il disgusto nelle iridi blu.

-Non sono l’eroe della storia, okay? Sono il mostro, quello che il prode Re infilzerà sulla spada, prima o poi! È così che andrà, Shaylee, ma tu NON sei una guerriera!- ringhiò, ignorando il senso opprimente che quel pensiero le dava ogni volta che vi si soffermava: non aveva intenzione di lasciarsi abbattere dalla trista consapevolezza del suo destino.

Non più, almeno.

La ninfa non volle cogliere l'aspetto positivo di quell'esclamazione furiosa, il lampo di coraggio ed ostinazione diventati tanto estranei dal viso di Siria da sembrare appartenenti a qualcun altro: strinse i pugni, sibilando furibonda la sua risposta.

-Tu non esistevi nemmeno quando io combattevo per Narnia, Siria! Mi sono battuta per tanti anni, tanti quanti tu non potrai nemmeno viverne!-

Shaylee, nel pronunciare quelle parole rancorose, seppe istintivamente di aver fatto la mossa sbagliata.

Talia e Siria rimasero a fissarla, stupefatte da quell'uscita che, da lei, nessuno si sarebbe mai aspettato: Shay non era una persona incline a quei gesti così umani, a quel difetto tanto comune che era il risentimento.

-Bene!- fu l'esclamazione della rossa a quel punto, che indossò la calzamaglia con una furia tale da rischiare di romperla. -Bene!- ripeté, infilandosi gli stivali alti e tentando di allacciarli: fu Talia a soccorrerla, dandole una mano quando si rese conto che l'amica non sarebbe riuscita a farcela da sola.

Quando fu vestita, Siria non aspettò nemmeno che Shay potesse dire qualcosa: si avvicinò zoppicando alla porta, furiosa, senza neanche guardarla.

-Vai, diventa un guerriero, combatti l’ennesima guerra di questa terra, fatti ammazzare!- la sentì sbottare la Naiade, mentre la rossa imprecava nei confronti della porta tanto pesante e difficile da aprire.

Siria si volse verso di lei soltanto quando fu ormai sulla soglia, gli occhi blu vividi di un fuoco di nuovo vivido e acceso. -Fai come ti pare, Shaylee, ma non farlo perché ti senti in colpa per essere scappata.- aggiunse, in un tono appena più dolce, ma perentorio: non avrebbe permesso alla sua amica di rovinarsi, di diventare un mostro a causa di una sua scelta.

Non attese una risposta: si voltò, dandole le spalle e zampettando il più velocemente possibile nella penombra opprimente della cripta, Talia accanto.

E non udì, quindi, il sussurro di Shaylee.

-…Anche per quello, Siria.- la ninfa si strinse le mani sulle braccia, abbassando lo sguardo. -Anche per aver quasi fatto uccidere una delle persone più care che ho.-

.

§

.

Shaylee era partita ormai da un paio di giorni, senza che nessuno quasi se ne accorgesse: Talia e Siria, più taciturne che mai, avevano assistito all'arrivo delle due Naiadi mandate da Mairead per recuperarla, salutando l'amica con sguardi carichi di migliaia di parole mai dette.

Grazie al sostegno dell'amica mezz'elfa, Siria si era ripresa tanto da poter abbandonare il bastone per brevi passeggiate, in cui Caspian o Talia l'accompagnavano più che volentieri.

Nel suo principe, Siria aveva scorto il sollievo, la pace e la speranza che la sua rapida guarigione avevano alimentato, il desiderio di saperla di nuovo in forze ed al sicuro che restituiva vigore e vitalità a quel ragazzo che adorava in un modo totalmente unico.

Ma era Talia per cui Siria era preoccupata, perché l'amica si faceva ad ogni alba più silenziosa e corrucciata, quasi temesse il giorno come foriero di dispiaceri o altro dolore. Quando le aveva domandato, senza mezze parole, cosa stesse succedendo, la laconica risposta della mezz'elfa aveva fugato qualsiasi dubbio: gli alberi l'avevano avvertita di una imminente visita di una delegazione elfica.

Se esisteva una sola cosa che angosciava Talia, quella era il suo popolo a metà; quel popolo che l'aveva ripudiata e allontanata con la facilità con cui si scaccia un animale vagabondo.

.

Un giorno, inaspettatamente, fu Peter a presentarsi sulla soglia della rossa raminga al posto del principe o della mezzosangue, con un sorriso sul volto ed il Sole che incorniciava la sua prestante figura: dopo tanti giorni finalmente il Re Supremo si era degnato di farsi vedere, lo aveva schernito Siria, accettando però il braccio che lui le tendeva e seguendolo fuori dalla cripta, immergendosi nel calore di un'estate nel suo pieno vigore.

-Come ti senti?- le domandò, aiutandola a sorpassare una parte di sentiero particolarmente sconnesso reggendola per il braccio, costatando con piacere che Siria riusciva a muoversi quasi senza il bisogno di un sostegno.

La raminga sorrise, senza scacciare la mano che l'aiutava, rivolgendogli uno sguardo che finalmente assomigliava a quello combattivo e focoso della donna che lui aveva imparato ad apprezzare.

-Meglio. Presto tornerò a maneggiare la spada.- lo informò, soddisfatta di se stessa e dei propri progressi: aveva ripreso in mano Kain, il giorno precedente, sotto gli occhi attenti e preoccupati della sua ansiosa migliore amica e del suo apprensivo compagno... sferrare giusto un paio di fendenti era stato terribilmente faticoso, ma, quando aveva lasciato cadere la spada per la stanchezza, sul viso di Siria era comparso un sorriso di puro trionfo.

Peter ridacchiò, a suo modo fiero del portamento molto più solare della giovane: aveva fortemente temuto di perdere il suo guerriero migliore, in quelle ultime sei settimane scarse, ed il fatto che si fosse ritrovato a provare per lei un affetto al limite della paternità non aveva certo aiutato le sue emicranie.

Ma ora Siria era al suo fianco, il viso pulito e libero dalle cicatrici e gli occhi limpidi e accesi come due fiamme di cobalto, con addosso un semplice vestito da donna che Susan l'aveva praticamente costretta a indossare.

-Frena, puledrina, non hai bisogno di fare tutto subito!- le fece notare, punzecchiandola con quel nomignolo saltatogli alla mente nel rammentare una giovane cavalla selvaggia che lui ed Edmund avevano catturato durante il loro regno: nessuno era mai stato in grado di domarla, ma la magnifica bestia dal manto grigio era rimasta nei boschi attorno a Cair Paravel, fiera nella sua decisa libertà.

Siria si fermò di botto, voltandosi verso il biondo con l'orrore che si dipingeva alla svelta nei suoi bei tratti.

-Com'è che mi hai chiamata!?- quasi strillò, tanto era rimasta allibita da quel nomignolo orribile ed infamante con cui l'aveva chiamata quel coso biondiccio.

Lui ghignò, divertito, annuendo con aria solenne.

-Puledrina. Sei una cocciuta, testarda e nevrotica puledrina ribelle.- affermò, soddisfatto di se stesso, aprendosi poi in un sorriso a trentadue denti che fece soltanto crescere il di lei desiderio di strangolarlo.

-Dimmi cosa mi trattiene dal liberare Narnia da un cretino come te.- borbottò infatti Siria, che divenne ancora più rossa dei propri capelli quando Peter scoppiò a ridere di gusto, strappando anche a lei un sorriso.

Gli concesse quasi un minuto d'ilarità, prima di porgli una delle domande che più le premevano. -Come stai, Re Supremo?-

Lui non sembrò sorpreso dal quesito; sospirò, passandosi le dita fra i capelli, gli occhi celesti che si spostavano sull'azzurro carico del cielo, tanto bello da sembrare finto.

-Vado avanti. Shaylee non sarebbe molto contenta di sapermi depresso e inattivo.- rispose, con una sincerità disarmante che lasciò la ragazza momentaneamente senza parole. -Mi manca, Sir.- aggiunse, mentre fra i pensieri faceva capolino il volto delicato e perfetto della sua amata naiade.

Chissà come stava, Shaylee... chissà come andava il suo agognato allenamento, chissà se aveva compreso di non essere portata per la guerra...

Siria annuì, ben riuscendo a capire lo stato d'animo del Re Supremo.

Lei e Shaylee non si erano lasciate nel migliore dei modi, il ricordo di quell'aspra discussione avrebbe aleggiato a lungo fra loro: ma la ninfa era prima d'ogni cosa una sua adorata amica – una delle poche, una delle sole persone a cui Siria, tuttora, avrebbe affidato se stessa.

-Manca anche a me. Tornerà presto, vedrai... Mairead ha i suoi modi per far capire le cose alle persone. La farà ragionare.- lo rassicurò, regalandogli uno dei suoi rari sorrisi sinceri: più di una volta, da quando Shaylee era partita, lei e Peter si erano ritrovati d'accordo sul fatto che le intenzioni della ragazza erano pura follia, dettata più dal senso di colpa che dal reale desiderio di combattere ed uccidere.

Peter si costrinse a sorridere, nonostante l'angoscia e la malinconia gli stringessero il cuore ad ogni ora della giornata. Il suo conforto più grande era il sapere la sua amata al sicuro, in quei giorni; il suo sollievo, invece, la preparazione di una guerra che sembrava oramai imminente.

Condusse Siria per un'altra manciata di metri, prima che la ragazza desse i primi segni di cedimento: si fermarono quindi ai bordi dei campi allestiti per l'addestramento con le spade, osservando il possente Cornell che istruiva pazientemente un giovane centauro dal manto chiaro nell'utilizzo dello spadone a due mani tipico della sua razza.

Il ragazzo, che poteva forse essere dell'età corrispondente a quella di Peter e Siria, era evidentemente alle prime armi con la spada: la maneggiava con goffaggine, non riuscendo a parare nessuno dei semplici colpi che il suo maestro sferrava.

Siria si morse un labbro, preoccupata: erano ragazzi come quello che avrebbero mandato in guerra? Poco più che bambini, mandati a morire?

All'ennesima stoccata andata a fondo di Cornell, il ragazzo parve spazientirsi: mulinò furiosamente la spada, ma il centauro più adulto fece roteare abilmente i polsi, disarmandolo con semplicità e mandando la spada a conficcarsi a non più di un paio di metri dai due spettatori.

A quel punto, Siria non poté più stare a guardare.

Abbandonò il braccio di un Peter quantomai stupito, avvicinandosi all'arma ed estraendola, un po' a fatica, dal terriccio: si avvicinò quindi ai due narniani, porgendo lo spadone al ragazzo e sistemando le enormi mani della creatura sull'elsa, spostando poi delicatamente la lama in modo che seguisse la piega naturale del braccio del giovane.

-Devi tenere la spada più bassa... così.- gli spiegò, guidando quindi i suoi polsi e mostrandogli come affondare in modo molto più fluente, rapido e preciso. -Vedi? Puoi proteggere ogni lato del tuo corpo, in questo modo.- aggiunse con un sorriso, allontanandosi per permettere al centauro di provare la nuova tecnica.

Quello tentò un paio di volte, riuscendo finalmente a prendere dimestichezza con l'arma e riuscendo a parare alcuni dei colpi del maestro. Si voltò quindi verso Siria, mentre rinfoderava la sua nuova compagna di battaglia, sorridendole dal quel volto antico e misterioso che era quello dei centauri.

-Ti ringrazio, lady Siria.- le disse, chinando rispettosamente la testa, provocando un eccesso di rossore sulle guance di lei.

-Non ce n'è bisogno.- lo fermò subito, imbarazzata: ma il giovane ignorò il suo imbarazzo, ritirandosi soltanto quando il più anziano lo liquidò con un gesto della mano.

Siria divenne ancor più paonazza, quando si rese conto di essersi intromessa senza permesso nell'addestramento di quel maestoso e terrificante centauro: le metteva soggezione, Cornell, sin da quella notte nella foresta in cui l'aveva salvata dalla condanna a morte.

-Perdonami Cornell, non volevo interferire, io__-

-Non hai interferito.- la interruppe pacatamente l'altro, indecifrabile nella voce e nello sguardo. -Seguimi, vuoi?- le propose poi dopo un attimo, invitandola ad accomodarsi sulla propria schiena. Lei annuì, incuriosita da quella proposta, rivolgendo un cenno di saluto a Peter che, comprendendo, rispose al gesto e si allontanò verso il resto dell'accampamento.

Il centauro aiutò la ragazza a sedersi in groppa, sollevandola come se fosse una bambolina di pezza. Lei odiava l'abito lungo e scomodo che Susan le aveva dato, le impediva i movimenti in maniera allucinante e non le permetteva nemmeno di montare a cavallo come aveva sempre fatto, costringendola ad accomodarsi all'amazzone.

Cornell la condusse lentamente attraverso i vari centri di addestramento: Susan addestrava uno sparuto gruppo di tremuli arcieri, Edmund duellava contro tre fauni alla volta, Aaron e Caleb addestravano alle picche e alle alabarde i centauri di stazza più minuta.

-Che cosa ne pensi?- le domandò l'antica creatura, voltandosi a guardarla. Lei scosse la testa, sconsolata.

-Si faranno ammazzare. Non sono pronti, Cornell.- fu la trista risposta della rossa, mentre l'ingiustizia di quell'amara verità tornava a stringerle il cuore: gli ideali e gli obiettivi di quei combattenti erano nobili, ma i loro avversari avrebbero trafitto l'onore ed il coraggio, passandoli a fil di spada senza troppi pensieri.

-Lo so bene.- concordò Cornell, serissimo, scrutandola come già una volta – una vita prima – aveva fatto per capire la vera indole della giovane. -Tu hai molta esperienza, Siria. E hai bisogno di un obiettivo.- affermò, alla fine, dopo diversi attimi passati a scrutarla.

Lei sgranò gli occhi, presa in contropiede.

Cornell le stava forse offrendo di addestrare i guerrieri? Le sarebbe indubbiamente piaciuto, ne sarebbe probabilmente stata in grado, ma...

-Io non sono la persona adatta...- cominciò, sollevata suo malgrado di non dover mentire a Cornell: il centauro era perfettamente a conoscenza della sua vera natura e dei segreti che celava, e mentire non sarebbe servito a nulla.

-Provaci.- la incoraggiò lui, ignorando tranquillamente la sua obiezione.

Mosse le enormi mani nell'aria, abbracciando così tutto l'accampamento della Cripta di Aslan e tutti coloro che, al momento, vi vivevano.

Poi, tornò a guardare gli occhi tormentati di Siria.

-Ti ascolteranno. Tu forse non hai fiducia in ciò che sei, ma noi... tutti noi... sappiamo che quando sarà il momento farai la scelta giusta.-

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Quella sera, sola nella sua stanza in attesa di Caspian, Siria si ritrovò a riflettere.

Sopravvivere.

No, non le bastava più. Non le bastava più vivere alla giornata, senza sperare in un futuro.

Voleva combattere.

Ne era certa, era questo che il suo cuore aveva ruggito con una forza mai provata quando si era ritrovata al fianco dei Narniani, in battaglia. Era questo che l’aveva spinta a restare – escludendo Caspian, ovviamente.

Era questo, ciò che quella sete di giustizia che aveva sempre sopito le chiedeva di fare.

Voleva combattere. Voleva combattere per quell’ideale in cui aveva scoperto di credere con tutte le sue forze, voleva vedere l’usurpatore trascinato via dal trono, voleva vedere la giustizia trionfare a Telmar e a Narnia. Voleva arrivare a vedere Caspian con la corona sulla testa, voleva vedere le due civiltà finalmente pacificate, unite sotto una stessa guida.

Voleva tutto questo.

E voleva farne parte. In qualsiasi modo, quello che aveva imparato in sette anni sarebbe potuto tornare utile ai guerrieri – per poco non si ritrovò a pensare i suoi, guerrieri.

Sorrise, sentendo qualcosa scaldarle il cuore, il petto.

Avrebbe dato anima e corpo, per quell’ideale, per quel sogno.

Forse, non era poi così tardi per sperare.

.

§

.

-E’ brava.-

Sentire Peter elogiare le qualità di Siria, ultimamente, non era più così raro. Certo, non se lo permetteva in presenza della rossa, ma la raminga pareva troppo impegnata nei suoi addestramenti per far caso all’orgoglio che dava a tutti quanti nell’impegnarsi così tanto.

Caspian annuì, un sorriso finalmente sereno sul volto, guardando Siria spiegare ad un giovanissimo fauno come impugnare correttamente una spada, in modo da proteggere le fragili zampe caprine.

-Finalmente sa quello che vuole.- commentò, fiero e felice di tutto ciò che Siria aveva conquistato in quei due lunghi mesi che aveva impiegato per riprendersi.

La ragazza aveva ripreso a camminare definitivamente sicura qualche settimana prima e, da allora, non aveva fatto altro che muoversi, con l’obiettivo di rimettersi in forma il più presto possibile.

Certo, muoversi le costava ancora diverso dolore, diversa sofferenza: le costole e la schiena le avrebbero fatto male molto a lungo, secondo Cornelius, ma Sir sorrideva, quando lui tentava di dissuaderla dall’allenarsi insieme ai guerrieri – guerrieri che, ogni giorno, la adoravano sempre di più.

In quelle due settimane, Siria era diventata l’anima e la guida della resistenza.

Fin da subito, aveva pregato lui e Peter di farla assistere ai consigli, alle pianificazioni delle strategie: e il biondo stesso, più di una volta, si era voltato verso di lei per chiederle un parere – parere che Siria non gli aveva mai negato, dimostrando una conoscenza non comune della strategia che, da lei, nessuno si sarebbe mai aspettato.

Siria aveva dato un contributo non indifferente ai loro piani. La sua conoscenza della guerriglia, della vita com’era quella dei non reali, era stata decisamente utile: in sette anni, Siria ne aveva viste più di Peter, in quei vent’anni in cui aveva regnato.

Pian piano, dietro la spinta ed il consiglio di Cornell, si era avvicinata sempre di più alle truppe, cominciando a insegnare loro tutti quei trucchi che le avevano salvato la vita ben più di una volta. Con lei, Aaron, Caleb, Talia: quattro menti abituate a combattere strenuamente ogni giorno, pur di poter dormire la notte, pur di sopravvivere in mezzo alle avversità.

E negli occhi di Siria c’era una forza, una luce, una determinazione come Caspian non ne aveva mai viste prima.

Vederla impegnata, le maniche rimboccate e l’espressione più serena e duratura che avesse mai scorto sul suo volto, era per Caspian una delle cose più belle di quelle settimane di ritrovata serenità.

Siria si stava impegnando sul serio, per addestrare i loro soldati alle tecniche più nascoste e poco ortodosse del combattimento.

Lui e Peter erano stati allievi di guerrieri provetti, di uomini d’onore; ma Siria e i suoi compagni avevano imparato la fine arte della guerriglia e del mercenarismo, fino a diventare dei guerrieri abili e in pratica impossibili da sconfiggere.

La guardava, quando con una pazienza infinita insegnava ai guerrieri a ordire trappole, ad avere sempre mille occhi e mille orecchie; la osservava, mentre la raminga allenava al combattimento vero, quello sporco, quello di persone determinate ad uccidersi, giovani fauni ancora inesperti: e sorrideva, felice, vedendo in quegli occhi blu una determinazione e una forza che aspettava da tanto di poter scorgere.

Siria aveva finalmente trovato la sua strada: insegnare, dare un aiuto notevole per quella guerra, sembrava poterla guarire ben più delle cure di Shaylee.

Perché non erano ferite visibili, quelle che il nuovo idealismo e la forza che brillavano nei suoi occhi andavano a sanare.

La sera crollava esausta, e non protestava più quando Tara, incaricata personalmente da Shaylee al momento della partenza, le cambiava le bende: le gambe erano già quasi del tutto guarite, soltanto lievi segni rossi solcavano ancora la sua pelle – ma presto sarebbero spariti, gli unguenti delle ninfe cancellavano quasi tutte le cicatrici. Il viso era tornato pian piano ad essere quel volto eburneo e splendido che Caspian non aveva mai smesso di vedervi, con grande gioia di Siria invece: si era rifiutata di guardarsi in qualsivoglia tipo di specchio, finché non le avevano detto che le ferite erano scomparse.

Caspian restava con lei, di notte: ormai non era più mistero per nessuno, quello che li legava, e non potevano che esserne felici. Peter aveva smesso di far loro la guerra, e anzi, più di una volta li aveva anche coperti quando Caspian misteriosamente tardava agli allenamenti.

Le restava accanto ormai quasi sempre, completamente dipendente dalla forza vivida e luminosa che il viso di nuovo sano della ragazza pareva sprigionare.

E Siria, per la prima volta nella sua vita, si sentiva davvero a casa: amava quel che faceva, amava sentire la responsabilità di quelle vite che le erano state affidate, di quei soldati che pendevano ogni giorno di più dalle sue labbra. Sentiva che avrebbe potuto vivere così per sempre, l’anima accesa da quell’obiettivo e il cuore che palpitava per Caspian.

Sentiva di amarlo ogni giorno di più, seppur le paresse impossibile: lo guardava allenarsi, combattere, lo guardava quando la sera si addormentava sfinito accarezzandole i capelli – accoccolata sul suo petto, come un micio. Lo guardava sorriderle, viveva per quelle dita intrecciate alle sue, per quelle lunghissime, eterne chiacchierate che parevano non aver mai fine fra di loro: parlavano di qualsiasi cosa, dal passato di entrambi a ciò che sentivano nei confronti di quella guerra, dai legami che si stavano formando fra tutti i combattenti a ciò che avrebbero voluto dal futuro.

Un futuro, che entrambi non volevano immaginare senza l’altro.

.

-Che cosa farai, dopo la guerra?- domandò una sera Siria a Caspian, il corpo bianco velato soltanto dal fumo opalescente dell'incenso, la mente ebbra di piacere e degli effluvi afrodisiaci delle essenze.

Caspian si abbandonò fra le lenzuola, posando la testa sul ventre soffice dell'amante, i riccioli neri che si spargevano sulla carne bianca come inchiostro sulla tela.

-Voglio tornare al castello… Voglio essere un buon Re.- ammise, accarezzando distrattamente la coscia tonica di lei con la punta delle dita. Sorrise, pacificato dalle lunghe ore d'amore di quella notte, alzandosi nuovamente e muovendosi suadente come un felino sul corpo di lei, sovrastandola.

-Tu non dirglielo, ma… ho sempre sognato di diventare come Peter, un giorno.- sussurrò, divertito, sulla gola invitante della ragazza, inframmezzando ogni parola con un bacio su quella pelle bollente. La sentì ridacchiare, il ventre che si contraeva, ma lo lasciò continuare.

-Quando ero piccolo le leggende su di lui mi affascinavano... sognavo di diventare un giorno un Re prode e valoroso come lui, di imitare le sue gesta... lo ammiravo molto, tanto quanto lo ammiro adesso.- le spiegò, sebbene non fosse del tutto sicuro che Siria lo stesse ascoltando; miagolava, infatti, la sua sensuale raminga, al tocco impudico che dai seni floridi era sceso fra le sue cosce, immergendosi nella sua umida femminilità.

-Anche se sopportarlo tutti i sacrosanti giorni ha giusto un po' intaccato il suo mito.- aggiunse, ridendo insieme a lei a quel commento, prima che Siria lo separasse gentilmente dalla propria intimità e lo spingesse morbidamente di lato, portandosi a cavallo su di lui.

Caspian la osservò, sorpreso e compiaciuto, beandosi del corpo tonico della giovane: non riuscì a resistere a quei seni, rotondi e abbondanti a tal punto da farlo impazzire, tanto che dovette alzarsi per immergervi il viso, baciandoli con avidità.

-Ora, negherò di averlo detto, in futuro... ma Peter è stato un grande Re. Lo è tuttora.- sentì mormorare Siria, decisamente poco convinta sulla serietà delle proprie parole -E lo sarai anche tu.- aggiunse, accarezzandogli le guance e portando gli occhi neri di lui ad incrociare i propri.

Sorrise, maliziosa, baciandolo lentamente e profondamente, facendo sospirare entrambi di piacere. -Il mio Re...- si lasciò sfuggire, gli occhi socchiusi e le labbra gonfie di baci.

Caspian le accarezzò il viso, lasciandosi ricadere sul pagliericcio scomposto che era diventata la loro alcova d'amore.

-Tu ci sarai, Sir?- le chiese, posando le mani sui fianchi di lei e disegnandovi pigri circoletti con i pollici.

Lei annuì, accarezzando il torace snello del principe con qualcosa di molto simile alla venerazione.

-Io ci sarò sempre.- lo rassicurò, i capelli che seguivano il movimento del suo corpo e scendevano a colorare l'alabastro della carnagione di Caspian di scarlatto e sanguigno.

Avvicinò il viso a quello di lui, gli occhi blu che contrastavano con l'atmosfera dorata della cella. -Finché mi vorrai al tuo fianco.- aggiunse, baciandolo ancora.

Lui le prese il viso fra le mani, scostando quei crini che tanto adorava, riempiendosi il palmo delle sue guance soffici.

-Sempre. Sempre, Siria. Ti vorrò sempre, con me.- affermò, e Siria sapeva che non mentiva: aveva smesso di dubitare di Caspian nello stesso istante in cui, mesi e mesi prima, si era lasciata amare per la prima volta da lui.

-Ma tu cosa vorresti?- le domandò a sorpresa il ragazzo, facendole sgranare gli occhi.

-Nulla.- fu la sua prima, istintiva risposta: non riusciva a desiderare nulla, in quel momento, che non fosse l'amore carnale e mentale del suo adorato Re.

Caspian inarcò un sopracciglio, scettico.

-Non ci credo. Non ci riesci a mentirmi, lo sai.- le ricordò, con ironia. Lei rise.

-Continuo a scordarmelo.- ammise, sospirando poi con voluttà. -Vorrei solo la pace. Sono stanca della guerra, della sofferenza. Vorrei anch'io un posto da chiamare casa... un posto in cui ci sia tu.-

Ammettere quel desiderio, fu per Siria la più ardua delle sfide.

Era un'esperienza nuova, per lei, sperare nel futuro: ma non riusciva a fare a meno di credere che, una volta terminata la guerra, lei avrebbe potuto rivelare a Caspian il segreto del proprio retaggio e lui l'avrebbe accettato, per poi passare assieme ciò che rimaneva delle loro vite.

Caspian la ribaltò sotto di sé, intrappolandosi fra le sue gambe morbide, gli occhi neri due braci ardenti come non mai.

-Lo avrai. Te lo giuro.- fu la sua promessa, una promessa che strappò un sorriso ed una lacrima alla giovane raminga.

-Ti credo.- sussurrò, baciandolo poi con dolcezza e desiderio, intrecciando le dita ai suoi capelli.

Quando posero di malavoglia fine al bacio, Caspian posò la fronte nell'incavo dei suoi seni, sospirando beato della sua confortevole posizione. -Sai…- Siria gli sfiorò il viso, con appena la punta delle dita affusolate. -…io ti ho già incontrato, prima di tutto questo.- sussurrò, piano, un lieve sorriso sulle labbra rosse.

Caspian non schiuse gli occhi, i capelli scuri sparsi sul suo petto, l’espressione beata di chi si sta pienamente godendo certe attenzioni.

-Davvero?- le chiese, dopo qualche attimo di silenzio. Le sue dita sottili si chiusero con dolcezza sulla mano della rossa, e un istante più tardi la portò alle labbra, premendole delicatamente sul palmo candido.

Siria lasciò che le proprie dita sfiorassero la pelle chiara del principe, accarezzando le palpebre socchiuse, il profilo della fronte, degli zigomi, delle guance – rapita, completamente rapita da quel volto che amava.

-Sì.- annuì, accavallando le gambe con delicatezza, sentendo l’erba pungerle la pelle chiara.

.

È notte.

È notte, una di quelle notti senza Luna e senza stelle, nel cielo coperto.

È notte, una notte cupa e scura in cui lei si ritrova perfettamente.

Il suo corpo è ancora acerbo, ma è già scattante, tonico, vivo. Ha sedici anni, ma il suo fisico è già stato modellato, temprato da una vita troppo dura per una ragazzina della sua età.

È una ladra, Siria, mentre silenziosa come la morte danza nel buio.

Il castello di Telmar è addormentato, a quella tarda ora di notte. Nessuno, può rendersi conto della silenziosa, secca figura che una stanza dopo l’altra depreda i dormienti dei loro tesori.

Niente di troppo appariscente, di troppo impegnato; ruba gioielli anonimi, fibbie, libri pregiati di cui ha sentito parlare. Sono per lei, quei libri, per saziare il suo desiderio di conoscenza.

Poi arriva in una stanza. Una stanza più piccola, meno appariscente, dove riesce a distinguere – i suoi occhi non si lasciano intimorire dal buio fitto della notte – vecchi giocattoli impolverati, e un’armatura troppo piccola per appartenere ad un uomo fatto e finito.

Sente la curiosità premere sotto al suo sterno, il desiderio di sbirciare oltre quelle tende chiare che si fa sempre più pressante. Si impone di non darci retta, setaccia silenziosamente la stanza, senza trovare nulla che abbia un vero valore smerciabile.

È la stanza di un ragazzino.

Un ragazzino come lei, che nonostante i tanti giocattoli ha consumato solamente quella spada di legno, e l’armatura troppo piccola.

È allora, che la curiosità vince: riesce benissimo a immaginare chi può essere quel ragazzo.

Il principe.

Tutti, nei bassifondi, conoscono il silente colpo di stato che ha portato Miraz al potere. Tutti, in quella marmaglia di gente in cui lei è totalmente immersa, sanno che il fratello ha alzato la spada sul suo stesso sangue.

Scosta le tende, con delicatezza, facendo bene attenzione a non provocare il minimo suono. Talia le ha insegnato bene: è silenziosa, come un gatto.

Una fitta pare attraversare il suo petto, quando scorge nella penombra il volto contratto di quel ragazzo. Può avere uno, forse due anni meno di lei, ma l’espressione che oscura il suo volto, mischiando le gote ancora rotonde dell’infanzia alle profonde rughe premature che solcano la sua fronte, è inequivocabile.

Quel ragazzo ha perso tutto.

Sua madre è morta anni prima, tutti lo sanno, a Narnia. Suo padre è stato appena ucciso: è pronta a scommettere qualsiasi cosa, Caspian non è a conoscenza dell’omicidio del padre. La versione ufficiale è morte nel sonno, una morte miserevole per un Re: soltanto chi vive nella feccia, sa.

-Hanno ucciso tuo padre, principe…e si sono portati via anche la mia mamma.-

Il sussurro le esce più tremante di quanto avesse pensato, gli occhi bruciano fastidiosamente.

Il destino di quel ragazzo le pare tanto triste, in quel momento.

Le ricorda terribilmente il suo.

Lo guarda, non riesce a smettere di farlo: diventerà un bell’uomo, Caspian, ma adesso è solamente un ragazzino cresciuto troppo in fretta, preda d’incubi troppo dolorosi per un così giovane cuore.

Sospira, Siria, quando il tubare di una civetta spezzare il silenzio assoluto in cui si ritrova, di cui fa parte: in cui vorrebbe perdersi, alla fine.

Sospira, distogliendo lo sguardo dagli incubi del giovane, sfiorando appena il volto del ragazzo con la punta delle dita candide.

-Cerca di trovare pace anche per me, principe Caspian.-

E Caspian, quando si sveglia di soprassalto, distingue solamente una macchia rossa svanire nel cielo nero, nero come la morte.

.

Caspian rimase in silenzio dopo il breve racconto di Siria, rammentando quella notte e l'ombra rossa che aveva visto svanire nel cielo... era poco più di un ragazzino, a quei tempi, ma si ritrovò a desiderare di averla incontrata prima, di aver avuto più tempo da passare con la sua donna. Gli sembrava così terribilmente poco, ciò che riuscivano a passare insieme nell'enorme incertezza di quella guerra...

Improvvisamente, ricordò.

-Ho una cosa per te. Chiudi gli occhi, te ne prego.- le chiese, scostandosi dal suo corpo per allungare una mano verso il mucchio dei propri abiti, recuperando qualcosa di metallico chiuso da una catenina. Lo avvicinò al collo di Siria, chiudendo il fermaglio dietro la gola di lei, posando il monile esattamente fra i due seni della giovane. -Ecco.- affermò, sorridendo per la soddisfazione, concedendole di aprire gli occhi.

Sotto il suo sguardo, Siria vide delinearsi la forma ovale di un pendaglio molto antico, su cui due figure eleganti si attorcigliavano in un abbraccio eterno ed indivisibile: due cigni bianchi, incisi nell'argento di quell'oggetto magnifico.

Il simbolo dell'amore eterno.

-Caspian... Caspian, è...- balbettò, prendendo il gioiello fra le dita, senza parole: non aveva mai ricevuto nulla di così bello, nulla che avesse, per lei, un valore tale da essere incalcolabile, dal significato intrinseco tanto potente.

Amore eterno.

Caspian.

-Me lo diede mia madre prima di morire, tanti anni fa.- le spiegò il giovane principe, sorridendo nel vedere gli occhi della ragazza riempirsi di lacrime.

-Mi disse di darlo a chi avrei ritenuto la persona giusta per possederlo.- aggiunse, quando lei alzò lo sguardo per guardarlo adorante: le prese una mano, poggiandola sul proprio petto.

-È tuo, Siria. È tuo come il mio cuore.-

.

§

.

Pochi giorni dopo quella notte, Siria stava allenandosi assieme a Caleb e a Caspian, quando Talia giunse di corsa, trafelata e ansiosa come non la vedeva ormai da tempo.

-Che cosa succede?- le domandò subito, stringendo più forte l'elsa di Kain: quella spada era e sarebbe stata il suo punto di riferimento, la sua sicurezza, la custode stessa della sua forza e Siria sapeva che, qualunque fosse stata la minaccia, Kain non l'avrebbe mai abbandonata..

Talia abbassò lo sguardo, mentre Caleb le si avvicinava le le cingeva le spalle con un braccio, attonito e preoccupato quanto la rossa. Gli occhi della mezz'elfa erano più cupi che mai, le venature nocciola che parevano annegare nel bruno dell'iride.

-È arrivato un messaggero per te, Sir.- la informò, torcendosi le mani come faceva sempre quando era turbata. -Viene dal villaggio di tuo padre.-

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Siria irruppe come una furia nella propria stanzetta della cripta, dove Talia le aveva detto di poter trovare il messo: il solo pensiero che potesse essere successo qualcosa al suo unico genitore le aveva dato la velocità di fiondarsi lì, precedendo Caspian e chiunque altro avesse voluto seguirla, con l'ansia che le batteva nel giovane ma provato cuore.

Suo padre.

Lei ed Aaron avevano lasciato il padre in un villaggio anonimo al limitare della foresta, lontano almeno dieci miglia da quello in cui erano cresciuti: Roan era zoppo, vecchio e distrutto dalla morte della moglie, ed entrambi i suoi figli avevano sperato che nessuno andasse a tormentarlo.

Evidentemente, aveva sbagliato.

Quello che la distrasse dalla preoccupazione, però, fu riconoscere una familiare zazzera di capelli castani che incorniciavano il viso affilato e ruvido di un uomo che lei conosceva molto, molto bene.

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Un ragazzino spigliato ed irriverente, uno sguardo pronto alla battuta e agili mani di guerriero.

Un ricordo di un passato oramai perduto da tanto, troppo tempo.

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-Gwaine?- esclamò, sgranando gli occhi per la sorpresa, non riuscendo a credere che il suo amico d'infanzia – il suo compagno di malefatte, come lo aveva spesso definito sua madre – fosse proprio lì dinanzi a lei.

Non lo vedeva da, quanto, dieci anni?

Gwaine si era trasferito nello stesso villaggio in cui viveva Roan, questo Siria lo sapeva: ma mai si sarebbe aspettata di ritrovarselo davanti dopo così tanto tempo, mentre l'imbarazzo di ciò che avrebbe potuto esistere fra loro le riempiva il cuore di ricordi.

-Siryn?-

Gwaine parve sorpreso quanto la raminga di vederla, gli occhi castani che si riempivano della figura florida e snella della rossa che aveva chiamato col nome che sua madre le aveva dato, il suo nome di nascita.

Si lasciò andare ad un basso fischio d'ammirazione, un sogghigno divertito che appariva sulle sue labbra sottili. -Accidenti, già eri bella, adesso sei… indescrivibile.- commentò, rivolgendole un esagerato inchino galante che portò la sua folta chioma di lunghi capelli scuri a nascondergli completamente il volto.

Gwaine era sempre stato un idiota, questo Siria lo sapeva molto bene.

Da bambini e da ragazzini, loro si erano divertiti a combinare quanti più disastri e cataclismi fossero in grado di causare: ma Gwaine non era soltanto un caro amico... Gwaine condivideva con lei lo stesso segreto, la stessa angoscia, le stesse bugie, figlio com'era di una stirpe gemella di quella di Siria.

Quanto conforto, da bambina, fra le braccia di un errore sbagliato quanto lei...

-Ma vai a quel paese, cascamorto.- rispose, sentendo il cuore ardere quando si rese conto che, per loro, gli anni non erano passati: le risposte pungenti uscivano naturalmente dalle loro labbra, fra i loro sguardi c'era ancora l'antica complicità che li aveva resi i terrori di tutti i contadini e gli abitanti del paesino dove avevano vissuto.

-E che male c’è ad apprezzare una bella donna?- fu la semplicissima risposta del giovane uomo, più alto di Siria di almeno una spanna e mezzo. Sogghignò, scostando i lunghi crini dalle guance ruvide di barba – quanto diamine era cresciuto, cambiato!?

-Sono un mostro dai gusti raffinati, lamentati! D’altronde, tu dovresti saperlo bene...- la malizia colorò la voce del giovane uomo, mentre i pensieri di entrambi andavano alle sciocche promesse di due ragazzini ignari del sangue che avrebbe permeato la loro vita di lì a poco: Gwaine, in un modo molto singolare, era stato il primo uomo a cui Siria aveva sentito di voler bene in un modo molto diverso da ciò che provava verso Aaron.

Sbuffò, la rossa, per nulla affranta: tanto tempo era passato e, nel suo cuore, c'era posto per un uomo soltanto.

-Siamo anche mostri dai denti affilati, Gwaine; sai che ho poca pazienza.- gli fece notare, esibendosi in un sogghigno che sottolineò in maniera inquietante il candore dei suoi denti, il baluginio scarlatto delle sue iridi chiare.

Il ragazzo scoppiò a ridere, esilarato: Siria aveva sempre amato le dimostrazioni di forza e lui, questo, lo ricordava molto bene.

-Meraviglioso, ringhi come la più bella delle fiere.- la punzecchiò, divertendosi ancor di più quando lei diventò paonazza, avanzando di un passo nella sua direzione e stringendo i pugni, esasperata.

-Gwaine, vuoi diventare un rospo? Dillo che vuoi diventare un rospo!- grugnì, ottenendo in risposta solo un altro scroscio di risate. Scosse la testa, chiedendosi perché tutti gli uomini della sua vita fossero degli imbecilli, tornando seria dopo giusto un istante. -Evita di parlare di mostri, qui in giro: non siamo molto graditi.-

Gwaine annuì, comprendendo perfettamente ciò a cui la vecchia amica si stava riferendo.

-Non me ne parlare, il clima fra i telmarini è ancora più duro. Questa rappresaglia del nipote di Miraz in combutta con i narniani ha riacceso l'acrimonia verso le creature diverse.- sputò, il veleno che colorava le sue parole nel nominare Caspian.

Siria si morse la lingua, impedendosi di sbottare qualcosa di sicuramente molto difensivo per proteggere il suo principe: conosceva la proverbiale cocciutaggine di Gwaine e, purtroppo, cercare di fargli capire i motivi di Caspian nel continuare la guerriglia sarebbe stato perfettamente inutile.

La vedo male...

Stava cercando un modo per spiegare a Gwaine chi era esattamente il nipote di Miraz per lei quando, con un tempismo terribile, la porta si spalancò ed i due legittimi Re di Narnia apparvero sulla soglia, le mani sui pomoli delle spade e l'espressione guardinga, attenta.

-È tutto okay, Sir?- le domandò Peter, gli occhi che volavano sul viso belloccio ed arrogante dello sconosciuto: Caspian, invece, si portò al fianco della propria compagna, apostrofando Gwaine con un cauto ma rispettoso: -E voi chi sareste?-

Gwaine inarcò un sopracciglio, sorridendo: Siria poté quasi vedere le battute sarcastiche formarsi nella sua mente, al di là di quegli occhi castani che non aveva dimenticato.

-Un umile messaggero foriero di cattive notizie.- fu la sua pragmatica risposta, le mani che si alzavano in un muto, ironico gesto di resa.

Lei roteò gli occhi, avanzando e frapponendosi fra loro.

-Caspian, questo idiota si chiama Gwaine, ed ho avuto la sfortuna di conoscerlo da bambina e di sopportarlo fino ad oggi. È un amico d'infanzia.- fece le presentazioni alla svelta, sperando che quell'imbecille di Gwaine evitasse di menzionare a Caspian il piccolo dettaglio che riguardava la loro fanciullezza.

Si volse verso il vecchio compare, accennando al principe. -Gwaine, lui è Caspian. È__-

-Il suo uomo. Piacere.- la interruppe il moro, con una delicatezza pari a quella di un pachiderma, scrutando con cipiglio diffidente il nuovo arrivato. Gwaine indossava un paio di stivali alti da cacciatore, brache di cuoio, casacca scura e giustacuore in pelle: un abbigliamento anonimo con cui avrebbe potuto facilmente essere scambiato per un viaggiatore qualsiasi, se non avesse portato due spade corte incrociate in un fodero sulla schiena ed un lungo pugnale appeso alla cintura.

Il “messaggero” sgranò gli occhi, spostando rapidamente lo sguardo dalla donna al moro e poi di nuovo su di lei, un sorrisone sarcastico che si apriva sulle sue belle labbra.

-Hai fatto un salto di qualità, Siryn! Da mercenaria ad amante di principi traditori, un bel cambio!- ridacchiò: ma Siria, purtroppo, sapeva che Gwaine le avrebbe fatto pagare a lungo quella, per lui sgradevole, novità.

Qualcuno, al momento della sua nascita, aveva donato a Siria un tempo di reazione molto più rapido di quello di quasi tutte le donne che aveva conosciuto: fu grazie a quel tempismo, infatti, che riuscì ad impedire a Caspian di sguainare la spada e decapitare Gwaine in un sol colpo.

-Caspian, lascia stare!- sbottò, stringendo il polso del ragazzo già volato all'elsa della spada, impedendogli di sguainarla: da quel che ricordava, Gwaine era un ottimo combattente, e proprio non ci teneva a scoprire chi avrebbe vinto fra lui ed il principe.

Si voltò verso il suddetto giovanotto, esasperata, sempre rimanendo immobile in mezzo ai due. -Sei un coglione, Gwaine!- lo apostrofò, mentre Peter, per una volta silenzioso, cercava di fare del suo meglio per non scoppiare a ridere in faccia a tutti e tre.

Peter, infatti, sapeva: Siria gli aveva raccontato del suo ipotetico “promesso sposo” di cui si era invaghita da ragazzina, ma certo non avrebbe immaginato di trovarselo davanti a poco meno di due giorni di distanza da quel racconto.

Era una situazione a dir poco esilarante, e lui aveva così poche occasioni per ridere, ultimamente.

-Io? Io sono solo un messo innocente!- si difese Gwaine, alzando le mani in un esageratissimo gesto di umiltà, sgranando teatralmente gli occhi scuri: era sorprendente la somiglianza dello straniero con Caspian... Siria, evidentemente, aveva un debole per gli occhi scuri ed i capelli lunghi.

Sospirò, vedendo l'amica sull'orlo dell'autocombustione spontanea, facendosi avanti per sedare la discussione che rischiava di esplodere da un momento all'altro.

-Senti, messo innocente, che cos'hai da dire?- chiese, rivolgendosi a Gwaine: il giovane lo soppesò per un istante, chiedendosi come mai un biondino impomatato portasse la spada che era appartenuta al grande Re Supremo, prima di voltarsi verso Siria.

E lei si sentì gelare, quando gli occhi castani di Gwaine persero ogni luce di giocosità e si fecero grevi, addolorati.

-Tuo padre è stato aggredito dai soldati di Miraz. Cercavano te.-

.

Siria strinse con forza i lacci di cuoio del corpetto rigido, sentendo la schiena sussultare e contrarsi sotto la morsa del giustacuore. Le era mancata, quella sensazione di costrizione mischiata alla fluidità di quella stoffa pesante che aderiva perfettamente al suo corpo, dandole l'impressione di non indossarla nemmeno.

Nello stesso istante in cui Gwaine l'aveva informata su ciò che era successo, Siria si era voltata verso Peter. Lo aveva semplicemente guardato, gli occhi blu che parlavano più di qualsiasi supplica, e lui non aveva potuto fare altro che annuire, consentendole di sfrecciare fuori dalla cripta per avvertire Aaron dell'imminente partenza.

Perché sì, era vero: ancora una volta, Siria sarebbe partita verso l'ignoto e la paura, in compagnia di Gwaine e di suo fratello, in una disperata corsa contro il tempo per riuscire, almeno, a dire addio a suo padre.

Roan.

Non era mai, mai riuscita a chiamarlo “papà”.

Roan per lei era stato quasi più un fratello che un padre, sempre incline alla risata ed al gioco: l'idolo di quei tre bambini scapigliati e selvaggi che pendevano dalle sue labbra ogni volta che l'uomo dai capelli rossi creava per loro un nuovo gioco, fatto di draghi e streghe e malefici stregoni da combattere per permettere al bene di trionfare.

Roan... papà.

Roan era rimasto zoppo durante un incidente sciocco, stupido, facilmente evitabile: era nato e cresciuto contadino e contadino era sopravvissuto alla sua prima moglie, sposando la madre di Siria dopo due anni passati a crescere da solo quel piccolo Aaron che Siria stessa non avrebbe mai potuto riconoscere.

Quando Siria era appena un infante, una tempesta terribile si era abbattuta sulla loro modesta abitazione, rischiando di far saltare via il tetto instabile: Roan si era arrampicato sui muri, cercando di fissare le tegole malmesse allo scheletro della casa, ma...

Siria ricordava soltanto che Aaron, quando le aveva raccontato quella triste storia, aveva pianto.

Roan.

Aveva adorato suo padre, Siria: ancora lo adorava. Nonostante non fosse riuscito a salvare sua moglie, a salvare lei dalla fine che sapeva attenderla al termine della sua probabilmente breve vita, non era mai riuscita a farne una colpa per quel padre che aveva sempre almeno tentato di proteggerla, che l'aveva sempre amata.

-Siria, cosa stai facendo?- la voce di Caspian la fece sussultare, strappandola ai poco limpidi pensieri che turbinavano nella sua mente rapidamente tornata al gelido calcolo di un soldato; le settimane di pace e di serenità le sembravano già così lontane…

-Sto preparando le mie armi.- rispose, allungando la mano e lasciando scivolare le dita diafane sull’elsa conosciuta e amata del suo Kain; la spada del Drago si adattò ancora una volta al suo palmo, legandosi con naturalezza alla sua carnagione, la lama che si muoveva rapida e sicura per raggiungere il suo fodero.

Ma la stretta di Caspian le tolse improvvisamente la spada di mano, gettandola poi malamente sul letto disfatto: la rossa si voltò verso il suo compagno, stupita e allarmata dal gesto... trovandosi davanti due iridi nere come il carbone e piene di una determinazione che riuscì, per un secondo, ad intimorirla.

-Tu non vai.- fu la perentoria affermazione del principe: tre semplici parole che, per Siria, furono una condanna.

-Cosa?- sbottò, allibita, guardandolo come se fosse improvvisamente ammattito. -C’è mio padre in pericolo, come puoi pensare che io non vada?- continuò, sempre più sconvolta, senza riuscire a comprendere il comportamento irrazionale di lui, proprio lui che aveva perduto suo padre...

-Non ho intenzione di rischiare un’altra volta di perderti.-

Siria sentì il cuore sprofondare, a quella frase pronunciata con sicurezza e decisione: Caspian non l'avrebbe mai lasciata andare... di questo, purtroppo, era certa.

-Ma io…- cominciò, ma Caspian posò le dita sulle sue labbra, zittendola.

-Non ci sono “ma” che tengano. Tu, da sola, non vai.- la interruppe, in un tono molto più dolce che riuscì a far breccia nell'ostinata decisione della raminga.

-No.- la ragazza si liberò della stretta di lui, improvvisamente gelida e spaventata. -E’ troppo pericoloso! Rischieresti la vita, potrebbe…-

-…succedermi qualcosa di peggio rispetto a ciò che hanno fatto a te?- completò lui in sua vece, una strana malinconia nelle iridi scure, un sorriso dolce e triste sulle labbra chiare. Fu quell'espressione, mista alla coscienza che il cocciuto futuro Re di Narnia non le avrebbe mai permesso di partire senza di lui, a far sospirare Siria.

Caspian riusciva sempre ad averla vinta, con lei.

Sospettava anche che ci fosse lo zampino di Peter in quella decisione, ma avrebbe indagato sulla ficcanasaggine del Re Supremo al suo ritorno: ora, le interessava soltanto di raggiungere il villaggio di suo padre il più velocemente possibile.

Si separò da lui, recuperando Kain dal materasso di paglia e infilandolo con un gesto secco nel fodero. Non voleva guardare in faccia Caspian, non voleva fargli capire quanto l'angosciasse l'idea di saperlo ancora in pericolo – quanta paura avesse di quel viaggio, con i ricordi ancora ben presenti fra i suoi incubi.

-Saremo in quattro, a partire, non saremo soli e nemmeno indifesi. Tu, senza di me, non ti muovi.- tentò di rassicurarla il principe, senza molto successo: lei abbassò gli occhi, angosciata, tormentando l'orlo del corsetto ed un filo che pendeva, ribelle, dall'allacciatura.

-Sei un testone.- mormorò, quando lui le si fece più vicino e le accarezzò una guancia, cancellando un'unica lacrima dispettosa sfuggita al suo ferreo autocontrollo.

Caspian sorrise, a quell'affermazione indubbiamente vera, baciandola teneramente sulla fronte.

-Sappilo, Siria. Non ti permetterò più di allontanarti da me.-

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My Space:

NON ho scusanti. Mi dispiace.

Avevo relegato questa storia nei meandri del mio computer, vergognandomi di una cosa sciocca e rischiando di non tornare più a scriverla. Se non esistesse la mia adorata Kiaretta, la mia Kay, in questo momento non starei pubblicando e certamente non sarei qua a scrivere queste due righe che, come al solito, non mi vengono mai come avrei voluto io.

Ebbene!

Sono tornata, Rebirth è di nuovo sugli schermi, ed io spero davvero che voi non vi siate dimenticati delle mie ragazze e dei miei ometti di Narnia.

Come avrete notato, la storia sta subendo un restyling: è stato necessario, vitale quasi, perché io riuscissi a rimettere le mani su questa mia adorata creatura.

Allora!

In tre capitoli, Siria farà ritorno: non sarà un viaggio lungo e non ci saranno intoppi particolari, quindi non temete altre ritorsioni da parte di assassini pazzi da legare ^^'''' nel prossimo, invece, sarà Talia a fare da padrona di casa (il che mi rende mooooolto sicura che sarà probabilmente uno sfacelo!) xD

Spero che il mio ritorno vi faccia piacere, vi faccia sorridere e vi convinca a lasciarmi una piccola traccia di voi in questa Rinascita che è vostra, di EFP... ma anche un po' mia.


B.

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PS: qui sotto, due volti possibili per Gwaine :)

Jamie Dornan

Eoin Macken (da cui ho rubato il nome per "Gwaine", personaggio del telefilm di Merlin)





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Capitolo 35
*** Arabesque. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
35th Chapter

Arabesque - Nightwish

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La bastarda di Galador, così gli elfi l'avevano sempre chiamata: un nome infamante che Talia si era portata appresso per cinquecento lunghissimi anni e che ancora riusciva a sentir ridondare fra i propri pensieri, in quel momento più che mai.

La bastarda di Galador, Talia figlia di Etain di Archen.

Talia sospirò, lanciando un'occhiata all'elfo alto ed elegante che precedeva di qualche passo la delegazione in progressivo avvicinamento alla Cripta di Aslan: anche da così lontano, poteva scorgere i lunghi e serici capelli del conte, la carnagione perlacea, il fisico alto e asciutto tipico della sua razza.

L'unica cosa che aveva in comune con suo padre erano i capelli, neri come le piume dei corvi.

Erano passati quasi trecento anni da quando aveva incontrato il suo ultimo elfo: era stato un'anonima guardia del Palazzo Verde, la reggia creata dalla magia della natura per i suoi figli prediletti. Quella guardia che nemmeno ricordava le aveva rivolto solo un saluto sprezzante, quando aveva abbandonato il castello di rami e fronde per non farvi mai più ritorno.

Troppo pochi.

Con uno scatto più secco del normale, Talia balzò fra i rami dei suoi amati alberi, inerpicandosi con l'agilità di uno scoiattolo anche sui verdi fuscelli ancora neonati senza mai spezzarli, fino a raggiungere il suo angolino prediletto: una conca creata dal tronco di quell'olmo, che si era diviso in due parti diverse decine di anni prima del suo arrivo.

Quanto avrebbe desiderato parlare con Siria, in quel momento...

Siria avrebbe sicuramente tenuto la sua parte, scatenando probabilmente una rissa con quegli elfi che la disprezzavano quasi quanto lei: l'avrebbe fatta ridere con quel suo modo un po' rozzo di affrontare la rigida etichetta da manichini dei suoi mezzi consanguinei, ricordando a Talia che non era sola e che loro non erano migliori di lei.

Ma Siria era partita ormai da quasi una settimana, in compagnia di un fratello esilarato e di due contendenti per il suo cuo__ beh, magari non proprio per il suo cuore, parlando di Gwaine.

Sospirò, appallottolandosi nell'incavo del legno e respirando il profumo che ne emanava.

Non avrebbe degnato gli elfi della sua presenza, durante quella scomoda convivenza che non piaceva a lei come a loro: sapevano della sua presenza al campo, tutta Narnia sapeva che lì c'erano Siria e la sua amica mezzosangue, quindi non l'avrebbe stupita poi molto se suo padre avesse chiesto di lei a Peter.

Galador.

Un nobile conte elfico non avrebbe mai dovuto prendere una donna di Archen come sposa, avevano detto i saggi del Concilio Elfico, l'assemblea di anziani che governava in modo democratico l'esigua popolazione di elfi a Narnia.

Ma Galador non aveva mai dato retta al Concilio, né prima né dopo la nascita di Talia.

Etain, sua moglie, era morta dando alla luce la loro unica figlia: e Galador, dopo aver tentato per almeno un decennio di sopravvivere a quel dolore, si era costretto a tornare con il capo chino per la vergogna al Palazzo Verde, sperando che la sua prostrazione avrebbe potuto salvare la vita dell'infante che portava fra le braccia.

E così era stato.

Gli elfi avevano nutrito Talia, le avevano permesso di crescere al fianco di suo padre, affidandole il semplice compito di serva mentre Galador veniva privato di tutti i suoi beni e dei suoi titoli: avevano vissuto per cinquecento anni in una diroccata casetta al limitare delle terre della fortezza, prima che Talia decidesse di abbandonare quel luogo per dare la possibilità a suo padre di redimersi agli occhi del Concilio.

L'aveva sempre adorata, Galador.

Da lui, Talia aveva ereditato il suo non comune sesto senso e l'ironia con cui affrontava, ogni giorno, la sua lunghissima vita: ma per tutto il resto, capigliatura a parte, Talia era identica ad Etain.

Madre...

Da bambina si ripeteva in continuazione che sua madre doveva essere stata una guerriera forte, invincibile ma dalla bellezza sfolgorante, per aver potuto far perdere il senno a Galador: adesso, tutto ciò che le era rimasto di lei erano gli alberi, che sua madre aveva amato quanto suo marito e la sua figlia mai vista.

-Comprendo il tuo rancore, ma il tuo vecchio padre avrebbe desiderato almeno un tuo saluto, mo duinne.-

Per la prima volta da quasi due secoli, Talia sobbalzò, allibita: si voltò di scatto, le dita agili e fulminee che correvano all'arco mai scordato, alle frecce di piume smeraldine... ma sgranò lo sguardo, allibita, quando una figura perfettamente a suo agio fra i rami si delineò dinanzi a lei.

-Padre!- esclamò, arrossendo nello stesso attimo in cui i suoi occhi scuri incontrarono quelli celesti di suo padre.

Era bellissimo, il suo papà.

Il fisico asciutto degli elfi in Galador era evidente quanto in lei: gli arti erano slanciati, affusolati, guizzanti di muscoli nascosti dal blu polvere della semplice tunica che indossava, i piedi calzavano comodi stivali da viaggio, al fianco pendeva una lunga e sottile spada di foggia elfica.

I capelli, neri come il giaietto, erano lunghi e sciolti come richiedeva il suo rango di conte: il viso recava giusto un paio di rughe in più, ma era lo stesso volto affilato che Talia rammentava schiudersi in un sorriso durante la propria infanzia, le iridi celesti erano le stesse che s'erano colmate di dolore nell'apprendere della sua partenza.

-Mi... sono mortificata, conte Galador.- si corresse però immediatamente, ricordando di essere vicina a troppi elfi per potersi permettere quell'intimità, abbassando lo sguardo davanti ad un suo superiore come richiedeva l'etichetta che aveva sempre disprezzato.

Ma Galador, Galador rise, una risata piena e tonante che riuscì a riscaldare l'animo sempre tormentato della sua giovane figlia.

-Quante volte ti ho ripetuto che la cortesia devi darla in pasto ai cani altezzosi dei falsi dei, Talia?- le disse, balzando agilmente in direzione della mezzosangue, fermandosi ad una spanna da lei.

Talia, speranzosa, sbirciò verso l'alto l'espressione divertita ed ironica del padre, riconoscendo in quel volto quasi immutato tutto ciò che le era mancato negli ultimi tre secoli.

Galador spalancò le braccia, il sorriso vibrante d'orgoglio e d'amore che riusciva quasi ad illuminare la fitta penombra del tetto di foglie in cui si trovavano.

-Concedimi il primo abbraccio in trecento anni, figlia mia.- le disse, incoraggiante: e Talia, sorridendo finalmente dopo troppi giorni passati in un cupo silenzio foriero di sventura, si lanciò con tutta la sua forza addosso all'elfo, stringendosi a lui con la disperata felicità di una figlia che troppo a lungo aveva penato l'assenza di suo padre.

-Papà...- sussurrò, chiudendo gli occhi e posando la guancia contro il petto dell'uomo, udendo il battito lento e regolare del suo cuore: era passato così tanto tempo da quando aveva avvertito quel suono per l'ultima volta...

Serrò le palpebre, sentendole bruciare, senza concedersi l'amaro piacere del pianto. -Ho sentito la tua mancanza.- disse invece, sebbene non ve ne fosse alcun bisogno: sapeva che Galador l'aveva a lungo cercata, per convincerla a tornare indietro, a tornare da lui.

-Ed io la tua, mo duinne.- l'elfo sorrise, accarezzandole i capelli con dolcezza, notando quanto fossero terribilmente corti: Talia li aveva tagliati il giorno stesso della sua partenza, ed evidentemente aveva fatto in modo che non ricrescessero più di tanto.

Rimasero stretti per alcuni minuti, senz'altro rumore che il frinire dei grilli nel prato, prima che il conte sollevasse delicatamente il viso della figlia per osservarla con più attenzione: c'era dolore, nei tratti che tanto gli ricordavano la sua amata Etain... un dolore che, probabilmente, riusciva a capire. -L'angoscia ti si legge negli occhi.-

Tallie annuì, separandosi controvoglia da lui, sospirando.

-Non sono molto bendisposta verso i tuoi compagni di viaggio, se così si può dire.-si strinse nelle spalle, l'ironia che colorava le sue parole: ma cambiò immediatamente discorso, rammentando quanto fosse fine e potente l'udito degli elfi, non volendo causare problemi a suo padre. -Come mai qui?- domandò invece, sinceramente curiosa di sapere il motivo di quell'apparizione improvvisa. Gli elfi non lasciavano mai volentieri il Palazzo Verde.

-Gli elfi giurarono fedeltà ai Quattro Grandi Re quando i troni di Cair Paravel furono occupati: io stesso m'inginocchiai davanti alla Regina Susan, secoli fa. Siamo qui per onorare la nostra promessa.- le spiegò il padre, appoggiandosi con noncuranza al tronco principale dell'olmo: in trecento anni abbondanti, Talia era cresciuta quanto bastava per sembrare quasi sua coetanea, sebbene fosse piccola e minuta quanto era stata sua madre in gioventù.

Talia sgranò gli occhi, gonfiando le guance in una evidente espressione di disappunto.

-I Quattro Re sono dei ragazzini in crisi fanciullesche con i cuori troppo teneri e le mani troppo lunghe.- affermò, annuendo convinta alle proprie parole, scoccando un'occhiata obliqua al padre. -Specialmente Peter. Non so proprio come abbia fatto a passare alla storia come una persona intelligente.- aggiunse, con una smorfia che fece di nuovo ridere l'elfo al pensiero di quanto il povero Re Supremo avesse dovuto penare per l'antipatia che sua figlia, evidentemente, provava nei suoi confronti.

-La tua lingua colpisce sempre più di una lama, vero, Talia?- le chiese, divertito, ma lei scosse la testa.

-No, è il biondastro che fa tutto da solo, io mi limito a sottolineare l'ovvio!- esclamò, allargando le braccia in un muto e teatrale gesto d'innocenza.

Galador le arruffò gentilmente i capelli, intenerito.

-Mi è mancato il tuo umorismo, figlia.- le disse, ed era sincero: non esisteva al mondo nessuno in grado di far ridere di gusto un elfo... eccetto sua figlia e la sua lingua svelta quanto la corda del suo arco. -Ho sentito dire che sei diventata una mercenaria.- aggiunse, con un vago rimprovero nella voce: non aveva appreso la notizia con molta gioia, ma d'altronde, chi era lui per vietare qualcosa a sua figlia?

Lei annuì, senza l'ombra del rimorso sul viso.

-Ero una mercenaria fino a che la mia protetta non ha deciso di innamorarsi del principe Tacchino.-

Era sempre stato estremamente difficile, per Galador, ostentare serietà quando Talia s'impegnava davvero nel volergli far perdere tutta la sua dignità con quelle battute che rischiavano di farlo ridere anche troppo spesso.

Sospirò, concentrandosi su ciò che Talia aveva detto riguardo alla sua protetta: in tutta Narnia correva voce che il mostro dai capelli rossi fosse diventato amante del principe che guidava le truppe, ma lui non aveva voluto crederci... non fino a che Talia non gli aveva dato la conferma, definendo Caspian in quel modo decisamente poco ortodosso.

-La Rossa.- mormorò soltanto, adombrandosi: la magia di quella ragazza piaceva poco agli elfi e, per quanto Galador si sforzasse, non riusciva a non vedere in lei un pericolo ben maggiore di quanto Talia comprendesse.

Ma la ragazza scosse la testa, testarda quanto sua madre, sostenendo il suo sguardo preoccupato.

-Siria non è pericolosa, padre. È un'anima persa che sta cercando la sua via.- affermò, con una tale sicurezza che riuscì a strappare un sorriso contrito al padre: era cresciuta davvero, la sua bambina.

-E tu farai in modo di farle scegliere quella più giusta.- disse, orgoglioso della determinazione che riusciva a vedere in lei.

Tallie, in risposta, ghignò.

-No. Io farò in modo che non inciampi nel percorso.-

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Galador impiegò quasi un'ora per convincere Talia a seguirlo: sua figlia non pareva molto contenta al pensiero di incontrare gli altri elfi, ma entrambi speravano che la presenza dei Quattro Re e la protezione di Peter – Peter, mi sto affidando a Peter! Sto impazzendo. – avrebbero evitato spiacevoli ed imbarazzanti scontri con la gente di suo padre.

-Hai ritrovato la tua figlia bastarda, Galador?-

Certo, la frase d'esordio dell'elfa bionda non era proprio quello che si considerava un “buon inizio”, questo Talia lo sapeva anche troppo bene.

Sospirò, stringendosi nelle spalle quando Peter le rivolse un'occhiata interrogativa e preoccupata: il biondastro sapeva che lei era una mezzosangue e sapeva che Galador era suo padre, si era sentita in dovere di comunicarglielo non appena aveva saputo dell'arrivo della delegazione, ma forse non si era aspettato l'acrimonia che quella donna – e tutti gli altri elfi – assunsero all'istante nel vedere Talia.

-Talia è mia figlia e basta, Gwynnead.- Galador spinse gentilmente Talia da parte, affrontando Gwynnead con la stessa cocciutaggine di quando aveva voluto prendere in moglie una donna umana: nonostante sapesse che era inutile, Talia lo ammirò ancor di più per quel gesto.

-Hai coraggio, mio signore.- un altro elfo, più o meno della stessa età di Talia, le rivolse un'occhiata di puro disgusto. -Io non chiamerei mai “figlia” una ladra e mercenaria mezzosangue...-

Caleb non fece nemmeno in tempo a dire a quello stupido ragazzino: uno strillo, un sibilo, il suono del legno contro l'assicella di una freccia.

-TALIA!- sbottò Peter, esasperato, mentre tutti e dodici gli elfi si voltavano a guardare lo sventurato giovanotto che aveva apostrofato Tallie con quelle diffamanti parole.

La mezz'elfa tirata in causa ignorò l'esplosione del Re, tendendo con più forza la corda dell'arco e premendo la freccia contro la gola dell'elfo: sentiva la rabbia, quella rabbia che non era mai riuscita a contenere in presenza del suo mezzo popolo, pulsarle nelle orecchie e renderla sorda a qualsiasi rimprovero, nonostante quella Gwynnead strillasse e suo padre cercasse di farla ragionare.

-Ripetilo.- lo invitò, con una voce tanto fredda da uccidere addirittura le proteste di quella bionda irritante: un silenzio inquietante calò intorno a loro, gli occhi bruni di Talia che si assottigliavano.

-Abbassa quell'arco, mezzosangue!- mugolò il ragazzo, atterrito: pessima mossa.

Talia spinse la punta della freccia tanto in fondo dal riuscire a ferirlo, un rigagnolo di sangue rosso intenso che sgorgò sulla gola candida dell'elfo. Quello si zittì, impallidendo, tremando come una foglia.

-Ripeti quello che hai detto.- sibilò lei, con una calma letale nella voce che non sapeva nemmeno appartenerle.

In quel silenzio, fu solo una la voce che riuscì a raggiungerla.

-Talia!-

La mezz'elfa spostò di un millimetro indietro la freccia, permettendo al giovane elfo di respirare senza rischiare la vita, e lanciò un'occhiata confusa all'uomo che aveva parlato: lì, a pochi metri da lei, bello come il Sole, c'era Caleb.

-Davvero vuoi sporcarti le mani del sangue di uno smargiasso di sesta categoria?- le chiese, senza allarmismi o prudenza nella voce, facendole semplicemente notare quanto fosse inutile uccidere uno solo di quegli elfi quando tutto il loro popolo avrebbe solo avuto un pretesto in più per disprezzarla.

-Per la verità, sì.- ringhiò, ma abbassò l'arco e permise all'elfo di darsela a gambe, mentre cinque elfi in vesti militari avanzavano verso di lei.

-Guardie!- sentì strillare Gwynnead, ed istintivamente Talia saettò accanto a Caleb: se si erano accorti dell'ascendente che il biondo aveva su di lei, Cal aveva appena guadagnato una lunga lista di nemici decisamente poco gustosi.

Fu Galador ad intervenire, frapponendosi fra i due ragazzi e le guardie elfiche, lo sguardo duro e furioso come Tallie non l'aveva mai visto: se non fosse stata sicura del contrario, avrebbe creduto di poter vedere un lampo di letale decisione negli amati occhi di suo padre.

-Gwynnead. Lascia in pace mia figlia.- ripeté, in un tono calmo e freddo che diede i brividi persino a sua figlia: quella figlia che, accorgendosi di quanto fosse infuriato il conte, fece un cenno a Peter e ad Edmund, fermandoli prima che estraessero le spade.

Suo malgrado, le fece piacere vederli pronti a combattere: evidentemente, come lei verso di loro, erano leali.

L'elfa bionda avanzò verso l'uomo, puro disprezzo nelle iridi tanto chiare da sembrare bianche.

-Avresti dovuto ucciderla alla nascita, Galador.- affermò, lanciandole un'occhiata densa di disgusto. -Ora, io porrò fine ai suoi tormenti di sanguesporco.- aggiunse, ed alzò una mano per ordinare alle sue guardie armate d'arco di colpire Talia.

Ma la mezz'elfa, esasperata, in quel momento decise che ne aveva abbastanza.

-Non credo proprio.- sussurrò, prima di chiudere gli occhi e lasciare, semplicemente, che il suo corpo e la sua mente agissero senza che lei potesse fermarli.

Tanto Peter quanto Edmund balzarono indietro, allarmati, nell'attimo in cui un boato terribile risuonò come il canto di un corno da guerra nella valle della Cripta di Aslan: Caleb stesso si fece rapidamente da parte, trascinando con sé un attonito Galador che fissava, incantato, sua figlia.

Una soffusa luce dorata illuminava infatti la pelle bruna di Talia, mentre l'erba fioriva rigogliosa ai suoi piedi.

Un'energia antica e terribile pulsava dentro di lei, riempiendola di una forza che nessuno di loro aveva mai visto prima, la terra che rombava in risposta al suo richiamo: come in un sogno, Talia s'inginocchiò e posò i palmi fra i virgulti carnosi che sbocciavano al suo tocco, le labbra che si muovevano con dolcezza, parlando a quelle creature che dormivano da troppo tempo.

I Pevensie, Caleb, gli elfi, i narniani: una scossa attraversò ognuno di loro, quando il canto degli alberi colorò di nuovo l'aria di Narnia.

Gwynnead indietreggiò, atterrita, incespicò e cadde quando radici enormi e nodose esplosero dal terreno, attorcigliandosi con violenza intorno alle sue caviglie e trascinandola a terra, intrappolandola: le sue guardie scattarono verso di lei, ma i rami di alcune querce vicine sfrecciarono in loro direzione, afferrandoli e sollevandoli mentre i loro virgulti spezzavano a metà gli archi e le spade che possedevano.

L'elfa urlò, spaventata, ma non uno di loro fu ferito: Talia crollò dopo un istante, la luce che svaniva da dentro di lei, la testa che le girava furiosamente ed il cuore gonfio di dolore.

Quanto erano tristi, gli alberi di Narnia, quanto orribile era tentare di svegliarli... Aslan, dove sei?

Caleb le fu subito accanto, preoccupato: la sorresse quando non riuscì ad alzarsi in piedi, permettendole di aggrapparsi a lui, alle sue spalle forti, alla sicurezza del suo abbraccio. Alzò lo sguardo, affaticata ma trionfante, trovando nelle iridi azzurre del suo uomo un profondo ed intenso orgoglio mescolato ad un amore tanto grande che riuscì, solo per un istante, a farla vacillare.

-La Terra... la Terra ti ubbidisce?- sentì esalare Gwynnead, ma era troppo esausta per risponderle: ma fu Galador, attonito quanto l'elfa imprigionata, a parlare in sua vece.

-La Terra risponde al richiamo della sua Custode...- mormorò, guardando sua figlia come mai aveva fatto prima d'allora.

Talia.

Talia era una mezz'elfa, aveva gli occhi di sua madre ed il volto di suo padre: Talia era rimasta per trecento anni lontana da lui, viaggiando per terre che gli elfi non avevano mai voluto conoscere se non sulle mappe... Talia aveva chiamato e la foresta le aveva risposto, dopo tredici secoli di silenzio e di dolore.

Talia era la Custode.

Una leggenda incarnata nel viso di sua figlia.

La ragazza sospirò, lottando per mantenersi in piedi, sentendo le gambe tremare: era passato molto tempo da quando aveva fatto ricorso alla propria magia in quel modo, e gli alberi dormienti avevano risucchiato ogni particella d'energia presente nel suo corpo, ma non era davvero il momento di lasciarsi andare alla debolezza.

Si guardò intorno, arrossendo quando si rese conto di aver dato, di sé, uno spettacolo che avrebbe preferito rimanesse nascosto: Edmund e Susan la fissavano con gli occhi vitrei, spalancati, mentre la consapevolezza di chi lei era davvero si faceva strada dentro di loro; Peter, invece, stava raggiungendo un livello di ebollizione tale da rendere il contrasto fra il suo volto paonazzo e i suoi capelli biondi davvero esilarante.

Ma fu il singhiozzo strozzato e terrorizzato di Gwynnead, ancora intrappolata fra le radici dell'olmo, a turbarla: il suo sguardo sfrecciò negli occhi chiari dell'elfa, che la fissava con un misto di adorazione e terrore che riuscirono a scuoterla più di tutto il resto.

-Maelfiachra...- esalò, esterrefatta: e Talia si sentì sprofondare, quando le parole di un'antica profezia elfica risuonarono con prepotenza dentro di lei.

_

Maelfiachra, la principessa dai capelli d'ebano.

Maelfiachra, la regina che avrebbe restituito agli elfi le proprie foreste.

Maelfiachra, mezza umana, mezza elfa, che era stata destinata a salvare Narnia dall'oscurità.

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-Io non sono Maelfiachra.- affermò subito, allarmata da quell'errata supposizione che avrebbe avuto un effetto devastante sul complicato equilibrio fra le razze narniane: gli elfi avevano sempre biasimato umani, nani, minotauri e centauri per aver insozzato le loro amate foreste con la propria presenza, costringendo gli alberi a rinchiudersi nelle loro cortecce per non soffrire più la lontananza con i loro fratelli elfi e le loro sorelle driadi... se Gwynnead, e gli altri elfi con lei, avesse diffuso quella falsa notizia, la guerra civile all'interno della fazione narniana sarebbe esplosa in un bagno di sangue che Talia aveva tutta l'intenzione di evitare.

Sospirò, conscia del disastro che la sua impulsività aveva causato, abbandonando la stretta di Caleb per avvicinarsi all'elfa in trappola: le tese una mano e, nello stesso attimo, le radici si ritirarono per lasciare Gwynnead libera di aggrapparsi a Talia, in viso quell'espressione adorante che la mezz'elfa si ritrovò a detestare.

Alzò gli occhi verso il cielo, chiedendosi per la prima volta se avesse fatto la cosa giusta nel rivelarsi: ma ormai il danno era fatto, si disse; tanto valeva, quindi, giocare definitivamente a carte scoperte.

-Io sono la Custode della Terra, seconda delle Quattro di Aslan.- annunciò, in un tono forte e chiaro che raggiunse l'udito di tutti i presenti.

Il silenzio che seguì quella rivelazione fu il più fragoroso che Talia avesse mai sentito in vita sua: durò una manciata di secondi, prima che il Re Supremo, ormai sull'orlo di una crisi di nervi, crollasse a terra e strillasse un isterico: -COSA!?-

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Erano passati così tanti millenni, che nessuno tranne Aslan avrebbe mai potuto contarli.

All'epoca, quando di Narnia esisteva soltanto il vuoto che si sarebbe colmato di lì a breve, Aslan viaggiava fra i mondi che lui stesso aveva creato, assistendo alla crescita ed alla dipartita di milioni di creature.

Nella foresta di Mezzo, il luogo in cui tutti gli universi erano collegati, aveva la sua dimora: un luogo semplice, austero, che ben si confaceva all'anima antica del grande Leone.

Tutto era in perfetto equilibrio, tutti gli incastri trovavano le nicchie in cui collocarsi alla perfezione, mai un errore veniva compiuto nell'immenso disegno che soltanto lui poteva comprendere.

Questo, almeno, fino al disastro di Charn.

Era stato incapace di prevedere la cupidigia e l'odio di Jadis, principessa di quel regno scalzata dal trono dalla sua ben più ragionevole sorella: la strega aveva usato un incanto antico e terribile per uccidere tutti gli abitanti di quel mondo, portandolo alla rovina ed all'inevitabile estinzione.

Non aveva potuto fermare Digory e Polly, quando si erano involontariamente introdotti a Charn e avevano risvegliato la strega, addormentata fra i suoi sudditi defunti, portandola ad infettare due mondi prima che lui riuscisse a porre un temporaneo rimedio a quello sfacelo.

Era stato ignaro, incapace ed ingenuo, a fidarsi della natura delle molteplici creature che abitavano i suoi regni.

Allora, soltanto allora, aveva permesso a se stesso di considerarsi debole: e, nella sua debolezza, aveva donato il soffio della Vita alle quattro essenze che lui stesso aveva creato perché dessero vita agli universi del suo mondo.

Aria, Terra, Acqua e Fuoco.

I quattro elementi avevano schiuso per la prima volta i loro occhi nei volti dei primi narniani, creature nate nel mondo che doveva essere la speranza di rappacificazione per la bufera causata dall'avvento di Jadis. Una scimmia, un orsetto, un gatto ed un falco si erano svegliati con la consapevolezza di portare in sé il dono più grande di Aslan – assieme alla responsabilità di guidare e proteggere la neonata Narnia.

Fu proprio Jadis, però, a distruggere tutti i piani del leone: entrata a Narnia per un errore di Digory, Jadis uccise il falco di fuoco – la prima fenice –, bevendone il sangue e mischiando così l'essenza delle fiamme a quelle del suo ghiaccio dannato.

La furia di Aslan, nell'apprendere della morte di una delle sue figlie più amate, fu terribile.

Facendo appello alla Grande Magia, il leone ordinò che gli elementi si incarnassero non più in animali, ma negli uomini che lui stesso aveva portato a Narnia per governarla e guidarla con saggezza ed onestà: allo stesso tempo, Aslan sapeva che le razze umanoidi di Narnia si sarebbero mischiate, dando vita ad ibridi che sarebbero diventati il baluardo perfetto per le sue figlie.

Fu così che si crearono le silfidi e le pleiadi, ninfe dell'aria delle montagne più alte; nacquero in quel modo le nereidi e le naiadi, cullate dalle acque dei fiumi; e in quelle foreste neonate crebbero i figli più forti e granitici, gli elfi e le driadi, dal sangue verde come la linfa degli alberi.

Ad ognuna di quelle razze, Aslan affidò una delle anime degli elementi, in modo che, quando Narnia avesse avuto bisogno di loro, le Quattro avrebbero potuto incarnarsi in una di quelle creature per loro create.

Ma il rimorso più grande di Aslan era, e sarebbe sempre rimasto, quello di non essere riuscito a salvare la sua figlia di fuoco: Jadis, la strega che non poteva procreare, aveva distrutto la sua essenza bevendone il sangue, rendendone impossibile l'incarnazione – e, quindi, la salvezza.

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-Non hai mai detto niente! Potevamo contare sul tuo aiuto, sulla tua magia, e invece non hai detto niente!-

Peter scagliò con rabbia la cintola a cui solitamente portava appesa la spada attraverso il salone in cui dimorava la Tavola di Aslan, provocando un terribile fracasso che provocò diverse proteste da parte di alcuni animali intenti a parlottare fra di loro.

Si voltò per fronteggiare la mezz'elfa, irato e furibondo come non si ritrovava ad essere da un po' di tempo, un moto di furia che ruggì nel suo stomaco nel distinguere l'espressione accuratamente irriverente e saccente di Talia.

-Io non prendo ordini da te, Re Supremo, quindi vedi di abbassare la cresta.- fu la risposta antipatica della creatura, mentre la delegazione elfica, escluso Galador, la osservava come se non avessero mai visto una mezzosangue prima di quel momento.

Peter fece un versaccio, riprendendo a misurare la vasta sala con ampi e veloci passi: quanto avrebbe desiderato avere Shaylee accanto, e Siria... dovevano andarsene proprio in quel momento, quelle due!?

Chissà se loro sapevano... ma sì, era ovvio che sapessero!

Le tre ragazze portavano il Sigillo di Iona sulla pelle, nessuna di loro poteva mentire alle altre: evidentemente, se non gli era stato rivelato della vera natura di Talia, un motivo doveva esserci... ma era decisamente molto curioso di scoprire quale.

Intanto, Caleb aveva il suo bel daffare per cercare di sedare l'animo infiammato della sua compagna, che ostentava soltanto una calma che, in realtà, non possedeva: essersi spinta tanto in là da utilizzare i suoi poteri, dal rivelare all'intera Narnia che la Custode della Terra era ancora viva ed in salute fra di loro... non prometteva niente di buono, decisamente no.

Si accostò alla giovane mezz'elfa, posandole una mano sul braccio con aria noncurante: un tocco delicato, affettuoso, che Talia accettò con un muto sguardo di gratitudine.

-Tallie...- cominciò il biondo, bene attento a come dosava le parole: Talia in quel momento era estremamente instabile, combattuta fra il senso di colpa e la sua proverbiale testardaggine – e, di certo, l'avversione verso gli altri elfi non stava certo aiutando...

La bruna scosse vigorosamente la testa, chiudendo gli occhi.

-Cal, no. Sono stufa marcia di quel buffone biondo, dei suoi piani assurdi, di questi elfi del cazzo e di Miraz, okay? Che quel gatto troppo cresciuto vada al diavolo, qui c'è bisogno di me.- mugugnò, sentendo ancora una volta l'agitazione del suo Elemento vibrare al di sotto della sua pelle, indignato: era rimasto in catene dentro di lei per così tanto tempo... la Terra sapeva essere tanto paziente quanto irrefrenabile – e Talia, questo, lo sapeva sin troppo bene.

...e lo sapeva anche Caleb.

-Volevo soltanto dirti che quando ti arrabbi sei estremamente sexy, ma va bene lo stesso!- fu infatti la risposta che il riccio le diede, con un sorriso e un plateale gesto di resa a braccia spalancate, una scintilla divertita nelle iridi celesti: e fu un gesto tanto semplice e dolce che Talia scoppiò a ridere, il tumulto nel cuore che si placava un poco.

-Tu saresti il compagno di mia figlia?-

La mezz'elfa sgranò gli occhi, quando Galador s'intromise nel loro discorso e puntò gli occhi chiari e taglienti su un Caleb improvvisamente molto meno ridanciano: lo vide impallidire, Tallie, tanto che persino Peter si distrasse dalla sua petulante tiritera per godersi la scena di un elfo che strapazzava il compagno mortale della figlia.

-Papà, non è il momento per queste cose!- sbottò immediatamente la giovane, subodorando l'enorme casino che poteva venire a crearsi – più grande di quello che era appena scoppiato, se non altro – se suo padre si fosse messo in testa di conoscere Caleb...

Gwynnead, che era stata rimessa in sesto in pochi attimi dai suoi guerrieri, avanzò subito verso Talia, l'espressione terribilmente indignata.

-Vergognoso! Maelfiachra deve avere un compagno alla sua al__-

Mancava soltanto lei!

-VAFFANCULO, GWYNNEAD! TACI!- strillò la mezz'elfa, esasperata: e la sua energia agì prim'ancora che lei potesse davvero fare qualcosa per controllarla, erompendo con forza dalla sua anima e risvegliando persino la pietra.

Gwynnead riuscì soltanto a cacciare un urlo atterrito, prima che una delle colonne rocciose allungasse tetre propaggini verso di lei e la tirasse verso di sé, intrappolandola in un – innocuo? – bozzolo indistruttibile che pose fine, almeno momentaneamente, alla sua antipatica presenza.

Talia tirò un sospiro, sollevata. -Oh, là. Vediamo se adesso quell'ipocrita del cazzo continua a blaterare di vecchie leggende inutili.- sorrise, mentre Galador scuoteva la testa e Peter sembrava aver perso l'uso della parola – magari!

-Forse non è molto diplomatico intrappolare un membro del Concilio Elfico in una pietra, non trovi, figlia mia?- le fece notare suo padre, diplomatico come sempre, mentre gli elfi accorrevano accanto alla pietra dietro cui probabilmente Gwynnead strillava a pieni polmoni e Caleb perdeva ogni dignità, scoppiandogli a ridere in faccia.

Lei fece spallucce, ostentando un'espressione innocente. -Almeno sta zitta!- ridacchiò, per nulla scossa... non riuscendo a trattenere un ghigno, quando distinse sul viso di Peter Pevensie qualcosa che assomigliava molto ad un colpo al cuore.

-Oh, Supremo Imbecille, respira! Stai diventando viola!- gli fece notare, pensando che, forse, Shay avrebbe voluto ritrovarlo quantomeno vivo al suo ritorno.

-Io... io...- balbettò il biondo, incerto se ridere fino alle lacrime o scoppiare a piangere direttamente, esasperato.

-...Io ho urgente bisogno di una pinta d'idromele. E di quello forte, anche.-

_

§

_

La terra aveva un saporaccio amaro, venefico, che sapeva di sconfitta ed umiliazione.

Shaylee balzò in piedi, tentando d'ignorare le urla di dolore di muscoli che nemmeno sapeva di avere, aggrappandosi con forza al bastone da allenamento che le era stato dato per cominciare ad addestrarsi: Mairead, bellissima ed eterea nella sua fiera eleganza, scosse debolmente la testa, insoddisfatta.

-Così non ci siamo, Shaylee.- la rimproverò, facendo roteare il proprio legno per colpire la base di quello della ragazza, rischiando di sbilanciarla: Shay tentò di replicare all'attacco, portando un colpo con la punta opposta del bastone, ma con fluidità la regina naiade bloccò il suo debole affondo, infrangendo la difesa della ninfa e colpendola di nuovo sul fianco.

-Devi tenere la guardia più alta e gli occhi non devono essere fissi, ma in continuo movimento sul tuo avversario.-

Shaylee strinse i denti, chiudendo gli occhi soltanto per un istante, sperando di riuscire a calmarsi: ma subito giunse l'aspro rimprovero della donna, il legno che saettava per colpirla lievemente sulle mani.

-Stai attenta a quello che ti succede intorno!-

E come diavolo faccio!?

Mairead sembrava ovunque, in qualsiasi punto lei guardasse alla ricerca di un varco per poterla attaccare: la regina era veloce e rapida, perfettamente padrona dell'arma che impugnava e conscia delle debolezze e dei punti di forza dell'avversaria... come faceva?

Per lei era già abbastanza difficile riuscire a parare anche solo la metà degli attacchi, ma Mairead sembrava sapere in ogni attimo dove e come muoversi per prevenirla e sconfiggerla – ogni singola volta.

Non per la prima volta, si ritrovò ad invidiare Siria per la dimestichezza innata che aveva dimostrato, sin da bambina, con le armi.

Mairead tirò un lungo e stanco sospiro, abbassando il bastone e scuotendo ancora una volta la testa, alzando poi gli occhi azzurri in quelli dorati della ragazza.

-Non va bene, Shaylee.- affermò, sentendo il cuore stringersi quando vide la rabbia divampare silenziosamente nello sguardo della sua protetta. Avrebbe mille e mille volte preferito insegnare a Shaylee le arti più profonde della magia naiade, i segreti delle erbe curative, l'antichissima cultura delle Guardiane dell'Acqua, piuttosto che umiliarla in quegli addestramenti che non facevano altro che aumentare la frustrazione di entrambe.

Quando, una ventina di giorni prima di quel momento, Mairead si era trovata davanti a quella richiesta tanto singolare quanto disperata, non aveva potuto negare alla giovane ninfa il proprio aiuto: Shaylee aveva dato fondo ad ogni sua risorsa magica per curare Siria, e questo l'aveva resa talmente debole da spingerla a voler imparare la spietata arte della guerra.

Le era parsa, sin da subito, una pessima idea: aveva passato più di tredici secoli in compagnia di Shaylee ed aveva imparato a conoscerla meglio di quanto la ragazza stessa immaginasse, e sapeva anche troppo bene quanto profondo fosse il legame che intercorreva fra la ninfa bruna e le arcaiche, potenti forze che da diversi anni stavano dando segno di risveglio, nelle profondità del cuore di Narnia.

Allo stesso modo, Mairead conosceva la scarsa dimestichezza e la quasi inesistente affinità di Shay con le armi umane, al contrario delle sue due amiche mezzosangue... era follia, quella di Shaylee, una follia dettata dal senso di colpa e dal rimorso.

-Mi dispiace.- Shaylee chinò il capo, non riuscendo a mascherare una nota rabbiosa nella propria voce: la regina riuscì quasi a vedere la frustrazione della fanciulla, la sua ira, l'odio che provava verso la propria incapacità d'apprendere quel genere di materia... si trattenne dal sorridere, gli occhi che si colmavano di tristezza nel capire che, in quel momento, Shaylee non l'avrebbe mai ascoltata.

-So che ti stai impegnando per imparare, ma continuo ad essere convinta che tu non sia portata per il corpo a corpo.- le spiegò, in un tono più gentile di quello che aveva usato per rimbeccarla durante la lotta.

Lei scosse la testa, stringendo le dita sull'asta del bastone.

-Devo imparare.- disse soltanto, determinata e testarda com'era sempre stata. Mairead inarcò un sopracciglio, scettica.

-Davvero? E chi te lo impone, ragazza mia?- le domandò, riuscendo – con quel quesito posto a bruciapelo – a far alzare lo sguardo fiammeggiante e furibondo della bruna, il viso che rispondeva prim'ancora della voce.

-Io.-

Per la terza volta, Mairead negò con un elegante ma sconsolato gesto del capo, guardandola con un misto di compassione ed affetto che, se ne accorse, diede sui nervi alla giovane. -A volte, si desidera così ardentemente qualcosa da non riuscire a vedere quanto essa non sia stata fatta per noi.- mormorò, rivolta più a se stessa che all'altra naiade: si voltò, depositando il bastone fra le mani di un suo attendente, senza volgersi a guardare Shaylee. -È inutile continuare, oggi.- decretò, sentendola sospirare un secondo più tardi: detto questo, la regina s'incamminò verso la propria reggia, avvertendo la ragazza seguirla.

