Lasciami essere il tuo dolce.

di CHAOSevangeline
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Torta al cioccolato ***
Capitolo 2: *** Caffè con panna ***
Capitolo 3: *** Pasticcio ***
Capitolo 4: *** Farina ***
Capitolo 5: *** Grembiule ***
Capitolo 6: *** Epilogo - Impasto ***



Capitolo 1
*** Torta al cioccolato ***


Salve a tutti e grazie se avete deciso di aprire questa fan fiction!
Prima di lasciarvi leggere il capitolo vorrei fare alcune precisazioni: la prima è che questa fiction è un'AU che partecipa all'AU Challange indetta sul forum di EFP. Poco più in basso vi lascerò il banner con il relativo link alla discussione se per caso siete interessati. Dateci un'occhio, perché è davvero molto interessante! :3
Con i titoli sfortunatamente non sono un asso e non escluderei che quello di questa fan fiction possa cambiare, come del resto potrebbe anche variare il raiting per esigenze di trama.
La seconda precisazione è che sono nuova del fandom di Hetalia e spero vivamente di non aver combinato disastri con i caratteri dei personaggi. Questo è sempre il mio terrore e ho tentato di caratterizzarli al meglio, spero di esserci riuscita.
L'ultimo appunto che voglio fare riguarda il cognome di Ludwig, che non è mai stato specificato chiaramente: ho deciso di utilizzare quello di Prussia per ovvie ragioni, perché se ne avessi deciso uno da me sarebbe stato sicuramente peggio.
Detto questo, vi lascio alla storia! Spero vivamente di non avervi annoiati e in un vostro commento, anche se di poche righe!

    



PASTICCERIA
torta al cioccolatogrembiulecaffè con panna
farinaimpastopasticcio
Completate 3/6


Lasciami essere il tuo dolce.

1. Torta al cioccolato

 


Le dita affondarono nuovamente nell’impasto morbido.
Stava ripetendo quell’operazione da diverso tempo, ormai, tanto che i polsi iniziavano ad essere indolenziti dal continuo spingere per far amalgamare quelle gocce di cioccolata.
Scuramente avrebbe sentito un certo fastidio ai muscoli, se solo in quel momento non fosse stato a cucinare.
Amava farlo, amava farlo talmente tanto che mentre si trovava in cucina cambiava completamente: niente capricci perché sentiva un leggero fastidio, niente era più capace di distrarlo; esistevano solamente lui e il piatto che stava preparando.
Non c’era tempo per pensare ad altro, doveva occuparsi solo e soltanto dei condimenti e delle spezie o, come in quel caso, del non rendere il dolce né troppo pastoso, né troppo morbido.
Si sentiva davvero in pace con il mondo quando si trovava in cucina o, almeno, più del solito.
Se quello del pasticcere fosse stato il suo lavoro sarebbe stato sicuramente felicissimo, peccato che lui non si sarebbe dovuto trovare lì, in quel momento.
Era solo un semplice cameriere in fin dei conti; uno di quei camerieri pasticcioni che viene assunto solo per disperazione, perché manca l’organico è bisogna essere certi che quelli più capaci non siano oberati di compiti da svolgere venendo meno al servire i clienti.
A dire il vero era proprio a causa del suo essere disordinato e maldestro che aveva messo il punto fine alla propria carriera di cuoco qualche giorno dopo dal suo inizio.
Un talento sprecato, davvero: Feliciano era quel tipo di persona che tra i fornelli era in grado di muoversi con una tranquillità incredibile. Tutto il suo essere impacciato spariva, tramutandosi in una capacità di muovere le braccia da una parte all’altra senza la minima fatica.
Aveva solo una pecca.
Era disordinato, disordinato come non mai, tanto disordinato che per lavorare bene doveva avere la cucina solo e soltanto per lui.
La farina finiva quasi sempre rovesciata per metà sul bancone da lavoro, o peggio, sul suo naso e sui suoi capelli.
Gli altri cuochi si ritrovavano con parti del piatto spiaccicate in faccia perché, a detta di Feliciano “intralciavano i suoi spazi” e ahimè quando aveva fame, quantità variabili di quanto aveva preparato sparivano misteriosamente.
Anche se aveva sempre servito piatti eccellenti ai clienti apportando anche modifiche alle ricette originali del ristorante e lasciando chiunque molto soddisfatto, non riuscì a tenersi stretto il posto e meno di due giorni dopo si ritrovò per strada a cercare un nuovo impiego.
Fortunatamente un altro locale cercava personale e non esitò a proporsi come cameriere; erano talmente disperati che lo accettarono subito, probabilmente per il suo essere cordiale.
Il risultato di questa scelta avventata?
Tre piatti rotti, cinque bicchieri distrutti, un bicchiere di vino rovesciato – fortunatamente – contro un altro cameriere.
Si beccò talmente tante strigliate che prima della fine della prima settimana fu mandato in cucina a pulire i banconi, portare fuori la spazzatura e sistemare il retro del locale.
Il lato positivo delle sue nuove mansioni, era il poter tranquillamente sgraffignare parti di impasto dalla cucina, dove il pasticcere preparava dei dolci.
Già, non era più in un ristorante, ma in una pasticceria. Meglio di niente, adorava anche i cibi dolci, ma davvero non riusciva a concepire come li preparava l’uomo che tanto veniva acclamato come ottimo cuoco.
Sbagliava le proporzioni di ingredienti, non ci metteva passione e Feliciano non poteva fare a meno di chiedersi per quale assurda ragione quel ragazzo potesse avere tanta fortuna, a differenza sua.
Da un lato vi era lui, lo sbadato cameriere che si ritrovava a sgobbare sul retro rimanendo nascosto da tutti, dall’altro vi era quel pasticcere che poteva fare ciò che voleva con una cucina a disposizione, ma che non apprezzava minimamente il suo lavoro.
L’occasione perfetta per riscattarsi si presentò agli occhi di Feliciano proprio a causa di quel ragazzo che tanto non capiva: aveva avuto un contrattempo e non sarebbe potuto arrivare al negozio per preparare i dolci.
Fu allora che il giovane cameriere alzò la mano, decidendo finalmente di farsi avanti e rendersi utile. Tutti erano scettici e se non fosse stato per un suo amico cameriere, probabilmente il locale sarebbe rimasto chiuso senza permettergli di dare prova almeno una volta delle proprie effettive abilità.
Così eccolo lì, a preparare dolci da esporre nel negozio per deliziare i clienti.
Sentì per l’ennesima volta il campanello della porta principale che suonava e sorrise raggiante, iniziando a muovere con più lena le mani per riuscire ad infornare il prima possibile quel dolce.
Non poteva neanche immaginare chi fosse entrato nella pasticceria, lasciando di stucco i proprietari e il personale.
Ludwig Beilschmidt, il noto critico culinario, aveva appena fatto il suo ingresso nella sala, guardandosi intorno con il suo solito sguardo freddo.
Sembrava che stesse odiando non solo il parquet, ma anche tutti i tavoli e le sedie di legno poco più chiaro disposte nella stanza.
Anche le sedute a divanetto rosso sembravano non essere di suo gradimento, come le tende bianche che coprivano le finestre.
Il bancone, poi! Sembrava davvero averlo sdegnato in una maniera terribile. E dire che era così ordinato e ben curato, a parere del padrone che stava fissando con aria spaventata il nuovo cliente, aspettando una sua mossa, qualsiasi mossa.
La pura e semplice verità era che Ludwig si stava guardando intorno aspettando che qualcuno andasse ad accompagnarlo ad un tavolo.
Uno dei camerieri venne spinto dal proprietario verso di lui con molta nonchalance, anche se il giovane rischiò di barcollare senza alcun ritegno verso il critico tedesco che se ne stava ancora in piedi di fronte alla porta.
« Salve signore, la posso portare ad un tavolo? »
Ludwig si limitò a rispondere con un cenno della testa, parlando solo poco dopo.
« Mi piacerebbe sedermi a quello vicino alla finestra, se non è un problema. »
« No, certamente! Prego, venga. » andò verso il tavolo e aspettò che l’altro si sedesse, porgendogli poi il menù con la lista dei dolci tra cui poteva scegliere.
Il cameriere iniziò ad elencare sommariamente quali erano i dolci e come erano fatti, ma il biondo lo interruppe bruscamente senza nemmeno aspettare che finisse la frase.
« Vorrei questa. » indicò con un dito l’immagine di una torta al cioccolato dall’aria piuttosto soffice cosparsa di diverse scaglie di cioccolata.
Lo sguardo che apparve sul viso del ragazzo che lo stava servendo era totalmente sconfortato, tanto da riuscire a strappare un’occhiata interrogativa da parte del critico tedesco.
« Qualcosa non va? » ruppe il silenzio il biondo.
Quel locale era strano, troppo strano. Sapeva che lo spessore della sua persona era in grado di incutere timore a molti, ma aveva una regola ferrea che sarebbe stato impossibile non conoscere, per qualcuno del settore: lui non scriveva mai una critica se prima non tornava nel negozio in questione almeno una seconda volta.
Ovviamente non era detto che ci tornasse, ma quel giorno non era nemmeno andato a scopo lavorativo, anche se questo i dipendenti del locale non lo potessero sapere.
« N-No! Nessun problema, signore! » si affrettò a rispondere il ragazzo, sperando di sembrare il più naturale possibile. « Solo, le chiedo di pazientare un po’: il pasticcere sta finendo di preparare la torta che ha scelto perché è stata venduta tutta questa mattina! »
« Non sono venuto qui per lavoro, ho tutto il tempo che serve. » precisò, chiudendo il menù e porgendolo al cameriere. « Vorrei un cappuccino insieme alla torta, grazie. »
Stava praticamente guidando lui il cameriere nel suo lavoro, ma era una cosa che faceva abitualmente.
Sapeva così bene come comportarsi quando entrava in un locale, pur non conoscendolo, che parlare con quel tono sicuro di sé gli veniva particolarmente spontaneo. Che poi non fosse il ritratto della gentilezza, era un'altra questione.
Il cameriere, a quel punto, fece un piccolo inchino e corse sul retro, entrando in cucina dove si era rintanato anche il proprietario del locale.
« Ludwig Beilschmidt, hai capito Feliciano?! Ludwig Beilschmidt! » la voce dell’uomo era notevolmente agitata e raggiunse l’apice della sua altezza ripetendo per la seconda volta il nome.
Feliciano non lo stava guardando, continuava a mescolare l’impasto della nuova torta che stava preparando: l’altra ormai era già appoggiata sul tavolo dei dolci pronti a raffreddare.
« Capo! » il cameriere irruppe nella stanza, con gli occhi sgranati. « Il signor Beilschmidt ha ordinato il dolce che… Ah, per fortuna è pronto! »
Il sospiro di sollievo del ragazzo venne interrotto dal direttore, che lo afferrò bruscamente per il colletto, scuotendolo.
« Il dolce di Feliciano?! »
« Ho provato a convincerlo a prendere altro, ma non ne ha voluto sapere! »
L’uomo si passò una mano sul viso, voltandosi verso Feliciano che stava rubando la glassa che avrebbe a breve racchiuso nel sac à poche.
« Ma vi divertite tanto a urlare quel cognome? Sembra uno scioglilingua! Beil… Beilsch… » tentò di dire alzando lo sguardo verso l’alto come se il soffitto potesse dargli un qualche aiuto.
Tornando a guardare davanti a sé, vide a neanche un metro di distanza da lui il proprietario del locale. Istintivamente sgranò gli occhi, rischiando di rovesciare il contenuto della terrina che stava tenendo contro di sé con un braccio.
« Spero per te che il dolce che hai preparato sia buono, altrimenti giuro che ti ritroverai per strada in meno di mezzo secondo, chiaro?! »
Tutte quelle grida lo mettevano in soggezione; odiava quando la gente urlava senza ragione, perché gli occhi gli diventavano lucidi senza che potesse fare nulla e il nodo alla gola gli impediva quasi di respirare.
Abbassò lo sguardo, annuendo. Avrebbe voluto dire che era buonissima e che ne era certo, ma aveva paura che continuasse a parlargli in quel modo per la sua sicurezza.
Preferì rimanere in silenzio, guardando di sottecchi il cameriere che usciva dalla porta insieme al proprietario.
Lasciò rapidamente sul tavolo la ciotola con la glassa e corse verso la porta, affacciandosi all’oblò e guardando silenziosamente il cameriere che tagliava la torta.
Osservò silenziosamente i due morbidi strati di pasta al cacao che si piegavano appena sotto la pressione del coltello, mentre la lama veniva sporcata dalle gocce di cioccolato sciolte all’interno del dolce.
Controllò che nessuna scaglia di cioccolata cadesse da dove l’aveva sistemata lui, in cima alla torta e rimase in attesa.
Non aveva idea di chi fosse quel Ludwig e per questo fu costretto a seguire con lo sguardo il cameriere che si avvicinava rapidamente al tavolo dov’era seduto il biondo.
Certo che metteva paura, quell’uomo. Feliciano era quasi de tutto sicuro che una volta in piedi avrebbe fatto concorrenza ad un armadio.
A parte quello però, doveva ammettere che era davvero bello. Gli ricordava tanto una di quelle sculture che aveva dovuto osservare milioni di volte ai musei dove andava con la scuola.
Ecco, era una bellezza scultorea. Forse era per la pelle chiara e i capelli biondi senza un solo ciuffo fuori posto, accompagnati dagli occhi azzurri e penetranti.
Feliciano ebbe una grande conferma, in quel momento: gli opposti si attraggono.
Lui, che non era per niente serio, trovava quell’uomo dall’aria incredibilmente composta parecchio affascinante.
La cosa fantastica, era il suo non aver mai fatto apprezzamenti di nessun genere su altri uomini. Forse a questo punto gli piacevano anche i ragazzi.
Quei pensieri svanirono dalla sua mente come una bolla di sapone quando si accorse che il cameriere aveva appoggiato il piatto sul tavolo del critico.
Era talmente concentrato sulla scena che gli sembrò addirittura di sentire il rumore della porcellana contro il legno del tavolo.
Vide le labbra del tedesco muoversi, probabilmente per ringraziare il ragazzo che aveva fatto un passo indietro, rimanendo comunque vicino al tavolo: normalmente non ci si doveva fermare accanto ai tavoli, ma probabilmente era stato il proprietario a dirgli di farlo.
Ludwig si sistemò il tovagliolo sulle gambe con una calma totalmente in contrasto con la rapidità con cui l’aveva aperto. Aprirne uno era un’azione terribilmente sciocca, ma per Feliciano era come se l’uomo l’avesse fatto con un che di maestoso.
In verità avrebbe pensato a tutti questi piccoli dettagli solamente in seguito; al momento era troppo preoccupato di vedere la sua reazione per capire se sarebbe riuscito a portare a casa uno stipendio per vivere o meno.
Era il momento.
La forchetta affondò nel piccolo pezzo di dolce che Ludwig aveva tagliato e venne avvicinata alle labbra del biondo con lentezza. Il dolce sparì tra di esse e Feliciano trattenne il respiro.
Era ovvio che fosse buono. Usciva sempre perfetto.
Vide una scintilla negli occhi del tedesco quando mandò giù il primo boccone e solo a quel punto si concesse di prendere una boccata d’aria.
« Fate i complimenti al cuoco, è davvero squisito. » asserì solamente, staccando gli occhi dal proprio piatto solamente per un attimo.
Il cameriere si affrettò ad annuire con sorpresa, tornando dietro al bancone e superando il proprietario che, esterefatto, fissava il nulla più assoluto.
Quando la porta venne spinta, Feliciano rischiò quasi di prenderla dritta sulla fronte provocandosi così un bernoccolo, ma si spostò in tempo.
Voleva sapere che aveva detto, perché non sapeva leggere il labbiale e non aveva neanche una vaga idea di quali parole fossero uscite dalle labbra del tedesco.
« Gli è piaciuta! Gli è piaciuta un sacco e ha detto di farti i complimenti! »
Feliciano sbatté gli occhi, come se stesse ancora collegando l’effettivo accaduto.
Gli era piaciuta, quindi era salvo.
Sorrise raggiante e saltò al collo del cameriere, stringendolo con una forza che normalmente non metteva negli abbracci. Se si fosse messo a piangere come un bambino sulla sua spalla sarebbe stato niente.
Almeno per una volta era riuscito a dare prova che qualcosa valeva, anche in quel posto.
 

