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Eccomi con una fan fiction sul mio manga preferito, Slam Dunk
Eccomi con una fan fiction sul mio manga
preferito, Slam Dunk! Non è la prima che scrivo su questo fandom (anche se
questa è la prima che pubblico su EFP, in anteprima mondiale! XD) ed ero
parecchio indecisa se pubblicarla o meno… ho già scritto una quindicina di
capitoli, ma manca ancora molto a concluderla! Intanto posto il prologo, spero
vi incuriosisca!
Adoro scrivere su Slam Dunk… perché lo
conosco a mena dito, così come posso dire con fierezza di conoscere alla
perfezione la psicologia dei personaggi… li adoro, dal primo all’ultimo! E
ancora di più adoro rigirarli come un calzino, tra le loro debolezze e i loro
pregi, adoro metterli in situazioni paradossali e divertirmi con loro! Magari
esistesse un gruppo di amici come loro! ;___;
Bene, parlo un po’ della storia con
qualche precisazione e poi si inizia! *O*
Allora, l’intera fan fiction è
incentrata durante un ritiro tra Kainan e Shohoku, ma non escludo che in
futuro, con l’evolversi dei fatti, ci possa essere anche qualche capitolo sul
dopo ritiro. Nota importante: il
campionato di prefettura finisce il 27 giugno mentre quello nazionale inizia il
due luglio. Non vogliatemene se inserisco tra la fine e l’inizio dei due
campionati due settimane di ritiro!
Altra piccola precisazione: troverete
alcune espressioni giapponesi nel corso della storia, non che cibi o altre cose
sempre giapponesi; a fine pagina, con le dovute numerazioni, troverete la
relativa corrispondenza in italiano.
Il titolo: è sempre una croce per me
sceglierlo e, come la maggior parte delle volte, mi rivolgo ai santi della
musica! Questa volta è preso da una canzone dei Duran Duran,
“Wild Boys”, perché diciamocelo: i ragazzi di Slam Dunk sono decisamente
selvaggi a volte (cioè quasi sempre!)! XD
Ultimissima cosa e poi vi lascio (e mi
sembra anche l’ora!): i personaggi principali sono dello Shohoku e del Kainan,
ma non escludo che compariranno anche le altre due squadre di Kanagawa, Ryonan
e Shoyo!
Prologo.
Si sa, il
cognome Sakuragi riporta sempre alla memoria delle grandi teste calde.
Hanamichi primo fra tutti. Ma Hime, la sorella gemella dizigote, non
era certo da meno. Anzi.
Per Takenori Akagi,
il Gorilla dello Shohoku, era una continua lotta fisica e interiore tenere a
bada quegli scalmanati dei Sakuragi. Dopo aver conosciuto Hanamichi sperava che
almeno la sorella, in quanto donna, potesse essere più alla mano e meno
imbecille del fratello.
Risposta
sbagliata.
Sembrava
si divertissero un mondo a fargli saltare i suoi poveri nervi in ogni
istante degli allenamenti. Erano casinari, rompiballe e soprattutto ogni
occasione era buona per attaccare briga con gli altri imbecilli della squadra.
Inutile dire che l’unico che non perdeva le staffe era Rukawa, il
gelido volpino dei diavoli rossi, che si limitava a freddarli con poche ma
efficaci parole.
L’unica
cosa positiva che si poteva dire dei due era che, nonostante tutto,
si impegnavano. E imparavano in fretta.
Hanamichi
giocava a basket da poco, ma il suo livello di apprendimento era
strabiliante. Peccato che, nonostante le potenzialità, si applicasse poco.
Hime, invece,
era la seconda manager della squadra, assistente di una povera Ayako
che non solo doveva sopportare i cinque elementi della squadra, ma doveva
sorbirsi anche i fiumi di parole della ragazza. Non che la detestasse,
anzi. Le due avevano fatto subito comunella, al loro primo
incontro. Ma Ayako soffriva spesso di mal di testa e certo Hime non
l’aiutava con la tranquillità.
Ora, il
problema per i calma-teste-calde dello Shohoku arrivò alle porte di
un ritiro tra le due squadre di Kanagawa che avevano avuto accesso ai
Campionati Nazionali, ossia Shohoku e Kainan. Per Akagi questo significava solo
una cosa: un orizzonte in vista condito di due settimane infernali. Anzi,
diciamo anche che a confronto con quello che avrebbe dovuto sopportare, le
fiamme dell’inferno risultavano persino più piacevoli.
E non solo
perché tenere a bada quei casinisti dei suoi compagni risultava essere
un’impresa che valeva cento allenamenti tutti in una volta; ma soprattutto
perché nell’altra squadra c’era un altro bel problema con le gambe, che
non perdeva occasione per azzuffarsi con i due.
E questo
Nobunaga Kiyota lo sapeva bene. Oh se lo sapeva. Li odiava entrambi, quei due
Sakuragi! L’uno la copia dell’altra! Averli intorno equivaleva a fargli saltare
le coronarie alla velocità della luce. Non che lui fosse un tipino calmo e
tranquillo, anzi. Quei tre, insieme, erano peggio di una bomba a orologeria.
Con la differenza che la bomba almeno scoppiava a una determinata ora, loro
invece erano imprevedibili e incessanti.
Hanamichi detestava
Kiyota, eccome se lo detestava. Gli veniva mal di testa solo a
sentire la sua voce petulante che si proclamava Rookie numero uno di
Kanagawa. Anche perché era lui il vero Rookie di
Kanagawa, non certo una scimmia selvaggia come Kiyota.
Hime,
d’altronde, non poteva fare altro che dare man forte all’adorato fratello.
“Coalizione fraterna”, così la chiamava per giustificarsi con Akagi quando
iniziava a battibeccare con il numero dieci del Kainan.
Perché, certo,
sebbene Hime fosse una ragazza, Nobunaga non si faceva mettere i piedi in testa
facilmente, soprattutto da una che si chiamava Sakuragi. Quello mai. Aveva un
orgoglio da difendere, lui!
Se solo
pensava che avrebbe visto mattina e sera quei due pazzi scalmanati per le due
settimane successive gli veniva prurito in tutto il corpo. Oh, ma avrebbe
risposto pan per focaccia, alle loro provocazioni.
Eccome! Anche a costo di ammazzarli, se necessario.
Shin’ichi Maki,
il severo capitano del Kainan, dal canto suo non accolse felicemente
l’espressione di folle vendetta che aleggiava sul viso del piccolo Kiyota.
Sospirò mesto, sperando che quegli squilibrati evitassero di farsi riconoscere
sempre e comunque e, soprattutto, che quelle due settimane passassero
in fretta.
Akagi, ormai, stava fumando rabbia da tutti i pori
Salve a tutti! Non
pensavo di ricevere commenti e addirittura un preferito solo per il prologo!
*_* /me danza contenta
Lucilla_bella: già, ieri ho finito
il sedicesimo XD nel giro di una settimana mi è venuta l’ispirazione e ho
scritto tutto °_° Per quello ero indecisa se pubblicarla o meno, perché è
avvenuto tutto troppo in fretta! E grazie mille per la scrittura! *_* Spero di
rendere al meglio tutti i personaggi e di dare onore alla lingua italiana; è così
bella per storpiarla! ;O;
Lili Rose: grazie mille anche a te! Spero che questo
capitolo ti piaccia! ^^
E grazie anche a HPalessandra per
il preferito!
E ora diamo inizio
veramente a questa fanfiction!
Buona lettura,
Kenjina.
Capitolo
I
Sakuragi no
Baka!
Akagi,
ormai, stava fumando rabbia da tutti i pori. Non era servito un mite Kogure o
una buona Ayako a sedare la sua collera. Le uniche due cosa che avrebbero
potuto scaricare il nervoso del Gorilla erano le teste rosse dei Sakuragi che,
per un ignoto motivo, ancora non erano spuntate da nessuna parte. Erano in
ritardo, in tremendo ritardo. E la tentazione di partire senza di loro era
parecchio forte per scartarla.
«Si
può sapere che fine hanno fatto quei due?», chiese Ayako a un Miyagi perso nei
suoi riccioli scuri.
«Spero
si siano ammazzati, almeno ce li togliamo dai piedi», abbaiò Akagi, stringendo
gli occhi nel guardare l’angolo dal quale sarebbero dovuti apparire i due
gemelli. Perché Kami-sama[1] era stato
così crudele con lui da affibbiargli quell’accoppiata micidiale? Che aveva
fatto di male nella vita per meritarsi quei due?
«Hn… purtroppo no», fu il commento assonnato della volpe
artica, che reprimeva a stento uno sbadiglio.
Akagi
guardò i due correre come matti, trascinandosi due sacche più pesanti di loro,
probabilmente cariche di tutto fuorché di cose effettivamente utili.
La
coppia non fece in tempo ad arrivare sotto le grinfie del Gorilla, che questo
assestò due pugni nella capa rossa del ragazzo.
«Itai![2] Orrido
gorillone!», si lamentò Hanamichi, tenendosi dolorante la testa lesa. «Si può
sapere perché i pugni che spettano a lei me li devo sempre prendere io?!».
Hime
sorrise birichina, battendogli una mano sulla spalla. «Perché io sono una donna
buona e tenera, e Akagi nonostante l’aspetto da bestione è un vero gentleman!».
Inutile
dire che a quelle parole (che fecero scoppiare a ridere tutti) l’istinto ferino
del centro dello Shohoku lo stava spingendo a tirare un bel pugno anche alla
ragazza. Ritrovando il suo karma[3] interiore,
Akagi li passò in rassegna attentamente. «Non ho intenzione di sopportarvi
questi giorni. Vedete di calmarvi!».
Hime,
sorridendo innocentemente, agitò con fare noncurante la mano. «Oh, Gori, non
preoccuparti! Lo terrò a bada io, questo scalmanato!».
Ayako
si avvicinò all’amica, mettendosi le mani sui fianchi. «Hime, ricordati che io
non esito a usare il mio ventaglio, eh!».
«Sì,
sì, lo so bene, mamma».
Miyagi
e Mitsui, che avevano assistito alla scena senza sapere se ridere o vergognarsi
di avere certi elementi in squadra (come se loro fossero degli angioletti,
poi), si avvicinarono ai due, con un sorrisino vispo.
«Come
sempre, se non fate un’entrata in scena degna dei Sakuragi non siete contenti,
eh?», chiese la guardia dello Shohoku.
I
gemelli sistemarono le sacche nel cofano del pullman che li avrebbe portati in
ritiro, volgendosi verso i due con il segno della vittoria e un sorriso
sornione stampato sulle labbra. «Siamo due geni, no?!», esclamarono in coro.
Come
si aspettavano tutti, in pullman la situazione iniziò a precipitare.
«Ahaha! Gran bell’arrivo, Sakuragi!», esclamò Kiyota,
alzandosi sul suo sedile dal fondo del mezzo. «Degno di due scimmie come voi!».
«Checcosa?!», gridarono i due, rivolgendogli uno sguardo di
fuoco.
«Su,
ragazzi, prendete posto! Così vediamo se ci siamo tutti», disse Ayako, eletta
(chissà perché proprio lei) manager ufficiale del ritiro. Hime era rimasta profondamente ferita da quella scelta.
I
due fratelli presero posto negli unici sedili liberi del pullman, al centro,
vicino a Miyagi, Mitsui e a un volpino che già stava dormendo, sfracellato
contro il vetro del finestrino e un rivolo di bava che fuoriusciva dalle labbra
semiaperte.
Senza
neanche dare ascolto a quello che Ayako diceva, Hanamichi stava già pensando a
un bello scherzo da fare alla super matricola dello Shohoku.
Ma
l’ombra di Akagi di fronte a lui gli fece freddare tutti i bollenti spiriti.
«Tu, Sakuragi. Vieni con me».
Il
ragazzo, preso e tirato per un orecchio nonostante le sue lamentele, venne
portato sotto la stretta custodia del Gorilla che, però, non si dimenticò della
ragazza. «Ti sto osservando, Hime Sakuragi».
Lei
sorrise candidamente, facendo scendere un gocciolone ai due seduti davanti.
«Sei
incredibile, Hicchan», disse Ryota, facendola ridere.
«Il
problema è che ne va fiera», continuò Hisashi, scuotendo la testa.
«Ehi,
femmina di scimmia rossa! Vedi di tenere a bada i tuoi stupidi neuroni, per il
bene di tutti!».
Hime
si voltò, stringendo gli occhi castani. «Tu, invece, nonostante quella fascia
di protezione, non riesci proprio a evitare la fuga del tuo cervello, eh
Kiyota?».
La
scimmietta del Kainan divenne rossa per l’affronto, soprattutto perché quella
frase aveva sortito l’effetto sperato anche tra alcuni suoi compagni di
squadra; per non parlare di quelli dello Shohoku, che stavano letteralmente
rotolando dalle risate (sempre con le dovute eccezioni).
«Kiyota,
evita di provocare, per favore», disse imperativo Maki, seduto al suo fianco.
Il
ragazzo lanciò uno sguardo infuocato alla ragazza che, con un altro sorriso
furbetto, si voltò a parlare amabilmente con Miyagi e Mitsui.
Il
viaggio iniziò nel caos, ma questo era prevedibile come il sole che sorge a est.
Da una parte lo Shohoku, tra risate, pugni in testa, gorilla vari infuriati e
volpini in letargo; dall’altra il Kainan, tra proclamazioni di supremazia e
frecciatine ben assestate.
Dopo
un quarto d’ora dalla partenza Hanamichi, eludendo la sorveglianza del gorilla
impegnato in un momento di distrazione con gli allenatori Anzai e Takato, prese
il microfono del pullman, sotto lo sguardo sbalordito del conducente, che pensò
seriamente di buttarsi dal mezzo in corsa.
«Signori
e signore, è il genio che vi parla! Vorrei annunciarvi che alle vostre spalle
potete osservare un raro esemplare di scimmia selvaggia proveniente dal Kainan!
E con lui il suo domatore personale!».
Hime
scoppiò a ridere nel momento in cui un Akagi letteralmente furioso prendeva il
microfono e lo tirava in testa al fratello, promettendogli di infilarglielo su
per il naso se avesse azzardato qualcosa di simile in futuro – mentre il
conducente guardò con crescente interesse il finestrino aperto e l’asfalto che
si muoveva velocemente sotto di lui.
Kiyota,
invece, se non fosse stato trattenuto per il bordo della felpa da un Maki
avvilito per essere stato definito l’ammaestratore del suo numero dieci,
sarebbe balzato su quell’imbecille di Sakuragi e l’avrebbe riempito di botte.
Cosa che sopportò ancora di meno fu la risata della ragazza, acuta e
decisamente troppo contagiosa per i suoi gusti.
Si,
assolutamente doveva inventarsi qualcosa in quelle due settimane, per fargliela
pagare.
*
Il
viaggio proseguiva da un’oretta buona, tra il solito disordine.
Hanamichi
stava raggomitolato sul suo sedile con le braccia conserte e un faccino
imbronciato, sotto lo sguardo attento e ormai già bello che schizzato di Akagi,
che non aveva nessuna intenzione di mollarlo per un secondo.
Hime,
invece, stava chiacchierando con Ayako, che si era sistemata accanto a lei al
posto del fratello; davanti a loro Miyagi e Mitsui si erano voltati verso di
loro, con le braccia appoggiate al proprio sedile.
«Ma
c’è anche la piscina, quindi?», chiese sempre più interessata Hime, con gli
occhioni ormai al culmine della brillantezza.
«Si,
c’è la piscina, la stanza termale e la palestra. Poi affianco c’è l’impianto
sportivo, con due campi da basket al coperto, uno all’aperto e uno da tennis.
Spero solo che non ribaltiate quel posto in queste settimane, ragazzi».
«Ma
no, Aya-chan! Fidati di noi!», esclamò Miyagi, completamente perso.
«Di
voi posso anche fidarmi, Ryota. È di loro che non mi fido», fece la manager
dello Shohoku, indicando i due fratelli.
«Ayako,
così mi si spezza il cuore!», esclamò melodrammatica Hime, portandosi le mani
sul petto. Poi, tornando allegra, aggiunse: «Comunque qualcosa per la notte
dobbiamo organizzarla!».
Hisashi
piegò la testa di lato. «Immagino che tu e l’amico tuo abbiate già in mente
qualcosa».
Un
sorriso sornione gli fece capire tutto.
«Ragazzi,
per favore… comportatevi bene», supplicò Ayako, sull’orlo della disperazione. «Altrimenti
chi lo sente Akagi?».
Hime
l’abbracciò, schioccandole un bacio sulla guancia. «Ci comporteremo malissimo,
puoi contarci!».
I
quattro risero, nonostante un gorilla poco più avanti avesse sentito l’intera
conversazione e stesse già preparando un piano diabolico per troncare ogni cosa
sul nascere.
Mitsui,
guardando in direzione del volpino, esclamò: «Ma come diavolo fa a dormire con
tutto questo casino?».
«La
forza del sonno, cosa tutto non fa!», esclamò Hime, guardando Rukawa e ridendo.
Hanamichi,
percependo solo la parte finale del discorso, balzò sul proprio sedile, alzando
un pugno al cielo. «Ma quale forza del Sonno! Lo sconfiggerò io il Sonno!
Poiché sono un genio! Ahaha!».
«Idiota,
quello è il Sannoh!».
E
nuovamente giù a ridere per le cretinate che diceva il rossino. Anche dal fondo
del pullman partirono alcune sghignazzi divertiti. Sebbene fosse un esagitato,
Hanamichi riusciva a far divertire chiunque. O almeno, quasi chiunque.
«Il
solito demente, non c’è niente da fare», borbottò Kiyota, guardando contrariato
il paesaggio fuori dal finestrino.
«Non
puoi negare che a volte le scemenze che fa e dice non siano esilaranti», disse
sorridente Soichiro Jin, il tiratore da tre del Kainan.
«Bah!».
Nobunaga
alzò lo sguardo oltre i sedili che aveva davanti e sbuffò nel vedere quella
donna-scimmia della Sakuragi alzarsi e barcollare un poco per il movimento del
pullman. Quella ragazza era estremamente insopportabile. Forse anche più del
fratello. Almeno con Hanamichi potevano pestarsi a sangue per scaricare i
nervi. Lei invece era una donna e non avrebbe mai alzato un dito su di lei. A
meno che non fosse proprio lei a iniziare. Accidenti, davvero non la
sopportava. Era incredibile quanto delle volte gli venisse l’istinto di
toglierle quel sorriso impertinente dalle labbra a suon di schiaffi.
Sbuffò
nuovamente, distogliendo lo sguardo. Hime Sakuragi era l’ultima ragazza al
mondo che un ragazzo avrebbe potuto desiderare. Era carina, sì. A stento
arrivava al metro e settanta (a differenza del fratello che era più alto di lei
almeno venti centimetri), ma era ben formata, un viso dai lineamenti delicati,
due occhi nocciola ironici e vispi. I capelli, ovviamente, erano rosso fuoco,
lunghi e mossi, perennemente ritirati in una pinza. Sì, decisamente era una
ragazza “fisicamente accettabile”. Se non si fosse ritrovata il carattere
idiota del fratello.
Hime
si avvicinò ad Hanamichi e al Gorilla, che le riservò un’occhiataccia
terrificante.
«Salve,
Capitano!».
Akagi
grugnì un saluto di risposta, incrociando le braccia al petto e guardando
avanti.
«Hicchan,
il Goril– ouch!».
«E
non chiamarmi Gorilla, idiota!».
La
ragazza sorrise benevola al fratello, che dopo qualche piagnucolio, riprese a
parlare. «Dicevo, il signore qui affianco, prima, ha avuto la brillante idea di
farmi dormire in stanza con lui e Megane-kun[4], per tenermi
sotto controllo! Mi porti via, stanotte?».
Hime
scoppiò a ridere, vedendo il faccino depresso del fratello. «Dai, Akagi, non
vorrai tenerlo in gabbia?».
Hanamichi,
d’altro canto, sbiancò di colpo. «In gabbia… con un gorilla!».
Akagi
riprese a fumare come una teiera, assestandogli il secondo pugno in meno di due
minuti sulla capa rossa. «Ma allora te le cerchi, brutto mentecatto!», sbraitò
furente.
La
ragazza si grattò pensierosa la testa. «Hanamichi, al posto tuo farei il bravo»,
disse seria.
«Ecco,
finalmente parli come una ragazza matura, Sakuragi».
Hime
sorrise furbetta al Capitano, rivolgendosi al fratello. «Più che altro vedi di
procurarmi qualche banana quando sarai lì dentro!».
Per
poco Akagi non le rifilò una gomitata sul fianco, se non fosse stato per la
rapidità della ragazza che, sentendo l’odore del pericolo (volutamente
cercato), si era velocemente allontanata.
«Che
idiota».
Hime
si avvicinò al volpino, che teneva ancora gli occhi chiusi. «Allora non stai
dormendo, bella addormentata!».
Rukawa
brontolò qualcosa simile a un “hn”, mentre lei gli si
sedeva accanto.
«Risparmiami
la tua voce, ti prego».
Hime
rise, asciugandosi una lacrimuccia dall’occhio. «Kaede, a volte sei più
simpatico di Hanamichi».
«Chi
è più simpatico di me?!», gridò il diretto interessato, facendo voltare tutti
verso di lui.
«Una
scrofa», fu il commento di Rukawa, che si sistemò noncurante nel suo sedile.
«Ma
brutta volpaccia!».
«Calmati,
idiota!».
«Oh
ohoh!».
Hime
scoppiò nuovamente a ridere, sentendo anche il riso della Nonnetta. Era
inutile, con quel branco di matti si divertiva troppo! E sicuramente quel
ritiro si prospettava all’insegna del caos totale!
[1]Kami-sama: “Kami” è il nostro “Dio”, mentre “-sama” è un suffisso parecchio formale che si utilizza per
rivolgersi a persone di alto rango, più anziane o, in questo caso, a divinità.
[3]Karma:
direttamente dalla Wiki “Karma è un termine
sanscrito (traducibile grossolanamente come agire, azione)
che indica presso le filosofie orientali il principio di
azione-reazione che regola la vita di tutto ciò che è manifesto
nell'universo.”
[4]Megane-kun: “Magane” significa “Quattrocchi”, il
soprannome che Hanamichi ha dato a Kogure. Il suffisso “-kun”,
invece, è utilizzato per rivolgersi a coetanei per sottolineare un certo
rispetto. È utilizzato anche da ragazzi verso persone più grandi per indicare
confidenza e anche da ragazzi a ragazze, anche se questo è più raro trovarlo.
Grazie mille Ayakuccia! Eh, ne vedremo delle belle
con quei due in giro! Ma anche gli altri si daranno da fare, certo… mica
possono stare indietro con i tempi! Questi pazzi… se mi scappano di mano li
picchio! DoomoArigatoo
anche per il preferito! *_* Spero di non deluderti! (:
Grazie anche a tutti
coloro che son passati di qua!
Io sparisco per due
settimane, ma per farmi perdonare al rientro posterò due capitoli! Contenti?
*silenzio di tomba*
Ehm… bene, vi auguro
buona lettura!
Bai bai!
Kenjina.
Capitolo II
Match… in a swimming pool.
L’albergo
dove avrebbero alloggiato era un bell’edificio grande e raffinato; troppo,
in realtà, se si pensava al gruppo di scalmanati e senza modi che ci avrebbe
dovuto vivere in quelle due settimane.
«Hicchan!
Guarda, la piscina!», esclamò euforico Hanamichi, strattonando la sorella per
un polso.
«Attenti
a quello che fate o vi affogo».
I
due gemelli guardarono la larga schiena del Gorilla che si avviava
verso la hall dell’albergo, mentre la voce tranquilla di Maki li
raggiungeva subito dopo. «Siete proprio incredibili, voi due!».
Hime gli
sorrise raggiante, mentre Hanamichi s’infervorava contro il Nonno Maki, come
l’aveva soprannominato.
«Ehi,
imbecille! Porta rispetto al Capitano!», sbottò Kiyota, mostrandogli un pugno.
«Imbecille
a chi, brutta Nobu-Scimmia?!».
«A
te, maledetta porca!».
«Porca
sarà tua madre!».
«Non
provare a cercare mia madre!».
Hime
guardò sconsolata i due, ma decise di non immischiarsi. Sapeva che con quella
scimmia selvaggia in mezzo ai piedi le sarebbe venuto presto mal di
testa. Quindi, fece bene ad avvicinarsi ad Ayako, che invece accarezzava
malefica il suo ventaglio, non distogliendo lo sguardo dai litiganti.
«Aya-chan,
dopo che sistemiamo le valigie, ci facciamo un bel bagno rilassante in piscina?
Mi sta venendo mal di testa!», disse, massaggiandosi le tempie.
Ayako
guardò l’amica, sorridendo vittoriosa. «Oh, mi fa piacere sentirtelo dire!
Finalmente anche tu provi a metterti nei miei panni, Hime!».
La
ragazza sorrise, imbarazzata. In effetti, quante volte aveva fatto venire
l’emicrania alla prima manager?
«Allora,
bagnetto in piscina?», chiese nuovamente la Sakuragi, sviando abilmente
l’argomento.
«E sia,
bagno in piscina!».
Nello
stesso momento due paia di orecchie vennero allargate a dismisura.
«Piscina? Bagno?! Evvai!», esclamarono in coro Ryota e Hisashi, scambiandosi un
five.
«Ehi ehi!», iniziò Ayako. «Nessuno vi ha detto che
potete saltare gli allenamenti!».
I
due la guardarono delusi, con le spalle abbassate per l’amarezza.
«Suvvia,
Ayako! Dopo un viaggio estenuante come il nostro è anche normale che un po’ si
riposino!», fece Hime, sorridente.
Fu
una voce cavernosa dietro di lei che rispose per Ayako. «Non sei in condizioni
di dettare regole».
Hime
si voltò titubante verso Akagi, che la fissava con gli occhi ridotti
a una fessura. Si affrettò ad aggiungere: «Ovviamente, senza il consenso del
Capitano non si fa niente».
Akagi
la guardò un altro poco, voltandosi verso Ayako. «Se solo provano
a fare casino spediscili da me, che so come sistemarli».
Maledetta adulatrice.
E
se ne andò, ridendo malefico e promettendo vendetta, seguito da un
Kogure timoroso che qualche schizofrenia del centro dello Shohoku gli si
potesse ritorcere contro.
Nella hall
dell’albergo, Ayako fece riunire tutti i giocatori attorno a sé, leggendo le
varie accoppiate e il relativo numero di stanza.
«Checcosa?! Io non la voglio la scimmia con il suo
ammaestratore vicino di camera!», esclamò Hanamichi, indicando senza ritegno
Kiyota. Questo, d’altronde, iniziò a inveire contro il rossino e contro chi
aveva deciso l’ordine delle camere. Una sventagliata in testa gli fece calmare
i bollenti spiriti.
Ayako,
fulminando con lo sguardo i due rompiscatole, proseguì con l’elenco,
distribuendo poi le chiavi delle camere.
«Fermi
dove siete, tutti!», esclamò la riccia, mentre i ragazzi bloccavano ogni
movimento a metà. «Devo ancora darvi l’orario che dobbiamo seguire»,
disse, in un sogghigno malizioso, che fece correre brividi lungo la schiena a
tutti i presenti. Chissà che razza di orari avrebbero dovuto fare, in
quelle settimane!
«Allora…»,
disse la manager, controllando i fogli in mano. «Premettendo che sabato e
domenica sono i vostri giorni liberi, la giornata inizia alle otto e
mezza, colazione nella sala da pranzo; alle nove e mezza nelle rispettive
palestre, che poi vi saranno mostrate. Allenamenti fino a mezzogiorno. All’una
c’è il pranzo; riposino pomeridiano per farvi digerire, poi nuovamente
allenamenti alle tre e mezza, con un’eventuale partitella tra le due squadre o
tra componenti delle stesse».
A
queste parole molti giocatori drizzarono le orecchie, interessati dalla sfida.
Ayako
proseguì. «Alle sei e mezza si conclude la giornata di lavoro e fino
alle nove, ora della cena, avete campo libero. Con moderazione, s’intende»,
disse guardando uno a uno i suoi ragazzi. «Il coprifuoco è a
mezzanotte. Chiunque venga sorpreso a vagabondare per l’albergo al di
fuori di questo orario dovrà patire le pene dell’inferno».
Hime
ridacchiò. «Eddai, Aya-chan! Ma se tu stessa, prima, mi
stavi dicendo che pensavi di fare qualche capatina nella stanza di
Ryota & Company!».
Inutile dire che
la bella manager riccia iniziò a seguire la rossa, brandendo il ventaglio e
minacciandola di una morte lenta e dolorosa. Miyagi, invece, guardava la sua
adorata Ayakuccia con due occhioni a cuoricino, sperando vivamente che quello
che Hime aveva appena detto non fosse solo frutto della sua malsana mente
bacata.
*
L’acqua
della piscina era piacevolmente fresca, decisamente adatta per
sfatare la calura di fine giugno. Alcuni giocatori, sprovvisti di costume da
bagno, pensarono bene di utilizzare i pantaloncini della propria divisa, con
conseguente sgridata da parte del proprio capitano.
Nella
calma della mattinata alcuni stavano prendendo il sole, altri nuotavano
beatamente nell’acqua limpida. C’era una pace, in quel momento… una
tranquillità…
«Banzaaaaiiii!», gridarono all’unisono i fratelli Sakuragi
che arrivarono di corsa e saltarono in piscina, tuffandosi a botte e schizzando
tutto il vicinato.
«Siete
i soliti dementi voi due!», esclamò Mitsui, che però non poté esimersi dal
sorridere nel vedere i gemelli che ridevano a crepapelle.
«Accidenti
a voi!», sbraitò Nobunaga Kiyota, che stava arrivando in quel momento, seguito
da un Jin sorridente e calmo come sempre. «Mi avete bagnato la
sacca!».
I
due guardarono il borsone giallo e viola di Kiyota, che giaceva per terra
incustodito vicino al bordo della piscina ed, effettivamente, fradicio.
Hanamichi
non se ne curò, facendo spallucce e andando sott’acqua, con l’intento di trascinarsi
sotto anche la sorella e inscenare un bell’omicidio.
«Magari
si uccidessero davvero», pensò Akagi, guardandoli da una finestra.
I
due gemelli, però, non avevano fatto i conti con la furia vendicativa della
scimmietta del Kainan che, toltosi la maglietta e rimanendo in pantaloncini, li
raggiunse in acqua, con il chiaro intento di farli fuori.
Mitsui,
poggiato sul bordo della piscina, a mollo con il suo amico Miyagi, si
passò una mano sulla fronte, mesto. «Ma quanto sono infantili».
Quasi
non fece in tempo a finire la frase, che un’ondata di schizzi gli arrivò in
pieno viso.
«Brutti
balordi, ora ve lo faccio vedere io!», gridò furente, unendosi ai tre e
saltando sopra Hanamichi, che scese sotto, bevendo anche un po’ d’acqua.
Mentre il
rossino tentava un’ardua risalita verso la superficie sotto il peso di
quell’orso di Mitsui, Kiyota e Hime si schizzavano a più non posso. Poi la
ragazza sparì sott’acqua, prendendo per le caviglie un ignaro Nobunaga che, non
vedendola più davanti a sé, si guardò intorno perplesso.
«Ma dove
diavolo–».
Quando
si sentì trascinare verso il fondo della vasca capì che simpatico
scherzo gli avesse tirato e non ne fu divertito. Hime sgusciò via dalle grinfie
del ragazzo, che risalì a galla sbraitando impazzito. Quando si voltò
per trovare la rossa, la vide dall’altra parte della piscina, che gli sorrideva
furbetta.
«Io
ti ammazzo!», esclamò Nobunaga, avanzando verso di lei.
«Che
cosa vuoi fare tu?!», gridò Hanamichi, trafelato dallo sforzo, ma che comunque
aveva sentito degli intenti omicidi dell’altro contro la sua adorata sorella,
tuffandosi verso di lui.
Hime
rideva come una matta, mentre Ayako, seduta sul bordo della vasca con i piedi
a mollo, scuoteva la testa.
Improvvisamente
un pallone colorato da volleyball sfrecciò affianco alla rossa,
andando a colpire in pieno viso un povero Nobunaga, alle prese con un Sakuragi
indemoniato.
Hime
si voltò verso Rukawa, seduto sotto un ombrellone lì vicino, al riparo dai
raggi del sole che sicuramente l’avrebbero ustionato.
«State
facendo troppo casino per i miei gusti», disse atono.
«Ehi,
lurida volpe artica! Vieni a dirmelo qui se hai il coraggio!», esclamò Kiyota
verso l’altra matricola, mentre Hanamichi per poco non affogava dalle risate.
«Kitsune,
per una volta tanto sei stato grande! Bella mira!».
«E tu
zitto!», disse Nobunaga, rifilandogli una gomitata in pieno stomaco.
Hime
si avvicinò nuotando felina verso il pallone, aggrappandovisi una volta
recuperato. «Partita a schiaccia sette?».
Hanamichi
guardò euforico la sorella, lanciando poi un’occhiata alla scimmia al suo
fianco. «Io in squadra con lui non ci sto!».
Mitsui
gli diede un colpo alla nuca. «Idiota, a schiaccia sette non ci
sono squadre!».
Inutile dire che
Sakuragi divenne più rosso dei suoi capelli, mentre Kiyota si prendeva la sua
rivincita, ridendo come un invasato.
A
quel gruppetto di scalmanati si aggiunsero anche Ryota e Jin.
Hime
alzò la palla in aria, battendo per prima e gridando: «Uno!».
La
palla venne ricevuta da Kiyota, che giustamente non disse il numero
successivo. Cosa che fece invece Hanamichi, con conseguente sgridata
da parte di tutti i giocatori e rischiando anche l’espulsione.
Dopo
che la sorella gli ebbe rinfrescato le idee sulle regole del gioco (Hanamichi,
infatti, aveva tolto fuori la banalissima scusa di non ricordarsi come si
giocasse), ripresero tranquillamente; o per lo meno, bisognava vedere la cosa
dal loro punto di vista. A ogni possibilità, infatti, le schiacciate sul sette
finivano sempre o contro Hanamichi o contro Kiyota che, saltando e abbassandosi
abilmente nonostante il peso dell’acqua, riuscirono per un po’ a evitare
l’espulsione dal gioco.
All’ennesimo
sette della partita, Hanamichi saltò colpendo con forza la palla, diretta
a tutta velocità contro il solito Nobunaga. Questo, però, riuscì a prenderla in
mano senza farla cadere e un sorrisino di scherno increspò le labbra del numero
dieci del Kainan. «Ciao ciao, Rosso-Scimmia!».
«Ehi,
ti ho beccato, Nobu-Scimmia! Sei fuori dal gioco!», replicò il
rossino.
Hime
si abbassò in acqua, molleggiandosi un po’ a galla. «Hanamichi, mi dispiace
contraddirti e ancora di più dare ragione a lui, ma se la tua
schiacciata viene bloccata così allora sei tu fuori!».
Incredulo
per le parole della sorella, Hanamichi iniziò a sbraitare e a inveire contro
Kiyota, che si stava sganasciando dalle risate, mentre il resto dei presenti si
chiedeva sempre più perplesso: “Ma Sakuragi ha mai giocato a schiaccia-sette?”.
La
partitella andò avanti tra alti e bassi; vennero fatti fuori prima
Jin (che venne colpito da Mitsui per pochissimo sul braccio), Ryota (fatto
fuori dalla ragazza, che però voleva colpire Kiyota) e infine la guardia dello
Shohoku (che, a causa del pallone reso viscido dall’acqua, non riuscì a tenerla
in mano per bloccare l’attacco della scimmietta del Kainan).
Così
la finalissima si disputò tra Hime e Nobunaga, che si guardarono in cagnesco.
Sul bordo della piscina, invece, tutti osservavano divertiti la partitella,
facendo il tifo per l’uno o per l’altra, mentre altri due
(un’altra scimmia e un volpino a caso) se le davano di santa ragione senza
un motivo preciso.
La
palla spettava a Nobunaga che, galantemente (e, ci sarebbe da aggiungere, anche
stupidamente), la passò alla ragazza, che sorrise ironica.
Al
momento del fatidico sette, Hime schiacciò contro Kiyota, decisa a farlo
fuori in un colpo solo. Ma il ragazzo si buttò dalla parte
opposta, evitando il colpo.
«Dai,
Nobu-Scimmia, fatti colpire, così iniziamo un’altra partita!».
Lui,
d’altro canto, alzò un sopracciglio. «Cos’è, vuoi vincere facile?».
Hime
lo guardò di sbieco. «Non penso proprio!».
Quei
due si stavano dichiarando guerra aperta,
era palese. O meglio, se l’erano dichiarata nel momento stesso
in cui si erano incontrati.
Nessuno
dei due riuscì a vincere per i cinque minuti successivi. Poi, con un trucchetto
del fratello (poco sportivo, in effetti), che tirò un colpo in acqua, distraendo
l’avversario della sorella, Hime schiacciò contro il giocatore del Kainan,
colpendolo su una spalla.
«Vittoria!»,
esclamò lei, alzando le braccia al cielo.
«Così
non vale, idioti!», si lamentò Kiyota, sbattendo il pallone sul pelo
dell’acqua, che rimbalzò contro e gli andò a finire sul naso.
Hanamichi,
ridendo come non mai, iniziò a cantilenare: «Scimmia perdente! Scimmia
perdente!», mentre l’altro, uscendo velocemente dalla piscina, iniziò a
inseguirlo, col chiaro intento di mettergli il pallone al posto della testa.
Effettivamente,
pensò Nobunaga, la cosa non cambiava poi molto.
Akagi, ormai, stava fumando rabbia da tutti i pori
Rieccomi tornata dopo
le vacanze! Voglio tornarci! ;___; Mi mancano tanto tanto tanto ;___;
Vabbè, niente lacrime o
la finisco male! Son di fretta, quindi vi lascio subito al nuovo capitolo!
Spero sia di vostro gradimento. :)
Grazie mille a gaara4ever! Troppo buona! E grazie
mille anche a tutti coloro che leggono! E’ un piacere per me *_*
Ja ne!
Kenjina.
Capitolo
III
Akagi’s Revenge
«Ma
io mi chiedo: che sostanze prendete per avere tutte queste forze?», domandò
Ayako, guardando l’amica intenta a sistemarsi i capelli nella pinza marrone.
Hime
fece spallucce, guardandola riflessa nello specchio. «Io personalmente niente!
Più che altro mi chiedo questo pomeriggio in che condizioni si alleneranno
tutti quanti».
«Akagi
si divertirà».
Una
voce sprizzante di vitalità, proveniente dal corridoio, raggiunse la loro
camera, chiara come se la persona che stava parlando fosse affianco a loro.
«Hanamichi,
deficiente! Vuoi abbassare la voce?», esclamò esasperato Mitsui, rifilandogli
un calcio sul posteriore.
Hime
aprì la porta, affacciandosi allegra. «Tutto bene, ragazzi?».
Hisashi
la guardò, supplichevole. «Portatelo via! È insopportabile!».
«Prima,
sotto la doccia, si è messo a cantare “Macho Man”. Secondo me ha preso il tubo
della doccia e l’ha usato come microfono», spiegò Miyagi, facendo ridere la
rossa a crepapelle.
Hanamichi,
con un sorriso da ebete stampato in faccia, si avvicinò molleggiando alla
sorella e le diede un bacino sulla guancia. «Non canto benissimo?».
Hime
lo prese a braccetto. «Divinamente, direi».
«Un
muto canterebbe meglio», fu la frecciata di Rukawa, che rischiò di prendersi
una testata dal rossino, fermato in corner dalla sorella.
Ayako
chiuse a chiave la porta della sua camera, guardandoli critica. «Non vorrei
essere nei vostri panni, questo pomeriggio».
Hanamichi,
mettendosi le mani sui fianchi, esclamò: «Ahaha! Che
vuoi che mi faccia un semplice allenamento? Io sono un genio del basket, non mi
arrendo davanti a niente!».
«Esaltato».
«Ede,
non provocarlo!».
«Hicchaaan! Non dargli tutta questa confidenza, a quel
volpino!».
Ma
la ragazza non lo stava più ascoltando, allontanandosi verso la sala da pranzo
in compagnia degli altri quattro, e lasciando il rossino a vaneggiare da solo
nel suo sproloquio.
«Che
fai, parli anche da solo ora?», domandò Kiyota, uscendo in quel momento dalla
sua stanza, seguito dall’amico Jin.
Hanamichi,
abbassando le braccia lungo i fianchi, guardò la schiena della sorella che
spariva in quel momento dietro un angolo. «Hicchaaan!
Non abbandonarmi così!».
«E
zitto un po’!», sbottò Akagi, tirandogli l’ennesimo (e non ultimo) pugno della
giornata, comparendo in quel momento.
La
tavola che avevano a disposizione per mangiare era lunga abbastanza per
ospitare gli allenatori, i titolari e le manager delle due squadre, mentre gli
altri si sistemarono in un altro lungo tavolo vicino.
Hime
si sedette tra Ayako e il fratello e nelle più strette vicinanze c’erano anche
gli altri due squilibrati del gruppo, Miyagi e Mitsui. Akagi, giustamente, era
seduto davanti a loro, in compagnia del buon vecchio Maki, pronti entrambi a far
valere i loro pugni di ferro in qualsiasi circostanza (dato che al fianco del
quattro del Kainan sedeva Kiyota, troppo vicino ai Sakuragi per i loro gusti).
Il
pranzo fu piacevole, dal punto di vista culinario. E non fu neanche un caos
totale, come avevano previsto i due calma-teste-calde. I ragazzi erano troppo
stanchi dall’esperienza in piscina e decisamente affamati anche solo per
pensare di distogliere la loro attenzione dal piatto sotto i loro nasi.
Hime,
voltandosi un attimo verso il fratello per chiedergli se le passasse un po’ di
olio, scoppiò a ridere nel vederlo completamente sporco di sukiyaki
sulle labbra e sul mento. Al suono della sua risata tutti alzarono lo sguardo
verso i due e per poco Nobunaga si strozzò con l’acqua che stava bevendo.
Hanamichi
li guardò uno ad uno, scettico e curioso. Poi si voltò verso la sorella, con
uno spaghetto che penzolava da un lato delle labbra, chiedendole con la bocca
piena: «Shi può shapere che
hanno da guaddare?».
Lei,
senza smettere di ridere, gli passò un tovagliolo. «Hana, sei tutto sporco, sembri
un bambino!».
«Lo
è, che è ben diverso», fu il commento di Rukawa, che poco prima stava per
addormentarsi sul proprio piatto, se non fosse stato per Ayako che l’aveva
afferrato per i capelli.
Hanamichi
sputò il cibo, indispettito, non pensando che davanti a se avesse niente di
meno che il Gorilla e il Nonno Maki e che li aveva impiastricciati per bene.
I
pugni dei due stretti sul tavolo non fecero presagire niente di buono ai
presenti e alcuni si allontanarono con la banalissima scusa del “Devo andare assolutamente in bagno, torno
subito!”.
Quel
giorno venne ricordato come quello in cui Hanamichi Sakuragi stava per dire
addio a questo mondo per fare la sua magnifica comparsa nell’altro.
*
Gli
allenamenti iniziarono puntuali alle tre e mezza, sotto un capitano più che
infuriato. Non era trascorsa neanche una giornata e già più della metà dei suoi
nervi lo aveva salutato. Ne sarebbe uscito pazzo, su questo il Gorilla non
aveva dubbi. Ma era altrettanto sicuro che qualcuno di sua conoscenza non ne
sarebbe uscito vivo, che era anche peggio.
Hime
e Ayako, sedute sul loro tavolo intente a scrivere appunti e dati, ogni tanto
alzavano lo sguardo impietosite su quei poveri ragazzi, che si stavano sorbendo
l’ira del King Kong. Sì, perché per colpa dei soliti tre ovviamente ci
passavano tutti, anche i più calmi.
Tra
infiniti giri di campo, flessioni, salti, passaggi, tiri, nuovamente giri di
campo e altre flessioni, Akagi ebbe anche la faccia tosta di chiedere se avessero
voglia di fare una partitella senza troppe pretese. Il fatto che tutti erano
belli che distesi per terra, senza ormai più un minimo di ossigeno nei polmoni,
gli fece capire che… no, non ne avevano voglia.
Senza
neanche sapere come ci riuscirono, i ragazzi dello Shohoku raggiunsero le docce
a gattoni, dove per un minimo si ripresero un poco. Neanche volevano pensare
alle giornate successive, con un doppio allenamento in vista, per due settimane
di fila.
«Noi
non ci arriveremo mai ai Campionati, se il ritiro prende questa piega»,
borbottò Mitsui, buttandosi sul letto della camera di Ryota e Hanamichi.
Ayako
li bacchettò con il solo sguardo. «Non provate a lamentarvi, ragazzi! Se Akagi
si sta comportando così è solo colpa vostra!».
«Ma…
Ayakuccia…!».
Mitsui,
d’altro canto, si mise a sedere sul letto, guardando Hime, davanti a lui. «Ehi,
si può sapere perché Akagi non se la prende anche con te? Sei anche tu che fai
casino!».
La
ragazza arrossì, sfoderando un’invidiabile faccia di bronzo.
Hanamichi,
invece, l’abbracciò possessivo. «Lasciate stare la mia piccola Hicchan!».
I
presenti scossero la testa, mesti. Hanamichi era un vero tenerone quando si
trattava della sorella.
«Kami,
mi fanno male tutte le ossa!», si lamentò Ryota, stiracchiandosi.
«Così
imparate a fare i bambini», disse Hime, beccandosi tre cuscini in piena faccia.
«Dì
un po’, Mitchi», disse Hanamichi. «La volpe starà dormendo ora?».
L’altro
fece spallucce. «Probabile. Prima, dopo la doccia è entrato in catalessi e non
si è più rialzato dal letto».
Un’espressione
diabolica si dipinse sul viso del rossino.
«Hanamichi
Sakuragi, qualunque cosa ti stia passando per la testa scordatela!», tuonò
Ayako, mostrando minacciosa il suo ventaglio, spuntato fuori da chissà dove.
Hime
si alzò, sgusciando dalla morsa ferrea del fratello. «Ragazzi, io ho fame…
qualcuno mi accompagna a vedere se trovo qualcosa di commestibile, giù? Non
voglio sprecare quello che abbiamo per i festini!».
Le
facce avvilite e stanche dei tre ragazzi le fecero capire tutto. Ayako, invece,
doveva andare dai due capitani, per organizzare la prima partitella tra Kainan
e Shohoku.
La
rossa, allora, decise di scendere da sola, passando davanti alla camera di
quella scimmia selvaggia di Kiyota. Lo sentì indistintamente esclamare: «Ma è
ovvio che la prossima amichevole la vinceremo noi! E vuoi sapere perché, Jin?
Ma perché il Kainan ha–».
«Un
idiota patentato di nome Nobunaga Kiyota!», terminò la frase per lui, ad alta
voce in modo che la sentisse.
Immediatamente
dopo il diretto interessato spalancò la porta della camera, precipitandosi in
corridoio. «Ehi! Hai qualche problema, donna-scimmia?!».
Lei
gli fece una smorfia, non degnandolo di troppe attenzioni. Kami, quel ragazzo
era insopportabile. Non si poteva neanche scherzare!
Hime
scese le scale, verso la hall. Non c’era nessuno, tranne una vecchia signora
beatamente addormentata su una sedia. Meno male quegli scalmanati non erano
scesi con lei, altrimenti le sarebbe venuto un infarto multiplo.
Purtroppo
per lei non c’era nulla, neanche un bocconcino che di solito mettevano a
disposizione degli ospiti nella Reception. Sconsolata e soprattutto affamata si
stravaccò in una sdraio nel giardino dell’albergo. Il sole stava iniziando a
tramontare sull’orizzonte e si beò della splendida visione delle nuvole ormai
rosse. Chiuse gli occhi per qualche minuto, rilassandosi nel silenzio della
quasi sera.
Peccato
che la voce più odiosa del mondo giunse fino alle sue orecchie, deturpando quel
momento di relax totale.
«Ehi,
donna-scimmia».
Hime
si passò una mano sulla faccia, abbattuta. Ma perché non era andato a rompere
le scatole al fratello? Magari si sarebbero divertiti insieme!
«Sei
proprio seccante, Kiyota, sai?».
Il
ragazzo, che si stava avvicinando sistemandosi la solita fascia viola sulla
fronte, si bloccò, quasi offeso.
«Ma
che diavolo vuoi? Non mi pare di averti insultata gratuitamente, non ora!».
Sì,
certo. Togliendo il fatto che l’avesse appena chiamata “donna-scimmia”.
Hime
sospirò, conscia del fatto che il momento relax era direttamente andato a quel
paese, senza possibile via di ritorno. Guardò il ragazzo sedersi sulla sdraio
di fronte alla sua, mentre si ritirava i capelli in una codina bassa.
«Perché
non li tagli?», gli chiese improvvisamente.
L’espressione
di Kiyota si tramutò in un dipinto di puro orrore. «Non scherziamo sui miei
capelli. Non si toccano!».
Hime
corrugò la fronte, perplessa. «Perché? Con questo caldo boccheggerai giorno e
notte, te ne rendi conto?».
Lui
le sventolò sotto il naso un elastico nero, che di solito teneva al polso
sinistro, e la fascia che teneva in fronte. «E secondo te questi cosi li uso
per bellezza? Pensa ai tuoi di capelli invece… necessiterebbero di una bella
tinta, altro che. Che colore ridicolo!».
La
ragazza strinse i pugni, ripromettendosi che nelle due settimane successive
avrebbe preso in seria considerazione di gettare quella scimmietta petulante in
piscina e di affogarlo con le sue stesse mani.
«Che
problemi hai con i miei capelli?», esclamò, al limite dell’offesa.
«Sono
osceni di quel colore! Sembri una strega!».
«Magari
lo fossi! Ti avrei già fulminato con un incantesimo, stanne certo!».
«Racchia!».
«Ripetilo
se hai il coraggio!».
Dentro
la hall dell’albergo, la nonnina che si era appisolata sulla sedia venne
svegliata dalle loro grida, sempre più forti. In preda al panico alla vista di
quei due che si erano alzati per darsele di santa ragione, per poco la donnina
non cadde a terra. Non era certo bello vedere una coppia di giovani ragazzi
bisticciare di malo modo così!
«Non
hai proprio modi, donna-scimmia! Sei peggio di tuo fratello!».
«Non
mettere in mezzo Hanamichi!».
«Non
mi stupirei se venissi a sapere che non ti vuole nessuno!».
Rossa
per l’affronto, Hime gli tirò uno schiaffo, lasciandogli il ricordo di cinque
dita affusolate sulla guancia.
«Sei
un demente, Kiyota», mormorò la ragazza, dirigendosi velocemente verso la sua
camera.
Nobunaga
guardò la schiena della giovane allontanarsi e sparire in cima alle scale.
Accidenti a quella dannata Sakuragi. Non voleva dirle veramente quelle ultime
cose… ma diamine, aveva un orgoglio da difendere! E non gli importava un fico
secco se quella che aveva davanti fosse una ragazza! Lui era Nobunaga Kiyota,
colui che non si piega mai!
«Gran
bel colpo», fece con sarcasmo Maki, poggiato su una colonna da chissà quanto
tempo, battendo le mani.
«Ca-capitano!».
Maki
scosse la testa, contrariato. «Farà Sakuragi di cognome, ma quella ragazza non
merita un trattamento del genere, Kiyota».
Il
ragazzo abbassò lo sguardo, sinceramente dispiaciuto per il suo comportamento.
«Le chiederò scusa! Anzi, lo farò ora stesso!», esclamò esaltato, balzando
sulla sdraio.
Lasciando
un attonito Maki da solo nella hall, Nobunaga salì di corsa le scale,
dirigendosi velocemente verso la camera della ragazza. Bussò due volte,
aspettando che qualcuno rispondesse.
Sentì
dei passi trascinarsi sulla moquette del pavimento, e una voce mogia provenire
da dentro. «Ayako, ma le chiavi non le hai–», iniziò a dire Hime, ma si bloccò
appena vide il viso scimmiesco di quell’idiota di Kiyota. Fece per richiudergli
la porta in faccia senza una parola, ma la mano grande di lui la bloccò per il
rotto della cuffia.
«Che
vuoi?», gli chiese seccata.
Nobunaga
arrossì fino alle punte dei capelli, ma si fece coraggio. Kami, era difficile
chiedere una banalissima scusa! Maledizione al suo orgoglio! «Ecco, io… io
volevo scusarmi, per… beh, per prima».
Hime
lo guardò arrabbiata, gli occhi ridotti a due fessure. «Molto interessante,
ciao».
Kiyota
bloccò nuovamente la porta, con insistenza. La vide sospirare, al limite della
pazienza.
«Ok,
scuse accettate. Ora, mi lasci sola o vuoi anche entrare?».
Senza
una parola, Nobunaga girò sui tacchi, andandosene, infilandosi le mani in
tasca. Quella ragazza era decisamente troppo antipatica. E dire che si era
abbassato persino a chiederle scusa, lui, il Rookie numero uno di tutta
Kanagawa! Ok, forse questa proclamazione di genialità non c’entrava niente, ma
almeno rendeva l’idea.
«Ehi,
scimmietta».
Fermò
i suoi passi, mordendosi la lingua pur di non risponderle male.
Bene,
ora gli avrebbe parlato con un tono umano e gentile, ne era sicuro. Avrebbe
accettato le sue scuse e tutti a casa felici e contenti. Del resto, era questo
l’effetto che faceva alla maggior parte delle ragazze… tranne lei, ovviamente.
«Hai
la maglietta al contrario, ti si vede l’etichetta», disse invece lei, ridendo e
chiudendosi in stanza.
Lui,
d’altro canto, arrossì a livelli inimmaginabili, maledicendo quella dannata e
qualsiasi tipo di maglietta esistente sulla faccia della terra.
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
E dopo essermi sparata
in vena tutti e quattro i film di Slam Dunk (uno dopo l’altro, ovviamente)
[come se non fosse la centesima volta che li riguardo XD], torno ad aggiornare
Wild Boys! Quanto mi sto divertendo a scriverla *_*
Vi auguro buona lettura
e buon divertimento! E grazie a lilli84 per il preferito e il complimento! :)
A presto,
Kenjina.
Capitolo
IV
Training
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata. Contando sulla
stanchezza dei vari giocatori, il Gorilla e il Domatore di scimmie si sedettero
in disparte, parlando animatamente di basket, e lasciando campo libero agli
squilibrati del gruppo.
Non fu una buona idea e se ne resero conto troppo tardi.
Si iniziò con uno scambio di battute più o meno pesanti; poi si passò
a gesti da veri gentleman; infine a una lotta vera e propria, a base di riso e
verdure che volavano allegramente da una parte all’altra del tavolo, finendo in
testa a chiunque si trovasse in traiettoria.
«Ehi, brutto deficiente! Sai dove te lo ficco quel riso?», esclamò
Mitsui, puntando le bacchette contro Kiyota [gesto estremamente maleducato,
da fare a tavola, per i giapponesi. NdA].
«Hanamichi, hai un’alga tra i capelli», disse Hime, facendogli chinare
la testa per togliergliela. Due secondi più tardi si ritrovò un tovagliolino di
carta appallottolato in pieno naso. «Ryo-chan! Anche tu!».
Il playmaker dello Shohoku rise divertito, ma ogni bollore gli si
spense all’istante quando un’occhiataccia di Ayako lo fulminò.
«A-Ayakuccia…!».
L’unico che sembrava dormire era Rukawa che, nonostante le numerose
diavolerie escogitate da quelle due scimmie di Sakuragi e Kiyota, mangiava
tranquillo, con gli occhi mezzo chiusi dal sonno.
Hime, seduta davanti a lui, gli tirò un colpo al ginocchio con il
piede. «Ede, un giorno mi dovrai spiegare a cosa è dovuto questo sonno perenne.
A volte mi preoccupi».
«Hn», borbottò lui, da bravo orso polare.
«Sono stanco».
La ragazza sorrise perplessa. Stanco… non l’avrebbe mai detto!
«Ma brutta volpaccia spelacchiata! Non rispondere così a Hicchan, o ti–»,
ma il rossino non fece in tempo a completare la frase, perché si ritrovò
spalmato in faccia un intero piatto di ramen[1],
mentre Rukawa si alzava e spariva dalla sala da pranzo.
Tra le risate di tutti e un Akagi a dir poco infuriato, ci mancò poco
che Hanamichi si trasformasse in Superman e disintegrasse il volpino con la
forza del solo sguardo.
Dopo cena si sedettero nel giardino, all’aria aperta e fresca della
sera. I Sakuragi si sistemarono sulla sedia a dondolo, dopo aver bisticciato
per il possesso con Miyagi e Mitsui, che presero posto nelle sdraio lì vicino.
«Ayako dov’è?», chiese la ragazza, guardando verso la hall illuminata.
Fu Ryota a rispondere. «Stava chiacchierando con il signor Anzai; ha
detto che ci raggiunge appena finisce».
«Che si fa?», domandò Hanamichi, dondolandosi nella sedia.
Gli altri due giocatori lo fulminarono con lo sguardo. Mitchi,
stravaccato esausto sulla sua sdraio, esclamò: «Idiota, tu hai voglia di fare
qualcosa dopo la giornata di oggi?».
«Mi chiedo dove le prendi tutte queste energie, Hana!», disse la
sorella.
Il rossino, con un sorriso da ebete stampato in faccia, continuò a
dondolarsi, sempre più forte.
«Guarda che se continui così vi capottate», lo ammonì Ryota.
Hime guardò il fratello. «Hanamichi, ho appena finito di cenare…
vorrei digerire tutto con tranquillità!».
«Ecco, appunto! Che se poi rigetti tocca a me aiutarti a pulire
tutto!», esclamò la voce di Ayako, facendo storcere il naso a tutti.
«Aya-chan! Che visione orribile!».
La mora si sedette vicino a Ryota che, immediatamente avvampò
dall’imbarazzo.
«Allora, che si fa ragazzi?».
Inutile dire che la manager si beccò un’occhiataccia fulminante peggio
di quella riservata poco prima al rossino.
«Io direi che possiamo beatamente grattarci la pancia qui», disse
Hime, sdraiandosi sulle gambe del fratello. «Si sta così bene!».
«Domani che giorno è?», chiese Hanamichi, pensieroso.
«Venerdì. Certo che hai un senso del tempo, tu». Il rossino rise
imbarazzato alla sorella, mentre gli altri scuotevano mesti la testa. «Perché
volevi saperlo?».
«Perché così organizziamo in tempo che fare sabato e domenica!».
A quelle parole Hime si rizzò a sedere. «Giusto! Che si fa nel
weekend?».
Ayako si mise un dito sulle labbra, pensierosa. «Quella simpatica
signora dell’albergo mi stava dicendo che questo sabato c’è una festa, giù in
paese. Credo ci sia anche il luna park!».
«Luna park! Luna park!», esclamarono in coro i due gemelli, con
un’espressione di pura estasi in viso.
«Sembrate due bambini di sei anni», fu il commento di Hisashi.
«Se volete vi compro anche i palloncini», proseguì Miyagi. «E lo
zucchero filato, certo».
«Palloncini! Zucchero filato!», continuarono i due fratelli, battendo
le mani tra le risate degli altri.
«Allora è deciso, luna park!», disse Ayako, con un sorriso.
«Ci sarà da divertirsi!», esclamò Hime, strofinandosi le mani.
Il gruppetto di amici continuò a chiacchierare amabilmente fino alle
undici e mezza, sotto uno sguardo rilassato del Gorilla, che almeno poteva
tirare un sospiro di sollievo e riposarsi anch’esso, senza dover
necessariamente elargire pugni anche di notte.
*
Gli allenamenti, la mattina seguente, si svolsero più o meno “nella
norma”. Akagi sembrava aver sfiatato la rabbia accumulata il giorno prima e non
si comportò propriamente da gendarme, per la fortuna dei ragazzi. Certo, se un
Sakuragi di turno e i vari ed eventuali volpini avessero evitato di azzuffarsi
per un non nulla, incitati da altri due dementi, magari si sarebbe potuto
definire un allenamento normale. Ma definire “normale” qualsiasi cosa che
vedesse i quattro scalmanati in mezzo era un eufemismo.
«Quando si farà questa partita?», chiese Hime, poggiando il mento
sulla mano.
«Lunedì pomeriggio ci sarà la prima. Le prossime saranno a una
distanza di quattro giorni l’una dall’altra», spiegò la prima manager,
sistemandosi un ciuffo riccio dietro l’orecchio. «Nella prima giocherà Kainan
contro Shohoku. Nella seconda partita matricole da una parte e veterani
dall’altra. E così via».
Hime spostò lo sguardo sul fratello, che stava prendendo l’ennesimo
rimbalzo della giornata. «Ne vedremo delle belle! Immaginati Hanamichi insieme
a Kaede e l’altro esagitato di Kiyota… altro che gioco di squadra!».
Ayako si abbassò la visiera del cappellino sugli occhi, sbuffando
sconsolata. «Quei due, Hanamichi e Rukawa intendo, se mettessero da parte
l’orgoglio sarebbero un’accoppiata micidiale. Vedi di farglielo capire tu,
magari ti ascoltano».
Hime rise di gusto, scuotendo la testa divertita.
«Ehi, Sakuragi!», le gridò dietro il Gorilla. «Invece di stare lì a
ridere e non fare nulla, vieni a darmi una mano con questo branco di buoni a
nulla!».
«Agli ordini, Capitano!».
La ragazza sorridente trotterellò al fianco di Akagi che, mani sui
fianchi, disse: «Allora, oggi lavoreremo sulla difesa. Io, Miyagi e Sakuragi
saremo in attacco, voi dovrete difendere».
Hanamichi fece un passo avanti, posando una mano sulla spalla del
Capitano, con un’espressione seria. «Non c’è problema, Gori! Attaccherò con
tutta la mia genialità!».
«Idiota, intendevo tua sorella!», esclamò Akagi, spintonandolo al suo
posto. «Dicevo: il primo terzetto difensivo sarà formato da Rukawa, Mitsui e
Sakuragi. Dopo toccherà ad altri tre. Pronti? Tutti al lavoro, forza!».
La palestra venne sgombrata, mentre i sei chiamati in causa stavano a
metà campo. La palla era in mano a Ryota, che studiò velocemente la situazione.
Guardando negli occhi Hanamichi, passò rapidamente la palla alla rossa, che si
trovò davanti Rukawa.
«Vediamo che sai fare», la provocò.
Lei sorrise, accettando la sfida. Si chinò sul pallone, palleggiando
con rapidità e non smettendo di guardarlo fisso negli occhi. Rukawa era un tipo
orgoglioso, lei lo sapeva bene. Ma non gli avrebbe mai dato la soddisfazione di
abbassare per prima lo sguardo. Doveva ostentare sicurezza, non timore.
Fece un passo avanti, rapido, quasi inaspettato, così da metterlo in
guardia da una possibile penetrazione. La sfera arancione passò tre le gambe
della ragazza, che ora palleggiava con la sinistra. Decise allora di sfondare
la difesa dell’altro, trovandosi schiena contro petto, in un perfetto uno
contro uno. Si voltò per tirare a canestro, ma la mole di Rukawa la portò a
cambiare idea, tanto che fece cadere il pallone dietro di sé, in mano a un
Ryota pronto a ricevere.
«Ehi, volpino! La prossima volta vedi di evitare di strusciarti così a
mia sorella!», esclamò imbestialito Hanamichi a un Rukawa che si limitò a un “hn” poco decifrabile. Ryota approfittò del suo momento di
distrazione per sorpassarlo e passare la palla ad Akagi, che schiacciò, nonostante
la difesa di Mitsui.
Un poderoso pugno raggiunse la capa del rossino. «Brutto idiota, vedi
di concentrarti!».
«Do’aho», fu il solito commento.
Nel frattempo, Nobunaga Kiyota entrò nella palestra dove lo Shohoku si
stava allenando. Dire che era avvilito era poco. Non poteva fare da porta voce
alla sua squadra, accidenti! Lui era la matricola dell’anno! Il miglior
giocatore di Kanagawa, era–
«La donna-scimmia sa giocare a
basket?!», esclamò ad alta voce, facendo voltare Ayako e l’allenatore
Anzai.
«Kiyota! Che ci fai qui?», gli chiese.