Shaylee le aveva portato molte notizie su cui riflettere, notizie che mettevano in dubbio ogni sicurezza di quella granitica ed eterna regina giunta, ormai, al termine del suo regno.

La magia di Siria si stava sviluppando in un modo che nessuno aveva potuto prevedere: l'amore del principe telmarino la stava cambiando, dandole una ragione per accettare se stessa e la propria natura, permettendole di arrivare ad un controllo semi-completo di un incanto di guarigione – qualcosa che Mairead non avrebbe mai sospettato, considerando il disgusto di Siria verso se stessa.

Erano indubbiamente ottime notizie, che la portavano a sperare verso un futuro più roseo per tutta Narnia: ma, allo stesso tempo, ciò che Siria aveva fatto ai rapitori non poteva essere dimenticato, perché era l'esempio fin troppo allarmante di quanto la sua forza fosse diventata tanto grande quanto ingestibile.

E poi c'era la mezz'elfa, che presto avrebbe dovuto affrontare la delegazione elfica in arrivo all'accampamento dei Re d'un tempo: non era molto sicura sull'autocontrollo della Custode della Terra in presenza dei suoi consanguinei... aveva avvertito già da molti anni l'impazienza di Talia, il suo desiderio di mandare all'aria tutti i piani ed i desideri di Aslan per combattere i Telmarini al pieno dei propri poteri: quella centenaria guerriera era imprevedibile, quanto e forse anche più di Siria e di Shaylee.

Shaylee...

Quella ragazza aveva bisogno di capire che cosa desiderasse veramente dalla propria vita e nel proprio futuro: non poteva continuare a lasciarsi sballottare dalle emozioni senza riuscire a controllarle... sorrise fra sé, Mairead, quando si rese conto che l'atteggiamento di Shaylee era proprio dell'Elemento che tanto le era affine: inafferrabile, talvolta volubile, ingenuo e maestoso come soltanto gli Oceani sapevano essere.

Era diventata una donna, la ragazzina che la Regina delle Naiadi aveva visto crescere nel corso di sedici lunghi secoli – la donna di un Re, oltretutto, a cui presto sarebbero state affidate responsabilità che si sarebbero rivelate troppo pesanti se Shaylee non avesse capito, in fretta, cosa davvero volesse diventare.

-Vorrei che tu ti ritirassi alla Fonte di Quarzo per un paio di giorni.- annunciò, dopo lunghi minuti di silenzio, una volta raggiunta la Radura del Trono: si sedette sul proprio scranno, maestosa come non mai, gli occhi azzurri che celavano sin troppo bene i tumulti e le angosce di quell'anima millenaria.

-Ma__- vide le iridi dorate della ragazza allargarsi e riempirsi di collera, sulle labbra l'inizio di una protesta: ma Mairead la zittì con un cenno imperioso della mano, congelandola lì dov'era con uno sguardo che avrebbe intimidito anche il più bellicoso dei minotauri.

-Vorrei che tu meditassi su ciò che vuoi realmente: da te stessa, dalla tua relazione con Peter e dalla tua intera vita.- continuò, calcando la voce sul vorrei per farle intendere che si aspettava che quell'ordine, perché di un ordine si trattava, venisse eseguito. -Hai ancora secoli davanti, Shaylee: non voglio che siano sprecati nel rincorrere un obiettivo che non è tuo.- aggiunse, ignorando la furia e la frustrazione della ragazza.

Shaylee doveva capire, e l'avrebbe fatto: in un modo, o nell'altro.

La fanciulla rimase in silenzio per una manciata d'istanti, tentata dalla ribellione che sentiva pulsare sotto il proprio sterno: era stanca di sentirsi dire che cosa doveva fare, come doveva comportarsi e quanto fossero sbagliate le sue decisioni!

Mairead non aveva alcun diritto di negarle il proprio aiuto, non dopo tutto quello che era successo a Nihar, non dopo... non mentre...

Chiuse gli occhi, sconfitta, chinando il capo davanti a quella donna che invidiava con tutta se stessa: avrebbe voluto essere come lei, potente e forte e bellissima, sicura nelle proprie certezze e senza dubbi nello sguardo.

-Come tu desideri, mia regina.-

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.Galador Rebirth

My Space:

Non avete idea di quanto bello sia stato TORNARE e ritrovarvi tutti qui, con la mia Rebirth, come se non fossero passati che pochi giorni dall'ultimo aggiornamento. Mi avete scaldato il cuore con le vostre parole, con le vostre recensioni, con il vostro entusiasmo.

Grazie.


In questo capitolo, che oserei definire cruciale, abbiamo una cosa molto importante. Abbiamo la definizione, per la prima volta, delle Quattro di Aslan.

Per scrivere il ricordo di Talia mi sono ispirata alla modalità di scrittura di Lewis stesso: fiabesco, un po' innocente, ma cruento a suo modo. Charn era realmente il regno di Jadis, tutto ciò che riguarda la Strega Bianca è estrapolato direttamente dai libri: sono talmente belli che è inutile e dannoso modificarli :)

Spero che Galador piaccia a voi quanto è piaciuto a me ;) ------------------------>



Grazie ancora di tutto! Aspetto un vostro parere!


B.

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Capitolo 36
*** Song of Myself. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
35th Chapter

Song of Myself - Nightwish

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La foresta era placida e silenziosa, bella come poche volte Siria era riuscita a scorgerla.

La presenza sua e di Gwaine, di quelle due creature tanto simili eppure tanto diverse, risvegliava gli spiriti più antichi che dimoravano silenti fra quelle folte fronde d’un verde intenso, dandole la frizzante sensazione di euforia che avvertiva da bambina quando i suoi poteri erano soltanto un buffo passatempo da esplorare proprio con Gwaine.

Sorrise, dando un lieve colpo di talloni al cavallo per accostarsi a Caspian; al contrario di lei, il principe era teso e all’erta... avrebbe dovuto esserlo anche lei, avrebbe dovuto essere in grado di concentrarsi sul timore di essere stata informata troppo tardi sulla salute del padre – eppure, sapere di essere tanto vicina ad un fulcro di energia tanto simile a lei la galvanizzava più di quanto avesse potuto aspettarsi.

Si sentiva combattuta, per l’ennesima volta nella sua vita.

Temeva per la sorte di suo padre ma, allo stesso tempo, provava un freddo ed innaturale distacco nei confronti di quella stessa paura: le pareva di essersi già rassegnata all’inevitabile, le sembrava che la sua mente si rifiutasse di soffermarsi su quel dolore già scritto nel suo prossimo futuro…

Non vedeva suo padre da molti anni, ormai.

Da quando Aaron l’aveva trovata, da quando lui, lei e Talia avevano deciso di assumere il ruolo di mercenari, era sempre stato suo fratello a portare al padre ciò che riuscivano a trafugare per aiutarlo: per lei era troppo pericoloso avvicinarsi ad un villaggio telmarino, ma quella distanza l’aveva emotivamente allontanata dal padre che avvertiva come una presenza nebulosa, lontana dalla strada che aveva intrapreso.

Eppure, il desiderio di vederlo era bruciante.

Aveva amato suo padre, lo aveva ammirato come uomo e come genitore: ancora adesso sapeva che l’affetto che aveva provato era rimasto immutato, sebbene quel gelido scrigno di ghiaccio la tenesse lontana da quei sentimenti che avrebbero potuto sopraffarla.

Dovevano arrivare presto.

Soltanto davanti a lui, davanti a suo padre, Siria sarebbe stata in grado di sciogliere quel muro che teneva relegata la bambina che non si era più permessa di essere dalla morte di sua madre.

-Siamo quasi arrivati.- annunciò Aaron, strappandola alle sue riflessioni e riportando la sua mente in un mondo terreno e crudele da cui Siria, ormai, desiderava soltanto fuggire.

Gwaine, più attento di lei alle dinamiche di quel mal assortito quartetto di viaggiatori, affiancò Caspian e gli rivolse un sorrisetto sarcastico, accennando alla sua espressione cupa.

-Nervoso, principino?- gli chiese, inarcando un sopracciglio e guadagnandosi, così, l’occhiata ammonitrice della rossa.

-Gwaine, stai zitto.- giunse infatti l’avvertimento, tanto freddo da risultare quasi comico: Siria non riusciva mai ad essere gelida, lei era sempre stata tutta un fuoco, tentare di sembrare altro la faceva sembrare soltanto una bambina impacciata.

Le rivolse un occhiolino, divertito.

-Perché mi zittisci ogni volta che gli rivolgo la parola? Sembra quasi che...- s’interruppe, trattenendo teatralmente il respiro quando vide Siria scuotere vigorosamente la testa, un nuovo terrore che brillava nelle iridi blu. -Oh, lui non sa?- le chiese, in un sussurro udibilissimo e sfrontato che fece saettare lo sguardo tagliente di Caspian su di lui.

-Che cosa non so?!- sibilò infatti il principe, spostando gli occhi dal forestiero a Siria e poi su Aaron, che si mordeva le labbra per non scoppiare a ridere e teneva le iridi puntate ostinatamente davanti a sé.

-Niente.- rispose subito Siria, ammonendo Gwaine con un’altra delle sue occhiate inceneritrici: ma il giovane la ignorò ancora una volta, avvicinandosi a Caspian con un risoluto colpo di tacchi nei fianchi della sua cavalcatura.

-Non giudicherei “niente” un fidanzamento ufficiale…- mormorò, inclinando poi la testa verso la rossa, del tutto propensa a metter mano alla spada e ad ucciderlo seduta stante. -Ho come l’impressione di doverlo ritenere annullato, vero?- aggiunse, notando il volto del principe farsi paonazzo, le labbra che si muovevano senza riuscire a pronunciare nessun suono.

Lo scrutò per un istante, pensieroso. Le ipotesi erano due: o sarebbe esploso dalla rabbia, liberandolo così dalla sua presenza un po’ troppo ingombrante, oppure__

-…COSA!?-

Siria rovesciò gli occhi al cielo quando Caspian ritrovò l’uso della parola, preparandosi mentalmente ad un lungo, pesante discorso che non poteva più rimandare.

-Gwaine, ti odio.-

 

§

 

Siria sospirò, attizzando con aria poco convinta il fuocherello da campo che avevano acceso meno di un’ora prima, quando l’oscurità si era fatta talmente fitta da impedirgli di proseguire oltre.

Il villaggio in cui avrebbero trovato Roan non era lontano, mancavano ormai pochissime miglia: l’indomani lo avrebbero raggiunto, e Siria pregava di arrivare in tempo almeno per dirgli addio.

-Caspian, per favore, almeno dimmi qualcosa.- esclamò, esasperata dall'ostinato silenzio in cui Caspian si era rinchiuso ormai da almeno tre veglie: alzò lo sguardo verso il principe che, a braccia conserte come un bambino capriccioso, fissava testardamente un punto imprecisato dell'oscuro bosco che li circondava.

-Cosa? Non ho nulla da dire.- mugugnò, irritato, lanciando un’occhiata cattiva ai bagagli di Gwaine riposti accanto ad un albero: Aaron e quel dannato forestiero si erano allontanati per perlustrare il territorio attorno a loro, in modo da accertarsi di essere al sicuro… sospettava che ci fosse lo zampino del rosso, in quella decisione, ma non aveva mai avuto meno voglia di discutere in vita sua.

Avrebbe dovuto capirlo da solo, dannazione.

Il modo in cui Gwaine si rivolgeva a Siria era stato, sin dal primo momento in cui li aveva visti insieme, sin troppo intimo e malizioso per non essere notato… lo aveva infastidito, sì, ma aveva etichettato la loro vicinanza come l’inevitabile risultato di una lunga amicizia.

Idiota.

Quell’imbecille era stato il promesso sposo di Siria! Ecco perché Peter aveva tanto insistito per far sì che Caspian andasse con loro, perché voleva… cosa voleva? Proteggere l’onore di Siria o farsi due risate al pensiero della sua espressione quando sarebbe venuto a sapere quel particolare?

…beh, probabilmente entrambe le ipotesi erano giuste.

Siria si lasciò sfuggire un versaccio, attizzando nervosamente il fuoco e provocando una cascata di scintille aranciate sulle pietre dove avevano posto il falò. -Gwaine è un coglione ed è geloso, è sempre stato intrattabile e__-

-E ha tutti i diritti di esserlo, visto che eravate fidanzati.- la interruppe, calcando volutamente su quella parola che tanto lo pungolava: era un principe, lui, gli era stato insegnato a considerare quel genere di promesse quasi una sacralità… come poteva, Siria, avergli nascosto una cosa tanto importante?

-Sei infantile.- sospirò  la ragazza, esasperata, sciogliendo la treccia in cui aveva raccolto i lunghi capelli in pochi istanti, le dita lunghe e sottili che danzavano fra quei crini scarlatti. Cominciò ad annodarli nuovamente, le iridi fisse con aria assente sulle fiamme che bruciavano a pochi centimetri di distanza da lei. -Io non sono la promessa sposa proprio di nessuno, tantomeno di Gwaine. Era un'idea di mia madre, voleva...- s’interruppe, quando un groppo doloroso in gola le impedì, per qualche istante, di parlare.

Sua madre avrebbe voluto saperla accanto a Gwaine per non farla sentire diversa.

Lei e Gwaine erano estremamente simili, questo Zaira l’aveva sempre saputo… -Voleva che io fossi felice.- aggiunse, abbassando lo sguardo sui ciocchi anneriti dal fuoco, detestandosi per quell’attrazione irresistibile che provava nei confronti di quell’elemento.

-Non c'è mai stato niente di ufficiale, e Gwaine questo lo sa benissimo. Voleva solo farti arrabbiare e innervosire me, e c'è riuscito alla perfezione.- continuò, atona, sebbene Caspian potesse avvertire una punta di rimprovero nella sua voce calma.

-Già.- commentò, sentendosi un perfetto idiota, prendendo un lungo respiro e cercando di darsi una calmata.

In fondo, aveva fatto una tragedia per una sciocchezza… Se Siria non gli aveva parlato di Gwaine era perché non lo riteneva importante, perché lo aveva dimenticato. Che motivo aveva di essere in collera con lei, allora?

Sospirò di nuovo, dispiaciuto, alzandosi per poi sedersi accanto alla silenziosa raminga.

-Che cosa è successo a tua madre, Sir?- le chiese, dando voce ad un tarlo che lo rodeva ormai da molti mesi. Siria aveva accennato a sua madre, e gli era sempre parso che la presenza di quella donna aleggiasse sulla sua anima come un silente guardiano proveniente dall’aldilà.

Lei scosse la testa, un sorriso triste sulle labbra rosse.

-È morta. Tanti anni fa.- rispose, con una semplicità tale da risultare disarmante.

Chiuse gli occhi per un istante, la raminga, combattendo contro il desiderio ardente di rivelargli la verità una volta per tutte: aveva bisogno di parlargliene, di spiegargli il perché di tutte quelle ombre che si trascinava dietro da una vita intera.

-È stata accusata di stregoneria. Lei curava la gente con le erbe, come fa Shay, ma i telmarini non sono molto ragionevoli riguardo a quella che considerano magia.- spiegò, non riuscendo a trattenere un velato sarcasmo sull’ultima affermazione: nonostante tutto, nonostante Caspian fosse uno di loro, non riusciva proprio a superare l’astio ed il disprezzo che provava nei confronti della gente di Telmar.

Quella era la gente che le aveva portato via sua madre.

-L'hanno bruciata sul rogo come si fa con le streghe.-

Quella rivelazione schioccò nel silenzio della foresta con un eco terribile, riverberandosi negli scoppiettii improvvisamente terrificanti delle fiammelle che languivano davanti a loro.

Caspian aveva immaginato qualcosa di simile, dopo tutte le volte che Siria si era dimostrata reticente e poco collaborativa nei confronti della magia e dei telmarini: gli aveva ricordato Peter, per quell’avversione nei confronti delle creature magiche, ed ora riusciva a capire il perché.

D’istinto, le passò un braccio attorno alla vita e se la trascinò addosso, sopportando pazientemente la sua ostinata rigidità finché Siria non si sciolse un poco, chiudendo gli occhi e posando la testa sulla sua spalla.

-Non volevo comportarmi in quel modo, non ne avevo diritto.- le mormorò all’orecchio, accostandovisi per lasciarle un lieve bacio sulla tempia. Lei scosse la testa, arruffando la frangetta scompigliata con uno sbuffo.

-Ne avevi tutti i diritti. Avrei dovuto parlartene, ma lo avevo dimenticato.- lo corresse, lasciando che la sensazione di apatica malinconia scivolasse via dal suo cuore, concentrandosi unicamente sulla presenza di Caspian accanto a sé: quel ragazzo era il suo talismano, l’unico motivo per cui riusciva a costringersi a riemergere dal baratro di sofferenza in cui era sprofondata tanto tempo prima. -Non ho mai voluto sposare Gwaine... a dir la verità, non ho proprio mai voluto sposarmi.- aggiunse, con un mezzo sorriso un poco derisorio che affiorava sulle sue belle labbra: non era mai stata in grado di dire neanche se sarebbe sopravvissuta fino al giorno seguente, figurarsi l’idea di programmare un matrimonio…

Caspian si lasciò sfuggire una breve risata, nel notare la sua espressione palesemente scettica.

-Magari un giorno cambierai idea.- commentò soltanto, criptico: ma Siria, che non era una sciocca, alzò di scatto gli occhi su di lui, sconcertata, gli occhi blu pieni di sorpresa e di confusione.

-Caspian!- sbottò, e lui dovette trattenersi per non ridere davanti alla sua espressione quasi scandalizzata. -Stai seriamente dicendo che tu mi... che noi...- balbettò lei, arrossendo fino alla radice dei capelli, mentre quel pensiero si faceva repentinamente largo nella sua mente.

Lei e Caspian… sposarsi?

Sì, in fondo, l’età di entrambi era quella giusta, ma… insomma, erano due reietti, Caspian era ricercato dall’attuale Re di Telmar, lei era una mercenaria ed un’assassina! Come poteva, il principe, pensare una cosa tanto assurda!?

Una risata piena e soddisfatta li fece sobbalzare tutti e due: Aaron riemerse dalla boscaglia, la spada di traverso sulle spalle e le iridi celesti piene di una maliziosa e divertita ironia.

-Sir ha qualche problema col concetto del matrimonio.- si rivolse a Caspian, esilarato dall’espressione della sorella, guadagnandosi istantaneamente un’occhiataccia da parte della suddetta rossa.

-Zitto! Io non ho problemi, sono solo... insomma...- brontolò infatti Siria, sempre più paonazza, incrociando le braccia sotto il seno e guardandoli entrambi in cagnesco. -Vi detesto.- mugugnò, ed anche Caspian non poté più trattenere le risate nel vederla così adorabilmente imbronciata.

Si sottrasse al suo abbraccio, avvolgendosi nel mantello con un gesto risoluto e appallottolandosi accanto al principe, raccogliendo la lunga treccia rossa nel cappuccio.

-Vi preferivo quando vi volevate morti a vicenda. Buonanotte.- la sentirono brontolare, ed Aaron ridacchiò di nuovo mentre gettava un po’ di sabbia sulle fiamme allegre, smorzandone l’entusiasmo, prima di arrampicarsi sull’albero accanto a loro per prepararsi al primo turno di guardia.

Caspian invece si coricò accanto alla raminga ben sapendo che, quando le braci si fossero esaurite del tutto, Siria gli si sarebbe avvicinata e si sarebbe lasciata abbracciare, abbandonando quell’ostinato silenzio in cui s’era rinchiusa adesso.

Aspettò che l’oscurità si facesse più fitta, prima di voltarsi verso di lei e stringerla a sé – riuscendo a distinguere, anche nel buio, il sorriso di lei.

-Non scherzavo, Sir. Se vorrai, quando vorrai, sarò qui.- le sussurrò all’orecchio, dandole un bacio sulla guancia prima che lei si voltasse per nascondersi fra le sue braccia.

-Lo so.-

 

§

 

Il villaggio telmarino apparve ai loro occhi dopo un’intera giornata di marcia, avvolto nella lieve foschia estiva che allungava i suoi tentacoli su Telmar ogni volta che il Sole calava oltre l’orizzonte.

Siria, Aaron e Caspian calcarono con più decisione i cappucci sul volto, nascondendosi dietro quelle stoffe scure che, lo sapevano benissimo, non sarebbero riusciti a proteggere la loro identità molto a lungo. Gwaine li precedeva, a volto scoperto, ma con una mano sulla spada e gli attenti occhi bruni pronti a cogliere ogni anomalia.

Non era stata una buona idea trascinarsi dietro il principino.

Sapeva di non aver avuto scelta, quando il Supremo Re gli aveva comunicato che Caspian si sarebbe unito a loro. Se fossero stati soltanto lui ed i due rossi, avrebbe potuto far ricorso ad arti che li avrebbero protetti meglio delle armi… ma no, Caspian aveva voluto seguire Siria, e la cosa più irritante era che Gwaine riusciva anche a comprenderlo.

Prima di partire, Aaron lo aveva preso da parte e gli aveva raccontato tutto ciò che era successo a Sir nelle ultime settimane: il rapimento, le torture, la magia… lo aveva sorpreso non poco venire a sapere che proprio Siryn, tanto astiosa nei confronti delle proprie capacità, era riuscita ad affrontare se stessa e a salvare la vita del principino.

La sua presenza rendeva la giovane più calma e sicura di sé e, dopo ciò che aveva passato, non riusciva nemmeno a darle tutti i torti: era tanto carina con quel ragazzino, non si sarebbe certo stupito di sentirla miagolare per lui… eppure non riusciva a non pensare che Caspian li avrebbe messi nei guai con la sua sola presenza, in un villaggio pieno zeppo di gentaglia gretta ed ottusa che avrebbe fatto di tutto per qualche soldo sporco di sangue.

Senza parlare, rivolse un cenno agli altri e smontò da cavallo, conducendolo poi a mano in una piccola stalla malmessa, una delle prime costruzioni visibili del paesello. I tre lo imitarono, assicurando le briglie degli animali in modo da poterle sciogliere velocemente in caso di pericolo.

Il piano era semplice, pericoloso come tutti i piani di Aaron: lui e Sir sarebbero andati dal padre, mentre Gwaine avrebbe portato Caspian nella propria capanna, attendendo lì assieme a lui che i due tornassero.

Aveva sempre voluto un gran bene ad Aaron, Gwaine; ma, in quel momento, sentì di detestarlo con tutto il cuore.

Si accertò che nessuno fosse in giro a quell’ora e che la nebbia fosse abbastanza fitta per coprirli, prima di far cenno ai due fratelli di darsi una mossa.

-Andate.-

 

§

 

Quando Siria entrò in quella piccola capanna rovinata, la prima sensazione che provò fu uno stranissimo senso di estraniamento.

Roan era riuscito a portare con sé, al momento della fuga, alcuni oggetti che la ragazza ricordava anche troppo bene; una vecchia bambola intagliata che suo padre aveva creato per lei, la scatoletta del cucito di sua madre, le vecchie spade di legno con cui giocavano lei ed Aaron da bambini… scosse la testa, distogliendo lo sguardo da quei ricordi che tornavano ad assalirla con una chiarezza terrificante, seguendo Aaron nel buio.

Suo padre era disteso in una piccola nicchia sul lato dell’unica stanza, il giaciglio protetto da vecchie tende un po’ sdrucite: anche in quella densa oscurità riuscì a distinguere, su un vecchio mobiletto lì accanto, alcune erbe officinali ed un paio di pietre che Gwaine doveva aver usato per aiutare il vecchio, per provare a curarlo. Suo fratello gli s’avvicinò, sparendo oltre quelle coltri, e lei lo sentì parlare piano per svegliare il padre.

Si sentì sopraffare dall’angoscia, quando si rese conto di essere stata lontana per troppo tempo: per un istante, la paura di non riconoscere il volto di Roan la fece desistere dallo scostare quei drappeggi scuciti… avrebbe voluto fuggire, pur di non vedere ciò che i telmarini avevano fatto a suo padre.

Eppure si fece coraggio, quando Aaron le fece cenno di avvicinarsi al giaciglio. Scostò le stoffe, cercando di sorridere nonostante il cuore le si stesse incrinando nel petto.

-Papà…- sussurrò, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime quando comprese quale scempio avevano compiuto i soldati su quell’uomo che le aveva dato la vita.

Lo ricordava come un uomo alto e snello, dai lineamenti affilati simili a quelli di Aaron e con due occhi azzurri pieni di calore: adesso di quell’uomo non riuscì a distinguere quasi nulla, perché lividi e ferite rovinavano ogni centimetro di quel viso – e probabilmente anche di quel corpo – e gli occhi erano tumefatti e giallastri a causa di una probabile infezione interna.

Si sentì scivolare in ginocchio accanto a quel giaciglio, sopraffatta dal dolore e dal rimorso: i telmarini lo avevano trovato cercando lei, probabilmente risalendo addirittura al villaggio in cui era stata condannata sua madre… suo padre avrebbe dovuto odiarla, avrebbe dovuto accusarla di essere il mostro che era, la causa del dolore di tutte le persone che l’avevano sempre amata…

Ed invece sorrise, allungando debolmente una mano verso di lei e sfiorandole la guancia in una carezza delicata, stanca ma piena d’affetto.

-Siryn… bambina mia, quanto sei cambiata.- mormorò, e Siria si sentì dilaniare quando si accorse di quanto esausta e provata suonasse quella voce che ricordava così forte e allegra. Strinse dolcemente quella mano, senza riuscire a trattenere le lacrime dal rigarle il viso.

-Che cosa ti hanno fatto…- sussurrò, sentendosi sballottare da alcune delle emozioni più devastanti che avesse mai provato, l’odio che si rincorreva con la colpa, la rabbia che si mescolava al dolore.

Roan sorrise, nonostante quel gesto gli causasse evidentemente un dolore atroce al volto distrutto.

-Ciò che fanno le bestie come loro, piccola mia.- rispose, con una semplicità che la disarmò più di qualunque altra cosa.

Si sarebbe volentieri consegnata nuovamente ad un uomo come Angus Flynch, pur di non vedere suo padre ridotto in quello stato.

Roan era una persona così buona… chiunque l’avrebbe accusata, l’avrebbe denigrata, ma lui no – suo padre la rassicurava, tentava di proteggerla dal dolore come aveva fatto ogni volta che aveva potuto, prima che fosse lei stessa a sottrarsi alle sue cure ed al suo amore.

Perché, perché doveva essere tutto così orrendo?

Suo padre parve distinguere i pensieri che la tormentavano soltanto guardandola negli occhi, perché sorrise di nuovo e le accarezzò la frangia, senza riuscire a distogliere gli occhi dai suoi figli.

-Non pensiamo a questo, non dopo tanto tempo. Lasciatevi guardare…- mormorò, abbracciando entrambi con lo sguardo, beandosi di ciò che vedeva.

Aaron era diventato un uomo fatto, bello e fiero com’era stato fin da piccolissimo – persino appena nato si era dimostrato testardo e caparbio proprio come suo padre, svegliando l’intero villaggio con le sue urla… ed ora eccolo, adulto e realizzato in un modo che non avrebbe mai potuto prevedere per lui, con il volto della sua donna vivido negli occhi.

Non avrebbe mai potuto sperare niente di meglio, per i suoi figli: Aaron aveva trovato l’amore in una regina d’altri tempi, mentre Siria… Siria assomigliava così tanto a sua madre da fargli male.

Anche Zaira aveva quegli occhi, così blu ed intensi da lasciare senza fiato; ma il viso di Siria era più dolce rispetto a quello maestoso della madre, i capelli erano del colore del fuoco e non dell’onice, la pelle chiara come quella di Roan.

Eppure, nonostante i tratti fossero più i suoi che quelli della sua compianta moglie, Roan riuscì a vedere la stessa angoscia e la stessa magia nello sguardo tormentato di sua figlia.

Sorrise di nuovo, sebbene entrambi i ragazzi fossero sull’orlo delle lacrime: Aaron strinse con più forza la spalla di Siryn e lei posò la mano libera su quella del fratello, cercando di infondervi tutto il conforto di cui era capace.

I suoi figli erano ancora uniti, e si amavano nonostante fossero due creature tanto diverse.

-Ho saputo ciò che state facendo per la guerra.- mormorò, reprimendo un attacco di tosse: secondo Gwaine, i soldati avevano danneggiato la maggior parte dei suoi organi interni… non sarebbe vissuto ancora per molto, ma valeva la pena di prolungare l’agonia pur di passare quella manciata d’istanti con i suoi ragazzi. -Sono orgoglioso di voi.- aggiunse, strappando un sorriso nervoso ad entrambi.

-Non era esattamente il piano iniziale, ma direi che stia funzionando.- commentò il ragazzo, inginocchiandosi accanto alla sorella e stringendo con più forza la sua mano. Roan rise, nonostante gli provocasse un dolore lancinante.

-Non ho saputo proteggervi, non ho saputo darvi una casa e una vita normale. Ma voi… siete diventati dei guerrieri, e dei figli di cui essere fieri.- li lodò, guardandoli con uno sguardo tanto pieno d’orgoglio da far cadere nuove lacrime dagli occhi di sua figlia. Le sentì bagnargli le dita, quando le accarezzò di nuovo il viso. -Sei uguale a tua madre, Siryn. Anche Zaira avrebbe voluto combattere.-

Siria annuì, piano, serrando le palpebre per cercare di non piangere ancora.

-L’ho sentita.- sussurrò, sapendo che suo padre avrebbe capito, desiderando ardentemente che sua madre non fosse mai morta e che loro fossero stati una famiglia come tutte le altre. -Io l’ho sentita… nel fuoco. Nella…-

Roan la zittì con uno sguardo, continuando a sorridere.

-La magia di tua madre è la tua, Siryn: lei vive ancora in te, e tu sei quelle fiamme.- le parole di suo padre la colpirono più di quanto avesse preventivato.

Suo padre non la odiava per ciò che era, non lo aveva mai fatto.

Aveva amato Zaira per ciò che era, senza timore e senza riserve: e, quando gli aveva dato una figlia segnata dallo stesso destino, aveva amato anche quella figlia come un dono degli dei, senza mai incolpare nessuna delle due per qualcosa che non avevano potuto scegliere.

Roan si rivolse ad Aaron, senza sciogliere il contatto con la ragazza.

-E’ qui?- domandò e, per un attimo, Siria si sentì confusa: di chi stavano parlando?

-Sì. E’ nel capanno di Gwaine.- la risposta di Aaron fu più che esaustiva, e lei arrossì al pensiero che stessero parlando proprio di Caspian.

-Voglio incontrarlo, almeno una volta.- Roan notò l’espressione confusa e imbarazzata della figlia, sentendosi scaldare da quel fuoco che bruciava dentro di lei e che la ragazza nemmeno si rendeva conto di emanare. -Dovrò pur conoscere l’uomo che ha conquistato mia figlia, non è vero?-

-Penso di sì.- borbottò lei, a suo modo contenta che il padre volesse davvero incontrare Caspian.

-Ora esci, Siryn, e dì a Gwaine di portarlo qui.- esitò, però, quando Roan le ordinò di allontanarsi: non avrebbe voluto lasciarlo, non adesso che sapeva di avere così poco tempo… ma era sempre stata una figlia obbediente, in fondo, e dopo qualche attimo di lotta interiore si alzò, lo baciò in fronte e sparì nel buio della notte.

Soltanto quando fu sicuro di saperla lontana, Roan si rivolse al figlio. -Sei un buon fratello, figlio mio.- lo lodò, stringendo la mano che Aaron gli prese con dolcezza.

-Ho sbagliato più di una volta. Ho provato a proteggerla, papà, ma…- il più anziano scosse debolmente la testa, sedando sul nascere il rimorso del ragazzo.

Aveva sbagliato, con Siria.

Aveva provato a tenerla al sicuro, a salvarla, ma non c’era stato quando Siria avrebbe avuto bisogno di lui. Non aveva saputo capire che sua sorella era in pericolo, che le stavano facendo del male – se se ne fosse reso conto prima, forse avrebbe potuto evitarle quelle torture…

Aveva fallito, come fratello e come padre.

-Non ti tormentare, Aaron. Hai fatto tutto ciò che potevi, più di quanto abbia fatto io.- lo rassicurò, la voce dolce che riusciva a far breccia nella paura di Aaron. -Avrà ancora bisogno di te… sei suo fratello, e ti ama come ti amava quando eravate bambini. Proteggetevi l’un l’altro.-

Il ragazzo rimase interdetto da quell’affermazione, ma il lieve rumore provocato da qualcuno che entrava nella casupola lo distrasse.

Si fece da parte senza che suo padre avesse bisogno di chiederglielo, dando un’amichevole pacca sulla spalla a Caspian prima di uscire dalla capanna.

Il principe si avvicinò con cautela, inginocchiandosi davanti a quel letto con un misto di soggezione e di dispiacere ad agitargli l’anima: Siria gli aveva soltanto detto che suo padre voleva incontrarlo… non aveva pensato di parlargli, non sapeva che cosa dire a quell’uomo che aveva messo al mondo la donna che amava.

-Sono…- cominciò, incerto delle sue stesse parole, ma Roan alzò una mano per zittirlo e si voltò a guardarlo, dandogli l’impressione di essere trapassato da quegli occhi di ghiaccio.

-So chi sei, principe di Telmar.- lo redarguì, ma non c’era astio nella sua voce: sospirò, Roan, accennando un lieve sorriso e chiudendo gli occhi, abbandonando la testa sul cuscino di paglia. -Sei l’uomo che è riuscito a trovare il cuore di quella selvaggia di mia figlia.- continuò, certo di essere nel giusto; e Caspian sorrise a sua volta, un po’ imbarazzato, ma sollevato al pensiero di portare un po’ di gioia a quell’uomo morente.

-Io amo sua figlia con tutto me stesso, Roan.- affermò, stupendosi lui stesso per la facilità con cui aveva pronunciato quelle parole: non aveva mai ammesso quei sentimenti ad alta voce, né con Siria né con nessun altro… ma Roan meritava di morire con la consapevolezza che ci sarebbe stato lui per Siria, che non l’avrebbe mai abbandonata, che la amava e l’avrebbe amata per tutta la vita. -Anche se sì, è un poco selvaggia.- aggiunse, dopo un istante, e l’uomo avrebbe riso se non fosse stato colto da un terribile attacco di tosse che lo fece piegare in due, le labbra che si macchiavano di rosso.

-Lo è sempre stata.- singhiozzò, accettando l’aiuto di Caspian per tornare a distendersi, serrando gli occhi per tentare di arginare il dolore.

Non gli rimaneva molto da vivere, ormai… ma quel ragazzo doveva sapere, doveva capire quanto Siria fosse delicata e preziosa, quanto fortunato fosse ad avere accanto una donna come sua figlia. -Io non sono stato un buon padre, per Siryn. È il nome che le diede sua madre, un nome antico quanto la sua stirpe.- Caspian tacque, suo malgrado assetato di quelle poche informazioni che andavano ad aggiungersi al mosaico incompleto che era il passato di Sir. Roan scosse appena la testa, un’indicibile tristezza che rendeva ancor più profonde le rughe sul suo volto e più vividi i segni della tortura.

Per un istante, per un solo, terribile istante, Caspian intravide in quella viso tumefatto l’ombra di Siria reduce dalle torture di Flynch, con la stessa disperazione negli occhi.

-Assomiglia molto a Zaira… purtroppo, condivide con sua madre lo stesso triste destino.- aggiunse Roan, la voce sempre più roca ed affaticata.

A quelle parole, Caspian s’incupì.

La madre di Siria era morta, accusata di stregoneria… che cosa intendeva dire Roan affermando che il destino di Zaira sarebbe stato quello di sua figlia? E perché qualcosa, dentro di lui, gli suggeriva che non sarebbe stato così, che Zaira stessa – ovunque si trovasse – avrebbe impedito alla figlia di raggiungerla?

-Prenditi cura di lei.-

Sussultò, quando le parole sussurrate dalla donna di fuoco, nel delirio delle febbre, risuonarono nella sua mente con una chiarezza sconcertante.

Che fosse stata…

-E’...- balbettò, cercando di non dar peso a quella sensazione irrazionale, gli occhi neri che dardeggiavano nell’oscurità. -E’ quasi impossibile proteggere Siria. Lei è…-

-Troppo cocciuta per comportarsi da donna, e troppo coraggiosa per restare in disparte.- lo interruppe Roan, terminando la frase al suo posto. -E’ bella e forte, ma cercheranno di distruggerla ancora una volta…- un secondo attacco di tosse, più violento del precedente, lo travolse: Caspian cercò di sostenerlo, sentendosi dilaniare al pensiero di quanto quell’uomo amasse i suoi figli e di quanto poco tempo gli fosse rimasto da passare con loro. -…prenditi cura di mia figlia, Caspian… lascia che quel fuoco esploda una volta per tutte…- mugolò, distrutto dal dolore, aggrappandosi alla spalla del ragazzo in una preghiera disperata di un padre che non aveva più nulla da perdere.

E Caspian annuì, sapendo che avrebbe mantenuto quella che considerava una promessa d’onore, aiutando l’uomo a distendersi ancora una volta.

-Lo farò.- affermò, deciso: e Roan sorrise, cogliendone la determinazione, chiudendo gli occhi per lasciarsi scivolare in un sonno leggero dettato dalla spossatezza.

Il ragazzo si assicurò che fosse sereno, prima di allontanarsi dal giaciglio per raggiungere i due rossi e Gwaine accanto alla soglia della capanna. Siria, quando le si affiancò, gli sorrise, ma i suoi occhi erano arrossati dal pianto e la sua espressione la più sconsolata che Caspian avesse mai visto.

-Non gli resta molto.- mormorò soltanto, cercando la mano di lui nel buio ed aggrappandosi con tutta la disperazione che aveva in corpo.

-Mi dispiace. Non si sa chi è stato?- chiese, rivolgendosi a Gwaine, tentando di dimenticare per un istante l’antipatia che provava nei suoi confronti. Gwaine si lasciò sfuggire un versaccio sarcastico, spostando lo sguardo sulla stradina buia.

-Roan era il marito di una strega… le voci corrono rapide, a Narnia, e Telmar non fa che alimentarle.- evidentemente Gwaine non era dello stesso avviso del principe, perché le sue parole erano dense di un’esplicita accusa che Caspian incassò senza fiatare.

-Gwaine.- lo ammonì però Siria, esasperata dal comportamento infantile dell’amico. Lui si strinse nelle spalle, scoccandole un’occhiataccia: come poteva, Siria, difendere uno degli aguzzini dei suoi stessi genitori?

-Che c’è? Non è forse vero che gente come lui ha sempre cercato di__-

-GWAINE!-

Sobbalzarono tutti e tre, quando Aaron esplose in un urlo soffocato e si piazzò fra i due ragazzi ed il vecchio amico, scrutandolo con un cipiglio talmente furioso da riuscire a mitigare persino il suo caratteraccio. -Vedi di piantarla, una buona volta. Caspian non è un assassino, e combatte dalla nostra parte.- lo ammonì, furibondo, e Siria si ritrovò a pensare che Aaron era l’unica persona al mondo che riuscisse ad intimorire una bestiaccia come Gwaine.

Uno scricchiolio.

La ragazza drizzò la testa, allontanandosi repentinamente dai tre uomini e avvicinandosi il più possibile alla soglia della capanna. Aveva sentito qualcosa di simile ad un piede che spezzava un bastoncino… qualcosa come dei passi.

-Ci hanno sentiti!- sibilò, ed i suoi occhi allenati colsero il movimento di una persona che scappava in mezzo alla nebbia. -Merda.- imprecò, afferrando la balestra nello stesso istante in cui la voce di un ragazzino risuonò nel silenzio della foschia.

-ALLARME! IL PRINCIPE CASPIAN È QUI!-

Siria imbracciò l’arma, prendendo la mira: ma il suo tocco esitò sul grilletto, quando distinse l’aspetto della sua vittima… poco più di un bambino, emaciato e magro come anche lei era stata una volta.

Come poteva uccidere un disperato?

-Merda.- imprecò di nuovo, abbassando l’arma, quando sentì diverse altre voci sovrapporsi a quella del ragazzino: sarebbe stato inutile ucciderlo dopo che già aveva allarmato tutti…

Aaron l’afferrò per un polso, trascinando lei e Caspian nel buio della capanna ed indicandole una finestra che dava sulla parte della casa che confinava con la foresta.

-Voi due, andatevene!- le ordinò, perentorio, ma Siria si divincolò dalla sua presa.

-No!- sbottò, lanciando la balestra a Gwaine senza nemmeno guardarlo prenderla al volo ed imbracciarla. -Non posso lasciare indietro papà!- aggiunse, gli occhi che saettavano sulla lettiga nell’angolo della casetta.

-Penserò io a lui, Sir! Vai!- la esortò il fratello, prendendo l’arco da caccia che aveva portato con sé e raggiungendo Gwaine sulla soglia, mentre il fuoco delle torce e la rabbia dei paesani cominciavano a sovrastare il silenzio attutito della nebbia.

Caspian scosse la testa, prendendole il viso fra le mani per cercare di calmarla. -Porta via tuo padre. Io resto con loro.- le disse, prima di lasciarla andare e sguainare i tre coltelli da lancio che aveva preso l’abitudine di utilizzare.

I tre ragazzi s’infilarono fuori dalla porta, pronti a dare battaglia, appostandosi ai lati della casa: riuscivano a distinguere la massa di disperati che si stava avvicinando, armata di tutto ciò che aveva trovato per affrontarli… armata di frecce, che scoccarono dalla nebbia portando con sé le fiamme delle torce.

Frecce incendiarie.

Caspian le vide conficcarsi nel tetto di paglia della capanna, e si sentì morire quando si rese conto che Siria era ancora là dentro.

-No!- sbottò, ma quando provò a raggiungere la casupola la mano forte di Gwaine lo agguantò per il bavero, trattenendolo lì dov’era.

-Fermati, idiota! Nessun fuoco scalfirà mai quella ragazza!- lo redarguì senza nemmeno guardarlo in faccia, lasciandolo subito andare per tornare a lanciare dardi sulla folla inferocita.

Ma Caspian rimase interdetto da quell’affermazione, le iridi illuminate dal fuoco che già divampava su quel tetto dismesso.

 

§

 

Siria si deterse la fronte, stringendo più saldamente la stretta sulle spalle di suo padre: ogni suo singolo pensiero, in quell’istante, era concentrato sul mantenere quelle fiamme furiose lontane da lei e da Roan, sperando che ad Aaron o a Gwaine venisse la brillante idea di accorrere in suo aiuto.

Non avrebbe ancora resistito per molto.

Un paio di travi del soffitto erano crollate davanti a loro, costringendola ad accucciarsi assieme al genitore per evitare di essere travolta: il fuoco divorava il legno di cui era fatta la capanna, ma sembrava esitare nell’avvicinarsi al punto in cui Siria proteggeva se stessa e suo padre.

-Siryn…- la voce di Roan le fece perdere concentrazione: le fiamme avanzarono di qualche centimetro, ruggendo per la frustrazione di essere tenute a bada in quel modo da una creatura che le aveva sempre ostinatamente rifiutate.

-Non distrarmi, papà.- lo ammonì lei, svelta, ma Roan sciolse con delicatezza la stretta della figlia dalle proprie spalle, strappandole un’imprecazione incredula.

-Siryn, lascia perdere.-

Le iridi piene di fuoco di Sir saettarono sul padre, allibite.

-Cosa?- balbettò, senza capire, fissandolo con un misto di sorpresa ed incomprensione: che cosa intendeva dire con lascia perdere? Lei non avrebbe lasciato perdere! Se avesse perduto il controllo su quelle fiamme sarebbero stati travolti e divorati vivi, esattamente come…

Sgranò gli occhi, Siria, quando il vivido ricordo di sua madre in agonia si mescolò al furibondo fuoco che ardeva intorno a loro.

-Non ti lascerò qui!- sbottò, scoccando al padre un’occhiata piena di rimprovero: non poteva chiederle una cosa del genere… non poteva chiederle di abbandonarlo!

Roan sorrise, stanco, accarezzandole il viso ancora una volta: poteva quasi specchiarsi nei lineamenti di Siria, e poteva vedervi l’ombra della donna magnifica che sarebbe diventata.

-Sto morendo, bambina. Tu puoi ancora scappare, ma io… sono arrivato alla fine, ormai.- sussurrò, piano, con una serenità tale da far riempire di lacrime gli occhi di sua figlia.

Era giunto alla fine della sua strada.

Aveva percorso un lungo cammino, durante la sua vita: aveva amato due donne meravigliose, che gli avevano dato due figli splendidi e coraggiosi - e le aveva perdute, le aveva perdute entrambe… era giunto il momento di raggiungerle là dove, finalmente, avrebbe potuto trovare la pace che da troppi anni non tornava più a fargli visita.

Aaron e Siria ce l’avrebbero fatta… erano due ragazzi forti e determinati, avrebbero superato quel dolore e sarebbero andati avanti.

Li lasciava in buone mani.

-Papà, non posso…- singhiozzò Siryn, prendendogli le mani fra le proprie, scongiurandolo in una muta e disperata preghiera di non toglierle anche quel poco che le restava della sua famiglia.

Con gentilezza, però, Roan sciolse quella stretta angosciata, allontanando il tocco della figlia da sé.

-Va bene così.- la rassicurò e, nello stesso istante in cui pronunciò quelle parole, seppe che Zaira lo aveva aspettato per tutti quegli anni proprio là, nel fuoco che l’aveva uccisa e salvata e che avrebbe protetto anche sua figlia… e seppe che era giunto davvero il momento di andarsene, perché soltanto le fiamme avrebbero potuto portarlo via con sé alla fine del suo viaggio.

-È tua madre che sta venendo a prendermi.- sussurrò, felice davvero per la prima volta da troppo tempo, fissando quelle lingue ardenti con una rinnovata ed incredula speranza. Le pose in grembo quei pochi oggetti legati alla sua infanzia, quelli che Siria aveva visto entrando e che Roan aveva salvato dal fuoco poco prima: la bambola, le spade di legno, la scatoletta del cucito… e le sorrise, sfiorandole la testa rossa con tutta la dolcezza di un padre, infondendole quel coraggio che Siria sapeva di non possedere.

-Vai, Siryn. Vai.- la esortò, senza più temere il calore rovente che lo stava raggiungendo.

Siria esitò, combattuta ed angosciata come mai prima d’allora.

Cosa doveva fare?

Forse sarebbe riuscita a portare via suo padre da quell’inferno… ma perché, poi? Per condannarlo a morire per le ferite interne, per torturarlo in un’agonia che nessuno poteva anche soltanto lenire?

Roan voleva andarsene… voleva raggiungere la donna che aveva amato, in quel fuoco che gliel’aveva strappata e che, adesso, gliel’avrebbe restituita.

Cosa doveva fare?

Si alzò in piedi, passandosi il dorso della mano sul viso per cancellare le lacrime e voltandosi, dando le spalle al padre: allungando le dita, sentì un pizzicore piacevole e familiare solleticarle i polpastrelli, quando le fiamme li sfiorarono e vi s’avvolsero come allegre ed innocue salamandre.

Quel fuoco sarebbe stato misericordioso, con il suo papà.

Tornò a guardare Roan, sorridendo con una tristezza terribile nello sguardo, chinandosi per baciarlo delicatamente in fronte prima di fare un passo indietro, lasciando che il fuoco arrivasse a solleticarle le caviglie.

-…addio, papà.- sussurrò, infondendo in quelle due uniche parole tutto l’amore per quel padre che aveva perduto troppi anni prima, chiudendo gli occhi e rinunciando, in silenzio, al controllo sulle fiamme che stava tenendo a bada l’incendio.

 

Quando la capanna crollò, lei era già lontana.

Era riuscita ad attraversare indenne quel marasma, stringendo convulsamente al petto quegli unici cimeli che erano tutto ciò che le rimaneva di suo padre e di sua madre, della famiglia che aveva avuto, dell’innocenza di bambina che aveva lasciato assieme a Roan in quella casupola ormai distrutta.

Siryn, la ragazzina solare con le trecce rosse, stava morendo assieme al suo adorato papà; ma Siria, adesso, non doveva piangerla, perché sapeva di avere ancora qualcuno per cui valeva la pena lottare.

Raggiunse la stalla abbandonata dove avevano lasciato i cavalli, sciogliendo in fretta le briglie e stringendole nel pugno mentre balzava in sella a Destriero, il più massiccio ed autoritario fra le quattro bestie: gli altri tre lo avrebbero seguito senza troppi intoppi, ed era ciò che le serviva.

Depose con dolcezza i suoi ricordi nella bisaccia, prima di sferrare un deciso colpo di talloni nei fianchi dell’animale, partendo al galoppo.

Là fuori, il caos regnava incontrastato.

I tre ragazzi avevano rinunciato alle armi a lunga distanza, sguainando le spade e lanciandosi in un disperato corpo a corpo con la massa di contadini e soldati male in arnese che li avevano aggrediti; Gwaine, il più vicino, balzò in sella non appena Siria lo raggiunse, agguantando Aaron un istante prima che venisse trapassato da un forcone arrugginito.

Lei scalciò con rabbia, colpendo in faccia lo sconosciuto aggressore di suo fratello che strillò come un maiale sgozzato, cadendo all’indietro proprio sotto gli zoccoli dei cavalli.

Sguainò la spada, spronando il cavallo verso Caspian e trapassando da parte a parte un soldato lercio e appestato dalla puzza di alcool scadente… senza accorgersi dell’arciere di fortuna alle sue spalle, e della freccia che venne scoccata direttamente contro di lei.

-SIR!-

Gwaine voltò la testa di scatto, giusto in tempo per vedere il dardo sfrecciare verso Siria, lo sguardo sorpreso della raminga… ed agì.

-HOIGHEAR!- gridò, con una voce roca e profonda che quasi nessuno aveva mai sentito prima d’allora.

Sentì l’energia salire potente e maestosa dal suo petto al braccio teso verso Siryn, fino alla terra che li circondava e che vibrava sotto di loro – esplodendo in due giganteschi pugnali di ghiaccio che emersero dal terriccio per frapporsi tra Siria e la freccia che stava per colpirla.

Tutto sembrò pietrificarsi, in quel momento.

Quella terribile e maestosa magia lasciò tutti immobili, basiti davanti a ciò che il ragazzo era stato in grado di provocare: ma, dopo un attimo di sbigottimento, la follia e la paura presero il sopravvento, le urla che si facevano più stridule e agghiaccianti, atterrite da quell’eresia che spaventava i telmarini più di qualsiasi altra cosa.

Magia.

Ma Caspian, nonostante la sorpresa, approfittò di quella confusione senza perdere altro tempo, balzando in groppa all’ultimo cavallo e spronandolo per fuggire da quell’inferno di fuoco e di ghiaccio.

 

§

 

Avevano cavalcato per tutta la notte, ben decisi a lasciarsi alle spalle quante più miglia possibili fra loro e quel maledetto villaggio di Telmar: non avevano quasi parlato fra loro, troppo impegnati a guidare i cavalli in mezzo alla foresta in quella corsa folle e disperata, finché il Sole non era sorto su Narnia dissolvendo lo spettro opprimente di quella follia collettiva che li aveva assaliti.

Si fermarono sul greto del torrente che li avrebbe condotti alla Cripta di Aslan, stremati e stanchi almeno quanto le loro cavalcature: fu Siria a liberare le povere bestie ansimanti dai finimenti e dalle selle, permettendogli di tuffare il muso nell’acqua limpida e di brucare liberamente l’erba bagnata di rugiada attorno all’argine.

Senza parlare, tutti e quattro si lasciarono crollare sul manto rigoglioso che componeva il sottobosco, sentendosi esausti e svuotati come non mai.

Solo dopo diversi minuti Caspian ruppe quel silenzio, voltandosi verso Gwaine.

-Tu sei uno stregone.- affermò, senza nemmeno l’ombra del dubbio negli occhi scuri. Gwaine annuì, un sorriso sardonico sul bel volto affilato, lanciando una rapida occhiata in tralice all’espressione allarmata di Siria.

-Sì, sono un simpatico mostriciattolo padrone del ghiaccio.- cinguettò, incapace di trattenere il proprio sarcasmo: insomma, a cosa sarebbe servito? Caspian lo aveva visto praticare la magia, sarebbe stato inutile tentare di negare l’evidenza. -Vuoi uccidermi, principino?- gli chiese, inarcando un sopracciglio: sarebbe stato interessante vedere cosa sarebbe potuto succedere se l’amato principe di Siryn avesse provato ad attaccarlo e lei fosse intervenuta… non che ci tenesse a scoprire quanto male potesse fare una rossa estremamente incazzata, ecco.

-Streghe e stregoni, da quel che so, sono delle minacce concrete per Narnia.- Siria sentì lunghi artigli affilati squarciarle il petto, alle parole caute e misurate di Caspian: eppure, dentro di lei, una minuscola vocina le fece notare quanto poco convinto le sembrasse il suo principe, quanto poco credesse alle sue stesse parole… le parole di Peter, non le sue. Le parole di un uomo che si era visto portare via tutto dalla magia, ma non quelle di Caspian

-Ma tu… tu hai salvato Siria.- aggiunse infatti il ragazzo, alzandosi faticosamente a sedere e fissando il bruno antagonista con uno sguardo indecifrabile, complicato – uno sguardo che saettò per meno di un secondo su Siria, prima di tornare a Gwaine.

-Caspian, non tutte le streghe e non tutti gli stregoni sono malvagi. Gwaine non lo è.- intervenne Aaron, la voce pacata che non nascondeva del tutto la preoccupazione che sentiva annodargli lo stomaco.

Il principe si volse, però, verso Siria.

-Lo sapevi?- le domandò, in quel tono risoluto e determinato a cui Siria non sarebbe mai stata in grado di mentire. Annuì.

-L’ho sempre saputo.- rispose, sorprendendosi per la calma con cui aveva ammesso quella verità: Caspian non le sembrava arrabbiato, non le sembrava fanatico come Peter nei confronti delle persone come Gwaine…

Forse… Forse c’era davvero una speranza per lei

Il giovane principe chiuse gli occhi, rimanendo in silenzio per un po’, meditabondo.

Da ciò che aveva sempre sentito da Peter, dagli altri Pevensie, dai racconti del nano Nikabrik, maghi e streghe erano creature potenti e temibili, nemiche giurate di Narnia e dei suoi regnanti: se li era figurati maestosi e terrificanti come la Strega Bianca raffigurata sulle pareti interne della Cripta, eppure Gwaine gli sembrava così… così normale.

Siria aveva detto di aver sempre saputo la verità, e non aveva motivo di mentirle: ma che cosa gli stava nascondendo?

Aveva capito già da tempo che c’era qualcosa, in lei, che Siria temeva con tutta se stessa: non gliene aveva parlato e lui aveva deciso di rispettare la sua scelta, sapendo che lo avrebbe fatto quando si sarebbe sentita pronta… ma se si fosse trovato davanti alla verità, in quel momento?

Se Siria fosse stata come il suo vecchio amico, se fosse stata una… una strega?

Avrebbe spiegato l’affermazione di Gwaine in mezzo al marasma dell’incendio… nessun fuoco scalfirà mai quella ragazza. Che cosa aveva voluto dire?

Lui era ormai sicuro di aver avvertito la presenza di Zaira, la madre di Sir, nel fuoco della febbre e del delirio dopo aver salvato le ragazze da Flynch: forse Gwaine si era riferito a questo, forse Siria era la figlia di una strega – ma allora tutto ciò che sapeva di maghi e streghe era sbagliato… era sicuro che Gwaine, per quanto imbecille, non fosse malvagio: e Siria… amava quella donna con tutto se stesso e, se si fosse rivelata essere davvero una strega, ciò che provava non sarebbe cambiato.

Ma avrebbe dovuto proteggerla ancor più di prima.

-Vattene.- esclamò improvvisamente, risoluto, riaprendo gli occhi e fissandoli su Gwaine. Quello aggrottò la fronte, sconcertato, guardandolo come se fosse improvvisamente impazzito.

-Cosa?-

Caspian scosse la testa, massaggiandosi le tempie e cercando di rimettere ordine nel caos di pensieri che gli si accavallavano nella mente.

-Peter ti ucciderebbe, se venisse a sapere cosa sei. Vai via adesso, prima di tornare là.- spiegò, alzandosi in piedi, subito imitato dagli altri tre.

Andò a prendere uno dei quattro cavalli, quello che gli sembrò più forte e sano: lo sellò, sistemando nelle bisacce tutto ciò che rimaneva delle provviste che si erano portati dietro dalla Cripta – lui, Aaron e Siria avrebbero potuto cacciare e riempire le borracce in quel torrente, non avrebbero avuto problemi sulla via del ritorno.

Una volta terminato di sellare la bella bestia, la portò lui stesso a Gwaine, sotto gli sguardi allibiti dei due fratelli.

-Quando sarò re, persone come te potranno vivere in mezzo agli altri senza dover scappare.- affermò, consegnando fra le mani di un ammutolito Gwaine le briglie del cavallo, l’espressione salda e determinata di un Re che si sovrapponeva a quel giovane volto di ragazzo.

-È la prima cosa intelligente che ti sento dire da quando ti conosco, principino.- fu tutto ciò che il bruno, sconcertato per la prima volta nella sua vita, riuscì ad esalare.

Scambiò un’occhiata incredula con Aaron e con Siria, non riuscendo a non chiedersi se l’uomo che aveva davanti era davvero il principe di Telmar che tanto aveva detestato sino a quel momento.

E poi, sorprendendo più se stesso di chiunque altro, sorrise e tese la mano al giovane, gli occhi castani che si rischiaravano e tornavano a riempirsi della consueta, familiare ironia. -Bada a Siria, Caspian Decimo. E ricorda sempre la scelta che hai compiuto oggi.- affermò, chinando appena la testa in segno di rispetto quando Caspian annuì e gli strinse la mano con quella forza inaspettata che il giovane stregone aveva appena intravisto in lui.

Si separarono e Gwaine si avvicinò ad Aaron, abbracciandolo con sincero affetto e dandogli un’amichevole pacca sulla spalla: sapeva che l’amico stava soffrendo, ma sapeva anche di lasciarlo fra le mani di due signore donne che avrebbero fatto di tutto per non permettergli di crollare.

Lo lasciò andare per rivolgersi a Siria – sorridendole, per la prima volta da quando si erano ritrovati, senza malizia.

-Gwaine…- cominciò lei, le guance rosse per l’imbarazzo e l’adrenalina causata dall’ultima conversazione fra lo stregone e Caspian; ma Gwaine scosse la testa, avvicinandosi per posare delicatamente le dita su quella guancia candida e soffice.

Era diventata davvero bella, sì. Forse anche troppo per riuscire a dimenticarla di nuovo.

-Ci incontreremo di nuovo, Sir.- la rassicurò, ben sapendo di non dover osare troppo, anche solo per rispetto nei confronti di Caspian. Le diede un buffetto sul naso, lasciando scivolare via la mano in una carezza accennata, agrodolce, che strappò un sorriso triste alla ragazza. -Nel frattempo… sopravvivi.- le ricordò, facendole l’occhiolino e riservandole il suo migliore sorriso da furfante.

Siria rise, una risata tremula ed incerta, ma sincera.

Non voleva lasciar andare Gwaine, ma sapeva di non poterlo trattenere lì: Caspian aveva ragione, Peter non lo avrebbe accettato… eppure sentiva che, adesso più che mai, lo avrebbe voluto vicino, pur di non perdere quell’ultimo legame con la persona che era stata tanti anni prima.

Doveva lasciarlo andare via.

Annuì, sentendo le lacrime annodarlesi ancora una volta in gola: ma non avrebbe pianto, non più, perché sapeva che la ragazzina che si era invaghita di Gwaine era morta definitivamente poche ore prima, nell’incendio che aveva portato via suo padre – e non sarebbe servito a nulla aggrapparsi a lui pur di tenerla con sé, perché sapeva che era giunto il momento di crescere e di andare avanti.

Per entrambi.

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My Space:

Sono viva, sono viva, non ci credo ma sono viva!

Dai che mi faccio perdonare, pubblico sempre dei capitoli così lunghi quando ci metto quattro mesi ad aggiornare... spero che almeno valga la pena aspettare ^^' a me non sembrano malaccio xD

Ho un sacco di cose da dire su questo capitolo!

Allora: prima di tutto, vi ricordo sempre Memories, che contiene una one-shot su Siria e Gwaine da bambini. Poi: in questo capitolo si velano molte cose di Siria, e si comincia ad accennare ad una verità che, dopo 35 capitoli, sarebbe anche ora che venisse fuori! Caspian ci sorprende tutte quante con la sua intelligenza (è una novità anche per me, finora s'è limitato a mettere in mostra i boccoli e la permanente!) arrivando a capire, forse, qualcosa di lei. Non vi confermo niente, ma vi dico soltanto che Siria è forse più, forse meno, forse qualcosa di diverso da ciò che lui ha capito.

E' interessante la maturazione che ha il personaggio di Caspian, e il momento in cui si differenzia da Peter come persona e come Re: nel film lo vediamo quasi succube del Supremo Idiota, ansioso della sua approvazione e anche, secondo me, sessualmente sottomesso (ehm). Lui non ha motivi di odiare la razza di Gwaine, in fondo: cosa hanno fatto maghi e streghe a lui? Niente! E' abbastanza intelligente (?) per capire che sono prima di tutto degli esseri umani, cosa che Peter non ha mai capito chissà perché.

Altro personaggio: Roan. Roan mi piace come personaggio, è più complesso di quanto mi sarei aspettata io stessa: è un padre, sì, ma è anche un uomo stanco di vivere menomato, sulle spalle dei figli che danno a lui i soldi ricavati dal mercenarismo, con addosso la colpa di non aver protetto la figlia e di aver costretto Aaron a farle da padre. La sua morte era inevitabile, e spero di averla resa al meglio possibile.

ED E' HORATIO CANE, PERDIANA. SIRIA HA UN PADRE FIGO.

Aaron mi ha commossa tanto: sta cercando di fare il fratello maggiore, di comportarsi da adulto, ma soffre per la perdita del padre più di quanto sembri. Susan se lo coccolerà fra un paio di capitoli ^^

Infine, Siria. Siria in questo capitolo si svela tanto, forse più di quanto abbia mai fatto durante l'intera fanfiction: Siria abbandona definitivamente la bambina che era in lei, la lascia lì, con suo padre, perché sa che l'ultimo legame con i suoi genitori è definitivamente spezzato. Per lo stesso motivo, lascia che Gwaine se ne vada, non protesta né si oppone: sa che lui appartiene al suo passato, mentre adesso - e l'ultima parte l'ha convinta ancora di più - è Caspian il suo futuro.

Vi ricordo inoltre la Pagina su Facebook delle mie fanfiction su Narnia, dove potrete trovare tanti album di foto e tante curiosità sui personaggi della fic, principali e non!

Non so dirvi quando arriverà il prossimo capitolo, perché non ho dei tempi ben precisi: fate conto che, in due giorni, ho scritto quello che avete appena letto! Non so quanto potrò metterci con la stesura del prossimo, magari un mese, magari una settimana, chi lo sa ^^' so che arriverà, e che questa storia vedrà una fine certa!!!



Grazie ancora della vostra infinita pazienza ;) PER NARNIA a tutti voi!


B.

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Capitolo 37
*** Turn loose the Mermaids. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
37th Chapter

Turn loose the Mermaids - Nightwish

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La Fonte di Quarzo era il luogo perfetto per lasciare che i pensieri facessero il proprio corso.

Si era formata tanti secoli prima in una piccola deviazione del corso del lungo fiume che serpeggiava, assieme ai suoi numerosi affluenti, per tutta Narnia; l’acqua aveva eroso la roccia per lunghi decenni, portando infine alla luce la pietra rosata e levigata che dava a quella piccola polla un delicato colore simile a quello del cielo durante il tramonto.

Aveva sempre amato quel luogo, Shaylee, sebbene si trovasse appena fuori dai confini del regno naiade.

Era il luogo segreto dove, per tante volte, aveva incontrato Nihar, al riparo da occhi indiscreti… se si fosse concentrata su quei ricordi, avrebbe potuto ancora scorgere il punto esatto in cui si erano seduti in un caldo pomeriggio d’estate; Nihar aveva suonato la cetra per lei e lei lo aveva seguito con il flauto, componendo una melodia meravigliosa e struggente che aveva fatto danzare persino le driadi di Narnia.

Ah, Nihar… chissà cosa diresti se mi vedessi ora.

Scosse la testa, sfiorando con svogliatezza la superficie limpida dell’acqua, distinguendo un pesciolino argentato guizzare fra le druse rosee del quarzo: un salice enorme era cresciuto sulla riva, proteggendola ancor di più da eventuali sguardi indiscreti… l’ultima volta che era stata lì non aveva visto altro che un piccolo alberello smagrito, notò, con una fitta di nostalgia al pensiero di quanto tempo avesse passato lontano da casa. I rami sottili ricadevano nell’acqua, mischiandosi con le ninfee ed offrendo rifugio a quei tanti piccoli animaletti che vivevano nella polla.

I lunghi capelli d’oro bruno ricaddero ai lati del suo bel visetto di bambola, scendendo a sfiorare quello specchio trasparente e cristallino: la figura riflessa della bella naiade vibrò, svanendo nei tremuli cerchi concentrici causati da quel tocco.

Era stanca, Shaylee.

Mairead le aveva ordinato di ritirarsi lì per meditare, ma la frustrazione e l’impazienza non facevano altro che ammassare ancor più livore nel suo animo tormentato.

Su cosa avrebbe dovuto riflettere, in fondo? Era convinta di sapere ciò che voleva ottenere, aveva un obiettivo davanti ed intendeva raggiungerlo a qualsiasi costo… e allora, perché tutti parevano così poco favorevoli nei confronti sue scelte?

Peter, Talia, persino Edmund si era dimostrato scettico, persino… persino Siria.

Sì, anche Siria le aveva detto di lasciar perdere, di piantarla con quella storia secondo lei assurda e dettata dal senso di colpa; le parole dure e furibonde della raminga le risuonavano ancora in testa, pungolando in continuazione quella coscienza di sé che Shaylee avrebbe voluto poter sradicare dalla propria anima.

Lei non era fatta per combattere.

Questo le aveva detto Siria, questo avevano dimostrato i fatti accaduti durante la prigionia: lei era una creaturina delicata che doveva rimanere lontano dalla guerra, lontano dalle brutture del mondo, che poteva e doveva soltanto scappare quando la situazione si faceva troppo pericolosa per il suo bel faccino…

Strinse i denti quando quella frustrante consapevolezza bruciò, per l’ennesima volta, dentro di lei.

Lei non era fatta per combattere.

Mairead l’aveva umiliata, dimostrandole chiaramente quanto fosse inadatta a tenere in mano qualsiasi tipo d’arma: la Sovrana sì, lei era stata una grande guerriera – tanto grande da essere in grado di salvare un intero popolo, creare un luogo protetto dai nemici e nascondere i superstiti narniani dagli artigli sporchi di sangue degli invasori.

Ma lei? Lei no, sapeva che non sarebbe mai stata in grado di compiere un’impresa del genere: no, lei doveva intestardirsi, improvvisarsi guerriera quando il suo stesso animo trovava inaccettabile l’idea di fare del male ad un essere vivente, prendere decisioni avventate che avevano avuto l’unico risultato di farla sentire ancora più impotente.

Era vero, in fondo: lei non era fatta per combattere.

Sospirò, passandosi le dita sottili fra i capelli e tirandoli indietro, volgendo le iridi dorate al cielo limpido.

No, in fondo lo sapeva, non era adatta a maneggiare un’arma e a combattere con la furia di Siria o la gelida metodicità di Talia. Non aveva un popolo da guidare come Peter, e non aveva una vendetta da compiere come Caspian.

No, lei non era così.

Lei non amava la guerra, lei avrebbe voluto vivere in pace nella Narnia che aveva amato da bambina senza più sentir parlare di battaglie, sangue, dolore: eppure, per riavere indietro quel paradiso, lo scontro fra i due eserciti doveva avvenire per forza… uno scontro che avrebbe chiamato in causa le forze ancestrali dei Quattro Elementi.

Serrò le unghie con tanta forza da sentirsi ferire il palmo, provando l’irrazionale impulso di colpire la superficie di quell’acqua limpida con tutta la forza che possedeva; prese fiato, socchiudendo gli occhi e concentrandosi il più possibile sui dettagli del luogo che la circondava, tentando di estraniarsi da se stessa e dai pensieri che la stavano torturando.

Invano.

Come poteva anche soltanto pensare di poter fare qualcosa di utile in battaglia quando i suoi poteri non si degnavano nemmeno di risponderle?

L’Acqua la ignorava, rimanendo silente sotto la disperata richiesta dei suoi palmi… era così da quando aveva dato fondo ai suoi poteri per curare Siria, ma se lei fosse stata davvero degna non sarebbe successo.

Già… perché lei non era mai stata degna di indossare il ruolo di Guardiana.

-Problemi con l’Acqua, sorellina?-

Il riverberare di una voce cristallina spezzò il quieto silenzio che l’aveva circondata sino a quel momento, strappandole un violento sobbalzo ed un’imprecazione che certo non aveva imparato nell’elegante regno delle Naiadi.

Si voltò verso la fonte di quel suono, allibita ed incredula; là, accoccolata sul bordo arrotondato della drusa che si affacciava direttamente sulla polla, c’era una ragazzina dai lunghi capelli biondo cenere, raccolti in una bassa coda scomposta che lasciava sfuggire alcuni ciuffi dorati che le circondavano il visetto dalla carnagione di porcellana.

Shaylee sentì il cuore cominciare a martellarle nel petto, quando le sue iridi dorate incontrarono quelle chiare, del medesimo grigio indefinito che colorava le nubi nelle tempeste, della giovane fanciulla che le sorrideva, incerta, a poco più di una iarda da lei.

-Aysell!-

 _

§

 
_

Un improvviso vuoto alla bocca dello stomaco costrinse Siria a piegarsi in due sul collo del suo destriero, la vista che si appannava ed i pensieri improvvisamente confusi.

Talia, al suo fianco, boccheggiò; la stessa sensazione l’aveva travolta con pari intensità, facendole quasi scivolare le redini dalla stretta  e sgranare gli allungati occhi castani.

La mente che si contraeva su se stessa, ribellandosi al giogo che ne aveva serrato sin troppo a lungo i frammenti più importanti.

La mezz’elfa strinse le dita bronzee sul cuoio dei finimenti, chiudendo le palpebre e cercando di controllare il violento tremito che le stava sconvolgendo il corpo, il cervello… l’anima stessa.

Anni, decenni, secoli di bugie svanirono in quel preciso istante, quando nelle orecchie avvertì l’eco di un nome leggero e frusciante che tanto lei quanto Siria erano state costrette a dimenticare molto tempo prima.

Avvertì la stretta delle mani forti e rovinate di Siria sulle spalle, Talia, quelle mani in grado di falciare la vita dei nemici con una semplicità terrificante; socchiuse gli occhi, vedendo brillare – per un terribile istante – le cicatrici candide che solcavano i polsi sottili di Siria.

Era stata Shaylee a cambiare le bende su quegli squarci, giorno dopo giorno, sotto due occhi vispi e grigi come il burrascoso cielo di una primavera incalzante.

Le iridi delle due donne, colme di significati spesso opposti e contrastanti, s’incrociarono quando Siria abbassò la testa per sincerarsi della salute dell’amica; ed assieme si colmarono di una cangiante verità che aveva pazientemente atteso di essere rivelata dalla musicale voce della loro amica naiade.

Aysell.

 _

§

 _

Shaylee incespicò fra i cristalli arrotondati che componevano il fondale della polla, raccogliendo le vesti fradice con una mano ed aiutandosi con l’altra ad arrampicarsi sulla drusa che ospitava la giovane ninfa.

Aysell.

I suoi occhi la vedevano ma il cuore non riusciva a crederci, perché era passato talmente tanto tempo dall’ultima volta che aveva potuto godere della presenza di quella naiade acerba che, purtroppo, aveva cominciato ad accantonare la speranza di tornare a stringere fra le braccia.

Aysell.

La ragazzina rise, allungando una mano per aiutare Shay a raggiungerla: e la castana sentì il petto esploderle di gioia quando percepì il tocco lieve e fresco delle dita minute sul braccio, reagendo d’impulso a quel contatto e tirandosela bruscamente addosso.

Aysell.

Calde lacrime intrise di commozione le rigarono le gote nivee, quando poté finalmente serrare contro il petto quel corpicino delicato e scosso dalla medesima felicità.

Era davvero lei…

Chiuse gli occhi, affogando il pianto negli arruffati capelli d’oro della fanciulla, lasciandosi stordire dall’evanescente profumo di foreste e neve di cui erano impregnati. Credeva di aver dimenticato cosa significava averla lì, piccola e sparuta, fra le braccia… credeva di aver dimenticato sua sorella.

-Aysell…- si scoprì priva di fiato, Shaylee, l’intero corpo squassato da singhiozzi che non sembravano intenzionati a scemare tanto presto; si scoprì incapace di lasciarla andare, anche solo quel tanto che le sarebbe bastato per guardarla in volto.

Aysell.

Scioccata, sconvolta, confusa dalla moltitudine di sentimenti che l’avevano travolta, la mente della naiade impiegò una manciata di secondi in più del necessario a cogliere la palese nota stridente dell’intera situazione.

Facendo forza su se stessa separò la ragazzina da sé, sforzandosi di fermare il pianto che le annebbiavano la vista di quel volto tanto amato e così a lungo serbato nella parte più remota dei suoi ricordi.

Aysell non era cambiata, eppure guardarla la riempiva di una commozione talmente forte da serrarle la gola in una dolce agonia: aveva le guance arrotondate dalla giovinezza ancora evidente in lei, le gote arrossate dalla gioia ma, nelle iridi di un indefinito color grigio perla, s’agitavano nubi e tempeste solo in parte esternate dalle lucide lacrime che le imperlavano le folte ciglia bionde.

-Aysell, che cosa ci fai qui!?- esalò, tenendo le mani serrate sulle braccia esili della sorella, chiedendosi – finalmente – perché Aysell non si trovasse al sicuro in un semi-irraggiungibile eremo sperduto fra le più alte montagne di Narnia.

La ragazza sorrise, lasciando intravedere una chiostra di denti piccoli e candidi al di là delle labbra sottili così simili a quelle di Shaylee.

-Mairead ha pensato che avresti avuto bisogno di vedermi.- si limitò a giustificarsi, stringendosi nelle spalle e guardandola dal sotto in su con quell’espressione un po’ birbante di cui la sorella tanto aveva sentito la mancanza.

-Aysell, io…- sentì il cuore gonfiarsi ancora una volta, Shay, le parole che incespicavano l’una sull’altra nel tentativo di trovare il desiderio di farle un rimprovero per quel gesto pericoloso e sconsiderato.

Però… semplicemente… non ci riuscì.

Rise, felice ed esasperata allo stesso tempo, tirandosela di nuovo addosso e stringendola in un abbraccio meno irruente del primo ma pregno del medesimo affetto e della contentezza che sentiva traboccarle dall’animo.

-…sciocchina.- sussurrò all’orecchio della giovane, serrando le palpebre per impedire agli occhi di bruciare. -Mia piccola sciocchina.-

 _

-Aysell, stai attenta!-

La bambina bionda ride, sfuggendo alla presa della sorella maggiore per correre incontro al cerbiatto che sta serenamente brucando a pochi metri di distanza da lei.

Shaylee scuote la testa, lanciando un’occhiata in direzione dei genitori: sua madre annuisce, accennando alla piccolina come per darle il permesso di tenerla d’occhio.

Prima che la sorella possa raggiungerla, però, Aysell incespica e rovina a terra, strappandosi la veste candida e graffiandosi la coscia sottile e paffuta.

-Aysell!-

Allarmata, Shay le corre accanto, abbracciandola quando vede due grosse lacrime perlacee spuntarle agli angoli degli occhioni grigi. La bambina le si accoccola addosso, sfregandole il visetto sulla spalla ed aggrappandosi con forza alla tunica della sorella.

Shaylee sorride, intenerita, accarezzandole i lunghi capelli scompigliati e cullandola amorevolmente fra le braccia.

-Sciocchina.- le sussurra, mentre il cerbiatto si avvicina, curioso, per capire il motivo di tanto trambusto. -Mia piccola sciocchina.-

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Aysell strofinò la fronte sulla spalla della sorella, ridacchiando fra sé e stringendosi con la stessa forza di bambina alla sorella maggiore. -Mi sei mancata, Shay.- miagolò, separandosi poi a malincuore dall’abbraccio per guardarla negli occhi.

Sbuffò, liberando la fronte dai ciuffi dispettosi che non riusciva mai a raccogliere, sventolandosi appena la piccola mano davanti al volto. -Avevo dimenticato quanto fosse caldo, qui… lassù c’è sempre freddo.- commentò, guardandosi in giro e beandosi della bellezza un poco eterea della Fonte di Quarzo.

Il cipiglio di Shay s’indurì appena, mentre le iridi dorate scrutavano la sorella con occhio critico.

-Infatti sei pallida.- commentò, strappando una risatina allegra alla giovane. Sospirò, ravviandosi una ciocca di capelli dietro l’orecchio – riordinando con quel gesto elegante anche i pensieri. -Non dovresti essere qui, adesso. È pericoloso.- osservò, guardandosi ansiosamente intorno alla ricerca di una qualsivoglia minaccia che potesse mettere nei guai quella pasticciona della sua sorellina.

Ancora una volta, però, Aysell fece spallucce, sedendosi sull’orlo della drusa e trascinando l’altra accanto a sé.

-Non importa. Volevo vederti, Mairead mi ha detto che non stai bene.- si limitò a giustificarsi, inclinando appena il capo per osservare la castana di sottecchi.

Erano sempre state estremamente diverse, loro due: Shay si era dimostrata fin da piccola una vera damina, posata ed aggraziata come la minore non era mai stata; ma nessuno aveva mai compreso quanto il legame che le univa superasse di gran lunga le diversità che le caratterizzavano.

Prese per mano la sorella, portandosela in grembo e fissandola insistentemente in quelle iridi limpide, lucenti, che – lei lo vedeva – celavano però un tumulto estremamente profondo. -Che cos’è successo? Perché sei triste, Shaylee?-

La maggiore sussultò, sorpresa, boccheggiando appena quando avvertì uno sgradevole vuoto spalancarlesi nello stomaco.

Aysell era ancora in grado di leggerle dentro… come aveva potuto allontanarla così tanto da sé, dai propri ricordi, dai propri pensieri? D’accordo, non era del tutto colpa sua, ma non si era ribellata all’incantesimo che Mairead aveva posto su tutte loro… lei, prima di chiunque altro, aveva remissivamente accettato che la sua adorata sorellina le venisse bruscamente strappata.

-Io…- cominciò, ma un doloroso nodo in gola le impedì, per un istante, di parlare. Come poteva spiegare ad Aysell quante cose erano successe negli ultimi sei mesi, che cosa si era scoperta in grado di provare, le avventure che aveva affrontato? Come poteva dirle di Peter, di Siria e di Caspian, dei Re e di Aslan?

Prese fiato, tentando di rilassarsi quel tanto che le sarebbe bastato per riuscire a raccontarle tutto; e, una volta iniziato, fu difficile smettere.

Aysell la ascoltò senza mai interromperla, ridendo e trattenendo il fiato al momento giusto, fissandola intensamente con quelle iridi chiare che nessuno era mai riuscito a definire del tutto. Alla fine la abbracciò, asciugandole le lacrime con i polpastrelli delicati, lasciando che Shaylee le posasse la testa sulla spalla.

-Ti lascio sola un momento, sorellona, e guarda quante ne combini.-

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-È l’unica soluzione.-

Aysell si stringe a Shaylee, cercando di nascondersi dietro la figura più alta e slanciata della sorella maggiore. Al suo fianco, intimorita quanto lei dalla Sovrana delle Naiadi e stretta alla mano di una piccola, sottile mezz’elfa che comunque la supera di tutta la testa, c’è una bambina dai capelli rossi con gli occhi pieni di lacrime a stento trattenute.

-Non… non mi sembra giusto.- mormora, affrontando temerariamente lo sguardo intenso e altero della donna.

Mairead la scruta assottigliando appena le palpebre, scambiando un’enigmatica occhiata con Talia prima di tornare a lei.

-Siryn, tu più di chiunque altro dovresti capire quanto possa essere pericoloso lasciare che Aysell venga scoperta.- le spiega, il tono rigido che si ammorbidisce appena davanti agli occhi imploranti della bambina umana.

-Nessuna di noi la tradirebbe mai!- protesta, strattonando la mano che Talia non sembra aver intenzione di lasciar andare. Scocca un’occhiataccia alla mezz’elfa che le stringeva le dita, tirando il braccio e liberandosi dalla presa. -Io non voglio dimenticare Aysell!-

Aysell trasalisce, sentendosi nominare dalla piccola Siria: ci sono diversi secoli d’età, fra loro, ma nessuna delle due dimostra più di tredici anni.

Mairead non si scompone davanti all’esplosione della giovane telmarina, ricambiando il suo sguardo furioso ed accettando pacatamente la sua protesta con un lieve cenno del capo.

-Aysell è indifesa e inerme, Siryn, al contrario di quanto io possa dire di voi tre.- le spiegò, indicando la mezz’elfa, la naiade più grande e la stessa ragazzina con l’indice snello.

La Sovrana delle Naiadi è perfettamente conscia del pericolo che le Figlie di Aslan stanno correndo in quel preciso momento: sa che dovrà dividerle, per far sì che il loro destino si compia.

-Il tabù che vi imporrò proteggerà Aysell e la sua compagna sino a che i tempi non saranno maturi per il suo ritorno.-

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-Non avrei mai pensato che in sette anni potessero succedere così tante cose.- commentò la bionda naiade, ignara dei ricordi che avevano appena attraversato la mente della sorella. -Siria e Talia come stanno?- domandò, senza riuscire a resistere alla curiosità che aveva dovuto tenere a freno per sette lunghissimi anni.

Mairead, saggia e calcolatrice come la più spietata dei condottieri, aveva segregato la piccola Aysell in un eremo montano, assieme ad una protettrice potente e fidata, molti secoli prima di quel momento, permettendole solamente brevi e sporadiche visite nel regno delle naiadi: era una scelta che Shaylee aveva appoggiato a malincuore, benché sapesse che proteggere sua sorella era più importante di qualunque sentimentalismo potesse porle degli scrupoli.

Sette anni prima, quando Talia aveva trovato Siria e l’aveva condotta da loro, Aysell si trovava lì: le due bambine avevano legato immediatamente, donando ad entrambe quella compagnia fresca e sincera che era sempre mancata nelle loro vite travagliate.

La sicurezza di Aysell, però, aveva dovuto prevaricare anche quella nascente amicizia: Mairead aveva imposto un tabù che avrebbe relegato i ricordi di Talia, Siria e Shaylee in un angolo oscuro della mente, in modo che nessuno – interrogandole o torturandole – avrebbe potuto rivelare l’identità della fanciulla e mettere a repentaglio la sua essenziale sopravvivenza.

Mairead aveva posto anche la condizione in cui il tabù avrebbe potuto essere spezzato: soltanto Shaylee, pronunciando il nome della sorella, avrebbe avuto la facoltà di rivelarla… ed era esattamente questo il motivo per cui, da sette anni a quella parte, la Sovrana aveva impedito che Aysell visitasse il regno.

La maggiore delle due naiadi sorrise, i volti delle due amiche che balenavano fra i suoi pensieri: in quel momento, probabilmente, le due ragazze si stavano scambiando uno sguardo attonito e felice, mentre i ricordi legati ad Aysell tornavano prepotentemente a farsi vivi nelle loro memorie.

-Amano.- si limitò a rispondere, perché spiegare quanto gli occhi delle due mezzosangue si fossero riempiti di vita, da quando avevano conosciuto l’amore, sarebbe stato impossibile. -Mirime…?- domandò poi, il sorriso che si accentuava nel comprendere che i ricordi legati ad Aysell le avevano anche restituito la memoria di una delle sue più care amiche.

La bionda rise, spensierata.

-Ci aspetta da Mairead.-

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Una ninfa sottile e longilinea tiene per mano Aysell, che piange in silenzio mentre abbraccia prima Siria e poi Talia: il tabù entrerà in azione non appena lei e la sua protettrice se ne andranno, ottenebrando i ricordi delle tre che rimarranno.

Shaylee scambia con la giovane donna uno sguardo angosciato, cercando negli occhi dorati dell’altra un minimo di rassicurazione.

Mirime, ravviandosi indietro i lunghi e lisci capelli color cioccolato, annuisce. -Mi prenderò cura di tua sorella, Shaylee. Puoi starne certa.- le promette, avvicinandosi all’amica per abbracciarla con trasporto. Entrambe sanno che per molto tempo a venire non potranno nemmeno pensare l’una all’altra, ma questo non implica che il loro affetto verrà in qualche modo intaccato dalla lontananza.

-Non so se sarò in grado di gestire la Guardiana dell’Acqua.- mugola Shaylee, angosciata, sulla spalla dell’altra ninfa. Mirime sorride, con quel sorriso saggio e distante che Shaylee ha imparato a conoscere ed apprezzare, alzando lo sguardo per fissarla in volto.

La paura della naiade è giustificata, lei lo sa bene: avere a che fare con il potere di una delle Figlie di Aslan, non avendone il diritto dalla nascita, può portare chiunque alla follia; eppure, Mirime sa bene che Shaylee sarà in grado di affrontare quella sfida senza problemi.

-La gestirai, perché così è stato deciso molto prima che tutte noi nascessimo.-

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Shaylee, più serena di quanto non fosse mai stata negli ultimi anni, si alzò in piedi e prese per mano la piccola, avviandosi verso la terraferma al di là della drusa. -Allora non facciamole aspettare.- la esortò, precedendola sul terriccio soffice, lasciandola andare per cercare le proprie scarpette.

Un fruscio.

La bruna naiade si bloccò, congelata, quando un rumore estraneo spezzò la quiete della Fonte di Quarzo. Aveva passato abbastanza tempo in un accampamento militare per imparare a riconoscere un suono sospetto…

Allungò un braccio, facendo cenno alla sorella di accucciarsi fra i cristalli rosati e portando l’altra mano al pugnale dorato che Peter le aveva dato in pegno mesi e mesi prima.

-Aspetta, Aysell.- sussurrò, lo sguardo che dardeggiava intorno a loro alla ricerca della sorgente di quel fruscio innaturale.

Doveva proteggere sua sorella.

Sfilò il pugnale dal fodero, avvertendo la magia pulsare debolmente nel sangue assieme all’adrenalina: non era pronta, non era capace di lottare, l’Acqua ancora non era tornata completamente da lei e__

-AAH!-

Aysell incespicò all’indietro, strillando per il dolore, quando un dardo di balestra le affondò nella schiena e le fece perdere l’equilibrio: Shaylee ebbe appena il tempo di voltarsi, scorgendo l’espressione terrorizzata della minore, prima che la bionda cadesse all’indietro e sparisse oltre i flutti agitati della polla profonda.

-NO!-

La ninfa balzò in avanti, pugnale sguainato, quando vide una figura snella e rapida fiondarsi sulla ragazzina – non fu abbastanza rapida, però, perché un secondo dardo le sfiorò la tempia e le accecò gli occhi di sangue e dolore, facendola crollare in ginocchio.

Prepotente come le tempeste invernali ed irruente come i fiumi montani l’Acqua esplose dentro di lei, mutando la consistenza del suo corpo in puro cristallo liquido; la ferita si rimarginò all’istante e lei – ansante, confusa ma illesa – si costrinse ad alzarsi in piedi e a fronteggiare la nuova minaccia.

La Fonte di Quarzo si stava intorbidendo alla svelta, arrossata dal sangue che sgorgava dalla ferita profonda di Aysell. La ragazzina era emersa, tossendo, ma una mano rude le si era serrata sulla gola sottile e vi aveva puntato una corta ma affilata spada telmarina.

Shay serrò la mascella, fissando il volto nerboruto ed estatico dell’aggressore che imprigionava sua sorella.

-Sta’ buona, streghetta, altrimenti la bambina farà una brutta fine.- l’avvertì lui, guardandola con un languore che sfociava nell’osceno e stringendo ancor di più Aysell al petto.

-Lasciala andare. È un consiglio.- replicò lei, pacata e tranquilla come in realtà non era, preparandosi a rivoltare contro l’uomo le acque insanguinate della polla. Era stato un grosso errore attaccarle in un luogo come quello, dove le naiadi erano più potenti e al sicuro.

Tutte tranne Aysell…

-Shay_!- singhiozzò la fanciulla, terrorizzata, serrando le dita sottili sul braccio del telmarino.

-Zitta!- la minacciò lui, premendo la lama sulla sua carne ed incidendovi un lungo taglio trasversale da cui il sangue scarlatto colò immediatamente, macchiando l’acciaio.

Shaylee, rimasta immobile a pochi metri di distanza, osservò attentamente quell'anima rivolgersi nuovamente a lei: doveva agire ma doveva farlo in fretta, perché all’uomo sarebbe bastato un istante per ucciderla… come faceva Siria a pensare lucidamente in quelle dannate situazioni!?