***

 
Era passata una settimana esatta da quando Feliciano aveva fatto successo come pasticcere e nel locale non si era parlato praticamente d’altro.
“Ma hai visto che faccia ha fatto mettendo in bocca il dolce?!”, “Feliciano, sei stato fantastico! Davvero, io non ci sarei mai riuscito! E’ un critico famosissimo e tu l’hai soddisfatto perfettamente!”.
Era stato bello sentirsi dire quelle frasi e spesso gli venivano ripetute di nuovo, anche se pensarci mentre guizzava da un tavolo all’altro per prendere e servire le ordinazioni era un po’ triste.
Il giorno dopo l’accaduto, i fatti erano ovviamente giunti all’orecchio di quello che era il vero cuoco del locale e non aveva tardato ad alimentare una terribile polemica: il proprietario del locale aveva seriamente valutato l’ipotesi di far lavorare Feliciano in cucina, visto che riusciva a rendersi più utile lì che in sala, dove non avrebbe tardato a rompere altri bicchieri e piatti vari, per non parlare dei possibili danni ai clienti.
Peccato che questo al pasticcere non stesse assolutamente bene: non voleva avere Feliciano tra i piedi, ma soprattutto non voleva sentire qualcuno che si complimentava con lui.
Quando giunse alla minaccia di licenziarsi, il proprietario fu costretto a rendersi conto che Feliciano, in cucina, forse era meglio non farlo lavorare.
Insomma, gli era bastato quell’unico giorno in cui ci aveva lavorato per fargli capire che il disastro da pulire in seguito era veramente eccessivo.
Così eccolo lì, di nuovo a servire ai tavoli come se quello fosse il posto giusto per lui.
Il campanello della porta tintinnò nell’esatto momento in cui l’italiano stava alzando il busto dal tavolo dove aveva appena appoggiato un piattino con sopra un muffin: l’avrebbe mangiato lui, se solo ne avesse avuto la possibilità.
Non si rese nemmeno conto del silenzio tombale che si era creato nella stanza e si allontanò dal suddetto tavolo canticchiando sommessamente un motivetto, che si interruppe solo quando sbatté contro qualcosa.
Aveva la consistenza di un muro: si sarebbe potuto rompere il naso.
« Oh? Non ricordavo ci fosse un muro, qui… » disse tra sé, sentendo qualcuno che lo chiamava sottovoce. Alzò lentamente lo sguardo, sorpreso di vedere a un palmo dal proprio naso la manica di un giaccone dall’aria pregiata.
Alzò un po’ di più lo sguardo. Oh, ecco una spalla.
Aveva quasi la testa del tutto piegata all’indietro quando riuscì finalmente a scorgere il viso della persona.
Ludwig era lì di fronte a lui e lo stava fissando in modo per nulla cortese.
Tanto quella volta era tranquillo: mica doveva fargli lui da mangiare.
« Salve signore! » sorrise raggiante, inclinando il viso. « Mi segua, la porto ad un tavolo! » continuò poco dopo, aggirandolo passandogli talmente tanto vicino che per un attimo il proprietario dietro al bancone vide il piede di Feliciano schiacciare inevitabilmente quello del tedesco, che aveva piuttosto cominciato a seguirlo con aria perplessa.
Si sarebbe aspettato almeno delle scuse per la svista del cameriere, invece si era dovuto sorbire una risposta tranquilla e spensierata. Perché alla fine era quello il tono che il ragazzo ora fermo accanto a un piccolo tavolino aveva usato.
Fece caso solamente poco dopo al fatto che il tavolo fosse lo stesso a cui si era seduto la volta precedente.
Feliciano gli porse il menù, che venne rifiutato dall’altro con un gesto della mano.
« Vorrei ordinare la specialità al cioccolato. » la risposta giunse rapidamente alle orecchie di Feliciano che annuì appena, spingendo tuttavia il menù contro la mano ancora alzata di Ludwig.
« Ma l’ha presa la scorsa volta, non vuole cambiare? Ci sono tante altre cose buone! » propose.
A dire il vero non ricordava mai che cosa ordinavano i clienti e anche se si recavano alla pasticceria tutte le mattine, sentendosi dire “il solito” avrebbe faticato a ricordare precisamente di che cosa si trattava, ma ovviamente in quel caso le cose funzionavano diversamente.
Ludwig alzò un sopracciglio, osservando il ragazzo per nulla contento di quella proposta.
Aveva deciso di prendere quel dolce. Perché non glielo lasciavano fare e basta? C’era tutto questo bisogno di ribattere?
« Voglio solo quel dolce, grazie. »
La freddezza racchiusa nella frase dell’uomo fece capire a Feliciano che insistere non era esattamente la cosa che gli conveniva di più fare.
Fece un leggero inchino e si voltò, andando rapidamente verso il bancone dove già si trovava pronto il dolce.
Da quando Ludwig aveva deciso di mangiarlo la prima volta che si era recato al locale, tre quarti della clientela chiedeva solamente quella torta.
Feliciano fece per prendere il coltello al fine di tagliare il dolce, ma venne preceduto dal proprietario, che tagliò con precisione e velocità una fetta, sistemandola sul piatto.
« Probabilmente tu l’avresti distrutta. » lanciò solamente quella frecciatina prima di porgergli il piatto, senza lasciarlo anche quando lo prese per paura che lo lasciasse cadere a terra. « Ora portaglielo e torna subito a servire gli altri clienti, d’accordo? »
« Capo, non capisco tutta questa agitazione! Stia calmo! » Feliciano sorrise raggiante e strinse con entrambe le mani la porcellana del piatto dai bordi smussati e di forma vagamente somigliante ad un petalo. La bordatura era blu con qualche rifinitura d’orata.
Il ragazzo tornò al tavolo di Ludwig e vi sistemò sopra il piattino, osservandolo di sottecchi per qualche attimo: va bene che era sbadato, ma non scordava subito un ordine appena impartitogli e per questa ragione andò a dedicarsi agli altri clienti, anche se spostandosi tra un tavolo e l’altro osservava il critico con la coda dell’occhio.
Feliciano non era un ragazzo dotato neanche del minimo senso della cattiveria, mai avrebbe augurato a nessuno che un dolce non fosse apprezzato, ma doveva ammettere che quella volta stava sperando che quella fetta gli piacesse un po’ di meno della volta precedente. Alla fine lui non l’avrebbe saputo, ma in cuor suo, Feliciano avrebbe finalmente avuto la convinzione che il suo talento non fosse esattamente da buttare via.
Andò dietro al bancone non avendo più tavoli da servire; fosse stato per lui si sarebbe anche fermato al centro della stanza a guardare Ludwig, ma il proprietario del locale gli aveva fatto cenno di spostarsi da lì perché stava dando troppo nell’occhio.
Guardò nuovamente con attenzione i movimenti rapidi di Ludwig mentre si sistemava il tovagliolo sulle gambe, passando poi a tagliare una piccola parte del dolce e portandosela alle labbra. In quel momento si chiese che cosa avesse fatto mentre lui serviva ai tavoli.
Masticò lentamente il dolce e la sua espressione sembrò incupirsi. Anche la luminosità degli occhi sembrava averne risentito.
Era come se un’aura di rabbia fosse calata sulle sue spalle, rendendo l’aria incredibilmente pesante.
« Non gli è piaciuto. » iniziò a dire il proprietario, agitandosi e allarmando così anche i camerieri che uscivano dalla cucina per portare gli altri piatti ai clienti. « Forse dovrei andare io a scusarmi, o forse… »
Non riuscì nemmeno a finire la frase che vide Feliciano entrare nel suo campo visivo, dall’altra parte del bancone.
Quello sconsiderato stava andando a parlare a Ludwig: avrebbe sicuramente combinato un disastro, conoscendolo.
« Signore, per caso il piatto non è di suo gradimento? » la voce di Feliciano sembrava pacata come al solito, come se non si fosse ancora reso conto che lo sguardo di Ludwig non prometteva assolutamente nulla di buono.
« Se non è di mio gradimento?! » il tedesco sbatté senza delicatezza il tovagliolo sul tavolo, alzando lo sguardo verso il giovane cameriere, che lo guardava con i suoi occhioni castani. « Fa totalmente schifo rispetto alla scorsa volta che l’ho ordinato! Voglio parlare con il pasticcere! »
Il moro iniziò a rendersi conto della gravità della situazione in cui si era gettato a capofitto.
« Non si arrabbi, la prego, ma deve capire che il cuoco non può parlare adesso! C’è troppa gente nel locale e non può lasciare il suo posto neanche per un minuto!»
La voce vacillava; Feliciano aveva paura. Paura di quello che avrebbe potuto fare il critico sempre più infuriato di fronte a lui.
« Mi domando come possa esserci tutta questa gente nel locale se uno cucina così. » il tono di voce sempre più alto stava per far nascondere il più giovane sotto il tavolo, se solo fosse stato sicuro di essere al sicuro.
Se solo fosse stato libero di farlo.
Si ritrovò ad essere afferrato per il colletto e con quella singola presa riuscì a rendersi conto di quanti muscoli fossero nascosti sotto il completo elegante dell’uomo.
Che doveva fare? Poteva dire la verità, solo la verità ed essere risparmiato, forse.
« Ho capito che è arrabbio, ma mi lasci andare, per favore! » stava iniziando ad andare in panico, fortuna che in quell’esatto istante Ludwig lo lasciò andare.
Sospirò, prendendo un respiro poco dopo e mettendo una mano accanto alla sua bocca come se volesse nascondere le proprie parole dall’udito del proprietario, il quale fissava la scena attonito.
« Posso dirle un segreto? » domandò piano Feliciano, guardandolo con l’aria di chi sta per confessare una verità tenuta nascosta per anni.
Ludwig sussultò, guardandolo appena e annuendo d’istinto, con gli occhi appena spalancati. Non riusciva più a capire se quel ragazzo lo stesse prendendo in giro e quel semplice dubbio fu in grado di far scemare per un attimo la sua rabbia, che sarebbe sicuramente esplosa più tardi in caso di conferma.
« Ho fatto io la torta che le hanno servito quando è venuto qui la scorsa volta. » fissò il basso per un attimo. « Sono serio! Gliela posso anche preparare di nuovo, se il proprietario mi lascia la cucina! »
Era la prima volta nella sua carriera di critico che il tedesco si ritrovava senza sapere di preciso che cosa dire: avrebbe potuto rifiutarsi di assaggiare qualcosa di preparato da un cameriere che forse stava solamente cercando di salvare la reputazione del locale in cui lavorava con tutti i mezzi in suo possesso.
Decise comunque di lasciarsi tentare da quella proposta.
«Accetto.. » rispose semplicemente, mentre un sospiro usciva dalle sue labbra appena dischiuse.
Feliciano era talmente felice di poter usare di nuovo quella cucina – perché sì, era praticamente del tutto certo che per una motivazione del genere gliel’avrebbero lasciata usare di nuovo – che fece finta di non aver sentito il tono che lasciava capire quanto Ludwig fosse diffidente.
Si voltò verso il bancone e alzò un braccio, agitandolo e facendo un gesto teatrale per chiamare a sé il proprietario che fino a quel momento era riuscito a non avere nessun mancamento.
L’uomo si avvicinò lentamente a Feliciano, osservando il critico in silenzio.
« Il signor Beilsch-… Ludwig mi ha chiesto se può prestarmi la cucina per fargli assaggiare la torta al cioccolato che ha mangiato la scorsa settimana! »
L’occhiataccia che lo raggiunse sia da parte del critico che del proprietario della pasticceria venne schermata dal sorriso contento del ragazzo.
L’uomo si voltò lentamente verso Ludwig e si passò una mano sul viso come se volesse dissimulare l’agitazione.
« Se per lei non è un problema potrei fargli usare la cucina da dopo l’orario di chiusura, che è alle sette. » spiegò. Qualche parola venne balbettata come se la vicinanza del critico non facesse che agitarlo di più. « Manca meno di un’ora, se può aspettare qui… altrimenti potremmo decidere un altro giorno. » il tono di voce sembrava indeciso, come se non volesse davvero lasciare alcuna possibilità a Feliciano.
In fin dei conti quello era un critico piuttosto impegnato, no? Sicuramente si sarebbe dovuto andare a preparare per qualche serata di gala e avrebbe detto di no.
Un momento, un momento. Gli stava dando una possibilità importantissima per riscattarsi: se avesse dovuto scrivere un articolo su quel locale si sarebbe sicuramente lamentato dello scadere di quel dolce e non lo poteva assolutamente permettere!
In fin dei conti l’aveva già assaggiato due volte, no? Se non avesse lasciato fare Feliciano sarebbe stato sicuramente spacciato.
Alla fine si ritrovò ad accettare tra le varie insistenze di Feliciano, che guardò contento le spalle del proprio capo allontanarsi fino a sparire dietro il bancone.
Il ragazzo rimasto al fianco di Ludwig sorrise raggiante e allungò un braccio facendo il segno della vittoria, per poi voltarsi verso il bancone e saltellare verso di esso: prima di andarsene, il suo capo gli aveva fatto segno di seguirlo in cucina e Feliciano aveva ovviamente ubbidito, senza fare troppo caso allo sguardo basito di Ludwig che continuava a chiedersi se la parola rispetto facesse parte del vocabolario di quel bizzarro ragazzo.
 

***

 
L’orario di chiusura era passato più o meno da una mezz’ora ed era da allora che Feliciano si era messo all’opera.
Quando era stato chiamato, dopo essersene andato dal tavolo del critico, si era dovuto sorbire una lunghissima ramanzina fatta dal padrone del locale, che si era raccomandato di non sporcare troppo in giro.
Aveva dovuto anche ascoltare la terribile sfuriata del pasticcere che non ne voleva proprio sapere di essere secondo a Feliciano e si era proposto di rifare il dolce anche se la risposta che era giunta fulminea era stata negativa.
Ludwig era rimasto seduto al proprio tavolo da quando Feliciano se n’era andato e aveva accantonato il piattino con sopra il dolce al cioccolato, che era stato portato via da uno degli altri camerieri.
L’italiano l’aveva controllato da uno degli oblò delle porte della cucina, sorridendo divertito mentre si immaginava che situazione pesante ci fosse nell’altra stanza: il proprietario era seduto ad un tavolo poco distante da quello di Ludwig, che sembrava non soffrire per niente il totale silenzio.
Adesso, però, non c’era tempo per concentrarsi su di loro: l’unica cosa che contava era la torta nel forno che aveva quasi finito di cuocersi.
Il proprietario del locale si era raccomandato di non sporcare troppo la cucina, ma alla fine Feliciano aveva combinato il solito disastro e non sembrava nemmeno particolarmente preoccupato.
Andò verso il forno e con le presine tirò fuori la teglia con dentro la torta, che portò sul bancone. Tirò sapientemente fuori la carta da forno, abbassandone i lati e staccando la torta, che poi sistemò su un piatto.
Mise sopra di essa le scaglie di cioccolato che aveva preparato in precedenza e iniziò a sistemare la cucina mentre il dolce si raffreddava: non voleva rischiare di rovinare l’operato avendo troppa fretta di portarla al tedesco.
Trascorsero cinque minuti prima che il ragazzo sollevasse il piatto con l’intendo di portarlo nell’altra stanza.
Dopo aver messo piede fuori dalla cucina, improvvisamente le attenzioni delle uniche due persone nella stanza si concentrarono su di lui e la cosa sembrò bloccarlo per un attimo sulla soglia.
Scosse rapidamente la testa e andò poi verso il tavolo di Ludwig, dove appoggiò l’intero dolce. Ne tagliò una fetta che sistemò su un piattino e gliela porse insieme alla forchetta.
« Ecco a lei! » si fece da parte in modo che anche l’altro uomo nella stanza potesse guardare tranquillamente la scena.
Ludwig compì le solite meccaniche azioni che normalmente svolgeva prima di mangiare, dopo aver rivolto un sussurrato grazie a Feliciano.
Anche se era quasi del tutto certo di ciò che gli avrebbe detto il critico, rimase in silenzio e con il fiato sospeso fino a quando un certo bagliore non attraversò gli occhi azzurri dell’uomo.
« Questo è come quello della scorsa volta. » mormorò, alzando lo sguardo verso Feliciano che si stava abbandonando a un certo gongolare. « Perché non lavori sempre in cucina? »
“Perché quello che le ha preparato il dolce oggi non vuole collaborare.”
Feliciano l’avrebbe davvero detto se solo il suo capo non si fosse avvicinato di colpo a lui per intervenire nel discorso.
Non ottenendo risposta, Ludwig mise in bocca un altro pezzo del dolce e solo dopo averlo deglutito parlò.
« Penso di potermi sentire più tranquillo a scrivere una recensione positiva per questo locale se ti so nelle cucine, ragazzino. » fece una breve pausa mentre si puliva le labbra con il tovagliolo. « Sempre se per il tuo capo non è un problema. »
L’uomo guardò prima Ludwig, poi Feliciano che fremeva al solo pensiero.
« Effettivamente il suo posto credo che sia lì. »
Feliciano non avrebbe davvero mai creduto di poter sentir dire quella frase.

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Capitolo 2
*** Caffè con panna ***


2. Caffè con panna

 


Era passata una settimana da quando aveva iniziato a lavorare nella cucina della pasticceria e se doveva essere sincero si sentiva la persona più felice del mondo: la sera in cui aveva fatto assaggiare il dolce a Ludwig per dimostrargli che era stato lui a prepararlo la prima volta che l’aveva assaggiato, il suo capo aveva atteso che il critico se ne andasse per parlare a quattr’occhi con Feliciano della sua assunzione come cuoco.
Anche se era una decisione abbastanza difficile da prendere, il proprietario si era ritrovato praticamente subito convinto pensando che se non avesse lasciato lavorare in cucina il ragazzo, molto probabilmente sarebbe arrivata una recensione negativa.
Così, il giorno seguente aveva subito licenziato l’altro cuoco, che aveva opposto resistenza senza però ottenere nulla.
Feliciano aveva anche avuto un po’ paura, in quel momento: si era sentito afferrare talmente saldamente per il colletto della camicia dall’appena diventato ex-cuoco che, se non fosse stato per l’intervento degli altri camerieri, probabilmente sarebbe finito soffocato.
Fosse stato uno con i piedi un po’ più per terra, dopo quell’episodio, avrebbe colto sì i lati positivi di quella svolta lavorativa, ma avrebbe anche tenuto conto del fatto che si era appena creato un nuovo nemico; ecco, a questo Feliciano non ci aveva minimamente pensato.
Era talmente contento che non si sarebbe mai lasciato turbare da una cosa del genere.
Ovviamente lui e il proprietario avevano discusso molto di come si sarebbero dovute svolgere le pulizie della cucina e alla fine erano giunti alla conclusione che Feliciano avrebbe dovuto pulire tutto per conto proprio.
Anzi, a dire il vero il giovane aveva chiesto di ottenere una mano da qualcuno almeno un paio di volte alla settimana, ma non aveva ottenuto ciò che sperava. Beh, quello era il meno: era un asso a fare lo stretto indispensabile e alla fine dentro a quella cucina ci doveva stare solamente lui.
Quando era tornato a casa la prima sera, pensando che il giorno seguente avrebbe finalmente lavorato di nuovo come cuoco, aveva avuto le farfalle nello stomaco per tutta la notte e non era riuscito ad addormentarsi. Nonostante questo, il giorno dopo sembrò non sentire affatto la stanchezza della notte trascorsa insonne.
Più i giorni passavano, più si rendeva conto che gli pesava molto meno alzarsi presto per svolgere un lavoro del genere, rispetto a quando sapeva che l’unica cosa che avrebbe fatto per tutto il giorno sarebbe stato guizzare da un tavolo all’altro per raccogliere ordinazioni.
Peccato che, in corrispondenza del tempo trascorso, tutti sembrarono dimenticarsi di come erano cambiate le cose, fatta eccezione per Feliciano; si sentiva terribilmente riconoscente nei confronti di Ludwig e avrebbe davvero voluto dirgli grazie o almeno presentarsi al critico per fargli sapere chi aveva aiutato.
In fin dei conti gli aveva cambiato la vita, sia perché gli aveva permesso di fare qualcosa che gli piaceva di più, sia perché indubbiamente con lo stipendio da pasticcere poteva prendere molto più respiro a fine mese.
Era per quella ragione e per l’incoraggiamento dei suoi ex colleghi camerieri se ora era seduto sul divanetto nero nella reception del palazzo dove lavorava il critico.
Si era informato e aveva scoperto la sede della rivista per cui lavorava il tedesco e nel primo giorno di chiusura della pasticceria, era corso lì per riuscire ad incontrarlo.
A dire il vero non sapeva se si potesse andare a visitare qualcuno come il critico senza alcun preavviso, ma la cosa non gli importava troppo; avrebbe aspettato e prima o poi l’avrebbe visto, no?
Peccato che stesse attendendo su quel sofà da un paio d’ore nonostante la segretaria gli avesse effettivamente detto che il tedesco non c’era. Peccato che Feliciano si fosse rifiutato di andarsene, avendo molto tempo a disposizione.
Più volte aveva sorpreso la donna a guardarlo: forse si era spaventata perché aveva cercato di attaccare bottone con lei più volte durante l’attesa.
Era terribilmente concentrato a contare le mattonelle, quando sentì le porte di vetro scorrevole aprirsi e il rumore di un paio di tacchi contro il pavimento.
Ben presto una donna entrò nel suo campo visivo e andò verso la scrivania a cui era seduta la collega.
« Sono arrivate alcune lettere per il signor Beilschmidt, gliele vado a portare. »
La ragazza che da prima era seduta alla scrivania sgranò gli occhi, sporgendosi appena e coprendosi la bocca con una mano.
« Digli che c’è un tale Feliciano Vargas che chiede di lui, ok? Sto iniziando ad essere preoccupata. » lanciò una rapida occhiata al ragazzo che la guardava, seduto sul divano con un’espressione sorpresa. « E’ qui da due ore nonostante gli abbia detto che il signor Beilschmidt non c’è. Vuole ringraziarlo per qualcosa, a quanto ho capito. »
La donna appena arrivata annuì, andando verso l’ascensore ed entrando nella piccola cabina. Pressò il pulsante per salire al piano dove si trovava l’ufficio di Ludwig e prima che le porte si chiudessero osservò Feliciano in silenzio; quel ragazzo le sembrava terribilmente con la testa sulle nuvole, come se effettivamente non si rendesse conto di essere molesto. Questo non faceva altro che renderlo più inquietante.
La donna sistemò una ciocca dei capelli biondi dietro all’orecchio, alzando lo sguardo verso i numeri che si andavano illuminando sopra la porta dell’ascensore man mano che esso saliva.
Una volta giunta al decimo piano l’ascensore si fermò e un “din” risuonò all’interno dell’abitacolo, facendole capire che era arrivata finalmente giunta a destinazione.
Quando le porte si aprirono cominciò a percorrere rapidamente il corridoio delimitato da tante scrivanie, salutando alcune persone sedute alle varie postazioni per controllare e impaginare gli articoli.
Arrivò di fronte a una porta più grande, a cui bussò sbattendo nervosamente la punta del piede a terra: sapeva di non poter entrare senza prima aver sentito un avanti in risposta, perché questo Ludwig proprio non lo tollerava, ma quella volta avrebbe volentieri aperto la porta senza nemmeno pensarci per dirgli subito del ragazzo che chiedeva di lui.
Non sentì la tanto attesa risposta, ma piuttosto vide la porta aprirsi e comparire oltre ad essa il critico a cui doveva consegnare i documenti.
« Ho finito di lavorare, stavo per tornare a casa. » giustificò così la sua presenza sull’uscio l’uomo. « Se sono arrivate lettere le prendo io e le leggerò più tardi. »
Vedendosi sorpassare, la ragazza trasalì e lo seguì rapidamente, porgendogli le lettere in questione.
« A dire il vero oltre alle lettere c’è un’altra cosa che le dovrei dire… »
« Di che si tratta? »
Ludwig stava camminando salutando con cenni del capo gli altri lavoratori lì presenti che si rivolgevano a lui per primi, senza considerare particolarmente gli altri.
Entrò nell’ascensore e con un balzo anche la donna lo seguì, qualche attimo prima che lui premesse il bottone per scendere al piano terra.
« C’è un tale Feliciano Vargas che chiede di lei, alla reception. » spiegò frettolosamente; avrebbe voluto fermarlo prima che scendesse. « La mia collega ha detto che l’attende lì da circa un paio d’ore pur essendosi sentito dire che lei era uscito per un impegno. »
Il biondo alzò un sopracciglio, guardando la segretaria anche se in verità non la vedeva realmente. Stava cercando di fare mente locale per capire se conosceva qualcuno con quel nome, ma ben presto dovette convenire al fatto che no, nella sua mente non c’era nessuno che rispondeva a quell’appellativo.
« Non conosco nessuno con questo nome. Ha detto per caso che cosa voleva? »
Forse era qualcuno che conosceva di vista.
« Ringraziarla, ha detto. »
Subito davanti agli occhi del tedesco balenò l’immagine di quel bizzarro ragazzo che aveva mandato a lavorare nella cucina della pasticceria dove era andato appena la settimana prima.
Era da giorni che si riprometteva di andare a controllare personalmente se il ragazzo stesse effettivamente lavorando in cucina come lui aveva ordinato, ma il tempo nel corso di quei sette giorni era scarseggiato: recensioni su recensioni, inaugurazioni di locali, ristoranti da valutare e serate di gala con i colleghi recensori.
Quello era il primo giorno in cui riusciva a staccare prima dal lavoro e se non fosse stato tanto stanco come invece era avrebbe fatto volentieri una capatina alla pasticceria per verificare la posizione di quel ragazzo, per poi togliersi pensiero dell’ennesima recensione da fare.
Effettivamente, ora che ci pensava, aveva ricordato spesso quel ragazzo nel corso della settimana; aveva preso un po’ troppo a cuore la sua situazione e si era sorpreso di sé stesso, essendo lui una persona normalmente fredda che non si concentra troppo sugli altri.
Si accorse che la segretaria al suo fianco stava per parlare di nuovo nell’esatto momento in cui le porte dell’ascensore si aprirono, rivelando davanti agli occhi dei due nuovi arrivati una situazione che, se vista dall’esterno, sarebbe quasi sembrata comica: le due guardie che normalmente fiancheggiavano l’ingresso interno del palazzo stavano trascinando un ragazzo verso l’uscita.
Anzi, forse era meglio dire che lo stavano trasportando, visto che lui era totalmente sollevato da terra e stava agitando le gambe per liberarsi.
« Ho solo fatto una domanda, non era qualcosa di male! Lasciatemi, dai! » sebbene ciò che stava dicendo avrebbe potuto far intuire un tono nervoso, la verità era che sembrava più spaventato che  altro.
Ludwig riconobbe praticamente subito quei capelli rossicci e il ciuffo sbarazzino al lato della testa, che sembrava più scomposto del solito. Mosse rapidamente qualche passo per attirare l’attenzione.
« Si può sapere che sta succedendo qui?! » domandò a gran voce, vedendo le spalle di Feliciano sussultare per la sorpresa.
« Signor Ludwig! » venne chiamato come se fosse l’unica fonte di salvezza lì presente. In verità lo era davvero.
Il giovane alzò rapidamente le braccia in modo da scivolare fuori dalla giacca che internamente era foderata di velluto, correndo verso il critico e nascondendosi dietro di lui, afferrando senza il minimo scrupolo il retro della sua giacca.
Lo stupore si poteva leggere chiaro negli occhi delle due segretarie che ora erano entrambe dietro alla scrivania. Gli agenti di sicurezza fecero per andare a riacciuffare Feliciano, ma vennero bloccati da uno sguardo di Ludwig.
« Non ce n’è bisogno, questo ragazzo è innocuo. » iniziò a camminare incurante di averlo ancora attaccato la giacca.
Recuperò piuttosto il cappotto dell’altro, infilando il proprio che aveva tenuto fino a poco tempo prima con il braccio.
Porse l’altro al rispettivo proprietario, guardandolo in modo serio.
« Mettilo, fuori fa freddo. » asserì semplicemente, uscendo dalla porta scorrevole senza nemmeno aspettarlo.
« Ah, sì! » Feliciano lo seguì, infilandosi la giacca mentre usciva. Non riuscì a chiuderla prima di essere avvolto dall’aria gelida e si lasciò sfuggire un “brr”.
Sentendo quel suono emesso dalle labbra dell’altro, il tedesco si voltò accorgendosi che il giovane se la stava prendendo comoda per chiudere il giaccone di color marrone scuro.
Intravide sotto di esso una camicia bianca del tutto spiegazzata e lasciata fuori dai pantaloni nocciola. Prima che la camuffasse sotto il cappotto, inoltre, notò anche una felpa di colore nero lasciata aperta sul davanti.
Lo sguardo del biondo scorse rapidamente fino al viso del ragazzo, dove notò gli occhi castani appena inumiditi dalle lacrime, probabilmente dovute al nervoso.
« … Ti stavi per mettere a piangere? » chiese.
Gli sembrava del tutto inconcepibile.
Feliciano sussultò e si strofinò istintivamente un braccio sugli occhi, come a confermare il dubbio di Ludwig.
« No! Ero solamente nervoso! » mentì, distogliendo lo sguardo e sbattendo le palpebre.
A dire il vero il tedesco non era per nulla convinto di ciò che gli aveva detto e sarebbe rimasto fermamente certo che avesse preso uno spavento talmente forte da voler piangere, ma gli sembrava stupido continuare ad insistere; quel ragazzo gli sembrava particolarmente testardo e probabilmente avrebbe continuato a sostenere la propria idea senza dargli ragione benché fosse la verità.
Sospirò appena e incrociò le braccia al petto, fissando i propri occhi azzurri in quelli ambrati dell’altro.
« Mi hanno detto che sei venuto fino a qui per ringraziarmi. » cominciò, lasciando in sospeso la domanda abbastanza evidente a cui rispondere.
Sulle labbra di Feliciano si dipinse un sorriso. Era contento che l’argomento della discussione non fosse più imbarazzante come prima e finalmente poteva dire ciò che preparava nella propria testa da quando era arrivato.
« Sì! Volevo ringraziarla per quello che ha fatto per me! » sorrise raggiante, chinando il viso di lato. Afferrò le mani di Ludwig che sbucavano appena da sotto le braccia per la posizione che esse avevano assunto, stringendole nelle proprie.
Per un solo secondo il tedesco rabbrividì, sentendo quanto erano fredde  le dita dell’altro.
Spostò più volte lo sguardo dalle proprie mani strette in quelle più piccole del ragazzo al viso dello stesso, senza curarsi dell’espressione di puro stupore che non riusciva ad allontanare.
Era talmente sorpreso che nemmeno era riuscito a realizzare in modo nitido dell’avvenuta assunzione del ragazzo, esattamente come lui aveva chiesto.
« Da dopo la sua minaccia mi hanno mandato a lavorare in cucina! E’ davvero fantastico, ci sono tantissimi clienti che prima di uscire dal locale dicono di farmi i complimenti per i dolci. » sembrava quasi un bambino raccontava il resoconto della giornata ai genitori subito dopo essere tornato da scuola.
Quella era l’unica impressione che Ludwig poteva avere del ragazzo in quel momento e gli sembrava tremendo da ammettere, ma lo inteneriva. Come del resto lo intenerivano gli occhi che brillavano, il sorriso felice e le mani che stringevano sempre più forte le sue come se stesse provando un’emozione troppo grande da contenere da solo, senza sfogarla in qualche modo.
Sentì un certo calore espandersi all’altezza del petto, calore che però sembrò espandersi così tanto da farlo allontanare da Feliciano, liberandosi le mani con un gesto non esattamente delicato. Il ragazzo sembrò restarci male, ma il critico ignorò la sua espressione triste che nel giro di un secondo tornò ad essere la precedente di felicità.
« Odio quando le persone talentuose perdono le occasioni perché vengono svalutate e lasciate sorpassare da qualcuno che in verità non merita nulla. » spiegò con semplicità, passandosi una mano sui capelli come se ci fosse qualcosa da mettere in ordine.
Il ragazzo dai capelli rossicci sorrise e unì le mani dietro alla schiena. Era talmente allegro da essere scoraggiante e la cosa spaventava così tanto Ludwig che tutta la voglia di parlarci per sapere perché avesse lavorato in cucina solamente una volta fece per scemare.
« Hai le mani congelate, Feliciano. Dovresti tornare a casa. » cercò la scusa più plausibile per fare in modo che le loro strade si dividessero per quel giorno, ma non sembrò ottenere il risultato sperato.
« Ah, davvero…? » il giovane si portò le mani di fronte al viso e ci soffiò contro in modo da scaldarle. Subito dopo le infilò in tasca.
« In verità siccome fa freddo avevo pensato di chiederle di andare da qualche parte, tipo un bar! » sorrise raggiante. « Lì fa più caldo e qui vicino c’è un posto davvero carino. Ovviamente offro io, siccome sono venuto per ringraziarla. »
Era in difficoltà. Ludwig era così in difficoltà che dalla sua bocca non uscì un sì, ma nemmeno un no.
« Vero che le va? » la voce di Feliciano sembrava essere terribilmente impaziente e il modo con cui lo stava guardando non era particolarmente d’aiuto per farlo rifiutare.
Un altro sospiro sgusciò dalle labbra di Ludwig.
« E va bene, basta che il posto non sia molto distante. »
Feliciano si illuminò di nuovo e scosse la testa, iniziando a camminare.
« E’ a neanche cinque minuti a piedi! Per di qua! »
 