Hanamichi, che fu il primo dei giocatori in campo ad accorgersi
dell’intruso, lo additò con rabbia, esclamando: «Guardate! Una spia!».
L’ennesimo pugno gli venne rifilato due secondi più tardi.
Il gioco si fermò, tutti incuriositi com’erano di sapere che diavolo
ci facesse quella scimmia-spia del Kainan durante i loro allenamenti.
«Il Capitan Maki mi ha chiesto di dare questa lista ad Akagi», disse
Kiyota, porgendo un paio di fogli al centro dello Shohoku.
Hanamichi non si fece mancare l’occasione per deriderlo. «Ahaha! Ti hanno relegato a postino!».
Kiyota digrignò i denti, offeso nel vivo dell’orgoglio. «Pensa a te,
rosso-scimmia! Tu non servi nemmeno a quello!».
«Ehi, piantatela voi due!», tuonò Akagi.
Hime guardò la scena mezzo divertita, scuotendo la testa alla volta
del fratello e dell’altro buffone. Voltò le spalle e iniziò a palleggiare verso
il canestro, preparandosi per un terzo tempo (o “tiro dei poveri”, come lo
chiamava Hanamichi). Non aveva messo in conto, però, un Rukawa deciso a
fermarla, tanto per dimostrare al mondo la sua superiorità.
Hime non si scoraggiò, certo. Rukawa era il miglior giocatore dello
Shohoku, forse sarebbe diventato anche il migliore del Giappone. Ma non
ammetteva insolenze da parte sua ne di nessun altro, solo perché era una
ragazza. Kaede questo lo sapeva bene, e voleva metterla alla prova, come aveva
sempre fatto.
Hime fece scivolare velocemente il pallone dalla mano destra alla
sinistra, in una bellissima azione sospesa in aria. E il volpino non riuscì a
fermarla.
Si guardarono un attimo, tra le occhiate sorprese dei presenti e le
bocche spalancate di due scimmiette.
«Me l’hai fatta», disse Rukawa.
Hime gli fece una linguaccia. «Me l’ha insegnato il mio maestro
personale. Sono stata brava?».
«Hn», mugugnò lui, scompigliandole i
capelli.
Quando i due si accorsero di aver destato così tanta curiosità, Rukawa
borbottò qualcosa di incomprensibile, recuperando la palla e allenandosi in
solitario; Hime, invece, raggiunse saltellando il fratello.
Hanamichi l’abbracciò forte forte, piangendo di gioia. «Hicchaaan! Sei l’orgoglio del tuo geniale fratello! Hai battuto
quel volpino surgelato!».
Tra le risate di tutti, solo Kiyota guardava ancora a bocca aperta la
rossa. Quella finta era identica a quelle che Rukawa era solito fare, durante
le partite. L’aveva fatta anche al Capitan Maki! E poi… quella ragazza sapeva tenere
un pallone in mano? Lei! La sorella di quella schiappa di Sakuragi? Per un
attimo temette di aver visto male. No, perché visto l’andazzo del fratello
neanche gli era passata per l’anticamera del cervello che Hime Sakuragi potesse
saper giocare a basket. E anche bene, a dirla tutta.
Improvvisamente una lampadina gli si accese in testa, illuminandogli
gli occhi. Ecco, trovato il modo per umiliarla e fargliela pagare! L’avrebbe
sfidata a un uno contro uno e non si sarebbe sprecato di certo, neanche contro
una ragazza! Le avrebbe dimostrato che fosse lui il meglio! Meglio anche del
tanto acclamato volpino!
«Ehi, Nobu-scimmia, tutto bene?», chiese Hanamichi, notando
l’espressione diabolica dell’altro, che perso com’era nei suoi pensieri neanche
si degnò di rispondergli.
Quando se ne andò, Ayako disse: «Quanto è strano quel ragazzo».
«Non è strano, è idiota!», affermò convinto il rossino.
«E allora ti somiglia più di quanto tu non immagini», fu la secca
risposta di Akagi, che gli rifilò un calcio nel didietro. «Su, riprendiamo a
lavorare, scansafatiche!».
[1]Ramen: piatto
giapponese che ricorda molto i nostri spaghetti, serviti in un brodo di carne
e/o pesce, con uova, pezzi di carne di pollo o maiale e molluschi di vario
genere. Il tutto servito con verdure cotte o crude.
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Konban-wa, minna-saaan!
Quinto capitolo online!
(E ne ho già scritti venti o.o ma dove voglio
andare?!)
Uh uhuh! …Non lo so nemmeno io!
Un grazie a Trilla [Sto destando curiosità, eh? *_*
Uhuhuh!], lilli84
[Aww che bello, fa ridere *_* E grazie, adoro il
Giappone, non posso non documentarmi sulla loro cultura! :)] e klikka [per il
preferito!].
Buona lettura!
A presto,
Kenjina.
Capitolo
V
Confusion
Sabato arrivò più velocemente del
previsto. Nonostante gli allenamenti mattina e sera, i ragazzierano
sopravvissuti ai primi due giorni del ritiro, senza troppi reumatismi.
Quella mattina si preannunciava più calda
del solito, ma almeno non c’erano Gorilla vari che si divertivano a far sudare
i propri giocatori.
Ayako fu la prima a svegliarsi quella
mattina. Come sempre era la più mattiniera di tutti. Guardò l’amica ronfare
beatamente, abbracciata al cuscino, e decise di lasciarla dormire ancora un
po’. Del resto, era vacanza anche per lei.
Un’ora e mezza dopo, una mano pesante
rischiò di buttar giù la porta della camera. Ayako, con i capelli ancora
bagnati per la doccia, uscì in corridoio, tirando un poderoso colpo di
ventaglio a Hanamichi.
«Hime sta ancora dormendo! Cerca di
reprimere la tua delicatezza di un elefante, Hanamichi!».
«Hicchan dorme ancora?», chiese,
dispiaciuto.
«Interessante!», dissero in coro Miyagi e
Mitsui, subito dietro al rossino.
Due minuti più tardi, i tre avevano preso
di peso la ragazza, sotto i richiami inutili di Ayako, con il chiaro intento di
buttarla in piscina e svegliarla con garbo.
In giardino Kiyota, Maki e Jin
chiacchieravano tranquillamente con altri ragazzi della loro squadra, ma le
voci concitate dei tre degeneri destarono la loro curiosità.
«Ma povera ragazza», disse Soichiro,
reprimendo un sorriso. La matricola, invece, fu costretta a tapparsi la bocca
con tutte due le mani, pur di non scoppiare a ridere. E così, mentre Ryota dava
il tempo, Hanamichi e Hisashi al tre buttarono l’ignara rossa in piscina. Ci
mancò poco che non crepasse affogata.
Riemersa dopo interminabili secondi di
puro panico, Hime li guardò uno a uno, accecata dalla luce del sole e
soprattutto dalla rabbia. I presenti, invece, si stavano allegramente
sganasciando dalle risate.
«Voi tre…», disse solo la ragazza,
tossendo per l’acqua bevuta.
«Ops, ora si
arrabbia!», fu il commento di Hanamichi, che si nascose dietro Mitsui. Del
resto conosceva bene la sua gemellina. Quando le giravano, sapeva essere
spaventosa quanto il Gorilla!
«Voi
tre!», gridò Hime, arrampicandosi sul bordo della piscina e iniziando a
seguire i suoi congiurati, infischiandosene altamente se fosse soltanto in
biancheria intima. Particolare trascurabile, forse, che però non trascurò per
niente Nobunaga Kiyota, troppo intento a studiare il corpo della ragazza con un
rivolo di sangue dal naso.
La vendetta della rossa arrivò presto:
Akagi, una volta tanto, si schierò dalla sua parte e non si fece ripetere due
volte che doveva punire quei tre disgraziati. Non solo si ritrovarono con un
bernoccolo in testa ciascuno, ma tutti e tre finirono in acqua anch’essi,
completamente vestiti.
Hime, dopo essersi infilata la felpa che
Maki le aveva gentilmente offerto, disse ai tre ancora a mollo, con un bel
sorriso e un inchino: «Buongiorno anche a voi, ragazzi!».
Dopo colazione, le ragazze del gruppo
pensarono bene di riposarsi al sole, per una breve tintarella. Gli orsi dello
Shohoku, invece, stettero a mollo tutto il giorno, tranne Rukawa che, per
confermare il suo essere sociale e allegro, prese un pallone e andò solo
soletto ad allenarsi.
«Ehi, Rukawa! Quando avrai una vita
sociale facci un fischio!», esclamò Mitsui, scuotendo la testa.
«Ma perché non lo lasciano in pace?»,
chiese Ayako, poggiandosi sugli avambracci.
Hime fece spallucce, rimanendo sdraiata e
con gli occhi chiusi. «Lo sai come è fatto, Kaede. Non gli piace la compagnia.
Ma io, in fondo, credo che questo suo comportamento serva per sortire l’effetto
contrario».
«Dici che vuole attirare l’attenzione su
di sé?».
La rossa si riparò gli occhi con una
mano, guardando l’amica. «Se non gli importasse veramente nulla non
risponderebbe nemmeno alle loro provocazioni. E invece, molte volte, è lui che inizia,
no?».
«Beh, almeno con me e te più di due
parole in croce le scambia… è già qualcosa!».
Le due scoppiarono a ridere, incuriosendo
i ragazzi.
«Chissà che avranno da ridere», disse
Mitsui, guardandole sospetto e curioso. Avrebbe pagato fior di quattrini (ma
non solo lui, certo) per scoprire di cosa parlavano le ragazze.
Miyagi sospirò, ammirando la sua bella
Ayakuccia. «Mah… donne».
«Ragazzi, ma in paese a che ora
scendiamo?», chiese Hime, mettendosi a sedere.
Loro fecero spallucce, pensando.
«Potremo andare per le sei e mangiare in
qualche tavola calda lì. Che ne dite?», propose Ayako.
Hanamichi fu quello più entusiasta.
«Perfetto! Così abbiamo tempo di salire su tutte le giostre!».
«Giostre? Dovete andare a un luna park?»,
domandò Kiyota, comparendo in quel momento.
Il rossino annuì, sorridendo
candidamente. «Se vieni anche tu ti investo all’autoscontro!».
Il moro non tardò ad acchiappare la
provocazione in un nano secondo. «Ma brutto sfigato! Ti sperono prima
dall’auto, altroché!».
«Oh, Kami-sama…»,
mormorò Hime, guardando i due. «Perché? Perché proprio a noi questo branco di
squilibrati?».
Il bue che dice cornuto all’asino…
*
All’ora di pranzo scesero tutti puntuali
in sala, affamati come bisonti. E non si erano neanche allenati!
«Kami, sbranerei una balena intera!»,
esclamò Hanamichi, prendendo posto al fianco di Miyagi.
«Più che altro ho una sete infernale. C’è
troppo caldo per i miei gusti», disse Mitsui, riempiendosi il bicchiere d’acqua
fresca.
Il pranzo arrivò dieci minuti dopo.
Hime si guardò intorno, accortasi della
mancanza di qualcuno. «Dov’è Kaede?».
Hisashi fece spallucce. «Mi ha detto che
stava scendendo».
«Strano, di solito quando si tratta di
mangiare è peggio di un orologio svizzero», constatò la rossa.
«Ehi, Hicchan!», la richiamò il fratello.
«Che te ne frega se quel volpino rimane a digiuno? Anzi, è anche meglio se
muore di fame!».
«Secondo me si è addormentato strada
facendo», fu il commento di Ryota, annuendo convinto e riempiendo le bacchette
di udon[1].
«Vado a vedere che fine ha fatto», disse
Hime, alzandosi. «Mitchi, mi dai le tue chiavi? Così se non apre vedo di
buttarlo giù dal letto!».
«Hicchaaan!»,
gridò Hanamichi. «Che diavolo ti salta in testa?!».
Miyagi gli rifilò un colpo sulla capa
rossa. «Idiota, mi hai trapanato un timpano!».
Kiyota, che si stava godendo la scena
dall’inizio, guardò con curiosità la rossa che, prese le chiavi della stanza
del volpino e della guardia dello Shohoku, zampettò verso le camere. E in
quello stesso momento si chiese che razza di rapporto legasse quei due.
Sembravano parecchio… uniti, per quanto quella parola si potesse
usare con uno come Kaede Rukawa. Eppure l’aveva notato anche lui che fossero
affiatati: si sfidavano a basket, scambiavano più di due parole e soprattutto
non si prendevano a voci. Una punta di fastidio gli scombussolò lo stomaco.
Perché diavolo quella donna-scimmia doveva andare d’accordo con una volpe
spelacchiata come Rukawa? Perché, invece, a lui lo trattava a pesci in faccia?
Sbuffò, contrariato e decise di pensare
ad altro e focalizzare la sua attenzione sul bellissimo e appetitoso piatto di soba[2] sotto
i suoi occhi, immerso in una salsa a base di soia, cipolline e uova. Quello sì
che era l’Eden!
*
Hime arrivò di fronte alla stanza del
volpino e bussò due volte, in attesa. Niente. Bussò nuovamente, sapendo che
sarebbe necessariamente dovuta entrare con l’ausilio delle chiavi – che infatti
usò due secondi più tardi.
Lo trovò steso sul letto, a pancia in
giù, come un orso sfinito da una giornata pesante a cacciare incessantemente al
fiume. Si sedette sul bordo del letto, sorridendo. Quanto era buffo quel
ragazzo, per quanto volesse apparire l’esatto contrario. Eppure quand’era
piccolo non era così asociale. Anzi, riusciva anche a sorridere, a volte.
«Ehi, orsetto lavatore», gli disse,
scuotendolo un po’.
«Hn», gemette
lui, rimanendo immobile.
«“Hn” cosa? Ti
stai perdendo il pranzo, scemo!».
«Non perdono… chi disturba il mio sonno».
«Si, si, certo… ora alzati, o i ragazzi
mangeranno anche il tuo pranzo! Dai!», esclamò, tirandolo per un braccio. «Ma
si può sapere che hai fatto?».
Il ragazzo si mise a sedere svogliatamente,
stropicciandosi gli occhi blu. «Solo due tiri a canestro».
Hime si mise le mani sui fianchi. «Un
giorno o l’altro ti trasformerai in una palla da basket, se continui così».
«Hn»,
bofonchiò, prima di chiederle: «Che sei venuta a fare?».
La ragazza gli rifilò uno schiaffetto
sulla testa. «Ma che domande sono? Mi preoccupo per la salute del giocatore più
promettente dello Shohoku! Sono la tua manager, del resto».
«A volte tendo a dimenticarlo».
«Stai per caso dicendo che non valgo
niente come manager?», domandò.
«Più o meno», le lanciò un’occhiata
sbieca, alzandosi e dirigendosi verso il corridoio. «Saresti più utile in
squadra, al posto di quell’esaltato di tuo fratello».
«Hanamichi è veramente in gamba. E tu lo
sai bene, Kaede».
«Sarà».
I due arrivarono in sala da pranzo,
destando parecchia curiosità.
«Ehi, brutta volpaccia! Per colpa tua
Hicchan ora dovrà mangiarsi il piatto freddo!», lo aggredì Hanamichi, appena lo
vide.
Rukawa, d’altro canto, non si scompose
più di tanto. «Affari suoi, mica gliel’ho chiesto io di venire».
Hime gli rifilò un altro colpo. «Brutto
ingrato che non sei altro!».
Nobunaga guardò i due con crescente
disagio. Sì, era evidente che fossero amici. Forse anche qualcosa di più?
«Ehi, Kiyota, tutto a posto?», chiese
Maki, preoccupato. Non era normale vedere il piccolo rookie silenzioso,
conoscendo la sua indole esuberante.
Nobunaga si svegliò da quei pensieri,
scuotendo la testa. «Niente, Capitano. Pensavo al Campionato».
Il quattro del Kainan lo scrutò per bene,
non del tutto convinto. «Sei preoccupato?».
L’altro fece spallucce. «È la mia prima
volta, è normale che un po’ lo sia», poi esclamò, ritrovando se stesso: «Ma no
preoccuparti, io sono la matricola numero uno del Kainan, Nobunaga Kiyota! Ahaha!».
I presenti lo guardarono senza parole,
con un grosso gocciolone in testa.
«Ma stai un po’ zitta, Nobu-scimmia!»,
esclamò Hanamichi.
Nobunaga lo fulminò con lo sguardo.
«Pensa a mangiare, demente! Magari qualche neurone ti si rigenera!».
Hime, ovviamente, diede man forte al fratello.
«Tu sei senza speranze, Kiyota!».
«La volete smettere?! Mettetevi a
mangiare!», sbottò Akagi, mostrando un pugno che non prometteva niente di
buono.
Ecco, pensò Maki: tutto tornato nella
norma.
[1]Udon:
spaghetti di grano tenero, parecchio grossi, serviti in brodo in diversi modi:
o con tofu (una sorta di formaggio derivante dalla cagliatura del latte di soia
) fritto o con gamberi tempura.
[2]Soba:
spaghetti di grano saraceno, conditi con salsa a base di cipolline, uova e
soia. Da servire freddi.
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Yatta! Rieccomi dopo una
giornata estenuante ;_;
Che i Kami mi aiutino! ò_ò
E siamo al sesto
capitolo! Un ringraziamento a kuro [Arigatou per il preferito!
*O* Eh eheh, quei due
prima di mettersi insieme si scannano, altro che XD] e a glo91 [mille grazie anche a te per il preferito! ^O^]!
Vi lascio a questo
capitolo, un po’ più lungo degli altri in effetti! Spero vi piaccia!
Buona lettura!
A presto,
Kenjina.
Capitolo
VI
Let’s go to the Luna Park!
I visi contorti dalla concentrazione dei
partecipanti erano madidi di sudore. Quello sarebbe stato il giro decisivo per
tutti e non potevano permettersi distrazioni.
Il rossino squadrò per bene i suoi
avversari, con un’espressione malefica e pensosa. Accidenti, lui era il Genio
della situazione, doveva ragionare! Incrociò lo sguardo con la sorella, i cui
occhi erano decisamente più calmi e rilassati dei suoi. Maledizione, quello
voleva dire solo una cosa: aveva ottime carte! Akagi, al suo fianco, aveva la
schiena poggiata alla sedia e guardava impassibile le sue carte, quasi in
meditazione. Scimmione maledetto, così non riusciva a capire che tattica
dovesse usare! Mitsui, invece, aveva un visino corrucciato, spostando lo
sguardo dalle sue carte a quelle nascoste degli altri, sperando di leggervi
qualcosa; mentre Ryota, con la testa sorretta dalla mano sinistra, guardava
annoiato le sue.
«Akagi, vedo!», disse Hime, sorridendo.
Quella ragazza era troppo tranquilla e
sicura di sé, accidenti! Nobunaga, guardandola, pensò che stesse bluffando. Non
si sarebbe stupito, conoscendola.
Il Gorilla, dopo aver grugnito un po’,
abbassò le sue carte, mostrando una doppia coppia di Fanti e Donne.
«Uh uh! Gori,
eri proprio messo male, eh?».
«Imbecille, voglio proprio vedere che
cos’hai tu!».
Hanamichi deglutì a fatica e guardò nuovamente
le sue carte. Quello poteva essere considerato valido?
«Mitsui, dai. Abbassa quelle carte!»,
fece Miyagi.
«Ah, accidenti», borbottò il ragazzo,
mostrando un tris di nove. «E meno male non stiamo giocando a soldi!».
Akagi ghignò. «La prossima volta vedi
come ti spoglio, altroché».
«Ah, le perversioni nascoste del
Gorilla!».
Come ovvio che fosse, la punizione divina
arrivò pochi istanti dopo.
«Certo che anche tu te le cerchi, eh!»,
sghignazzò Kiyota, battendogli amichevolmente una mano sulla spalla.
Poi fu la volta di Miyagi. «Beccatevi
questo!», esclamò, buttando una normalissima scala.
«Hai capito il pigmeo!», esclamò
Hanamichi, che si prese anche un bel calcio al ginocchio dall’amico.
«Hime, sono proprio curioso di sapere che
razza di carte hai. Quel tuo sorriso mi sta innervosendo», brontolò Hisashi,
facendola ridere.
«Eccoti accontentato!». Mostrò un full di
tre assi e due re.
«Alla faccia, Hicchan! Dove le tenevi
nascoste le carte, eh?».
Lei, in risposta al fratello, gli fece
una linguaccia.
Kiyota incrociò le braccia. «Su,
Rosso-Scimmia, deliziaci con le tue carte! Avanti!».
«Zitto un po’! Così mi agiti!».
I presenti scoppiarono a ridere.
Hanamichi era veramente una comica!
Il rossino prese un bel respiro e mostrò
a tutti le sue carte. Molti si sporsero di più per vedere meglio… o per capire
con che razza di logica avesse collegato le carte.
«Ehm… Hana», fece la sorella, grattandosi
la punta del naso. «Esattamente, che cos’è quel coso?».
Il ragazzo iniziò a ridere nervosamente,
accarezzandosi la nuca. «Non… non è colore, per caso?».
In effetti le carte erano tutte rosse…
peccato che in mezzo ci fossero semi di denari e di cuori.
«Deficiente, il colore è valido con
cinque carte dello stesso seme», soffiò Akagi, passandosi una mano sulla faccia
scimmiesca.
Per poco i presenti non caddero dalle
loro sedie, mentre Hanamichi, più rosso dei suoi capelli, rideva sempre più
forte.
«Hana-chan, sei
una sagoma!», disse la sorella, asciugandosi le lacrime per le risate.
«Do’aho», fu il commento di Rukawa, seduto
vicino a lei e mezzo addormentato sulla sua spalla.
«Ehi, Kit!», s’infervorò Hanamichi. «Già
ho lasciato passare il fatto che stai usando la mia Hicchan come cuscino… non
sei in condizioni di commentare!».
Ma fu inutile. Rukawa non aveva la benché
minima intenzione di rispondere alle provocazioni di quello squilibrato. Tanto
meno di spostarsi da quella posizione comoda che aveva trovato.
«Hicchan, spostalo da lì!».
Hime rise, scuotendo la testa. «Lascialo
stare… se no il nostro orsetto si sveglia con la luna storta!».
«Chiamami di nuovo in quel modo demente e
ti stacco la lingua a morsi».
Molti non seppero se rimanere sconvolti
per il rapporto tra i due o per la frase articolata (troppo articolata,
per i suoi standard) del volpino.
«Trovami il giorno in cui si sveglia con
la luna giusta», frecciò Mitsui, guardando male il compagno di squadra.
«Che cosa vuoi staccare, tu?», gridò
invece Hanamichi, balzando sulla sua sedia con così tanta veemenza che rischiò
di catapultarla dall’altra parte della sala.
Akagi chiuse lentamente gli occhi, con
uno spaventoso tic al sopracciglio. Sì, nella vita precedente doveva essere
stato un assassino o qualcosa di simile, per meritare quell’incubo con le
gambe. Altrimenti non riusciva proprio a spiegarselo.
*
La partita a carte si era rivelata
esilarante. Hime rideva soltanto al pensiero!
«Certo che Hanamichi è proprio
incredibile… quando ha detto che preferisce giocare al “macaco” anziché al “macao”
ho temuto di morire dalle risate!», fece Ayako, sistemandosi un vestitino leggero
sul celeste, lungo appena sotto il ginocchio e smanicato.
«È inutile, vede scimmie ovunque», replicò
Hime, uscendo dal bagno e sistemandosi la coda alta, fermata da un elastico
colorato. Quella sera aveva deciso di indossare solo un paio di jeans chiari,
strappati qua e là, e una maglietta a mezze maniche rossa, sapendo che sul
tardi le sarebbe venuto un po’ di freddo. E, ovviamente, le sue immancabili
infradito scarlatte. Quanto le adorava!
Quando guardò l’amica fece un fischio di
ammirazione. «Aya-chan, fattelo dire: sei veramente carina! Ryota potrebbe
saltarti addosso, se non stai attenta. O lo stai facendo apposta?».
Ayako arrossì lievemente, ma prese il suo
fedele ventaglio, sventolandoglielo sotto il naso. «No, ma questo me lo porterò
dietro, per sicurezza».
Due minuti più tardi Hanamichi stava
bussando alla loro porta. Quando Hime lo fece entrare non riuscì a fare a meno
di pensare che suo fratello fosse veramente un bel ragazzo. Indossava una
maglietta nera a maniche corte e dei jeans bianchi, forse non troppo adatti a
una serata al luna park, ma che gli stavano da dio. Se solo quell’addormentata
di Haruko avesse aperto gli occhi, avrebbe risparmiato a tutti qualche bel
grattacapo – soprattutto al gemello.
«Se non fossi mio fratello ti sarei già
saltata addosso, Hanamichi».
Il ragazzo divenne più rosso dei suoi
capelli. «Hi-Hicchan!».
Le due ragazze risero, uscendo poco dopo.
«A-Ayakuccia, sei… sei bellissima!»,
disse sinceramente Miyagi, con una faccia di bronzo da far invidia. La bella
manager ricciolina gli sorrise, senza sbilanciarsi troppo. Ormai Ryota le stava
dietro da due anni, ma ancora non aveva ben capito se lo considerasse solo un
amico o qualcosa di più. Certo, non poteva negare che la lusingasse il fatto
che il ragazzo guardasse solo lei e nessun’altra; a meno che non fosse da solo
in compagnia di Hanamichi e Mitsui, a donne. Allora si cambiava
campana.
Nella hall trovarono già i tre giocatori
del Kainan, Maki, Jin e Kiyota, che chiacchieravano con la vecchia signora
dell’albergo.
«Oh no, vengono anche loro!», si lamentò
Hanamichi, spedendo le braccia lungo i fianchi, abbattuto.
Hime alzò lo sguardo su Kiyota e per poco
non le venne un colpo. Non ci aveva mai fatto caso fino allora, ma quella
scimmietta era parecchio affascinante. Soprattutto quando si lasciava i capelli
all’aria senza l’ausilio di fasce ed elastici, proprio come quella sera (anche
se dovette ammetterlo suo malgrado, Nobunaga era un bel ragazzo in ogni
situazione). Senza contare che la maglietta bianca un po’ larga e i jeans neri,
che gli fasciavano alla perfezione le gambe toniche, lo rendevano ancora più
carino. Perché sì, non era certo il tipo di ragazzo a cui tutte le donne
cadevano ai piedi come invece lui amava raccontare, ma Nobunaga Kiyota aveva
quel fascino che sapeva intrigare. Peccato fosse un imbecille.
«Puoi anche startene qui se la cosa ti
infastidisce, eh!», lo rimbeccò la scimmietta in questione.
Maki si avvicinò alla rossa, infilandosi
le mani in tasca. «Sarà una serata lunga».
Hime gli sorrise, annuendo. «Con quei due
in giro lo penso anche io».
«Allora, andiamo?», chiese Ayako.
In quel momento arrivò anche Mitsui.
«Scusate il ritardo, non trovavo la giacca!».
«In pelle? Ma che ti sei fumato?»,
esclamò Hanamichi, la bocca spalancata.
«Hanamichi», iniziò Ryota, indicando la
guardia dello Shohoku con un pollice. «Devi capire che il nostro Mitsui non può
mica perdere il suo fascino da teppistello fallito, a prescindere dai 40 gradi
all’ombra».
«Miyagi, che ne dici se vai a farti un
giro in un bel paese chiamato Fanculandia?».
Ayako si mise in mezzo. «Perché invece
non vi date una calmata, voi due?».
«Tappo».
«Baciapiselli».
«Ehi, quella è mia, Ryo-chan!».
La riccia si passò una mano in viso,
mentre gli altri ridacchiavano sommessamente.
«Ede viene?», chiese Hime.
«No, ovviamente. Preferisce dormire e
farsi due tiri più tardi… o così mi ha detto quel surgelato».
Hime fece spallucce, un po’ delusa,
prendendo a braccetto il fratello. «E ora… alla conquista del luna park!».
«Che Kami ci aiuti», borbottò Akagi, avviandosi
con loro.
Il paese si trovava a dieci minuti di
cammino dall’albergo. Era una bella serata, un po’ umida in effetti, ma il
caldo non era asfissiante come nel pomeriggio. C’era parecchia gente in giro,
che stava iniziando ad affollare le vie del piccolo borgo e la musica
proveniente dal luna park si diffondeva allegramente nell’aria.
«Questo posto è adorabile!», disse Hime,
guardando le vetrine dei negozietti aperti (quelli che lei chiamava “cazzazzifici”) e
le numerose tavole calde già prese d’assalto.
Ayako annuì. «Già, un giorno ci torneremo
in vacanza».
L’attenzione di Hime fu catturata da un
negozio di caramelle. «Ah! Dopo quel posto lo svuoto! Senti che profumo!».
«Vorrai dire “lo svuotiamo”!», la
corresse Kiyota, perdendosi nelle colorate delizie in vetrina.
«VoglioLoZuccheroFilato!»,
esclamarono in coro i due fratelli, correndo verso il carretto adibito alle
vendite, mentre gli altri si schiantavano dalle risate e i passanti gli
regalavano occhiate storte.
«Ma quanto dementi sono», borbottò il Gori,
tenendoli a debita distanza e facendo finta di non conoscerli.
Maki, al suo fianco, gli mise una mano
sulla spalla. «Non puoi negare che siano una mole vivente di energie, Akagi».
«Dici così perché non li devi sopportare
tu agli allenamenti e alle partite».
«Ehi, Gorilla! Guarda che ti abbiamo
sentito!», replicarono i due, mentre il quattro dello Shohoku stava già
iniziando ad accusare i primi sintomi dell’emicrania. Forse, più tardi, avrebbe
potuto farli entrare entrambi nel labirinto degli specchi (perché c’è sempre un
labirinto degli specchi nei luna park) e non farli più uscire da lì. Non
avrebbe neanche dovuto sforzarsi. Con i pochi neuroni che si ritrovavano in due
non avrebbero trovato la via dell’uscita neanche a spararli.
Nobunaga si avvicinò ai due, lanciandogli
un’occhiata. «Vi dovreste vedere: avete gli occhi che sprizzano lucciole
ovunque».
Hanamichi gli riservò uno sguardo
infuocato, mentre la rossa alzò un sopracciglio. «Beh, noi abbiamo intenzione
di divertirci, non di comportarci come due pensionati come te».
Gli occhi blu di Kiyota si fecero grandi
per l’affronto. «Ma brutta strega!», esclamò offeso, vedendosi poi rifilare una
linguaccia birichina.
«Vuoi?», gli chiese poi gentilmente,
offrendogli un po’ di zucchero filato. L’altro, studiandola un po’ per capire
se lo stesse ingannando o meno, gliene fregò un assaggio, ringraziandola con un
cenno del capo.
«Hicchan, alle scimmie non si danno da
mangiare queste cose! Potrebbe fargli male!», disse seriamente Hanamichi,
beccandosi un calcio dal diretto interessato.
«Che ore sono?», chiese Mitsui,
sistemandosi la giacca di pelle nera su una spalla.
Ayako guardò un attimo l’orologio al
polso. «Sono già le sette e mezza!».
«Questo perché voi ragazzi siete peggio
delle donne a prepararvi per uscire e abbiamo ritardato!», decretò Hime,
guardandoli con aria sufficiente.
Inutile dire che tutti i maschietti della
situazione videro bene di esternare il loro disappunto. Le due ragazze si
guardarono complici, ridacchiando come due vecchie comari.
Il luna park era, ovviamente, affollato
da numerosissimi bambini, famigliole e ragazzi vari ed eventuali. Il gruppo di
cestisti non passava certo inosservato, guadagnandosi numerose occhiate curiose
e, delle volte, affascinate. I due gemelli, però, furono quelli che ebbero la
maggiore attenzione.
«Guarda che razza di capelli si ritrovano
quei due!».
«Che colore bizzarro!».
«Io direi ridicolo!».
«Secondo voi son tinti?».
«Vorrei ben vedere!».
I due si voltarono verso il gruppetto di
ragazzini che aveva commentato i loro adorati e preziosissimi capelli, gridando
furenti: «Che diavolo avete contro i nostri capelli? Guardatevi voi, mocciosi
col pannolino ancora cagato!».
Mitsui, Miyagi e Nobunaga scoppiarono a
ridere come dei pazzi, mentre Ayako si apprestava a usare il suo ventaglio
contro la testa dei due gemelli. «Fatevi riconoscere ovunque, mi raccomando!».
Hime e Hanamichi si toccarono dolenti la
parte lesa.
«A-Ayako! Li hai sentiti anche tu!», si
lamentò Hime, massaggiandosi la testa.
«Ma vi fate problemi per quello che
dicono dei bambini?», domandò spazientita la manager, con le mani sui fianchi.
Poi, rivolta verso il gruppetto di mocciosi, che stavano ridendo come matti: «E
voi finitela di sghignazzare o vi faccio passare tutta la voglia, brutti
screanzati!».
Questa volta fu il turno dei due gemelli
additare i ragazzini e scoppiare a ridere. «Ayako, sei una forza!».
Quando ripresero la loro passeggiata
Mitsui, una mano in tasca e l’altra a reggere la giacca, con il solito viso
crucciato affiancò Jin, indicandogli col capo un giochino interessante.
Soichiro sorrise, accogliendo la sfida.
«Ehi Jin-san, Mitsui! Dove andate?»,
chiese la scimmietta del Kainan, seguendoli saltellando.
Ryota, vedendo la loro meta, ghignò.
«Mitsui, fagli vedere chi è il miglior cecchino di Kanagawa!».
«Puoi contarci!».
Maki si avvicinò ai due, incrociando le
braccia. «Non sarei così sicuro, Mitsui».
«Ahaha! Mitsui,
non sei neanche un’unghia di Jin-san!», fece Nobunaga, battendo una mano sulla
spalla dell’amico.
«E zitto tu!», fu la secca risposta
dell’ex-teppista, che gli affibbiò un colpo su una tempia.
I due tiratori da tre pagarono un giro
ciascuno, in un gioco adattissimo a loro: centrare un canestro posto a cinque
metri di distanza. Premio: altri giri gratis se si riusciva a infilarne dieci
su dieci e, soprattutto, l’orgoglio personale.
Iniziò prima Hisashi che, con la
perfezione che lo aveva reso MVP alle medie, centrò dieci canestri su dieci.
Lanciò un sorriso compiaciuto all’altro tiratore da tre, che ricambiò
serenamente.
«Grande, Mitchi!», esclamò Hanamichi,
battendogli il cinque.
Kiyota guardò il compagno di squadra.
«Fagli vedere chi sei, Jin-san!».
Inutile dire che anche Soichiro le mise
dentro tutte, sotto lo sguardo attonito del proprietario della bancarella, che
non poteva avere sfiga peggiore che incontrare dei campioni incalliti nei tiri
dalla lunga distanza.
«Grande!», esclamò l’esagitata scimmietta
del Kainan.
«Ehm… volete fare un altro giro?»,
domandò l’uomo, incerto. I due tiratori da tre si guardarono nuovamente,
sfidandosi ancora.
«Certo che si!», esclamarono in coro.
La sfida andò avanti per dieci minuti
buoni, tra tifosi, curiosi e un venditore sempre più depresso per le perdite
della serata.
Hime si guardò un attimo intorno,
incrociando poi lo sguardo inaspettato di Kiyota. «Ti sei imbambolato?», gli
chiese, non troppo brusca. Perché, purtroppo, dovette ammetterlo: quel ragazzo
per quanto fosse idiota la incuriosiva parecchio.
Nobunaga sembrò risvegliarsi. «Uh?».
«Ti ho chiesto se ti sei imbambolato».
«Io? E perché dovrei esserlo?».
«Non lo so, sei tu che mi stavi
fissando!».
«Io non ti stavo fissando!».
«Sì che lo stavi facendo!».
«Non mi sfascio gli occhi a guardare una
come te! Ne ho solo due, ci tengo a tenermeli sani!».
«Che hai detto? Ti spacco il muso a
testate!».
Mezzo luna park si voltò a guardare il
bisticcio dei due, non sapendo se rimanere più impressionato dal comportamento
del ragazzo nei confronti di una ragazza, o il comportamento della ragazza
stessa.
«Ehi, Nobu-Scimmia!», si mise in mezzo
Hanamichi, il difensore della patria. «Non azzardarti neanche a guardarla!
Stalle lontano almeno a cinque chilometri di distanza! Sciò! Sciò!».
«Ma chi cavolo la vuole vicina», sbottò
l’altro, girando sui tacchi e allontanandosi dal gruppo.
Hime guardò la sua schiena sparire tra la
folla, sconcertata.
«Quanto è idiota!», esclamò arrabbiata la
ragazza, gesticolando in direzione di Kiyota. «Non si può neppure fare un
discorso civile con quella dannata scimmia!».
Nonno Maki le si avvicinò, con fare
saggio e sapiente. «Kiyota non vuole essere così burbero in realtà. È solo un
po’ esuberante, ma è un bravo ragazzo».
Hime mise su il broncio. «Sta di fatto
che è un idiota ugualmente», borbottò, decidendo poi di seguire quella scimmia
saltante di Nobunaga Kiyota e cantargliene quattro.
«Ehi, Hicchan! Dove vai?!», piagnucolò il
fratello, pronto a seguirla se non fosse stato per una mano che lo bloccò per
un polso.
Ayako scosse la testa. «Lasciala stare un
po’, Hanamichi».
«Cosa? Con quella scimmia selvaggia?!
Mai!».
Un pugno gli arrivò dritto dritto in testa. «E calmati una buona volta, invasato!».
Capitolo 8 *** Let’s go to the Luna Park! - Parte II ***
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Ja-ne!
Eccoci nuovamente qui
con la serata al Luna Park! Stavo pensando di unire questo capitolo con il
prossimo [dato che sarà incentrato sempre sulla stessa sera], ma ho pensato: ma
no, facciamo le cose con calma! Viva la suspense! XD
Lilli84: ma… ma… *me commossa* Addirittura Degna Erede
del Sensei?!
Questa non me la dovevi dire… ora mi monto la testa *_*
Kuro: eccoti accontentata!
Curiosa, eh? :P
Grazie mille ad
entrambe! *_* E a tutti coloro che leggono questa cosa! XD
A presto!
Kenjina.
Capitolo
VII
Let’s go to
the Luna Park! -Parte II
Nobunaga Kiyota, mani in tasca e un
visino più che imbronciato, girovagava senza una meta precisa tra le bancarelle
e le giostre del luna park, tra sorrisi e gridolini eccitati dei bambini.
Maledetta strega di una donna rosso-scimmia! Se avesse potuto le avrebbe
spaccato la testa! E dire che quella sera la trovava anche molto più carina del
solito! Possibile che dovesse essere così antipatica, con lui? Eppure non gli
era sembrato di averle risposto male, ora! Oppure sì? Beh, in effetti non era
stato tanto l’uomo più galante della terra, ma… ah, al diavolo quella scimmia
dello Shohoku! Tale il fratello, tale la sorella.
Perso com’era nell’inveirle mentalmente
contro, neanche si accorse che la stessa protagonista dei suoi pensieri lo
stava velocemente raggiungendo, letteralmente furiosa.
«Ehi, coso! Fermati un attimo!», gli
gridò dietro. Maledette infradito della malora, rischiava di inciampare a ogni
passo, correndo così! E infatti eccola lì, fare un bel capitombolo verso il
terreno.
“Ora
mi ammazzo! Ora mi spalmo a terra, ecco! Morirò così, senza aver salutato
Hanamichi e tutti gli altri!”, pensò melodrammatica, prima di essere
sorretta da due braccia tese. Quello che i suoi occhi nocciola videro poco dopo
non le piacque per niente.
Kiyota la fece alzare, guardandola un po’
arrabbiato e divertito nel contempo. «Sei una frana, Sakuragi».
Hime sbuffò, incrociando le braccia sul
petto e voltando il viso dall’altra parte. «Grazie».
Nobunaga si lasciò sfuggire un sorriso. «Gomen nasai[1],
Sakuragi. Non volevo dirti quelle cose prima». La ragazza stava per
sorridergli, allegra, ma le parole di Kiyota la bloccarono. «È che sei troppo
antipatica, a volte!È ovvio che poi perdo le staffe e
dico cose che non voglio!».
Hime aprì leggermente la bocca per
parlare, ma era troppo inebetita da quello che aveva appena sentito che l’unico
riflesso incondizionato fu quello di tirargli un calcio sul ginocchio. E per
fortuna del ragazzo fu solo sul ginocchio.
«Maledetta… strega…!», riuscì a mormorare,
piegato dal dolore.
Hime raggiunse cinguettando il fratello e
gli altri, che pensarono si fosse tutto risolto per il meglio.
«Beh? Che è successo?», chiese Hanamichi,
burbero.
«Ah, l’ho lasciato steso a terra dopo un
calcio», disse semplicemente lei. «Oh, guardate! La casa degli orrori!».
I ragazzi scossero la testa, divertiti.
Poco dopo li raggiunse anche un dolorante Kiyota, bollente di rabbia come una
pentola a pressione.
«Ahaha! Che
scimmia! Farsi picchiare da una donna!», lo derise Hanamichi, che rischiò di
beccarsi un pugno in faccia dal ragazzo.
«Si da il caso che quella», sibilò,
indicando Hime, «quella non è una ragazza, è un maschio travestito!».
Hime spalancò gli occhi. «Ma come diavolo
ti permetti, brutto sfigato?», gli gridò dietro, riprendendo a rincorrerlo e
rischiando nuovamente di spalmarsi a terra.
Ayako e Ryota si guardarono indecisi, non
sapendo se ridere o disperarsi.
«Come sono… uh, carini», provò a dire Ayako, grattandosi la fronte perplessa.
Hanamichi si mise le mani sui fianchi,
piegando la testa all’indietro per far uscire meglio una grassa risata. «Ahaha! È tutto suo fratello! Un genio! Ahaha!».
«Che branco di deficienti», borbottò
Akagi, decidendo di andare a bere qualcosa per dimenticare i suoi incubi
peggiori, seguito da Maki e Jin. Il che era tutto dire, dato che Akagi non
aveva mai bevuto alcolici in vita sua.
Nel frattempo i due litiganti, facendo lo
slalom tra passeggini, bambini vari e bancarelle, finirono col ritrovarsi in
un’oasi verde, tra piante e arbusti. E per fortuna c’era tanto di cartello con
su scritto a caratteri cubitali: Non calpestate le aiuole. Grazie.
Kiyota si fermò, poggiandosi al tronco di
un albero per riprendersi dalla corsa.
Affianco a lui Hime, che non perse
occasione per prenderlo in giro. «Certo che… per essere un giocatore… del
Kainan… ti stanchi facilmente… Scarso!».
Nobunaga le lanciò un’occhiataccia. Due
secondi più tardi si ritrovò a chiudere tra l’albero e il suo corpo la giovane
ragazza, che in un batter di ciglia divenne più rossa dei suoi capelli, mentre
lui teneva una mano sul tronco dietro di lei e l’altra in tasca.
Hime guardò tremante quel ragazzo così…
così troppo carino per i suoi gusti, così detestabile anche, e
decisamente troppo, troppo vicino a lei. Che razza di intenzioni aveva quella
scimmia?
«Ki-Kiyota–».
Lui le sorrise, canzonatorio. «Che c’è,
non sfotti più?».
Accidenti a lei, quanto era bella! L’aria
spaesata e timorosa che le aleggiava in viso era qualcosa di veramente
adorabile. Per un attimo, soltanto un attimo, avrebbe voluto azzerare la
distanza che li separava e farle capire che non fosse così male come credeva.
Si sarebbe anche solo accontentato di tenerla tra le sue braccia. Eppure si
rese conto che non avrebbe potuto farlo. Non ci sarebbe riuscito. Anche perché
sapeva per certo che non ne sarebbe uscito vivo. Aveva ancora il ricordo del
calcio di poco prima stampato sul ginocchio.
Lui, il grande Nobunaga Kiyota ridotto
così da una donna… e quale donna, poi! La sorella della scimmia!
Inaudito.
Nobunaga sospirò, un po’ abbattuto e
spaventato dalla novità appena fatta. Quella ragazza gli piaceva, anche se non
lo desse a vedere per niente. Eccome se gli piaceva! Altrimenti non si sarebbe
spiegato perché tutto sommato adorasse battibeccare con lei, ogni volta che gli
si presentava l’occasione. Non si sarebbe spiegato il fastidio che provava
all’altezza dello stomaco nel vederla allegra e sorridente con tutti, in
particolare con quel volpino maledetto di Rukawa, tranne che con lui. Non si
sarebbe spiegato perché non riusciva a staccarle gli occhi di dosso ogni volta
che entrava nel suo campo visivo. Ma era anche consapevole che non le avrebbe
mai detto niente e che, soprattutto, non avrebbe mai avuto una benché minima
chance.
Lo detestava, quello era ovvio.
Si allontanò un poco da lei, il tanto
giusto che bastava per farla sgusciare via e poggiò affranto la fronte sul
tronco, chiudendo gli occhi e ritrovando un po’ di se stesso.
Hime, d’altro canto, si portò una mano
sul petto, cercando invano di calmare i tremendi battiti del suo cuore, ormai
andato a quel paese al trotto. Che diavolo gli era saltato in mente, a quella
scimmia? Non aveva pensato alle ritorsioni psichiche che potevano colpirla,
dopo un momento del genere? Lei era mentalmente instabile, non poteva
sopportare certe cose!
Si voltò a guardarlo, un attimo. Per
tutti gli dei, perché non faceva altro che pensare a quanto fosse carino con
tutti i capelli scompigliati per la corsa?
«Sono un deficiente», si disse Nobunaga.
Gli occhi nocciola della ragazza
s’intenerirono per un attimo. «Finalmente l’hai capito».
Il ragazzo la guardò, oltraggiato. Ma
quando vide che gli stava sorridendo senza malizia, si sentì più leggero.
«Torniamo dagli altri?», gli chiese, con
la voce ancora un po’ tremante. «Sto… sto morendo di fame».
Kiyota ricambiò il suo sorriso, questa
volta nel modo più dolce che conoscesse. «E comunque… ho ragione a dire che a
volte sei un maschio», esclamò, recuperando la sua vitalità… e la sua infinita
idiozia.
«Baka!»,
sbraitò lei, tirandogli una gomitata al fianco.
*
Per il rotto della cuffia trovarono posto
in una tavola calda, accogliente e carina.
«Hana-chan! Ce
lo prendiamo un bel piatto di sashimi[2] e
onigiriebimayo[3]?»,
chiese Hime, guardando il fratello con occhi luccicanti – che non si fece certo
pregare, annuendo felice.
«Io vado più sul leggero», fece Ayako,
studiando il menù. «Credo che prenderò un gomoko-sushi[4],
non ho molta fame».
«Allora prendiamo la stessa cosa,
Ayakuccia!».
Hanamichi iniziò a ridere a crepapelle.
«Ryo-chan, sei una sagoma!».
Immediatamente dopo si beccò un
posacenere in testa.
«Ma in questo posto fanno anche pizze
italiane?», domandò Mitsui, sporgendosi dalla sedia per guardare un cartello.
«Allora io prendo una capricciosa!», fece
Kiyota, esaltato.
«Ah! Nobu-Scimmia, già il nome dice
tutto!».
«Ma brutto pezzente, sai dove te la ficco
questa bottiglia?».
Nel frattempo Maki, Jin e Akagi stavano
discutendo civilmente su cosa prendere per cena, facendo finta di non sentirli
ne di conoscerli, sebbene sedessero allo stesso tavolo. Potevano anche dire di
non aver trovato altri posti liberi e di dover dividere il tavolo con quegli
esagitati… no?
Ordinarono la cena, con birra e bevande
gasate (tranne Hime che beveva solo ed esclusivamente acqua), sperando che si
muovessero a servirla perché stavano letteralmente morendo di fame.
Per la fortuna di chi non aveva ordinato
la pizza, le cibarie arrivarono cinque minuti più tardi.
«Maledetta scimmia rossa!», esclamò
Kiyota. «Abbi almeno il buon senso di aspettare che arrivi anche la nostra cena
prima di iniziare a mangiare!».
Niente da fare. Hanamichi aveva già fatto
fuori metà del suo sashimi, minacciando di mangiare anche la porzione della
sorella, che invece non aveva ancora iniziato.
«Hanamichi, sei un maiale», disse Mitsui,
appoggiando un braccio allo schienale della sedia e bevendo un po’ di birra.
«Non
shono un mahale!»,
bofonchiò il rosso, a bocca piena, sputacchiando di qua e di là.
E mentre i malcapitati dovevano aprire
gli ombrelli per ripararsi dalle schifezze del rossino, Akagi si guardò
intorno, alla ricerca di un tavolo libero per tre. Ma, ovviamente, la sfiga lo
perseguitava da qualche mese a quella parte e il locale era pieno come un uovo.
Hime, la testa poggiata sul palmo di una
mano, guardò sconsolata il fratello, avvicinandogli un tovagliolino di carta
per pulirgli il muso. «Quanto ti vorrei vedere a una cena galante, Hana! Magari
con Haruko!».
Il rossino divenne scarlatto come i suoi
capelli, vendicandosi sulla sorella con un dito infilzato sul fianco. Il salto
che fece la ragazza per poco non mandò all’aria il suo piatto.
Quando finalmente arrivarono anche le
pizze, Hanamichi aveva già finito il suo sashimi
ed era a buon punto con l’onigiri.
«Kami, questo gomoko è buonissimo!», fece
Ayako, mandando giù un po’ di riso insieme a un pezzo di pesce.
Hime annuì. «Anche il sashimi è squisito! Le pizze come sono?».
Mitsui non alzò la testa dal suo piatto,
idem per Kiyota. Evidentemente era così buona che non avevano la minima
intenzione di fermarsi per parlare.
Fu Soichiro Jin a risponderle, amabile
come sempre. «Direi che è ottima! Vuoi assaggiarne un pezzo?».
Due paia di occhi irritati, quelli nocciola
di Hanamichi e quelli blu di Kiyota, vennero puntati contro il cecchino del
Kainan, che passava il suo piatto alla rossa. Ci mancò poco che lo
disintegrassero con la forza del solo sguardo.
«Buona!», esclamò Hime, assaggiando un
pezzo di pizza.
«È più buona la mia!», esclamò Nobunaga,
scoccando uno sguardo di fuoco al compagno di squadra, che avrebbe incenerito
un’intera foresta. Come si permetteva di farle assaggiare la sua pizza? Va bene
che aveva capito da poco che quella ragazza gli interessava ed era già tanto se
era riuscito ad ammetterlo a se stesso, ma… mai mettersi contro Nobunaga
Kiyota, il latin lover numero uno di Kanagawa!
Hime, che stava passando il piatto al
legittimo proprietario, bloccò la mano a metà, guardando il ragazzo. Scosse la
testa, perplessa.
Hanamichi, d’altro canto, spostava lo
sguardo sui i tre, come sceso dalle nuvole. «Ehi, Hicchan! Non mi piace questa
storia! Perché quello spilungone ti ha passato la pizza? E perché quella
maledetta scimmia ti guarda così?».
Ayako e Ryota si scambiarono un’occhiata,
non capendo, anche se la ragazza una mezza idea (e forse anche qualcosa di più)
nella sua testolina se l’era fatta; Mitsui, invece, fece finta di niente,
continuando a gustarsi quella prelibatezza sotto il naso, sempre accompagnato
da un po’ di buona birra.
Gli unici che riuscirono a capire cosa
stesse succedendo furono Maki e lo stesso Jin, che si guardarono di sbieco e
trattennero un sorriso. Avevano capito da un po’ che alla loro scimmietta
interessava la sorella di Sakuragi, era più che palese. Persino durante gli
allenamenti lo sentivano inveire contro la ragazza, senza motivo alcuno. Il
gesto di Soichiro serviva proprio per vedere la reazione del compagno di
squadra – che infatti aveva reagito male.
«Come la starei guardando, scusa?».
«Come una scimmia in calore!».
«Scimmia in calore a chi, brutto
deficiente?!».
«Ehi, voi due!», esclamò Hime. «Se
continuate così ci sbattono fuori dal locale!».
Le due scimmiette abbassarono le spalle,
arrossendo per la sgridata. In occasioni diverse Kiyota le avrebbe risposto a
tono e la ragazza si sorprese non poco della docilità con cui il numero dieci
del Kainan riprese a mangiare la sua pizza.
«E comunque è più buona la mia, di pizza»,
borbottò infine, offeso.
Soichiro e Maki non riuscirono più a
trattenersi e scoppiarono a ridere, sotto lo sguardo incuriosito del resto
della tavolata e uno sguardo infuocato del ragazzo.
Hanamichi si grattò la testa, pensieroso.
«Vabbè che il Nonnetto è vecchio e ha momenti di follia, ma anche quel Jin
tanto normale non è».
Due secondi più tardi si ritrovò due
bernoccoli in testa e un Gorilla e un’Ayako più che furiosi alle sue spalle.
«Ben fatto!», esclamò Kiyota, applaudendo
ai due.
Hanamichi gonfiò le guance, umiliato.
Perché doveva sempre beccarsi tutti quei colpi?
Una mano gli si poggiò sulla testa,
scompigliandogli i capelli corti e rossi. Hime gli sorrise, con dolcezza. E lui
ricambiò. Adorava sua sorella, era la persona più cara che gli fosse rimasta,
insieme alla madre, dopo la perdita del padre per un infarto. L’amava, l’amava
dal profondo del cuore. E non sapeva come avrebbe fatto senza il suo sostegno,
senza la sua perenne presenza, senza i casini che combinavano insieme. Era
anche per questo motivo che era più che possessivo nei suoi confronti. Guai a
chi osava troppo con la sua Hicchan!
Preso da un impeto di affetto, le si
scaraventò addosso, abbracciandola forte forte, sotto lo sguardo incredulo e
intenerito dei presenti. «Ti voglio bene, Hicchan!».
Hime per poco non si commosse. Sapeva
quali pensieri, in quei pochi secondi, avevano attraversato la mente del
fratello. E le scoppiava il cuore di gioia quando Hanamichi le dimostrava tutto
l’affetto di cui era capace. Quanto adorava quel bestione di ragazzo!
«Hana! Anche io! Tanto!».
I presenti scoppiarono a ridere,
divertiti dai due gemelli. Per quanto fossero casinisti e ce la mettessero
davvero tutta a far saltare le coronarie a chiunque li circondasse, era
commovente vedere quanto si volessero bene, quanto fossero pronti a sacrificare
se stessi per il bene dell’altro.
«Ahaha! Sono un
genio di fratello!», esclamò il rossino, tra le facce sconsolate di molti.
«Ci fosse stato Kaede probabilmente ti
avrebbe detto: un genio di fardello,
vorrai dire», scimmiottò la sorella, scoppiando a ridere vedendo la reazione
dell’altro.
«Maledetta prima donna dei miei stivali!
Meno male che non è venuto, altrimenti l’avrei messo al posto dei pesciolini
rossi!».
Eccolo, tornato il rompiballe di sempre.
E meno male la volpaccia non era venuta, altrimenti Akagi avrebbe seriamente
potuto compiere qualche azione sconsiderata. Come buttarli in mezzo alle rotaie
delle giostre con i vagoncini in arrivo a tutta velocità. Magari sarebbe
riuscito a levarseli da mezzo le palle, così.
«Ah, Hicchan!», disse il rosso, guardando
il piatto della sorella. «Quello devi finirlo tu o vuoi che ti dia una mano?».
Ci mancò poco che la metà di loro cadesse
dalle loro sedie.
Hime rispose con una risata cristallina
e, come al solito, contagiosa. «Hana, sei un pozzo senza fondo! Fai quasi
concorrenza a Takamiya!».
[2]Sashimi: fettine sottilissime di pesci
o molluschi freschi, servite in salsa di soia con wasabi
o in salsa ponzu e decirate
con radici di daikon.
[3]OnigiriEbi Mayo: involtini di riso e alghe crude, in questo
caso farciti con gamberi e maionese.
[4]Gomoko-sushi:
riso cotto con aceto di riso, zucchero e sale, guarnito con pesce, alghe,
vegetali o uova. Gli ingredienti possono essere o cotti o crudi.
Capitolo 9 *** Let’s go to the Luna Park! - Parte III ***
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo VIII
Let’s go to the LunaPark!
-Parte III
Come previsto, dopo cena
Hanamichi e Nobunaga si fiondarono ai kart (con l’intento di trasformarlo in un
autoscontro), spingendosi e strattonandosi per accaparrarsi l’unica
automobilina rosso fiammante disponibile.
«Oh Kami, sono peggio dei
bambini!», esclamò Ayako, guardando con disapprovazione i due, che rischiarono
di calpestare un bambino che, sfortunatamente, si trovava davanti alla loro
folle corsa.
«Più che altro mi chiedo dove
metterà le gambe Hanamichi», disse pensierosa Hime, guardando divertita il
fratello che cercava disperatamente di sedersi in quel microbo di auto. Kiyota,
invece, più basso una diecina di centimetri del rossino, nonostante qualche
difficoltà, riuscì a posizionarsi bello che tranquillo nella sua macchinina
gialla.
«Ahaha!
Hai il culo enorme, Rosso-Scimmia!», gridò tra le risate il moro, facendo
ridere anche i compagni.
«Maledetto pidocchio!»,
replicò l’altro. «Aspetta che riesca a sedermi e ti faccio vedere di cosa è
capace il genio delle corse!».
Il gestore dell’attrazione li
guardò parecchio perplesso, sospirando. A volte i ragazzotti di una certa età
erano anche peggio dei bambini. Bambini… gli stessi che ora stavano piangendo
perché due giganti delle nevi gli avevano fregato il loro divertimento.
«Due bisonti, ecco cosa sono»,
fece Ryota, poggiandosi mollemente a una transenna.
«Chi perde sale sulle montagne
russe con Hime!», esclamò Mitsui, sorridendo malizioso alla volta della
ragazza.
La rossa, in risposta, lo
mandò gentilmente a quel paese, saltandogli sulle spalle e tirandogli i
capelli. Kami, adorava la velocità… ma quelle erano alte, porca paletta! Lei
soffriva di vertigini!
Hanamichi, d’altronde, iniziò
a sbraitare contro il ragazzo, manco fosse una lavandaia. «Ma brutto Mitcchan! Io non voglio che questa scimmia spelacchiata
salga con la mia sorellina!».
«E chi ti ha detto che sarò io
a perdere?», replicò l’altro, indispettito.
«Certo che sarai tu,
Nobu-scimmia! Perché io vincerò! Ahaha!».
Ma perso com’era nei suoi
vaneggiamenti, neanche si accorse che il via era stato già dato e, infatti,
partì con qualche secondo di svantaggio.
«Sakuragi, sei proprio un cerebroleso!»,
esclamò Kiyota, prendendo la prima curva a sinistra.
«Questa è la volta buona che si
ammazzano», mormorò Ayako, preoccupata.
Akagi ghignò. «Speriamo!».
In pista, nel frattempo, le
due scimmiette si davano aperta battaglia. Il loro orgoglio (e la salvezza
della sorella di uno dei due dalle grinfie dell’altro) era prepotente, qualcosa
che aveva sempre la meglio su di loro. E infatti neanche sentirono l’uomo alla
cassa che gli gridava di non sbattersi così, per la loro incolumità, per quella
degli altri e per quella delle macchine. Dovevano vincere, quello era
l’importante!
«Che cazzo, brutto muso di
scimmia! Vuoi finirla o ti devo sbattere fuori con una ruota?», esclamò
Nobunaga, voltandosi velocemente verso l’altro, che era riuscito ad affiancarsi
a suon di speronate a destra e a manca.
«Ahaha!
Sono un genio!».
L’ennesimo colpo del rossino fecero
voltare un infuriato Kiyota che, troppo occupato a cantarle al ragazzo, non si
accorse della curva a gomito a destra e finì bello che spalmato sulle transenne
dove stavano gli altri.
«Hanamichi, deficiente!»,
gridò Hisashi alla volta del rossino, che rideva come un matto e continuava a
girare.
Kiyota, immobile nella sua
piccola autovettura strinse i pugni, fumando rabbia come una pentola a
pressione. Immediatamente dopo saltò sull’automobile manco avesse le molle
sotto i piedi, gridando infuriato contro Hanamichi. Ci mancò poco che si
gettasse all’inseguimento di quell’altro pazzoide, se non fosse stato per Maki
che lo afferrò prontamente per la collottola.
«Io ti ammazzo, brutto idiota!
Ti ammazzo!».
In men che non si dica le
famigliole vicine videro bene di allontanare i loro pargoli da quel gruppo di
incoscienti e schizzati, facendo perdere un cospicuo incasso all’uomo del
botteghino, il quale a sua volta stava seriamente pensando di tirar fuori la
mazza da baseball che teneva nascosta dietro il bancone e insegnare le buone
maniere a quegli animali da circo.
Nobunaga strattonò il suo
Capitano, irritato e avvolto dalle fiamme dell’inferno. Si voltò verso una meta
non precisa, con lo sguardo abbassato e un viso del tutto infuriato.
«Kiyota, stai sanguinando dal
naso», lo informò Ayako, guardandolo attentamente.
Hime sbuffò alla volta del
fratello che, ignaro di tutto, continuava a correre come un esaltato. Si
avvicinò a passo spedito al rookie del Kainan, posandogli una mano sul braccio.
Ci mancò poco che il ragazzo si voltasse a tirarle un pugno, tanto era
suscettibile.
«Ehi, scusami tanto se mi sto
preoccupando per te!», sbottò offesa.
«Non… non pensavo fossi tu,
scusa», borbottò Nobunaga, voltando il viso da un’altra parte.
Hime tirò fuori un fazzoletto
e lo costrinse a guardarla, prendendogli il mento tra le dita. Per un attimo
rimasero così, immobili a guardarsi: lei con il fazzoletto a mezz’aria,
dimentica di quello che doveva fare inizialmente; lui perso in quegli occhi
nocciola perennemente ironici e birichini. Entrambi non si accorsero che erano
nelle immediate attenzioni degli amici, che li osservavano sghignazzando.
«Scu–
scusa Hanamichi, non voleva che ti facessi male», disse lei in un soffio,
troppo presa ad ammirare i lineamenti del viso dell’altro.
«Non devi scusarti per lui. Se
è un deficiente non puoi farci niente».
Hime gonfiò le guance,
iniziando a tamponare il naso del ragazzo. Era pur sempre suo fratello!
«Ehi, fai piano! Hai la
delicatezza di un elefante!», si lamentò Nobunaga.
«Un elefante? Guarda che ti
faccio anche l’occhio nero se questo non ti basta!», esclamò lei, premendo
contro il naso dell’altro e facendolo deplorare.
Quanto era idiota quel
ragazzo. Lei voleva essere gentile e lui si lamentava! Ma com’era tenero con il
visino imbronciato, le guance leggermente imporporate dall’affronto di poco
prima, le labbra socchiuse, per respirare meglio… quelle labbra… kami-sama, doveva darsi una calmata! Quello era Nobunaga
Kiyota, il suo nemico giurato! Non poteva fare certi pensieri su di lui,
accidentaccio!
«E-Ehi! Voi due!», gridò
Hanamichi, una volta sceso dall’automobile e accortosi di quello che stava
succedendo. «Brutto maniaco, stai alla larga da mia sorella!».
«Maniaco a chi, idiota! Se ti
afferrò ti faccio diventare i capelli biondi!», rispose l’altro, saltando sul
rossino e ingaggiando lotta libera. Se ci fosse stata l’Armata Sakuragi a
quell’ora avrebbero anche fatto in tempo a tirar su il banchetto delle
scommesse su chi le avrebbe prese di più.
Due secondi più tardi entrambi
si ritrovarono un bernoccolo in testa. «Deficienti.», dissero in coro Akagi e
Maki, guardandoli di sbieco.
«Capitano! Io sono anche
ferito!», si lagnò Nobunaga, facendo ridere gli amici.
«Ma quale ferito e ferito!»,
fece Maki, sogghignando. «Un ragazzo grande e grosso come te che si lamenta per
un colpo! Vergogna!».
Kiyota arrossì a livelli
ancora mai raggiunti e sperò ardentemente che un qualcosa o qualcuno lo facesse
sparire da lì il prima possibile. Oppure facesse sparire direttamente quel
maledetto rossino che non la smetteva di pavoneggiarsi della sua fantastica
gara e delle sue doti indiscusse di pilota di formula uno.
«Ehi, Kiyota», ghignò Mitsui,
affiancandosi al ragazzo. «Paga la penitenza!».