-Penso che questa bella ragazzina verrà con me. Ti assomiglia, sai? Se è una strega come te, mi frutterà un gruzzoletto niente male.-

-Io non sono una strega!- esplose la bionda, tentando di divincolarsi in preda ad una crisi d’isteria e dolore troppo grandi per essere trattenute: no, lei non era niente, non era nemmeno più una naiade a dire la verità, la magia aveva abbandonato il suo corpo tanto tempo prima… -Non sono niente! Lasciami andare, pezzo di__-

-Zitta!- il telmarino, spazientito, afferrò la ragazzina per i capelli e la spinse sotto il pelo dell’acqua, trattenendola nonostante lei lottasse con tutte le sue forze.

-AYSELL!-

 _

-AYSELL, SCAPPA!-

Shaylee afferra un arco e cerca di tendere la corda, ma i soldati di Telmar la colpiscono e la fanno rovinare a terra, il volto insanguinato. Alle sue spalle, la casa dove hanno vissuto con i loro genitori brucia, portando con sé i loro resti.

Aysell, dal corpo trasparente come quarzo ialino, fa per uscire dall’acqua del ruscello per aiutare la sorella – ma la maggiore urla di nuovo, fermandola.

 _

Stava annegando… che destino inusuale per una ninfa della razza naiade.

Aveva rinunciato alla magia molti secoli prima di quel momento, sapendo di fare la cosa giusta per salvare se stessa e Shaylee, ottenebrata dal dolore della perdita e dalla cieca rabbia che l’aveva invasa.

Adesso, però, l’Acqua che le aveva sempre protette entrambe si rivoltava contro di lei, entrandole in gola e riempiendole i polmoni di un gelo innaturale che aveva il sapore amaro della morte.

-Ferma, altrimenti le taglio la gola.- il suono della voce dell’uomo le arrivò ovattato, lontano, attraverso i flutti ammorbati dal sangue che stava copiosamente perdendo: la spada premette con più forza sulla sua carne soffice, incidendola nel profondo.

-AYSELL, NO!-

 _

-SHAYLEE, NO!-

È un attimo, un istante: la Guardiana dell’Acqua si erge in tutta la sua spaventosa magnificenza dalle acque torbide del ruscelletto, attirando l’attenzione dei telmarini che stanno aggredendo Shaylee.

Tutto ciò che Aysell desidera, in quel momento, è salvare sua sorella: nient’altro le importa, e niente può fermarla.

L’Acqua le risponde, le ubbidisce, esplode in tutta la sua devastante intensità dal suo corpicino di bambinetta e travolge tutto quanto: pensieri, emozioni, consapevolezze, tutto svanisce fra quei flutti che erompono da lei con il solo scopo di proteggere Shaylee…

…abbandonando lei.

 _

No, Shaylee non poteva permettere che sua sorella morisse: Aysell era la sua piccola sciocchina, non sarebbe affogata davanti ai suoi occhi inermi… non nell’Acqua a cui la sua coraggiosa sorellina aveva rinunciato per salvare lei.

Aysell non sarebbe più stata indifesa… mai più.

Lei non era importante, la bambina che aveva amato come una figlia invece sì: in quell’istante cristallino Shaylee capì che non le sarebbe importato morire, purché Aysell uscisse illesa da quella polla insanguinata.

Nemmeno si accorse della pelle rosea che stava sostituendo la carnagione trasparente delle ninfe, tanto era forte ed assordante il battito del cuore che le martellava le costole.

Niente era più importante della sua adorata sorellina… e niente gliel’avrebbe portata via.

Un flutto ghiacciato emerse dalla polla e sferzò alle spalle il telmarino, colto alla sprovvista da quell’attacco infido: fu scagliato indietro, le dita che scivolavano e perdevano la presa sul corpo debole e agonizzante di Aysell.

Da dove veniva…? La strega era tornata umana sotto i suoi occhi…

Tentacoli cupi e letali emersero dal pelo dell’acqua torbida, avviluppandosi al torso e alle gambe dell’uomo. Lui gridò, atterrito da quella magia che non comprendeva, ma una notte profonda stava calando in quei flutti anomali, il quarzo che scintillava minacciosamente dalle sue celate profondità.

Il sangue rosso della ragazzina parve sciogliersi, mescolarsi alle nubi che parevano essersi scatenate sotto il pelo dell’acqua: tutto si fece fitto ed impenetrabile, ma il telmarino ebbe appena il tempo di scorgere gli ardenti occhi d’acciaio che brillavano in quell’oscurità prima che lo sconosciuto mostro marino affondasse dentro di lui, squarciandolo da parte a parte ed inondando ogni suo organo interno di quei liquidi misteriosi e letali.

Morì in un attimo, seppellito dall’acqua che aveva invaso e profanato con la sua sola, immonda esistenza.

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§

 _

Mairead riaprì gli occhi dopo quella che le era parsa una quantità di tempo immensa ed indefinita, trovando ad accoglierla un profondo paio di topazi giallastri che racchiudevano l’essenza stessa di ciò che Narnia rappresentava.

-L’Acqua è tornata alla sua legittima Guardiana.- annunciò, prendendo un paio di respiri profondi e cercando di scacciare la sensazione che l’aveva invasa quando Aysell aveva assunto nuovamente il ruolo che le spettava: ogni creatura legata a mari e fiumi avrebbe avvertito il ricongiungersi di Elemento e Guardiana, ed ognuno di loro sapeva che il giorno della verità era oramai prossimo ed inevitabile.

Mirime annuì, giocherellando con apparente serenità con una ciocca dei propri liscissimi capelli scuri.

-Allora è giunto il momento perché Aysell si riunisca alle sue compagne.- commentò, non senza tradire un fremito irrequieto nella voce altrimenti musicale: attendeva quel momento da troppi secoli perché fosse in grado di contarli e la sua pazienza, solitamente quasi infinita, era ormai agli sgoccioli.

La Sovrana del regno delle Naiadi annuì, concordando con le parole della ragazza.

-Tu e Shaylee non l’accompagnerete… non subito, almeno. Ho alcune cose da insegnarvi.- Mairead sorrise fra sé, notando il disappunto disegnarsi sul volto della ninfa; ma la ignorò, recuperando un piccolo scrigno di vetro da un elegante mobile in cristallo, lanciando un’occhiata affettuosa alle due gemme iridescenti che racchiudeva prima di consegnarlo nelle mani eleganti di Mirime.

-Prima, però, fai in modo che la Guardiana abbia questi.-

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My Space:

So di essere sempre più imperdonabile, non ho scusanti. Però mi dispiace T___T ho lasciato da parte Rebirth per un po', presa com'ero da Seven Gods e scoraggiata dalle difficoltà che ho incontrato scrivendo questo capitolo. Però ce l'ho fatta ancora una volta, e ancora una volta vi prometto che finirò la storia, parola di lupo ^^'

Allora! Siamo arrivati ad un punto focale, direi!

Aysell è un personaggio nuovo, fresco e frizzante almeno quanto intrigante da descrivere e caratterizzare: come avete potuto leggere, lei è la sorella minore di Shaylee, nascosta per molti secoli dal mondo telmarino e protetta, negli ultimi sette anni, da un tabù creato da Mairead. Questo tabù (che comunque spiegherò meglio nel prossimo capitolo) implica che i ricordi di Shay, Siria e Talia venissero offuscati e relegati in un angolo della mente, in modo che Aysell (e Mirime con lei) fosse protetta in caso di cattura o interrogatorio. Soltanto Shaylee, pronunciando il suo nome e riconoscendola, ha potuto spezzare il tabù, e per questo Talia e Siria erano così sconvolte.

Perché Aysell è stata nascosta? Perché la vera Guardiana dell'Acqua è lei, non Shaylee. Aysell, da bambina, quando gli uomini di Telmar hanno ucciso i loro genitori e attaccato le due ragazze, voleva proteggere a tutti i costi la sorella... e, così volendo, il potere di Guardiana si è completamente trasferito in Shay, salvandole entrambe. Shaylee, in questo capitolo, ha fatto la stessa cosa: voleva ardentemente salvare la sorella ma, essendo impossibilitata a muoversi, la sua volontà ha agito come specchio di quella di Aysell tanti anni prima.

Sarà comunque tutto meglio spiegato da Aysell stessa, nel prossimo capitolo :) ormai siamo in dirittura di arrivo! :D

Serbavo questo colpo di scena da un po': non mi piace fare le cose scontate, come forse avrete avuto modo di capire in questi anni. Aysell è rimasta lontana dai pensieri delle tre protagoniste proprio per via del tabù, ma adesso assumerà nuovamente il proprio ruolo e ciò che significa. E' una delle Figlie di Aslan e, come tale, agirà e dal suo comportamento nasceranno reazioni ed effetti. Vi aspettano un bel po' di casini, da ora in avanti...come se io non ne avessi già combinate a sufficienza!

Ho un paio di noticille da segnare: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U Infine, volevo suggerirvi il volto che ho immaginato per Aysell, che è quello carino e dolcioso di Ashley Benson: qui sotto trovate qualche immagine :)

Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!

Big hugs,

B.

   

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Capitolo 38
*** Powerless. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
38th Chapter

Powerless - Linkin Park
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-CRA!-

Siria spalancò gli occhi, bruscamente strappata alla profonda pace interiore che la meditazione le aveva permesso di raggiungere.

-CRA!-

Il corvo che le si era appollaiato sul ginocchio gracchiò di nuovo, fissandola con insistenza. Lei lo squadrò, inarcando un sopracciglio con fare critico.

-D’accordo, io non sto mai ferma, ma scambiarmi per cadavere mi sembra un tantino esagerato.- commentò, sorvolando sulla bizzarria della situazione e sostenendo, non senza una punta di sarcasmo, lo sguardo petulante del pennuto.

-Cra.- replicò lui, per nulla impressionato, tendendo con fare imperioso l’artiglio sinistro verso di lei; Siria sospirò, chiedendosi per quale nefasto motivo le fosse stato mandato proprio un corvo come latore delle notizie che stava aspettando.

L’uccello le permise altezzosamente di sciogliere il laccio che assicurava il messaggio alla sua zampa, per poi gracchiare un’ultima volta prima di volare via, non senza dedicarle un buffetto affatto cordiale di una delle sue grandi ali nere.

-Cioè, non solo mi mandano un corvo, ma me ne mandano anche uno con un pessimo carattere!- brontolò la raminga, rassegnata, srotolando alla svelta la pergamena sottile e scorrendone il contenuto con malcelata curiosità.

Ad ogni riga il suo cipiglio si faceva sempre più incredulo, mentre un sorrisetto divertito andava disegnandosi sul suo bel volto. Terminò la lettura in pochi minuti, ghignando quando colse l’inconfondibile ironia di una vecchia amica disegnata nei ghirigori delle lettere; poi si alzò, intascando la missiva, e si mise a correre in direzione della vicina Tana di Aslan.

 .

 .

-Caspian, devo parlarti. Tipo adesso.-

Il giovane principe si sentì tirare il braccio – tutt’altro che gentilmente, oltretutto –, ma non si ribellò alla stretta che lo trascinò lontano dalle reclute in fase di addestramento.

Riconobbe il bagliore scarlatto della treccia che dondolava sulla schiena di Siria – schiena coperta da un interessantissimo corsetto pesante, sì, ma tutt’altro che impietoso sulle belle curve della giovane.

La rossa lo attirò in un cantuccio fra gli alberi poco distante dal campo, sotto al grande olmo che Talia aveva democraticamente eletto sua seconda dimora diverse settimane prima.

-È successo__- cominciò, ma perse il filo del discorso quando Caspian le catturò le labbra in un bacio ardente, addossandola al tronco ed imprigionandola in un abbraccio lascivo in cui Siria si sarebbe volentieri lasciata smarrire.

-Dopo.- le sospirò lui sulla bocca, sorridendo sornione quando lei, presa in contropiede dall’impeto focoso del compagno, lo fissò con quegli occhioni limpidi e spalancati che gli facevano solo venir voglia di…

-…okay, più tardi.- miagolò Siria, lasciandosi travolgere dal languore irresistibile che il corpo tonico e virile del suo principe sapeva accendere in lei. Lo tirò a sé, affamata di quei baci per cui struggeva da mesi e mesi, immergendo le dita in quei folti boccoli scuri e__

Sussultò, separandosi a malincuore da quella stretta fuorviante, arrossendo fino alla radice dei capelli quando lui la guardò con una muta domanda impressa nelle iridi corvine – “Corvine come i corvi, per l’appunto!”

-No, sta’ buono, è importante, questo dopo!- esclamò, allontanando il ragazzo da sé e tenendolo a distanza con un indice puntato sul petto.

-Una volta eri un ragazzo così timido e impacciato, principino…- la voce ironica di Talia fece sussultare il giovane ma non Siria, che sospirò e lanciò uno sguardo implorante verso l’alto: lassù, appesa come il più abile dei trapezisti ai rami nodosi, la mezz’elfa li stava squadrando entrambi con qualcosa di simile a puro divertimento a distenderle i lineamenti affilati del volto.

La Custode balzò a terra, agile come un gatto, incrociando le braccia sul ventre e fissando severamente Siria. -Lo hai trasformato in uno schiavo del sesso.- la redarguì, facendo ridere Caspian e arrossire ancor più furiosamente l’amica.

-Veramente l’unica schiava del sesso qui sono io!- protestò la rossa, paonazza, sgranando gli occhi davanti a quell’accusa totalmente falsa: insomma, era stato lui a saltarle addosso, che diamine! Lei non aveva fatto proprio niente, per una volta!

Il principe scosse la testa, divertito, tirandola a sé per avvolgerla in un casto abbraccio.

-Allora, cosa dovete dirmi di così urgente da sottrarmi ai miei piacevoli svaghi di padrone del sesso?- domandò, trattenendo l’ennesima risata quando Siria avvampò bruscamente alle sue parole: era estremamente divertente metterla in imbarazzo, sì.

-Shaylee non tornerà all’accampamento ancora per un po’.- la salvò Talia, assumendo un’espressione seria e compita che Caspian le aveva visto in volto in ben poche occasioni.

-Sono… sorte delle complicazioni, e Mairead vuole tenerla con sé per altro tempo.- aggiunse la rossa, intrecciando le dita a quelle di lui ma tenendo gli occhi, ora attenti e pensierosi, fissi sull’amica mezz’elfa.

-Cos’è successo?- domandò il principe, capendo che ciò che le ragazze avevano da dirgli era qualcosa d’importante che, dato che Peter non era presente, non avrebbe reso affatto contento il Re Supremo.

Talia fece un passo avanti, i piedi che si muovevano fra le foglie secche del sottobosco con una grazia e una delicatezza tali da far sembrare il suo corpo in procinto di iniziare una danza antica quanto Narnia; e Caspian la guardò, per la prima volta, con l’occhio di chi sa cosa cercare, vedendo il suo aspetto di Custode della Terra rilucere appena sotto la patina abbronzata della sua carnagione.

-Conosci la leggenda delle Figlie di Aslan, principino?- gli domandò, scostandosi i corti capelli neri dalla fronte; lui annuì. -Come Peter ti avrà detto, le circostanze mi hanno spinta a rivelarmi. Io sono la Custode della Terra, e non sono l’unico Elemento incarnato che imperversa a Narnia.-

La testa di Caspian ruotò tanto velocemente da causargli una fitta al collo, quando il giovane si volse per dedicare un’occhiata interrogativa a Siria: che lei fosse uno di quegli Elementi, che lei fosse una delle Figlie di Aslan?

La rossa scosse subito la testa, sapendo quale domanda lui le stesse silenziosamente ponendo, tenendo però lo sguardo sempre inchiodato sull’amica.

-Shaylee è come te?- chiese allora il ragazzo, tornando a guardare Talia, che non aveva mancato quello scambio di sguardi ma che, educatamente, evitò di parlarne.

-No. Lo è stata, per un po’, dopo aver ricevuto in pegno quel ruolo dalla vera Guardiana… sua sorella.- la mezz’elfa vide gli occhi di lui allargarsi per la sorpresa, ma non la interruppe e le permise di continuare. -Aysell è più piccola di Shaylee, ed era poco più di una bambina quando Telmar invase Narnia ed uccise i loro genitori.- la giovane tentò di pronunciare quelle parole nel modo più atono possibile, in modo da non infierire sulla vergogna che Caspian sentiva di meritare riguardo a quel particolare argomento; ma lui le fece cenno di continuare, sorvolando sulla stretta che provò nel sentir nominare quel massacro di cui la sua gente era la sola responsabile.

Siria gli accarezzò il dorso delle dita intrecciate alle sue, sapendo quanto soffrisse a quel pensiero, invitando contemporaneamente l’amica a continuare.

 -Shay rischiò la vita, quella notte, ed Aysell perse il controllo dei propri poteri: non abbiamo mai capito come le fu possibile farlo, ma trasferì l’interezza della sua magia a sua sorella. Rimase menomata di ogni briciola di potere, indifesa proprio come una bambina…- la voce della mezz’elfa si spezzò, nel rammentare quanto Aysell fosse stata piccola e terrorizzata all’inizio della sua impensabile prigionia.

-L’Ancella dell’Aria la prese con sé, mentre Shay sarebbe rimasta con Mairead. Era la soluzione più sicura mentre la Sovrana delle Naiadi cercava un modo per riunire Guardiana ed Elemento, ma… in tredici secoli Mairead non è mai riuscita a sistemare le cose.- continuò Siria per lei, vedendola incupirsi: entrambe si erano affezionate molto alla piccola naiade, e non era facile ricordare – ora che era loro permesso – quanta fosse stata terribile quella punizione, non voluta, a cui la sorella di Shaylee si era volontariamente sottoposta.

-Fino ad oggi.- annuì Talia, riprendendosi da quell’attimo di debolezza.

-Io ho incontrato Aysell anni fa, quando Shaylee mi salvò la vita. Però sarebbe stato pericoloso che l’esistenza di Aysell fosse libera nei miei ricordi e in quelli di Tallie e Shay; Mairead ci impose un tabù e ci fece dimenticare Aysell e tutto ciò che la riguardava, ma poche ore fa l’incantesimo si è spezzato.- gli spiegò Siria, cercando di trovare un modo per dirgli ciò che doveva sapere senza tradirsi: non era ancora pronta a dirgli tutto, ma quello era un passo così importante verso la verità che sapeva di non potergli nascondere ancora a lungo…

-Aysell è tornata ad essere la Guardiana dell’Acqua e presumo che stia venendo qui, adesso.- terminò Talia per lei, vedendola in difficoltà.

Caspian rimase in silenzio per qualche minuto, cercando di assorbire quella valanga di informazioni senza farsi venire un terribile mal di testa; si sentiva spaesato e minuscolo, proprio come quando, mesi e mesi prima, si era risvegliato nella tana di un tasso chiacchierone e aveva scoperto che i narniani non si erano affatto estinti come aveva sempre creduto.

-Shay non tornerà?- domandò infine, intuendo dove Siria e Talia volessero andare a parare: se la naiade non fosse tornata loro avrebbero rischiato di perdere Peter… il Re Supremo non avrebbe accolto volentieri la notizia di quel cambiamento di piani, ed avrebbe reagito ancora peggio.

Talia scosse la testa. -Non lo sappiamo. Ma devi essere pronto ad assumere il ruolo di condottiero, se Peter dovesse crollare.-

A quelle parole, Caspian s’incupì più di quanto Siria si fosse aspettata.

Sapeva che Caspian aveva peccato d’orgoglio e di vanità, all’inizio di quella crociata: fra lui e Peter si era creata da subito un’ostilità reciproca che soltanto ultimamente cominciava a smussarsi, perché entrambi avevano lavorato su se stessi e sul proprio – abbastanza carente in partenza – senso d’umiltà.

Caspian però era diventato insicuro, nel tempo, incerto della propria capacità di comando che Peter gli aveva poco carinamente sottratto al proprio arrivo; e Siria questo lo sapeva fin troppo bene, perché lei era sempre stata l’unica di cui Caspian si fosse mai fidato abbastanza per mostrarle le proprie debolezze.

Talia le rivolse un cenno, balzando poi verso l’alto, arrampicandosi sul suo amato olmo, per lasciarli soli. Siria, grata di quell’opportunità, lo tirò lievemente a sé per convincerlo a voltarsi, accogliendo nei propri quegli occhi scuri pieni di timore ed incertezza.

Gli racchiuse il viso ruvido fra le dita, accarezzandogli gli zigomi con i pollici. Caspian era cambiato, in quei mesi: il suo volto aveva perso le rotondità della fanciullezza e si era fatto affilato, contornato da una corta barba disordinata che lo faceva sembrare molto più adulto di quanto non fosse, ed i suoi occhi si erano riempiti di una pacata maturità che, prima, non c’era mai stata.

-Tu sei il mio compagno, il mio principe ed il mio Re. Ti ho giurato fedeltà molto tempo fa, e l’ho fatto perché credo in te e nell’uomo che sei diventato.- affermò, sicura di sé e delle proprie parole, sorridendogli con dolcezza quando lui le passò le braccia attorno alla vita e la trasse a sé. -Sei pronto da tanto tempo, Caspian. Devi soltanto avere fiducia in ciò che sei.- aggiunse, lasciando che il giovane premesse la fronte contro la sua e la stringesse a sé.

-Sono un uomo a metà senza di te, Sir.- mormorò, sapendo che avrebbe potuto guidare anche cento eserciti se lei gli fosse stata vicina: Siria era la sua forza, il motivo che lo aveva spinto a migliorare se stesso e a diventare quella persona di cui lei era fiera.

Non avrebbe voluto nient’altro, nessun altro, per il resto della sua vita.

-Restami accanto. Sempre.-

 .

 .

 .

Cornell chinò la testa, in segno di rispetto, quando l’esile figuretta della Guardiana dell’Acqua emerse dai flutti del lago che aveva sempre accolto sua sorella più grande.

-Mia signora, è un onore averla qui.- l’accolse, sorridendo in quel modo mistico e distaccato proprio dei centauri, porgendo il braccio alla ragazza per condurla sull’erba che costeggiava la riva acciottolata.

La bionda arrossì, imbarazzata, ma accettò di buon grado la galanteria e si lasciò docilmente condurre dal centauro. -Non sono una signora, ma… grazie.- mormorò, abbassando gli occhi grigi sulle calzature eleganti ma resistenti che aveva scelto per viaggiare.

Indossava gli abiti che Mairead aveva fatto cucire appositamente per l’arrivo alla Tana di Aslan della Guardiana dell’Acqua, un completo che Aysell avrebbe potuto utilizzare anche per viaggiare a piedi ma che l’avrebbe sempre identificata come qualcuno di rango elevato: i pantaloni velati, di stampo calormeniano, si chiudevano sui fianchi e alle caviglie rimanendo però ampi e voluttuosi attorno alle sue gambe snelle e fasciate internamente da una calzamaglia; un corsetto di un polveroso verde acquamarina le aderiva al torso minuto, impreziosito da una pietra posta nell’incavo dei seni.

Indossava due bracciali argentei che brillavano di una strana luminescenza azzurrina ed una cinta di un azzurro spento, a cui erano assicurate due piccole bisacce, dello stesso colore della pietra sul corsetto e degli elastici che tenevano chiusi sulle caviglie i pantaloni di un bel blu polvere. Indossava pochi paramenti, un solo girocollo oltre a quegli strani polsini metallici, sempre di quel colore tendente al grigio.

Shaylee aveva insistito per raccoglierle i capelli disordinati in una coda, ma erano troppo sottili per rimanere a posto e sfuggivano in continuazione all’acconciatura, circondandole il viso imbarazzato di un alone biondo cenere: sembrava estremamente giovane e piuttosto inesperta, si disse Cornell, ma sorrise fra sé quando ricordò il simile sguardo spaurito e ferino con cui Siria aveva affrontato le prime settimane di quella guerra.

-Sto cercando le mie compagne…- mormorò la giovane naiade ma, nello stesso attimo in cui pronunciò quelle parole, una voce – più adulta e suadente di quanto ricordasse – lacerò l’aria.

-AYSELL!-

La bionda si voltò, sorridendo, appena in tempo per essere travolta da una valanga umana dai capelli rossi come il fuoco.

Siria era calda, calda come non era mai stata.

-Aysell…- le mugugnò la raminga fra i capelli, serrandosela addosso e notando, sorpresa, quanto piccola fosse al confronto con lei: ricordava di essere stata alta quanto la naiade, ma non pensava di essere cresciuta così tanto…

Aysell.

Era stata la sua unica amica, la sua unica sorellina, una creatura piccola e spaventata quanto lei con cui si era trovata ad avere più cose in comune di quanto avessero potuto immaginare: Aysell le era mancata, le erano mancati i ricordi che si era lasciata strappare dal cuore, le era mancata la sensazione di familiarità e affetto che le trasmetteva il suo abbraccio.

-Siria, mi stai strangolando!- brontolò la biondina, divertita, ma si raggomitolò fra le braccia forti dell’altra ragazza e si lasciò pazientemente strapazzare. -Anch’io sono felice di vederti.- le disse, sapendo che erano quelle le parole giuste per rispondere a quello che Siria non sarebbe mai stata in grado di pronunciare. La rossa rise, divertita, alzando gli occhi ed allontanandola da sé per osservarla con occhio critico.

-Ma guardati. Sei quasi una donna, ormai.- le disse, studiando il fisico curvilineo della piccola, trovando molte più forme in quel corpo, sebbene ancora acerbo, che non ricordava tanto femmineo. Aysell arrossì ancora, ma sostenne quei due occhi blu con gioia e fierezza.

-Tu invece lo sei diventata.- affermò, sorprendendola, prima che un fulmine bruno le travolgesse tutt’e due e le facesse capitombolare a terra in un groviglio indefinito di stoffe svolazzanti, capelli e risate.

Caspian sopraggiunse proprio in quel momento e scoppiò a ridere, vedendo il casino che Talia aveva combinato solo con il proprio drastico arrivo: non aveva mai visto Talia e Siria esprimere la propria gioia in quel modo così espansivo, né avrebbe mai immaginato di incontrare una naiade tanto… beh, tanto piccola.

Si avvicinò, porgendo una mano alla nuova arrivata ed aiutandola ad alzarsi: lei, stupita, sgranò gli occhi ed abbassò lo sguardo, colta in fallo dall’eleganza misurata e galante di quel gesto.

-Presumo tu sia Aysell. Incantato.- la salutò Caspian, soffiando quelle parole a pochi centimetri dalla sua mano guantata in un perfetto baciamano – e lei arrossì fino alla radice dei capelli biondo cenere.

Talia, che si era districata da Siria pochi attimi dopo Aysell, rise e si affiancò al principe, inarcando un sopracciglio davanti al ghigno soddisfatto di lui.

-Aysell, lui è Caspian, il perverso libertino che ha irretito la virtù della nostra Siria.- lo presentò, cancellando quella smorfia soddisfatta dalla faccia dell’amico. Aysell prese fiato, riprendendosi dall’imbarazzo, scoccando a Siria un’occhiata obliqua dei suoi grandi occhi da gatta.

-Quale virtù?- le chiese, e fu il turno della raminga di arrossire furiosamente fra le fragorose risate dei presenti.

 .

Non poteva non essere Shaylee.

Quello era il suo portamento, quella era la sua semplice acconciatura… quella non poteva non essere la sua Shaylee.

Sorridendo davvero per la prima volta da settimane e settimane, con il cuore che batteva forte nel petto, Peter uscì dalla macchia d’alberi e s’avvicinò in fretta alla figuretta esile della naiade – ignorando lo sgomento di Siria, che gesticolava per chissà quale motivo in sua direzione –, raggiungendola e abbracciandola da dietro con una forza che sfociava quasi nella disperazione.

-Peter, no!- gemette la rossa, rovesciando gli occhi al cielo prima di scoccare un’occhiataccia a Caspian, che non aveva resistito ed era scoppiato in una fragorosa risata; Talia scosse la testa, rassegnata all’idiozia di quel biondo che si ritrovavano come condottiero, mentre Aysell aveva serrato i pugni e gli occhi e tentava di controllare il rossore che le aveva ormai invaso il collo ed il viso.

-Mio buon signore, potrebbe cortesemente lasciarmi andare?- pigolò, atterrita da quell’estraneo che l’aveva abbracciata senza alcun motivo logico.

-Signore?- commentò Peter, attonito, non cogliendo subito la bizzarria della situazione: da quando veniva chiamato signore!?

-Eh, milletrecento anni e non sentirli!- sentì commentare Talia, ma la ignorò quando si accorse che qualcosa non quadrava: Shaylee non poteva essere dimagrita così tanto, né poteva aver perso almeno cinque o sei centimetri d’altezza…

-Ma…- mormorò, allibito, sciogliendo repentinamente l’abbraccio e permettendo a quella sconosciuta di fiondarsi, terrorizzata, fra le braccia di Siria. Rimase lì impalato, sconcertato, finché Talia non si avvicinò alla figuretta raggomitolata contro la raminga e la indicò con enfasi, scoccandogli uno sguardo di puro compatimento.

-Idiota, lei non è Shaylee!- sbottò, abbracciando la figuretta con un ampio gesto della mano. -Non vedi che è bionda, Supremo Imbecille!?- aggiunse, esasperata: loro avevano davvero affidato il futuro di Narnia a quel povero rincretinito!?

-Ho provato ad avvertirti…- mugolò Siria, rivolgendo al biondo allibito un’occhiata di scuse.

Allontanò appena Aysell da sé e la costrinse a voltarsi verso il Re Supremo, sapendo che tutta la raffinata tattica che si era studiata per presentarli era ormai completamente andata. -Peter, lei è Aysell.- annunciò, scuotendo appena la piccola amica per convincerla ad aprire gli occhi e a ricambiare lo sguardo interrogativo di Peter. -Aysell, questo è Peter, Re Supremo di Narnia… e, attualmente, il compagno di tua sorella.- sospirò, senza trovare un modo migliore per spiegare quella imbarazzante verità.

Peter, a quelle parole, trasalì.

Il compagno di tua sorella, il compagno di Shaylee.

Aysell era più minuta di Shay, ma condivideva con lei le forme armoniose del corpo e quelle più affilate del viso; gli occhi però non erano dorati ma grigi come il cielo d’inverno e più allungati, più felini; ed era effettivamente bionda, un biondo cenere più spento ed etereo di quello dei capelli di lui o di Caleb.

Spostò gli occhi su Siria, che sembrava preda di un profondo conflitto interiore: ancora una volta, la sua amica raminga gli stava nascondendo qualcosa.

-Cosa devi dirmi, Siria?- le chiese, ignorando Caspian, Talia e anche Aysell: e la raminga annuì, abbassando lo sguardo, accennando alla foresta per suggerirgli di parlare in privato.

 .

 .

Peter sospirò, rovesciando lo sguardo al meraviglioso cielo celeste sopra di loro.

-Pensavo che Shaylee fosse la Guardiana dell’Acqua.- mormorò, senza guardare l’amica.

Ne era stato quasi certo.

Il modo in cui Shaylee governava l’Acqua non era mai stato quello che aveva sempre visto utilizzare dalle altre naiadi: la sua era sempre stata una magia più profonda, che attingeva a correnti di potere quasi dimenticate ma che ancora scorrevano nel cuore stesso di Narnia.

L’aveva vista alzare fiumi, curare con la magia, riflettere nell’acqua ciò che i suoi occhi vedevano… come poteva non essere lei la Guardiana?

Siria aveva risposto a quella domanda, spiegandogli che Aysell aveva rinunciato involontariamente al proprio ruolo tanti anni prima: eppure gli sembrava così assurdo… perché non gli aveva mai detto di avere una sorella? Come poteva un incantesimo aver sradicato dalla mente della sua amata naiade i ricordi di qualcuno tanto importante per lei?

Aveva vissuto a Narnia per quindici anni, in gioventù, aveva combattuto una strega che aveva compiuto magie terribili e spettacolari, aveva incontrato fattucchiere e maghe di buon cuore e altre capaci di mutare l’oro in fiori, ma non riusciva ad accettare che la magia di Mairead avesse potuto fare tutto questo.

Era assurdo, completamente assurdo.

-Non lo è mai stata davvero.- sospirò la raminga, scostando i lunghi capelli rossi da davanti al viso ed intrecciando le gambe nella stessa posizione meditativa da cui l’aveva strappata quel corvo antipatico.

-Per questo non è ancora tornata?- insinuò il biondo, alzando la testa dal cuscino d’erba su cui l’aveva abbandonata e fissando l’amica con insistenza. -Dimmi la verità, Siria. È per questo che non torna da me?-

La ragazza, a quella domanda, si costrinse a sostenere il suo sguardo nonostante sentisse il profondo desiderio di guardare altrove: come poteva infliggere altre ferite al cuore del suo amico?

-Mairead ha deciso di tenerla nel regno ancora per un po’, ma non saprei dirti perché o per quanto tempo.- gli spiegò, ripetendo pressoché le medesime parole che aveva detto a Caspian.

Peter rimase in silenzio, tornando a sdraiarsi con fare esausto sull’erba carnosa che cresceva, libera e selvaggia, sulla collina che loro due avevano eletto a proprio luogo di ritrovo e di pace.

Se solo quella ragazzina non fosse tornata dal suo dannato isolamento, Shaylee sarebbe stata di nuovo con lui… chi aveva avuto la brillante idea di richiamarla da quell’eremo dove evidentemente avrebbe dovuto stare, dato che sembrava assolutamente incapace di badare a se stessa?

-Peter, non è colpa di Aysell…- mormorò Siria, cogliendo il senso dei pensieri che vedeva agitarsi negli occhi del giovane Re; lui però voltò la testa, ignorando il suo richiamo e la nota d’avvertimento che vi aveva colto all’istante.

-Se lei non fosse tornata dal suo isolamento, Shay sarebbe qui.- commentò, più brusco di quanto avrebbe voluto essere, ignorando il versaccio dell’altra.

-Peter, non fare lo stupido.- lo redarguì, infatti, lei; però, non ottenendo risposta, sentì la pazienza evaporare nel giro di meno di un istante. -Peter, guardami in faccia! Subito!- strillò, esasperata, a voce talmente alta da far voltare Peter verso di lei quasi immediatamente. -Aysell è innocente, ed è la legittima Guardiana. Non puoi prendertela con lei.- sbottò, in un tono che non avrebbe ammesso repliche da chiunque altro – ma Peter, purtroppo, era più testardo e cocciuto della media delle persone.

-Come posso non prendermela con lei!? Siamo passati da avere una naiade combattiva e orgogliosa come Shay – Siria inarcò un sopracciglio, scettica – ad una ragazzina inesperta e impacciata come quella bambinetta!- esclamò, esasperato anche lui, alzandosi a sedere e lanciando all’amica un’occhiata spazientita: perché lui era l’unico a vedere quanto danno avrebbe portato quel cambiamento!?

Siria aprì la bocca, pronta a ribattere per fargli notare quanto fosse sfocata la sua idea di “combattività” quando si ritrovava a parlare di Shay – provava ancora dell’astio nei confronti della naiade, sebbene fossero passate settimane da quella discussione –, ma una sensazione di turbamento e vergogna le invase improvvisamente i pensieri, facendola sussultare.

-Aysell!- chiamò, voltandosi appena in tempo per vedere una chioma bionda allontanarsi di corsa verso la cripta.

Aysell aveva sentito quell’imbecille parlare di lei, fantastico.

-Sei contento, stupido idiota!?- ringhiò contro Peter, prima di balzare in piedi ed inseguire l’amica di corsa.

Ritrovò Aysell raggomitolata sotto l’effige di Aslan, scolpita nella cripta, sotto cui anche lei si era rifugiata più di una volta. Riusciva a sembrare così piccola, quando si appallottolava in quel modo… sospirò, cercando di non lanciare al leone di pietra lo sguardo di dolore misto a paura che aveva preso l’abitudine di dedicargli, raggiungendo la ragazza e sedendosi al suo fianco.

-Aysell, piccolina…- mormorò, passandole un braccio attorno sulle spalle e tirandosela addosso; Aysell mugolò qualcosa d’indefinito, gli occhi grigi ostinatamente nascosti fra le braccia, lasciandosi però coccolare.

Siria scosse la testa, divertita dall’ostinato silenzio dell’amica. -Peter è un imbecille, non devi dar peso alle sue parole.- commentò, non senza una punta d’acidità nel ripensare a quante volte l’impulsività e la lingua lunga di Peter la avessero fatta infuriare. Aysell però continuò a tacere, piccata, e lei sospirò al pensiero di quanto sarebbe stato difficile e penoso far andare d’accordo quei due testardi. -Hai notato la cicatrice che ha sulla guancia?- le domandò dopo una manciata di secondi, sorridendo appena fra sé.

La bionda alzò lo sguardo, sorpresa dalla domanda; non aveva una gran memoria visiva, d’accordo, però aveva notato immediatamente la lunga cicatrice candida che solcava la guancia del Re Supremo. Annuì.

Siria ridacchiò, una risata amara e senza gioia, arruffandole i ciuffi scompigliati sfuggiti dalla coda alta. -Gliel’ho fatta io.- le rivelò, a bassa voce, vedendo il volto dell’altra riempirsi di sorpresa.

-Perché?- le chiese, infatti, rinunciando al proprio mutismo per dar voce alla propria insopprimibile curiosità.

-Perché mi diede della sgualdrina.- fu la semplice risposta della rossa, che sorprese Aysell non tanto per il significato in sé di quella frase ma per la serenità e la rassegnazione che trasparivano dal tono che Siria aveva utilizzato. Sembrava quasi che la raminga si fosse abituata, ormai, al caratteraccio di Peter Pevensie…

-Peter è un ragazzo impulsivo e propenso a dire tutto ciò che gli passa per la mente anche quando dovrebbe evitare, ma è un buon guerriero ed un Re giusto.- le spiegò, stupendosi lei stessa per quella descrizione breve ma esaustiva che era riuscita a fare di Peter: non pensava di essere arrivata a conoscerlo così bene.

Tacquero entrambe per un po’, ognuna immersa nei propri pensieri, limitandosi a rimanere lì abbracciate e a godersi la presenza dell’altra; poi, però, Siria si alzò repentinamente in piedi e la trascinò con sé, il volto illuminato da un nuovo sorriso.

-Dai, dimenticalo e vieni con me. Tutti i narniani hanno atteso che la Guardiana dell’Acqua tornasse all’ovile, e non vedono l’ora di conoscerti.-

 .

§

 .

Passarono alcuni giorni. L’estate stava entrando nel suo vivo fulgore, segno che non sarebbe durata ancora molto a lungo, ed il ponte dei telmarini era vicino ad essere ultimato: le truppe di Peter e di Siria, invece, erano ancora molto lontane dall’essere pronte per una battaglia in piena regola, ma sicuramente erano molto più preparate adesso di quanto non fossero state prima dell’avvento della raminga e del suo gruppo come insegnanti.

Peter aveva deciso di assumere un atteggiamento distaccato nei confronti di Aysell, limitandosi a rivolgerle la cortesia che gl’imponeva il proprio rango: la naiade, a cui Siria aveva spiegato tutto il possibile sul rapporto tormentato che esisteva fra Peter e Shaylee, aveva invece optato per ignorare completamente il Re Supremo, passando il proprio tempo con Talia e Siria ed imparando a conoscere la banda di ex-mercenari della rossa e di suo fratello, Caspian e gli altri Pevensie.

In un tardo pomeriggio di quello che Edmund aveva calcolato essere “agosto”, secondo il calendario ormai in disuso che lui ed i suoi fratelli avevano inserito a Narnia durante il loro regno, l’ufficiale condottiero dell’esercito si stava allenando contro il suo ufficioso luogotenente dai lunghi capelli rossi, davanti agli occhi divertiti di Aysell e del più giovane dei tre Re.

-Più in basso, Re Supremo!- strillò Siria, divertita, quando Peter evitò per un pelo un affondo che, se fosse andato a segno, gli avrebbe quasi sicuramente mozzato il polpaccio; Aysell ridacchiò, divertita dal modo di combattere totalmente singolare dell’amica, guardandola volteggiare fra le lame che fraseggiavano con una grazia impressionante.

-Infida puledrina…- mormorò Peter, sogghignando, ed Aysell rise di nuovo quando vide l’amica avvampare: l’imbarazzo le fece perdere il ritmo dello scontro, permettendo al biondo di farle lo sgambetto e farla capitombolare a terra, per poi bloccarla immediatamente col peso del proprio corpo.

-Non è valido, idiota! Ti avevo detto di non chiamarmi più così, è imbarazzante!- brontolò Siria, lanciando un’occhiata ammonitrice ad Aysell – che non smetteva di ridere – e una di fuoco a Peter, che la teneva intrappolata sotto di sé con quella che poteva essere definita solo come “palese soddisfazione”.

-Ogni cavallo selvaggio ha il proprio punto debole, puledrina, ed io sono bravo a trovarli.- fu la risposta di lui – che commise però l’errore di distrarsi per arruffarle i capelli e si ritrovò a gambe all’aria, mentre la sua fedele Rhindon atterrava a pochi metri da lui.

-È una qualità che anch’io possiedo, mio caro. Il tuo, Peter, è una saccente ed irritante vanagloria.- lo punzecchiò l’amica, di nuovo ritta in piedi, rivolgendo un inchino ironico ad Edmund e ad Aysell. Rivolse una smorfia al biondo, tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi.

Risero entrambi e Siria, per dargli il tempo di rimettersi in sesto, allungò una mano per recuperare la spada di Peter.

NO!

Un tremito gelato la pugnalò all’istante, quando fece per sfiorare l’elsa incrociata di quella bellissima arma.

Lontano da me!

Sobbalzò, ritraendosi immediatamente dalla spada, guardandola con un misto di terrore e ripugnanza del tutto nuovi; il suo animo s’agitò ancora, spaventato dall’energia che pareva emanare il leone dorato incastonato in quell’arma.

Peter, poco lontano, la vide impallidire: senza capire abbassò lo sguardo, avvicinandosi per raccogliere Rhindon per poi guardare l’amica, confuso dal suo atteggiamento ferino e sfuggente.

Non aveva toccato la spada.

Siria non aveva nemmeno sfiorato Rhindon, aveva soltanto allungato la mano per prenderla; non capiva perché non l’avesse fatto, non le aveva mai impedito di prenderla, sembrava quasi che si fosse sentita respinta dall’arma stessa…

Siria non aveva mai impugnato Rhindon, ora che ci riflettuto: non ci aveva mai pensato, vero, ma non l’aveva mai vista prendere in mano né la sua spada né l’arco di Susan o la pozione di Lucy… ossia nulla di ciò che Santa Claus aveva donato loro tanto tempo prima.

Nulla di ciò che era stato benedetto da Aslan, e che avrebbe respinto ogni creatura maligna.

…no, era impossibile.

Siria non poteva essere malvagia, ne era totalmente sicuro: probabilmente aveva visto un insetto – quegli animaletti la terrorizzavano –, per quello era saltata così… era stato soltanto un caso che Rhindon fosse lì, sicuramente doveva essere così.

Prima che potesse chiederle quale creaturina avesse causato il suo disgusto, però, tanto Siria quando Aysell boccheggiarono.

La raminga crollò in ginocchio, le mani che salivano a premersi con forza sulle tempie, le labbra schiuse in un muto grido di quello che sembrava proprio dolore.

-Siria!- sbottò lui, rinfoderando la spada per poi accorrere al suo fianco e sorreggerla, preoccupato. -Che cosa succede? Cos’avete?- le domandò, ansioso, passandole una mano sulla fronte madida di sudore e scambiando un’occhiata preoccupata con Edmund, che stava aiutando Aysell ad alzarsi.

Poteva essere successo qualcosa a Shaylee, forse? Da che sapesse lui, il legame mentale che esisteva fra Siria, Talia e Shaylee poteva comprendere anche Aysell; non credeva che esistesse un altro motivo per una reazione così simile in una Guardiana ed in una semplice umana…

Siria però lo ignorò, senza pensare al pericoloso lampo di comprensione che aveva scorto nei suoi occhi, guardando Aysell e trovando, nelle iridi tempestose dell’amica, il medesimo panico che sentiva agitarsi dentro di sé.

Che cosa stava succedendo?

Chiuse gli occhi, sentendo il cuore martellarle il petto con una forza massacrante, cercando di concentrarsi sulla voragine che aveva avvertito spalancarsi dentro di sé: e, per un istante, sentì il gelo della morte invaderle le membra, atrofizzandole, mentre nella sua mente – appannata da un incomprensibile vapore ghiacciato – distinse il volto di Caspian, imbambolato ed assente come non lo aveva mai visto.

Sembrava quasi che si stesse per addormentare, sembrava quasi ammaliato, quasi… stregato.

-…Caspian.- sbottò, spalancando le palpebre, balzando in piedi quando Peter le dedicò uno sguardo confuso. Lo fissò, permettendogli di scorgere il terrore che l’animava, sguainando la propria spada con un gesto impaziente. -Nella cripta! Caspian è in pericolo!- sbottò, voltandosi poi verso Aysell – Aysell, che comprese immediatamente che cosa stava per succedere.

Si fiondarono tutti e quattro in direzione della cripta, mentre la naiade avvertiva mentalmente Talia e lanciava anche un richiamo disperato alla mente lontana di Mirime: se ciò che aveva capito dalla visione di Siria era vero allora un pericolo più grande di qualunque altro stava per abbattersi su tutti loro…

Quando furono sulla soglia della Tana, però, Peter afferrò Siria per un braccio e la trattenne, facendo cenno al fratello di precederli; Edmund annuì, sparendo nella penombra, ma Aysell, combattuta, esitò per qualche istante prima di seguirlo.

-C’è qualcosa che devi dirmi, Siria?- chiese all’amica, sicuro del fatto che Siria non gli avrebbe mai potuto nascondere qualcosa di davvero importante, guardandola con quello sguardo a cui lei non era mai riuscita a dire di no.

Siria però, per la prima volta davanti a quella domanda che tante volte lui le aveva posto, esitò.

-Peter…- mormorò, incerta, i piedi che parevano ancorati alle pietre del selciato e gli occhi pieni di un’angoscia che il Re Supremo non riuscì a comprendere.

Avrebbe dovuto dirgli tutto… avrebbe dovuto dirgli la verità, avvertirlo di cosa li aspettava là dentro, dirgli cosa lei nascondeva nel più profondo della sua anima.

Avrebbe dovuto affrontare lo sgomento e la rabbia di Peter, accettare ciò che il Re avrebbe dovuto fare; avrebbe dovuto confessargli di avergli mentito, di avergli nascosto quale creatura orribile si nascondesse dentro di lei…

Eppure… esitò. Guardandolo negli occhi, quegli occhi azzurri a cui aveva imparato a voler bene, Siria esitò.

Le iridi piene d’angoscia, il cuore che ruggiva disperatamente il proprio silente dolore, la raminga abbassò lo sguardo, sconfitta.

Non poteva.

Non poteva pugnalarlo alle spalle in quel modo, non poteva vedere la delusione e l’odio nello sguardo di Peter, non poteva pensare di… non poteva perdere Peter.

Serrò gli occhi, lottando contro la frustrazione, lottando contro la paura, maledicendosi mille volte per essersi affezionata così tanto al biondo Re di Narnia. Aveva sempre saputo che sarebbe stato difficile, sì, ma non aveva mai immaginato di non riuscire a parlare, bloccata da quel terrore di perdere quell’amicizia su cui entrambi facevano tanto affidamento che imbrigliava la verità nelle sue spire.

Non poteva dirgli tutto.

Avrebbe significato spezzare quel bizzarro legame che era nato fra loro… e non riusciva, non sarebbe mai riuscita ad accettare di dover fare a meno di Peter.

-Sir?- si riscosse soltanto quando il biondo, preoccupato dal suo repentino silenzio, la chiamò. Le si avvicinò, vedendo gli occhi dell’amica bassi, tremendamente angosciati, la paura nelle labbra morse dai denti bianchi; scorgere Siria in quello stato era qualcosa che aveva scoperto di non essere in grado di sopportare, non senza soffrire assieme a lei.

-Io… no, davvero. Niente d’importante.- sospirò, Siria, sentendo qualcosa incrinarsi dalle parti del petto; non c’era tempo per dirgli la verità, non adesso, non con Caspian in pericolo.

Ma non riuscì ad alzare gli occhi sul volto del biondo, a guardarlo in viso con la consapevolezza che da lì a poco tutto quanto sarebbe stato distrutto comunque; lo superò a passo svelto, serrando gli occhi, una lacrima sottile che le rigava lo zigomo e spariva nel folto rosso dei suoi capelli.

Mi dispiace.

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My Space:
Guardate come sono stata brava! Ho aggiornato in tempi umani!
Peter: mentre bestemmiava facendosi le sopracciglia e i peli pu__ *SDENG!*
Scusatemi, ogni tanto diventa molesto e mi tocca prenderlo a padellate. (perché, rendetevi conto, Peter è il mio neurone-coscienza. Lo so. Sono messa male.)
Allora, ragazzi e ragazze: CE L'ABBIAMO FATTA!
Siamo ufficialmente entrati nell'ultima parte della storia, quella cardine, quella che svelerà tutti gli arcani! Avanti, vi voglio tutti e tutte in riga, pronte per lo scontro epocale!
Peter: e per massacrare me a sassate -.-
....ANCHE per quello, Peteronzolo.
Spero che questo capitolo vi piaccia; la parte iniziale, con Siria e il corvo e poi Siria con Caspian, mi ha fatto ridere come una cretina mentre la scrivevo :) Il corvo è da parte di Mirime, comunque, imparerete a conoscerla nella storia che seguira Narnia's Rebirth, ossia Narnia's Redial - che arriverà su questi schermi al massimo un mese dopo il termine di Rebirth, il che non dovrebbe avvenire fra molto tempo.
Sono disperata al pensiero di concludere questa storia, ve lo dico sinceramente: mi ha accompagnata attraverso tantissime fasi della mia vita, momenti belli, altri orrendi, mi ha vista crescere come donna e come scrittrice. Ci sono affezionata quasi più che a Luce&Buio, QUASI, ma sono due storie molto diverse che, per me, significano cose egualmente importanti.
Comunque non disperate, ci saranno altre storie su questo gruppo di sciamannati, ve l'assicuro! A breve dovrei pubblicare una one-shot in Memories, legata ad Aysell. :)
E niente, spero che il capitolo vi sia piaciuto (l'impennata di letture mi ha fatta TANTO felice *-*), spero che vi stiate chiedendo cosa sta per succedere e che cosa sta per combinare Siria a quel disgraziato di Peter.
...ora, una domanda da fangirl.
SONO SOLO IO A VEDERE DELLA SEXUAL-TENSION FRA PETER E SIRIA!??!!?
Peter: TU SEI PAZZA!


Coooomunque. Qualche notiziola utile.
Qua sotto vi mostrerò un'immagine, creata dalla mia fantastica beta e best DreamWanderer, che rappresenta la mappa di Narnia aggiornata nei minimi dettagli nei confronti di Rebirth; se non ho fatto casini con NVU dovreste riuscire a visualizzare l'immagine ingrandita su DeviantArt cliccando sull'immagine stessa qua su EFP :)
Inoltre, appena sotto, vi offro uno scorcio degli abiti da viaggio di Aysell, stessa roba cliccando sull'immagine: sempre creazione di DreamWanderer! Come farei senza di lei? :D

Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U 
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 39
*** Dance of Fate. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
39th Chapter

Dance of Fate - Epica
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-Maledetto!-

Le pietre opalescenti incastonate nei bracciali di Aysell brillarono di luce propria quando la naiade si scagliò con tutto il suo peso addosso al nano Nikabrik.

Lame di pura energia azzurrina scaturirono da quei monili improvvisamente non più così innocui, crescendo lungo il profilo delle braccia della ragazza nello stesso attimo in cui lei attaccò con furia il nano armato di spada corta.

La lama magica cozzò contro quella d’acciaio, producendo uno stridore agghiacciante che le trasmise un brivido gelido; la ragazza ruotò su se stessa, parando un attacco per pura fortuna per poi assalire di nuovo l’avversario con due fendenti che lo costrinsero ad allontanarsi bruscamente da lei.

Era la prima volta che metteva a frutto l’allenamento che Mirime le aveva imposto per secoli.

Nikabrik attaccò dal basso verso l’alto per prenderla di sorpresa, ma la magia di Aysell rispose prim’ancora di lei: le pietre brillarono ancora e le lame scomparvero, mutando in uno scudo opalescente che vibrò terribilmente quando la spada del nano vi s’abbatté.

Il dono di Mairead era tremendamente difficile da controllare, ma lei non aveva tempo per imparare.

Aysell riprese fiato, balzando indietro e fissando astiosamente il nemico: Siria le aveva detto che quello non era un nano come Trumpkin, che si era dimostrato amichevole e gentile come pochi della sua razza avevano mai fatto, ma un essere vile e colmo di rancore di cui non ci si poteva fidare.

Aveva avuto ragione.

Con un imperioso ordine mentale, la Guardiana ritirò lo scudo e spinse l’energia dei cristalli a mutare in due sottili pugnali dalla lama ondulata; Mirime le aveva insegnato ad utilizzare praticamente qualsiasi arma, nel corso degli anni, ma quelli erano di gran lunga i suoi favoriti.

-Non giocare con cose più pericolose di te, ragazzina magica!- sbottò il nano in sua direzione, scagliandolesi addosso subito dopo; lei però piroettò con la grazia di una ballerina, affondando un colpo che s’immerse con precisione nel braccio sinistro del nano e lo fece imprecare.

Poco lontano, Edmund si lasciò sfuggire un paio di colorite definizioni dirette al licantropo che stava affrontando, una bestia enorme dall’irsuta pelliccia nera e con due occhi cupidi e famelici tanto vividi da far paura.

Là, impotente, Caspian fronteggiava la Strega Bianca.

Edmund sentì lo stomaco rivoltarsi quando il lupo balzò per aggredirlo, il fiato ributtante del mostro che gl’inondava il volto; si scansò appena in tempo, guadagnandosi solo una zampata fortunatamente innocua, ruggendo e lanciandosi in un attacco disperato contro il fianco del lupo mannaro.

Avevano richiamato Jadis alla vita.

Non era possibile, quella Strega doveva essere morta secoli prima! Non poteva essere di nuovo lì, a minacciarli tutti con la sua sola esistenza…

Il giovane Re strinse i denti, ricacciando indietro l’angoscia e lanciando un’occhiata alla soglia della segreta: Siria doveva rimanere lontana da lì, ma Caspian era in pericolo e nessuno avrebbe potuto impedirle d’intervenire…

-Caspian!-

Peter e Siria irruppero nella grande sala con rabbia, scagliandosi senza esitazione verso la fattucchiera che danzava, ebbra di estatica follia, attorno al principe ammaliato dalle spire di magia che Edmund poteva quasi avvertire sulla pelle, simili a lascivi serpenti avviluppati attorno ai muscoli e alle membra.

Conosceva quel tormento, Edmund. Conosceva l’agonia della malia.

Jadis era, da sempre, il suo più grande incubo: Jadis lo aveva incantato e lo aveva tradito, aveva quasi sterminato la sua famiglia, lo aveva quasi ucciso…

Ed ora era là, bella e terribile come la più letale delle sirene, splendida come lui la ricordava.

Con un ruggito di rabbia Peter si scagliò addosso alla fattucchiera, strappandola al suo ballo esagitato ed ingaggiandola in un combattimento senza esclusione di colpi; Siria, invece, si buttò addosso a Caspian, strappandolo al cerchio in cui era stato inscritto e facendolo ruzzolare via… impietrendosi, però, quando si ritrovò intrappolata al suo posto.

Alzò gli occhi blu verso Edmund ed Aysell, che combattevano con furore a pochi metri da lei: sarebbe stato così facile raggiungerli, dare battaglia… ma si scoprì immobile, incapace persino di respirare quando gli artigli della paura le ghermirono l’anima.

La fattucchiera contro cui stava combattendo il Re Supremo venne scagliata indietro e rotolò via, ferita e urlante come una bestia colpita a morte; il licantropo e Nikabrik si ritirarono al suo fianco, soffiando ed imprecando in direzione dei tre combattenti, mentre il biondo agguantava Caspian – ancora stordito, ma di nuovo in sé – e lo trascinava al sicuro.

Jadis, la Strega Bianca, si lasciò sfuggire un teatrale sospiro e rivolse gli occhi chiari in direzione dell’antico nemico.

Era stupenda e terribile proprio come lui la rammentava.

-Peter, caro.- mormorò, aprendosi in un sorriso irridente che gli strappò un versaccio sarcastico, gli occhi azzurri che dardeggiavano verso il volto in ombra di Siria. -Mi sei mancato.- aggiunse Jadis, con quella voce eterea e lontana che lui non era mai riuscito a dimenticare.

Perché Siria non si levava di lì?

-Tu no, Jadis.- la voce piena d’odio di Peter scatenò un brivido atterrito nel corpo della raminga, un tremito che nessuno tranne Aysell riuscì a cogliere; Siria avrebbe voluto fuggire da lì, avrebbe voluto scappare via e non dover affrontare la Strega Bianca – la madre e la causa di ogni suo incubo, di ogni suo dolore.

Aveva ancora qualche istante prima che la strega si accorgesse della sua presenza… eppure i suoi piedi non vollero muoversi perché, quando il suo sguardo si era posato su Caspian, la paura per la sua incolumità era stata più prepotente di tutto il resto.

Vide Edmund trattenere Aysell, che aveva fatto l’atto di accorrere al suo fianco e, mentalmente, lo ringraziò: non poteva rischiare la vita della sua amica in quella battaglia che apparteneva solamente a lei.

Il ghiaccio di Jadis emanava un gelo quasi familiare, qualcosa che lei conosceva da sempre.

Sapeva di non poter scappare, non dopo tutti quegli anni passati in fuga: ed allora si voltò, fronteggiando a spalle dritte la propria condanna, trovando gli occhi crudeli e trionfanti della Strega Bianca ad attenderla.

Tutto parve cristallizzarsi, congelarsi. Tutto parve immobile.

Siria si ritrovò a specchiarsi in quello sguardo antico di migliaia di anni, incattivito dalla prigione in cui Aslan ed i Pevensie l’avevano costretta per tredici secoli; si sentiva minuscola, un microbo inutile al cospetto di quella donna malvagia e potente che per tanti secoli aveva tenuto Narnia sotto la propria tirannide.

Il gelo dell’Inverno le penetrò dentro, arrivando a ghiacciarle il cuore.

Aveva paventato quel momento per tutta una vita, Siria: aveva sperato che non giungesse mai… ed invece ecco Jadis davanti a lei, Jadis che la guardava in volto – un sorriso crudele che le piegava le labbra sottili, bianche come la neve.

Ecco che Jadis finalmente l’aveva trovata, dopo vent’anni di fughe e di terrore: e, stavolta, Siria non avrebbe avuto via di scampo.

-Oh, finalmente… Siria.-

Le parole lievi e soddisfatte della Strega Bianca risuonarono cristalline nella segreta, mentre il suo sorriso cattivo si accentuava in una smorfia di gioia pura, violenta, quasi bestiale: tutti, nel sentirla pronunciare con tanta dolcezza il nome della rossa guerriera, abbandonarono definitivamente il combattimento e si voltarono verso le due donne che si stavano fronteggiando.

Siria rabbrividì, scoprendosi incapace persino di tremare: sentiva addosso gli occhi di tutti… tutti quanti erano lì e la osservavano, la vedevano, e lei si trovava sola ed indifesa a fronteggiare il suo più grande incubo…

Caspian le rivolse un’occhiata di sottecchi, senza capire, sorpreso, allarmato, preoccupato… spaventato dall’espressione contratta e ferina della rossa.

Siria abbassò lo sguardo, senza volgersi verso Caspian e tentando di evitare l’occhiata compiaciuta della Strega. Sentiva freddo, per la prima volta da tanto tempo.

Quel gelo che era riuscita a scacciare stava prepotentemente tornando a divorare ogni millimetro della sua anima, raggelando persino il suo respiro breve, affannato. Era dinanzi al suo stesso mostro, e la morsa fredda della paura accecava ogni suo istinto.

-È un piacere incontrarti, finalmente.- mormorò Jadis, squadrandola da capo a piedi con una pericolosa dolcezza nel tono suadente della voce.

-Non è reciproco.- rispose, atona, la voce appena tremante, serrando il pugno intorno all’elsa della spada; la Strega Bianca, però, parve non dare importanza alla sua diffidenza: la soppesò per qualche altro istante, scrutando il suo aspetto così diametralmente opposto al proprio.

-Sei diversa da come immaginavo, cara…- il sogghigno di Jadis si accentuò quando Siria fremette di disgusto alla sua ultima parola, volutamente sottolineata dal tono falsamente civettuolo della sua voce. -…ma soddisfacente, dopotutto.- terminò, soffermandosi sul volto in ombra della raminga, aspettando pazientemente che Siria trovasse il coraggio per fronteggiarla.

Eppure la mercenaria non pareva intenzionata a farlo ancora, a guardare chiunque in quella caverna mentre la sua mano sinistra stringeva la spada tremante e serrava convulsamente le labbra. Non poteva guardarla, non poteva cedere: ne andava della vita di tutti quanti…

Doveva andare via.

Doveva allontanarsi da Jadis, allontanare da lì tutti quanti, prima che la Strega dicesse qualcosa che avrebbe potuto…

-SIRIA!- la rossa si voltò di scatto quando la voce terrorizzata di Talia rimbombò nella caverna; incontrò i suoi occhi, la sua espressione che via via inorridiva sempre di più mentre assimilava la situazione, la realtà terribile della scena a cui stava assistendo… del pericolo immenso che tutti quanti, lì, vicino a Siria, stavano correndo.

-T-Tallie…- per la prima volta nella sua vita Siria si ritrovò a balbettare, confusa, sentendo qualcosa incrinarsi nel petto.

Stava combattendo contro quell’istinto malsano e suicida che le stava urlando di a voltarsi verso la Strega Bianca, di posare una mano su quel ghiaccio liscio ed innaturale e lasciare che il fuoco maledetto dentro di lei liberasse Jadis dalla sua prigione…

Talia lo sapeva, Talia sapeva tutto quanto: aveva combattuto fino allo stremo per impedire che quell’incontro avvenisse, che la dannazione più grande della sua amica si abbattesse sull’intera Narnia.

Ma avevano fallito. Entrambe.

-Ah…- la strega sollevò appena lo sguardo, scostandolo dalla rossa, incontrando sulla sua strada due rabbiose iridi color nocciola. -…la mezz’elfa.-

-SIRIA, VATTENE! VAI VIA!- urlò Talia, ricambiando con odio l’occhiata di sufficienza di Jadis, sguainando intanto la spada che non usava quasi mai; ma Jadis, enigmatica, sorrise… prima di rivolgersi alle sue bestie, accennando con un movimento elegante all’elfa e alla naiade.

-Uccidetele.- mormorò soltanto, ed il suo sogghigno crudele si riflesse sul volto animalesco del licantropo suo servo… esattamente un istante prima che si scagliasse contro Aysell.

-NO!-

Il ruggito spaventato di Siria sovrastò persino il ringhio dell’uomo-lupo: Talia rabbrividì, Aysell tremò, Caspian e Peter fremettero nel sentire la voce della rossa così potente e terrorizzata.

E, un istante più tardi, un’esplosione violenta costrinse la terra a tremare.

Le zampe sporche di sangue della bestia vennero rabbiosamente inghiottite in fauci di ghiaccio emerse dal suolo, le ossa delle gambe che scricchiolavano con un suono agghiacciante: la belva crollò a terra a poche spanne di distanza da Talia e Aysell – che si teneva il braccio, graffiato da quell’attacco repentino –, ma le due ragazze non lo stavano guardando, allibite e spaventate com’erano da...

Da lei.

Tutti, istintivamente, si voltarono, seguendo gli occhi spalancati ed atterriti delle due Figlie di Aslan.

Siria.

Siria era là, la bocca spalancata in un muto grido di orrore: gli occhi erano cinerei e vacui, lontani, terrorizzati da ciò che lei stessa era stata capace di fare.

Sulle sue mani ancora avvertiva il freddo maledetto del ghiaccio, quel ghiaccio che aveva scatenato senza nemmeno rendersene conto… quel ghiaccio che aveva obbedito ai suoi ordini prima che lei stessa potesse fermarsi.

Magia.

-Vedi, Siria?- la voce di Jadis, alle sue spalle, la fece rabbrividire.

Non riuscì ancora a voltarsi, a fronteggiarla, gli occhi che supplichevoli cercavano quelli delle amiche; ma il sussurro tenue e basso della Strega Bianca accarezzò la sua pelle, penetrando con forza nel suo udito, mentre la mano gelata sembrava posarsi sulla sua spalla in un raggelante conforto che non voleva.

-Hai visto, cara?- mormorò, ed a Siria parve di sentire il suo volto a pochi millimetri dal proprio orecchio, il respiro di ghiaccio che penetrava il suo petto mirando a congelarle il cuore. -Ho di che essere fiera di te… mia degna erede.-

A quell’ultima parola, mormorata appena più forte in modo che tutti potessero sentirla, Siria si sentì morire.

Erede.

Quella parola… il suo più grande terrore, la sua discendenza, la sua antenata… quelle poche sillabe contenevano una verità da cui Siria aveva cercato di scappare per tanti anni, una realtà che era quasi riuscita a dimenticare, una condanna a morte che Jadis aveva atteso per secoli pur di vedere compiuta.

Strega.

Siria si voltò di scatto, inorridita, tremante, la spada sempre meno salda nel pugno, fuggendo dagli sguardi allibiti dei presenti – fuggendo dall’espressione tradita e piena d’ira di Peter, fuggendo dal dolore negli occhi di Caspian.

-Non sono come te.- sibilò, ma il suo era un rantolo, la sua voce una supplica, un guaito di dolore.

-Oh, sì invece.- il sogghigno di Jadis si accentuò, quando finalmente gli occhi della ragazza si spostarono nei suoi. -Sì, Siria, tu sei esattamente come me.- mormorò, con un’angelica espressione crudele rivolta a quella ragazza sempre più confusa coi denti serrati e gli occhi ricolmi d’odio. -Sei nata per esserlo.-

-IO NON SONO COME TE!-

L’esplosione di Siria scosse tutti quanti tranne la strega; la rossa mosse un passo indietro, serrando le dita sull’elsa della spada che stava per sfuggirle, mentre l’odio le ribolliva nel suo sangue più violentemente che mai.

Jadis le aveva portato via tutto…

Le aveva portato via sua madre, colpevole soltanto di discendere da lei, dalla Strega Bianca. Le aveva portato via la sua innocenza, spingendola ad uccidere da bambina pur di difendersi dai suoi carnefici. Le aveva portato via la vita, costringendola a vivere nel terrore e ad avere paura persino di se stessa.

Ed ora stava spezzando tutti quei legami che faticosamente aveva stretto, stava distruggendo tutto ciò che aveva costruito e in cui aveva cominciato a sperare… Kain tremò nel suo pugno, mentre il fuoco pulsava e fremeva nel suo petto.

Jadis, però, non si mostrò scossa da quella reazione furiosa, né dall’ira che vedeva ardere nello sguardo imperioso della ragazza.

-Non sarai come me… ma sarai come tua madre, presumo.- mormorò, e sorrise trionfante quando vide la rabbia bruciare ancor più violentemente nel cuore di Siria.

-Non osare parlare di lei!- ringhiò la rossa, l’autocontrollo sempre più labile, sempre più lontano. Sarebbe bastato così poco per incenerire quella maledetta…

Jadis inclinò graziosamente la testa, fissandola con uno sguardo pieno di compassione.

-Ti manca, vero? Povera piccola Siria… figlia di una strega morta sul rogo…- mormorò, con una tenerezza crudele nella voce che fece rizzare un po’ di più le spalle tremanti della raminga.

Caspian, alle sue spalle, la fissava spiritato; tutto andava improvvisamente a posto, tutto repentinamente quadrava: Siria si era sempre odiata… ed ora, finalmente, capiva perché. Aveva visto giusto, aveva capito già da tempo qual’era la verità che la giovane non aveva mai avuto il coraggio di rivelargli.

Siria era una strega.

-SMETTILA!- ruggì la rossa, esasperata e con il cuore che gridava di dolore, le iridi blu che lampeggiavano di rosso nel ricambiare lo sguardo della Strega Bianca. Quella però non si lasciò scuotere, gli occhi quasi bianchi che si riempivano di trionfo nello scorgere la magia pulsare nell’animo della raminga.

-Io posso lenire il tuo dolore, piccolina.- la confortò, allungando tentacoli di magia per sfiorare quella della sua unica discendente donna, l’unica che avrebbe potuto ereditare il dono del Falco di Fuoco che lei aveva strappato ad Aslan, l’unica abbastanza potente da poter essere il ricettacolo perfetto per la sua reincarnazione.

Siria era la sua creatura, l’aveva modellata per essere più straordinaria di qualunque altra strega avesse mai solcato le terre di Narnia – e quel corpo, quella giovinezza, quella forza, presto sarebbero appartenute solamente a lei.

-Non voglio nulla da te.- fu la flebile risposta della ragazza, ma tutti poterono udire l’incertezza e la confusione che vibravano nelle sue parole; la fattucchiera e Nikabrik si scagliarono addosso ai combattenti, distraendoli mentre il licantropo si liberava dalla sua prigione di ghiaccio e fuggiva, guaendo, verso le gallerie sotterranee da cui era venuto.

-Posso riportarti da tua madre, mia dolce Siria.-

Siria scosse la testa, cercando di ignorare quella voce che sembrava in grado di distruggere tutte le sue strenue difese.

-Non vuoi rivederla?-

Oh, avrebbe voluto rivedere sua madre più di qualsiasi altra cosa al mondo… ma Zaira era morta tanti anni prima, era morta a causa di Jadis, a causa di Siria… morta in quel fuoco che la raminga non riusciva più ad ignorare, e che bruciava terribilmente dentro di lei.

-Zaira vive nel fuoco che tu ti ostini a rifiutare, bambina. Lascia che ti avvolga, che ti riempia… lascia che ti porti da me.-

Senza nemmeno accorgersene, ipnotizzata da quelle promesse di sollievo e di pace, Siria mosse qualche incerto passo verso la Strega Bianca, gli occhi vitrei e lontani.

-NO!-

Il grido disperato di Aysell non la raggiunse, non la toccò; la rossa allungò una mano, come succedeva sempre nei suoi incubi più vividi, attratta dal gelo di Jadis che le prospettava un lungo sonno privo di sogni…

Ma una spada trafisse, all’improvviso, il ghiaccio in cui Jadis era intrappolata, strappando Siria al suo controllo un istante prima che le sue dita toccassero quelle della Strega.

Jadis sussultò, gemette, allungò le mani impalpabili verso quella lama che non poteva toccare: dal punto in cui s’era immersa si diramarono mille e mille crepe, che salirono a frantumare l’immagine della donna ora atterrita…

E, in un istante, la parete esplose in mille pezzi, lasciando dietro di sé soltanto una voragine vuota.

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My Space:
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Peter: abbi almeno la decenza di dire qualcosa.
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Peter: disgraziata -.-

Seriamente, non so che cosa dire ^^' siamo arrivati finalmente al rush finale!
Aspettavo questo momento, la rivelazione su Siria, sin dall'inizio: gli indizi c'erano tutti, oggettivamente, ma spero di avervi sorpreso comunque!
Non ho molto da dire: le spiegazioni sono tutte in questo capitolo e nei prossimi che seguiranno! Le lascio ai personaggi, sono più bravi di me... ma aspettatevi danni, ENORMI danni (anche perché Peter è un idiota!)!
La scaletta dei prossimi aggiornamenti sarà la seguente:
13/10 - Capitolo 40
27/10 - Capitolo 41
10/11 - Capitolo 42
24/11 - Capitolo 43
E posso dirvi che la storia intera comprenderà 50 capitoli tondi tondi! :D
Peter: non so quanto questo sia un bene -.-
...sono solo io a trovarlo stressante, questo tizio biondo?



Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 40
*** Demons. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
40th Chapter

Demons - Imagine Dragons

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Ad Aaron gelò il sangue nelle vene quando un terribile frastuono risuonò dalla cripta fino al campo di addestramento.

Si voltò di scatto e con lui Susan, poco lontana; sentivano la voce di Peter impartire stentorei ordini ai propri soldati, mentre qualcun’altro urlava qualcosa d’indefinito.

Il rosso portò istintivamente la mano destra all’elsa della spada, quando si accorse di quanto quella voce furiosa assomigliasse a quella di Talia.

Tallie non urlava mai: piuttosto rispondeva a tono con cinismo e sarcasmo taglienti quanto una lama, ma non gridava e non esternava se non in preda ad una rabbia atroce – cosa che stava facendo adesso, e a pieni polmoni: distinse chiaramente la sua voce scandire un “lasciala!” a cui avrebbe obbedito praticamente chiunque, terrorizzato dall’espressione omicida che doveva essere apparsa sul suo volto di mezzosangue.

Scambiò un’occhiata preoccupata con Sue che, per precauzione, aveva messo mano all’arco.

Che cosa…

E poi li vide emergere dal buio, quattro arcieri armati e Peter, con la spada sguainata in pugno, il volto di pietra, gli occhi pieni d’odio.

Li vide e seppe immediatamente che cosa era successo: perché, quando li vide, vide anche nel pugno serrato di Peter un polso più esile, candido come la neve, prima che sua sorella venisse bruscamente scaraventata a terra in mezzo al campo.

Avevano scoperto tutto. Avevano scoperto Siria.

L’avrebbero uccisa.

-Ehi!- sbottò, sguainando la spada e correndo da lei, senza esitare nemmeno per un istante: sua sorella era in pericolo, sua sorella pareva non essere nemmeno in grado di rialzarsi in piedi e, adesso, sua sorella aveva bisogno di lui.

-Stai lontano, tu!-

Niente avrebbe mai potuto eguagliare l’odio che Aaron provò verso Peter, in quell’istante.

Lo odiò, lo odiò tanto che se non fosse stato per Siria lo avrebbe affrontato senza esitazione: e lo avrebbe ucciso, senza alcun dubbio – né rimorso, soprattutto.

Ma c’era Siria.

Siria, i capelli che le coprivano il viso, una lunga ferita rossa che le correva lungo il braccio.

Siria, la schiena scossa dai singhiozzi, improvvisamente fragile quanto cristallo – quanto cristallo spezzato.

-Siria!- sbottò, ignorando del tutto l’avvertimento del Re Supremo e correndo da lei, lasciandosi cadere in ginocchio al suo fianco per sostenerla prima che crollasse del tutto.

La strinse a sé, rialzandosi in piedi e serrandola contro il proprio petto con la spada ben stretta in pugno; piangeva, Siria, accucciata contro di lui come un animale ferito a morte, ed Aaron poteva sentirla singhiozzare “sanno tutto” e tremare come mai prima d’allora le era successo.

-Stalle lontano.- sibilò, alzando lo sguardo su Peter.

Peter, che la guardava con un misto di odio e di disgusto che vibrava persino nella lama di Rhindon.

Peter, che pareva aver dimenticato l’affetto che lo legava a sua sorella, l’acciaio della lama sporco del sangue di Siria.

Peter, di cui lei si era fidata.

-Sono qui. Non ti farà niente, sorellina, sono qui.- mormorò a mezza voce, stringendola più forte, avvertendo la sua stessa paura riempirlo e svuotarlo allo stesso tempo.

Non avrebbe permesso a nessuno di farle del male. Peter, i suoi soldati, il mondo intero: non erano niente, avrebbe difeso sua sorella a costo della vita – sua, o di quell’imbecille che aveva davanti.

-Spostati.-

La voce del Re Supremo riuscì a colpirla nonostante fosse al sicuro fra le braccia di suo fratello. Riuscì ad immergersi nella sua schiena, un pugnale piantato con forza e rabbia in mezzo alle sue costole.

Aaron la sentì tremare sotto quel colpo, un colpo che le aveva probabilmente fatto ancor più male di quel taglio sul braccio e della stretta sul polso che, rapidamente, stava diventando livido.

-Non toccare mia sorella, Pevensie, o giuro che ti ammazzo.- ringhiò, gli occhi azzurri che si assottigliavano, la mano destra che si serrava sull’elsa. Peter non indietreggiò – anzi; diede ordine agli arcieri di circondarli e lui stesso avanzò di qualche passo, furibondo.

La voce dura, quasi metallica del Re Supremo risuonò nella radura dinanzi alla cripta, accompagnata dal suono inquietante della sua spada che tagliava l’aria mentre veniva brandita. Il biondo era là, armato, il volto deformato dall’odio e dal disgusto, lo sguardo rabbioso fisso sulla ragazza in lacrime stretta al petto di suo fratello.

Siria. Una strega.

-Levati di mezzo, Aaron!- gli intimò, ma il suo ordine fu coperto dagli strilli furiosi che scoppiarono pochi metri dietro la linea dei guerrieri.

-LASCIALA IN PACE, DEFICIENTE!-

Peter ignorò la voce acuta di Aysell, che Caleb aveva acciuffato al volo prima che si scagliasse addosso al Supremo Re con tutto il suo peso di Elementale infuriata. Talia invece era accanto a Caspian, e gli occhi scuri di entrambi erano inchiodati – chi con paura, chi con dolore – sulla figuretta sussultante di Siria.

-È l’erede di Jadis, non mi serve sapere altro. Lei e suo fratello sono una minaccia per tutti.- sentenziò, la voce una vera e propria condanna a morte che echeggiò in tutto l’accampamento.

Aaron alzò lo sguardo, rivolgendogli un’occhiata cattiva. Gli arcieri tenevano i due fratelli sotto tiro, impedendogli praticamente qualsiasi movimento; ma il rosso non pareva intenzionato a lasciar andare sua sorella, che fremeva di terrore nell’incavo delle sue braccia.

Suo malgrado, Peter si sentì stringere il cuore a quella vista straziante.

Siria aveva lentamente guadagnato il suo rispetto, la sua stima, il suo affetto di amico… e molto di più, era riuscita a farlo fidare di lei, a strappargli quelle confessioni private di cui improvvisamente provava un disgustoso imbarazzo.

Lo aveva tradito… lei, che per prima era riuscita a guadagnarsi la sua amicizia.

-N-no.-

La voce spezzata di pianto della rossa risuonò improvvisamente fra i suoi silenziosi singhiozzi. Attirò su di sé gli sguardi di tutti: di Caleb e Talia, che sembravano intenzionati a combattere strenuamente pur di proteggerla; di Aysell, che pareva anch’ella sull’orlo delle lacrime di frustrazione; di Susan, Lucy ed Edmund, che la guardavano con un misto di paura e pietà che le diede soltanto sui nervi; di Peter… e di Caspian, che la fissava con dolore, con tristezza, con qualcosa di indecifrabile che oscurava il suo volto.

-Cosa “no”?- sbottò il biondo, quando gli occhi blu della strega – continua a ripetertelo, Peter: strega, non Siria – si alzarono, pieni di vergogna, su di lui.

-Aaron è… è figlio di madre diversa. Non c’entra nulla, con mia… m-mamma.- singhiozzò lei, senza riuscire a sostenere quello sguardo rabbioso, colmo d’odio, ferito, che l’Alto Re le rivolse.

Peter vide Aaron scuotere appena la testa, rassegnato, ferito, esasperato lui stesso dall’atteggiamento della ragazza. Riconobbe in quelle parole il carattere di Siria, comprese ancora una volta quanto il desiderio di proteggere chi amava fosse ben superiore a quello di salvare se stessa.

Non è come Jadis, Peter. Lei non l’avrebbe mai fatto.

-Aysell, Talia… non fate niente.- la ninfa e l’elfa sussultarono, sentendosi tirare in causa quando Siria si allontanò dal fratello. Potevano avvertire un rivolo di magia scorrere dalla ragazza ad Aaron – gli stava impedendo di tornare a proteggerla e così facendo, molto probabilmente, gli stava salvando la vita.

-Siria…- fu il lieve sussurro della naiade, che la guardò gli occhioni spalancati e preoccupati. Sentiva la magia pulsare nel sangue della rossa e riverberarsi in lei, non più nascosta né trattenuta e che, irruente come un fiume in piena, spezzava gli argini che la sua recalcitrante proprietaria aveva eretto per trattenerla.

Presto sarebbe esplosa, presto non sarebbe più stata in grado di evitarlo… dopo vent’anni di rifiuti, la strega in lei avrebbe preso il sopravvento.

Lo sguardo della rossa era scuro, spento; non si mosse quando si ritrovò sotto il tiro di un manipolo di frecce diverse, con gli sguardi di tutti puntati sgradevolmente addosso. Lei non guardò nessuno; nessuno, salvo il biondo Re che avanzò verso di lei in un paio di rapide falcate, la lama della spada che repentinamente si fermava ad un millimetro dalla sua gola.

Peter era di fronte a lei, adesso.

Il giovane re scorse le lacrime e il disgusto riverberare in un atroce scintillio masochistico, distinse quella… rassegnazione con cui lei lo guardava, quelle iridi vuote e sconfitte con cui sosteneva le sue.

I pugni di Siria erano stretti, ogni suo muscolo era in tensione: vedeva il sangue pulsare spaventato nella giugulare, poteva quasi avvertirne il ritmo attraverso la lama premuta sulla sua pelle.

-Fallo.- mormorò soltanto, quando il volto del Re Supremo si ritrovò a poco più di una manciata di centimetri dal proprio.

Il biondo sussultò, stupito: possibile che Siria gli stesse dando il permesso di… di ucciderla?

-Sono anni che cerco un modo, Peter.- sussurrò la giovane strega, le lacrime che, silenziosamente, le scendevano lungo le guance. Soltanto lui poteva sentirla, soltanto lui poteva vedere la determinazione suicida nel suo sguardo.

Fu quello, più di qualsiasi altra cosa, a farlo esitare.

Vuole morire, Peter. Non c’è bugia nei suoi occhi, vuole soltanto morire.

-Perché?- si ritrovò a chiederle, in quel dialogo di cui soltanto loro sentivano le parole – e non lo domandò come un Re avrebbe dovuto fare contro l’erede della sua più grande nemica: era semplicemente Peter che, come tante volte prima d’allora, si rivolgeva alla sua migliore amica.

-Non voglio fare del male a nessuno.- fu la tenue risposta di lei, le lacrime sempre più copiose sul suo bel volto.

Mai come in quel momento avrebbe desiderato lasciarsi stringere da Caspian… ma se era così doloroso affrontare Peter non osava immaginare quanto male avrebbe potuto farle sostenere per più di un attimo gli occhi delusi, feriti e arrabbiati del suo principe.

Devi lasciarlo andare. Devi morire. È l’unico modo per proteggerlo, Siria.

Se adesso stava implorando come mai aveva fatto nella sua vita, se stava scongiurando quello che si era ritrovata a considerare un amico di porre fine alla sua esistenza dannata, era soltanto per Caspian.

Peter lo sapeva. Peter lo vedeva nei suoi occhi, comprendeva – si stupiva anche, di quella richiesta.

Basta solo che faccia in fretta.

-Peter… ti prego.- fu su quelle due parole che l’ultimo argine al suo dolore si ruppe.

Lo sentì irrompere nella sua mente, forte come non mai. Anche l’orgoglio non era che un lontano ricordo, l’ultima àncora prima di sprofondare in quell’oceano di sofferenza; si ritrovò a tremare quando davanti ai suoi occhi passarono, rapide come fotogrammi, le immagini più cruente.

L’uccisione di sua madre, il suo corpo che bruciava nel fuoco, le sue urla disperate via via inghiottite dal crepitio delle fiamme.

L’odore della carne bruciata, delle lacrime che come quella volta adesso scendevano copiose, della terra in cui era crollata in ginocchio, implorando quella gente di fermarsi.

L’immagine chiara e nitida di un coltello, nelle mani tremanti di una bambina, dei tagli che da sola si era inferta pur di fuggire dalla vergogna di essere una strega.

Era cristallino, quel ricordo, e altrettanto limpida era l’immagine di un Aaron molto più giovane, sconvolto, che tentava di fermare quell’emorragia.

Il senso di solitudine e di smarrimento in mezzo alla foresta, quando si era decisa a fuggire, a liberare suo padre ed il suo fratellastro dalla sua pericolosa presenza… si era rannicchiata lì, sotto quell’albero, aspettando soltanto di morire.

Siria avvertì la lama tremare sul proprio collo.

Alzò lo sguardo e vide gli occhi sbarrati di Peter, l’orrore scritto nel suo volto. Non seppe spiegarsi il perché di quell’improvvisa consapevolezza ma fu certa che quei ricordi, che ora si susseguivano veloci nella sua mente, fossero chiaramente visibili anche al Re.

-Ti scongiuro… uccidimi.- mormorò soltanto – ed alle sue parole quelle immagini, quelle cruenti memorie, scomparvero.

Il biondo scosse la testa, improvvisamente di nuovo lucido ed in grado di pensare coerentemente: però non riusciva a togliersi di dosso l’orrore che quei pensieri gli avevano provocato, la fitta di dolore al pensiero di quante ne avesse passate Siria…

-Io non…- esitò, Peter, di fronte alla preghiera di lei. Più di tutto il resto sentirla scongiurare, implorarlo, era… terribile.

Non poteva farlo. Non poteva.

Non ci sarebbe riuscito comunque, nemmeno se non avesse visto tutto quanto… lui le voleva bene, non sarebbe mai stato in grado di porre fine alla sua vita in quel modo, a sangue freddo. Nemmeno durante un duello, nemmeno se lei lo avesse attaccato.

-…io non posso, Siria.- sospirò, sconfitto.

L’aveva chiamata per nome.

Siria notò soltanto questo, nel fitto senso di delusione e di paura che il suo rifiuto le riversò prepotentemente addosso.

Lo guardò, implorante, quando il Re Supremo si allontanò di un passo da lei, abbassando la spada e facendo cenno agli arcieri di riporre gli archi. Loro obbedirono, e Siria si ritrovò sola in quello spiazzo d’erba – sola come non era mai stata.

Sentì freddo… il freddo della Morte che, per l’ennesima volta, l’aveva sfiorata senza trascinarla con sé.

Vide soltanto un movimento indistinto, Peter annuire con lo sguardo rivolto a terra, prima che una presa salda, quasi dolorosa, si stringesse intorno al suo polso.

-Vieni via.-

Siria si sentì morire – un’altra volta – quando riconobbe la voce di Caspian in quel tono duro e rabbioso.

L’ultima cosa che avrebbe voluto era affrontare anche lui, soprattutto adesso che anche l’ultimo barlume di orgoglio l’aveva abbandonata, lasciandola sola in balia dei propri mostri. Non si oppose però quando Caspian la trascinò verso la foresta, senza delicatezza, senza la dolcezza a cui era abituata. Le stava facendo male, ma sembrava non importargli.

D’altronde, a chi importa di una strega?

Non appena gli alberi presero il posto del prato, Siria si ritrovò violentemente premuta contro il tronco di un faggio, le mani di Caspian convulsamente strette sul legno ai due lati del suo viso, l’espressione furibonda e ferita del principe ad un soffio dai suoi occhi.

Trasalì. Avrebbe voluto ritrarsi, ma era impossibile; Caspian le bloccava qualsiasi via di fuga con il proprio corpo, la intrappolava e la costringeva a guardarlo in faccia.

Chiuse gli occhi, le braccia che salivano istintivamente a chiudersi intorno al proprio ventre in un istintivo gesto di autodifesa.

-Guardami.- la rossa scosse la testa, voltandosi, le lacrime che scendevano tormentate ma silenti sulle sue guance.

Non poteva farlo, non ci riusciva, perché vedere i suoi occhi avrebbe significato soltanto capire quanto lo avesse deluso, quanto male gli avesse provocato, quanto lui la odiasse… ed era qualcosa che non poteva fisicamente sopportare, il suo cuore urlava disperato soltanto all’idea di capire di averlo perduto davvero.

Perché lui era diventato il centro della sua vita… e, se non era ancora morta, se aveva provato a combattere contro se stessa e contro la propria natura, era stato soltanto per qualche istante in più accanto al Principe di Narnia.

-Ti ho detto di guardarmi.-

Quelle parole furono più dolorose di un colpo in pieno petto. Siria le sentì trapassare il suo torace, affondare nel suo cuore con rabbia, spezzare ossa e tendini e fermare – una volta per tutte – quel povero muscolo straziato.

Silenzio.

Non batteva più nulla dentro di lei.

Sentì i propri occhi vacui, Siria, quando tremante alzò lo sguardo su di lui. Erano vuoti, spenti: non c’erano nemmeno più lacrime. Di lei era rimasto un guscio vuoto, una bambola – niente di più, perché quel poco di speranza che l’aveva tenuta in vita fino a quel momento era scomparsa, perduta in quei due baratri neri che la fissavano con ira.

Caspian si sentì cedere un poco dinanzi a quell’espressione sconfitta, persa.

Era terribile vederla così, era orrendo rendersi conto di quanto le stesse facendo del male… parte di lui avrebbe voluto stringerla, baciarla, proteggerla e sussurrarle che non gli importava chi fosse, cosa fosse, purché la vita tornasse limpida in quegli occhioni bui…

Ma la delusione, il dolore che le sue bugie gli avevano fatto, glielo impedirono.

-Perché non me l’hai detto?- le chiese, con quel tono duro e violento che non gli apparteneva, che mai avrebbe voluto rivolgere a lei.

La vide tremare come se la sua voce potesse infierire ancor di più sul suo corpo improvvisamente fragile, indifeso, martoriato da ferite invisibili che lui stesso stava causando.

Si odiò come mai, Caspian, in quell’istante.

-Non…- cominciò lei, le labbra rosse che vibravano di terrore. -…n-non volevo avessi paura di me.- balbettò, fissando un punto indefinito oltre la sua spalla, senza più la forza nemmeno di guardarlo.