***
 
Erano seduti al tavolino di quel piccolo bar da cinque minuti e Feliciano non aveva fatto altro che parlare e parlare, ma non di cose utili, no. Tutti particolari insignificanti che avevano visto per strada mentre si dirigevano al locale.
Aveva discusso – da solo – del colore particolarmente sgargiante di una macchina che era passata accanto a loro, aveva discusso – sempre da solo – del cagnolino che abbaiava dall’interno del negozio del fruttivendolo e per finire aveva commentato le nuove tende che avevano messo nel locale dove erano entrati.
Già prima di incontrarsi una seconda volta, Ludwig aveva avuto come l’impressione che quel ragazzo fosse esageratamente spensierato, il classico tipo di persona che non pensa nemmeno di doversi dare un contegno essendo con uno sconosciuto perché, di fatto, non può sapere che cosa lo irrita e che cosa no.
« Ludwig! »
Neanche signor Ludwig, ora usava solo il nome.
« In questo bar fanno un caffè con la panna buonissimo. Io lo prendo sempre, dovresti provarlo anche tu. »
Neanche più il lei, ora solo il tu.
Si stava prendendo troppe confidenze, o forse era solamente il tedesco che cercava disperatamente di allontanarlo perché appunto si stava avvicinando troppo.
« Non mi sembra di averti mai detto che puoi darmi del tu e chiamarmi per nome, Feliciano. »
Forse avrebbe avuto ragione, se forse non avesse ripetuto a propria volta l’appellativo dell’altro.
L’italiano, che sembrava pronto a ricevere una risposta simile, rispose prontamente.
« Ma mi hai sempre dato del “tu” e poi oggi mi hai anche chiamato per nome ben due volte. » si scompigliò i capelli, grattandosi appena la testa con i polpastrelli. « Quando l’hai fatto sono stato contento, ho pensato che per te sarebbe valso lo stesso. »
L’aveva incastrato.
Probabilmente voleva solamente fargli sapere che l’aveva reso felice chiamandolo con il suo nome piuttosto che “ragazzino” come aveva fatto quella volta al locale, ma alla fine era riuscito a metterlo a tacere.
Sì, avrebbe potuto tirare in ballo questioni riguardanti il rispetto, dicendo che si stavano parlando praticamente per la prima volta, ma non era il caso.
Tanto non l’avrebbe ascoltato.
« Lo fai apposta? » chiese solamente questo. Voleva sapere se si fingeva innocente o se invece il suo comportamento era spontaneo.
Sinceramente optava per la seconda.
Feliciano smise di tirare il collo per attirare l’attenzione del cameriere e si voltò verso il tedesco, sbattendo gli occhi.
« A fare cosa, scusa? » chiese, sbattendo le ciglia.
Forse aveva fatto bene a pensare che non avesse qualche subdolo secondo fine.
« Non è importante. » rispose semplicemente, deciso a lasciar cadere il discorso.
Ringraziò il cielo per il cameriere appena avvicinatosi, giusto poco prima di permettere a Feliciano di aprire nuovamente bocca.
Era abbastanza felice che alla fine fossero andati in quel bar; essendo vicino al suo ufficio lo frequentava abbastanza spesso per andarsi a rilassare, le poche volte che lo faceva, con i colleghi e non doveva sorbirsi gli sguardi agitati dei camerieri o dei proprietari del locale che si affacciavano per vedere se le cose erano di suo gradimento.
« Cosa prendete, signori? » chiese il ragazzo con il blocco e la penna in mano, guardando entrambi senza sapere chi avrebbe parlato per primo.
« Io voglio un caffè con la panna! » sorrise raggiante Feliciano, strappando un’espressione divertita al cameriere.
« Io prendo un caffè e basta. » Ludwig richiuse il menù che fino a quel momento aveva tenuto aperto senza una ragione precisa. Più che altro l’aveva aperto per forza dell’abitudine.
Congedato il cameriere, Feliciano si voltò verso Ludwig e gonfiò le guance.
« Ti avevo detto di prendere il caffè con la panna! »
« Vengo qui spesso, mi hanno sempre detto che è buono, ma preferisco spendere i miei soldi per qualcosa che mi piace. »
« Ma se oggi offro io! » il ragazzo sbuffò, tenendosi la testa con una mano.
Tra i due calò il silenzio fino a quando non arrivarono le ordinazioni. Ludwig fece per prendere la propria tazzina di caffè, ma Feliciano lo precedette afferrando il piattino sotto di essa e tirandola a sé, rischiando quasi di far traboccare ilil liquido.. Spinse di fronte al tedesco quella contenente il caffè con la panna.
Se solo non fosse stato ancora ancorato alla sedia per la curiosità di sapere delle cose sul conto di quel ragazzo, se ne sarebbe già andato.
« Gradirei indietro il mio caffè. »
« Assaggiane almeno un sorso, per favore! »
« Perché ci tieni tanto? » lo guardò sorpreso, spostando poi lo sguardo verso la tazzina, dove la panna iniziava a sprofondare avvolta dal liquido.
« Perché mi piace davvero tanto e… voglio che lo assaggi anche tu. »
Ludwig non avrebbe mai capito quel ragazzo, già aveva deciso che sarebbe sempre stato così, eppure si ritrovò ad assecondare quella richiesta e a portare alle labbra la tazzina bianca, bevendo un sorso della bevanda calda.
Doveva ammettere che non era male, certamente meglio di ciò che aveva pensato.
« E’ buono. » affermò semplicemente, mentre sulle labbra dell’italiano si spalancava un sorriso.
« Davvero ti piace? Lo vuoi finire? »
Ludwig scosse però la testa, sporgendosi e riprendendo la propria tazzina, restituendo a Feliciano la sua.
« Ora che ci penso, anche quando sono venuto alla pasticceria la seconda volta, quando servivi, mi volevi costringere a prendere un altro dolce, o sbaglio? »
Feliciano bevette un sorso dalla propria tazzina, nell’esatto punto dove aveva poggiato poco prima le labbra il tedesco.
L’uomo sembrò accorgersene, ma si convinse che era stato tutto frutto della sua immaginazione che per qualche ragione gli stava giocando degli scherzi di gusto discutibile.
« Ah, giusto. E’ che mi piace quando la gente prova cose nuove! » spiegò semplicemente, inclinando la testa di lato mentre alcuni ciuffi scivolavano dal lato del suo viso, pendendo verso il tavolo. « Però prima che tu dica qualcosa, sono contento che sia andata così: se non avessi preso lo stesso dolce oggi non avrei nemmeno avuto una ragione per venirti a trovare! »
L’impressione che Ludwig stava avendo – e che lo lasciava sempre più di stucco man mano che parlava con l’italiano – era che quel ragazzo fosse terribilmente felice all’idea di averlo conosciuto, anche se non ne capiva la ragione.
« Perché sei così tanto felice di stare con me? »
Quella domanda però non l’avrebbe ritirata, come la precedente: doveva sapere la risposta.
Sentì un rumore poco educato provenire dalle labbra di Feliciano mentre beveva l’ultimo sorso di caffè rimasto sul fondo della sua tazza, ma non distolse lo sguardo, osservandolo mentre alzava lo sguardo verso l’alto come a cercare ispirazione.
« Come posso dire…? Mi stai simpatico, ecco! » batté le mani con soddisfazione. « Sì, trovo che tu sia una brava persona perché non tutti farebbero quello che hai fatto tu. »
Questa volta fu Ludwig a distogliere lo sguardo, perché le risposte di Feliciano gli giungevano alle orecchie così spontanee da metterlo quasi in soggezione. Si sentiva indisposto dal suo essere così diretto e l’innocenza con cui rispondeva gli rendeva difficile rispondere con freddezza anche alla più breve delle frasi.
Finalmente, però, erano tornati all’argomento dell’assunzione come cuoco e adesso poteva chiedergli quello che tanto gli premeva sapere.
« A questo proposito ti devo chiedere una cosa. » cominciò tranquillamente Ludwig, rilassando la schiena contro la sedia di legno. « Perché sei stato in cucina solamente quando mi hai preparato il dolce la prima volta? »
Feliciano sussultò, osservando il tedesco; a dire il vero aveva già pensato all’eventualità che gli facesse qualche domanda simile, ma poi aveva deciso di non preoccuparsene fino a quando non sarebbe effettivamente successo.
Beh, a quella domanda poteva anche rispondere.
« Perché il vero pasticcere aveva avuto degli inconvenienti e non sarebbe riuscito ad arrivare al lavoro, quel giorno. Ho già cucinato in un altro locale e uno dei miei amici lo sapeva, quindi ha parteggiato per me e sono riuscito a preparare io le torte. » sorrise raggiante, chiudendo gli occhi mentre inclinava il viso.
A Ludwig ancora non bastava. Aveva sperato che l’italiano capisse da solo di dover continuare a spiegargli le motivazioni per cui era stato assunto come cameriere e non come cuoco.
Evidentemente doveva tirare fuori dalla bocca dell’altro ogni singola parola.
« Non intendevo questo. Intendevo dire: perché non ti hanno assunto come cuoco? »
Un lampo cupo attraversò il viso del più giovane che abbassò lo sguardo subito dopo.
« Scusa… non te lo posso dire, per il momento. » si mordicchiò il labbro, incerto.
Il suo capo gli aveva detto che non doveva assolutamente parlare delle condizioni in cui lasciava abitualmente la cucina, perché altrimenti avrebbe avuto non pochi problemi e non voleva assolutamente perdere quel lavoro.
« Davvero, prometto che un giorno te lo dirò, ok? Però non adesso! » si alzò dalla sedia, toccandosi da sopra la giacca per trovare in quale tasca avesse riposto il portafogli.
Tutta quella fretta non fece altro che sorprendere il critico, che si ritrovò ad alzarsi in fretta e furia a propria volta, dopo aver finito il caffè.
« Va bene, non serve che scappi solo perché non me lo puoi dire. Non è che voglio costringerti a parlarmene. »
Una persona comune avrebbe certamente tenuto per sé quel pensiero, ma Feliciano pensò bene di aprire bocca senza più porre alcun muro che impedisse al corso dei pensieri di fuoriuscire dalle sue labbra.
« In un certo senso mi hai dato un po’ questa impressione, poco fa. » sembrava un po’ più tranquillo, almeno aveva smesso di frugare convulsamente nelle varie tasche del borsellino per trovare le monete.
Un sospiro si liberò dalle labbra del biondo; effettivamente avrebbe davvero voluto essere in grado di sapere subito ciò che gli interessava, ma si rendeva conto che non poteva usare le maniere forti e in un certo senso… non voleva.
Ad uno come lui sarebbe bastato uno schiocco di dita per far parlare quel ragazzo, sapeva essere talmente spietato da riuscirci senza problemi. Il fatto era che gli sembrava troppo fragile e non voleva assolutamente rischiare di spaventarlo o ferirlo.
Senza contare il fatto che anche se con il suo modo di fare avrebbe portato allo sfinimento chiunque, aveva degli sprazzi di allegria che riscaldavano in modo sorprendente il cuore del biondo.
“Da quand’è che ti interessi così alla gente, Ludwig?”
Quella domanda gli frullava nella testa da quando si era reso conto che la presenza del ragazzo non lo infastidiva per niente nonostante tutto e davvero, non riusciva a trovare risposta.
Se gli fosse stato possibile non avrebbe atteso tanto a lungo per rivederlo, anche solo andando a parlare di fronte a un caffè come avevano fatto quel giorno – ovviamente mettendo delle regole che impedivano all’italiano di costringerlo a bere ciò che più aggradava a lui –.
Il tedesco si avvicinò a Feliciano passandosi una mano sui capelli.
« Non era mia intenzione sembrarti così… rude. » rimase a pensare per qualche secondo a che termine usare e alla fine convenne quello fosse il migliore da porre come conclusione a quella frase.
Per un attimo il volto del più piccolo sembrò illuminarsi, ma non seppe ben definire di che cosa: stupore? Allegria? Sembrava quasi contento di quelle parole, ma Ludwig non riusciva a capirne la ragione.
« Sono felice, allora! » ridacchiò sommessamente, approfittando di un momento in cui di fronte al bancone non vi era nessuno per andare a pagare il conto. Aveva già preparato le monete e le sistemò sul bancone limitandosi a ritirare lo scontrino che chiuse dentro al portafogli.
« Perché sei felice? » domandò perplesso l’altro.
Feliciano iniziò ad infilarsi il giaccone senza preoccuparsi della presenza di altre persone che si accumulavano alle sue spalle e si spostò solamente quando fu Ludwig a costringerlo a farlo, prendendolo per le spalle e tirandolo appena verso di sé.
L’italiano alzò il viso dalla zip del proprio cappotto e si accorse solamente allora della gente, ringraziò sommessamente Ludwig e si voltò verso di lui, pronto a rispondere alla sua domanda.
« Sai, i miei colleghi hanno detto che molto probabilmente molte persone mi avrebbero domandato perché non ho sempre lavorato in cucina. » spiegò tranquillamente, distogliendo un attimo lo sguardo dagli occhi azzurri del critico, come se gli servisse annullare quel contatto visivo per riuscire a formulare il seguito della frase. « Anche se tu mi sei sembrato subito una brava persona ho creduto che avessi accettato di venire a prendere il caffè con me solo per soddisfare anche tu quella curiosità. Ora che so che aspetterai quando io deciderò di dirtelo mi sento più tranquillo. »
Una pugnalata.
Ecco cosa fu quella frase per Ludwig, che ora stava procedendo verso la porta senza nemmeno pensarci realmente. Uscì nel gelo di quel tramonto autunnale e sembrò non curarsene particolarmente; neanche quel freddo lo risvegliò dai suoi pensieri.
Alla fine si era comportato esattamente come avrebbe fatto la maggior parte della gente ed era uscito con lui solo per soddisfare una sciocca curiosità.
Neanche si accorse delle sopracciglia fine dell’italiano che si aggrottavano sulla fronte candida, in un moto di confusione.
« Va tutto bene, Ludwig? » chiese. Aveva il tono terribilmente simile a quello di un bambino che non riesce a capire qualcosa.
Solo allora il tedesco si riscosse e si affrettò ad annuire per non farlo preoccupare.
« E’ tutto a posto. » asserì.
Notò allora a quel punto il sorriso di Feliciano riaprirsi sul suo viso, mentre muoveva le gambe nella direzione opposta alla sua, sul marciapiede.
« Perfetto! Io ora devo andare da questa parta! Ah, mi dai il tuo numero di telefono? » concluse con una domanda. « Mi piacerebbe se ci rivedessimo, qualche volta! »
Non capiva se fosse tutto dettato dal senso di colpa o cos’altro, ma il cellulare di Ludwig sgusciò fuori dalla tasca del cappotto con una naturalezza paragonabile a un gesto premeditato, organizzato già da diverso tempo.
Lesse ad alta voce il numero all’italiano, che tutto contento lo salvò in rubrica e gli fece uno squillo in modo che anche l’altro potesse memorizzare il suo.
« Allora io adesso vado! Ti chiamerò prest-… » stava per concludere la frase, ma non ci riuscì per colpa della voce di Ludwig.
« Dove abiti? »
Era raro che interrompesse le persone, ma aveva come la sensazione che se non l’avesse fatto il ragazzo sarebbe scappato via.
« A dire il vero abito molto vicino alla pasticceria dove lavoro! Ci metterò un po’, ma sono abituato ad andare a piedi. »
Era sembrato sorpreso dando quella risposta, ma più sorpreso fu Ludwig dopo aver realizzato l’effettiva distanza dal punto dove si trovavano in quel momento e l’appartamento di Feliciano.
Già era esorbitante la quantità di strada da percorrere dalla pasticceria fino alla ditta dove lavorava, figurarsi da lì.
« Ma sei pazzo? Ti accompagno. » la voce del biondo sembrò vacillare per un attimo verso un tono più alto del solito. Cominciò a camminare, sentendo i passi più leggeri dell’altro alle proprie spalle.
« Davvero lo faresti? Grazie mille! »
Nemmeno si sognò di rifiutare, Feliciano.
A dire il vero quel pomeriggio era riuscito a prendere l’autobus senza problemi, ma aveva comprato solamente un biglietto e si era ricordato troppo tardi di necessitare di un secondo: nessun negozio era aperto a quell’ora e la voglia di spendere più soldi comprandolo direttamente sul mezzo era nulla. Che motivazione sciocca per fare una scarpinata, eh?
Arrivarono nel giro di pochi minuti al parcheggio sul retro del palazzo dove lavorava Ludwig.
Lì, di fronte agli occhi di Feliciano, si presentò una Mercedes Benz nera, totalmente tirata a lucido.
Gli occhi brillarono e si avvicinò rapidamente al finestrino, poggiando le mani sul vetro per cercare di guardare dentro: niente da fare, i vetri erano oscurati.
Ludwig si lasciò sfuggire un mezzo sorriso per il comportamento dell’altro e aprì la portiera, osservando il ragazzo che si fiondava dentro, chiudendo il portellone e allacciandosi la cintura.
Cominciò a guardarsi attorno, terribilmente curioso.
« Wow, questa macchina è fantastica! » esclamò con un tono di voce un po’ troppo alto.
Il tedesco alzò un sopracciglio mentre si sedeva al posto del guidatore, allacciandosi la cintura e mettendo in modo.
« Sì, effettivamente è piuttosto bella. »
Durante tutta la manovra per uscire dal parcheggio e il tragitto verso casa, Feliciano non fece altro che agitarsi urlando più volte vedendo nuovi pulsanti sul pannello della macchina e chiedendo a Ludwig a che cosa servissero.
Il biondo riuscì a calmarlo solo quando, dopo essere arrivati nelle vie del centro vicine alla pasticceria, dovette farsi guidare dal ragazzo per raggiungere il suo condominio.
Si fermò alla fine di fronte a una palazzina non particolarmente lussuosa e Feliciano sorrise raggiante, aprendo la porta, senza però scendere.
Si voltò piuttosto verso Ludwig.
« Ti ringrazio tanto per il passaggio! »
Prima che il biondo potesse rispondere, vide il viso di Feliciano avvicinarsi pericolosamente e sentì un leggero schiocco contro la sua guancia.
Rimase immobile, come paralizzato. L’unica cosa che sentì fu un soffio di risata provenire dalle labbra dell’italiano, che scese dalla macchina salutandolo con la mano da davanti il finestrino.
Lo vide varcare il cancello e poi la soglia del portone principale.
Ancora non aveva mosso un muscolo.
Sentiva un calore terribile irradiarsi dalla guancia e solo dopo un paio di minuti si voltò, appoggiando la testa contro il volante dell’auto ancora in moto; per poco avrebbe rischiato di premere il clacson.