«Hisashi!», esclamò Hime,
balzandogli davanti. «Non ti sembra il caso di chiedermi prima: “Hicchan cara, ti andrebbe di scontare la
penitenza anche per quel simpaticissimo ragazzotto di là”?!».
Kiyota, ovviamente, non tardò
a prendere al volo la provocazione. «Guarda che quel “simpaticissimo ragazzotto di là” ha un nome!».
«Nobu-scimmia!»,
puntualizzò Hanamichi, rischiando di trovarsi nuovamente quel demente addosso,
deciso a riempirlo di botte.
Nel frattempo Hime stava
liberamente battibeccando con Hisashi, senza neanche accorgersi che, mentre
camminavano, erano arrivati esattamente all’entrata per le montagne russe.
«Oh, guarda un po’ dove siamo!»,
fece Mitsui, sorridendole ironico.
«Niente mi vieta di non
salirci».
Ryota arrivò in soccorso
dell’amico, dandogli man forte. «Certo che ci salirai, altrimenti saremo costretti
a usare la forza».
«Ehi, ragazzi, dovete salire o
no? State intasando la fila», disse un uomo tarchiato e burbero.
«Certo, stanno salendo
subito!», esclamarono Miyagi e Mitsui, spintonando i due malcapitati verso
l’uomo.
«Voi due me la pagherete!
Ricordatevelo!», gridò Hime.
«Hicchaaan!
Maledetta scimmia, la mia Hicchan!».
«E stai un po’ zitto,
demente!».
Hime, guardando la struttura
metallica della giostra, per poco non svenne. «È… alta…».
Nobunaga la guardò distratto,
ancora seccato dall’incidente di prima. «Sul cartello c’era scritto venticinque
metri».
Per poco il ragazzo temette di
perderla e trovarsela afflosciata per terra come un palloncino sgonfio, dato
che il viso della rossa divenne pallido peggio di un cencio.
«Ve-venticinque?!».
Kiyota ghignò. «Soffri di
vertigini?».
Hime abbassò lo sguardo,
bofonchiando un sì.
«Beh, a me non è che piaccia
tanto quella», le disse, indicando un giro della morte visibile dietro la
chioma di un albero vicino a loro. «Ma non dirlo a nessuno, ho una reputazione
da mantenere io!».
Hime scosse la testa, quasi
sconvolta. «Io… io stanotte li affogo nella piscina, è deciso! E tu mi
aiuterai, vero? Perché altrimenti affogo anche te!», esclamò puntandogli
minacciosa un dito contro.
Nobunaga rise, afferrandola
delicatamente per un polso e facendola avanzare nella fila.
Una volta seduti e allacciati
per bene, Hime strabuzzò gli occhi. Oh Kami, era davvero seduta su quell’affare
infernale?! Sarebbe morta, oh sì che sarebbe morta… d’infarto! Ma se fosse
sopravvissuta… mille idee diaboliche le stavano frullando nella testa, per
farla pagare a quei due mentecatti che non erano altro!
«Dammi la mano, Kiyota!»,
esclamò, quando sentì le rotaie sotto di sé iniziare a muoversi.
Nobunaga strabuzzò gli occhi,
ma non le negò la mano. Sentì quelle piccole di lei stringere la sua
convulsamente. Era terrorizzata. Ed era adorabile.
«Paura, Sakuragi?», le mormorò
sorridendo, facendola voltare verso di lui. «Tranquilla, ci sono io!».
Per un istante Hime si
dimenticò di essere sull’attrazione per lei più spaventosa dell’intero luna
park. C’era soltanto il ragazzo affianco a lei, che da qualche tempo le stava
accarezzando la mano con il pollice, quasi volesse rassicurarla. E caspita,
facendo così faceva tutto fuorché tranquillizzarla!
«Ki-Kiyota»,
farfugliò Hime, mentre i vagoncini iniziavano la loro lenta salita. «Se dopo
questa… cosa io morirò, perché io morirò…». Le parole le si
bloccarono in gola vedendo che l’altezza da terra aumentava sempre di più.
Nobunaga, con la mano libera,
la voltò verso di sé. «Continua a guardarmi».
«Ecco, dato che morirò… sappi…
sappi che lascio tutti i miei beni a Hanamichi», il vagoncino tremò un istante,
facendola bloccare. Deglutì a fatica, stringendogli ancora di più le mani, ma
continuò. La salita continuava, ma stava per finire, senza che lei se ne
rendesse conto. Davanti a lei c’erano solo gli occhi blu del ragazzo «Che
quando ero piccolaaa–!».
La discesa arrivò inaspettata
quanto brusca, togliendole il fiato in men che non si dica. “Sto morendo! Sto morendo!”
Sballottati a destra e a
sinistra, tra sali e scendi improvvisi e veloci, i due gridarono per tutto il
tragitto, quasi senza respirare. Giù, intanto, i loro amici ridevano come
matti, sentendo le urla disperate della ragazza, riconoscibili a miglia di
distanza.
«Questa volta Hime vi ammazza
sul serio», disse Ayako, ridacchiando.
I due congiurati si guardarono
melodrammatici, esclamando in coro: «È stato bello conoscerti!».
Quando anche il secondo,
infernale giro terminò, Hime e Nobunaga erano senza fiato in gola. Forse, pensò
la ragazza, aveva lasciato anche due o tre corde vocali in qualche discesa.
«Sono viva–!».
Nobunaga, nonostante la
strizza per il giro della morte (che comunque gli era piaciuto parecchio), rise
di gusto, stringendole la mano. Se quel gesto era stato dettato da un momento
di paura, ora Kiyota non voleva saperne di lasciarla andare così. Kami, non
riusciva a spiegarsi da dove era saltata fuori quella voglia, ma sentiva che
voleva sentirne il calore, quella sera.
«Tutto bene?», le chiese,
quando il trenino si fermò completamente. La aiutò a uscire, perché proprio
come lui, anche Hime aveva le gambe tremanti per l’adrenalina.
«Credo… credo di sì!».
Continuando a tenerla per
mano, Nobunaga la condusse dagli altri, con un sorrisone stampato in faccia.
«Ahaha!
È stato bellissimo!», esclamò, molleggiandosi nel camminare.
«Parla per te!», disse Hime,
con voce roca.
«Potresti fare la soprano,
Hime, sai? Le tue grida son state spassosissime!», fece Mitsui, sbellicandosi
dalle risate e beccandosi un pugno da Hanamichi.
Il rossino, poi, voltandosi
verso la sua Hicchan per vedere se stesse bene, si accorse che i due fossero
mano nella mano – particolare che, invece, agli altri non era sfuggito per
niente.
E in un nano secondo scoppiò
la terza guerra mondiale.
«Ma come ti permetti,
maledetta scimmia sfigata? Giù le zampacce dalla mia Hicchan!», gridò il rosso,
artigliandogli letteralmente le braccia. «Hicchan, vieni, ti porto alla
disinfestazione! Non vorrei che le sue pulci ti danzassero addosso scimmiottando
come quello lì».
«Ha-Hanamichi!», esclamò
imbarazzata Hime, mentre Nobunaga, come previsto, gli saltava addosso per
pestarlo, con l’intendo di farlo fuori una volta per tutte. Per un momento
Akagi fu tentato di dare man forte al piccolo Kiyota. Per una volta poteva
anche aiutarlo, quell’altro esagitato… almeno uno se lo sarebbe tolto dalle
palle.
Hime si mise le mani in viso,
sconsolata. Appoggiandosi a una panchina lì vicino, con le gambe ancora molli
per l’esperienza appena vissuta, alzò lo sguardo verso i suoi amici, che la
guardavano maliziosi e parecchio allegri.
«No!», esclamò lei, capendo
quelle occhiate. «No, no e no!».
Inutile dire che gli altri
scoppiarono a ridere, mentre i due litiganti si bloccarono, incuriositi dalle
loro risa. Continuando a non capire, si guardarono un attimo, fecero spallucce
e ripresero a darsela di santa ragione.
*
Tornarono in albergo all’una
di notte passata. Si erano divertiti (tranne per quel piccolo inconveniente che
era costato due litri di sangue dal naso al povero Kiyota), avevano fatto
casino e si erano fatti riconoscere come sempre.
Akagi fu il primo a fiondarsi
come un treno in camera da letto, per entrare in letargo e risvegliarsi a
primavera, dato che le coronarie gli erano saltate del tutto e il pugno gli doleva,
da quante volte lo aveva dovuto usare su quelle teste bacate dei suoi compagni
di squadra.
Maki e Jin, invece, erano
rimasti a chiacchierare in giardino, consci del fatto che, nonostante l’ora
tarda, non sarebbero riusciti a prendere sonno facilmente. Per fortuna il
giorno dopo (anzi, il giorno stesso) sarebbe stato domenica.
Chi, invece, non aveva
nessunissima intenzione di dormire era il branco di invasati che tanto si era
divertito quella sera. Erano euforici, manco fossero ubriachi, e volevano
concludere in bellezza la serata.
«Che si fa?», chiese
Hanamichi, abbracciando la sorella da dietro e poggiandole il mento sulla
spalla.
«Bagnetto di mezzanotte?»,
propose Mitsui, con un sorrisino maligno.
«Perfetto!», esclamò il
rossino, sollevando la rossa come un sacco di patate e buttandola in acqua,
ancora munita di vestiti e infradito.
«Hanamichi no baka!», esclamò lei, riemergendo e tirandogli le
pantofole addosso. «Non te la starai prendendo a vizio?!».
Sakuragi scoppiò a ridere,
evitando le due pantofoline, senza neanche accorgersi che Ryota e Hisashi, con
uno sguardo d’intesa, stavano per fargli raggiungere la sua cara Hicchan.
«Maledetti traditori!», gridò
l’esagitato, spruzzando acqua dalla bocca come una balena.
«Razza di demente, abbassa la
voce!», gridò Ayako, togliendo fuori da chissà dove il suo ventaglio e
colpendolo sulla capa rossa. Per poco non cadde in acqua anche lei.
«Brutta strega!», si lagnò il
ragazzo, beccandosi, poi, un Ryota incollerito addosso, che stava pensando bene
di punirlo per l’affronto alla sua amata.
«Fate largo al Re!», gridò
Hisashi, prendendo la rincorsa e tuffandosi a bomba.
«Hisashi, dieci centimetri e
mi beccavi!», esclamò Hime, ridendo e buttandosi sulle spalle del numero
quattordici, con il vano intento di picchiarlo. «Facciamo una lotta?», chiese,
aggrappandosi meglio a Mitsui.
«Sììì!
Tu e Mitchi contro me e Ryo-chan!», disse Hanamichi, con un sorrisone ebete in
faccia. Poi, resosi conto di quello che aveva appena detto, esclamò: «No, no,
no! Io e te, e Mitchi con Ryo-chan!».
Gli altri scoppiarono a ridere
all’evidente gelosia del rossino nei confronti della ragazza.
Hime gli sorrise. «Hana,
tranquillo che nel caso lo affogo!».
«Ah, è così?».
Mitsui non ci mise molto a
capottarla e a spedirla sott’acqua.
«Assassino!», si lanciò alla
rincorsa Hanamichi, saltando addosso a Mitsui e rischiando di cadere sopra la
ragazza, che stava riemergendo in quel momento.
«Brutti bisonti! Volete
ammazzarmi, eh? A morteee!».
E lì a picchiarsi, a
schizzarsi acqua e a tentare di affogare il nemico.
Nobunaga guardava la scena con
un pizzico di divertimento, poggiato a un tavolino e con le mani incrociate
dietro la testa; ma improvvisamente si sentì l’escluso del gruppo. Lui faceva
parte della squadra nemica, non della loro. Erano affiatati, erano scandalosi a
volte. Ma insieme si divertivano. Insieme erano un gruppo unitissimo. Che cosa
ci faceva in mezzo a loro? Non gli ci voleva molto a far baldoria, ma capiva in
quali situazioni poteva permetterselo.
Lanciò un’occhiata al suo
capitano e all’amico, che sorridevano vedendo quegli scalmanati combinarne di
tutti i colori. Stava per raggiungerli, quando la voce del rossino lo bloccò,
lasciandolo di sasso.
«Ehi, Nobu-scimmia! Dove vai?
Vieni qui, che ti affogo per bene!».
Kiyota sorrise, più rilassato.
Ma quando si voltò mostrò un faccino del tutto contrariato. «A chi è che vuoi
affogare, razza di scimmia dal pelo rosso?».
Il moro si tolse la maglietta,
rimanendo a petto nudo, nonostante Maki lo avvertì che l’acqua fredda gli
avrebbe potuto provocare un bel raffreddore. Ma lo sapeva, quel ragazzo faceva
tutto di testa sua.
«Arriva il lottatore numero
uno di Kanagawa, Nobunaga Kiyota! Ahaha!», gridò
l’altro esaltato, raggiungendo il gruppo con una capriola. Ci mancò poco che
sbattesse rovinosamente la testa sul bordo della piscina, dato che aveva
saltato troppo presto e troppo lontano.
Dentro l’albergo, invece, un
Akagi fuori dai gangheri si coprì la testa con un cuscino, stringendolo con
talmente tanta forza che finì quasi per romperlo. Accidenti a quegli esagitati!
Lunedì si sarebbe divertito lui!
Decisero di ritirarsi a nanna
solo due ore più tardi, esausti ma felici.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Finalmente si chiude la
parte del Luna Park! Che fatica tenerli a bada tutti, animali! ò_ò Ma la storia è lunga, eccome se è lunga! Il bello deve
ancora iniziare *_*! *risata malefica di sottofondo*
Prima di salutarvi e
darvi appuntamento alla settimana prossima (presumo mercoledì, dato che lunedì
inizio con l’università e mercoledì, appunto, è l’unico giorno libero in
settimana che ho dalle lezioni) vorrei ringraziare di cuore lilli84 [grazie, grazie, grazie!
Addirittura una delle migliori, god! Più tardi faccio
una telefonatina ad Inoue-sensei, vediamo che ne
pensa XD! Besos :*] e SangoChan88 [ecco, queste son le cose che più mi commuovono e mi
rendono schifosamente felice ;__;! Dannatamente IC… grazie! *_* Ehehe… ne vedremo delle belle! XD Grazie mille anche per il
preferito! *_* Siete sempre di più! *O*].
Grazie mille anche a
tutti coloro che stanno continuando a seguire questo sclero di storia… ce ne
vuole coraggio, eh! xD
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo IX
The beginning of the end?
Hime si stava sistemando la
scopa di capelli rossi che aveva in testa, fermandola con la consueta pinza marrone.
«Dici che dovrei tagliarli?», chiese ad Ayako, che stava leggendo una rivista
sportiva.
La riccia alzò lo sguardo
sull’altra, chinando il capo di lato. «Ma no… son così belli».
L’altra sbuffò, guardandosi
una ciocca ribelle che scappava dalla presa della pinza. «Ah, al diavolo! Un
giorno farò la pazzia di Hanamichi e li taglierò corti corti!».
Ayako rise, scuotendo la testa
divertita. Quella ragazza era incredibile!
«Vado a farmi due passi, tu
che fai?», le disse Hime, avvicinandosi alla porta.
«Finisco di leggermi questo
articolo, poi magari ti raggiungo».
Hime la salutò con un sorriso
e uscì dalla camera. Sentì uno starnuto potente provenire dalla camera della
scimmietta del Kainan e decise di andare a rompergli un po’ le scatole. Bussò
alla porta e dopo una manciata di secondi un Jin sorpreso e sorridente la fece
accomodare.
«Sakuragi, qual buon vento?»,
le chiese.
Nel sentire quel nome Kiyota,
sdraiato sul letto con un braccio a coprirgli il viso, balzò in piedi, pensando
si trattasse della scimmia rossa al maschile. Ma quando si ritrovò di fronte
Hime, deglutì a fatica. «Sa-Sakuragi! Che ci fai qui?».
Hime sorrise ai due,
rendendosi conto solo in quel momento che fosse nella camera dei due giocatori
del Kainan. La tana del lupo! «Ho sentito che starnutivi e ho pensato di venire
a vedere come stavi».
Nobunaga, già rosso di per sé
per il raffreddore e un po’ di febbre, divenne ancora più scarlatto.
Jin si appoggiò al muro. «Si è
preso un colpo d’aria ieri sera. Questo è perché non ascolti mai i consigli
degli altri, Nobunaga. Lo sai che ti ci vuole un niente per raffreddarti».
Kiyota voltò lo sguardo,
scocciato dall’ennesima ramanzina della giornata. Non era bastato Maki che
l’aveva rimproverato alla grande, ora ci mancava anche la terza in dieci minuti
di quel rompiscatole di Soichiro. E che caspita, era grande e vaccinato per
prendersi le sue responsabilità!
Si buttò nel letto, a pancia
in giù, sprofondando il viso nel cuscino. «E zitto, Jin», borbottò.
L’altro rise, divertito. Poi
guardò la ragazza e la scoprì letteralmente imbambolata a fissare il loro
numero dieci. «Beh, io vado da Shin’ichi, voleva parlarmi della partita di
domani. Stattene buono al caldo, Nobu-chan!».
«Seh…
come se già non ce ne fosse, di caldo.», sbottò Kiyota, riversandosi su di un
fianco e starnutendo nuovamente. «Accidenti…».
Hime, rimasta sola con il
ragazzo, abbassò gli occhi, imbarazzata. Baka!
Che diavolo le era saltato in mente ad andare da lui?! Maledetto carattere
impulsivo della malora!
«Vuoi fazzoletti?», le chiese
Nobunaga, guadagnandosi la sua attenzione. «Ne ho sporchi in quantità
industriale».
«Che schifo, Kiyota!», esclamò
lei, ridendo.
«Puoi anche sederti, eh».
Hime annuì poco convinta e
prese posto nel letto di Jin, vicino a quello della scimmietta. Restarono in
silenzio per un po’. Un silenzio decisamente troppo pesante e imbarazzante, per
i loro gusti. Quand’era l’ultima volta in cui era accaduta una cosa simile?
Mai.
«Allora… hai anche febbre?».
Nobunaga si mise a sedere,
sentendosi la fronte con una mano. «Non so… io mi sento scottare, ma ho già
caldo di mio».
Hime gli si sedette accanto,
spostandogli la sua mano grande e sentendo lei stessa se scottasse realmente.
Nobunaga temette di esplodere,
in quel momento. Se non fosse stato caldo, con il rossore che gli imporporò
l’intero viso, avrebbe raggiunto i cento gradi di ebollizione e sarebbe
evaporato all’istante.
Hime, con una mano anche sulla
sua fronte, confrontò un po’ la due situazioni, sorridendo impacciata. «No, sei
leggermente caldo, ma non dev’essere molto alta». Ecco, doppiamente idiota.
Cos’è, per concludere in bellezza voleva saltargli addosso, ora? «Io… è meglio
se vado, così ti riposi un po’… domani c’è la prima partita e… si, è meglio
così. Altrimenti rischio di essere contagiata anche io. Sì, io vado».
Ma non fece in tempo ad
alzarsi che Kiyota l’aveva bloccata per un polso e strattonata verso sé.
Restarono immobili, a pochi centimetri di distanza, ad ascoltare i propri
respiri, a guardarsi negli occhi senza dire una parola. Poi le labbra di Nobunaga
sfiorarono quelle della ragazza, lievi, quasi impercettibili. Un gesto
impulsivo, irrazionale. Non sapeva nemmeno lui perché l’avesse fatto.
Il capogiro che avvertì Hime
fu tutto un programma e ringraziò il cielo che fosse già seduta. Per poco
temette di perdere i sensi. Che razza di effetto aveva su di lei quel ragazzo?
Che tra le altre cose l’aveva appena baciata! Forse non era mai stata così
confusa in vita sua. E soprattutto non aveva mai rischiato un colpo al cuore,
con il battito così veloce da farla mancare!
«Sakuragi, io–», le mormorò a
fior di labbra, socchiudendo gli occhi. «Scusami». Se Hime era confusa, lui lo
era il triplo. Che diavolo aveva appena fatto? L’aveva baciata? Stava
ammattendo di colpo? Quella era Hime Sakuragi! Si detestavano! Lo detestava!
Doveva essere la febbre, stava delirando e non aveva controllo delle sue
azioni. Sì, probabilmente era così, lui non si sbagliava mai. Faceva sempre le
cose più giuste… già.
E allora perché Hime si stava
alzando dal letto, rossa peggio dei suoi capelli? Forse… forse aveva fatto una
delle sue tante idiozie?
«È… è meglio che vada, Kiyota.
Ci vediamo a pranzo».
La vide allontanarsi
velocemente, imbarazzata persa e tremante da capo a piedi. Nobunaga rimase
immobile, a fissare la porta che veniva chiusa rapidamente. Prese un bel
respiro, poi un altro…
«Idiota!», si gridò, prendendo
un cuscino e sbattendolo con forza contro il muro. Ma che diavolo gli era
saltato in mente? Se avesse potuto si sarebbe preso a calci sul muso!
Prese ancora il cuscino e lo
colpì nuovamente con un pugno, come se avesse di fronte a sé la sua bella
faccia arrossata e sudata. Poi lo colse una fitta alla tempia e fu costretto a
sdraiarsi, per riprendersi un attimo.
«Cazzo…», mormorò, stringendo
le mani. «Cazzo!»
*
Hime stava seduta per terra,
con la schiena poggiata sul muretto del campetto esterno. Strinse le gambe al
petto, nascondendo il viso tra le ginocchia. Che le era preso? Perché era
andata via così, senza dire niente? Aveva fatto la figura di una ragazzina
infantile. Stupida, stupida!
Si mise le mani tra i capelli,
scuotendo nervosa la testa. Kami… quel ragazzo le piaceva, le piaceva da matti!
Aveva sentito il cuore in gola quando l’aveva baciata! Kami… Kami! Baciata! Nobunaga Kiyota! Lo
stesso ragazzo con cui non riusciva a parlare perché finivano sempre a
insultarsi e a battibeccare! Magari quello era un modo per prendersi gioco di
lei?
Si diede un pizzicotto sulla
guancia, sperando di svegliarsi sul suo letto e poter dire: “era solo un incubo! È tutto finito, ora!”.
Niente, lei era lì, sola in
quel campetto, a crogiolarsi nel suo brodo bollente. Troppo bollente.
«Ehi».
Hime alzò lo sguardo su di
lui. Neanche si era accorta della sua presenza. «Ede».
Rukawa poggiò per terra il
pallone da basket, perennemente tra le sue mani, e si sedette accanto alla
ragazza, chiudendo gli occhi.
E Hime lo adorò. Aveva
assolutamente bisogno di una persona amica, in quel momento. E Kaede Rukawa era
la sua manna dal cielo. I suoi silenzi erano ricchi di parole. Nessuno, tranne
Hanamichi, era in grado di capirla e ascoltarla meglio di lui. A meno che non
si addormentasse nel mentre, ma quella era un’altra storia che lei risolveva
con un bel pugno in testa.
«Ciao scema».
Hime prese un bel respiro,
lanciandogli un’occhiataccia. «Grazie per l’insulto gratuito, eh».
Rukawa emise un gemito
divertito e la guardò un attimo, spostandole una ciocca rossa dalla fronte.
«Son proprio ridicoli questi capelli. Tingili».
Due secondi più tardi si
ritrovò un bernoccolo in fronte. «I miei capelli sono bellissimi».
«Manesca».
Hime sospirò, guadagnandosi
un’occhiata curiosa dell’altro. E capì che le stava tacitamente chiedendo di
spiegarle cosa era successo. Perché Rukawa, per quanto fosse perennemente
addormentato, aveva capito benissimo che qualcosa era accaduto.
«Ho fatto una cazzata»,
bofonchiò, poggiando la testa sulla spalla del volpino.
Kaede alzò un sopracciglio,
abbassando lo sguardo su di lei. «Non è una novità».
«Si, ma questa volta l’ho
fatta proprio grossa!».
«Non ti servirà continuare a
pensarci. Ormai l’hai fatta».
Hime sorrise, non proprio
convinta. «Se baciassi una ragazza che ti piace e questa se ne andasse subito
dopo, cosa penseresti?».
Rukawa soppesò la domanda un
po’, inclinando la testa da un lato. Sembrava un bambino. «Penso che la
prossima volta dovrei lavarmi i denti e mangiarmi una mentina».
Si guardarono un attimo, lei
confusa, lui con la solita espressione impassibile, ma con un guizzo svagato
negli occhi.
«Oh, Kaede, quanto sei
simpatico», esclamò la Sakuragi, ridendo. «Dai, seriamente!».
Il moro stava per dire
qualcosa, ma la voce trapana timpani di Hanamichi gli bloccò qualunque cosa sul
nascere.
«Oi, Hicchan! Eccoti qui… che
cosa ci fai con la volpe?!», esclamò il rosso, balzando davanti ai due.
«Do’aho».
Ci mancò poco che i due iniziassero
a darsele di santa ragione. Kami-sama, quegli
esagitati insieme erano due bombe pronte a esplodere da un momento all’altro!
«Ehm, Hana!», si intromise
Hime, alzandosi verso il fratello. «Perché mi cercavi?».
Il rossino, quando puntò i
suoi occhi nocciola sulla sorella, tornò allegro e pimpante più di prima.
Hanamichi aveva la capacità impressionante di cambiare umore da così a così.
«Stiamo pensando di scendere in paese prima di pranzo! Vieni, vero?».
Hime gli sorrise, annuendo. Ci
voleva proprio una bella giornata insieme ai suoi amici. L’avrebbe aiutata a
sbollire i troppi pensieri che si stavano affollando nella sua piccola testa
rossa. Non era abituata a pensare troppo a quel tipo di problemi. O forse non
era abituata a pensare, punto.
I fratelli si avviarono verso
il giardino dell’ingresso, dove gli altri tre esagitati li stavano aspettando.
«Rukawa, vieni anche tu?»,
chiese Ayako, alzandosi dal dondolo.
«Hn…
no, mi faccio una doccia».
Hime gonfiò le guance,
piantandosi di fronte al numero undici. «Eddai, Ede! Non sei venuto neanche
ieri sera! Almeno fai qualcosa di diverso, dai!», esclamò, tirandolo per un
polso nel vano tentativo di trascinarselo dietro.
Rukawa sospirò, conscio del
fatto che quando quella ragazza si metteva qualcosa in testa era pressoché
impossibile farle cambiare idea. «Rompi palle».
«Allora, vieni si o no?».
Kaede le scoccò
un’occhiataccia. E chi ne aveva voglia di sopportare quei tre dementi dei suoi
compagni di squadra che gli menavano le palle ogni due secondi? «Hn. D’accordo».
Hime sorrise raggiante,
prendendo sotto braccio sia il moro che il fratello, inebetito per la scena.
«Hicchan! Non stargli così
attaccata! O lui o me! Anzi, me e basta!».
«Do’aho», bofonchiò l’altro,
già pentito di non essersene restato in camera a farsi i cavoli suoi.
Inutile dire che tutti
scoppiarono a ridere. Con quei due insieme ne avrebbero viste delle belle!
Intanto, dalla finestra della
sua camera, che dava direttamente sull’ingresso dell’albergo, Nobunaga Kiyota
guardava la scena senza parole. Così lei preferiva quel maledetto volpino a
lui! Ora si che capiva tutto! Ecco perché se n’era andata quando aveva tentato
di baciarla… era innamorata di Rukawa! Perché non ci aveva pensato prima? Si
sarebbe risparmiato una bella dose di nervoso!
Con un pugno sul muro
maledisse sia Hime che quel volpino, che già da parecchio tempo gli stava
indigesto. Che stessero anche insieme, a lui non sarebbe importato un bel
niente! E dire che stava anche seriamente pensando di non scendere per pranzo
con la scusa che stava male, pur di non doverla guardare negli occhi! Eh no,
Nobunaga Kiyota non si sarebbe fatto abbattere da una stupidaggine del genere…
non accettava un no, non accettava un rifiuto, mai! Il suo orgoglio era molto
più importante di una donna scimmiesca come la Sakuragi! Al diavolo lei,
il fratello, quel volpino… al diavolo tutti!
Andare in giro con due ragazze
al seguito equivaleva al suicidio. Soprattutto se le due invasate in questione
si fermavano a ogni vetrina per commentare ogni minimo spillo presente sotto i
loro nasini.
«Aya-chan! Guarda che bella
quella maglia etnica!», esclamò Hime, sfracellandosi contro la vetrina, in
totale adorazione di una maglia lunga, sull’arancione scuro, con una fila di
strass marroni lungo il collo e le maniche e dei disegni stilizzati. Per
completare l’opera, c’era anche una bella cintura in file di caucciù, che
terminava con delle perline colorate. Adorava quel tipo di abbigliamento!
«Ma se sembra un sacco di iuta!»,
fu il sincero commento di Mitsui, che proprio non capiva dove quella “cosa”
informe potesse essere vagamente bella.
«Mitcchan,
non capisci proprio nulla! Guarda che colori!», proseguì Hime, intenta a non
voler sentire discussioni. Quando diceva che quella maglia era bella allora lo
era, punto e basta!
Rukawa, che già per il sole
cocente stava per addormentarsi in piedi, bofonchiò qualcosa di incomprensibile
e aprì la porta del negozio, entrando. Beh, almeno c’era l’aria condizionata
accesa e per dieci minuti avrebbe respirato un po’.
Gli altri lo guardarono
allibiti, tranne Hime che si precipitò da lui. «Che fai?».
«Te la compro».
Gli occhi della ragazza si
illuminarono. «Ede, ma no, dai! Non è il caso!», esclamò agitando le mani, più
falsa che mai.
Senza degnarla di uno sguardo,
si avvicinò a uno scaffale dove riconobbe la famigerata maglietta. «Tanto so
che se non la prendi rimarrai settimane parlandone e preferisco evitare».
Hime scoppiò a ridere,
battendogli una mano sulla spalla. «Ragazzo previdente, eh?».
«Conoscendoti vorrei ben vedere.
Ci tengo alle mie orecchie». Prese la taglia più piccola (anche se era già
larga di suo), nonostante le proteste della ragazza, pagò e uscì, senza neanche
aspettarla, sotto lo sguardo adorante della cassiera che non aveva fatto altro
che sbavargli dietro da quando era entrato in negozio.
«Kaede Rukawa, tu sei
ufficialmente matto!», esclamò, mettendosi le mani sui fianchi. «Costava
tanto!».
Mitsui lanciò un’occhiata al
prezzo in vetrina: 7500 yen (45 euro
circa). «Sì, Rukawa, sei decisamente pazzo a spendere tutti quei soldi per
lei!».
Rukawa, nel frattempo, mani in
tasca e la busta a penzoloni sul braccio, riprese a camminare, diretto in un
negozio di musica lì vicino. Pochi istanti dopo si ritrovò Hime attaccata al
suo braccio che gli schioccava un sonoro bacio sulla guancia. «Grazie, Kit».
«Hn…
chiamami di nuovo come quel do’aho di tuo fratello e la do alla prima che vedo»,
disse, alludendo alla maglia. «Prego, comunque».
Proseguirono per un’altra
mezz’ora, tra chiacchiere, bancarelle e vetrine varie. Hanamichi era anche
riuscito a trovare una sala di pachinko e Mitsui aveva dovuto fare carte false con il
proprietario, assicurando che il rosso e Ryota fossero maggiorenni. Peccato che
poi lui e il numero sette l’avevano dovuto portare via con la forza, per
tornare in albergo, altrimenti erano sicuri che se l’avessero lasciato lì ci
avrebbe anche dormito per tutta la durata del ritiro.
Arrivati alla loro meta
trovarono Kiyota e Jin prendersi beatamente il sole. E Hime non riuscì a non
arrossire nel guardare la scimmietta del Kainan, in costume da bagno. Aveva il
naso rosso e irritato per il raffreddore e un’aria imbronciata come sempre,
decisamente troppo tenero. Per non parlare del corpo da favola che si
ritrovava. Se poi pensava al fatto che quella stessa mattina lui l’aveva
baciata… beh, Hime partiva direttamente per la tangente, senza possibilità
alcuna di ritorno.
In quel momento uscì il buon
Kogure, che li accolse allegro. «Oh, Rukawa, hai fatto compere?».
Kiyota aprì un occhio, seccato
ma curioso di vedere la scena.
«Hn…
per questa pazza», fu la secca risposta di Kaede, che fece un cenno col capo
alla ragazza.
Hime, d’altro canto, prese la
maglia dalla busta che lui teneva ancora sul braccio e la mostrò raggiante al
quattrocchi. «Guarda, Kogure-san! Non è bellissima? Me l’ha regalata!», esclamò
la schizzata, con occhioni luccicanti e provandosela contro.
Per poco a Nobunaga non scese
un colpo. Regalata? Ah, si facevano anche i regali? Perfetto, ancora meglio! A
quando le nozze?
Kogure le sorrise, gentile
come sempre. «È bella!».
Hime si voltò verso i suoi
amici, indicando il vice capitano dello Shohoku. «Ecco, sentite le sagge parole
di Kogure-san! Blasfemi!».
Hisashi sogghignò,
sorpassandola. «Guarda che anche se non sembra, Kogure è il più ballista del
gruppo!».
«Senpai! Dimmi che non è
vero!», esclamò Hime, piagnucolando, mentre Kogure sorrideva angelico cercando
di rassicurarla sulle sue buone intenzioni.
«L’ho detto io che sei pazza»,
disse Rukawa, mettendole la busta ormai vuota in testa e andando verso la sua
camera.
«Argh!
Maledetta Kitsune! La mia Hicchan!», gridò Hanamichi, andando a salvare la sua
adorata sorellina dalle grinfie di una busta assassina.
Jin sorrise, godendo del
siparietto comico che come sempre quegli smidollati allestivano in quattro e
quattr’otto. Poi lanciò un’occhiata all’amico sdraiato affianco, che era
tornato a chiudere gli occhi, e sospirò mentalmente. Sembrava ancora più
imbronciato di come l’aveva lasciato la mattina. Doveva essere successo
qualcosa tra lui e la Sakuragi, altrimenti non si spiegava il
comportamento burbero più del dovuto del compagno di squadra. Non era riuscito
a cavargli fuori neanche mezza sillaba. Dopo l’avrebbe messo sotto torchio
insieme a Shin’ichi.
*
Il pranzo fu il caos più
totale. Hanamichi e Nobunaga non avevano fatto altro che litigare da quando si
erano visti, anche per cose senza senso (non che quando litigassero avessero un
motivo valido). Era Kiyota a provocare per primo ed era anche quello che
offendeva più pesantemente. Tanto che Maki dovette fargli sbollire la testa di
rapa che si ritrovava con tre pugni di fila. Ma Kiyota non si sprecò nemmeno
con Hime, deciso a vendicarsi per quello che aveva scoperto. La ragazza,
infatti, si era subito messa la maglia che le aveva comprato Rukawa e lui non aveva
perso occasione per farle notare che fosse orrenda, che sembrava un hippie
fallito e che conciata così avrebbe dovuto appostarsi a un semaforo per
raccogliere l’elemosina.
Per poco Hime non scoppiò in
lacrime.
«Ehi, Kiyota, ora stai
esagerando», fece Mitsui, alzandosi in piedi e guardandolo con astio.
«E che cavolo me ne frega? Qui
mi prendono per il culo tutti, ci mancherebbe anche che non risponda!».
Ci mancò poco che arrivassero
alle mani. Se c’era una cosa che Hisashi Mitsui e Kaede Rukawa non sopportavano
era che offendessero la ragazza.
Hime, d’altro canto, non lo
riconosceva più. Non era mai stato tanto volgare e offensivo come quella
mattina. Dov’era finito il solito Nobunaga Kiyota, attaccabrighe sì, ma pur
sempre simpatico e gentile, quando voleva? Quello che l’aveva tranquillizzata
sulle montagne russe, tenendola per mano? Quello che la mattina stessa l’aveva
guardata con occhi da cucciolo, dopo averle rubato il suo primo bacio?
Il pranzo si concluse con Hime
che lasciò la tavola sull’orlo del pianto, seguita da Hanamichi, imbestialito
come non mai. Gliel’avrebbe fatta pagare a quell’imbecille di scimmia per come
aveva trattato la sua Hicchan.
Kiyota, avvilito per un
comportamento che non gli si addiceva per niente e rischiando di essere veramente
malmenato da un Mitsui furente, uscì dall’albergo, per prendere un po’ d’aria e
calmarsi. Prese a calci un sasso indifeso davanti a sé, rosso in viso e del
tutto infelice. Diamine, era bellissima con quella maglietta! E con quella
treccia alta che si era fatta! Sembrava un angelo! Che cavolo era riuscito a
dirle? Ora sì che l’avrebbe odiato con tutta se stessa, complimenti Kiyota! Era
riuscito anche a farla piangere. Doppiamente idiota, Kiyota!
In camera della rossa,
Hanamichi teneva tra le braccia la sorella, scoppiata in un pianto isterico. Il
ragazzo non capiva il perché di quello sfogo. Hime aveva sempre risposto alle
provocazioni, di qualunque tipo fossero. E non se l’era mai presa così tanto.
Doveva esserci necessariamente qualcosa sotto, ma… cosa?
«Hicchan… ti fa male prenderti
nervoso», cercò di dirle, accarezzandole i capelli.
Lei lo strinse forte, quasi
avesse paura che l’abbandonasse. «Hanamichi… non lasciarmi mai».
Il rossino sorrise,
depositandole un tenero bacio sulla tempia. «Mai, Hicchan. Mai».
Poco dopo li raggiunse anche
Ayako, seguita da Ryota e Hisashi, che però rimasero sulla soglia della porta.
E Hime, vedendoli tutti lì, solo per lei, pianse ancora, questa volta con un
pizzico di felicità per avere degli amici che la sostenevano in ogni momento.
Odiava se stessa quando cadeva in quel tipo di debolezze. Si sentiva indifesa,
esposta a ogni tipo di attacco esterno. Quando si affezionava a qualcuno
rimaneva sempre in balia delle emozioni e quando le arrivavano pugnalate del
genere era quella che ci soffriva maggiormente. Voleva cambiare, voleva
diventare più forte. Ma ogni volta otteneva l’effetto contrario, diventando
sempre più debole.
Con un sorriso insicuro si
asciugò le lacrime con la manica della maglia, ridendo nervosa. «Beh.. maglia
bagnata, maglia fortunata… no?».
I presenti sorrisero, un po’
sollevati che avesse ritrovato un pizzico del suo spirito.
Hanamichi ne approfittò per
alzarsi e prenderle entrambe le mani. «Ahaha! Si vede
che sei una Sakuragi! Noi non ci abbattiamo mai davanti a nulla, vero Hicchan?
Poiché siamo due geni!».
Gli altri scossero mesti le
teste, mentre un do’aho volava nell’aria come una farfalla in
primavera.
«Maledetta volpaccia, vieni
qui se hai il coraggio!», gridò il rosso, precipitandosi nel corridoio per
ingaggiare lotta libera con il rookie dello Shohoku.
Quando le due ragazze rimasero
sole, Ayako si inginocchiò davanti all’altra. «Ti piace».
Hime arrossì fino alla punta
dei capelli (già rossi di loro) e annuì debolmente. Come sempre quella
pettegola aveva capito tutto.
Ayako guardò un punto a caso,
pensando un attimo. «Non sai perché questo comportamento improvviso? Ieri
sembrava così gentile con te».
Hime iniziò a contorcersi le
mani per il nervosismo e iniziò a snocciolarle l’intera vicenda della mattinata.
Ayako scosse la testa,
convinta. «Hime, ragiona. Non è una reazione plausibile, la sua! Voglio dire, è
anche normale che ti sentissi confusa, un po’ di tempo è doveroso che te lo
prenda. Del resto fino a ieri non facevate altro che litigare! Forse è successo
qualcos’altro… non ti viene in mente niente?».
Hime la guardò sconsolata.
«No, Ayako. Nient’altro. L’ho respinto, ecco perché si è comportato così!».
«Beh, allora è ingiusto da
parte sua. Scusami, ma questa è l’ennesima prova che sia un imbecille!», sbottò
Ayako, alzandosi e guardandola severa. «E tu lo sai, Hime, non guardarmi così».
La rossa sospirò, stringendo
con rabbia le lenzuola del letto. « Forse… forse mi sta prendendo in giro?».
La manager la guardò con aria
sufficiente. «Ho notato come ti guarda, Hime. E non è lo sguardo di uno che
vuole prendersi gioco di te».
«Bene. Se guerra vuole, guerra
avrà! Io non mi tirerò indietro di certo! Sono una Sakuragi, del resto!».
«Mi ricordi tanto tuo
fratello, in questo momento!», Ayako corrugò la fronte. «Sei inquietante».
Hime ridacchiò,
tranquillizzandosi un po’, sebbene sentisse ancora un macigno sullo stomaco per
l’accaduto. Non si spiegava il perché di quella reazione veramente troppo
spropositata. Proprio non riusciva a capire che diavolo gli fosse preso, di
punto in bianco. Che volesse far finta di niente, almeno con gli altri? No,
sarebbe stato comunque molto esagerato da parte sua. Stava anche rischiando di
prenderle da Hisashi e Kaede! Le aveva fatto male con quel comportamento, molto
male. E aveva notato anche le occhiate infuocate che le lanciava, dall’altra
parte del tavolo. Ma era decisa a passarci sopra e riprendere il ruolo della
rompiscatole perennemente allegra che gli andava contro per ogni minima cosa.
Accettava tutto, ma non le prese in giro di quel tipo. Alla faccia di quella
scimmietta spelacchiata! Al diavolo Nobunaga Kiyota!
Piccolo siparietto per l’autrice:
Bene, quando tutto
stava andando per il meglio… ovviamente stravolgo tutto! *me sadica* Spero che
la cosa non vi dispiaccia… voglio divertirmi un po’! xD
Ne vedremo delle belle,
su tutti i fronti! Uh uhuh!
*_*
Un ringraziamento
speciale a:
lilli84: quel volpino è voluto rimanere in albergo! e_eGraccie! :*
kuro: awww!
Grazie grazie anche da parte di Nobu e Hime che si
stanno scannando proprio dietro di me! *_*”
Grazie mille anche a
chi ha aggiunto WB ai preferiti, cioè la carissima MihaChan e Taila! Se dimentico qualcuno
pardon, ormai sto perdendo piano piano il conto! xD
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
X
Basket
match.
La domenica pomeriggio la
passarono sul campetto da basket. C’era tutta la formazione titolare dello
Shohoku (tranne il Gorilla) e le due manager, intenti a darsi il cambio con un one on one. Quello più
emozionante si svolse tra Rukawa e Mitsui, entrambi ottimi giocatori, ma vinse
il secondo per un solo punto. Quello più divertente, invece, fu tra Hanamichi e
Ryota, dato che quest’ultimo vide vanificarsi ogni serata spesa a insegnare le
finte al rossino. Hime temette di morire dalle risate!
I quattro, stanchi per le
partitelle, si sedettero per terra, per rinfrescarsi con un po’ d’acqua. Hime
trotterellò verso il pallone, per fare qualche tiro a canestro. «Ragazzi,
facciamo un due contro due?».
Mitsui si tirò fuori, per
riposarsi un po’. Accidenti alla sua non-resistenza!
«Mitsui, ti spompi subito!»,
frecciò Miyagi, guadagnandosi un’occhiataccia truce dal compagno.
«Deficiente, fallo tu un one on one con Rukawa, poi ne
riparliamo!».
Hanamichi, invece, sembrava
quello più entusiasta della cosa. Balzò in piedi pimpante e pronto alla nuova
sfida. «Ahaha! Mostrerò di cosa è capace il Tensai Hanamichi Sakuragi!».
Rukawa si alzò e,
avvicinandosi alla ragazza, additò il fratello. «Io con quella mezza sega non
ci sto».
Hime scoppiò a ridere nel
vedere la violenta reazione del rossino, che come da copione, saltò addosso al
moro, ingaggiando la loro ennesima lotta. Era commovente vedere come quei due
si dimostrassero il loro affetto ogni volta che potevano.
Fu Ryota a intervenire,
prendendo Hanamichi per la collottola ed esclamando: «Tu stai con me, intesi?».
«Cosa?! Io volevo stare con la
mia Hicchan!».
Mitsui abbandonò la testa
contro il muretto alle sue spalle. «Hime, o lo ammazzi tu o lo faremo noi,
prima o poi».
«Dov’è il fucile di
precisione?», chiese Ryota, guardando la guardia.
«Basta anche una dose di
cianuro nel caffè», fu il consiglio del volpino, che schivò all’ultimo un
potente calcio destinato al suo bel fondoschiena.
Scoppio di ilarità da parte
degli altri e scoppio definitivo di Hanamichi, che iniziò a bestemmiare e
inveire contro i suoi “amici”, peggio degli scaricatori di porto. La solfa andò
avanti fino a che finalmente non decisero di iniziare a giocare in
santa pace.
Intanto al campetto si era
avvicinato Maki, seguito dal suo fedele Kiyota, che vedendo in gioco la ragazza
perse un battito. Lo recuperò subito dopo aver capito che fosse in squadra
proprio con l’odiato Rukawa.
Mitsui si era alzato per fare
da arbitro e, bandana in fronte per fare il figo, mise la palla al centro. Lui
sì che si sarebbe divertito, ora. Altro che arbitrare!
Hanamichi e Rukawa, i
giocatori più alti tra i quattro, erano pronti a saltare, per guadagnare la
prima palla dell’incontro.
«Si arriva a venti, ok?»,
chiese Mitsui, mentre gli altri annuirono. «Bene! Iniziamo!».
Come ovvio che fosse, fu
Hanamichi a saltare più in alto e Ryota afferrò con sicurezza la sfera
arancione. Si ritrovò davanti Hime, decisa a non fargli fare un passo in più.
Ryota palleggiava velocemente, guardando la situazione oltre le spalle della
ragazza. Hanamichi era sovrastato da Rukawa, il che non gli dava la possibilità
di passargli la palla. L’unica cosa da fare, allora, era sfondare la difesa.
Hime lanciò un’occhiata
all’amica. «Ehi, si può sapere per chi fai il tifo?».
Ma dovette subito tornare
concentrata, perché il playmaker iniziò ad avanzare, mantenendo il pallone
difeso dal suo corpo. La scartò con abilità, dirigendosi velocemente verso
l’area sotto canestro. Immediatamente dopo, Hanamichi riuscì a liberarsi dalla
marcatura del volpino, così che si ritrovò il pallone in mano e un Rukawa
pronto a bloccargli ogni movimento.
“Ragiona, Hanamichi… tu sei un genio, lui solo un volpino!” pensò il
rossino, cercando di fintare al tiro.
Ma Rukawa conosceva bene le
sue mosse e non si fece intimidire, bloccandogli subito la via di fuga.
«Ehi, Hanamichi, svegliati!»,
gridò Ryota. Il numero dieci allora gli passò la palla e Hime non riuscì a
fermare la penetrazione del playmaker, troppo veloce e agile.
I due ragazzi si diedero il
cinque. «Ahaha! Grande, Ryo-chan!».
Rukawa recuperò il pallone.
«Ehi. Vedi di non deludermi».
Hime ghignò, afferrando la
sfera che lui le passava velocemente. Prese a palleggiare verso il canestro
opposto, trovandosi Hanamichi a marcarla.
«Ciao, Hicchan!».
«Hana, luce dei miei occhi!»,
esclamò lei, mentre la reazione dell’altro fu esattamente come si era
aspettata: ci mancò poco che non le saltasse addosso per stritolarla in uno dei
suoi micidiali abbracci. Hime lo scartò velocemente, appuntandosi mentalmente
di fare una bella lavata di capo al fratello per le sue troppe distrazioni
esterne. Ryota le si parò davanti, ma Hime, non togliendo gli occhi di dosso al
numero sette, passò velocemente la palla a Rukawa praticamente libero, che andò
a canestro con un dunk.
«Bel passaggio», le disse
Kaede, mettendole una mano grande sulla testa.
La palla era di nuovo in mano
a Ryota. «Hanamichi! Un bel 7-10-7, ok?».
«7-10-7?», chiese Maki,
poggiandosi al muretto. Ma subito dopo capì. Ryota si fece passare la palla tra
le gambe, fingendo uno scontro diretto e passando la palla ad Hanamichi.
Immediatamente dopo, Ryota si allontanò velocemente dalla ragazza, ricevendo di
nuovo il pallone e riuscendo a fare canestro, nonostante Rukawa si frappose tra
lui e il tabellone.
«Ahaha!
Maledetto volpino! Sei a dieci secoli dal fermare Miyagi la Scheggia!», esclamò
Hanamichi, perdendosi nel suo brodo.
«Notevole», mormorò Maki,
sorridendo.
Kiyota, invece, guardò
nuovamente l’accoppiata Rukawa/Hime all’attacco. Quei due si capivano
perfettamente, anche sul campo da gioco. E questo non fece che aumentare la sua
gelosia.
Hime passò la palla al
compagno, che si ritrovò di fronte sia Hanamichi che Ryota. Per fortuna aveva
sangue freddo, lui. Strinse gli occhi blu, cercando un varco. Poi la vide: la
sua sagoma dietro di lui, gli occhi sbarrati degli altri due… Hime si posizionò
alle spalle di Rukawa, che velocemente le passò il pallone in un bellissimo
passaggio dietro la schiena. Hime fece un passo indietro, proprio prima della
linea dei tre punti e tirò a canestro con fluidità.
Mitsui sorrise. «È dentro!».
E infatti la ragazza alzò un
tre al cielo, ridendo divertita.
Maki e Kiyota erano senza
parole. Dove diavolo aveva imparato a giocare così?
Ayako sorrise, vedendo le loro
facce stupite. «Hime e Rukawa si conoscono fin da quand’erano piccoli.
Passavano intere serate a sfidarsi a basket. È lui che le ha insegnato a
giocare e che le ha trasmesso l’amore per questo sport».
Kiyota guardò la riccia,
stupito. «Si conoscono da così tanto?».
Ayako annuì, guardando
Hanamichi che tentava un dunk, purtroppo mal riuscito. «I loro padri si
conoscevano per lavoro. Hanamichi non ha mai legato con Rukawa, sebbene i primi
screzi li abbiano avuti in prima superiore per vari motivi. Quel rossino è
sempre stato troppo esuberante per i gusti di Rukawa. Hime, però, si affezionò
subito a lui. Sono molto amici».
Molto amici… amici… solo
amici? Kiyota guardò i due, nuovamente all’attacco. Due passaggi veloci, una
finta, un altro passaggio alla sconfidata. Canestro. Ecco perché erano così
affiatati in campo. Ecco perché avevano quel legame così stretto. Forse… forse
aveva frainteso tutto?
«Poi, beh», proseguì Ayako, «se
contiamo anche il fatto che Hime è stata eletta MVP alle medie nella sua
squadra femminile di basket, allora capirete anche perché sia così brava».
Maki osservò la rossa,
interessato. «Addirittura MVP?».
La partitella andò avanti
così, botta e risposta, sebbene il duo Sakuragi/Miyagi si trovò parecchio in
difficoltà.
Mancava solo un punto affinché
fossero gli altri due a vincere l’incontro. La palla era in mano a Hime, che
scartò con un po’ di difficoltà Ryota. Passò al suo compagno, che provò subito
a tirare a canestro. Ma Hanamichi gli si parò davanti, sfiorando con un dito la
traiettoria del pallone. Che infatti non entrò, ma prese il ferro. Il rossino,
con la sua incredibile velocità, saltò nuovamente per prendere il rimbalzo, con
l’intento di spazzare via la palla e passarla a Ryota. Ma fece male i conti,
perché la sua mano urtò la sfera arancione prima che potesse acchiapparla e
questa si posò sul ferrò del canestro, iniziando a girargli intorno… fino a
entrare. I presenti rimasero con le mascelle spalancate fino a terra, mentre
Hime e Rukawa si davano il cinque, vittoriosi. Se Akagi avesse visto
quell’azione da circo era chiaro come il sole che avrebbe ammazzato a suon di
testate il rosso, seppellendone poi i resti a cento metri di profondità. A che
erano servite, altrimenti, quelle serate extra spese a spiegargli come prendere
i rimbalzi?
«Ma… ma…», blaterò Hanamichi,
beccandosi un calcio dal compagno di squadra.
«Hanamichi, quanto sei
deficiente! Prendere un rimbalzo come tutti gli esseri umani normali no,
eh?».
Nobunaga, non riuscendo più a
trattenersi, scoppiò a ridere, seguito a ruota dagli altri. Non aveva mai visto
un’azione del genere! Un auto-canestro… semplicemente ridicolo!
Quando Hime lo vide si gelò
sul posto. Che ci faceva lì? Non gli era bastato il putiferio che aveva
scatenato a pranzo? Voleva seriamente prendersi due cazzotti in faccia da
Mitsui e, perché no?, anche da Hanamichi e Rukawa?
«Ehi, non hai il diritto di
ridere», gli disse, fulminandolo con lo sguardo. Anche da questo punto di vista
il volpino delle nevi insegnava. «Hanamichi almeno migliora, tu sei e rimani
una schiappa».
Il riso di Nobunaga si spense
immediatamente a quelle parole. Sentì il gelo totale in quella voce e quegli
occhi… Kami, quegli occhi lo stavano trapassando da parte a parte.
Prese un bel respiro profondo,
controllandosi. «Ah sì? Te lo faccio vedere subito se sono una schiappa o meno,
donna-scimmia!».
Detto questo scavalcò il
muretto, trovandosi faccia a faccia con la ragazza.
Hime fece un passo indietro,
timorosa. Accidenti al suo cuore, perché stava battendo così forte? No, no, no…
no!
«Allora? Sei troppo codarda
per farti avanti?».
Hime, rossa per l’affronto e
per i pensieri impuri che stava facendo senza neanche rendersene conto, alzò lo
sguardo prepotente, verso il ragazzo. «Inizia a metterti la coda tra le gambe,
Kiyota».
Rukawa le passò la palla. «Se
ti fai battere mi rifiuto di giocare nuovamente con te».
Hime gli sorrise, sicura di sé.
«Puoi stare tranquillo, Ede. Non mi faccio battere da una mammoletta come
quello lì!».
Ayako strabuzzò gli occhi.
Fino a qualche ora fa Hime stava piangendo istericamente proprio per colpa di
quella “mammoletta” e ora lo stava trattando come se fosse il Kiyota
rompiscatole che aveva sempre conosciuto. Scosse la testa, contrariata dal
comportamento dell’amica. Sapeva bene che stesse fingendo, che si stesse
nascondendo dietro una maschera di indifferenza, anche se ci riusciva poco e
niente. Ma così non andava bene, per nulla. E pensava la stessa cosa anche di
Kiyota: non le era mica sfuggito lo sguardo in completa adorazione del ragazzo
durante la partitella. Non le aveva staccato gli occhi di dosso.
Kaede bloccò la ragazza per un
polso, prima che cominciasse la sfida. «E comunque quello…», disse, lanciando
uno sguardo raggelante a Kiyota. «…altro che lavata di denti. Gli servirebbe un
trapianto di cervello».
Hime arrossì a dismisura,
sbattendo velocemente le palpebre. Kaede… aveva già capito tutto?
«Ehi, voi due! Avete finito di
tubare o possiamo iniziare?», esclamò il diretto interessato, innervosito.
Rukawa, di rimando, gli scoccò
uno sguardo che lo fece impalare sul posto.
L’uno contro uno iniziò
velocemente. All’attacco c’era Hime, che palleggiava guardandolo negli occhi.
No, mai gli avrebbe dato la soddisfazione di cedere. Neanche se quegli occhi
blu fossero da capogiro. Nemmeno se quei capelli tenuti dalla consueta fascia
viola, ma nonostante tutto ribelli come lui, fossero da accarezzare, dal primo
all’ultimo. No, mai!
Avanzò con decisione,
ritrovandosi il petto di lui premere contro la sua schiena. Per un attimo si
sentì persa, a quel contatto. Era caldo, tremendamente caldo. O era lei che
stava surriscaldando?
Una ciocca di capelli neri le
solleticò le spalle. Perché era così vicino? Ah, sì… si stavano sfidando.
Accidenti, non capiva più niente!
Non che lui fosse più
tranquillo, anzi. Sentire il suo profumo direttamente a due palmi di naso era
troppo anche per lui. Kami, quella ragazza lo stava facendo impazzire… ed era
tutto dire, allora. Fossero stati soli, in quel campetto, altro che one on one a basket.
Hime si voltò per tirare, ma
il pallone toccò solo il ferro. Nobunaga, del resto, non aveva neanche saltato
per impedirglielo, tanto era perso nei suoi pensieri.
La ragazza strinse i pugni,
contrariata. Doveva reagire, maledizione! Si detestava quando non riusciva a
fare quello che si proponeva!
«Vai Hicchan! Fagli vedere che
sei una Sakuragi!», esclamò Hanamichi, facendola voltare. Gli sorrise sicura,
anche se in realtà non lo era per niente.
Kiyota recuperò il pallone e
uscì velocemente dall’area delimitata dalla linea dei tre punti. Hime prese un
bel respiro e gli si parò davanti. Aveva passato la maggior parte delle sue
serate ad allenarsi a basket con il giocatore più promettente del Giappone. Era
stata eletta MVP due anni consecutivi. Non si sarebbe fatta intimidire da
Kiyota. Si era comportato da vero demente, l’aveva offesa nell’anima,
nell’orgoglio. Questo le bastava.
Nobunaga tentò subito la
penetrazione, palleggiando con la sinistra e facendosi spazio con il braccio
libero. Si voltò velocemente, verso il canestro, pronto a tirare. Hime era più
bassa ed esile di lui, avrebbe contato su questo vantaggio. Ma non aveva fatto
i conti con l’abilità del salto di Hime, che sfiorò la palla con un dito. Del
resto era una Sakuragi anche lei.
Il pallone centrò il ferro e
la ragazza prese subito il rimbalzo, tra l’esultanza dei suoi amici.
Nobunaga si asciugò con il
braccio la fronte sudata. Forse la febbre gli stava salendo di nuovo, dato che
sentiva anche brividi lungo la schiena. «Scordati di segnare», le disse, ghignando
con prepotenza.
Lei non gli rispose,
assottigliando gli occhi. Gli avrebbe tolto quell’espressione ebete da “sono io il migliore, tu sei solo una
schiappa e per giunta donna”. Oh, se gliel’avrebbe tolta!
Il palleggio della ragazza
iniziò a infastidirlo. Prima era veloce, poi lento e regolare, poi nuovamente
veloce. Non riusciva a capire quando avrebbe attaccato o se stava solo facendo
finta.
Kaede sorrise mentalmente.
Quella ragazza era incredibile. Riusciva a mettere in pratica tutti i suoi
insegnamenti. Avrebbe vinto lei, ne era più che certo.
Improvvisamente Hime scattò,
nonostante il suo palleggio fosse tornato lento e regolare. Nobunaga fu preso
alla sprovvista, sbilanciandosi leggermente all’indietro e rischiando di cadere
rovinosamente col sedere per terra. Hime si trovò la strada spianata e segnò a
canestro con il “tiro dei poveri”, così come lo chiamava il fratello.
Sospirò, voltandosi raggiante
verso i suoi compagni. Fece l’occhiolino al suo migliore amico e poi si girò
verso Kiyota, che guardava il pallone come se fosse colpa sua.
«Quello era un canestro, o
sbaglio?», gli chiese, beffarda.
Kiyota riprese il suo spirito.
Quella ragazza l’aveva provocato fin troppo. «Il primo e l’ultimo che segnerai,
stai tranquilla».
L’uno contro uno che seguì
dopo fu agguerrito. Entrambi avevano perso le staffe per il comportamento
dell’altro e misero se stessi in quella partitella. Tra finte, scarti, canestri
e schiacciate non si poté dire che i due non diedero spettacolo. Lo scontro
finì dieci a otto per la ragazza.
Hime, esausta, si buttò contro
il fratello. «Per un pelo non me lo faceva!», esclamò, alludendo alla
possibilità di perdere.
Hanamichi scoppiò nella sua
risata contagiosa, battendole una mano sulla spalla. «Ahaha!
Hicchan, sei stata grande! Sei tutto tuo fratello!».
Ryota incrociò le braccia al
petto, perplesso. «Ora non esageriamo, Hanamichi. Ti ricordo che prima hai
fatto un auto-canestro. Mai vista una cosa simile, avrò gli incubi stanotte».
Il rossino divenne scarlatto,
iniziando a inveire contro il playmaker che era stata colpa della sua
non-difesa e bla, bla, bla.
Hime si avvicinò a Rukawa,
sorridente. «Credo che dovrai continuare ad allenarmi, caro il mio Rukawa!».
Kaede bofonchiò un “hn” di approvazione, soddisfatto per la performance
dell’amica. Le diede il cinque, tirandole poi un asciugamano in testa.
«Asciugati e bevi un po’», le disse, passandole una bottiglia d’acqua.
Kiyota, invece, se ne andò con
un diavolo per capello, seguito da un Maki divertito dall’incontro. «Ehi,
Nobunaga, aspetta il tuo Capitano!».
La scimmietta del Kainan si
fermò, senza voltarsi. Era incavolato nero e decisamente frustrato. Farsi
battere da una ragazzina, anche se solo per due miseri punti. Era
inammissibile. Lui era il rookie numero uno di Kanagawa, non poteva perdere
contro una in gonnella!
«Bella partita!», disse Maki,
avvicinandosi al suo compagno di squadra.
«Oh, per favore. Non iniziare
anche tu», sbottò il piccolo Kiyota, riprendendo a camminare a passo svelto.
Shin’ichi gli scompigliò i
capelli, con fare fraterno. «Non è questa la partita che devi vincere,
Nobunaga».
Il numero dieci lo guardò
stupito di quelle parole e ancora più stupito del sorriso sereno del suo
Capitano. Come sempre riusciva a spiazzarlo, lasciandolo senza parole. Sembrava
sempre saperla più lunga degli altri.
Prese un bel respiro e con un
sorriso esclamò: «Certo che no! Io sono Nobunaga Kiyota, il miglior combattente
di Kanagawa! Ahaha!».
E se ne andò saltellante verso
la sua camera, lasciando un Maki sollevato e divertito.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Eccomi tornata per
l’aggiornamento! Ormai mercoledì sarà il giorno prescelto! *sisi*
[salvo imprevisti, quindi non abituatevi troppo. ò_ò]
Capitolo completamente
di transizione, questo, e ho pensato di incentrarlo sul vero protagonista di
Slam Dunk: il basket! Descrivere un’azione sul campo da gioco è tanto difficile
quanto esaltante! *_*
Angolino per i ringraziamenti:
kuro: *_* *me si monta
seriamente la testa* grazie carissima! Eh eh, altro
che poveri! Due poveri scemi sono! XD La kitsune… uhm… quello zitto zitto e chissà cosa va a fare! Hn!
lilli84: che bello, almeno nessuno mi lincia! ^^ Grazie!
MihaChan: aaaaaaah!
Mihaaaa! :****** Hai detto bene, è proprio un idiota
coi fiocchi! è_é Ma è adorabile, inutile! ;___;
*Marta si perde nel suo brodo di giuggiole*
SangoChan88: oddei, tutti questi
complimenti mi faranno male! ç//ç Perdonata, tranquilla! XD
Veramente, siete la mia
gioia! T_T Anche chi legge e basta, siete tantissimi! ç___ç
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XII
Risvegli Catastrofici.
La
notte frizzante era immersa nel silenzio. C’era una tranquillità e una pace che
da qualche giorno invece mancava e–
«Ma
porca vacca, Hanamichi! Non hai visto che c’ero io dietro la porta?!
Deficiente!», gridò Mitsui, che si era beccato un colpo di porta sul naso dal
rossino che, come un terremoto, aveva aperto quella del bagno, nonostante
sentisse la voce del cecchino dall’altra parte.
«Imbecilli!
Se continuate con questo tono Akagi vi sistemerà per le feste!», sbottò Ayako,
tirando una sventagliata in testa ai due. «Oh, scusa senpai! Mi son fatta
prendere troppo la mano!», aggiunse ridendo imbarazzata, rivolta allo studente
del terzo anno.
«Ecco,
brava! Scusati con lui e con me no!», sbottò Hanamichi, che si ribeccò un’altra
sventagliata come risposta.
«Ma
Hime e Rukawa che fine hanno fatto?», chiese Miyagi, perplesso. «Sono usciti
dieci minuti fa!».
Mai
l’avesse detto.