-Io ho paura adesso, Siria!- sbottò il Principe, esasperato, prendendola per le spalle e costringendola rabbiosamente ad affrontarlo. La sentì tremare, sotto le dita, vide i suoi occhi riempirsi di lacrime. -Mi hai mentito, come faccio ora a fidarmi di te?- continuò, più per sfogare la frustrazione che aveva dentro che per aggredire lei.

-Non avresti dovuto farlo mai.- fu il sussurro spento di lei, cercando nuovamente di ritrarsi, di sfuggirgli.

Caspian rovesciò gli occhi al cielo, esasperato, prima di abbassare nuovamente il viso e portarlo a livello del suo.

-Siria, dannazione! Sapevo che mi stavi nascondendo qualcosa, l’ho accettato da molto tempo, ma tu avresti dovuto essere sincera e dirmi la verità! Perché non vuoi capire?- esclamò, cercando di scuoterla, di risvegliarla da quell’incubo che sembrava averla inghiottita. -Io ti amo, stupida strega che non sei altro, perché non ti sei fidata di me?- continuò, ignaro del brusco scossone inferto all’anima martoriata della ragazza di fronte a lui.

Io ti amo.

La sua mente non riusciva più a registrare altro. Si era fermata a quelle tre parole, le uniche parole che lui non avrebbe mai dovuto dire, le uniche parole capaci di distruggerla davvero.

Io ti amo.

Ferivano, quelle parole, perché sapere di doverlo allontanare prima che la magia – sempre più potente in lei – prendesse il sopravvento era ancora più doloroso.

La sentiva: ormai ruggiva nel suo petto, nel suo sangue, occupava ogni meandro lasciato libero dalla sua anima spezzata, dal suo cuore morto. Presto avrebbe distrutto quel poco di umano che era rimasto ancora in lei, presto avrebbe usato il suo corpo per ridare vita alla Strega Bianca… e lei sarebbe stata peggio che morta.

Perché Peter non mi ha uccisa?

Le ginocchia le cedettero prim’ancora che lui finisse di parlare. Scivolò lungo il tronco dell’albero fino a finire a terra, lo sguardo non più vacuo, ma colmo di qualcosa molto simile a puro terrore.

-Siria?- Caspian, preoccupato, s’inginocchiò accanto a lei. Il suo viso le apparve sfocato, attraverso il velo di lacrime che appannava i suoi occhi… eppure non le era mai sembrato più bello.

-Io non ti ho mai mentito…- nemmeno si rese conto di aver parlato, di essere riuscita a mettere insieme una frase di senso compiuto con quella voce sussurrata, quasi delirante. L’unica cosa che desiderava era dirglielo, fargli capire che… anche lei…

-No, non l’hai fatto.- la voce di Caspian suonava come il rintocco dell’orologio che regolava i suoi ultimi attimi di vita. -Hai fatto di peggio, Siria. Non ti sei fidata di me.-

Lo avvertì alzarsi lentamente, allontanarsi di un passo da lei. Tutti facevano un passo indietro di fronte a lei, notò la rossa, senza nemmeno la forza di alzare gli occhi per guardarlo. Era normale, dopotutto… cosa poteva aspettarsi di diverso nei confronti di una strega?

Non poté far altro che stringersi le ginocchia al petto, non appena libera della presenza pressante di lui. Vi affondò il viso, cercando buio e conforto che, tuttavia, sapeva di non poter trovare in se stessa.

Restò dov’era quando lo sentì andarsene, quando avvertì i suoi passi farsi più lontani nel sottobosco.

 _

Sei uno stupido.

Questo era l’unico pensiero che Caspian riusciva a formulare verso se stesso. Era stato uno stupido a trattarla così, a farle del male in quel modo… lo aveva visto quanto Siria fosse rimasta sconvolta da tutto quello che era successo nell’ultima mezz’ora… soltanto mezz’ora

Non è difficile capirla… aveva soltanto paura di perderti, idiota!

Il principe si fermò di botto, riflettendo su quell’ultimo pensiero.

Siria non gli aveva davvero nascosto quasi niente. Gli aveva parlato di tutto, gli aveva rivelato anche le cose più oscure e terribili che era stata costretta a compiere, gli omicidi che aveva perpetrato, i crimini e gli orrori che l’avevano accompagnata… aveva rischiato la vita per lui e per il popolo di Narnia, lo aveva salvato da morte certa, lo aveva amato

Era così riprovevole che gli avesse nascosto ciò che era?

Aveva visto il suo viso spegnersi completamente quando si era allontanato, disgustato da se stesso e da come si stava comportando nei suoi confronti. Aveva capito subito quanto la sua lontananza potesse ucciderla… era così brutto che avesse cercato di non perderlo?

E poi, a lui interessava davvero che lei fosse una strega?

A lui le cose non cambiavano, in fondo: era sempre Siria, la donna di cui si era innamorato… cosa importava che fosse una strega? Cosa cambiava per lui?

Sospirò di nuovo, prendendo fiato.

Sei uno stupido.

Se solo avesse pensato prima di parlare… si voltò di scatto, ripercorrendo all’inverso la strada che aveva percorso per allontanarsi da lei.

Un atteggiamento alquanto fraintendibile, Caspian, si disse, maledicendo la propria idiozia.

Si era allontanato per calmarsi, per riprendere il controllo su di sé, per smetterla di farle del male con quelle parole che parlavano con la voce della delusione; ma Siria poteva benissimo aver frainteso, chiunque al suo posto avrebbe frainteso, sicuramente aveva pensato che lui la stesse abbandonando…

-Siria!- sbottò, allarmato dal suo stesso pensiero, gli occhi neri che dardeggiavano atterriti in mezzo alla foresta. Gli alberi, l’erba, le piante… era tutto immobile.

Nessuna macchia color fuoco, nessuna ragazza accoccolata contro il tronco di un albero. Per terra soltanto una macchia argentea che riconobbe come un medaglione… il medaglione che lui le aveva donato.

E Siria… Siria non c’era più.

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My Space:

Buonsalve!
Peter: vattene.
Ma veramente è la mia fanfiction!
Peter: VAI. VIA.

....scusate Peter, è sempre più molesto -.- non gli basta fare casino nella storia, deve anche venire a rompere qui -.-'
Va beh, a parte gli scherzi, siamo arrivati a -10 e comincia il countdown finale per il finale della storia!! Ora comincerete ad odiare Peter quanto lo detesto io, ma in fondo Siria gli vuole tanto bene (e forse è per questo che non muore mai, quel dannato COSO).
Sinceramente, non so cosa dire su questo capitolo senza rischiare di essere linciata come Peter ^^' quindi vi lascio presto, e vi prometto che il biondastro la pagherà ampiamente U_U
Peter: come se vivere nella sua testa non sia una punizione sufficiente.


Tabella prossimi aggiornamenti:

27/10 - Capitolo 41
10/11 - Capitolo 42
24/11 - Capitolo 43
08/12 - Capitolo 44



Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 41
*** The Swan Song. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
41th Chapter

The Swan Song - Within Temptation

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I rovi le graffiavano la pelle, le strappavano gli abiti: ma a lei non importava.

Correva a perdifiato in quella foresta silente e malinconica che non le apparteneva, mentre il cuore le pompava panico e disperazione nelle vene sottili ed il Sole allegro creava crudeli riflessi azzurri nelle sue vesti.

Non poteva fermarsi.

Doveva trovarla… doveva continuare a cercare, non aveva alcun diritto di abbandonarsi allo sconforto che sentiva serrarle lo stomaco in una morsa d’acciaio.

-Siria!- gridò, angosciata, Aysell.

Della raminga non c’era traccia: Siria era scappata, poteva avvertire l’energia pulsante del fuoco che le danzava in corpo farsi sempre più potente, sempre più incontrollabile – presto si sarebbe arresa a quella forza dirompente – ma lei poteva evitarlo… poteva riportarla indietro.

-SIRIA!- chiamò ancora, la voce piena di rabbia e di preghiere mai pronunciate, alzando gli occhi grigi verso le folte fronde degli alberi di Narnia per cercare una qualsiasi traccia del passaggio della sua amica.

Nessun riflesso scarlatto ballava in quel verde meraviglioso.

Crollò in ginocchio, Aysell, i lunghi capelli biondi che sfuggivano alla coda e le ricadevano, come un misericordioso mantello dorato, sulle spalle esili.

-Siria, torna indietro!- gemette, aggrappandosi alla flebile ombra che le riempiva la mente di speranza: Siria era ancora viva, non si era ancora arresa, stava ancora lottando… poteva sentirla? -Torna indietro, Sir… ho bisogno di te…- singhiozzò, arrendendosi al pianto e scoprendo di tremare come una fogliolina abbandonata.

Siria non sarebbe tornata indietro.

L’aveva appena ritrovata dopo sette anni di separazione, non poteva averla perduta in quel modo! Siria era parte della sua famiglia… era parte di lei… le era stata accanto, era stata la prima creatura ad avvicinarsi a quella bizzarra Guardiana senza magia – la prima persona a considerarla un’amica e non uno scherzo della natura

Si lasciò cadere, stremata, sul tappeto di foglie secche che componeva il sottobosco, mentre le lacrime le rigavano le guance nivee.

Siria si sarebbe arresa.

Era la cosa giusta da fare, le avrebbe detto; era l’unica soluzione possibile, le avrebbe ricordato; ma come poteva arrendersi alla consapevolezza di aver lasciato morire la sorella che lei stessa si era scelta, per affetto e non per qualche legame di sangue?

Si raggomitolò su se stessa, fremendo di paura e del senso devastante dell’abbandono – sola, per l’ennesima volta nella vita, lontana dal mondo e dalle persone che le erano care.

Non si accorse, sconvolta com’era, del lieve alito di vento che l’avvolse in una stretta cara ed affettuosa – né vide quelle volute impalpabili mutare in carne ed ossa attorno a lei, abbracciandola e cullandola come avrebbe fatto una madre con la propria figlia.

Si lasciò solamente andare contro la spalla di Mirime, piangendo in silenzio tutto il proprio dolore, mentre sentiva il Fuoco di Narnia affievolirsi dentro di lei.

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§

 _

-SEI UN FOTTUTO IDIOTA! TU, E QUELL'ALTRO IMBECILLE BIONDO!-

L'urlo a pieni polmoni di Talia sovrastò tutte le voci che si susseguivano, timorose e concitate, nella grande sala della Tana di Aslan; il principe sospirò, stringendosi la testa fra le mani, con in viso l'espressione angosciata di chi sa di essere rimproverato a ragione.

-Lo so… Talia, smettila, so cosa…-

Un brusco movimento della bruna – la figura massiccia di Caleb che si spostava fra loro.

Caspian alzò lo sguardo, allibito, quando si rese conto che il biondo riccioluto aveva evitato, per pochi istanti, che Tallie gli stampasse un massacrante cazzotto dritto sul naso.

Avrebbe fatto bene, gli suggerì una vocina malefica nella mente.

-No, tu non sai cosa hai fatto! L'hai condannata a morte, imbecille!- strillò l'elfa, ignorando per una volta la consapevolezza di essere disordinata, arruffata, completamente sconvolta. Sentiva, flebile e lontana, la vita di Siria appesa al filo dei suoi pensieri disperati: era questione di minuti, forse, prima che la magia prendesse il sopravvento su di lei…

-Che cosa!?- sbottarono Caspian e Peter all’unisono, sconvolti.

Talia sospirò, scambiando uno sguardo angosciato con Cornell mentre Aaron e il biondo volgevano la testa per ascoltare ciò che lei aveva da dire: il centauro annuì appena, cupo in volto, volgendosi verso i tre giovani uomini e schiarendosi la voce.

-Siria Zairassen è l’erede del ruolo di Jadis, il primo ricettacolo figlio della stirpe della Strega Bianca a possedere abbastanza potere magico da eguagliarla.- declamò, la voce più distante e cupa che mai, mentre gli occhi bruni fissavano, con fierezza ed alterigia, l’espressione sconvolta dell’Alto Re di Narnia.

-Siria è una strega, la più potente mai nata dopo Jadis.- confermò Talia, ignorando volutamente Peter e rivolgendosi, perciò, a Caspian. -Però non vuole, né ha mai voluto, sperimentare la magia.- continuò, scuotendo appena la testa al lampo scuro negli occhi dell’idiota biondo.

-Tu immagina… le streghe sono l'eccesso, sono le versioni più estreme di un essere umano; non sanno cos'è una via di mezzo, per i loro caratteri esistono soltanto bene o male. È il cuore a decretare la loro scelta, la pendenza dell'ago.- gli spiegò, paziente, sapendo che quelli erano segreti che nemmeno il saggio Cornelius avrebbe potuto rivelare al giovane principe – solamente chi aveva vissuto molto a lungo aveva potuto accedere a quei misteri.

-Quando incontrai Siria per la prima volta lei già sapeva cos'era. Sua madre è stata uccisa sotto i suoi occhi, proprio perché era una strega. Siria l'ha vista bruciare sul rogo.-

Susan, che fino a quel momento aveva tenuto fra le proprie le mani di Aaron ed era rimasta in silenzio, sgranò gli occhi.

Talia annuì in sua direzione, rispondendo così alla silenziosa domanda della Regina: sì, Siria aveva affrontato quel calvario ed aveva portato sulle spalle la consapevolezza di essere stata una delle cause della morte della propria madre.

-…è stato allora che Sir ha deciso di rinnegare qualsiasi legame con la magia, e sempre allora mi scongiurò di proteggere gli altri da se stessa.-  sospirò, osservando di sottecchi la reazione di Lucy e di Edmund – Lucy sembrava un cucciolo abbandonato, ma Edmund scuoteva appena la testa in un muto gesto di sconforto, segno che Siria aveva fatto bene a fidarsi di lui nel rivelargli la propria identità.

-Siria è sempre stata combattuta fra la sete di vendetta ed il terrore di fare del male, di diventare una creatura malefica. Ha cercato di togliersi la vita da bambina, pur di non permettere a Jadis di tornare.- intervenne Aaron, stringendo a sé Susan mentre pronunciava quelle parole che decretavano il suo fallimento come fratello e come padre: non era stato in grado di salvare sua sorella, nonostante fosse stata la cosa che più aveva desiderato al mondo.

Caspian trasalì, sconvolto. Nella sua mente s’affacciò il ricordo di due sottili cicatrici bianche, che spiccavano sulla pelle chiara dei polsi di Siria… Siria aveva tentato di togliersi la vita da bambina.

Ignorò la stretta al cuore che quella consapevolezza gli provocò, guardando Talia e scongiurandola, con lo sguardo, di non smettere di parlare.

-Siria è una delle persone più buone che conosca, Caspian. Pur di non lasciarsi andare all'odio è diventata una cacciatrice di taglie, una mercenaria, incanalando la sua rabbia verso degli obiettivi precisi: ladri, assassini, stupratori… tutti coloro che catturava, che consegnava, erano una piccola valvola attraverso cui parte del suo odio se ne andava, spariva.- gli concesse lei, mentre un sorriso triste le si disegnava in volto: Siria aveva lavorato così tanto per diventare una persona buona, in grado di controllare la parte più oscura di sé…

-Quando sei arrivato tu io ho sperato, ho sperato davvero che potessi essere la svolta, il mutamento improvviso. L'ho vista guardarti sognante, sorriderti – sai quanto è difficile farla sorridere?- gli domandò, sentendo la rabbia evaporare dal proprio cuore nel guardare gli occhi imploranti del principe: come poteva odiarlo? Caspian aveva reagito anche troppo bene, dopotutto… aveva sbagliato, sì, ma non aveva mai voluto fare del male alla donna che amava.

-Per me no…- mormorò, rammentando la facilità con cui Siria si era sempre abbandonata alle risate e alla serenità quando si trovava insieme a lui.

-Io pregavo che tu potessi salvarla da se stessa. Siria si odia, ha sempre temuto di diventare malvagia, per quella rabbia che l'ha sempre corrosa da dentro… speravo che tu potessi permetterle di accettarsi e ci stavi anche riuscendo… era questione di tempo, presto ti avrebbe parlato anche di Jadis.- Talia gli rivolse un’occhiata che avrebbe voluto essere di compatimento, ma che risultò – per entrambi – uno sguardo angosciato e pieno di delusione ed amarezza.

-Io… a me non…- cominciò lui, ma l’altra lo interruppe quasi immediatamente.

-Lo so che non t'interessa, dannazione!- sbottò, chiudendo poi gli occhi per qualche attimo e cercando di mantenere la calma: non era tutta colpa di Caspian se si era creato quel casino, doveva tenerlo a mente.

-Il problema è che Siria adesso è confusa: ha perso la fiducia in se stessa che tu le davi, mio principe.- intervenne Cornell, vedendola in difficoltà, ma fu il Re Supremo a porgli quella domanda che aleggiava fra tutti loro da quando Siria se n’era andata.

-E potrebbe… potrebbe lasciarsi andare? Alla rabbia, al male?-

-Sì. Potrebbe benissimo farlo.- il disprezzo con cui Talia si rivolse a Peter fu più che sufficiente a farlo trasalire, quando gli occhi scuri e pieni d’odio della mezz’elfa incrociarono per qualche istante i suoi.

Talia non l’avrebbe perdonato facilmente.

-Ma conosco Siria… è una persona buona, forse anche troppo. Non è mai stata capace di far del male gratuitamente.- Tallie avvertì gli occhi pungere quando l’unica soluzione, che anche la sua amica doveva aver compreso, si presentò fra i suoi pensieri.

Siria sapeva che ormai non avrebbe più potuto trattenere la sua magia… non ne era nemmeno più in grado, la forza impressionante con cui l’aveva imbrigliata per tanto tempo non esisteva più.

Serrò le palpebre, ricacciando indietro le lacrime che lottavano per sfogarsi, per scenderle lungo le guance. Siria non avrebbe voluto vederla piangere, avrebbe sorriso e le avrebbe detto di andare avanti, che era meglio così.

Le avrebbe detto di resistere.

-Talia… no…- riaprì gli occhi soltanto al sussurro di Aaron, alzando lo sguardo su di lui.

Tante volte si era trovata in disaccordo con il rosso, ed aveva perso il conto delle discussioni che li avevano visti antagonisti l’un dell’altra; ma c’era sempre stato rispetto, fra loro, un rispetto e una fiducia che avevano finito per somigliare molto ad affetto reciproco.

Ma adesso vedere gli occhi color ghiaccio di Aaron riempirsi della stessa, orribile consapevolezza che lei aveva appena avvertito… faceva male. Faceva male al cuore.

-Mi dispiace.- riuscì soltanto a mormorare, terrorizzata dal fremito che la sua voce le restituì all’udito.

-Cosa? Dannazione, cosa!?-

Peter non aveva ancora capito… l’elfa si strinse le ginocchia contro al petto, cercando di proteggersi, di trattenere quel dolore che si stava propagando con una forza inarrestabile nel suo corpo, nel suo respiro.

-Siria sa di essere debole, adesso. Sa che Jadis ha fatto un qualche tipo d'incantesimo, e che lei ne è particolarmente sensibile, essendo una strega. Quell’incantesimo ce l’ha dentro da quando è morta sua madre: Jadis le ha fatto credere che la sua magia fosse malvagia, ma… Siria è la Quarta Figlia di Aslan, la prima strega ad incarnare in sé il Falco che Jadis uccise per rubarne i poteri.- mormorò, rassegnata.

Talia sapeva bene cosa succedeva a Siria quando la magia prendeva il sopravvento: la sua magia non era mai stata cattiva, sbagliata, era davvero qualcosa di puro e semplice – terribilmente grande ma, allo stesso tempo, innocuo. Non per nulla, prendeva il sopravvento su Siria solamente per salvarle la vita, soltanto per proteggerla…

Jadis però, tanti anni prima, aveva instillato nella sua unica discendente il seme dell’odio: quando Zaira era stata uccisa dai telmarini qualcosa era germogliato dentro Siria, qualcosa di oscuro e di malvagio che, prima, non era mai esistito: Jadis, da ovunque si trovasse allora, era riuscita a far sì che la magia scatenasse un’altra reazione dentro di lei, una reazione distruttiva che l’aveva segnata per sempre.

Aveva fatto sì che una rabbia profonda, che non aveva ragioni di esistere nella raminga, si legasse indissolubilmente all’espressione dei suoi poteri.

Era quella la maledizione che la Strega Bianca aveva imposto su Siria: la dannazione di bruciare di un odio profondo ed incontrollabile ogniqualvolta la magia avesse preso il sopravvento sulla razionalità, costringendola a temere se stessa e a ripudiare il suo stesso essere.

Tallie sapeva bene perché: se Siria si fosse odiata, se avesse maledetto la propria natura e la propria magia, sarebbe stata una preda molto più facile per le mire della Strega Bianca: sarebbe stata un corpo vuoto, privo di speranza, e per Jadis sarebbe stato un gioco da ragazzi prenderne possesso e tornare, in quel modo, a tiranneggiare sull’intera Narnia.

-Se Siria fosse davvero malvagia lascerebbe la Strega Bianca prendere possesso del suo corpo, permettendole di tornare.- spiegò, laconica.

Non aveva voglia di rivivere tutto, non aveva la forza di parlare ancora una volta di quella maledizione che, ora, le stava portando via la prima persona che le era stata davvero amica in tutta la sua lunga, lunghissima vita.

-Ma non lo farà. Non è da lei.-

Se ne avesse avuto la forza, Tallie gli avrebbe tirato un pugno.

Soltanto adesso Peter Pevensie si rendeva conto di quanto Siria fosse buona, di quanto non avesse mai voluto fare del male a nessuno!?

-No, infatti.- si limitò a sospirare, alzando gli occhi non sul Re, ma su un altro biondo.

Caleb era al suo fianco, vedeva nei suoi occhi un sordo dolore non molto diverso dal proprio; però Cal era forte, era sempre stato tanto forte… riuscì a rivolgergli un breve, tirato sorriso, un sorriso umido di lacrime che ancora combattevano per essere libere di scendere.

Si sedette accanto a lei senza dire nulla, passandole un braccio intorno alle spalle. Non parlò, non fece altro che stringerla con forza contro di sé: Caleb la conosceva, Caleb sapeva che parlare non sarebbe servito a niente, sapeva che non l’avrebbe fatta sentire meglio – ma sapeva che aveva bisogno di lui, con una tale intensità da risultare anch’essa dolorosa.

Aveva bisogno di sentire la sua presenza, le sue braccia forti che la stringevano.

Aveva bisogno di non lasciarsi andare, di non cadere a pezzi.

Aveva bisogno di lui… e Caleb era lì.

-Ti ha chiesto di ucciderla, Peter. Avresti dovuto farlo.- mormorò Tallie, chiudendo ancora gli occhi e abbandonando il viso contro la spalla di Cal.

Oh, ma avrebbe potuto dimenticare ogni cosa, fra le sue braccia; chi poteva costringerla ad aprire di nuovo gli occhi, a guardare di nuovo quel mondo che le aveva dato soltanto sofferenza?

-Perché?-

Fu una rabbia malcelata a costringerla a guardare di nuovo Peter Pevensie, gli occhi azzurri che la fissavano con una determinazione che sfociava quasi nella disperazione.

Che cosa meritava, Peter, dopo tutto quello che aveva fatto?

Talia sentì le proprie labbra piegarsi in una gelida smorfia di disprezzo, l’ira che bruciava terribilmente nella sua carne. Non aveva mai provato nulla del genere, mai… non fino a quel momento, non fino a che non si era ritrovata davanti l’inconsapevole carnefice della sua più cara amica.

Che cosa meritava, lui? Forse… meritava soltanto la verità.

-Perché ora morirà nel modo più penoso.- rispose, la voce che tagliava con la violenza di un coltello affilato. -Da sola.-

Un lungo silenzio seguì quelle parole che sapevano di condanna a morte.

-Devo andare da lei.- esclamò improvvisamente Caspian, alzandosi in piedi con una nuova forza negli occhi scuri: in quell’istante, non per la prima volta, Talia ammirò la determinazione che quel giovane testardo possedeva; lei non aveva nemmeno l’energia di alzarsi in piedi…

-No. Tu devi restare qui e combattere per Narnia.- lo fermò Aaron, con la gentilezza e la compassione nella voce. Caspian scosse la testa, cocciuto.

Il tuo popolo, che ora più che mai ha bisogno di te… o la donna che ami, Caspian?

-Voglio trovare Siria.- replicò, sostenendo l’occhiata rassegnata di Aaron con fermezza: Siria non era ancora morta, e lui poteva riportarla indietro. Poteva.

-Adesso ascoltami bene, razza di citrullo che non sei altro.- sbottò il rosso, alzandosi a sua volta nonostante lo sguardo di avvertimento rivoltogli da Susan. -Siria non vorrebbe mai che tu mettessi lei prima di migliaia di altre persone, vorrebbe che tu andassi a combattere, che andassi a vincere questa guerra maledetta anche per lei.- gli spiegò, sentendosi però bizzarramente fiero di ciò che quel ragazzo, che aveva lentamente imparato ad apprezzare, era diventato: Siria sarebbe stata felice di vederlo ancora capace di combattere.

Il principe rovesciò gli occhi verso l’alto, frustrato.

-Siria si sta lasciando morire! Non posso abbandonarla, io…-

-Nessuno andrà a cercarla.-

La voce gelida del Re Supremo risuonò, agghiacciante, in tutta la segreta, zittendo ogni singola persona che fosse stata in grado di sentirlo. Peter non guardava nessuno: dava le spalle alla piccola folla riunita in quel luogo, il volto basso, chino, rivolto verso la figura scolpita di Aslan.

-Cosa!?- la voce di Caspian spezzò quell’istante, la mano destra che volava all’elsa della spada. Sentì la rabbia montare ad una velocità impressionante, salirgli agli occhi, annebbiargli la mente più di quanto non avesse mai fatto: il desiderio di colpirlo, di fargli pagare la sofferenza che aveva imposto a Siria, per un istante fu più forte di tutto il resto.

-Siria ha fatto la sua scelta. Noi abbiamo una guerra da vincere.- fu la risposta secca dell’Alto Re – che non si mosse, che non si voltò nemmeno per un istante.

Nessuno sembrò trovare qualcosa da rispondergli, in quell’istante. Uno strano silenzio, malsano, pesante, non voluto, sembrò calare fra tutti loro e la figura distante del biondo Re. Peter sembrava separato dal mondo, era lontano, diviso dai compagni e dalla famiglia da un’impenetrabile barriera di ghiaccio che lui stesso si era costruito attorno.

Nessuno avrebbe potuto capirlo in quell’istante, nemmeno Shaylee: perdere Siria era stato…

-Ha tradito, vero, Peter?- mormorò Talia, dando voce a quei pensieri che nemmeno lui voleva ammettere con se stesso: trasalì, Peter, quando quella verità gli s’affacciò nel cuore con la violenza e la rabbia di un colpo di spada.

-Esatto.- sussurrò, piano, volgendo lo sguardo sorpreso verso il volto rassegnato di Talia.

-No, imbecille di un Re Supremo del cazzo.-

Tutti i presenti trasalirono, sorpresi, quando la voce graffiante e furibonda di Aysell risuonò nell’intera sala della cripta.

La giovane naiade era apparsa sulla soglia della vasta camera in silenzio, arruffata e scarmigliata come se avesse appena percorso, a piedi, miglia e miglia di cammino nella foresta. Ora però fissava Peter, rabbiosa come nessuno dei presenti l’aveva mai vista, ed avanzò verso il Supremo Re con un passo deciso e veloce molto diverso da quello elegante che aveva utilizzato sino a quel momento.

-Siria non ha tradito nessuno. Non ha tradito me, non ha tradito Aaron né Talia né, tantomeno, Caspian.- soffiò, avvicinandosi minacciosamente a lui e puntandogli un dito contro il petto. -Non è la guerra, il punto. È che ha tradito te.- sputò, furiosa, il volto circondato dalla ribelle chioma di capelli biondi e gli occhi grigi che promettevano tempesta.

-Non__- cominciò l’altro, intimorito da tanta veemenza, ma Aysell serrò i pugni, incenerendolo con lo sguardo.

-TACI!- strillò, ed improvvisamente apparve nelle sue iridi un bagliore assassino che fece sussultare anche Talia, sconvolta da quel fervore letale che non aveva mai sentito agitarsi nell’animo di Aysell.

Peter boccheggiò, crollando in ginocchio e portandosi entrambe le mani al petto: una pressione sgradevole gli stava congestionando il respiro, sentiva in bocca il sapore salato dell’acqua di mare che gli saliva dalla gola, dalla trachea, riempiendogli i polmoni e serrandogli il cuore in una morsa da cui non sarebbe potuto scappare…

-Aysell!- sbottò Talia, sinceramente incerta sul da farsi: ritrovarsi un Peter Pevensie annegato non sembrava una brutta prospettiva, dopotutto… ma no, Siria non avrebbe voluto vederlo morto, era scappata anche per proteggere lui.

Balzò in piedi, pronta ad intervenire, ma una mano pallida e sottile si posò sulla sua spalla l’attimo dopo, trattenendola.

Si voltò, incredula davanti a quell’apparizione che aveva scatenato la gioia nel suo animo di Custode, ritrovandosi davanti i pacati occhi color bronzo di una ninfa – una pleiade, una ninfa del vento montano – che le intimavano gentilmente di non intervenire.

Caleb sgranò gli occhi, sorpreso, quando vide Talia fermata da quella creaturina vestita di grigio che era apparsa bruscamente in mezzo a loro; la riconobbe anche se non si erano mai incontrati, perché Tallie gliel’aveva descritta nei minimi dettagli… Mirime, l’Ancella dell’Aria, la creatura più antica di Narnia.

Spostò lo sguardo su Peter, che stava annaspando: che Mirime volesse far annegare davvero il Re Supremo? Era uno spettacolo assurdo vedere qualcuno che affogava dentro se stesso, senza acqua che salisse a ghermire il suo corpo…

Bruscamente, però, Peter boccheggiò e prese aria, la stretta dell’oceano che si allentava e gli permetteva di tornare a vedere chiaramente: Aysell lo aveva lasciato andare? Non sembrava molto propensa a…

Le tre Figlie di Aslan lanciarono un urlo agghiacciante, quando una voragine si spalancò dentro ognuno dei loro cuori.

 _

§

 _

Caspian

Siria serrò i denti, ignorando la fitta di dolore provocata dal labbro che si spaccò sotto quella tortura candida: la magia l’aveva trascinata lì, lontano dalla Tana di Aslan, oltre il Grande Fiume e le ultime foreste che dividevano Narnia da Archen… eppure non sapeva dove fosse finita, forse ai piedi del Monte Pire.

Il volto del principe era sempre più sfocato, nella sua mente. Tutto si stava facendo lontano ed incomprensibile, persino il terriccio che le macchiava le mani candide si dissolveva in polvere fra le sue dita, persino il vento freddo che sferzava quelle colline dimenticate era nulla più che una carezza evanescente sulla sua pelle insensibile.

A che cosa serviva trattenere ancora quella bestia?

Era diventata più forte di lei. L’aveva mangiata da dentro, permettendo a Jadis di farsi spazio nella sua anima, di infettare, con la sua malvagità, la magia che l’aveva dannata fin dalla nascita.

Siria non era più niente, non esisteva più: c’era soltanto quel fuoco dannato, quel fuoco che distruggeva, ad ogni istante che passava, ogni centimetro ancora sano del suo corpo, del suo cuore in frantumi.

A che cosa sarebbe servito resistergli?

Avrebbe soltanto prolungato l’agonia, avrebbe soltanto permesso a Jadis di renderla un involucro vuoto da sfruttare a proprio piacimento. Continuare a vivere sarebbe stata la condanna per tutti coloro che aveva amato, che quel poco che restava di lei ancora amava.

La sua morte avrebbe portato solamente sollievo, a Narnia e ai suoi abitanti. L’incubo del ritorno di una strega potente come la Regina Bianca si sarebbe dissolto nell’inferno che ardeva dentro di lei, sarebbe stato soltanto cenere sparsa su quelle colline dal vento impietoso che spirava dalle montagne.

La sua morte avrebbe salvato tutti quanti. Jadis non sarebbe mai tornata, la sua stirpe si sarebbe dissolta con Siria, con quella ragazza incapace di alzarsi in piedi un’altra volta – in ginocchio, poi riversa al suolo, i capelli rossi che bruciavano l’erba dove lo stremo l’aveva abbandonata.

Cominciava a crepitare, il fuoco.

Quell’energia che troppo a lungo era rimasta sopita e in catene dentro di lei adesso imperversava libera appena sotto la sua pelle, in attesa dell’ultima resa.

Tremava, Siria.

La paura era grande, era immensa: ma il baratro che le scavava dentro era nulla in confronto al vuoto che aveva lasciato il suo cuore, la sua anima, nello stesso istante in cui aveva capito di aver perduto Caspian.

Tutte le creature di Narnia lo avrebbero sentito. Forse già avvertivano l’esplosione imminente, l’incendio che sarebbe divampato per giorni, incenerendo il pericolo più grande che quella terra avrebbe mai potuto temere.

Forse Talia ed Aysell potevano sentirla.

Annegata in quelle voragini che la scuotevano in dolori convulsi nel mare verde dell’erba, Siria non riusciva ad avvertire nulla che non fosse il pulsare terribile della lava che le scorreva nelle vene.

Ma lo sperava.

Quell’ultima speranza, flebile e disperata, era rivolta alle sue amiche.

Mi dispiace…

Un lieve sussurro fra i pensieri esausti, gli occhi vacui e vuoti come cieli sporchi di nubi, labbra livide che mormoravano appena un nome soltanto.

-Caspian…-

E la stremata barriera sottile crollò proprio in quell’istante, quando l’ultima crepa spezzò definitivamente la sua coscienza, la sua flebile speranza.

L’ultima cosa che Siria riuscì a sentire, a vedere, fu la sua pelle diventare un fuoco terribile che ardeva con la forza devastante della morte.

E bruciava. Bruciava dello stesso rogo che aveva ucciso sua madre.

E poi furono solo fiamme.

 _

§

 _


Ogni singola creatura di Narnia lo sentì.

Ogni nano, ogni animale parlante, ogni centauro, ogni fauno. Ogni elfo e ogni naiade, ogni driade ed ogni silfide, ognuna delle creature figlie di quella terra avvertì qualcosa spezzarsi nel loro cuore, nel cuore di Narnia stessa.

E, ognuno di loro, provò per un istante un terribile senso di abbandono, di sconfitta, di morte che ghermiva con i suoi artigli insanguinati una vita che non aveva meritato quel destino.

Anche Cornell sentì, anche Cornell comprese. Anche Ripicì, Tartufello, Trumpkin. Tutti, per un istante, avvertirono la speranza spezzarsi con lo schianto di un fulmine.

Anche Shaylee lo sentì e sussultò, guardando Mairead con gli occhi che si riempivano di lacrime.

Ma, soprattutto, lo sentirono le tre Figlie di Aslan.

Aysell crollò in un pianto disperato fra le braccia di Mirime, che l’accolse nel suo abbraccio impedendole di lasciarsi scivolare a terra: ma lacrime silenziose rigavano le guance della pleiade, che aveva conosciuto Siria e le si era affezionata tanti anni prima, che l’aveva osservata da lontano per tutto quel tempo e l’aveva protetta al massimo delle proprie capacità.

-NO!-

Tutti quanti, nella cripta, si voltarono a guardare la mezz’elfa che aveva gridato: un grido angosciato pieno di dolore e di sordida incredulità, gli occhi scuri che si spalancavano di botto mentre il colore scivolava via dalle sue guance – e le lacrime, sottili lacrime le rigarono il volto nello stesso istante in cui si serrò le mani sul cuore.

No.

Non era possibile, no… non poteva essere successo davvero, non poteva essersi arresa davvero… Siria non era tipo da gettare la spugna, la speranza di vederla ancora una volta rialzarsi dopo l’ennesima pugnalata non era svanita dentro di lei…

Eppure, adesso, sentiva soltanto il vuoto.

Il vuoto di un legame spezzato, di un giuramento che Siria aveva appena adempiuto.

Quella presenza rassicurante, ora, era soltanto un sordo dolore lontano.

-No…- le ginocchia le cedettero nello stesso istante in cui le braccia forti di Caleb arrivarono a sorreggerla, a sostenerla mentre una parte di lei andava irrimediabilmente in frantumi.

Jadis aveva perso.

Lo sentiva, la Strega Bianca non sarebbe mai più tornata a minacciare Narnia.

Ma aveva perso anche Siria.

La maledizione di Jadis, alla fine, l’aveva consumata. L’aveva portata via.

E, per la prima volta, Talia non si vergognò di piangere.

Non si vergognò di chiudere gli occhi, di voltarsi piano verso il petto di Caleb per nascondervi il viso: per la prima volta debole, fragile, mentre un dolore mai provato si faceva strada con forza dentro di lei.

Caleb la strinse a sé senza dire nulla, la serrò in un abbraccio caldo che l’avrebbe tenuta insieme, che non le avrebbe permesso di andare in pezzi, di gettare la spugna: finché ci sarebbe stato lui al suo fianco, con lei, Talia non avrebbe ceduto.

Ma ora, ora riusciva soltanto a piangere.

-Che cosa succede? Cal, cosa succede a Talia?-

Aaron… come sarebbe riuscita a dirglielo?

-Tallie!-

Caspian… con che coraggio poteva distruggerlo, con quale forza poteva dirgli che…

-Principe Caspian.- la voce profonda di Cornell le arrivò appena più chiara. Era rassegnata, era cupa: era la voce di chi si accingeva a dare una brutta, orribile notizia.

-Cornell, cosa…- la voce di Caspian tremava, incerta e incredula davanti a una sofferenza che forse poteva cogliere anche lui.

Il suo cuore apparteneva a Siria… ma forse il principe non capiva perché improvvisamente quel dolore avesse ghermito i suoi pensieri, attanagliando il suo petto e strappandogli un battito che aveva appena cessato di esistere.

E poi quelle parole. Le uniche che il centauro riuscì a pronunciare in tono distaccato, distante, terribilmente vero.

-La Strega Rossa è caduta.-

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My Space:
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............................................non dico niente e passo direttamente alle noticille!!!!!!!!
Peter: SCIAGURATA!
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Noticilla n° 1:
Vorrei solo segnalare una cosa molto importante: il termine "Strega Rossa", che qui viene pronunciato da Cornell in riferimento a Siria, NON è un riferimento o un plagio della medesima definizione che viene utilizzata nella bellissima fanfiction, sempre appartenente a questo fandom, "The Witch's Daughter".
Ho avuto in mente di chiamare Siria in questo modo sin dall'inizio di Rebirth, più di tre anni fa: io e l'autrice ci siamo confrontate, sulla questione, poiché l'ho contattata non appena ho visto che utilizzava questo termine nella sua storia (splendida, fra l'altro, la consiglio!).
Io utilizzo "Strega Rossa" per definire una strega appartenente al fuoco, e l'unica che si fregia di questo titolo è Siria - che, per l'appunto, è LA strega DEL fuoco per eccellenza, così come Jadis era LA strega DEL ghiaccio e, di conseguenza, “Strega Bianca”. Questo non significa che non sappiano utilizzare altri tipi di magia, ma è ciò che le classifica come streghe "elementali".
L'autrice di "The Witch's Daughter", invece, generalizza il termine "strega rossa" come definizione di una strega che si basa non sulla freddezza caratteriale e sulla spietatezza (come Jadis) ma sulle emozioni pure e forti come l'amore, l'affetto e la dolcezza.
Spero di essere stata esaustiva e di aver reso giustizia ad entrambe le scelte di termini ^__^
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Noticilla n° 2:
In questo capitolo viene accennato il nome completo di Siria: "Siria Zairassen".
Come in molti libri ambientati in epoche pseudo-medievali (due nomi fra tutti: la saga di Eragon e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco), il cognome dei personaggi viene spesso formato con l'utilizzo di una desinenza che significa "figlio/a di". Mi sono categoricamente rifiutata di fare come Christopher Paolini, che ha utilizzato semplicemente l'aggiunta del nome paterno (per i maschi) o materno (per le figlie) sommato alle desinenze "-sson" o "-ssdaughter". Volevo qualcosa di diverso, che non si collegasse all'inglese (sebbene sia la lingua ufficiale di Narnia), poiché non è l'unico linguaggio parlato nel regno. Perciò mi sono inventata, ripescando le mie conoscenze di tedesco, due desinenze totalmente diverse.
Nella mia fanfiction, quindi, le figlie FEMMINE assumono il nome della MADRE con l'aggiunta della desinenza "-ssen"; allo stesso modo, i figli MASCHI assumono il nome del PADRE sommato alla desinenza "-ros" oppure "-oss" (la cosa varia dal nome del padre del pargolo, nel caso finisca in vocale o consonante). Ovviamente sono esclusi i figli di chi un cognome proprio ce l'ha già, ad esempio: un figlio o una figlia di Edmund si chiamerebbe "Pevensie", non "Edmundros" xD
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Noticilla n° 3:
Non ho una connessione internet mia, sto vivendo di reti a cui mi connetto in modo molto maleducato ^^' Dovrei comunque riuscire a continuare gli aggiornamenti seguendo la tabella di marcia che mi sono prefissata, un capitolo ogni due settimane! Vi ricordo che Narnia's Rebirth comprenderà 50 capitoli tondi tondi, e sto finendo or ora di scrivere il numero 46.
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Noticilla n° 4:
Sto lavorando ad una sorta di "~R~ Pedia" che potrei decidere di pubblicare, una volta conclusa, come appendice a questa storia o alla seguente, "Narnia's Redial". Contiene tutta una serie di informazioni su come ho modificato il pantheon, la storia, la geografia e la trama de "Le Cronache di Narnia" originale rispetto alle mie fanfictions - grazie (nuovamente) al fondamentale aiuto di DreamWanderer!
Peter: in sostanza: aveva un attacco di insonnia e s'è messa a scrivere quelle baggianate per passarsi il tempo.
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Noticilla n° 5:
Vi presento Mirime, la pleaide che è Ancella dell'Aria e Prima fra le Figlie di Aslan! Il volto è quello di Nina Dobrev, ossia la protagonista femminile di "The Vampire Diaries".
Non seguo la serie, lo ammetto (quindi: fans, non linciatemi per quello che sto per dire, parlo per semplice gusto personale!), ma mi è bastato vedere qualche video su Youtube per capire che Damon Salvatore è l'uomo della mia vita. Elena, vai da Stefan, Damon me lo piglio io!
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Dalla ~R~ Pedia:
Pleiadi: le pleiadi erano la razza più potente fra le ninfe, perché si trattava delle creature che avevano avuto il compito di portare il respiro alle creature di Narnia durante la creazione di Narnia stessa. Mirime è una pleiade, l’unica rimasta della sua razza: durante l’invasione di Caspian I, infatti, le pleiadi presero la decisione di disperdersi nel proprio elemento per preservare la presenza della magia (questo loro sacrificio, infatti, ha permesso ai narniani di sopravvivere e di mantenere la propria scintilla di coscienza che li differenzia dagli animali comuni).
La scimmietta che Aslan aveva destinato ad essere la prima portatrice del ruolo di Ancella dell’Aria si donò allo spirito di Mirime nel momento stesso in cui Aslan decise di affidare alle razze narniane (e non più agli animali) le essenze delle sue Figlie: Mirime ha, quindi, l’età stessa di Narnia, ed è l’unica persona che non teme Aslan e, anzi, spesso lo rimprovera e lo scavalca.
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Noticilla n° 6:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei baldi giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C. S. Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson (il regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di "Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD
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Famiglia Pevensie
Peter: 20 anni
Susan: 18 anni
Edmund: 16 anni
Lucy: 12 anni
Figlie di Aslan
Siria: 20 anni
Talia: 815 anni (dimostrati: 19 circa)
Mirime: indefinito (dimostrati: 20 circa)
Aysell: 904 anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari
Tara: 14 anni
Caleb: 22 anni
Aaron: 22 anni
Altri personaggi
Caspian: 18 anni
Shaylee: 1528 anni (dimostrati: 17/18)
Mairead: 1987 anni (dimostrati: 30/35)
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Noticilla n° 7 (poi ho finito di rompere, promesso):
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=ykpbAb_5ubQ
N.B. la canzone del capitolo precedente, il 40°, si chiama "Demons" ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come collegamento, però, è farina del mio sacco e riguarda Peter e Siria ^^'
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Tabella prossimi aggiornamenti:
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10/11 - Capitolo 42
24/11 - Capitolo 43
08/12 - Capitolo 44
22/12 - Capitolo 45
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Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 42
*** Victims. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
42nd Chapter

Victims - Avenged Sevenfold

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Doveva vedere.

Caspian corse fuori dalla cripta, incredulo, incapace di credere alle terribili parole di Cornell che condannavano la flebile speranza che lo aveva tenuto in vita sino a quell’istante.

Doveva sapere.

Il medaglione d’argento rimbalzò sul suo petto quando si arrestò bruscamente sulla collinetta che Siria aveva tanto amato, alzando poi la testa verso il cielo scuro e ammantato di nubi.

Però non erano nuvole quelle che oscuravano il sole di Narnia.

Una colonna di fumo grigio, denso, era apparsa a sud-ovest rispetto a dove si trovava la Tana: era uno spettacolo terribile vedere quel mostro color ferro innalzarsi verso il firmamento, enorme e terrificante come i draghi descritti nelle fiabe che Cornelius gli leggeva quando era ancora un bambino.

No.

Crollò in ginocchio, Caspian, quando comprese che quell’immensa pira funeraria era tutto ciò che rimaneva della donna che aveva amato.

No.

-Siria…- gemette, sentendo il volto riempirsi di lacrime e le mani tremare come mai prima.

La consapevolezza di averla perduta lo schiacciò lì dov’era, inchiodandolo al suolo con tutta la forza del dolore e ghermendogli l’anima con lunghi artigli che la sbrindellarono in pochi istanti, spargendone i poveri resti in quel fumo che sapeva di morte.

Seppe in quell’istante che avrebbe preferito morire mille volte pur di non assistere a quello spettacolo, pur di non sapere che Siria aveva rinunciato alla vita per proteggere lui e tutta Narnia: urlò, urlò tanto da sentire i polmoni contrarsi di dolore, battendo i pugni sul terreno fino a scorticarsi le nocche.

Il sangue si mischiò con il terriccio ma lui parve non badarci; abbassò lo sguardo, sconfitto, guardandosi le mani rovinate e pensando che Siria lo avrebbe sgridato: lei adorava le sue mani…

Il suo cuore stridette, spezzato, quando quel pensiero lo sfiorò e annientò anche quel poco d’integro che era rimasto di lui.

Non poteva farcela.

Lei non c’era più e, con lei, era morta una parte troppo grande di lui.

Lei se n’era andata, aveva compiuto il sacrificio che nessuno avrebbe avuto il coraggio di portare a termine e, adesso, bruciava della maledizione che le era stata imposta contro la sua volontà come la più pura ed innocente vergine sacrificale.

Siria non c’era più.

Calde lacrime gli rigavano le guance, ma non gl’importava: chi avrebbe avuto il cattivo gusto di deridere un uomo che piangeva la donna che amava?

Serrò nel pugno quell’unico ricordo che gli rimaneva di lei, quel medaglione che le aveva donato: sfiorò dolcemente quel simbolo antico, quei due cigni che si attorcigliavano in una danza di nodi e arabeschi senza fine né inizio, continui come il legame eterno ed indissolubile che quel disegno rappresentava.

Non era possibile soffrire così tanto.

Come aveva fatto, Siria, a vivere una vita intera col dolore e la paura nel cuore? Caspian lo sentiva dilaniarlo da dentro, lacerare ogni più timido respiro inframmezzato dai singhiozzi… come poteva essere sopravvissuta tanto a lungo?

Era un mostro quello che aveva preso vita nel suo petto e che, ad ogni secondo, si faceva sempre più violentemente largo dentro di lui, distruggendo tutto ciò che aveva faticosamente costruito in quell’anno di guerriglia e lasciandosi soltanto polvere alle spalle.

Lasciando soltanto il ricordo di quegli occhi spenti, vuoti, quegli occhi che lo avevano abbandonato prim’ancora di lei.

Come avrebbe fatto a sopravvivere, adesso?

Come avrebbe fatto a combattere, a lottare, a vincere quella guerra per cui la sua Siria aveva dato la vita?

Si passò una mano sul volto, sentendo il sapore salato delle lacrime macchiargli le labbra mentre, a fatica, si costringeva a reprimere tutto quel dolore che pareva volerlo distruggere, squarciargli il petto e dilaniarlo fino a lasciare di lui soltanto cenere.

Cenere. Come ciò che era rimasto di lei.

Siria aveva dato tutto per la Narnia in cui aveva sempre detto di non credere, ma che aveva protetto a lungo – per cui aveva lottato fino all’ultimo respiro – nonostante affermasse di non volersi immischiare in quelle faccende che non la riguardavano.

Narnia era stata, malgrado tutto, ciò che l’aveva spinta a diventare ciò che era stata: una mercenaria, una strega, una raminga senza un luogo ove fermarsi a riposare… una guida, una speranza, la sua amata compagna.

Lui avrebbe voluto disperarsi, piangere la sua morte e non rialzarsi più da quel letto di dolore composto da fiori sgargianti ed erba rigogliosa su cui tante volte aveva riposato con lei; ma sarebbe stato giusto nei confronti della memoria della donna che aveva amato così tanto da sapere che nulla sarebbe stato più come prima, d’ora in avanti?

No.

Siria non avrebbe voluto vederlo compiangersi. Gli avrebbe detto di alzarsi, gli avrebbe preso una mano e, assieme a lui, si sarebbe gettata nell’ennesima battaglia senza esitare nemmeno per un istante, luminosa e splendente in quel suo infinito coraggio.

Però adesso lei non era lì per stargli accanto, per dargli la forza di vincere quella guerra.

Si alzò in piedi, Caspian Decimo, odiando quel pensiero irrazionale che lo stava pungolando per convincerlo a non arrendersi proprio adesso: doveva lottare, ora, lottare come mai aveva fatto sino a quel momento per portare a termine ciò che la sua amata aveva iniziato.

Era solo.

Siria lo aveva sempre sostenuto, la sua presenza era stata un fuoco che aveva illuminato la lunga notte in cui aveva passato la sua intera vita; era diventato un uomo, con lei e per lei, aveva imparato cos’era l’umiltà, cos’era la pazienza – aveva imparato ad amare, ad amare lei.

Sarebbe stato in grado di farcela?

Lei aveva creduto in lui fin dall’inizio.

Siria era sempre stata convinta di ciò che lui poteva diventare, di ciò che avrebbe potuto fare imparando dai propri errori. Quella donna meravigliosa lo aveva sostenuto contro Peter, contro Telmar, contro i narniani – persino contro se stesso e contro le sue insicurezze, contro le sue paure.

Siria non si era mai arresa, mai, nemmeno dinanzi alla morte… e lui non avrebbe infangato la sua memoria abbandonando ciò per cui avevano lottato insieme.

Alzò lo sguardo verso la densa colonna di fumo che s’innalzava nel cielo una volta terso di Narnia con gli occhi che bruciavano, mentre le lacrime si arrestavano fra le sue dita.

Avrebbe combattuto.

All’ombra di quel fuoco che gli aveva portato via tutto lui avrebbe vinto quella dannata guerra a cui lei aveva dato tanto, in cui tanto avevano creduto entrambi.

Per lei.

 _

§

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Le naiadi sussurravano, concitate ed afflitte, mentre attendevano che Mairead uscisse dalla reggia per annunciare loro le novità che le sentinelle, tornate poche ore prima, avevano sicuramente portato alla Sovrana. L’argomento di discussione fra le ninfe era uno soltanto, che si rincorreva di bocca in bocca e di gemito in sospiro: la colonna di fumo non accennava minimamente a disperdersi, sopra di loro, e l’aria solitamente limpida sapeva di cenere e di sconfitta.

Improvvisamente, i mormorii si chetarono.

Una figuretta esile, che indossava abiti di cuoio rinforzato e portava a tracolla un bastone da combattimento, si fece avanti e salì sul podio che avevano improvvisato i servitori del palazzo per permetterle di parlare alla totalità della folla.

Emanava un’aura di sicurezza, quella ninfa, che riverberava nella lunga treccia in cui aveva raccolto i capelli dorati e che trasudava da ognuno dei movimenti rapidi e determinati che aveva imparato a far suoi dopo gli insegnamenti di Mairead.

Shaylee prese fiato, chiudendo per un istante gli occhi per non sentire addosso lo sguardo delle centinaia di naiadi che, ora, tacevano per ascoltare ciò che lei avrebbe avuto da dire.

Siria non c’era più.

-La Sovrana Mairead ha ricevuto la conferma che tutti noi temevamo.- iniziò, sentendo la voce che tremava e le lacrime che tornavano a pungerle gli occhi: ma si contenne, respirando a fondo. Aveva pianto abbastanza, ora doveva comportarsi come ci si aspettava da lei. -La Paladina del Fuoco, la nostra Siryn, si è sacrificata per impedire a Jadis di tornare ad appestare questo mondo con la sua esistenza.- continuò, sentendo il cuore dibattersi per il dolore che le causavano quelle parole pesanti quanto macigni.

Siria era scomparsa e, con lei, il marchio di quella promessa a cui aveva appena adempiuto.

-I nostri cuori sanguinano, adesso, ma non possiamo lasciare che il dolore ci impedisca di lottare.- continuò, ignorando lo sgomento del suo popolo e le lacrime delle più giovani di loro.

Il suo, di cuore, non sanguinava. Si era spezzato.

Lei e Siria avevano avuto degli screzi, sì, ma non per questo l’affetto che l’aveva legata alla raminga si era smorzato: sapere di averla perduta senza nemmeno dirle addio, senza nemmeno abbracciarla un’ultima volta, era più doloroso di quanto avesse mai potuto immaginare.

-Gli esploratori hanno portato notizie nefaste per tutti noi: il ponte su Beruna è stato completato, e Telmar avanza verso la Tana di Aslan.-

Peter doveva essere distrutto.

Controllò il proprio corpo, Shaylee, quando un tremito l’attraversò al pensiero di quanto stesse soffrendo il suo amato Re in quel momento: avrebbe voluto essere con lui, ma sapeva che Peter le avrebbe detto ciò che anche Mairead le aveva fatto notare.

Il suo posto era lì, adesso.

-È giunto il momento di ricordare che le naiadi hanno protetto questo regno quando nessun altro lo avrebbe mai fatto e che continueranno a farlo, oggi come fra cento, mille o diecimila anni ancora.- continuò, alzando il volto con una nuova fierezza nelle iridi d’oro liquido: Peter avrebbe combattuto fino all’ultimo uomo, se necessario, e Siria si era sacrificata per salvare il loro intero mondo.

Non avrebbe deluso nessuno dei due, mai più.

Sorrise, trovando la forza di farlo nel ricordo del volto del suo amato, abbracciando con uno sguardo orgoglioso e combattivo coloro che, rapiti, stavano seguendo il suo discorso parola per parola: il suo popolo, che lei avrebbe guidato assieme a Mairead in battaglia.

-È giunto il momento di combattere, ancora una volta, per Narnia.-

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§

 _

Peter, all’interno della cripta, ricominciò ancora una volta il tragitto che aveva percorso già almeno venti volte, incapace di rimanere fermo.

Siria era morta.

Gli sembrava inverosimile.

Siria aveva combattuto, al suo fianco e non, decine e decine di battaglie: ne era sempre uscita sana e salva – magari un po’ ammaccata, d’accordo, ma comunque viva… come poteva essersi arresa proprio nello scontro più importante?

Siria era morta.

Talia aveva avuto ragione, avrebbe dovuto essere misericordioso ed ucciderla lui stesso. Avrebbe potuto risparmiarle l’agonia di morire in quel tormento di fuoco che aveva annerito il cielo di Narnia… ma no, lui non era stato in grado nemmeno di compiere quel gesto di pietà.

Si era lasciato accecare dal rancore.

Come aveva potuto essere così cieco da non vedere la realtà? Persino Susan si era accorta da sola di quanto Siria non potesse essere una semplice umana… persino Edmund, maledizione! Tutti loro avevano capito che Siria nascondeva una natura magica tranne lui e nessuno si era degnato di farglielo notare!

Avresti capito, Peter?

Quella vocina interiore, che tanto assomigliava a quella di Siria, parve sbeffeggiarlo.

Sarebbe stato in grado di capire, lui? Sarebbe stato capace di accettarla per quello che era?

Ne sei stato capace, alla fine, quando ti sei trovato davanti alla verità?

Il Re Supremo strinse i pugni, odiandosi come mai si era odiato in tutta la sua vita: lui era l’unico colpevole di quel disastro, sua era la responsabilità di ciò che era successo a Siria, lui l’aveva spinta a scappare e a sacrificarsi per salvare tutti loro.

Era stato un codardo.

Non era riuscito a vedere al di là di Jadis, della consapevolezza di avere dinanzi una lontana discendente della strega che lui aveva detestato non meno di quanto, ora, stesse biasimando se stesso: l’aveva attaccata e accusata di qualcosa che Siria non aveva mai fatto, l’aveva ripudiata come compagna di battaglie e, soprattutto, come amica.

-Mio Sire.- la voce di un giovane fauno, latore di messaggi, spezzò il filo dei suoi pensieri angosciati.

-Voglio rimanere solo, se non ti spiace.- si limitò a rispondere il Re, senza nemmeno voltarsi verso il nuovo arrivato: voleva compiangersi solo un altro po’, voleva soffrire per conto suo fino a riuscire ad acquietare, almeno momentaneamente, il rimorso che si sarebbe trascinato dietro per tutta la vita.

-Mio Sire, è urgente. Porto notizie dagli esploratori.- insistette il messaggero, dispiaciuto ma impaziente come tutti i giovani che militavano nelle truppe narniane.

Sospirando, l’Alto Re di Narnia alzò il volto e gli ordinò, con un cenno del capo, di parlare.

-Il ponte sul guado di Beruna è stato appena ultimato. L’usurpatore Miraz conduce un esercito di almeno diecimila uomini verso la Tana di Aslan.- recitò lui tutto d’un fiato, rizzandosi sulle zampe caprine e mantenendo quella posa rigida e compita per tutto il tempo.

Non poteva scegliere un momento migliore, si disse Peter, imprecando fra sé ma evitando di mostrare la propria tensione al ragazzo.

-Chiama le Figlie di Aslan. Adesso.- si limitò ad ordinargli in tono secco, invitandolo ad andarsene con un brusco gesto della mano. Il fauno sparì nella penombra della cripta, lasciandolo nuovamente solo ma con decine di pensieri in più che si accavallavano dentro di lui.

Diecimila uomini contro poche centinaia di narniani.

Era una battaglia persa in partenza, quella: nessun condottiero avrebbe potuto vincere contro Telmar a capo di quel gruppo di sparuti guerrieri a malapena in grado di sostenere un duello… se solo Siria fosse stata lì avrebbe tirato fuori una delle sue idee miracolose, era sempre stata molto brava ad ideare piani e__

Si maledisse, Peter, per aver permesso alla propria mente di dardeggiare timidamente, ancora una volta, verso il pensiero di Siria.

Siria era morta… era morta e lui doveva farsene una ragione.

Serrò i pugni, l’Alto Re di Narnia, ricominciando a percorrere la cripta a passo di marcia. Non aveva tempo per piangere una strega, si impose, cercando di scacciare il senso di oppressione che sentiva gravargli sul petto dal momento in cui Cornell aveva annunciato la caduta della Strega Rossa.

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-IO TI CAVO GLI OCCHI!-

Non ha nemmeno il tempo di alzare lo sguardo, Peter – non ha nemmeno il tempo di cacciare indietro le lacrime che gli stanno bruciando gli occhi –: Aysell gli si scaglia contro, strillando, con le gote arrossate dal pianto e le iridi piene di rabbia.

-Aysell!-

A nulla vale il richiamo angosciato della ragazza coi capelli neri: la naiade gli arriva addosso con la furia di un maremoto, artigliandogli il viso prima che lui possa anche solo pensare di scostarsi.

Le unghie affilate di Aysell gli scavano il volto con cattiveria, aprendo solchi che bruciano quasi quanto quella fitta atroce che gli ha mozzato il fiato pochi istanti prima.

Rimane immobile, Peter, incredulo dinanzi a quella piccola furia che sta cercando di strappargli gli occhi; è Edmund che balza in avanti, afferrando Aysell con decisione e separandola dalla sua vittima inerme.

Susan gli corre incontro, preoccupata, ma Peter l’allontana quando lei cerca di detergergli il viso con un fazzoletto. Si limita a spazzarsi via dagli occhi il sangue con la manica della tunica, ed è talmente sconvolto da non riuscire nemmeno ad avvertire il dolore.

Aysell non urla più, adesso: Edmund la tiene stretta contro di sé, accarezzandole delicatamente i capelli e sussurrandole all’orecchio una nenia di parole confortanti che suo fratello maggiore non riesce a udire.

Piange, la naiade, arrendendosi al dolore che le sta dilaniando il petto ed abbandonandosi nell’abbraccio del giovane, stremata – piange quelle lacrime anche per lui, per Peter, che sa di non potersi permettere nemmeno quella mera consolazione.

Non può, si dice, respirando a fondo nonostante il sapore del sangue in bocca gli dia la nausea. Lui non può piangere per la morte di una strega – nemmeno se quella strega lui l’aveva considerata un’amica.

Non può, perché la colpa di tutto è soltanto sua.

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Bruciavano ancora, quei graffi.

Aysell non si era affatto risparmiata, constatò, passandosi quasi inconsciamente le dita sul volto sfregiato e sentendo il contorno di un taglio più profondo degli altri disegnarsi sotto i polpastrelli.

Bruciavano come la morte di cui lui era l’unico responsabile.

Si detestò e provò ad ignorare se stesso, ma si ritrovò comunque a riflettere su come si fosse sentito spezzare dentro nell’attimo stesso in cui aveva visto le Figlie di Aslan crollare: era stato quasi un dolore fisico quello che lo aveva attraversato, una stilettata in pieno petto… possibile che avesse avvertito il riflesso della loro sofferenza dentro di sé?

Beh… tutto era possibile a Narnia, no? Lì poteva persino accadere che una strega stringesse amicizia con un Re…

-DANNAZIONE!- sbottò all’improvviso, sussultando egli stesso per la veemenza che avvertì nella propria voce. Scosse la testa, cercando di calmarsi, ma l’ansia e l’agitazione continuavano a bruciargli dentro come fuoco…

…come il fuoco che aveva ucciso Siria.

Il provvidenziale arrivo di Aysell, Mirime e Talia lo distrasse da quei pensieri che avrebbero potuto portarlo in fretta sull’orlo della follia: si volse verso di loro, accennando un inchino con un movimento della testa – evitando, però, di guardarle negli occhi.

Aysell tremava come una foglia, aveva le guance arrossate e i capelli tutti arruffati; Talia era tesa come la corda del suo arco, aveva gli occhi gonfi e lo fissava come se non avesse desiderato altro che trucidarlo; l’unica che pareva in grado di controllare se stessa era l’Ancella dell’Aria, Mirime, che continuava meccanicamente a lisciare fra le dita la stessa ciocca dei suoi lunghi, lisci capelli corvini con lo sguardo perso nel vuoto.

Il biondo rimase a distanza di sicurezza, memore di quanto sarebbe stato semplice per qualunque di loro ammazzarlo in meno di un istante, e le ragguagliò in fretta su ciò che il messaggero fauno gli aveva appena riferito.

-Voi potete aiutarci in qualche modo?- domandò, infine, sapendo bene di camminare sul filo di un rasoio nel porre quella domanda proprio a loro, che sicuramente lo incolpavano della morte della loro compagna.

E non avevano nemmeno tutti i torti, in fondo…

Mirime sospirò, scorgendo lo sguardo furente che Aysell e Talia avevano alzato sul Re Supremo e decidendo all’istante di prendere la parola prima che potessero strangolarlo. -Lo faremmo, se fosse possibile.- si scusò, scuotendo la testa quando lui le rivolse un’occhiata interrogativa e confusa. -I nostri poteri sono spariti, Peter Pevensie, da quando l’esplosione è divampata.- gli spiegò, cercando di mantenere il tono della voce distaccato e freddo come i venti che spiravano fra le sue amate montagne.

-Pensavi davvero che avessi smesso di affogarti per simpatia, deficiente?-

Suo malgrado, Mirime si ritrovò a reprimere un sorriso quando Aysell sputò quella frase cattiva in faccia al biondo, che si ritrasse all’istante davanti alla sua gelida furia.

Lei ed Aysell avevano avuto così poco tempo per stare con Siria… sentì il cuore dolerle quando si ritrovò a pensare che Siria avrebbe meritato di crescere con le sue sorelle, felice e spensierata come ogni bambina avrebbe dovuto essere e meravigliosa nella libera espressione della sua splendida magia.

Invece il destino aveva voluto diversamente.

Non per la prima volta la pleiade si ritrovò a pensare con astio ad Aslan, il padre che le aveva generate per solitudine e che le aveva abbandonate al loro destino esattamente come aveva fatto con i Pevensie e con Caspian: se solo avesse protetto meglio Siria, se solo si fosse degnato di dare un segno di vita ogni tanto negli ultimi tredici secoli…

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-Io sono un mostro, Mirime?-

La domanda giunge inaspettata, prendendo di sorpresa l’eternamente giovane Ancella dell’Aria; Mirime alza gli occhi, guardando la ragazzina smagrita che, fino a pochi istanti prima, si stava allenando nel tirare di spada.

Siryn non la sta osservando, i suoi occhi sono fissi sul bersaglio mobile che Talia ha costruito per lei: balza come un gatto, mulinando la spada, e il suo colpo va a segno senza nemmeno una traccia di esitazione.

-Assolutamente no.- risponde la mora, chiudendo il libro che stava leggendo e posandolo sulla panchina di pietra, al proprio fianco. -Sei una strega, Siryn, non è una cosa brutta.- le ripete, sapendo però che – esattamente come mille altre volte – la piccola non crederà alle sue parole.

La rossa prende fiato, scosta la treccia dalla spalla e la lascia dondolare sulla schiena rigida: si volge appena per guardare l’altra di sottecchi, gli occhi che brillano di un cupo dolore.

-Però le streghe le bruciano sul rogo… beh, se non altro dovrebbero trovare un altro modo per far fuori me, no?- commenta, cercando di fare del sarcasmo che, però, non le riesce così bene: Mirime la vede tremare e sospira, facendole cenno di avvicinarsi e di sedersi accanto a lei.

-Nessuno ti ucciderà, Sir.- le assicura, accarezzandole la frangia che l’acconciatura non riesce a trattenere. La bambina sospira, guardandola con quelle iridi stanche che dimostrano molti più anni di quelli che, in realtà, possiede.

-Jadis sì.- le fa notare, con una rassegnazione tale nella voce da dare i brividi persino all’imperturbabile Ancella dell’Aria. -È questo quello che vuole, vero? Vuole che io cresca per diventare il suo nuovo corpo.-

Mirime rimane in silenzio, limitandosi ad annuire appena: Siryn è grande abbastanza per aver capito da sola qual’è la maledizione che la Strega Bianca ha imposto su di lei, non ha bisogno delle sue conferme. -Sarà come se mi avesse uccisa, in fondo. Forse non è così male.- aggiunge la ragazza, abbassando gli occhi sulle proprie ginocchia.

Ha paura, tantissima, ma cerca di nasconderlo: è coraggiosa, osserva Mirime, coraggiosa come ben pochi saprebbero essere davanti ad un destino come il suo.

-Non dirlo neanche per scherzo.- sbotta, improvvisamente irritata da quella mancanza di reazione da parte della combattiva ragazzina che Talia ha portato nel Regno qualche mese prima.

La prende per le spalle, costringendola a sostenere il proprio sguardo: non può permetterle di lasciarsi andare così… non è giusto, Siryn non merita questo e lei vorrebbe soltanto vederla sorridere – come tutte le bambine della sua età dovrebbero poter fare.

-Ascoltami bene, ora: tu sei parte di Narnia e di tutte noi, sei la Paladina del Fuoco ed è un vero miracolo che tu esista, perché nessuna di noi avrebbe mai sperato di poterti incontrare.- afferma, sorridendole con tenerezza quando vede le lacrime riempirle gli occhi. -Tu sei una speranza, Siryn, non una maledizione.- aggiunge, e ci crede davvero: quella ragazzina è anche la sua, di speranza, la speranza che non ha mai abbandonato di poter vivere serenamente assieme alle sorelle che ha scoperto di amare.

Siryn trema, sconvolta da quella consapevolezza molto più grande di lei.

-Io però non riesco a sperare… ho solo tanta paura…- sussurra, arrendendosi al terrore e cercando rifugio fra le braccia di Mirime.

-Lo so, piccola.- la conforta la pleiade, accarezzandole la lunga treccia e dandole un bacio sulla fronte. -Però sei una ragazza coraggiosa, più coraggiosa e più forte di quanto tu possa pensare. Ce la farai, te lo prometto.-

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Gliel’aveva promesso… Mirime serrò i denti, cercando di non piangere quando quel frammento di ricordo svanì dagli occhi della sua mente.

Aveva promesso a Siria che si sarebbe salvata, che ce l’avrebbe fatta a sconfiggere Jadis: senza dubbio la sua amica raminga aveva vinto contro la Strega Bianca, le aveva impedito per sempre di tornare alla vita, ma… a quale prezzo?

In quei pochi mesi di vicinanza lei e Siria si erano affezionate così tanto… era stato impossibile impedire che tutte loro si legassero in quel modo, tanto particolare e profondo, che nessun altro avrebbe potuto comprendere: erano sorelle, loro, sorelle per scelta ed affetto reciproco e non soltanto per volere di quell’essere semidivino che aveva donato loro la vita.

Erano sorelle che, adesso, piangevano la più coraggiosa e splendente di tutte loro.

Come avrebbero sistemato le cose? Loro tre erano esistite a lungo, avevano posseduto i loro poteri di Figlie anche prima della nascita di Siria: forse la brusca esplosione del Fuoco aveva sconvolto gli equilibri venuti a crearsi in quegli anni, da quando Siria era venuta al mondo…

Cristallina come il ghiaccio, spontanea quanto la vita, la soluzione le si presentò davanti in tutta la sua luminosa e crudele semplicità.

Alzò gli occhi su Peter Pevensie, cercando di scorgere quel profondo dolore che il Re stava cercando di nascondere anche a se stesso: anche lui aveva amato Siria, anche lui aveva perduto una sorella in quel rogo… quel pensiero infelice la spinse a detestarlo un po’ meno, a sentirsi improvvisamente più vicina alla sofferenza che aveva visto agitarsi dentro di lui.

-Aslan può rimettere a posto le cose.-

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My Space:
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Non mi uccidete, per piacere ^^'
Mi dispiace molto vedere che Rebirth non riscuote più tanto successo; mi sono impegnata a finirla, a completarla, mettendoci l'anima e lasciando da parte anche i progetti più seri e con un possibile futuro come Seven Gods. La finirò e non ho intenzione di abbandonarla un'altra volta, ma mi dispiace davvero che in molti abbiano smesso di seguirla.
Lo so, in parte è colpa mia perché ho abbandonato la storia per tantissimo tempo. Non fa niente, però un po' dispiace ^^'
Non ho molto altro da dire su questo capitolo, direi che si spieghi da solo: è ricomparsa, finalmente, anche la cara vecchia Shaylee. È cambiata e s'è fatta più matura, più donna, e per lei ho ancora in serbo un paio d'assi nella manica.
Peter è un personaggio che, come credo si sia notato, mi piace molto e adoro caratterizzare; il suo rapporto con Siria è un'altra di quelle cose che mi mancheranno, una volta terminata Rebirth. Non so, francamente, se valga la pena pubblicare Redial.
Caspian è un poveraccio ma è tanto carino, il mio amore per lui non smetterà mai di crescere xD e Mirime è un altro di quei personaggi che adoro descrivere, mi dispiace solamente averla fatta arrivare così tardi nella fanfiction.
Niente, scusatemi per il ritardo ma non ho sempre Internet, ci rivediamo al prossimo aggiornamento!
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Noticilla:
In questo capitolo viene accennato il nome completo di Siria: "Siria Zairassen".
Come in molti libri ambientati in epoche pseudo-medievali (due nomi fra tutti: la saga di Eragon e Le Cronache del Ghiaccio e del Fuoco), il cognome dei personaggi viene spesso formato con l'utilizzo di una desinenza che significa "figlio/a di". Mi sono categoricamente rifiutata di fare come Christopher Paolini, che ha utilizzato semplicemente l'aggiunta del nome paterno (per i maschi) o materno (per le figlie) sommato alle desinenze "-sson" o "-ssdaughter". Volevo qualcosa di diverso, che non si collegasse all'inglese (sebbene sia la lingua ufficiale di Narnia), poiché non è l'unico linguaggio parlato nel regno. Perciò mi sono inventata, ripescando le mie conoscenze di tedesco, due desinenze totalmente diverse.
Nella mia fanfiction, quindi, le figlie FEMMINE assumono il nome della MADRE con l'aggiunta della desinenza "-ssen"; allo stesso modo, i figli MASCHI assumono il nome del PADRE sommato alla desinenza "-ros" oppure "-oss" (la cosa varia dal nome del padre del pargolo, nel caso finisca in vocale o consonante). Ovviamente sono esclusi i figli di chi un cognome proprio ce l'ha già, ad esempio: un figlio o una figlia di Edmund si chiamerebbe "Pevensie", non "Edmundros" xD
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Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei baldi giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C. S. Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson (il regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di "Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD
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Famiglia Pevensie
Peter: 20 anni
Susan: 18 anni
Edmund: 16 anni
Lucy: 12 anni
Figlie di Aslan
Siria: 20 anni
Talia: 1136 anni (dimostrati: 19 circa)
Mirime: indefinito (dimostrati: 20 circa)
Aysell: 904 anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari
Tara: 14 anni
Caleb: 22 anni
Aaron: 22 anni
Altri personaggi
Caspian: 18 anni
Shaylee: 1528 anni (dimostrati: 17/18)
Mairead: 1987 anni (dimostrati: 30/35)
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Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama "Demons" ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come collegamento, però, è farina del mio sacco e riguarda Peter e Siria ^^'
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Tabella prossimi aggiornamenti:
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24/11 - Capitolo 43
08/12 - Capitolo 44
22/12 - Capitolo 45 (così vi augurerò "buon Natale" xD)
05/01 - Capitolo 46
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Stesse noticille dell'altra volta: Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 43
*** Eagleheart. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
43rd Chapter

Eagleheart - Stratovarius

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Non c’era più nulla sulle colline di Archen.

L’erba, gli alberi, le piante: era stato tutto spazzato via da quel fuoco che ancora innalzava lingue rossastre e colonne di fumo nero nel cielo, e che aveva incenerito qualsiasi cosa trovasse sul proprio cammino.

Era stato il grido della morte a risuonare in tutta Narnia quando la strega aveva lasciato libero sfogo al dolore che la perseguitava da una vita intera: ed ora il suo corpo ardeva, libero, in mezzo a quell’inferno da cui non si sarebbe più sottratta.

Non provava dolore né piacere, soltanto la stranissima sensazione di non essere più né carne né respiro: era qualcosa di diverso, ora, era il fuoco stesso che ardeva per consumare la maledizione di Jadis nella sua furia purificatrice.

 .

 .

 .

E così è questo morire. Non è poi così male, dopotutto.

“Oh, no. Questa non è la morte, mia cara.”

Cosa…

“Puoi ancora tornare indietro.”

…Jadis.

“Perché continui a odiarmi, bambina? Siamo sangue dello stesso sangue, tu ed io.”

Non tornerò indietro. Non tornerai a Narnia.

“Sei coraggiosa, mia piccola, ma ti stai sacrificando per qualcuno che ti ha rifiutata.”

Non importa.

“Non importa? Il tuo principe, l’uomo che ami? Tuo fratello, la tua cara mezz’elfa, le ninfe? Peter? Non valgono nulla per te, Siria?”

È per loro che non tornerò indietro. Morirò, e tu con me.

“Sei una sciocca. Guarda la forza che hai dentro, guarda che cosa sei: potresti essere potente, invece ti stai sacrificando per qualcuno che ti odia.”

Io non ti lascerò vincere.

“Ma io ho già vinto, non capisci? Ho vinto nello stesso momento in cui hai cominciato ad usare la magia, anni ed anni fa.”

No. Io non sono come te.

“E allora cosa sei? Chi sei, Siria, figlia di Zaira la strega, erede della magia di Jadis?”

Io sono una strega.

“Lo ammetti, finalmente.”

Ma… sono anche Siria.

“Oramai è troppo tardi. Non puoi conciliare più nulla, puoi solamente arrenderti a me.”

Sono entrambe le cose… e nessuna delle due è malvagia.

“Tu sei una creatura del male, come me. Rassegnati.”

No. Non è vero.

“Sei figlia della morte. Non ha senso combattere contro la tua natura.”

Io sto combattendo contro di te, non contro me stessa.

“Muori, allora. Brucia nel tuo stesso sciocco sacrificio, ma Narnia sarà perduta lo stesso, un giorno, e tu non sarai lì a proteggerla.”

No.

“Permettimi di spazzare via Telmar, Siria. Permettimi di tornare, e sarai Regina per sempre.”

Con tutta la cortesia di questo mondo, Jadis: vai all’inferno.

“Tu sei l’inferno, traditrice.”

No. Io… io sono soltanto Siria.

 .

 .

 .

E, quando quelle ultime parole rimbombarono con forza nella sua mente, nel suo cuore una nuova pace prese il posto del tormento.

La tenaglia che le aveva serrato l’anima in una morsa terribile allentò finalmente la sua stretta, e le permise di respirare appieno per la prima volta in vent’anni.

La sentì sciogliersi, la sentì farsi flebile e lontana dentro di sé. La sentì dissolversi, spargersi come polvere nel vento, come cenere in un fuoco che non bruciava più ma che accarezzava, cingeva, confortava.

Fuoco che era la sua pelle, fuoco che era la sua carne.

Fuoco che l’aveva resa cenere e da essa le aveva permesso di risorgere.

Fuoco che aveva schiuso le ali della fenice che lei era nata per essere.

La schiena cominciò a formicolarle, dandole la meravigliosa sensazione di avvertire nuovamente il proprio corpo: carne, ossa, muscoli, era di nuovo tutto vero, era di nuovo tutto lì e lei non era più soltanto un fuoco indefinito che consumava se stesso.

Sorrise, sentendo le labbra distendersi ed i muscoli tirare: era stremata, ma non per questo si sarebbe negata il piacere di vivere appieno la bellissima sensazione di cui il suo corpo si stava riempiendo.

Si lasciò scivolare con grazia in ginocchio, mentre le fiamme si esaurivano lentamente e lasciavano il suo corpo nudo e intatto fra la cenere che la sua esplosione aveva sostituito alla lussureggiante vegetazione delle colline alla base del monte Pire.

Lingue rossastre la cinsero in un abbraccio dolce, materno, accarezzandole la guancia e portando via le ultime lacrime commosse che Siria non era riuscita a trattenere: si sentì riempire di tenerezza e di gioia, quando riconobbe il profumo suadente e familiare, nonostante tutto, di una persona che aveva perduto tanti anni prima.

Mamma

Il fuoco parve sorridere con lei, mentre delicate dita di lava le disegnavano circoletti affettuosi sul viso.

Sono fiera di te, mia piccola Siryn, mia dolce bambina. Sono sempre stata fiera di te.

Siria gioì di quelle parole, lasciandosi cullare in quell’amorevole stretta fino a che non sentì i propri sensi abbandonarsi all’oblio della stanchezza e della pace.

Per la prima volta, nel cielo limpido della sua pelle candida, le ali rosse della fenice poterono spiegarsi in tutta la loro magnificenza, respirando finalmente l’aria fresca della libertà.

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My Space:
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Non mi uccidete ^^'
Peter: dici sempre la stessa cosa alla fine di ogni capitolo!
Non è colpa mia se hanno tardato a riallacciarmi Internet T___T

Coooomunque: bentrovati!
Ve l'avevo detto che non dovevate perdere la speranza xD Siria è troppo coriacea per lasciarsi far fuori da gentaglia come Jadis o Peter U_U
Peter: no ma grazie, eh!
Sempre a tua disposizione U_U
Comunque (di nuovo), siamo arrivati a questo capitolo!
È pronto da un sacco di tempo, qualcosa come 2 anni ^^' ed è il coronamento della crescita che Siria ha attraversato durante tutta la storia. In questo capitolo lei affronta la sua più grande paura, Jadis; non scappa più, non fugge più, ma la affronta con la serenità della donna che è diventata, sicura nella propria determinazione e nella propria scelta. È questo, più di qualunque altra cosa, che la consacra come qualcosa di puro e di "buono": è andata contro la propria natura, la propria discendenza, pur di fare ciò che riteneva più giusto per le persone che ha imparato ad amare.
Insomma, ce l'abbiamo fatta!
Mancano sette capitoli alla fine e saranno tutti uno più agitato dell'altro: sta arrivando la battaglia finale!!!
Peter: notare che questa qua si diverte un sacco quando parla di gente che si massacra!
Vi comunico inoltre che, fra poco tempo, aggiornerò i capitoli precedenti di Rebirth con la versione riveduta e corretta in primis da DreamWanderer (sia lode a lei!) e con qualche aggiunta, modifica o correzione a livello di trama da parte mia. Non cambierà nulla per la storia, ma la versione online sarà decisamente più precisa e scritta meglio! Stay tuned!
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Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei baldi giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C. S. Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson (il regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di "Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD
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Famiglia Pevensie
Peter: 20 anni
Susan: 18 anni
Edmund: 16 anni
Lucy: 12 anni
Figlie di Aslan
Siria: 20 anni
Talia: 1136 anni (dimostrati: 19 circa)
Mirime: indefinito (dimostrati: 20 circa)
Aysell: 904 anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari
Tara: 14 anni
Caleb: 22 anni
Aaron: 22 anni
Altri personaggi
Caspian: 18 anni
Shaylee: 1528 anni (dimostrati: 17/18)
Mairead: 1987 anni (dimostrati: 30/35)
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Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama "Demons" ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come collegamento, però, è farina del mio sacco e riguarda Peter e Siria ^^'
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Tabella prossimi aggiornamenti:
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15/12 - Capitolo 44 (così torniamo in pari xD)
22/12 - Capitolo 45 (regalo di Natale!)
05/01 - Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47
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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 44
*** Deconstruct. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
44th Chapter

Deconstruct - Epica

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-Lucy troverà Aslan, in qualche modo. È sempre stata la sua diletta.-

Susan non aveva avuto torto: Lucy Pevensie era sempre stata la preferita di Aslan, forse per la sua natura dolce ed estremamente buona, ed era l’unica fra loro che avrebbe avuto qualche possibilità di incontrarlo – forse perché era proprio l’unica a credere ancora in lui.

Il piano che i Re e la Regina avevano ideato per ritrovare il grande leone le era parso incredibilmente ben congegnato, tanto da spingerla ad accettare la preghiera che Edmund le aveva rivolto per chiederle di accompagnare la piccola in una delle foreste più profonde e pericolose di Narnia.

Avevano superato da circa un’ora il Prato Ballerino e si stavano addentrando sempre di più fra quegli alberi dormienti di cui Talia, soffrendo, non poteva più avvertire il respiro quieto ma costante; aveva però avvertito la presenza di una squadra di telmarini ad una manciata di iarde dietro di loro sin dal momento in cui avevano lasciato la Tana di Aslan e, adesso, aveva mandato avanti Lucy al galoppo, fermandosi per rallentare i loro inseguitori.

-Non rischiare inutilmente, Talia. Trattieni i telmarini, se riesci, ma non mettere a repentaglio la tua vita.-

Mirime era riuscita a cogliere immediatamente il lampo cupo nei suoi occhi, sì: l’Ancella dell’Aria l’aveva presa da parte e le aveva bruscamente messo in chiaro quella scomoda verità, pronunciando le esatte parole che Talia non avrebbe voluto sentire.

Saggiò la corda del proprio arco, sentendolo vibrare delicatamente sotto le dita.

I suoi poteri erano scomparsi, debilitati dalla brusca sparizione di Siria, ma possedeva ancora forza e velocità a sufficienza per sterminare almeno quel manipolo di telmarini che, adesso, poteva vedere distintamente a poche iarde dinanzi a lei, mentre frustavano i cavalli già lanciati al galoppo.

-Ti amo.-

Soltanto Caleb era riuscito a far breccia in quell’armatura dietro cui si era trincerata dopo aver avvertito la morte della propria amica.

Caleb le aveva ricordato quanto l’amava, con quelle parole semplici eppure piene di sentimento; Caleb aveva voluto farle presente che non tutto era perduto, che – insieme – avrebbero potuto avere ragione di quel dolore pulsante che non si era minimamente acquietato nel cuore della mezz’elfa; Caleb le aveva permesso di rimettersi in sesto abbastanza a lungo per darle la forza di sorridergli, esausta ma ancora in piedi, prima che Destriero s’impennasse per poi scagliarsi nella folle corsa attraverso il bosco.

Ma nemmeno lui aveva potuto aver ragione della sete di vendetta che, adesso, le riempiva la bocca del sapore acre e disgustoso del sangue.

-Fatevi avanti, su. Non chiedo altro.- sibilò, portando l’arco lungo in tensione ed accostando l’asta della freccia alla guancia: così facendo, però, sentì il polsino della casacca sfiorare un punto del collo più sensibile del normale – l’angoletto di pelle su cui il sigillo di Iona aveva perdurato per tanti anni –, rammentandole così ciò che aveva perduto e l’assenza simile ad una voragine che avvertiva dentro di sé.

Siria aveva adempiuto alla sua promessa, portando con sé il marchio di quel giuramento che le aveva unite l’una all’altra.

Talia serrò le unghie sul legno, digrignando i denti ma sforzandosi di non piangere: tirò a sé la corda, mentre l’odio le pulsava nelle orecchie uccidendo ogni altro rumore attorno a lei, focalizzando l’attenzione sulla maschera di ferro del telmarino che stava per attaccarla.

E poi non rimase altro che morte.

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 .

 .

-Dai, Destriero!- gemette Lucy, spaventata, spronando il bellissimo frisone quando, guardando indietro, vide uno dei guerrieri telmarini farsi sempre più vicino a lei.

Il cavallo di Caspian lanciò un nitrito disperato, abbassando la testa e spingendosi al massimo delle proprie possibilità – ma era stanchissimo, avevano corso per un sacco di tempo senza mai rallentare e aveva già la schiuma alla bocca, Lucy sapeva che avrebbe dovuto farlo riposare subito per evitargli un mancamento…

Un lampo dorato nel verde della foresta.

La ragazzina lanciò un’occhiata incredula agli alberi che, sfocati, scorrevano attorno a lei ad una velocità straordinaria: le era sembrato di scorgere qualcosa di familiare fra quei tronchi così immobili…

-Aslan?- sussurrò, speranzosa, le iridi celesti che s’illuminavano di una nuova speranza: tirò bruscamente le redini di Destriero, lanciandolo alla propria sinistra quando scorse ancora una volta il baluginio della folta criniera del familiare, imponente signore di Narnia.

Il ruggito del leone precedette di pochi attimi la sua trionfale apparizione: l’enorme felino si scagliò fuori dalla macchia arborea con la rapidità di una freccia scoccata, balzando sull’inseguitore di Lucy senza la minima esitazione e squarciandogli il petto dalla spalla al ventre quando il telmarino provò a colpirlo.

Rotolò a terra, Aslan, riempiendosi la criniera di foglie secche mentre il cavallo dell’uomo scappava via; Lucy, senza esitare, fermò Destriero e ne discese, sentendo il cuore battere forte nel suo piccolo petto.

-Aslan!- chiamò, più felice di quanto non fosse mai stata nell’ultimo periodo.

E Aslan si voltò, sorridendole con quegli occhi bruni e lucenti che lei non aveva mai dimenticato, annuendo ed alzandosi in piedi giusto un istante prima che Lucy gli si lanciasse addosso per abbracciarlo con tanta forza da far capitombolare entrambi, nuovamente, a terra.

Rise, il leone, rise di quella risata calda e rassicurante che Lucy adorava, chinando la grande testa per avvolgerla nel profumo di muschio e di Sole della sua folta criniera.

 -Sapevo che eri tu, fin dall’inizio…- singhiozzò lei, ridendo a sua volta, stringendosi forte a quel pelo morbido con la meravigliosa consapevolezza di sapere, finalmente, che le cose stavano per sistemarsi.

Si staccò da Aslan soltanto dopo essersi calmata un poco, squadrandolo dal basso verso l’alto e sgranando gli occhi. -Sei cresciuto!- esclamò, stupita: non credeva che anche Aslan potesse cambiare, lo aveva sempre immaginato come un essere immutabile ed eterno – un po’ come il cielo e le stelle.

-Come tu cresci un po’ ogni anno, anche io cambio col passare del tempo.- le spiegò lui, con la voce più calda e profonda di quanto lei non rammentasse. Lucy annuì, sentendo un nuovo groppo in gola annodarsi ed impedirle di parlare, limitandosi ad accoccolarsi un’altra volta contro di lui.

-Cosa ti è successo, Aslan? Perché non sei venuto a salvarci, questa volta?- mugolò, sentendo l’angoscia ripresentarsi dentro di sé al pensiero di quante cose erano successe in quell’anno che era trascorso dal momento in cui, per la seconda volta, avevano messo piede a Narnia.

Aslan non rispose immediatamente. Si sedette con grazia nell’incavo delle radici di un grosso faggio, lasciando che Lucy s’accomodasse fra le sue gigantesche zampe e volgesse gli occhioni pieni di domande verso di lui.

