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Autore: ranyare    08/08/2010    8 recensioni
Ingrano la marcia, sentendo il cambio maledire il momento in cui sono salita in macchina. Accelero bruscamente, il motore ruggisce in risposta al mio gesto violento, rabbioso.
Quarta.
Cento chilometri orari.
Sale di giri, il motore. Ringhia, ruggisce, vibra nel mio petto e nel mio corpo tentando di ridare vita a quel cuore oramai in pezzi. Inutile, anche solo provarci.
Quinta.
Centocinquanta chilometri orari.
La macchina ruggisce, strepita, protesta; ma non m’interessa, voglio solo che il rombo del motore copra l’urlo disperato che echeggia nel mio petto, voglio solo che la strada sfocata che sfreccia intorno a me cancelli le immagini che continuo a vedere di fronte al mio viso.

Per risorgere, spesso bisogna bruciare.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Ben Barnes
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Wicked & Humorous Tales'
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Phoenix

The Last Song I'm Wasting On You - Evanescence

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[Ray.]

.

Ingrano la marcia, sentendo il cambio maledire il momento in cui sono salita in macchina. Accelero bruscamente, il motore ruggisce in risposta al mio gesto violento, rabbioso.

Quarta.

Cento chilometri orari.

Sale di giri, il motore. Ringhia, ruggisce, vibra nel mio petto e nel mio corpo tentando di ridare vita a quel cuore oramai in pezzi. Inutile, anche solo provarci.

Quinta.

Centocinquanta chilometri orari.

La macchina ruggisce, strepita, protesta; ma non m’interessa, voglio solo che il rombo del motore copra l’urlo disperato che echeggia nel mio petto, voglio solo che la strada sfocata che sfreccia intorno a me cancelli le immagini che continuo a vedere di fronte al mio viso.

Ho davanti solo il volto di Ben. Il suo sorriso, i suoi occhi che brillano di una luce che ho arrogantemente, scioccamente, ingenuamente pensato che potesse rivolgere soltanto a me.

Ho davanti solo questo. Le fossette che si aprono lievi sulle sue guance quando sorride, una sua smorfia palesemente divertita, una linguaccia fatta alla fotocamera.

Un bicchiere fra le mani, un amico accanto.

E dita eleganti, smaltate di nero, posate sulla sua coscia. Dita che non sono mie. Una mano che non è la mia. Un corpo che non è il mio, accanto a lui. Lunghi capelli biondi, ricci, occhi dorati, espressione vacua, vuota.

Almeno questo. Pensavo di avere qualcosa, in più di quelle creature infime come lei…

Ho davanti soltanto Tamsin Egerton, ed il fiotto d’odio che sento invadermi la bocca rischia di provocarmi un conato di vomito, di rabbia, di dolore. Quel dolore che sento contrarsi nel mio stomaco, nel mio petto, quella morsa che si serra ghiacciata sul mio cuore infranto, ghermendola, come artigli di rapace.

Lei, accanto a lui.

Lei, che ride con lui.

Lei, che lo accarezza, che lo guarda, che si fa guardare.

Lei, vicina a lui.

Loro, che ballano, troppo vicini, troppo intimi.

Ed un ennesimo CRACK che risuona nel mio petto silenzioso.

L’acceleratore vibra sotto il mio piede, la frizione si alza e si abbassa frenetica, il freno e lo sterzo sembrano intuire la mia furia; assecondano i miei movimenti, mentre il vento fischia rabbioso dai finestrini aperti, dando voce al mio dolore.

Mi ha tradita.

Ben. Mi ha tradita.

Che stupida.

Che stupida, che sono…mi sono lasciata illudere.

Ho lasciato che facesse breccia nel mio bozzolo di ghiaccio e cinismo. Ho lasciato che le mie difese si abbassassero di fronte a quello sguardo, a quegli occhi neri che sento ancora pizzicare la mia nuca.

Per cosa?

Mi sono abbandonata ai suoi baci, alle sue carezze, alla sua voce; ho lasciato che mi riempisse, che diventasse indispensabile per la mia anima che già si dibatte in una terribile astinenza che minaccia di lasciarmi vuota, spenta, priva di vita.

Per cosa?

Mi sono illusa.

Mi. Sono. Illusa!

Perché non ne avevo abbastanza, vero? Perché non ne ho passate abbastanza! Perché non ho ancora imparato la lezione! No, invece di restare nel mio ghiaccio, nella mia solitudine, ho preferito rischiare! Mai, mai innamorarsi, è soltanto una fregatura!

E io? Io cos’ho fatto, invece?

La strada scorre, sotto ai miei occhi, senza che io possa davvero vederla. È appannata, dietro gli occhiali da sole le mie iridi sono velate di lacrime. Dietro quelle lenti che proteggono il mio dolore dal resto del mondo, piango.