Hanamichi
iniziò a disperarsi, precipitandosi verso la porta come un ossesso, con
l’intento di salvare la sua sorellina dalle grinfie della volpe. Peccato che
non vide un pallone da basket per terra (cosa ci facesse lì ancora rimane un
mistero) e carambolò lungo e disteso per terra. Gli altri tre, anzi che andare
a soccorrerlo, decisero bene di scoppiare a ridere, cercando di soffocare le
loro risate con qualsiasi cosa trovassero sotto mano.
«Argh! Volpino maledetto! Non solo mi ruba la mia Hicchan…
ma lascia anche le sue palle in giro!», esclamò l’invasato, mentre gli altri
continuavano a ridere fino alle lacrime.
Nel
frattempo, Hime e Rukawa, la prima bella che pimpante e il secondo sull’orlo
del sonno, uscirono dalla stanza delle ragazze, entrambi con una busta in mano
piena zeppa di porcherie varie e giochi di carte.
Kaede,
tra uno sbadiglio e l’altro, sbirciò nella busta che teneva in mano. «Qui
dentro c’è tutto e niente», biascicò assonnato.
Hime
rise, divertita. «Quando io e Hana siamo andati a fare la spesa prima di
partire ci siamo divertiti!».
Si
fermarono davanti alla camera del volpino, dove si sarebbe tenuto il festino
notturno. Contemporaneamente, nella stanza di fronte fece la sua comparsa un
Kiyota pronto a puntino per uscire. Quando vide i due insieme dovette ricorrere
a tutto il suo auto-controllo per non spaccare il muso a quel dannato
ghiacciolo con le gambe.
Hime
arrossì nel vederlo così sistemato. Aveva un paio di jeans sbiaditi e una
camicia blu scura, aperta ai primi tre bottoni, che lasciava ben immaginare che
razza di fisico si ritrovasse; i capelli, quella sera, erano ritirati in una
codina e qualche ciuffo scappato all’elastico gli ricadeva disordinatamente sul
viso.
Lui,
d’altronde, nel trovarsela davanti vestita solo di un pantaloncino corto e una
maglietta senza maniche perse un battito. Anzi, forse anche più di uno.
Nessuno
dei due, comunque, si salutò.
Hime
bussò alla porta e sorrise mentalmente nel sentire le risate provenienti
dall’interno. Subito dopo aprì Ayako, letteralmente in lacrime per le risate.
«Ma
che state combinando qui dentro?», chiese la rossa entrando, seguita da Kaede.
«Hana, che ci fai spalmato in terra?!».
«Do’aho,
il mio pallone».
«Do’aho
un paio di palle! Stavo per ammazzarmi!».
«E
purtroppo sei ancora vivo».
Kiyota
guardò la porta richiudersi, con un groppo allo stomaco nel sentire tutte
quelle risate soffocate. Accidenti, lì dentro avrebbe potuto esserci anche lui!
Chissà quanto casino avrebbero fatto! Chissà… come sarebbe stato bello stare
con lei!
Con
un sospiro si voltò, diretto a farsi una passeggiata in solitario in paese.
Magari si sarebbe anche divertito, pensò non molto convinto. Aveva bisogno di
un po’ d’aria fresca. E soprattutto doveva togliersi dalla testa l’immagine di
Hime e cosa tutto sarebbe potuto succedere se lei non lo avesse rifiutato. Aveva
scoperto quella ragazza di colpo, e così di colpo avrebbe dovuto dimenticarla.
Lo odiava e ne aveva tutte le ragioni del mondo.
Intanto,
nella camera degli orrori…
«Ahia,
Ryo-chan!», esclamò Hime, recuperando l’M&M’s che le aveva appena tirato in
un occhio. «Oh, è rossa! Mia!».
«Noo! Rossa la volevo io! Io riesco a prenderle solo tutte
marroni!», piagnucolò Hanamichi, prendendo il sacchetto delle caramelle e
ficcandoci dentro la testa.
«Fortuna
tua sono solo caramelle, allora», ghignò Mitsui, affondando un grissino nella
nutella.
Hime
scoppiò a ridere, seguita a ruota anche dagli altri. Si voltò verso Kaede,
sdraiato affianco a lei e gli occhi chiusi. «Dormi?».
«Ma
che domande fai, Hicchan?», chiese Hanamichi, come se fosse ovvio. «Quello
dorme anche quando va in bici!».
«Do’aho»,
bofonchiò il volpino, voltandosi dall’altra parte e riprendendo il suo
riposino, sperando che quei casinisti non lo disturbassero troppo e lo
facessero dormire in santa pace. Sospirò mentalmente: avrebbe dovuto rubare un
coltello da cucina e nasconderlo sotto il cuscino, per le evenienze. Pazienza,
sarebbe bastato anche un lenzuolo stretto intorno al collo, nel caso.
«Giochiamo
a Uno?», chiese Ayako, guardando tra i vari mazzi di carte a disposizione.
Hanamichi
la guardò perplesso. «E mica possiamo giocare a pallone qua dentro!».
Ci
mancò poco che ai presenti scendesse un coccolone grande quanto una casa.
«Hanamichi,
quello è Schiaccia Sette! Tu a carte sei proprio una sagoma!», commentò Ryota,
mischiando il mazzo.
Il
rossino si mise una mano dietro la nuca, ridendo imbarazzato. «Ma no, volevo
solo vedere se foste preparati! Ahaha!».
Gli
altri scossero mesti la testa, iniziando a giocare, tra caramelle zuccherate,
patatine e delizie varie.
«E
che cazzo, Miyagi! È la terza volta consecutiva che mi blocchi il giro!»,
esclamò Mitsui, sbuffando alla volta del compagno.
«Tranquillo,
Mitchi, ora ci penso io a fargli abbassare le penne!», disse in soccorso Hime,
che quando toccò a lei buttò giù una carta per pescarne altre quattro.
«Hime,
ti sto odiando», borbottò il playmaker, che così ora si ritrovava ancora con
undici carte in mano. Lei, in risposta, gli fece una linguaccia.
Ayako
alzò lo sguardo sul rossino. «Hanamichi, ma quante carte hai?».
Lui
le guardò, mostrandone solo due.
«Hai
capito la seghetta!», esclamò Hisashi.
«Ahaha! Sono un genio!».
Rukawa
si alzò un po’, il tanto giusto per vedere che carte avesse in mano il rosso.
«Un sei verde e un otto giallo».
Inutile
dire che i due iniziarono a darsela di santa ragione, tra le risa degli altri
che, invano, tentavano di fermarli.
*
Il
mattino seguente, quando Akagi entrò nella camera del volpino e del tiratore da
tre (dato che il Gorilla si era fatto dare una copia delle chiavi, alla faccia
della privacy) si ritrovò uno scenario che rasentava lo spettacolo tragicomico:
Hanamichi era per metà sdraiato sul letto (più precisamente le gambe) e per
metà per terra su un fianco, con le braccia lunghe distese sul pavimento;
Mitsui era addossato a Ryota, che nei suoi sogni più reconditi credeva di essere
abbracciato alla sua Ayakuccia; la prima manager era, invece, raggomitolata su
un divanetto, lontano da quel branco di caproni; infine Rukawa, con un braccio
a penzoloni e l’altro del tutto insensibile, causa la testa di Hime che lo
aveva relegato a cuscino.
Temendo
che gli saltassero definitivamente le coronarie, Kogure, aiutato dalle altre
matricole, lo portò via, mentre lui come un indemoniato, sbraitava contro quel
branco di buoni a nulla, avvolto nelle fiamme dell’inferno. E meno male che
avrebbero dovuto re-iniziare gli allenamenti, quella settimana! Erano le nove
meno un quarto e nessuno si era presentato a colazione!
Maki
e Jin, seguiti da Kiyota, appena tornati dalla sala pranzo, fecero una capatina
nella stanza, ridendo divertiti per la situazione. Quei ragazzi erano dei
terremoti. Povero Akagi che doveva tenere a freno quelle teste calde!
Nobunaga,
invece, sbuffò. Ci sarebbe dovuto essere lui al posto di
Rukawa. Lui avrebbe dovuto farle da cuscino!
«Che
branco di deficienti», sbottò, entrando in camera sua e sbattendo la porta.
Contemporaneamente
Ayako iniziò ad aprire gli occhi, infastidita da tutto quel caos. Fece per
allungare la mano verso il comodino, per afferrare la sveglia, ma qualcosa non
quadrò. Anche perché, sbilanciandosi troppo, si trovò bella che distesa per
terra.
«Porca
paletta, che male!», esclamò, accarezzandosi il fianco. Quando si rese conto
dello stato di cose per poco non le scese un infarto.
«Buongiorno!»,
esclamò Maki, sorridente.
«Buon–!
Ma brutto branco di caproni, vi sembra questa l’ora di dormire?», sbraitò la
riccia, sfoderando il ventaglio e svegliando a modo suo tutti gli altri.
Miyagi
e Mitsui strizzarono gli occhi, ancora nel dormiveglia. Quando però si
guardarono in faccia (troppo, decisamente troppo vicine per i loro gusti)
scattarono sul letto, indicandosi a vicenda. «Che cazzo ci facevi attaccato
come un polpo, hentai?!», gridarono all’unisono, rossi per l’imbarazzo.
Hanamichi,
nel frattempo, guardò il soffitto con la vista annebbiata, non capendo il
perché del suo mal di schiena improvviso. Quando rotolò sull’altro fianco per
mettersi in una posizione quantomeno decente, si ritrovò ancora a gambe
all’aria, sempre più confuso.
«Sakuragi,
dormi sempre così o è solo un caso?», chiese Jin, ridendosela.
Il
rossino sbatacchiò le palpebre un bel paio di volte, mettendo a fuoco i due
sulla porta. Poi con un balzo si mise in piedi, guardando la sorella e il
volpino ancora nel mondo dei sogni.
«Hanamichi,
fermo…!», provò a dire Ayako, capendo le intenzioni del rosso.
Troppo
tardi. Il rosso aveva già afferrato per le spalle il volpino e aveva iniziato a
scuoterlo violentemente per farlo svegliare e fargli una ramanzina che sarebbe
passata nella storia dell’oratoria. Altro che Cicerone!
Hime
fu l’ultima a svegliarsi, tra stiracchiamenti e sbadigli vari. Puntellandosi
sui gomiti si guardò intorno, in quel campo di battaglia che le fece venire in
mente la nottata appena trascorsa. Con un sorrisino divertito, esclamò: «Ma che
splendida giornata, non trovate anche voi?».
I
giocatori, immaginando la reazione di Akagi, non la pensarono esattamente così.
Gli
allenamenti, infatti, furono anche più distruttivi degli ultimi. Non solo i
ragazzi, ma anche Hime fu punita. Venne, infatti, relegata a portavoce tra gli
allenatori Anzai e Takato per appuntare le ultime cose sulla partita del
pomeriggio, facendo avanti e indietro ogni dieci minuti.
La
decima volta che si ritrovò nella palestra dove si stava allenando il Kainan si
buttò stremata nella panchina, affianco a Takato, che con il suo immancabile
ventaglio si stava facendo un po’ di fresco.
«Dimmi,
Sakuragi. È necessario dovermi portare ogni singolo foglio anzi che tutti
insieme?».
Hime,
imbronciata, incrociò le braccia sul petto, guardando il Capitan Maki
sorpassare la difesa di Takasago e andare a canestro. «Akagi è arrabbiato per
il risveglio di questa mattina e me la sta facendo pagare a modo suo! Quello
scimmione!», digrignò tra i denti.
L’allenatore
del Kainan si mise a ridere. «Fermati un po’ più del dovuto, così non dovrai
tornare subito dagli altri. Anche perché, detto tra noi, quello che ti sta
facendo fare è parecchio inutile».
Hime
lo guardò con occhioni luccicanti, inchinandosi in segno di rispetto. «Sensei
Takato, è il migliore!».
Kiyota,
sul campo, lanciò un’occhiata alla ragazza che stava allegramente
chiacchierando con il suo coach. Accidenti, perché stava facendo avanti e
indietro così? Non riusciva a concentrarsi!
Ed
ecco, infatti, che gli arrivò una pallonata in pieno viso.
«Kiyota!
Dormi o cosa?», esclamò irritato Maki, mettendosi le mani sui fianchi.
Hime
alzò lo sguardo su di lui, notando che era mezzo chino, con una mano sul naso.
«Accidenti,
ha ripreso a sanguinare», mormorò Nobunaga, guardandosi un dito sporco di
sangue.
Hime
si alzò, dirigendosi a grandi passi verso il centro campo. Lo prese per un
polso e se lo trascinò nello stanzino che avevano adibito a infermeria.
Nobunaga,
seduto sull’unica panca presente, la guardava, stupito e senza parole, mentre
la ragazza rovistava in una cassetta per le medicine, mandandone all’aria
l’intero contenuto. Piegò la testa all’indietro, per non far colare troppo
sangue, ma appena Hime se ne accorse gliela spostò bruscamente in avanti.
«Quando
perdi sangue dal naso non devi mai inclinare la testa all’indietro», gli spiegò,
imbevendo un pezzo di cotone con acqua ossigenata. «Rischi di fartelo scendere
in gola».
Si
chinò su di lui, iniziando a tamponare le narici arrossate. E lui la guardava,
studiandone i lineamenti del viso, i suoi occhi attenti, il nasino
impertinente… quanto era bella! Come aveva fatto a non accorgersene prima?
Hime,
intimamente imbarazzata dell’attenzione che si sentiva addosso, lo tamponò per
bene, passando il cotone anche sulle labbra, sporche di sangue. Per un attimo
indugiò nel pulirgliele. Erano così invitanti.
«Sakuragi».
La
ragazza si risvegliò di colpo, alzandosi velocemente e affondando la testa
nella cassetta per le medicine, in completo imbarazzo. Nobunaga sospirò,
abbattuto.
Tornò
con uno spray decongestionante e glielo spruzzò due volte per narice.
«Questo
dovrebbe tapparti definitivamente i traumi che hai lì dentro», gli passò un
altro pezzo di cotone, pulito. «Continua a tamponare così, poi può bastare».
Kiyota
fece come gli aveva detto, borbottando un “ok” d’assenso. «Grazie».
Hime
fece spallucce. «La prossima volta vedi di concentrarti su quello che fai,
anziché imbambolarti come Hanamichi».
Nobunaga
dovette mordersi la lingua, o le avrebbe gridato dietro che stava guardando
proprio lei e che quindi era colpa sua se ora si era fatto male! Ma non gli
piaceva per niente la freddezza con cui lo trattava. Si sentiva ignorato,
sebbene gli avesse rivolto la parola e si fosse subito presa cura di lui. No,
così non andava bene. Avrebbe preferito cento volte il rapporto che avevano
prima di quell’inconveniente che quella freddezza. Sembrava un Rukawa al
femminile! Certo, si era comportato da vero deficiente il giorno prima ed era
più che comprensibile quel comportamento. Ma accidenti, l’aveva rifiutato! Come
poteva dire di no a un bel ragazzo come lui? Eh? Eh?!
Risvegliandosi
dalle sue chilometriche seghe mentali, la bloccò subito per un braccio, quando
la vide andarsene senza dire altro. Hime si ritrovò, così, a una decina di
centimetri da quel corpo sconvolgente, che neanche la sua testardaggine
riusciva a ignorare.
Nobunaga
prese un bel respiro, prima di trovare il coraggio di parlare. «Senti, lo so
che mi son comportato da idiota e… mi dispiace, Sakuragi».
Hime
sbatté le palpebre velocemente, cercando una qualsiasi via d’uscita da quella
situazione. Il cuore le stava martellando in petto e temeva veramente di fare o
dire qualcosa di sbagliato.
Kiyota
posò lo sguardo sulle sue labbra, imponendosi un po’ di calma. Voleva rovinare
tutto come l’ultima volta? «È che pensavo che tu–».
«Ehi,
ragazzi, tutto bene?». Maki arrivò in quel momento, così improvvisamente e
inaspettato che li trovò ancora vicinissimi, rossi in viso per l’imbarazzo.
«Ok, torno dopo!», esclamò, facendo retro march in men che non si dica.
I
due guardarono perplessi il playmaker andarsene velocemente, quasi fosse
contento di quello che aveva appena visto. Poi si voltarono tra di loro,
abbassando lo sguardo.
«Doomoarigatoo,
Sakuragi. Già non sanguina più».
Hime
abbozzò un sorriso, impacciata. Con una mano sulla nuca, mormorò: «Sai, noi Tensai…».
Kiyota
ricambiò insicuro e si allontanò velocemente per riprendere gli allenamenti,
ancora troppo tentato da quelle labbra che non aveva avuto la possibilità di
accarezzare a dovere.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Konnichiwaminna-saaan!
Porca paletta, già
l'undicesimo capitolo! O.O *me si stupisce di se stessa*
Quanto mi son divertita
a scrivere il festino di questo capitolo! Hanamichi è una fonte di ispirazione
incredibile, è inutile! XD [vero Miha? xD]
Ma questo è niente
rispetto a quello che la mia mente malata ha scritto per i prossimi festini… uh
uhuh! XD
Spero vi sia piaciuto
anche questo capitolo. ( :
Angolino per i
ringraziamenti:
MihaChan: ehehe,
cara quanto ti capisco! :Q___ Inoue-sama è stato
proprio crudele a disegnare dei personaggi così… così… oh, my…!
*sviene* Ahaha! “Scimmietta porcellosa”!
Che incrocio! XD Grazie per il sostegno! *_* Besos! :*
SangoChan88: Awww!
Son felice abbia apprezzato il match! Anche perché dovevo scrivere di
basket… e lo farò ancora, perché lo adoro! *o* Vedrai, vedrai che succederà!
*me sghignazza*
Come sempre un grazie
anche a tutti coloro che leggono questa cosa!
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XII
Carpe Diem.
La
palestra dove si sarebbe svolta la prima amichevole tra Shohoku e Kainan
iniziava a movimentarsi. Quelli sicuramente più pimpanti e svegli erano i
giocatori in maglia giallo-viola, che di certo non avevano dovuto affrontare
l’ira del King Kong la mattina appena trascorsa.
I
quattro malcapitati titolari dello Shohoku, infatti, erano distrutti. Come
avrebbero fatto a disputare una partita in quelle condizioni ancora gli era
ignoto. Non solo i muscoli di tutto il corpo, benché abituati a certi sforzi,
erano indolenziti, ma stavano anche dormendo in piedi.
«Non
vorrei essere al loro posto», disse Hime, con la faccia poggiata sul palmo
della mano e un abbiocco colossale in corso. «Oh Kami, mi tocca anche
arbitrare… va a finire che mi addormento nel mentre».
«Già…»,
mormorò l’altra manager, nascondendo uno sbadiglio con la mano libera dalla
penna.
Hanamichi,
fuggendo un attimo dalla visuale del Gorilla, si diresse saltellante dalle due
ragazze. «Ehi, Hicchan! Cerca di espellere un po’ di gente tra quelli lì, ok?».
Hime
ridacchiò, scuotendo la testa. «Pensa a giocare bene, invece! Sarò
intransigente!».
Hanamichi
abbassò le spalle, deluso. E lui che sperava di avere un’arma in suo favore!
Poi, sempre pimpante, esclamò: «Fa nulla, Hicchan! Io sono un vero basketman, non avrò problemi!».
Hime
gli lanciò un’occhiata sbieca. «Dì un po’, Hanamichi: ti droghi o cosa?».
«Magari
lo facesse, almeno avrebbe una scusa plausibile», fece Ryota, guardando
l’amico.
Il
rossino iniziò a ridere, continuando a blaterare la sua superiorità sui comuni
mortali e attaccando briga con il solito Kiyota, che per contrastarlo ribadiva
il suo essere la miglior matricola di Kanagawa e bla, bla, bla. Il moro sembrava tornato il ragazzo pimpante di
sempre, rompiscatole certo, ma non offensivo o depresso. E questo fece tirare
un sospiro di sollievo sia ai suoi compagni di squadra sia alla ragazza dai
capelli rossi. L’incontro ravvicinato di quel giorno, forse, l’aveva rinsavito
un po’.
La
partita iniziò dieci minuti più tardi. Al centro campo, per la palla a due, si
posizionarono Akagi e Takasago, mentre Hime, fischietto in bocca e pallone in
mano, si apprestava a dare il via.
Akagi
le rivolse un’occhiata fulminante. «Mi raccomando, Sakuragi».
Lei,
d’altro canto, rispose con un sorriso birichino. «Dovrei dirtelo io, Capitano!
Attento ai falli!».
Nobunaga,
sentendola, sorrise divertito. Quanto era matta!
La
palla andò dritta in mano a Miyagi, che la passò prontamente a un Rukawa già
nel campo avversario, dato che aveva subito iniziato a correre. Ma prima che il
volpino riuscisse a prenderla, Jin la intercettò, tra le grida di disappunto di
Hanamichi, che gli sbraitò dietro la sua incapacità.
Jin
palleggiò tranquillo oltre la metà campo avversaria, trovandosi davanti Mitsui.
Il cecchino del Kainan decise di rinunciare al tiro da tre, passandola a
Kiyota, che si stava sbracciando per farsi vedere. Nobunaga afferrò saldamente
il pallone, tentando una penetrazione quasi impossibile: aveva davanti,
infatti, Akagi (intento, contemporaneamente, a tener dietro Maki per un
possibile rimbalzo) e Rukawa, che non lo lasciava libero di respirare.
Kiyota
strinse gli occhi, combattivo. Gliel’avrebbe fatta pagare a quel maledetto
volpino, sia per avergli rubato il titolo di miglior matricola, entrando
addirittura nei best five di Kanagawa, inammissibile!, sia per avergli fregato
la ragazza. Ok, non era propriamente così, ma un altro motivo valido doveva pur
trovarlo, no?
Prendendo
la rincorsa per un dunk, esclamò esaltato: «Ora vi faccio vedere di che pasta è
fatto il Rookie numero uno di Kanagawa, Nobun–».
Ma
non fece in tempo a finire la frase che il King Kong gli spazzò via la palla di
mano, con un grido liberatorio. Sembrava veramente un gorilla!
«Rookie
dei miei stivali», borbottò Akagi, correndo dall’altra parte del campo.
Hime
dovette trattenersi dal ridere vedendo il piccolo Kiyota abbattuto dalla
non-azione.
«Maledetto
scimmione!», gli gridò dietro Nobunaga, mentre Hanamichi gli correva affianco e
lo sfotteva come il suo solito.
Il
Kainan era, come sempre, un’ottima squadra: difesa impenetrabile e attacco
fortissimo. Ma lo Shohoku si era preparato arduamente per la rivincita contro
la sconfitta alle eliminatorie per entrare nel Campionato Nazionale. I cinque
diavoli in rosso non si sarebbero lasciati fregare una seconda volta. E
infatti, con grande stupore dei giocatori del Kainan, dopo cinque minuti di
partita la squadra capitanata da Maki era solo in vantaggio di tre punti.
Ryota,
nuovamente palla in mano per l’attacco, si ritrovò chiuso da Maki. «Sei
migliorato, Miyagi».
Il
numero sette ghignò, soddisfatto. «E questo è ancora niente!». Veloce come un
fulmine, cambiò direzione di palleggio, girando su un piede e provando a
sorpassare il Capitano del Kainan.
Maki,
effettivamente, fu preso alla sprovvista, ma se c’era una cosa che non gli
mancava era il sangue freddo e la velocità di reazione immediata. Sapeva sempre
cosa fare, quando farlo e come farlo.
Miyagi,
capendo che il suo marcatore non avrebbe mollato facilmente, si guardò lesto
intorno: Rukawa era quello a cui avrebbe voluto passare la palla, ma Kiyota e
Muto si stavano comportando da ottimi difensori; Mitsui era tallonato da Jin,
che non aveva alcuna intenzione di far tirare il 14 dello Shohoku; Akagi era
alle prese con Takasago, un bestione quanto lui. L’unico sprovvisto di
marcatura era proprio Sakuragi, a cui lanciò la palla con un bel passaggio a
parabolica.
Hanamichi
sorrise malefico: finalmente avrebbe dimostrato a tutti il suo genio!
«Non
fatelo avvicinare a canestro!», esclamò Maki, correndo dietro Miyagi.
«Ehi,
tu sei l’arbitro! Imparzialità, per favore!», le gridò dietro Kiyota.
Hanamichi
avanzò verso la lunetta, trovandosi la strada sbarrata da Takasago, l’unico che
potesse fronteggiarlo in altezza.
Rukawa,
con la sua destrezza e la sua velocità, riuscì a disfarsi dei suoi due
marcatori, guardando il rosso e indicandosi per passargli la palla. Ma
Hanamichi aveva un orgoglio da difendere, non poteva mica passare la palla al
nemico! Preferì lanciarla a Mitsui, che però non riuscì ad afferrarla, dato che
Maki gli si era parato di fronte, capendo le sue intenzioni.
Inutile
dire che il tiratore da tre e il playmaker gli gridarono un “deficiente” con i
contro-attributi, mentre un “do’aho” sommesso proveniva dalla voce tenebrosa
del volpino.
Hime
si passò una mano sul viso. Non sarebbe cambiato mai, da quel punto di vista!
Se solo avessero collaborato, tutti e due… lo Shohoku sarebbe diventato una
macchina sforna punti. Ma la ragazza dovette svegliarsi velocemente dai suoi
pensieri, per dichiarare fallo di sfondamento a Takasago, in attacco.
La
partita proseguì con un distacco lieve tra le due squadre, sebbene il Kainan
rimanesse sempre in vantaggio. Il primo tempo si concluse 42-38.
Hime
seguì la sua squadra fino agli spogliatoi, dove Akagi stava impartendo direttive
a destra e a manca come un gendarme.
«Ragazzi,
stiamo andando bene, abbiamo solo quattro punti di distacco. Sono più che
sicuro che possiamo fare meglio e passare in vantaggio».
Un
“sì” di approvazione venne gridato dai giocatori.
Poi
fu la volta dell’allenatore Anzai parlare. «Vorrei cambiare un po’ il solito
schema, ragazzi. Quando la palla arriverà a Miyagi, all’inizio del secondo
tempo, voglio che voi due iniziate a correre sulle fasce opposte», disse,
rivolto a Hanamichi e Rukawa, che si guardarono in cagnesco. «Li troveremo
spiazzati, dato che non sapranno a chi Miyagi passerà la palla per segnare. È
molto probabile che due andranno su Rukawa, che è potenzialmente il più
pericoloso, e uno su Sakuragi».
Hanamichi
gonfiò le guance, indispettito. «Ah! Ma io sono un genio, sono l’arma dello
Shohoku! Mai sottovalut–».
«Zitto
e ascolta, deficiente!», gli rimbeccò Akagi, tirandogli una manata sulla nuca.
«Miyagi,
se vedi che la copertura di Sakuragi è quasi nulla passa a lui. Gli altri
marchino stretti la difesa », proseguì il Buddha dai capelli bianchi. «Faremo
affidamento su voi due per l’inizio di questo tempo. Mi raccomando».
«Sì,
signore!», esclamarono le due matricole, carichi. Per poi azzannarsi con il
solo sguardo.
Hime
alzò una mano, sorridente. «Volete che sbatta fuori qualcuno in particolare?».
Rukawa
le si affiancò, e prima di sorseggiare la sua bibita, le disse: «Sì, quel
do’aho di tuo fratello».
«Ma
brutta volpaccia maledetta!».
«Hanamichi,
quanto sei pedante!», esclamò Ayako, tirandogli il ventaglio in testa.
Il
rossino si rifugiò dalla sorella. «Shonoshempre i sholiti maneschi!»,
piagnucolò.
Hime
gli scompigliò i capelli, ma si ritirò subito constatando che era completamente
sudato e che aveva appena affondato la mano in un mare umido parecchio
schifoso.
L’inizio
del secondo tempo andò esattamente come aveva previsto il Nonno. Hanamichi
rimase praticamente senza marcatura, dato che Muto e Kiyota si fiondarono su
Rukawa. Così il rossino andò a canestro senza problemi, mostrando i risultati dei
suoi allenamenti speciali. Esultò le sue gesta e continuò a proclamarsi Re
indiscusso della partita per i successivi dieci minuti.
Solo
una volta lo Shohoku si trovò in vantaggio. Ma non servì per vincere la
partita, che si concluse 76-70 a favore del Kainan. I giallo-viola erano
stati supremi in ogni azione: Maki si confermò il miglior giocatore e un
Capitano carismatico come pochi; Jin sfornò canestri da tre ogni volta gli si
presentasse l’occasione; Kiyota si sbizzarrì con evoluzioni a terra e in aria,
contento della sua performance, alla faccia del volpino; Takasago e Muto furono
irremovibili nella loro difesa. Ma anche lo Shohoku, per quanto avesse perso
per la seconda volta contro la miglior squadra di Kanagawa aveva dato il
massimo: Akagi aveva dimostrato di essere nuovamente all’altezza del Kainan;
Mitsui non fu da meno di Jin, sebbene la sua resistenza fosse minore; Ryota
riuscì addirittura a tener testa ad un playmaker come Maki, con la sua rapidità
e agilità; Rukawa non si smentì neanche in un solo istante, riuscendo a
ricoprire qualsiasi ruolo, sia in difesa che in attacco, anche se il suo
egoismo, probabilmente, era stato la causa della sconfitta; infine Hanamichi,
giocatore troppo sottovalutato, imprevedibile e decisamente imbattibile al rimbalzo.
Abbattuti,
ma non per questo demoralizzati, i giocatori dello Shohoku si complimentarono
per la buona partita (con le dovute eccezioni, certo) con gli avversari.
Le
dovute eccezioni furono Kiyota e Hanamichi: il primo proclamandosi la chiave
della vittoria del Kainan, il secondo gridandogli dietro che il Kainan non
poteva far certo riferimento a una scimmia petulante come lui. Ovviamente
finirono per darsele di santa ragione, per poi essere calmati dai loro due
domatori, Maki e Akagi.
Insomma,
la solita storia.
*
Hime
era in camera sua, intenta a ricopiare il resoconto della partita disputata
un’ora prima. Si era offerta di farlo lei, dato che quella faccia di bronzo di
Miyagi aveva chiesto ad Ayako di accompagnarlo in paese “per comprare la loro
rivista sportiva preferita”. Hime rise tra sé e sé, pensando a quei due. Erano
così carini, insieme!
Aumentò
leggermente il volume del suo lettore cd portatile, che aveva prontamente
collegato a due casse piccole da viaggio. Le note dei Toto, con Hold the Line in sottofondo, la
portarono a canticchiare allegramente, tanto che quasi non si accorse che
qualcuno bussò alla porta. Con block notes e matita
in mano, e continuando a cantare e a improvvisare due goffe mosse di danza,
aprì la porta. Per poco non cadde a terra per la sorpresa.
«Ehm…
disturbo?», le chiese Kiyota, grattandosi una tempia e guardandola con
curiosità. «Perché altrimenti vado…».
Il
ragazzo trattenne a stento una risata: Hime non solo aveva i capelli ritirati
da un berretto arancione e bianco messo al contrario, ma indossava anche la
maglia di riserva del fratello, la mitica rossa numero 10, che le arrivava
praticamente alle ginocchia. Dulcis in fundo, aveva delle infradito decorate
con fiorellini di plastica. Era una comica. Le mancavano i bigodini e le fette
di cetriolo negli occhi ed era perfetta.
Hime,
forse, non si era vergognata così tanto in tutta la sua vita. Ma Kami, quella
scimmietta doveva presentarsi proprio quando era vestita da randagia?!
«No,
no… entra pure!», gli disse, aprendo meglio la porta per farlo passare. Che
voleva da lei?
«Ti
ho disturbata, vero?», le chiese nuovamente, indicando con un cenno del capo le
schede dei giocatori sparsi su un letto.
«Tranquillo,
stavo per finire», disse, chiudendo la porta e raggiungendolo. «Uhm… posso
offrirti qualcosa? Ho caramelle, brioches, biscotti, nutella, grissini,
patatine… oh, anche dei mikado, vuoi?».
Nobunaga
la guardò perplesso. «Pensavo che il ristorante fosse giù, non qui», fece,
accettando i bastoncini ricoperti di cioccolato che gli stava offrendo.
«Beh,
in qualche modo dobbiamo sopravvivere per due settimane durante la notte», fece
Hime seria, rovistando nella sacca. «Anzi, ti dirò di più: io e Hanamichi
dovremo andare anche giù in paese a rifornirci… ieri notte abbiamo fatto razzia
di metà delle cose che c’erano qui dentro. Quei tre caproni sono dei
cassonetti! Anzi, mettiamoci in mezzo anche Kaede, che zitto zitto si è finito i salatini». Hime si fermò un attimo,
maledicendosi mentalmente. Stava parlando a raffica. Poteva dire che per
l’ultima frase non avesse ripreso neanche fiato. Si stava agitando e quello non
era bene, anzi.
Nobunaga,
invece, fece un sorriso tirato nel sentire il nome dell’odiato volpino, ma non
lo diede a vedere. Erano amici, del resto. Niente di più, no? «Potresti… sì,
insomma… potrei accompagnarti io al market, no?».
Hime
sollevò uno sguardo stupito verso il ragazzo. Le aveva appena chiesto di
uscire? Sbatté velocemente le palpebre, imbarazzata. «Sei… gentile, Kiyota»,
gli disse, grattandosi il naso con nervosismo. «Ehm… mi dai dieci minuti, così
finisco queste scartoffie?».
Al
ragazzo non parve vero che avesse accettato. Allora qualche Kami lo assisteva,
ogni tanto! Qualcuno lassù gli voleva bene, in fondo! «Ma certo, non c’è
problema, fai con calma!», disse esuberante, ritrovando la sua spavalderia e la
sua sicurezza. Avrebbe aspettato anche un’ora, non gli sarebbe importato. Del
resto lui era lì, solo con lei, a guardarla mentre ricopiava con ordine tutti i
dati, corrugando la fronte senza neanche accorgersene mentre scriveva; per la
prima volta si accorse che fosse mancina, sebbene quando andava a canestro
aveva notato tirasse con la destra.
E
poi, cosa più importante, sarebbe uscito con lei. Niente di galante, solo
un’innocente passeggiata al market per fare rifornimento di schifezze. Ma per
lui era come aver ricevuto la grazia dal cielo. Era sincero quando pensava che
l’avrebbe mandato via a calci per tutto il corridoio. In realtà era andato da
lei con l’intenzione di scusarsi per bene per tutto quello che le aveva detto,
ma quando capita l’occasione bisogna sempre prenderla al volo.
Kiyota
si grattò il mento, pensieroso: si sbagliava o c’era un signore che diceva
“carpe diem”?
Piccolo siparietto per l’autrice:
Un po’ in ritardo con i
tempi [di solito aggiornavo dopo pranzo, ma sto preparando un esame, il tempo è
poco! .__.] rieccomi qui!
Capitolo un po’ corto,
in effetti, ma non posso collegarlo all’altro, altrimenti salta tutta la
suspense! XD
Angolino per i
ringraziamenti:
lilli84: ma anche no! Sono ben lungi dal volerla concludere di
già! Tieni conto che ho pronti un’altra decina di capitoli e la storia non è
ancora finita! XD Grazie mille! :*
MihaChan: eggià,
se Nobu fosse stato in vena avrebbe esclamato sicuramente: “Proprio come una
scimmia! Ahaha!” Cara mia, vedrai come ci darà dentro
Nobu! …a fare cazzate, ovvio! ò_ò
kuro: oh Zeus, addirittura
ti emoziona! ;___; E io che volevo far ridere! XD Gentilissima, come sempre! Essì, Nobu è taaaantokawaii! Da strapazzare tutto, dalla mattina alla sera! *_*
Grazie di cuore a
tutte, è una gioia vedere che mi seguite ad ogni aggiornamento! x*
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XIII
Untitled.
Nobunaga
Kiyota capì che Hime Sakuragi lo attraeva sempre di più quando la vide tutta
sorridente prendersi una sacca coloratissima, lunga e larga, e dichiararsi
pronta per uscire. Senza togliersi la maglia del fratello. Senza ravvivarsi i
capelli come facevano tutte le ragazze prima di un appuntamento (e anzi, peggio
ancora, tenendosi il cappellino in testa). L’unica cosa che cambiò furono le
infradito, che sostituì con un paio di pantofoline rosse a pois bianchi.
Per
loro fortuna non incontrarono Hanamichi, che doveva essere ancora sotto la
doccia a rinfrescarsi le idee. Altrimenti avrebbero assistito a una bella
scenata di gelosia che sarebbe entrata nella storia.
Camminarono
per un po’ in silenzio, godendo della tranquillità del posto. Erano le sei di
sera, un po’ caldo in effetti, ma soffiava un’arietta che, seppur tiepida, dava
almeno la sensazione di frescura.
«Complimenti
per la partita, siete stati bravi come sempre», disse Hime, sistemandosi la
borsa sulla spalla.
Nobunaga,
sentendo quelle parole, iniziò a gasarsi come suo solito. «Ahaha!
Il Kainan quest’anno è anche più forte! Avere un fuoriclasse come me è stato il
tocco decisivo! Ahaha!».
Hime
scoppiò a ridere. A volte sembrava di parlare con sui fratello!
«Oh
guarda quel negozio!», esclamò la ragazza, scaraventandosi contro vetrina di un
esercizio etnico. «Perché questo non l’ho visto, ieri?».
Kiyota
fu letteralmente trascinato dentro da una Hime del tutto svitata. Del resto
l’aveva capito che quella ragazza, in quanto a gusti, era parecchio strana. La
seguì allegro, vedendola persa per una lampada da terra completamente in legno,
per dei tendaggi rossi e marroni, per scaccia guai e altre cose che a lui non
piacevano minimamente. Però era bello vederla al settimo cielo, con gli occhi
castani illuminati da una luce di euforia che le ravvivava il viso.
Rimasero
lì dentro per una decina di minuti, ma quando Kiyota mise il primo piede fuori
da quel posto uscì più raggiante di prima, dato che stava per svenire
dall’odore d’incenso che impregnava l’aria. Gli sarebbe venuto mal di testa, su
questo non aveva dubbi!
Il
supermarket non era affollato e fortunatamente riuscirono a trovare la corsia
che gli interessava senza perdersi nei meandri dei numerosi scaffali. Con un
cestello alla mano Hime iniziò a prendere di tutto di più, perché “tanto
avrebbe pagato quel santo di Hanamichi”. In men che non si dica il cestello
trasbordava di tre pacchi di biscotti al cioccolato, uno di frollini, due mega
confezioni di Ritz, una cassetta di bibite e chi più
ne ha più ne metta. E, dato che il tutto stava iniziando a pesare al povero braccio
minuto della ragazza, il cavaliere numero uno di Kanagawa si offrì di reggerlo
al posto suo (pentendosene amaramente quando vide che la signorina non aveva
ancora la benché minima intenzione di finire la spesa). Ma lui era un uomo, più
precisamente il grande Nobunaga Kiyota! Non poteva mica arrendersi per un
canestrino leggero come una piuma!
«Non
avremo fatto meglio a prendere un carrello?», le chiese perplesso, con il
braccio dolente.
Hime
alzò la testa da un pacco di deliziose barrette al cioccolato al latte e
cereali. «Torno subito!», esclamò, lanciando anche quelle nel cestello.
Nobunaga
la guardò sparire dietro uno scaffale, sempre più perplesso e confuso. Dove
diavolo se n’era andata quella pazza di una Sakuragi? Era peggio di lui!
Un
minuto dopo la vide tornare raggiante come una bambina con un carrello, che per
i gusti degli altri clienti stava facendo correre un po’ troppo. Gli si
parcheggiò letteralmente affianco con una frenata di fortuna, ridendo come una
bambina. «Eccolo qui!».
Nobunaga,
dopo un po’ di indecisione, scoppiò a ridere. Non era la sorella di Hanamichi
per niente, quell’esagitata! Aveva anche rischiato di schiantarsi contro una
serie di pacchetti messi in ordine in esposizione!
Dopo
aver traslocato il tutto dal cestello al carrello, ripresero gli acquisti,
finendo dieci minuti dopo. Alla cassa trovarono una donna gentile che iniziò a
raccontargli la storia della sua vita, senza che loro gliel’avessero anche
lontanamente chiesto. Il tutto era partito da un «Che cosa ci fanno qui due bei
giovanotti come voi? Una vacanza per l’anniversario di fidanzamento?», con
conseguente viso color porpora dei due e risata dell’altra. Dopo che le
spiegarono che erano lì in ritiro con le proprie squadre di basket, mentre
pagavano per andarsene, la signora aveva iniziato a ricordare i suoi tempi di
gloria, quando ancora era giovane e spensierata, quando i ragazzi le andavano
dietro e quando si divertiva con gli amici. Poi aveva conosciuto l’amore della
sua vita e l’aveva sposato. Peccato che ora fosse diventato uno screanzato che
non faceva altro dalla mattina alla sera se non guardarsi il suo spettacolo
preferito alla televisione e obbligarla a restare con lui. Lei, certo, lo
amava, ma si meritava qualcosa di più di una vita del genere. Ed ecco che entrò
in scena il ragazzo che “l’aiutava” con la cura del giardino. Del resto, un po’
di svago anche lei lo doveva pur avere, no?
Nobunaga
e Hime si lanciarono una disperata occhiata, in cerca della salvezza da quel
monologo decisamente troppo noioso per rimanere ad ascoltarlo. Peccato che
avessero trovato quella tipica persona che, accalappiata la preda, non la
mollava tanto facilmente.
Uscirono
stanchi e spossati dopo un quarto d’ora. Il quarto d’ora più lungo della loro
vita. Inutile dire che, appena si guardarono negli occhi, scoppiarono a ridere
talmente forte che dovettero sedersi per riprendersi un po’.
«Che
esperienza… esaltante!», esclamò Kiyota, riprendendo a ridere.
«Kami,
che male… la pancia!», cercò di dire Hime tra le risa.
Vennero
trovati così piegati dal ridere da due meravigliati Ayako e Ryota. Più
sbalorditi che altro, in effetti. Vederli ridere insieme come vecchi amici non
era certo una cosa che si sarebbero aspettati di vedere da lì alla fine del
mondo.
«Ragazzi,
tutto bene?», chiese Ayako, avvicinandosi ai due.
Hime
si asciugò le lacrime dagli occhi per le troppe risate. «Kami, Ayako! La
prossima volta ci andate voi due a fare la spesa!».
E
giù a ridere nuovamente, mentre i nuovi arrivati continuavano a non capire il
motivo di tanta ilarità. Quando finalmente si calmarono, spiegarono nei minimi
particolari quello che era successo e ci mancò poco che Ryota corresse a
prendere Hanamichi e Mitsui per trascinarseli dentro e farsi due risate.
Quando
si misero in cammino verso l’albergo erano le sette e mezza passate. Kiyota
aveva preso la maggior parte delle buste, aiutato poi da Miyagi. Del resto,
loro erano i “machi” della situazione, non potevano mica lasciare le “loro”
donne appesantite con carichi del genere.
I
ragazzi iniziarono a parlottare sulla partita disputata quella mattina, mentre
Ayako e Hime, a braccetto, rimasero un po’ più indietro. Hime sapeva a cosa
stava per andare incontro: un bel terzo grado da parte della pettegola
dell’anno, Ayako!
«Allora,
hai qualcosa da dirmi?», le chiese la riccia, ammiccando maliziosa.
Hime
arrossì peggio dei suoi capelli, guardando la schiena del suo numero dieci. Oh
Kami, aveva appena pensato a Kiyota come “suo”?! La situazione stava
precipitando alla grande, ecco cosa!
Dopo
una serie di domande snervanti, Hime fu costretta a snocciolare l’intera
vicenda a un’Ayako sempre più curiosa ed eccitata per l’amica.
«Non
pensavo che Kiyota potesse essere così gentile», ammise Ayako.
Hime
annuì leggermente, imbarazzata. Oh, avanti! Non significava nulla che l’avesse
accompagnata a fare compere! Anche se, certo, era andato in camera sua con
l’intenzione di chiederle qualcosa… Kami, che confusione! Perché non riusciva a
stare arrabbiata con quella scimmietta per più di un giorno? Non lo sopportava,
accidenti!
«Ryota,
invece, si è comportato bene?», chiese la rossa, per sviare lo scomodo
discorso.
«Sì,
sì! Come sempre… è un’altra persona quando non sta con gli altri», disse Ayako,
guardando il playmaker senza lasciar trasparire né indifferenza né interesse.
Hime
sorrise, scuotendo la testa. «Quando avrai capito cosa provi per lui fammi un
fischio».
Il
rientro in albergo fu un bel problema, per Hime. Vederla accompagnata da
Kiyota, senza che i due si stessero minimamente scannando era incredibile. Ma
se per i comuni giocatori questa situazione destò stupore, c’era invece
qualcuno che andò su tutte le furie. E non fece niente per nasconderlo.
«Hicchaaan! Che diavolo ci fai in compagnia della scimmia?! Aaargh! Maledetta Nobu-scimmia spelacchiata!
Se l’hai soltanto guardata ti sradico le palle!».
Inutile
spiegargli che si fosse offerto per accompagnarla a prendere le riserve per i
festini; inutile dirgli che fosse stato gentilissimo; inutile dirgli che si
erano persino divertiti insieme. No, niente. Quando Hanamichi Sakuragi partiva
per la tangente era letteralmente impossibile fermarlo. O almeno, impossibile
per chi non si chiamava Takenori Akagi, detto il Gorilla.
E
mentre Hanamichi veniva represso a suon di pugni e calci, Kiyota accompagnò la
ragazza alla sua camera, entrambi trascinandosi le buste della spesa.
«Dove
le metto?».
Hime
gli indicò la sua sacca. «Appoggiale lì vicino… tanto è tutta roba che ci
servirà anche stanotte».
Nobunaga
sorrise tristemente, pensando che avrebbe passato un’altra nottata da solo a
rigirarsi nel letto, guardando un soffitto in travi di legno che aveva un
interesse pari a zero. «Non vi è bastata la giornata di oggi?».
Hime
ridacchiò, pensando ai suoi amici. Ne avevano sempre combinate di tutti i
colori, pagandone poi le conseguenze. Ma quanto si divertiva con loro era impagabile.
Poi
i suoi occhi nocciola si fecero grandi, puntandoli sul ragazzo. «Vieni anche
tu, stanotte! Tu, Maki Jin… tutti quelli che vogliono! Più siamo meglio è, no?».
Per
la seconda volta, in quel giorno, Nobunaga ringraziò tutti i Kami che lo
stavano assistendo. Allora non era così cattivo come aveva sempre creduto!
Con
un sorriso le fece l’ok con il pollice. «Puoi contarci!».
Quando
fece per andarsene, Hime lo bloccò. «Grazie, Kiyota. Sei stato veramente
gentile oggi».
Il
ragazzo sorrise nuovamente, vedendola arrossire. «Dovevo sdebitarmi per il
naso…», le disse, indicandosi la parte lesa. «E per tutto quello che ti ho
detto. Mi sono sentito un verme, davvero. Gomen nasai».
«Sì,
sei stato veramente un idiota. Un giorno mi spiegherai cosa ti è preso». Hime
gli sorrise. «Ma sei perdonato».
Kiyota,
d’altro canto, le regalò uno dei suoi migliori sorrisi, prendendole le mani
euforico. «Grazie, Sakuragi! Non sopportavo di vederti arrabbiata con me!», le
disse, sinceramente dispiaciuto. «E comunque… mi è piaciuto stare con te».
Hime
arrossì, se possibile, ancora di più. «Anche a me, mi sono divertita tanto!
Magari… si può rifare, no?».
L’occhiolino
che ricevette poi le fece capire tutto.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Salve gente! Scusatemi
per il titolo -non titolo- di questo capitolo, ma ho la testa completamente
fusa, non avevo inventiva! *me stanca .___.*
Ma vabbè, è il
contenuto che conta, no? NO?! ;___;
Un saluto e un
abbraccio a MihaChan,
che sarà l’artefice di un pezzo di questa storia più avanti [non avevo
inventiva e lei è giunta in soccorso! *o* GracciecaVa! x*], e a chi ha lasciato un commento!
lilli84: grazie mille! Son contenta ti piaccia così tanto! ^^
kuro: è mercoledì anche
oggi! *o* XD Ma grazie miliardesime, cara! Mi commuovo così ;___;! E brava,
brava, rileggi Slam Dunk! Anche se magari lo sai a memoria! Fai come me! XD Eggià, caro Nobu! *Q*
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XIV
Genius.
Takenori Akagi era un uomo tutto
d’un pezzo. Non era impulsivo, ma quando agiva lo faceva bene. Soprattutto se
questo significava dover tenere a bada cinque scalmanati che spesso e
volentieri si comportavano peggio dei bambini.
Fu così che, durante la cena,
catturò l’attenzione dei presenti, in particolare dei suoi giocatori. I ragazzi
si guardarono tra di loro, consci del fatto che l’espressione diabolica che
aleggiava nel volto scimmiesco del loro Capitano non prometteva nulla di buono.
Anzi, di solito significava guai in vista.
«Allora, ragazzi! Dato che il
risveglio questa mattina è stato particolarmente distruttivo
per voi e per la mia sanità mentale, da oggi in poi scordatevi di riunirvi come
avete fatto ieri notte. Starò di vedetta in corridoio, a costo di non chiudere
occhio! Ma voi», disse, soffermando lo sguardo sui fratelli Sakuragi, che
deglutirono a fatica, «voi non uscirete dalle vostre stanze fino alle otto e
mezza di domani mattina. Intesi?».
Hime provò a dire qualcosa,
alzando la mano da brava studentessa modello. Ma l’occhiataccia del centro le
fece morire le parole in gola. Era veramente spaventevole!
Solo l’impavido Hanamichi
Sakuragi tentò l’impossibile…
«Ma, Gori! Sei peggio del
nostro professore di matem–!».
…finendo con l’ennesimo pugno
in testa.
«Hicchaaan!
Il Gori mi ha fatto la bua!», si lagnò il rosso, mentre la sorella lo
abbracciava premurosa.
«Oh Kami-sama»,
esclamarono in coro gli altri, affondando i visi nei loro piatti.
Hime si alzò in piedi,
puntando un dito contro il Capitano e facendo sbiancare tutti. «Ricorda, Gori!
Mai mettersi contro i Sakuragi! Ahaha!».
Le uniche risate che si
sentirono in tutta la sala furono quelle del rossino e del piccolo Kiyota,
sedati entrambi da un colpo in testa. Anche perché il resto dei presenti era
troppo spaventato da una possibile reazione del Gorilla per osare dire o solo
pensare qualcosa.
Quando la cena riprese, in
totale “tranquillità”, Hime bisbigliò ai suoi amici: «Su, ragazzi! Io e il Tensai ci inventeremo qualcosa per domani!».
Hanamichi ridacchiò, euforico.
«Ahaha! Hicchan! Siamo due geni!».
«Ma se ancora non avete fatto
niente!», sbottò Mitsui, poggiandosi al tavolo con fare svogliato.
«Ci annoieremo a morte!»,
esclamò tristemente Ryota, beccandosi una sgridata dai rossi.
«Ehi!», fece Hime. «Vi
arrendete facilmente, eh? Questa non è solo questione di festini da fare
obbligatoriamente… c’è in palio anche la nostra reputazione di casinisti!»,
disse tutta fiera di sé.
Dal gruppetto partì un
applauso sentito, mentre ridevano come matti.
Dall’altro tavolo Kiyota li stava
guardando, curioso. Probabilmente i gemelli stavano escogitando qualcosa di
diabolico per farla al loro Capitano. E ne era sicuro, con la testa che si
ritrovavano tutti e due ce l’avrebbero fatta!
Stava per portarsi alla bocca
un po’ di sushi quando bloccò le bacchette a metà, sorridendo malefico. Poteva
aiutarli, oh se poteva!
Dopo cena si avvicinò al
gruppetto di amici, seduti vicino alla piscina illuminata.
«No! La scimmia no!», iniziò a
lamentarsi Hanamichi, beccandosi un pugno in faccia. «Ehi, che problemi hai?!».
Nobunaga lo guardò in
cagnesco. «Se ti do tanto fastidio vai a mangiarti una banana lontano da me,
idiota!».
Incredibilmente tutti
scoppiarono a ridere, mentre il rossino diventava una furia. «Ti affogo!».
Inutile dire che i due si
ritrovarono in acqua dopo un batter di ciglia.
«Ma allora sei proprio
deficiente, razza di scimmia rossa! Ero già raffreddato di mio!», esclamò
Kiyota, saltandogli addosso e facendolo scendere sotto.
Ayako guardò i due combattere
alacremente in acqua, scuotendo la testa. «Un terremoto fa meno danni».
Al primo starnuto di Kiyota,
Hanamichi si tirò indietro, facendogli un “contro-incantesimo”. «Argh! Maledetta Nobu-scimmia! Così mi contagi i tuoi germi!
Vade retro!».
Nobunaga sorrise, perfido.
«Allora fatti abbracciare, amico mio!».
Tra Kiyota che inseguiva il
rossino, e il rossino che fuggiva da Kiyota, il gruppo di amici non riusciva
più a respirare dalle risate. Dopo cinque minuti di corsa i due si buttarono a
terra stremati.
«Hicchan! Salvami dalla
scimmia contagiosa!», disse Hanamichi, strisciando verso le gambe della
sorella, a cui si aggrappò saldamente.
Hime gli scompigliò i capelli.
«Quanto siete scemi!», disse in una risata.
«Ehi, ha iniziato tuo
fratello!», esclamò Nobunaga, mettendosi in piedi. Starnutì due volte poco
dopo.
«Ti conviene andare ad
asciugarti se non vuoi ammalarti sul serio», gli disse Hime.
Kiyota annuì, guardando poi
Hanamichi, ancora bello che disteso sull’erba. «Ehi, rosso-scimmia, cambiati
anche tu!», esclamò, tirandogli un debole calcio sul fianco.
Ayako guardò allarmata le due
scimmiette andarsene insieme verso le proprie camere. «Kami, da soli si
ammazzeranno!», esclamò puntando uno sguardo preoccupato verso Hime, che rideva
tranquilla. Secondo lei quei due sarebbero diventati ottimi amici. Un po’ come
Hana e Kaede, sebbene non facessero altro che darsele di santa ragione dalla
mattina alla sera. Ma era un modo come un altro per mostrare al mondo quando
non potessero fare a meno l’uno dell’altro.
Nobunaga e Hanamichi, nel
frattempo, entrarono nelle rispettive camere, alla ricerca di un asciugamano e
di un cambio di vestiti. Il dieci del Kainan fu quello che finì prima ed entrò
con ancora un asciugamano tra i capelli in camera del rosso.
«Ehi, Sakuragi! Ho una
proposta da farti!».
Hanamichi saltò letteralmente,
preso alla sprovvista. «Maledetta scimmia! Sei diventato anche un maniaco ora?!
Guarda che a me piacciono le donne!».
«Ma non dire idiozie e
ascoltami!», esclamò l’altro, tirandogli l’asciugamano in pieno viso. «Ho
trovato il modo per eludere la sorveglianza dello scimmione!».
A quelle parole Hanamichi
balzò davanti al ragazzo, ascoltando attentamente il piano dell’altro.
«Ma certo! Ehi, Nobu-scimmia!
Quando usi l’unico neurone che ti gironzola in testa fai scintille!», esclamò
Hanamichi contento, battendogli una mano sulla spalla, mentre l’altro si
difendeva a suon d’insulti.
Ancora imbronciato, Kiyota
borbottò: «Vado ad esporre il piano al Capitano… così dopo ci ritroviamo per
spiegare tutto agli altri».
«Ehi, Kiyota!», lo fermò Hanamichi.
«Perché ci aiuteresti?».
Il moro sorrise ironico.
«Perché non voglio ritrovarmi sbattuto fuori dalla stanza quando verrò da voi!».
«Checcosa?!
E chi ti ha invitato? Io non ti voglio!».
Nobunaga, mostrandogli un
pugno sotto il naso, esclamò furente: «Tua sorella! Mi ha invitato tua sorella,
contento? Se non ti sta bene scordati il mio aiuto!».
La mascella di Hanamichi si
aprì automaticamente a livelli inimmaginabili, sfracellandosi fino a terra.
«Che… che ha fatto… Hic… Hicchan?».
Nobunaga incrociò le braccia
al petto, cercando di nascondere il rossore che gli imporporava le guance
pensando al discorso di quel pomeriggio.
Poi Hanamichi spalancò gli
occhi, capendo. «Ehi! Non mi dire che tu e la mia Hicchan state insieme e
nessuno me l’aveva detto?! La mia Hicchan con una scimmia selvaggia nooo!».
In risposta Kiyota, rosso per
l’imbarazzo e l’offesa, lo scaraventò a terra, riempiendolo di botte.
*
I ragazzi ascoltavano il piano
con crescente attenzione, sghignazzando ogni tanto e annuendo.
«Non sembra, ma Kiyota è un
genio!», disse serio Mitsui, beccandosi un colpo dai Sakuragi.
«Non dire così, Hisa!», «L’unico genio vivente sono solo io, chiaro?!»,
esclamarono in coro i due. I fratelli si guardarono un attimo, uno sempre più
spaventato dall’idea che gli si stava insinuando in testa e l’altra perplessa.
«Hicchaaan!
Dimmi che non è vero! Dimmelo!», sbraitò Hanamichi, scuotendola per le spalle
nella speranza di rinsavirla.
Hime sbatté velocemente le
palpebre, confusa. «Cosa dovrei dirti, Hana?».
Quasi con le lacrime agli
occhi, il rossino esclamò: «Dimmi che non stai insieme a quella Nobu-scimmia!».
Il gelo calò tra i presenti.
Ayako, Ryota e Mitsui si scambiarono delle occhiate perplesse e ironiche,
facendo scivolare lo sguardo sui fratelli. Nel frattempo, anche altri giocatori
che avevano sentito l’urlo disperato di Sakuragi si erano fermati, curiosi di
conoscere la risposta.
Hime, d’altro canto, divenne
viola per l’imbarazzo. «Hanamichi Sakuragi», disse a bassa voce.
Un brivido salì lungo la
schiena del rosso, che capì che la sua tenera e adorabile sorellina si era
arrabbiata. E anche parecchio, perché altrimenti non l’avrebbe chiamato per
nome e cognome e non lo avrebbe trapassato da parte a parte con la forza del
solo sguardo.
Kogure dovette spostarsi alla
velocità della luce per non essere travolto da quelle due furie umane e
vedersi, quindi, il suo succo all’ananas sprecato contro la camicia bianca.
Ayako sbuffò, poggiando il
mento sui palmi delle mani.
Ryota e Mitsui, invece, la
guardarono curiosi. «Ayako, sai qualcosa che noi non sappiamo?».
La riccia arrossì a dismisura.
Quando si mettevano di impegno i ragazzi erano anche peggio delle lavandaie!
«Qualcosa che cosa?», chiese noncurante, ridendo nervosamente.
Mitsui ghignò. «Sì, sa
qualcosa!».
Due secondi più tardi arrivò
Kiyota, tutto pimpante. «Il piano avrà inizio esattamente alle undici e mezza!».
I tre lo guardarono
indagatori, scrutandolo con interesse.
«Vieni, Kiyota, siediti un po’
con noi!», disse Ryota, accomodante.
Ayako spalancò gli occhi,
mostrando il suo ventaglio uscito da chissà dove. «No, no ragazzi! Attenti a
quello che fate! No, Kiyota, non intendo per te! Loro sanno di cosa sto
parlando!».
Nobunaga li guardò non capendo
e poco dopo vide sfrecciare due teste rosse a tutta velocità.
«Hanamichi Sakuragi fermati!».
«Hicchaaan!
Stavo scherzando!».
Rukawa, che stava beatamente
ronfando spalmato su una sdraio lì vicino, allungò un piede che fece andare
lungo e disteso per terra il povero Hanamichi. Seguito a ruota dalla sorella
che non riuscì a fermarsi in tempo.
«Vacca bastarda di una
kitsune, io ti ammazzo!».
«Ehi, Hanamichi! Frena un
attimo! Sono io che ti devo ammazzare prima! Dopo lo ammazzo anche per te, ok?».
I due fratelli si rimisero in
piedi, pulendosi gli abiti. Poi Hanamichi riprese a correre, approfittando
della disattenzione di Hime, che lo seguì poco dopo.
Mentre gli altri ridevano e a
un Gorilla a caso scoppiava una grossa vena in testa, Kiyota guardò i due
sempre più confuso. «Sbaglio o mi son perso qualcosa?».
Piccolo siparietto per l’autrice:
Con un giorno di
ritardo, eccomi qui ad aggiornare! Perdonatemi, ma tra progetti e
manifestazioni contro la legge 133 sono sommersa di impegni fino al collo. ^^”
Non l’ho neanche riletto questo capitolo, quindi perdonatemi se dovessero
esserci degli errori…
Saluto velocemente
tutti coloro che stanno leggendo [e resistono xD]
questa cosa, in particolare MihaChan [carissimaaaa! Grazie di
tutto! x*] e kuro
[aww! Non tenerti la scimmietta per troppo tempo, se
no mi ingelosisco ;__; Grazie bella :*].
Capitolo 16 *** Happy monkey or desperate monkey? ***
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo XIV
Happy monkey or desperate monkey?
Il piano diabolico di Kiyota
era semplice ed efficace: Akagi sarebbe stato sveglio per quasi tutta la notte,
e perché non accettare un caffè da un gentile Maki che sorridente gli chiedeva
di scendere al bar? E perché no… un caffè, un aperitivo… Gorilla ubriaco
fradicio. La parte della sbornia era stata proposta dai gemelli, dato che
conoscevano le abitudini del loro Capitano e sapevano per certo che non reggeva
un dito di alcol. Ebbene sì, il King Kong grande e grosso avrebbe girovagato
cantando e sbatacchiandosi di qua e là contro le pareti dell’albergo, con un
volto rosso e gli occhi semichiusi. Solo per vedere una scena del genere ci
sarebbe stato da pagare il biglietto.
La seconda parte del piano
prevedeva che Maki, allontanatosi un attimo con la scusa di andare al bagno, bussasse
tre volte alla porta di Kiyota per dargli il via libera. Quindi sarebbe uscito
quatto quatto e avrebbe fatto altrettanto agli altri, in modo che capissero il
segnale e uscissero anche loro, verso la camera delle ragazze. E, per ogni
evenienza, avevano anche messo i cuscini e tutto ciò che poteva far volume
sotto le lenzuola, così che se il Gorilla di turno avesse avuto la magnifica
idea di controllare se fossero in camera non si sarebbe accorto di niente (del
resto alcol + buio sono alleati parecchio efficaci).
La terza parte, e quella più
importante, riguardava i festini, che sarebbero stati un gran bel problema.
Evitare di ridere sguaiatamente alle cavolate che avrebbero fatto e detto
sarebbe stato una sfida per tutti. Tranne che per Rukawa, che aveva già vinto
in partenza.
Neanche entrati in camera
delle ragazze, il gruppo di scalmanati stava già facendo casino.
«Giochiamo a strip poker?»,
chiese Mitsui, ridendo malizioso alle facce delle due donzelle “indifese”.
«Strip-ché?», fece Hanamichi,
grattandosi la testa. Proprio non capiva perché ogni tanto quelli lì
s’inventassero un gioco nuovo di carte per metterlo in difficoltà. Sì, era una
congiura contro di lui, ne era certo! Era già tanto se riusciva a vincere a
ruba mazzetto!
«Strip poker, razza di
scimmia!», esclamò Kiyota, guardandolo di sbieco. «È uguale al poker, con la
differenza che quando perdi devi toglierti un indumento».
Hanamichi soppesò con
attenzione la spiegazione di Nobunaga. Poi sbottò: «Niente strip poker quando
gioca anche la mia Hicchan!».
«Come no?!», fece un
scandalizzato Mitsui. «E il divertimento dove lo mettiamo?».
«Teppista hentai! Sei peggio
del porcospino!».
«Da quel punto di vista Akira
è un grande, altroché!».
«Sì, un grande affamato»,
frecciò la kitsune.
Hanamichi sorrise, malizioso.
«Che c’è, Kit, geloso che lui ha una vita sessuale e tu no?».
«Zitto, impotente».
«Checcosa?!
Vieni qui che ti soffoco con un cuscino!».
«E io che pensavo volessi
mostragli il contrario!», fece Kiyota, facendo sbiancare tutti per un’immagine
non propriamente bella che gli era apparsa in mente.