Angolo dell'autrice ~
Salve a tutti! ** Eccomi qui con il secondo capitolo di questa fiction :3
Sono contenta di essere riuscita a postare relativamente presto, perchè mi sento veramente molto entusiasta vedendo che questa storia procede.
Cosa c'è da dire su questo capitolo? In verità non molto. Anche questo è un po' di "transizione", ma ho fatto comunque accadere qualche piccolo avvenimento - anche se l'ultimo è un po' una svolta, almeno per Ludwig! - in grado di far avvicinare un po' di più questi due.
All'inizio ero un po' incerta all'idea di far provare subito qualcosa a Ludwig, ma mi sono concessa di usare la tecnica del "colpo di fulmine", anche se chiarisco subito che non è ancora follemente innamorato di Feliciano, eh! X° Semplicemente è rimasto molto colpito, ecco.
Detto questo vi lascio perché non mi va di annoiarvi eccessivamente.
Come sempre, spero in una vostra recensione per dirmi che cosa ne pensate del capitolo, ma ringrazio anche tutti coloro che decideranno semplicemente di leggere!
Alla prossima!

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Capitolo 3
*** Pasticcio ***


3. Pasticcio




Feliciano non era mai stato il tipo di persona in grado di mantenere salda la cognizione del tempo, tanto più se il periodo appena trascorso era tanto denso di avvenimenti come lo era stato quello; tre mesi erano passati da quando aveva conosciuto Ludwig e da quando la sua vita era cambiata radicalmente.
Si era auto convinto che la sua già solita euforia non avrebbe fatto altro che aumentare, ma a dire il vero in parte si sbagliava. Non aveva considerato che lavorare come capocuoco avrebbe comportato più stress e maggiori responsabilità: doveva essere puntuale, sempre riposato in modo da non commettere errori e, ora, anche coordinare gli altri due ragazzi che erano andati a lavorare in cucina.
Dopo il suo primo mese di attività come cuoco i clienti erano aumentati a dismisura, tanto da riuscire a riempire il locale praticamente tutti i giorni.
Quella mole di lavoro per Feliciano era insostenibile non tanto perché fosse lui, ma piuttosto era umanamente improbabile che una sola persona riuscisse a gestire tutti quegli ordini senza commettere qualche errore.
Non solo per quella ragione, il proprietario del locale aveva deciso di mettere un annuncio su qualche giornale per trovare dei cuochi che sicuramente si sarebbero presentati, anche grazie all’ottima parola messa sul locale da parte di Ludwig.
Alla fine aveva scritto una recensione sublime, tanto che quando il giovane cuoco l’aveva rivisto aveva finito con il saltargli addosso trattenendo a stento i lacrimoni che ebbero la meglio e cominciarono a scendere copiosamente sulle sue guance.
Tra le note positive di quei tre mesi trascorsi, c’era che Feliciano aveva iniziato a vedersi sempre più spesso con Ludwig. Poteva dire che si frequentavano, anche se era lui il primo a non riuscire a inquadrare bene sotto quale ottica si vedessero entrambi.
Lui era affettuoso come lo era con chiunque: lo abbracciava appena ne aveva l’occasione, lo chiamava con il solito diminutivo affettuoso con una voce che avrebbe fatto venire il diabete e tutte le volte, per salutarlo prima di andarsene, gli schioccava un bacio sulla guancia esattamente come aveva fatto la prima volta che il tedesco l’aveva riaccompagnato a casa.
Adorava vederlo arrossire e sentirsi chiamare con il proprio soprannome, – alla fine Ludwig aveva iniziato spontaneamente a chiamarlo Feli – lasciato uscire dalle labbra in un borbottio.
Sapeva di metterlo in imbarazzo perché, pur essendo tanto innocente, di questo se ne accorgeva anche lui, ma aveva continuato semplicemente per abituarlo.
Effettivamente, alla fine i risultati si erano visti e Ludwig aveva smesso di arrossire come le prime volte, lasciandolo fare e spingendosi, talvolta, anche a ricambiare i gesti affettuosi dell’italiano.
La prima volta che l’aveva fatto, Feliciano la ricordava nitidamente: erano in piedi di fronte al portone del suo appartamento. Si erano incontrati in un luogo non molto lontano da casa sua e avevano deciso di spostarsi a piedi, per quel giorno.
Come sempre lui si era alzato in punta di piedi per primo, avvicinando le labbra al viso di Ludwig per baciarlo e quando si era quasi voltato per entrare nell’androne dell’edificio il critico l’aveva afferrato per il polso e l’aveva tirato a sé, chinandosi per poter copiare il gesto sulla sua, di guancia.
Si era sorpreso di come la presa dell’altro potesse essere forte e gentile allo stesso tempo e anche delle proprie gote diventate improvvisamente calde e quindi probabilmente rosse. Raramente si imbarazzava per cose simili, forse era stata la sorpresa dell’avvenimento.
Credeva che si sarebbe solamente sentito contento se anche l’altro avesse imitato uno dei suoi gesti, invece aveva sentito un tuffo al cuore terribile, tanto che per qualche attimo le ginocchia si erano fatte mollicce e aveva rischiato di doversi sorreggere all’altro per rimanere in piedi. Anzi, per essere precisi l’aveva fatto, ma ormai Ludwig era abituato a tenerlo perché gli si buttava addosso senza che avesse effettivamente bisogno di essere sostenuto.
Nessuno dei due chiedeva però all’altro spiegazioni, né sul momento, né durante le seguenti uscite e Feliciano doveva ammettere che la cosa non gli dispiaceva particolarmente.
Apprezzava la condizione in cui si trovava con Ludwig e non gli andava di ragionare troppo su ciò che provava per il tedesco e viceversa.
Erano in quello stato di benessere comune che non gli andava di spezzare con qualche chiarimento di troppo.
Dello stesso avviso non era però Ludwig, che da quando aveva iniziato a ricambiare i gesti affettuosi di Feliciano si era fatto non poche domande in merito ai sentimenti che provava per il ragazzo.
Forse lo amava, si era detto, e la cosa l’aveva lasciato particolarmente basito perché sarebbe stata la prima volta che provava interesse per un uomo.
In un certo senso, si era però reso conto del fatto che non gli pesava troppo che l’italiano fosse un lui e non una lei, quindi quello era stato il problema minore.
Il chiodo fisso di Ludwig, era la leggerezza di Feliciano, che proprio non riusciva a capire.
Tutti quei gesti terribilmente affettuosi avevano secondo lui un significato più grande di quello che probabilmente l’italiano gli attribuiva.
Forse lo baciava perché gli era grato, perché gli voleva bene come un amico e non perché sentiva chissà cosa crescere dentro di sé.
Aveva iniziato a pensarlo quando una volta, mentre lo andava a prendere al bar, l’aveva visto salutare uno dei camerieri donandogli un vigoroso abbraccio che aveva reso il biondo vagamente geloso, ma ovviamente non gliene aveva parlato.
Del resto che senso aveva fargli presente una piccola gelosia se non aveva nemmeno il coraggio di affrontare il resto della situazione? Doveva ammettere che un po’ la possibile risposta lo intimoriva.
Comunque in tutto questo, Feliciano non si era accorto assolutamente dei pensieri che attraversavano la mente di Ludwig, neanche tanto perché non volesse o non ne fosse in grado, semplicemente in quel periodo non ne aveva la forza.
Preso com’era dal lavoro aveva perso tanta della sua energia e di questo anche Ludwig si era accorto.
Spesso quando si vedevano la sera, Feliciano crollava sul sedile della macchina di Ludwig e un paio di volte era stato il tedesco a doverlo portare fino all’appartamento perché il ragazzo non era in grado di reggersi nemmeno in piedi.
Se l’italiano avesse iniziato, proprio in quel momento, a cercare di capire che cosa passava per la mente di Ludwig avrebbe sicuramente perso l’unico pensiero che gli dava la forza per andare avanti; quando era stanco e demoralizzato infatti, non pensava tanto al fatto che le cose sarebbero certamente migliorate, che si sarebbe abituato, quanto piuttosto a tutti i momenti belli passati con Ludwig, per questo non si poteva assolutamente permettere di rischiare che il pensiero dell’uomo lo riconducesse a tanti altri interrogativi inutili in merito alla loro condizione.
Quella sera in particolare, gli serviva davvero tanto un pensiero che aumentasse i suoi buoni propositi, perché sentiva veramente i nervi che iniziavano a cedere.
Il proprietario si era inventato, visto che c’era un evento serale in città, di estendere l’orario di apertura per quella giornata e invece che alle sette, la pasticceria avrebbe chiuso a mezzanotte.
Aggiungendoci l’ora e mezza che serviva per ripulire il tutto – da solo –, Feliciano avrebbe messo piede nel gelo invernale che proprio non voleva andarsene, più o meno all’una passata e avrebbe rivisto casa alle due, se tutto fosse andato bene.
Peccato che quel giorno ci fossero troppi clienti.
Aveva sentito dire dalla sala che una coda non indifferente si era formata anche fuori e continuavano ad arrivare persone decise a mangiare i loro dolci.
I camerieri entravano in cucina continuamente aggiungendo alle ordinazioni già in preparazione, sempre di nuove e, quando si riusciva a tirare un sospiro di sollievo perché nella teglia infornata c’erano abbastanza dolci per accontentare tutti, ecco che arrivavano altre ordinazioni che smentivano quell’infondata tranquillità.
Feliciano non ne poteva davvero più.
Gli altri due ragazzi che erano con lui lavoravano, sì, ma più a rilento e continuavano a lamentarsi.
Ad un certo punto uno dei due era anche uscito per fare una scenata al proprietario perché Feliciano aveva rovesciato parte dell’impasto di uno dei dolci a terra, sottraendo aiuto prezioso a lui e all’altro cuoco che cercava invano di seguire i le richieste dei clienti.
Non aveva mai desiderato di perdere quel lavoro, ma quei ritmi estenuanti non rientravano nelle sue corde.
Ovviamente tutte quelle persone erano lì solamente grazie alla recensione di Ludwig e questo Feliciano lo sapeva. Si sarebbe lamentato di quel piccolissimo trafiletto di carta solamente se non avesse reso possibile anche a lui di avere il lavoro che tanto desiderava.
« Feliciano, che diavolo stai combinando?! » sentì urlare da qualcuno mentre entrava nella cucina.
La cosa più brutta del suo capo, era che non aveva la minima decenza: se urlava in quel modo, sicuramente anche i clienti avrebbero sentito e non era il caso rendere di pubblico dominio delle questioni riservate al personale del ristorante, ma questo a lui non sembrava importare.
« Mi è solamente caduto un po’ di impasto! Lo pulirò più tardi! » ribatté il giovane senza prestare troppa attenzione all’uomo, concentrandosi totalmente sull’aggiunta di impasto che doveva fare per rimediare al danno.
Se doveva essere sincero preferiva calpestare quello che era caduto sul pavimento e portarlo un po’ per tutta la cucina, piuttosto che perdere tempo a pulire.
Tanto alla fine se ne doveva occupare sempre e comunque solo lui, no? Tanto valeva stare alle proprie abitudini.
Sentì qualche imprecazione e poi il proprietario uscì, lasciandolo nuovamente solo con i suoi preparati per i successivi dolci da preparare.
 

***

 
 