Gli ho concesso qualsiasi cosa. Gli ho dato tutto. La mia anima, gliel’ho data. Il mio amore, il mio corpo, il mio respiro. Gli ho dato tutta me stessa, ogni sorriso, ogni lacrima, ogni sguardo pieno d’amore, io l’ho donato a lui. Per lui mi sono messa in gioco…per lui ho cercato la voglia di vivere, di combattere.

E lui?

Lui ha distrutto tutto.

E io?

Io, adesso, non sono niente.

L’unica cosa che mi è rimasta è l’ombra di un cuore; spezzato, frantumato, ridotto in briciole.

Ho dinanzi agli occhi della mente il suo sguardo, quando gli ho soltanto chiesto perché.

Ho ancora nel petto il suo silenzio; un silenzio che mi ha assordata, un silenzio che ha scavato rabbiosamente una voragine dentro di me. Una voragine che ha distrutto tutto, lasciando di me soltanto un patetico, fragile involucro vuoto. Spezzato.

E ho ceduto.

Io, Ray, ho ceduto. Me ne sono andata.

Ignoro il limite. Non c’è un limite al dolore che sto provando. Non c’è un freno alla sofferenza che mi sta dilaniando dentro. Non c’è nessun limite.

Sento ancora la pelle bruciare, là dove le sue mani sapevano accarezzarmi. Sento ancora la gola ardere, sotto le sue labbra che rapivano ogni anelito, ogni battito, ogni sospiro.

Lo sento ancora, lo sento ancora dentro di me.

Che sciocca.

Non esiste l’amore, Ray. Tu, proprio tu, avresti dovuto capirlo tanto tempo fa.

Will.

Il nome del mio migliore amico risuona violentemente nel silenzio del mio corpo distrutto, spossato. Stanco.

Angel.

Il visetto dolce della mia migliore amica fa capolino fra quelle maledette immagini, fra l’odio, fra la rabbia, fra il terribile vuoto – là, dove fino a poche, stupide ore fa c’era Ben.

Non smetto di guardare la strada. Il mio istinto è saldo, i miei sensi sono all’erta; eppure, vorrei soltanto morire, adesso. Ma me lo impedisco; non posso farlo, c’è ancora qualcuno. Qualcuno, che soffrirebbe nel vedermi andare via.

Non come Ben.

Non come ha fatto lui.

Lui, che mi ha lasciata andare via. Lui, a cui forse, dopotutto, non importa così tanto.

Ho le guance rigate di lacrime; scendono fin sulla gola, sul petto, cercando di lenire le bruciature che il suo tanto effimero – falso, sciocca ingenua – amore ha lasciato su di me.

Tremando, riesco a trovare senza guardare il telefonino, l’auricolare che porto con dita tremanti all’orecchio. Due tasti, un numero in memoria rapida; il numero di William.

Uno squillo.

Rispondimi, Will. Ho bisogno di te. Ho bisogno di voi. Vi prego

Due squilli. Tre squilli.

Rallento un poco, quando vedo una macchina, nella corsia opposta alla mia, supera un camion che la rallenta e si ritrova in senso opposto, proprio di fronte a me.

Quattro squilli. Cinque squilli.

Ci sono due ragazzi, lì dentro. Sento la musica house arrivare fino a me, li vedo ridere fra loro, li vedo mimare un brindisi con due bottiglie di birra.

Sei squilli.

C’è qualcosa che non va.

Sette squilli.

Non possono rientrare. Davanti al camion, altre due auto. Non c’è spazio.

Otto squilli.

Vedo me stessa serrare la mano sul cambio; sento il motore ruggire di dolore quando ingrano violentemente la prima, i giri che aumentano fino a superare la soglia critica.

Nove.

Mi vedo tirare il freno a mano, mi vedo sterzare con violenza verso destra. Da lontano, da fuori, come se non appartenessi più a quel fascio di nervi che è il mio corpo.

Vedo la mia macchina girare su sé stessa, le gomme che stridono sull’asfalto, il fumo che si alza minaccioso dal cofano e dagli pneumatici. Vedo i due ragazzi urlare, terrorizzati, provare a frenare.

Dieci.

Ben.

-Pronto, Ray?- Will, Angel.

-Will, Angie…vi voglio bene.-

CRASH.

 .

 .

[Will.]

La linea cade esattamente un istante dopo lo schianto.

Uno schianto. Il rumore dei freni che stridevano.

Ray…

Angel mi sta guardando, allibita, gli occhioni sgranati, più pallida di quanto non l’abbia mai vista. Ed anch’io sento il colore scivolare via dal mio viso, mentre il cuore sembra non voler accettare, il cuore accelera bruscamente per fuggire dalla brutta, brutta ipotesi che si sta formando nella mia mente.

Ray.

È uno scherzo.