-Le cose non accadono mai due volte allo stesso modo.- si limitò ad affermare, enigmatico come sempre, strappando uno sbuffo esasperato alla bambina.

-Ma… avresti potuto impedire tante cose!- protestò, infatti, la piccola Lucy: Aslan avrebbe potuto evitare che Siria venisse rapita, assieme alle sue amiche, da Angus Flynch… avrebbe potuto far sì che la rossa non scappasse dalla Tana e non si sacrificasse per tutti loro, avrebbe potuto fare tante cose per impedire ciò che, invece, aveva lasciato accadere.

Aslan abbassò il capo, mentre i suoi occhi s’incupivano al pensiero di quella figlia che non era riuscito – ancora una volta – a proteggere come avrebbe voluto e dovuto fare.

-Cose che vi hanno insegnato più di quanto io avrei mai potuto.- contraddisse, pacatamente, la piccola Lucy: se lui fosse intervenuto per proteggere le sue Figlie, Caspian e i giovani Pevensie, nessuno di loro avrebbe mai imparato nulla di ciò che quell’anno di guerriglia e preparazione aveva permesso loro di capire e accettare. Era un concetto difficile e, per certi versi, crudele, ma Lucy era una giovane intelligente e Aslan sapeva che, alla fine, avrebbe capito.

La vide però intristirsi, probabilmente al pensiero della morte orribile di Siria. Lucy era sempre stata molto dolce ed estremamente sensibile, non lo sorprendeva affatto vederla tanto sconvolta per la sparizione di una persona a lei cara… -Non piangere chi se n’è andato, Lucy. La vita è piena di sorprese.- la consolò, cullandola fra le zampe e strofinando il muso contro di lei.

La bimba ridacchiò, tirando su col naso ed asciugandosi gli occhi, incapace di tenergli il broncio troppo a lungo.

-E, ora come ora, tu che sorpresa hai in serbo per questo disastro?- gli chiese, ironica e spigliata come sempre, strappandogli una risata enigmatica ed un lungo sguardo di quelle profonde, antiche iridi brune. -…rawr?- tentò allora Lucy, mimando un ruggito ed un’artigliata con la manina piccola e soffice.

Il leone si alzò in piedi, divertito, guardandola con orgoglio ed infinita pazienza.

-Esattamente, mia piccola Lucy.- annuì, prima di rovesciare la testa verso il cielo e lanciare un ruggito che poté udirsi in tutta Narnia.

La terra stessa tremò, quando il canto di Aslan richiamò alla vita le creature che per lunghi secoli avevano celato se stesse.

Le fronde degli alberi fremettero d’impazienza quando driadi e silfidi comparvero danzando fra i loro rami, accogliendo le ninfe dei boschi e dei venti in un abbraccio materno ed amorevole; dalla penombra della foresta emersero le figure, dapprima sfocate, di decine di creature di Narnia che Lucy non credeva esistere ancora – troll, goblin, lupi delle montagne e tantissimi altri – mentre, alle loro spalle, si delineava il profilo più familiare delle impalpabili nereidi e delle ben più concrete naiadi.

Lucy trasalì, sentendo un sorriso entusiasta schiudersi sul proprio volto quando riconobbe le inconfondibili iridi dorate della sua adorata amica Shaylee.

-Shaylee!- esclamò, incapace di trattenersi, correndo ad abbracciarla e stringendosi forte alla vita esile di quella giovane ninfa a cui tanto si era affezionata durante l’ultimo anno.

Shaylee sorrise, emozionata, stringendo a sé la piccola Pevensie e chiudendo per un istante gli occhi per assaporare quel minuscolo attimo di gioia che si era appena acceso dentro di lei: era così bello rivedere Lucy dopo tante settimane…

-Ciao, piccola.- mormorò, chinando il capo e lasciandosi confondere – per un breve istante – dal profumo fresco e frizzante intriso nella lunga chioma castana di Lucy.

Sapeva di casa, quella bambina.

Rimase abbracciata alla ragazzina per quella che le parve un’eternità, sotto gli sguardi orgogliosi di Aslan e di Mairead; ma, quando si accorse di essere osservata, alzò il volto e si ricompose, permettendo però a Lucy di rimanere stretta a lei.

-È arrivato il momento, Aslan?- domandò, dominando l’emozione che sentiva agitarle il cuore al cospetto del signore incontrastato di tutta Narnia – era passato talmente tanto tempo dal loro primo incontro che Shay, vergognandosene, si era convinta di averlo solamente sognato…

Le iridi grandi e lucenti del leone si posarono su di lei, spingendola a chinare la testa in segno di rispetto; sorrideva, Aslan, fiero di quella naiade che aveva osservato a lungo e che, finalmente, vedeva sicura di sé e della strada che aveva deciso di percorrere. -Sì, mia cara.- annuì, prima di volgersi verso la bellissima Sovrana che aveva guidato il popolo di Narnia da quando lui se n’era andato. -Mairead, mia signora.- la salutò, abbassando la grande testa davanti a lei.

Mairead sorrise, altera e misteriosa come sempre, comprendendo il muto ringraziamento che Aslan le stava rivolgendo con quell’inchino.

-Ti affido Lucy.- aggiunse lui, rialzando il muso e vedendo la ninfa annuire in risposta.

Mairead sapeva bene dove lui doveva andare, adesso.

-Sarà al sicuro.- gli assicurò, stringendo le lunghe dita affusolate sullo scettro incantato che Aslan stesso le aveva donato secoli e secoli prima; la pietra azzurra incastonata nell’estremità superiore sfolgorò di bagliori argentati quando la Sovrana s’inchinò a sua volta al cospetto del grande leone, rispettosa, prima che il felino si voltasse per avviarsi verso il profondo della foresta.

-Mairead?- sentì squittire, e si voltò per rivolgere un sorriso alla più giovane dei Quattro regnanti venuti dal passato. -L’ultima volta che vi ho incontrato eravate completamente d’acqua, maestà.- la salutò Lucy, riconoscendola con entusiasmo e lasciando andare Shaylee per rivolgere una riverenza molto aggraziata all’antica naiade.

-Come Shaylee, anche io e le altre naiadi abbiamo dovuto adattarci quando Narnia è cambiata.- le spiegò, intenerita dalla dolcezza speciale di quella ragazzina che non era cambiata nemmeno dopo tutti quegli anni. -L’acqua di ogni mondo è sempre collegata, non esiste una polla che possa vivere a sé stante; Aysell ha perduto il controllo sul proprio elemento, e tutte noi soffriamo con lei.- continuò, vedendo Shaylee, alle spalle di Lucy,  incupirsi quando nominò la sua adorata sorellina.

La giovane umana annuì, rammentando le lezioni che le erano state impartite durante il periodo in cui aveva vissuto e regnato a Narnia.

 .

“Le naiadi e le nereidi sono ninfe dell’acqua e da acqua sono composte, ma soltanto le prime fra loro possono assumere altre forme come, ad esempio, quella umana.

È un processo di trasformazione non istantaneo, che richiede molta energia ed una notevole capacità di concentrazione: la maggior parte di questa razza di ninfe preferisce, infatti, assumere una forma sola durante la propria esistenza.

Una volta mutate, però, le naiadi sono in grado di adattarsi perfettamente al proprio nuovo aspetto fino a che non sarà necessario tornare alla propria forma originaria: in questo caso, tuttavia, la spesa di forze sarà uguale – se non maggiore – a quella utilizzata durante il cambiamento precedente.

Si dice che soltanto creature come la Guardiana dell’Acqua, la Terza delle Figlie di Aslan, sia in grado di trasformarsi in pochi attimi e senza dispendio di energie: questa mitologica creatura (non ancora ritrovata) appartiene sicuramente ad una di queste due famiglie di ninfe, essendo esse tutte collegate dall’indissolubile legame che unisce le creature dell’acqua.”

  .

-Potremmo non essere in grado di combattere se assumessimo la nostra forma originaria, Lucy. Saremmo troppo instabili.- la voce di Shaylee strappò la piccola Pevensie dai propri ricordi, facendola sussultare. Lucy alzò lo sguardo, mortificata dalla propria distrazione, appena in tempo per vedere l’amica naiade lanciare un’occhiata pensierosa alla figura già lontana di Aslan. -Fino a che Aslan non avrà sistemato le cose, la soluzione più sicura è rimanere umane.- aggiunse, ma la piccola capì che stava parlando più a se stessa che con lei e non rispose, rimanendo a guardare il leone fino a che non lo vide scomparire nel folto del bosco.

Sarebbe tornato, Lucy non aveva mai smesso di crederci e certo non lo avrebbe fatto adesso: eppure vederlo andare via le fece male come mai prima di quel momento.

Shay sospirò, ravviandosi la treccia bruna dietro la spalla e drizzando appena la schiena.

-Forza, non abbiamo tempo da perdere.- affermò, prendendo Lucy per mano e conducendola con sé alla destra di Mairead. -Peter e gli altri stanno aspettando soltanto noi.-

 .

§

 .

Il clangore delle spade era assordante.

Peter rotolò su se stesso, sfilandosi dal letale ingaggio di Miraz appena in tempo; alzò lo scudo, proteggendo il braccio – ferito pochi attimi prima – quando la pesante spada di Miraz si lanciò in una nuova scarica di colpi che lui riuscì a malapena a parare.

Aysell represse il desiderio di imprecare mordendosi un labbro, tenendo gli occhi inchiodati sul duello in corso a pochi metri da lei.

-Così si farà ammazzare!- mugugnò, lanciando una veloce occhiata a Edmund Pevensie che, come lei, non riusciva a staccare lo sguardo dallo scontro che vedeva coinvolto suo fratello maggiore. -A cosa può servire un Supremo Re morto!? Edmund, fai qualcosa!- aggiunse la giovane naiade, indicando il biondo con un ampio gesto del braccio.

Edmund, però, scosse la testa.

-Peter non ha bisogno di me, adesso.- le rispose soltanto, senza allontanare le iridi scure da Peter – aveva uno sguardo tremendamente intenso, notò Mirime, studiando l’espressione corrucciata e pensierosa del più giovane dei Re.

L’idea che Caspian aveva proposto poche ore prima era stata approvata praticamente all’unanimità dal consiglio improvvisato che avevano tenuto in una delle salette della Tana: il Re Supremo aveva sfidato a duello l’usurpatore telmarino, pungolandone l’orgoglio tramite il messaggio che Edmund stesso si era premurato di riferire a Miraz, per decidere la sorte di quella battaglia senza inutili spargimenti di sangue.

Tutti quanti sapevano perfettamente quanto quello fosse soltanto un tentativo di prendere tempo per permettere a Lucy e a Talia di trovare Aslan e risistemare l’equilibrio delle Figlie superstiti, ma l’idea era che Peter tentasse almeno di sopravvivere…

L’Ancella dell’Aria tornò a soppesare l’Alto Re di Narnia, pensierosa.

Peter Pevensie combatteva con una furia che aveva visto ben poche volte nel volto di un uomo: aveva, negli occhi, la rabbia e la determinazione di un innocente condannato a morte – metteva tutto se stesso nei colpi della propria spada, attaccando come se stesse cercando di vincere non soltanto Miraz ma, soprattutto, tutti i pensieri che gli avevano corroso lo spirito da quando Siria se n’era andata.

Combatteva per dimenticare ciò che le aveva fatto, comprese la pleiade, guardando il biondo balzare in piedi e scagliarsi addosso al nemico con forse anche più furia di quanta ne avesse usata sino a quel momento.

Combatteva contro i propri demoni, Peter Pevensie, e nessuno avrebbe potuto arrestare la determinazione con cui stava lottando in quell’istante.

-Vincerà.- mormorò Caspian, fermo sull’attenti al fianco della ninfa mora, serrando convulsamente la mano destra sull’elsa della spada.

Da quando era arrivata alla Tana, poche ore prima, Mirime gli aveva sentito pronunciare giusto una manciata di parole: tutto ciò che il principe Caspian aveva detto le era sembrato corretto, misurato ma, purtroppo, estremamente e profondamente sofferto.

C’era l’ombra della morte, negli occhi di quel futuro Re.

Il ragazzo digrignò i denti, masticando un’imprecazione quando vide Peter, esausto, chiedere una breve pausa all’avversario.

-Le deve almeno questo.- sussurrò, rivolto più a se stesso che alla ninfa dei venti, prima di farsi avanti per sostenere il proprio Re.

 .

§

 .

“È giunto il momento, Siria.”

Riversa a terra in quel talamo di cenere che l’aveva vista sacrificarsi per il più nobile dei motivi, velata soltanto da quella sua cascata di lucenti capelli rossi, la Paladina del Fuoco dormiva il primo vero sonno tranquillo della sua vita.

Mosse appena il capo, scacciando la polvere nera che le irritava le palpebre socchiuse, mentre le iridi si muovevano, agitate, sotto il velo di quella pelle sottile.

“È ora di svegliarsi, figlia mia.”

Scosse ancora una volta la testa, imbronciandosi persino nel dormiveglia: non aveva la minima intenzione di sottrarsi a quella pace in cui si stava lasciando naufragare da quando la presenza di sua madre l’aveva abbandonata, no… in quel mondo selvaggio e ostile la aspettavano solamente dolore e solitudine, non aveva proprio voglia di ricominciare a combattere così presto. Voleva godersela soltanto un altro po’, non c’era niente di male… rotolò su se stessa, avvolgendosi ancor di più in quel lenzuolo scarlatto intessuto di capelli e braci morenti, scacciando la sensazione – piuttosto vivida, oltretutto – di non essere sola.

“Avrai tutto il tempo del mondo per imparare ad amarti, mia cara… adesso, però, devi aprire gli occhi e tornare alla vita.”

A chi apparteneva quella voce? Le sembrava di averla conosciuta molto tempo prima… eppure, nonostante le suonasse familiare, non riusciva a dare un nome alla sensazione di calore e affetto che sembrava trasparire da quelle parole sussurrate alla sua mente assopita.

Era quasi come se una presenza che le era mancata per tantissimo tempo fosse finalmente tornata da lei, abbracciandola e cullandola in una stretta piena d’amore e di sollievo per averla ritrovata.

Le diceva di svegliarsi, quel qualcuno che la amava ma che lei non era in grado di riconoscere; le diceva che doveva andare, che doveva tornare alla vita che la stava aspettando al di là di ciò che rimaneva delle colline di Archen – ma se poi l’avesse perduta? Se, destandosi, quella persona sconosciuta se ne fosse andata un’altra volta?

Qualcosa, dentro di lei, si ribellava all’idea di lasciarla andare: aveva aspettato così tanto per riabbracciarla…

Una risata calda e rassicurante le riempì l’anima, strappandole un sorriso spontaneo e sincero che distese i lineamenti contratti del suo bel volto.

“Sii serena, mia cara bambina. Io non ti lascerò più.”

 .

§

 .

Aysell scambiò un’occhiata pensierosa con Mirime, per nulla rassicurata dalla presenza del piccolo drappello di soldati che, appena dietro i luogotenenti di Miraz, si era avvicinato al colonnato in rovina in cui si stavano fronteggiando Peter ed il re telmarino.

Miraz era in ginocchio, ferito ed inerme davanti alla spada di Peter. Contro ogni aspettativa – nonostante le ferite, il dolore, la rabbia – il giovane Pevensie era riuscito a ribaltare le sorti di quel duello e ora era lì, con in pugno la vita di quell’uomo che tanto male aveva liberato a Narnia, impugnando una lama che tremava della stessa furia che gli brillava negli occhi.

Aysell si morse un labbro, preoccupata.

Non conosceva bene nessuno dei Pevensie, vero, ma le era parso di capire che Peter fosse un guerriero estremamente leale – un idiota, certo, ma di sicuro non qualcuno in grado di giustiziare un uomo disarmato.

Miraz aveva fatto del male a tutti loro, era vero, ma non meritava una fine del genere: la sua morte non avrebbe risolto quella guerra né fermato l’esercito che si era ammassato davanti alla Tana – avrebbe solamente portato ancora più oscurità nel cuore dell’Alto Re di Narnia.

Edmund, accanto a lei, fissava il fratello: forse era d’accordo con la sua riflessione, forse anche lui pensava che Peter non dovesse finire Miraz… ma sussultò, sorpreso, nello stesso istante in cui la naiade trasalì: Peter aveva abbassato la spada e si era voltato verso Caspian, porgendogliela e facendosi, poi, da parte.

Quella vendetta non gli spettava, sembrava voler dire l’atteggiamento del Re Supremo: aveva ceduto il posto a Caspian, dandogli la possibilità di vendicare tutti coloro che il principe aveva perduto a causa di quel malvagio essere umano – suo padre, il suo regno, Siria…

Da quel poco tempo che aveva passato alla Tana, Aysell era riuscita a comprendere quanto forte e solido fosse stato il legame fra la raminga e Caspian: non osava nemmeno pensare a quanto dolore stesse provando il ragazzo in quel momento…

Peter – incredibile a dirsi – aveva compiuto un gesto molto onorevole nei confronti del moro: gli aveva dato la possibilità di uccidere il responsabile di mille e mille atrocità e, soprattutto, non lo stava lasciando solo ad affrontare Miraz, rimanendo al suo fianco come avrebbe fatto soltanto un vero amico.

Nemmeno Caspian avrebbe dovuto uccidere quell’uomo.

Aysell strinse i pugni, imponendosi l’autocontrollo necessario per non scoppiare di nuovo in lacrime: uccidere Miraz non avrebbe riportato indietro Siria… niente e nessuno avrebbe mai potuto restituire la raminga alle persone che l’avevano amata.

Ma Caspian lo avrebbe capito? Sarebbe stato in grado di vedere oltre l’odio e la sofferenza?

Sentì il principe mormorare qualcosa, vide Miraz rispondergli e chinare il capo, sconfitto dinanzi a quel nipote che aveva tentato di uccidere in tutti i modi; e chiuse gli occhi, la giovane naiade, voltando la testa per non costringersi a guardare quell’esecuzione che avrebbe tanto voluto poter fermare.

Il grido disperato, sofferto, ruggito di Caspian le ghiacciò il sangue nelle vene, appena prima che il sibilo della spada ed un tonfo alquanto sinistro la facessero trasalire ancora una volta.

Sentì Mirime espirare al proprio fianco, avvertì il fiato di Edmund mozzarsi all’improvviso: aprì gli occhi, incapace di capire che cosa stesse succedendo, giusto in tempo per vedere Caspian voltarsi verso la Tana con gli occhi pieni di lacrime mentre Miraz, incredulo, guardava la spada del giovane principe vibrare a pochi centimetri dal proprio volto.

La ninfa sentì qualcosa di simile ad una scossa elettrica attraversarla, mentre un sorriso incredulo le si apriva in viso: Caspian non lo aveva ucciso!

Incredula, vide Peter sorridere stancamente e dare una pacca sulla spalla al ragazzo, ottenendo in risposta uno sguardo confuso ma, in un qualche modo, trionfante; il biondo annuì, lanciandogli un’occhiata che poteva essere definita soltanto orgogliosa, passandogli un braccio intorno alla spalla e conducendolo verso la delegazione narniana mentre l’intero esercito li acclamava.

-Siria sarebbe fiera di loro. Di tutti e due.- mormorò Edmund a bassa voce, in modo da non farsi sentire dai due ragazzi, permettendosi un breve sorriso che, tuttavia, non illuminò del tutto il suo sguardo rapace.

Aysell si sfregò gli occhi, sentendosi pienamente concorde a quell’affermazione: Peter non le piaceva e lo avrebbe odiato – forse per sempre – ma sì, Siria sarebbe stata fiera di entrambi, se fosse stata lì sarebbe stata così felice di vederli uscire trionfanti ed immacolati da quella sfida…

-Era molto legata a Peter?- sentì domandare Mirime al bruno. Edmund annuì.

-Più di quanto si possa spiegare.- fu la risposta che diede alla pleiade, prima di farsi avanti per controllare che il fratello fosse ancora tutto intero; Peter però lo fermò immediatamente, facendogli cenno di seguirlo mentre lo superava assieme a Caspian.

-Torniamo alla Tana e prepariamoci. Non è ancora finita.- lo sentì sussurrare Aysell mentre il Re passava accanto alle due ninfe col passo determinato di sempre; Mirime, rapida, le toccò una spalla per farle cenno di seguirla, accodandosi ai tre Re assieme alla naiade.

-È andata bene, no?- le domandò la bionda, mentre camminavano fra le rocce semidivorate dal muschio che costellavano quel pezzo di prateria.

-Più che bene.- le confermò l’altra, intrecciando una ciocca di capelli alle lunghe dita e lanciando un’occhiata pensierosa ai tre ragazzi. -Edmund Pevensie ha ragione: hanno dimostrato entrambi di essere degni di essere chiamati Re.- aggiunse, in quel tono lontano e distaccato che – Aysell lo sapeva bene – assumeva quando stava riflettendo su qualcosa di importante.

Avanzò di qualche passo, rispettando il bisogno dell’amica di riflettere, lanciando un’occhiata intorno a sé: una volta quel pianale era stato l’altare sacrificale della Strega Bianca ma, ora non rimanevano altro che sconnesse pietre bianche oramai spezzate…

Uno strano riflesso grigiastro.

Aggrottò le sopracciglia, perplessa: era cresciuta fra le alte montagne che dividevano Narnia da Ettins e, nel corso dei secoli, aveva imparato a riconoscere tutti i modi in cui la luce poteva rifrangersi sulla roccia… ma quella non era una luminescenza normale.

Un riflesso metallico.

Si voltò di scatto, improvvisamente spaventata… appena in tempo per vedere il luogotenente di Miraz pugnalare il proprio re con una freccia dalle piume scarlatte.

-CASPIAN! PETER!- strillò, inorridendo quando vide l’usurpatore cadere e le guardie del nobile – Sopespian, si chiamava? – rompere le righe e scagliarsi verso di loro.

-TRADIMENTO!- urlò il telmarino, sorridendo trionfante davanti all’agonizzante corpo di Miraz. -NARNIA CI HA TRADITI!-

I tre ragazzi si voltarono di scatto, sguainando le spade e lanciandosi verso i nemici senza esitare nemmeno un istante; anche Mirime, senza scomporsi, distese una mano ed evocò la propria arma prediletta dal limbo in cui la sua energia la teneva racchiusa – Mirime era magica anche senza i propri poteri, rammentò Aysell, vedendo la lunga asta apparire fra le dita dell’amica e le lame gemelle lampeggiare nel sole di Narnia; non aveva problemi ad evocare qualcosa creato da una magia diversa da quella dell’Aria, e__

Aysell si batté una mano sulla fronte, stupita dalla propria lentezza: si concentrò sulla propria energia vitale, guardando le pietre incastonate nei propri bracciali illuminarsi e prendere istantaneamente la forma dei pugnali che aveva utilizzato anche contro Nikabrik.

Anche lei poteva evocare quel tipo di magia, perché si legava alla sua mente e non all’Acqua: come aveva fatto a dimenticarlo!?

Scuotendo la testa, esasperata, Aysell corse verso il cuore dello scontro; schivò il primo colpo abbassandosi di scatto e pugnalando l’aggressore al ventre, allontanandosi quasi subito per volgersi verso un altro avversario.

Peter, più accorto di lei, vide l’uomo ferito agguantare la propria lancia per prendere Aysell alle spalle; reprimendo il desiderio d’imprecare, brandì Rhindon e calò con forza la fidata spada sul braccio del telmarino, mozzandoglielo di netto e rendendolo innocuo.

-Mettiti al sicuro, accidenti!- abbaiò in direzione di Aysell che, sorpresa dal suono delle ossa che si spezzavano, si era voltata verso di lui e adesso lo stava fissando con un’espressione totalmente allibita.

-Me la cavo benissimo!- fu l’unica risposta che Peter ottenne da lei ma, prima che potesse urlarle in faccia quanto si stesse comportando da sciocca, la ragazza incespicò, schivando per un pelo la lama di un’ascia leggera scagliata contro di lei.

-Certo, come no!- sbottò lui, esasperato; però, vedendo che Aysell non gli dava minimamente retta, sbuffò e la prese per un braccio, costringendola a guardarlo in faccia. -Senti, fila subito da Susan e rimani fuori dai piedi fino a che non potrai annegarli tutti!- le impose, bruscamente, in un tono talmente perentorio da farla sussultare.

-D’accordo!- pigolò la ragazza, allibita dall’autorità che aveva sentito vibrare nella voce di lui, scivolando via dalla sua presa e dirigendosi di corsa verso la Tana di Aslan.

Certo che quell’idiota sa come dare ordini, si disse, mentre si arrampicava sulla scala pericolante che l’avrebbe condotta dagli arcieri che Susan aveva disposto sopra l’accesso della cripta; scosse la testa, imbronciata e sorpresa, in risposta all’occhiata interrogativa che le lanciò la Regina nel vederla arrivare.

-Accidenti a lui, stavo quasi per mettermi sull’attenti!- mugugnò fra sé, contrariata, ma non poté fare a meno di provare una fitta di ammirazione quando, lanciando uno sguardo verso i tre Re e Mirime, vide il biondo sterminare i telmarini senza una briciola di esitazione.

Forse, con una guida come lui, non tutto era perduto

 .

§

 .

Gli occhi di Siria si schiusero con dolcezza, accompagnati dalla delicata sensazione di affetto che aveva avvertito durante il sonno e che, contrariamente a quanto aveva temuto, non si stava dissolvendo.

Le colline di Archen erano soltanto un ricordo: sotto le sue mani c’era, adesso, un terreno nerastro e brullo che si stendeva fino a dove istanti, ore, giorni prima c’era stata solo tanta erba spazzata dal vento… sarebbero rimaste nere di cenere per sempre, Siria lo sapeva.

Lì la fenice era morta. Era morta per poi risorgere.

Inspirò profondamente, serena come mai prima, sentendo i polmoni riempirsi di quell’aria fredda e pura che le trasmise un profondo senso di pace e di libertà.

Non c’era più odio nel suo cuore, non c’era più quel mostro che Jadis aveva impiantato fra le sue carni: la sua anima, adesso, aveva la possibilità e la forza di volare via, di ardere e di esplodere in un tripudio di luci e di fiamme.

Sorrise, chiudendo ancora gli occhi e sentendo la magia scoppiettare liquida e pura appena sotto la sua pelle: era un fiume in piena che la riempiva, che donava ai suoi muscoli ed al suo cuore nuovo coraggio, nuovo vigore.

Un solo battito d’ali, e le colline di Archen rimasero alle sue spalle.

Si guardò intorno, una volta abbandonato il fuoco che l’aveva riportata indietro, trovando nella foresta di Narnia una vita che non vi aveva mai scorto prima – un lento battito appena celato sotto le cortecce immote degli alberi. Gli occhi di una strega potevano distinguere ogni anelito di magia, ogni sprazzo di vita in ciò che la circondava: l’energia che le scorreva nelle vene non era più malvagia ed incontrollata, ma impaziente di bruciare con tutto il proprio ardore.

Per la prima volta nella sua vita Siria si sentì davvero Siria.

Una strega, una donna, una guerriera; un’amante, una compagna, un’amica fedele; era in grado di essere tutto ciò che desiderava, tutto ciò che il suo cuore aveva bisogno di sentire.

Si era finalmente liberata della bestia che Jadis aveva impiantato dentro di lei, costringendola a temere se stessa e la propria natura: ora non era più un’agonia lasciar scorrere fra le dita rivoli di magia, densi come il sangue, scoppiettanti come il fuoco.

Era bello.

Si sentiva a suo agio, si sentiva come se non avesse mai davvero assaporato appieno la propria esistenza: una magia molto più antica della Strega Bianca la chiamava, incantandola con la meraviglia che emanava ogni essere che la circondava, avvolto dall’opalescente aura della sua stessa natura.

L’intera Narnia, ora lo vedeva, era impregnata di magia.

La palpava, l’assaporava; la sentiva scendere fra le labbra, lungo la gola, riempiendole il ventre del sapore caldo e denso di una magia che diventava parte di lei, assorbita dalla sua stessa carne che si confondeva, che si mischiava con quel nettare troppo a lungo negatole.

E lei non era più una creatura a sé stante: non era più una reietta, non rifiutava più il posto che quella terra aveva riservato esclusivamente a lei fin dalla notte dei tempi; sentì la natura gioire, estasiata, quando prese finalmente il posto che le spettava da sempre.

Là, figlia dello stesso sangue di Aslan.

Ma ora, ora doveva andare: avrebbe avuto tanto tempo per scoprire le meraviglie che la magia le aveva riservato, che quella meravigliosa comunione le aveva offerto e che lei, finalmente, aveva accettato.

Aveva un compito, adesso.

C’era una guerra, in corso, una guerra in cui avrebbero combattuto tutte le persone che amava e che avevano bisogno di lei…

I suoi soldati, che così duramente aveva addestrato.

Aaron, Caleb e Talia che, sicuramente, la stava aspettando – Talia, che di lei si era sempre fidata, anche quando Siria stessa aveva dubitato di sé.

Mirime, che aveva sempre creduto nella sua forza, vedendola le avrebbe sorriso e sarebbe stata felice di ritrovarla, fiera della vittoria che la sua giovane amica aveva conquistato.

Aysell, che invece l’avrebbe certamente affogata: chissà quanto si era spaventata, quanto aveva sofferto nel sentire la magia strapparle la presenza di una sorella appena ritrovata…

Shaylee… chissà se Shaylee sarebbe entrata in battaglia, occupando finalmente quel posto che Mairead aveva serbato tanto a lungo per lei.

Peter, che non era riuscito a ucciderla. Peter, che aveva visto ogni suo tormento, ogni suo dolore, ogni segreto nascosto nel suo animo tormentato. Peter, a cui non avrebbe permesso di lasciarsi ammazzare – non da qualcuno che non era lei, perlomeno.

Caspian.

Non sapeva cosa l’aspettava. Non sapeva se il principe sarebbe stato in grado di perdonarla, di accettarla per quello che era. Non sapeva quanto avrebbe sofferto, non sapeva se avrebbe ancora avuto il coraggio di guardarlo negli occhi. Non sapeva se in quelle iridi color pece avrebbe ancora trovato quell’amore che l’aveva salvata, che le aveva restituito la vita.

Ma sarebbe andata. Sarebbe andata comunque, avrebbe combattuto comunque.

Sentì il suo cuore incendiarsi quando le fiamme arsero dentro e fuori di lei, il volto del suo principe bene impresso sulla retina.

Caspian.

Qualunque cosa fosse successa, lei sarebbe andata – anche solo per vederlo un’ultima volta.

Si volse in direzione della Tana di Aslan, a nord rispetto a dove si trovava in quel momento, accorgendosi soltanto in quel momento di calzare degli abiti che non ricordava di aver mai posseduto: aveva addosso un semplice corsetto di un bel rosso cupo, resistente e perfetto per combattere, un paio di polsiere in cuoio rinforzato e una calzamaglia tanto ben modellata sulle sue gambe da darle l’impressione di non indossarla nemmeno.

Saggiò il proprio corpo dondolandosi sui talloni, stupendosi di quanto morbidi fossero i nuovi stivali da viaggio che le erano apparsi ai piedi assieme a tutto il resto: un gesto che non le costò il minimo sforzo, sostenuta com’era dall’amorevole aiuto della terra e del fuoco che vi pulsava all’interno, impaziente di eruttare.

Narnia voleva vendetta.

Siria lo sentiva, avvertiva la richiesta muta ma pressante del mondo che l’attorniava, del suo mondo: non poteva ignorarla, non avrebbe potuto nemmeno volendo… i suoi stessi desideri coincidevano con quello del canto che avvertiva attorno a sé ovunque i suoi occhi cercassero, in qualunque modo ascoltasse la natura.

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Vai, Strega Rossa.

Vai e combatti, fenice, spiega le tue ali e ardi nel cielo azzurro della tua terra.

Combatti, Paladina del Fuoco, ultima delle Quattro di Aslan. Combatti per Narnia.

 

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My Space:
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Lasciatemelo dire, perché oramai ci siamo: PER NARNIAAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!

Come siamo messi male xD
È arrivato Aslan! Incredibile ma vero, anche quel grosso gatto si è fatto vivo (finalmente U_U). Non so se ve l'ho mai detto, ma Aslan mi sta davvero antipatico ^^''''
In questo capitolo succedono un sacco di cose: Talia dà sfogo alla sua rabbia, Peter affronta in parte i suoi demoni, Aysell e Mirime si inspessiscono come presenze nella storia e Siria si dà, finalmente, una svegliata. La nostra Strega Rossa ha da fare un bel po' di casino, non c'è che dire xD oh, ed è tornata Shaylee! Non dimentichiamoci di Shaylee xD
A proposito, una nota mia: ho adorato scrivere di Edmund, in questo capitolo. È così... *-*
A parte questo, ecco i due outfit, di Mirime (che mi sono scordata di postare prima) e di Siria, sempre opera di DreamWanderer che trovate su DeviantArt cliccando su questo link ^^ cliccando sulle immagini, invece, potete ingrandirle!
 



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Noticilla:
Età narniane. Alcuni mi hanno chiesto le età dei baldi giuovani che calcano le scene di questa fanfiction, quindi eccovi accontentati! Ovviamente ho modificato le età definite da C. S. Lewis, ma non mi sento in colpa perché anche Andrew Adamson (il regista, mi pare - confondo sempre i ruoli di regista e produttore - di "Le Cronache di Narnia: il Principe Caspian") l'ha fatto xD
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Famiglia Pevensie
Peter: 20 anni
Susan: 18 anni
Edmund: 16 anni
Lucy: 12 anni
Figlie di Aslan
Siria: 20 anni
Talia: 1136 anni (dimostrati: 19 circa)
Mirime: indefinito (dimostrati: 20 circa)
Aysell: 904 anni (dimostrati: 15/16)
Mercenari
Tara: 14 anni
Caleb: 22 anni
Aaron: 22 anni
Altri personaggi
Caspian: 18 anni
Shaylee: 1528 anni (dimostrati: 17/18)
Mairead: 1987 anni (dimostrati: 30/35)
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Noticilla:
Sul mio canale di Youtube sono online un po' di video, se vi va di guardarli, relativi a questa fanfiction: l'ultimo che ho pubblicato è un breve teaser trailer sulle Figlie di Aslan, se vi va di darci un'occhiata li trovate sul mio PROFILO o direttamente al link: http://www.youtube.com/watch?v=u2FMUv7DXRM
N.B. la canzone del capitolo 40° si chiama "Demons" ed appartiene al gruppo "Imagine Dragons". Il video che ho messo come collegamento, però, è farina del mio sacco e riguarda Peter e Siria ^^'
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Tabella prossimi aggiornamenti:
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22/12 - Capitolo 45 (regalo di Natale!)
05/01 - Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47
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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 45
*** Our Destiny. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
45th Chapter

Our Destiny - Epica

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La freccia dalle piume smeraldine affondò nella gola dell’ennesimo telmarino, troppo lento per scansarla; Talia si abbandonò ad un sorriso freddo, quasi crudele, vedendo agonizzare la sua vittima nel tentativo di strapparsi il dardo dal collo.

Incoccò rapidamente un’altra asticella, balzando contemporaneamente di lato per evitare il fendente di spada che uno dei pochi cavalieri rimasti menò in sua direzione: la lama tagliò lo spazio che lei aveva occupato sino ad un attimo prima, prima che venisse scalzata dalla mano del proprietario da un colpo preciso dell’estremità d’acciaio dell’arco di Talia.

-Andate a morire impiccati, carogne!- strillò la mezz’elfa, lasciando fluidamente andare la corda e assottigliando le palpebre per schermarsi dal riflesso del Sole: vide il suo attaccante cadere, ucciso, ma quell’attimo di distrazione permise ai tre rimasti di afferrare le balestre e puntarle contro di lei.

Rapida, Talia saltò in alto e s’arrampicò agilmente sull’albero più vicino, scartando più volte quando i dardi le sibilarono attorno. Infilò l’arco nella sua custodia, sapendo che non sarebbe più riuscita a trovare il tempo necessario per utilizzarlo; sguainò quindi la propria spada, un’arma sottile ed elegante che le aveva donato Galador prima di lasciare la Tana di Aslan, accucciandosi nell’incavo di due grossi rami per calcolare quanto tempo e quanti movimenti le sarebbero serviti per falciare i telmarini rimasti senza rischiare la vita.

Lanciò loro un’occhiata malevola mentre quelli ricaricavano le balestre in fretta e furia: li odiava, li odiava e nessuno avrebbe potuto biasimarla per averli trucidati… erano umani, ciechi e dannati esseri umani che avevano portato solamente sofferenza e solitudine agli abitanti di Narnia come lei e come le sue sorelle.

Se solo avesse avuto i suoi poteri non avrebbe nemmeno avuto bisogno di pensare: le sarebbe bastato aprire il proprio cuore alla Terra per far sì che Narnia stessa si rivoltasse verso quei maledetti invasori…

Al solo pensiero, tuttavia, la rabbia bruciò con una forza tale da farla quasi cadere dall’albero.

Sgranò gli occhi, stupefatta dall’intensità quasi fisica di quell’emozione: non le era mai capitato di essere talmente sopraffatta da una sensazione da perdere il controllo del proprio corpo, quasi fosse__

-ARGH!-

Il ruggito spaventato dei telmarini la strappò dai propri pensieri; lanciò loro un’occhiata, chiedendosi perché stessero strillando come dei maiali sgozzati… e vide grossi tralci bruni e verdi scagliarsi su di loro, strappandoli dalle selle dei cavalli e strangolandoli senza la minima esitazione.

Sconvolta, Talia li guardò agonizzare nelle spire di quelle piante assassine. -Quando si dice “prendere un ordine alla lettera”…- mormorò, distogliendo lo sguardo e cercando di capire cosa fosse successo: forse Lucy era riuscita a trovare Aslan, ma__

Qualcosa, in quell’attimo, esplose dentro di lei.

Scoppiò a ridere, Talia, quando avvertì una sensazione familiare – insperata – farsi largo nella sua rabbia, incenerendo tutto quanto e lasciando dietro di sé solamente una dirompente felicità che, in sette anni, la mezz’elfa non era mai riuscita ad avvertire.

Sorridendo, con la pelle che formicolava e s’accendeva di riflessi dorati, la Custode s’arrampicò fino alle fronde più alte dell’albero su cui si trovava, trovando nel cielo azzurro di Narnia la traccia di qualcosa che, al proprio passaggio, aveva incendiato l’aria intorno a sé e formato vaporose nuvolette che già si stavano diradando.

-Bentornata, sciagurata che non sei altro.- sussurrò, con gli occhi pieni di lacrime, mentre – intorno, dentro di lei – la natura di Narnia si riappropriava di una vita che per tredici secoli le era stata negata.

._

§

 _

Caspian lanciò il pugnale lungo, colpendo in pieno petto il soldato che stava per uccidere Trumpkin.

-Raggiungi Susan!- gli urlò, superandolo di corsa e recuperando il coltello al volo, affiancandosi ad Aaron e a Caleb che, in quel momento, erano ingaggiati da una vera e propria folla di telmarini armati fino ai denti.

-Fuori dai piedi!- ruggì il gigante biondo, mulinando lo spadone con tanta veemenza da far arretrare i nemici, intimoriti dalla sua furia; Caspian ed Aaron, approfittando della loro incertezza, vi si scagliarono come rapaci sulla preda e ne trucidarono la metà, mentre Edmund galoppava alle loro spalle finendo gli altri con precisi tiri di balestra.

I due giovani tirarono fiato, ma la pausa durò pochissimo: quasi immediatamente altri soldati emersero dalla voragine che gli stessi narniani avevano aperto per dividere l’esercito di Telmar, assaltandoli e costringendoli ad arretrare verso la Tana di Aslan.

-Sono troppi!- abbaiò Aaron, lanciando un’occhiata disperata ai nuovi arrivati: quei dannati sembravano non finire mai, li avrebbero soverchiati con la sola forza del proprio numero…

-Beh, se proprio devo morire, almeno me ne porterò dietro un po’!- fu la risposta sarcastica che ottenne dal biondo, che si lanciò in avanti proprio in mezzo alla massa di guerrieri che li stava attaccando mentre Caspian si scagliava contro un altro gruppo di avversari.

-CALEB! NO!- gli gridò dietro ma, per quanto fu utile, avrebbe potuto urlare al vento: vide l’amico sparire fra le armature e gli scudi telmarini e, imprecando, gli corse dietro per evitare che si facesse ammazzare anzitempo.

-Fatevi sotto, maledetti!- ruggì il gigante, ruotando su se stesso e colpendo tre soldati uno dopo l’altro; altri però balzarono in avanti, ansiosi di far fuori quel guerriero formidabile che stava decimando tutti i drappelli che gli venivano mandati contro.

Caleb digrignò i denti, affondando nel ventre del più vicino la punta dello spadone e ritraendola subito per rotearla sopra la testa, parando un’attacco di lancia venuto dall’alto: quei bastardi non finivano mai, constatò, e lui cominciava ad accusare la stanchezza di quella battaglia che gli sembrava stesse durando già da ore.

Lo avrebbero ucciso, quella era una verità che non poteva ignorare: ma, almeno, ne avrebbe potuti trascinare con sé un numero considerevole.

-Pagherete cara la mia pelle!- abbaiò, afferrando il guerriero più vicino e sollevandolo di peso, scagliandolo addosso a tre dei suoi compari: quelli ruzzolarono a terra, momentaneamente innocui, ma subito altri li calpestarono per assalirlo nuovamente.

Cal avvertì il bruciore delle ferite acuirsi, moltiplicarsi, ma non gli diede peso: sarebbe morto in battaglia con coraggio e senza tirarsi indietro, avrebbe reso onore alle Figlie di Aslan che stavano disperatamente cercando di sistemare i danni causati dalla Strega Bianca… sentì il cuore gonfiarsi di commozione quando il suo pensiero corse a Talia, nello stesso attimo in cui una lama telmarina gli feriva la mano destra facendogli perdere la presa sull’elsa della spada.

Talia.

Lei sarebbe sopravvissuta, avrebbe salvato Tara e sarebbero rimaste insieme: era l’unica cosa importante, adesso, l’unica cosa che lo spingeva a combattere ancora.

Talia.

Un infido colpo fra le costole lo fece stramazzare a terra, stordito, ma lui rotolò su se stesso ed evitò il primo affondo di spada; qualcuno però gli piantò una lancia nella spalla, facendolo ruggire di dolore ed inchiodandolo lì dov’era.

-Muori!- strillò un telmarino, alzando l’arma che impugnava che, crudele come la scure del boia, scintillò di letale bellezza nella luce vivida del Sole.

Talia.

Chiuse gli occhi, Caleb, preparandosi al colpo ma cercando di non lasciarsi sopraffare dalla paura: Talia sarebbe stata forte, ce l’avrebbe fatta a superare la sua morte, lei era sempre stata la più coraggiosa fra loro due…

Il dolore, però, non venne.

Allibito, il biondo schiuse le palpebre e si guardò intorno, sentendo il giubilo e la meraviglia soppiantare alla svelta il terrore che lo aveva quasi paralizzato: lunghi rami e nodose radici erano esplose tutt’attorno a lui, afferrando i soldati telmarini e scagliandoli lontano con una delicatezza tale da farlo sogghignare quando li vide atterrare malamente a diverse iarde di distanza.

Si alzò in piedi, dolorante ma affatto sconfitto, e rise quando si ritrovò davanti una foresta in piena regola che, contro ogni logica, avanzava ruggendo verso l’esercito di Telmar.

Lanciò un’occhiata divertita verso l’alto giusto in tempo per essere travolto da un qualcosa – molto simile ad un giunco flessuoso, rilucente d’energia dorata – che gli si buttò addosso e lo strinse forte fra sottili braccia che lui ben conosceva.

La trasse a sé per baciare quella meravigliosa creatura fatata che, ridendo, ricambiò con egual passione il suo gesto d’amore, prima di dividersi da lui e guardarlo con quell’aria maliziosa che era tutto un programma.

-Non oggi, ragazzone. Mi servi vivo.- sussurrò Talia, facendogli l’occhiolino prima di dargli le spalle per gettarsi nella mischia con rinnovata energia.

 _

L’arrivo degli alberi e di Talia parve capovolgere momentaneamente l’andamento dello scontro: i telmarini, sconvolti da quelle enormi creature mugghianti, scappavano di fronte ai rami frustanti e alle furiose driadi che ne accompagnavano i proprietari, ma presto – incitati da Sopespian, il traditore – accesero enormi fuochi nei cestini dei trabucchi, trascinati fin lì da Beruna dai cavalli da soma, per usarli come arma contro quelle nuove venute.

Siria, che stava osservando la battaglia da alcuni minuti, sentì qualcosa incrinarsi quando il suo sguardo corse sul campo di battaglia.

Susan e Tara, armate d’arco e di frecce, lottavano fianco a fianco contro i soldati che continuavano ad incalzarle; Caleb ruggiva come un orso, assestando fendenti mortali a tutti i telmarini che capitavano a tiro del suo micidiale spadone; Cornell combatteva al fianco di suo fratello Aaron, ma non avrebbe saputo dire quale dei due fosse più pericoloso; Peter invece era vicino ad Edmund, ed entrambi non risparmiavano affatto il maestoso canto delle proprie spade.

E poi, là, c’era Caspian.

No.

Caspian era a terra: Glozelle, il più fido generale di Miraz, puntava una lancia contro il suo petto.

Il principe era immobile, sapeva che non sarebbe servito provare a scappare… al collo portava il medaglione che aveva donato a Siria tempo prima, che brillava come un faro agli occhi della raminga.

-Mia madre mi fece giurare di darlo soltanto ad una persona.

È tuo, Sir. È tuo come il mio cuore.-

-No.- quelle due semplici lettere rimbombarono con forza nel suo petto, nel suo cuore.

Non lo avrebbe permesso, non avrebbe lasciato che lo uccidessero. Non avrebbe lasciato che le fosse portato via, non prima di aver tentato – non prima di avergli detto tutto quello che provava per lui.

Non finché ci sono io.

Sentì la magia ardere dentro di lei a quel pensiero, ma dovette trattenersi dal lanciarsi in mezzo alla battaglia: non era sicura di cavarsela, non sapeva controllare la sua magia a sufficienza per rendersi davvero utile… non aveva nemmeno una spada, santo cielo!

Esitò, ma vide Glozelle avanzare di un passo verso il principe: doveva fare presto…

-Questo può servirti, Sir?-

La strega sobbalzò, colta di sorpresa dalla voce cristallina e divertita che risuonò alle sue spalle; si voltò di scatto, incredula… e ritrovò dinanzi a sé due iridi dorate che non l’avevano mai abbandonata per davvero.

-Mirime!- esclamò, sentendo gli occhi riempirsi di lacrime nel vedere la pleiade a pochi metri da lei.

Mirime sorrideva, felice ed emozionata almeno quanto la rossa, ma il suo sguardo antico si spostò verso il basso… verso l’oggetto che due invisibili refoli d’aria tenevano sospeso a pochi centimetri dai suoi palmi aperti.

Siria trasalì, impallidendo visibilmente. -Lo scettro di Jadis…?- mormorò, sentendo un vuoto sgradevole spalancarsi a livello dello stomaco.

Perché Mirime le aveva portato quell’arma dannata?

-Gli scettri canalizzano la magia e aiutano una strega a controllarla, soprattutto se non è ancora molto esperta.- le spiegò la ninfa dei venti, comprendendo il suo timore ma sorridendole con fare incoraggiante. -Questo è tarato sul ghiaccio e non ti appartiene, ma… credo che per stavolta potrà andar bene, non trovi?- aggiunse, facendole cenno di avvicinarsi quando Siria fece l’atto di incrociare le braccia sul ventre in segno di protezione.

Caspian era in pericolo.

Siria prese un lungo respiro, tutt’altro che rassicurata. -Credo di sì.- mormorò; tese una mano, guardinga – ma, quando il metallo intarsiato sfiorò le sue dita tese, semplicemente lei seppe.

Seppe cosa fare, come combattere e come sfruttare appieno la propria magia, lei… lei, che era l’ultima strega di Narnia.

La pleiade sorrise, ritirando l’aria che aveva sostenuto quel ricettacolo di magia che lei non avrebbe mai potuto impugnare, posando una mano sulla spalla dell’amica: era cresciuta così tanto…

-Mirime, io… grazie.- mormorò la rossa, serrando la presa su quell’antichissima arma che apparteneva a lei di diritto.

-Di niente.- ridacchiò l’altra, scuotendo appena la testa. -È bello rivederti sana e salva, Siryn.- aggiunse in tono dolce, sorridendo all’amica ed arruffandole teneramente la frangia spettinata; Siria rise, sentendosi di nuovo bambina per qualche attimo, arrossendo appena e salutando Mirime con un cenno affettuoso prima che la pleiade sparisse così com’era arrivata.

Prese fiato, la raminga, scrutando lo scettro che teneva in mano: i cristalli che lo componevano, più resistenti e brillanti di qualsiasi diamante, scintillavano di rosso nel riflesso dei suoi capelli… quanto male aveva fatto quell’oggetto?

Non aveva tempo per pensarci, Caspian era in pericolo: con forza, roteando appena l’asta sottile fra le dita, lo impugnò più saldamente e lo piantò con rabbia nel terreno.

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Glozelle alzò lo sguardo dagli occhi furenti di Caspian, allibito, quando il suono di un’esplosione echeggiò in tutto il campo di battaglia.

-Ma che diamine…- mormorò, incapace di credere a ciò che stava vedendo nascere davanti ai propri occhi sbalorditi: qualcosa di simile ad un mostro infuocato era appena sbucato dal folto della foresta narniana, circondato da lingue scarlatte che si allargavano a raggiera tutt’attorno alla sua figura indefinita; era uno spettacolo affascinante e terribile e, non per la prima volta, Glozelle si ritrovò ad ammirare la bellezza selvaggia che quella terra misteriosa aveva dovuto celare da quando Telmar l’aveva invasa.

Un attimo dopo, però, la sua sorpresa mutò in terrore quando comprese che i tentacoli di fuoco si stavano scagliando, ruggendo, proprio contro di lui.

Il telmarino balzò indietro, lasciando cadere la lancia ed evitando per pochissimo la lingua di fuoco che rese bollente gli anelli della cotta di maglia che indossava: la propaggine rossastra si contrasse attorno a Caspian, allontanando il generale dal ragazzo – stupefatto e allibito quanto lui, oltretutto.

Il principe alzò lo sguardo verso la collina, incredulo, seguendo il percorso che le fiamme avevano tracciato sull’erba oramai ridotta in cenere: là, in mezzo al fuoco, lei stessa nulla più che una creatura forgiata dalle fiamme…

…c’era lei.

-Siria…- esalò, pronunciando il nome della sua amata con incredulità e terrore, incapace di credere a ciò che stava vedendo: Siria era là, viva e vegeta, ed era semplicemente più bella che mai.

Il fuoco danzava intorno a lei, dentro di lei; lei stessa ormai non era altro che un incendio di carne e di ossa, i capelli guizzavano allegramente, fondendosi con le fiamme che ballavano sulla sua pelle e nel suo pugno chiuso intorno ad una lancia intarsiata di cristalli che riverberavano del carminio delle fiamme; quello che le solcava il volto era un sorriso vivido, quasi estatico: la sua era l’espressione indomita di una fiera finalmente libera, e i suoi occhi… i suoi occhi erano vivi, due zaffiri intensi che brillavano in mezzo a quell’oceano di lava.

Era libera.

Caspian sentì il cuore accelerare bruscamente, riprendere a battere dopo tante ore di silenzio e di sofferenza, nel riconoscere quei tratti tanto amati nel crepitio del fuoco.

Era libera.

Si ritrovò a sorridere quando la giovane divampò di gioia e di esaltazione, buttandosi in una folle corsa dall’interno della foresta al pieno della battaglia e sciogliendo la propria magia in altre lingue rossastre che andarono ad affiancare i guerrieri di Narnia.

Era finalmente libera.

Libera dal dolore, libera dalla paura e dal terrore che aveva sempre scorto in fondo ai suoi occhi. Era libera, danzava nel suo elemento con la grazia e la bellezza di un’odalisca, con lo scettro nella mano destra e i capelli che ballavano intorno a lei.

Era libera, ed era lì.

-Caspian, sei in mezzo ad una battaglia!-

La voce soave di Aaron lo riscosse da quell’attimo di trance, riportandolo bruscamente alla realtà.

Siria.

Doveva combattere, si disse, ma non era fisicamente in grado di distogliere lo sguardo dalla meravigliosa realtà che Siria aveva appena concretizzato con la sua sola esistenza: lei era viva, lei era tornata

Battaglia.

La vide riprendere il suo aspetto umano, mentre il fuoco combatteva fianco a fianco con i narniani; vide i soldati voltarsi istintivamente verso di lei, alla ricerca di quella guida che lei era diventata e che li aveva addestrati e motivati negli ultimi mesi; la vide sorridere mentre scagliava il pugno verso il cielo, e sentì il ruggito dei soldati accoglierla in mezzo a loro quando si gettò in mezzo alla battaglia.

…una battaglia che, per una volta, avrebbe aspettato.

Caspian balzò in piedi, parando un infido colpo alle spalle che stava per essere inferto al giovane centauro che combatteva poco distante da lui, animato da un nuova forza e da un nuovo coraggio.

La guerra avrebbe aspettato, adesso: c’era qualcosa, prima, che doveva fare.

Doveva andare da lei.

 _

Talia sorrise, impugnando arco e frecce e balzando sull’albero più vicino; il volto impresso nella chioma lussureggiante le sorrise, voltando poi l’immenso capo verso il cuore della battaglia.

-Avanti, amico mio, andiamo a fare un po’ di danni!- lo esortò la mezz’elfa, sentendo i rami più sottili avvolgerle i polpacci per sostenerla quando, con un rombo assordante, la creatura della foresta sollevò le radici dal profondo della terra e s’incamminò in direzione della voragine in cui vedeva ardere il fuoco della Paladina.

Pochi erano i telmarini in grado di contrastare l’avanzata dei suoi alberi, ma – Talia doveva proprio ammetterlo – furono molti i coraggiosi che tentarono di rallentarne il passo, cercando di mutilarne le radici o i rami più bassi; non avevano però messo in conto l’abilità di arciere della Custode che l’albero portava con sé, e nessuno di quegli stolti aggressori fu in grado di sfuggire ai quei dardi dalle piume di smeraldo.

Nessuno avrebbe potuto impedirle di raggiungere la sua amica.

-Tallie!-

Sentì il cuore scoppiarle nel petto, Talia, quando quella voce familiare le echeggiò nelle sensibilissime orecchie appuntite.

Vide la strega dai capelli rossi annientare metà dei guerrieri che cercavano di tagliarle la strada, incenerendoli o pugnalandoli con l’estremità acuminata dello scettro; rideva, Siria, ma la vista acuta della mezz’elfa distinse anche le sottili lacrime di commozione che le rigavano il volto.

Balzò a terra, sguainando la spada elfica e tranciando di netto la testa del primo sventurato che ebbe l’ardire di pararsi davanti a lei; Siria si mosse allo stesso modo, schivando un colpo e mozzando il braccio dell’aggressore di turno, prima di mettersi a correre per raggiungere il punto in cui Talia si stava battendo.

-Siria!- esclamò la bruna, sgomitando fra due minotauri per spingerli da parte – ed eccola là, la sua amica, avvolta nella familiare cascata di capelli rossi e con lo sguardo acceso di chi ha appena ritrovato la forza di combattere.

Ed il mondo riprese finalmente a funzionare nel verso giusto, quando Talia riuscì finalmente a stringere la sua amica fra le braccia.

Si abbracciarono di slancio, serrandosi l’un l’altra in una stretta piena di paura e di sollievo; Talia affondò il viso in quel mare rosso, ridendo e piangendo allo stesso tempo, ancora incapace di credere alla fortuna sfacciata che Siria aveva dimostrato, per l’ennesima volta, di possedere.

Era viva.

Siria, che era da sempre la metà di quell’anima solitaria, era viva e vegeta e rideva con lei, abbracciandola con la medesima forza e riempiendola di gioia quando le trasmise un calore e una meraviglia tali da farla gioire ancor di più.

Siria era fuoco, adesso, un falò scoppiettante di vita che non aveva mai potuto ardere davvero.

-Non farlo mai più. Sono quasi morta di paura.- Talia ansimò sulla sua spalla, rendendosi conto soltanto in quel momento di avere il fiato corto ed il volto inondato di lacrime: perdere lei, perdere Siria, aveva minato alla base tutte le sicurezze che l’avevano tenuta in piedi in quei sette anni da che l’aveva incontrata.

Era tornata.

Siria ridacchiò, arruffando con un gesto affettuoso la corta chioma lucente dell’amica e socchiudendo gli occhi in quel profumo selvatico e rassicurante che lei conosceva così bene. -Sissignora.- mormorò, ironica, sussultando però quando Talia le rifilò un pizzicotto tutt’altro che delicato in risposta al suo scherno giocoso.

Rimasero strette per una manciata d’istanti, protette dalla furia del grande albero che combatteva alle loro spalle, prima di separarsi e guardarsi in volto con rinnovato vigore: erano di nuovo insieme, adesso, e nessun nemico era mai riuscito ad annientarle quando si trovavano l’una con l’altra.

Senza nemmeno parlare balzarono indietro, piroettando con un aggraziato movimento speculare e brandendo ognuna la propria arma per ingaggiare i telmarini che avevano appena tentato di prenderle di sorpresa: i soldati caddero senza possibilità di scampo ma, con quel gesto, Siria ebbe la possibilità di abbracciare con lo sguardo l’interezza del campo di battaglia che si dipanava attorno a lei.

Sgranò gli occhi, sorpresa, quando un particolare combattente attirò la sua attenzione.

La familiare chioma bionda dell’Alto Re riverberò nel Sole di Narnia, lanciando bagliori dorati nell’erba carnosa che accolse il regal capino quando il suo fiero proprietario cadde a terra, colpito alle spalle da uno dei lancieri di Telmar.

Peter.

La rossa sospirò, lanciando un’occhiata in tralice a Talia: la mezz’elfa, cogliendo l’espressione dell’amica, alzò gli occhi al cielo e si lasciò sfuggire un versaccio esasperato.

-Vuoi ancora andare a salvargli la pelle!?- sbottò, incredula – e Siria comprese, dai pensieri che le sfiorarono la mente in quell’stante, che Talia avrebbe volentieri permesso all’esercito di Telmar di ridurre Peter Pevensie ad una poltiglia sanguinolenta ed uggiolante, liberando così Narnia dalla sua seccante ed inutile presenza.

Ridacchiò, Siria, avvicinandosi all’amica per stringerle una spalla in un breve gesto d’affetto. -Beh, l’unica che ha il diritto di farlo fuori sono io, non ti pare?- si limitò a farle notare, sorridendo, prima di voltarsi – in uno svolazzo di crini scarlatti – e buttarsi nuovamente nella mischia in direzione di uno sventurato Re Supremo che, nonostante tutto, continuava a rimanere nelle grazie di Siria in un modo che Talia non sarebbe mai riuscita a comprendere.

-È una logica che non fa una grinza.- si limitò a commentare, esasperata, prima di abbandonarsi ad una risata entusiasta e lanciarsi all’inseguimento dell’amica nel folto dell’esercito di Telmar.

 _

Peter imprecò, vedendo Rhindon sfuggirgli dalle dita e atterrare a poche, vitali iarde dalla sua portata; crollò a terra, stordito dall’infido attacco del telmarino, sentendo il fiato mozzarsi a causa della caduta.

Vide la lancia del nemico calare – inesorabile e scintillante – verso di lui, sentì la scure della Morte scendere al fianco dell’arma telmarina per tranciare quella vita vissuta due volte…

-PETER!-

Un sibilo, il suono familiare di una lama che trapassava un petto umano, una zazzera immensa d’infuocati capelli rossi.

Il guerriero telmarino crollò a terra, trafitto in pieno torace da una spada che Peter riconobbe all’istante come la propria; l’elsa dorata di Rhindon brillò di riflessi scarlatti quando, con un brusco strattone, la giovane donna che l’aveva impugnata la estrasse dal corpo agonizzante del soldato, chinandosi a passarla nell’erba per eliminare il sangue che ne aveva lordato la letale bellezza.

Il biondo alzò lo sguardo, distogliendolo a fatica dalla lama, quasi incapace di credere a ciò che aveva dinanzi: lì, splendente e fiera come la più nobile delle regine guerriere, c’era Siria.

Siria.

Rimase immobile, Peter, senza trovare la forza di allontanare gli occhi dal volto tanto familiare della giovane strega: Siria era lì, era viva, Siria gli aveva appena salvato la vita per l’ennesima volta

Per un istante provò il fortissimo impulso di abbracciarla, di toccarla, di sapere per certo che non si trattava di un’illusione; aveva creduto di averla costretta a sacrificarsi, aveva creduto di averla condannata a morte… aveva creduto di averla perduta – non una, ma ben due volte.

-Credi che sia il momento di vincerla, questa battaglia?- gli chiese lei, spezzando il filo dei suoi confusi pensieri e tendendogli una mano per aiutarlo ad alzarsi. Peter, esitando solamente per un istante, accettò l’offerta e si lasciò sostenere, impugnando nuovamente la fidata Rhindon quando lei gliela porse.

-Direi proprio di sì.- rispose, e non riuscì a non rivolgerle un vago sorriso d’intesa prima di ributtarsi, con rinnovato vigore, nel cuore della battaglia.

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_

Il terrore si propagò fra i telmarini con la stessa velocità delle fiamme che ardevano fra loro; il fuoco ruggiva, aggredendoli, assumendo le sembianze di creature infernali che proteggevano i combattenti di Narnia e che rinvigorivano le loro forze con la prepotenza della lava incandescente.

I soldati incespicavano, arretrando dinanzi a quei mostri: la paura era nei loro occhi scuri, nei colpi che perdevano vigore, nelle grida di coloro che si ritrovavano accerchiati da quell’inferno salito in terra.

-Una strega! Hanno una strega!- fu uno dei lord fedeli a Miraz che urlò quelle parole, terrorizzato dalla bestia di fuoco che combatteva al fianco di un minotauro contro due dei suoi soldati: le streghe, da sempre, brillavano nell’immaginario collettivo di Telmar per la loro perfidia e per la loro temibile capacità di annientare intere nazioni senza nemmeno combattere.

Cercò di colpire quel mostro con la lancia, mentre il cavallo nitriva, terrorizzato, sotto di lui. La creatura di fuoco non avrebbe visto, era impegnata contro gli altri due e annientarla avrebbe forse rinfrancato il morale dei suoi uomini…

Ma una mano bianca si chiuse sul legno scuro dell’arma, sfruttandone la lunghezza per disarcionarlo e strappandola poi dalla sua stretta – una mano di donna, della donna dai capelli rossi che lo sovrastò quando lui ruzzolò a terra.

Due vividi occhi blu sostennero il suo sguardo atterrito, ricambiandolo con il sorriso sardonico del vittorioso.

-La strega!- sbottò lui, più stupito che spaventato, vedendo il fuoco ballarle nelle iridi e nei cristalli dello scettro che teneva nella mano destra.

-Esatto. E, pensa un po’? Ora la strega fa il culo a tutti quanti.- fu la risposta sarcastica che Siria gli rivolse, voltandosi di scatto e scagliando con precisione la lancia – colpendo in pieno petto uno dei soldati che stava attaccando senza pietà il minotauro.

Il lord telmarino, però, approfittò di quell’istante di distrazione e balzò in piedi, sguainando con rabbia la propria spada: la strega era voltata, il collo bianco era esposto e fragile… quel gesto di altruismo le sarebbe costato la vita.

Brandì l’arma, alzandola nel cielo limpido, pronto a calarla sulla gola di quella maledetta: avrebbe mondato il regno di Telmar da quella sudicia creatura partorita dai mostri, e la sua morte avrebbe annientato il ritrovato entusiasmo dell’esercito narniano…

Il sibilo della lama quasi non si udì, nel frastuono della battaglia: di certo Siria non lo avrebbe mai potuto sentire, concentrata com’era su altro, e non sarebbe stata in grado di avvertire la morte calare come una scure su di lei – ma sentì, chiaramente, il clangore di due lame che si scontravano a pochi millimetri dalla sua gola.

Piroettò su se stessa e balzò a distanza di sicurezza, allarmata, distinguendo soltanto un brusco ingaggio di spade e il lord telmarino che veniva sbalzato indietro con un coltello piantato nel cuore, ucciso senza pietà dal guerriero che si era frapposto per proteggerla da quel vile attacco alle spalle.

Un guerriero dai riccioli scuri e dalle spalle larghe, che Siria riconobbe all’istante.

-…Caspian.-

Per la prima volta dall’inizio di quello scontro Siria esitò, sentendo il cuore incrinarsi quando comprese di ritrovarsi davanti al principe di Narnia.

La battaglia intorno a lei perse ogni significato in pochi attimi; la giovane strega abbassò gli occhi: non poteva affrontarlo, si disse, mentre le lacrime le bruciavano di muta frustrazione le palpebre socchiuse.

Con quale coraggio avrebbe potuto alzare lo sguardo in quelle iridi nere che lei tanto amava, dopo ciò che gli aveva fatto? Non poteva dimenticare l’occhiata che il principe le aveva rivolto in mezzo alla foresta, non riusciva a schiodarsi dalla mente quegli occhi pieni di dolore, di tristezza, di rancore…

Si ritrasse appena, inconsciamente, quando avvertì i passi rapidi e determinati del giovane; Caspian se ne accorse, sarebbe stato impossibile non vedere il fremito di paura che l’aveva attraversata – ma Siria non lo sentì rallentare né fermarsi, fino a che non si sentì avvolgere da qualcosa di caldo e meravigliosamente familiare.

Sgranò gli occhi, allibita.

Riconobbe le braccia di Caspian, riconobbe la stretta salda in cui l’aveva appena racchiusa: si ritrovò – piccola e tremante – contro al suo petto, con le dita del principe immerse fra i propri capelli ed il suo volto che cercava, terrorizzato, l’incavo di quella gola bianca che tanto ben conosceva.

E, improvvisamente, si sentì bene.

Avvertì le lacrime rigarle le guance e i singhiozzi salirle in gola, ma non le importava; era fra le braccia di Caspian e questo valeva tutte le lacrime del mondo, valeva tutto il dolore che aveva provato nelle ultime ore – improvvisamente insignificante di fronte alla gioia che quell’abbraccio, adesso, le trasmetteva.

Furono tremanti le dita che sfiorarono il petto del giovane, le sue spalle; non le era mai parso più concreto, Caspian, più vero di quanto non fosse in quel momento, mentre le sue braccia la serravano a sé con una forza che sfociava quasi nel terrore.

Un attimo più tardi, finalmente, le candide mani sussultanti salirono a cingergli il collo, stringendosi a lui con forza ed incredulità, immensamente felice di ritrovarsi nell’unico luogo dove si fosse mai sentita davvero al sicuro.

Lì. Nell’abbraccio di Caspian.

Avvertì il torace del giovane sussultare e la stretta delle sue mani farsi più forte, quasi spasmodica; stupita, alzò lo sguardo su di lui, ignorando le lacrime liberatorie che le ruscellavano lungo le guance.

Niente, niente avrebbe mai potuto sconvolgerla in quel momento come vedere quelle stesse lacrime rigare il volto del suo principe.

Avvertì i propri occhi sgranare, Siria: nulla avrebbe mai potuto causare quel turbinio di violente emozioni nel suo cuore quanto vedere gli occhioni di Caspian pieni di pianto e di tormento, colmi un senso di colpa immenso che non si sarebbe mai aspettata.

-Perdonami.- le sussurrò, piano, accarezzandole una guancia, sentendo le dita bagnarsi di quelle perle salate che parevano non volersi fermare.

Siria non disse nulla, perché qualcosa di doloroso le ostruiva la gola e le impediva di parlare; soltanto i suoi occhi si stavano allargando per la sorpresa – una sorpresa insperata, una sorpresa meravigliosa.

Era bella, bella più di quanto non fosse mai stata.

Qualcosa, dentro Caspian, si ruppe. Dovette stringere i denti ed accostarsi a lei, cercando disperatamente il calore corporeo che Siria emanava e che riusciva a dargli la sicurezza di averla davvero lì, di non essere preda della più dolce e crudele delle allucinazioni; premette la fronte contro la sua, passando le mani sulla schiena della ragazza e serrandola contro di sé.

-Perdonami, Sir… ti prego, perdonami, sono stato un idiota, a me non cambia nulla, strega o meno non fa differenza, io__-

-Ti amo.-

La voce morì sulle labbra di Caspian quando quelle due semplici parole riuscirono a fermare quel fiume di scuse, di preghiere e di lacrime che lo stava sconvolgendo.

Mise a fuoco gli occhi lucidi di Siria, si rese conto delle mani candide premute sulla propria gola, distinse il suo volto appena sorridente, luminoso, candido.

Mise a fuoco quelle due parole, che penetrarono con forza nel suo cuore senza più l’intenzione di schiodarsi da lì.

Ti amo.

Non c’era alcuna battaglia, in quel momento. Non c’era nulla se non un silenzio ovattato che apparteneva soltanto a loro, a quelle iridi tanto diverse che si erano ritrovate, a quei sorrisi umidi di lacrime che imperlavano sui loro volti.

Sorrise, Siria, spostando con delicatezza una mano e posandola sulla guancia del suo principe – prima una e poi anche l’altra, ed accarezzò la sua pelle per portare via con sé quelle gocce salate che non le piacevano, che non avrebbe mai voluto vedere nei suoi occhi.

E il suo sorriso si riflesse sulle labbra di Caspian, sul suo volto, nei suoi occhi arrossati. Bloccò dolcemente le sue dita sul proprio viso, voltandosi appena per posare un bacio su quel palmo temprato dalle battaglie, socchiudendo gli occhi e beandosi del gradevole odore della pelle di lei.

-Ti amo anch’io. Sempre e comunque. Potrai perdonarmi?- la sua voce tradì un fremito sulle ultime due parole, mentre un’ombra scura riempiva nuovamente i suoi occhi; ma la raminga – la strega – scosse la testa, sorridendo divertita e dandogli un buffetto sul naso.

-L’ho già fatto.- rispose, con una serenità nella voce che lui non vi aveva mai udito, alzandosi in punta di piedi per sfiorare, con un bacio, quella bocca familiare di cui non si sarebbe mai potuta saziare. Rise, felice, nell’avvertire le labbra di lui schiudersi in un sorriso – quel sorriso che lei tanto amava – quando Caspian le cinse il volto e la baciò con una furia tale da cancellare qualsiasi altro pensiero dalla sua mente.

Si baciarono lì, suggellando il proprio amore nel fragore della battaglia, mentre l’esercito ruggiva la propria approvazione tutt’attorno a loro.

-Scusatemi, abbiamo una battaglia da vincere, permesso!-

Qualcosa di molto simile ad una montagna semovente, coronata non da neve ma da folti riccioli biondi, sollevò Siria di peso e la separò dal principe, stringendola in un breve abbraccio da orso che, nonostante l’irruenza, la fece sorridere.

-Devo dire a Talia di tenerti a bada, gorilla. Un po’ di astinenza magari ti farebbe bene…- commentò, schioccando un bacio sulla guancia di Caleb prima che il gigante, ridendo, le permettesse di sgusciare via dalla propria stretta entusiasta.

-Ma anche no!- sentì strillare, poco lontano, l’amica mezz’elfa, e scoppiò a ridere assieme a Caspian nel vedere l’espressione sconvolta e supplichevole appena apparsa sul viso di Caleb.

Quell’attimo di pausa, però, costò caro a tutti loro: Talia, impegnata a dirigere gli alberi contro quei trabocchi che i venti di Mirime non avevano ancora distrutto, cacciò uno strillo di rabbia quando uno dei massi delle catapulte telmarine cozzò contro l’albero che l’aveva seguita sino a lì, rovesciandolo a terra in un marasma di ruggiti, rami spezzati e foglie che si disperdevano ovunque.

Siria balzò sul tronco del caduto, sentendo l’angoscia ed il dolore della pianta riverberarsi nelle emozioni di Talia e, di riflesso, anche nelle sue: concentrandosi per incanalare la propria energia nel braccio destro – quello che reggeva lo scettro –, puntò il manufatto verso la grossa roccia levigata per liberare la creatura di Narnia dal peso che stava minacciando di spezzarne l’ampio fusto.

I cristalli brillarono di una vivace luminescenza scarlatta quando la magia corse lungo la lunghezza dell’asta e si scagliò, in un tripudio di innocue scintille, sulla pietra: quella rotolò via, innocua, liberando l’albero dalla sua morsa e accendendo un forte sentimento di gratitudine e sollievo nei pensieri delle due Figlie di Aslan.

Caleb e Caspian, rapidi come frecce, erano tornati a combattere singolarmente contro i soldati di Telmar; soltanto Peter, però, che non era troppo lontano, vide il secondo proietto di catapulta descrivere un ampio raggio nel cielo prima di cominciare la sua parabola discendente proprio verso il punto in cui Siria era appena balzata a terra.

-SIRIA!- chiamò, atterrito, ma la giovane ebbe appena il tempo di alzare lo sguardo: riuscì soltanto a scambiare un’occhiata disperata con Peter, sconvolta dall’ombra mortale che si stava repentinamente allargando intorno a lei, prima che l’enorme pietra si abbattesse al suolo, scuotendo la terra e scavando una terribile voragine tutt’attorno a sé: le scintille rosse scomparvero e Siria… Siria svanì con loro nel polverone alzato dallo schianto.

-NO!-

Peter, incapace di credere a ciò che aveva appena visto, raggiunse di corsa Caspian e Caleb appena in tempo per vedere il biondo lasciar andare il ragazzo che si agitava come un ossesso, ma insieme dovettero agguantarlo di nuovo per impedirgli di lanciarsi in avanti.

Caspian rivolse al Re Supremo uno sguardo disperato, ma Peter scosse la testa: Siria non poteva essere morta in un modo così stupido, andiamo! Nemmeno Jadis era riuscita ad ucciderla – nemmeno lui

-Uh!-

Sobbalzarono tutti quanti, colti di sorpresa, quando una voce divertita risuonò alle loro spalle. Si voltarono, increduli, trovandosi davanti una divertita ed esilarata Siria, con gli occhi che ancora crepitavano di magia.

-Non ero sicura di saperlo fare, questo…- mormorò a mo’ di scusa, vedendo le espressioni allibite del principe e del Re scrutarla come se non riuscissero a credere ai propri occhi – e come se avessero improvvisamente una gran voglia di strangolarla, soprattutto.

-Io non ho parole, davvero… sei una strega pivella e provi a fare cose che son fuori dalla tua portata.- sospirò Caleb, ridacchiando, avvicinandosi a lei con un largo sorriso dipinto sul volto abbronzato.

-Ehi! Però ci sono riuscita!- protestò Siria, ridendo a sua volta, accettando con gratitudine la spada che Caleb le porse un istante più tardi.

Un brivido di gioia ed eccitazione la pervase, quando finalmente le sue dita si chiusero su quell’elsa che aveva agognato sin da quando aveva raggiunto il campo di battaglia – quell’elsa che il suo tocco aveva modellato giorno dopo giorno, anno dopo anno, guerra dopo guerra.

Kain. Bentornato, amico mio.

-Sì, ma hai fatto prendere un colpo al tuo principino!- ribatté Cal, ruggendo una risata che riuscì a scaldarle il cuore mentre i suoi occhi cercavano l’espressione terrorizzata ancora scolpita sul volto di Caspian.

-Non ho fatto tutti questi casini per farmi ammazzare da un grosso sasso.- gli fece notare, con un sorriso spigliato e divertito a riempirle il volto.

-La detesto quando fa così.- mormorò Peter, accanto al principe, scuotendo appena la testa e dando una debole pacca sulla spalla dell’amico; Caspian annuì, sconfortato quando lui, non riuscendo però a non ridere quando vide Siria volgersi nuovamente verso i guerrieri di Telmar.

-Concordo.-

Dal canto suo, Siria si limitò a ridacchiare nell’udire il breve scambio di battute fra principe e Re: la sua attenzione però fu subito attirata da Talia e da Mirime che, vendicative, avevano scatenato ognuna le proprie forze ed avevano appena ridotto in macerie l’ultimo trabucco ancora in piedi.

L’esercito avversario sembrò contrarsi, a quel punto, mentre la ninfa dei venti volteggiava minacciosamente fra i soldati mulinando quella che – Siria dovette scuotere la testa, incapace di credere a ciò che vedeva – assomigliava terribilmente ad una falce a doppia lama.

Talia apparve al suo fianco, divertita quanto lei, comunicandole mentalmente le posizioni di ognuno dei comandanti: Aaron ed Edmund li stavano raggiungendo a piedi, Cornell stava disimpegnandosi da uno scontro ed Aysell e Susan erano ancora sui bastioni della Tana assieme agli arcieri.

“Mirime, porta qui Sue ed Aysell. Tallie, scorta Cornell da noi” ordinò mentalmente la strega, studiando la posizione in cui si trovavano – a poche iarde di distanza dall’entrata della cripta – e prendendo subito la decisione di radunare lì i loro condottieri.

-Peter!- chiamò, ma non ebbe bisogno di aggiungere altro: Peter e Caspian avevano già recuperato due cavalli, portati loro dagli scudieri fauni, e lei balzò in sella dietro al principe prima che i due cavalieri si lanciassero al lungo galoppo per richiamare i loro soldati.

-Ripiegare sulla Tana!- ordinò lei, e subito vide i narniani obbedire al suo richiamo ed abbandonare i duelli che li tenevano impegnati.

-Indietro tutti, proteggete i feriti!- aggiunse Peter nel medesimo tono stentoreo, sentendosi bizzarramente orgoglioso del portamento fiero e determinato che Siria aveva assunto assieme al ruolo ufficioso di comandante in seconda.

Una volta lontani dalla Tana, Siria balzò a terra e fece cenno ai due giovani di tornare indietro: i narniani stavano ripiegando sul piazzale della cripta esattamente come i telmarini si stavano ritirando verso Beruna, schiacciati dal terrore che vento, fiamme ed alberi avevano seminato fra i loro ranghi. Molti soldati però erano troppo vicini alla Tana per sperare di poter tornare indietro vivi, e si scagliarono quindi sui guerrieri di Narnia; ma la ragazza si era aspettata quella mossa disperata e non si fece trovare impreparata.

D’istinto tese la mano destra, gioendo nel vedere le lingue di fuoco tornare ad avvolgere la sua pelle ed il metallo liscio dello scettro. Era una bella sensazione, quella: si sentiva un tutt’uno con le sue fiamme, potente e forte come non credeva di poter essere, si sentiva… se stessa – una sé che non si era mai permessa di essere: il suo vero io, la sua reale essenza.

E le fiamme, al suo ordine, crebbero.

Si snodarono sul terreno, senza bruciare l’erba che era loro sorella, attraversando il campo di battaglia e separando definitivamente i due schieramenti, allontanando i soldati di Miraz dai narniani senza, se possibile, uccidere quei disgraziati che non erano riusciti a ritirarsi verso Beruna.

-Questi ve li restituisco, manica d’imbecilli!- sentì strillare sopra di sé, e non poté fare a meno di scoppiare a ridere quando vide due proietti di catapulta lanciati a tutta velocità verso i telmarini più lontani.

“Sempre diplomatica, vero?” sussurrò mentalmente, rivolgendosi alla pleiade che svolazzava con aria minacciosa a diversi piedi d’altezza sopra di lei.

“Sempre!” fu la risposta allegra che le risuonò nella testa, mentre la raminga si concentrava per ripetere l’incantesimo che le aveva permesso di spostarsi attraverso lo spazio in meno di un battito di ciglia.

Riapparve in una fiammata al fianco di Caspian, che sussultò per la sorpresa ma sorrise immediatamente nel riconoscerla; a poche iarde da sé, udì Edmund commentare, in direzione di Peter, lo spirito battagliero di Mirime col naso rivolto verso l’ultimo punto in cui avevano visto sparire la pleiade.

-E quella sarebbe la più tranquilla fra tutt’e quattro?-

Peter annuì, sconsolato, lanciando uno sguardo abbacchiato in direzione di Talia – che sfrecciava da un albero all’altro per verificarne la salute – e, in seguito, di Siria.

-Già.- mormorò, sentendo il cuore stringersi nel guardare colei che era stata la sua amica sorridere a Caspian coi capelli ancora intrisi di fiammelle.

Strega.

-E tu sei riuscito ad inimicartene la metà. Bel colpo, Pete.- ridacchiò Edmund, dando un pugno amichevole al biondo e scoccando un’occhiata divertita alla rossa. -Per fortuna Siria ti adora, altrimenti saresti già ridotto ad un regale arrosto di tacchino.-

Peter, con le orecchie più rosse del normale, si limitò ad ignorare ostinatamente il commento del fratello.

A poca distanza da loro Siria e Talia sorrisero, emozionate, quando le loro sorelle apparvero a pochi metri da loro in uno sbuffo biancastro; Aysell si buttò senza ritegno addosso alla rossa, piangendo, tempestandola di pugni ma stringendosela convulsamente addosso.

-Stai buona, piccoletta.- le sussurrò la rossa per cercare di tranquillizzarla, ma Aysell esplose in una sequela di insulti ed imprecazioni talmente coloriti da far arrossire di pudicizia persino le orecchie, un poco a sventola, di Caspian.

-Fammi un’altra volta uno scherzo del genere e giuro che morire ti sembrerà uno scherzo in confronto a quello che ti farò io!- concluse la naiade, furibonda, prima di buttarsi un’altra volta addosso all’amica e appallottolarsi con fare molto felino addosso a lei.

Mirime, alle sue spalle, rise.

-Abbiamo avuto paura di perderti, Siryn.- mormorò, avvicinandosi per stringere le spalle dell’amica in un abbraccio e tirando nella stretta anche Talia, che non esitò a lanciarsi addosso a tutt’e tre rischiando di farle rovinare a terra.

Casa.

La dolcezza ed il sollievo pervasero le menti delle quattro ragazze, quando finalmente riuscirono a comprendere di essere di nuovo tutte insieme. Siria chiuse gli occhi, costringendosi a non piangere, abbassando appena il capo per inspirare a fondo i profumi mescolati dei capelli delle sue compagne: Mirime sapeva di fresco e di neve, Aysell aveva l’odore frizzante delle sorgenti montane, Talia profumava di corteccia e di foresta.

Assieme, quelli diventavano il profumo che probabilmente aveva una famiglia.

Si separarono a malincuore, perché la battaglia non era ancora finita e Siria doveva tornare dai suoi soldati; la raminga affiancò quindi Peter e Caspian davanti alla formazione scomposta ed eterogenea dei narniani, mentre Cornell li raggiungeva e rivolgeva un rispettoso cenno di saluto alla giovane donna.

-Ritirate i feriti nella Tana, chi è in grado di stare in piedi si presenti subito qui!- ordinò la strega, indicando imperiosamente un gruppo di giovani fauni che, al suo ordine, scattarono sulle forti zampe equine e sfrecciarono fra le fila narniane, aiutando i più malconci a raggiungere la sicurezza della cripta.

Caspian, distogliendo a fatica lo sguardo orgoglioso dalla propria donna, si rivolse a Cornell. -Dobbiamo incalzarli adesso, prima che possano organizzarsi su Beruna e contrattaccare.- affermò, ed il centauro annuì, concorde.

-Susan! Tieni con te gli arcieri e seguiteci dalle retrovie!- chiamò invece Peter, alzando lo sguardo per sincerarsi di essere stato sentito; la sorella annuì, facendo cenno a Trumpkin, che l’affiancava, di discendere dai bastioni d’entrata. -Fauni ed animali con me, sulla destra!- chiamò quindi, brandendo Rhindon ed invitando i guerrieri che aveva chiamato a seguirlo sul lato più a nord dello schieramento.

-Minotauri e giganti, al centro!- incalzò Siria, balzando sul cavallo che Peter non aveva portato con sé e scagliando il pugno armato verso il cielo, ottenendo un ruggito entusiasta in risposta da parte delle truppe. Si rivolse quindi alle amiche, che la osservavano in silenzio e con degli strani sorrisi dipinti in faccia. -Faremo da cuneo. Talia, prendi Aysell su un albero e spianaci la strada.- ordinò lei, ignorando l’imbarazzo che quegli sguardi vibranti d’orgoglio le causavano.

La mezz’elfa rise, passando un braccio intorno alla vita di Aysell e sollevandola senza alcuno sforzo.

-Con molto piacere!- affermò, ignorando le proteste della naiade – tutt’altro che contenta di sentirsi sballottare come una bambola di pezza – e raggiungendo la postazione assegnatale in pochi, lunghi balzi.

-Cornell, i centauri staranno sulla sinistra, li chiuderemo in una morsa sul lato sud del guado.- affermò quindi Caspian, pacato e rassicurante al confronto con quei due esagitati dei loro generali: Cornell sorrise, afferrando il proprio corno d’osso e lanciando un lungo richiamo in direzione dei propri compagni.

Caspian salì quindi sul secondo cavallo, un bel baio giovane ed impaziente, affiancandolo al destriero di Siria. -Non devo dirti di stare attenta, vero?- le chiese, distogliendo l’attenzione della ragazza dalla disposizione delle proprie truppe  avevano architettato quella tattica molto tempo prima, ma si sentiva soddisfatta nel vedere quanto i guerrieri si fossero tenuti pronti ad attuarla.

La giovane si volse verso il moro, sorridendo: aveva in volto quell’espressione dura e splendente che Caspian sapeva appartenerle in battaglia, quando – ora lo capiva – il fuoco che le scorreva nelle vene accendeva l’ardore che Siria già possedeva, riempiendola di una forza luminosa e cangiante in grado di scaldare l’animo di chi aveva intorno a sé.

Era nata per essere una guerriera, Siria.

-Assolutamente.- annuì lei, impaziente, tirandolo però verso di sé e coinvolgendolo in un bacio irruente che fece ruggire d’entusiasmo l’intero esercito.

Mirime scosse la testa, divertita, alzandosi in aria per guadagnare un’altitudine tale da poter scorgere l’interezza del loro schieramento, ora ordinato e pronto per combattere. Impugnò quindi la propria falce con più sicurezza, scagliando il braccio armato verso il cielo che pareva risplendere della rivalsa e della vendetta che tutta Narnia reclamava a gran voce.

-Forza! Andiamo a riprenderci la nostra terra!- strillò, e la risposta che venne dai guerrieri si mischiò all’estatico urlo di guerra che serpeggiò come un canto dai comandanti a tutte le truppe:

-PER NARNIA!-

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My Space:
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Io non mi sono strafogata nienteniente con questo capitolo, nonnò!
Non avete idea di quanto mi sia divertita: tornare finalmente alle mie adorate battaglie e alla mia gente fuori di testa che strilla lanciando grossi sassi ai telmarini o scatena foreste contro quei malcapitati... xD
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Ho un sacco di cose da dire per questo capitolo! Innanzitutto:
Proietto: corpo che è stato lanciato nello spazio; grosso proiettile (es. di catapulta, trabucco)
(http://dizionari.corriere.it/dizionario_italiano/P/proietto.shtml)
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Edmund è stato un personaggio che ha preso vita repentinamente negli ultimi capitoli pubblicati, poiché prima non lo avevo quasi mai tirato in causa se non per i pezzi in cui era presente insieme a Tara. Che dire, s'è conquistato uno spazio tutto suo e devo dire che il suo commento sul "regal arrosto di tacchino" mi ha fatta sputtanare xD
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Siria e Caspian si sono finalmente riuniti! Che ne pensate? Trovo che questi due siano talmente adorabili da riuscire a sciogliere persino una vecchiaccia acida come la sottoscritta U_U il loro climax è finalmente finito e ora Caspian sa tutto, sa della strega e della donna e ha accettato, finalmente, entrambe. Siamo a meno 5 capitoli dalla fine della storia, signori e signore! E a me ne mancano sempre 3 da scrivere ^^''' li finirò, promesso!
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Siria e Peter, invece, sono ancora tutti da studiare. Peter è felice di rivederla viva, ma non per questo ha dimenticato: le streghe, per lui, non sono proprio un argomento discutibile... diciamo che meno ne vede meglio sta, e questo causerà non pochi problemi alla nostra raminga nei prossimi capitoli e nella prossima storia!
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Mirime invece s'è guadagnata il suo spazio, che ne dite? Io l'avevo detto che era fantastica xD gira con una falce! *-*
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Ora siamo proprio vicinissimi alla fine: abbiamo visto la foresta ripigliarsi (e Talia e Caleb sono sempre un amore di coppia), i venti lanciare proietti di catapulta, il fuoco arrostire telmarini; chi manca? Ma manca la nostra Aysell, naturalmente!
...oh, e anche Aslan. Va beh, lui è inutile. U_U
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05/01 - Capitolo 46
19/01 - Capitolo 47
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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U

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Ne approfitto per augurarvi, con qualche giorno d'anticipo, un felice e sereno Natale da parte mia e di tutti i miei personaggi, neuroni e gentaglia varia! Tantissimi auguri!
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Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.

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Capitolo 46
*** Consign to Oblivion. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
46th Chapter

Consign to Oblivion - Epica

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Shaylee trasalì quando vide i piccoli ciottoli che componevano la riva sassosa del Grande Fiume tremare in risposta ad una vibrazione del terreno che si propagò sino a lei.

-Sento la terra tremare.- mormorò, serrando involontariamente le dita sul bastone da combattimento.

Alzò lo sguardo verso Mairead che, a poca distanza da lei, scrutava verso il ponte con in volto l’espressione più imperscrutabile e cupa che le fosse mai capitato di scorgere su quel viso bellissimo.