Era finita.
Feliciano avrebbe tanto voluto avere il privilegio di andare a girare il cartellino appeso alla porta di vetro all’ingresso, facendo capire al mondo che la pasticceria era chiusa e che gli mancava poco per essere finalmente libero come l’aria.
Gli altri cuochi se n’erano già andati, idem per i camerieri, l’unico che mancava era il suo capo, ma in un certo senso sperava che uscisse direttamente senza fermarsi a parlargli troppo: si era reso conto di avergli risposto malamente, ma non era solo lui ad essere stressato e sperava che questo il proprietario lo capisse.
Invece no, gli spettava un lungo colloquio con l’uomo e se ne rese conto quando lo vide entrare nella cucina con lo sguardo di uno che aveva tremende notizie da dare.
Ovviamente Feliciano nemmeno immaginò la gravità della sua situazione e cercò di abbozzare un sorriso gentile che non scalfì minimamente lo sguardo serio dell’altro.
In verità non lo voleva rabbonire né nulla di simile, semplicemente si sentiva molto più tranquillo e gli sembrava stupido perseverare nel proprio comportamento nervoso, anche perché usciva solamente quando era particolarmente agitato o sotto pressione, cosa che non era affatto in quel momento.
« Ti devo parlare, Feliciano. »
Quelle parole servirono ad ammonire almeno in parte il giovane italiano che aveva appena finito di riparare con il mocio all’impasto che si trovava intorno a un po’ tutti i mobili della cucina.
« Mi dica, capo! » entusiasta come sempre, Feliciano alzò lo sguardo verso di lui.
« Prima che andassero via ho parlato con gli altri due cuochi. » iniziò, incrociando le braccia al petto. « Ci siamo resi conto che forse in tre in cucina siete un po’ troppi, non so se mi spiego. »
Di primo acchito, Feliciano penso che stesse cercando di dirgli che avrebbe dovuto scegliere il più valido tra i due aiutanti, poi aveva elaborato e si era reso conto che se aveva parlato con loro era solo perché si era già scelto chi escludere.
« Poteva… chiamare anche me, per un discorso simile. » fece presente, seppure con fare non troppo convinto, l’italiano.
Doveva stare calmo, molto calmo.
Forse il suo capo aveva deciso di parlare con gli altri per non arrecargli dei pensieri ulteriori: in fin dei conti sapeva che tipo di persona era Feliciano, no? Non gli si sarebbe mai potuto chiedere di decidere chi licenziare, perché per indole lui si sarebbe sentito in colpa e avrebbe detto di tenerli tutti e due.
Però allo stesso tempo non aveva senso che lo facesse, perché quei due ragazzi erano il classico esempio di sottomissione totale, quindi chi avrebbe dovuto preferire, tra lui e uno di loro?
« Non serviva che ne parlassi anche con te, perché la decisione la dovevo prendere con loro. » con risolutezza, continuò il discorso: se gli avesse dato il tempo di parlare o anche solo di elaborare avrebbe sicuramente iniziato a frignare senza lasciarlo più andare avanti. « Loro ubbidiscono, Feliciano. Fanno quello che gli dico e non si sognano di dissentire: per cosa credi che andassero contro ai suggerimenti o ai pochi ordini che davi tu quando ti chiedevano che cosa c’era da fare?
Sei troppo disordinato e si sono lamentati da quando sono qui del tuo modo di cucinare. Sarai anche un ottimo chef, ma non posso permettermi di pagare lo stipendio di un capocuoco che spreca ingredienti in continuazione. »
Il manico del mocio che Feliciano ancora teneva in mano venne stretto con fare convulso dalle dita esili dell’italiano. Non glielo stava dicendo sul serio.
« Sei licenziato, Feliciano. »
Poi giunse quella frase fredda, tagliente come un coltello e il bastone di legno che fino a poco prima teneva in mano cozzò irrimediabilmente contro il pavimento, provocando un rumore che riecheggiò nella stanza.
E adesso che avrebbe fatto?
Doveva reagire.
Aveva rovesciato gli ingredienti solamente una volta, non poteva aver deciso di cacciare lui, proprio lui che gli aveva fatto ottenere tanti clienti, dal locale che si era trasformato anche grazie al suo aiuto.
Subito dopo Feliciano venne colpito da uno di quei fulmini di genio a cui raramente era soggetto, che gli fece capire tutto. Il viso si incupì, le labbra si inclinarono in una smorfia e alzò solo dopo qualche secondo gli occhi lucidi verso il proprietario, che ancora non se n’era andato come a voler essere certo che avesse capito quanto gli aveva appena detto.
« Mi ha assunto solamente perché Ludwig le facesse la recensione, vero? » disse sottovoce, convinto che comunque l’avrebbe sentito. « Non le sono mai piaciuto e ha aspettato l’occasione migliore per liberarsi di me! »
Il tutto si sarebbe dovuto concludere con una seconda, disperata domanda, ma Feliciano non riuscì a farla intendere come un’accusa bella e buona.
La voce non era riuscita che a essere rotta e i singhiozzi acuti non si fermavano. Si strinse nelle spalle mentre gli occhi si velavano di lacrime che scesero copiosamente lungo le guance: ormai non lo vedeva neanche più troppo bene, l’uomo di fronte a lui.
Nemmeno pensò che parlando a quel modo l’avrebbe fatto innervosire aggravando irrimediabilmente la propria situazione; odiava quando la gente gli gridava contro, lo odiava davvero tantissimo.
« Che sia o non sia per questo, non puoi ribattere! Ti ho tenuto in questa cucina a delle condizioni che mi avrebbero anche potuto mettere nei guai. La pacchia è finita, ora vattene e non farti più vedere! »
Dei passi che si allontanavano e poi le porte con gli oblò che conducevano alla sala che si aprivano, chiudendosi poi ad una grande velocità. Fossero state una porta normale, avrebbero fatto un rumore terribile.
Feliciano rimase immobile, come pietrificato. Avrebbe voluto urlare ancora tanto per sfogarsi, ma sentiva che non era il caso. Per la prima volta desiderò anche di rompere qualcosa, ma era ancor meno opportuno di gridare.
Si diresse meccanicamente verso la porta d’uscita che dava sul retro, si tolse la parte superiore della divisa e la lanciò insieme al cappello in un angolo della cucina: a poco gli sarebbe servito portarsela a casa, anzi, probabilmente avrebbe pure dovuto sorbirsi una telefona affinché la riportasse indietro.
Contrariamente dal suo solito frignare rumoroso, quella volta era totalmente calmo, come se non volesse essere sentito da nessuno. Nonostante i pensieri nella sua testa fossero altri, si sorprese terribilmente di sé stesso.
Si infilò la giacca e uscì, senza chiudere a chiave perché tanto, anche quelle, le avrebbe dovute lasciare al proprietario, infatti ora il mazzo giaceva sopra la sua divisa dopo essere stato malamente lanciato.
Andò lentamente verso la strada. Sentiva le ginocchia molli e decise di concedersi un po’ di tempo per calmarsi seduto sugli scalini del retro del locale.
Non l’avesse mai fatto.
Se prima era rimasto relativamente calmo, una volta seduto si rannicchiò e scoppiò a piangere come un bambino.
I singhiozzi si fecero sempre più rumorosi e l’unica fortuna di quel momento era che li stesse soffocando tutti quanti contro le gambe che stringeva sempre più forte al petto incurante di continuare a provocarsi dolore per la loro pressione.
Avrebbe tanto voluto parlare con qualcuno in quel momento e la sua mente vagò subito a cercare l’immagine di Ludwig portandogliela davanti agli occhi.
Ricordava che una volta il tedesco gli aveva apertamente detto che ci sarebbe sempre stato per qualsiasi necessità; non era esattamente il tipo che si faceva scrupoli a seconda dell’orario, quindi decise di prendere il cellulare dalla tasca e di cercare quel nome nella propria rubrica, con il fine di trovare del conforto almeno in lui.
Pressò il tasto per avviare la chiamata e si portò il telefonino all’orecchio, sentendolo squillare.
Strofinò una manica contro i propri occhi, cercando di asciugarli e di bloccare almeno in parte le lacrime che continuavano a scendere copiose. Se gli voleva spiegare la situazione non poteva certamente farlo piangendo.
Rimase a fantasticare qualche secondo su come avrebbe dovuto rivolgersi a Ludwig, almeno fino a quando non sentì partire la segreteria.
Probabilmente stava dormendo, o forse l’aveva trovato una seccatura e aveva deciso di ignorarlo per non fargli capire che aveva rifiutato la chiamata.
Da quel momento in poi, i singhiozzi divennero sempre di più e fu tanto se non lasciò cadere a terra il cellulare.
Anche l’ultima luce del locale si spense, ma Feliciano non se ne accorse, concentrato piuttosto a farsi più vicino al muretto come se starci appoggiato potesse dargli un certo calore.
Dal suo canto, Ludwig non aveva proprio potuto rispondere al ragazzo: stava guidando di ritorno dalla serata di gala che si era conclusa un po’ più tardi del previsto e aveva ben pensato di fare una capatina al locale dove lavorava l’italiano; sicuramente avrebbe gradito un passaggio a quell’ora di notte e il tedesco era convinto di trovarlo ancora lì.
Aveva ben pensato di posteggiare nel parcheggio di fronte alla pasticceria, ma cambiò piani vedendo il ragazzo rannicchiato sugli scalini.
Dovette seriamente ringraziare il lampione che illuminava giusto l’ingresso, altrimenti non si sarebbe mai potuto accorgere che si trattava proprio di Feliciano.
Scese dalla macchina trascinandosi dietro le chiavi e andò rapidamente verso il ragazzo.
« Feliciano, che diavolo stai facendo qui fuori al freddo?! » domandò, chinandosi rapidamente di fronte a lui.
Il più piccolo trasalì, alzando rapidamente lo sguardo verso l’altro.
Aveva creduto fino all’ultimo che fosse il proprietario del locale, pronto a trascinarlo via. Non ci sarebbe stato da sorprendersi, vista la sua umanità.
« Stai anche piangendo! Che è success-… »
Prima che potesse concludere la frase, Feliciano gli gettò le braccia al collo e affondò il viso contro il suo petto, senza smettere di piangere.
« L-Ludi! Ti ho chiamato prima, ma non mi hai risposto! » tirò su con il naso, mentre il tedesco ricambiava l’abbraccio, preoccupato.
« Volevo darti un passaggio fino a casa, stavo guidando per venire qui. » spiegò sinteticamente, appoggiando una mano sulla sua testa.
Per un attimo percepì le dita di Feliciano contro il proprio collo e si morse il labbro: era gelato.
« Sei ghiacciato Feli. Vieni, ti porto in macchina. »
Neanche si curò di accertarsi se era in grado di camminare che lo sollevò di peso, dirigendosi verso la vettura. Aprì la portiera che l’avrebbe fatto sedere al posto del passeggero e lo adagiò lì.
Feliciano non sembrò particolarmente contento di staccarsi, tanto che quando Ludwig salì nuovamente al posto del guidatore gli si aggrappò una seconda volta.
L’italiano cercò di frenare le lacrime. Adesso che c’era Ludwig si sentiva molto più tranquillo e anche se le cose non si erano sistemate aveva come la sensazione che parlandone a lui avrebbe trovato una soluzione.
Forse.
Osservò le dita del tedesco macchinare con i pulsanti dell’auto e sentì improvvisamente una vampata di calore avvolgerlo. Tirò un sospiro di sollievo, godendosi quel leggero torpore mentre si stringeva più forte nella giacca.
Sentì le serrature delle portiere scattare; era abituato a udire quel rumore quando saliva in macchina di Ludwig, perché l’uomo sembrava essere costantemente preoccupato che ci fosse qualcuno di poco raccomandabile pronto ad entrare.
Trascorse qualche attimo, poi Ludwig parlò.
« Ti stai scaldando? » gli chiese, osservando i suoi occhi appena socchiusi. Aveva ancora le ciglia umide di lacrime, ma almeno non piangeva più.
Il critico tirò fuori un fazzoletto dal pacchetto che aveva in tasca e glielo porse. Feliciano si voltò lentamente e osservò l’oggetto che gli stava porgendo, prendendolo e soffiandosi il naso. Tirò un lungo sospiro e si abbandonò contro il sedile, scivolando appena verso il basso.
Solo allora annuì per rispondere alla domanda del tedesco, che si passò una mano sul viso: non l’aveva guardato molto in faccia, ma aveva davvero i lineamenti del viso increspati in un’espressione di totale preoccupazione.
In fin dei conti gli era già capitato di vedere Feliciano lagnarsi per nulla e già era successo che piagnucolasse, ma quella volta doveva essere capitato davvero qualcosa di grave.
« Te la senti di dirmi cos’è successo? » cercò di metterlo più al suo agio possibile; se il fatto era così catastrofico non voleva certamente farlo rimettere a piangere costringendolo a parlarne.
Fortunatamente l’italiano gli rispose con un sì e si voltò verso di lui anche con il busto, riacquistando una posizione eretta.
Strinse la propria giacca tra le dita, mordicchiandosi nervosamente il labbro.
Ludwig non se la sarebbe presa con lui se gli avesse detto la verità, doveva solamente organizzare le idee e raccontargli con calma l’accaduto.
Peccato che la calma e la pazienza non fossero esattamente le doti migliori di Feliciano, che iniziò a parlare a ruota libera.
« Il proprietario è… venuto in cucina quando è finito il mio turno. Mi ha detto che doveva parlarmi di una cosa importante che già aveva discusso con i miei due assistenti, sai quelli di cui ti avevo parlato, no? » fissò il basso, facendo guizzare gli occhi, tornati rapidamente lucidi, prima verso il bracciolo tra i due sedili davanti, poi verso il volante e poi ancora sulle proprie mani che torturavano il giubbotto. « Gli ho detto che mi avrebbe dovuto chiamare, ma ha risposto che non ce n’era bisogno e che avevano già deciso. Mi ha detto che doveva liberarsi di un cuoco perché eravamo in troppi e allora io mi sono agitato, lui si è agitato e mi ha detto di andarmene. » la voce rotta concluse a fatica quella frase del tutto confusa, facendo capire ancor meno a Ludwig il succo della questione.
Sfortunatamente si era già fatto una vaga idea di ciò che gli stava cercando di dire Feliciano e sentì un moto di rabbia coglierlo dal profondo.
« Aspetta Feliciano, va con calma. Mi stai dicendo che ti ha licenziato? »
Feliciano trasalì.
Sembrava quasi che non volesse sentir nominare quella parola, ma si affrettò ad annuire. Aveva sentito quanto fosse arrabbiata la voce di Ludwig e non capendo con chi se la fosse presa cercò di irritarlo il meno possibile.
Avrebbe voluto aspettare il momento migliore per metterlo in chiaro, ma alla fine, come non era riuscito a spiegarsi, non trattenne la propria sincerità.
Sollevò repentinamente il capo e si aggrappò alla giacca dell’altro, mentre le guance si inumidivano di nuovo senza che però si mettesse a singhiozzare.
« M-Mi dispiace L-Ludi! Lo so che… ho guadagnato quel lavoro grazie a te e io mi sono… mi sono davvero impegnato tanto perché era il mio sogno! » lo guardò intensamente negli occhi, ignorando totalmente l’espressione del tutto sorpresa del tedesco. « Ma oggi c’era tanta gente, gli altri mi intralciavano e sono scivolato facendo cadere l’impasto di uno dei dolci. Avrei pulito, lo avrei fatto sul serio, ma poi quei due si sono lamentati e io… »
Gli occhi di Ludwig percorsero il corpo dell’italiano con lo sguardo: si era soffermato forse eccessivamente sulla parte in cui gli diceva che era scivolato e pensò subito che si fosse fatto male. Anche se fosse stato così però, molto probabilmente Feliciano non se ne sarebbe preoccupato troppo, almeno non in quel momento.
Allungò timidamente una mano a sfiorare il viso dell’italiano e gli raccolse piano le lacrime, osservandolo mentre strizzava le palpebre come se avesse improvvisamente provato vergogna per i propri occhi lucidi.
« Troveremo qualcosa di meglio per te, va bene? Ho parecchie conoscenze, se ti raccomando io non penso avrai problemi. » il suo tono si era improvvisamente calmato e Feliciano si sentì più tranquillo.
La verità era che il tedesco stava letteralmente ribollendo all’interno; si era perfettamente capacitato delle ragioni per cui Feliciano era stato licenziato. Probabilmente il proprietario si era approfittato dell’occasione che aveva avuto per ottenere quella fantomatica recensione positiva e poi non aveva tardato a liberarsi del giovane.
Non gli veniva difficile crederlo più che altro perché Feliciano gli aveva raccontato, nel corso di quei tre mesi, che anche se si comportava eccellentemente in cucina non riceveva mai complimenti e le uniche che venivano mosse erano critiche.
Quasi sicuramente non gli era mai stato simpatico, ma Ludwig non si era mai sognato di farlo presente all’italiano per paura che se la prendesse e dicesse che lui non ne capiva niente perché non si trovava in cucina con lui.
Non si era mai curato di accertarsi che quanto diceva l’italiano fosse vero, perché si fidava ciecamente di Feliciano e non aveva bisogno di prove che confermassero le sue parole.
Certo era che però un controllino al suo modo di cucinare l’avrebbe dovuto dare: in fin dei conti era stato sempre lui per primo a dirgli di non essere particolarmente ordinato dietro ai fornelli e Ludwig era intenzionato a capire quanto poco fosse lo fosse e ad aiutarlo.
Oltre al fatto che un lavoro era necessario per il ragazzo che viveva da solo, era d’obbligo che tornasse presto ad avere un impiego perché sicuramente quella che aveva appena ricevuto era stata una ferita morale non da poco.
« Grazie, grazie, grazie Ludwig! » sentì esclamare da di fronte a lui, mentre di nuovo le braccia esili del più piccolo si stringevano intorno al suo collo in un abbraccio che sembrava sì di gioia, quanto di disperazione.
Era quasi sicuro che dopo averlo riaccompagnato a casa si sarebbe seduto contro la porta dell’appartamento a piangere di nuovo, quindi decise di non trattenere la proposta che aveva già valutato di fargli dal primo momento che l’aveva visto in quelle condizioni, a prescindere dal motivo.
« Non mi devi ringraziare, Feli, però ho bisogno di vedere davvero in che modo cucini. » gli appoggiò una mano sulla testa, arruffandogli affettuosamente i capelli.
Non l’aveva mai toccato così tanto, ma in quel momento sembrava non farci particolarmente caso.
« Ti voglio aiutare, lo sai e non solo per quanto riguarda il lavoro. Non sei nemmeno nelle condizioni di stare a casa da solo, quindi pensavo che ecco… potresti venire a passare la serata da me, ti va? » domandò, mentre le guance si facevano appena rosse per l’imbarazzo. Non aveva mai proposto una cosa simile a nessuno.
Osservò gli occhioni di Feliciano che si sgranavano e si mordicchiò il labbro per dissimulare l’incertezza che lo stava attanagliando, riprendendo a parlare.
« Io domani ho la giornata libera, quindi non preoccuparti. Se non hai sonno potresti anche… metterti a cucinare subito, ti va? Mi hai sempre detto che quando sei triste lo fai e ti senti subito meglio. »
Quella nottata era stata indubbiamente disastrosa per Feliciano: una sola era la cosa brutta accaduta, ma sarebbe bastata per dieci.
Non si sarebbe mai dovuto accorgere di qualcosa di bello che gli succedeva visto il suo umore, ma proprio non riusciva a non cogliere tutti quei piccoli gesti di Ludwig e a sentirsi poco a poco sempre meglio.
Gli aveva proposto non solo di aiutarlo a trovare un nuovo lavoro e di migliorarlo dal punto di vista dell’organizzazione, ma si stava anche prendendo cura di lui.
Svariate volte aveva cercato di guidare Ludwig per ottenere qualcosa, come dell’affetto o simili, ma in quel momento non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Poi gli aveva anche dimostrato che i suoi interminabili sproloqui che aveva creduto lo annoiassero erano invece stati ascoltati tutti e adesso il tedesco sapeva perfettamente che cucinare lo faceva sentire meglio.
Se fino a poco prima aveva avuto gli occhi lucidi per la disperazione, ora lo erano per la commozione dovuta a tutte quelle rivelazioni inaspettate.
Annuì appena, staccandosi da Ludwig mentre si asciugava gli occhi con il dorso della mano. Si voltò e prese lentamente la cintura di sicurezza, tirandola e agganciandola al giusto posto.
Era talmente sorpreso che neanche aveva avuto parole e Ludwig doveva ammettere di aver sentito crescere in lui una certa preoccupazione. Magari gli aveva dato fastidio e aveva interpretato nel modo sbagliato tutte quelle attenzioni che stava cercando di dargli.
Vedendolo annuire si calmò, tirando un sospiro di sollievo che cercò di soffocare il più possibile e si mise la cintura, guidando verso la propria abitazione.
 

***

 
Diversamente dai loro abituali viaggi in macchina durante i quali Feliciano non chiudeva mai bocca – non l’aveva fatto nemmeno quando, un’unica volta, una delle segretarie di Ludwig l’aveva chiamato per confermare un appuntamento –, quello fu particolarmente silenzioso.
L’italiano non parlò praticamente mai e Ludwig non cercò di intavolare un discorso.
Già odiava consolare le persone perché non sapeva mai che cosa dire, figurarsi se doveva parlare a qualcuno in macchina, senza poterlo guardare e carpire anche le più piccole reazioni dalle sue espressioni.
Avrebbe rimediato una volta giunti a casa, anche perché ad un certo punto del tragitto ebbe come la sensazione che Feliciano si fosse addormentato, visto che la testa si era adagiata sulla spalla sinistra del ragazzo.
Una ventina di minuti dopo erano arrivati a destinazione e l’italiano si era già risvegliato da qualche tempo.
Si guardò intorno con fare spaesato, osservando la portiera dal lato del guidatore che veniva richiusa e rivide Ludwig solamente quando gli andò ad aprire dopo aver fatto il giro della macchina, controllandolo.
« Vuoi che ti porto io? Ce la fai? » domandò, allungando già le braccia per sollevarlo.
Feliciano si lasciò sfuggire un principio di risata mentre sgusciava fuori dalla macchina.
Era buffo osservare Ludwig che cercava di rendersi utile in una situazione tanto complicata; anche prima, sul retro del locale, gli aveva posto una domanda del tutto simile, ma probabilmente preso dalla fretta non gli aveva dato il tempo e si era risposto da solo.
« Ludwig, adesso sto bene, non serve che ti preoccupi. » gli spiegò dopo averlo visto aggrottare le sopracciglia con fare interrogativo.
« Scusa. » borbottò il tedesco, mentre richiudeva la portiera e si dirigeva verso il portone d’ingresso al condominio.
Feliciano lo seguì, agitando rapidamente le braccia e sgranchendosi le gambe.
Era uscito tanto in fretta dalla macchina che nemmeno si era reso conto dello sbalzo di temperatura, come del resto non aveva fatto caso al piacevole torpore che l’aveva avvolto.
Quello che aveva di fronte era un palazzo altissimo nella zona del centro dove si trovavano le case più care
Non aveva mai immaginato per bene dove potesse abitare l’altro, ma quasi sicuramente se ne sarebbe fatto un’immagine sbagliata: avevano già parlato delle loro case e sapeva perfettamente che viveva in un appartamento eppure in lui era sempre stata radicata la figura di una villetta con giardino.
Ludwig lo guidò verso l’ascensore di quell’atrio interamente in marmo arricchito da qualche pianta e vi entrò. Fortunatamente per loro era già al piano terra.
Osservò il dito dell’altro che schiacciava il bottone per salire all’ottavo piano e sospirò, strofinandosi un braccio sugli occhi.
« Sei stanco? »
Si voltò rapidamente verso Ludwig e scrollò le spalle.
« Ho solo gli occhi un po’ affaticati, tranquillo. Stamattina ho recuperato le energie perché ho dormito fino a tardi, visto che il turno cominciava di pomeriggio! »
Sentì una leggera fitta al petto a parlare del suo ormai vecchio lavoro e Ludwig sembrò accorgersene.
Stava già per sviare i ldiscorso in un qualche modo, quando fortunatamente il campanello dell’ascensore suonò, permettendo a tutti e due di uscire.
Il tedesco camminò rapidamente verso una porta in fondo al corridoio, frugando qualche attimo nelle proprie tasche e infilando poi le chiavi nella toppa.
Da quando erano scesi dalla macchina controllava Feliciano con la coda dell’occhio pur sapendo che normalmente gli rimaneva sempre appiccicato, quando camminavano.
Si sarebbe sentito di gran lunga più tranquillo se gli avesse dato il permesso di portarlo in braccio.
La serratura scattò e la porta venne aperta lentamente.
Nell’appartamento era caldo quasi quanto lo era nell’abitacolo della macchina di Ludwig e per questo Feliciano si lasciò sfuggire un leggero sospiro soddisfatto.
Normalmente avrebbe anche sorriso, ma il discorso appena affrontato in ascensore l’aveva scosso di nuovo.
« Ah, permesso… » si affrettò a dire rendendosi conto di aver tralasciato una parte dei convenevoli tanto cara a Ludwig.
Aveva sempre saputo quanto il tedesco fosse attaccato all’educazione e per questo vide un leggero sorriso inclinare le labbra cesellate dell’altro.
« Avanti. » rispose solo, chiudendo la porta alle spalle di Feliciano.
Si aprì lentamente il giaccone a doppio petto, appendendolo all’attaccapanni dietro alla porta e rivelando il completo rigorosamente nero che aveva sotto. La camicia abbinata era bianca con delle striscioline grigie, ma non attirò particolarmente l’attenzione di Feliciano, che si preoccupò piuttosto di imitare i gesti dell’altro.
Aprì la zip del giaccone imbottito fece per toglierlo, ma ci pensò Ludwig per lui.
« Mi stai accudendo come se fossi un bambino, sai? » gli fece notare mentre un lieve sorriso si faceva finalmente strada sul suo viso pallido solcato dalle occhiaie.
Il biondo lo osservò silenziosamente, finendo di toglierglielo e appendendolo poi per il cappuccio sul braccio dell’attaccapanni accanto a dove aveva messo il suo giaccone.
Normalmente sarebbe arrossito a quell’affermazione, ma non lo fece. Quel giorno si rendeva perfettamente conto di ciò che stava facendo e non sapeva perché, ma non lo metteva per nulla a disagio e non aveva nemmeno la benché minima intenzione di smettere.
« Ti dà fastidio? » indagò.
« No, per niente… » la risposta gli giunse fulminea, appena mormorata.
Era indubbiamente un bell’appartamento e se non fosse stata notte, Feliciano si sarebbe anche potuto godere la luce che entrava dalle ampie finestre del soggiorno.
L’ingresso era una piccola stanzetta che si diramava poi in due corridoi: quello di sinistra conduceva alla cucina, a uno sgabuzzino e a uno dei bagni, mentre quello di destra portava invece allo studio di Ludwig, a una stanza degli ospiti e alla camera da letto munita di un altro bagno.
Se si proseguiva dritti, invece, si incontrava una porta che permetteva di accedere al soggiorno.
Fosse stato nelle sue condizioni abituali, l’italiano si sarebbe messo a curiosare in giro molto maleducatamente.
Da quel momento in poi, Ludwig cercò di farlo mettere il più a suo agio possibile: gli fece togliere le scarpe infilandole nella scarpiera, gli spiegò sommariamente dov’erano le stanze e lo portò poi nella camera degli ospiti, dove gli diede dei propri vestiti che gli stavano ormai stretti.
Decise anche di chiedergli se gli andava di fare una doccia, ma Feliciano gli rispose che l’aveva già fatta ed eventualmente si sarebbe lavato il mattino seguente.
Fatto ciò, il tedesco decise di andarlo ad aspettare in cucina.
Lo vide arrivare dopo cinque minuti con indosso una lunga maglietta bianca e sopra la casacca nera di una tuta che ormai lui non usava più.
Fortuna che la t-shirt gli arrivava almeno a mezza coscia, perché per un motivo a lui ignoto aveva totalmente ignorato la presenza dei pantaloni di quel completo.
Tossì, distogliendo lo sguardo dalle gambe scoperte del ragazzo fermo sull’uscio.
« E i pantaloni? » gli chiese sommessamente.
« Mi stavano troppo larghi. » rispose tranquillamente l’italiano, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« Potevi chiamarmi, te ne davo un altro paio. » fece per alzarsi, ma Feliciano si avvicinò rapidamente e gli poggiò entrambe le mani sul braccio coperto da una maglia nera con le maniche lunghe e scuotendo la testa.
A lui, anche le maniche della tuta stavano piuttosto lunghe, abbastanza da coprirgli quasi tutte le dita.
« Va bene così Ludwig! Sto comodo e poi qui fa caldo, quindi non ti preoccupare. » lo tranquillizzò.
A quel punto Ludwig si voltò verso i fornelli, convinto che se Feliciano avesse avuto voglia di cucinare si sarebbe fatto avanti da solo.
Solo perché era depresso non perdeva certamente la propria spontaneità e in più in macchina gli aveva già detto che gli avrebbe lasciato la cucina.
« Hai voglia di cucinare, allora? »
Con sua sorpresa, non vide la reazione sperata e osservò invece un Feliciano che rimase qualche attimo con l’indice sulle labbra, interdetto, scuotendo poi la testa.
« Non tanta. Posso farlo domani? » gli chiese.
« Certo che puoi, non ti volevo obbligare.. » si alzò lentamente dalla sedia, osservando la porta che li avrebbe portati in soggiorno. « Se non vuoi niente da bere o mangiare potremmo andare a vedere un film, ti va? »
Quello che ricevette fu un muto gesto di assenso con la testa, pochi attimi prima che Feliciano gli afferrasse saldamente la mano.
Lo guidò in soggiorno, accendendo la luce e regolandola in modo che non fosse troppo alta.
La sala era ampia e rettangolare; sulla sinistra vi era un tavolo piuttosto lungo con molte sedie, tanto che Feliciano si chiese se Ludwig avesse una famiglia numerosa da ospitare in alcune occasioni.
Al centro della stanza vi era un divano che guardava la parete dov’era posto il televisore e ai suoi piedi si trovava un tappeto dall’aria morbida.
Vi erano poi vari suppellettili su alcuni mobili che Feliciano non si soffermò particolarmente ad osservare.
Preferì piuttosto seguire Ludwig e fiondarsi su quel comodo sofà senza lasciare andare la sua mano.
Quando il tedesco si sedette ne approfittò per accoccolarsi contro di lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Sapeva che lo imbarazzava, ma in quel momento non aveva né intenzione di lasciarlo, né di commentare ridacchiando il suo viso paonazzo.
« Ludwig io… ti devo ringraziare davvero per tutto, sai? » sussurrò, strusciando il viso contro il suo collo.
Ludwig sentì un piacevole solletico dovuto ai capelli fini dell’altro e lo guardò incerto.
Fu allora che decise di sollevare le braccia e di avvolgerle dolcemente intorno al corpo dell’italiano per cercare di confortarlo ancora di più. Sistemò la guancia contro la sua testa.
« Non ho mai fatto nulla di eccezionale, Feliciano. » ribatté. « E poi anche io devo ringraziare te, se la mettiamo così. »
Se lui aveva aiutato l’altro dal punto di vista lavorativo, era altrettanto vero che Feliciano l’aveva aiutato addolcendolo.
Anche sotto altri punti di vista l’aveva aiutato, ma non era ancora il caso di parlargliene.
« Perché? » domandò sorpreso cercando di alzare il viso, ma rimanendo bloccato a causa della testa di Ludwig sulla sua.
« Ne parliamo un’altra volta, va bene? Ora riposati. » sussurrò soltanto.
Feliciano avrebbe davvero tanto voluto insistere, ma in quel momento non se la sentiva proprio. Tanto non si sarebbe dimenticato di quel discorso lasciato in sospeso e sicuramente l’avrebbe ripreso prima o poi.
« Mh… ti... voglio tanto bene, Ludwig. » mormorò, con voce non esattamente convinta. Chiuse gli occhi, riuscendo fortunatamente a sentire l’anche io che Ludwig gli disse in risposta, poco prima di addormentarsi.
Non si accorse però del sussulto dell’altro e altre reazioni del tutto lecite da parte del tedesco.
Era la prima volta che se lo dicevano e doveva dire di essere rimasto abbastanza sorpreso.
Rimasero sul divano per una buona mezz’ora, poi Ludwig si rese conto che era meglio portarlo a dormire al caldo sotto le coperte.
Lo prese in braccio con delicatezza, attento a non fare movimenti bruschi e a non provocare rumore per non svegliarlo.
Si diresse lentamente verso la propria stanza; il letto della camera degli ospiti era singolo e aveva già deciso che ci sarebbe andato a dormire lui, lasciando quello più comodo a Feliciano che aveva tanto bisogno di riposare.
Entrò nella camera e si avvicinò al letto di cui aveva già scostato le coperte prima di andare in cucina, pronto a dover portare personalmente a letto il ragazzo.
Adagiò dolcemente il corpo di Feliciano sul letto e fece per alzarsi, rendendosi però conto che le braccia che il ragazzo gli aveva avvolto intorno al collo nel sonno non sembravano essere affatto decise a lasciarlo.
Un mugugno uscì dalle labbra dell’addormentato mentre aggrottava le sopracciglia sospirando.
« Qui… » borbottò, senza lasciarlo andare.
Ludwig sussultò, arrossendo mentre prendeva un grosso respiro, sollevando le coperte anche per sé, sdraiandosi accanto al ragazzo.
Se doveva essere sincero, non gli dispiaceva affatto poter sentire il calore dell’altro anche mentre dormiva.
Era una situazione perfetta. Normalmente lui si sarebbe sentito in imbarazzo, ma un po’ per le condizioni del ragazzo, un po’ per tutto il contesto, gli sembrava che tutto quanto fosse spontaneo e per nulla forzato.
Lo tirò a sé, abbracciandolo con dolcezza mentre depositava un bacio dolce sulla sua fronte.
« Buona notte, Feliciano. »
Rimase qualche attimo ad osservarlo mentre sorrideva beato tra le sue braccia, per poi affondare il viso nei suoi capelli.
« Ti amo. »