Non può esserle successo qualcosa.

Non a Ray, non alla mia amica.

A lei non succede mai nulla di grave, lei riesce a salvarsi sempre, lei non…

È automaticamente, che compongo rapido il suo numero.

L’utente da lei chiamato non è al momento raggiungibile. La preghiamo di riprovare più tardi, grazie.

Forse è solo caduta la linea. Forse ha solo il cellulare scarico. Forse era solo il suono di un piatto che si rompeva.

Passano lunghi minuti di silenzio, mentre guardo il telefonino spento, mentre cerco di capire. Sento la lancetta dell’orologio ticchettare.

Angel, accanto a me, è silenziosa; istintivamente, cerco la sua mano, le sue dita minute ed eleganti.

È calda, Angel, è qui. È qui con me.

Solo la sua presenza riesce a rischiarare la confusione che ho in testa. Solo sfiorandola, riesco a recuperare un barlume di lucidità.

La strada che porta a casa di Ray e Ben, da qui, è una soltanto. Forse Ray stava – sta – venendo qui. Forse se andiamo adesso, la troviamo. Forse…

Qualcosa, dopo dieci minuti di totale shock, scatta.

Angel si sta già vestendo, in fretta e furia. Io non me ne accorgo, non mi rendo conto di quello che sto facendo; sono già nell’ingresso, la sto già aspettando in macchina, mentre febbrilmente continuo a tentare di chiamare Ray.

-Will, andiamo!- Angie, la mia Angie, si fionda accanto a me, allacciando la cintura in fretta, la paura scritta sul viso.

Accelero con violenza, partendo forse anche troppo velocemente. Ma non può essere successo nulla, mi dico. Ray sta bene. Ray sta bene, Ray è forte, Ray se la cava sempre.

-Chiama Ben.- sussurro, posando il telefono fra le dita sottili della mia Angel. E lei annuisce, componendo immediatamente il numero del nostro amico, tremando mentre aspetta che lui risponda.

-Ben?- trema, lo sento. Ha paura. -Ben, dove sei? D-Dov’è Ray?- la sento chiedere, appena balbettante. Qualche attimo, qualche secondo di risposta, e vedo il suo volto incupirsi.

-Angie…- la chiamo, piano, tentando di non lasciarmi prendere dal panico. Panico che aumenta, quando un’ambulanza a sirene spiegate supera la nostra auto, dirigendosi nella nostra stessa direzione.

-Come, è andata via?- accelero, mentre sento la voce di Ben incespicare di là dal telefono, lo sento tremare, lo sento…piangere? Sta piangendo? Sa qualcosa che non sappiamo, sa se…

Ray…

-Ben, Ben calmati, devo sapere dov’è andata!- anch’io riesco a sentire le parole balbettate del mio amico.

-N-non lo so…penso stesse venendo da voi, io…- la voce di Ben, il respiro affannato di Angie, il rombo del motore sportivo nel cofano. Si spegne tutto. Clic.

Tutto diventa improvvisamente silenzioso, quando vedo l’ambulanza fermarsi quasi sgommando vicino a un qualcosa che si può definire come disastro.

Ci sono due macchine incidentate, in mezzo alla strada che la polizia, già accorsa, sta chiudendo.

Una delle due macchine è bianca; potrebbe somigliare ad un’Audi, se non fosse per l’intero muso piantato nel fianco della seconda auto. Una seconda auto che invece è verde, verde cupo; una BMW Coupé, completamente distrutta. Il pilota ha cercato di spostare l’impatto sul lato sinistro, girando la macchina; e l’Audi gli è entrata completamente nell’abitacolo, rendendo la bella auto soltanto un ammasso di ferraglia e sedili squarciati.

È bella, quella macchina.

Piace tanto anche a Ray.

E infatti, quando ha trascinato tutti e tre al concessionario – felicissima, perché finalmente ha potuto comprare la sua prima macchina veramente nuova –, ha scelto esattamente quella.

La stessa macchina che adesso è ridotta ad un ammasso di rottami.

Ci sono due corpi, stesi sull’asfalto, accanto alla BMW.

Due corpi.

Due corpi velati da un telo bianco.

Due corpi.

-Ray!- sento la voce di Angel fare eco nella mia, e bruscamente ci buttiamo entrambi fuori dall’auto, spaventati, terrorizzati, mentre a terra vedo tanti piccoli dettagli che riescono soltanto a farmi sentire ancora peggio.

Ecco lì un pupazzetto che Ray tiene in macchina. Teneva.

La pallina rossa, la pallina simile alle decorazioni cinesi, che è appesa allo specchietto. Era.

Due corpi.

Sento l’asfalto massacrarmi i piedi, quando mi fiondo assieme ad Angie verso le due macchine distrutte.

Ray.

Qualcuno ci ferma: entrambi, ci ritroviamo bloccati da braccia più forti di noi.