-Stanno arrivando.- le confermò la Sovrana, rivolgendole un cenno secco ed imperioso per ordinarle di raggiungerla. Shaylee si affrettò ad obbedirle, ravviando la treccia dorata dietro la spalla con un gesto secco che, ormai, aveva fatto proprio.

Quando fu accanto alla Sovrana, ad appena una spanna dal velo di nebbia che Mairead stessa aveva fatto calare alle spalle di Lucy – che attendeva, sola, all’inizio del pontile – per nascondere ai telmarini le truppe che avevano radunato, Shay sussultò nel riconoscere l’imponente figura di Aslan affiancarsi a quella più minuta della ragazzina.

-È tornato… che cos’ha fatto?- mormorò, sorpresa: né lei né le altre naiadi avevano colto qualche mutamento nell’energia dell’acqua, che le univa le une alle altre e che si sarebbe certamente risvegliata nel momento in cui Aysell avesse recuperato la propria magia.

-Ha ristabilito l’equilibrio fra le sue Figlie.- fu la risposta sibillina che Mairead le diede, assieme ad uno sguardo indecifrabile che, tuttavia, non fece altro che aumentare la sua confusione.

Quando Aslan si era congedato da loro lei aveva pensato che avrebbe restituito alle Figlie sopravvissute i propri poteri… perché, allora, sua sorella non si era ancora ripresa ciò che le apparteneva di diritto?

-Ma Aysell è ancora silente…- provò ad obiettare, nel tentativo di esporre i propri dubbi alla Sovrana; ma poi, dopo un istante, le sue iridi brune s’illuminarono di comprensione. -…ah.- sussurrò, sentendo il cuore stringersi dolorosamente quando capì cos’era che impediva all’energia dell’acqua di risvegliarsi in Aysell.

Abbassò lo sguardo, pentita della propria ingenuità.

-È rimasta troppo a lungo senza i suoi poteri, non è abituata a sentirli e ciò si riflette su di noi.- mormorò, perché sapeva che Mairead avrebbe voluto sentirla esporre le conclusioni a cui era giunta tramite le tecniche di riflessione che le erano state insegnate.

La Sovrana sorrise appena, rivolgendole un cenno d’assenso senza, però, spostare lo sguardo dalle figure di Aslan e di Lucy.

-Imparerà. È giovane, come te: avete tutto il tempo del mondo.- la rassicurò, allungando la mano che non stringeva il maestoso scettro incantato per stringere brevemente la spalla della fanciulla.

Shaylee era cresciuta così tanto, era così orgogliosa di lei… sarebbe stato terribilmente doloroso separarsi da lei, una volta giunto il momento che la Sovrana stava aspettando, oramai, da fin troppo tempo.

-Avrà una buona insegnante, mia Sovrana.-

Se Shaylee fosse stata una veggente certo non avrebbe pronunciato quelle parole, si disse Mairead, rivolgendo alla ragazza un sorriso carico di tristezza e di pacata rassegnazione: conoscendola, la sua amata protetta avrebbe tentato qualsiasi strada pur di impedire che il destino si avverasse nei modi che erano stati scritti molto tempo prima della sua stessa nascita.

-Indubbiamente.- affermò, perché sapeva che Aysell avrebbe avuto la miglior guida che si potesse desiderare: ma non sarebbe stata lei, Mairead ne era conscia, perché il fato non avrebbe ammesso intoppi lungo il proprio cammino.

Eppure non era quello il momento di abbandonarsi a quel genere di pensieri: un lord telmarino a cavallo era apparso sul ponte, seguito dalle proprie truppe, e proprio in quell’istante lo vide brandire la spada ed ordinare una carica disperata in direzione di Aslan e di Lucy.

Con un gesto imperioso, sicuro, la Sovrana brandì lo scettro: le pietre azzurre divamparono in un lampo di accecante luce celeste e la nebbia che nascondeva i soldati narniani si dissolse, rivelando la distesa di creature che aveva risposto all’appello di Aslan.

E il ruggito tonante di Aslan si fuse con l’ordine imperioso di Mairead, mischiandosi in un unico grido di battaglia che serpeggiò fra le truppe, rinvigorendole e spingendole a lanciarsi verso i telmarini in un possente attacco da cui nessuno degli avversari avrebbe potuto trovare scampo.

 

Siria attraversò di corsa la linea di sbarramento dei narniani, dirigendosi senza la minima esitazione verso il giovane generale biondo che stava impartendo le ultime direttive ai propri soldati. Lo raggiunse e lo afferrò bruscamente per una spalla, costringendolo a voltarsi verso il fiume nel momento stesso in cui i telmarini si scontravano con le truppe di Aslan.

-Peter, guarda!- sbottò, ignorando lo sguardo carico di rancore che le fu rivolto dall’Alto Re e fingendo di non aver scorto il gesto convulso con cui Peter si era prontamente liberato della sua stretta.

Non aveva tempo, adesso, per riflettere su quei segnali tutt’altro che incoraggianti: sul ponte di Beruna stava divampando una nuova battaglia, e Peter doveva vedere chi era a guidare le naiadi contro i telmarini.

Un raggio di Sole si infranse proprio in quell’istante sulla lunga, flessuosa treccia dorata che danzava sulla schiena ritta della naiade che aveva appena ingaggiato Sopespian – e Peter sentì il cuore mancare un battito, quando riconobbe quei familiari lineamenti che lui tanto amava.

-Shaylee…- sussurrò, incredulo.

Shaylee.

La sua Shaylee era , era tornata, stava combattendo con la grinta e la determinazione che lui aveva sempre scorto dietro la sua elegante armatura di lady… sorrise, avvertendo la pelle formicolare e gli occhi bruciare di commozione e di gioia, muovendo automaticamente un passo in avanti.

Fu nuovamente Siria ad afferrarlo, ma questa volta lo fece per trattenerlo: le rivolse uno sguardo confuso, senza comprendere il motivo per cui la rossa gli stesse impedendo di andare da Shay… gli era mancata così tanto, Shaylee…

-Io devo__- cominciò, tentando di scostarla, ma fu di un’altra la voce che lo fermò.

-__lasciare che lei combatta la sua guerra.-

Peter si voltò di scatto, sorpreso: sopra di lui, avvolta da una lieve foschia che rendeva indefiniti i suoi lineamenti, Mirime lo stava osservando con quelle iridi da gatto che tanto riuscivano ad inquietarlo.

Siria lo liberò dalla propria stretta, allontanandosi da lui come se si fosse scottata – che metafora stupida, si disse lui, Siria non poteva bruciarsi…

La ignorò e guardò la mora, rivolgendole uno sguardo interrogativo e confuso prima di spostare nuovamente gli occhi sulla figura dolorosamente lontana di Shaylee.

-Non è Sopespian il nemico che Shaylee sta affrontando, Peter Pevensie.-

Solo allora, quando Mirime pronunciò quelle parole, lui capì.

Shay se n’era andata perché si era sentita tradita da se stessa, perché non era stata in grado di far fronte ad un pericolo concreto e perché aveva permesso a qualcun altro di assumersi una sofferenza che, secondo la sua convinzione, lei avrebbe potuto evitare; se n’era andata per cambiare, per imparare ad ammettere i propri limiti e per coltivare, in sé, quel germoglio di determinazione e di coraggio che le avrebbe permesso di crescere.

Ed ora stava combattendo il condottiero delle truppe di Telmar – e bene, oltretutto –, lo stava affrontando senza paure ed esitazioni e, così facendo, stava dimostrando a se stessa di essere diventata ciò che aveva ardentemente desiderato di essere.

Sorrise, Peter, sentendo il cuore gonfiarsi di commozione e di fierezza nel guardare la ragazza che aveva incontrato riconoscere in sé, finalmente, la donna che lui tanto amava.

 

-Telmar! Attaccate!-

Con un ruggito disperato, le truppe telmarine si scagliarono verso i combattenti che quel leone assurdamente grande aveva portato con sé; gli uomini e le donne vestiti di chiaro – “ma quali donne, quelle erano altri mostri!” lanciarono un urlo di guerra che non fece nemmeno esitare l’armata umana, brandirono le armi che portavano e si buttarono nel fiume e lungo il ponte, ingaggiando i soldati in un combattimento sorprendentemente serrato e violento.

Sopespian spronò il cavallo, ghignando quando vide le prime di quelle bestie cadere sotto l’acciaio dei suoi: non avevano scampo, si disse. Presto li avrebbe definitivamente fatti schiacciare come i vermi che erano, e sarebbe tornato al castello per riorganizzare l’esercito – ed insediarsi, finalmente, sul tanto agognato trono che gli spettava di diritto.

Il destriero bruno che montava, però, s’impennò.

Imprecando una bestemmia in direzione della divinità di quelle stolte creature di Narnia, Sopespian tirò con forza le redini e costrinse la bestia a scartare, rivelando la figura esile e minuta della ragazzetta che si era frapposta sul suo cammino.

Non aveva più di diciott’anni, rifletté l’uomo, squadrando la giovane con uno sguardo di sufficienza: lei ricambiò la sua occhiata con astio e alterigia – chi aveva dato il permesso a quelle creature di sentirsi tanto potenti? –, brandendo il bastone da combattimento e sbarrandogli, così, la strada.

Il lord, nel vedere gli occhi dorati della ragazza assottigliarsi, scoppiò a ridere.

-Una ragazzina? Non avete nessun altro da spedirmi contro, grande Leone?- schernì Aslan, che osservava lo scontro assieme ad una donna bionda e alla bambina, rivolgendogli una profonda riverenza densa di disprezzo.

-Silenzio!- la voce di Shaylee echeggiò seccamente nell’aria, facendo sobbalzare il cavallo di Sopespian quando lei roteò il bastone; con un gesto rapido colpì senza troppa forza il garretto dell’animale, che s’impennò un’altra volta – e, stavolta, il telmarino cadde, colto di sorpresa dal gesto della sua cavalcatura.

La naiade ricambiò l’occhiata astiosa dell’uomo senza abbassare lo sguardo, scostando indietro la treccia ed alzando appena il mento in un inequivocabile gesto di superiorità. -Non accetto insulti da un usurpatore.- affermò, piegando le labbra in una smorfia disgustata.

-Pagherai la tua insolenza, mostro.- ansimò lui, furibondo, sguainando la spada quando la vide assumere una posizione di difesa.

-Fra noi di mostro ne vedo uno soltanto, e non sono io.- fu la pacata replica di Shaylee, ma ebbe appena il tempo di scorgere il lampo di rabbia nel volto del suo avversario prima di essere completamente assorbita dalla furia del combattimento.

Sopespian le si scagliò addosso con tutto il peso del corpo, calando la spada verso di lei come se fosse un’ascia; la ninfa si scostò prontamente, flettendo i muscoli delle braccia per sfruttare la forza d’inerzia provocata dal proprio movimento e colpire al ginocchio e al fianco il telmarino in rapida successione. Il lord roteò su se stesso e vibrò un colpo infido dal basso verso l’alto, scalfendole il corpetto rinforzato con il taglio della lama quando lei si torse all’indietro, disimpegnandosi dal corpo a corpo.

Balzò indietro e poi subito in avanti, ignorando la fatica e tentando un approccio laterale: Sopespian, tuttavia, parò e attaccò a sua volta, costringendola di nuovo ad arretrare. Non volle però dargli la soddisfazione di cogliere la sua stanchezza: si costrinse di nuovo all’assalto frontale, Shaylee, cogliendolo di sorpresa e riuscendo a farlo incespicare.

Era la sua occasione: roteò su se stessa e colpì con tutta la sua forza l’elsa della spada e subito dopo il costato del lord, facendolo piegare in due per la violenza dell’urto; con un terzo affondo lo fece cadere in ginocchio, privo di fiato e disarmato – e sentì, per la prima volta nella sua vita, l’euforia della vittoria imminente riempirle l’animo di baldanza.

Sopespian, però, non si sarebbe lasciato sconfiggere facilmente da una ragazzetta di Narnia: senza che lei vedesse, estrasse un lungo pugnale dal fodero cucito sul lato della cosciera di pelle e lo strinse contro al petto, in attesa che lei si avvicinasse.

E così Shaylee fece, ansiosa di porre fine al duello: gli si accostò, tenendo brandito il bastone, ma quando fu a tiro la mano del telmarino scattò e bloccò l’arma, tirando quella e la proprietaria verso di sé, a terra, e affondando in profondità il coltello nella carne soffice della coscia di lei.

Shaylee non poté fare nulla: si divincolò, cercando di liberarsi, ma il dolore lancinante dell’acciaio che s’immergeva nella carne cancellò qualsiasi altro pensiero dalla sua mente.

Strappò il bastone dalla presa di Sopespian, usandolo per spingersi convulsamente indietro, lungo la pavimentazione del ponte: non riusciva a staccare gli occhi dall’elsa di metallo che spuntava dalla sua coscia e dal fiore rosso che vi si stava rapidamente allargando intorno, le sembrava incredibile che potesse esserci tanto sangue in un corpo piccolo come il suo…

Approfittando dello shock della naiade, tenendole ben stretta la caviglia con l’altra mano, Sopespian annaspò e afferrò nuovamente la spada, alzandosi in ginocchio e sovrastando la figuretta scarna della sua avversaria.

-Muori!- ruggì, alzando l’arma verso l’alto: l’acciaio riverberò dei riflessi del Sole, accecando Shay che, con tutte le sue forze, stava cercando di sottrarsi a quella condanna a morte.

-NO!-

Agli occhi di Shaylee, fu un’ombra dorata a frapporsi di slancio fra lei e Sopespian, oscurando il Sole.

La giovane ninfa si sentì attraversare da una scarica di sollievo e di ammirazione, quando riconobbe in Mairead la salvatrice che aveva impedito a Sopespian di finirla.

La Sovrana delle naiadi scalzò indietro il telmarino con tre rapidi, secchi affondi dello scettro donatole da Aslan; scavalcò la sua protetta con grazia, assaltando nuovamente il lord con una decisione e una forza tali da intaccare persino l’irritante sicumera dell’uomo.

Shay lo vide arretrare, fissare la Sovrana con uno sguardo di puro terrore; sembrava che Mairead non potesse essere sconfitta, era una battaglia impari, Sopespian sarebbe stato annientato dalla bellezza letale del combattimento della donna…

Si serrò la gamba, abbassando per la prima volta lo sguardo per controllare l’entità del danno – ma trasalì, inorridendo, quando si accorse che il pugnale non era più immerso nella sua carne.

Ebbe solamente un istante, e nulla avrebbe potuto impedire alla tragedia di consumarsi.

Quando alzò lo sguardo, con un urlo di avvertimento in gola, vide lo scettro colpire animosamente il braccio armato del telmarino; la spada volò via di nuovo, ma Sopespian incassò il colpo e serrò le dita sul legno di sambuco dell’arma, tirando ancora una volta l’avversaria verso di sé.

Un lampo metallico fra i corpi che si scontravano.

-MAIREAD!- gridò Shaylee, ma era troppo tardi: con un ghigno vittorioso a storpiargli il volto, Sopespian affondò violentemente il pugnale nel ventre della Sovrana.

 

Mairead.

Aysell guardò gli occhi azzurri della Sovrana delle naiadi sgranare, riempiendosi in un attimo di sofferenza e di sconfitta.

Mairead.

Che strano, si disse: non aveva mai notato quanto gli occhi di quell’antica naiade fossero grandi e luminosi, simili a gemme preziose, né quanto fosse elegante e vellutata la sua carnagione eburnea.

Mairead.

Sopespian affondò il pugnale un’altra volta – Aysell non poteva vederlo, ma era sicura che stesse ghignando – ma la Sovrana non si lamentò, nemmeno quando il sangue cominciò a colarle dalle labbra chiare.

Mairead.

Se avesse potuto udirle, Aysell si sarebbe accorta dell’intenso dolore e della paura che stavano sconvolgendo le sue amiche: Siria era caduta in ginocchio, Talia era immobile fra i rami dei suoi alberi, Mirime aveva quasi perso la presa sulla sua amata falce.

Mairead.

Mairead era morta. La luce e la determinazione erano sparite dal suo sguardo, Aysell li aveva visti svanire, assieme alla vita, in pochi attimi; ma, prima di morire, la Sovrana aveva guardato lei.

Lei, che Mairead aveva salvato dalla morte e protetto per tutta la sua vita.

Lei, che aveva trovato nella Sovrana la madre che non aveva potuto avere.

Il corpo di Mairead scivolò sulla pavimentazione di legno del ponte, in silenzio, davanti allo sguardo inorridito di Shaylee; Sopespian alzò la testa, volgendosi verso l’altra naiade e scavalcando con noncuranza i resti della Sovrana… Aysell, sebbene non potesse vederlo in faccia, capì che quell’uomo voleva uccidere la sciocca ragazza che aveva avuto l’ardire di sfidarlo.

-…no.-

Non avrebbe rammentato, in seguito, come si fosse trovata a sfiorare le acque tumultuose del Grande Fiume – né, tantomeno, gli sguardi atterriti che si erano scambiate le sue sorelle nel vederla coprire le poche iarde che li separavano dal fiume con quel passo leggero e vagamente trasognato.

L’acqua era gelida, gelida come l’odio che ne riempiva le correnti.

I flutti le avvolsero il corpo, infradiciandole la tunica e ghiacciandole la pelle sottile e sensibile: Aysell però non ci fece caso, era abituata al freddo – lei aveva sempre freddo, anche quando gli altri non lo sentivano.

Il fiume la strinse in un abbraccio, aggrappandosi a lei con quella che la naiade parve cogliere come disperazione: il suo dolore salì a riempire il vuoto che le si era spalancato dentro alla morte di Mairead, sfiorando qualcosa che – Aysell poté avvertirlo fremere – era rimasto sopito nel suo animo per molto, moltissimo tempo.

CRACK!

Uno dei piloni del ponte s’incrinò sotto l’irruenza improvvisa dei flutti, che si erano fatti più torbidi e scuri, quasi neri; dopo appena un istante lo schiocco del legno che si rompeva echeggiò nell’aria, seguito immediatamente da molti altri.

Il ponte tremò.

Sopespian distolse lo sguardo da Shaylee, che stava opponendo una disperata resistenza per salvarsi la vita, e si guardò intorno per cercare di capire la causa di quel movimento inspiegabile: non trovò nulla, però, scorgendo soltanto il colore grigiastro e ribollente che il fiume, sotto di lui, aveva assunto.

Le naiadi e i soldati si ritrassero di scatto, respinti dall’acqua che andava rapidamente ingrossandosi; Caspian e Peter ne approfittarono per ordinare ai narniani di imprigionare i guerrieri di Telmar, che gettarono le armi senza opporre resistenza: l’ira glaciale ed assassina che li aveva sfiorati, cacciandoli via dal letto del fiume, era bastata per far desistere anche i più animosi fra loro.

Liberati…

Sopespian fece qualche passo verso la sponda più vicina alla Tana di Aslan, ignaro di Lucy che, correndo, aveva raggiunto Shaylee e l’aveva aiutata a trascinarsi a terra.

Guardava il fiume, Sopespian, e – avrebbe potuto giurarlo – fu certo di scorgere uno sguardo freddo, metallico, ricambiare con ira la sua occhiata angosciata.

Lingue ghiacciate s’infransero sulla superficie del ponte, lambendo gli stivali pesanti del lord telmarino; quello balzò indietro, cercando di ritrarsi verso la terra, ma un’onda più grossa delle altre gli tagliò la strada e spezzò di netto i tronchi che componevano il sentiero per la salvezza che lui avrebbe voluto percorrere.

Sopespian guardò i suoi soldati e li vide in ginocchio, disarmati e inermi davanti alle truppe narniane che, al contrario di ciò che lui avrebbe ordinato se fosse stato al posto dei comandanti di Narnia, si limitavano a sorvegliarli senza dare loro il colpo di grazia.

Nessuno sarebbe giunto in suo aiuto, comprese: i mostri delle foreste non lo guardavano, i suoi uomini si erano arresi – e l’enorme leone era lì, sul greto del fiume, e lo fissava senza alcuna pietà nello sguardo.

Un boato terribile echeggiò intorno a lui, provocandogli la pelle d’oca: era un grido che nessun essere umano avrebbe potuto emettere, quello, un grido che sapeva di sofferenza, di rabbia… di morte.

Si voltò quando lo scrosciare dell’acqua si fece più intenso, e sgranò gli occhi nel trovarsi davanti a qualcosa che non poteva esistere: il fiume, che loro avevano imbrigliato e sfidato costruendovi in mezzo un ponte, si stava lentamente sollevando in un’alta colonna scura e torbida che prese l’aspetto di una creatura infernale, appena umanoide – e Sopespian vide, di nuovo, quello sguardo spaventoso volgersi verso di lui.

E vi lesse la propria condanna a morte.

Uno schianto orrendo fece traballare l’intera struttura sotto di lui: il telmarino cadde in ginocchio, scoprendosi incapace di rimanere in piedi quando l’essere sollevò lui ed il suo ponte fino a portarlo davanti al proprio volto mostruoso.

…e liberami.

L’ultima cosa che Sopespian poté vedere fu quello sguardo indistinto, ardente e privo di qualsiasi pietà.

Con un ruggito terribile le acque si chiusero su di lui, stritolandolo in una morsa implacabile e frantumando con lui quel ponte che aveva osato sfidare lo spirito fluviale e la sua Guardiana: le Figlie di Aslan videro il telmarino dibattersi, ed avvertirono, di riflesso, l’acqua che si espandeva nel suo corpo e gli riempiva i polmoni e gli organi, affogandolo…

Non doveva rimanere niente di lui, niente: del mostro che aveva ucciso Mairead non doveva rimanere nemmeno la più piccola traccia e così sarebbe stato fatto, il suo corpo sarebbe stato ridotto in mille e mille pezzi per vendicare l’uccisione della Sovrana.

Lo sgomento degli uomini di Telmar si riflesse sulla superficie burrascosa del fiume quando i soldati scorsero il loro comandante accartocciarsi su se stesso fra quei flutti rabbiosi; un boato assordante echeggiò allora nel volto amorfo dell’entità liquida che si volse verso di loro mentre il cadavere di Sopespian spariva tra le sue profondità.

Li avrebbe distrutti tutti, tutti quanti: nessuno di quei maledetti avrebbe visto una nuova alba.

Strane propaggini tentacolari emersero da quella forma altera, scatenando il panico fra le fila dei telmarini in fuga verso la riva; un ennesimo ruggito agghiacciante risuonò fra le correnti del Grande Fiume e, ergendosi in tutta la sua statura, la creatura fece per lanciarsi all’inseguimento.

È abbastanza, Aysell.

Da qualche parte, in quel marasma di acqua nera e insanguinata, la coscienza della Guardiana trasalì.

Un che di caldo – così diverso dal gelo che l’aveva invasa – la sfiorò, dandole la sensazione un poco sgradevole di qualcosa che le rivolgeva una tenera carezza ma poi subito se ne andava; tentò di aggrapparsi a quel tocco, a quello spirito che il fiume misericordioso aveva preso con sé, ma la sensazione di un sorriso la sfiorò di nuovo, fermandola.

Buona fortuna, bambina mia.

 

Davanti agli sguardi atterriti dei narniani, che avevano seguito tutta la scena in un silenzio quasi religioso, la creatura crollò; abbandonò in una sola, potente marea la forma che aveva assunto, tornando ad essere semplicemente acqua, di nuovo limpida e tersa.

Nella sua caduta travolse coloro che, come Talia, non avevano trovato in tempo un rifugio asciutto sugli alberi che la Custode aveva portato sin lì; furono ondate innocue, che si limitarono a far inciampare un po’ tutti e a costringerli ad un bagno inaspettato.

Caspian e Peter ordinarono alle truppe di mantenere serrati i ranghi, in modo da impedire qualsiasi atto di ribellione da parte dei telmarini sconfitti; ma dissero anche ai narniani di aiutare gli uomini rimasti feriti, e di rivolgersi a loro con il rispetto che un nemico sconfitto meritava.

Susan ed Edmund, che avevano impartito le stesse direttive ai soldati più lontani, li raggiunsero; insieme, tutti e quattro, spinsero in acqua una piccola barchetta – probabilmente utilizzata dai costruttori del ponte e poi abbandonata lì – e Caspian e Peter si misero ai remi, dirigendo la minuscola imbarcazione verso la sponda dove li attendeva il signore di Narnia.

 

Aslan sentì le zampe inumidirsi, ma questo non lo infastidì; solo allora, dopo essere rimasto immobile tanto a lungo davanti alla furia del fiume, si volse verso Lucy, che si era stretta forte a Shaylee e piangeva lacrime silenziose fra le braccia della sua amica naiade.

-I tuoi fratelli stanno arrivando, mia diletta.- le sussurrò, chinando l’enorme testa verso le due fanciulle, entrambe accoccolate fra i ciottoli della riva, e sfiorando con la punta del naso la brutta ferita sulla coscia di Shaylee; la naiade sussultò, sorpresa, quando sentì la carne richiudersi in un soffio, senza lasciare nemmeno un’ombra rossastra sulla pelle chiara.

-Grazie.- mormorò, chiudendo gli occhi ed accarezzando i capelli umidi di Lucy; se solo Aslan non l’avesse guardata in quel modo lei avrebbe potuto piangere, ora che solo la sua piccola amica sarebbe stata in grado di vederla… ma trasalì, sorpresa, quando una voce familiare risuonò nell’aria limpida di quel pomeriggio che aveva il sapore della vittoria.

-Non lasciarmi cadere, diamine!-

La ninfa, la ragazzina ed il leone si voltarono, sorpresi: conoscevano quella voce, ma non si sarebbero mai aspettati di trovarsi davanti ad una scena del genere.

Siria penzolava nel vuoto, aggrappata con tutta la sua forza alla vita di una paziente Mirime che, caritatevolmente, aveva sollevato la rossa per salvarla dal bagno improvviso che aveva travolto il resto delle truppe narniane.

-Siria, mollami! Sei pesante!- protestò la pleiade, scoccando all’amica uno sguardo esasperato. Quella però scosse la testa, stringendosi con più forza al corpo snello della mora.

-Scusa, stai dicendo che sono grassa!?- sbraitò la rossa, riuscendo – forse volontariamente, perché non c’era gioia nei suoi occhi – a strappare un sorriso esasperato, umido di lacrime, a Shaylee e a tutti coloro che la stavano guardando. -Non mettermi giù, io li odio i bagni fuori programma!-

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My Space:
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Peter: ...e tu SERIAMENTE mi hai cacciato fra capo e collo questa piccola indemoniata che affoga eserciti se perde il controllo della propria rabbia!? MA STIAMO SCHERZANDO!? SEI IMPAZZITA!? IO MI RITIRO! IO MI LICENZIO! IO QUI CI LASCIO LE PENNE!
...come sei drammatico, Peter. Ha solo cercato di cavarti gli occhi, ti è andata anche bene!
Peter: ...IO HO BISOGNO DI UNO PSICANALISTA!
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...sì, Aysell è pericolosa. E sì, Peter è riuscito ad inimicarsela subito! Povero idiota xD
In questo capitolo vediamo, finalmente, l'Acqua: l'Acqua come non è mai stata, nel suo aspetto distruttivo e non solamente positivo. L'Acqua, come tutti gli Elementi, è in grado di portare sollievo e beatitudine ma anche di creare devasto e distruzione attorno a sé: questo è ciò che succede ad Aysell e che non succedeva a Shaylee, perché la prima è la reale espressione dell'elemento e, perciò, ne vive anche la furia.
Fra l'altro Aysell è molto interessante da questo punto di vista: avendo vissuto così a lungo lontano dai propri poteri, fra lei e l'Acqua si è creata una sorta di "scissione", nel senso che fatica a rimanere presente a se stessa quando la magia prende il sopravvento. Ci lavorerà, dopotutto è giovane e ha tutto il tempo per rimettersi in sesto!
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Vediamo, in questo capitolo, la morte di un personaggio secondario che, però, io ho sempre amato molto.
Mairead se ne va perché sa che la sua era, che è quella dell'abbruttimento di Narnia e del dominio di Telmar, sta finendo; Mairead se ne va sacrificandosi per le sue figlie, per quelle bambine che ha cresciuto per diventare donne forti e indipendenti. Mairead se ne va in pace ma vi confesso che saperlo mi stringe il cuore: adoravo il suo personaggio, e anche nella morte mi ha dato quel senso di regalità e maestosità che poche altre mie creature hanno assunto nel corso degli anni di scrittura.
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Parlando di cose più allegre: Siria è una deficiente xD e sì, si è seriamente arrampicata su Mirime per sfuggire alla marea!
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Il 28 di gennaio saranno sei anni che sto su questo sito. È un traguardo che mi fa sentire un po' strana, ma contenta: in sei anni sono cambiata tanto, sono cresciuta, ed EFP mi è sempre stato accanto (nel bene e nel male) e mi ha sorretta in questi lunghi anni travagliati. Devo molto a questo sito, più di quanto, credo, la maggior parte delle persone "esterne" potrà mai capire.
E niente, ci tenevo a dire due parole, non so nemmeno io perché ^^'
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Il prossimo aggiornamento arriverà il 26 di gennaio, vita permettendo, e dopo staremo a vedere se il blocco dello scrittore ha deciso o meno di sparire o di rimanere a rompere le balle ^^'
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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U

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Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.

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Capitolo 47
*** The End of every Story. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
47th Chapter

The End of every Story - Xandria

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-Sei una disgraziata!-

Siria si lasciò sfuggire un sorriso quando Mirime la apostrofò in quel modo mentre la scaricava – poco carinamente, fra l’altro – sulla riva del Grande Fiume da cui, pochi minuti prima, erano apparsi Lucy e il leone.

-Me lo dice sempre anche Tallie, sai?- replicò, sarcastica, guadagnandosi uno di quegli sguardi pieni di bonaria disapprovazione che tante risate le avevano strappato da bambina.

-E fa bene!- mugugnò la pleiade, rassettandosi gli abiti e ravviando le ampie maniche della tunica argentea sul dorso delle mani.

Entrambe, istintivamente, scoccarono un’occhiata in direzione del mastodontico felino che sedeva accanto alla piccola Pevensie, in paziente attesa degli altri regnanti che stavano attraversando il corso d’acqua per raggiungerli; Siria rabbrividì e Mirime si rabbuiò, prima di spostare la propria attenzione sulle tumultuose correnti che si stendevano dinanzi a loro.

-Io devo …- cominciò, ma subito una morsa gelida le serrò impalpabili artigli di ghiaccio sul petto, quasi impedendole di respirare.

Siria, a disagio, si strinse le braccia attorno alle spalle per cercare di lenire quella sensazione che anche lei avvertiva, lanciando intanto all’amica uno sguardo disperato.

Aysell non era riapparsa.

L’ira della Guardiana e del fiume aveva travolto ogni cosa, spazzando via le velleità guerresche da ambo le parti e lasciando dietro di sé un’atmosfera tanto quieta da apparire surreale: i telmarini, miti e penitenti, sfilavano davanti alle guardie di Cornell e abbandonavano le proprie armi ai piedi dei narniani prima di unirsi ai propri compatrioti sotto lo sguardo attento delle truppe di Narnia.

L’esplosione di quella rabbia aveva decretato la fine della battaglia, la vittoria dei Pevensie, di Caspian… ma quale prezzo avevano dovuto pagare?

In un riflesso dettato più dall’abitudine che da un pensiero vero e proprio, Mirime espanse la propria coscienza per cercare quella di Aysell, nel tentativo di smorzare l’angoscia che si era ersa attorno all’anima della bionda per impedire a chiunque di entrare; la piccola naiade, però, sembrava essersi completamente smarrita nel proprio dolore, e si era lasciata sprofondare in una misericordiosa apatia che, tuttavia, impediva alle sorelle di contattarla.

Lei e Siria si scambiarono un’occhiata ansiosa e anche Talia, da un angolo delle loro menti, condivideva la loro angoscia. La reazione della biondina le aveva spaventate a morte – sentire quel baratro scavarsi nel petto, viverlo come se stesse per inghiottire anche loro, era stato terribile.

Mirime chiuse gli occhi, richiamando alla memoria tutte quelle tecniche di meditazione e di estraniamento che aveva affinato nel corso dei lunghi secoli passati in solitudine. Inspirò profondamente, permettendo all’aria di riempire ogni particella del suo corpo e lasciando che il vuoto spaventoso che aveva risucchiato Aysell  che le ghermiva l’anima in quella stretta orribile – scivolasse via dalle sue carni mentre, lentamente, espirava.

Inspira, espira.

Ripeté l’esercizio un paio di volte, lasciando che Siria e Talia – molto più inesperte di lei – beneficiassero della calma di cui si stava riappropriando. Solamente quando fu certa di poter impedire alle emozioni delle sue sorelle di condizionarla e riacquistato il serafico autocontrollo che la caratterizzava, l’antichissima ninfa si permise di schiudere le palpebre, rivolgendosi poi alla rossa.

-Vado a cercare Aysell.- affermò pacata.

Siria annuì senza obiettare, seguendola con gli occhi mentre la pleiade si avvicinava, fluttuando, alla superficie dell’acqua; e sorrise, un sorriso mesto e triste, quando la vide svanire in uno sbuffo vaporoso – e lei comprese che era mutata in aria pura: era l’unico modo che avesse per avvicinarsi alla coscienza di Aysell, dispersa nella sofferenza che aveva riempito le correnti del fiume.

Mirime l’avrebbe riportata indietro.

Sospirò, tentando di mantenere i pensieri limpidi e di continuare a respirare lentamente come aveva fatto la mora. La reazione di Aysell non l’aveva sorpresa: l’aveva terrorizzata, questo sì, ma non sarebbe stata sincera se avesse detto di non essersi aspettata qualcosa del genere.

Quando aveva visto cadere Mairead – inspira, espira –, quando Sopespian aveva assassinato in quel modo tanto vile la Sovrana delle Naiadi, aveva saputo immediatamente che Aysell non sarebbe stata in grado di sopportare quella vista.

Mairead era stata, per tutte loro, ciò che poteva avvicinarsi di più ad un ideale materno: le aveva accolte nella propria casa, le aveva protette, aveva insegnato loro quei princìpi che le avevano rese ciò che erano diventate… ma, per Aysell, era stata anche di più.

Quando i genitori delle due sorelle naiadi erano stati brutalmente uccisi durante l’assalto di Caspian il Conquistatore, Aysell era ancora molto piccola; Shaylee, anch’essa molto giovane, era riuscita a portare entrambe in salvo nel Regno delle Naiadi appena in tempo. La Sovrana le aveva immediatamente prese con sé, occupandosi personalmente di quelle due bambine sperdute che erano state costrette ad assistere all’orrendo sterminio della propria famiglia.

Quella donna formidabile le aveva cresciute: dopo il traumatico incidente dello scambio dei loro poteri aveva permesso a Shaylee di approfondire la conoscenza di quella magia – sapendo che sarebbe tornata utile anche ad Aysell, nel momento in cui si fosse riappropriata del proprio elemento – e di diventare una delle sue guardie personali; aveva tenuto con sé Aysell, che era cresciuta sotto le sue amorevoli cure e la sua guida saggia e paziente, fino a che la Sovrana non aveva dovuto ammettere che, con Mirime, la sua diletta sarebbe stata più al sicuro – fino a che non si era resa conto di quanto Aysell fosse infelice, lì, in mezzo a persone che possedevano ciò che lei aveva perduto.

Aysell non aveva molti ricordi dei propri familiari, rifletté Siria mentre guardava, malinconica, il fiume: i genitori le erano stati strappati troppo presto, quando ancora la sua memoria non avrebbe potuto trattenere molto di loro e quando il trauma della perdita della magia aveva prevaricato quasi tutto il resto… l’unica madre che Aysell aveva conosciuto era stata Mairead.

Una risata calda e preponderante la strappò bruscamente ai suoi cupi pensieri, facendola sobbalzare e voltare immediatamente verso il piccolo capannello di persone che si era assiepato dinanzi al Grande Leone di Narnia.

Un miscuglio d’ira e di sgomento la invase quando si accorse che a produrre quel suono cangiante e affettuoso era stato proprio quel felino ipocrita: come poteva ridere in un momento del genere?

Mairead era morta, santo cielo!, Aysell si era rinchiusa nel proprio muto dolore, il numero dei cadaveri rimasti sul campo di battaglia doveva essere immenso, avevano rischiato di lasciarci la pelle tutti quanti… che motivo aveva, lui, di ridere?

Serrò le dita sull’impugnatura metallica dello scettro, costringendosi ad impedire a quelle emozioni indignate di imperversare liberamente in sé – inspira, espira –, nonostante continuasse a sentirsi profondamente oltraggiata da quell’atteggiamento superficiale.

Decise di concentrarsi su ciò che stava succedendo nel complesso, piuttosto che sui dettagli: Lucy era ancora accanto al leone e sorrideva in direzione dei fratelli e di Caspian, umilmente inginocchiati dinanzi al maestoso signore di tutta Narnia; Aslan disse qualcosa e i tre Pevensie si alzarono – Siria vide l’imbarazzo ed il sollievo rincorrersi sui loro volti familiari… ma Caspian rimase dov’era, con la testa china verso il basso e la mano destra serrata sull’elsa della spada.

Attratta da quella figura snella, dal lucore argenteo della sua armatura e dalla curva morbida dei suoi capelli scuri, Siria mosse qualche passo lungo il profilo del corso d’acqua, avvicinandosi senza però mostrarsi apertamente ai Pevensie o al principe; Aslan la scorse ma non disse nulla, limitandosi a rivolgerle un rapido sguardo prima di riportare la propria attenzione su Caspian.

-Tutti.- decretò, abbracciando con una sola occhiata ciascuno dei Re e delle Regine di Narnia – e Siria comprese che, con quelle parole, Aslan stava chiamando a sé coloro che aveva scelto per regnare su quel mondo che lui stesso aveva creato.

Sorrise, la giovane donna, vedendo Caspian sollevare il volto senza, però, alzarsi in piedi nonostante il richiamo del leone; commossa si strinse le mani al petto, sentendosi intimamente fiera di lui e dell’umiltà che gli era sempre mancata ma che ora, finalmente, dimostrava di aver imparato.

-Non credo di essere degno di questo titolo.- mormorò infatti il ragazzo, sostenendo lo sguardo profondo di Aslan senza timore.

Il leone, però, sorrise.

-Proprio per questo, invece… lo sei.- lo contraddisse, con quella voce pacata e serena che Siria trovava quasi innaturale, date le circostanze.

Caspian sussultò ma non si oppose, arrendendosi all’atavica e profonda sensazione di sicurezza che le parole di Aslan trasmettevano, alzandosi lentamente in piedi e scambiando un’occhiata imbarazzata – sollevata – con Edmund.

Il leone annuì, soddisfatto.

-Ti sei comportato come il migliore dei Re, quest’oggi. Sarai in grado di farlo per il resto della vita, principe Caspian?- gli domandò, improvvisamente solenne come non era stato fino a quel momento – e, in qualche modo, la sua voce echeggiò in un modo completamente diverso fra i narniani, che si volsero verso il loro signore ed il principe che li aveva guidati alla vittoria.

Siria si guardò intorno, sorpresa: l’ascendente che Aslan aveva sulle creature viventi aveva attratto su di lui l’attenzione di tutti i guerrieri presenti, telmarini o narniani che fossero, interrompendo qualunque cosa stessero facendo per assistere a ciò che lui desiderava che vedessero.

Telmar e Narnia furono una cosa sola, in quell’istante, davanti al giovane uomo che sarebbe diventato il loro Re.

Riportò i propri occhi su Caspian, Siria, in tempo per vedere il principe, resosi conto di essere osservato dall’interezza di quello che sarebbe divenuto il suo nuovo popolo, raddrizzare le spalle ed ergersi in tutta la sua altezza, sostenendo senza insicurezza gli occhi profondi del Grande Leone.

-Fino a che avrò fiato in corpo, mio signore.- affermò, determinato e deciso come Siria non lo aveva mai visto, stringendo la mano destra sull’elsa della spada e lanciando uno sguardo intenso in direzione di coloro che stavano ascoltando le loro parole. -Narnia e Telmar sono la mia casa e la mia famiglia. Li guiderò al meglio delle mie capacità e li proteggerò a qualunque costo.-

La raminga, a quelle parole, sentì il cuore riempirsi di commozione.

Come di riflesso alla sua reazione gioiosa, la rossa quasi poté sentire il numeroso pubblico trattenere il fiato, in attesa della risposta del leone. Aslan, cogliendo quella tensione, si concesse un altro piccolo sorriso ed annuì.

-Ricorda questo tuo giuramento, Caspian, quando i tempi si faranno nuovamente bui.- mormorò, rivolto a Caspian.

Peter e Susan si spostarono in fretta quando il leone avanzò per sporgersi sul troncone del ponte, rivolgendosi così alla moltitudine eterogenea di umani, animali e creature fatate che avevano osservato quel breve dialogo con il principe e che – Siria se ne accorse subito – parevano in trepidante attesa delle parole dell’antichissimo protettore di Narnia.

-Quest’oggi, davanti alla Grande Magia e agli antichi Regnanti, Narnia accoglie il Re che la guiderà verso una nuova pace ed un nuovo splendore!- declamò, lanciando un ruggito entusiasta verso il cielo – ma anche la sua voce tonante scomparve nel giubilo entusiasta del popolo.

La strega si voltò di scatto, stupefatta, quando l’ovazione esplose fra le fila dei narniani e degli umani che, come un sol uomo, avevano scagliato i pugni al cielo e lanciato le loro grida di gioia in direzione di Caspian.

Non erano soltanto le creature di Narnia ad accogliere festosamente Caspian come nuovo Re: anche i telmarini, disarmati e inermi, stavano esultando con pari gaudio per il principe che avevano combattuto sotto la guida di Miraz. Allibita, incapace di credere a ciò che stava vedendo e udendo, Siria li osservò mentre acclamavano a gran voce il giovane principe – Re –, sorridendo come non li aveva mai visti fare e abbracciandosi l’un l’altro.

Telmar aveva sofferto, sotto il giogo di Miraz.

Quella riflessione repentina la colpì profondamente.

Nel corso della sua vita si era costretta a vedere i telmarini come il nemico, li aveva odiati con tutto il cuore per quello che avevano fatto ai suoi genitori, li aveva combattuti e uccisi per portare i narniani alla vittoria… ma, comprese, molti di loro avevano agito sotto gli ordini di un usurpatore crudele e del suo degno successore, e non potevano essere totalmente biasimati per aver obbedito agli ordini di un dittatore che, se si fossero dimostrati poco solerti, li avrebbe certamente fatti uccidere.

Come cambiavano le prospettive… se, solo qualche settimana prima, le avessero detto che avrebbe assistito ad una gioia genuina come ciò che stava avvertendo scorrere nei soldati telmarini, non avrebbe mai potuto crederci.

Turbata da quella consapevolezza, ma felice di vedere un popolo festeggiare l’avvento di un Re che avrebbe portato finalmente pace e cambiamento nella sua esistenza, la ragazza riportò la propria attenzione su Caspian, che stava parlando con Peter e sorrideva come lei non lo aveva mai visto fare prima d’allora.

Caspian sarebbe diventato un grande Re.

Qualcosa le si spezzò dentro, a quel pensiero, ma s’impose di non lasciarsi abbattere dalla consapevolezza crudele che le riempì l’animo di un gelo che nulla aveva a che fare con la maledizione della Strega Bianca.

Scosse la testa, sciogliendo con rapidi gesti i capelli e lasciando che l’avvolgessero nel familiare tepore del loro abbraccio scarlatto; dopo qualche istante avvertì un sibilo lieve, qualche passo misurato e quattro presenze che si accostavano a lei, rimanendo educatamente a pochi metri dalla sua persona.

-E adesso?-

Caleb.

Sorrise, Siria, voltandosi verso quei compagni che le erano sempre stati accanto con una dolcezza immensa in quegli occhi blu finalmente sereni e limpidi.

Nonostante tutto… loro erano ancora lì, tutti e quattro. Erano ancora al suo fianco, com’era sempre stato – ma come, probabilmente, non avrebbe più potuto essere.

Erano giunti all’inizio di un nuovo sentiero, proprio come Caspian.

Aaron ardeva dell’amore che Susan gli aveva insegnato, quell’amore in cui lui per primo – proprio come sua sorella – aveva sempre, testardamente affermato di non credere; Tara aveva Edmund, che le sarebbe rimasto accanto a qualunque costo, e suo fratello, che stringeva fra le dita la mano delicata di Talia.

Tallie.

Siria sentì il cuore stringersi al pensiero di quanto dolore avrebbe causato la sua decisione proprio a lei, alla sua compagna di vita, che già tanto aveva sofferto a causa sua; il modo in cui la mezz’elfa la stava guardando in quel momento le faceva intuire che lei già sapesse…

-Adesso si va avanti.- sospirò, lanciando una breve occhiata all’altera figura di Aslan; una fitta d’inquietudine, nel guardarlo, le attraversò il petto. -Adesso è ora che io me ne vada.- aggiunse, piano, avvertendo le iridi velarsi di tristezza.

Non c’era posto per lei – per una strega – a Narnia… gli occhi le si colmarono di lacrime quando si rese conto di cosa comportava la scelta che aveva appena preso: sarebbe partita, in silenzio, senza disturbare, senza attirare l’attenzione su di sé…

Non era più una minaccia per Narnia, forse non lo era davvero mai stata… ma il suo posto, il luogo adatto a lei, non era quello – non era accanto ad un Re, non era sul trono che, una volta, era appartenuto a Jadis.

Non era con Caspian.

Si volse, scoprendosi incapace di guardare i volti dei suoi compagni inorridire in risposta alle sue parole, sentendo la frustrazione e la rassegnazione pungerle fastidiosamente le palbebre socchiuse.

Sarebbe andata a nord, magari; il fuoco che le ardeva nel petto si sarebbe progressivamente spento a contatto con i ghiacci eterni che regnavano appena dopo Ettins…

-Non così in fretta.-

Un brivido, un sussulto, una paura ancestrale nel sangue.

Siria s’irrigidì di botto, allarmata, quando il suono della familiare voce profonda e rimbombante la inchiodò lì dov’era.

Alzò lo sguardo, lentamente, avvertendo il sangue vibrare di terrore ad ogni respiro… e gli occhi di Aslan, quei penetranti occhi bruni, accolsero la sua incertezza in una determinazione tale da farla fremere.

Improvvisamente, gli sguardi dei Re e delle Regine si spostarono su di lei: Lucy, Edmund, Susan, Peter… Caspian… e tutti gli altri, i suoi compagni d’armi e i soldati telmarini, i narniani e le creature portate da Aslan: tutti, indistintamente, arretrarono di qualche passo, lasciando la strega sola a confrontarsi con il leone.

Fu uno sforzo immenso, per Siria, mantenere la calma.

Lo sguardo di Aslan era perforante e annientava ogni suo tentativo di muoversi, inibendo la forza nelle sue gambe – quella forza che le sarebbe servita per fuggire via da quel luogo e dalla paura che l’esistenza stessa del leone accendeva in lei –; le impediva di fare qualsiasi cosa, tranne ricambiare quello sguardo tagliente e antico di migliaia di anni con la triste serenità di chi già sa cosa l’aspetta.

-Hai combattuto valorosamente, Strega Rossa.-

Se Siria fosse rimasta sorpresa da quell’epiteto, da quel nome, non lo diede minimamente a vedere: intravide Peter e Caspian trasalire nel sentirla nominare con quel titolo dal suono pomposo che, lei lo sapeva, le apparteneva da quando era venuta al mondo.

-Ho fatto ciò che ritenevo giusto.- fu la risposta calma, laconica e misurata che diede all’imponente felino; lo scettro della Strega Bianca brillava placidamente nella vivida luce del Sole, stretto saldamente nel suo pugno sinistro.

-E ritieni giusto, adesso, andartene?-

Siria non lo vide, ma fu sicura di sentire il respiro di Caspian mozzarglisi nel petto. Annuì, ostentando una tranquillità che non possedeva, chiudendo un istante gli occhi per mascherare il dolore.

-Narnia non è posto per una… strega.- affermò – ma la sua voce, quando pronunciò quel termine tanto odiato, si spezzò.

Aveva combattuto per Narnia. Aveva lottato e aveva sofferto pur di far sì che la giustizia trionfasse sulla tirannia di Telmar, pur di restituire ai narniani la loro terra – la sua terra… e la sua vita, che respirava in quel ragazzo dai capelli scuri che la stava guardando con un misto di dolore e incredulità che sbocciava negli occhi.

Perdonami, Caspian.

-No, Narnia non è nata per una strega come te.- concordò Aslan, stranamente atono: quelle parole furono una pugnalata, per lei, una condanna terribile a cui non si sarebbe mai potuta preparare abbastanza.

Sospirò, chinando il capo davanti a quella verita che non poteva assolutamente negare: Aslan aveva ragione, lei era una strega e discendeva dalla più terribile di tutte loro. Jadis non era nemmeno nata a Narnia, come poteva anche solo sperare, Siria, di poter avere un posto in quel mondo che non era suo?

-Ma tu non appartieni solamente alla stirpe di Charn.-

Trasalì, la strega, quando Aslan nominò il regno perduto che era appartenuto alla Strega Bianca.

Jadis era giunta a Narnia dopo essere stata liberata dalla propria prigionia da un giovane ingenuo che, in seguito, l’aveva sconfitta e aveva donato a Narnia una protezione che era perdurata per moltissimo tempo. La strega, però, non era originaria di quel mondo: Jadis era stata una principessa di Charn, un regno che ella stessa aveva condannato e da cui era fuggita prima di subirne la medesima, inesorabile sorte.

Lei aveva imparato quella storia da piccola, quando Mairead gliel’aveva raccontata: ma a che cosa si riferiva, Aslan, dicendo che lei non discendeva solamente dalla stirpe reale di Charn?

Il leone, scorgendo la sua confusione, le rivolse un sorriso sorprendentemente dolce e comprensivo.

-Nel tuo sangue c’è più Narnia di quanto tu possa capire, Siria… e sei mia figlia, la figlia che ho perduto migliaia di anni fa.- le sue parole si colorarono di un affetto del tutto nuovo, per lei; e, per la prima volta, si sentì quasi a proprio agio dinanzi a lui – quasi come se il suo retaggio di strega, che provava repulsione nei confronti di Aslan e le urlava incessantemente di fuggire, si chetasse davanti alla consapevolezza di essere qualcosa che quel suo padre ancestrale aveva amato ed amava tuttora.

Siria gli rivolse uno sguardo timido e impacciato, sentendosi arrossire davanti al calore che poteva scorgere nelle iridi brune di Aslan. Non riusciva a credere che fosse così facile… lei era una strega, una strega proprio com’era stata Jadis: che altro c’era da dire?

-Tu appartieni a Narnia, Strega Rossa, e così al suo Re.-

Nel volto di Talia si schiuse un sorriso, a quelle parole, ma gli occhi della raminga s’adombrarono; sorrise ancora, Aslan, quando Siria chinò il capo.

-Accanto al Re di Narnia non può stare una strega…- mugolò lei, pronunciando quella condanna con più sofferenza di quanta la sua anima fosse disposta ad accettare: tutto in lei si stava ribellando a quelle parole, ma Siria non avrebbe mai permesso che una strega – una strega della stirpe di Jadis, checché ne dicesse quel grosso gatto – tornasse a mettere piede sul trono di Narnia.

Perché Aslan non voleva capire? Il suo era soltanto il disperato desiderio di tenere la sua gente al sicuro… come poteva, lui, obiettare davanti a quella semplice verità? Una strega non poteva avvicinarsi a quel ruolo di potere, non a Narnia né in nessun altro luogo, sarebbe stata una scelta incosciente e pericolosa – il potere, alle streghe, dava alla testa.

-Vero.- fu Peter a fermare Caspian e a zittirlo prima che intervenisse, ma Siria poté comunque vedere che i suoi occhi neri erano sempre più disperati e pieni d’angoscia. -Ma è anche vero…- continuò Aslan, imperterrito, apparentemente ignaro del dolore silenzioso del giovane Re al suo fianco. -…che hai combattuto come una strega non ha mai fatto.-

Siria alzò repentinamente gli occhi, stupita da quell’affermazione che non si sarebbe aspettata – trovando, in risposta al suo sguardo, un enigmatico sorriso sul volto fiero del leone.

-Hai giurato di servire Narnia ed i suoi Re. Ora io ti chiedo di pronunciare ancora quelle parole, giurando col sangue. Giurando a me.-

Tutti trasalirono a quella richiesta, confusi, ma a Siria servì soltanto un istante per comprendere.

Un giuramento col sangue era tutto ciò che esisteva di sacro a Narnia: nessuno poteva spezzare quella promessa se non con la morte o adempiendovi alla lettera, perché era un legame che trovava la propria sacralità nelle radici della Grande Magia a cui persino Aslan era costretto a sottostare. Lei ne aveva già stretto uno anni prima, il sigillo di Iona, che aveva consumato sacrificandosi nel proprio potere. Conosceva gli effetti di quella magia e sapeva che sarebbe stato un voto che l’avrebbe indissolubilmente legata ad Aslan, ai Pevensie, alla neonata casa reale – a Caspian.

Aslan le stava chiedendo di giurargli fedeltà, di onorare col sangue una promessa che l’avrebbe resa sua vassalla e suddita legittima; le stava chiedendo di andare contro lo stesso istinto di ogni strega e di bandire l’ombra di Jadis da sé, immolandosi ad una nuova causa e ad una nuova vita.

Aslan le stava offrendo una strada.

Le stava dando la possibilità di scegliere e di decidere cosa fare della sua vita, come mai aveva potuto fare da quando la Strega Bianca gli aveva strappato la possibilità di esserle padre. Qualcosa le diceva che, se avesse scelto la via della fuga e della solitudine eterna fra i ghiacci del Nord, l’avrebbe lasciata andare; e la stessa vocina le suggeriva che restare sarebbe stato difficile, che sarebbe stato arduo accettarsi e imparare a conoscere quella parte di lei che per tanto tempo aveva rinnegato.

Se fosse rimasta…

I soldati avevano esultato quando era comparsa fra loro, durante la battaglia. L’avevano seguita, avevano combattuto al suo fianco, avevano ubbidito ai suoi ordini e le avevano permesso di guidarli e di spronarli… e avevano sempre saputo chi era, cos’era.

Le sue sorelle non l’avrebbero lasciata andare facilmente, non dopo averla creduta morta, non dopo tutto quello che era successo: ebbe una fugace visione della reazione che avrebbe potuto avere Aysell e non riuscì ad evitare di sorridere appena, divertita.

In quel momento, davanti ad un crocevia che avrebbe cambiato per sempre la sua esistenza, Siria si volse verso Talia.

La mezz’elfa era a poche iarde da lei, impugnava il suo bell’arco archeniano e sembrava che non avesse aspettato altro che di essere interpellata dall’amica; sorrise, Talia, e Siria sentì il cuore riempirsi di un calore meravigliosamente familiare che le trasmise una pace che mai era riuscita ad assaporare davvero.

Qualunque decisione lei avesse preso, Talia non l’avrebbe abbandonata; ma la sua amica sapeva bene che Siria aveva già scelto.

La rossa estrasse la spada con la mano sinistra, mentre con la destra piantò nel terreno al proprio fianco lo scettro di Jadis. L’elsa di Kain brillò di gloriosi riflessi corvini nella luce calda del Sole quando Siria posò delicatamente la sua lama d’acciaio bianco sul palmo; un profondo, bruciante solco scarlatto si disegnò immediatamente sulla sua pelle eburnea – e là, dinanzi ad Aslan, lei chinò il capo e s’inginocchiò.

Davanti al signore di Narnia e di mille altri mondi lei s’inchinò e rimise la propria vita a lui, come un anno prima aveva promesso al cospetto dei Re di quel regno a cui lei sentiva di appartenere, abbassando la testa – e, con essa, il proprio orgoglio – in un muto segno di resa.

-Lo giuro.- affermò, alzando poi lo sguardo per cercare quello di Aslan: il suo padre ancestrale era là, maestoso come la divinità che era, e la guardava con un cipiglio tale che avrebbe spaventato qualunque essere vivente.

Eppure, per la prima volta, lei non ebbe paura.

-Con il mio sangue e con la mia magia io giuro di porre entrambi al servizio di Narnia e del Re che è e del Re che verrà. Come strega, come guerriera e come donna io oggi mi inchino a te, mio signore, ed offro a te e ai tuoi diletti il mio onore e la mia anima senza alcuna riserva.-

Il giuramento le salì in gola con spontaneità, come se – in qualche vita passata – qualcuno le avesse insegnato quelle parole ed il loro significato; ed ora, finalmente, tutto acquisiva quel senso che lei non aveva mai potuto comprendere prima.

Sorrise appena, sentendo l’energia del Fuoco vibrare nei battiti rapidi che le scuotevano il cuore: stava succedendo qualcosa, dentro di lei, e tutta la sua magia sembrava volersi innalzare per godere di quel mutamento che le aveva acceso un tumulto inestinguibile nel petto.

-Come figlia, invece, padre mio, ti offro in dono la sincerità del mio cuore, che però appartiene solo e soltanto al tuo Re.- sussurrò, ma Aslan annuì e si aprì in un’espressione di pura gioia che riuscì ad intenerirle l’animo.

E poi ruggì, cogliendola di sorpresa, volgendo l’enorme testa verso il cielo.

Siria avvertì improvvisamente un bruciore sul palmo della mano destra, là dove il taglio che si era inferta pizzicava un po’; abbassò gli occhi sulle proprie dita, macchiate di sangue, appena in tempo per vedere un’ombra dorata snodarsi sulla propria pelle.

Sobbalzò, allarmata, ma non si mosse quando – seguendone l’evoluzione – vide quella polla del colore dell’oro brunito prendere forma sul suo braccio.

Un nuovo tatuaggio, completamente diverso dalla fenice che le danzava sulla schiena e dal Sigillo di Iona che aveva portato, marchiava ora indelebilmente la sua pelle, dal palmo fino al gomito. Una fiamma nasceva nell’incavo dell’avambraccio, serpeggiando e circondando la sua pelle fino alla mano dove, stilizzato eppure maestoso, un leone spalancava le sue fauci in un silente ma tonante ruggito.

Sorrise, Siria, riconoscendo in quel raro simbolo il sigillo di Aslan.

-Alzati, Siria, Strega Rossa e Paladina del Fuoco, quarta delle Figlie di Aslan e nuovo Generale dell’esercito di Re Caspian.-

Siria obbedì, rinfoderando Kain e rialzandosi in piedi nel silenzio più totale, tornando con lo sguardo al signore di Narnia.

E non provava più paura, adesso.

-Finché onorerai il tuo giuramento, il marchio sul tuo braccio mostrerà al mondo la tua lealtà.- le spiegò il leone, la voce gentile, quasi carezzevole. -Ed il tuo posto, figlia mia, non può essere che accanto al tuo Re.- aggiunse dopo un istante, e Siria avrebbe potuto giurare di averlo visto rivolgerle un occhiolino; non ebbe però il tempo di sincerarsi di quel dettaglio, poiché la sua attenzione venne immediatamente catalizzata dalla figura del giovane uomo che stava correndo verso di lei.

Davanti ad Aslan, ai Pevensie e agli eserciti di Telmar e di Narnia – davanti all’interezza del popolo che era appena divenuto suo – Caspian la raggiunse di slancio e la sollevò in un abbraccio entusiasta, facendola volteggiare in aria mentre il ruggito trionfante dei narniani echeggiava in tutta la valle del fiume. Siria rise, sopraffatta dal sollievo e dalla gioia, accorgendosi solamente in quell’istante di avere gli occhi pieni di lacrime; si abbandonò dolcemente fra quelle mani tanto amate che la posarono delicatamente a terra, stringendolo forte al petto e riempiendosi il cuore dell’odore familiare della sua pelle.

Pace, amore, serenità – in quell’attimo lei seppe che non avrebbe mai più dovuto errare alla ricerca di ciò che le era sempre mancato, che avrebbe potuto lasciar andare la sua nomea di raminga e permettere ai sogni e alle speranze di tornare a colmarle l’animo di quel bruciante, estatico desiderio di vivere.

Per la prima volta in tutta la sua vita Siria si arrese a quel pianto liberatorio e felice che le aveva reso ostici i respiri sino a quel momento, celando il visetto nel familiare angolino della clavicola di lui da cui nulla e nessuno avrebbe più potuto portarla via.

Caspian, emozionato quanto lei, le accarezzò una guancia e la baciò teneramente sulla fronte, attirando lo sguardo di lei nel proprio.

-Non osare mai più allontanarti da me. Non pensarlo neanche.- le intimò, col respiro affannoso che si mischiava a quello della ragazza e le iridi piene di sollievo e di sentimento.

Lei rise ancora, persa nel calore di quegli occhi scuri e meravigliosi, annuendo vigorosamente a quell’ordine.

-D’accordo.-

 

Il fiume era di nuovo tiepido e calmo, ma lei – di cui non rimaneva che una corrente gelida – si ostinava a non lasciarsi avvolgere dal calore rassicurante dei flutti.

Aveva freddo, Aysell, ma non era l’acqua che la circondava a far rabbrividire quel poco di coscienza di sé che non si era lasciata annegare nella furia: quel ghiaccio lei ce l’aveva nell’anima da secoli, ma vi si era talmente abituata da averlo quasi dimenticato.

Quasi.

Era una parte con cui aveva imparato a convivere da molto tempo, ormai; ultimamente credeva di essere riuscita ad assumerne definitivamente il controllo, di poterla governare e reprimere nei momenti in cui non era in grado di trattenerla del tutto… adesso però quel cancro d’angoscia e solitudine si era risvegliato, nutrito dal dolore che le era scoppiato dentro quando aveva visto cadere Mairead.

Quelle spire senza vita le si erano avviluppate allo spirito lentamente, come un mostro che cresce in un irrequieto dormiveglia: ad ogni sguardo di coloro che la guardavano, compatendola – povera piccola Guardiana spogliata del proprio potere –, ad ogni alba vissuta in quell’eremo sperduto in cui lei e Mirime avevano dovuto rifugiarsi, qualcosa che avrebbe dovuto essere rigoglioso e rifulgente appassiva un po’ di più, un petalo alla volta.

C’era ancora qualcosa di vivo, dentro di lei?

Probabilmente la risposta a quella domanda era un un poco amaro, agrodolce: sì, indubbiamente c’era un qualcosa che si ostinava testardamente a sopravvivere – quel qualcosa che poteva ancora soffrire.

Prima Siria, che avevano quasi perduto, poi… Mairead… come poteva, quel misero rimasuglio, sopportare così tanto dolore in così poco tempo?

Avvertì la coscienza familiare di Mirime accostarsi alla propria ma la scacciò, trincerandosi in quel gelo che altro non era se non ciò che aveva portato con sé sin da bambina.

Come poteva trovare la forza di lasciarsi riportare alla vita?

No, lei sarebbe rimasta lì, sperduta in quell’Elemento che così a lungo le era stato precluso: quello era il suo posto, e non desiderava altro se non lasciarsi scivolare via.

Eppure qualcosa la tratteneva, la inchiodava lì, la imbrigliava ad un pelo dalla superficie tumultuosa del fiume – Aslan.

Aveva incontrato il Grande Leone solamente un paio di volte in tutta la propria vita, e mai troppo a lungo; forse a causa dell’assenza del proprio potere, forse perché era stata molto piccola in quelle occasioni, non aveva mai compreso che cosa potesse esserci di tanto intenso nel rapporto di una Figlia con quel genitore che le aveva condannate tutte a molteplici destini uno più crudele dell’altro.

Ora, però, capiva.

Aslan era un faro, splendente di calore e di luce, che lei poteva percepire anche senza vederlo. Era una presenza che pulsava di vita e di energia – le stesse che lei rifiutava di cercare in sé, le stesse che lei aveva annegato nella furia e nel dolore – che sembrava guardarle dentro in un modo che non sarebbe mai stata in grado di definire.

-Shaylee.-

La voce profonda e terribilmente rassicurante di Aslan perforò il silenzio ovattato e misericordioso in cui Aysell si era rinchiusa, vibrando in ogni particella di quell’acqua gelida che componeva il suo corpo di Guardiana.

Shaylee doveva essere poco lontana, ma lei non riusciva a sentirla: forse Aslan era una presenza troppo grande perché chiunque altro potesse essere scorto dai suoi sensi nelle immediate vicinanze, o forse era proprio lei, Aysell, a non voler prestare ascolto a quel senso che le avrebbe permesso di distinguere le altre naiadi – quelle naiadi che non l’avevano mai accettata e che le avevano rivolto solo sguardi di sdegno e di compatimento, disgustate da quella bambina menomata che era stata così sciocca da rinunciare alla propria magia.

Si sorprese, tuttavia, di poter udire la voce compita e ossequiosa di Shaylee rispondere garbatamente al Signore di Narnia.

-Mio signore.-

Aysell quasi poté vederla inchinarsi con deferenza al cospetto del felino e, fra sé, si sentì bizzarramente fiera dell’eleganza che stava sicuramente dimostrando davanti ad Aslan. Shay era sempre stata così posata ed educata, a palazzo era diventata la beniamina delle insegnanti di galateo e delle dame di compagnia della Sovrana…

-Sono addolorato per questa perdita. Mairead mi era molto cara.-

Le parole di Aslan le trafissero bruscamente il cuore, spezzando il filo dei suoi pensieri.

Sì, Mairead era stata cara a tutti – era stata cara a lei.

Aveva sempre creduto che Mairead sarebbe stata eterna, che non se ne sarebbe mai andata. Era Sovrana già da molto tempo quando lei e Shay erano giunte al Regno delle Naiadi, persino i Pevensie erano diventati regnanti dopo diversi anni dalla sua ascesa… era quasi una bestemmia affermare che quella donna meravigliosa non esisteva più.

Da qualche parte in quel fiume Aysell gemette, percependo qualcosa di enormemente doloroso stringersi in lei a quel pensiero.

Mairead era stata… tutto.

Per lei – per quella bambina cieca, spaventata e sperduta – Mairead era stata l’intero universo.

L’aveva amata come una figlia, l’aveva difesa dalle angherie di coloro che l’avevano derisa per l’assenza dei suoi poteri, l’aveva cresciuta e aveva accettato di separarsi da lei solamente quando, per Aysell, la sicurezza nel Regno delle Naiadi era venuta a mancare; era stata la sua forza nei momenti di sconforto, la sua guida durante i lunghi secoli che aveva passato come reietta fra la sua stessa gente, la sua protettrice più grande… la sua unica madre.

Una madre che non sarebbe tornata mai più.

Non poteva essersene andata davvero. Mairead c’era sempre stata…

Zanne ghiacciate le sferzarono lo spirito quando dovette ricordare a se stessa che cosa aveva visto – che Mairead non sarebbe più tornata, che non le avrebbe mai più rivolto una carezza o una parola di conforto.

Mairead non c’era più.

Non poteva sopravvivere a quella consapevolezza: il dolore era troppo e lei era così stanca… che male ci sarebbe stato nello smarrirsi in quel baratro di sofferenza?

Non era abbastanza forte per andare avanti, quell’atroce agonia l’avrebbe dilaniata un po’ giorno dopo giorno. Come poteva, lei che era solamente una ragazzina, vivere accompagnata dalla consapevolezza che Mairead non le avrebbe mai più sorriso, che non le avrebbe mai più parlato, che non l’avrebbe mai più abbracciata?

-Tutto il mio popolo piange la perdita della nostra Sovrana.- sentì aggiungere Shaylee, e riuscì a cogliere una profonda tristezza ed altrettanto dolore nella sua voce. -È stata… è stata la migliore delle madri per ognuno di noi.-

Le parole di Shaylee sembrarono dar voce ai pensieri di quella sua sorellina che pareva non volersi destare; quel pensiero riuscì a toccarla come nemmeno Mirime avrebbe potuto fare, rammentandole che anche Shay e le sue sorelle stavano piangendo la scomparsa di quella donna formidabile che le aveva cresciute tutte quante – ricordandole che non era giusto isolarsi, non quando qualcuno che amava stava soffrendo.

-Ti ha insegnato bene.- sentì mormorare Aslan, ma comprese dal suo tono di voce che la sua attenzione si era spostata da Shaylee agli occhi opachi che la piccola aveva sporto sul pelo dell’acqua.

Il fiume, forte come lei sapeva di non riuscire ad essere, la accompagnò con una morbida ondata fin sulla riva, infrangendosi sui ciottoli levigati in migliaia di bollicine candide.

Aslan la guardò con quell’intensità a malapena tollerabile nel momento in cui le correnti si ritirarono dal greto, lasciandosi dietro la figuretta di Aysell, modellata nell’acqua che portava dentro di sé – tuttavia, diversamente da qualsiasi altra naiade, la limpidezza di quel corpo era offuscata, quasi una piccola tempesta turbinasse dentro di lei.

-Aysell, bambina.- il leone la accolse con dolcezza, abbracciandola con quegli occhi caldi e profondi in cui chiunque avrebbe potuto trovare pace e conforto.

E lei rispose a quella dolce chiamata, abbandonando il fiume e muovendo qualche passo incerto sulla terraferma, avvolta da una cascata di capelli d’oro liquido che si mescolava, danzando, alla sua carne mutata.

Prima di raggiungere Aslan e Shaylee, però, si costrinse a fermarsi sul greto acciottolato per raccogliere qualcosa che lo spirito fluviale aveva restituito agli esseri viventi senza che lei se ne accorgesse – tutto ciò che rimaneva della più grande Sovrana che Narnia avesse mai conosciuto, e della più grande donna che lei e le sue sorelle avrebbero mai potuto incontrare: lo scettro di Mairead.

Cercando di non incespicare in quella forma che non le era più familiare, Aysell si avvicinò al Grande Leone e a Shaylee, l’uno imperscrutabile e l’altra ansiosa e preoccupata; la Guardiana si costrinse a mantenere le spalle dritte e il portamento determinato – proprio come Shay, proprio come le aveva insegnato Mairead.

Serrò le piccole mani su quel meraviglioso scettro che tante volte aveva visto in mano alla Sovrana, sentendo il cuore piangere quando scorse gli zaffiri opachi e spenti come stelle defunte; continuando a stringerlo, aggrappandovisi con tutta la disperazione che le riempiva la mente per non lasciarsi cadere a pezzi, si fermò davanti ad Aslan e glielo porse.

-Il fiume lo ha lasciato sulla riva.- affermò, costringendo la propria voce a non tremare e sostenendo lo sguardo perforante del padre.

-Appartiene alla Sovrana delle Naiadi e, questo, lo spirito del fiume lo sa molto bene.- mormorò lui, indecifrabile come il più inestricabile degli enigmi, avvicinandosi appena ad Aysell e sfiorando con la punta del naso il legno bianco dello scettro.

In quello stesso attimo Aysell sussultò, percependo una sensazione calda ed avvolgente risalire l’asta e le sue braccia, colmandola di una pace che non avrebbe creduto di poter più provare; fissò Aslan, stupefatta… ma lui sorrise soltanto, avvolto da quel mistero rifulgente di splendore che quasi accecava gli occhi di chi era in grado di vedere, prima di volgersi verso la più grande delle due sorelle.

-Prendilo, Shaylee.- affermò; e, non appena ebbe parlato, Aysell seppe – in un modo che trascendeva qualunque logica o razionalità – che il destino di Shaylee era legato indissolubilmente a quello scettro, a quel ruolo, a quel titolo.

Shaylee apparteneva al Regno delle Naiadi, così come vi era appartenuta Mairead.

-Cosa?- balbettò la maggiore, sgranando gli occhi davanti all’affermazione di Aslan; scosse la testa, sfregandosi le mani sulle guance che si erano riempite d’imbarazzo, distogliendo le iridi dorate dal leone. -No, io non sono degna, non sono… pronta.- tentò di giustificarsi, facendo un passo indietro, ma Aslan negò appena ed invitò Aysell ad avvicinarsi alla sorella.

-Sei la figlia che Mairead ha designato per succederle, ed è con il favore di Aslan e della Guardiana dell’Acqua che, da oggi, tu regnerai.-

A quelle parole, pregne di un profondo significato che entrambe riconobbero immediatamente, Aysell sorrise appena.

Consapevole di quanto ciò che stava compiendo fosse molto più solenne ed importante di qualunque azione avesse mai compiuto nella propria vita, la Guardiana dell’Acqua avanzò per arrivare a trovarsi davanti a Shaylee, serena ed imperscrutabile in volto esattamente come Aslan; in un lampo di consapevolezza la giovane Figlia capì che la calma surreale che la pervadeva ora apparteneva ad un qualcosa di più grande di loro, che sovrastava qualunque legge pronunciata nel corso dei secoli e che vibrava in ogni singolo millimetro della sua carne e della sua anima.

La Grande Magia era lì, dentro di lei, per designare colei che era degna a proteggere i suoi figli più amati.

Guardò gli occhi dorati di sua sorella, così diversi dai propri, e vide nel suo volto una donna che a lungo aveva atteso di poter sbocciare; vide una coraggiosa guerriera che aveva abbandonato la fanciullezza per indossare le pesanti vesti della maturità; vide il riflesso del sorriso di Mairead nella consapevolezza che stava lentamente soppiantando l’incredulità nei suoi tratti, e comprese che Shaylee sarebbe diventata una delle più grandi Sovrane che le naiadi avrebbero vantato nei millenni a venire.

Le tese lo scettro senza più tremare, e quasi poté sentirlo vibrare quando Shaylee allungò entrambe le mani e chiuse le dita sottili sul legno candido, impugnandolo con una sicurezza che andava oltre ogni sua paura.

E gli zaffiri sfolgorarono di gioia quando la giovane donna accettò se stessa e il proprio destino, proclamandola così novella Sovrana del proprio amato popolo.

Shaylee sorrise, sopraffatta dalla commozione, rivolgendo uno sguardo pieno di gioia alla sorella e ad Aslan; aveva gli occhi pieni di lacrime, notò Aysell, ma sapeva che sarebbe riuscita a contenere le proprie emozioni.

Aslan si affiancò alla piccola Guardiana mentre quella presenza ultraterrena che l’aveva avvolta scemava bruscamente da lei, facendola quasi barcollare; la sostenne con educazione, permettendole di accostarsi alla sua criniera mentre riprendeva fiato, in modo che nessuno scorgesse il volto della ninfa – che, gradualmente, stava tornando umano – adombrarsi quando i foschi pensieri che l’avevano tormentata si ripresentarono alla sua mente.

Shaylee però non si accorse di quel breve momento di debolezza; guardò Aslan, che le sorrideva, e ricompose il proprio volto in un’espressione seria e determinata.

-Sarò degna.- affermò soltanto, solenne, congedandosi dal Signore di Narnia con un profondo inchino prima di dirigersi verso il greto del fiume, dove le ninfe la stavano aspettando – dove Peter Pevensie aveva atteso fino a quel momento.

Si avvicinò a lui dominando le emozioni, ripetendosi che una Sovrana doveva mostrare decoro e non lasciarsi prendere dalle passioni; eppure, quando Peter le sorrise e le racchiuse le mani sul proprio petto con gli occhi pieni di gioia, lo sguardo che si scambiarono fu più intenso di qualsiasi bacio potesse esistere.

Aysell, che aveva seguito i movimenti della sorella senza mai muoversi, si strinse le braccia attorno al corpicino sussultante – del tutto umano, ormai – e si scostò da Aslan, che percepì il suo turbamento e si allontanò per concederle un minuto di solitudine.

Era sciocco sentirsi così.

La bionda chiuse gli occhi quando li sentì bruciare, lottando per scacciare quella sensazione sgradevole che non riusciva ad identificare.

Era felice per Shaylee, sapeva da sempre che sarebbe diventata Sovrana, un giorno; però… qualcosa di pesante e doloroso sembrò animarsi nel suo diaframma quando, in un tremendo secondo di consapevolezza, comprese che sua sorella aveva un popolo intero di cui prendersi cura, adesso, ma che non era rimasta nemmeno per chiedere a lei come si sentisse.

Scosse la testa, cercando di scacciare quel pensiero: non era il caso di angosciarsi per una sciocchezza del genere, si disse, ma non riuscì ad evitare la sgradevole sensazione di abbandono che, mescolandosi al dolore che provava, le sfiorò l’anima.

Poteva capirla, però: Shaylee era emozionata e addolorata e probabilmente più confusa di lei – andava tutto bene, il suo compito adesso era quello di rassicurare un intero popolo che aveva appena assistito all’omicidio di una Sovrana che era stata molto amata, di sicuro non poteva perdere tempo per sbrogliare le ansie della sua sorellina impacciata…

-Ehi.-

La naiade sobbalzò, colta di sorpresa da quel richiamo, ma si sentì enormemente sollevata quando, voltandosi, si trovò davanti all’espressione dolce di Siria.

La strega si era separata da Caspian, lasciandolo con i Pevensie e con i suoi luogotenenti narniani – per un istante Aysell si chiese come mai non fosse rimasta là anche lei, dato che Aslan l’aveva nominata ufficialmente Generale di Narnia… ma, dallo sguardo rassicurante e comprensivo della rossa, la naiade capì che aveva preferito raggiungerla piuttosto che lasciarla sola.

Le si gonfiò il petto di commozione a quel pensiero: la sua amica aveva lasciato tutto da parte, persino il suo adorato Caspian, per venire da lei… perché l’aveva sentita soffrire ed era corsa al suo fianco senza che nessuno la chiamasse, semplicemente perché non poteva tollerare di rimanere a guardare mentre il dolore le squarciava l’anima.

Perché era sua amica, sua sorella, e non l’avrebbe mai lasciata soffrire.

-Ehi…- mugolò, abbozzando un sorriso nonostante il nodo che era salito ad ostruirle la gola fosse talmente ingombrante da impedirle quasi di respirare – Shaylee che se ne andava così… Mairead…

Non ebbe bisogno di dire nulla, né l’altra dovette chiederle che cosa stesse succedendo: a Siria bastò uno sguardo per capire, e se la tirò addosso prim’ancora che Aysell stessa si accorgesse di aver perduto la battaglia contro il pianto.

L’abbraccio di Siria era sempre caldo, caldo e meravigliosamente familiare.

Aysell vi si raggomitolò subito, nascondendo il visetto nella curva della spalla della strega e aggrappandosi con forza ai suoi abiti, quasi fosse un gattino spaurito e abbandonato; ma non era sola, le suggerì una vocina speranzosa all’orecchio della mente, non era sola e non lo sarebbe stata mai più

-Andrà tutto a posto, piccoletta.- le mormorò l’amica all’orecchio, stringendola a sé ed accarezzandole delicatamente i capelli ondulati. -Rimetteremo tutto a posto. Te lo prometto.- aggiunse, piano – ed Aysell le credette all’istante, perché se Siria era convinta che quell’atroce agonia si sarebbe chetata un poco allora doveva essere la verità, Siria non le avrebbe mai mentito e avrebbe fatto di tutto per mantenere quella promessa…

Tirò su col naso, annuendo appena, ma non si mosse da dov’era; e la rossa sorrise, stringendola un po’ più forte quando un fremito la attraversò – però, adesso, Aysell non aveva più così freddo.

Avrebbero rimesso tutto a posto, tutte insieme; e tutto sarebbe andato a finire bene.

 

Aslan, poco lontano dalle due ragazze abbracciate, si concesse un breve sorriso.

Separare le sue Figlie era stato un azzardo che avrebbe potuto causare una spaccatura incolmabile fra loro: la distanza avrebbe potuto distruggere l’amicizia che le aveva legate da bambine – d’accordo, Mirime e Talia non erano state così giovani all’epoca, ma lui non riusciva proprio a fare a meno di vederle tutt’e quattro come le sue piccole creature –, e lui aveva davvero temuto che le sue figlie non riuscissero a mantenere intatta quell’affinità che avrebbe potuto salvarle una volta cresciute.

Ma, per fortuna, tutto si era risolto al meglio.

L’affetto che si era instaurato fra tutte loro era stato più forte degli anni e del tabù: quando Shaylee aveva smantellato l’incantesimo della Sovrana tutt’e quattro le Figlie di Aslan avevano ritrovato se stesse, donando ai propri cuori e a Narnia un’unione profonda e sincera che avrebbe portato gioia e serenità al regno intero.

In quel modo particolare che lo caratterizzava da sempre Aslan sapeva che, dopo quell’ardua prova a cui il destino le aveva sottoposte, niente avrebbe più potuto dividerle.

Voltò l’enorme testa, soddisfatto, spostando l’attenzione sulla ninfa dell’aria che galleggiava pigramente a qualche metro da terra, poco distante dalla mezz’elfa e dal suo compagno umano; Talia, avvertendo il suo sguardo, si voltò e gli rivolse un sorriso scanzonato, affiancandolo quando lui la raggiunse.

-Era ora che ti facessi vedere, vecchio mio.- lo salutò, allungando una manina per arruffargli con tenerezza la criniera dorata; Aslan, paziente, sopportò quell’epiteto bonario e si lasciò strapazzare un poco dall’esuberante mezz’elfa che, con un versetto deliziato, gli balzò al collo per immergersi completamente nell’abbraccio di quella criniera soffice e folta. -La gente stava cominciando a crederti una favoletta per bambini.- gli fece notare lei dopo qualche attimo, ridacchiando al pensiero di quell’enorme felino ridotto a spauracchio per i piccoli insonni di Narnia.

-Ogni cosa ha il suo tempo, ragazza mia.- replicò il leone, punto nell’orgoglio – e Talia rise di nuovo, soddisfatta, quando si accorse che Aslan le aveva fatto il verso e che, in fondo, anche lui possedeva un qualche strano senso dell’umorismo.

Si separò a malincuore dal folto collare di pelo del felino, ricomponendosi un poco e lanciando, nel frattempo, un’occhiata serena in direzione delle amiche; si trattenne dal ridere ancora quando scorse nello sguardo di Mirime un astio familiare, un’antipatia nata molti secoli prima e tutta dedicata al sedicente – e peloso – Signore di Narnia che le stava accanto.

-Il Concilio Elfico sta arrivando.- le annunciò lui, cogliendo l’oggetto dei suoi pensieri ma ignorando clamorosamente la presenza vagamente minacciosa della pleiade che volteggiava sopra di loro. -Credo abbiano preferito accusare un ritardo piuttosto che intervenire in questa battaglia, ma sono per strada.- aggiunse, inarcando un sopracciglio e annuendo quando Talia sbuffò, spazientita.

-Chissà perché ma non mi sorprende più di tanto, questa cosa!- fu l’unico commento della mezz’elfa, che scosse vigorosamente la testa in segno di profonda disapprovazione.

Aslan si concesse un sorrisetto ironico, consapevole di quanto Talia disprezzasse l’atteggiamento della gente di suo padre: nemmeno lui era mai andato molto d’accordo con gli elfi, e__

-Ciao, papi.-

Il Grande Leone s’irrigidì a quelle parole improvvise, ed i suoi grandi occhi si colmarono di disagio e imbarazzo; scosse la folta criniera per tentare di alleviare quella sensazione sgradevole ma, quando seppe di non poter evitare quell’incontro, si arrese all’evidenza e si voltò verso quel paio d’occhi ambrati che, pieni di rimprovero, lo stavano aspettando.

Esisteva una sola persona, in tutti i numerosi mondi che lui aveva creato, in grado di provocargli quella reazione: Mirime.

Mirime era l’unica creatura nell’universo che potesse vantare un’esperienza quasi pari alla sua; era l’unica che avesse mai avuto il coraggio di opporsi a lui, che si fosse rivelata saggia quanto e forse anche più del padre… ed era anche l’unica in grado di provocargli quello strano sentimento tanto simile a puro terrore.

-Mirime… è bello incontrarti lontano dalla tua torre, finalmente.- la salutò, rivolgendole un breve inchino quando la pleiade toccò leggiadramente terra dinanzi a lui.

-Sì, è piacevole cambiare aria, ogni tanto.- fu la caustica replica della mora, che si limitò ad incrociare le braccia sotto al seno e fissarlo, torva, da sotto la folta frangia scura.

Nel corso dei lunghi secoli che Mirime aveva passato in solitudine, ultima della sua razza e Ancella di un potere troppo prezioso per essere messo in pericolo in mezzo ai mortali, lei ed Aslan si erano spesso scontrati sull’atteggiamento che il Signore di Narnia aveva sempre tenuto nei confronti delle sue genti: Mirime non aveva mai sopportato il suo continuo sparire dalle situazioni critiche, ed Aslan non era mai riuscito a farle capire che, nel destino che lui solo poteva scrutare, il suo comportamento avrebbe sempre trovato un perché.

In fondo si erano sempre rispettati e sopportati a vicenda – erano abbastanza saggi per non discutere sulle decisioni dell’uno o dell’altra, e non si era mai presentata una situazione talmente critica da richiedere un intervento troppo pesante del Grande Leone.

Insomma, era intervenuto per aiutare i Pevensie contro Jadis, no? Mirime sapeva benissimo che i pupilli del padre giungevano a Narnia per imparare e per crescere, di solito Aslan non causava mai troppi danni con la sua assenza…

Stavolta, però, aveva proprio esagerato.

La fanciulla fece schioccare le labbra fini, assottigliando le palpebre su quegli occhi grandi e insolitamente allungati, quasi felini; aveva gli zigomi pallidi stranamente accesi ma sembrava calma, notò Aslan – eppure quella consapevolezza non lo tranquillizzò minimamente.

-La prossima volta, magari, potresti intervenire prima di lasciare che accada un disastro come quello che ci ha quasi portato via Siryn?- furono le parole che la pleiade scelse per rivolgersi a quel padre ancestrale che l’aveva delusa più di quanto avrebbe ritenuto possibile.

Il leone sospirò, rassegnato.

Spiegare a Mirime che Siria aveva avuto bisogno di affrontare se stessa solo ed esclusivamente in quel modo – che niente e nessun altro avrebbe mai potuto spingerla ad accettarsi – sarebbe stato impossibile: l’affetto che la legava alla strega l’avrebbe resa sorda alle sue delucidazioni… ma, in fondo, quella non era una consapevolezza che lo disturbava: sapere che la sua Figlia più antica era stata in grado di affezionarsi alla più giovane lo riempiva di una gioia tale da spingerlo a rinunciare all’idea di esplicare alla ragazza i propri piani; si limitò, perciò, ad abbassare l’enorme testa in segno di scuse.

-Farò il possibile, figlia mia.- le assicurò, mite; la pleiade, finalmente soddisfatta, si permise un sorriso indulgente e allungò persino una mano verso di lui, posandola sull’ampia fronte dorata del padre e lasciandovi una breve carezza.

-Bravo micetto.- si complimentò, lasciandosi finalmente andare ad un sospiro che le sciolse la tensione accumulata nelle spalle esili.

Il suo però fu un sollievo di breve durata, perché tanto lei quanto Aslan e Talia, poco discosta da loro, si voltarono di scatto quando udirono la voce oltraggiata di Shaylee echeggiare fino a loro.

-Chi ha osato farti questo, caro?- stava chiedendo la naiade al biondo Re, riferendosi al profondo taglio che solcava il viso di Peter e che lei, amorevolmente, aveva appena sfiorato con una tenera carezza.

Automaticamente, diverse paia d’occhi scattarono sulla figuretta minuta di Aysell.

Peter sospirò, scoccando un rapido sguardo alle Figlie di Aslan: Talia ridacchiava, Mirime stava facendo del suo meglio per rimanere seria, Siria pareva confusa – Aysell, tuttavia, era arrossita fino alla radice dei capelli e cercava di non guardarlo, sebbene stesse lottando per impedirsi di sorridere soddisfatta.

-Tua sorella.- sospirò, tornando a volgersi verso Shaylee con l’espressione più sconsolata che gli si fosse mai vista in volto, mentre Caspian e Caleb, che sorridevano sornioni, si accostavano a Siria e ad Aysell.

Videro Shaylee sgranare gli occhi, e tanto lei quanto Siria si volsero per lanciare un’occhiata attonita alla piccola.

-Ah.- fu l’unico commento che la nuova Sovrana si concesse, prendendo un respiro profondo e chiedendosi come mai si stesse ostinando ad indagare su quella faccenda. -E… perché?- chiese, pentendosene all’istante quando Peter volse gli occhi al cielo, imbarazzato.

-Perché ho quasi causato la morte di Siria.- mugugnò, imbronciato, senza guardare nessuno e desiderando ardentemente di trovarsi in qualsiasi altro luogo piuttosto che davanti all’espressione allibita di Shaylee.

-Ah.-

La naiade, sconcertata, rimase immobile per qualche secondo prima di voltarsi verso la sorellina, che aveva in volto l’espressione più angelica ed innocente che Shaylee avrebbe mai potuto immaginare, guardando poi Siria che alzò immediatamente le mani per proclamarsi innocente e ignara di quella faccenda mentre Talia ridacchiava poco lontano e volgendosi, infine, verso l’espressione seria e palesemente falsa di Mirime.

Sospirò di nuovo, scoccando all’amica pleiade un’occhiata esasperata.

-Senti, io capisco che avesse ragione, ma tu un po’ di diplomazia potevi anche insegnargliela in questi secoli!-

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My Space:

Mwehehehehehehehehehehehe!
Peter: NON sei divertente.