«Che cazzo, Nobu-Scimmia! Mi
farai venire un colpo, così!», sbottò la guardia dello Shohoku, facendolo
ridere come un deficiente.
«Ehi, voi! Ma per chi mi avete
preso?!», gridò Hanamichi arrabbiato.
«Oi, coso! Abbassa la voce o
ci sgamano subito!», ribatté Ryota, saltando addosso all’amico per farlo stare
zitto. Peccato che quel gesto servì solo a fare più caos di prima.
«Pirati, all’attacco!»,
esclamò Hime, saltando in piedi sul letto e buttandosi sopra i tre malcapitati
con un cuscino.
Ayako li guardò, con un misto
di divertimento e preoccupazione. «Akagi ci ammazza».
E mentre Miyagi tentava di
sedare quella testa calda di Hanamichi, Kaede bloccava con uno scatto veloce la
ragazza tra le sue gambe, tenendole le braccia con una mano e nascondendo uno
sbadiglio con l’altra. «Chi la vuole?», chiese, guardando con non troppa
attenzione Kiyota e Mitsui.
Dato che la scimmietta del
Kainan era troppo inebetita per poter muovere anche un solo muscolo (la
presenza del volpino, infatti, lo urtava parecchio, nonostante tutto), Hisashi
fece spallucce, iniziando a fare il solletico sui fianchi alla malcapitata. Ci
mancò poco che morisse per mancanza di aria nei polmoni, da quanto stava
ridendo.
Nel groviglio di mani, gambe e
braccia, Hanamichi riuscì a vedere la sua povera sorellina maltrattata da quel
branco di maniaci, che non perdeva occasione per appropriarsi della piccola
Hime. Maledetto volpino lussurioso! Quello zitto zitto
e l’avrebbe anche sedotta! Per non parlare di quel Mitchan
losco! Ogni scusa era buona!
«Argh!
Maledetti depravati!», gridò infuriato.
«Hanamichi, abbassa la voce!»,
esclamarono tutti, fiondandosi contro di lui.
Solo in quel momento Kiyota si
decise di unirsi a quella massa di sgangherati, solo per approfittarne e dare
due colpi al rossino. Chissà, magari ci scappava anche una sberla al volpino di
turno!
Fu quando sentirono un colpo
alla porta che tutti si immobilizzarono sul posto: Mitsui con un cuscino
sospeso in aria, pronto a raggiungere la faccia di Hime; questa in bilico solo
su un braccio e una gamba, intenta a svincolarsi dalle grinfie di Kaede; Ryota
e Nobunaga sopra Hanamichi, con un pugno ciascuno bloccato a metà strada; Ayako
immobile nella sua sedia. Tutti guardavano ansiosamente la porta da dove era
giunto il colpo. Che fosse Akagi a disfare quel casino?
Nel silenzio più totale
sentirono la voce pacata, e parecchio divertita, di Shin’ichi Maki. «Su, Akagi!
Non vorrai rimanere di guardia in quelle condizioni? Eppure hai bevuto solo un
bicchiere di vodka!».
A stento i ragazzi trattennero
le risate. Accidenti a Maki, glielo stava facendo di proposito!
«Uhn…
devo… devo vi… vi… vigilare!».
Subito dopo si sentì un altro
colpo. Probabilmente Akagi stava davvero barcollando ubriaco perso lungo il
corridoio.
Hime dovette coprirsi la bocca
con il primo cuscino che si trovò davanti, pur di non scoppiare a ridere.
Hanamichi, invece, non seppe trattenersi e avrebbe iniziato a ridere
sguaiatamente se non fosse stato per Ryota e Mitsui che si fiondarono su di lui
per tappargli la bocca.
«Kami, voglio vedere Akagi
ubriaco! Dev’essere uno spasso!», disse sotto voce Hime, asciugandosi le
lacrime per le risate.
Ayako si avvicinò alla porta,
poggiandovi un orecchio sopra. «Le voci son lontane… anche se ogni tanto si
sente qualche colpo!».
I ragazzi non riuscirono a
trattenersi più, lasciando libero sfogo alle loro risa. Akagi sbronzo era uno
spettacolo che non avrebbero mai pensato di vedere o sentire!
«Vi prego, andiamo da lui!»,
esclamò Hanamichi.
«Sei scemo? Ce la siamo
scampata questa volta, non voglio avere ritorsioni!», disse Mitsui, tirandogli
un buffetto in testa.
«Hanamichi, tu te le cerchi!»,
disse Hime ridendo.
«È un do’aho, che ci vuoi fare».
«Ah! E io che pensavo si fosse
addormentato!», disse Kiyota, lanciando un’occhiataccia alla super matricola
dello Shohoku.
Hime sorrise, guardando
Rukawa. «Ora ti mostro come si sveglia di colpo!». E detto fatto: gli infilzò
un dito sul fianco, facendolo letteralmente saltare sul letto.
Hanamichi scoppiò a ridere. «Ahaha! La kitsune artica che soffre il sollet–!».
Un cuscino lo raggiunse in pieno viso. «Ma maledetta porca, io ti riempio di
botte!».
Kaede, seduto sul letto,
guardò l’amica con un’aria assonnata e decisamente assassina. Mai toccargli i
fianchi in quel modo. Era imbarazzante dover reagire perché soffriva il
solletico! Lui, l’Antartide personificata!
«Le tue ultime parole?», le
chiese, atono.
Hime ridacchiò, conscia di
quello a cui stava andando incontro. «Uhm… c’è qualche cavaliere che
difenderebbe una dolce pulzella come me dalle grinfie di una volpaccia
cattiva?».
«Stai peggiorando la
situazione, Hime».
La ragazza, lentamente, si
portò vicino al bordo del letto, pronta a scattare prima che il nemico la
catturasse. Kiyota, intanto, guardava i due curioso e un po’ infastidito.
Accidenti, doveva esserci anche quel maledetto volpino con loro?
«Hime, scappa!», le consigliò
Hisashi, sapendo quello che sarebbe successo di lì a poco.
«Si, e dove vado?».
«Buttati dal balcone!».
Ma la ragazza non fece in
tempo a muovere un muscolo che Kaede l’aveva già presa per la vita e sollevata
come un sacco di patate.
«Mollami, maledetto volpino!»,
esclamò la “povera” ragazza, tirandogli pugni alla schiena.
«La mia Hicchaaan!».
«Hanamichi, gioia mia! Salvami
tu!».
Ridendo e scherzando, Rukawa
l’aveva portata in bagno, facendola entrare nella doccia e aprendole l’acqua
gelata addosso.
«Freddaaa!
Ede, ti odio!».
Tutti si catapultarono verso
il bagno, additando la rossa ormai fradicia come un pulcino e ridendo come
matti.
Rukawa la guardò assonnato, ma
intimamente divertito. «Così ti raffreddo quella testa calda che hai», le
disse, scompigliandole i capelli rossi, diventati momentaneamente più scuri per
via dell’acqua.
Hime sorrise malefica,
tirandolo per la maglia e facendogli subire la stessa sorte toccata a lei. Due
secondi più tardi arrivò il cavaliere della giustizia, Hanamichi Sakuragi, che
giustamente per salvare la sua donzella in pericolo prese la prima cosa che gli
capitò a tiro (ossia: la spuma per capelli di Ayako) e la spruzzò sulla testa
del nemico, senza pensare alle possibili conseguenze che avrebbero fatto
concorrenza anche alla seconda guerra mondiale. Quali furono queste
conseguenze? Beh, Hanamichi dovette correre molto, molto lontano quella notte,
inseguito da un’Ayako furibonda perché la sua spuma era stata sprecata in un
modo così osceno e pestato a sangue dal volpino di turno, che evidentemente non
gradì la nuova messa in piega.
Hime, nel frattempo, si
asciugò infreddolita, cambiandosi velocemente la camicia da notte ormai
completamente bagnata. Quando uscì dovette sorbirsi altre risate da parte degli
amici (tranne Rukawa e Ayako, che si stavano bellamente vendicando sul rossino,
aiutati anche da Ryota, perché “doveva
difendere la sua amata e le sue cose”).
«Ridete voi, ingrati! Solo
Hana è venuto a soccorrermi!», piagnucolò la ragazza.
Hisashi le sorrise,
abbracciandola fraterno. «Povera la nostra piccola Hicchan!», esclamò,
schioccandole un bacino sulla guancia.
Hime gli rifilò una gomitata
sul fianco. «Tu zitto, che sei stato il primo a prendermi in giro! A morte il
traditore!», gridò la giovane, tirandogli un cuscino in pieno viso. «Kiyota,
vieni ad aiutarmi!».
Nobunaga non se lo fece
ripetere due volte, ma anzi che aiutare la ragazza… si coalizzò con Mitsui,
iniziando a riempirla di cuscinate.
«Così non vale! Prendersela
con una piccola e buona ragazza indifesa!», cercò di rabbonirli un po’,
riparandosi dai colpi con le braccia.
Mitsui si fermò di colpo.
«Kiyota, tu vedi per caso qualche piccola e buona ragazza indifesa?».
La scimmietta del Kainan fece
spallucce, noncurante. L’occhiata che gli riservò Hime lo fece ridere come non
mai.
«Bene, allora non ci son
problemi», decretò Hisashi, riprendendo la sua lotta.
Ma non aveva fatto i conti con
la furia vendicativa della ragazza, che gli si buttò contro tempestandolo di
pugni in pancia. Hanamichi insegnava!
Una volta messo K.O.
l’ex-teppista (più che altro per il fatto che Mitsui stesse morendo dalle
risate e non avesse più nemmeno la forza per bloccarla), Hime si voltò verso
l’altro acerrimo nemico, Nobunaga Kiyota. «E ora tocca a te, scimmietta!».
Nobunaga le sorrise,
accogliendo la sfida. Quando la vide lanciarsi con un cuscino in mano, la prese
velocemente per la vita e la buttò contro l’altro letto, bloccandole ogni via
di fuga. Le mancò il fiato rendendosi conto della posizione compromettente in
cui erano. Ma non fece in tempo a pensare razionalmente, che le mani di Kiyota
iniziarono a farle il solletico sui fianchi, facendola ridere a crepapelle.
«Cosa volevi fare tu?», le
chiese, divertito nel vederla contorcersi per evitare le sue mani.
Quando si accorse che la
ragazza aveva iniziato a piangere dalle troppe risate si fermò, guardandola
compiaciuto. Era riuscito a farla ridere come mai aveva fatto! Ed era così
bella, così inerme sotto di lui che si ritrovò a sorriderle dolce.
Hime se ne accorse e arrossì
lievemente tra le risate. Avvicinò una mano al viso di lui, accarezzandogli una
guancia. Era così dannatamente sensuale, accidenti! Così tutti i suoi buoni
propositi se ne andavano in fumo!
Dimentichi che non erano da
soli in quella stanza e che stavano per destare l’attenzione di tutti, Nobunaga
chiuse gli occhi nel sentirsi accarezzare. Maledizione, stava nuovamente per
perdere il controllo! Solo quando si sentì trascinare verso il basso aprì di
scatto gli occhi blu, guardandola sorpreso. Ma non si tirò certamente indietro
quando sentì le labbra della ragazza premere contro le sue. La baciò
lentamente, accarezzandola dolce, assaporandone la morbidezza. Finalmente
qualcosa voluto da entrambi. E si sentì avvampare, come mai aveva provato. Il
desiderio di stringerla tra le braccia, di approfondire quel bacio. Ma non le
chiese di più. Non ancora. Si allontanarono, infatti, poco dopo, guardandosi
impacciati e sorridendo nervosamente.
Kiyota aprì la bocca per
parlare, ma la voce sconclusionata di Hanamichi lo fermò. Rendendosi conto che
avevano catturato l’attenzione di tutti (tranne di Rukawa, che nel frattempo si
era appisolato per terra), i due diventarono viola per l’imbarazzo.
«Hi… Hic… chan…
tu… la scimmia… voi… cosa…».
Hime ridacchiò tesa al
fratello, mettendosi a sedere nel momento in cui Nobunaga si spostò da sopra di
lei.
Ayako e Ryota arrossirono al
posto dei due pervertiti (come li avrebbe presto chiamati Sakuragi), mentre
Hisashi se la rideva come un matto. «Gran bello spettacolo!».
«Hisashi, non infierire!»,
esclamò Hime, tirandogli un calcio.
«Hicchan… Hic–».
Due secondi dopo Hanamichi
Sakuragi venne messo gambe all’aria, sdraiato per terra con tanto di caramella
allo zucchero sotto la lingua.
Era svenuto.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Me chiede umilmente
perdono per ben due giorni di ritardo! [e meno male non sono mesi come per
altre mie fanfiction… coffcoff… xD].
Vi lascio subito, sono
di fretta! Un abbraccio e un grazie a tutti i miei lettori appassionati *_* (seeeeh), in particolare come sempre a lilli84 [grazie, gentilissima
come sempre! *o*], MihaChan [carissimaah!
Ma certo, se vuoi posso farti fare una comparsa degna di una star con Hanamichi
al seguito *o* Sempre che si riprenda dalla scena che ha visto prima, povero é.é! Eggià, Nobu quando spreme le
meningi riesce anche a essere intelligente! è_é …lolxDDDBesos!
:*] e kuro [awww! Immagino
che questo capitolo ti sia piaciuto molto, allora! :D Per Hana… mettiti
d’accordo con Miha, senza scannarvi! XD Graccie! :*]
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XV
Kyokuba
Il giorno dopo Akagi dovette
sorbirsi un mal di testa coi fiocchi. Neanche i Sakuragi erano mai riusciti a
fargli scoppiare il cranio così. Eppure non ricordava di aver bevuto molto:
solo mezzo dito di vodka! Che poi… a lui neanche piaceva la vodka. Maledetto
Maki, voleva per caso metterlo K.O. per la prossima partitella? Era per caso
tutto un piano architettato dal Kainan per vincere? Oh Kami, stava pensando
come quel deficiente di Sakuragi! Bere era una brutta, bruttissima cosa
se gli effetti erano quelli.
Ma il Gorilla dello Shohoku
non fu l’unico che passò una notte in bianco: Hanamichi non aveva chiuso occhio
e le poche volte che era accaduto aveva sognato una scimmia che teneva in
braccio la sua Hicchan e se la portava via. Lui correva, correva sempre più
velocemente, ma la scimmietta dispettosa, pur rimanendo sempre in vista,
continuava a sfuggirgli e a beffarlo. Non capiva bene il significato del sogno,
ma aveva uno strano presentimento. Cosa fosse successo la sera precedente
ancora non lo ricordava. Stava così male, un motivo doveva pur esserci, no?
Ryo-chan gli aveva detto che aveva avuto un calo di zuccheri e che era svenuto
di botto. Ma tutta quella storia gli puzzava ugualmente: lui era conosciuto
come quello che sprizzava energie da tutti i pori, figuriamoci se poteva avere
un calo di zuccheri!
Appena uscì dalla camera si
diresse saltellante, ma ancora parecchio perplesso, verso la stanza delle
ragazze. Fu Hime ad aprirgli e, inspiegabilmente per lui, arrossì lievemente.
«Hicchan! Ti senti male?», le
chiese precipitoso e preoccupato, prendendola per le spalle e osservandola
attentamente.
Lei scosse la testa,
sorridendo nervosamente. «No, no, tranquillo, Hana! Uhm… dormito bene?».
Il rossino assunse
un’espressione di puro terrore. «Hicchan! Tu non immagini che razza di sogni ho
fatto stanotte! Venivi rapita da una scimmia e io non riuscivo a salvarti!»,
esclamò, abbracciandola con la paura che qualche scimmia saltante potesse
veramente rapirla da un momento all’altro.
Hime gli batté una mano sulla
spalla, rassicurandolo perplessa. «Hana, su, va tutto bene ora! Era solo… solo
un sogno, sì!».
Hanamichi rise, sollevato,
liberandola dalla sua morsa letale. «Oh, Ayako, ciao!».
La ricciolina lo guardò poco
convinta, ricambiando il saluto. Che non si ricordasse niente?
Nel corridoio trovarono Mitsui
appoggiato al muro, aspettando che Miyagi finisse di sistemarsi i capelli con
il gel. A volte sembrava anche peggio di quel porcospino di Sendoh! Appena il
quattordici dello Shohoku si accorse della rossa, la salutò con un sorriso che
parlava da solo.
Hime alzò le mani al cielo.
«Per favore, non dire nulla ancora!», mormorò per non farsi sentire dal
fratello che, in quanto a orecchie lunghe, ci sapeva fare alla grande.
«Hanamichi non si ricorda niente, grazie ai Kami!».
Mitsui scoppiò a ridere,
sinceramente divertito dalla situazione. Povero Sakuragi! Se la notte prima era
svenuto, quel giorno avrebbero assistito a una vera e propria furia della
natura, ne era certo.
In quel momento uscì Jin dalla
sua camera, seguito a ruota da Kiyota che, incuriosito dalla risata, si voltò
verso l’ex-teppista. Appena si accorse della presenza di Hime, le sorrise
insicuro, facendola arrossire di botto. Hisashi decise di togliere il disturbo
velocemente, andando a raggiungere Hanamichi, in camera di Ayako intenta a
controllare la salute del genio.
Nobunaga si avvicinò allegro
alla ragazza, grattandosi nervosamente la nuca. «Ciao, Saku–».
«Hime… va bene solo Hime».
Il ragazzo annuì, incerto sul
da farsi ma rassicurato dal sorriso di lei. Diamine, la notte prima si erano
baciati, di nuovo! Ed era stata proprio lei a prendere l’iniziativa! Qualcosa
avrebbe voluto pur dire, no?
Prese un bel respiro e si
chinò, depositandole un leggero bacio sulla guancia.
Hime si sciolse alla sua
imbranata dolcezza. Era così tenero che le venne voglia di abbracciarlo! Ma non
fece in tempo a muovere un muscolo che il fratello era già piombato tra di
loro, per allontanarla dal nemico.
«Ehi, brutta scimmia! Che…
cosa…?». Sakuragi si bloccò di colpo, spalancando gli occhi castani. Scimmia?
Che fosse lui la scimmia del sogno? Come un film, Hanamichi rivide la scena
della notte precedente e per poco non svenne nuovamente. «Aaah!
Maledetto depravato! Vuoi ingravidare mia sorella!», gridò, letteralmente fuori
di sé. Immediatamente dopo si ritrovò un bernoccolo più grande di lui nella
capa rossa. Al suo fianco c’era una Hime a dir poco furiosa, con un pugno
stretto e fumante, pronto a colpire nuovamente. Nobunaga, invece, guardava la
scena attonito, lontano qualche passo più indietro per ragioni di sicurezza
personale. Aveva già testato su di sé la furia della rossa e non aveva
nessunissima intenzione di ripetere l’esperienza.
«Hic… Hicchan!», piagnucolò
Hanamichi, accarezzandosi il bernoccolo. Fortuna sua salvò involontariamente la
situazione Akagi, che uscì traballando dalla sua stanza. Lanciando un’occhiataccia
ai tre, sbottò un “buongiorno” più assassino del solito, ancora infastidito dal
mal di testa. A stento i tre trattennero le risa. Se il King Kong avesse
scoperto che tutto quello che gli era successo il giorno prima faceva parte di
un loro piano, li avrebbe uccisi seduta stante. Quella non l’avrebbero passata
liscia, non ci pioveva!
Poi un urlo disumano catturò
l’attenzione di tutti.
«Hanamichi, sei un idiota!»,
gridò Ryota, dall’interno della sua camera.
Il rossino si gelò sul
momento, guardando preoccupato la porta della stanza. Che aveva combinato
quella volta?
Miyagi uscì in corridoio,
fulminandolo con la forza del solo sguardo. Se avesse potuto l’avrebbe
disintegrato sul momento.
«Che… che c’è, Ryo-chan?»,
chiese insicuro Hanamichi, nascosto dietro la scimmietta del Kainan.
«Hai lavato i miei boxer
bianchi con i tuoi rossi!».
Hime si passò una mano sul
viso, sconsolata. Quante volte gliel’aveva ripetuto di non mischiare i capi di
colori diversi?
«E… e allora?». Due secondi
più tardi Hanamichi si ritrovò in faccia un paio di boxer rosa.
«Deficiente!», sbottò Miyagi,
rientrando in camera.
Nobunaga scoppiò a ridere,
seguito a ruota da Mitsui, che aveva seguito l’intera scena con Ayako.
«Hai boxer rossi?!», gli
chiese Mitsui, tra le risa di scherno.
«Guarda che a Capodanno ne
manca di tempo, ancora!», continuò Kiyota.
Hime lo guardò divertita.
«Hana, ma son quelli con la stampa di Paperino?».
«Che cavolo, la finite di
parlare dei miei boxer?!», gridò Hanamichi, avvampando per l’imbarazzo.
Gli altri risero, ancora più
forte.
«Quante volte te l’avrò detto
di non mischiare i capi di colori diversi, Hana?», gli disse Hime, ridendo
nonostante tutto.
«Hicchan! Sono o non sono un
genio? Guarda che opera d’arte! Ahaha!», esclamò
l’invasato, mostrando a tutti i boxer un tempo bianchi del Tappo.
«Casalinga disperata»,
borbottò Rukawa, che usciva in quel momento con il segno del cuscino in viso.
Dire che gli altri scoppiarono nuovamente a ridere è un eufemismo.
Mitsui si passò una mano tra i
capelli, sospirando. Si rivolse alla ragazza con un’espressione mortalmente
seria. «Hime, dovrebbero santificarti. Davvero ti fidi a far fare il
bucato a questo deficiente?».
La rossa agitò le mani,
disperata. «Non dirmelo, Mitchi! Se penso a tutte le magliette che hanno
cambiato colore per colpa di questo disgraziato mi viene da piangere! Mamma
ormai si è arresa, ogni tanto si ritrova qualche camicia macchiata di colori
completamente diversi!».
«Hicchan!», esclamò offeso il
diretto interessato, che le si appese a un braccio alla ricerca di affetto.
Hime gli lanciò
un’occhiataccia seria, per poi scoppiare a ridere, abbracciando il fratello.
«Accidenti a te, Hanamichi! Non riesco neanche ad arrabbiarmi!».
*
Gli allenamenti per lo Shohoku
furono un vero spasso. Dire che il Gorilla fosse esausto e affetto da un
tremendo mal di testa post-sbornia era poco. Le tempie gli pulsavano
incessantemente, senza la minima intenzione di smettere. Per di più quel branco
di deficienti, sebbene si stessero comportando come sempre (quindi con un tasso
relativamente alto di casino), glielo facevano aumentare ancora di più, come se
in testa avesse un pallone che rimbalzasse da una parte all’altra della scatola
cranica. Non gli era servita neanche una tisana fatta dalla vecchina
dell’albergo a farglielo passare, anzi. Quell’intruglio a base di erbe era
stato decisamente troppo nauseante per i suoi gusti. E infatti si ritrovò a
rimettere il panettone di cinque anni prima due minuti più tardi.
Il culmine degli allenamenti
giunse nel momento in cui Akagi li lasciò giocare una partitella blanda, mente
lui si ritirava in camera per riposarsi un po’. Inutile dire che i ragazzi
trasformarono quella partita di basket nell’ultimo incontro di rugby. Per non
parlare di quando Hanamichi si ritrovò a sfidare apertamente un Rukawa che non
ne voleva assolutamente sapere, intento com’era in un uno contro uno con la
sorella del rosso; Miyagi decise bene di andare a corteggiare la sua Ayakuccia,
senza badare a un Mitsui che lo sfotteva a cinque metri di distanza e un Kogure
disperato che doveva tener su le redini della situazione. Era ovvio che questo
non accadde neanche nei suoi sogni più reconditi.
L’unico che sembrava
tranquillo e rilassato era il signor Anzai, che tra un “oh ohoh” e l’altro se la rideva beatamente. «Quante energie
hanno i ragazzi d’oggi!»
Kogure, seduto al suo fianco,
si mise le mani in testa. «Mi chiedo come faccia Akagi a tenerli a freno».
«Oh ohoh!».
«Ehi, Nonno! Che ne dici se
alla prossima partita lasci questo volpino in panchina?», gridò Hanamichi,
dall’altra parte del campo. «Si rifiuta di giocare contro di me! Evidentemente
teme le grandiose gesta di un genio qual sono io! Come biasimarlo del resto? Aha–! Ahio! Ma io ti ammazzo,
maledetta divetta artica!».
E via con la nuova rissa del
secolo. Dopo una bella pallonata che l’aveva raggiunto in pieno naso, Hanamichi
vide bene di restituirgli pan per focaccia lanciandogli contro l’intero cesto
contenente gli altri palloni.
Fortunatamente l’intervento
provvidenziale del ventaglio di Ayako sedò tutti i bollenti spiriti. «Ma allora
siete proprio degli animali!».
Gli “allenamenti”, se così si
potevano definire, finirono con un’ora di anticipo, per la gioia dei giocatori.
Non che quella mattina si fossero ammazzati di lavoro, s’intenda.
Ma quello assolutamente più contento
di tutti fu Hanamichi Sakuragi, che venne chiamato dalla vecchina dell’albergo
per avvisarlo di una telefonata. Aspettandosi la voce dolce e gentile della sua
Harukina-cara, per poco non gli venne un colpo quando sentì quelle allegre di
quei quattro casinari dell’Armata.
»Ehi, Hanamichi! Come va da
quelle parti?«, chiese Mito.
»Si mangia bene?«.
»Takamiya, ma non pensi ad
altro?«.
»C’è qualche bella ragazza?«.
Hanamichi sentì
indistintamente qualcuno che lo spingeva via dal ricevitore. »E a te che te ne
importa, biondino? Tanto non ti si fila nessuno!«.
Il rosso, con un visino
imbronciato per la non-sorpresa, prese un bel respiro e… «Perché cazzo avete
chiamato, brutti deficienti? Volete per caso interrompere gli allenamenti del Tensai?!».
»Mito-kun,
sei al telefono con Sakuragi-kun?«.
Inutile dire che nel sentire
la voce così leggiadra e soave della piattola, Hanamichi si sciolse come neve
al sole. «Passatemi Haruko, maledetti! E non guardatela neanche!».
»Anche a noi ha fatto piacere
sentirti, Hanamichi!«, fece Yoehi, ridendo divertito. Sapeva benissimo che
l’amico si sarebbe aspettato una telefonata dalla sorellina del Gorilla, di cui
era innamorato perso. E aveva anche visto bene a tenerla nei paraggi, per
fargli una bella sorpresa e passargliela un attimo. Certo è che se il rosso
avesse dimostrato un po’ più di allegria per aver sentito i suoi migliori amici
dopo giorni, beh, sarebbe stato gentile da parte sua!
»Sakuragi-kun?«.
«Ha-Harukina!», esclamò il
rosso, con un sorriso da ebete stampato in faccia, le guance imporporate per
l’entusiasmo e l’imbarazzo, e una mano che giocava con il filo del telefono,
come impazzita.
»Sakuragi-kun!
Come va il ritiro? Takenori mi ha detto che vi state dando da fare!«.
Hanamichi rise sommessamente,
pensando al brutto scherzo che avevano tirato all’orrido Gorillone. «Oh, sìsì! Tutto a meraviglia! Il Gorilla è bestiale come
sempre! E poi io sono un Re anche nei ritiri! Ahaha!».
»Ne sono sicura, Sakuragi-kun! Non vedo l’ora di vederti all’opera ai Nazionali!«.
Inutile dire che a quelle
parole il numero dieci dello Shohoku partì per la tangente. Ci mancò poco che
iniziasse a camminare a tre metri da terra.
»E gli altri? E… Rukawa-kun?«.
Crack!
Ma perché diavolo quel
maledetto volpino doveva essere sempre al centro del mondo? Per una volta, una
sola, poteva parlare con Haruko senza che Rukawa le sfiorasse minimamente il
cervello? «L’ho sconfitto in un uno contro uno!».
»Davvero??«.
No, no che non era vero. A dir
la verità neanche l’aveva calcolato quando gli aveva chiesto la sfida. E la
partitella contro lui e la sorella l’avevano persa per un punto. Da ricordare,
anche, il suo bellissimo auto-canestro, degno dei migliori
(peggiori) cestisti.
«Ma certo! Cosa credi, che non
sia alla sua altezza? Ahaha! Io sono un genio! E lui
è solo un pivello che da me deve imparare tutto! Ahaha!».
La risata gli morì in gola
quando si sentì battere un dito sulla spalla. Il fratellone della sua
Harukina-cara lo stava guardando con un’espressione che era tutto un programma,
e Hanamichi fu lesto a salutare la sua amata e a fuggire, prima che l’ira del
King Kong si abbattesse su di lui. Accidenti a quello scimmione! Possibile che
non volesse che frequentasse Haruko? Era bellissimo, fortissimo, altissimo e levissimo… che cosa aveva di male, lui? O forse era solo
geloso, come tutti i fratelli nei confronti delle loro piccole e indifese
sorelline?
Nobunaga Kiyota gli passò
davanti proprio in quel momento, sudato come non mai, intento a passarsi un
asciugamano sulla fronte e sui capelli.
Geloso… niente di meno di come
era lui nei confronti della sua Hicchan.
Assottigliò gli occhi nel
guardare la scimmietta del Kainan che, non appena si accorse di essere
osservato, ricambiò l’occhiataccia. «Che hai da guardare, scimmia?».
Ma, incredibilmente, Hanamichi
non rispose alla provocazione, andando a cercare la sorella. Doveva parlarle,
assolutamente! Perché non aveva ancora ben capito esattamente cosa stesse
succedendo tra quei due. Un po’ troppo… affiatati, per i suoi
gusti! Aveva già ingoiato il fatto che Hime considerasse Rukawa uno dei suoi
migliori amici (e già quello era un sacrificio enorme per il rossino, dato che
delle volte doveva anche sorbirselo a cena, a infestargli bene bene la casa di
pulci); ma che Hime si stesse innamorando di quella scimmia… no, non poteva
accettarlo. O presto casa sua sarebbe diventata uno zoo, tra scimmie,
porcospini che ogni tanto comparivano dal nulla e volpini vari!
Piccolo siparietto per l’autrice:
Rieccomi puntuale di
mercoledì [grazie al fatto che sono una settimana libera da lezioni *o*], con
questa follia di storia! Povero Hanamichi, non gliene va bene una giusta é.é! Ma mi diverto troppo con lui! XD
Piccola noticina: il
titolo kyokubain giapponese significacirco.
Passiamo ora all’angolo recensioni! *o*
MihaChan: Grazie mille tesora! Il tuo pasticcino (lol)
in questo capitolo avrà perso venti anni di vita, povero Hana! *me sadica* Ciau bella! x*
lilli84: *____________* Awwwwwww! <3
Dai, dai, ridere fa bene alla salute! Non fare come il volpino che non ride per
non avere rughe da grande! XD Baci! :*
kuro: I-io non volevo
sconvolgerti! .__.” Quei due sono dei pervertiti! >_< *me gelosa di Hime*
E-ehm… interessante l’ipotesi yaoi, dici? Non ci
avevo pensato, a dirla tutta! Uhm… *sola e pensosa* XD Bacini! :*
Black_Moody: una new-entry! *_____*/ Oddio, sono
veramente senza parole! E’ un onore per me sapere che ti ho fatto tornare la SlamDunk-dipendenza!
[che non è mai da evitare! XD]
Grazie, davvero grazie per le tue parole! Se posso confidarti una cosa, ti
capisco per quanto riguarda l’algida volpe! *_* Se non stessi scrivendo la
storia, sarei indecisa tra fare il tifo per Ru o Nobu! XD Besos!
:*
Ragazze, veramente grazie di cuore! Leggervi è qualcosa di
indescrivibilmente bello e gratificante, davvero. Vi adoro! <3
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo XVI
Do you like monkeys?
Hime
uscì dalla doccia prima del tempo, parecchio contrariata. Chi diavolo era che
stava per sfondare la porta, con tutti quei colpi?
«Hicchaaan! Apri al tuo adorato fratellino!».
La
ragazza sospirò, sorridendo. Altro che fratellino… era un bisonte!
«Hana!
Com’è andata la telef–?», ma si bloccò, nel guardare
il ragazzo che si osservava attentamente intorno, prima di entrare e chiudere
la porta. Lo guardò divertita, ma anche parecchio perplessa. «Ma che stavi
facendo?».
Hanamichi
le lanciò un’occhiata eloquente. «Controllavo che non ci fosse qualche scimmia
saltellante ad ascoltarci!».
Sempre
più perplessa, Hime gli chiese: «Perché… dovrebbero essercene in giro?».
Lui
si fece serio. «Hime, le scimmie sono animali infidi! Devi stare attenta!»,
esclamò annuendo con vigore per rafforzare il concetto. Vedendo che la ragazza
rimaneva in piedi a fissarlo stralunata, le prese le mani, facendola sedere sul
letto, accanto a lui. «Hicchan, ti piacciono le scimmie?».
Oh
Kami, ma che razza di domanda era quella?
«Hanamichi,
sei sicuro di star bene?», gli chiese, poggiando una mano sulla fronte ampia
del rosso.
«Hicchan,
rispondimi! È importante!».
Hime
soppesò la domanda del fratello. Sembrava veramente serio! Ma che domande le
faceva? Scosse la testa, contrariata. A volte non riusciva a capirlo nemmeno
lei cosa passasse in quella testolina indemoniata! «Dunque… le scimmie? Sì, son
simpatiche… alcune hanno anche il culetto rosso!».
Hanamichi
sbiancò di colpo. E lei come faceva a sapere che Kiyota avesse il culetto
rosso? «Hicchaaan! Che diavolo hai fatto con quella
Nobu-Scimmia?!», gridò, sull’orlo delle lacrime.
Lei,
d’altro canto, divenne scarlatta nel giro di un secondo. Oh cielo, quando
parlava di scimmie si stava riferendo a Kiyota?!
«No,
Hanamichi! Hai capito male!».
«Nooo! Io ho capito benissimo! Quel pervertito ti vuole
ingravidare! Ma ci pensi se i tuoi figli avranno una coda e il sedere
arrossato?!».
Hime
sbarrò gli occhi, sempre più imbarazzata. Ma che stava dicendo? Figli? Con
Kiyota?!
Si
nascose le guance ormai viola con le mani, trovandosi a pensare una cosa
simile. Hanamichi era ammattito di colpo!
Peccato
che il fratello considerò quella reazione come una conferma, dando ancora di
più in escandescenza. Si mise in ginocchio, sull’orlo della disperazione.
«Hicchan, dimmi che non è vero!».
Hime
cercò di calmarsi un attimo, altrimenti il rossino avrebbe continuato a capire
pan per focaccia. «Hanamichi, io non ho fatto nulla con Kiyota! Ma che vai a
pensare?».
Lui
la studiò un po’, per vedere se stesse mentendo o meno. Ma cavolo, era la sua
Hicchan! Non gli avrebbe mai mentito su una cosa simile! …O sì?
«Ma
ieri notte… vi ho visti! Vi stavate… oh no, la mia Hicchan! Diventerò zio!»,
proseguì imperterrito, correndo da una parte all’altra della stanza.
«Hana-chan, ma quale zio! Ti posso spiegare!».
Il
ragazzo si fermò un attimo, guardandola attentamente. Era rossa come un
pomodoro, peggio quasi dei suoi capelli. Mai l’aveva vista così in imbarazzo!
Decise di darsi una calmata (almeno fino a quando non avesse scoperto
qualcos’altro di tanto sconvolgente sui due per riprendere la sua scenata di
gelosia) e si sedette sul letto davanti a lei, incrociando le gambe lunghe e
muscolose.
Hime
abbassò lo sguardo, iniziando a giocare con l’orlo della sua maglia. «Ecco,
Hanamichi», esordì, inumidendosi con la lingua le labbra troppo secche,
«Nobunaga è un bravo ragazzo».
«Si
chiama Nobu-Scimmia!».
«E’
simpatico».
«No,
è demente, che è diverso!».
«…
E ho scoperto che mi piace parecchio».
Hanamichi
aprì la bocca per parlare, ma per qualche secondo non riuscì a dire neanche
“h”. «Ti cosa?!».
«Oh
andiamo, Hanamichi! È così grave?», esclamò Hime, prendendo fuoco. «Insomma, lo
so anche io che fino all’altro giorno non facevamo altro che litigare in
continuazione! Ma… è cambiato qualcosa, non so neanche io cosa».
Hanamichi
abbassò la schiena, depresso e demoralizzato. «Ma è una scimmia selvaggia!».
La
ragazza gli lanciò un’occhiataccia. «Se per quello Haruko è una babbuina», borbottò.
«Hicchan!
Haruko è un fiorellino indifeso!».
«Senti,
io non so come andrà avanti questa storia, non ne ho la più pallida idea! Ma ti
prego, non voglio avere il tuo disappunto, Hanamichi».
Rimasero
un po’ in silenzio, guardandosi. Poi un sorriso raggiante si fece largo sul
viso dapprima imbronciato/disperato di Hanamichi. «Hicchan, se sei contenta tu
allora lo sono anche io!».
Hime
gli si buttò addosso, abbracciandolo forte forte. «Ti voglio bene, Hana-chan!».
«Anche
io, tanto! Però», fece il rosso, allontanandola un po’ per guardarla meglio,
«se quella scimmia si azzarda a farti qualcosa di male lo spedirò in una
riserva insieme ai suoi simili, anche se tu non vorrai! Magari in compagnia del
Gorillone!».
*
Gli
allenamenti pomeridiani, a differenza di quelli della mattina, si svolsero
nella norma. Akagi si era ripreso dal mal di testa ed era quasi tornato in
forma come sempre. O almeno, così pensò Hanamichi quando ricevette il primo,
poderoso pugno della giornata.
In
vista della prossima partita contro il Kainan, il Capitano decise di far
disputare una partitella tra matricole e veterani, in cui diede la possibilità
anche a Hime di partecipare (ma solo perché aveva iniziato ad insistere da
quando l’aveva visto e lui non aveva nessunissima intenzione di doversi sorbire
un’altra emicrania). Del resto lei, quando si era iscritta al club aveva
presentato una domanda come giocatrice e non come manager. Ma era e rimaneva
pur sempre una ragazza in una squadra di animali di sesso opposto.
Il
quintetto base dei veterani venne formato da Akagi, Mitsui, Miyagi, Kogure e Shizoaki, mentre tra le matricole vennero scelti i due
gemelli, Rukawa, Sasaoka e Kuwata.
Hanamichi
si avvicinò molleggiante agli ultimi due e cinse le spalle di entrambi con le
lunghe braccia. «Mi raccomando, ragazzi!», iniziò, mortalmente serio.
«Qualunque cosa accada non azzardatevi a passare la palla a quel volpino o
dovrete vedervela con me!».
«Do’aho».
«Hanamichi no baka!», esclamò Hime,
tirandogli una manata sulla nuca. «Spirito di squadra, ricordatelo! E anche tu,
Ede!».
Rukawa
sospirò, lanciando un sommesso «Umpf» e andando a
bere un po’ d’acqua prima dell’inizio della partita.
«Non
ce la faremo mai con Akagi, Mitsui e Miyagi come avversari!», mormorò
intimorito Sasaoka.
Hanamichi
per poco non gli tirò una testata. «Ehi! Guarda che hai in squadra l’unico e
indiscusso Tensai del Basket, nonché Re dei Rimbalzi!
Terrò a bada sia il gorilla che tutti gli altri! Che problemi hai?».
«Sakuragi…
c’è il Capitano dietro di te!».
Due
secondi dopo Hanamichi si ritrovò un bernoccolo che spuntava tra i corti
capelli rossi. «Vedi di impegnarti anziché fare il buffone!».
La
sorella gli si avvicinò, sorridente, accarezzandogli la testa. «Eddai,
Hanamichi! Se proprio devi andargli contro non gridarlo al mondo! La parola
“gorilla” la si può anche sussurrare».
«Hime!»,
tuonò il centro dello Shohoku con un’espressione spaventosa in viso, facendola
ridere nervosamente.
«Gori,
poi non lamentarti se ti scambiano per uno scimmione! Dovresti vederti!».
Il
teatrino finì con la ragazza inseguita dal Capitano, che aveva il chiaro
intento di ammazzarla una volta per tutte, seguiti a loro volta dal rossino, in
difesa della sua amata sorellina.
«Ma
perché ce li abbiamo in squadra?», si chiese Ryota nel guardarli, grattandosi
il mento contrariato.
«Beh,
che Akagi assomigli a un gorilla non ci sono dubbi», proseguì Mitsui, con aria
di uno che la sapeva lunga. «Fatto sta che quando si mettono d’impegno quei due
sono dei tritura palle per eccellenza».
Ayako
gonfiò le guance, passandosi una mano in viso. «Se penso a cosa ci aspetta alla
prossima partita, con quell’altro esagitato, mi sento male».
Quando
tutti i bollori vennero spenti a suon di pugni e sventagliate varie, finalmente
la partitella di allenamento poté iniziare. La palla fu subito in mano a
Miyagi, che palleggiò con calma, studiando la situazione in campo. Si trovò
davanti Hime, anch’essa nel ruolo di playmaker. Con una finta cercò di
scartala, ma lei fu più veloce e gli troncò ogni via d’uscita. In soccorso del
play arrivò Kogure, che afferrò il pallone passato con sicurezza.
«Avanti,
ragazzi! Il primo canestro sarà nostro!», esclamò, spronando i suoi compagni.
«Aha! Megane-kun! Non hai capito
ancora nulla!», disse Hanamichi, intento a marcare il Capitano. «Con me in
squadra la vittoria è già nostra!».
Kogure,
nonostante fosse soddisfatto del carattere ottimista del ragazzo, non poté fare
a meno di pensare che Sakuragi fosse una piaga. E se anche il mite Quattrocchi
pensava una cosa del genere, voleva dire che il rosso aveva oltrepassato ogni
limite da parecchio tempo.
Kiminobu
scosse la testa, scartando velocemente il suo marcatore Kuwata, ma una mano gli
fregò il pallone in men che non si dica. Una testa rossa sfrecciò via, verso
l’altro canestro: Hanamichi Sakuragi.
«Ahaha! Lo dicevo io che sono un genio!».
Kogure
rimase imbambolato per un attimo, guardando la schiena del numero dieci. Come
diavolo aveva fatto se due secondi prima era intento a scontrarsi con Akagi?
«Ehi,
Kogure, svegliati!», lo rimbeccò lo stesso Capitano, correndo in difesa.
Hanamichi
palleggiò per tutto il tratto che lo separava dal canestro e dopo la linea dei
tre si preparò al salto. «E ora inchinatevi alla magnificenza del mio dunk!».
Tutta
la palestra rimase a bocca aperta nel vedere il rosso saltare, seguito da Akagi
che gli bloccò ogni azione sul nascere, con il tipico “schiaccia-mosche”.
«Aaargh! Maledettissimo gorilla!».
«Deficiente!».
Hime
si mise a ridere, ma non si distrasse molto. Rukawa aveva, infatti, recuperato
il pallone, intercettando il passaggio per Mitsui. Ora si ritrovava marcato
dallo stesso tiratore da tre e da Kogure.
“Dove
sei?”, si chiese, cercando la ragazza. Strinse gli occhi, tentando di non
perdere il possesso del pallone. Doveva ammetterlo, Kogure non era un giocatore
abilissimo, ma Mitsui era decisamente un asso. E lui doveva batterlo, a ogni
costo.
Fece
un passo indietro, allungando il braccio libero per farsi spazio.
«Ehi,
volpino! Non fare tutto da solo!», s’inalberò Hanamichi. Da che pulpito, poi.
Non era stato lui a dire ai suoi compagni di non passare assolutamente il
pallone a Rukawa?
Il
numero undici fece palleggiare il pallone alla sua destra, diretto verso una
Hime pronta a ricevere. Così, mentre Kogure si lanciava contro la ragazza per
evitare che tirasse da tre, Rukawa si smarcò con abilità da Mitsui. Subito dopo
sentì nuovamente tra le mani la ruvida sfera arancione. Infischiandosene
altamente se si trovava davanti il muro di Akagi, la matricola si preparò per
un terzo tempo e non ci mise molto a realizzare il primo canestro della
partita.
«Aaah! Teme kitsune!
Hicchan! Non potevi passarla a me quella palla?», s’inalberò Hanamichi,
inveendo come un pazzo appena uscito dal manicomio.
Senza
ascoltarlo, i due si diedero il cinque.
«Bel
passaggio, eh?», disse Hime, vantandosi.
Lui
annuì. «L’ho detto io che servi più tu che quel montato di tuo fratello».
«Rukawa!
Ma io ti ammazzo!», gridò il diretto interessato, lanciandosi contro il suo
acerrimo nemico.
Il
tutto, ovviamente, fu sedato dalle sapienti mani del King Kong che, per almeno
qualche secondo, riportò l’ordine tra i suoi giocatori. Accidenti a quei
deficienti, gli stava tornando il mal di testa!
Il
contropiede dei veterani fu veloce e inaspettato e finì con un perfetto tiro da
tre punti di Mitsui.
Dopo
dieci minuti di partita il risultato era di 28-24 per gli anziani. Non male, se
si pensava che tra le matricole stavano praticamente giocando in tre: i due
gemelli e il volpino di turno, infatti, stavano facendo scintille (in tutti i
sensi, se si guarda anche il lato casino in campo).
Akagi
era segretamente soddisfatto del lavoro dei tre: anche se Hanamichi e Rukawa
collaboravano solo in casi estremi (vale a dire: ogni settant’anni), la
mediazione di Hime nel gioco era fondamentale tra i due. Avrebbe potuto farla
giocare in allenamento come tramite, ogni tanto, pensò il Capitano, cercando un
taglia fuori ai danni di Sakuragi per recuperare un rimbalzo difensivo.
«Hanamichi!»,
esclamò Hime, quando il fratello riuscì a recuperare il pallone nel suo
ennesimo rimbalzo. La ragazza ricevette la palla con sicurezza, non curandosi
di trovarsi Mitsui davanti. La difesa a zona che i vecchietti avevano messo in
atto era efficace, ma era sicura che l’avrebbero sfondata prima o poi. Hime
fintò un paio di volte sull’amico che, per quanto fosse un abile giocatore,
ancora non aveva ben capito lo stile della ragazza. Era imprevedibile, proprio
come il fratello. E infatti eccola che lo scartava con una facilità
imbarazzante, con l’intento di tirare.
«Attenti,
adesso tira sul serio!», gridò Akagi, saltando per intercettare ogni azione.
Hime
strinse gli occhi, saltando all’indietro e tirando a canestro.
«Un
tiro in sospensione!», soffiò Mitsui, incredulo.
Il
pallone disegnò una parabola alta che passò sopra la testa del gorilla ed entrò
liscio nel canestro, senza neanche sfiorare il ferro.
«Hicchan!
Sei un genio come me!», esclamò Hanamichi, saltando addosso alla sorella.
Ayako,
che stava arbitrando la partita, sorrise. Se ci fosse stato un club femminile
di basket era più che sicura che Hime avrebbe fatto faville. Essere relegata a
manager in una squadra maschile era una condanna, per una giocatrice in gamba
come lei.
Nessuno
si era accorto che metà Kainan stava osservando la partitella da qualche
minuto, con crescente incredulità.
«Ha
del talento, la ragazza», commentò Takasago, incrociando le braccia.
«È…
incredibile!», esclamò Kiyota a bocca aperta.
«Oh
ohoh!», fu la risposta del
signor Anzai, al loro fianco. «È una brava giocatrice, sì».
Maki
osservò una bella azione tra Miyagi e Akagi, che andò a canestro con un dunk.
«Se fosse una delle prime riserve lo Shohoku avrebbe una marcia in più».
L’allenatore
Takato annuì, sventolandosi il viso. «Mi dica, Anzai. Avete per caso intenzione
di farla giocare in campionato?».
I
suoi giocatori lo guardarono con curiosità e perplessità. Una ragazza non
poteva giocare in un torneo maschile… o sì?
Kiyota
sperò ardentemente che una cosa del genere non accadesse mai. Non perché
temesse la bravura della ragazza (“del
resto il Kainan King rimaneva la squadra migliore di tutte, dato che quell’anno
c’era la miglior matricola che avesse mai calpestato la terra! Ahaha!”), ma più che altro perché non gli piaceva
l’idea che, con la scusa del devo marcarla stretta, gli altri
giocatori potessero approfittarne. Era geloso? Sì, e anche tanto.
Anzai
si sistemò gli occhiali sul naso. «La signorina Sakuragi è solo una manager.
Con un grande talento, quello è indiscutibile. Ma rimane pur sempre una manager».
La
scimmietta del Kainan tirò un sospiro di sollievo, riprendendo a guardare la
ragazza. Era decisamente brava. Oltre che da sangue dal naso, con quei
pantaloncini corti e gialli e una canotta larga e rossa, sotto quella dell’allenamento.
Scosse la testa, ridendo. In quanto ad abbigliamento era veramente una frana.
«Come
mai niente allenamenti, per il Kainan?», chiese Anzai, non togliendo gli occhi
dal campo.
Takato
sorrise. «Ho dato loro dieci minuti di riposo. Abbiamo sentito un po’ di grida
e qualcuno si è avvicinato per curiosità», disse, guardando il dieci della sua
squadra, che scoppiò a ridere, grattandosi la nuca colto sul fallo.
La
partitella si concluse dieci minuti dopo a favore dei veterani, che chiusero
con un ultimo, bellissimo canestro di Mitsui. Risultato finale: 59-53.
Hanamichi
strinse i pugni, guardando Rukawa di sbieco. «Maledetta prima donna! È colpa
tua se abbiamo perso!».
«Umpf».
Hime
saltò sulle spalle al fratello. «Dai, Hanamichi! Siamo stati grandi lo stesso!
Certo, se non aveste avuto me in squadra allora potevate anche scordarvi la
soglia dei quaranta punti…». I compagni alzarono gli occhi al cielo, mentre lei
scoppiava a ridere. «Eddai, stavo scherzando!».
«Hime,
a volte sei spaventosamente uguale ad Hanamichi», fece Ryota, asciugandosi il
viso con un asciugamano. Si bloccò immediatamente, quando vide i giocatori del
Kainan che chiacchieravano con l’allenatore Anzai.
Hanamichi,
ovviamente, diede subito in escandescenza. «Aha!
Questa volta ti sei portato dietro tutta la squadra, eh Nobu-Scimmia? Cos’è,
due occhi non ti bastano per spiare bene le gesta del Tensai?».
«Ma
brutto sfigato!», esclamò Nobunaga, inalberandosi. «Se non fosse stato per Hime
e per Rukawa, a quest’ora staresti strisciando dalla vergogna!».
«Checcosa?!».
«Mi
hai sentito, idiota!».
Immancabili
arrivarono i calma teste calde della situazione.
Hime
si avvicinò agli avversari, sistemandosi la pinza tra i capelli rossi. «Oggi vi
grattate allegramente la pancia?».
Jin
la guardò serenamente con un sorriso. «Non abbiamo bisogno di allenamenti,
Sakuragi».
«Ben
detto, Jin-san!», fece Kiyota, entusiasta.
Hime
scosse la testa, mentre Maki le tendeva una mano. «Complimenti per la partita,
Sakuragi. Fortuna delle altre squadre che non ti fanno giocare».
«Grazie!».
La ragazza ricambiò la stretta, lusingata. Un complimento di Maki non era certo
qualcosa che riceveva ogni giorno. «Ah, non c’è problema. Anche senza di me lo
Shohoku non ha problemi a battere alcuna squadra, neanche le più valide».
Takato
chiuse il suo ventaglio con un gesto. «Bene, ragazzi. Che ne dite se torniamo
in palestra?».
«Sissignore!».
Kiyota
aspettò qualche secondo prima di seguire i suoi compagni. Guardò la ragazza con
ancora un misto di incredulità e ammirazione. «Sei veramente brava, Hime. Non
vedo l’ora di giocare con te, venerdì! Perché giocherai anche tu, vero?».
Lei
annuì, sorridendo. «Scartavetrerò per bene il cervello al gorilla! Non vedo
l’ora anche io, Nobu-chan».
Il
sorriso del ragazzo si allargò ancora di più. Che bello che era sentirsi
chiamare così!
«Kiyota,
muoviti!», fece la voce del suo Capitano. «O ti faccio fare cinquanta giri di
campo!».
Hime
scoppiò a ridere, mentre lui si grattava la testa, offeso e deluso. «Beh, io
vado! Ci vediamo dopo, ok?».
Lei
annuì e lo vide sparire due secondi dopo, sentendolo gridare: «Ahaha! Ma io posso farne anche cento, Capitano! Io sono il migl–!»
«Bene,
allora comincia a correre!».
Hime
scosse la testa, sorridendo. Quando, però, si vide metà Shohoku che la guardava
curioso e malizioso il sorriso le morì in viso. «Ehm… io vado a farmi una
doccia», decretò, sparendo verso gli spogliatoi tra le risate generali e il
pianto isterico di un rossino a caso.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Ma salve a tutti! Non
so voi, ma io sto crepando dal sonno, quindi non vi ammorberò di parole senza
senso e passo direttamente ai ringraziamenti! xD
MihaChan: Hanamichi sarà anche
una frana in casa, ma io come peluche da strapazzare tutto il giorno lo vorrei,
eccome! *_* xD Un bacio, carissima! :*
Black_Moody: oddio, le tue
recensioni mi fanno rotolare dal ridere! XD Eggià, se
non ci fosse mai stato quel kyokuba casinista, non
sarebbe stata più la stessa cosa! Il Gori avrà un bel da fare in questi giorni
del ritiro, purtroppo per lui non è passata neanche una settimana! Non so se
gli convenga continuare a ostacolarli, temo ripercussioni! Quindi farebbe bene
a seguire uno dei tuoi consigli [o tutti e due insieme, sarebbe spassoso!], se
vuole uscirne vivo e senza traumi! Comunque, se vuoi raccontarmi la storia del
tuo amore per il volpino fai pure, a me fa solo piacere! *_* [anche perché son
sicura che ti darei ragione ad ogni riga! xD]. Grazie
mille! Baci :*
kuro: lol
c-certo che ho aggiornato! Non pensavo di dare assuefazione, così! xD Spero solo che non mi denuncino! E… oddio, sto ancora
ridendo per il tuo sclero! xDDD Ti ho mandato
un’e-mail dall’EFP per il contatto msn, non ti è
arrivata? ;___;
Ci si legge la
settimana prossima! [Forse, devo ancora studiarmi bene l’orario del nuovo
bimestre!]
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XVIII
Nothing Else Matters
Hanamichi
era seduto su una panca della palestra usata solitamente dal Kainan, a braccia
conserte e un visino imbronciato come sempre. Delle voci provenivano dagli
spogliatoi e sperò vivamente che quella scimmia saltante di Kiyota si muovesse
a uscire. Voleva dirgliene due sul conto della sua Hicchan, che gli andasse o
no. Ovviamente, questo lei non lo sapeva. Altrimenti non si sarebbe trovato lì
ma legato e imbavagliato a una sedia e chiuso a chiave nello sgabuzzino.
Quando
Kiyota lo vide alzò perplesso un sopracciglio. «Ehi, guarda che gli allenamenti
son finiti un quarto d’ora fa».
Il
rosso saltò sulla panca. «E a me che frega? Mica son venuto qui per spiarvi!
Non ne ho bisogno!».
«E
allora che cavolo ci fai qui, scimmia?».
Hanamichi
si mise una mano sul fianco e l’altra la usò per additare il moro. «Perché devo
parlarti!».
Nobunaga
lo guardò, sempre più perplesso. «Sentiamo».
«Si
tratta di Hicchan», disse, osservando con attenzione l’altro. «Vieni, andiamo a
farci un giro».
Kiyota
arrossì lievemente. Di che diavolo voleva parlargli quella scimmia rossa di un
Sakuragi? Sapeva che fosse geloso della sua adorata sorellina, ma non pensava
sarebbe arrivato a tanto!
Uscirono
all’aria aperta, camminando attorno alle palestre del complesso sportivo.
«Allora?
Che vuoi?».
Hanamichi,
mani nelle tasche dei suoi jeans preferiti, si bloccò, poggiandosi su un
muretto lì vicino. «Che intenzioni hai con Hicchan?».
«Che…
che intenzioni ho?», ripeté Kiyota, innervosendosi. Già, che intenzioni aveva
con Hime? Era successo tutto troppo in fretta… tutto d’improvviso. Eppure era
sicuro di essere interessato, o meglio incuriosito della
ragazza da molto prima. L’aveva conosciuta come un terremoto, orgogliosa, fiera
e decisamente rompiscatole. Proprio come lui. Poi quel ritiro e tutto era
cambiato. Ora la vedeva indifesa, la vedeva timida e impacciata. E gli
sorrideva. Sorrisi bellissimi, solo per lui. Il fatto che se la sognasse la
notte significava qualcosa? Il fatto che non facesse altro se non mangiarsela
con gli occhi era preoccupante o tutto nella norma? «Io… non lo so».
«Come
“non lo so”?!», esclamò il rosso,
mostrandogli un pugno. «Azzardati a fare qualche cazzata e ti lego in un
binario con un treno in arrivo, hai capito?!».
Kiyota
sospirò, abbassando lo sguardo. «Mi piace. E anche tanto», mormorò, calciando
una pietra davanti a se. «Solo che… non so dove andremo a finire così. Insomma,
non abbiamo mai parlato in quel senso… è la prima volta che mi
sento così felice e confuso nello stesso tempo!».
Hanamichi
abbassò il pugno, rilassandosi. «Sai, Nobu-Scimmia? Un po’ ti capisco», disse,
tristemente. «Anche io sto passando un momento strano… mi piace una ragazza. La
sorella del Gorilla, per intenderci. Ma lei è completamente persa per quel
volpino di Rukawa. Lui non la calcola di striscio e a me fa immensamente
piacere, ma… non so, anche questa mattina mi ha telefonato e ha chiesto di lui.
Credo che a lungo andare mi accontenterò solo della sua amicizia, anche se non
potrò fare a meno di vederla come la ragazza di cui mi sono innamorato. Poi
chissà, magari un giorno capirà la mia genialità e si innamorerà perdutamente
di me! Ahaha!».
L’altro
lo guardò sorpreso. Non pensava che Hanamichi Sakuragi fosse uno che si lasciasse
andare a confidenze. E tanto meno mai avrebbe pensato che uno come lui potesse
arrendersi contro uno come Rukawa. Accidenti a quel volpino, era sempre in
mezzo a fare la prima donna! «Ma scusa, hai intenzione di tirarti
indietro?», gli chiese, stupito.
Il
rosso sospirò. «Ho paura che mi respinga. Hicchan dice che dovrei mettere da
parte il mio timore e provarci», fece spallucce, abbassando lo sguardo. «E dice
anche che Haruko-san è un pochino addormentata, se non vede a tre palmi di naso».
«Beh,
se sta dietro a un reperto ghiacciato come Rukawa, allora non ha tutti i torti».
L’occhiata
che gli riservò Hanamichi lo fece zittire immediatamente. Ma il rossino sapeva
benissimo che i due avevano ragione, dopotutto. Haruko lo considerava
unicamente un amico, forse uno dei migliori. Un amico, nient’altro.
Nobunaga
guardò l’altro mentre gli si avvicinava e sentì una mano grande sulla sua
spalla. «Ti dico solo una cosa, Kiyota: non farla soffrire o te la vedrai con
me. Non sto scherzando, ora».
La
scimmietta sorrise, spavalda. «Tranquillo, Sakuragi! Non lo sai che sono il
miglior fidanzato del mondo? Ahaha!».
«Fida-che?!»,
esclamò l’altro con gli occhi fuori dalle orbite. «Oi! Che non ti salti in
mente di toccarla, pervertito! Al massimo dopo che vi sposate, ma è anche
troppo presto!».
«Troppo
presto per cosa?», chiese una voce femminile alle loro spalle. Entrambi
gelarono, temendo che avesse sentito tutta la conversazione.
«Hic…
Hicchan!», fece Hanamichi, con un sorriso incerto. «È troppo presto per… per
cantare vittoria! Sì, proprio così! Queste schiappe del Kainan credono di aver
il Campionato Nazionale in mano! Ahaha! Poveri illusi!».
«Checcosa?! Semmai voi dovreste allenarvi dieci volte quanto
noi solo per passare il primo turno!», ribatté l’altro.
Hime
si grattò la fronte. «Sì, sì, siete dei bravissimi entrambi».
La
guardarono perplessi per poi scoppiare a ridere nervosamente.
«Beh!»,
esclamò il rosso, avvicinandosi balzante alla sorella. «Vado a rompere le
scatole a Mitchi e Ryo-chan! Magari andiamo in cerca di ragazze! Ahaha! Ci vediamo più tardi!». E se ne andò, non prima di
aver dato un bacino alla sua Hicchan.
I
due, rimasti soli, si guardarono un attimo.
«Che
si fa?», chiese Kiyota, camminando verso di lei. Sorrise nel vederla mettersi
un dito sulle labbra, pensosa. «C’è una gelateria in paese… sai, vicino a quel
negozio di caramelle…», continuò lui, fermandosi a pochi passi dalla ragazza.
Gli
occhi nocciola di Hime guizzarono allegri. «Tu mi leggi nel pensiero, per
caso?».
Nobunaga
rise, ficcando le mani nelle tasche della tuta. «Allora, andiamo?».
Hime
annuì, intimamente felice di passare un po’ di tempo in compagnia della
scimmietta del Kainan. Le piaceva, le piaceva da matti! Averlo accanto, con
ancora i capelli bagnati dalla doccia e scompigliati più del solito e un forte
profumo di bagnoschiuma al muschio, era troppo anche per lei. Lo osservò con la
coda dell’occhio, incantata: il naso dritto; le sopracciglia un po’ troppo grandi,
ma così carine su di lui; gli occhi blu ironici e delle volte prepotenti;
quelle labbra… Kami, le labbra!
Si
mordicchiò le sue, concentrandosi sul paesaggio. Ripensò al discorso con
Hanamichi, quel pomeriggio. In effetti, che razza di rapporto avevano ora? Non
sapeva neanche come dovesse comportarsi con lui. Voleva prenderlo sotto
braccio, in quel momento; voleva sentire il calore del suo corpo contro il suo.
Eppure c’era qualcosa che la bloccava. Imbarazzo? Sì e anche tanto.
«Ehi,
tutto bene?», le fece, risvegliandola da quei pensieri scomodi. «Sei
silenziosa. E non è da te!».
Hime
sorrise, chinando il capo. «Niente di preoccupante, solo un po’ pensierosa».
Kiyota
abbassò lo sguardo su di lei. «E dimmi, che ti impensierisce?», le disse,
cingendole le spalle con un braccio. Rise quando la vide arrossire
furiosamente.
Dopo
un momento di panico totale, la ragazza prese un bel respiro, rilassandosi
contro di lui. «Niente, ora più niente».
*
«Siete
sicuri?», chiese la gelataia, guardando la coppietta parecchio stralunata. I
due annuirono con foga, quasi fosse ovvia la loro richiesta. «Va bene… tra poco
arriva».
Kiyota
e Hime si guardarono complici, scoppiando a ridere. Ora sì che avrebbero voluto
vedere come avrebbero finito in due un chilo di gelato alla vaniglia con le smarties!
«Ah,
devo riprendermi dalla partita di prima!», esclamò lei, poggiandosi tavolo. «Ho
perso calorie e devo recuperarle, no?».
Nobunaga
prese a ridere. «E io non mi sarò fatto cento giri di campo, ma il Capitano mi
ha sfiancato ugualmente! Siamo sulla stessa barca!».
«Maki
è instancabile, immagino. Devi averne di forze per stare dietro ai suoi
allenamenti».
Il
dieci del Kainan gonfiò il petto, orgoglioso. «Scherzi? Io sono Nobunaga
Kiyota, niente e nessuno potrà fermarmi!», esclamò, ridendo. «Se il Kainan è la
squadra più forte del Campionato è proprio grazie ai nostri duri allenamenti. E
se sono un titolare un motivo ci sarà! Ahaha!».
«Anche
lo Shohoku non è da meno!», esclamò l’altra, puntandogli un dito contro. «Akagi
sta tirando fuori tutta la sua grinta, quest’anno. Ti assicuro che saremo la
squadra da battere, ai Nazionali!».
«Me
lo auguro. Anche perché non voglio che il Kanagawa faccia una brutta figura».