Angolo dell'autrice
Buonasera a tutti quanti, finalmente sono tornata ad aggiornare questa fanfiction! Spero vivamente che non me ne vogliate - sia perché ho aggiornato, sia per il ritardo -, ma sfortunatamente ho iniziato questo capitolo in un periodo un po' sfigato dal punto di vista scolastico
Poi ho avuto il blocco dell'ispirazione e quando mi è passato mi sono venute in mente idee per altre storie.
Non ho affatto perso di vista la GerIta se è questo che potete aver pensato eh, anzi! Rimane una delle mie OTP, ma sfortunatamente ho avuto un po' di problemi per quanto riguarda proprio questa storia che mi è sembrata terribilmente banale e simile al film d'animazione Ratatouille x° (spero di non averlo già detto.)
Comunque ora che l'ispirazione mi è tornata conto di aggiornare presto sia questa che l'altra storia che ho in corso!
Vorrei ringraziare love_gerita per avermi mandato un messaggio e avermi spronata a continuare èwé Avevo detto che a giorni sarebbe arrivato il capitolo, no? ~
Ho trattato un tema un po' delicato qui e spero di non averlo reso sottovalutato.
Detto questo vi ringrazio per la lettura e spero di sentire ancora numerosi vostri pareri nelle recensioni, che mi fa sempre piacere!

CHAOSevangeline

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Capitolo 4
*** Farina ***


Attenzione! Finalmente sono tornata e davvero, non potete immaginare quanto io sia contenta ;___;
Credo che delle spiegazioni siano d'obbligo, ma le riservo per dopo e intanto mi faccio perdonare finalmente con la quarta parte di questa storia!

 


4. Farina


Il profumo di cacao cominciò a spandersi nell’aria, impregnandola completamente e portando all’atmosfera quella nota di serenità che Feliciano sentiva mancare dal giorno precedente.
Si era svegliato, quella mattina, come se nessuna preoccupazione l’avesse mai sfiorato: si era riposato così bene, che sonno e fiacchezza erano totalmente sparite dal suo corpo liberandolo nel modo più totale.
Poi, aveva dormito con Ludwig e anche se ovviamente non se n’era reso conto, aveva provato quel piacevole calore di non trovarsi più solo su un materasso troppo grande.
L’aveva saputo solo dopo aver raggiunto la cucina, dove aveva trovato il tedesco intento a bere un caffè e a pianificare la loro prima e tranquilla giornata di convivenza.
Per quanto fosse ormai tutto passato, se proprio si voleva essere ottimisti, Ludwig aveva preferito prendersi un giorno di ferie per rimanere in casa con l’italiano. Un po’ lo faceva per paura che gli distruggesse la casa cercando di sdebitarsi in qualche modo, ma la ragione principale era indubbiamente perché non voleva che fosse nuovamente colto da pensieri e preoccupazioni a cui era meglio non pensasse. Non ora che si era stabilizzato, per lo meno.
Così si era ritrovato a passare la mattinata con un Feliciano ancora in pigiama – se così si poteva chiamare la tenuta che gli aveva prestato per quella notte, una sua maglietta che gli stava un po’ lunga – intento a mostrargli le proprie doti culinarie in azione, come gli aveva chiesto la sera prima.
Inizialmente era rimasto seduto sulla sedia per non intralciarlo, poi aveva visto sempre più farina e parti di impasto accumularsi sul piano da lavoro e sul pavimento e aveva capito che forse sarebbe stato meglio intervenire.
« Feli, se metti via la farina forse hai più spazio per lavorare, no? »
Fosse stato qualcun altro l’ira funesta di Ludwig l’avrebbe colpito come una saetta, ma quel tono seppur duro venne percepito da Feliciano come un leggero consiglio che decise di accettare, prendendo il pacco di farina.
« Buona idea! »
Si diresse verso il pensile contenente gran parte degli ingredienti che aveva reperito e a quel punto accadde l’inevitabile: la sua sbadataggine gli aveva già permesso di sporcare il pavimento e caso volle che uno degli agenti sporcanti fosse guarda caso la stessa farina che l’italiano stava andando a riporre come un bravo bambino.
Si trovò per terra prima di rendersene conto.
Anche prima di rendersi conto di essere coperto di farina perché cadendo il pacco era scoppiato.
Nel suo piccolo aveva cercato di fare del proprio meglio per non creare troppi danni nella cucina di Ludwig e ancora non aveva realizzato di aver già bellamente fallito. Ora che, però, si trovava immerso in una nebbia di farina doveva ammettere che forse si era giocato ogni possibilità di sembrare ordinato.
Il tedesco lo avrebbe sgridato, quasi sicuramente.
Scattò in piedi, reggendosi alla prima cosa che trovò.
« Ti sei fatto male? » la voce di Ludwig sembrava allarmata, forse era per questo che lo aveva cominciato a tenere tanto saldamente da quando l’aveva visto alzarsi.
Feliciano sbatté i grandi occhi nocciola, trovandosi solamente allora faccia a faccia con il petto del tedesco; cadere l’aveva intontito abbastanza da non fargli capire più nulla, tanto che ascoltando la sua versione dei fatti un ipotetico ascoltatore l’avrebbe creduto immerso in un nugolo di farina così denso da impedirgli di vedere.
Si staccò rapidamente rischiando di nuovo di volare a terra, ma si tenne fortunatamente in equilibrio.
« Sto bene! » ribatté, portandosi una mano sulla fronte a imitare un saluto militare. Ludwig evitò di dirgli che aveva sbagliato mano e si lasciò sottrarre un sorriso vagamente dolce che sembrava tuttavia anche tanto tirato. « Ora pulisco tutto, promesso! Dov’è l’aspirapolvere? »
« Nello sgabuzzino, ma lo vado a prendere io Feli, sei tutto sporco di farina se esc-… »
Il turbine se n’era già andato, lasciandolo solo a fissare l’uscio della porta.

Pulire era da sempre un’attività non particolarmente invitante per Feliciano, ma doveva ammettere che se c’era Ludwig a dargli una mano, che per efficienza poteva essere comparabile a qualcosa come cento volte lui, diventava quasi piacevole.
Per lui poi, la noia delle pulizie consisteva più che altro nell’essere solo con un aspirapolvere, o uno spolverino, o perché no una spugna. Se c’era un’altra persona il problema non si poneva più.
Da quando anche l’ultima traccia di farina era scomparsa dal pavimento e anche dal suo corpo, visto che Ludwig l’aveva spedito in camera a infilarsi dei vestiti puliti, finire di preparare il dolce fu un gioco da ragazzi che venne tuttavia reso difficile a Feliciano dall’intenzione di non sporcare più nulla.
Ovviamente non ci riuscì, sarebbe stato fin troppo utopico pensare che potesse evitare di sporcare – e sporcarsi di cioccolata, visto che continuava ad assaggiarne con un cucchiaione che mai nessuno avrebbe pensato di usare per mangiare qualcosa – al primo tentativo.
Prima che il campanello suonasse, Ludwig si ritrovò a fissare con sguardo perso un Feliciano fin troppo entusiasta che controllava dentro al forno molleggiando sulle ginocchia e ripetendo alla torta frasi d’incitamento affinché si cuocesse in fretta e nel modo giusto.
Indubbiamente ci metteva passione, forse era stato per quello che osservarlo cucinare si era rivelato tanto rilassante nonostante le sue manie d’ordine e controllo che con Feliciano in giro non erano esattamente in grado di lasciarlo tranquillo.
Alla fin fine Feliciano aveva riparato al proprio danno, l’aveva aiutato e gli aveva chiesto scusa, ma si rendeva conto che se avesse continuato così molto probabilmente nessun locale l’avrebbe voluto o, ancor peggio, avrebbe ricreato il sipario in grado di distruggere tanto il ragazzo com’era avvenuto la sera prima.
« Lascia in pace la torta, manca ancora un po’ prima che il timer suoni. »
Quasi come un cagnolino ubbidiente, Feliciano si voltò e corse rapidamente verso Ludwig, facendogli credere che stesse quasi per saltargli al collo in preda a chissà quale attacco di affetto.
In verità Feliciano si era arrestato prima di compiere proprio il gesto previsto dal tedesco; aveva dissimulato efficacemente quell’intenzione però, alzando le braccia e fingendo di stiracchiarsi. Non era da lui fare così trattenere il proprio entusiasmo in quel modo e non seppe dire quale invisibile sbarra l’avesse fermato, ma come di consueto non se ne preoccupò troppo.
« E’ che voglio mangiarla! » spiegò sorridente, appoggiandosi subito dopo con i fianchi accanto a Ludwig, contro il piano della cucina.
Improvvisamente il suo sguardo si fece vagamente cupo ed ecco che tutte le preoccupazioni che fino a qualche ora prima avevano spinto il tedesco a rimanere nel proprio appartamento con Feliciano. tornarono a bussare all’inesistente porta della sua mente.
« Ehi Ludi… se miglioro credi che tornerò a lavorare in un ristorante? » domandò.
Il biondo riuscì a cogliere una rassegnazione in quella voce, una nota fin troppo stonata se pronunciata dalle labbra di Feliciano.
« Sinceramente? Sì. » si accorse di aver fatto tendere i muscoli del più piccolo, con quell’inizio. « Devi solo migliorarti sull’ordine, Feli. Sai perfettamente anche tu che non sei in grado di gestirti, ma penso tu possa capire che se ti trovassi nei panni di un qualsiasi proprietario di un locale non vorresti mai sapere la tua cucina in preda al disordine più totale. Tu ci lavori bene, ma il caos non è esattamente il migliore amico dei lavori riusciti meglio. »
Dei piccoli cenni del capo da parte dell’italiano confermarono a Ludwig che aveva seguito con interesse ogni cosa che aveva detto.
« Beh, sono disordinato, ma non è il mio caso! I miei dolci sono buoni lo stesso! » cercò di scherzare. Si stava rendendo conto perfettamente anche lui che se rimaneva troppo serio, la situazione colava inevitabilmente in una macabra formalità che non apparteneva più al loro rapporto da tempo.
« Ti troverò sicuramente un posto, basta che inizi a essere più ordinato, intesi? Visto che rimarrai qui per un po’ ti darò… una mano a esercitarti, sì. » Ludwig si passò una mano sul retro del collo, per poi riprendere a parlare. « Intanto pensavo che se ti va potresti venire a lavorare da me, giusto per non stare tutto il tempo a casa da solo. Fra l’altro prima mi hai detto che volevi renderti utile in qualche modo, no? »
Effettivamente era un discorso che aveva intavolato proprio quella mattina, Feliciano lo ricordava perfettamente. Era la prima volta che si offriva seriamente di fare un lavoro che non fosse cucinare o assaggiare qualche cibo particolarmente invitante.
Sapeva che Ludwig lavorava in un luogo fin troppo professionale e molto probabilmente, se si fosse trovato a fare un colloquio per un posto da segretario lì dentro avrebbe finito con l’essere cacciato subito dopo aver messo piede oltre le grandi vetrate d’ingresso al palazzo dove si trovava l’ufficio.
Ora che ricopriva una sorta i posizione di favore, però, quasi certamente non avrebbe avuto problemi di alcun genere.
Gli occhi gli brillarono.
« Davvero potrei, Ludi?! » sorrise e a quel punto l’azione carica d’affetto precedentemente interrotta si rivelò, facendolo letteralmente attaccare al collo del tedesco, che si ritrovò inevitabilmente a pendere verso Feliciano.
« Sarò bravo, promesso! Sarò ordinato, rispondere a tutte le telefonate e ti aiuterò, va bene? »
Ludwig rimase fermo qualche attimo, sbattendo gli occhi ancora sorpreso, poi avvolse le braccia intorno al busto del più piccolo.
« Sono sicuro che sarai bravissimo, Feliciano. »

***

Il tempo era diventato un rigido compagno che Ludwig ormai non considerava più molto, almeno fino a quando quella ventata di allegria ed entusiasmo chiamata Feliciano Vargas non aveva messo piede quasi stabilmente in casa sua.
Era passato un mese da quel giorno, convivevano come la perfetta coppia di sposini, se si voleva seguire la definizione fornitagli per telefono da suo fratello quando lo aveva chiamato per raccontargli le novità di quel periodo.
Insolito che Ludwig lo facesse, probabilmente era stato quello a tradirlo tanto facilmente.
Ad ogni modo, il tedesco poteva osservare dal proprio ufficio i dipendenti che lavoravano per la sua rivista e quindi anche Feliciano, comodamente sistemato su uno dei divanetti adibiti a ritrovo per la pausa caffè.
Quando tornavano a casa, l’italiano gli raccontava spesso e volentieri le proprie chiacchierate con le varie segretarie, gli diceva sempre che si trovava bene e che si stava facendo parecchi amici, anche se fortunatamente nominava la maggior parte delle volte una ragazza in particolare e conoscendo il tipo, Ludwig era contento che Feliciano stesse legando proprio con lei.
Elizaveta era una ragazza di buon cuore, il tedesco aveva avuto modo di penderne atto le varie volte in cui si era resa disponibile non solo per aiutare lui, ma anche le colleghe. Sotto quel punto di vista lei e Feliciano erano abbastanza simili, se non per un piccolissimo dettaglio: Elizaveta, dopo essersi resa conto di essere stata sfruttata, sarebbe stata capace di difendersi e vincere contro qualsiasi avversario, Feliciano invece era troppo ingenuo per farlo e molto probabilmente non sarebbe nemmeno arrivato a realizzare di essere stato sfruttato.
Ludwig dubitava che si fosse sentita in obbligo di stringere amicizia con lui e certamente non era stato il tedesco a chiederglielo, ma doveva piuttosto aver pensato di prendere sotto la propria ala protettiva quel ragazzo fin troppo buono e gentile capitato lì per caso.
Feliciano, totalmente ignaro di essere stato osservato fino a quel momento da Ludwig, bevette un sorso del proprio caffè e si sistemò meglio sul divanetto tanto confortevole da averlo più volte invogliato a dormirci.
Non che non l’avesse fatto, una delle volte in cui era rimasto ad aspettare Ludwig intento a lavorare fino a tardi e doveva ammettere di essere stato veramente comodo.
« Ah Liz, cos’è che mi dovevi dire prima? Avevi detto che dovevi parlarmi di qualcosa! »
Quando era arrivato a lavoro con Ludwig quella mattina, Elizaveta gli aveva promesso di raccontargli qualcosa che quasi certamente gli sarebbe interessato.
A dire il vero, la ragazza era rimasta indecisa fino all’ultimo sul da farsi, ma alla fine decidere di parlare a Feliciano le era venuto quasi spontaneo; trovava la situazione tra l’amico e il suo capo vagamente ambigua, per questo non se l’era sentita di dire nulla prima e tutt’ora, sentendosi ricordare ciò che aveva promesso, Elizaveta percepì un certo tentennamento.
« Oh, giusto. » si fece leggermente più vicina per paura che potesse sentirla qualcuno e quel gesto non fece altro che far fomentare ancor di più l’animo di Feliciano, convinto di essere sul punto di conoscere un grande segreto.
« Da quando sei a casa del signor Beilschmidt è mai uscito con qualcuna, Feli? » iniziare un discorso con una domanda non era il miglior approccio, ma Elizaveta era fermamente convinta di aver aperto le porte a una questione delicata nel migliore dei modi, se la doveva affrontare con un tipo come l’italiano.
Da quando era arrivato lì, Elizaveta si chiedeva spesso cosa ci fosse dietro ai comportamenti di Ludwig; non aveva mai saputo nulla dell’italiano prima, ma non poteva certamente pretendere che un superiore con cui aveva rapporti strettamente professionali andasse a raccontarle una cosa simile. Tuttavia, se c’era una cosa di cui la ragazza era sicura, era certamente che quell’uomo non era il miglior esempio di cordialità e per questo le ci volle qualche tempo per capacitarsi del racconto della convivenza fornitole da Feliciano.
Una volta realizzato quello e aggiunti i vari episodi secondo l’italiano aveva dormito con Ludwig, era giunta a pensare che per lo meno dalla parte del tedesco vi fosse qualcosa di più.
Gli occhi verdi della ragazza scrutarono con attenzione il volto di Feliciano che, pensieroso, si era portato come di consueto l’indice alle labbra, picchiettandole più volte.
« Con una donna? No! » rispose raggiante, anche se a quella domanda aveva percepito qualcosa dentro di lui spostarsi dalla propria naturale posizione, facendogli sentire una leggera fitta al petto. « Non che… io sappia, almeno. »
Ecco che stava iniziando a realizzare qualcosa di molto importante, che mai prima di quel momento l’aveva sfiorato: da quando conosceva Ludwig non si era mai posto il dubbio che lo potesse evitare, lasciare da solo. Era quasi come se il critico fosse diventata una costante ovvia della sua vita, un qualcosa di inevitabilmente legato a lui e che mai si sarebbe potuto allontanare.
E se invece, nonostante vivessero insieme, si stesse legando a qualcun altro?
Non era solito lasciarsi andare a dubbi del genere, in fin dei conti la sua indole ingenua e spensierata non prevedeva nel suo pacchetto caratteriale il perdere tempo a farsi troppe – ed inutili, per lui – domande su ciò che poteva e non poteva accadere, ma in quel momento si stava ritrovando ad avere veramente paura.
Non se n’era mai vantato con nessuno se non con se stesso, ma era veramente felice di essere riuscito a fare breccia sufficientemente nel cuore di Ludwig da poter diventare tanto amici, ma era normale che un amico si sentisse tanto agitato all’idea che il proprio compagno trovasse l’anima gemella?
Si mordicchiò il labbro, osservando Elizaveta e decidendo di non fare congetture affrettate. Sfortunatamente l’unica notizia che la ragazza poté dargli, si rivelò anche la più paurosa e peggiore per Feliciano.
« C’è una nostra collega, Feli, a cui credo tu non abbia mai parlato, che ha una cotta storica per il signor Beilschmidt. » lo stava dicendo con una voce paragonabile a quella di una persona delegata a dare una delle peggiori notizie esistenti. « Poco tempo fa ha detto di voler provare ad avvicinarsi maggiormente e a chiedergli di vedersi, magari a qualche ricevimento. Per quello ho voluto sapere se per caso è mai uscito con delle donne. »
Gli occhi di Feliciano passarono dall’essere preoccupati all’essere sorpresi e poi ancora ad essere lucidi.
Si sentiva come se qualcuno l’avesse calpestato e la consapevolezza di non capirne appieno la ragione lo stava distruggendo ancor di più.
« Davvero…? B-Beh è ovvio! Ludi è… una brava persona. »
Da quella frase, di fronte agli occhi di Elizaveta vennero confermati tutte le ipotesi che tanto l’avevano bloccata. Fece ugualmente finta di nulla, sorridendo raggiante e sporgendosi verso il ragazzo.
« Non credo che il signor Beilschmidt sia interessato, Feli! Ma questo dovresti capirlo meglio di me, lo conosci molto di più! »
Se da un lato quella frase era stata in grado i rincuorare terribilmente l’italiano fin troppo demoralizzato, dall’altro era stata come una scossa pungente che gli aveva fatto realizzare di non conoscere, forse, Ludwig come avrebbe voluto; non avevano mai parlato seriamente di ragazze o comunque, in generale non avevano mai fatto un discorso veramente profondo e di questo Feliciano si pentiva terribilmente.
In quel momento qualsiasi cosa stava diventando in grado di demoralizzarlo e certamente il periodo in cui era immerso, seppure ormai il peggio fosse passato da un mese, non lo aiutava molto a farlo reagire: per quanto fosse uno che non si scoraggiava facilmente avendo un supporto, Feliciano era uscito distrutto dalla sua ultima esperienza lavorativa e forse era stato proprio per proteggersi da altri avvenimenti dolorosi che aveva pensato bene di non dare retta a quei pensieri scomodi che gli frullavano per la testa da qualche tempo.
Si era reso conto, effettivamente, che molte volte abbracciare Ludwig o compiere altri gesti del genere era diventata una routine in grado di farlo sentire diversamente rispetto a quando stava con altre persone, ma certamente parlarne con il tedesco non avrebbe comportato nulla di buono, o almeno così pensava la mente dell’italiano.
Da quando era così tanto riflessivo? Oh beh, non che tutte quelle “precauzioni” le avesse prese accorgendosene. Le stava realizzando solo in quel momento.
Un rapido sguardo all’orologio ed ecco che trovò la propria salvezza: la lancetta dei minuti aveva toccato la mezza e se c’era una persona, in quel luogo, puntuale almeno quanto Ludwig, quella era Elizaveta.
Non sopportava chi arrivava in ritardo alla pausa caffè per poi andarsene altrettanto tardi, per questo farle notare l’ora certamente gli avrebbe permesso di allontanarsi.
« Liz, sono le e mezza! Dovremmo tornare al lavoro! » si affrettò ad alzarsi, accennando un sorriso alla ragazza. « Ci vediamo più tardi, ok? »
Prima che potesse rispondere, Feliciano si era già fiondato alla propria scrivania a recuperare le lettere per Ludwig recapitate quella mattina.
Gli dispiaceva un po’ essere fuggito in quella modo, ma era certo che Elizaveta non avrebbe detto nulla e anzi, avrebbe pensato a propria volta che concludere in quel momento la loro conversazione sarebbe stato un bene.
La verità era che, se già si era trovata in un campo minato dopo aver intavolato quel discorso pensando di fare un mezzo favore all’amico, ora Elizaveta si trovava ancor più convinta di aver combinato un bel pasticcio: se uno come Feliciano scappava da una situazione usando la scusa del momento in cui era ora di tornare a lavorare, certamente era qualcosa di cui proprio non voleva discutere.
Per questo rimase in piedi, ma solo a pochi passi dal divanetto, osservando il ragazzo che si fiondava verso la porta dell’ufficio di Ludwig insieme al pacco di lettere che per poco rischiarono di cadergli a terra per la fretta impressa nei suoi gesti.
Entrò nella stanza richiudendosi la porta alle spalle, sparendo dalla vista della ragazza.