Buongiorno!
Come promesso ecco qua il capitolo 47 di Narnia's Rebirth, credo il più lungo che io abbia mai pubblicato in questa fanfiction... dopotutto è il capitolo di scioglimento di 46 capitoli di tensione, direi che si merita tutto lo spazio di cui ha bisogno. Con questo si chiude ufficiosamente la fianfiction: i tre capitoli che seguiranno saranno quelli che andranno a comporre l'epilogo.
Allora! Finalmente Aslan si confronta con le sue figliole, dopo qualcosa tipo un'eternità... diciamo che Mirime ha giusto un paio di cosette da dire al papi!
Tutte loro hanno un modo diverso di rapportarsi con Aslan: Siria, nonostante tutto, lo rispetta e sono convinta che arriverà ad adorarlo (ricordiamo però che Siria adora ANCHE Peter, quindi non è un metro di giudizio molto imparziale); Mirime lo tratta più come un suo pari che come un padre, dato che hanno un'esperienza multisecolare tutti e due; Talia lo prende, come sempre, con tanta ironia, ma la amiamo anche per questo; Aysell ne è intimorita e prova rancore nei suoi confronti per non essere mai intervenuto per lei.
Aysell in questo capitolo mi fa così tanta tenerezza... il suo cercare di essere all'altezza della situazione è ciò che la differenzia dalla sorella, più d'ogni altra cosa: Shay SA come destreggiarsi nelle vicende, è elegante e determinata, Aysell invece è un po' goffa e tanto, tanto insicura. Le voglio tanto bene, è un tesoro!

Peter: ma sei convinta!? NO MA SEI SICURA!? E SE POI TE NE PENTI!?

Anche Caspian, in questo capitolo, arriva alla conclusione di un percorso che è durato un sacco di tempo: è cresciuto, è diventato l'uomo che voleva diventare, il Re che era destinato ad essere... e, al suo fianco, avrà la compagna che si è scelto e che nessuno avrebbe mai potuto immaginare sarebbe stata la plausibile consorte del Re di Narnia e di Telmar. Insomma, ce l'abbiamo fatta e il resto dovrebbe essere tutto in discesa xD

Ne approfitto per riportarvi, qui sotto, tutte le varie immagini che DreamWanderer ha creato per questa fanfiction e quelle che seguiranno (cliccate sulle immagini per aprirle): le trovate comunque tutte su Deviantart! Inoltre potete trovarci anche su Polyvore, sia io che lei (ci sono un sacco di set su questa fanfiction!) ^^

Gli outfits da battaglia delle ragazze:

 

La falce di Mirime:



La mappa di Narnia (riorganizzata secondo questa fanfiction):





Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 48
*** Sisters of the Light. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
48th Chapter

Sisters of the Light - Xandria

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Quel tardo pomeriggio di fine estate sarebbe stato ricordato, negli annali del reame, come il primo, glorioso giorno di una nuova era.

Re Caspian, decimo del suo nome, aveva trionfato contro l’usurpatore Miraz e aveva risparmiato le vite di coloro che si erano limitati ad ubbidire agli ordini dei propri generali; diverso era stato il destino dei più fidi sostenitori dello zio, che il nuovo regnante aveva fatto arrestare e condurre nelle prigioni della rocca.

Dinanzi alla popolazione dei telmarini, che si era radunata in fretta e furia nella piazza centrale della cittadella sorta attorno al castello, sul capo di Caspian fu posata la corona che Cornelius, il mentore che lo aveva cresciuto e guidato fin da bambino, aveva recuperato una volta potuto rimettere piede a palazzo.

Si trattava di un fine lavoro d’oreficeria che solamente i nani, maestri di quell’arte, avrebbero potuto eguagliare: sottili ramificazioni del tutto simili alle regali corna dei cervi di montagna s’intrecciavano attorno alla struttura sottile del cerchio, forgiato nell’oro bianco e impreziosito da minuscoli rubini incastonati ad intervalli regolari lungo la circonferenza.

-Questa corona vi appartiene, mio Sire.- aveva detto l'insegnante, emozionato, quando il giovane Re gli aveva domandato da dove provenisse quell'oggetto. -L’ho forgiata io stesso molti anni fa, per il re che sareste diventato.-

La gioia e la commozione che si erano accese nelle iridi d'ossidiana di Caspian erano state il ringraziamento più sincero e profondo che Cornelius avrebbe mai potuto desiderare.

Era stato proprio Peter, sotto lo sguardo benevolo di Aslan, a porre quella semplice corona sui capelli del suo successore: e l’intera Telmar aveva esultato quando la moglie di Miraz si era fatta avanti per donare al nipote il mantello di pelliccia, simbolo di regalità, che era stato prima del cognato e poi del marito.

Le Figlie di Aslan avevano presenziato alla cerimonia solamente durante l’atto finale, il più importante: accanto al padre avevano rappresentato le creature magiche che si erano prudentemente tenute lontane da quel grande assiepamento di umani, perché Cornell aveva intelligentemente preferito tenere le truppe con sé, nel cortile interno della rocca e lungo i costoni rocciosi che segnavano l’inizio del pontile che vi conduceva. Le Figlie, consce dell’instabilità che poteva venire a crearsi fra narniani e telmarini, avevano raggiunto il centauro non appena era stato loro possibile, aiutando così a mantenere calmo e sereno l’umore di quelle creature tutt’altro che abituate a convivere con gli umani.

I narniani avevano atteso pazientemente che il loro nuovo Re venisse incoronato secondo le usanze del popolo che, da quel momento in avanti, avrebbe smesso di cacciarli e avrebbe lentamente cominciato ad accettarli come parte integrante di quel nuovo, strano e meraviglioso regno: ed ora la loro pazienza stava per essere premiata, si disse Mirime, vedendo il corteo che precedeva il Re comparire oltre la linea curva della strada in salita.

Le persone – uomini, donne, bambini – sciamarono sulla piazzetta che precedeva il pontile come un’onda marina si sarebbe allargata sulla sabbia fine delle spiagge di Cair Paravel: in molti sussultarono nel vedere i narniani disposti lungo i terrapieni, ma la presenza di quelle quattro donne, che avevano visto accanto al Re sino a pochi istanti prima e che conoscevano ormai di fama, li rassicurò.

Caspian comparve qualche attimo dopo, quando la folla che lo circondava si allargò: montava il suo fidato Destriero, strigliato accuratamente per l’occasione e bardato con finimenti appena usciti dalla bottega del mastro sellaio, ed indossava il mantello reale sopra una semplice casacca bianca ricamata in verde. La corona, fra i suoi folti capelli scuri, risaltava come la Luna piena spicca nel cielo terso e scuro della notte: gli donava, pensò Siria, sorridendogli appena quando lui la guardò.

Aslan – apparso chissà come – e le sue Figlie attendevano il nuovo Re sulla soglia del ponte. Aysell avrebbe dovuto essere accanto a sua sorella, che cavalcava elegantemente al fianco del cavallo baio montato da Peter, ma aveva preferito anteporre il proprio dovere di Guardiana a quello di sorella di una sovrana; Aaron e Caleb erano appena dietro i roani di Lucy e di Susan, ed Edmund era riuscito a tirarsi Tara in sella, ignorando le sue proteste e il suo imbarazzo.

Talia ridacchiò, divertita, quando vide la piccola bionda rivolgere un’occhiata di fuoco al più giovane dei maschi Pevensie: Edmund non l’avrebbe passata liscia, sembrava dire lo sguardo di Tara, ma la mezz’elfa era certa che, in qualche modo, sarebbe riuscito a farsi perdonare.

Il Re di Narnia e di Telmar diede dolcemente di speroni al proprio destriero, distanziando il resto del corteo e avvicinandosi alle quattro fanciulle; il cavallo, riconoscendole, nitrì  contento e allungò il muso verso Talia per farsi coccolare – il suo cavaliere, tuttavia, aveva occhi solamente per la guerriera dai capelli rossi che, accanto alla mezz'elfa, lo guardava con orgoglio e commozione pari solamente alla fierezza intrinseca del suo stesso carattere.

La giovane strega si lasciò inconsciamente attrarre da quello sguardo, dalla silenziosa chiamata che vedeva rilucere nel volto del suo amato, accostandosi al fianco dell’animale nel medesimo attimo in cui Caspian si sporse per sollevarla, con grazia, traendola in sella e fra le sue braccia.

Siria sgranò gli occhi, stupita dal gesto tutt’altro che convenzionale di Caspian, ma non protestò; si limitò a lasciarsi sfuggire una risata nervosa per mascherare l’imbarazzo, assottigliando appena le palpebre per scoccare al suo Re un’occhiata divertita.

-Stai giocando col fuoco, lo sai?- gli sussurrò all’orecchio, inarcando un sopracciglio e accennando appena al corteo che li precedeva.

Caspian però le rispose con quel sorriso spigliato e sicuro che lei aveva imparato ad amare, socchiudendo gli occhi nel profumo familiare dei suoi capelli e avvicinandosi, così, alla pelle eburnea della fanciulla.

-Dovrei aver paura di bruciarmi?- insinuò, ironico, avvertendola rabbrividire, sotto il suo respiro, in quel modo delizioso che lui adorava.

Siria ridacchiò di nuovo, approfittando di quell’istante d’effimera intimità per lambire le sue labbra con un bacio leggero, delicato, quasi fuggevole.

-Mai.-

 .

§

 .

I fasti telmarini, a parer di Siria, avevano sempre avuto una sola caratteristica positiva: l’assembramento degli abitanti della rocca nelle sale dei ricevimenti e l’agitazione della servitù davano libero accesso ai ladri ai piani superiori, dove era sempre facile raccogliere un ricco bottino approfittando dell’assenza dei regnanti… parteciparvi, però, era una grandissima fregatura.

Talia, che aveva colto il suo pensiero, si lasciò sfuggire una risata che subito soffocò nel tovagliolo.

“Mi sto annoiando a morte.” il pensiero tediato di Aysell, rivolto a tutt’e tre le sue sorelle, distrasse le fanciulle dall’apatia indolente in cui erano sprofondate quando anche le facezie dei giullari e le melodie dei cantori si erano fatte borbottate e assordanti come il vociare dei convitati che gozzovigliavano allegramente attorno a loro.

“Siamo in quattro, credo.” la voce di Mirime vibrò nelle menti delle Figlie con la leggiadra turbolenza di un temporale estivo; Siria e Talia si scambiarono uno sguardo perplesso, un po’ turbate dal nervosismo quasi palpabile che avvolgeva l’animo della solitaria pleiade.

Il grande e fastoso convivio in onore dell’incoronazione di Caspian, organizzato ad una velocità impressionante dai sovrintendenti di palazzo, durava ormai da quasi cinque veglie ininterrotte; la notte era sorta in un tripudio di stelle ardenti e luminose come nessuna di loro avrebbe mai pensato di poter scorgere, ma erano state incastrate in quel banchetto dal loro rango e dallo sguardo ammonitore che Caspian e Peter avevano rivolto loro:“voi siete le eroine di Narnia, non potete assolutamente mancare! Sarebbe uno scandalo!”, aveva detto il biondo a Mirime – l’unica delle quattro che non desiderasse ucciderlo seduta stante –, e nessuna di loro era stata in grado di negare quella scomoda verità.

Siria sbuffò, contrariata.

Peter e Shaylee si erano eclissati almeno un’ora prima, abbandonandole in balìa di quegli uomini gretti ed insopportabili che imbarazzavano Aysell, irritavano Mirime e provocavano una bizzarra ilarità in Siria e Talia quando rammentavano di averli ripuliti dei loro beni più preziosi ben più di una volta.

Anche le due Regine del Passato, Susan e Lucy, si erano educatamente ritirate prima che l’ora divenisse sconveniente per due dame perbene, portandosi dietro anche Tara – misteriosamente, però, Aaron era scomparso appena dopo di loro…

Caleb era rimasto stoicamente accanto a Talia, ma dalla sospetta opacità dei suoi solitamente limpidi occhi celesti sembrava irrimediabilmente avviato verso il beato oblio degli ubriachi.

Caspian, invece, non aveva quasi toccato il vino e l’idromele che molti degli invitati avevano largamente apprezzato, e così anche Edmund; i due bruni sedevano l’uno accanto all’altro, intrattenendo amabili conversazioni con i tanti lord, conti e marchesi presenti e dimostrandosi due ospiti squisiti ed eccellenti.

Siria si lasciò scappare un sorrisetto nel vederlo massaggiarsi le tempie, tradendo la stanchezza che certo doveva provare.

Era bello, il suo Caspian, ma adesso non aveva certo bisogno di lei.

“Ce la diamo a gambe?” propose quindi alle tre amiche che, con un sussulto, si drizzarono sugli scranni intarsiati a loro riservati e si volsero all’unisono in direzione della rossa – e lei poté chiaramente distinguere il sorriso trionfante fiorire sulle labbra di Talia.

“Sono con te, sorella!”

Ridacchiando fra sé per via della reazione dell’amica, Siria si allungò delicatamente verso Caspian, approfittando di un momento in cui non era impegnato con un qualche nobile sconosciuto e ubriaco.

Il giovane Re si concentrò immediatamente su di lei, rivolgendole un sorriso stanco ma meravigliosamente tenero e dolce; la strega arrossì ma non si scompose, sapendo di essere osservata più o meno da una trentina di paia d’occhi annebbiati dall’alcool, accarezzando in punta di dita il dorso della mano del ragazzo.

-Possiamo ritirarci senza dare vita ad una guerra diplomatica?- gli sussurrò all’orecchio, piano, in modo che nessuno salvo lui potesse udirla. -Siamo tutte esauste, Caspian.- aggiunse, sospirando teatralmente e soffocando uno sbadiglio palesemente esagerato.

Caspian, che conosceva estremamente bene ogni singola sfumatura d’ironia su quel volto affilato, sorrise.

-Non sei brava a mentirmi, Sir.- rispose, divertito, sfiorandone la linea arcuata dello zigomo prima di scostarsi un poco da lei. -Mia cara, spero di non arrecare offesa a te e alle tue illustri compagne chiedendoti umilmente di lasciare noi lord a disquisire della politica in privato.- declamò, alzando la voce quel tanto che sarebbe bastato per attirare l’attenzione degli avventori.

Siria inarcò un sopracciglio, lanciando un’occhiata scettica alle numerose prostitute che ronzavano attorno ai nobili telmarini – forse non era una buona idea andarsene, dopotutto…

-Purtroppo non tutti si sentono a loro agio in presenza di creature della vostra levatura e della vostra… giovane età.- aggiunse il Re, celando una risata quando vide Aysell rizzarsi a sedere, punta sul vivo, pronta a ribattere che lei era tutto fuorché giovane; Mirime, più accorta della bionda, le tappò bruscamente la bocca per impedirle di rovinare tutto, mentre Caspian si alzava per inchinarsi in direzione di Siria. -So che ti spezzerà il cuore, ma vi dispiacerebbe ritirarvi?- le domandò, galante come un perfetto lord d’altri tempi, rivolgendole un occhiolino di sottecchi.

Siria, prendendo un lungo respiro che le trasmise una piacevole senso di costrizione da parte del corsetto, porse una mano al ragazzo e gli permise di rivolgerle un raffinato baciamano.

-…mio Re, non preoccuparti. Posso capire il bigottismo di taluni individui, non è un problema.- replicò a voce alta, accennando un mezzo sorriso che quasi fece soffocare Edmund nel boccale di sidro.

Caspian ridacchiò fa sé, sentendo alcuni degli ospiti imitarlo e scorgendoli lanciare un’occhiata ammirata a Siria – anche troppo ammirata, forse… avrebbe dovuto convincerla ad abbandonare le vesti di guerriera per quella sera, decisamente troppo attillate a suo parere, ma sia lei sia le sue compagne avevano rifiutato quella protesta ed erano rimaste abbigliate come più preferivano.

Permettere loro di ritirarsi era una scelta conveniente, sì: non voleva causare spargimenti di sangue perché qualche conte ubriaco aveva rivolto un qualche complimento un po’ troppo spinto ad una delle Figlie di Aslan.

Le tre sorelle di Siria si alzarono immediatamente, rivolgendo inchini a profusione – Talia ridacchiò quando vide Edmund rivolgere loro uno sguardo invidioso ed implorante – ed allontanandosi quasi subito.

Caspian però trattenne Siria per qualche istante, cingendole repentinamente la vita con un braccio e premendola con forza contro al proprio torace; le iridi blu della giovane si allargarono di sorpresa e desiderio quando le dita abili del giovane risalirono la sua schiena in una lenta scalata al piacere che la fece rabbrividire, frustrata dalla forzata distanza che avevano mantenuto durante tutta la serata.

-Per stanotte ti lascerò fuggire, ma non prenderla come un’abitudine.- le mormorò, suadente, sulle labbra, assaporando il fiato caldo e frizzante della giovane.

-Avrai molte notti per tentare di prendermi.- replicò lei, languida ed innamorata come mai, prima di scostarlo malvolentieri da sé e sciogliere quell’unico abbraccio che potevano permettersi in pubblico.

Si voltò, sentendo il cuore stringersi al pensiero di quanto avrebbe desiderato averlo tutto per sé, sforzandosi di sorridere quando raggiunse le sue amiche e le guidò attraverso il dedalo di corridoi che avrebbe portato al giardino e, in seguito, alla libertà.

 .

 .

-Benvenute, ragazze.-

Seguendo la magia che palpitava in tutta Narnia quella notte, le Figlie di Aslan avevano abbandonato di nascosto la rocca e si erano dirette verso il bosco poco distante, approfittando dell’abilità di Mirime per nascondersi alla vista.

Il suono della musica pulsante e densa di significati arcaici e misteriosi le aveva attirate verso un’ampia radura illuminata quasi a giorno dalle numerose torce sparpagliate un po’ ovunque; attraversando il sentiero sterrato avevano incontrato le creature più disparate, dalle affascinanti driadi ai satiri più lascivi, ma nello spiazzo erboso si era raccolto un numero impressionante di narniani.

-Hanno dato festa senza invitarci.- commentò Talia, divertita, accettando un calice di idromele da parte di un fauno che, rispettoso, s’inchinò profondamente al loro cospetto prima di lasciarsi trascinare da una ninfa in un ballo decisamente poco casto e puro.

-Cornell!- chiamò Siria, illuminandosi quando riconobbe il condottiero poco lontano da loro.

Il centauro le raggiunse subito, sorridendo quando la rossa gli si avvicinò di corsa e lo abbracciò con trasporto, ricambiando affettuosamente la stretta.

-Siamo fuggite da palazzo.- gli spiegarono, divertite, e lui rispose con una risata piena e tonante che trasmise a tutt’e quattro una sottile, eppure palpabile, euforia.

Non avevano mai visto Cornell tanto rilassato, né i narniani così ebbri di felicità e di gioia: la guerra era finita davvero, compresero, sentendo quella estatica verità vibrare nell’aria e nei loro spiriti.

-Non è stata una cattiva idea.- annuì il centauro, orgoglioso, battendo imperiosamente le mani in direzione dei musici alle proprie spalle. -Musica, amici fauni! Questa notte appartiene alla rinascita di Narnia!- ordinò a pieni polmoni, strappando una risata alle due ninfe prima che Siria e Talia le trascinassero entrambe nel centro della radura, dove i satiri e le driadi si erano già lanciati in un ballo sfrenato che, presto, le trascinò via sull’onda del ritmo pulsante della musica.

Nessuna di loro avrebbe mai ricordato distintamente gli avvenimenti di quella notte: le note e la magia si erano mescolate nelle voci di soprano e di contralto di Aysell e di Siria, e Talia aveva guidato tutte quante in una danza intensa e irrefrenabile che aveva coinvolto persino la tanto ritrosa Mirime.

Del ritmo dei tamburi, dei flauti e dei liuti che avevano suonato incessantemente fino all’alba le Figlie di Aslan avrebbero rammentato solamente la gioia esplosiva che le aveva travolte, sopraffacendo i loro sensi – annebbiati dal sidro e dal vino – e la loro memoria.

Narnia era rinata, quella notte, assieme a loro; e loro, finalmente, potevano chiamarla di nuovo casa.

 .

 .

Fu Caspian, il mattino dopo, a ritrovare le Figlie di Aslan in quella radura dove la maggior parte dei narniani presenti era rimasta a dormire all’addiaccio.

Il giovane Re, sorridendo, smontò da Destriero e si avvicinò alla piccola alcova formata dalle radici di una quercia dove le quattro ragazze si erano rifugiate: Mirime dormiva con la testa posata sul ventre di Siria, mentre Aysell le si era accoccolata accanto e stringeva al petto il suo braccio destro; Talia, invece, si era appallottolata fra i lunghi capelli rossi dell’amica, acciambellandosi come un micio in quel mare scarlatto.

Abituata a non abbandonarsi mai completamente al sonno, Siria si era destata al suono familiare degli zoccoli del cavallo; i suoi occhioni blu erano limpidi quanto il cielo terso che splendeva oltre le chiome degli alberi, ed il sorriso che rivolse al giovane fu tenero e affettuoso come l’abbraccio della rugiada sui fiori appena dischiusi.

In silenzio, per non svegliare le amiche, la bella strega scivolò via dai loro abbracci e si alzò, spazzolandosi gli abiti con un gesto prima di poter – finalmente – correre dal suo uomo e abbandonarsi nell’abbraccio che stava aspettando solamente lei.

-Non hai idea di quanto t’invidio.- le sussurrò nei capelli, stringendola a sé e chiudendo gli occhi in quel morbido falò spettinato. -Mai più fasti del genere, mai più.- aggiunse, sentendo la sua risata vibrargli in gola quando Siria gli si accoccolò addosso, affettuosa come un gattino.

-Mi sei mancato.-

-Come l’aria.- annuì il giovane, riempiendosi i palmi di quel viso meraviglioso e lambendo quella bocca, finalmente, con un bacio.

La ragazza rabbrividì, estasiata, sorridendo e tirandolo giocosamente verso di sé per approfondire quel contatto – aveva agognato così tanto il profumo, il sapore di Caspian…

-…parliamone.-

Una voce impastata di sonno risuonò improvvisamente alle spalle della rossa, facendo sussultare il Re e scoppiare in una sonora risata la strega; voltandosi, Siria trovò una Mirime torva e ancora mezz’addormentata ad osservarli, con in volto l’espressione di un gufo arruffato costretto ad una scomoda veglia diurna.

La pleiade si massaggiò le tempie, seccata, scoccando uno sguardo di rimprovero ad Aysell e a Talia, anche loro svegliate dai turbolenti e rumorosi pensieri che Siria non era riuscita a trattenere in presenza di Caspian. -La mia testa…- mugugnò, maledicendo le tre amiche che l’avevano convinta ad ingurgitare una quantità spropositata di idromele e di sidro.

-Esattamente da quanto tempo non ti concedevi una bella sbornia, Mirime?- ridacchiò la mezz’elfa che, in virtù del suo sangue semi-immortale, possedeva l’invidiabile qualità di riprendersi dagli stati di ubriachezza molto più velocemente rispetto a chiunque altro.

-Almeno una decina di secoli.- fu la serafica e tagliente risposta della ninfa dell’aria.

Aysell, ancora confusa dalla notte di bagordi, si sfregò i grandi occhi grigi con il dorso delle piccole mani, domandandosi fra sé perché Caspian aveva avuto la deprecabile idea di amoreggiare con Siria a quell’ora indegna del mattino.

La suddetta strega, perplessa, le studiò tutt’e tre con un cipiglio sorprendentemente serio, incrociando le braccia sul ventre e dedicando ad ognuna di loro un’espressione profondamente delusa.

-Dobbiamo seriamente trovare un modo per evitare questa cosa, non è possibile che se voi bevete mi ubriachi anche io.- fu la sentenza che declamò qualche attimo più tardi, serissima – apprezzando, per la prima volta nella vita, l’infondatezza del proverbio che decantava le proprietà assassine degli sguardi.

-Ossia?- domandò educatamente Caspian, distogliendo la rossa dal non molto avveduto proposito di scatenare reazioni omicide nelle sue adorabili sorelline.

La ragazza, docile, gli rispose immediatamente, approfittandone per tornare a farsi coccolare da quelle braccia che – lo sapeva bene – avrebbe potuto solamente immaginare per molto tempo a venire. -C’è un legame mentale che condividiamo, ed ora che siamo tutt’e quattro vicine è più forte di quanto pensassi… loro hanno bevuto e io ho risentito della loro sbornia.- gli spiegò, ridacchiando in risposta ad un qualche indignato pensiero rivoltole dalle sue amiche. -Io sono fatta di fuoco, Caspian. Lo spirito brucia subito, e di conseguenza io non potrei… beh, ubriacarmi.- aggiunse, stringendosi nelle spalle.

Lui, per tutta risposta, le avvicinò il volto al proprio e sorrise, malizioso.

-Vorrà dire che troverò altri modi per irretire i tuoi sensi.- bisbigliò in tono lascivo, ma subito la replica seccata di Talia gli fece comprendere quanto, esattamente, la sua adorata Siria fosse incapace di tenere a freno le proprie emozioni.

-Ma guarda che ti basta un’occhiata e quella si scioglie, principino perverso!-

 .

§

 .

L’estate volgeva ormai al termine, ma il regno di Caspian sembrava essere sbocciato in una repentina fioritura fuori stagione.

In quei primi giorni di governo, decisivi per imporre sin da subito la sua autorità, Caspian aveva attuato diverse riforme in favore del popolo e pianificato altrettante mosse diplomatiche e belliche, in modo da dimostrare sin da subito quanto coesa e determinata fosse la nuova guida di quel paese neonato.

Aveva inviato Susan e Lucy, scortate da Aaron e da alcuni narniani scelti da Cornell in persona, nei paesucoli e nei villaggi, abitati dalla gente povera e affamata che il governo di Miraz aveva sempre trascurato: le Regine avevano portato viveri, beni di prima necessità e cerusici, conquistandosi in breve tempo l’amore profondo ed incondizionato di un popolo che mai prima di quel momento aveva visto un regnante scendere fra il volgo per distribuire pane, dolci e coperte di lana.

Appena dopo i festeggiamenti e l’incoronazione, Shaylee si era detta pronta per insediarsi alla corte nel Regno delle Naiadi; e così aveva fatto, lasciando la rocca il mattino seguente al convitto, in compagnia di Peter che, tuttavia, non aveva potuto rimanerle accanto durante la delicata fase del lutto indetto dalla sua compagna in memoria di Mairead, perché la sua presenza era stata richiesta altrove.

Nonostante Aslan avesse nominato Siria Generale – un titolo ampiamente meritato, secondo Caspian –, il giovane aveva preferito tenerla con sé a corte assieme alle sue sorelle; Aslan stesso, rimasto a Narnia dopo il termine della battaglia, si era detto concorde con il giovane regnante: le sue Figlie erano creature troppo in vista, ancora troppo sconosciute da parte degli umani, per permettergli di assumere immediatamente il ruolo che spettava loro in quella struttura governativa che andava rinsaldandosi di giorno in giorno.

Questa decisione aveva scatenato tutta una serie di discussioni che Caspian aveva cominciato a paventare più di qualsiasi altro dilemma politico: cercare di tenere buone Siria e Talia, abituate com’erano a vivere in mezzo alle foreste e senza alcun dogma di palazzo, si era rivelato più arduo di quanto potesse sembrare, ed era stato solamente grazie all’influenza benevola che Mirime esercitava su di loro che era riuscito a chetarle almeno un poco.

Aysell, assieme alla sorella, si era recata nel regno delle ninfe per partecipare al cordoglio privato che le naiadi avevano l’obbligo morale di osservare nei riguardi delle figure importanti com’era stata quella di Mairead. Tuttavia, la sua permanenza laggiù era stata breve e sofferta: dopo pochi giorni, infatti, la Guardiana era tornata al castello telmarino, riunendosi con sollievo alla sua famiglia.

Edmund, invece, non si era spostato da palazzo nemmeno una volta: lui e Caspian avevano passato lunghe ore negli archivi reali, stilando un’importante lista di nomi relativi alla politica telmarina – diplomatici archeniani, conti di Ettins, signorotti locali, tarkaans calormeniani, latifondisti telmarini e molto altro – e schematizzando, un po’ a fatica, l’enorme e complessa mole di creature magiche che avrebbero dovuto contattare e con cui, si sperava, avrebbero instaurato presto un rapporto di fiducia reciproca.

Tara non si era mai separata dal più giovane dei maschi Pevensie, dando prova di notevole pazienza quando le ore passate sulle pergamene si erano dilatate durante le giornate; era stato proprio grazie a lei che le Elementali di Narnia erano riuscite a scoprire che Caspian ed Edmund stavano organizzando un grandioso evento mondano a cui tutte le più alte cariche di Narnia – umane e narniane – e dei regni limitrofi sarebbero state invitate, e avevano compreso che la loro presenza sarebbe stata determinante in quel gioco politico da cui il giovane Re sembrava essersi lasciato completamente assorbire.

Siria soffriva quella situazione più di quanto desse a vedere: l’etichetta di corte, essenziale in un momento di transizione tanto delicato, imponeva a lei e a Caspian una casta distanza che, avendo vissuto per quasi un anno come un’anima soltanto, la rendeva estremamente irosa ed intrattabile.

La moltitudine di cortigiane, servitori e sovrintendenti che abitava al castello, inoltre, le rendeva la vita praticamente impossibile, e lei ricambiava quell’antipatia con tanto entusiasmo da aver già causato diverse rimostranze degli esasperati maggiordomi davanti al Re.

Per tentare di impedire che il carattere focoso della sua amata causasse presto qualche serio incidente diplomatico, Caspian aveva preso l’abitudine di farla presenziare durante le udienze e le riunioni a cui partecipava: si trattava di una scelta ragionata poiché, presto, avrebbe fatto in modo che Siria occupasse quel ruolo di Generale che le spettava di diritto – ed in qualche modo doveva aiutarla ad inserirsi in quel mondo di cui lei non sapeva assolutamente nulla.

Siria aveva accettato con sollievo quella decisione – se non altro, si era detta, avrebbe almeno potuto passare del tempo con Caspian –, e l’invito di Caspian era stato ovviamente esteso anche alle sue sorelle: non avendo nulla di meglio con cui occupare le loro giornate, le fanciulle avevano accettato ben volentieri quella novità.

Una manciata di giorni dopo l’incoronazione, quando nella reggia l’abitudine a quella nuova sovranità aveva soppiantato la sensazione di novità, Caspian convocò in una delle sale più piccole – quella che utilizzava come studio privato – due delle poche persone a lui gradite in quel ultimo periodo.

-Aaron, Caleb.- salutò i due guerrieri quando entrarono nella bella stanza dalle vetrate a piombo, sospirando e rivolgendo loro un’occhiata amichevole ma profondamente esausta.

Siria, alle sue spalle, si permise di sciogliere la posizione dritta e compìta che teneva durante le riunioni ufficiali e gli si avvicinò, accogliendo amorevolmente fra le dita la mano che Caspian aveva istintivamente allungato verso di lei.

Mirime ed Aysell non erano presenti: si erano allontanate dalla reggia per raggiungere la torre in cui avevano vissuto per secoli e trasportare a palazzo tutti i propri effetti, ed il loro ritorno era atteso entro poche ore.

Talia invece sorrise, felice, sparendo dallo scranno su cui si era accoccolata per riapparire al fianco di Caleb; il biondo rise a sua volta, arruffandole i capelli con tenerezza e cingendo morbidamente il suo corpo esile col braccio muscoloso.

Entrambi gli ex mercenari indossavano i tipici capi di vestiario che ci si aspettava di vedere addosso agli uomini di un Re narniano: lunghe tuniche intrecciate sui fianchi asciutti, spessi calzoni di pelle e stivali al ginocchio, il tutto nei colori neutri – grigio e nero – dei soldati.

Caspian, grato di trovarsi in presenza di qualcuno davanti a cui non avrebbe dovuto mostrarsi come Re ma solamente come ragazzo, si abbandonò pesantemente sullo schienale della propria seduta, accettando con profonda gratitudine il tocco caldo e familiare di Siria sulle tempie e fra i folti capelli castani.

-Ho bisogno di messaggeri fidati alle corti di Archen e di Calormen.- spiegò stancamente, schiudendo gli occhi per rivolgersi ad Aaron. -Susan è già stata alle corti di Calormen, e non sono cambiate molto da quando era lei a regnare. Ho bisogno che i tarkaans si presentino qui e che vedano la forza di Narnia.- aggiunse, ed il rosso annuì: da sempre, Calormen era stato il regno più ostile a Narnia ed i suoi governatori, i tarkaans, erano famosi per la propria disonestà e per i continui tentativi di sforare i confini per appropriarsi di terre non loro.

Talia, che aveva colto un’altra parte dell’affermazione di Caspian, si volse nella sua direzione.

-Conosco gli archeniani e i loro costumi, Caspian. Da loro posso andare io.- affermò, sicura: durante i suoi lunghi peregrinaggi, infatti, aveva vissuto a lungo alla corte di un signore di Archen e aveva imparato a destreggiarsi fra le politiche più disparate.

-Non da sola.- fu l’istantanea replica di Caspian, che scosse vigorosamente la testa davanti a quella proposta; ma, prima che Talia potesse protestare, continuò: -So che sei perfettamente in grado di difenderti e non ho intenzione di insultare la tua indipendenza, Tallie…- affermò, con la voce pacata e calma di un domatore di belve feroci. -…ma Caleb è umano e appartiene alla mia corte. È diplomaticamente più corretto che sia lui a portare il mio invito.- le spiegò, accennando al biondo con un gesto elegante della mano.

Caleb, che conosceva bene la sua compagna e sapeva come sedare i suoi scatti d’ira, posò le mani sulle spalle esili della mezz’elfa e la trattenne dolcemente contro di sé quando lei fece per avanzare, infuriata, verso Caspian.

-Questo non implica che debba andare solo.-

Siria, accanto al bruno, si lasciò sfuggire una risata quando vide l’espressione oltraggiata di Talia addolcirsi repentinamente in un sorriso che, in uno sprazzo d’incredulità, mutò in una risata.

-Hai già imparato a parlare come un politico, principino.-

 .

§

 .

Talia tornò da Archen una manciata di giorni più tardi, profondamente soddisfatta dai risultati che era riuscita ad ottenere presso le corti di quel regno d’eterna primavera a cui tanto si era affezionata secoli prima: i signori di quel paese, governato democraticamente da un concilio che comprendeva tutti i lord delle varie regioni indipendenti, avevano accolto l’elezione di Caspian con grande entusiasmo, assicurando che sarebbero stati presenti al gran ballo di gala previsto per la fine del mese in corso – quel ballo che avrebbe stretto alleanze e appianato dissapori, dipingendo nei fruscii dei merletti e delle sete lo splendore della corte del Re.

Pochi giorni prima di quell’evento – che Siria e Mirime, entrambe di natura profondamente schiva, paventavano come non avevano temuto nemmeno la guerra – Caspian si trovava nella sala del trono, seduto sullo scranno che era appartenuto al padre, in attesa dell’uomo che aveva singolarmente chiesto udienza con il Re.

Le guardie di palazzo scortarono il prigioniero, con delicatezza, sotto lo sguardo impenetrabile e gelido delle Figlie di Aslan al completo; Caspian, tuttavia, lo osservava con il medesimo rispetto che aveva rivolto alla sua persona per tutta la vita.

L’uomo in catene s’inginocchiò, senza che nessuno glielo ordinasse, ai piedi della piattaforma sopraelevata che ospitava il trono, chinando umilmente la testa dinanzi al signore di Narnia.

-Mio Re.- salutò colui che era stato il Primo Generale delle truppe di Miraz, catturato senza spargimenti di sangue subito dopo la battaglia di Beruna: lord Glozelle di Telmar.

-Glozelle.- replicò Caspian, tranquillo e pacato come sempre, invitandolo silenziosamente ad alzare lo sguardo verso di lui.

Glozelle ubbidì immediatamente, stupito da tanta gentilezza, rabbrividendo però quando scorse la figura inconfondibile della Strega Rossa in piedi accanto al trono.

Siria, bella e algida come la statua di un’antica divinità guerriera, presenziava silenziosamente alle spalle del suo Re; al suo fianco c’era la ninfa dai capelli neri, eterea ed impassibile, e poco discoste scorse anche la mezz’elfa e la naiade bionda.

-Hai chiesto di essere ricevuto come ospite e non come prigioniero. Perché?- gli domandò il Re, attirando nuovamente la sua attenzione.

Glozelle accennò ad un sorriso mesto, sostenendo lo sguardo indagatore del ragazzo. -Penso che tu conosca la risposta alla tua domanda, mio Re.-

-Ti ho visto affrontare Caspian, in battaglia.- intervenne Siria, ignorando lo sguardo ammonitore che le venne rivolto dalle guardie che stanziavano accanto al portone.

Glozelle, però, si rivolse a lei con la medesima deferenza con cui aveva parlato a Caspian.

-Non avrei mai ucciso il mio principe, Generale.- le spiegò, riferendosi a lei con il titolo che Aslan le aveva assegnato e che in molti, ancora, dimenticavano di associare a lei. -Come lei, Generale, ho giurato di servire il mio Re. Posso essere condannato per aver ubbidito agli ordini di Miraz, che era il mio signore?-

A quella domanda, turbata, Siria non seppe rispondere.

Mirime le accostò il volto all’orecchio, approfittando della sorpresa dell’amica. -Non c’è bugia nella sua voce. Non posso esserne completamente certa, ma__- sussurrò, ma Siria la interruppe con dolcezza, alzando una mano ed annuendo: sapeva che Mirime, in virtù della sua natura e dei suoi poteri, poteva cogliere nei suoni delle voci l’impronta delle menzogne e delle verità.

Caspian, ignaro di quel breve scambio di opinioni, si alzò in piedi. -Ti ho visto esitare, in battaglia.- commentò, pensieroso.

Glozelle era stato suo maestro d’armi per tutta la vita.

Conosceva quell’uomo fin da bambino, e lo rispettava più o meno da altrettanto: con lui, figlio di un re assassinato, Glozelle era sempre stato corretto e spesso amichevole, dandogli talvolta l’attenzione e l’affetto che quel bambino solitario non aveva mai ricevuto da parte degli zii.

Sapeva che Glozelle era un guerriero di prim’ordine, ed i soldati si erano sempre ciecamente fidati della sua guida e del suo giudizio: condannarlo alla galera poteva portare più danno che beneficio, rifletté, perché una risorsa come quell’uomo – di cui aveva sempre ammirato la lealtà e la correttezza – poteva diventare un punto di forza non indifferente nel sistema che stava faticosamente costruendo pezzo per pezzo.

Il suo silenzio si dilatò nella vasta sala del trono per un tempo che persino a Siria, abituata com’era alle sue tacite riflessioni, parve interminabile; alla fine, però, il ragazzo tornò a sedersi su quel cupo trono foriero di pensieri e responsabilità e spostò lo sguardo su Glozelle.

-Non posso affidarti l’incarico che avevi sotto mio zio, Glozelle, ma posso offrire una seconda possibilità alla tua onestà e al tuo onore.- affermò, lentamente, vedendo la sorpresa allargarsi nelle iridi corvine del suo interlocutore. -Gli uomini si fidano di te e ti ho sempre visto guidare le truppe con saggezza e lungimiranza; sei un guerriero formidabile, e sarebbe uno spreco rinunciare a qualcuno come te.- spiegò, lanciando un’occhiata indecifrabile al Generale al suo fianco.

Siria però fissava il telmarino, indecifrabile.

-Farai parte di un piccolo drappello di venti uomini, agli ordini di Peter Pevensie. Il vostro compito sarà di rastrellare la Landa della Lanterna nei prossimi giorni, alla ricerca degli ultimi sostenitori di Sopespian ancora liberi che, da ciò che ricordo, erano infidi e crudeli almeno quanto lui.-

Glozelle annuì. Conosceva gli uomini a cui si stava riferendo Caspian e capiva la decisione del giovane: gli uomini lo conoscevano e si fidavano di lui, mentre non sapevano nulla di Peter Pevensie ed in molti avrebbero protestato davanti ad un condottiero così giovane – ma se lui, Glozelle, si fosse fidato dell’antico Re e avesse mostrato quanto quel ragazzo potesse essere abile ed intelligente… sorrise, il telmarino, ammirato dalla classe con cui Caspian aveva orchestrato quelle scelte per arrivare a favorire ancor di più la classe nobile che aveva instaurato a Telmar.

Sarebbe diventato un grande Re.

-Partirete oggi stesso.- terminò il giovane, sorridendo in un modo che gli fece intuire quanto fosse perfettamente conscio del ragionamento che Glozelle aveva appena fatto.

-Ti sono grato per la tua generosità, mio Re.- ringraziò, chinando nuovamente il capo in un gesto pieno di rispetto mentre le guardie avanzavano subito per liberarlo dalle catene.

Si alzò finalmente in piedi, fiero e massiccio come Caspian lo aveva sempre visto, rivolgendo una profonda riverenza alle Figlie di Aslan.

-Mio Generale… mie lady.- salutò, prima di seguire i soldati che lo avrebbero condotto verso la sua nuova missione e la sua possibilità di redenzione.

La tensione parve allentarsi nello stesso attimo in cui i pesanti portoni si chiusero alle sue spalle; Mirime si avvicinò al trono, posando una mano sulla spalla di Caspian e rivolgendogli uno dei suoi rari, misteriosi sorrisi. -Potrai fidarti di lui. È un uomo d’onore.-

Caspian ricambiò il gesto amichevole, ma i suoi occhi cercarono nuovamente il volto della sua amata: sapeva che Siria stava ricordando il momento in cui il fuoco era esploso nel campo di battaglia, frapponendosi nel duello fra Caspian e Glozelle.

Ma Glozelle non aveva più combattuto quando le fiamme lo avevano allontanato da Caspian.

Nel marasma dello scontro non aveva avuto tempo di accorgersene ma, riflettendoci, Siria ricordò: Glozelle aveva sospirato, sollevato, nel riverbero della magia della Paladina del Fuoco, gettando a terra le armi ed arrendendosi al primo guerriero narniano che lo aveva incontrato.

-Sì.- disse lentamente, detestandosi perché, in fondo, avrebbe sempre provato un certo risentimento nei confronti dei soldati che erano stati agli ordini di Miraz. -È un buon soldato.-

Caspian, dal trono, sorrise.

-Siria…- la chiamò, avvicinandola a sé quanto l’etichetta di corte gli permetteva di fare senza scatenare uno scandalo; la giovane accettò la sua mano e si lasciò attrarre a lui, sfiorando appena le gambe di lui quando il Re le accarezzò l’interno del polso, mentre il sorriso svaniva in un’espressione contrita. -…devo parlare con Peter.-

Fra le sue dita, prevedibile, il tocco di Siria s’irrigidì; e, nei suoi occhi, dilagò l’inverno.

Aysell, cogliendo il turbamento di Siria fra i propri pensieri, si avvicinò alla rossa e la sottrasse alla vicinanza intossicante di Caspian. -Andiamo, Sir. Abbiamo appuntamento con i sarti.- le ricordò, guadagnandosi un’occhiata confusa da parte dell’amica ed una profondamente grata da Caspian.

Talia e Mirime, cogliendo subito le intenzioni della piccola, si affrettarono a precederle verso i corridoi interni e meravigliosamente silenziosi del palazzo.

-Potevo restare.- mugugnò la rossa alle sue compagne, ma nessuna delle tre diede retta alla sua affermazione contrita, quasi trascinandola verso i piani superiori dove attendevano, pazienti, i sarti e le ultime misure che dovevano prendere per gli abiti che le ragazze avrebbero indossato al gran ballo.

Aysell scosse la testa, ignorandola, ripensando all’ultima occasione in cui aveva visto Siria e Peter incontrarsi.

 .

-Devo farti i miei complimenti.-

Nell’usuale confusione dell’ennesimo banchetto politico, Aysell non riconosce subito la persona che le ha appena rivolto la parola; si volta, incuriosita, e la sorpresa sboccia in lei quando si ritrova dinanzi allo sguardo imbarazzato dell’ultimo individuo al mondo con cui pensava d’interloquire quella sera: Peter.

-Perché?- gli chiede, senza capire.

Peter accenna un sorriso, arruffandosi i capelli. -Beh,devo dire che come obbedisci agli ordini tu, nessuno!-

Ad Aysell, confusa, serve qualche attimo per comprendere; ma, quando il ricordo vivido dell’ordine che lui le ha impartito durante la battaglia fa capolino nella sua memoria, si lascia sfuggire una risata divertita e annuisce, concorde.

-Dovere.- commenta.

Per un istante, per un solo istante, sente che potrebbe davvero fare pace con l’idea di Peter e Shaylee insieme per un tempo sgradevolmente tendente all’infinito, perché in fondo quel biondo, lì, non pare così stupido come spesso s’intestardisce a sembrare.

È solo un attimo, però.

La naiade s’irrigidisce, irritata, quando vede le iridi azzurre di Pevensie scavalcare la sua figura e posarsi su qualcuno alle sue spalle, riempiendosi all’istante di un gelo e di una diffidenza che solamente una persona può provocare; la bionda si volta, spazientita, cogliendo però solamente un fruscio di capelli rossi e l’immagine di Siria che sparisce fra due cortigiane ad una velocità impressionante.

Furiosa cerca di chiamare indietro l’amica, ma c’è solo un ostinato vuoto là dove solitamente avverte la presenza della strega – fa sempre così, Sir, quando si tratta di Peter.

-Oh, insomma!- sbotta, lanciando un’occhiata assassina a Pevensie e cercando seriamente di tenere a mente che Shaylee le potrebbe rimproverare l’omicidio di quella stupida acciuga bionda per un tempo odiosamente lungo se lo annegasse, in quel momento, come tanto vorrebbe fare.

Lui fa un passo indietro, allarmato, ma non replica: anche lui, come Siria, si è trincerato dietro una maschera che lascia trapelare solamente tutta la sofferenza che sta provando nei confronti di una persona che teme di aver perduto per sempre.

La Guardiana si limita a sospirare, esausta da quella tensione fra loro che sfibra i nervi di tutti quanti da quando la guerra è finita, salutandolo bruscamente per poi sparire fra la folla alla ricerca di quella dannata testona della sua amica.

 .

…no, decisamente era meglio impedire a Siria di vedere Peter.

Pevensie non era ancora riuscito a superare ciò che era avvenuto alla Tana di Aslan, probabilmente, e Siria non sembrava propensa a lasciarlo perdere come chiunque sano di mente avrebbe fatto al suo posto – no, lei doveva anche rimanerci male, dannazione alla sua testaccia!

Sospirò, rassegnata, trotterellando accanto alle amiche mentre si dirigevano ai piani inferiori. Almeno si sarebbero distratte un poco con le prove degli abiti: era divertente vedere Siria impazzire davanti alle pressioni dei sarti e__

-Purtroppo temo di dover sottrarre Siria a questo indubbio piacere, ragazze mie.-

Tutt’e quattro le giovani trasalirono, colte di sorpresa dalla voce calda che echeggiò nel corridoio buio che avevano appena superato; Mirime e Talia si volsero immediatamente in quella direzione, scoccando alla figura apparsa dal nulla uno sguardo che poteva definirsi solo estremamente scocciato.

Aslan era lì, maestoso ed enigmatico come sempre; sorrise, sereno, in risposta alle espressioni indispettite della Custode e dell’Ancella.

-Nessun problema!- trillò invece Siria, incapace di credere a tanta fortuna, scivolando via dalla presa delle amiche ed affiancando immediatamente il leone. -Non vi dispiace, vero?- chiese, speranzosa, strappando una risata esasperata a tutt’e tre: Siria avrebbe fatto più o meno qualsiasi cosa per evitare gli interminabili incontri con quelli che lei, invece di sarti, definiva sadici figli di meretrici.

Talia le rivolse una smorfia allegra, annuendo. -Tranquilla, vorrà dire che chiederemo a Caspian le tue misure. Dovrebbe averci fatto l’occhio ormai, vero?- le chiese, maliziosa, ma Siria si limitò a rivolgerle un luminoso sorriso pieno di gratitudine prima di seguire Aslan nella direzione opposta a quella delle amiche.

Il leone, che aveva accuratamente evitato di ascoltare l’ultimo commento della mezz’elfa, accennò con l’enorme testa al porticato che conduceva alle stalle.

-Vai a sellare Destriero. Ti aspetto ai cancelli.- le ordinò; lei, ubbidiente, lo superò subito e s’incamminò, ma Aslan la richiamò indietro. -Siria? Porta con te lo scettro.-

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Le ultime carezze del Sole morente dipingevano polle dorate sulle Colline di Cenere – ciò che rimaneva dei dolci rilievi alla base Monte Pire, l’ultimo baluardo dei territori narniani.

Siria smontò dalla sella istoriata di Destriero con delicatezza, avvertendo il respiro stringerle dolorosamente il petto quando lasciò scivolare lo sguardo sulla curva ondulata di quelle alture ancora impresse a fuoco nella sua memoria.

Quello era il luogo dove lei si era arresa.

Aslan la precedette e s’incamminò verso il punto in cui, Siria lo rammentava alla perfezione, lei si era abbandonata – esausta, sconfitta, perduta – non più di una manciata di giorni prima; si affrettò a seguirlo, correndo nonostante sentisse le gambe indolenzite da tante ore passate a cavallo. Per fortuna aveva indossato i suoi soliti abiti, rimuginò fra sé, perché non avrebbe resistito a quella giornata di viaggio con gli stupidi abiti che le erano stati rifilati a palazzo… allungò distrattamente una mano verso la custodia che portava sulla schiena, sentendo il gelo dello scettro sfiorarle le dita in un tocco distratto eppure amichevole, ed istintivamente strinse anche la spada, intimorita dalla familiarità con cui quell’antico manufatto si rivolgeva a lei.

-Perché siamo qui?- domandò, trattenendo l’affanno, quando Aslan arrestò la propria marcia nel punto più alto delle colline e si volse, finalmente, a guardarla.

Sotto di loro Siria vide che di cenere non ce n’era, ma la terra era nera e bruciata come il fondo di una torcia spenta.

Aslan sospirò, socchiudendo gli occhi quando comprese che Siria aveva riconosciuto il punto in cui erano.

-Jadis è stata una grande strega.- parlò, finalmente, ignorando il sussulto della rossa quando nominò la sua malvagia antenata. -Non ho mai condiviso il suo modo di agire, né ho mai perdonato le sue malefatte… ma era una donna molto intelligente ed altrettanto esperta nella sua magia.- continuò, la voce che si smarriva nei ricordi – nella malinconia di ciò che avrebbe potuto essere e non era stato.

-Jadis era un mostro.- Siria si arruffò nervosamente i capelli, cupa in volto, stringendo nervosamente l’elsa di Kain. Aslan sorrise.

-Eppure anche lei ha amato, una volta.- commentò, misterioso, facendo sgranare gli occhi alla più giovane delle sue figlie.

Mosse qualche passo e s’avvicinò alla fanciulla, facendole cenno di estrarre lo scettro che aveva portato con sé; lei eseguì immediatamente, scoccando all’oggetto uno sguardo confuso e tormentato.

Non voleva avere nulla a che fare con Jadis, ma sapeva che quello scettro era in grado di accordarsi sulla stessa musica che cantava la sua anima.

-Jadis ha confidato nel suo scettro più che in qualunque altro essere vivente. Vi ha infuso la sua stessa essenza ed ogni incantesimo che ha compiuto.- le spiegò Aslan, paziente, vedendola rabbrividire ed allontanare il più possibile quel manufatto da sé. -È un oggetto malvagio, e preferirei che tu non lo conservassi.-

Lei tirò un lungo respiro, grata, ma scosse nuovamente la testa.

-Non posso nemmeno abbandonarlo. Qualcuno potrebbe appropriarsene.- negò, mesta: avrebbe preferito seppellire lo scettro di Jadis in una delle stanze sotterranee del castello e dimenticarlo per sempre, ma sapeva che non era possibile farlo – inoltre come poteva, lei, sopravvivere senza qualcosa che l’aiutasse a compiere i primi passi nel mondo della magia? Senza uno scettro non sarebbe stata in grado di controllarsi, avrebbe finito con il combinare guai… per quanto odiasse l’idea, quel compagno le serviva.

Aslan non rispose subito alla sua obiezione. Si allontanò un poco da lei, passeggiando con aria assorta in quel mare di finissima cenere del colore del piombo, gli occhi bruni rivolti al cielo.

-In questo luogo tu sei morta e rinata nel fuoco che Jadis ha cercato di strappare a Narnia molti e molti secoli fa.- disse, infine, voltandosi e guardandola con tanta intensità da trasmettere l’ormai familiare sensazione di essere trafitta da una spada. -Sei un miracolo, figlia mia.-

La strega sussultò, arrossendo, quando quelle parole affettuose l’avvolsero in un calore che contrastava con il vento impetuoso che sferzava la base del Monte Pire.

Lei era un miracolo…

Non si era mai considerata nulla più di un crudele scherzo del destino, ma gli ultimi avvenimenti l’avevano costretta a rinunciare a quella consapevolezza che tanto l’aveva afflitta e tormentata da quando sua madre era stata uccisa.

Le fiamme che le avevano portato via Zaira, che avevano crudelmente ucciso sua madre e la sua innocenza di bambina, lei le aveva sempre odiate: non aveva mai accettato di portare in sé il fulcro dello stesso elemento che tanto male le aveva causato… eppure il fuoco le era rimasto accanto nonostante lei tentasse di estirparlo da sé, proteggendola e salvandola quando persino lei si era arresa alla maledizione che una magia crudele le aveva impiantato nel cuore.

Jadis aveva tentato di sottrarre il Fuoco a suo padre. Invano.

Lei era l’esempio vivente del fallimento della Strega Bianca: aveva tentato di spingerla ad odiare se stessa, il proprio ruolo di Paladina, la propria natura – il proprio padre ancestrale – per ridurla ad un semplice burattino fra le sue mani… l’aveva dannata, le aveva imposto una sofferenza indicibile da cui solo la morte avrebbe potuto liberarla.

E così era stato.

Non era più in grado di definirsi un mostro, Siria.

Il mostro era spirato, con lei, nel momento stesso in cui aveva preferito sacrificare la propria vita pur di non permettere a quel demonio di strega di tornare a calcare il suolo di Narnia, pur di proteggere coloro che amava; e, in quello stesso istante, Siria aveva smesso di odiare quel fuoco che era semplicemente sempre stato parte di lei.

-Non ha mai avuto un sepolcro.- le sussurrò Aslan, con tatto, e lei sorrise quando capì che il leone aveva seguito in silenzio il corso dei suoi pensieri, senza intromettersi e permettendole di giungere all’unica conclusione possibile.

Strinse entrambe le mani sul manico metallico dello scettro, rivolgendo a quell’entità antica e misteriosa un saluto ed un ringraziamento per tutto ciò che le aveva permesso di fare, di essere, di diventare: Jadis e le sue trame, il mostro che lei si era portata dentro, quell’oggetto dannato che tanto bene aveva fatto… tutto il dolore che aveva passato le aveva permesso, finalmente, di accettare se stessa e di liberarsi di quelle morse che, in fondo, l’avevano aiutata a crescere.

-Allora diamoglielo.- mormorò, serena.

Come già in battaglia aveva fatto, brandì con decisione lo scettro della Strega Bianca e lo scagliò nel terreno dinanzi a sé, là dove la fenice aveva abbandonato le sue catene e spiccato il volo verso la libertà.

I cristalli riverberarono di un bagliore scarlatto quando la sua energia dirompente li attraversò, diramandosi nel terreno brullo che lo circondava. Quasi immediatamente, rispondendo all’inconscio comando della strega, le ceneri si animarono e si sollevarono in decine di spire, voluttuose ed intricate, che salirono ad avvolgersi graziosamente attorno al fusto improvvisamente opaco dello scettro.

Strabiliata, Siria osservò il calore della propria energia diramarsi in quelle migliaia di granelli scuri, sciogliendoli per poi saldarli attorno all’artefatto incantato in una delicata composizione di rovi vetrificati che, delicatamente e senza violenza, lo cinsero in un abbraccio da cui nessun essere vivente avrebbe più potuto sottrarlo.

-Cento volte cento anni in questo posto lo purificheranno da ciò che Jadis ha fatto di lui.- sentenziò Aslan, pacato, e lei poté quasi avvertire un sospiro di sollievo provenire dallo spirito improvvisamente sonnolento e pacificato del bastone.

Respirò, finalmente, anche lei. I bollenti venti di Archen, che spiravano perennemente attorno al Monte Pire donandogli quel nome a lei tanto affine, lì non erano altro che una piacevole brezza calda, così diversa dalle prime correnti fresche che ultimamente giungevano, di sera, al castello di Caspian.

Il tramonto riempiva la figura imponente e frastagliata della montagna di bagliori rossastri, dorati e sanguigni; il Sole stava lentamente sprofondando al di là dell’orizzonte, avviandosi pigramente verso il mare lontano, e la pace ed il silenzio di quell’istante le colmarono lo spirito, sempre inquieto, di una quasi ascetica serenità.

-Però ad una strega serve uno scettro, no?-

La voce di Aslan, musicale e rilassata, non la distrasse subito da quel momento di contemplazione, fondendosi con naturalezza al sussurro dei venti; ma, quando la sua mente comprese ciò che lui le aveva appena suggerito, si voltò.

-Cosa…- fece per domandare, ma le parole le morirono in gola quando, dinanzi a sé, trovò ad attenderla la figura slanciata di un dono del tutto inaspettato.

Uno sfarfallio scarlatto occhieggiò giocosamente verso di lei quando uno degli ultimi raggi solari sfiorò la superficie liscia e levigata di uno dei manufatti magici più belli che Siria avesse mai visto.

Lo scettro che era apparso al comando di Aslan – non poteva venire da nessun altro – avrebbe potuto essere scambiato come il fratello di quello che Siria aveva appena abbandonato: a differenza del primo, però, non era composto da cristalli ma da un legno chiaro, levigato e delicatamente istoriato nei due punti in cui la struttura si divideva per lasciar spazio all’impugnatura di quello che sembrava argento e in cui era incastonato il rubino che aveva sfavillato nella luce del Sole.

-…oh.- fu tutto ciò che la raminga, attonita, riuscì a dire.

Era suo.

Il cuore le batté forte nel petto quando, senza attendere un invito, allungò le mani e trasse al petto quell’artefatto nato per essere sia di sostegno alla sua magia sia come arma, dato che le estremità si assottigliavano fino ad inguainarsi in due punte affilate forgiate nello stesso metallo che ne componeva il centro.

-Questo scettro è nato dalla stessa magia che ha forgiato la falce di Mirime, le pietre di Aysell e l’arco di Talia.-

-Pensavo che quell’arco le fosse stato donato da un archeniano.- mormorò distrattamente lei, troppo impegnata ad ammirare quel presente meraviglioso per accorgersi realmente di ciò che Aslan le stava dicendo.

Avvertiva una sensazione familiare, frizzante, guizzare nel legno lucido che le scivolava dolcemente sotto le dita: riuscì ad identificarla solamente qualche attimo più tardi e allora sorrise, emozionata, sentendo strane lacrime di commozione salirle agli occhi senza che lei sapesse bene perché.

C’era vita in quello scettro.

Si riscosse un poco, alzando lo sguardo pieno di gratitudine verso il leone mentre si stringeva istintivamente al petto quel dono tanto apprezzato.

-Infatti.- ridacchiò lui in risposta al suo commento di poco prima, guadagnandosi un’occhiata curiosa da parte della ragazza che, non per la prima volta, si chiese quante fossero state le volte in cui Aslan era intervenuto per le sue figlie senza però permettere loro di percepire la sua vicinanza.

Avrebbe voluto porgli altre mille domande, perché sentiva di essere rimasta separata da lui per troppo tempo e avrebbe desiderato colmare subito quel vuoto; ma lui agitò la criniera, voltando poi le spalle ai rovi di cenere vetrificata e facendole cenno di seguirlo.

-Avanti, ora dobbiamo fare ritorno.- la esortò, e la giovane si affrettò a correre al suo fianco, scorgendo già la folta criniera di Destriero agitarsi nel vento che spirava fra le Colline di Cenere. -C’è un gran ballo che incombe, e i sarti non attendono.-

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My Space:
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Buonsalve a tutti! Come va? Oggi qua finalmente c'è il Sole, che scalda un po' le mie vecchie ossa intirizzite e aiuta il mio umore a non essere nero come al solito. In sostanza, oggi Peter può tirare fiato: non cercherò di ucciderlo (forse).
Questo capitolo è lunghissimo, e ci sono tantissime cose da dire al riguardo!
Caspian è tanto carino, il mio amore per lui cresce esponenzialmente ogni volta che mi ritrovo a descriverlo, a muoverlo, a farlo respirare... saranno le orecchie, ma non riesco a resistergli, è più forte di me! Nella scena dell'incoronazione mi è piaciuto parlare di lui come del Re che è diventato, non più come il ragazzo che la banda di mercenari ha rapito dieci mesi prima di quel momento. Ci sono un sacco di accenni in quel primo pezzo: Edmund e Tara (che io shippo tantissimo, sono una cosa meravigliosa), Peter e Shaylee (che avranno il loro spazio nel prossimo capitolo), Cornelius (AMATELO QUANTO LO AMO IO), Caspian e Siria. Caspian e Siria *O*
Invece le ragazze al banchetto mi hanno fatta rotolare dal ridere: sono quattro buffone, e Siria è una stronza di prima categoria xD però, in fondo, chi non avrebbe cercato di darsela a gambe da quella palla di festa?
Ah, e Cornell ha citato il titolo della fanfiction senza che io me ne accorgessi xD quando l'ho notato sono rimasta sbigottita, non era voluto però devo dire che non ci sta male come affermazione!
Per la questione dell'ubriachezza molesta e condivisa delle Figlie di Aslan mi pare che Siria si sia spiegata bene (rischiando lo scalpo), ma mi ripeto: lei non può ubriacarsi perché, essendo fuoco, brucia l'alcool prim'ancora che entri in circolo. Lo stesso non può dirsi delle altre! Solo che, non essendo molto brave a gestire quel rapporto mentale che hanno ora (e che non hanno mai avuto a questo livello di profondità) capita che Siria si senta un tantino influenzata... mi sa che dovranno trovare il modo di chiudere la mente, oppure qua non si fa più sesso per paura di essere "sentite" xD
Che ne pensate di Glozelle? Io personalmente lo adoro, per questo ho deciso di tenerlo agli ordini di Caspian: ha un futuro, quell'uomo!
Ed ecco che si profila all'orizzonte la sfida più ardua per la nostra Siria: un gran ballo di gala! Si accettano scommesse su quanto ci metterà a dar fuoco a tutto...
Aslan si rende utile ogni tanto, no? Non molto, ma abbastanza per non rischiare la falcidiatura da parte di Mirime U_U
Nel prossimo capitolo vedremo tornare un personaggio che era stato molto apprezzato, il conte elfico Galador e compagnia (molto meno apprezzata); le fan di Aaron e Susan dovranno attendere fino a quello dopo, il conclusivo, per poter fangirlare indegnamente su una scena tutta loro; idem per le amanti della coppia Edmund/Tara!
Quindi ora che ci aspetta? Il ballo e? Ma il gran finale, ovviamente! I prossimi due capitoli sono in stesura, ma io sono in fase di trasloco... spero di riuscire a essere puntuale con gli aggiornamenti, o almeno farò in modo che qualcuno aggiorni per conto mio ^^'
Avrei tante altre cose da dire ma non me ne viene in mente nessun'altra, quindi vi lascio e ci sentiamo prestissimo! Ah, e questa è un esempio di come ci siamo immaginate la corona di Caspian (non in questi colori, ma pace) xD:



(...sì, è quella di Game of Thrones!)
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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 49
*** Firelands. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
49th Chapter