«Ehi!».
Kiyota
rise, provocatorio, scansando un tovagliolo appallottolato. Entrambi erano
consapevoli che la rivalità tra le due squadre, quell’anno, era salita alle
stelle. Ma si rispettavano anche, e parecchio. Del resto facevano parte della
stessa prefettura e, a meno che non si fossero trovati alle finali dei
Nazionali, era anche lecito che si supportassero a vicenda.
«A
proposito, sbaglio o sei l’unica matricola, quest’anno?», chiese Hime, giocando
con una ciocca ribelle di capelli rossi.
Lui
annuì. «Sono l’unico sopravvissuto all’allenatore Takato e a Maki-senpai! Le
altre matricole hanno abbandonato tutto una settimana dopo».
«Praticamente
venerdì sarai l’unico giocatore del Kainan tra le matricole», fece Hime,
aggrottando la fronte.
Nobunaga
si grattò il mento, pensieroso. «Beh, credo proprio di sì».
La
conversazione venne interrotta dalla donna di poco prima, che servì davanti ai
loro occhi un recipiente in vetro colmo fino all’orlo di gelato.
«Ora
muoio!», fece Hime, dopo aver ringraziato.
«Meglio!
Almeno posso mangiarmelo tutto io!», esclamò Nobunaga, già sfregandosi le mani
al solo pensiero.
La
ragazza gonfiò le guance, offesa. «Ah, la metti così?». Ma non poté far nulla
per frenare il rossore sulle gote quando lo vide porgerle una cucchiaiata di
gelato candido, in contrasto con un acceso smarties
rosso.
«A
te l’onore!», le disse Kiyota, sorridendole.
“Sì, muoio per davvero, ora…”, fu il
pensiero della giovane, assaggiando il gelato. Tentò di dire qualcosa, ma il
sapore dolce che le permeava in bocca glielo impedì. E poi, perché un certo
Nobunaga Kiyota si era sporto verso di lei per depositarle un bacio sulle
labbra. Da dove spuntasse fuori quella sfacciataggine non l’aveva capito. Non
era lui quello che arrossiva al minimo accenno di intimità? Di una cosa Hime
Sakuragi era più che certa: quel ragazzo la voleva morta, era palese. Oppure,
dopo averla uccisa con un colpo d’infarto, si sarebbe mangiato anche la sua
porzione di gelato. In effetti, pensandoci bene, quella poteva essere una mossa
parecchio astuta da parte della scimmietta!
Lui,
d’altro canto, aveva trattenuto il fiato per tutto il tempo, per l’imbarazzo di
non saper come affrontare la situazione. Ma quella ragazza gli piaceva ogni
minuto che passava e il discorso con Hanamichi gli aveva fatto aprire gli
occhi: voleva Hime, la voleva tanto. E gliel’avrebbe fatto capire in tutti i
modi!
Quando
allontanò le labbra da quelle della ragazza arrossì lievemente. «Eri… sporca di
gelato», bofonchiò annuendo, facendola ridere.
Hime
affondò un dito tra la crema e glielo passò sulla punta del naso. «Oh, guarda…
sei sporco anche tu!», esclamò, porgendogli un tovagliolino di carta in
allegato a una linguaccia.
Nobunaga
scoppiò in una fragorosa risata, che fece voltare mezza gelateria. Ci mancò
poco che cadesse dalla sedia, da quanto si era sbilanciato all’indietro.
Inutile
dire che quel gelato lo finirono tutto, dalla prima cucchiaiata all’ultima. Non
si chiamavano Kiyota e Sakuragi per niente quei due.
«Stanotte
ci sono i Lakers, vero?», chiese Nobunaga, avvicinandosi al bancone per pagare.
Hime
annuì, entusiasta. «Oh, il mio Kobe Bryant!», esclamò, con dei cuoricini al
posto degli occhi.
Lui
aggrottò la fronte. «Ti piace Bryant?!».
«È
immaaanso!».
«Ah!
Solo perché infila triple una dopo l’altra… sai che bravo! Ci riesce anche
Jin!».
«E
tu no!», gli disse sorridendo, mostrandogli la lingua.
Nobunaga
le lanciò un’occhiataccia. «E cosa ci vuole? Ricordati che sono la matricola
numero uno, quest’anno! Kobe Bryant mi bacerebbe i piedi se mi vedesse
giocare!».
Lei
scoppiò a ridere, appendendosi al suo braccio mentre uscivano dalla gelateria,
pieni come uova. «Geloso?».
«E…
e di cosa, scusa?!», sbottò lui, arrossendo.
«Baka!»,
gli sorrise ancora, poggiando la testa sulla spalla muscolosa del ragazzo.
«Prima di cena ci facciamo due tiri e mi fai vedere un po’ che sa fare la super
matricola da fuori area».
«Preparati,
ti lascerò a bocca aperta! Ahaha!».
Il
resto della serata lo passarono a passeggiare tranquillamente per le strade
poco affollate della piccola cittadina, tra tante risate, frecciatine e tanti,
bellissimi sguardi. Era incredibile come entrambi stessero iniziando ad adorare
la compagnia reciproca. Certo, ogni tanto qualche insulto gratuito partiva, ma
fortunatamente si concludeva tra le risate.
Avevano
anche adocchiato un locale alla mano, nella piazzetta principale. Magari
avrebbero potuto trascinare mezza squadra a testa e divertirsi in modo diverso,
qualche sera. Ovviamente, dopo aver sedato per bene quello scimpanzé di Akagi
con sonniferi e tranquillanti.
Tornati
in albergo, Kiyota la portò nel campetto esterno, deciso a mostrarle le sue
doti innate del basket e dei tiri da tre. Non giocava nel Kainan per niente,
lui!
«Allora,
miscredente! Pronta per ricrederti?», le chiese sfacciato, facendo girare il
pallone su un dito.
Hime
annuì, sorridente e preparandosi psicologicamente all’ennesima figura di melma
della scimmietta. Perché era sicura, non ce l’avrebbe fatta neanche con una
pistola puntata sulla tempia. Cannava i tiri liberi, figurarsi quelli da tre!
«Prima,
però, la posta in palio», disse lui, sorridendo insolente. «Se ci riesco cosa
vinco?».
La
ragazza ci pensò un po’ su. «Direi che un bagno in piscina non te lo leva
nessuno. Vestito, s’intende» Nah,
meglio nudo!, finì nella sua testa la pervertita.
«Non
mi sembra tanto un premio, sai?», disse, facendola ridere. «Esci con me anche
domani».
Hime
si bloccò sul posto, arrossendo furiosamente. «U-uscire?», si sistemò una
ciocca rossa dietro i capelli, imbarazzata. «Beh, allora non ne hai tanta
voglia». Lui la guardò perplesso, non capendo. «Tanto non ce la fai!».
«Brutta
strega!», esclamò Nobu, rincorrendola per tutto il campetto. Tra grida, risate
e prese in giro, la scimmietta riuscì a bloccarla per la vita, grazie alla sua
agilità. [Proprio come una scimmia!, avrebbe detto qualcuno di nostra
conoscenza]. La strinse contro di sé da dietro e sorrise vedendola chiudere gli
occhi. Aveva una voglia matta di baciarla, ovunque: le spalle un po’
abbronzate, l’incavo del collo, le guance arrossate e le labbra… quelle labbra
l’avrebbero portato alla follia.
Hime
abbandonò il capo all’indietro, su una spalla del ragazzo, riprendendo fiato.
Sentire le braccia muscolose dell’altro che le abbracciavano la vita era
veramente troppo. Si sentiva protetta, al sicuro contro il suo petto. Avvertiva
un senso di calore indescrivibile, così come il desiderio di abbracciarlo a sua
volta, di sentirlo contro di sé, vicino. Gli passò distrattamente le dita sugli
avambracci e lo sentì rabbrividire.
«Allora?
Accetti?», le mormorò in un orecchio.
«E
se perdi?».
Nobunaga
sorrise, strofinando la punta del naso sul suo collo. «Esci ugualmente con me».
E
come faceva a rifilargli un no se continuava così? «Non vale… le condizioni
dovrei dettarle io».
Si
sentì andare a fuoco quando le labbra del ragazzo le baciarono una guancia.
Lento, inesorabile, continuò a depositarle un bacio dopo l’altro, portandola a
voltarsi, senza distogliere lo sguardo da quello di lei. «Domani, dopo
l’allenamento come oggi, va bene?».
«Non
accetti un rifiuto, eh?», ridacchiò lei.
Nobunaga
scosse la testa, sorridendole. «Mai».
Il
bacio che seguì fu completamente diverso dagli altri che si erano scambiati. Se
i primi erano solo lievi carezze, quello rasentava il desiderio più puro, tenuto
a freno troppo a lungo e che finalmente aveva libero sfogo.
Stretti
l’una tra le braccia dell’altro, consumarono il loro primo vero bacio,
dimentichi della scommessa, dimentichi che la cena sarebbe iniziata tra pochi
minuti… dimentichi di un Gorilla a caso e del suo collega Maki che avrebbero
iniziato a inveire a destra e a manca, fumanti come pentole a pressione.
Ora
niente aveva più importanza.
Piccolo siparietto per l’autrice:
Scusate i due giorni di
ritardo, ma come previsto questa settimana si è rivelata stra-piena
di lezioni… *help*! Spero possiate perdonarmi! (_._)
Capitolo zuccheroso
questo <3! Ma mi serviva per il prossimo… *me ride* XD!
Veniamo ai
ringraziamenti! *_*
lilli84: dai, non ti ho fatto penare poi troppo, no? (:
MihaChan: carissima mia! [non
diciamo in giro che hai letto il capitolo in anteprima, ssshhh!
Ho aggiunto solo qualche modifica!] Visto il Nobu vs Hana? Si è svolto anche
tutto troppo nella norma… ma prevedo nebbia all’orizzonte! XD Grazie mille come
sempre, tesora! E’ un piacere per me! :*
kuro: ahaha!
Li hai citati tutti! Ma come non si può adorare svisceratamente quei pazzi
psicopatici?! Eh?! EH!? Impossibile! Grazie, grazie, grazie mille dei
complimenti! *_* *me arrossisce*
Black_Moody: ehm… le ultime parole
famose! [“Brava che sei puntualissima con gli aggiornamenti…” lol] Che poi, chi legge le altre mie fan fiction non credo
la pensi esattamente così! XD E comunque, i-io non ho colpe! .___. Ma se scrivi
bene come ho capito dal prologo allora mi assumo tutte le responsabilità di
questa terra! *_* E ovviamente, sapere che l’hai pubblicata perché Wild Boys ti
ha dato la “carica” non posso che esserne stra-felice.
:) Oddio, Hanamichi in versione padreinesaurimentonervoso
è bellissimo! XDDD Hime, essendo una ragazza, non potrebbe giocare in un torneo
maschile, quindi non credo che la vedremo ai Campionati… [sempre che la mia
mente diabolica non escogiti qualcosa nel frattempo xD]
E… oddèi, anche io voglio conoscere il sosia di
Rukawa! E-esiste davvero, allora! *_* …O-ok, tornando a noi… grazie veramente
miliardesime! :*
Un ringraziamento anche
a tutti i lettori anonimi! <3
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XVIII
Caos.
Dire
che i due Capitani si fossero incavolati era poco. Non solo quei due erano
arrivati in ritardo per la cena, persi chissà dove a fare chissà che cosa, ma
neanche si scusarono. Si limitarono a sorridere a tutti come due deficienti. Ci
mancava poco che camminassero a un metro da terra per la felicità. Non tutti
capirono cosa fosse successo a Kiyota e alla Sakuragi, ma evidentemente doveva
essere qualcosa di bello. Chi, invece, aveva azzeccato… beh, non gli diede
tregua nemmeno un secondo.
«Dove
diavolo eravate, pervertiti?!», esclamò Hanamichi, alzandosi e puntando i due
con un dito.
Mitsui,
al suo fianco, sorrise malizioso. «Eddai, Hanamichi. Sono giovani e in forze, lasciali
divertire!».
«Che
ne capirà lui, di queste cose», borbottò Miyagi, mangiando la sua cena.
«Che
cosa stai insinuando, tappo?!».
«Che
sei un povero sfigato».
«Accidenti
a te, Rukawa!».
Akagi,
in piedi dietro il rossino e sull’orlo di una crisi isterica, lo placò seduta
stante. «Per una volta Rukawa ha detto una cosa giusta. Ora mettiti a mangiare,
a sistemare tua sorella ci penso io».
Hime,
d’altro canto, continuava a guardarli con un sorriso ebete stampato in viso.
Non sentiva il gorilla che le sbraitava dietro, non vedeva i suoi amici che le
chiedevano cosa stesse facendo con Nobunaga, né si accorgeva delle occhiate che
le riservavano. No, la sua mente era ancora in quel campetto, tra le braccia
del ragazzo che le aveva fatto perdere la testa e che la stava baciando con
dolce audacia.
Kiyota?
Idem come sopra. Con la differenza che lui, nonostante avesse mangiato mezzo
chilo di gelato, aveva una fame da lupi e si stava ingozzando allegramente, con
la testa campata per aria.
«Nobu-chan,
tutto bene?», gli chiese Jin, curioso. In risposta ottenne solo uno sguardo
sognante e un sorrisone da pubblicità di dentifricio.
«Li
abbiamo persi», decretò Maki, guardando prima la sua matricola, poi la ragazza.
«Hicchaaan!», sbraitò Sakuragi, scuotendo preoccupato la sorella.
«Che razza d’incantesimo ti ha fatto, quel balordo?!».
«Il
bacio della scimmia», ghignò Mitsui, guadagnandosi risate e occhiatacce. «Dai,
Hanamichi, riprendi a mangiare o ti si blocca la crescita».
«Gli
si è bloccata da tempo», continuò Rukawa, che come risultato ottenne una serie
di epiteti poco amichevoli e parecchio maleducati, oltre un pugno da Akagi che
gli intimò di piantarla di stuzzicare l’altro imbecille di turno.
Ma
all’ennesimo battibecco tra le due matricole dello Shohoku, Akagi scoppiò alla
grande, alzandosi dal tavolo e dirigendosi di gran carriera verso l’uscita.
«Ta-Takenori, dove vai?», domandò timoroso Kogure.
«A
comprare una fune lunga cento metri per legare questi deficienti al letto».
Mitsui
lo guardò con un ghignò sulle labbra. «Hai capito quanto è depravato il
Gorilla?».
«Mitsui!
Dì qualcos’altro e la corda te la stringo al collo!».
Tutta
la sala scoppiò a ridere, mentre il King Kong se ne andava via sbraitando e
fumando rabbia come un vulcano in piena attività.
«Questa
volta si è incazzato sul serio», constatò Ryota, aggrottando la fronte.
Hanamichi
si mise a ridere, agitando noncurante una mano. «Ma no… gli passerà subito!».
Silenzio
di tomba.
In
effetti, molti avevano i loro dubbi.
«Domani
vi disintegra», spezzò il silenzio Ayako, portandosi indietro un ricciolo
ribelle.
«E
io che mi riposavo come oggi!», esclamò Miyagi, stravaccandosi sulla sedia.
«Chi
ha il fucile di precisione, così gli spariamo contro una dose di
tranquillanti?», chiese invece Hisashi, mentre gli altri pensavano che come
idea non sarebbe stata male per placare l’ira del King Kong.
E
tra disperazioni e piani vari, due voci più che tranquille sciolsero il clima
di tensione.
«Kogure-san,
mi passeresti l’acqua?».
«Jin,
hai assaggiato questo sushi?».
O
almeno, lo spezzarono momentaneamente.
È
superfluo dire che Hime e Nobu, con il loro sorriso da ebete e l’aria di chi
aveva appena vinto al gratta e vinci, scatenarono l’inferno tra i giocatori
dello Shohoku. Del resto, era colpa loro se era successo tutto quel casino col
Gorilla e su qualcuno avrebbero dovuto pur sfogarsi.
*
La
partita dei Lakers contro gli Utah Jazz fu uno spasso. E non solo dal punto di
vista prettamente sportivo, ma soprattutto perché gli animali dello Shohoku non
avevano fatto altro che commentare ogni minima azione gridando e battibeccando
come vecchie pettegole.
«Ma
ce li ha gli occhi quell’arbitro? Quello era fallo!».
«Ma
quale fallo, Mitchi! È caduto apposta! Guarda, vedi come si è buttato in
terra?».
«Beh,
vedete voi se vi trovate davanti uno come Fesenko che
vi blocca la strada! Anche il nostro Gorilla avrebbe qualche problema!».
«Non
chiamarmi Gorilla, porca miseria!».
«Hime,
non difendere Bryant solo perché sei innamorata persa di lui. Si è sbilanciato,
ma l’ha fatto anche in modo teatrale!».
«Ryo-chin! È un grande, lui!».
«Un
gran buffone e simulatore, altroché».
«Per
una volta ti do ragione, Kit! Ma non prendertela a vizio, eh!».
Tra
gli schiamazzi e i litigi dei giocatori in maglia rossa, chi invece non sapeva
se continuare a guardare la partita e far finta di nulla o ridere e inserirsi
nei loro discorsi, erano i giocatori del Kainan King che, a quanto a educazione
e calma era al primo posto. Tranne, ovviamente, il petulante Kiyota, che non
perdeva occasione per far baldoria e agitarsi come il suo solito. Solo che,
quella volta, erano più i momenti in totale adorazione della sua piccola
giocatrice di basket, che quelli in cui ingaggiava lotta libera con Hanamichi
& Co. Seduto vicino al suo amicone Jin, infatti, non perdeva occasione per
osservarla ridere e scherzare, ripensando al bacio che si erano scambiati solo
poche ore prima. Quanto avrebbe voluto tenerla tra le braccia e guardare la
partita così, con lei a due palmi dal naso! Che deficiente, lei gli aveva anche
lasciato un posto al suo fianco per averlo vicino! Solo che, temendo di
suscitare ancora di più la curiosità degli altri, aveva preferito sedersi ben
lontano da lei. E il posto occupato per lui era andato a finire a quel volpino
surgelato di Rukawa, per una volta sveglio e attento. La cosa, pensandoci bene,
gli rodeva, e anche parecchio!
«Baldi
giovani, volete qualcosa da bere?», chiese la vecchietta dell’albergo, un po’
timorosa, in effetti, ad avvicinarsi a quel branco di scalmanati.
Un
pugno in testa e il King Kong sedò subito le risate tra i suoi giocatori. Certo
che anche quella donna… da qui a chiamare quegli animali “baldi giovani”!
«Questi
quattro è meglio che non prendano nulla», fece Akagi, lanciando un’occhiata
eloquente ai suoi titolari, un po’ troppo su di giri già di per se.
«Ma
come?!», piagnucolò Hanamichi. «E io che volevo fare a gara con Ryo-chan e
Mitchi a chi reggeva più tequila!».
«Sì,
così ti va in fumo l’ultimo poco di materia grigia che hai in testa», fu il
commento di Hisashi, che mandò su tutte le furie il rossino.
«Io
prendo un bicchiere di amarena con ghiaccio!», disse Hime, alzando la mano da
brava studentessa modello. «Gori, tu prendi un Banana Split*, vero?».
Inutile
dire che quella che sembrava un’innocente domanda (ma che era un’evidente
provocazione) suscitò l’ilarità di tutti i presenti, tranne della vecchina che
stava già scrivendo l’ordinazione e del diretto interessato, che stava
seriamente pensando di andare al bancone e gettare qualche sonnifero nella
bevanda della seconda manager, per metterla finalmente K.O.
Hanamichi
guardò seriamente la signora. «Senta Nonna, qualunque cosa porterà a quel
volpino lì, non gli metta del ghiaccio, altrimenti siamo nei casini».
Fortuna
sua che era già in piedi e riuscì a scappare dalle grinfie di Akagi con un
balzo, altrimenti Hanamichi Sakuragi avrebbe detto addio al mondo intero. La
Nonnetta, intanto, guardò curiosa e non poco perplessa il rossino, chiedendosi
di cosa si facessero i ragazzi d’oggi per essere così esuberanti e vivaci.
«Hanamichi,
non hai un minimo di rispetto», fece Hisashi, lanciandogli un’occhiataccia.
«Ma
no! Io sono la persona più educata del mondo! Vero, Nonna?», esclamò il rosso,
abbracciando la vecchia signora, a cui per poco non scese un infarto. «Ah,
signora! Se vuole le posso presentare un gentiluomo molto intelligente e
saggio, della sua età. Ehi, vecchia ciabatta di un Maki! Vieni che ti porto a
donne!».
«Hanamichi!»,
gridarono tutti, avventandosi contro di lui, chi con ventagli, chi con pugni.
«Ma
porca vacca, un po’ di ritegno!», sbottò Nobunaga, sbraitandogli contro.
«È
allucinante!», fece Muto, guardando la scena con gli occhi fuori dalle orbite.
Kogure
si passò una mano in viso, depresso e represso. «Sono mortificato».
Morale
della favola: Hanamichi venne sedato a suon di pugni, con una felpa legata
sulla bocca per non farlo parlare, idem per mani e gambe. Hime per poco non
rotolò dalle risate, nel vedere il fratello ridotto così con una camicia di
forza rudimentale.
Si
ritirarono a nanna un’ora e mezza dopo, sebbene molti non avessero nessuna
intenzione di dormire. Purtroppo non potevano mettere nuovamente in atto il
piano diabolico delle due scimmie, altrimenti Akagi li avrebbe conciati per le
feste veramente.
Solo
due si arrischiarono a mettere il muso fuori dalla loro stanza, verso l’una e
mezza di notte.
Ovviamente
questi due non potevano non essere che i due fratelli Sakuragi, decisi a uscire
dall’albergo e farsi due passi in sana libertà. E perché no? Magari fare una
bella sveglia anche a quel porcospino di Sendoh con una chiamata in piena notte.
«Hime,
attenta che non vi scoprano!», mormorò Ayako all’amica, guardandola con aria
sufficiente.
«Tranquilla!».
La rossa sorrise candidamente, salutandola con una mano mentre raggiungeva il
fratello, già fuori camera. Poi, guardando la riccia e Ryota, che battibeccava
a voce bassa con Hanamichi, fece: «Ehi, ragazzi! Perché non vi fate un po’ di
compagnia, mentre siamo via?». Ci mancò poco che Ayako facesse risuonare per
tutto l’albergo una sventagliata micidiale sulla capa della seconda manager,
mentre Miyagi, tutto gongolante, schioccava un bacino sulla guancia all’amica e
la ringraziava per la magnifica idea.
«E
anche oggi ho fatto un’opera di bene», bisbigliò Hime al fratello, prendendolo
sotto braccio e dirigendosi verso la hall dell’albergo.
«Hicchan,
sei proprio tutto tuo fratello! Ahaha!».
«Shhh! O il Gorilla ci scoprirà!».
Due
secondi più tardi e fece la sua comparsa anche Mitsui, incuriosito dalle loro
chiacchiere. «Dove andate?», chiese stropicciandosi un occhio.
«A
farci due passi e una chiacchierata con Akira! Vieni?», chiese Hime,
innocentemente.
Hisashi
sparì in camera per recuperare una maglietta (dato che era solo in boxer) e li
raggiunse subito, sfregandosi le mani. «Voglio fargli proprio una bella
sveglia, a quel porcospino hentai».
I
tre a stento trattennero le risa e, quatti quatti
come bisonti, riuscirono a guadagnare l’uscita dell’edificio. Si era alzata una
piacevole brezza frizzante, che per un attimo fece rabbrividire i tre. Per
quanto fosse piena estate, non era certo consigliabile uscire di notte vestiti
solo in pantaloncini e maglietta!
«Che
bella nottata!», esclamò Hime, sdraiandosi sull’erba del giardino e guardando
il cielo stellato. Ai suoi fianchi la raggiunsero anche gli altri due, che
annuirono. Il trio rimase così, imbambolato a guardare le stelle, o un aereo di
passaggio, o una nuvola solitaria che a momenti oscurava la luna crescente.
«Secondo
voi quante sono le stelle?», chiese ingenuamente Hanamichi, sistemandosi la
testa sopra le braccia incrociate dietro la nuca.
«Tante?»,
fece Hisashi, facendo ridere i gemelli. «Boh, saranno miliardi».
«Ah,
l’infinito!», sospirò Hime. «Come può esistere qualcosa che non finisce mai?».
Mitsui
piegò il capo di lato, guardandola. «Risparmiaci i tuoi discorsi filosofici,
Hime. All’una e passa di notte non connetto molto bene».
«E
quand’è che connetti, tu?», chiese provocatorio Hanamichi, beccandosi un vaffa con
i contro-attributi.
Rimasero
in silenzio qualche minuto, poi decisero finalmente di svegliare Sendoh con una
bella telefonata, usando il cordless dell’albergo. Attivarono il vivavoce e,
dopo numerosi squilli a vuoto, la voce impastata dal sonno del giocatore del
Ryonan rispose al telefono.
»Chi
sei?«.
A
stento i tre trattennero le risate.
Mitsui
cercò di darsi un contegno, e parlò con voce seria. «Parlo con Sendoh? Akira
Sendoh?».
»Sì.
Chi parla? Sono… le due di notte, Kami«.
«Scusi
l’ora tarda, Sendoh. Ma ho una cosa di cui vorrei parlarle».
Akira
non era mai stato un ragazzo impulsivo e maleducato, neanche in situazioni
critiche. Ma i tre sapevano bene che svegliarlo nel mezzo della notte era una
di quelle situazioni in cui anche il mite playmaker poteva diventare una belva.
»Alle due di notte? Ma si può sapere chi è?«.
Hisashi
dovette ricorrere a tutto il suo autocontrollo pur di non scoppiare a ridere e
mandare a quel paese lo scherzo. «Sono il signor Fukkoi».
Un
momento di silenzio, interminabile. Akira, dall’altra parte del telefono, si
era congelato sul posto, in un istante di puro panico. Il signor Fukkoi? Il padre
di Yuriko? Oh cazzo…
»Oh…
salve, signor Fukkoi«.
Hanamichi,
intanto, guardava i due curioso, chiedendo tacitamente alla sorella di
spiegargli chi fosse. Hime gli spiattellò velocemente la situazione
all’orecchio: «Yuriko è stata la ragazza di Akira, qualche mese fa; Fukkoi è il
padre».
Mitsui
continuò con la sua farsa. «Sendoh, voglio arrivare subito al punto, con lei.
Ha per caso provato a sedurre mia figlia?».
Hime
e Hanamichi dovettero voltare la faccia per non farsi vedere con le lacrime
agli occhi dall’amico, soprattutto quando sentirono la voce incrinata
dall’insicurezza di Sendoh. Una cosa mai vista mai sentita da uno come lui,
conosciuto come il ragazzo dall’infinito self-control e capace di tirarsi fuori
da qualsiasi situazione con un sorriso e una battuta pungente.
«Signor
Sendoh, mia figlia è incinta. Mi ha detto che avete avuto… incontri
ravvicinati, qualche mese fa. Ne sa qualcosa?».
Sentirono
indistintamente un merda sommesso e un sospiro lungo e
profondo. Akira si passò una mano tra i capelli che gli ricadevano sul viso
disordinatamente, sudando freddo. No, non era possibile… non era possibile! Stavano insieme solo perché lei lo aveva preso per sfinimento e non voleva ferirla, ma non avevano fatto niente di sconcio!
»…Ne
è sicura?«.
«È
tutto quello che sa dire?», chiese indispettito Hisashi, mordendosi un labbro
per non scoppiare a ridere.
»Beh…
no, mi scusi… io–«.
«Tu
sei un emerito idiota, Akira!», esclamarono in coro i tre, ridendo come matti,
ormai incapaci di trattenersi. Dall’altra parte del filo, Sendoh impiegò
parecchi secondi per capire che quei tre mentecatti dei suoi migliori amici
l’avevano preso in giro alla grande.
»Vi
detesto!«, fece, tirando un sospiro di sollievo e sorridendo, nonostante tutto.
»Mi dovete venti anni di vita, ragazzi!«.
«Ahaha! Mitchi è proprio un attore nato!», fece Hana,
battendo una mano sulla spalla della guardia.
»Avrei
dovuto immaginarlo che fosse lui, accidenti! Hisashi, sai cosa succederà quando
torni, si?«.
Mitsui
ghignò, scuotendo la testa. «Scordatelo».
»Oh
no, non ci penso nemmeno! Mi farai fare un giro sulla tua moto, che lo voglia o
no!«.
Hime
ridacchiò. «Ne volevi solo il pretesto, eh Aki?».
»Già,
e il caro Hisashi si è dato la zappa sui piedi da solo«.
«Prova
anche a guardarla e ti strappo gli occhi».
Akira
rise, sinceramente divertito e contento di risentire i suoi amici. »E allora,
qual buon vento dal ritiro?«.
«Ah,
sta succedendo di tutto, Porky! Abbiamo preso
d’assalto il luna park, reso proprietà privata la piscina, facciamo i festini
notturni, ieri c’era il Gorilla ubriaco…».
»Akagi
ubriaco?!«.
E
giù nuovamente a ridere al pensiero del King Kong sbronzo. Si raccontarono
parecchie novità, ridendo e scherzando come facevano sempre. Si conoscevano da
pochi mesi, ma la loro amicizia era nata in un baleno. Quante risate si
facevano insieme!
»E
ditemi, gemelli! Kiyota è ancora vivo o lo avete strapazzato per bene?«.
Mitsui
guardò di sbieco l’amica. «Veramente è solo Hime che se lo sta strapazzando!».
«Hisashi!»,
sbottò la ragazza, arrossendo.
»Cioè?«.
«C’è
una tresca in corso!», proseguì la guardia, beccandosi un pugno in pancia.
»Ah«. Akira parve riflettere un po’. »Non
è che è qualche piano per confonderlo?«.
«Nah, quella scimmia è già confusa di suo!», esclamò
Hanamichi, facendo ridere i ragazzi.
»Beh,
Hime, sono felice per voi!«.
La
ragazza si mordicchiò il labbro, nervosa. «Ma non è niente di che, per il
momento!».
»Beh,
allora quando torni posso invitarti a cena senza problemi, ok?«.
«Porcospino
hentai!», gridò Hanamichi, desiderando di avercelo davanti per tirargli una
bella testata in piena fronte. Sapeva benissimo che Akira adorasse scherzare
con lei, ma non gli era sfuggito il fatto che il ragazzo tutto fare del Ryonan
fosse parecchio attratto dalla sorella.
Chiacchierarono
per qualche altro minuto, ridendo e battibeccando per ogni minima cosa. Si
diedero la buona notte solo mezz’ora dopo, quando non sentirono altro che un
silenzio di tomba dall’altro capo del telefono.
Il
porcospino si era addormentato!
*
*Banana Split: versare liquore
di crema di banana, il liquore di crema di mandorle e la Kahlua,
decorato con uno spruzzo di panna montata ed una ciliegia. [fonte: internet! Io
non me ne intendo di alcolici xD]
Piccolo siparietto per l’autrice:
Dio mio, questo
capitolo è il mio preferito in assoluto! Quanto mi son divertita a scriverlo
voi non potete neanche immaginarlo! XD Hanamichi è incredibile, mi da una
caterva di ispirazioni! E poi, notate cosa diavolo ho fatto pur di far
“apparire” il mio beneamato Akira! *_* Io amo quel ragazzo! *__*
kuro: aaaaawww!
Shi, shi! Scrivi anche tu,
che son curiosa! Riporteremo in auge questa sezione bellissima! *_* ps: su msn non mi è apparso
niente di nuovi contatti che mi hanno aggiunta… c’è qualcosa che non va! XD
MihaChan: carissimaaltissimaepurissima!
*_* Ne hai ancora da aspettare, per il finale! *me si strofina le manine* Tesorah! :*****
Black_Moody: carissima! E’ un
piacere ogni volta leggerti! *_* Son così felice che Hime e Nobunaga ti
piacciano tanto! *_* *me saltella* Capiscimi, tenere a bada tutti quel
mascalzoni è una faticaccia, che io stessa a volte tendo a perdermi… non è una
bella cosa, ma vabbè! xD Sappi che il ritiro c’è… in
sottofondo! xD [A parte gli scherzi, per qualsiasi
chiarimento chiedi/chiedete pure! :) ] Per quanto riguarda il sosia del
volpino, ti capisco, anche io sarei gelosa xD! Un beso! :*
Un ringraziamento anche
a tutti i lettori anonimi! <3
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XIX
Akagi’s Revenge.
«Allora,
Sakuragi! Alza di più quelle braccia! E tu, Mitsui, passa quella maledetta
palla!», tuonò Akagi, facendo tremare le pareti della palestra. «Hime, datti
una mossa! Blocca Miyagi, maledizione! Non volevi giocare, venerdì? Allora
mettici impegno, altrimenti te lo scordi! E tu, Miyagi, scartala!».
«Maledetto
scimmione!», grugnirono i quattro alla volta del loro capitano. Quella notte il
Gorilla gli aveva fatto proprio una bella sorpresa: aveva sentito degli
schiamazzi provenire da fuori e non ci aveva messo molto a fare due più due e
capire di chi si trattasse. Per il trio, trovarselo in corridoio ad aspettarli
con occhi infuocati non fu il massimo. Per non parlare delle sorti del povero
Ryota, che venne scoperto in camera della sua Ayakuccia mentre le faceva
spudoratamente la corte, approfittando dell’assenza dei due gemelli.
Dire
che Akagi era incazzatissimo era poco.
«Rimbalzo!»,
gridò Kogure, quando un tiro da tre del numero quattordici prese il ferro del
canestro.
Hanamichi
corse alla lunetta, seguito da un agguerrito Rukawa, e saltarono entrambi verso la
palla. Ebbe la meglio il rosso, che non perse tempo a proclamare il suo talento
naturale alla volta del volpino, che invece vide bene a fregargli il pallone da
sotto il naso e tentare una schiacciata, che andò a segno.
Due
secondi più tardi e Hanamichi era bello che steso a terra da un potentissimo
pugno del Gorilla.
«Akagi!»,
fece il mite Kogure, avvicinandosi al suo compagno. «Non dovremmo farli
riposare un po’? Sembrano stanchi».
Il
King Kong si voltò verso di lui, guardandolo furente. «Stanchi, hai detto?», sibilò,
digrignando i denti. «Stanchi?!
Concederò mezzora di pausa a tutti, tranne che a quei quattro mentecatti!
Peggio per loro che rimangono in piedi fino alle due di notte!».
Contemporaneamente,
i quattro mentecatti in questione spalancarono le bocche a livelli esorbitanti.
«Checcosa?!»
«Tacete!
E fatevi venti giri di campo, di corsa!».
Sotto
gli sguardi impietositi dei compagni di squadra, il quartetto iniziò a correre
svogliato, aumentando il passo ogni qual volta quello scimmione del loro
capitano li sgridava, promettendo altre temibili ritorsioni.
«Accidenti
a lui… questo ritiro… sembra peggio… di un campo… di concentramento», disse un
affannato Ryota.
«Gendarme
del cazzo», borbottò Hisashi, lanciando un’occhiataccia truce al numero
quattro.
Hanamichi,
che correva al fianco della sua Hicchan, alzò un pugno al cielo. «Miei prodi
compagni!», esclamò, richiamando l’attenzione di tutti. «Non abbattiamoci così!
Vedrete che sotto la mia guida ne usciremo vittoriosi!».
«Andiamo
bene…».
«Sakuragi!
Corri, invece di dare aria a quella fogna di bocca!».
Il
rosso incurvò le spalle. «Maledetto schiavista! E oltretutto scimmione!».
La
fine dell’allenamento arrivò lenta e desiderata, come un’oasi nel deserto. I
quattro, stremati (che, tra le altre cose, avevano anche dovuto ritirare tutti
i palloni messi in uso e che, guarda il caso, erano più del doppio del
normale), si buttarono a terra, cercando di riprendersi.
«Non
pensate che ci andrò leggero, questo pomeriggio», disse Akagi, dirigendosi
verso gli spogliatoi tra un borbottio e l’altro.
«Kami…
non mi reggo in piedi», si lamentò Hime, raggiungendo a carponi gli spogliatoi.
«Ehi,
tu!», esclamarono gli altri tre, additandola. «Dove stai andando?!».
«…A
farmi una doccia?».
Hanamichi
le si buttò contro, facendole perdere l’equilibrio. «Facci entrare per primi,
Hicchan!».
«Scordatevelo!»,
decretò lei, cercando di non ridere alle facce disperate degli amici. «Andate,
va’!».
«Evvai!»,
gridarono i tre, abbracciandola e correndo verso le docce, per rinfrescarsi e
rilassarsi un po’. Se il pranzo non fosse stato tra meno di tre quarti d’ora,
era più che ovvio che sarebbero stati a mollo per tutto il pomeriggio.
«Ayako,
stai salendo in camera?», chiese Hime, strisciando verso l’amica.
La
prima manager neanche alzò lo sguardo sull’altra. «Ancora no. Akagi si è
incavolato anche con me e devo completare queste schede prima di pranzo».
«Gori,
sei un maledetto negriero!», gridò Hime alla volta degli spogliatoi, mentre
l’urlo disumano e parecchio scazzato del Gorilla risuonava per tutta la
palestra.
Hime
salutò l’amica, non prima di averle ricordato che, se fosse sopravvissuta agli
allenamenti pomeridiani, le avrebbe dovuto raccontare cosa diamine fosse
successo in camera loro quella notte.
La
rossa si avviò lentamente alla sua stanza, per farsi una doccia e buttarsi sul
letto. Se non avesse avuto la fame di un leone avrebbe ronfato fino al giorno
dopo, ne era più che certa. Fu la voce squillante e allegra della scimmietta
del Kainan a farle tornare un po’ più di vitalità.
«Ehi,
Hime! Tutto bene?», le chiese, avvicinandosi allegro.
Hime
gli si buttò tra le braccia. «Nobu! Aiutami tu!».
Kiyota
sorrise perplesso, stringendola tra le braccia. «Che è successo? Sei madida di
sudore… e io mi son appena fatto una doccia!».
La
ragazza si mise a ridere, sistemandosi meglio contro il petto del numero dieci.
«Akagi si è un pochino arrabbiato».
Nobunaga
arrossì un po’. «Per… il ritardo di ieri?».
«No,
fosse solo per quello! Ieri notte io, Hana e Hisashi siamo usciti in giardino
per distrarci un po’, mentre Ayako e Ryo-chan si son dati da fare mentre
eravamo via. E il Gori ha scoperto tutto!».
Nobunaga
scoppiò a ridere. «Quell’uomo sarà santificato, un giorno! Siete un casino
totale!».
«Ehi!»,
lo additò offesa. «Guarda che il senpai Maki mi ha raccontato di cosa tutto
deve fare pur di tenerti buono, durante gli allenamenti!».
Colto
nel vivo dell’orgoglio, la scimmietta arrossì ancora di più, borbottando contro
la rossa e il suo beneamato Capitano. Hime, d’altro canto, si mise a ridere,
schioccando un sonoro bacio sulla guancia del ragazzo. Quanto era tenero quando
si imbronciava!
«Non
pensare di scampartela con un semplice bacetto, ruffiana! Dopo il Capitano mi
sente!».
Qualche
manciata di secondi dopo, Nobunaga si ritrovò nel mezzo del corridoio a rispondere
a un bacio che era tutto un programma. Altro che semplice bacetto, quello! Bel
modo di farsi perdonare!
Inutile
dire che rimasero a scambiarsi effusioni fino a che la voce di Maki non li fece
impalare sul posto, rossi per l’imbarazzo.
«Ca-Capitano!
Proprio te cercavo!», fece Kiyota, mettendosi le mani sui fianchi.
Shin’ichi
lo guardò, curioso e divertito. «Ah, ma davvero?», disse incuriosito,
inclinando il capo.
«Io
vado a rinfrescarmi!», si dileguò, invece, la ragazza, facendo ridere il
ragazzo dalla pelle abbronzata e lasciando imbambolato l’altro.
Ah,
le donne!
*
«Checcosa?!», gridarono in coro i giocatori dello Shohoku,
che a stento credevano alle proprie orecchie.
«Non
voglio sentire storie, è chiaro? Andate a prendervi una bottiglia d’acqua, vi servirà»,
ghignò Akagi, con un sinistro sorrisino sulle labbra. «Vi voglio vedere nella
hall tra dieci minuti».
«È
impazzito completamente?», chiese Hime a un’Ayako, perplessa come lei.
La
ricciolina scrollò le spalle, interdetta. «Non pensavo sarebbe arrivato a
tanto!».
«Hime!»,
sbottò il Gori, con un diavolo per capello. «È sottointeso che andrai con loro
a correre. Ayako, tu ci seguirai con la bicicletta che metterà a disposizione
l’albergo. Ti occuperai di controllare la fine della fila, non vorrei che qualcuno
si perdesse per strada».
Le
due ragazze, così come l’intero squadrone dello Shohoku, continuavano a
guardare il proprio Capitano con gli occhi fuori dalle orbite. Ma quando se
l’era pensata una cosa simile? Voleva per caso vederli morire uno a uno e
toglierseli dalle scatole in modo pulito ed efficace?
Neanche
il mite Kiminobu Kogure osò ribattere alla decisione del centro. Del resto, se
Akagi aveva deciso che dovevano correre per l’aperta campagna, evidentemente
serviva per l’allenamento… no?
E
per fortuna loro dovevano correre in campagna. Non si erano mica dimenticati
della volta che li aveva portati a correre in spiaggia, dove dovevano
trascinarsi in una faticosissima sabbia e, dulcis in fundo, anche in acqua.
Almeno, il giorno si erano anche divertiti, tra bagni clandestini e gavettoni.
Ma
quando Takenori Akagi s’incazzava erano casini per tutti.
«Che
i Kami ci aiutino», mormorò Hime, seguendo i suoi amici per recuperare qualche
barretta calorica da portarsi dietro. Col caldo e l’umidità che c’erano quel
pomeriggio sarebbero morti tutti, chi disidratato, chi per mancanza di
zuccheri.
«Vuoi
che tenga una busta, dato che sono in bici?», chiese Ayako, aiutando la rossa a
racimolare qualcosa.
«Mi
faresti un immenso favore, Aya-chan! E magari mi trasporti anche sul
portapacchi, se sono troppo stanca, che ne dici?».
«E
no! Sul portapacchi ci sto io!», esclamarono in coro Hanamichi, Hisashi e
Ryota, guardandosi poi furenti.
L’unico
che sembrava sottomettersi a qualunque decisione di quel pazzo del Gorilla era
Rukawa, che in quanto ad allenamenti sfiancanti ci aveva fatto il callo. E poi
stimava troppo Akagi, per potergli andare contro in qualunque modo.
«Ede,
tu sai che mi dovrai portare in spalla, vero?», fece Hime, aggrappandosi al suo
braccio.
«Scordatelo».
«Grazie!
Lo sapevo che su di te potevo sempre contare!», cinguettò la ragazza,
saltellando allegra al suo fianco.
Prima
di partire in guerra, Akagi vide bene di mettere in chiaro le regole per
quell’allenamento speciale. «È assolutamente vietato allontanarsi dal gruppo.
Anche se non mi dispiacerebbe che qualcuno di voi si perdesse nel bosco»,
lanciò un’occhiata eloquente ai gemelli e agli altri tre casinari. «Vi
fermerete solo quando vi darò il permesso io e, sia chiaro, non tentate la
fuga, perché se vi scopro avete finito di vivere. Intesi?».
Hanamichi
richiamò l’attenzione del ragazzo. «La caccia è aperta?».
Decine
di sguardi lo osservarono perplessi. Per quanto fossero abituati al
comportamento strambo del loro numero dieci, non smetteva mai di stupirli.
«No.
Di grazia, perché?», sbottò Akagi, guardandolo di sbieco.
Il
rosso strinse i pugni, contrariato. «Accidenti! E io che volevo sparare al
Gorilla e farlo passare per un incidente!», borbottò Hanamichi, rivolgendosi ai
suoi compagni.
«Sakuragi!»,
gridò il diretto interessato, iniziando a rincorrere l’ala grande per tutto
l’albergo, tra le risate dei presenti.
«Però,
ora che ci penso l’idea di quel demente non è tanto male», fece Mitsui, con un
ghigno.
«Già…
anche se non credo che una semplice pallottola possa abbattere quel colosso di
Akagi», sospirò Ryota, avviandosi con gli altri verso la campagna.
Hime
si ficcò le mani in tasca. «Ci son sempre i tranquillanti, però».
«E
l’alcol», aggiunse la guardia, facendoli ridere.
«Ragazzi,
mi raccomando», fece Kogure, guardandoli supplichevole. «Comportatevi bene».
L’occhiata
che il gruppetto si scambiò non gli piacque per niente. Kogure, in cuor suo, lo
sapeva: quei pazzi stavano andando incontro ad una bomba atomica, pronta a
esplodere da un momento all’altro.
E
quando Akagi scoppiava, radeva al suolo tutto.
*
Era
passata un’ora abbondante da quando quel gendarme del Gorilla aveva dato inizio
alle danze. Li aveva fatti riposare cinque minuti e poi nuovamente tutti di
corsa. All’inizio non fu neanche tanto pesante correre tra la vegetazione. In
un certo senso era un tranquillante naturale respirare aria buona e muschiata.
Il problema iniziò a sorgere quando il caldo e l’umidità cominciarono a mietere
le prime vittime.
«Già
non ce la faccio più…», borbottò Hisashi, passandosi una mano sulla fronte
madida di sudore.
«Dai,
Mitchi!», fece Hana, battendogli una pacca sulla spalla. «Stringi i denti!».
«Ma
tu che fai? Ti droghi?», chiese Ryota, guardandolo di sbieco. «Vorrei avere
metà delle tue energie».
«Ahaha! E che ci posso fare se sono una roccia?».
Rukawa,
davanti a loro, sospirò mesto. «Ha iniziato a delirare».
«Che
cosa hai detto, tu?».
«Insomma,
voi due!», li rimbeccò Ayako, con il suo fedele ventaglio alla mano. «Volete
smetterla di sprecare fiato inutilmente?».
«Dici
così perché stai pedalando, Aya-chan!», fece Hime, tra il fiatone, stringendo
l’elastico della coda ormai quasi sciolta. «Se sopravvivo giuro che lo
avveleno, a quel Gorilla».
«Il
cianuro andrà bene?», le chiese Hisashi, voltandosi appena.
«Anche
una banana guasta funzionerebbe, secondo me», mormorò Hanamichi, facendoli
ridere.
Akagi,
sentendo tutto quel chiacchiericcio provenire dalle retrovie, si voltò
velocemente, fulminando con lo sguardo il gruppetto. «Riuscite a correre senza
parlare o è troppo complicato?».
«Crepa»,
borbottarono i tre scalmanati in punizione.
Ma
i veri problemi iniziarono solo mezzora dopo.
«Merda…
devo pisciare», biascicò Mitsui, mentre la corona di principino gli rotolava
via dalla testa.
«Vai
dietro un cespuglio!», gli suggerì Hanamichi.
Ayako,
dietro di loro, s’inalberò subito. «Non azzardatevi a fermarvi!».
«Sì,
e io la devo fare correndo, magari?».
«Arrangiati!
Sei grande e grosso per trattenerla ancora tre quarti d’ora!».
Hime
guardò l’amico ghignare spaventosamente. Qualcosa le diceva che non le avrebbe
dato retta facilmente.
E
infatti eccolo lì, che sgusciava via dal gruppo e si nascondeva dietro un
albero, nonostante i richiami di Ayako che temeva ripercussioni dal Capitano.
«Almeno
sbrigati!», fece Ayako, sbuffando. Quando voltò lo sguardo verso la stradina
battuta che stavano percorrendo, un particolare le saltò all’occhio. «Dov’è?!».
Ryota
alzò un sopracciglio. «Chi?».
«Oh
porca paletta…», mormorò Hime, fermando la sua corsa e guardandosi dietro.
«Vado a recuperare Hanamichi!».
«No,
Hime! Ferma!». Inutile. Andata anche lei. «No, Rukawa, tu stai fermo lì!».
Partito
pure lui.
«Ayakuccia,
io continuo a correre al tuo fianco, ok?», ciondolò Miyagi, con occhioni
luccicanti.
Ma
la manager non lo stava ascoltando. Stava pensando a una scusa da togliere
fuori quando Akagi si sarebbe accorto che quattro suoi giocatori si erano
allontanati dal gruppo. E quali giocatori, poi.
L’Apocalisse
stava per arrivare. Ne era certa.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Ritardo, tremendo
ritardo! È stata una settimana impossibile, credetemi! E la prossima sarà
uguale, con un esame alle porte! T_T Perdooooono, mie
carissime dilette! (_._)
Manythanks
to:
Miha_Chan: Dèi,
addirittura pianto! XD Sapevo di spararle grosse, ma non pensavo così tanto!
Oddio, quel gelato lo voglio mangiare anche io! *Q* Per la bevanda ti e vi
spiego come l’ho scoperta [dato che non sono per niente esperta di alcolici xD]: ho cercato un sito dove ci fosse un elenco di bevande
alcoliche, con inclusi i passi per prepararle e, leggendone i nomi, ho trovato
il Banana Split! È stato amore a prima vista… ho pensato: è perfetto per il
nostro amatissimo Gori! XD Quoto in toto per Hana e Hisashi…. *Q* Un bacione carissimaaaahhh! :****
lilli84: anche tu piangendo! Eh, ma ho fatto una strage! Non
volevo ç_ç! Come mi vengono in mente certe cose?
…ehm, segreto professionale. ù_ù ….Mwahaha! XD
kuro: awww!
Che cara! Sarai arrabbiata per il ritardo, allora! ç_ç
*me si fa perdonare strapazzandola* :D ps: sorry se ieri non ho risposto su msn,
ero fuori e mi son dimenticata di chiudere messenger!
xD Un beso! :*
Black_Moody: ahaha!
L’ho fatta proprio grossa con il capitolo precedente! xDEssì, dopo il romanticismo, una bella carrellata di
casino allo stato puro ci stava, per forza! E credo che continuerà ancora per
qualche capitolo! Adoro scrivere delle cazzate che potrebbero fare tutti
insieme… mi sembra di vederli veramente davanti ai miei occhi! *_* Ayako e
Ryota sono in silenzio stampa, ma non so quanto potranno continuare con Hime
alle calcagna… uhuhuh! Comunque, dato che sono una
persona che non si fa convincere facilmente… fammi vedere quelle foto!
*Q* XDDDD A presto, anche con i tuoi aggiornamenti! *me in trepida attesa* Un
bacione! :*
Un ringraziamento anche
a tutti i lettori anonimi! <3
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XX
Lost.
«Itai! Mitchi!», si lagnò Hana, massaggiandosi
la testa.
«Itai un corno!», sbottò l’altro, furente. «Perché quel
ramoscello non te lo ficchi dove dico io, anziché rompere le palle a chi sta
pisciando in santa pace?».
Il
rosso ridacchiò, ficcandosi le mani in tasca.
«Hanaaa!».
I
due spalancarono gli occhi, facendo sbucare la testa da dietro l’albero per
guardare una Hime che, allegramente, trotterellava tra un arbusto e l’altro.
Hisashi
dovette imbraghettarsi alla velocità della luce, se non voleva mostrare le sue
grazie alla rossa, mentre Hanamichi le piombò addosso, stritolandola in uno dei
suoi classici abbracci letali.
«Hicchaaan! Che ci fai qui? Potresti perderti!».
«Di
solito le scimmie hanno un buon senso dell’orientamento», fece una voce gelida,
dietro la ragazza.
«Aaah! Kitsune! Che ci fai anche tu qua?!».
Mitsui
corrugò la fronte. «Non è che devo farvi pagare il biglietto per vedermi a
braghe scese?».
«Hisashi!»,
esclamò Hime, tirandogli un calcio nel sedere.
«Ti
piacerebbe!», fece Hanamichi, che si beccò una pigna in testa.
E
mentre i due si scannavano all’ultimo sangue, Hime si sedette su una roccia che
sporgeva lì vicino. «Ragazzi, che facciamo? Io non ho pù
voglia di continuare a correre!».
«Giretto
panoramico?», propose il rosso, cercando di divincolarsi dalle grinfie della
guardia.
Rukawa
si poggiò al tronco dell’albero. «Se ci fosse un precipizio sarebbe perfetto».
«E
bravo Kit! Così ti ci butti e fai un favore all’umanità!».
I
tre scoppiarono a ridere, sotto uno sguardo finto-superbo di Kaede. Del resto
lo sapeva bene che andare in giro con quei folli significava ficcarsi
indissolubilmente nei casini più completi. Ma in cuor suo si divertiva
intimamente a passare guai con i due gemelli e l’altro pazzo scatenato di
Mitsui. E poi, doveva essere sincero: quella corsa pomeridiana aveva sfiancato persino
uno sportivo come lui.
«Oh,
guardate! Un ruscello!», esclamò Hime, balzando in piedi e trotterellando verso
una piccola discesa che portava a un fiumiciattolo di acqua tiepida.
«Dev’essere
quella che alimenta le terme», fece Hisashi, bagnandosi una mano. «A proposito
di terme, quando ci andiamo? Stanotte?».
«Se
Akagi non ci ammazza prima», commentò Hime, giocando con un ramoscello
sull’acqua.
Passò
qualche istante prima che Hime, Hisashi e Kaede si ritrovassero completamente
bagnati. Quando si voltarono verso Hanamichi, lo videro chino sulla riva, con
una mano immersa nell’acqua, pronta a schizzare nuovamente. Neanche il suo
sorrisone innocente e divertito servì a farli calmare.
«Hanamichi,
deficiente! È anche calda!», sbraitò imbestialito Mitsui, iniziando a
rincorrere l’amico.
Hime
osservò i due divertita, tra esclamazioni poco eleganti e calci che volavano a
destra e a manca. «Ragazzi, non allontanatevi troppo!».
«Hn. Non sarebbe male».
La
ragazza scosse la testa, riprendendo a guardare l’acqua che scorreva lentamente
davanti ai suoi occhi. Era incredibile quanto quel movimento e il suono che
produceva potessero tranquillizzarla.
«Gli
hai fatto trapiantare il cervello?», chiese d’improvviso Kaede, facendola
voltare verso di lui.
Hime
rimase un po’ stupita da quella domanda campata in aria, di colpo. Ormai si era
abituata a capire l’amico, ma non smetteva mai di lasciarla interdetta. Si
potevano contare sulla punta delle dita le volte che era stato lui a iniziare
un discorso che non lo riguardasse in prima persona. Non che in caso contrario
fosse un logorroico da oscar, intendiamoci.
La
rossa sorrise, ripensando alla sua Nobu-Scimmia. Perché era di lui che stava
parlando Kaede, lo sapeva. «Non è servito. Anche perché non credo mi farebbe
molto piacere essere considerata dopo un trapianto di cervello».
«Hn. A volte non basterebbe nemmeno quello», disse l’altro,
beccandosi una gomitata in pieno stomaco.
Restarono
qualche minuto in silenzio, ascoltando le esclamazioni di Hanamichi e Hisashi
in lontananza e il suono del ruscello sotto i loro occhi.
Fu
Hime ad interrompere quella tranquillità. «Ede… ti voglio bene», gli sussurrò,
sorridendogli.
Rukawa
la fissò enigmatico, senza dire nulla. L’unico gesto che le fece capire la
risposta fu un leggero sorriso, solo per lei.
*
Akagi
camminava avanti e indietro, sempre più nervoso, percorrendo lungo tutta la sua
interezza la hall dell’albergo. Se prima era incazzatissimo, ora era solo
molto preoccupato. Quei quattro incoscienti dei suoi compagni si erano
allontanati dal gruppo, perché ovviamente se lui diceva bianco loro facevano
nero. Ed erano già tre ore che non si vedevano. Era anche tornato personalmente
indietro per trovarli e appenderli a testa in giù per un albero, ma niente.
Spariti nel nulla.
La
cosa che più lo lasciava interdetto che in mezzo ci fosse anche Rukawa. Di
solito in quelle cazzate non si faceva mai trascinare. Di solito.
Ma
il Gorilla non era l’unico preoccupato: infatti, oltre lo Shohoku e la vecchina
dell’albergo che si stava dando da fare con le telefonate per chiamare soccorsi
(ci mancò poco che s’inforcasse un giubbotto e degli stivali per andare a
cercarli personalmente!), Nobunaga Kiyota era piantato davanti all’ingresso da
quando aveva avuto la bella novella. Sarebbe anche andato a cercarli da solo
pur di trovare Hime e assicurarsi che stesse bene, se non fosse stato per il
buon Maki che lo fece desistere. Del resto, conoscendo il suo numero dieci si
sarebbe perso anche lui.
«Ma
porca paletta, se non si cacciano nei guai non sono contenti!», stava
sbraitando Ayako, mani sui fianchi e viso rivolto verso quella che sembrava la
direzione per la campagna.
«Stai
tranquilla, Ayakuccia! Almeno ce li siamo levati da mezzo!», fece Miyagi per
scherzare, facendo annuire però il Capitano.
«Ma
davvero!», infatti esclamò, furente. «Appena mi capitano a tiro non so cosa gli
farò! Anche se credo che una pallottola in mezzo alla fronte vada più che bene».
Kogure,
al suo fianco nel vano tentativo di calmarlo, sorrideva sereno, continuando a
ripetergli di non preoccuparsi, che erano grandi e grossi e che sarebbero
tornati in albergo al più presto. «Magari si stanno facendo solo una scampagnata,
Takenori!».
«Scampagnata
un paio di palle! Sono le sette e mezza di sera!».
Il
Quattrocchi, temendo l’espressione diabolica e spaventevole del King Kong, fu
costretto ad arretrare di qualche metro. Ohi ohi,
poveri ragazzi! Non avrebbe voluto essere al loro posto, una volta rientrati in
albergo!
Ebbero
loro notizie quando intravidero le loro sagome comparire sull’orizzonte,
tranquilli come se niente fosse: Hisashi mani in tasca e viso dallo sguardo
truce come sempre; Rukawa mezzo addormentato con una bolla sul naso; e infine
Hanamichi, che con un’espressione un po’ più tesa teneva sulle spalle l’altra
casinista del gruppo.
Akagi
non ebbe neanche la forza di prenderli a voci e cambiargli i connotati quando
si accorse che il piede della ragazza era fasciato alla carlona con la
ginocchiera della guardia e il polsino, più stretto, dell’ala piccola.
«Dove
diavolo eravate finiti? Hime, che ti sei fatta?», chiese brusco, sorpassato
immediatamente dopo dalla scimmietta del Kainan.
«Ehi,
rosso-scimmia, che l’è successo?», chiese preoccupato Kiyota, guardando la
caviglia della ragazza.
«Secondo
te?», sbottò il rosso, portandola dentro l’albergo.
Hime
gli sorrise, tranquillizzandolo. «Solo una piccola storta! Se non ingigantiscono
le cose, questi qui, non sono contenti».
«Ehi,
bel ringraziamento!», esclamarono offesi Hanamichi e Hisashi, mentre Rukawa si
limitava a lanciarle un’occhiataccia gelida.
«Vedi
di non sporcarmi il polsino», le disse, dirigendosi verso la sua camera, senza
neanche sentire le urla di Akagi che gli sbraitava contro. In risposta
ricevette solo una linguaccia divertita.
Ayako
si avvicinò ai fratelli, arrabbiata. «Complimenti, eh! Eravamo tutti in
pensiero!», gridò, tirando un colpo di ventaglio ai due. Risparmiò la testa di
Mitsui solo perché era un suo senpai, altrimenti avrebbe fatto brutta fine
anche lui.
Hime
venne portata in camera sua, dove Ayako le fasciò per bene la caviglia. Era
solo un po’ gonfia e arrossata, ma fortunatamente non sembrava niente di
preoccupante. Probabilmente quel venerdì avrebbe anche potuto giocare
normalmente.
«Ma
si può sapere come te la sei fatta?», le chiese la manager, assecondata da
Kiyota, seduto al suo fianco.
Hime
si grattò la nuca, imbarazzata. «Ecco, stavamo camminando tranquillamente alla
ricerca dell’uscita da quel labirinto–».
«Maledetti
incoscienti e deficienti!», borbottò Akagi, che faceva scivolare lo sguardo
dalla ragazza agli altri due screanzati Hanamichi e Hisashi.
«–quando
Mitchi mi ha fatto un simpatico scherzetto che mi ha fatto perdere anni e anni
di vita», continuò la rossa, lanciando un’occhiata al diretto interessato, che
ghignò noncurante.
«Che
scherzo?», chiese Ryota, seduto nell’altro letto a gambe incrociate.
«Mi
ha gridato dietro che stavo per schiacciare una mantide religiosa e ho fatto un
salto di cinque metri!», borbottò la ragazza, facendo sghignazzare sempre di
più Hisashi.
«Ha
lanciato un urlo disumano, non l’avete sentito?», chiese innocentemente
l’ex-teppista.
«Ed
è caduta come una pera, giusto?», concluse Ayako, scuotendo la testa.
«Poteva
farsi male seriamente», fece Hanamichi, guardando arrabbiato l’autore dello
scherzo.
«Su,
su, ragazzi! Non è nulla di che!», esclamò Hime per sdrammatizzare. «Quando
potrò camminare per bene lo ammazzerò di botte, tranquilli!».
Hisashi
le si avvicinò per darle un bacino sulla guancia e mormorarle uno “scusami”
sommesso, che fece andare su tutte le furie Nobunaga per la gelosia.
I
presenti sorrisero, tranne Akagi che si stava preparando il cazziatone
dell’anno. «Mi spiegate come diavolo devo fare con voi?».
«Semplice,
non devi fare!», disse convinta Hime, beccandosi uno sguardo fulminante da
parte del suo capitano.
Mitsui,
alzando le braccia al cielo, esclamò: «Ehi, Akagi! Io dovevo pisciare! Mica
potevo farmela addosso!».
«La
prossima volta ti compro un pannolino, va bene?», lo schernì il Gorilla, con un
sopracciglio alzato.
«O
un catetere, tu che te ne intendi!», fece serio Hanamichi, beccandosi un
poderoso pugno sulla capa rossa e suscitando l’ilarità di tutti i presenti.
Akagi
sospirò mesto e seriamente stanco di dover fare da balia a quei mascalzoni. Si
passò una mano sul viso, come per ripulirsi dall’ennesimo casino di quella
sera. «Ragazzi, facciamo così. Siete stanchi e io lo sono il triplo di voi,
quindi domani faremo allenamenti solo di mattina, ok?».
Si
morsicò la lingua pur di non ululare dal disappunto, quando i suoi ragazzi
gioirono con grida e battiti di mani. Hanamichi, addirittura, gli si buttò tra
le braccia per ringraziarlo.
«Ehi,
così non vale!», sbottò Nobunaga, incrociando le braccia imbronciato.
Hime
gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia. «Su, su! Verrò a sostenerti agli
allenamenti pomeridiani, non sei contento?».
«Contentissimo»,
fece sarcastico lui, reprimendo un lieve rossore sulle guance.
Il
Gorilla, prima di andarsene, li bloccò con un gesto della mano. «Vi sto dando
l’opportunità di sbollirvi un po’, da dopodomani si ricomincia. Non fatemene
pentire, intesi?».
La
risposta fu quella che si sentirebbe in un campo d’addestramento militare.
«Sissignore!».
Dopo
cena nessuno dei giocatori dello Shohoku ebbe la forza fisica ne morale di
muoversi dall’albergo o di fare qualche cazzata. Solo qualche componente del
Kainan decise di farsi un giro per il paese e distrarsi un po’. Gli altri
optarono tutti per una bella chiacchierata in tranquillità nel giardino, tra
risate e battute.
Nobu
e Hime, dato che non erano potuti uscire insieme come avevano deciso, causa lo
scazzo del Gorilla, si erano limitati a starsene seduti uno tra le braccia
dell’altro, spettatori dei discorsi degli altri. Del resto, la ragazza doveva
stare comoda e sdraiata per non sforzare troppo la caviglia… scusa banalissima
che Kiyota aveva tolto fuori per tenersela stretta a se contro il suo petto,
completamente perso nel suo profumo. Mica era scemo, lui.
«Comoda?»,
le soffiò nell’orecchio, facendola rabbrividire.
Hime
chiuse gli occhi, sistemandosi meglio tra le sue braccia. «Uhm… potrei
relegarti a cuscino, in futuro».
«A
pagamento?».
«Mi
paghi per farmi da cuscino? Grazie!».