***

Erano appena le cinque del pomeriggio e prima che Feliciano potesse imprimere qualcosa di particolarmente significativo nella propria mente che riguardasse il viaggio di ritorno a casa sul solito sedile del passeggero della macchina di Ludwig, si era ritrovato a cucinare un dolce che mai aveva provato prima.
Si era notevolmente tranquillizzato rispetto a quel pomeriggio e il processo si era avviato circa da quando aveva messo piede nell’ufficio del tedesco, ritrovandosi di fronte a un muro di domande la cui preoccupazione era solo parzialmente nascosta.
Non si era mai accorto del fatto che alle volte il critico lo osservava dalle vetrate della stanza dove lavorava, ma quel giorno gli era venuto veramente il dubbio che quell’eventualità fosse possibile.
Aveva perfettamente ragione, alla fin fine: come Ludwig aveva scrutato la stanza oltre le mura dove si trovava notando un Feliciano divertito e sorridente all’inizio della pausa caffè, aveva anche fatto caso a quanto si fosse incupito e agitato quando si era alzato dopo aver salutato Elizaveta con una fretta che non gli apparteneva.
Mille pensieri erano balenati nella testa del tedesco, ma nemmeno uno sembrò rivelarsi abbastanza efficace da poter essere preso come ipotesi.
Il peggiore che lo raggiunse, fu quello che vedeva un Feliciano scontento della propria permanenza a casa sua e che per questo si lamentava con l’amica. Effettivamente Ludwig sapeva di non essere un’ottima compagnia, soprattutto se si trattava di un tipo come Feliciano.
Fino a quel momento non aveva mai creduto troppo alla massima che afferma l’attrarsi degli opposti e iniziò a pensare che forse sarebbe stato meglio continuare a non farlo: in fin dei conti poteva essere tranquillamente una cosa a senso unico che valeva unicamente per lui.
Mise piede nella cucina passandosi una mano tra i capelli ancora umidi, in modo da ravviarli indietro e dare loro la solita forma ordinata; la prima cosa che aveva fatto una volta a casa era stato infilarsi in bagno per una doccia calda che, sperava, gli portasse consiglio.
Riflettere in quel momento fu solamente un modo per confondersi e rischiare di far notare a Feliciano tutte le proprie preoccupazioni.
Cercò di distrarsi ispezionando la cucina, notando solamente un leggero velo di farina sul bancone dove Feliciano stava lavorando e sul tavolo dove aveva raccolto gli ingredienti.
In quel mese aveva mangiato così tanti dolci da scoppiare e se solo non avesse fatto regolarmente palestra molto probabilmente la sua linea invidiabile sarebbe venuta meno.
Certo era che, notando i risultati del continuo cucinare dell’italiano, doveva giungere alla conclusione che ne fosse valsa proprio la pena.
« Sei migliorato tanto rispetto a quando sei arrivato qui, sai? »
Vide le spalle esili di Feliciano sussultare e poi un volto sorridente rivolgersi a lui.
« Dici sul serio? Ne sono felice! » tornò a concentrarsi sulla panna nella ciotola che stava reggendo con un braccio. « Questo dolce ha anche la panna, avrei potuto fare davvero un disastro se l’avessi cucinato all’inizio. »
Ora che Ludwig ci faceva caso, lui e Feliciano non si erano mai presi del tempo per riflettere su come erano arrivati fino a quel punto.
Non si conoscevano poi da tantissimo, ma erano successe così tante cose da spingerli addirittura a vivere insieme. Forse solo lui ci stava pensando, in fin dei conti probabilmente era l’unico a provare ciò che aveva rivelato a Feliciano la prima notte trascorsa lì dall’italiano, consapevole che tanto non avrebbe saputo.
Aveva realizzato solamente in seguito di averlo fatto proprio in quel momento con la speranza che magari il ragazzo si svegliasse e gli dicesse che sì, anche lui ricambiava.
Molto probabilmente il tedesco avrebbe trascorso quella piacevole convivenza in modo molto più rilassato, senza dover pensare in continuazione di aver detto o fatto qualcosa in grado di essere frainteso dall’italiano.
« Credo che a questo punto entreresti facilmente in una cucina. »
Un po’ gli dispiaceva l’idea che si allontanasse dal suo attuale posto di lavoro, ma non poteva certamente tarpargli le ali solamente perché preferiva averlo vicino.
Voleva lasciarlo libero proprio per paura di essere andato incontro a braccia teste a una delle sue peggiori paure: essere soffocante.
Conosceva Feliciano abbastanza bene da sapere quanto fosse ingenuo e da quando aveva visto il proprietario del locale per cui lavorava prima approfittarsi tanto crudelmente di lui aveva deciso che non sarebbe più accaduto, fin quando fosse stato al suo fianco. Non trovava giusto che le persone sfruttassero quelle con più buon cuore di loro, tanto più se si trattava dell’italiano.
Peccato che avesse realizzato lentamente che forse un atteggiamento simile l’avrebbe reso solamente asfissiante: doveva sempre ricordare la propria posizione e non voleva rischiare di leggere nell’affetto di Feliciano qualche erroneo messaggio che gli avrebbe permesso di fare una cosa simile.
C’era poco da questionare: Ludwig lo amava, ma probabilmente era l’ultima delle persone a cui Feliciano poteva pensare in quel senso.
« Davvero Ludi? Hai già in mente qualche posto? » Feliciano schizzò da un lato all’altro della cucina sotto gli occhi azzurro ghiaccio del tedesco, unendo l’impasto di due teglie in una sola ciotola.
« Qualche posto ci sarebbe, più tardi magari comincio a farteli vedere. » si avvicinò lentamente al bancone, afferrando una spugna e iniziando a raccogliere la farina sparsa intorno a Feliciano.
Improvvisamente il silenzio creatosi venne rotto dalla risata cristallina dell’italiano, che si appoggiò senza troppi complimenti sul fianco di Ludwig, com’era solito fare.
« Cosa c’è? »
« Non è molto sporco, ma non hai perso il vizio di pulire in continuazione prima che io finisca di cucinare! »
Il tedesco sussultò, guardandolo mentre alzava il viso.
« Non mi hai mai detto che ti dava fastidio. » borbottò il biondo, voltandosi subito verso il banco e cominciando a pulire una zona dove già aveva passato la spugna, più che altro per dissimulare l’imbarazzo.
Lo sguardo di Feliciano si intenerì e il ragazzo si sollevò in punta di piedi.
« Perché non è così! »
Fece per poggiare le proprie labbra sulla guancia di Ludwig, ma sentì di nuovo due braccia invisibili afferrarlo e riportarlo con i piedi per terra.
Una vocina nella sua testa cominciò a urlargli che era uno stupido a fare una cosa simile dopo ciò che aveva saputo quel pomeriggio.
Ora l’avrebbe cacciato di casa, sicuramente. Chissà quanto aveva dovuto sopportare per non allontanarlo ogni volta che lo stritolava in preda a chissà quale crisi di affetto.
Sentì gli occhi farsi lucidi nonostante il tutto fosse solo una creazione della sua immaginazione e non fece caso allo sguardo di Ludwig fisso su di lui, stupito sia per il gesto che stava per compiere, che per l’espressione con cui si era allontanato.
A quel punto, il tedesco capì che se non avesse preso in mano la situazione costringendo Feliciano a parlare di ciò che tanto lo disturbava quel giorno, molto probabilmente le cose sarebbero solo degenerate.
Aspettò che impostasse il timer e gli afferrò il polso con un misto di forza e delicatezza che fece percorrere il braccio del più piccolo da un brivido insolito.
« Feliciano, è tutta oggi che rispondi alle mie domande senza dirmi realmente ciò che voglio sapere. » cominciò, senza forzarlo a voltarsi. « Quindi ora parliamo, d’accordo? Sai che puoi dirmi… qualsiasi cosa. »
Nonostante la voce ferma, Ludwig non riuscì proprio a evitare quella leggera pausa fatta a metà frase.
Non era certo di voler sentirsi dire qualsiasi cosa frullasse per la testa di Feliciano, per paura un po’ di non riuscire a correggerla o peggio, che si trattasse di qualcosa di irreparabile.
Dal canto suo, l’italiano dovette dirsi felice di quelle parole: forse era proprio quelle che aspettava, quelle che l’avrebbero incitato a esternare ogni dubbio che l’aveva colto quel giorno.
Per tutto l’arco della giornata si era mostrato sorridente e in parte non stava fingendo, anche se comunque dietro al sipario felice inscenato dal suo sorriso stava nascondendo un costante rimestare di pensieri.
Aveva realizzato che sì, era geloso di Ludwig e non sapeva se sarebbe riuscito ad affrontare una sua possibile relazione, se fosse arrivata. Gli era venuto da piangere così tante volte in macchina che aveva preferito dimenticarsi del viaggio e per finire, era giunto alla conclusione che tutte le volte in cui il suo cuore aveva perso un battito quando erano tanto vicini, tutte le volte che lo abbracciava sentendo il corpo leggero come se ogni preoccupazione non esistesse era perché si era innamorato.
Era stato così sciocco da non voler accettare un sentimento tanto bello e se ne pentiva, ma allo stesso tempo si sentiva terribilmente spaventato da come sarebbero potute andare le cose, considerando le dinamiche della situazione.
Rispose con un cenno del capo e si ritrovò seduto su una delle sedie del tavolo, di fronte a un Ludwig chinato per cercare di leggere i suoi occhi puntati sul pavimento.
« Oggi… ho parlato un po’ con Elizaveta, mi aveva detto che mi doveva dire una cosa. » si stava stropicciando la stoffa dei pantaloni come se si sentisse colpevole e in un certo senso non era sicuro che ciò che stava per andare a dire fosse effettivamente un suo diritto. « Mi ha raccontato di una ragazza, al lavoro. Ecco, credo che… tu le piaccia, Ludi! » improvvisamente alzò lo sguardo, agitando le braccia davanti a sé, come se potesse impedirgli di proseguire il discorso nella propria mente prima che fosse lui a parlare. « Allora, ecco, ho iniziato a pensare un po’. Non è che non sarei felice per te se ti trovassi una ragazza, sai? Non ne abbiamo mai parlato, però credo che… prima o poi dovrà succedere… almeno a te. » tornò di nuovo a contemplare il pavimento, preso dal nervosismo. Aveva un nodo allo stomaco in grado di uccidere. « Però è… complicato. Se succedesse… vorresti stare con lei, no? Diventerei di troppo e mi sono depresso perché ho pensato che alla fine certamente non preferiresti me a qualcun altro. Voglio dire, probabilmente è già tanto se mi consideri un amico. Se sto bene qui in Germania è solo perché ci sei tu, quindi se per caso ti fidanzassi, per avere vicino degli amici o qualcuno che mi vuole bene dovrei tornare in Italia… » i suoi ragionamenti iniziarono improvvisamente a farsi confusi e Ludwig decise di fermarlo.
« Feliciano, respira, va ben-… »
Si ritrovò faccia a faccia con gli occhi lucidi del più piccolo e le sue guance rosse e gonfie diventate così probabilmente nel vano tentativo di trattenere i singhiozzi.
« Non voglio che mi lasci da solo, Ludwig. »
Il tedesco era rimasto allibito da quanto tutto il discorso di Feliciano fosse simile alle stesse cose che anche lui aveva intenzione di rivelargli quella sera, se solo fosse stato possibile e ancor più sconcertante era stato come l’italiano l’avesse fatto sentire fondamentale.
Ciò che gli aveva detto alla fine, però, era stato il colpo di grazie, quello che aveva fatto sentire Ludwig a metà tra l’essere colpevole e il sentirsi terribilmente lusingato.
Prima che Feliciano potesse parlare di nuovo, Ludwig avvolse le braccia intorno al suo busto e lo tenne fermo, affondando il viso nella sua spalla. Respirò il suo profumo e non pensò nemmeno per un attimo a ciò che stava realmente facendo, senza ripetersi che non si stava comportando com’era nella sua indole.
« Non ho intenzione di lasciarti da solo, Feliciano. Né adesso, né in futuro. So che per te sarà difficile crederci e forse non dovrei nemmeno dirti quello che mi assilla da un po’, ma forse in un certo senso saperlo potrebbe aiutarti a stare meglio in questo momento e a capire che sono sincero. » alzò il viso, fissando gli occhi in quelli sgranati dell’italiano. « Non mi interessa nessuna donna e fino a qualche minuto fa ero anche io preoccupato delle stesse identiche cose. Pensavo che ti fossi stancato e ho addirittura creduto che oggi stessi parlando con Elizaveta di quanto fossi stufo di stare con me. So di non essere la migliore compagnia, eppure tu hai avuto pazienza e mi hai insegnato… tante cose. »
Portò una mano sulla sua guancia e l’accarezzò dolcemente per raccogliere qualche lacrima, socchiudendo gli occhi.
« Tra cui anche come innamorarmi. »
Forse, senza avere la situazione come complice, Ludwig non avrebbe mai detto né quelle parole, né deciso di avvicinare il proprio viso a quello di Feliciano senza nemmeno aspettare risposta.
Avrebbe dovuto attendere, era vero, ancora non si era sentito dire esplicitamente di essere ricambiato, ma la risposta giunse prima che potesse chiederla. Sentì le dita di Feliciano artigliarsi a lui e poi le sue labbra, finalmente, unirsi alle proprie.
Non seppe dire se fossero passati solo alcuni secondi o interi minuti, ma il sorriso di Feliciano gli rimase impresso nella mente come se fosse uno splendido dipinto.
« Anche io ti amo, Ludwig! »
Era felice di sapere che adesso quelle lacrime stessero scendendo per la gioia.








Angolo ~
Come stavo dicendo prima di lasciarvi alla storia... spero non abbiate intenzione di linciarmi perché davvero, se fosse stato possibile avrei evitato di non aggiornare questa e le mie altre fanfiction di Hetalia per tutto questo tempo.
Prima ragione per cui non ho aggiornato recentemente, è l'ispirazione.
Come credo molti sapranno, proseguo le fanfiction a capitoli solamente quando ho tutti gli appunti scritti e raramente riesco a improvvisare se non qualche breve passaggio.
Dal capitolo tre non avevo più alcuno spunto, ma fortunatamente ieri sono riuscita a buttare giù le idee e a raccoglierle per questo e i mancanti due capitoli.
Non voglio azzardare ipotesi né fare promesse che non posso mantenere, ma se continua così potrei riuscire ad aggiornare nuovamente in breve tempo!
La seconda ragione per cui sono stata così assente è la scuola che mi ha impedito di produrre chissà che cosa e terza un cambio di fandom. Una volta ruolavo su FB alcuni profili di Hetalia, ma ora ahimè li ho abbandonati per varie ragioni e non me la sentivo sinceramente di scriverci su. Tra queste ragioni, c'era anche la mia convinzione di non saper più muovere i miei personaggi.
Ora ho abbattuto un po' questa barriera, fortunatamente! **
Spero che ancora qualcuno segua questa storia e vorrei riservare un grazie a tutti coloro che mi hanno scritto per chiedermi che fine avevo fatto o anche a quelli che l'hanno semplicemente pensato.
Finalmente ho trovato la forza per rendere migliore questa fanfiction - sa tanto di discorso da Miss Mondo AHAH -, perché veramente non riuscivo a sentirmi soddisfatta nonostante tutto.
 Spero di ricevere qualche vostro commento, ne sarei felicissima!
Intanto lascio un P.S. per tutti coloro che seguono anche la mia fanfiction Spamano: sta per essere aggiornata anche quella, don't worry uwu

Grazie mille a tutti quanti, mi sento davvero in dovere di dirvelo a questo punto!
Alla prossima!