Firelands - Tracey Hewat

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Rasi e merletti invadevano la sala da ballo, illuminata a giorno da centinaia di lunghe candele candide, frusciando in un calzante contrappunto alla delicatezza della musica dei liuti, delle viole e delle arpe.
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Gli abiti delle dame erano uno sfoggio di quell’opulenza talvolta pacchiana che Talia non aveva mai apprezzato; eppure, nascondendo un sorriso, si lasciò ipnotizzare dalle magnifiche coreografie di luci e intrecci del taffettà e dell’organza, lasciando vagare la sua attenzione sulle semplici sequenze di passi della basse danse.
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Sul pavimento di fine marmo bianco risuonavano i tacchi delle ballerine, in un coro di cembali e di nacchere tanto armonioso da strapparle un sorriso.
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Caspian aveva dato fondo ai tesori reali per quella festa, ne era certa: il buffet era il più glorioso che lei avesse mai visto – e lei era cresciuta dagli elfi, che avevano un concetto estremamente ricco della gestione di un evento mondano soddisfacente – e comprendeva molti tipi di verdure e cereali, che erano stati cucinati appositamente per le personalità non umane presenti al ballo; il castello telmarino era stato tirato a lucido e riarredato per l’occasione, e l’immenso lampadario d’argento che era stato fatto installare pochi giorni prima era talmente bello da far quasi male al cuore.
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Da tutto il loro mondo erano giunti i più nobili e gli altolocati, ansiosi d’incontrare il Re del più grande dei regni e di guadagnarsi il suo favore – peccato che nessuno di loro avesse lunghi capelli rossi e profondi occhi blu, ridacchiò la mezz’elfa, lisciando inconsapevolmente fra le dita la sottile stoffa della sua svolazzante gonna del colore del Sole al tramonto.
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Lasciò scorrere lo sguardo sugli astanti che non ballavano, riempiendosi la mente dei colori accesi delle tuniche calormeniane e dei bizzarri abiti di Archen, sospirando di piacere alle tonalità più delicate delle divise d’ordinanza dei dignitari di Ettins e di Narnia: era un commovente tripudio d’arcobaleni quello che le si stendeva dinanzi, ma lei era alla ricerca di un semplice fuoco corvino.
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Scovò Siria esattamente dove aveva immaginato di trovarla: la sua amica si era rifugiata in un provvidenziale riparo momentaneo al di là del colonnato che divideva la pista da ballo vera e propria alla zona in cui i più ciarlieri potevano sedere e discorrere liberamente e, da come si stringeva le mani sulle braccia nude e tormentava il collarino di stoffa da cui si diramava il suo abito, sembrava in procinto di una combustione spontanea.
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Talia ridacchiò, sorseggiando l’idromele che le era stato offerto con una grazia invidiabile.
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Siria la guarda con l’aria sconsolata di chi sta andando al patibolo, ma Talia si limita a stringersi nelle spalle mentre Mirime, meno diplomatica di quanto si impegni a sembrare di solito, si abbandona ad una serie di imprecazioni che fanno inorridire lo smilzo garzone del sarto che sta presenziando alla prova della rossa.
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-Oh, ma non è possibile!- sbotta infine la pleiade, ed i piccoli refoli che la sostengono a qualche centimetro da terra turbinano, oltraggiati. -Caspian è un idiota.- aggiunge, scoccando un’occhiata di rimprovero a Siria che, per tutta risposta, stringe le labbra per non mettersi a piangere dal nervoso.
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-Mia lady, parlare così del Re non__- interviene il mastro sarto, oltraggiato; Mirime si volta di scatto, trucidandolo con i luminosi occhi color topazio.
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-Taccia!- gli intima, e quello impallidisce quando i venti che spirano attorno alla pleaide si scuriscono minacciosamente.
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La ninfa torna ad ignorarlo, riportando la propria attenzione sull’abito che Siria sta provando e che – Talia non può fare a meno di sogghignare – le va irrimediabilmente stretto sul seno.
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-Oh, datemi ago e filo, ci penso io!-
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Aysell, al fianco di Talia, non ce la fa: scoppia a ridere quando un paio di forbici appaiono in mano alla mora e si avvicinano pericolosamente alla pelle di Siria, che rimane stoicamente immobile sebbene sembri sul punto di darsela a gambe.
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La mezz’elfa, a sua volta, si lascia sfuggire una risata che le fa guadagnare un’occhiata assassina da parte dell'amica – “tra un po’ le uscirà il fumo dalle orecchie”, si dice, e decide saggiamente di uscire prima che la tanto millantata Strega Rossa perda il controllo di se stessa e decida che, dopotutto, a corte non hanno bisogno di  una sartoria.
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Quando si chiude alle spalle la porta della sala, trova Caspian che ridacchia quasi convulsamente appoggiato alla parete. Scuote la testa, esasperata.
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-Non dirmi che hai dato le misure sbagliate ai sarti.-
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Quel Re poco serio si limita ad annuire, sfoderando quel ghigno sardonico ed accattivante che fa capitolare Siria ogni singola volta, ma che lei si limita a trovare assolutamente esilarante.
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-Le ho solo… moderate un poco.- si giustifica il giovane, e lei non può far altro che sgranare gli occhi davanti a quell’affermazione tutta matta.
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-Ma perché?- sospira infine, cogliendo dall’espressione mefistofelica del ragazzo le sue vere intenzioni. -Dannazione, Caspian, sono sarti! L’avrebbero vista comunque, non è che puoi fare il modesto sulle misure della tua donna perché non vuoi che le guardino le__!-
È la risata del Re, piena e tonante, che copre il mirabile eloquio di Talia prima che possa causare un’accusa di oltraggio al buoncostume.
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Stupido principino pervertito e geloso.
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Per fortuna di Siria, Mirime aveva passato gli ultimi secoli a sferruzzare ininterrottamente per combattere la noia ed era stata in grado di rendere l’abito originale ancora più bello: i sarti avevano disegnato per lei un modello lungo e svasato, con un ardito spacco che lasciava intravedere il biancore del polpaccio snello. La gonna si apriva come una corolla scarlatta attorno alle sue caviglie, scurendosi nel risalire le forme della strega fino al nero più profondo; per ovviare ai danni di Caspian, Mirime aveva tagliato una piccola scollatura che lasciava intravedere il solco del seno, intrecciando poi la chiusura dell’abito sulla nuca dell’amica.
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Era un bel vestito e le stava d’incanto, ma Siria sembrava comunque la creatura più infelice dell’universo.
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Quante storie per uno stupido ballo di gala; si erano vestite a festa tutt’e quattro, non era un dramma!
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Ridacchiò, vedendola sussultare e svicolare quando un paio di dame sembrarono volersi avvicinare per fare conversazione – ma la sua attenzione, in un istante, venne attirata dalla snella e altera figura dell’elfo che si stava dirigendo verso di lei.
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-Padre!- esclamò, aprendosi nel primo sorriso sincero della serata e correndo ad abbracciare Galador che, sereno e bellissimo come sempre nel suo completo bianco, la strinse con dolcezza al proprio petto.
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-Mo duinne, pensavo non ti fossi accorta di me.- le mormorò all’orecchio, facendola ridere: lei lo aveva visto ore prima – era arrivato assieme al Concilio Elfico al completo per presenziare alla festa –, ma aveva accuratamente evitato ogni contatto con gli elfi che lo circondavano.
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Come lei, Galador vestiva alla foggia degli elfi: gli umani erano rimasti sconvolti dalla lunghezza scandalosa della gonna d’organza di lei, che le arrivava appena oltre il ginocchio, e ancor più dalla sfacciataggine del corsetto di broccato arancio che le fasciava il torso snello – la seta la avvolgeva interamente, e di seta erano anche i fiori della tiara che le tratteneva i capelli scuri e la stoffa che foderava le sue scarpine dal tacco alto.
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Per gli elfi un abbigliamento del genere era decoroso, elegante e squisitamente fine: gli umani erano troppo pudici per i suoi gusti, aveva decretato – a parte certuni soggetti che, a suo parere, avrebbero dovuto imparare a tenere le mani al loro posto qualche volta di più.
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-Una creatura come Talia renderebbe fiero qualsiasi genitore, Galador.-
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Padre e figlia s’inchinarono con rispetto ad Aslan che, per quella sera, sembrava meno ingombrante del solito e aveva passeggiato fra gli invitati con un’imperturbabilità invidiabile, ignorando serenamente gli sguardi sbigottiti di chi lo aveva creduto solo una leggenda.
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-Infatti lo sono sempre stato, mio signore.- annuì l’elfo, passando un braccio attorno alla vita della giovane. -Ma il mio mondo mi ha impedito di vederla diventare ciò che è ora, e lo rimpiangerò per tutto il resto della mia esistenza.- aggiunse, contrito.
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Talia sospirò, appoggiando brevemente la fronte contro la sua spalla: non aveva mai fatto colpe a Galador per non averla protetta – sapeva che non avrebbe potuto farlo –, ma lui continuava a perseverare in quel rimorso che lo avrebbe perseguitato forse per sempre.
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Aslan, cogliendo l’ombra di dispiacere nelle iridi della Figlia, sorrise.
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-Forse non sarà necessario.- commentò, criptico come suo solito, prima di spostare lo sguardo alle spalle dei due. -Gwynnead, Dealtháir, quale onore: l’intero Concilio si è mosso da Elishebra-zahirah alla mia chiamata.- salutò, e Talia alzò di scatto la testa per rivolgergli un’occhiata stranita: quello era veramente sarcasmo?
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Fu certa per un istante di vedere uno scintillio d’intesa nelle iridi bronzee del leone, ma non ebbe il tempo di recepirne il significato: ai due lati di Galador, con una mossa che sembrava fatta apposta per impedirle di svignaserla, erano apparsi due elfi biondi che s’inchinarono elegantemente al cospetto del Grande Leone, rivolgendo poi un’occhiata trionfante alla loro vittima di turno – lei.
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-Ci muoveremo sempre in aiuto di Narnia, grande Aslan.- si profuse subito Dealtháir, che Talia ricordava come un leccapiedi di prim’ordine: era il cugino di Gwynnead e si assomigliavano come due gocce d’acqua – probabilmente anche in simpatia.
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-Sì, ne sono certo.- fu il commento, un poco ironico, del leone, che le diede la conferma di quanto i sentimenti di entrambi i suoi padri coincidessero coi suoi nei confronti del Concilio Elfico. -A questo proposito… sarebbe opportuno trovare un canale di comunicazione più rapido ed efficace dei soliti, non trovi?- aggiunse il felino, inarcando un sopracciglio.
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-Trovo assai! Il Concilio ha già in programma di__-
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-Forse potremmo evitare una lunga e tediosa discussione, Gwynnead?- Aslan interruppe la bionda quasi subito, e Talia non poté fare a meno di ridacchiare fra sé nel vedere lei inghiottire sdegnosamente una protesta davanti al Signore di Narnia che aveva oltraggiato la sua filippica. -Non pensate, Onorabili, che sia opportuno far sì che la nostra riverita Maelfiachra__-
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La mezz’elfa sgranò gli occhi, allibita: perché stava tirando in mezzo lei!?
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-…papi!?- sibilò, ma inorridì quando Galador terminò la frase di Aslan proprio come se l’avessero provata un milione di volte – e chissà, magari era anche vero, dannazione!
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-__debba avere la possibilità di essere più presente nella vita del suo beneamato popolo?- domandò, e lei vide chiaramente le espressioni dei due elfi illuminarsi di soddisfazione.
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-Ma certo, Onorabile!- sbottò, sarcastica, ma Galador ignorò il tono un poco isterico della sua voce e si aprì in un sorriso entusiasta.
-Vedete? È d’accordo con noi!- esclamò, deliziato; la bruna gli scoccò un’occhiata assassina.
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-Ma veramente io__- tentò di nuovo ma, ancora una volta, il padre la interruppe.
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-Senza comunque trascurare le sue responsabilità di Custode, ovviamente.- “Ovviamente! Non ho altro da fare, io!” -Maelfiachra è la candidata ideale per divenire l’ambasciatrice che non abbiamo mai avuto, Onorabili.-
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-Approvo la tua decisione, Onorabile.- annuì Aslan, soddisfatto, ignorando l’espressione terrificata che si era dipinta sul volto della sua Custode.
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-Oh, ma andiamo!- sbottò la mezz’elfa, ma sapeva già che era troppo tardi per fermarli: le espressioni bramose di Gwynnead e Dealtháir non avrebbero lasciato spazio ad alcuna protesta da parte sua.
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Prima che qualcosa in lei decidesse autonomamente di rinchiudere genitore biologico, padre ancestrale e condivisori di etnia in un qualche tumulo vita natural durante, decise saggiamente di svicolare dall’abbraccio di Galador e fiondarsi verso il punto in cui aveva visto Siria, decisa a mettere quanta più distanza possibile fra sé e quel manipolo di immortali deficienti.
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La sua amica però si era defilata da qualche altra parte, e lei masticò un’imprecazione tanto colorita da far sussultare il giovane marchese a cui passò di fianco mentre decideva all’istante di servirsi un’altra generosa dose di idromele.
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Fu lì che Caleb la trovò, dieci minuti più tardi, con gli zigomi arrossati dal liquore e le labbra che articolavano bestemmie a profusione.
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-Tutto bene?- le domandò, attonito, avvicinandosi a lei con circospezione: Talia, in quelle situazioni, poteva essere più pericolosa di qualunque Strega Bianca fosse mai esistita a Narnia o in altri mondi.
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-Non esattamente.- mugugnò lei, passando le dita sulla stoffa testa del corsetto ricamato e scuotendo la testa, sconsolata. -Credo che mi abbiano appena incastrata.-
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Non si era mai vergognata tanto in vita sua.
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Siria si torse nervosamente le mani, tentando inutilmente di confondersi il più possibile con gli affreschi delle pareti dell’immensa sala da ballo; si sentiva sotto accusa – si sentiva maledettamente osservata mentre cercava di mantenere un basso profilo e di non incrociare gli sguardi degli invitati al ballo indetto per festeggiare l’incoronazione di Caspian.
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Cominciò nervosamente a torturare l’orlo dell’abito nero e scarlatto che fasciava delicatamente il suo corpo snello, i lunghi capelli raccolti in un’acconciatura elaborata che le inondava le spalle di infronzolati riccioli color mogano.
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Si sentiva nuda e inerme senza la protezione della sua lunga zazzera e senza la sua adorata calzamaglia di pelle.
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Non era abituata a quel tipo di abbigliamento: le scarpe dal tacco alto erano meravigliose, d’accordo, ma rischiava in continuazione di inciampare nell’orlo infuocato dello splendido vestito che tanto era stato difficile farle indossare – non che non le piacesse, anzi, era bellissimo… ma non era da lei.
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Era una mercenaria, santo cielo!, una guerriera abituata a sangue e scontri e battaglie e gente che tentava di farla fuori ad ogni pie’ sospinto… non certo a cerimonie di gala in presenza di almeno un centinaio di persone fra dame e cavalieri!
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Caspian gliel’avrebbe pagata.
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Era tutta colpa del neo-Re di Narnia se si trovava in quella spinosa ed imbarazzante situazione: l’aveva guardata in un certo modo, sgranando gli occhioni nerissimi in una richiesta quasi implorante che lei… che lei non era riuscita a rifiutare.
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Stupido ricciolino!
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Essere guardata la metteva a disagio, le faceva desiderare di scomparire nel nulla entro poco più di un istante: sentiva addosso gli sguardi compiaciuti degli uomini presenti al ballo, quelli invidiosi e scettici delle dame e delle duchesse… quanto, quanto avrebbe desiderato essere sul campo di battaglia, in quel momento.
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-Lady Siria, è un onore fare la sua conoscenza.-
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Siria alzò di scatto gli occhi, allibita, sorprendendosi nel ritrovarsi un giovane lord calormeniano a poco più di un metro da lei. Il tarkaan era alto, dalla carnagione scura come tutti gli abitanti di Calormen; portava la barba corta e curata, gli occhi erano scuri e le spalle larghe, proporzionate.
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Il suo aspetto era piacente, nulla di straordinario ma comunque affascinante; Siria distinse alcune gentildonne rivolgerle uno sguardo irritato, segno che avrebbero desiderato per sé l’attenzione che invece stava rivolgendo a lei.
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-L’onore è mio… suppongo.- mormorò, a disagio, sorridendo di un sorriso incerto e poco convinto – dove diavolo era finito Caspian!?
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Le mancava soltanto che il calormeniano sconosciuto le chiedesse di__
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-Mi concede l’onore di un ballo, mia lady?- le chiese, infatti, senza darle nemmeno il tempo di finire di formulare quel pensiero.
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Siria sgranò gli occhi, senza riuscire a mascherare la sincera paura che quella domanda le aveva appena provocato.
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Ma perché tutta la gente che mi vuole ammazzare non c’è mai quando ne ho bisogno!?
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Lei non sapeva ballare – o, per meglio dire, era in grado di ballare le danze del popolo, quelle che da bambina festeggiava con sua madre, Gwaine e suo fratello a Beltane, intorno ai falò… ma i balli di gala, nella fattispecie uno con uno sconosciuto cavaliere che avrebbe preferito mille volte sfidare a duello, erano tutta un’altra storia!
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Sapeva, per quanto fosse poco esperta della vita di corte, che quello era un chiaro segno d’interesse da parte del tarkaan; da quello che aveva letto sui libri che aveva rubato nel corso degli anni il corteggiamento di una dama iniziava proprio in quel modo…
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Roba da pazzi! Ma qualcuno scateni una guerra in questo momento, per favore!
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Non aveva la minima intenzione di accettare quell’invito, poco ma sicuro: di certo non avrebbe permesso che quel ragazzo poco più che adulto la corteggiasse… anche perché sarebbe stato, per lui, assolutamente inutile e potenzialmente fatale.
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-Io non…- iniziò, non sapendo bene come declinare l’invito senza scatenare una dichiarazione di guerra, maledicendo fra sé chiunque avesse inventato l’etichetta di corte.
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-Lady Siria ha già promesso un ballo a me, mio tarkaan.-
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L’irrequieta strega si voltò di scatto ed un sorriso, luminoso e sollevato, illuminò repentinamente il suo volto quando riconobbe il portamento fiero e regale di Peter nel giovane apparso quasi magicamente alle sue spalle.
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-Mio Re, mio Generale.- saluta il ciambellano, inchinandosi a Caspian e a Siria che, come sempre, presenzia silenziosamente alle udienze del suo Re. Caspian gli rivolge un cenno amichevole, liquidando i convenevoli con un gesto della mano. -Sono giunti a corte i messi del drappello di lord Pevensie.- riferisce l’altro, obbediente, e subito Siria drizza le spalle e si pone in ascolto.
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-Quali notizie recano?- domanda Caspian, inarcando un sopracciglio in direzione della sua compagna.
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-Buone, mio Re. Lord Pevensie ha compiuto il suo dovere con la massima perizia.- Siria, alle spalle del bruno, si permette un breve sorriso: sa che non esiste guerra che Peter non possa vincere, se ci si mette d’impegno. -I messi hanno però comunicato che, sebbene nessuno scontro sia stato particolarmente sanguinoso, lord Pevensie è rimasto ferito durante una colluttazione.-
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Il gelo che ghermisce Siria è talmente repentino e prepotente che anche Caspian, improvvisamente preoccupato, ne avverte la presenza.
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-Con permesso.- la rossa s’inchina sbrigativamente e si ritira, scendendo dalla piattaforma del trono ad una velocità che ha dell’invidiabile.
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-Siria!- la chiama indietro Caspian, ma lei è già corsa via verso le balconate che danno sul giardino esterno, col cuore che le martella orribilmente il petto.
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“Peter è vivo”, continua a ripetersi, tentando di convincersene quando incespica sui gradini, rovinando a terra e scorticandosi le mani sulla nuda roccia del pavimento esterno – ma si costringe a balzare immediatamente in avanti, ignorando il bruciore ai palmi che ha teso per attutire la caduta.
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Non può nemmeno pensarlo: Peter la odia, è forse l’unica persona a desiderarla morta più di quanto lei stessa abbia mai fatto… ma non può andarsene in un modo così stupido, senza significato.
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“Non si lascerebbe mai ammazzare da qualcuno che non sia io…” si ritrova a pensare, disperata: le deve almeno questo, ed è convinta che lui lo sappia.
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Eppure è con il cuore in gola che raggiunge, trafelata, la balaustra da cui sa di poter scorgere il battaglione in arrivo; è con l’angoscia negli occhi e nello spirito che scruta voracemente le fila dei soldati, alla ricerca di un qualsiasi segno che possa dar pace alla sua anima in pena.
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Glozelle è in testa alle truppe, che lo seguono con l’adorazione cieca di un esercito dinanzi al più nobile dei condottieri; al suo fianco, vestito di una semplice tunica azzurra e con una spalla fasciata che occhieggia dal risvolto della stoffa, cavalca serenamente l’antico Re Supremo di Narnia.
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Vivo.
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Il sollievo è tale da farle tremare le gambe.
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Torna a respirare, Siria, allentando la morsa delle dita sulla pietra della ringhiera e rivolgendo un esausto ringraziamento al cielo terso e limpido che splende sopra di lei.
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Peter sta bene: questo è tutto ciò che le interessa.
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Si lascia sfuggire un mezzo sorriso un poco triste, malinconico: le manca così tanto…
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È improvviso, inaspettato, l’attimo in cui gli occhi celesti del maggiore dei Pevensie si alzano verso di lei, allargandosi di sorpresa quando riconoscono la sua inconfondibile sagoma nella penombra del porticato.
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Sussulta, Siria, pugnalata dal gelo che vede annientare la serenità nello sguardo del giovane nel momento in cui la guarda – e non riesce a non distogliere lo sguardo, sconfitta, ritirandosi rapidamente nell’amorevole abbraccio del buio prima che quei turchesi affilati possano trafiggerla ancora una volta.
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Era stato Caspian, pochi minuti dopo, a trovarla esattamente dove lei si era rifugiata: nella grande biblioteca del palazzo, apparentemente immersa nella lettura di un grosso tomo dall’aspetto noioso e con gli occhi arrossati e lucidi.
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Siria scosse la testa, tornando bruscamente al presente e lanciando un’occhiata contrita a quello che, al momento, era il suo problema più fastidioso – scarpe escluse.
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Il biondo indossava un abito non troppo sfarzoso, affascinante ma, allo stesso tempo, non eccessivamente appariscente; la tunica che fasciava il petto ampio era di un blu profondo, le rifiniture erano dorate e gli stivali alti racchiudevano i calzoni chiari che completavano il suo abbigliamento – quei colori erano quelli del suo regno, della Narnia che era stata ma che non era più.
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In quelle vesti Peter pareva perfettamente a suo agio: gli occhi azzurri erano tranquilli, pacati, calmi come solo quelli di un Re potevano essere. L’espressione era affabile ma sempre attenta, i capelli biondi incorniciavano il suo viso con un’eleganza quasi distratta.
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Il calormeniano si profuse immediatamente in una rapida scusa, defilandosi nella folla dopo nemmeno un istante; evidentemente, lo sguardo d’ammonimento del Re Supremo era bastato per intimidirlo.
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Siria sospirò, sollevata, sentendo la morsa dell’imbarazzo sciogliersi dal suo petto.
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-Grazie.- mormorò a mezza voce, alzando timidamente lo sguardo sul volto di quello che una volta era stato il suo amico; ma l’espressione di Peter era impenetrabile, le iridi azzurri erano fisse in un punto non precisato sulla sua sinistra, le labbra soltanto lievemente contratte.
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Siria sentì qualcosa di spiacevole contorcersi dentro di lei a quella vista: Peter pareva tollerare appena la sua presenza… eppure era intervenuto, vedendola in difficoltà si era subito mosso per aiutarla – perché, perché continuava a comportarsi così?
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Non c’era più motivo di provare tanto astio nei suoi confronti: le sembrava di avergli chiaramente dimostrato quanto fosse pentita di quelle bugie, di avergli nascosto la verità su ciò che lei era e sarebbe sempre stata.
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-Non mi piacciono i calormeniani.- commentò, distante, già pentito di essersi intromesso in quella questione; non avrebbe dovuto avvicinarsi tanto a Siria, avrebbe fatto soltanto del male tanto a lei quanto a se stesso… -E poi vorrei evitare una dichiarazione di guerra perché quel tizio ti ha guardato un po’ troppo… Caspian è un po’ esagerato in queste cose.- aggiunse, senza riuscire ad evitarselo: e, suo malgrado, un mezzo sorriso increspò per un attimo le sue labbra nel sentire l’accenno di risata della ragazza accanto a lui.
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-Probabilmente è vero.- Siria annuì debolmente, un minuscolo calore che sembrava accendersi dentro di lei: per una frazione di secondo aveva intravisto il suo amico in quel viso alieno, il Peter a cui aveva imparato a voler bene…
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-Dovrai accettare un ballo, però. Sei la compagna del Re, ci si aspetta che tu sia affabile con gli ospiti.- per poco Siria non rischiò seriamente di cadere da quei dannati trampoli che portava al posto degli stivali quando Peter si espresse in quel commento capace di farla sobbalzare violentemente.
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-Io non so ballare.- esclamò, arrossendo, abbassando lo sguardo verso l’orlo del suo vestito; avrebbe soltanto fatto una figuraccia se avesse anche solo provato a ballare con uno qualsiasi dei presenti…
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Peter si decise finalmente a guardarla, sorpreso.
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Siria era a disagio in quel luogo, in mezzo a quel tipo di persone; poteva capirla: era cresciuta in mezzo alle foreste e aveva passato gli ultimi sei anni a catturare delinquenti per conto di Miraz…
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Era tenera, in quel momento, con gli occhi blu lucidi d’imbarazzo e le guance color porpora. Non sembrava nemmeno la guerriera dallo sguardo tagliente che aveva imparato ad apprezzare, non sembrava nemmeno la strega che gli aveva nascosto di essere…
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Non riusciva più ad essere se stesso, con lei: il rancore era ancora troppo grande – forse non sarebbe mai sparito, forse il loro legame era andato perduto per sempre… non riusciva a farsene una ragione, Peter, Siria gli aveva mentito ed era una strega, una strega esattamente com’era stata Jadis…
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Ma non poteva lasciarla lì, spaesata e confusa in un mondo che non le apparteneva e che sapeva essere forse anche più crudele di quello che Siria conosceva già, non quando avrebbe potuto fare qualcosa per aiutarla.
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Sospirò, ben sapendo che se ne sarebbe presto pentito.
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-Non è difficile. Vieni.- disse, piano, porgendole il braccio dopo solo un istante d’esitazione.
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Siria rimase allibita da quel gesto, da quell’offerta che non si sarebbe di sicuro aspettata.
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Finalmente riusciva a guardarlo negli occhi, finalmente poteva osservare il viso che aveva imparato a leggere e a conoscere tanto bene: le sembrava che Peter stesse facendo uno sforzo immenso per fare ciò che stava facendo, per tentare di mettere da parte il rancore, per aiutarla a muovere qualche passo in quella realtà che le era del tutto sconosciuta.
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Sentiva uno strano desiderio crescere nel petto, Siria: aveva voglia di piangere, di urlargli in faccia quanto si stesse comportando da idiota, quanto gli volesse bene, quanto avesse bisogno che lui tornasse ad essere il Peter a cui lei era tanto affezionata; avrebbe voluto prenderlo a pugni, costringerlo ad arrabbiarsi e a sfogare finalmente quell’astio che non spariva mai quando la guardavam
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Ma riuscì soltanto ad annuire, lo sguardo perso ed un poco implorante, posando una mano stranamente curata sul braccio di Peter.
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Quella situazione era surreale, del tutto fuori da ogni logica.
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Intravide Caleb rivolgerle uno sguardo sorpreso, ma sollevato, quando il biondo la condusse in un angolo non troppo in vista della parte della sala destinata al ballo – Caleb sapeva bene quanto Peter non fosse esattamente bendisposto nei confronti di Siria e quanto la raminga ne soffrisse: gli strilli isterici della rossa erano giunti più volte alle sue orecchie, in quei giorni, quando persino Talia si era stufata di ascoltarla inveire contro quello stupido di un Supremo Imbecille.
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La giovane strega si sentì arrossire furiosamente quando Peter posò una mano sul suo fianco e prese l’altra nella sua – gesti misurati, calmi, ma più vicini e amichevoli di quanto non fosse stato, con lei, negli ultimi tempi.
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-Sei rigida come un pezzo di legno. Non ti faccio niente, su.- lo sentì commentare – l’orribile cicatrice sul braccio di lei, celata dalla magia, bruciò indignata a quell’affermazione –; tuttavia lo udì soltanto, poiché i suoi occhioni blu erano inchiodati decisamente verso il basso, molto interessati ai ricami sulla tunica di lui.
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Suo malgrado, Peter dovette ammettere con se stesso di sentirsi abbastanza a suo agio. Siria era incredibilmente carina in quel momento, più di quanto avesse potuto immaginare: le guance rosse, lo sguardo basso, le mani che tremavano nelle sue… sembrava una bambina spaurita più che l’indomita guerriera che Aslan aveva proclamato sua diletta e Generale di Narnia – figlia della stessa magia che Aslan aveva annientato senza requie.
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La guidò in qualche passo senza troppo impegno, sentendola sciogliersi appena e seguirlo, un po’ più sicura.
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-Ecco, hai visto? Non è una cosa impossibile.- lo sguardo sarcastico che la ragazza gli rivolse gli strappò un sorriso – un sorriso breve, effimero, che scomparve con una rapidità disarmante.
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Accostò il viso ai suoi capelli, sfiorandole la fronte con le labbra. Siria era tesa, lo sentiva, la capiva… ma non riusciva ad essere comprensivo com’era stato una volta, con lei, non riusciva a consolarla come avrebbe voluto fare.
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Il peso della verità aleggiava ancora fra loro, tenendolo più lontano da lei di quanto in realtà avrebbe voluto essere – le voleva bene, la adorava, gli mancava da morire…
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…ma non riusciva più ad essere se stesso con quella donna che gli ricordava dolorosamente il più terrificante dei suoi incubi. C’era ancora Jadis, fra loro, a separarli con quel velo di ghiaccio che Peter poteva percepire adagiato sulla propria anima.
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-Non ti senti a tuo agio, vero?- le chiese, piano.
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Siria scosse vigorosamente la testa mentre le dita si stringevano sulla spalla del giovane Re; sentiva che avrebbe desiderato restare accanto a lui ancora un poco, cullandosi nell’illusione che tutto fosse tornato al proprio posto…
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-Per niente. Voglio una guerra, adesso.- borbottò, piano, scorgendo le labbra di Peter piegarsi in un altro lievissimo sorriso – erano sempre stati rari i sorrisi di Peter, quelli veri.
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Forse… forse avrebbe dovuto dirgli chiaramente quanto si sentisse in colpa per tutto ciò che gli aveva nascosto. Dopotutto Peter non era proprio un genio con quel tipo di cose: era un bravo guerriero ma il suo intuito spariva improvvisamente ogni volta che si trovava a confronto con le persone…
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-Peter, mi__- lo sguardo improvvisamente ammonitorio e freddo di Peter la zittì immediatamente, gelandola dentro: gli occhi azzurri dell’Alto Re erano inchiodati nei suoi, lontani e tormentati come li aveva visti soltanto poche volte, le mani che si irrigidivano contro di lei mentre continuavano a ballare.
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Durò soltanto un attimo, nulla più di un battito di ciglia: l’istante più tardi, il volto di Peter era tornato ad accostarsi ai suoi capelli rossi, un sussurro lieve che le solleticava la fronte.
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-Stai zitta. Per favore.- le chiese, piano, soffiando un bacio su quei crini scarlatti prima di allontanarsi delicatamente da lei, avvertendo la musica interrompersi per qualche attimo.
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Fuggire, stavolta, era più semplice che restare per morire di nostalgia.
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Siria rimase immobile, guardandolo allontanarsi e stringendosi le braccia intorno al torso; provava di nuovo quell’insano desiderio di piangere, di sfogarsi in qualche modo che comprendesse un’arma di qualche tipo – e Peter, possibilmente, a cui frantumare in testa il suo dannatissimo orgoglio ferito.
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Stava seriamente cominciando a detestare quella festa.
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Avrebbe soltanto voluto ritirarsi nel buio fragrante e familiare della foresta, lontano da tutto e da tutti, avvolta soltanto dal profumo vivo delle fronde e dei tronchi e accolta nel grembo di quella madre da cui non riusciva a separarsi.
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Avrebbe preferito trovarsi ancora alla Casa di Aslan, braccata dai telmarini, pur di non sentirsi tanto a disagio in un luogo che non le apparteneva minimamente.
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Un odore piacevole e conosciuto la colpì improvvisamente, facendole socchiudere gli occhi e disegnando subito un lieve sorriso sollevato sulle sue labbra.
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-Non lo capisco più.- mormorò, avvertendo il calore di una persona in particolare alle proprie spalle, mentre la sua presenza faceva vibrare corde ben precise nel suo cuore e nella sua mente.
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-Dagli tempo. È un idiota, non pretendere troppo.- la voce di Aaron riuscì a strapparle una risata, con quel commento ironico e pieno di qualcosa molto simile all’esasperazione.
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Si voltò verso suo fratello, grata, la malinconia e il disagio che si dissolvevano alla sua presenza come foschia notturna dinanzi al Sole.
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Era bello, Aaron, quella sera. Suo fratello era sempre stato splendido ai suoi occhi, ma in quel momento emanava un’aura di pacatezza e galanteria che non aveva mai avuto occasione di scorgere in lui; la tunica scura contrastava magnificamente con i folti ed elegantemente arruffati capelli del colore del fuoco, gli stessi di Siria, che scendevano ad approfondire il taglio profondo di quei magnetici occhi color del ghiaccio.
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-Questo è vero.- la ragazza sorrise, rivolgendogli un’occhiata riconoscente che celava un’inquietudine ben più che radicata.
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Poi lo scrutò per qualche istante, perplessa: lo sguardo di Aaron era tagliente e lei non faticò ad accorgersene, sebbene il giovane stesse tentando di mantenere un certo contegno…
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-Ma è una mia impressione o hai la tua solita espressione da fratello maggiore mordace?- gli chiese, ironica, inarcando un sopracciglio quando lui le rivolse un’occhiata chiaramente esasperata.
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-Ho tutte le ragioni, sai? Ti stanno guardando un po’ troppo, per i miei gusti.- commentò.
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Siria arrossì furiosamente, abbassando lo sguardo e sentendo le guance andare a fuoco: ecco, voleva di nuovo sparire, trovare un caminetto e ficcarcisi tutta intera…
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-Ma non c’è niente da guardare, che la smettano!- borbottò, torturando nuovamente quelle mani che Aysell e Susan si erano tanto impegnate per rimettere in sesto.
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Aaron la squadrò, allibito da quella frase, per un istante dimentico degli sguardi ammirati dei troppi lord presenti quella sera.
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-Siria, ti sei vista?- le domandò, sinceramente sconvolto dall’abissale ingenuità che sua sorella stava dimostrando di possedere – eppure era sempre stata una donna sveglia e attenta, come poteva essere tanto sciocca da non capire quanto fosse attraente in quel momento?
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Lei scosse la testa, facendo ondeggiare i boccoli scarlatti sulla pelle d’avorio. -Veramente no, non mi hanno messa davanti a uno specchio, ma non__-
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Aaron, spazientito, la zittì con uno sguardo e la prese bruscamente sottobraccio, trascinandosela appresso fino alla grande specchiera che troneggiava al centro della parete laterale della sala, circondata da arazzi e dipinti: la spinse con poca grazia davanti al proprio riflesso, ignorando le proteste di lei.
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-Ecco, guardati.- le intimò, esasperato, cercando disperatamente Susan con lo sguardo e trovandola, a poca distanza, sorridente e divertita dall’espressione che si era appena dipinta sul volto della sorella del suo amato.
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-Oh.- esalò infatti la rossa, ed Aaron ridacchiò nel vederla inarcare un sopracciglio in direzione della dama elegante e sensuale che vedeva dipinta sull’antico vetro dello specchio. -Sono una donna.- aggiunse, passandosi distrattamente le mani sui fianchi e sentendo il profilo del bacino delinearsi sotto le dita, disegnato con una maestria incredibile dalla stoffa delicata del vestito e dal corsetto interno – da quando aveva un punto vita?
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-Esatto.- annuì lui, sollevato, sottraendola all’analisi corrucciata che stava facendo di se stessa e prendendola, stavolta più gentilmente, a braccetto. -Una bellissima donna per cui il tuo adorato Caspian sta smaniando, al momento.- aggiunse, accennando al Re che – “finalmente, ecco dov’era!” –, impegnato com’era con quelli che sembravano degli alti dignitari del suo paese d’origine, era costretto a limitarsi a lunghe occhiate preoccupate ed inequivocabilmente gelose nei confronti della sua compagna.
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Lei gli scoccò uno sguardo assassino, strappandogli un sorriso, prima di sollevare nuovamente gli occhi sul fratellastro che, misericordiosamente, la stava conducendo verso l’angolo meno affollato  dell’intero salone.
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-Sto diventando matta, questa storia è del tutto assurda. Io non sono una donna di palazzo, Aaron!- sbottò, esasperata, ringraziando la provvidenziale colonna che troneggiava in quell’angolo per appoggiarsi un istante e massaggiarsi i polpacci indolenziti; si sollevò nuovamente un istante più tardi, rivolgendo uno sguardo profondamente angosciato al fratello.
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Il giovane guerriero sospirò, comprensivo, prendendola per mano e tirandola a sé; e Siria, grata, si abbandonò contro al suo petto e si permise un unico, breve sospiro strozzato, serrando le dita sulla stoffa della veste di lui e nascondendo il viso in quell’accogliente oscurità.
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Per la prima volta, quella sera, sentì la morsa che l’affliggeva sciogliersi un poco.
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-Prendi fiato.- le consigliò Aaron, accarezzandole delicatamente i capelli. Lei negò, affranta.
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-È inutile, non ce la faccio.- sussurrò, sentendosi più colpevole di quanto avrebbe avuto ragione d’essere: lei non apparteneva a quel genere di situazioni e nessuno con un minimo di sale in zucca – nemmeno Peter, santo cielo! – avrebbe avuto l’ardire di sostenere il contrario o di biasimarla per questo, eppure… eppure era rimorso ciò che lei sentiva agitarsi dentro di sé. -Voglio darmela a gambe.- aggiunse, sconsolata.
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-Fuggiamo, allora. Solo facciamo presto, prima che qualche arpia di Ettins provi di nuovo a darmi in moglie una qualche sua nipote di sedicesimo grado.-
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Aaron scoppiò a ridere quando Siria, sussultando, abbandonò la sua stretta per voltarsi e scoccare al sopraggiunto ex-principe di Telmar uno sguardo che avrebbe ridotto a più miti consigli persino una dragonessa inferocita.
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-Ecco, giusto te.- sbottò, avanzando a passo marziale verso di lui e picchiettandogli nervosamente l’indice sul petto. -Mi hai abbandonata in mezzo a gente sconosciuta che mi chiede di ballare e che mi guarda come se fossi una cortigiana pronta a dispensare i suoi servizi al miglior offerente!-
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Caspian inarcò un sopracciglio e ridacchiò divertito, rivolgendole quell’espressione intensa ed ironica che – “dannato lui!” – riusciva sempre a rabbonirla; per tutta risposta lei sbuffò, indispettita, tentando di ignorare la sensazione di sollievo che la colmò nell’attimo stesso in cui Caspian le cinse la vita e la trasse a sé.
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Scosse la testa, arrendendosi al tepore familiare e seducente di quella stretta e abbandonando delicatamente la testa sulla spalla del giovane, lasciandosi cullare dal ritmo cadenzato e regolare del suo respiro: le era mancato così tanto…
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-La prossima volta mi presento in armatura, sappilo.- mugugnò, inarcando impercettibilmente il collo sotto la tenue – impudica – lusinga che il tocco di Caspian stava disegnando nel sensibile incavo della sua spalla.
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-Sarebbe uno spettacolo fantastico.- le sussurrò, seguendo con lo sguardo la carezza che, scivolando in punta di nocche lungo il profilo tonico del suo braccio, scese ad intrecciarsi gentilmente alle dita di lei. -Vieni.- la invitò soltanto, e lei – stregata – si lasciò docilmente rapire dalla confusione di quel luogo, sperduta com’era in quegli ammalianti occhi neri.
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La condusse via, lontano dal chiasso e dai colori troppo vividi della festa, sentendola sospirare di sollievo nel momento in cui il buio fragrante della notte li avvolse nella quiete del porticato meravigliosamente deserto, distante dalla musica e dal brusio ininterrotto delle chiacchiere.
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Siria ebbe, tuttavia, il tempo soltanto per riempirsi i polmoni dell’aria fresca della sera – perché il suo esistere, ogni fibra del suo essere, furono attratti e travolti in una stretta che la coinvolse in un bacio intriso di passione.
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Il freddo della roccia sulla schiena nuda le trasmise un delizioso brivido che, mescolandosi all’ardore del corpo tonico e dolorosamente agognato che l’aveva intrappolata in quella morsa contrastante di gelo e di passione, annientò ogni bruttura dai suoi pensieri, lasciandovi solamente lui a regnarvi – incontrastato e dominante, Re del regno come lo era del suo corpo, del suo animo, di ogni particella del suo amore.
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Assaporare quel bacio fu come tornare a respirare: troppi erano stati i giorni di carezze forzatamente limitate, di sorrisi e di strette fugaci nelle ombre dei corridoi mai del tutto deserti, di distanze imposte dalla situazione e dalle esigenze… Siria si lasciò sfuggire un gemito, figlio del sollievo e della sofferenza, infilando le dita fra i soffici capelli scuri del giovane uomo e avvicinandolo spasmodicamente a sé.
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Il tempo perse ogni significato in quell’abbraccio, in quell’incendio mai sopito che ribolliva persino nelle ossa; prendere fiato, tornare al presente – il chiasso lontano della festa feriva l’udito, l’aria fresca si rincorreva nei brividi sulla pelle nuda delle braccia – fu, per Siria, un bisogno malvoluto ed inaccettabile.
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Voleva annegare lì, anima e corpo, vittima sacrificale e compiacente del carnefice più dolce.
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Caspian accennò un sorriso, accarezzandole con una delicatezza inimmaginabile il profilo dello zigomo e seguendo distrattamente l’immaginario disegno che le lentiggini parevano intrecciare. -Perdonami per tutto questo. Se avessi potuto evitartelo lo avrei fatto.- mormorò e, per la prima volta, Siria vide incrinarsi lo sguardo sempre controllato di lui: era stanco, Caspian, e qualcosa le suggerì che anche lui desiderasse ardentemente fuggire da quell’evento tanto grandioso quanto detestato.
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-Presumo che essere una Figlia di Aslan comprenda anche il dovere di presenziare ai balli del Re.- lo rassicurò, giocherellando con uno dei riccioli scuri che le si era intrecciato alle dita e ostentando una serenità che non lo convinse nemmeno per un istante; in risposta alla sua espressione scettica lei sospirò, sconfitta, chinando la testa e posando la fronte sulla spalla nodosa del ragazzo. -Dimmi che mi porti via davvero.-
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-Non chiedermelo due volte.- fu la risposta rapida e tormentata che il giovane le rivolse, sorprendendola. Alzò lo sguardo, stupita, e seppe per certo che la sua intuizione non avrebbe mai potuto essere più giusta: aveva imparato a cogliere ogni sfumatura sul volto di Caspian, ogni ruga d’espressione per lei aveva un significato ben preciso – ed era stanco, il suo Re, stanco e a disagio esattamente come lei.
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Il bruno socchiuse gli occhi, accostando le labbra ai soffici boccoli in cui i capelli di Siria erano stati acconciati – ma lui avrebbe voluto scioglierli, annodarli in quei crini scompigliati che gli solleticavano il petto quando lei si muoveva nella piccola alcova di paglia, parca, distante milioni di miglia dalla gabbia dorata di quel castello pieno di sguardi.
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La giovane sospirò, rilassandosi un poco nell’incavo delle braccia di lui: vivere ai limiti della sua vita, costringendosi a sfiorare appena quell’uomo con cui aveva condiviso tutto per così tanto tempo, era stata una tortura a cui non si era aspettata di reagire tanto male. Serrò i polpastrelli sulla stoffa scura degli abiti di Caspian, imponendosi di respirare a fondo per non perdere il controllo sulla frustrazione che le palpitava sottopelle ormai da giorni.
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-C’è un’ultima incombenza che dobbiamo risolvere…- fu il sussurro che la strappò ai suoi pensieri, e lei non poté che reprimere l’imprecazione istantanea che la consapevolezza di ciò a cui si riferiva Caspian le presentò alla mente; lui, conscio di quanto la irritasse anche solo il pensiero, sorrise di nuovo e riportò le iridi scure nelle sue, sollevandole appena il viso in punta d’indice. -…poi nessuno dovrà avere l’ardire di disturbarci, almeno per una notte.-
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Siria doveva imparare a contenersi, senza alcun dubbio.
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Peter non poté che reprimere un mezzo sorriso quando, nervosamente, si portò fra le prime file degli avventori che si erano lentamente assiepati attorno alla piattaforma sopraelevata del trono quando il ciambellano li aveva invitati a raggiungere il Re.
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Lasciò scorrere lo sguardo sulle ragazze che, alle spalle di Caspian, cercavano di mostrarsi per quelle guerriere potenti e stimate che in tanti avevano già cominciato a mitizzare in canti e ballate più o meno fedeli alla realtà – se i cantori le avessero viste ora, però, di certo avrebbero ridimensionato le immagini fantasiose che le loro parole dipingevano su quei volti troppo giovani –: Talia cercava di non abbandonarsi alle risate, ostentando una serietà tutt’altro che convincente dinanzi all’espressione rabbuiata di Siria che, a sua volta, fissava Caspian come se avesse voluto mangiarselo tutto intero; Mirime invece, curiosamente serena in volto – come avrebbe dovuto mostrarsi ogni semidivinità pronta a scatenare piaghe infernali fra i mortali, insomma –, teneva una mano sulla spalla di un’Aysell più infuriata che mai, che tormentava la stoffa del proprio abito e sembrava pronta ad annegare lo sventurato che avesse provato a rivolgerle anche solo mezza parola.
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Altro che potenti guerriere, rifletté Peter fra sé: quelle erano quattro psicopatiche senza un minimo di ritegno!
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Caspian, in piedi davanti alla platea che si era riunita nella grande sala del trono, scoccò alle Figlie di Aslan un’occhiata sconsolata subito mascherata dall’affabile sorriso con cui, in un cambiamento tanto repentino quanto ammirevole, si rivolse al suo pubblico.
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-Miei graditi ospiti.- declamò, alzando il calice di cristallo che reggeva fra le dita in un gradevole gesto di benevolenza che fu accolto da un borbottio di approvazione da parte degli astanti.
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Il Re attese che il silenzio calasse di nuovo prima di parlare ancora, alzando la voce per permettere a tutti quegli ospiti di sentire ognuna delle sue parole, a lungo studiate. -È per me un immenso piacere presentare alla mia corte e a coloro che sono qui, questa sera, una delle personalità che accompagnerà d’ora in avanti il cammino dei regnanti di Narnia.-
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Un educato applauso seguì l’inchino galante con cui Caspian invitò Shaylee, sorpresa ma sorridente, ad affiancarlo – e tutto smise di esistere nello stesso attimo in cui lei, bellissima e altera come la più perfetta delle regine, apparve dinanzi al suo sguardo impaziente.
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Peter si impose di mantenere l’espressione neutra e affabile, sebbene il tumulto che lei causava nel suo animo – solamente esistendo – fosse quasi ingestibile tant’era la forza con cui si ribellava alle maglie in cui lo aveva rigorosamente imbrigliato.
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Era più bella che mai, quella sera.
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I delicati fiorellini candidi che ornavano l’elaborata acconciatura della Sovrana ondeggiarono quando Shaylee rivolse una perfetta riverenza al pubblico che, avidamente, la osservava; solo Peter, che di lei conosceva ogni più recondita sfumatura, fu in grado di distinguere gli inequivocabili tratti del nervosismo e della tensione nel volto di porcellana della ninfa – eppure era solamente un’ombra impercettibile, un luccichio particolare nelle iridi d’oro liquido.
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-Shaylee, Sovrana delle Naiadi, ha combattuto valorosamente per liberare nostro regno dalla tirannide e con altrettanta forza d’animo entrambi sosterremo le nostre genti nel futuro di pace che ci aspetta.-
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L’applauso che seguì fu sincero ed entusiasta: le grandi personalità di quell’era si aprirono in sorrisi ed ovazioni quando Caspian innalzò il calice in direzione di Shaylee, inchinandosi davanti all’amica – ora alleata – in uno svolazzo del mantello reale che aveva indossato in occasione di quel discorso.
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Fu solo un istante, un incrociarsi di sguardi: Shaylee spostò l’attenzione da Caspian sulla folla e lì incontrò quei familiari occhi azzurri che si era imposta di non cercare, conscia di quanto fossero in grado di destabilizzarla e di strapparle di dosso tutte le maschere che il suo ruolo le imponeva d’indossare.
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Accennò un sorriso, la Sovrana, sentendo le gote riscaldarsi quando Peter chinò la testa per rivolgerle una celata riverenza, portatrice di un sentimento di rispetto e di ammirazione molto diversi da ciò che avrebbe mai potuto esprimere chiunque altro.
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La festante accoglienza di quella nuova alleanza, che sanciva indissolubilmente la pace fra narniani ed esseri umani dopo secoli e secoli di violenze e soprusi, si protrasse per diversi minuti: Caspian, da ottimo affabulatore quale era, attese pazientemente che la gioia per quella ritrovata serenità scemasse in un educato mormorio pieno d’eccitazione mentre Peter, dal canto suo, si ritrovò ad ammirare l’ineccepibile tecnica che il Re sembrava aver messo a punto per mantenere viva e presente l’attenzione dei propri ospiti, ritrovandosi poi a sorridere fra sé quando riconobbe, in quella grandiosa opera di persuasione, il tocco inconfondibile di suo fratello Edmund.
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Era un gioco di teatro, di palcoscenico, orchestrato alla perfezione affinché tutto potesse magnificare lo splendore di quella Narnia in sboccio.
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-Però, amici miei, questa era noi siamo qui perché è un onore ed un onere rendere omaggio alle quattro meravigliose donne che hanno combattuto al nostro fianco e hanno permesso a Narnia di ritrovare la pace.-
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Le prime parole del giovane Re riportarono definitivamente il silenzio in quella piccola moltitudine variopinta, ed anche Peter si fece più attento: un sottile fremito aveva appena attraversato le quattro fanciulle alle spalle del moro, e l’espressione di Siria si era fatta improvvisamente più imbarazzata e nervosa di quanto il biondo non l’avesse mai vista.
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Gli era inevitabile, e Peter si odiava per questo: lei era la sua bussola, il volto che istintivamente cercava per avere conferme e risposte – quelle risposte che erano mancate nel momento cruciale.
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Distolse lo sguardo, a disagio, appena in tempo per vedere Caspian inchinarsi di nuovo – questa volta, tuttavia, in direzione delle fanciulle che, sentendosi tirate in causa, si ricomposero davanti alla moltitudine di sguardi che si raccolsero avidamente sulle loro figure.
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-Nemmeno fra le mie più irreali speranze avrei potuto immaginare che sareste state voi a restituire la giustizia a Narnia.- mormorò il Re e tutti, in quella grande sala, poterono avvertire il sentimento e l’emozione riempire per qualche attimo la voce altrimenti controllata del bruno.
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Le Figlie avevano riportato la pace in quel regno dilaniato dalla guerra e nessuno, mai, sarebbe stato loro grato quanto l’uomo che ne era stato posto a capo: Caspian doveva la propria corona e la propria rivalsa personale alle guerriere di Aslan e, come Re, non avrebbe mai potuto dimenticare quanto fossero state cruciali per la riuscita di quell’impresa titanica.
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Eppure c’era di più: Caspian era un idealista, rifletté Peter, e la consapevolezza che proprio quattro creature appartenenti alle più diverse stirpi di Narnia avessero contribuito alla disfatta della tirannide di Miraz doveva essere, per lui, la più grande di tutte le vittorie che aveva ottenuto.
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Riscuotendolo dal proprio attimo di riflessione, il Re tornò a rivolgersi alla platea.
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-Apparteniamo a razze diverse, a mondi diversi, ma uno solo è il destino che ha portato tutti noi ad incrociare le nostre strade. È quindi con gioia che questa sera, dinanzi ad amici e alleati, dichiaro ufficiali i ben meritati ruoli che queste giovani, splendide donne meritano più di chiunque altro.-
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Caspian si spostò, facendo cenno alle Figlie di Aslan di affiancarlo in modo che tutti potessero ascoltarlo e riconoscere, in ognuna, il ruolo studiato apposta per loro. -Rendiamo dunque omaggio ad Aysell, Guardiana dell’Acqua; a Mirime, Ancella dell’Aria e consigliera del Re di Narnia; a Talia, Custode della Terra ed ambasciatrice fra gli elfi; a Siria, Paladina del Fuoco e Generale delle Truppe Regie!- declamò, alzando il calice per ognuna delle ragazze e tutti, in sala, lo imitarono, inchinandosi al cospetto di coloro che avevano portato a compimento il proprio destino e donato ad un’intera terra una nuova speranza.
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-Alle Figlie di Aslan.-
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Anche Peter brindò, incrociando per un istante lo sguardo imbarazzato di Siria e annuendo appena in risposta al suo tremulo sorriso di ringraziamento; tutt’e quattro s’inchinarono con eleganza quando la folla le applaudì, segnando il termine del discorso di Caspian e permettendo così al biondo di avvicinarsi alla piattaforma dove Shaylee era rimasta a vegliare, serena ed imperscrutabile, la presentazione ufficiale della sorella.
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-Mi concede l’onore di un ballo, mia signora?- le domandò, sorridendo quando vide le sue spalle sottili sussultare per la sorpresa di sentire la sua voce; la naiade si volse, gioiosa, e lui poté chiaramente vedere la cortina di tensione e insicurezza dipanarsi nelle sue familiari iridi dorate.
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-Questo e anche molto di più, mio Re.- rispose Shaylee, scoprendosi tremante e bisognosa come poche altre volte si era sentita: lei e Peter si erano separati solamente per la rapida campagna militare di lui, ma il tempo che avevano passato assieme le era sembrato così terribilmente breve… bramava soltanto la pace del Regno delle Naiadi, il quieto zampillare delle fonti all’interno della corte, la morbidezza dell’erba nella sala principale – sognava tutto questo, e di viverlo con lui per il resto dell’esistenza.
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Si lasciò condurre al centro della pista da ballo, ignorando gli sguardi invidiosi delle dame e delle cortigiane – senza nemmeno vederle, in realtà, perché il suo universo convergeva in quegli amati capelli biondi e nella dolcezza infinita che riempiva quei begli occhi azzurri.
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Toccarlo, lasciarsi cingere dalle sue mani familiari e calde, fu la più dolce delle torture; socchiuse le lunghe ciglia castane sugli occhi, costringendosi a reprimere la commozione e la felicità che provava lì, fra le braccia di Peter, cullata dalla musica e dal frusciare della seta.
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Volteggiarono fra i danzatori come se nulla esistesse salvo loro, come se il mondo all’infuori dei loro sguardi fosse avvolto da un’opalescente cortina d’inconsapevolezza; si sentiva ebbra, Shaylee, e non avrebbe rinunciato a quella sensazione per niente al mondo.
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Peter era lì, era suo, niente più avrebbe potuto portarle via quell’uomo che era diventato il centro della sua serenità, il suo equilibrio; e, quando lui si chinò per sfiorarle la guancia con un bacio, rabbrividì e si sentì arrossire come una ragazzina, aggrappandosi alle sue spalle forti – timorosa di annegare, di perdersi in quell’incredibile beatitudine.
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-Devo dirti una cosa.-
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Sul marmo delle statue le gocce d’acqua scivolavano, placide, raccogliendosi negli incavi come miriadi di perline opalescenti.
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Aysell, annoiata, allungò una mano per seguirne la scia in punta di dita – era più interessante stare lì, inerpicata sulla fontana, piuttosto che farsi prendere in giro dagli alti dignitari stranieri.
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A quel pensiero, la naiade digrignò i denti: ragazzina a lei? Aveva nove secoli di vita alle spalle, come osavano quegli stupidi damerini darle della ragazzina!?
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Sbuffò, stirandosi pigramente sul dorso del cavallo rampante che si ergeva, maestoso, al centro della piattaforma rialzata circondata dai giochi d’acqua che, in un momento di indolenza, lei aveva richiamato a sé.
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Ragazzina.
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-Ma per piacere.- mugugnò, scostando bruscamente la treccia scarmigliata dalla spalla.
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Quella dannatissima festa era stata una pessima idea e, di certo, si sarebbe premurata di far pervenire al Re e al suo caro compare Edmund tutte le sue rimostranze – avrebbero almeno potuto dire in giro che lei non aveva quindici anni, maledizione!
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Nessuno si era degnato di invitarla a ballare, nessuno le aveva rivolto una riverenza... non le avevano nemmeno offerto da bere!
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L’avevano forse scambiata per una paggetta!?
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Aveva passato la serata in disparte, chiacchierando con le altrettanto annoiate Tara e Lucy; Edmund, a onor del vero, aveva provato a rabbonirla un poco e ad offrirle un giro di danze, ma l’espressione offesissima di Tara l’aveva scoraggiata dall’accettare.
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-Non ti preoccupare, Tara, ne basta uno di Pevensie in famiglia!-
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Tara, sorpresa, non aveva fatto in tempo a replicare a quel borbottio divertito che la Guardiana le aveva sussurrato all’orecchio: Edmund l’aveva presa per mano e se l’era praticamente trascinata via, lasciando un’esilarata Lucy a ridacchiare sommessamente in compagnia della naiade.
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Sospirò.
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Lucy aveva lasciato la festa poco dopo il discorso di Caspian, adducendo come scusa una stanchezza molto poco convincente; anche Mirime, che non amava le occasioni mondane, l’aveva abbandonata in balia di quegli odiosi invitati che non sapevano far altro che rivolgerle sorrisetti accondiscendenti e sguardi inteneriti – insomma, gli stessi che avrebbero potuto dedicare a un gattino domestico.
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Nessuno si era accorto di lei quando, spazientita, aveva abbandonato la sala: Siria era tutta impegnata a cercare di non pestare i piedi a Caspian mentre ballavano, Talia cercava di nascondersi dagli elfi e Aslan, beato lui, era scomparso di nuovo – e, stavolta, non poteva nemmeno dargli tutti i torti.
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Il silenzio confortante di quello specchio d’acqua l’aveva accolta, comprensivo, avvolgendola nella quiete del giardino deserto; si era arrampicata sulla statua del cavallo ed aveva giocato per un po’ con gli zampilli, lasciando poi che il loro mormorio allegro la cullasse e lenisse un poco l’onta dell’offesa che aveva subito.
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Evidentemente, però, non esisteva un solo posto in quel castello che potesse considerarsi davvero silenzioso.
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-Lo sapevo, lo sapevo, lo sapevo…-
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Aysell inarcò un sopracciglio, sbirciando da dietro la criniera per capire chi fosse venuto a rompere le scatole nel suo angolino di serenità; di certo non si sarebbe aspettata di riconoscere la figura minuta di sua sorella Shaylee nella penombra, occupata a camminare avanti e indietro come un’anima in pena.
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La bionda inclinò la testa, accigliata, scrutando l’altra con curiosità ed un pizzico di apprensione. Che cosa era successo per innervosire tanto Shay?
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-Cos’è che sapevi?- le domandò, sollevandosi dal suo confortevole nascondiglio e lanciandole un’occhiata obliqua.
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Shaylee sobbalzò, colta di sorpresa, soffocando uno strillo fra le mani curate e rischiando d’incespicare sui ciottoli; il suono improvviso spaventò i giochi d’acqua che, timorosi quanto la loro Guardiana, si ritirarono di scatto nel letto della fontana.
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-Aysell, mi hai quasi fatto venire un accidente!- sbottò la castana, irritata, premendo una mano sul petto con un certo atteggiamento teatrale che la sorellina, già esasperata, non mancò di notare.
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-Se non ti è venuto vedendo Peter appena sveglia, dubito che potrei mai causartelo io.- commentò, acida, mentre s’ingegnava per scendere dal cavallo senza capitolare – e senza strapparsi il vestito.
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Comprese però che qualcosa non andava quando, invece di rimproverarla come al solito, Shaylee s’incupì ed abbassò lo sguardo, tornando a torcersi nervosamente le mani. -Che cosa succede?- le domandò, quindi, una volta raggiuntala.
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Shaylee, che sembrava non aspettare altro che quella domanda, si abbandonò ad un sospiro affranto e si sedette, con squisito abbandono, sul muretto. -Se ne andranno.- sussurrò, celando il tormento fra le dita che, misericordiose, salirono a raccogliere il dolore di quella giovane Sovrana.
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Aysell, per tutta risposta, si limitò ad inarcare un sopracciglio: chi se ne sarebbe andato, esattamente?
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La sorella continuò, imperterrita, senza nemmeno notare l’espressione interrogativa dell’altra. -I Pevensie. Aslan ha detto loro che è giunto il tempo di tornare nel loro mondo.-
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Fu uno sforzo titanico, per la Guardiana, impedirsi di alzare gli occhi al cielo.
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Mancava soltanto questa! E adesso chi la tiene più Shay!?
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-I-Io sapevo che sarebbe successo, lo sapevo sin dall’inizio!- proseguì, infatti, Shaylee. -Tutto questo è completamente sbagliato, non avrei mai dovuto permettere che succedesse!- la maggiore si alzò in piedi, ricominciando il suo angosciato andirivieni ed ignorando completamente il plateale sbigottimento dipintosi sul volto di Aysell.
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Ma siamo sicuri che sia davvero una brutta cosa, questa? Non è che Peter sia molto utile, al momento… non che lo sia mai stato, a dire il vero.” pensava intanto la piccola, ignorando a sua volta i brontolii della sorella.
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-Mi sono fidata di lui… mi sono innamorata di lui, e adesso…- Shaylee, sconsolata, si fermò, volgendo lo sguardo velato di pianto al ritratto riflesso sulla superficie dell’acqua.
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Okay, forse è il caso di dirle qualcosa.
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-Shay_- cominciò Aysell, ora sinceramente preoccupata.
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-Io devo tornare al mio Regno.- la interruppe subito la castana, drizzandosi di scatto e rassettandosi la già impeccabile treccia sulla spalla.
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Cosa?
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-Cosa?- ripeté, stavolta a voce alta, la più giovane.
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Shaylee scosse la testa. -Non voglio essere qui quando partiranno, domani. Non sono in grado di sopportarlo, mi spiace.- mormorò, rivolta più a se stessa che all’altra, spazzolando la veste col dorso di una mano e dandole le spalle.
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-Shay…- Aysell tentò di richiamare la sua attenzione, ottenendo però solamente un testardo silenzio in risposta.
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La Sovrana delle Naiadi, in quel momento più simile ad una ragazzina spaventata che ad una grande regina, cominciò ad avviarsi lungo il sentiero; la Guardiana la seguì, maledicendo mentalmente Peter e tutta la sua futura e sciagurata progenie.
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-Porgi i miei saluti a Caspian, mi terrò in contatto finché non_-
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-Shaylee, ora basta!-
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Lo strillo di Aysell echeggiò nel grande giardino con una violenza stupefacente, raggelando Shaylee quando le dita fredde della piccola le si strinsero fermamente attorno al gomito.
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Si costrinse a voltarsi e, stupita, si accorse di quanto sembrasse furiosa la sua sorellina in quel momento: in quegli occhi grigi, per la prima volta, Shaylee scorse turbamento e rimpianto – un ricordo lontano, forse, ma che Aysell non aveva mai condiviso con nessuno.
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-Lasciami… Aysell, lasciami andare.- tentò di convincerla, ma la bionda la strattonò per impedirle di allontanarsi.
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-No!- sbottò la Guardiana, stringendo con una forza impressionante il braccio dell’altra. -Che cosa vuoi fare, lasciarlo andare via così?-
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L’espressione di Shaylee, in risposta a quelle domande, fu estremamente eloquente.
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-Ma sei impazzita?- soffiò, ostile, Aysell. -Vuoi vivere sapendo che non potrai vederlo mai più, che non saprai mai se starà bene, se gli mancherai? Vuoi sapere che morirà lontano da te, vuoi vivere sapendo di non avergli nemmeno detto addio?- snocciolò, odiando il fremito che avvertì incrinare le proprie parole.
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Come si poteva essere tanto crudeli ed egoisti da desiderare un destino simile per sé?
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-Non puoi fare una cosa del genere!- strillò, tirando indietro la sorella e fissandola con una rabbia tale che Shaylee, per un istante, non riuscì a riconoscerla.
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-Smettila!- protestò, riuscendo finalmente a liberarsi dalla morsa di quelle dita improvvisamente sgradevoli e congelate. -Io__-
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-NO!- l’acqua della fontana, alle spalle della Guardiana, s’intorbidì. -Smettila tu!-
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La coscienza di Aysell fremette quando, al suono disperato della sua voce, i pensieri delle tre sorelle conversero istantaneamente su di lei; le scacciò, più bruscamente di quanto non avrebbe voluto, tirando su col naso e costringendosi ad inghiottire il groppo di dolore e di frustrazione che le si era annodato in gola.
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Si strinse le mani attorno alle spalle, avvertendo un freddo sin troppo familiare strisciarle dentro come un tarlo dispettoso e maligno; Shaylee, accortasi del repentino cambiare del suo atteggiamento, provò ad avvicinarla.
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-Aysell…- mormorò, conciliante; ma, quando si allungò per abbracciare la sorellina, quella si ritrasse.
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-Rimani.- sibilò, perentoria, la bionda, scoccandole un’occhiata tanto fredda e furiosa da sedare immediatamente ogni possibile replica. -Rimani per dirgli addio.-

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My Space:
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Purtroppo ho POCHISSIMO tempo per scrivere le note dell'autrice, ma ci tenevo a pubblicare il capitolo!
Non ho ancora la connessione internet a casa (mi sono trasferita di recente), per questo ho tardato tanto con l'aggiornamento e non riuscirò, per un po', a rispondere alle recensioni e a scrivere delle note decenti. Però ecco qua il penultimo capitolo di Rebirth, spero che non ci siano erroracci perché DreamWanderer ed io abbiamo finito un po' in fretta fra la stesura e la correzione e quindi potrebbe essere scappato qualcosa ^^'

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Nota dell'Autrice:
Seven Gods è stata rimossa da EFP per via di alcune controversie relative al copyright, ma sto continuando a scriverla appassionatamente e potrete averne notizia nel gruppo FB "Uno sguardo su... Seven Gods"; potrete trovare tante curiosità e spoiler sulla pagina dedicata alla saga di Rebirth, Narnia's ~R~ e curiosità e pensieri sulla mia pagina personale, Ray; voglio ringraziare immensamente la mia beta DreamWanderer, che trovate sia su EFP che su Facebook, che mi sta aiutando con la correzione di tutte le mie storie e non è facile ^^' specialmente perché, nel frattempo, sopporta me U_U
Vi ringrazio per aver letto e seguito Narnia's Rebirth sino a qui: ci risentiamo al prossimo capitolo!
Big hugs,
B.
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Capitolo 50
*** Calls Me Home. ***


34 chap

Narnia's Rebirth
50th Chapter

Calls Me Home - Shannon LaBrie

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A quella meraviglia della Kiks,

allo splendore che è Chica,

alla mia fantastica muirnín.

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Sul limite esterno del promontorio su cui sorgeva il castello di Telmar, ad un soffio dallo strapiombo che si gettava nel Grande Fiume accarezzato dal sospiro di libeccio che spirava da est, Aslan rifletteva.

La folta criniera s’intrecciava ai capricci del vento, giocoso e frizzante, ma nient’altro in lui si muoveva. Il suo sguardo, attento e profondo, seguiva con interesse le minuscole figure delle persone che, lentamente, si stavano assiepando nella piazza principale della cittadella, invisibile ai loro occhi almeno quanto l’aria fresca del mattino.

-Che cos’hai in mente, Aslan?-

La voce pacata di Mirime non turbò la profonda meditazione in cui era assorto il Grande Leone; tutt’altro. Il suo volto imperscrutabile si distese in un sorriso sereno quando si volse per accogliere l’arrivo, non del tutto inaspettato, della più antica delle sue Figlie.

Mirime aveva rinunciato in fretta all’abito di impalpabili sete argentee che era stato confezionato per lei dai sarti di corte in occasione del ballo ­– suo padre sapeva bene che lei non apprezzava affatto le occasioni mondane e l’inevitabile scomodità dei vestiti richiesti, eppure l’aveva trovata estremamente elegante in quel modello semplice, dalle maniche voluttuose e spiraleggianti quanto i venti onnipresenti che s’intrecciavano ai suoi capelli altrimenti lisci e immoti. In quel momento, infatti, l’Ancella dell’Aria era avvolta in una delle tuniche incrociate che tanto apprezzava e, stranamente, un paio di stivaletti le calzavano i piedi solitamente nudi, fasciando la calzamaglia sino alla caviglia sottile.

Aslan non le rispose subito, preferendo seguirne lo sguardo ambrato che, dopo avergli scoccato una lunga occhiata, si volse in direzione delle grandi porte del castello: erano apparsi due cavalieri sul ponte levatoio e, immediatamente, la pleiade riconobbe la scapigliata chioma fulva del più minuto fra i due.

-Li hai convocati tu.- rifletté, scorgendo Siria illuminarsi quando si voltò verso Caspian che, sereno, le cavalcava accanto.

Aslan tacque ancora, immerso in se stesso, mentre il Sole procedeva pigramente lungo il suo ciclico sentiero, tracciato in quel pallido cielo migliaia di anni prima – ed era stato proprio lui, allora, a disegnare il cammino di quell’eterno viandante.

Spazientita, la pleiade abbandonò il sostegno delle sue correnti e posò i piedi a terra, affiancando il padre su quell’altura baciata dal tepore della timida alba settembrina.

Le giornate tornavano ad accorciarsi in quel continuo mutare, e l’autunno aveva già cominciato a tingere gli alberi d’oro e di scarlatto: la foresta che si stendeva attorno alla cittadella telmarina era uno spettacolo di sfumature e d’audaci giochi di colori nel bagliore del mattino, e Mirime avvertì il sospiro che fremette nelle chiome, raccolto dai venti, quando la Custode della Terra fece capolino dall’eterna penombra del suo amato bosco.

Anche Talia era fuggita dal ballo, notò Mirime con un mezzo sorriso, distinguendo l’imponente figura di Caleb e quella minuscola di Tara apparire dal buio poco dopo la comparsa della mezz’elfa. Anche loro, come Siria e Caspian, si avviarono in direzione della piazza centrale; due alberi, intrecciati l’uno all’altro sin dalla nascita e maestosi nella loro semplicità, erano perfettamente distinguibili anche da lì, a ridosso dello strapiombo che si affacciava sul fiume.

Poco dopo, uno scintillio conosciuto attirò l’attenzione della ninfa su quelle acque perennemente tumultuose: la corte della Sovrana delle Naiadi emerse dalle correnti, assumendo gradualmente le fattezze umane a cui ormai, probabilmente, si era abituata. Shaylee – cupa in volto come Mirime non credeva di averla mai vista – fu la prima a toccare terra e a terminare la mutazione; si rassettò la semplicissima tiara – un semplice cerchio d’oro ornato da uno zaffiro centrale – sulla fronte, impugnò lo scettro e rizzò le spalle, ostentando una calma che probabilmente non possedeva.

Aysell non aveva passato la notte con le sue simili, ma questo non sorprese affatto la pleiade; la scorse inciampare sui ciottoli della salita che conduceva alla piazza e ridacchiò, incapace di trattenersi, quando la profonda irritazione della Guardiana increspò appena i suoi pensieri, tanto abituati a cogliere ogni sfumatura dell’umore della bionda.

Aysell non era contenta di essere stata svegliata presto e lo fu ancora meno quando, superata la folla che si stava lentamente assiepando, raggiunse gli alberi intrecciati e si trovò davanti i Pevensie al completo accompagnati da Cornell, Trumpkin, Tartufello e Reepecheep.

Stai buona”, le sussurrò, e vide la piccola naiade sobbalzare quando un soffio di vento le arruffò giocosamente i capelli, distraendola dal sanguinario proposito di porre fine all’esistenza di un Peter Pevensie evidentemente già tormentato abbastanza, a giudicare dalla sua espressione funerea.

Anche Aaron, il fratello di Siria, era già là. Teneva lo sguardo fisso sull’orizzonte lontano e le braccia rigidamente incrociate sul petto mentre Susan Pevensie, non meno tesa, quasi non respirava nel tentativo di mantenere l’espressione impassibile.

Mirime, turbata, si strinse le mani affusolate sulle spalle. “Quanti amanti costretti a dirsi addio…”

Come se avesse udito quel pensiero, Aslan prese un profondo respiro e socchiuse gli occhi nella luce opalescente del mattino. -Ogni avventura ha una fine, Mirime.- le ricordò, paziente, ma la pleiade scosse la testa e gli scoccò l’ennesima occhiataccia.

-Questa, però, li ha cambiati troppo perché tu possa semplicemente rispedirli indietro.- obiettò, anche se sapeva quanto quella si sarebbe rivelata l’ennesima discussione sterile ed irritante: Aslan seguiva regole che lei, seppur tanto saggia e antica, non avrebbe mai potuto comprendere né conoscere appieno – regole che non approvava e che non aveva alcun interesse a fare proprie, oltretutto.

-Non appartengono a Narnia, e tu lo sai bene.-

Bugia.

I Pevensie appartenevano a Narnia forse più di qualunque altro essere umano avesse mai messo piede in quella terra – forse persino più di Digory e Polly. I due Figli di Adamo e le due Figlie di Eva avevano combattuto più volte per quel regno, portando ai suoi abitanti pace e prosperità per quindici anni; erano tornati per Narnia, perché il loro aiuto era stato richiesto e loro, come già una volta avevano fatto, non si erano tirati indietro.

Lei c’era stata, e non avrebbe mai potuto dimenticare la gioia e la bellezza della Narnia dei Pevensie.

-Non sono d’accordo.- replicò, senza dar voce ai propri dubbi e alla propria frustrazione. Aveva parlato più volte ad Aslan, implorandolo di riportare Peter e i suoi fratelli a Narnia quando i telmarini avevano cominciato a sterminare il popolo magico e avevano costretto la magia a celarsi in se stessa pur di sopravvivere, ma ciò che aveva ottenuto in risposta a quelle suppliche erano sempre stati silenzi e frasi criptiche che, dopo tanti secoli, lei non era più disposta ad accettare.

I silenzi di suo padre avevano portato le pleiadi al sacrificio supremo.

Per proteggere la scintilla di coscienza e di magia nel cuore dei narniani sopravvissuti e per impedire che gli animali regredissero e trascinassero con sé – nell’incoscienza della loro essenza più primitiva – la speranza di una rinascita, le ninfe dei venti montani avevano rinunciato alla propria vita e avevano compiuto un atto di profondo eroismo nei confronti della terra che avevano protetto dall’alba dei tempi: Mirime non avrebbe mai potuto dimenticare il dolore che, ancora oggi, portava nel cuore nel sapere che non avrebbe mai più rivisto nessuna creatura della sua specie… perché se avesse potuto, allora, avrebbe preferito andarsene con loro piuttosto che rimanere e soffrirne la perdita per l’eternità – ma no, lei era rimasta in vita secondo il volere di Aslan: era sopravvissuta, intrappolata nella protezione di suo padre ma distante dalla vita che scorreva rapidamente dinanzi ai suoi occhi, nell’abbraccio dei suoi venti in cui l’essenza delle pleiadi si era perduta per sempre.

Amore.

Il sacrificio delle ninfe era stato un gesto d’amore… lo stesso amore che aveva intrecciato i destini delle persone che, ora, Aslan sembrava intenzionato a dividere per sempre.

Un moto di rabbia – una rabbia profonda, ancestrale, con cui Mirime aveva ormai imparato a convivere da tanto tempo – le fece stringere i pugni, vibrando nel sospiro di tramontana che tremò visibilmente attorno alla sua figura snella.

Aslan aveva chiesto ai suoi diletti più impegno, dedizione e fiducia di quanti lui ne avesse mai dimostrati in cambio; con che coraggio, adesso, voleva imporre le sue stupide leggi con quella calma innaturale che lei trovava tanto intollerabile?

Era stanca, stanca di seguire le regole di Aslan: aveva passato un’eternità in solitudine, si era ritrovata separata da tutti coloro che le erano stati cari – aveva potuto soltanto guardare da lontano il mondo che amava sgretolarsi e rivoltarsi contro se stesso, le sue sorelle rischiare la vita più e più volte, soffrire e piangere lontano da lei… ed ora lui voleva costringere anche altre persone a vivere il suo stesso tormento, la sua medesima agonia?

Se il sentimento era sincero, dettato dal cuore, chi era suo padre per porre fine ai legami che si erano creati durante quel lungo anno che i Pevensie avevano passato a Narnia?

Lei li aveva osservati durante quel periodo, più attentamente di quanto in realtà avrebbe potuto fare secondo gli ordini di Aslan – aveva anche tentato di intervenire, per quanto le fosse possibile da quella distanza immensa, quando le sue amiche si erano trovate in pericolo – e non riusciva a comprendere come quel gattaccio rognoso fosse diventato tanto cieco da non vedere quanto i destini dei suoi protetti si fossero irrimediabilmente intrecciati l’uno all’altro.

Il suo guerriero più fidato aveva trovato qualcuno da amare e che lo contraccambiava, ed Aslan sapeva quanto questo fosse un avvenimento poco lontano dall’avverarsi di un miracolo. Portare Peter via da Narnia, strapparlo alle braccia della donna che aveva sconfitto se stessa e le proprie paure pur di rimanergli accanto, le sembrava un affronto troppo spudorato nei confronti di colui che era stato il Magnifico Re dell’Età dell’Oro.

Anche i cuori acerbi di Edmund e Tara meritavano almeno la possibilità di nascere, di fiorire nell’affetto e, chissà, forse in qualcosa di più profondo e duraturo: il più Giusto dei Re aveva trascorso tanti anni a rimproverarsi gli errori compiuti da bambino e, Mirime ne era convinta, aveva diritto di trovare un poco di serenità e di spensieratezza – magari proprio con quella ragazzina che, in mezzo alle brutture e allo squallore dei bassifondi che l’avevano partorita, era riuscita a mantenere intatta la propria spensieratezza di fanciulla.

Persino Susan – “la Dolce dal cuore freddo” l’avevano cantata i fauni, secoli addietro – era stata in grado di aprire il proprio cuore all’amore! Lei, che da tempo immemore si presentava tanto algida e terrorizzata dall’idea di perdere il controllo delle proprie emozioni… come poteva essere tanto crudele, Aslan, dal volerla dividere da Aaron? Allontanarla da lui avrebbe significato infliggerle una ferita tale da spezzare per sempre ogni speranza e serenità nella sua anima…

Si costrinse a respirare, cercando in sé quella calma che, tuttavia, sembrava mancare all’appello.

Lei aveva trascorso secoli e secoli in quel modo indegno che Aslan voleva imporre a quei poveri ragazzi – no, era sbagliato, era dannatamente sbagliato! Con quale coraggio si proclamava giusto e amorevole, lui, per poi decidere di infliggere tanto dolore a__

Va tutto bene.”

Quasi sobbalzò, la pleiade, quando le voci di Talia, Siria ed Aysell sfiorarono la sua coscienza in tumulto.

Chiuse gli occhi, scoprendosi scossa da un tremore furibondo che non aveva avvertito strisciarle dentro con l’infida eleganza di una serpe, cercando disperatamente il contatto, a lungo negato, con quelle anime piene d’amore e d’amicizia; il calore del Sole sembrò nascerle dentro nell’istante in cui l’affetto di Siria la toccò, avvolgendola nell’abbraccio caldo e pieno d’amore che Mirime riconobbe per quello della bambina che tante volte aveva cullato per proteggerla dagli incubi.

In quel tiepido vento di fine estate, che spirava incessantemente dentro di lei, il profumo delle montagne e dei fiumi s’intrecciò delicatamente alle sue normali percezioni con tanta familiarità da farle salire le lacrime agli occhi: Aysell, più dolce di quanto potesse sembrare ad un primo sguardo, aveva nell’anima lo stesso profumo dei monti fra cui Mirime l’aveva cresciuta e fra cui avevano vissuto molti anni di serenità; udire per qualche attimo il canto dei ruscelli e delle fonti d’acqua le strappò un sorriso – tremulo, incerto, ma pur sempre un sorriso.

I petali delle stelle alpine, che mai sarebbero potute nascere in quel clima mite, le solleticarono le caviglie attraverso la stoffa sottile della calzamaglia e le s’attorcigliarono giocosamente ai polpacci snelli. Sentì il volto scaldarsi quando l’ironia e la giocosità di Talia la travolsero, spazzando via le nubi dai suoi occhi di topazio e riempiendole l’anima del profumo di quei fiori che Mirime conosceva e amava da tantissimo tempo.

Avevano capito.

La furia che la ninfa provava svaporò nello stesso attimo in cui comprese che le sue amiche avevano colto il vero motivo della sua rabbia, il significato celato dei suoi pensieri.

Con una semplicità commovente le sue sorelle le avevano trasmesso la consapevolezza che mai più sarebbe stata allontanata da loro – che condividevano la sua rabbia e la capivano come mai nessuno aveva potuto fare, che le erano accanto e che nessuna di loro sarebbe più rimasta sola.

Le sue sorelle.

Mille volte mille anni sarebbero potuti passare, ma Mirime non avrebbe mai potuto perdonare Aslan per averla tenuta lontana tanto a lungo dalle sue sorelle.

-Tu credi troppo fermamente nell’amore per permettere tutto questo, Aslan.- mormorò, dando le spalle al paesaggio mozzafiato che si stendeva ai loro piedi per fronteggiare apertamente quel padre sempre tanto criptico, sempre infinitamente silenzioso.

Aslan, difatti, tacque. Si limitò a sorridere mentre si alzava sulle zampe, scuotendo un poco la criniera nell’aria tiepida che spirava dal fiume, rivolgendole un cenno e allontanandosi prima che Mirime potesse protestare.

Lei sbuffò, spazientita: era stanca dei silenzi, dopo una vita passata a tesservi la propria esistenza solitaria, ma sapeva che il padre non sarebbe mai cambiato; si limitò quindi a massaggiarsi le tempie, esausta da quella lotta di misteri e di verità sbocconcellate, prima di decidersi a seguirlo per raggiungere la piazza e le sue sorelle.

 .

 .

 .

Caspian strinse con forza la mano sulla spalla di Siria quando, in un fruscio, sua zia Prunaprismia ed il padre sparirono, assieme al cuginetto infante, al di là del portale che Aslan aveva aperto fra i due alberi apertisi ad arco.

Un coro di esclamazioni sorprese, attutite dal timore reverenziale che il Grande Leone sembrava incutere nei telmarini, serpeggiò fra i cittadini; qualcuno, più coraggioso degli altri, alzò la voce per esprimere il dubbio che sembrava accomunare tutti quegli spettatori ignari della correttezza quasi maniacale di Aslan.

-Come facciamo a sapere che staranno bene?- domandò e, in seguito a quella richiesta, altre voci si levarono per esprimere i propri timori e la propria diffidenza.

-E se fosse solo un tranello?-

-E se fossero già morti?-

Il giovane Re avvicinò a sé la propria compagna quando, in risposta all’astio e alla paura che sentiva vibrare negli animi dei telmarini, la avvertì irrigidirsi e tentare di nascondere un brivido che lui, tuttavia, riuscì a cogliere.

Siria, grata, si accoccolò nell’incavo del suo braccio, respirando profondamente e tentando di sottrarsi all’istintivo terrore che le era nato dentro nell’udire il vociare della folla – troppe volte, nella sua vita, quell’ostilità era stata preludio di dolore e di sofferenza –; non vide, così, lo sguardo angosciato che Caspian rivolse a Peter, ma percepì il suo tocco delicato fremere appena mentre le accarezzava i capelli.

Peter, dal canto suo, sospirò e scosse la testa, stringendosi nelle spalle in un gesto che trasudava tutto il senso d’impotenza che era germogliato dentro di lui nello stesso istante in cui Aslan aveva spiegato a lui e a Susan il motivo che li avrebbe tenuti lontano da Narnia, una volta tornati a casa – ma poi, che casa sarebbe stata quella in Inghilterra, lontano da tutti coloro che avevano imparato ad amare?

Scoccò un’occhiata in tralice ad Aslan, ma il leone teneva gli occhi fissi in lontananza; lo vide però annuire impercettibilmente e seppe, all’istante, che opporsi alla sua scelta sarebbe stato completamente vano.

-Credo che tocchi a noi.- affermò quindi, sconsolato, costringendosi a non guardare in direzione della corte delle naiadi – in direzione di Shaylee che, con tutto il contegno di una vera lady, aveva deciso di presenziare a quell’addio in prima fila, nonostante il lacerante dolore che, lui lo sapeva, la stava dilaniando.

Dilaniando quanto aveva squarciato lui, da dentro, al pensiero di doverle dire addio.

Un silenzio attonito accolse le sue parole, sedando le proteste del popolo e strappando alle Figlie e ai suoi fratelli uno sguardo sbigottito; fu la voce di Siria, insolitamente stridula, a spezzare l’attimo una manciata di secondi più tardi.

-Cosa?- sbottò infatti la rossa, sollevando il volto dalla camicia di Caspian e rivolgendogli uno sguardo torvo e per nulla rassicurante.

-È giunto il momento che i ragazzi tornino a casa.- intervenne Aslan, forse cogliendo il turbinio di rabbia e confusione che aveva animato la Paladina del Fuoco nel sentire Peter pronunciare quella che poteva essere classificata solamente come pura follia.

-No!- replicò lei, incredula, serrando le dita sulla tunica di Caspian per impedire a se stessa di dilaniarsi i palmi con le unghie. -Aslan, ma sei impazzito? Non puoi mandarli via!- protestò, girandosi di scatto per guardare Shaylee – certa di trovare sdegno e indignazione sul volto altero della ninfa, sicura di trovarla d’accordo con lei e pronta a ribellarsi a quella decisione; la Sovrana delle Naiadi, però, socchiuse gli occhi senza ricambiare la sua occhiata, stringendosi fra le proprie braccia e scuotendo lievemente la testa con mesta rassegnazione.

Shay non avrebbe fatto niente?

Fu solo grazie al tempestivo intervento delle sue sorelle che Siria non balzò giù dal terrapieno sopraelevato per tirare un meritatissimo schiaffone alla sua amica naiade; a dire il vero, Aysell dovette piantarle le unghie nel braccio per fermarla, ma la strega era talmente arrabbiata che nemmeno si accorse delle mezzelune violacee che apparvero sulla sua pelle diafana quando la Guardiana la lasciò andare.

-Non li sto cacciando, Siria.- spiegò Aslan, pacato come sempre, accostandosi alla giovane con quella che a tutt’e quattro le sue Figlie sembrò proprio una rispettosa e prudente circospezione. -Edmund e Lucy potranno tornare.- aggiunse, piano; e Siria, comprendendo finalmente dove quel suo padre sconosciuto voleva andare a parare, raggelò lì dov’era, avvertendo la rabbia svaporare in puro sgomento.

ecco perché Shay non stava facendo niente.

-Perché?- intervenne Lucy, stupita, avvicinandosi al Grande Leone per guardarlo con quegli occhioni azzurri che non avevano ancora perso il fulgore abbacinante dell’infanzia. -Loro hanno fatto qualcosa di male?- domandò; fu Peter, però, a chinarsi e a passarle un braccio intorno alle spalle, sorridendole con quella che alla sua sorellina parve un’infinita tristezza.

-Non abbiamo fatto nulla di male, Lu. Abbiamo solo imparato tutto ciò che dovevamo imparare da Narnia, e__-

Fu lo strillo esasperato di Siria, ancora una volta, ad interromperlo. -Oh, ma fammi il piacere! Tu non hai imparato proprio niente!-

Un istante di cristallino silenzio accolse l’esplosione della strega; pochi attimi più tardi, tuttavia, la fragorosa risata di Talia e quella a stento trattenuta degli altri Pevensie riempirono l’aria, mentre Aysell si ficcava le nocche in bocca per non imitarli e Mirime, sconsolata, scuoteva la testa.

Peter, però, si concesse solamente un breve sorriso che svanì nello stesso attimo in cui la guardò: gli sarebbe mancata l’irriverenza di Siria, esattamente come gli sarebbe mancata Narnia.

-Può essere, ma è comunque giunto il momento di andarsene.- mormorò, sapendo che lei lo avrebbe comunque sentito, incapace di guardarla negli occhi. L’attimo di ilarità fu spazzato via dalle sue parole, e la consapevolezza di essere dinanzi ad un addio colpì tutti quanti con una freddezza inattesa.

Il biondo si alzò in piedi, tirandosi nervosamente indietro i capelli; Siria non si era mossa – era ancora lì, con i pugni stretti ed un’espressione ribelle in volto, che lo fissava come se non avesse voluto altro che prenderlo a pugni.

Sapere che non l’avrebbe rivista mai più era assieme un indicibile sollievo e la più odiosa delle agonie.

Abbassò appena la testa, rivolgendole l’accenno di un inchino che sarebbe per sempre rimasto incastrato lì, fra le parole che avrebbe voluto dirle e quelle che non sarebbe riuscito a pronunciare nemmeno davanti a se stesso.

Siria trasalì, ferita. Non riuscì nemmeno a parlare dinanzi agli occhi di ghiaccio di Peter che, senza nemmeno toccarla, la colpirono con la stessa stilettata silenziosa che l’indifferenza del giovane aveva immerso nelle sue carni più e più volte in quelle settimane.

Dimmi qualcosa, ti prego. Qualunque cosa.”

Chinò a sua volta il capo, dedicandogli il medesimo saluto freddo e distaccato che lui aveva riservato per lei; Peter sussultò, stringendo le labbra davanti a quella brusca replica, ma si morse un labbro ed ignorò le proteste che erano appena salite a bruciargli in gola.

Non farmi andare via senza averti detto addio.”

Fu lei a spezzare quell’istante, incapace di sopportare ancora la sua vista.

Aggrappandosi convulsamente al braccio di Caspian si volse verso Susan, muovendo qualche passo verso lei ed Aaron; non ebbe però il tempo di farne altri perché, prima che potesse anche solo capire che cosa fosse successo, la Regina l’aveva raggiunta e l’aveva stretta a sé in un abbraccio convulso, sincero – un gesto che stupì Siria più di qualunque altra cosa fosse successa in quell’anno.

-Susan…- mormorò, arrossendo, ma la bruna scosse la testa e nascose con più forza il volto nella sua spalla.

-Non permettergli di vedermi piangere.- sussurrò, piano, la Regina – e Siria la strinse all’istante quando percepì un fremito di dolore attraversarne il corpo tornito, chiudendo gli occhi e avvertendo il profumo tanto particolare di Susan in quel folti boccoli castani.

Rimasero lì, abbracciate, condividendo in quella stretta silenziosa più parole e più affetto di quanto se ne fossero dimostrate reciprocamente in tutto quel tempo. L’amore che entrambe provavano per Aaron le accomunava e le univa come mai nulla le aveva avvicinate sino a quel momento, e Siria – Susan lo sapeva – era l’unica persona, in quel luogo, che avrebbe potuto permetterle qualche istante di dolore senza distruggerla nel suo orgoglio di regnante ma, soprattutto, di donna.

Si scoprì a tremare, Susan, stretta al corpo caldo e solido della guerriera.

Aveva trascorso la notte con Aaron – parlando, amandosi, paventando l’alba che, inesorabile, sarebbe giunta a separarli – ma lì, dinanzi a tutti, lei non avrebbe mai potuto permettersi di lasciarsi andare al dolore lacerante che sentiva artigliarle lo sterno.

Aveva imparato ad apprezzare la sorella del suo amato, Susan: aveva imparato a rispettarla e a comprenderla, scoprendo nella rossa quegli stessi tratti di orgoglio e testardaggine che anche lei aveva coltivato con costanza dentro di sé per proteggersi dal mondo.

Siria non le avrebbe permesso di crollare.

Ed infatti la strega la strinse sino a che non avvertì i suoi singhiozzi placarsi, la Regina riguadagnare il controllo sulle proprie emozioni; solamente allora la lasciò andare, sorridendole e stringendole affettuosamente le mani fra le proprie.

-Grazie.- sussurrò Susan, prendendo un profondo respiro e trovando finalmente la forza di alzare lo sguardo verso Aaron, che si era avvicinato alle due donne e che, senza dire nulla, le accarezzò amorevolmente una guancia col dorso della mano – inseguendo una lacrima fuggita dall’autocontrollo della sua amata Regina, nascondendola al mondo dove solamente lui avrebbe potuto scorgerla e conservarne la purezza in eterno.

-T-Tara!-

Tutti e tre si voltarono di scatto, stupiti, quando una voce stridula – che solo dopo un secondo riconobbero per quella di Caleb – esclamò il nome della ragazzina… appena in tempo per vederla porre fine al bacio che aveva schioccato con decisione sulle labbra di un Edmund più sconvolto di quanto nessuno lo avesse mai visto.

Susan sgranò gli occhi, ma Siria ed Aaron sorrisero; anche Lucy, Caspian, Aysell e Mirime ridacchiarono davanti a quella scena che, in fondo, tutti si aspettavano già da molto tempo – tranne, forse, proprio Edmund…

La ragazza si ravviò i lisci capelli biondi dietro la spalla, soddisfatta, replicando all’espressione stravolta del bruno con determinazione ed assoluta tranquillità. -Vedi di tornare presto, Pevensie.- gli intimò soltanto, ammiccando appena prima di raggiungere Talia per aiutarla ad impedire che Caleb saltasse alla gola del più giovane dei Re Pevensie.

Edmund, incapace di pronunciare alcunché, si limitò ad annuire lentamente e a seguirla con lo sguardo fino a che non la vide allontanarsi insieme al fratello, parlargli piano, prenderlo in giro – “Tara…”

Prese fiato, cercando di riordinare le idee che quel rapido bacio aveva mandato all’aria; e arrossì quando, guardandosi intorno, si rese conto di essere al centro dell’attenzione di quel branco di pettegoli che, se non se ne fosse andato alla svelta, lo avrebbero di certo fatto morire d’imbarazzo.

Solamente Peter, stranamente, sembrava non essersi unito all’ilarità generale che il gesto di Tara aveva provocato.

Il più grande dei Pevensie era rimasto immobile, fissando insistentemente le naiadi che, protettive, si erano chiuse attorno alla propria Sovrana per sottrarla allo sguardo dell’uomo che amava e che, assieme al suo amore, possedeva anche tutte le armi per distruggerla – semplicemente esistendo.

-Shaylee…- sussurrò, sentendo un moto d’ira accendersi dentro di lui quando comprese che lei era lì, a pochi metri – eppure lontana ed intoccabile com’era stata tanto a lungo… come lui non poteva sopportare di vederla di nuovo.

no.

Si voltò verso il Grande Leone, rimasto seduto accanto agli alberi del portale.

-Aslan, io… no.- ripeté, incerto, ma non rimase ad attendere la risposta del felino; balzò dalla piattaforma e si diresse, determinato come non si era mai sentito prima di quel momento, verso la corte delle ninfe, scostò con ferma gentilezza le guardie personali della Sovrana e afferrò Shaylee, stupefatta, per un polso, tirandola a sé ed inginocchiandosi al suo cospetto.

-Peter…?- esalò la naiade, arrossendo furiosamente quando avvertì decine di sguardi puntarsi su di loro. -Che cosa stai facendo?- sibilò, sentendosi letteralmente andare a fuoco quando il biondo le prese una mano e ne baciò dolcemente il dorso, sorridendole e guardandola con quell’ardore che, nonostante tutto, era in grado di farle dimenticare ogni cosa.

-Resto.- rispose lui, semplicemente, ed il suo volto si rischiarò come il cielo dopo un temporale. -Vuoi sposarmi, Shaylee?-

Fu fragoroso il silenzio che seguì quella proposta, e tante furono le bocche aperte e le espressioni sorprese; persino Siria, che taceva raramente, boccheggiava davanti a quella scena surreale – “Oh, no, non di nuovo i piccioni in amore! Qualcuno mi vuole davvero male, qui!”

-…eh?- fu il commento educatamente sorpreso di Mirime, che ben esprimeva lo sconcerto della solitamente imperturbabile pleiade, spezzò la tensione venuta a crearsi e permise a tutti di prendere fiato, ancora sconcertati.

-Ma chi mai vorrebbe sposarlo quel coso, lì?- esclamò Talia prima che qualcuno potesse impedirle di parlare e fu Caspian, stavolta, a zittire Siria per impedirle di scoppiare a ridere davanti a tutti all’uscita sarcastica della sua amica.

La reazione di Aysell fu la più coerente: la naiade, infatti, si limitò a sventolare teatralmente una mano dinanzi al volto deliziosamente impallidito, allungando voluttuosamente l’altro braccio per cercare l’appoggio della spalla di Mirime.

-…sto per svenire.- declamò, profondamente turbata, guadagnandosi un’occhiata piena di rispetto e di ammirazione da parte delle sorelle, di Caspian e di almeno tre quarti della popolazione.

Qualcuno la fermi prima che dica di sì!” la sentirono strillare le altre Figlie e fu arduo, per loro, continuare a respirare senza permettere all’ilarità di prendere il sopravvento.

Shaylee, tuttavia, per una volta riuscì ad ignorare il palese disprezzo che sua sorella non mancava mai di reiterare nei confronti di quell’uomo meraviglioso che le stava innanzi – Peter, il suo amato Peter… che la stava chiedendo in sposa.

-Shay, non o__mmph!-

Ancora una volta, il commento di Aysell – prontamente soffocato dagli infallibili riflessi di Mirime – non fu in grado di strapparla a quei due splendidi, cristallini occhi celesti colmi d’amore e di speranza.

Con delicata grazia, si abbandonò al peso dell’emozione che il suo corpo non era in grado di sostenere, scivolando in ginocchio dinanzi a lui. Piangeva: stille di incommensurabile gioia si raccolsero fra le dita di Peter quando il giovane vi racchiuse il volto di Shaylee – e lei vi s’aggrappò con dolce impeto, mentre un sorriso estatico le sbocciava sulle labbra.

-Sì.-

Un’ovazione di gridolini eccitati ed esultanti coprì il rumoroso pensiero di Aysell – “Ecco! Il danno è fatto!” – quando, di slancio, Peter Pevensie trasse a sé la sua amata e la baciò con passione e trasporto.

Un sospiro generale, invece, fu l’unica reazione che si permisero le Figlie di Aslan: Talia, comprensiva, si avvicinò alla bionda per consolarla dopo quella proposta strappalacrime che Aysell proprio non aveva gradito; Mirime, come le era ormai di abitudine, rivolse ad Aslan un’occhiata storta, mentre Siria ridacchiava un po’ istericamente a causa delle emozioni discordanti che le attraversavano la mente.

I restanti Pevensie e Caspian scesero per congratularsi con la coppia, sebbene tutti quanti fossero dolorosamente consapevoli di quanto quella gioia non sarebbe potuta durare a lungo. Fu Lucy, incapace di credere che non potesse esistere un modo per far trionfare l’amore, a voltarsi verso Aslan con lo sguardo lucido.

-Aslan… Peter deve restare!- implorò, accorata – e Siria, accanto al leone, sentì il cuore incrinarsi quando cominciò a comprendere quale, fin dall’inizio, fosse il piano che Aslan aveva pazientemente ordito.

Il mastodontico felino annuì, muovendo qualche passo per accostarsi alla piccola.

-Sono d’accordo con te, mia diletta, ma la Grande Magia non lo permette.- le fece notare dolcemente, prima di dirigere la propria attenzione verso Aaron e Siria. -In quattro sono giunti ed in quattro dovranno tornare.-

Un gelo innaturale parve emanare dalle parole pacate del Signore di Narnia: Aaron lo avvertì ghermirgli le vene, serpeggiandogli nel sangue nell’istante in cui anche lui capì.

La Grande Magia non permetteva eccezioni.

Zaira, che lo aveva cresciuto ed amato come la madre che lui non aveva mai conosciuto, aveva spesso spiegato a lui e a Siria l’importanza di quell’immenso dogma che regolava lo scorrere della vita a Narnia e in tutti i mondi toccati dalla magia.

Se qualcosa veniva donato, qualcos’altro doveva essere sottratto.

Lanciò un’occhiata angosciata a sua sorella, accorgendosi immediatamente di quanto fosse impallidita alle parole di Aslan: anche lei aveva scorto il collegamento… anche lei aveva capito.

La ragazza scosse la testa, costringendosi a non ricambiare lo sguardo tormentato di Aaron.

-E quattro saranno.- sussurrò, tanto piano da non riuscire quasi ad udire le proprie parole.

Aslan, però, la sentì.

La strega prese fiato, ignorando l’espressione sbigottita comparsa sul viso di Aysell e facendosi coraggio – fosse stato facile… -Aaron può… può prendere il posto di Peter, se è permesso.- pigolò, serrando convulsamente le mani sulle proprie braccia – perché il dolore, lo sapeva, sarebbe presto arrivato.

Tutti, stavolta, colsero distintamente la sua voce… eppure tacquero, chi sorpreso, chi sconvolto, chi dilaniato dalla sofferta consapevolezza di dover scegliere tra un amore ed un altro.

-Lo è.- annuì, grave, il Signore di Narnia.

Susan e Peter, a quella risposta, sussultarono. Esisteva davvero una possibilità, una strada alternativa da percorrere, un sentiero che non li avrebbe divisi da coloro che amavano – ma dalla loro famiglia.

Il volto di Aaron, di solito sempre attento a non lasciar trapelare alcuna emozione, ora parve a Siria dilaniato da un’angoscia e da un’incertezza che lei non vi aveva mai colto prima d’allora. Suo fratello fece un passo verso di lei ma, prima che potesse raggiungerla, la rossa si sottrasse al suo tocco – rinunciando inconsciamente a quel conforto che, lo sapeva, non avrebbe avuto più.

Distinse qualcosa spezzarsi in lui, nei suoi occhi, nella sua espressione; nello stesso attimo una coscienza profonda e rassicurante sfiorò il suo animo dolente, riscaldandola là dove il gelo dell’abbandono già accarezzava i suoi pensieri.

Ne sei certa, mia cara?” le domandò la voce pacata di Aslan.

Lei annuì, ricacciando indietro il pianto che sentiva già pungerle il viso. “Voglio solo che mio fratello sia felice.”

La strega chiuse gli occhi, costringendosi ad allontanare da sé la presenza del padre – non voleva sentire, non voleva vedere, sapeva che cosa sarebbe successo e non era certa di avere la forza di assistervi.

-Aaron, Peter.- sentì chiamare, i passi dei due allinearsi per rispondere all’appello. -Desiderate davvero tutto questo? Il prezzo da pagare per questa scelta è molto alto.-

, concordò Siria fra sé: il prezzo era un fratello…

-Sue…- udì boccheggiare Peter e, detestandosi, provò un immediato trasporto nei confronti della stupida acciuga bionda – come amava definirlo Aysell –: quella scelta, per lui come per lei, implicava un sacrificio non indifferente.

Un lungo silenzio parve dilatarsi in quel ventoso pomeriggio di fine estate. Poi dei passi, uno schiocco secco e, in un qualche modo, definitivo; Siria sbirciò, ansiosa, in tempo per vedere Peter ed Aaron scambiarsi una stretta di mano.

-Se puoi rendere felice mia sorella, allora non posso che darti la mia benedizione.- declamò il biondo, sorridendo con quello che a tutti sembrò uno sforzo titanico – e lo era, diamine se lo era!

Rivolse un cenno ad Aaron prima di separarsi da lui, avvicinandosi al resto della sua famiglia: Edmund stava lottando contro se stesso per non permettere al sorriso forzato che aveva in volto di sbiadire mentre Lucy, emotiva come sempre, piangeva.

S’inginocchiò, accarezzando i capelli soffici della piccola. -Lucy… questo non è un addio, sorellina.- le ricordò, scostandole un ciuffo dalla fronte.

-Lo so ma…- la ragazzina tirò su col naso, guardandolo con gli occhioni pieni di lacrime. -Sono felice per te, davvero, ma…-

Il fratello annuì, capendo. -Non sarai sola, Lu.-

Edmund, alle spalle della sorella minore, annuì con fare solenne. Lucy, cogliendo il gesto e il muto scambio di promesse fra i due uomini della sua vita, si morse il labbro nel tentativo di trattenersi… e fallendo miseramente, gettandosi al collo di Peter e scoppiando in un pianto a dirotto.

Peter, per nulla sorpreso, la cullò fra le braccia che tante volte l’avevano protetta dagli incubi e dal suono incessante delle sirene d’emergenza e degli aerei tedeschi, accarezzandole la folta chioma rossiccia.

-Mi mancherai tanto…- singhiozzò la bambina e lui, toccato, non poté far altro che affondare il viso nell’incavo della sua spalla sottile, riempiendosi i polmoni e la memoria del profumo familiare dei capelli di Lucy.

-Anche tu, piccoletta.- mormorò soltanto, perché un doloroso nodo di commozione gli impedì di aggiungere altro.

Rimase stretto a Lucy per quella che gli parve un’eternità, ma fu comunque con dispiacere che si sciolse dall’abbraccio per alzarsi in piedi e rivolgersi a Edmund.

-Toccherà a te fare l’uomo di casa, adesso.- gli ricordò, accostandoglisi e stringendogli brevemente una spalla – se solo, qualche anno addietro, gli avessero detto che Edmund sarebbe cambiato così tanto… -Fatti onore, pivello.- aggiunse, strappando una risata incerta al fratello prima di tirarselo addosso in un ruvido abbraccio che Edmund, impacciato almeno quanto lui, ricambiò con sincero trasporto.

Dopo qualche attimo un tocco delicato gli sfiorò la spalla; girando lo sguardo, con gli occhi gonfi di commozione, trovò Susan che, separatasi da Aaron, reclamava l’addio del suo fratello maggiore.

Non avevano mai avuto bisogno di troppe parole per capirsi, loro due – né per detestarsi, ovviamente –, e nemmeno in quell’occasione si smentirono. Bastò uno sguardo, un mezzo sorriso, per dirsi tutto ciò che non si erano mai detti, prima che il biondo attirasse lei e Lucy nell’abbraccio.

 .

Aveva perso Peter. Avrebbe perso lui.

Siria sentì gli occhi riempirsi di lacrime quando Aaron, insicuro, le si avvicinò, ma le ricacciò indietro e contrasse il volto in un sorriso tirato – celando lo sguardo con un gesto secco della mano e ringraziando, fra sé, il fastidio che le provocava la luce vivida e intensa di quel Sole pomeridiano.

Aveva perso Peter. Avrebbe perso lui.

-Siria, non…- cominciò il fratello, ma lei scosse la testa.

Aaron non avrebbe voluto andarsene, non voleva lasciarla sola… ma amava Susan e lei ne era così felice, e sapeva che la cosa giusta da fare era incoraggiarlo a seguirla – non sarebbe mai stato felice senza di lei, così come lei non avrebbe mai potuto trovare pace lontana da Caspian.

-Vai.- con uno sforzo terribile – uno sforzo che solamente Caspian, al suo fianco, comprese appieno – Siria alzò gli occhi sul fratello e gli sorrise: era un sorriso che trasudava lacrime, un sorriso umido ma terribilmente sincero.

Siria rabbrividì quando, con una delicatezza fin troppo misurata, abbracciò suo fratello. Tutto quello che non gli aveva mai detto, tutto ciò che lui significava per lei, lo avvertì bruciare in quella stretta forte ed un poco disperata.

Padre, confidente, amico: Aaron era stato la sua famiglia quando il mondo stesso l'aveva rifiutata, era stato tutto… ed ora se ne sarebbe andato – era la cosa più giusta per tutti quanti, ma questo non lo avrebbe mai reso meno doloroso…

Aaron avrebbe seguito la donna che amava. Aaron sarebbe stato felice.

Continuare a ripeterselo era un buon modo per impedirsi di piangere.

Sapeva di aver fatto la scelta giusta, Siria, così come sapeva che Aaron la stava stringendo così forte perché non voleva lasciarla lì, lontana dal proprio sguardo di fratello, dove lui non avrebbe più potuto proteggerla.

Pareva non volerla lasciare. Pareva non volersene andare.

Le sue braccia erano forti intorno a lei. La stringeva con forse anche troppa irruenza, come se volesse strapparle via il dolore dell’addio, come se avesse voluto dividersi in due per restare con entrambe le donne che amava.

Ma Siria sapeva: sapeva di dovergli permettere di andare.

Poteva godere ancora un po’ di quell’abbraccio, però; poteva affondare per l'ultima volta il viso nel collo di lui e inspirare il profumo di selvatico che lei stessa portava sulla pelle, che li avrebbe sempre accomunati: loro erano i figli di quell’impenetrabile foresta che aveva fatto loro da casa per tanti anni, e niente – nemmeno un universo di mezzo – avrebbe potuto cambiare quella realtà.

Rimasero stretti a lungo mentre i rumori intorno a loro si riducevano ad un brusio indistinto, insignificante.

-Ti voglio bene.- sussurrò Siria, sulla gola di lui, strusciando appena il viso per meglio nascondersi in quell'incavo – lo aveva sempre fatto, fin da piccolissima...

Una miriade di dettagli, di particolari di lei, improvvisamente invasero la mente di Aaron.

Il piccolo vezzo di tormentarsi le mani quando era agitata; la dolcissima vanità con cui sistemava i suoi lunghi capelli in una treccia; il sorriso birbante di quando era bambina e combinava una marachella; la sua passione per il cioccolato, la gioia nel vederla sgranare gli occhi quando – con diversi sacrifici – riusciva a procurarle quel dolce tanto costoso.

Ricordò quando da bambini loro due e Gwaine giocavano con dei bastoni, immaginandoli spade e fingendo di essere i grandi guerrieri del passato; ricordò i pomeriggi passati a pescare, le notti a contare le stelle. Ricordò la prima volta che la aveva portata con sé a cavallo, l'emozione della sua sorellina con quelle due trecce rosse e quegli occhioni pieni di vita.

Ricordò il tormento che non le aveva dato pace dalla morte della madre. Ricordò di aver temuto per la sua incolumità, che quel qualcosa che la Strega Bianca aveva impiantato nel suo cuore riuscisse a distruggerla, a portargliela via. Ricordò con quanto sollievo l'aveva vista ricomparire dalla foresta, con Talia al suo fianco e un'ombra negli occhi, specchio di quelle cicatrici candide sui polsi.

E ricordò di quando era arrivato quel principe. Ricordò di averlo visto distruggerla, spezzarla... e di averla vista rinascere da quella devastazione, ricordò che l'amore di quel ragazzo era riuscito a farle trovare se stessa – in lui.

-Ti voglio bene anch'io. Sempre.- sussurrò, stringendosi più forte a quel corpo di donna che, per lui, sarebbe per sempre rimasto quello di una bambina – della sua bambina, della ragazzina allegra che si arrampicava sugli alberi.

Fu Siria a sciogliere quell'abbraccio.

Fu Siria a sorridere, di nuovo, con quelle lacrime negli occhi che brillavano alla luce del Sole.

Fu Siria a guardare Susan solo per un istante, ricevendo in cambio un sorriso e un deciso cenno di assenso.

Restagli accanto, Susan. Resta con lui. Rendilo felice.

Gli alberi gemelli sospirarono nel vento lieve che, silente, sfiorò le chiome di coloro che si accingevano a partire: il tributo della pleiade fu quell’ultimo sospiro denso dei profumi di Narnia, che li avrebbe per sempre accompagnati anche a universi di distanza.

I saluti erano stati fatti e più nulla poteva trattenerli ancora in quel luogo. Fu senza guardarsi indietro che, insieme, i Pevensie ed Aaron valicarono quella soglia misteriosa, sparendo là dove nessuno di loro avrebbe potuto seguirli.

Siria tremò, avvertendo una fitta rassegnazione avvolgerla in un bizzarro senso di straniamento.

Era successo davvero? Aaron era davvero andato via?

Per un istante fu sicura di aver sognato. Aveva trascorso l’intera vita sapendo che Aaron sarebbe stato un porto sicuro a cui tornare, una certezza incrollabile che non l’avrebbe mai abbandonata… che adesso, tuttavia, non c’era più.

Che non sarebbe tornata.

Il peso schiacciante di quel pensiero le diede, per un attimo, la sensazione di barcollare: non sapeva che cosa le avrebbe riservato il domani, ma capire che Aaron non ci sarebbe stato fu un colpo durissimo e difficile da accettare.

ma non sarebbe stata sola.

Come mai prima d’allora – mai con quella chiarezza luminosa, abbacinante – la presenza delle sue sorelle le sbocciò nel petto, dandole la forza di alzare una mano per cancellare le lacrime che le avevano rigato le guance.

Aaron sarebbe stato felice, ne era certa; ma sapeva anche, con la certezza indissolubile che solamente l’affetto delle sue compagne poteva darle, che ciò non avrebbe significato la sua solitudine e la sua sofferenza.

Talia, Mirime, Aysell: loro erano lì e ci sarebbero sempre state.

Erano la sua famiglia.

Il tocco di Caspian, la sua mano nella propria, le strappò un sorriso. Lo sguardo che le rivolse fu una promessa che, ne era sicura, lui non avrebbe mai mancato di mantenere.

C’erano tante cose da fare e mille altre da progettare: il castello di Cair Paravel da ricostruire, il regno da consolidare, l’esercito narniano da amalgamare a quello umano – una vita intera, per loro, in quella nuova Narnia che sarebbe diventata più bella e forte di quanto si sarebbe mai potuto immaginare.

Una vita insieme.

Caspian era lì, con lei… e, adesso, il futuro non la spaventava più.

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My Space:

Aysell: ...ci eravamo vicine tanto così! E invece NO, nemmeno stavolta siamo riuscite a liberarci di Peter! Non è possibile! *tic nervoso*

Peter: ma... ma!

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E così, anche stavolta, ho terminato ciò che avevo iniziato.

È servito più tempo di quello che avevo immaginato, e sono cambiate mille e mille cose nel frattempo: qualcuno se n'è andato, qualcuno è tornato, qualcuno è arrivato a cambiare per sempre la mia vita. Assieme a me è cresciuta, maturata, anche Rebirth, come tutte le creature che si creano e si crescono con amore, dedizione e pazienza.

Questa storia era nata per gioco, ma è diventata molto di più. Dopotutto, succede sempre così, no?

Vorrei ringraziare le tantissime persone che hanno sempre seguito questa storia, i lettori anonimi e chi ha voluto lasciare una traccia di sé nel corso di questi anni che hanno portato Rebirth alla sua ultimazione. Tutti, dal primo all'ultimo, siete stati una forza che mi ha spronata a migliorare la mia scrittura e tutto ciò che ne consegue... e, di conseguenza, anche me stessa.

Le peripezie di questo branco di matti narniani non sono finite: sto già lavorando da tempo al secondo capitolo di questa saga, "Narnia's Redial", e anche "Narnia's Memories" non è finita nel dimenticatoio! Inoltre ho alcuni altri progetti molto simpatici relativamente a questi personaggi... quindi non disperate (?), non vi libererete delle mie ragazze, di Caspian e di Peter!

Aysell: che gioia!! -.-

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E... niente, sono pessima nei saluti. Ma, dopotutto, questo non è un addio ma soltanto un arrivederci, no? :)

Quindi... a presto!

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Sempre vostra,

B.

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