Kiyota
le diede un pizzicotto sul fianco, facendola ridere. «Baka! Intendevo il
contrario!».
«Ehi,
Nobu-Scimmia!», lo richiamò Hanamichi. «Non stare così attaccato alla mia
Hicchan!».
Molti
rotearono gli occhi esasperati (era la decima volta in cinque minuti che glielo
ripeteva) e, ovviamente, Kiyota vide bene di sorridere provocatorio e stringere
la ragazza ancora di più.
«Guarda
che la stritoli, se continui così», disse Mitsui, guardando la scimmietta.
«Magari!»,
fece maligno Akagi.
«Ah,
è questo tutto il bene che mi vuoi, Gori?», esclamò melodrammatica la rossa,
facendo scendere un gocciolone in testa al diretto interessato.
«Non
scambiare l’affetto con l’odio, demente di una ragazza».
«Demente
a chi?!», sbottarono le due scimmie della situazione, mentre gli altri
scuotevano la testa rassegnati.
Akagi
chiuse gli occhi, contando mentalmente fino a dieci, poi venti, cinquanta,
cento… sarebbe arrivato anche a un milione, pur di non perdere la calma.
Altrimenti col nervoso e l’emicrania che si ritrovava era sicuro che li avrebbe
fatti fuori una volta per tutte.
Rimasero
in giardino ancora un po’, tranne Hime che si era addormentata beatamente
contro il petto del ragazzo, che, salutando tutti, si era fatto dare le chiavi
della camera da Ayako e ve l’aveva portata in braccio, tra gli sbraiti di Hanamichi
che temeva il peggio. Del resto, neanche Hisashi aveva fatto niente per
tranquillizzarlo. “Io, al posto tuo, non mi fiderei a lasciare la scimmia
solo con Hime… per giunta in camera da letto!”.
Intanto
Nobunaga, con la ragazza tra le braccia, riuscì a stento ad aprire la porta
della camera e, cercando di non svegliarla, l’adagiò sul letto, coprendola con
il lenzuolo. Rimase a osservarla per qualche istante, sorridendo. Com’era
piccola e tenera, mentre dormiva. Aveva un delizioso sorriso sulle labbra e
un’espressione rilassata e beata in viso. Le scostò una ciocca rossa di capelli
dal viso, carezzandole poi una guancia. Chi avrebbe mai detto che quella fosse
la peggior peste che avesse mai conosciuto, insieme al fratello?
Hime
si mosse leggermente, stringendosi al cuscino. «Nobu…».
Kiyota
sussultò nel sentirsi chiamare nel sonno. Lo stava sognando, per caso?
Sorrise,
intimamente contento. L’avrebbe voluta abbracciare a sé, tenerla contro il suo
petto tutta la notte, guardarla dormire beatamente tra le sue braccia… ma si
limitò a chinarsi su di lei, dandole un piccolo bacio sulla tempia, e uscì
dalla stanza, felice come non mai.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
E dopo l’ennesima
settimana estenuante, finalmente in vacanza! O “vacanza” tanto per dire, dato
che devo studiare come una matta! e_e”
Non so quando
aggiornerò, ma non disperate (??), massimo entro due settimane! :)
Many thanks to:
Black_Moody: credo che il Gori, al
rientro dal ritiro, dovrà farsi diverse sedute dallo psicanalista, perché ne
sta uscendo matto, povero ragazzo! ;O; Non so neanche quanto gli sia convenuto
a lasciare il pomeriggio libero a quegli animali dei suoi compagni… O almeno,
io lo so, lui ancora no! XD A presto carissima! :*
lilli84: ehehe! Grazie bella! :*
gaara4ever: carissima! quanto tempo! *O* Grazie mille!
^-^
Miha_Chan: così però mi
imbarazzo, eh! Mi stai dicendo che faccio più ridere del Sensei? Giammai! ù///ù
E… Hisashi e Hana… come ti capisco! *Q* Un bacione bella! :***
kuro: il Gori qualcosa
doveva fare per sedarli un po’… anche se, a quanto pare, non è servito molto,
vabbè! XD Grazie, grazie! Gentilissima come sempre! :*
Un ringraziamento anche
a tutti i lettori anonimi! <3
Colgo l’occasione per
augurarvi un Felice
Natale e Buon Anno Nuovo [se non dovessi aggiornare
entro il 2008!]!
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo XXI
An evening with her… bye bye!
Assistere
agli allenamenti del Kainan fu istruttivo quanto distruttivo.
Istruttivo
per il Gorilla dello Shohoku che, vedendo con che tenacia e decisione Maki
allenava i suoi compagni, affiancato ovviamente dal severo Takato, ne trasse
numerosi spunti per la sua squadra. Il Kainan King era conosciuta ovunque per
la sua rapidità e gli allenamenti a cui erano sottoposti i suoi giocatori erano
sfiancanti, ma soprattutto ottimi. Non per niente era una delle squadre più
forti del Campionato Nazionale.
Distruttivo,
invece, per i ragazzi dello Shohoku che, vedendo da una parte il Kainan che si
allenava e dall’altra l’espressione diabolica di Akagi, capirono che le loro
mattinate e serate passate in palestra sarebbero state un tantino più pesanti.
Era faticoso soltanto guardarli, figurarsi allenarsi con quei ritmi!
«E
noi che ci lamentavamo di Akagi», biascicò Hisashi, corrugando la fronte.
Sarebbe dovuto andare a correre la mattina presto, per aumentare la sua
resistenza. Altrimenti era sicuro che non avrebbe retto.
«Già…
quella vecchia ciabatta ci da dentro!», esclamò Hanamichi, che si beccò un
colpo dalla prima manager.
«Ma
porca paletta, Hanamichi! Un po’ di rispetto per un tuo senpai!».
«Do’aho».
«E
zitto tu!».
«La
volete smettere?».
I
ragazzi del Kainan si voltarono verso le panchine, per osservare perplessi quei
particolari spettatori che gli erano piombati in palestra alle tre del
pomeriggio in punto.
«Ehi,
Rosso-Scimmia! Tappati la bocca, ci stiamo allenando!», gridò Kiyota, da fondo
campo, mentre si sistemava la fascia viola sulla fronte.
«Tanto
non ti serve a niente, babbuino!», replicò l’altro, scatenando la solita reazione
a catena.
…Che
finì con un bel pugno in testa ad entrambi.
Rossi
per l’affronto, i due si guardarono in cagnesco, poi uno riprese ad allenarsi e
l’altro a braccia incrociate e visino imbronciato a bordo campo.
Hime,
seduta tra il fratello e Ryota, guardava interessata lo stile del Kainan.
Scatti, salti, ancora scatti, passaggi rapidi, canestri, nuovamente scatti,
attacco e difesa… era incredibile quanto quei ragazzi reggessero quei ritmi
incalzanti. Maki era un ottimo capitano, carismatico e severo al punto giusto.
Sapeva cosa voleva e come ottenerlo. La ragazza sorrise, ammirata. Valeva
proprio il titolo di Most Value Player della
Prefettura, non aveva dubbi.
Ma
ancora più ammirata guardava gli altri giocatori, instancabili, veloci, decisi
a diventare sempre più forti. Tra loro come non notare la sua scimmietta, che
come un fan sfegatato, pendeva dalle labbra del suo Capitano? Qualunque cosa
gli dicesse di fare lui la eseguiva immediatamente, chiedendo subito dopo come
fosse andato e cosa dovesse migliorare. Ed era tenerissimo quando veniva
rimproverato dallo stesso Maki perché sorpreso a guardarla, sognante come un
bambino. Per non parlare di quanto si stesse mettendo in mostra. Durante la
partitella di allenamento, infatti, correva da una parte all’altra, inveendo
contro i compagni per passagli la palla e segnando dunk ogni qual volta ne
avesse avuto la possibilità. Era egocentrico, ma solo un pochino!
Appena
gli allenamenti finirono, Nobunaga ebbe ancora le forze per precipitarsi
allegro verso le docce, con l’intento di rinfrescarsi per bene, vestirsi a
puntino e starsene in santa pace con la sua Hime. Certo, non poteva portarla a
fare una passeggiata in paese come l’ultima volta per via della caviglia un po’
dolorante, ma aveva già una mezza idea sul come rimediare alla cosa. Del resto
lui era Nobunaga Kiyota, pensava sempre a tutto, lui! Era o non era il
migliore?
La
trovò seduta sempre sulla stessa panca, con il fratello sdraiato sulle sue
gambe, entrambi intenti a chiacchierare con Mitsui. I ragazzi non si accorsero
di lui finché non arrivò tutto balzante e pimpante. «Ehilà, scimmia! Mitsui!»,
salutò allegramente, mentre Hanamichi scattava in piedi per cantargliene
quattro. Nobunaga, invece, focalizzò la sua attenzione sulla rossa, che li
guardava divertita. «Ciao Hicchan!».
«Ehi!
Solo io posso chiamarla Hicchan!»,
sbraitò Sakuragi, sotto lo sguardo truce di Hisashi, a cui stava iniziando un
bel mal di testa a velocità record.
«Sono
o non sono stato il migliore in campo, prima?», continuò orgoglioso il dieci
del Kainan, rivolto alla ragazza.
Mitsui
si passò una mano sul viso. Non solo doveva sorbirsi gli sproloqui di
quell’esagitato del compagno di squadra, ora ci si metteva anche quell’altra
scimmia del Kainan! Quei due avevano il potere di portare all’esaurimento
nervoso chiunque si trovasse nel raggio di cinque chilometri da loro. A volte
non riusciva neanche a capire come Hime potesse sopportare il fratello
ventiquattro ore su ventiquattro, figurarsi se ora si ritrovava un altro pazzo
come fidanzato!
«Ma
quale migliore e migliore! Dovresti vederti, scimmiottando di qua e di la verso
il Nonno Maki!», esclamò Hanamichi.
E
mentre Kiyota gli saltava addosso per riempirlo di botte e Hisashi si alzava e
si allontanava con fare indifferente, Hime arrossì di vergogna per il fratello.
In quel momento, infatti, stava facendo la sua comparsa proprio il buon vecchio
capitano del Kainan, che seriamente stava iniziando a mettersi problemi sulla
sua forma fisica.
«Ma
ho anche capelli bianchi?», chiese Shin’ichi a Takasago al suo fianco, che non
fece in tempo a rispondergli perché la voce squillante di Hanamichi glielo
impedì.
«Eh,
Nonnetto! Se controlli bene ne troverai anche parecchi! Per non parlare delle
rughe!».
«Hanamichi!»,
si lamentò la sorella, mentre un Maki avvilito tornava velocemente negli
spogliatoi per controllare i segni della vecchiaia.
Quando
l’ambaradan si concluse con le due scimmie ansanti sul parquet della palestra,
Hime si alzò a fatica, mettendosi le mani sui fianchi. «Hana, possibile che non
riesca a tenere a bada la lingua?», disse con un sospiro, guardando mesta il
fratello. «Se non fosse che ti adoro, mi vergognerei di esserti sorella».
«Hi-Hicchan!»,
piagnucolò il rosso, saltandole addosso per cercare affetto.
«E
a me? A me? Mi adori?», chiese geloso Nobunaga, aggrottando triste le
sopracciglia.
«Pussa
via, scimmia!», esclamò Hanamichi, agitando le mani per allontanarlo. «Hicchan
adora me, ed è anche mia sorella! Fatene una ragione!».
Hime
scosse la testa, mentre Nobunaga sorrideva malizioso. «Sul fatto che non sia
mia sorella mi solleva, e non poco! L’incesto non è una bella cosa!».
«Nobunaga!»,
scattò lei, arrossendo fino al midollo, mentre Hanamichi, fumante come una
teiera, sbraitava incessantemente.
«Argh! Maledetto depravato!».
E
nuovamente giù a insultarsi e a pestarsi, sotto lo sguardo rassegnato di una
povera Hime che, mestamente, si risedette sulla panca, in attesa che quei due
smidollati la finissero di bisticciare. Dovette aspettare parecchio, dato che
le scimmie in questione riuscirono anche a litigare su chi dei due dovesse
portare in braccio la ragazza, dato che “non poteva camminare agevolmente”.
Peccato che l’idea fosse stata di Kiyota che si vide la ragazza letteralmente
rubata dal fratello indemoniato.
«Accidenti
a te, Rosso-Scimmia!», esclamò Nobunaga arrabbiato e offeso, che gli camminava
a fianco con un viso più che imbronciato. E lui che voleva tenersela sulle
spalle tutta la sera! Era stata sua l’idea, sua!
Hanamichi,
in risposta, gli fece dondolare il medio sotto al naso. «Ahaha!
Crepa!».
Hime,
stretta al collo del fratello, gli tirò un buffetto in testa, rivolgendo un
sorrisone al moro. Che dopo due secondi partì bel bello per la tangente.
Il
problema, per la piccola scimmietta, non era solo il fatto che quel rossino
della malora gli avesse fregato la ragazza, no. Il fatto che più lo fece
imbestialire era che con loro si fossero aggregati come due cozze agli scogli
anche Mitsui e Miyagi. Gran bella rottura, dato che i due non stavano facendo
altro che scannarsi ogni tre per due, da bravi migliori amici. Dietro di loro,
pronta a far risuonare il suo micidiale ventaglio per le stradine del
villaggio, camminava Ayako, affiancata dalla ciliegina sulla torta: signori e
signore, Kaede Rukawa!
Seratina
romantica: tristemente andata a farsi friggere.
Inutile
dire che Nobunaga continuò a borbottare come uno schizofrenico fino a che non
arrivarono a un locale tranquillo, dove faceva bella mostra di sé un tavolo da
biliardo. Da incazzato nero che era, divenne sorridente come una pasqua, tanto
che gli amici lo guardarono preoccupati, temendo qualche diavoleria di lì a
poco. Ebbene sì, Nobunaga Kiyota adorava giocare a biliardo e non se la cavava
neanche tanto male, a dirla tutta! Quello sì che era il momento giusto per
dimostrare al mondo che, non solo era un giocatore di basket formidabile, ma
che le sue doti andavano ben oltre il parquet della palestra!
«Aww! Biliardo! Non ci ho mai giocato!», esclamò Hime,
saltellando su una sola gamba verso il tavolo verde.
Kiyota
stava per aprir bocca e presentarsi trionfante come il suo nuovo insegnante, ma
la voce pimpante del fratello lo zittì in men che non si dica. «Ahaha! Non preoccuparti, Hicchan! Il sottoscritto ti
insegnerà l’abcd del biliardo!».
Ryota
alzò perplesso un sopracciglio. «Sai giocare?».
«Certo
che no!», rispose candidamente il rossino, con un sorrisone più grande di lui.
«Ma sono un genio, non sarà così difficile, no?».
Ai
presenti scese un bel coccolone davanti alla spudoratezza del rosso, che
continuava a ridere come un deficiente e a blaterare cose insensate come “Il segreto di un buon biliardista è quello di far girare le palle nel
verso giusto! Ahaha!”.
“Eccome se ci riesci”, aveva saggiamente detto
Rukawa, facendo rotolare dalle risate Hisashi e Ryota.
Nuovamente
Kiyota stava per parlare, ma questa volta a zittirlo fu Mitsui. «Hime, lascialo
perdere quello lì. Ti insegno due mosse io, se aspetti tuo fratello stai
fresca!».
Con
quasi le lacrime agli occhi e la bocca spalancata per essersi visto la ragazza
sottratta dall’altro maniaco del gruppo, Nobunaga strinse i pugni, deciso a
farsi valere una volta per tutte.
«Ehi,
chiudi quella bocca. Hai un’espressione da ebete».
Eh,
no. Accettava tutto, ma non prese per i fondelli dal suo acerrimo nemico,
Rukawa! «Che hai detto?!», gridò, con gli occhi infuocati.
«Nobu-chan,
tu non giochi?».
E
nel sentire la voce dolce e soave della sua musa ispiratrice, il numero dieci
del Kainan tornò mansueto come una scimmietta ammaestrata nel giro di due
millisecondi. «Ma certo, Hicchan! Stavo giusto per dirti che–».
«Sei
una pippa e vuoi che ti insegni qualcosa io, vero?», fece saputello Hanamichi,
battendogli amichevolmente una pacca sulla spalla.
Ci
mancò poco che Kiyota gli spalmasse sul muso tutte e sedici le palle che, si
sa, non sono tanto leggere. «Veramente dovresti imparare tu, da me, caro il mio
Sakuragi!».
«Ecco
l’altro invasato», fu il serafico e puntuale commento di
Kaede, che veramente stava rischiando l’incolumità, a sua insaputa. «Due idioti
al prezzo di uno».
«Checcosa?!», esclamarono in coro i due idioti della
situazione, facendo sospirare gli altri e i pochi presenti nel locale.
«Fatevi
riconoscere anche qui, mi raccomando», li rimbeccò Ayako, mentre Ryota al suo
fianco si perdeva tra i suoi boccoli.
Hime
scosse la testa, divertita. «Allora, si gioca a squadre?».
«Io
sto con te!», esclamarono in brodo di giuggiole le due scimmie del gruppo, che
poi videro bene di riempirsi d’insulti due secondi dopo.
Dovettero
passare tre ore e mezza affinché si calmassero le acque e
creassero civilmente due semplicissimi gruppi. Il primo duo vedeva Hisashi,
spavaldo all’inverosimile, e Rukawa, sull’orlo di un bel sonnellino
pomeridiano; il secondo formato proprio dalle due scimmie, dato che Hime, per
riappacificare le teste calde del fratello e del ragazzo, si era fatta da
parte, decretando che avrebbe provato due tiri più tardi. Su chi, poi, avesse
dovuto insegnarglieli, questi due benedetti tiri, ci sarebbe stato da ridere
nuovamente.
Inutile
dire che passò un’altra mezz’ora per decidere chi dovesse battere per primo tra
Hanamichi e Nobunaga, dato che avevano vinto a “testa o croce”.
«Ehi!
Ho il diritto di battere io!», stava esclamando la scimmietta del Kainan. «E
anche il dovere, se non voglio che la palla bianca finisca in buca per colpa
tua!».
«Aha!», schioccò le dita il rosso. «Cos’è? Abituato a
battere, Nobu-scimmia?».
«Checcosahaidetto?!».
«Oh
Kami, fulminateli!», pregò Ayako, alzando gli occhi al cielo.
«Ma
davvero!», annuì Ryota, al suo fianco come fedele compagno. «Hai proprio
ragione, Ayakuccia!».
La
prima manager lo guardò di sbieco. «E per darmi ragione è necessario che mi
metta un braccio sulla spalla?».
«Ayako!
Che tatto!», esclamò ridendo Hime, mentre il play dello Shohoku si faceva
piccolo piccolo e rosso peggio dei capelli dei
Sakuragi.
Gli
unici due che guardavano il battibecco in silenzio erano Hisashi e Rukawa, che
più che osservare passivi e sopportare tutto quel casino, stavano pensando a un
modo per placare quelle teste calde.
E
infatti ecco che, con un colpo secco e ben piazzato, batterono in sincrono
contro due palline, che finirono bel belle sui musi delle due scimmie in
questione.
«Porca
vacca, Mitsui! Mi hai fatto male!», piagnucolò Nobunaga, portandosi le mani sul
viso.
La
guardia ghignò. «Ma no?».
Chi
invece passò direttamente dalle parole ai fatti fu Hanamichi, che ingaggiò,
ovviamente, lotta libera contro il volpino.
«Ce
la faranno a giocare?», chiese Ayako, incrociando le braccia e guardandoli
mesta. «Che branco di caproni».
«Ci
vorrebbe Akagi, ora», disse sospirando Hime.
Un
brivido corse lungo la schiena dei nostri eroi, al solo pensiero di quello che
avrebbe potuto fare il Gorilla in quel momento, sapendo anche che ormai il
limite della sua sopportazione era superato da tempo.
«Non
dirlo neanche per scherzo», fece Mitsui, poggiandosi sulla sua stecca. «Quello
scimmione è capacissimo di comparire da un secondo all’altro e stenderci tutti
a suon di pugni».
«Come
se ti facessero male, poi», disse sarcastico Miyagi, che due secondi dopo la
provocazione all’amico, se lo ritrovò addosso mentre gli sfregava un pugno tra
i capelli.
«Ecco,
sono belli che andati anche questi due», decretò Ayako, sedendosi sul divanetto
lì vicino e guardando impietosita lo “spettacolo” che aveva davanti: Hanamichi
e Rukawa, i due migliori nemici, che se le davano di santa ragione; Mitsui e
Ryota che si davano amichevoli pacche sulle spalle, che di
amichevole non avevano nulla, Hime che guardava divertita tutto quel macello, e
Kiyota che guardava Hime trasognato. Quella fu l’unica scena che la fece ridere
di cuore, pensando a quello che probabilmente la scimmietta aveva avuto in
mente per passare la serata con l’amata, e che invece era andato in frantumi
nel momento in cui si erano uniti a loro.
Scosse
la testa, pensando ai ragazzi. Decisamente quello era un branco di caproni.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Salve a tutti, cari
lettori e lettrici!
Passato un buon
Capodanno? Spero di sì! *O*
Vi annuncio già da ora
[così vi preparo alla notizia brutta brutta] che
questo mese sarò mooooltomoooolto
impegnata con ben quattro, e ripeto, quattro esami da preparare. E mica
piccoletti, no. ç_ç
Quindi se dovessi
tardare con gli aggiornamenti non preoccupatevi, son solo sommersa di studio
fino al collo! X°D
Manythanks
to:
Miha_Chan: Carissima! :*
Sopravvissuta sei? xD Solo una cosa: grazie. :)
[questo è il famoso capitolo dove mi hai sbloccata! Ringraziatela tutti!!] x*
lilli84: Arigatoo, lilli-san!
Buon anno anche a te! :*
Black_Moody: eheh,
piaciuto il discorso con Kaede? Non nego che mi sia passato per la testa
qualcosa di malefico, qualche tempo fa… devo solo ragionarci bene. XD Nobu-chan
questa volta stava per scoppiare veramente… ma di nervi, però! Poveretto, non
gliene va bene una! ;___; [anche se sono io che non gliene faccio andare una,
vabbè XD] E’ così puccho, quel ragazzo, che mi
diverto troppo a trattarlo male! *o* Un bacione grande, cara! :*
Un ringraziamento anche
a tutti i lettori anonimi! <3
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XXII
‘cause I’m
a Genius!
Finalmente
il tanto agognato venerdì per la partitella tra veterani e matricole era
arrivato. Non dopo una mattinata intensiva di allenamenti supplementari da
parte dei due capitani, che instancabili, avevano fatto sgobbare i nostri eroi
senza ritegno alcuno. Inutile dire che il Gorillone, in particolare, si beccò
tante ma tante di quelle maledizioni che avrebbero fatto impallidire anche il
simpatico Tetsuo, l'amico teppista di Mitsui.
«Oh noo!», stava sbraitando Hanamichi, sbracciandosi per
enfatizzare al meglio il suo disappunto. «È già tanto se devo stare in squadra
con quella mezza cartuccia di Rukawa... ma anche la scimmia no!».
«Ecco, lo
sapevo», fece Ayako, abbassandosi il berretto sugli occhi, per nascondersi da
quella scena che aveva tanto temuto.
«Scimmia a
chi?!», esclamò l'altro invasato, saltando da una parte all'altra del rossino
con un viso più che imbronciato.
“Mezza cartuccia?”, stava intanto
pensando il volpino di turno, scrollando la testa mestamente.
«Andiamo,
ragazzi! Non facciamo scenate inutili!», cercò di rabbonire le due scimmie il
mite Kogure, beccandosi un colpo involontario dal braccio lunghissimo di
Hanamichi, che stava continuando a blaterare senza che nessuno lo ascoltasse
realmente sulla sua genialità e le solite cose che amava tanto dire.
Hisashi,
che nel frattempo si stava facendo due tiri da fuori area, dopo aver centrato
l'ennesimo tiro, si mise le mani sui fianchi, rivolto a Jin. «Sembra che oggi
saremo alleati».
La guardia
del Kainan sorrise tranquillo, facendo spallucce. «Già. Ma non credere che non
mi darò da fare per batterti».
L'altro lo
guardò in segno di sfida, stringendogli la mano. «Chi vince paga da bere».
«Da bere un
corno!», sbraitò King Kong, tirandogli uno scappellotto sulla nuca. «A meno che
non sia cianuro, allora fai pure».
Se Ryota,
da buon amico, non avesse trattenuto per la collottola l'amico, aiutato anche
da Jin, era più che sicuro che Hisashi sarebbe saltato addosso al Capitano e
gliele avrebbe cantate alla grande. Nessuno, però, ebbe il coraggio di
immaginarsi la scena.
Nel
frattempo Hana e Nobu stavano ancora bisticciando come due allegre bisbetiche,
inconsapevoli dell'incazzo che stava salendo a livelli esorbitanti ai Capitani
delle rispettive squadre.
Quando Hime
fece il suo trionfale ingresso nella sua adorabile divisa mascolina, le cose
non andarono certo meglio: le due scimmie in questione, infatti, si
precipitarono di corsa verso di lei, facendo a gara su chi sarebbe arrivato
prima alla meta per stritolarla bene. I presenti si videro la scena davanti
come in un film... Hanamichi che spingeva Kiyota... Kiyota che lo
strattonava... un piede in mezzo che faceva lo sgambetto... un pallone volato
in mezzo alle loro gambe accidentalmente... le due scimmie che facevano il volo
del secolo, schiantandosi per terra dopo interminabili secondi in piagnucolii e
mugugni.
Inutile
dire che il coro di risate che si alzò da lì ai successivi venti minuti fu una
vera e propria standing ovation.
Hime guardò
i due colpevoli in questione, Kaede e Akagi, che parlottavano tra di loro senza
curarsi minimamente della frittata di scimmia che era sparsa sul parquet.
Un'altra bella coppia, quella! Si chinò sui due malcapitati (che, in effetti,
un po' se l'erano cercata) e con un sorrisone furbetto esclamò: «Ma che belli i
miei tesori! Abbracciati in terra proprio come due amiconi!».
Se non
fosse stata una donna, Hime si sarebbe sicuramente ritrovata un pallone da basket
al posto della testa.
«Allora,
vogliamo fare le squadre?», esclamò Ayako, attirando l'attenzione dopo aver
fischiato.
La mandria
di cestisti le si avvicinò ubbidiente, borbottando tra loro.
«Dunque,
sul fatto che dovete dividervi in matricole e veterani non credo ci siano
problemi», fece la bella manager, guardandoli attentamente.
«Forse lui
ha bisogno di un disegnino!», esclamò Nobunaga, indicando il rossino al suo
fianco.
«E tu hai
bisogno di un medico bravo, deficiente!», lo rimbeccò Maki, facendolo arrossire
come un bambino.
«Ahaha! Sei proprio una schiappa, Nobu-scim–!».
Come non
detto, il pugno del King Kong colpì ancora. E anche bene, a dirla tutta!
«Dovete
scegliere un capitano per ogni squadra», iniziò a elencare Ayako, senza curarsi
troppo del casino che come sempre l'aveva interrotta.
Akagi si
fece avanti per scegliere quello delle matricole, temendo già un altro bel
casino. «Hime, mi faresti la cortesia di tenerli a bada tu? Questi dementi non
sono in grado neanche di controllare se stessi, figurarsi una squadra».
La ragazza
lo guardò con occhioni da cerbiatta, sbatacchiando le palpebre allegramente.
«Quindi, facendo due più due, vuol dire che ti fidi di me, Gori-chan?».
Con una
vena che minacciava di esplodere da un momento all'altro nel sentirsi chiamare
in quel modo ridicolo, Akagi si limitò a fulminarla con il tipico sguardo-che-uccide.
«Non farmi rimangiare quello che ho appena detto!».
«Aha!», schioccò le mani Hanamichi. «E io che pensavo che
avrebbe scelto quel volp– ehi! Maledetta volpaccia! Svegliati e non dormire sulla spalla di
Hicchan!», esclamò, scuotendo l'acerrimo nemico sotto lo sguardo attonito di
tutti.
«Ma gli
allenamenti son sempre così?», osò chiedere Tagasako
a Miyagi, accanto a lui.
«No »,
biascicò il playmaker dello Shohoku, facendo tirare un sospiro di sollievo
all'altro colosso. «Questo è niente».
«Capitano
dei veterani?», chiese Ayako, alzando le sopracciglia verso l’altra squadra.
Akagi e
Maki si guardarono in cagnesco, per poi dire insieme: «Vai tu!», e subito dopo:
«No, tu!».
Mitsui tirò
un colpetto col gomito all’amico Ryota. «Sembrano due fidanzatini: “Riaggancia tu!”, “No, prima tu!”, “No, prima tu!”».
E mentre
chi l’aveva sentito si stava allegramente sganasciando dalle risate fino alle
lacrime, la povera guardia (che in effetti, tanto povera non era) si ritrovò i
due Capitani di fronte, lividi di rabbia.
Morale
della favola: dopo cazziatoni, pugni e chi più ne ha più ne metta, come
Capitano dei veterani fu scelto il Gorilla, dato che vinse a testa o croce. Le
due squadre furono divise così: la squadra rossa dei pivellini formata da
Rukawa come guardia, le due Scimmie (Hanamichi come centro e Nobunaga come ala
grande), Hime come playmaker e Sasaoka come ala piccola, che stava già temendo
di mettere piede in campo con tutte quelle teste calde insieme; infine, la
squadra gialla dei vecchietti, formata da Akagi come centro, Ryota come play,
Jin come guardia, Muto e Kogure come ali.
«Aha! Baciapiselli in panchina!», esclamò Hanamichi,
beccandosi un pugno dal Gorilla e il conseguente applauso di Mitsui, una volta
tanto contento dell’operato del suo Capitano.
«Datti una
calmata, demente!», grugnì King Kong, lanciando un’occhiata alla ragazza. «Vedi
di tenerlo d’occhio, o ci passerai anche tu».
Hime si
mise sull’attenti, una mano sulla fronte. «Signorsì, signore!». E, preso per le
orecchie il fratello e l’altro deficiente del suo ragazzo che si stava
divertendo un mondo a sfotterlo, la rossa fece avvicinare la sua squadra.
«Allora, ragazzi! Mettiamoci impegno, ok? Siamo ancora giovani per poterci
mettere al loro livello, ma questo non significa che non possiamo vincere
questa partita».
«Eccerto!», fece Nobunaga, gonfiando il petto. «Con il
sottoscritto, ossia la supermatricola, vinc–! Ahi! Deficiente di una scimmia!».
«Guarda che
sono io l’asso della squadra, pipetta!».
«Do’aho».
«Do’aho a
chi? Sei per caso geloso, kitsune?».
«Ma fottiti».
«Che hai
detto?!».
Hime si
passò una mano sul viso, stancamente. Non pensava che tenerli a bada sarebbe
stato così difficile! Quasi quasi capiva anche il Gorilla quando s’incazzava
come una belva. Quegli animali riuscivano a far perdere le staffe anche alle
persone casiniste come lei!
I tre in
questione la guardarono con le mascelle a terra, con le dovute eccezioni, dato
che Rukawa le riservò solo una micidiale occhiataccia.
«Hi-Hicchan!»,
si lagnarono in coro le due scimmie, cadendo ai suoi piedi come umili servetti.
«È uno scherzo, vero?».
Hime
sorrise cinica, scuotendo la testa. «No che non scherzo. Su, in panchina!».
Con gli
occhi fuori dalle orbite, le tre matricole guardarono i loro sostituti, ossia
“giocatori” che toccavano palla solo durante gli allenamenti.
«Hicchan!»,
esclamò Hanamichi, prendendola per le spalle. «Ma così perderemo!».
Ryota gli
si avvicinò, molleggiandosi. «Tranquillo, Hanamichi, con te in squadra o meno
non è che la cosa cambi poi molto».
Rosso
peggio dei suoi capelli e con i lacrimoni agli occhi, il ragazzo se ne andò a
schiena curva in panchina, sotto gli sghignazzi degli amici. L’altra scimmia, invece,
rimase impalata sul posto in mezzo al campo, guardando tristemente la sua
adorata, mentre il volpino gli passava affianco algido come sempre,
bofonchiando qualcosa d’incomprensibile.
«Se fate da
bravi dopo entrate» Hime vide bene di calmare subito i bollenti spiriti quando
questi iniziarono a gasarsi. «Ho detto se fate da bravi».
Per poco la
nostra eroina si spezzò la schiena quando Akagi, con la sua rinomata
delicatezza di un elefante (o meglio, di un gorilla) le batté una manona sulle
spalle, per congratularsi con lei. «Ben fatto, Hime. Quando inizi a usare quel
poco di materia grigia che hai in testa vai alla grande».
Con una
vena pulsante in fronte e un visino a dir poco diabolico, la giovane si voltò
verso le tre matricole appena cacciate dal campo. «Voi tre animali! In campo, ora!
E voglio vedervi scatenati, intesi?».
I tre
celebrolesi in questione accolsero come una mano divina le parole di Hime e
tutti non osarono pensare che avrebbero messo in atto le sue richieste anche
fin troppo bene.
«Gori,
anche tu te le cerchi, però», fece serafico Hisashi, ficcandosi le mani nelle
tasche dei pantaloncini e guardando sardonico il proprio capitano, che si
allontanò dall’altra parte del campo con un diavolo per capello e imprecando
ogni tre per due.
«Ohi, ohi.
Prevedo botte da orbi», biascicò Ayako, ficcandosi il fischietto in bocca e
radunando le due squadre al centro del campo, per iniziare la partita.
«Ragazzi, mi raccomando: questa è una partita di basket, non un incontro di
sumo, sono stata chiara?».
L’unico che
le prestò attenzione fu un cinguettante Miyagi, che le annuiva contento a tre
palmi di naso. Gli altri, invece, erano fin troppo occupati a farsi gli
affaracci loro per badarle almeno un po’. Più incazzata di Hime e del Gorilla
messi insieme, in un momento di follia omicida, Ayako sfoderò il suo micidiale
ventaglio e il suono dello stesso che sbatteva con forza sulla capoccia dei
nostri eroi (nessuno escluso) rimbombò come una terribile eco per tutta la
palestra, riportando la calma e il silenzio.
«Bene,
cominciamo», decretò la schizzata, tra i piagnucolii di tutti.
Palla al
centro e Hanamichi e Akagi saltarono simultaneamente, per guadagnare il primo
possesso. Ebbe la meglio il rossino, che non mancò l’occasione per iniziare a
gasarsi come una pepsi, tra un do’aho e un deficiente vari.
La play
della squadra rossa si portò a metà campo, controllando attentamente la
situazione: Nobunaga e Sasaoka erano sulla fasce, entrambi marcati stretti da
Muto e Kogure, anche se l’allegra scimmietta del Kainan sapeva smarcarsi con
facilità; Hanamichi stava avendo una bella lotta tra simili sotto canestro
contro il Gorilla, e passare a lui sarebbe equivalso al suicidio; l’unico su
cui poteva far leva era il volpino, la cui ombra era ovviamente un bravissimo
Mitsui.
Hime
palleggiò velocemente, facendosi passare il pallone tra le gambe con un
movimento fluido e cambiando quindi mano. Tentò si smarcarsi da Ryota, che non
le stava lasciando spazio nemmeno per respirare, ma dovette desistere. Poi lo
vide: un ammasso di capelli neri e svolazzanti, Nobunaga che si smarcava e si
indicava velocemente. Trionfante, Hime gli lanciò la sfera arancione con un
passaggio pulito e, altrettanto perfettamente, Nobunaga la ricevette.
«Bene,
bene, Muto! Stai un po’ a vedere il tuo compagno di squadra che sa fare!»,
esclamò la scimmietta, che con un numero degno dei migliori giocatori di
basket, scartò gli avversari e si posizionò sotto canestro, pronto a tirare.
Peccato per lui che la palla centrò il ferro, ma fortuna per Rukawa che afferrò
la sfera all’ultimo momento e chiuse la prima azione della partita con un
potentissimo dunk.
«Aaaaah!», gridò Kiyota con le mani tra i capelli e gli
occhi fuori dalle orbite, mentre il rossino gli tirava uno scappellotto in
testa per rimproverarlo.
«Sei
proprio un celebroleso, scimmia! Quello lì non deve segnare!».
«Ma
Sakuragi, Rukawa è nostro compagno», fece notare timidamente Sasaoka, che si
beccò anch’esso un bel colpo sulla nuca.
«Noo! Lui è il nemico! Ne-mi-co! Capito?!».
Hime batté
le mani, entusiasta. «Forza ragazzi, impegno! Tutti in difesa!».
I giocatori
non se lo fecero ripetere due volte, e si posizionarono per non far passare
nessuno dei loro avversari.
«Avanti,
Gorilla! Vediamo chi dei due è il centro migliore!», fece Hanamichi, rischiando
di beccarsi un potente pugno da un Akagi più che esasperato.
La palla
era in mano a Ryota, che veloce come una saetta, scartò un’Hime sbalordita per
la sua rapidità. Il pigmeo passò prima a Jin e s’introdusse sotto l’area,
sperando che il ragazzo capisse le sue intenzioni. Peccato che la guardia del
Kainan interpretò quel passaggio come un invito a tirare da fuori area e segnò
i suoi primi tre punti.
Ryota lo
guardò imbronciato, mentre con un sorriso allegro Jin ringraziava tutti per i
complimenti. «Accidenti, mi ha rubato il gioco».
«Hei, tappo! Cos’è, ti manco io in campo?», lo sfotté
Mitsui, mentre il suo amico ribolliva di rabbia.
«Ma zitto,
teppista!».
Hisashi si
mise a ridere, conscio del fatto che l’intesa che avevano loro due in campo non
ce l’aveva nessun altro. Non vedeva l’ora di entrare solo per dare spettacolo e
per battere quel pivellino di Jin.
La palla fu
nuovamente in mano alla ragazza, che questa volta decise di sfondare da sola la
difesa. Qualche passo dopo la linea dei tre, passò velocemente a Sasaoka,
libero da marcatura, che subito dopo gliela restituì con un perfetto passaggio.
Fece girare la palla dall’altra parte del campo, diretto verso un Rukawa fuori
dalla linea dei tre, che tirò e segnò una tripla perfetta, come a farsi beffa
di quella di Jin.
I tre
ragazzi che avevano compiuto l’azione si batterono il cinque, soddisfatti,
mentre gli altri due guardavano imbronciati e parecchio scazzati la scena.
«Hai
ragione, Scimmia. Quel volpino si sta mettendo in mostra come sempre», continuò
Hanamichi.
I due
nemici/amici si guardarono complici e si abbracciarono determinati. «Ecco a voi
i Super Rookie di Kanagawa!», gridarono esaltati, come due perfetti deficienti.
Tra le
occhiate perplesse e rassegnate dei presenti, la partita continuò fino al nuovo
canestro da tre di Jin (cosa che anche nella squadra gialla stava iniziando a
dar fastidio).
Ma fu in
quel momento che Nobunaga e Hanamichi diedero il meglio: Nobunaga si sbracciò
per far sì che la sua adorata Hicchan gli passasse il pallone e, una volta
ottenuto il suo desiderio, volò letteralmente lungo la fascia di bordo campo,
mentre anche Hanamichi lo seguiva specularmente dall’altra.
«Ma che sta
facendo quell’idiota?», chiese Mitsui, con un sopracciglio alzato. «Hey, Hanamichi! Sei un centro, ricordatelo!».
«Oh! Oh!
Oh! Lascialo fare, Mitsui-kun, son curioso», fece il
pacioso Anzai, divertito.
Intanto, in
campo, stava succedendo il finimondo: Nobunaga aveva fatto volare la palla
sopra le teste di tutti, cogliendoli di sorpresa, mentre Hanamichi l’aveva
afferrata con sicurezza. Mentre si avvicinava a canestro, anche Nobunaga
penetrò sotto area, stordendo tutti per la rapidità dell’azione. Due secondi
dopo si ritrovò nuovamente tra le mani la sfera arancione, che fece finire
dentro il canestro con una schiacciata perfetta.
I due si
guardarono battaglieri e, sotto gli sguardi stralunati e stupiti di tutti, si
battevano un cinque poderoso. «Evvai così!».
Gli occhi
di Hime si fecero più luccicanti dei fuochi d’artificio di fine anno e andò ad
abbracciarli contentissima, per la gioia di uno e dell’altro.
«Umpf. Sai che azione», fu il commento di Kaede, che però
non ottenne l’effetto sperato, dato che i due neanche lo cagarono di striscio,
troppo gongolanti per l’ottima figura che avevano appena fatto.
E i due
ebbero un gran bel da fare, tra la partita ed esaltazioni varie, dato che dire
che fecero faville è poco: tra passaggi velocissimi e praticamente
imprendibili, scarti e canestri alla sconfidata, il duo Sakuragi/Kiyota fu il
migliore in campo, supportato da una scatenata Hime che non credeva ai suoi
occhi e da un volpino più che indemoniato per non essere messo da parte.
Le cose,
per la squadra gialla, iniziarono ad andare meglio quando fece la sua trionfale
entrata in campo l’altro pallone gonfiato dei diavoli rossi, ossia Hisashi
Mitsui, che non vedeva l’ora di affilare le unghie e segnare tanti più canestri
del suo rivale Jin; con lui entrò anche Tagasako, che
sostituì un Akagi leggermente affaticato per via della caviglia e parecchio
scazzato per il fatto che gli facesse ancora così male.
E le sorti
dei veterani, effettivamente, si risollevarono parecchio: Ryota e Hisashi
sembravano la stessa persona in campo, e la guardia dello Shohoku segnò
instancabile ben sette triple di fila, tra smascellamenti vari per lo stupore e
l’incredulità.
«Vai,
bella!», gridò ancora una volta il cecchino, prima che la palla centrò
perfettamente un altro canestro e alzò un pugno al cielo, vittorioso. «Evvai!».
«Aaargh! Baciapisellidellamalora!»,
esclamò Hanamichi, mettendosi le mani in testa. «Scimmia, dai! Dobbiamo
fermarlo!».
«Sì, lui e
quel bonsai di là!».
Al bonsai
in questione per poco non scese un colpo. «Che hai detto, deficiente?».
«Dai,
ragazzi!», batté le mani Hime, per incoraggiare la sua squadra. «Stiamo andando
alla grande! Abbiamo solo quattro punti di differenza da recuperare e mancano
poco meno di tre minuti. Ce la possiamo fare!».
Le due
scimmie, e anche il piccolo Sasaoka, anch’esso ormai gasato come loro,
gridarono euforici, per darsi lo sprint finale. Il volpino, invece, che per non
essere offuscato da quelle due scimmie saltanti, aveva dato il doppio delle sue
capacità, era parecchio esausto; peccato che il suo orgoglio era duro a morire
e non osò fiatare su un cambio.
«Ehi,
Hicchan!», sbraitò il rossino, durante il time-out richiamato dai vecchietti.
«Questa kitsune surgelata sta facendo fare tutto a noi! Perché non lo lasci in
panchina? Ci intralcia e basta!».
Hime gli
tirò uno scappellotto sul collo che lo fece piagnucolare per l’intero break, e
si avvicinò pimpante al suo migliore amico. «Ohi, Ede! Che ti prende? Sei per
caso stanco?».
«Non dire
idiozie», fu la lapidaria risposta dell’altro, che a stento nascondeva il
respiro un po’ troppo veloce.
La ragazza
gli si piantò davanti, puntandogli i suoi occhioni nocciola nei suoi color
zaffiro e mettendosi le mani sui fianchi, da brava bacchettona. «Ede, non mi
prendi in giro, tu», gli disse bonaria, sorridendogli. «Se vuoi darci un taglio
devi solo dirmelo. Sei stato fenomenale anche oggi, non sarà un problema».
Rukawa le
lanciò un’occhiata che non ammetteva repliche e che tacitamente le stava
dicendo: “Non mollo neanche se mi metti a testa in giù dentro la tavoletta
del water”; così la giovane manager, nonché temporaneo Capitano della
squadra rossa, annuì, conscia che non gli avrebbe potuto far cambiare idea
tanto facilmente.
I tre
minuti successivi furono un vero e proprio spettacolo: nonostante la stanchezza
e il fatto che fosse una semplice partitella amichevole e di allenamento, le
due squadre diedero il massimo delle loro potenzialità, tanto che a un canestro
di una corrispondeva quello in risposta dell’altra pochi istanti dopo.
A cinque
secondi dalla fine il punteggio era di 87-88 per i veterani.
«Accidenti,
siamo sotto di un punto», biascicò Sasaoka, asciugandosi la fronte con la
maglia.
La manata
che gli arrivò in spalla, in segno di sostegno, per poco non lo spedì all’altro
mondo. «Andiamo, amico», gli disse un Kiyota più che sorridente. «Non è detta
ancora l’ultima parola!».
La
Scimmietta del Kainan si scambiò un’occhiata con il compare, dall’altra
parte del campo, mentre Hime recuperava la palla dall’ultimo canestro di Miyagi
per dare inizio all’ultima azione della partita.
La ragazza
guardò velocemente la situazione sul parquet, prima di rimettere in gioco la
sfera arancione, e capì subito le intenzioni dei due. Passò a Kaede, che
sarebbe partito in quarta verso il canestro per provare a segnare in solitudine
come sempre, se non fosse stato che la rossa richiamò nuovamente l’attenzione
su di sé. La palla, così, planò velocemente sopra le teste dei giocatori, per
andare a finire in mano di Nobunaga che, con una splendida finta, riuscì a
smarcarsi da Kogure e a passare a Hanamichi, sotto canestro.
«E ora,
fate largo al Re!», gridò il rosso, saltando e andando a schiacciare.
Il suono
sordo del fischietto di Ayako risuonò per tutta la palestra fastidioso e
temuto. «Fallo della difesa! Numero 5, giallo!».
E il boato
di gioia dei pivellini arrivò subito dopo, contenti per aver guadagnato ben due
tiri liberi.
«Gran bella
mossa, Sakuragi!», esclamò Kiyota, battendogli il cinque. Hime li raggiunse
subito dopo, abbracciandoli entrambi, per la loro immensa gioia.
«Accidenti,
quei due mi stanno snervando», bofonchiò Mitsui a Ryota.
«Tranquillo,
Hanamichi non è mai stato un fenomeno dalla lunetta. Li sbaglierà entram– checcosa?!Li ha messi dentro tutti e due?!».
La risata
di Hanamichi, che abbracciava stra-felice sorella,
cognato e chi più ne ha più ne metta, fu quella che si alzò più alta tra tutte
le altre. «Ahaha! Poiché sono un genio!».
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Per la serie: chi non
muore si rivede! Rieccomi tornata dopo più di un mese di assenza! Perdono,
tremendo perdono! Ma io vi avevo avvertiti che sarei stata tanto, troppo
occupata con l’università! /é_è Lo so, lo so, vi ho
abituati male, con gli aggiornamenti ogni settimana, ma… visto il periodo credo
che vi disabituerete facilmente! XD
Passo subito ai
ringraziamenti, così poi torno ad abbioccarmi sul letto…:
Black_Moody: ahaha!
Lo sapevo io che ti saresti immaginata una scena del genere! Sto imparando a
conoscerti bene, mi sa! X°D Eggià, il Gori una
squadra così non so dove possa trovarla… a dire il vero, non so neanche se
voglia trovarla, visti i precedenti! xD Però dai,
anche se son dei casinisti per eccellenza, quando si mettono da fare in campo
fanno scintille, questo non può negarlo! …E ora perché mi sta guardando con
quell’espressione diabolica in viso? N-no, senpai, lo so che è soprattutto in
campo che danno il peggio di loro stessi, ma… ma… aaaah!
Perché devi prendertela con me, io mica li difendo! [seh,
come no… ma mica posso andare a dirlo a quello sclerotico di un King Kong!]
…Ok, si vede che son proprio stanca! Ci sentiamo presto, carissima! Un bacione
e aggiorna presto anche tu! :*
MihaChan: che tesorah che sei! *_* /me ti spupazza tutta/ Ma guarda, non
sono io che riesco ad inventarmi scenette comiche… è tutta colpa loro! *indica
quel branco di caproni di cui non posso fare a meno* Io non mi assumo
responsabilità, eh! ù_ù Un bacione, carissimissima :*
kuro: ma tranquilla, hai
compensato con quest’ultimo commento! :) Shi, son
tanto carini! Soprattutto Nobu che si dispera perché non riesce a stare con
Hicchan… quanto mi diverto a trattarlo male, quella scimmietta adorabile! <3
Grazie bella! :*
Ed un ringraziamento
anche a tutti i lettori anonimi! *_*
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XXIII
Quei Bravi Ragazzi
Il
fine settimana arrivò in una soleggiata giornata che preannunciava una calura
abbastanza forte da far rischiare una bella insolazione a quelle teste
cerebrolese dei ragazzi in ritiro. E il pericolo c'era, dato che tanto normali,
quei pazzi, non lo erano mai stati.
In
quella mattinata, però, niente faceva presagire un uragano che avrebbe raso al
suolo tutto, rovinando la pace e la tranquillità di coloro che, beatamente,
ronfavano al sole, o si rinfrescavano in piscina.
«Hime,
mi spalmeresti la crema sulle spalle, per favore?», chiese Ayako all'amica,
spaparanzata sulla sua sdraio e intenta a leggere una rivista sportiva.
Ma
prima che la rossa potesse aprire bocca e spiccicare acca, il fulmine meglio
conosciuto come Ryota Miyagi, dimostrò tutta la sua velocità anche in quel
contesto. «Ayakuccia, se vuoi posso spalmartela io!».
«Ma
spalmati al sole, pigmeo!», lo sfotté Hanamichi, mani tra l'elastico dei suoi
bermuda colorati e un'espressione da ebete, come sempre.
«E
girami le palle», borbottò Ryota, imbronciato e rosso per l'imbarazzo.
Ayako
sospirò mestamente, scuotendo la testa, mentre Hime, che non si era schiodata
dal suo posto, si limitò ad abbassarsi sulla punta del naso i suoi occhiali da
sole in perfetto stile vintage, dalle lenti enormi e montatura bianca.
«Aya-chan, fattela mettere da Ryota, ho trovato il mio posto nel mondo qui!»,
ammiccò lei, con un occhiolino da vera malandrina.
«Sì,
sì, ho capito», biascicò Ayako, rivolgendosi con un bel sorriso solare al suo
spasimante numero uno che, manco a dirlo, si sciolse come neve al sole e andò
in totale brodo di giuggiole.
«Hime,
perché non vieni a farti un bagno anzi che poltrire?», le chiese Hisashi,
poggiato con le braccia sul bordo della piscina. «Guarda che poi, se non fai
movimento, ingrassi!».
Inutile
dire che dopo due secondi si ritrovò in pieno viso un pallone che, guarda caso,
era proprio nelle vicinanze della ragazza.
«Ehi,
non dire cose così alla mia Hicchan!», sbraitò il Nobu della situazione,
stringendo un pugno con fare quasi minaccioso.
«Tua?!
Guarda che Hicchan è di mia proprietà! E non chiamarla Hicchan! E poi tu–».
E
mentre il rossino iniziava a inveire animatamente per l'ultima causa a favore
della protezione dalle scimmiette petulanti come Kiyota, un bel calcione sul
suo prezioso fondoschiena venne assestato dal volpino di turno, che lo spedì
bello che disteso in acqua. «Do'aho, fai venire mal di testa».
Da
lì all'inizio dell'ennesima lite il passo fu veramente corto.
«Ah,
quanto si amano quei due!», fece Hime, con voce trasognata.
«Sì,
come cane e gatto», annuì la scimmietta del Kainan, che si sedette vicino alla
sua adorata ragazza e allungò il collo per sbirciare la rivista che aveva sotto
il naso. «Che leggi?».
Gli
occhioni castani di Hime si trasformarono in men che non si dica in un paio di
cuoricini pulsanti di vita. «L'ultimo articolo su Kobe! Guarda, non è
bellissimo?».
«Uffa,
sei fissata!», borbottò il numero dieci, incrociando le braccia e mettendo su
un muso lungo da record.
Hime
gli rifilò una bella linguaccia. «Geloso!».
«Ma
quale geloso e geloso! Vedrai che anche io giocherò in NBA!».
«Sì,
stanno aspettando te», fu il commento che uscì dalla bella bocca dell'algido
Kaede, seduto sotto l'ombrellone per non scottarsi.
«Esatto!
Vedi, Rukawa? Quando ti metti d'impegno riesci anche a dire cose sensate!»,
esclamò Nobunaga, gasatissimo.
«Nobu-chan,
non per smontarti, ma credo che Ede stesse ironizzando», mormorò Hime, con la
fronte corrugata e un sorrisino imbarazzato, nel notare l'espressione di
rassegnata perplessità che aleggiava sul volto dell'amico.
«Cheee?!».
«Ne
hai panini da mangiare, Nobunaga!», fece il buon vecchio Maki, che gli passò
accanto e gli scompigliò i capelli con fare paterno.
Tutto
il tranquillo – o per così dire – siparietto di quel sabato mattina, fu
interrotto da un ruggito disumano che squarciò l'intero Giappone e, molto
probabilmente, si sentì anche dall'altra parte del mondo.
«Oddio,
è arrivato Godzilla!», esclamò spaventato Hanamichi, guardandosi intorno con
preoccupazione.
«Più
che altro mi sa che è il Gorilla», commentò Mitsui, sparendo poi sott'acqua
come dire: Cascasse il mondo, io sono assente!
«Sa-ku-ra-gi!».
«Ohporcapaletta!», esclamò Hime, balzando sulla sua sdraio e
facendo capottare per lo spavento il suo ragazzo. «Hana, ce l'ha con me o con
te?».
«O
con tutti e due?», aggiunse Ayako, lanciando un'occhiata ai fratelli, in pieno
panico.
Due
secondi dopo arrivò un agitatissimo Kogure, pallido come un lenzuolo lavato con
l'omino bianco. «Ra-ragazzi, questa volta l'avete
combinata grossa!».
Tutti
gli occhi spostarono la loro attenzione sui gemelli che, dato che molto
probabilmente avevano capito che stesse per succedere da lì alla fine del
mondo, avevano in viso un sorrisino tra il divertito e lo spaventato.
«Hana,
ti ho sempre voluto bene, lo sai», affermò melodrammatica Hime.
«Anche
io, Hicchan! Ora però, scappiamo!».
Prima
che Akagi facesse la sua colossale comparsa – nel senso letterale del termine,
beninteso – i due si erano già fiondati a gambe levate verso il nascondiglio
più sicuro, anche se erano ben consapevoli che il King Kong li avrebbe scovati
fino in capo al mondo.
E
infatti, quando questo arrivò in giardino, seminò il panico tra gli innocenti,
che temevano ripercussioni per colpa di due celebrolesi. «Dove sono quei due
animali?!», ringhiò a fauci strette e con occhi iniettati di sangue, stringendo
in un pugno quello che sembrava un panno bianco.
Qualcuno
balbettò qualcosa, qualcun altro neanche osò dire niente. Hisashi e Ryota
indicarono una direzione qualunque per sviare la furia del Gorilla – che però
erano una l'opposta dell'altra - mentre Kaede, con un cenno del capo, quella
giusta. Della serie: aiutiamo la propria migliore amica e il fratello a
morire velocemente per non soffrire troppo.
Akagi,
livido di rabbia, sbatté a terra, senza neanche pensare troppo alle
conseguenze, il panno che stringeva in mano. E che non si rivelò proprio un
panno, ma un boxer.
Mitsui
lo raccolse, inizialmente non rendendosi conto di cosa fosse effettivamente.
Quando capì, Ryota e Nobunaga erano già belli che partiti a ridere.
«Ma
porca vacca, che schifo!», esclamò il numero 14 dello Shohoku, lanciandoli via
e facendoli finire involontariamente sul viso di un povero Sasaoka, che guardava
atterrito la scena in un angolino, proprio per non essere messo in mezzo in
tutto quel caos.
La
matricola se lo tolse velocemente dal viso, ma non lo buttò, troppo incuriosito
da una scritta nera sul tessuto. Dire che divenne rosso fino al midollo è un
eufemismo.
«Ehi,
Sasaoka, che c'è?», fece Mitsui, avvicinandosi per allungare il collo, così
come gli altri, incuriositi. «Ti piacciono i mutandoni del Capitano, eh?
Vecchio marpione!».
La
reazione che seguì subito dopo entrò nella storia: prima il silenzio della
lettura di quella scrittura irregolare e, molto probabilmente, velocizzata per
paura di essere scoperti; poi le guance rosse e gonfie dallo sforzo immane per
non ridere; infine il suono fragoroso delle risate di tutti, che si
schiantarono a terra battendo le mani, con le lacrime agli occhi, incapaci
persino di riprendere fiato.
Ayako,
l'unica donnina presente, si mise le mani davanti alla bocca per nascondere una
risata e sogghignò alla volta del Gorilla che compariva nuovamente alla
disperata ricerca dei due. Peccato che, quando si accorse che i suoi giocatori
e quelli del Kainan erano letteralmente morti dalle risate, le cose
peggiorarono a vista d'occhio.
Anche
Kaede Rukawa, il rinomato ghiacciolo dello Shohoku, colui che non rideva e non
muoveva le labbra se non per due o tre monosillabi al giorno, quindi
figuriamoci per un sorriso, si trovò costretto a cambiare aria, pur di non
finire come quei pazzi dei compagni. Saranno stati anche due deficienti, quei
due, ma quella era veramente geniale.
Cosa
c'era scritto di così sconvolgente nelle mutande del King Kong?
“L'abito
non fa il monaco.”
*
«Ma
come diavolo avete fatto?», chiese Ryota, pendendo dalle loro labbra.
Hime
e Hanamichi erano distrutti, sdraiati sull'erba. Avevano corso mezza mattinata,
nascondendosi e fuggendo dalle grinfie del loro Capitano. Peccato che alla fine
li aveva trovati – prima o poi sarebbe dovuto succedere – e il King Kong si era
sfogato per bene prima con la testa del rosso, poi con la ragazza, che aveva
preso di peso e gettato in piscina, trattenendo a stento l'impulso di tenerla
sott'acqua e affogarla.
«Beh,
non è stato difficile. Abbiamo saltato da un balcone all'altro e abbiamo
trovato la finestra aperta», spiegò Hanamichi, stiracchiandosi.
«Proprio
come due scimmie», frecciò Kaede, guardando l'amica con quella che poteva dirsi
un'espressione divertita.
«Bella
questa!», esclamò Mitsui, battendogli una manona sulle spalle.
«Ehi!»,
sbraitò Hanamichi, offeso.
Hime,
ridacchiando, continuò a spiegare. «Kogure-kun non
era in stanza e Akagi era sotto la doccia. Non nego che la possibilità di
ritrovarmelo nudo davanti mi abbia alquanto spaventata!»
«E
confermare le nostre supposizioni!», continuò il fratello, facendo ridere
tutti.
«Comunque
abbiamo aperto il cassetto con tutta la sua collezione di mutande e abbiamo
preso le prime, sperando che fossero quelle che avrebbe poi indossato dopo la
doccia. Il resto vien da sé!».
Kogure,
ancora pallido per l'esperienza traumatizzante di quella mattina, scosse la
testa, stanco. «Ragazzi, questa volta siete stati veramente–»
«Geniali!»,
esclamarono in coro i presenti, tra le risate di questi e un vice-capitano che
si metteva le mani in testa per la disperazione.
«L'ho
sempre detto che sono un genio, io!», si gasò Hanamichi, balzando in piedi e
mettendosi in posa plastica come un supereroe.
«Ehi!
Guarda che l'idea è stata mia! Tu volevi solo fare uno scherzo, ma i dettagli
non li avevi affinati», sbottò offesa Hime, mentre gli altri sgranavano gli
occhi e riprendevano a ridere.
«Hime,
tutto mi sarei aspettata, ma questo no», disse Ayako, fingendosi delusa, mentre
quel fessacchiotto di Hanamichi blaterava cose senza senso come “Tu hai
preso tutto da me, Hicchan!”.
«Beh,
Ayako, devi ammettere che è stata una trovata incredibile!», disse Hisashi tra
le lacrime.
«Ora,
il problema è: quanto tempo dovrà passare per farlo sbollire per bene?»,
domandò Kiyota, spedendo un brivido lungo la schiena di tutti.
Ryota
si poggiò il mento sul palmo della mano, sbuffando. «Credo che faremo in tempo
a vedere Rukawa che ride a crepapelle, prima che il Gorilla li perdoni»,
affermò, mentre Kaede si asciugava il gocciolone grande quanto una casa che gli
era comparso in fronte dopo quella frase.
Mai
parole furono più azzeccate.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Bentornati
con un altro capitolo di WB! Non è lunghissimo, ma è bello pieno! XD Perdonate
il ritardo, ma non sono sparita! Ormai, come avrete capito, non aggiornerò più
ogni settimana, a meno che non mi venga un attacco improvviso di ispirazione
per cui sformerò capitoli ogni sette giorni! - cosa peraltro alquanto
improbabile °-°
Ma
tranquille e tranquilli: non mollo mica! ;)
Miha_chan:
carissima! Son riuscita a ridartele, le speranze? xD
Tranquilla se non mi scrivi una recensione chilometrica, l’importante è il
succo del discorso! :D Grazie mille millemille! :****
kuro: vi ho
abituate troooooppo, decisamente troppo male! Mea
culpa! XD Son contenta che stessi aspettando speranzosa l’aggiornamento! Anche
se questa è crudeltà (essere felici della tua agonia, intendo!), per me
significa tanto! *_* E buona, a cuccia! Son troppo giovine e baldanzosa per
morire! Quindi rilassati, la concluderò alla grande questa fanfiction!
Non so fra quanti capitoli, ma la concluderò! xD :*
Black_Moody: ma io non
voglio che i tuoi discepoli pensino male di te! Datti un contegno, suvvia! ;D
No problem, come vedi sparisco spesso e volentieri
anche io! E vedi di aggiornare in fretta anche tu, che ormai non sto più nella
pelle! ;_; :****
Ed un
ringraziamento anche a tutti i lettori anonimi! *_*
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XXIV
Tomodachi
La
settimana successiva fu un vero e proprio inferno. Il Capitano Akagi non aveva mandato giù lo scherzo che
gli avevano tirato i gemelli e quella fu la volta buona che mostrò a tutti il
suo vero lato demoniaco. A differenza delle altre volte, però, non mise in
mezzo anche il resto della squadra, ma vide bene di farla pagare solo ai due
fratelli che, come prevedibile, arrivarono a fine ritiro completamente
distrutti.
«Questo
è sfruttamento minorile!», aveva provato a controbattere Hime un giorno, prima
che le forze le sfumassero via l’ora dopo, ma niente era servito per placare
l’ira del King Kong. Neanche provare ad adularlo con un cesto di banane mature
che, genialmente, Hanamichi gli aveva comprato e infiocchettato amorevolmente.
Tornare
a Kanagawa fu un vero e proprio sollievo per i due, a differenza del resto
dello Shohoku e del Kainan, che invece avevano continuato a divertirsi un
mondo, soprattutto se Akagi non concentrava tutte le sue attenzioni su di loro.
Peccato, davvero peccato che il Campionato sarebbe iniziato da lì a una
settimana e quello non era certo il periodo migliore per riposarsi e battere la
fiacca.
«Aaah! Proprio non capisco!», sbuffò Hime, sprofondando per
terra, dopo essersi fatta scivolare contro il muro. «Perché il Gorilla fa
allenare anche me?!».
Yoei Mito la guardò divertito. «Forse perché gli hai
lasciato intendere che è poco dotato?».
«Ma
scusa, perché prendersela tanto se non è vero? Uno che si comporta così ha solo
la coda di paglia», rispose con aria da saputella la ragazza, non rendendosi
conto che il ragazzo in questione aveva sentito anche troppo. Quando se ne
accorse fu, ovviamente, troppo tardi per cercare una qualsiasi scusa
plausibile.
«Come
finire di scavarsi la fossa da soli», commentò Mitsui, poggiandosi con un
gomito sulla spalla di Miyagi.
«Ehi,
guarda che non sono il tuo comodino!», si lamentò questo.
«Come
no? In altezza ci siamo», ghignò l’altro, beccandosi prima un’occhiata truce,
poi una bella gomitata in pieno fianco.
Prima
che la situazione degenerasse in una nuvola di pugni e strozzamenti vari,
giunse un salvatore a illuminare la palestra con un bel sorriso solare e un
sano ottimismo da far saltare i nervi a qualsiasi volpino di turno presente.