-Ragazzi, non potete passare, è…- vedo gli infermieri alzare la barella. Non li avevo scorti, prima; erano dietro l’auto di Ray, dall’altro lato rispetto a dove siamo noi, li vedo spostarsi rapidamente verso la loro ambulanza.

Vedo il sangue. Vedo tanto sangue.

-No…- sento sussurrare la voce spezzata di Angel, ed istintivamente la traggo a me, la stringo al mio petto, impedendole di guardare. Un istante dopo, la sento singhiozzare; piange, perché ha già visto quello che io non ho il coraggio di guardare.

Sangue.

Sangue ovunque.

Sul fianco, uno squarcio tremendo.

Il collo serrato in un collare, il viso una maschera rossa, densa, scura.

Pelle candida. Le da sempre fastidio essere così pallida.

Capelli biondi. Ci scherza sempre, dicendo che sembriamo gemelli.

-Ray…- sussurro, e sento il mio stesso viso deformarsi in una maschera di orrore.

Ray.

Ray.

Cristo, Ray…

Ha gli occhi chiusi.

Tamponano il sangue, ha un respiratore sul viso.

Ha gli occhi chiusi.

-Ragazzo, la conosci?- nemmeno mi accorgo di aver annuito.

-E’…è mia sorella…- è la mia voce, quella che sento adesso? Mi sembra così lontana, così vuota…ma sì, dev’essere la mia, perché l’agente improvvisamente mi lascia andare. Mi lascia libero, libero di muovermi, libero di andare da lei.

Ma non posso lasciare Angel.

Non posso costringerla a vederla.

Non posso lasciarla, non posso fisicamente lasciarla andare.

È la mia unica ancora. L’unica cosa che m’impedisce di crollare.

-Angel…- sussurro, ed è ricordarmi che lei è qui, che c’è, che singhiozza fra le mie braccia, ad impedirmi di crollare. La stringo forte, la stringo a me con tutta la forza che ho; ma non riesco, non riesco a non vedere il viso di Ray dietro le palpebre chiuse. Il viso spigliato, sarcastico, cinico; il viso che raramente si schiude in un sorriso, e quando lo fa è qualcosa di raro, qualcosa di veramente prezioso. Prima.

E dopo. La maschera di sangue. Gli zigomi spaccati, le labbra lacere, le guance pallide macchiate di rosso. Gli occhi chiusi.

E la sento. Quell’unica lacrima, rigarmi la guancia e correre a nascondersi fra i capelli del mio angelo. Quell’unica lacrima che mi permetto.

Avrò tempo, da solo, per piangere.

-Angel…dobbiamo seguirli.- mormoro soltanto, dopo quella che mi è parsa un’infinità. E, quando riapro gli occhi, vedo l’ambulanza ripartire.

Dobbiamo seguirla. Dobbiamo andare con Ray. Non la lascio sola, non adesso, non posso pensare di non…di…

Improvvisamente, mi ricordo di una cosa. Mi ricordo del telefono, mi ricordo di…Cristo, Ben.

Sfilo il cellulare dalla mano di Angie, e vedo che la chiamata è ancora aperta. Merda. Merda, merda, merda.

-Ben.- comincio, cercando di restare il più calmo possibile. Eppure, il colpo in pieno stomaco arriva lo stesso; arriva, puntuale, quando sento il singhiozzo strozzato dall’altra parte della linea.

-W-Will…Will, cos’è successo a R-Ray…?- lo sento singhiozzare, il respiro affaticato, stanco, quasi rantolante. Non voglio immaginare. Non voglio sapere come si sente, non voglio nemmeno immaginarlo.

-Ben, vieni immediatamente in ospedale.- è tutto ciò che riesco a dirgli. Sono freddo, lapidario; è l’unico modo perché riesca a darsi una scossa.

E infatti, quando parla di nuovo, è più calmo.

-…okay.-

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My Space:

Dovute, dovutissime, obbligatorie spiegazioni.

Ho questa fanfiction, che sarà divisa in tre capitoli, in cantiere da...mesi, penso. Ne ho altre due, di carattere ben diverso (e anche di diversa ambientazione), in fase di stesura.

Allora, era parecchio che non scrivevo su Ray, Angie, Will, Ben. Premetto che questa fic sarà dai Point Of View dei due biondi, di Ray e di Will: perché alla fin fine, 'sti due bischeri sono due parti indistinte della sottoscritta.

Non è stata scritta in un periodo molto felice, come penso si possa notare ^^" lascio a voi i commenti e le domande, vi sottolineo solo che la foto incriminata è questa, scattata sul set del Viaggio del Veliero (sto contando i giorni all'uscita, sì. E' IN TREDDì! *O*):

*muori fra atroci sofferenze, Egerton!!!!!!*

   
 
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