«Salve
a tutti, ragazzi!», salutò un Akira Sendoh più che allegro, entrando in
palestra.
«Akira,
luce dei miei occhi!», esclamò Hime, alzandosi da terra prima che Akagi potesse
fare qualsiasi cosa, e saltando addosso all’amico, che da vero marpione ne
approfittò per tenersela stretta. «Salvami tu dal Gori!».
«E
altrimenti perché sarei venuto, mia principessa*?», le chiese, dandole un
bacino sulla guancia e tenendo un braccio intorno alle sue spalle.
«Guarda,
guarda chi si vede! Il Porcospino!», esclamò Hisashi, salutando l’amico.
«Più
porco, che spino», grugnì Hanamichi, incassando la testa sulle spalle e
guardandolo in cagnesco, mentre l’armata Sakuragi scoppiava a ridere.
Akira
salutò tutti con un bel sorriso, compreso Kaede che, in tutta risposta, gli
riservò solo una delle sue più gelide occhiate che, in confronto, facevano
sembrare l’antartico il posto più caldo della terra.
«Sendoh,
se non vuoi che ti rovini quei bei capelli con un pugno in testa, molla la
ragazza e lasciala a me», minacciò Akagi, mentre Hime si nascondeva dietro il
bel fusto da un metro e novanta di perfezione.
«Capitano,
mi sa che ti faresti più male tu con quei pungiglioni che si ritrova, che
viceversa», fece Ryota, facendo ridere il giocatore del Ryonan e gli altri.
«Dai,
Gorillone, non ti sembra di esserti vendicato abbastanza, ormai?», piagnucolò
Hime, facendo capolino dalle spalle di Sendoh.
«Non
credo che continuare a chiamarlo in quel modo possa aiutarti, sai?», sussurrò
Akira, facendole assumere un’espressione pensosa.
«Bandiera
bianca? Hicchan, ma come, ti arrendi?!», sbraitò Hanamichi, che stentava a
crederle.
Hime
gli fece l’occhiolino, mentre camminava con le mani alzate al cielo. «Non ce la
faccio più, davvero! Per questo ti chiedo umilmente perdono e tutte le scuse di
questo mondo!».
«Non
è molto convincente, vero?», domandò a voce bassa Ryota a Hisashi, che scosse
la testa.
«No,
per niente».
«Ora
l’ammazza», fu il serafico commento di Kaede che, invece di andare a salvare la
sua migliore amica, restava immobile come gli altri spettatori, aspettando che
accadesse qualcosa di catastrofico.
Akagi
la guardò furente, per poi far scivolare lo sguardo anche sul fratello della
ragazza, che l’aveva raggiunta per darle man forte. «Voi due».
I
gemelli deglutirono a fatica, ma restarono impavidi di fronte al Gori. Ma non
accadde nulla, dato che il Capitano voltò le spalle e si diresse a passo
spedito verso gli spogliatoi, decretando la fine degli allenamenti.
I
due tirarono un sospiro di sollievo (forse anche più di uno) e si lasciarono
cadere a terra, esausti per la stanchezza fisica e la “pressione psicologica”.
«Voi
due. Siete totalmente matti!», esclamarono Hisashi e Ryota, scoppiando a
ridere, seguiti a ruota da Akira e i due gemelli stessi.
«Si,
da legare», bofonchiò Rukawa, che riprendeva il suo consueto allenamento in
solitario.
Le
risate che si levarono per tutta la palestra durarono per i successivi dieci
minuti e tutti, alla fine, rimasero senza fiato, le braccia intorno alla pancia
per il dolore agli addominali e le lacrime agli occhi.
«Ehi,
Sendoh, come mai da queste parti?», chiese Ryota stravaccato sul parquet,
voltando la testa verso il giocatore avversario.
«Son
passato per un salutino e per vedere se foste ancora vivi e vegeti dal ritiro»,
fece affabile come sempre l’altro numero 7, con un bel sorriso. «E per vedere
come stava la Signorina in Rosso», aggiunse con un
occhiolino alla volta dell’amica.
Hanamichi
(e all’unisono anche Kaede) grugnì qualcosa di non ben definito, ficcandosi le
mani nelle tasche dei pantaloncini bianchi.
«Oh,
che caro ragazzo!», lo prese in giro Hisashi, battendogli una mano sulla
spalla. «Kiyota dovrà stare attento, o si vedrà la ragazza soffiata da te»
«Ehi!
Per chi mi hai presa?!», esclamò Hime, offesa.
«Beh,
principessa mia, non puoi negare che io sia inconcepibilmente affascinante»,
ammise seriamente Akira, che con le sue parole fece roteare numerosi occhi e
ridere qualcuno.
«No,
sei inconcepibilmente hentai, tu!», si mise in mezzo Hanamichi, che quando si
trattava del rapporto di amicizia con Sendoh impazziva più del solito; a volte
era convintissimo che la sorella glielo facesse apposta a stringere legami con
i ragazzi che più gli stavano sulle palle! «Hicchan è felicemente… fi… fida… fidan… beh, sta uscendo con quella scimmia selvaggia
di Kiyota, quindi stalle alla larga!».
«Oh
Kami, Hanamichi che prende le difese di Kiyota ancora mi mancava», mormorò
Ayako, più che perplessa.
«Ma
quali difese, non riesce neanche a dire che quei due sono fidanzati. Sì,
Hanamichi, si dice “fidanzati” oggi, sai?», esclamò Mito, che si beccò subito
dopo una testata con i fiocchi. In effetti, Hanamichi gli era mancato così
tanto in quelle due settimane, pensò mentre si accarezzava la fronte lesa.
«Io
non difendo la scimmia!», si lamentò Hanamichi, senza dare ascolto alle
proteste della sorella che inveiva contro di lui per non chiamare il ragazzo in
quel modo (anche se sapeva perfettamente che la somiglianza fosse palese).
«No,
stai solo cercando di fartene una ragione senza grandi risultati», gli fece
notare Hisashi, stiracchiandosi.
«Certo,
però, che dovevi proprio essere disperata per metterti con quella scimmia, Hime»,
commentò Noma, beccandosi una sberla dalla ragazza.
«Nobunaga
non è una scimmia!».
Yoei le tirò una gomitata amichevole, ammiccando.
«Hime, non puoi negare l’evidenza, dai».
«Sì,
ok, ammetto che a volte abbia un non so che di scimmiesco da far concorrenza al
Gori, ma è un bravo rag–! Ah, ma che parlo a fare con
voi», sbuffò sconsolata vedendo tutti i suoi amici ridere a crepapelle.
«Hicchan,
questa era proprio bella!», esclamò con le lacrime agli occhi il fratello, in
ginocchio e con le braccia intorno alla vita, talmente divertito che quasi non
respirava per le risate.
«Grazie,
eh…», bofonchiò la rossa, cercando rifugio da Ayako, anch’essa, però, con un
sorrisino sulle labbra.
«Che
ne dite se andiamo in spiaggia a prenderci un po’ di sole?», propose Hisashi,
dopo che l’ilarità scemò pian piano.
«Magnifica
idea!», esclamò Akira. «Hime, mi accompagneresti a casa che prendo
l’attrezzatura da pesca?».
Hisashi
si trattenne a stento dal controbattere con una battuta maliziosa sulla sua
“attrezzatura da pesca” nello stesso momento in cui Hanamichi si fiondò tra i
due che stavano già uscendo dalla palestra.
«Signori
si accettano scommesse! Chi punta sul Porcospino che scappa con Hime?», gridò
Takamiya, mentre Mito e gli altri raccoglievano soldi.
Hime
scosse la testa divertita mentre guardava il fratello che ne cantava quattro
all’amico, sorridente più che mai. Akira era proprio un disgraziato, non poteva
definirlo in altro modo. Ma era anche un adorabile disgraziato e gli voleva un
mondo di bene. Era conscia di quanto fosse bello, ma era altrettanto
consapevole che non si sarebbe mai potuta innamorare di lui. E questo il
ragazzo lo sapeva benissimo, anche se amava far credere il contrario agli
altri, in particolar modo a Hanamichi.
«Ragazzi,
io verrei volentieri.», iniziò Hime, sistemandosi la pinza tra i capelli rossi.
«Ma pensandoci bene ho promesso a mamma che l’avrei aiutata in casa, dato che è
stata due settimane sola. Magari vi raggiungo più tardi, ok?».
Il
numero dieci abbassò le spalle, dispiaciuto. «Ma servo anche io?».
«Hanamichi,
meglio che tu stia alla larga dalle faccende domestiche», lo frecciò Mitsui, con
un sorrisino smaliziato. «O finirai come l’ultima volta con i suoi boxer».
Miyagi
divenne livido di rabbia al solo pensiero e se ne andò borbottando verso gli
spogliatoi, mentre Hanamichi aveva iniziato a ridere sguaiatamente, rosso per
la vergogna.
«Oh,
Ede! Mamma ha preparato i wagashie
mi ha detto di dirti che te ne ha messo un po’ da parte», disse Hime,
trotterellando verso l’amico. «Vieni con me?».
Kaede
la guardò scettico, fermando il suo piccolo allenamento. «Trovati un’altra
scusa per avere un passaggio in bici, scema».
Hime
scoppiò a ridere, scuotendo la testa divertita. «In realtà avevo pensato che
avresti potuto darmi una mano con le pulizie!», esclamò, facendo ridere per
l’ennesima volta tutti. «Ti aspetto, vedi di muoverti, orsetto lavatore!». Se
non si fosse spostata in tempo avrebbe seriamente rischiato la vita, dato che
si vide un bel pallone diretto dritto verso la sua testa.
«Argh! Volpe assassina!», sbraitò Hanamichi, saltando verso
il suo acerrimo nemico ed ingaggiando lotta libera.
«Almeno
vedete di non sporcare di sangue il parquet», mormorò il mite Kogure, ormai
arresosi alle manifestazioni d’affetto dei due.
Akira
salutò con un bacino la rossa, un po’ dispiaciuto che non potesse venire con
loro, ma era sicuro che avrebbe trovato qualcun altro da affogare in mare.
Senza fare nomi, un certo Hisashi Mitsui, che ancora non gli aveva fatto fare
un giro su quella moto sconvolgente che si era comprato non sapeva neanche lui
come.
Quando
Kaede Rukawa uscì splendido splendente dagli spogliatoi con i
capelli ancora bagnati e parecchio sconvolti, Hime si mise le mani sui fianchi.
«Dimmi un po’, vuoi far scendere qualche infarto a tutta la popolazione
femminile che incontri per strada?». Il ragazzo sollevò perplesso le
sopracciglia, fingendo di non capire. «Intendo dire che conciato così rischi di
essere stuprato seduta stante da qualsiasi cosa si muova. E, cosa più
importante, io rischierò il linciaggio se qualche pazza mi vedrà con te!».
Kaede
scrollò le spalle. «E mica son problemi miei. Non sono io quello a piedi tra i
due».
L’altra
gonfiò le guance, contrariata. «Ma come? Mi lasceresti andare a casa sola
soletta, a piedi, in balia di qualche tua fan scatenata?».
«Hn».
«Ah,
sei proprio crudele, Ede!», piagnucolò Hime, coprendosi il volto con le mani e
facendo finta di singhiozzare.
Rukawa
sospirò stancamente. «Ottima giocatrice, ma pessima attrice. Dai, andiamo».
Con
un sorrisone che faceva concorrenza a quelli famosi del Sendoh nazionale, Hime
lo seguì verso la bici e si sedette sulla canna, come sempre. Dopo aver
sistemato la sacca dell’allenamento sul portapacchi posteriore, Kaede salì in
sella e respirò il buon profumo dell’amica. Gli era sempre piaciuto, a pensarci
bene. «Vedi di non agitarti come il tuo solito».
Hime
lo guardò con la tipica espressione da insegnante bacchettona. «Detto da uno
che si schianta una volta sì e l’altra anche non è il massimo, sai? A
proposito, cerca di non addormentarti nel mentre, sono ancora troppo giovane
per morire».
L’altro
mugugnò il solito “Hn” di circostanza e iniziò a
pedalare pacatamente per le strade di Kanagawa, sotto un sole più che cocente
e… i capelli rossi della ragazza sugli occhi. Troppo intento a spostare quel
groviglio che a volte somigliava più ad una scopa usata e riusata, sbandò
pericolosamente per evitare una povera vecchietta che attraversava la strada e
che gli strillò dietro un “Incosciente!”, prima di collassare a terra per lo
spavento.
«Ede!
Ma dove guardi quando pedali?!».
«Tagliati
i capelli, baka».
«Non
trovare la scusa dei miei capelli, orso che non sei altro!».
Nel
giro di due secondi si ritrovò a piedi, mentre guardava senza parole la schiena
dell’amico che pedalava via. «Così impari a chiamarmi ancora in quel modo
demente».
«Ma…
ma… Kaede Rukawa! Non puoi lasciarmi qui!», strillò la ragazza in mezzo alla
strada.
«Lo
sto già facendo, cretina», sentì dire dall’altro, prima che sparisse dietro
l’angolo.
Abbattuta
e sconsolata, pronta a meditare vendetta avvelenando i biscotti che la madre
gli avrebbe offerto, si mise in cammino, preparandosi mentalmente a un bel
chilometro a piedi. Quando arrivò finalmente stanca e spossata a casa, trovò
l’amico che mangiava a quattro ganasce i dolcetti preparati amorevolmente dalla
madre che, come sempre, non mancava mai di parlare e scherzare con la matricola
più odiata dal figlio, con il miracoloso risultato di avere in cambio
risposte lunghe e sensate.
«Oh,
Hicchan cara, finalmente sei arrivata! Come mai ci hai messo tanto?», domandò
la donna, una simpatica signora sempre sorridente come i suoi pargoli e dai
capelli rosso fuoco, esattamente come loro.
«Perché
un orso volposo mi ha lasciata a piedi, ecco!»,
borbottò la ragazza, prendendo posto accanto al giocatore e mettendosi in bocca
un biscotto, mentre quest’ultimo pensava: “Orso
volposo?”.
«No,
Hicchan, quelli li ho preparati per Kaede, non per te e Hanamichi», la rimbeccò
la madre, togliendoglieli da sotto il naso. Hime spalancò la bocca, guardando
l’amico che le rispose con un’innocente faccia di bronzo, facendo spallucce.
«Ma
mamma!», esclamò Hime, indignata. «Io mi son fatta anche chilometri e
chilometri a piedi, sotto il sole cocente! Ho bisogno di zuccheri!».
La
madre le fece una linguaccia, ridendosela sotto i baffi, mentre Kaede le
offriva gentilmente il suo biscotto mezzo masticato.
«Quello,
con tutto rispetto, te lo mangi tu».
«Ingrata»,
bofonchiò lui, finendo di mangiare. «Arigatoo, signora Misato. Erano ottimi».
«Oh,
non c’è di che, caro. Quando vuoi dimmelo e te li preparerò».
«Dillo
anche a me, così aggiungo un po’ di veleno», borbottò con il muso lungo Hime,
incrociando le braccia.
La
signora Misato sparì da qualche parte in casa, lasciando i due soli. Kaede
guardò l’amica con una vena di divertimento, ma riuscì come sempre a non dare
niente a vedere.
«Baka kitsune, se vuoi farti perdonare
vieni ad aiutarmi a sistemare camera mia! È un casino totale da quando ho
svuotato le valige».
Kaede
la bloccò per un polso, guardandola intensamente negli occhi castani. Hime si
sentì spogliata davanti a quello sguardo tanto profondo, ma le scese un coccolone
grande quanto una casa quando le disse con tutta la calma del mondo: «Guarda
che hai un ragno sulla spalla».
Inutile
dire che, mentre il ragazzo andava verso la camera dell’amica per aiutarla a
sistemare tutto il caos che regnava sovrano, Hime lanciava un urlo disumano
che, ne era sicura, avrebbero sentito anche gli amici al mare.
*c’è un motivo per cui Aki chiama Hime
“principessa”: il suo nome stesso, Hime, significa principessa :)
Piccola nozioncina culinaria: il wagashi è un
tradizionale dolcetto giapponese che solo a guardarlo non vien voglia di
mangiarlo, perché… è una vera e propria opera d’arte! *_* Sono solitamente a
base di farina, zucchero, acqua e marmellata di fagioli azuki.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Ma ri-salve
a tutti! E’ passato un po’ di tempo dall’ultimo aggiornamento, ma finalmente
gli esami più pesanti son finiti, e io posso nuovamente dedicarmi a questo
splendido mondo di Slam Dunk!
kuro: carissima! Il Gori è
parecchio scazzato e non pensare che la “quiete” di questo capitolo significhi
una resa… Akagi non è mica tipo da bandiera bianca, no no! :D E dai,
l’aggiornamento è arrivato dopo poco… no? NO!? xD
Grazie bella, a presto :*
Miha_chan: carissima! Son
riuscita a ridartele, le speranze? xD Tranquilla se
non mi scrivi una recensione chilometrica, l’importante è il succo del
discorso! :D Grazie mille millemille!
:****
Un grazie speciale
anche alla grandissima Kiyo, so che sei lì! *_* Non sai quanto piacere mi abbia
fatto il tuo messaggio! *_______________* /arrossisce/
Ed un ringraziamento
anche a tutti i lettori anonimi, a chi ha aggiunto tra i preferiti e le
seguite! *_*
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo XXV
Would you play with me?
Quando
il campanello di casa squillò, passarono almeno cinque minuti prima che
qualcuno se ne accorgesse. La musica, infatti, era a tutto volume, e fortuna
che Hanamichi era al piano di sotto, altrimenti il povero Kiyota avrebbe fatto
in tempo a morire e a rinascere prima che qualcuno andasse ad aprirgli la
porta.
«Che
cavolo, Sakuragi, avete i Guns in casa?», chiese la
scimmietta del Kainan, mentre si toglieva le scarpe e le lasciava all’ingresso.
«Sì,
come no… Hicchan sarebbe già bella che morta d’infarto trovandoseli davanti»,
commentò Hanamichi, facendogli strada verso la cucina.
«Uhm…
certo che “Welcome to the Jungle” è proprio adatta per due scimmie come voi!». Due
secondi più tardi Nobunaga si stava amorevolmente accarezzando il nuovo
bernoccolo nato dall’ennesima testata di Hanamichi. «Cacchio, stavo scherzando,
idiota!».
«Passi
ancora il fatto che chiami me scimmia, ma non accetto che anche
Hicchan venga messa in mezzo!», borbottò il rosso, incrociando le braccia.
«Certo, se sapessi che anche lei ti chiama così, di nascosto…», aggiunse
sogghignando.
«Cosa
fa, Hicchan?!».
«Niente,
niente, amico mio! Vieni, posso offrirti una banana?».
Nobunaga
acquisì la consueta espressione imbronciata, che lo rendeva così tenero agli
occhi della sua ragazza. «Sai dove puoi ficcartela, la banana?».
«Nobu-chaaan!», strillò la voce squillante di Hime, che gli saltò
letteralmente al collo, facendogli quasi perdere l’equilibrio dalla sedia.
«Alla fine ci hai trovato!».
Nobu
sorrise, soddisfatto. «E non certo grazie alle indicazioni di questo deficiente
che ti ritrovi per fratello!», indicò con un dito l’amico. «Se avessi dato
retta a te, brutta scimmia rossa, sarei finito dall’altra parte di Kanagawa!».
Hime
ridacchiò vedendo Hanamichi che gli faceva il verso. «Nobu, devi sapere che
Hanamichi e le cartine stradali non vanno molto d’accordo».
«E
cosa ti aspettavi da uno che non sa leggere?».
«Ma
brutto idiota, vieni qui che ti ammazzo per bene!».
Hime
si poggiò mollemente contro il mobile della cucina, guardando sconsolata i due
che lottavano come due animali sul tappeto. «Fermi tutti!», esclamò
improvvisamente, facendoli bloccare all’istante. «Andate a rotolarvi in
quell’angolino, c’è ancora un po’ di polvere».
«Ma
quanto sei demente!», scherzò Nobunaga, mentre si beccava l’ennesimo colpo da
parte di Hanamichi, offeso al posto della sorella.
«Non
rivolgerti così alla mia Hicchan!».
Hime
si passò una mano sul viso, scuotendo mestamente la testa. «Qualcuno vuole un
succo di frutta? No? Nessuno? Bene, quando avrete finito fatemi un fischio!».
La rossa li scavalcò non senza temere un qualche colpo accidentale, ma riuscì a
non disturbarli e a passarli come se niente fosse. E dire che Nobunaga era
passato per portarla a fare un giro!
Sentendo
le grida di battaglia provenire dal piano inferiore, Hime non riuscì a
reprimere un sorriso, pensando che quei due erano tanto dementi quanto
amorevoli. Certo è che avrebbe preferito che si scambiassero l’affetto in modo
più civile, che non con cazzotti e insulti, ma quello era chiedere troppo.
Quando
entrò in camera sua, Akira era ancora bellamente spanciato sul suo letto,
troppo piccolo per le gambe chilometriche che si ritrovava. «È arrivato l’uomo
dei tuoi sogni, quindi!».
Hime
annuì sorridente, poggiando il bicchiere di succo quasi del tutto vuoto sul
comodino. «Sì, e ti conviene scendere da lì, o se ti trova sul mio letto posso
anche dire addio a Nobu-chan».
«Ma
dai, è così geloso?», chiese ridendo l’altro, mettendosi a sedere e piegando
una gamba sull’altra.
«Lui
e Hana sono identici, quindi gelosissimi. Ma li adoro anche per questo».
«Hicchaaan! Porta il disinfettante, questa scimmia ha
infettato tutta la casa!», sì sentì l’urlo disumano del fratello, che fece
scoppiare a ridere il Sendoh Nazionale.
Hime
si passò una mano sul viso, sospirando rassegnata. «Certo che se evitassero di
fare tutto questo casino ogni volta che si vedono…».
«Dai,
almeno socializzano!».
«Gran
bel modo di socializzare!».
Si
sentirono dei passi affrettati salire le scale, e un mezzo tonfo di qualcuno
che inciampava all’ultimo gradino, rischiando pericolosamente la vita.
«Hicchan, tuo fratello è– e lui che diavolo ci fa in camera tua?!».
Akira
alzò le braccia al cielo, discolpandosi, mentre Hime, rossa per la sua gelosia,
cercò di fargli capire che l’amico fosse passato a trovarli per una
chiacchierata e niente di più.
«E
guarda, Kiyota», fece il numero 7 del Ryonan, alzandosi. «Ora tolgo il disturbo
e mi porto via anche quella testa rossa di Hanamichi, ok? Così non avete
seccature di alcun tipo!».
Nobunaga
arrossì lievemente all’occhiolino del Porcospino e soprattutto al sorriso
malizioso che gli fece. Oh, Kami… lui e Hime soli… in casa?
Hime
non sembrò accorgersi di niente, tutta intenta a chiedere all’amico di tornare
presto prima che partissero per il Campionato Nazionale.
«No,
no, aspetta un attimo, Hentai!», esclamò Hanamichi, quando si vide trascinato
fuori da casa. «Io non la lascio la scimmia da sola con la mia Hicchan!».
I
due arrossirono contemporaneamente, incapaci di dire una sola parola.
«E
cosa vuoi che facciano?», domandò finto scioccato Sendoh. «Al massimo quando
torni a casa, fai piano, che magari stanno dormendo, stanchi e spossati…».
«Sendoh!».
«… per
aver fatto una partitella a basket, che andate a pensare tutti? Poi sarei io il
pervertito», concluse melodrammatico Akira, nascondendo un sorrisino che era
tutto un programma. «Beh, divertitevi e fate da bravi! Ciao,
ciao!».
La
porta si chiuse davanti ai loro occhi e per qualche secondo nessuno dei due osò
fiatare né muoversi. Erano troppo imbarazzati nel pensare a quello che aveva sottointeso
il Più-Porco-Che-Spino, per levarsi dalla mente certe immagini.
«Uhm…
Nobu, vu-vuoi del thè? O… o che ne so… vuoi… vado a controllare in frigo cosa
c’è, ecco». Hime si defilò a calmare i bollenti spiriti con un po’ di fresco,
appuntandosi mentalmente di pestare a sangue il suo non-più-amico per le
nuvolette sconce che ora dondolavano allegramente sopra la sua testa e, lo
sapeva bene, anche sopra quella del suo ragazzo. “Bene, non è successo
niente, Hime. Beh, non ancora… oh, cielo! Devo darmi una calmata! Dai, ora vai
lì, da Nobu e… e cosa?! Io non…”
«Hicchan…
va tutto bene?», domandò Kiyota, a pochi passi da lei, mentre le agitava una
mano davanti agli occhi.
«Oh?
Oh, certo! Tutto benissimo! Ahaha!». Sì, decisamente
quello era il momento più imbarazzante che avesse mai vissuto. E si stava
comportando da perfetta stupida, ecco cosa.
«Sicura?».
E
accidenti a quella scimmietta! Non aveva altro da fare che guardarla così e
avvicinarsi pericolosamente con quel suo sconvolgente corpo che si ritrovava?
No che non andava bene, ovvio!
«Senti,
Hicchan, ti andrebbe di seguire il consiglio di Sendoh?», chiese innocentemente
Nobunaga, che due secondi più tardi temette per l’incolumità della ragazza,
dato il colorito bordeaux che assunse. E che gli contagiò subito. «Ehi, ma… ma
che vai a pensare?! I-intendevo per il basket!».
«Oh».
Hime prese qualche bel respiro. «Mi scusi un attimo? Vado a rinfrescarmi il
viso, ho caldo».
Nobu
si tolse la fascia dai capelli, per usarla come elastico e farsi il suo
consueto codino prima di una partitella. «Ok, vengo anche io».
Calma, calma!
«Hicchan,
se non ti va possiamo andare a farci due passi», buttò lì Nobu, che a dirla
tutta non era tanto convinto di voler giocare con lei. Mica si era dimenticato
della partitella in ritiro, quando erano arrabbiati! Le sarebbe saltato
volentieri addosso, e non era così sicuro che le avrebbe resistito per una
seconda volta. «Sul lungo mare c’è la fiera, sai? Potremo andare lì».
Hime
si voltò a guardarlo, seriamente. «Nobu-chan, per te non è un problema?».
«Cosa?».
«Beh,
ecco… non giocare a basket, stasera… sai, non… me la sento di… giocare,
oggi».
Nobunaga
le sorrise, acquisendo la sua solita aria da pallone gonfiato. «Oh, capisco.
Hai paura di perdere! E certo, chi ti può biasimare… io sono il Rookie Numero
Uno di Kanagawa! Ahahaha!».
Hime
ebbe un coccolone da farle girare la testa, ma preferì così. Come sempre
Nobunaga Kiyota non aveva capito un emerito accidente.
«Sì!
Sì! È così!», disse forse con troppa foga, il che la fece apparire ancora più
schizofrenica di quanto già non fosse da dieci minuti a quella parte.
«Tranquilla,
non fa niente». Nobu le sorrise ora dolcemente, dandole un bacino sul naso.
«L’importante è stare con te». Hime si rilassò e lo abbracciò forte. «E poi c’è
tutto il periodo del Campionato per giocare, no?».
Oh cacca.
*
Kaede
Rukawa era ben consapevole di essere un uomo tutto d’un pezzo, soprattutto un
pezzo di ghiaccio. Ma quella sera temette di scoppiare, più per l’incolumità
della sua abitazione che per quei deficienti che gli erano piombati in casa. In
tutto i deficienti erano quattro: c’era il deficiente numero uno a), Sakuragi,
che non la smetteva di ficcanasare ovunque; il deficiente numero uno b), ergo
Sendoh, che era quello a cui era balenata in mente la geniale idea di fare una
rimpatriata in casa sua; e i deficienti numero due e tre, ossia Miyagi e
Mitsui, che avevano allegramente preso possesso della tv e stavano bisticciando
da mezzora su quale canale lasciare.
Che
cosa aveva fatto di male lui, per meritarsi quello? Non rompeva le scatole a
nessuno, lui!
«Do’aho,
mettilo giù o ti spacco la testa».
Hanamichi
guardò con aria indifesa il suo miglior nemico e rimise a posto il trofeo che
l’altro aveva vinto ai Campionati Interscolastici. Peccato che lo poggiò
proprio sull’orlo della mensola, e ci mancò poco che si spalmasse a terra, se
non fosse stato per la prontezza di riflessi dello stesso do’aho, che con un
sorrisone furbetto lo sistemò meglio.
Kaede
si massaggiò con lentezza le tempie pulsanti. Come se non bastasse gli stava
anche venendo mal di testa, accidenti a quei rompipalle!
«Ehi,
volpe, hai qualcosa da sgranocchiare? Ho una fame», fece Hanamichi,
accarezzandosi la pancia che iniziava a brontolare.
«Eh
ma allora sei proprio una fogna! Hai mangiato metà della vaschetta di gelato a
cioccolato solo mezzora fa!», si lamentò Ryota, guardando l’amico con gli occhi
fuori dalle orbite.
«Ma
ho bisogno di energie, io! Devo crescere!».
«Sì,
ti deve crescere il cervello. Anche se ormai è troppo tardi», commentò Mitsui,
distendendo le gambe e poggiando i piedi sul tavolino di fronte al divano -
cosa, per altro, che fece imbestialire la Kitsune.
«Allora,
Kit? Che c’è per cena?».
Cena?!
A parte il fatto che erano solo le sette di sera, quello aveva anche intenzione
di rimanere a cena? «Acido muriatico per tutti».
Sendoh
gli batté amichevolmente una manona sulla spalla, il che lo fece imbestialire
più dei piedi della guardia sul suo tavolino. «Dai, Kaede, rilassati e
divertiti un po’! Sei sempre tutto solo soletto con il basket… questi anni non
te li restituirà più nessuno!».
«E
meno male», ringhiò il volpino, seguendo il consiglio dell’asso del Ryonan e
sprofondando nella sua poltrona preferita, fortunatamente libera da animali.
«Quando
partite?», chiese Akira, prendendo posto su una sedia e poggiandosi con le
braccia sullo schienale.
«Dopodomani.
Verrai a vederci o poltrirai con una canna da pesca ogni santo giorno?».
Hisashi piegò il labbro in un sorrisino di scherno, sapendo che all’amico
rodeva tanto non poter partecipare.
Akira
accolse la provocazione con il suo proverbiale sorriso. «No, non credo che
verrò. Ora sono il Capitano, devo allenare la mia squadra per battervi ai
Campionati Invernali».
«Sì,
il capitano dei miei stivali». Hanamichi lo guardò perplesso. «Mi chiedo come
farà il Ryonan ad avere un Capitano come te! Gran bel punto di riferimento uno
che arriva in ritardo una volta sì e l’altra anche!».
Sendoh
si grattò la nuca, imbarazzato e consapevole che l’amico aveva ragione. «Vedrò
di darmi una regolata!».
«Ehi,
guardate!». Ryota agitò il telecomando che era riuscito a fregare a Mitsui,
attirando l’attenzione di tutti. «Parlano del Campionato».
Tutti
si fiondarono davanti alla televisione, ascoltando attentamente. «Quest’anno
il Sannoh ha intenzione di fare il bis del bis, vincendo le Nazionali con la
solita grinta e il pericoloso Sawakita, considerato da
molti uno dei migliori giocatori del Giappone». Rukawa e Sendoh strinsero i
denti per il disappunto.
Ma
fu solo Hanamichi a commentare: «Figurarsi se in giro c’è un giocatore migliore
di me!».
«Taci
e ascolta, invece di dire idiozie!», esclamò Hisashi, tirandogli uno
scappellotto per farlo stare zitto.
«Ma
anche il Kainan e l’Aiwa, che non mancano un appuntamento da anni, ormai, hanno
intenzione di combattere con i coltelli tra i denti. In più, quest’anno, c’è
una sorpresa, al posto dello Shoyo: lo Shohoku!».
«Ohh! Siamo famosi!».
«Questa
squadra di sconosciuti è riuscita a battere sia il Ryonan che lo Shoyo,
assicurandosi il secondo posto nel torneo di Kanagawa. Che siano veramente dei
talenti o solo delle meteore? Lo scopriremo tra tre giorni, quando ci sarà la
prima partita del Campionato!».
«Ma
vai al diavolo, tu e le meteore!», sbraitarono Ryota, Hisashi e Hanamichi, che
esternarono anche i pensieri di un più silenzioso Rukawa.
Sendoh
lo guardò un attimo, sorridendogli. «Sawakita, eh? Ci ho giocato contro, una
volta, mi pare. Stai attento, è bravo come dicono».
Kaede
lo fulminò con lo sguardo, bofonchiando un “hn”
di disprezzo. Nessuno avrebbe avuto le capacità di superarlo in quanto a
bravura. Nessuno. Era lui la
miglior matricola del Giappone, lui sarebbe
andato in NBA, non Sawakita o chi per lui.
«Kit,
io sto ancora aspettando cibo», si lagnò Hanamichi, col labbro all’infuori per
suscitare tenerezza.
«Uff…
rompipalle», fu il serafico commento di Rukawa, che nonostante tutto si alzò
per cercargli qualche veleno da dargli.
Inutile
dire che Kaede si ritrovò ospiti non solo a cena, ma anche di notte.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Ciao a tutti, ragazzi e
ragazze! Ecco un nuovo aggiornamento dopo la settimana in Spain
che ho passato! *_* Dal prossimo capitolo si inizia con il Campionato
Nazionale, devo ancora decidere se saltare le partite o scriverle nonostante
tutti sappiamo come siano finite… che ne dite?
Intanto, dato che siete
tutti spariti XD, ringrazio chi ha letto lo scorso capitolo, chi ha inserito WB
tra i preferiti:
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo XXVI
Go Shohoku, Go!
«Ma dove diavolo sono finiti quei due celebrolesi?».
Akagi, con un spaventoso tic al sopracciglio destro, ed un altrettanto temibile
sguardo infuocato, andava avanti e indietro per la banchina della stazione.
Kogure, con un sorriso insicuro, cercò di
tranquillizzarlo come sempre. «Dai, Takenori, arriveranno! Non preoccuparti!»
«E se dovessero arrivare al massimo li butti sulle
rotaie quando sta arrivando il treno. Semplice, no?».
«Senpai!», si lamentò Ayako rivolta ad un Mitsui
che sogghignava, intimamente soddisfatto della sua idea.
«Ok, nel caso possiamo graziare Hime. Ma solo
perché è donna», suggerì Ryota, subito interrotto dal Gorilla.
«Eh no! Se dobbiamo fare una cosa facciamola bene!».
I ragazzi risero, anche se ormai stavano iniziando
a spazientirsi per il ritardo dei gemelli.
«Non sono amici di Sendoh per niente, quei due».
Hisashi si poggiò contro il muro, con le braccia dietro la testa e gli occhi
chiusi. Aveva dormito male, quella notte, per la tensione. E come lui tutti gli
altri, ovviamente. Il Campionato Nazionale era un appuntamento troppo
importante per non sentirsi emozionati e tesi all’inverosimile. Erano una
squadra nuova e sconosciuta, ma avrebbero affilato i coltelli pur di farsi
valere.
Nel frattempo, due teste rosse stavano correndo
come pazzi, ormai senza fiato, nel disperato tentativo di arrivare in tempo per
non perdere il treno che li avrebbe portati a Hiroshima.
«Dai, Hana! Siamo quasi arrivati!».
«È tutta colpa di quegli idioti!».
«Non dare le colpe a Yohei e gli altri! Se non
fosse stato per loro ora saremmo ancora addormentati e il Gori ci avrebbe
staccato la testa a morsi!».
«Ma i gorilla non mangiano solo banane?».
«Hanamichi!».
«Ahaha! Guarda, siamo
arrivati! Siamo due geni!».
Sì, due geni malriusciti, dato che come sbucarono
dalle scale si videro il Kainan al completo che li guardava spaesati. Nobunaga
si ritrovò a sorridere sognante e felice come un ebete, pensando che ritrovarsi
la sua bella davanti così inaspettatamente fosse il miglior inizio di giornata
che avesse mai avuto dopo il ritiro, mentre Maki indicava ai due un punto
dietro le loro spalle. «Lo Shohoku è dall’altra parte, ragazzi».
I due diventarono rossi come i propri capelli e
filarono via senza neanche salutare, troppo spaventati dall’ira funesta del
loro King Kong. Che infatti, appena li vide, non si risparmiò certo di elargire
pugni e tirate d’orecchio ad entrambi. «Cos’è, volevate cambiare squadra?!».
«Ma magari», commentò Kaede, guadagnandosi
un’occhiata truce dai fratelli.
«Kit, vai e ammazzati».
Il treno arrivò in quel momento, facendo salire un
groppo in gola a tutti.
«Avanti, andiamo», li riscosse Akagi, guardandoli
seriamente. «Per noi, per i campioni!».
«Urrà!», gridarono insieme, carichi come non mai.
Fortunatamente il treno non era affollatissimo, e
tutto quel branco di bestioni trovò posto con facilità.
«Hicchan! Non basta che sei al fianco del Volpino,
ma mi lasci seduto vicino al Baciapiselli e col Gorillone davanti?!».
Due pugni risuonarono per tutto lo scompartimento,
facendo voltare numerose teste, incuriosite e un po’ spaventate dall’espressione
diabolica di Mitsui e Akagi.
Hime ridacchiò, scuotendo la testa, mentre Hisashi
ringhiava “Non chiamarmi Baciapiselli in pubblico, deficiente!”. Kaede,
al suo fianco, incrociò le braccia, con la testa pericolosamente ciondolante in
avanti. «Non mi dire che ti stai già addormentando? Siamo appena saliti!».
Il ragazzo si limitò ad aprire un occhio blu e a
puntarglielo contro come una lama affilata. «Se non cominci a parlare magari ci
riesco».
Hime sorrise bonariamente, tirandogli un pugnetto
affettuoso sulla spalla. «Come se tu non avessi il potere di addormentarti in
piedi ad un concerto rock!».
«Hn… Può essere». Tempo
due minuti e Rukawa era bello che addormentato, con una bolla che si gonfiava e
sgonfiava dalle narici e la testa poggiata su quel comodo cuscino di cui ormai
non poteva più fare a meno, ossia la spalla della ragazza.
«Non è possibile… questa proprio non ci voleva!»,
esclamò a un tratto Akagi leggendo il calendario dei turni delle partite, forse
un po’ troppo forte per i gusti degli altri passeggeri.
Il loro primo incontro era fissato contro il
Toyotama, squadra che era conosciuta per il suo famoso Ace Killer,
un giocatore che non badava allo spirito sportivo quando si trattava di
trovarsi in difficoltà.
«Perché tanta agitazione? Il Toyotama è davvero
così in gamba? E io che li credevo dei principianti!», commentò Hanamichi, come
se fosse lui il vero esperto di basket.
Hisashi, al suo fianco, lo guardò torvo. «No, il
vero problema è il secondo incontro».
Hanamichi sporse la testa per leggere meglio.
«Paura del Sonno?».
«Deficiente! Si legge Sannoh!».
Hime, anche se impossibilitata a muoversi, drizzò
le orecchie, preoccupata. Quella non ci voleva proprio! «State scherzando,
vero?».
«Hicchan, conosci anche tu questi del Sonno?».
«Si dice Sannoh!».
«Ma l’hai sentito quel servizio alla tv l’altra sera
o stavi solo facendo finta?», esclamò Ryota, scandalizzato.
Nel frattempo il treno si fermò alla Stazione di
Osaka, mentre i ragazzi continuavano a parlare concitatamente. «La squadra del
Sannoh Kogyo, della prefettura di Akita,
l’anno scorso ha vinto il Campionato Nazionale», spiegò Akagi, scuro in viso.
«Davvero?», chiese Hanamichi, grattandosi il mento
pensieroso.
«Sì, e anche l’anno prima. E due anni fa», confermò
Hime, sprofondando contro il suo sedile.
«Se vincessimo contro il Sonno chi sarebbero i
prossimi?».
Molti rinunciarono a spiegargli come si
pronunciasse quella fatidica parola, in realtà troppo preoccupati per il loro
futuro in Campionato.
«Il liceo Aiwa».
«Oh, bene! Di male in peggio!», commentò qualcuno.
«Il Sannoh Kogyo, il
liceo Aiwa… siamo capitati in un girone infernale!», fece drammatico Kogure,
che certo non aiutava l’animo dei giocatori. Non si accorse, però, che alle sue
spalle stava un colosso con il codino, non troppo contento di quello che aveva
appena sentito. Gli cinse il collo con un braccio, rischiando anche di
strozzarlo per la forza che usò. «Ehi, posso vedere il tuo biglietto?».
I ragazzi dello Shohoku si fecero attenti tutto
d’un tratto, capendo dallo sguardo del nuovo arrivato che non era per niente
amichevole. «Hai parlato del Sannoh e dell’Aiwa come le migliori squadre del
Campionato», gli disse con stizza il ragazzo. «Cerca di stare più attento a
quello che dici, altrimenti chi ti ascolta penserà che il Toyotama non valga
niente».
«Aaah! Kishimoto! Ti ha
dato di volta il cervello?! Smettila subito!», gridò un uomo, precipitandosi
verso il ragazzo e iniziando a scusarsi con i diavoli rossi.
«La smetta di scusarsi, allenatore. Questi bastardi
ci stavano insultando», fece sprezzante Kishimoto.
«Ma se non stavamo neanche parlando di voi!»,
esclamò Miyagi alzandosi, seguito subito dopo da Mitsui. Entrambi avevano uno
sguardo che di rassicurante non aveva niente. E Hime sapeva che se avessero
continuato per quella strada qualche cazzotto sarebbe sicuramente volato.
«Svegliatevi, idioti! Leggete bene quella rivista!».
Tutti si fiondarono a vedere e quello che lessero
li lasciò di stucco: Toyotama squadra di classe A, Shohoku squadra di classe C.
Per non parlare poi del Sannoh, di classe AA.
«Siete davvero degli ottimisti se
sperate di battervi con il Sannoh», fece Kishimoto, andandosene verso la sua
squadra. Peccato che non avesse fatto i conti con Sakuragi, che gli fece uno
sgambetto in piena regola.
Hime, che aveva visto tutto, si portò le mani alle
labbra, spaventata, quando Kishimoto, capendo chi fosse stato, gli strinse la
testa rossa in mano e gli gridò dietro un “Bastardo” con i contro fiocchi.
L’allenatore del Toyotama iniziò a strillare contro il suo giocatore,
peggio di Taoka nei confronti del suo numero 7 quando arrivava in ritardo agli
allenamenti.
«Ehi, codino».
«Hana, per favore…», bisbigliò Hime, in
apprensione. Quel Kishimoto non le piaceva per niente.
«Al momento giusto mi ricorderò che hai cercato di
schiacciarmi la testa».
Quando l’attaccabrighe si allontanò definitivamente
molti tirarono un sospiro di sollievo, altri ribollivano per la rabbia.
Hanamichi, in particolare, si sentì osservato e si
accorse che la sorella lo stava fissando da un po’, accigliata. La ragazza
mosse le labbra in un “Stai calmo” e subito dopo gli sorrise, vedendo che il
fratello si distese un poco.
*
Dopo il consueto giuramento di tutte le squadre
partecipanti a giocare con il massimo rispetto degli avversari e a presentare
ufficialmente i vari incontri, con tanto di regolamento, lo Shohoku uscì dalla
palestra gremita di gente, dove si fermò a dare un ulteriore occhiata al
tabellone del calendario.
«Condoglianze, ragazzi. Siete capitati nello stesso
blocco del Sannoh e dell’Aiwa», fece una voce alle loro spalle. Shin’chi Maki e tutto il Kainan al completo li guardava con
un misto di ironia e serietà, mentre l’unico babbeo del gruppo si metteva in
posizione di preghiera, per “aiutare spiritualmente” i suoi amici.
«Diciamo pure che siete finiti!», esclamò la
scimmietta del Kainan, ridendosela sotto i baffi.
«Checcosa?!», esclamò
Hanamichi, mentre Hime trotterellava al fianco del suo ragazzo.
Che nel giro di due secondi si gonfiò come un pesce
palla, e con orgoglio ed esuberanza si rivolse a Rukawa. «Sai, non credo
proprio che avremo la possibilità di scontrarci di nuovo», disse quasi
dispiaciuto. «Faremmo bene a concludere la nostra sfida qui!».
«Ma sentitelo!», fece Hanamichi, guardandolo
dall’alto del suo metro e 89, mentre Kaede si chiedeva mentalmente “Quale
sfida?”.
Il numero 11 dello Shohoku, però, si svegliò presto
dai suoi pensieri e sedò subito gli animi, con una frecciata degna della sua
fama. «Tanto prima o poi dovremmo sconfiggerli. Così ci togliamo subito il
pensiero».
Hime e gli altri sorrisero. «Ben detto, Ede!».
Nobunaga, rosso e fumante come una pentola a
pressione, guardò in cagnesco il volpino, maledicendolo per avergli rovinato il
suo momento di gloria davanti alla ragazza e soprattutto per il carisma e il
fascino che suscitava in lei. Mai e poi mai si sarebbe tolto dalla testa che
quella volpe lussuriosa fosse innamorato della sua Hicchan!
Hime, al suo fianco, ridacchiò nel vedere
l’espressione imbronciata della sua scimmietta selvaggia, e gli schioccò un
bacino sulla guancia, mandandolo in estasi totale.
Akagi e Maki, nel frattempo, si stavano sfidando da
veri fuori classe, promettendosi che sarebbero arrivati entrambi a scontrarsi
di nuovo.
«Ehi, ehi! Non direte sul serio, gente! Siete
davvero convinti di arrivare a giocare contro il Kainan?».
«Oh, no… di nuovo quell’idiota», borbottò Hime,
stringendo la mano a Nobunaga, che guardò prima lei poi il tizio che si era
fatto avanti.
«Lo conosci?».
«In un certo senso. Prima, sul treno, stava per far
scattare una rissa», gli sussurrò per non farsi sentire.
«Ehi, Maki! Se non sbaglio durante le eliminatorie
vi siete fatti quasi sconfiggere da questi cinque perdenti».
«Che accidenti hai detto?!», sbraitò Hanamichi,
mentre Hime correva dal fratello per calmarlo.
«Se è davvero così», continuò Kishimoto, «allora
una delle quattro squadre più forti del Campionato è da considerarsi fuori
gioco».
Inutile dire che quella frase riuscì a scaldare gli
animi anche al Kainan. L’unico che sembrava calmo e tranquillo era proprio il
loro Capitano, che si avvicinò al ragazzo con aria perplessa. «Scusa, con chi
ho il piacere di parlare?».
Bastò quell’unica domanda a far scoppiare a ridere
tutti, soprattutto le due scimmie, che avevano letteralmente le lacrime agli
occhi e dovettero reggersi la pancia a causa del dolore addominale per le
troppe risate. Persino Akagi dovette trattenersi, dato che trovò quella
frecciata più che perfetta per far abbassare le penne a quel pallone gonfiato.
E se Rukawa non fosse stato un volpino surgelato era sicuro che anche lui si
sarebbe spanciato fino a piangere.
L’aria iniziò a farsi pesante, e cominciarono a
partire le prime minacce e le relative risposte da una parte all’altra.
«Piantatela, tutti!», gridò il Gorilla.
Il quadretto si concluse con l’arrivo di Minami, il
Capitano del Toyotama, che richiamò alla calma i suoi ragazzi.
«Rukawa, stai molto attento a quel tipo», lo mise
in guardia Maki, affiancandolo.
«Akagi, siamo tutti sportivi. Comunque vada
l’incontro non ci sarebbe alcun rancore, giusto?», stava dicendo Minami,
o Calimero, come aveva bofonchiato Hanamichi appena aveva visto il
ridicolo taglio di capelli del ragazzo.
«Certamente», rispose Akagi, più serio che mai.
Il Toyotama si allontanò senza aggiungere altro,
tranne uno dei giocatori, un bisonte che più tardi scoprirono essere il
playmaker, e che diede una spallata così forte al povero Miyagi, che cadde a
terra per il colpo.
«Oh, scusa… non ti avevo visto!».
Ryota strinse i denti per l’affronto. «Hai comprato
il biglietto del treno?», gli chiese, facendolo voltare, mentre si rimetteva in
piedi. «Già, perché dopo l’incontro di domani ve ne tornerete a casa, no?».
«Ahaha! Bella così,
Nano!».
«E non chiamarmi “nano”, Hanamichi!».
*
Quella sera stessa l’aria di tensione tra i
giocatori dello Shohoku era palpabile. Hime poteva capirlo solo guardando i
suoi amici negli occhi. Era un’occasione importante per tutta la squadra, ma
ancor di più lo era per Akagi e Kogure, che avevano solo quell’unica chance per
poter dire di aver partecipato al Campionato Nazionale. E perché no, vincerlo!
Hanamichi era al piano di sotto, intento a parlare
al telefono con la sua adorata Harukina-cara, mentre Ryota era
andato a rilassarsi alle piccole terme all’interno di quella graziosa pensione.
Rukawa? Beh, lui dormiva da ore, come era prevedibile.
Hime, invece, era accucciata accanto a Mitsui, sdraiato
invece sul futon e intento a leggere e rileggere la rivista di quella mattina.
Con loro c’era anche un silenziosissimo Akagi, perso a guardare fuori dalla
finestra.
«Io davvero non capisco. Perché ci hanno
classificato come squadra di classe C?», si lagnò Hisashi, offeso contro
chiunque avesse stilato quella graduatoria.
«Forse perché è la prima volta che lo Shohoku
riesce a salire così in alto e credono sia stata solo fortuna», disse Hime,
stringendosi le gambe al petto.
«Già, l’altra sera ci hanno chiamati “meteore”».
«Cosa?! Ma come si permettono?!», s’infervorò la
rossa, facendo sospirare l’amico. «Appena becco la signorina Aida le chiedo se
conosce quest’energumeno che ha osato dire una cosa del genere!».
«Hime, ti stai comportando esattamente come
Hanamichi», le fece notare con una punta di sarcasmo l’amico.
Lei si mise a ridacchiare, rendendosi conto che sì,
in effetti stava divagando un po’ troppo. Si era addirittura messa in piedi, in
una ridicolissima posa plastica da superman. «Ok,
scusami… è la tensione».
«Akagi, che succede?», chiese Kogure, aprendo in
quel momento la porta a scomparsa ed entrando nella stanza.
Hisashi e Hime alzarono lo sguardo sul Capitano,
stranamente troppo quieto.
«Mitsui, dimmi… quando eri alle medie ti capitava
mai di sentirti teso prima di un incontro?», gli chiese Takenori, serio.
L’altro fece spallucce. «Mah, non saprei…».
«Io non sono mai stato teso come oggi», confessò
Akagi, facendo sbalordire tutti. «Non riesco a smettere di tremare». Prese un
respiro, anche se non servì a calmarsi. «Vado a farmi una corsa per rilassarmi».
Hime si alzò, seguendolo. «Vengo con te, Capitano!».
Gli sorrise candidamente quando lui la guardò sorpreso.
Akagi annuì, iniziando a correre senza aspettarla.
«Ehi, non sei tu quello che deve dare il buon
esempio ai suoi giocatori?», gli disse Hime, affiancandolo.
Le lanciò un’occhiata indecifrabile, ma non certo
di quelle micidiali che era solito elargire come pane. «Lo so, scusami».
La ragazza gli batté affettuosamente una mano sul
braccio. «Vedrai, Capitano, porterai la tua squadra molto lontano… ne son
convinta».
Prima che Akagi potesse dire qualsiasi cosa, una
voce squillante risuonò nella notte.
«Ehi, Gori! Hicchan?! Che state
facendo?!», sbraitò peggio di una lavandaia Hanamichi, balzando accanto ai due
e seguendoli.
«Uncinetto, Sakuragi. Non vedi?», borbottò
Takenori, facendo scoppiare a ridere la ragazza e lasciando parecchio perplesso
il fratello.
«Sai, Gori, non so perché ma l’idea di te che fai
uncinetto, magari con gli occhialini sul naso e la cuffietta della nonna in
testa, mi piace parecchio! Ahaha!».
Akagi sbuffò. «Ma la lingua la usi solo per sparare
cazzate?».
Se ci fossero stati Mitsui o Ryota, o peggio ancora
Kaede, qualcuno avrebbe sicuramente ribattuto che sì, poteva usarla solo per
quello, povero sfigato. Akagi tirò un sospiro di sollievo per non dover
assistere a una menata del genere. Nonostante tutto, però, si ritrovò a
sorridere. Diede una veloce occhiata ai due fratelli, che avevano iniziato a
blaterare cose senza senso come il loro solito, e li ringraziò mentalmente. In
fondo, anche se quei due psicopatici di Sakuragi l’avevano fatto invecchiare
prima del tempo, non poteva non essergli riconoscente. Ricordava ancora di
quando la ragazza era comparsa per la prima volta in palestra, entusiasta di
poter dare una mano come manager; aveva subito legato con tutti e non poteva
negare che già lei avesse portato una ventata di aria fresca. Poi qualche
giorno dopo era arrivato l’altro imbecille del fratello e da lì all’Inferno il
passo fu veramente corto. Ma alla fine quelle due teste calde si erano rivelati
l’ottimo rimedio per i momenti di crisi, di qualsiasi genere essi fossero.
Soprattutto quella capa bacata di Hanamichi, ottima valvola su cui sfogare i
propri pugni.
«Ehi, Gori». Akagi lo guardò, sospirando e
preparandosi mentalmente alla prossima cavolata del rossino. «Vedrai che
batteremo sia il Sonno che l’Aiwa!».
«E cosa te lo fa pensare?».
Hanamichi sorrise candidamente. «Ma è ovvio, io
sono un Genio!».
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
Buon inizio di
settimana a tutti, gente! Come annunciato questo è probabilmente il penultimo
capitolo di WB, il prossimo, a meno di un’idea geniale, sarà l’epilogo. Ma non
temete (?!), ho già buttato giù la prima bozza per un seguito, sia perché ci
sono punti in questa storia che non sono stati spiegati a dovere (vi starete
arrovellando ancora per capire che è successo tra Ayako e Ryota in ritiro,
vero? Io mica me ne sono dimenticata! :D) e che hanno bisogno di essere approfonditi
con più calma, sia perché il circus di Slam Dunk non
smette mai di darmi idee su idee! Questa è stata una fanfiction
più che altro incentrata sulla scimmietta selvaggia del Kainan, dato che è un
personaggio che adoro ma che, ahimè!, mi sembra un po’ sottovalutato… La
prossima, se la scriverò veramente, non avrà un personaggio “principale”, ma
darò il giusto spazio che si meritano a tutti questi adorati “ragazzi
selvaggi”. :)
Un grazie a Fix89thebest che ha
aggiunto WB tra le seguite! E ovviamente a tutti voi carissimi lettori e
lettrici! (siete in vacanza, vero? VERO?! XD)
La cena, a differenza del pranzo, fu più movimentata
Capitolo
XXVII
Friendship - Epilogo
L’aria salmastra era sempre
stato uno dei loro odori preferiti. Era un vero toccasana sia per la mente che
per il corpo. Quando erano bambini il padre li portava sempre al mare, per
farli divertire sulla sabbia e fargli respirare il buon profumo dell’oceano.
Era così grande, pensavano i fratellini, che secondo loro
neanche l’uomo più assetato del mondo sarebbe riuscito a berlo
tutto!
«Hana-chan! Aspettami!», gridava
una bambolina dai capelli rossi ritirati in due simpatiche codette.
«Dai, Hicchan! Raggiungimi!», rispondeva il fratello, con
un sorrisone da orecchio a orecchio.
«Kaede, tu non giochi con loro?», chiese il padre delle due
piccole pesti ad un terzo bambino dai capelli corvini.
«Prima finisco questo, signor Sakuragi».
L’uomo gli si avvicinò e vide una palla di sabbia che il
bambino, con un dito, stava decorando con delle linee tremolanti.
Kaede sorrise appena la sua palla di sabbia da basket fu
pronta. Ma il sorriso gli morì in gola quando Hanamichi gli corse davanti,
prendendo in pieno con un piede il suo capolavoro. Guardò arrabbiato il bambino
e, come avrebbe fatto dieci anni dopo, prese i resti della sua palla e glieli
lanciò, beccandolo in testa.
La piccola Hime si sedette sul bagnasciuga, accanto a
quello che era già il suo migliore amico, ridendo a crepapelle, mentre il
fratello s’infervorava, con le lacrime agli occhi.
Il padre s’inchinò e gli accarezzò la testolina rossa, ora
piena di granelli di sabbia umida, e sorrise. «Bel colpo di testa, Hanamichi!».
Hime si mise a ridere da sola,
ripensando a quel momento che ancora ricordava proprio come se fosse stato il
giorno prima.
Il fratello, seduto accanto a
lei con in mano una lettera da parte di Haruko, la guardò preoccupato.
«Hicchan, tutto bene?».
Lei annuì, poggiandosi contro la
sua spalla. «Sì, va tutto bene».
«Ma dimmi tu quel volpino!
Sembra che lo faccia apposta a venire qui a correre!», si lagnò Hanamichi,
guardando Rukawa che, come ogni pomeriggio, si allenava sulla spiaggia. Aveva
ricevuto l’ingaggio per la Nazionale Juniores del Giappone dopo la
partita contro l’Aiwa, che aveva anche decretato la fine dei loro Campionati, e
per questo doveva allenarsi doppiamente per essere all’altezza. Hime era
rimasta sorpresa quando aveva scoperto che sarebbe stato in ritiro proprio
vicino alla clinica dove il fratello stava facendo riabilitazione; e fu
contentissima di poterlo andare a trovare durante gli allenamenti estenuanti al
quale il coach della Nazionale lo sottoponeva. Hanamichi, invece, la
considerava una mezza maledizione. Soprattutto quando si trovava quella brutta
faccia di volpe in clinica che, diceva lui, sembrava peggio di un
uccellaccio del malaugurio. In realtà sia Hanamichi che Kaede erano
intimamente felici di continuare a prendersi a insulti anche durante la loro
mancanza dallo Shohoku, ma il loro orgoglio era troppo smisurato per poterlo
ammettere apertamente. Del resto a modo loro dichiaravano il loro affetto ogni
volta che se ne presentava l’occasione. A modo loro.
Kaede salutò i fratelli con un
cenno del capo, proseguendo per la sua strada.
«È ovvio che hanno preso lui
perché io sono infortunato! Non può essere altrimenti!».
Hime rise, dandogli un sonoro
bacio sulla guancia. «Sì, è sicuramente così, Hana! Vedrai, quando la schiena
ti tornerà nuova di zecca chiameranno anche te».
L’espressione crucciata di
Hanamichi si tramutò presto in un sorrisone. «Haruko dice che mi aspettano
tutti!».
«E certo, mica possono fare a
meno di un Genio come te!», gli disse, scompigliandogli i capelli, ormai già un
po’ più lunghi di com’erano appena rasati.
«Sai, mi manca il basket», le
confessò, triste. «Non pensavo che potessi innamorarmi così tanto di una
palla!».
«Ti capisco, Hana, è normale.
Quando cominci a giocare, anche se all’inizio gli allenamenti ti sembrano
stupidi o stancanti, poi non potrai farne a meno», gli sorrise. «Tornerai più
forte e motivato di prima, proprio come ha fatto Hisashi».
«Già, Mitchi ha passato davvero
un brutto momento».
«Ma ne è uscito da campione».
Hanamichi annuì, pensoso.
«Vincerò questa partita anche io, vedrai Hicchan!».
Lei rise, convinta che il
fratello avesse pienamente ragione. Chi l’avrebbe mai detto che Hanamichi
Sakuragi, colui che aveva sempre considerato il basket e gli sport in genere
una perdita di tempo, ora fremesse per tornare ad allenarsi?
«Hicchan, grazie per essere qui
con me».
Lei gli prese una mano e gliela
strinse forte forte. «Hana, sei la persona più importante della mia vita,
insieme alla mamma e al papà. Anzi no, sei la mia vita».
Il fratello si lanciò per
abbracciarla con tutto l’affetto di cui disponeva, facendola commuovere per la
sua infinita dolcezza.
«Sai, non riesco a immaginare
come saranno gli allenamenti senza il Gori», disse mogio mogio,
poco dopo.
«Stai tranquillo che se non ci
penserà Ryota a farti rigare dritto ci sarà Ayako con i suoi ventagli!»,
scherzò Hime. «E poi te l’ha detto anche Haruko che il fratello è sempre in
palestra a controllare. Evidentemente manca tanto anche a lui, il basket».
«Nonostante tutto mi ci sono
affezionato a quel bestione». Hanamichi guardò il cielo. «E mi fa senso
ammetterlo, ma non vedo l’ora che mi insegni altro. Quando tornerò dovrò
prendere il suo posto di centro!».
«Non montarti la testa, pivello».
I fratelli saltarono dallo
spavento, troppo presi nei loro discorsi per accorgersi di Rukawa che era
tornato indietro nella sua corsa e si era seduto accanto a loro.
Rimasero tutti e tre in
silenzio, a contemplare il mare che placidamente ondeggiava a pochi passi da
loro, consapevoli che, finché fossero rimasti insieme, non sarebbero servite
parole per capirsi. Poi Hime si sdraiò sulla sabbia, facendo fare la stessa
cosa agli altri due. Li prese entrambi per mano e sorrise, felice.
«Vi voglio bene», sussurrò, chiudendo
gli occhi e pensando a una terza persona che in quel momento mancava, ma che
mentalmente era sempre con lei.
Hanamichi le diede un bacino,
accoccolandosi accanto alla sorella, mentre Kaede come sempre non disse niente;
solo la sua mano grande, che stringeva quella minuta della sua migliore amica,
parlava per lui.
Sì, era proprio vero. Tutti e
tre insieme non avevano bisogno di parole per comunicare. La sola amicizia che
li legava valeva più di mille monologhi.
Keep smiling, keep shining
Knowing you can always count on me,
for sure
That’s what friends are for
In good times, in bad times
I’ll be on your side forever more
Oh, that’s what friends are for.
[Dionne Warwick, That’s what friends are for]
Fine.
* * * *
Piccolo siparietto per l’autrice:
E fine fu! E’ passato
poco più di un anno da quando ho pubblicato questa fanfiction,
ma mi sembra fosse ieri! E’ incredibile quanto il tempo, scrivendo WB sia
volato… Mi son divertita troppo a scrivere di questi pazzi, come sempre del
resto! :) Ma ve l’ho detto, se volete ancora seguirmi su queste reti
prossimamente pubblicherò anche il seguito, che con molta probabilità si
chiamerà Bar America… Il perché lo scoprirete solo leggendo! :P
Un grazie a lilli84 che ha
commentato anche il penultimo capitolo (sei sempre così gentile <3), grazie
tutti coloro che hanno commentato: a MihaChan la pazza (tesoro, grazie grazie
mille per il tuo sostegno! E per avermi aiutata nel momento del bisogno XD :*),
a Black_Moody
(desaparecida :*, quanto mi hanno fatto ridere i tuoi commenti?! Uno spasso
XD), a kuro (hai visto che alla fine l’ho finita? Son
stata brava? *_* Grazie mille per tutto :*), a gaara4ever, SangoChan88, asthenia, Trilla, ayakuccia, Lili
Rose e lucilla_bella!
Grazie a asthenia, ayakuccia, Black_Moody, giugiu182, glo91, klikka,
kuro, LaDolceFragola_991, lilli84, masychan, MihaChan, Nena89,
SangoChan88, sophia90 e Talia per averla inserita
tra i preferiti e ugualmente Felix85,
Fix89thebest, masychan e Nena89 per averla
inserita tra le seguite!
Se ho dimenticato
qualcuno chiedo perdono, ma siete tanti e io sono emozionata! *o*
/me commossa
E non da ultimo grazie
al Sensei, che ha creato questo
mondo fantastico che è Slam Dunk e che non mi farà mai smettere di sognare
e ridere. Mai. Grazie Inoue-san!
Questo kyokuba che saltella alle mie spalle vi saluta tutti
calorosamente! …Tranne Akagi che mi sta mezzo strozzando con i suoi famosi
boxer “l’abito non fa il monaco”, minacciandomi per fargli avere la sua giusta
vendetta nel prossimo capitolo della “saga”… Io dico di si, ma tanto lui è solo
frutto dell’immaginazione… che potrà farmi?!
Grazie ancora a tutti!
Un abbraccio strittolosissimo e a presto, si spera!