CHAOSevangeline

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Capitolo 5
*** Grembiule ***


5. Grembiule
 
 
 
La sveglia iniziò a strillare, facendo mugugnare con tono infastidito il fagotto di coperte rannicchiato sul grande letto a due piazze.
Erano già le dieci del mattino, ma questo Feliciano non lo sapeva e, anche fosse, per i suoi canoni sarebbe rimasto comunque troppo presto per separarsi dal caldo e morbido abbraccio delle lenzuola che lo avvolgevano da capo a piedi fin dalla sera prima.
Se c’era una peculiarità del sonno dell’italiano era che, per quanto potesse essere agitato, non si liberava mai delle coperte e non tanto perché non ci riuscisse, quanto piuttosto perché aveva l’innata abilità di recuperarle se per caso si allontanavano troppo facendogli provare freddo.
Un cespuglio di capelli rossicci e scarmigliati emerse da quel soffice fortino, ma Feliciano non aprì ancora gli occhi, preferendo a quell’opzione il rotolarsi dalla parte opposta del letto, quella dove dormiva Ludwig.
Il fatto che il proprio rotolare non fosse stato arrestato da nessuno lo fece bloccare giusto in tempo per non farlo cadere e gli occhi castani di Feliciano iniziarono ad aprirsi, rivelandogli il soffitto e il lampadario in penombra.
Aprì le braccia come se fosse necessario per liberarsi di uno sbadiglio alquanto profondo e occupò completamente i due materassi, di traverso.
L’infernale apparecchio che gli gridava di svegliarsi dal comodino era oramai troppo lontano per permettergli di spegnerlo, per questo decise di recuperare il cuscino più vicino e di rinchiudervi dentro il viso in modo da poter continuare a dormire. Tanto prima o poi quell’affare sarebbe stato zitto.
Si dovette ricredere quando anche la sveglia di Ludwig cominciò a suonare e a quel punto Feliciano capì che era veramente impossibile per lui continuare a sonnecchiare.
Si sollevò lentamente, guardandosi intorno e prendendo entrambi i piccoli orologi senza la furia che un qualsiasi individuo assonnato sarebbe stato in grado di imprimere nei propri gesti dopo essere stato svegliato tanto bruscamente.
Scostò le coperte, mise i piedi fuori dal letto e sfiorò il pavimento come per volersi far presente quanto meglio sarebbe stato quando avrebbe tuffato i piedi nelle ciabatte di pelo chiaro che aveva comprato appena qualche giorno prima.
La rigorosa calma con cui Feliciano era solito muoversi appena sveglio sarebbe stata in grado di rilassare la persona più stressata del mondo – o viceversa di agitare la più frettolosa –. Perché avrebbe dovuto correre?
Se Ludwig non era a pochi centimetri da lui, sul letto, voleva dire che era al lavoro e c’erano solamente due giorni in cui questa routine si ripeteva: la domenica e il suo giorno libero.
Già, Feliciano aveva un giorno libero che avrebbe volentieri voluto poter moltiplicare per sei, certe sere in cui metteva piede in casa totalmente distrutto.
Gli piaceva quel lavoro, anzi, l’idea di lasciarlo presto un po’ lo intristiva perché sapeva che avrebbe dovuto salutare persone come Elizaveta, ma al contempo si rendeva conto che non era quello il genere di impiego che più gli si addiceva.
Anche un cuoco doveva correre, certo, ma non come un segretario, che dietro al proprio affrettarsi aveva uno sfondo di totale ordine, di continue telefonate e pile perfette di scartoffie da archiviare facendo in modo che i propri schemi mentali fossero chiari a tutti.
Dopo aver raggiunto la cucina strascinando i piedi, la vista dell’italiano venne lasciata libera dalle mani che per qualche attimo avevano stropicciato gli occhi ambrati e si accorse di un post-it colorato sul tavolo. Accanto ad esso c’era un piattino coperto, un bicchiere vuoto e un cartone di latte la cui necessità di rimanere in frigo non era prioritaria, considerando la temperatura di quel periodo.
Osservando il foglietto, la mente di Feliciano parve svegliarsi ancor di più di quanto non facesse quando si sciacquava il viso con l’acqua gelida e si avvicinò rapidamente, sollevandolo con due.
La calligrafia di Ludwig era decisa e impeccabile come lo era su tutti i documenti che Feliciano l’aveva visto compilare nel suo studio. In un certo senso, si chiedeva come facesse: quando lui si era appena svegliato non riusciva nemmeno a vederla, la penna, figurarsi a scrivere in modo tanto impeccabile.
“Buongiorno, ti ho preparato della frutta da mangiare, visto che è da qualche mattina che non fai altro che ingozzarti di muffin.
Lo so che sono buoni Feliciano, ma non è il massimo per il tuo stomaco digerire quantità industriali di dolci.
Cercherò di tornare un po’ prima, oggi.”
L’espressione sul volto di Feliciano rimase allegra fino a quando non lesse la firma di Ludwig. Divenne serio per un attimo, poi ridacchiò sommessamente, rendendosi conto che era esattamente uguale a quella che era solito apporre sulle scartoffie lavorative.
Sistemò nuovamente il foglietto accanto al piatto e si sedette, cercando di non pensare al fatto che non avrebbe trovato un bel muffin al cioccolato ad aspettarlo.
Da quando si era trasferito lì doveva ammettere di aver realizzato quanto Ludwig fosse un patito della dieta; inizialmente aveva creduto che i dolci gli piacessero tanto quanto a lui, ma poi si era reso conto che in verità era un amore ben meno viscerale del suo.
In fin dei conti, Ludwig mangiava dolci soprattutto per lavoro – che per altro non comprendeva solamente quella categoria culinaria – e perché Feliciano gliene riempiva la cucina, o certamente non ne avrebbe sentito eccessivamente la mancanza.
In un certo senso, l’italiano capiva che se Ludwig gli diceva di diminuire dosi e di limitare determinati alimenti era solamente per il suo bene, ma come lui era fissato con l’essere in forma e impeccabile, a Feliciano piaceva togliersi qualche sfizio forse un po’ troppo spesso.
Per quella mattina comunque, l’italiano decise di fare il bravo e si limitò a mangiare quella porzione di frutta che fortunatamente poteva vantare di essere abbondante.
Dopo aver lavato i piatti ed essersi sistemato in modo quantomeno presentabile, decise di infilare il bigliettino di Ludwig in un’agendina che da sempre gli serviva per appuntare le cose più svariate. Ecco che il foglio colorato andò a riposare insieme ad altri diversi suoi fratelli che Feliciano era solito raccogliere e custodire gelosamente come se fossero un piccolo tesoro.
 
 
Tra pulizie, spesa e altre piccole faccende che Feliciano era riuscito a svolgere nel corso di quella giornata, era arrivata sera e si era ritrovato come di consueto di fronte ai fornelli per preparare qualcosa di buono da mangiare per Ludwig che ancora non era tornato.
Anche se gli aveva promesso di tornare presto e alla fine non era stato così, Feliciano non gliene faceva più di tanto una colpa: sapeva quanto fosse difficile per lui riuscire a liberarsi in fretta dagli impegni alle volte ed era stato già tanto per lui che quel pomeriggio fosse riuscito a telefonargli per chiedergli come stava.
Indubbiamente il tedesco aveva trovato uno dei migliori compagni che una persona come lui potesse desiderare: Feliciano era una persona semplice, non chiedeva troppo e gli bastava sapere di essere ricambiato per essere contento.
C’erano delle volte in cui comunque Ludwig si sentiva in colpa e gli sembrava di trascurarlo, ma si stava convincendo che forse sarebbe stato meglio non ascoltare eccessivamente quei pensieri neanche tanto perché non ci volesse dare peso, quanto piuttosto perché non era neanche il loro quinto giorno come coppia e non voleva iniziare il tutto con turbe degne di una relazione già longeva.
Fece girare le chiavi nella toppa e udì improvvisamente dei passi concitati provenire dalla cucina poco prima che un Feliciano con tanto di grembiule gli si aggrappasse al collo senza dargli il tempo né di dire, né di fare qualsiasi cosa.
« Bentornato, Ludi! » esultò, staccandosi appena solo per dargli un bacio a stampo sulle labbra.
Ludwig doveva ammettere di aver impiegato qualche giorno per abituarsi a quelle attenzioni che sì, c’erano sempre state, ma che percepiva in modo differente da quando la loro relazione era cambiata.
« Scusami, ho fatto tardi. » tirò fuori una mano da dietro la schiena, che era rimasta nascosta senza però attirare l’attenzione di Feliciano. Gli porse una scatola di cioccolatini che l’italiano osservò con gli occhi che brillavano.
La afferrò con entrambe le mani e sorrise raggiante, inclinando il viso.
« E io che ti volevo dire che avrei mangiato un muffin visto che eri arrivato in ritardo! » disse scherzosamente, cominciando già ad avviarsi verso la cucina. « Vai a cambiarti, è quasi pronto! »
Detto questo, Feliciano sparì oltre l’uscio della stanza, da cui Ludwig sentì provenire il rumore di un cucchiaio che sbatteva sul fondo di un’altrettanto anonima pentola.
Da quando Feliciano si era trasferito a casa sua doveva ammettere che l’allegria era palpabile, c’era un profumo di freschezza ogni volta che entrava in casa e vederlo gli imprimeva sempre nel cuore una certa vitalità che fino a prima di conoscerlo gli mancava.
Era per questo che si era sentito pronto a cercare di trasformare la loro amicizia in qualcosa di più, a rischiare, per tutti questi sentimenti che gli aveva fatto provare; se persino una persona come lui, che poco era abituata alle relazioni come quella che adesso aveva con Feliciano, si era sentita tanto pronta voleva dire che qualcosa era realmente scattato.
Dopo essersi liberato del giaccone e aver raggiunto la camera per infilarsi qualcosa di più comodo del completo giacca e cravatta che ben presto sarebbe dovuto finire nella lista dei capi da lavare, Ludwig fece ritorno in cucina, dove trovò un Feliciano intento a scolare la pasta e a dividere le porzioni nei piatti di entrambi.
Il tedesco aveva perso il conto di quante volte aveva mangiato quella pietanza e numerose sue varianti da quando Feliciano viveva lì, ma doveva ammettere che non gli dispiaceva se cucinata in modo tradizionale da qualcuno che di cose simili se ne intendeva.
« Com’è andata al lavoro? » la voce squillante del più piccolo lo raggiunse mentre si sedeva, poco prima che i piatti fondi tintinnassero contro quelli da secondo, disposti in modo ordinato sulla tavola.
Ecco, se c’era una cosa su cui Feliciano era ordinato era la preparazione della tavola per pranzi e cene.
Si sedette di fronte a Ludwig al tavolo della cucina, guardandolo intensamente negli occhi.
« Tutto bene. » le risposte di Ludwig in merito erano sempre alquanto telegrafiche, preferiva di gran lunga parlare di cosa aveva fatto Feliciano durante il giorno piuttosto di dover spendere troppe parole su ciò che potenzialmente l’aveva fatto innervosire tra le mura del suo posto di lavoro.
L’italiano ridacchiò, augurandogli buon appetito e cominciando a mangiare. Dal canto suo, Feliciano riproponeva sempre quella domanda, quand’era il suo giorno libero, giusto per dare la possibilità a Ludwig di raccontare nel caso fosse accaduto qualcosa, ma sostanzialmente non voleva mai forzare il tedesco a parlargliene: sapeva perfettamente quanto gli desse fastidio.
« Ti sei scordato di toglierti il grembiule. » la voce di Ludwig fece destare Feliciano da quei suoi pensieri e lo portò ad abbassare lo sguardo verso l’oggetto della sua frase.
« Mmh non importa, tanto è carino! » sorrise, indicando le decorazioni raffiguranti dei piatti di pasta sparse su tutta la stoffa rossa.
Un po’ da patito, Ludwig l’aveva sempre pensato.
« Effettivamente però lo dovrei cambiare, ha un buco! » gonfiò leggermente le guance esponendo quel problema che per lui doveva essere indubbiamente madornale. « Me l’ha regalato mio fratello! Sai Lovino, no? »
Eccome se il tedesco lo conosceva. Lo conosceva fin troppo bene.
« Sì, ci ho parlato e non mi è parso di stargli troppo simpatico. » asserì semplicemente, arrotolando l’ultima forchettata di spaghetti.
Ludwig aveva fatto il possibile per partire con il piede giusto, aveva fatto il possibile per non rischiare di andare incontro a guerre con i parenti di Feliciano e di fare, quindi, subito una buona impressione, ma l’unica volta in cui aveva rivolto la parola al fratello del ragazzo era stata una totale disfatta.
Ricordava ancora la loro conversazione, si era verificata appena qualche giorno prima e no, Ludwig non credeva affatto che fosse andata bene.
Feliciano era sotto la doccia e quando lo aveva avvisato del telefono squillava, l’italiano gli aveva detto di rispondere.
Ludwig già sapeva chi fosse Lovino, era quel fratello tanto scontroso che però aveva urlato a Feliciano – sì, per telefono. Sì, abbastanza forte da far capire chiaro e tondo anche a lui cosa stava dicendo – che sarebbe andato in Germania a prendere a calci dove il sole non batte il proprietario del suo vecchio posto di lavoro.
Aveva subito pensato che si trattasse del classico caso di ragazzo che all’apparenza si dimostra diverso da ciò che è realmente ed effettivamente non aveva tutti i torti, fatta eccezione per il fatto che l’avversione di Lovino nei suoi confronti era reale, pura e sincera.
Non appena gli aveva detto di non essere Feliciano, Lovino era impazzito urlandogli che se aveva torto anche solo un capello al più piccolo avrebbe ucciso lui e tutta la stirpe di crucchi mangia patate a cui apparteneva.
Ludwig non aveva sinceramente saputo cosa rispondergli e per fortuna Feliciano era uscito abbastanza in fretta dal bagno da impossessarsi dell’apparecchio e da sbrigarsela lui con quell’iperprotettivo dall’altro capo della cornetta.
« Non è vero che gli stai antipatico Ludwig, Lovino fa così con tutti! »
Quell’atteggiamento da parte di Feliciano non era ottimista, era minimizzare eccessivamente qualcosa di fin troppo ovvio, ma Ludwig decise di non insistere.
Doveva ringraziare il cielo che per lo meno Gilbert e Feliciano andavano d’accordo.
Il tedesco decise comunque di non proseguire con quell’argomento e di dedicarsi, piuttosto, a qualche discussione leggera come quella riguardante il grembiule del ragazzo.
« Se è bucato perché non lo rammendi? »
« Non ne sono capace! »
« Allora dovresti cambiarlo… » la frase rimase in sospeso, mentre gli occhi cerulei di Ludwig leggevano in quelli ambrati di Feliciano una determinazione, pronta a esplodere e a criticare la sua quasi palese proposta di liberarsi di quello che probabilmente per il tedesco era solo un’inutile pezzo di stoffa.
Sì, dagli occhi di Feliciano si potevano leggere tutti quei dettagli.
« Finché non riusciamo ad aggiustare quello che hai adesso, per lo meno. »
Quella versione parve piacere particolarmente a Feliciano, che si alzò tuttavia con fare teatrale, raccogliendo i piatti.
« Niente grembiuli nella mia cucina se non hanno un legame affettivo! Continuerò a mettere questo! »
Per qualche attimo, Ludwig si chiese se Feliciano non gli stesse velatamente chiedendo di comprargli un nuovo grembiule, ma dovette presto rendersi conto che se avesse voluto un simile regalo, la sua spontaneità gliel’avrebbe fatto chiedere chiaro e tondo, senza minuziosi giochi e giri di parole come quelli che sembrava aver appena usato.
C’era un negozio con dei bei grembiuli, sulla strada per tornare a casa da lavoro. Se ne sarebbe ricordato.
 
 
La cena trascorse in fretta come accadeva sempre e dopo aver sparecchiato e riordinato, si ritrovarono entrambi sul divano intenti a decidere quale fosse il programma tanto fortunato da intrattenerli per quella sera.
A Feliciano a dire il vero la televisione non sembrava importare più di tanto: era letteralmente spalmato contro Ludwig con la coperta sollevata fino alle orecchie e guardava con fare vacuo lo schermo della televisione, senza vederlo realmente.
Dopotutto era un dato di fatto che subito dopo cena gli venisse una fortissima stanchezza da cui si liberava nel giro una decina di minuti.
Forse.
« Ah comunque Feli, ho una sorpresa per te, stasera. »
Il connubio tra la parola “sopresa” e “te” fu la miscela in grado di far svegliare istantaneamente il sonnacchioso italiano, che si sollevò facendo pressione con le mani sul divano, scattando subito sull’attenti.
Ludwig dovette seriamente trattenersi per non sorridere in modo poco cortese e rischiare di farlo sentire offeso.
« Quale? Non c’erano solo i cioccolatini? » domandò ingenuamente.
« Penso sia molto meglio dei cioccolatini, Feli. »
L’italiano seguì subito la mano di Ludwig, che si infilò nella tasca dei pantaloni recuperando un bigliettino. Chissà cosa poteva esserci scritto: era troppo piccolo per essere un buono per un viaggio tutto pagato verso qualche meta tropicale e dubitava seriamente che si trattasse di un invito a qualche festa di gala a cui Ludwig avrebbe voluto partecipare con lui.
L’elemento più sorprendente in grado di colpire Feliciano fu il fatto che il tedesco gli stesse porgendo il bigliettino incriminato. Subito le dita esili del più piccolo se ne impadronirono e ne lesse il contenuto in modo rapido e attento.
« E’ un indirizzo… » constatò, anche se nella voce vi era tutt’altro che delusione.
Stava iniziando a capire, ma alzò ugualmente gli occhi speranzosi verso Ludwig, come per ottenere una conferma.
« Sai cosa c’è in quella via, Feli? »
L’italiano scosse la testa energicamente.
« C’è una pasticceria che cerca un cuoco. »
Messo il punto a quella frase, nella stanza calò il silenzio. Feliciano non disse più nulla, per poco Ludwig pensò anche che la notizia non gli avesse fatto piacere, ma subito dopo si ritrovò premuto contro lo schienale del divano per lo slancio che il più piccolo si era dato per abbracciarlo.
« Sei serio, Ludi?! » domandò con la voce che sembrava quasi rotta.
No, no no, non voleva che si mettesse a piangere, che fosse anche per la gioia.
« Ti potrei prendere in giro su una cosa del genere? » sorrise appena, accarezzandogli dolcemente la testa e sporgendosi per poterlo vedere. « Hai già il tuo curriculum pronto, giusto? Posso accompagnarti lì anche domani se vuoi. »
Feliciano avrebbe impiegato qualche momento per nascondere gli occhi lucidi dalla gioia a Ludwig.
 
 
Il campanello tintinnò sopra la testa di Feliciano, annunciando il suo ingresso nella piccola pasticceria dove stavano presenziando solamente pochi clienti.
Quel giorno la sveglia non era stata un problema particolare, Feliciano non era riuscito a chiudere occhio nonostante si fosse preparato un paio, se non tre tisane rilassanti per cercare di arrivare il giorno dopo senza apparire come un povero disperato incapace di riposare.
Prese una lunga boccata dell’aroma di caffè, dell’odore di dolci che da troppo tempo non sentiva; da quando era stato licenziato non aveva più messo piede all’interno di una pasticceria, caffetteria, anche solo di un bar e tutto questo perché era quasi come se sulle sue spalle stesse gravando un trauma di cui non era proprio capace di liberarsi.
Indossava una camicia azzurrina coperta da un maglione di lana grigio scuro abbinato a dei pantaloni neri; era l’unico compromesso di vestiario a cui lui e Ludwig erano riusciti a giungere la sera prima, quando Feliciano era schizzato in piedi urlando che si doveva preparare psicologicamente per il giorno dopo.
Ludwig gli aveva detto di andare con un completo, Feliciano aveva risposto dicendo che magari l’avrebbero fatto cucinare e si sarebbe sporcato.
Ludwig allora aveva affermato che doveva sembrare professionale, Feliciano aveva risposto che non voleva essere scomodo.
Così eccolo, vestito comunque bene, ma senza rispettare i canoni che Ludwig aveva cercato di mettere da parte quando l’italiano si era mostrato tanto irremovibile: l’ultima cosa che voleva era terrorizzarlo facendogli credere che se non fosse uscito di casa in giacca e cravatta non l’avrebbero minimamente considerato.
A dire il vero, era quasi del tutto certo che in quella caffetteria avrebbe avuto una chance e non tanto perché avesse provato a raccomandarlo – cosa che non aveva fatto –, quanto piuttosto per la richiesta: i proprietari erano una coppia anziana che cercava un apprendista a cui, molto probabilmente, avrebbero voluto lasciare anche il locale. Era certo che l’ambiente sarebbe piaciuto a Feliciano, come del resto era certo che con i passi da gigante fatti in quel periodo avrebbe fatto una buona impressione anche sui suoi possibili futuri capi.
L’italiano si guardò intorno spaesato, rendendosi conto che pur voltandosi non avrebbe potuto identificare la macchina di Ludwig fuori dal locale: gli aveva detto di aspettarlo nel parcheggio lì vicino e tutto sommato l’idea non era stata poi così cattiva, considerando che se il critico fosse stato visto molto probabilmente l’assunzione sarebbe stata meccanica.
Non era questo ciò che Feliciano voleva.
Individuata una signora anziana dietro il bancone, Feliciano si avvicinò dopo aver deglutito un boccone che sembrava volergli impedire di respirare.
« Mi scusi signora… ho trovato un annuncio di questa pasticceria, cercavate un… pasticcere come apprendista, giusto? »
La donna si voltò verso di lui, rivolgendogli un leggero sorriso. Gli parve quasi di vedere gli occhi della signora illuminarsi; che non avessero avuto molta fortuna in fatto di annunci, prima del suo arrivo?
« Oh certo! Vieni, ti porto in cucina da mio marito, è lui che gestisce certe cose! »
Forse quello che aveva detto Ludwig per incoraggialo non era poi così falso e volto unicamente a farlo rilassare prima di fargli raggiungere il locale.
Dopo aver fatto il giro del bancone, Feliciano raggiunse la donna che gli stava tenendo aperta la porta per raggiungere la stanza sul retro.
« Caro, c’è un ragazzo che è qui per il nostro annuncio. »
L’uomo che fece capolino da dietro il banco era basso, paffuto e probabilmente di qualche anno più vecchio della signora ora accanto a lui.
In un certo senso a Feliciano stava piacendo quell’ambiente, sembrava di gran lunga migliore di quello a cui era abituato prima e doveva dire gli faceva respirare un che di familiare.
Risolti i convenevoli, Feliciano iniziò ad armeggiare con la busta che teneva tra le mani, dov’era custodito il suo curriculum per mesi aveva compilato, controllato, cestinato e riscritto nuovamente. Quella era la forma finita e doveva dire di esserne abbastanza soddisfatto.
Rimase solo con l’uomo nella stanza e lo osservò nervosamente mentre leggeva, vedendolo annuire quando scorse con una delle dita tozze la riga dov’era riportato il nome del precedente locale dove lavorava.
Nonostante tutto, sarebbe stato forte della menzione che il giornale di Ludwig aveva fatto grazie a lui a quel locale.
« Ora che ci penso… » il vecchietto appoggiò il curriculum sul tavolo, avendo finito di leggerlo. « Se sei tu il Feliciano Vargas di cui tanto si è tanto sentito parlare nel nostro ambito… come mai sei qui? »
Un punto a favore: sapeva delle sue doti menzionate dal critico tedesco, un punto a sfavore: gli stava chiedendo il perché del suo licenziamento.
Feliciano era già preparato a una simile eventualità, ma ciò non gli impedì di premere con forza le unghie nei palmi delle proprie mani, nascoste dietro la schiena.
Ludwig era stato esplicito a proposito e gli aveva detto che qualsiasi cosa avrebbe potuto fare, tranne mentire.
Con un po’ di fortuna, pur omettendo il proprio licenziamento, Feliciano avrebbe potuto evitare domande in merito, ma ora che si trovava inevitabilmente a dover rispondere di certo non avrebbe cominciato a costruire un castello di bugie che ben presto sarebbe crollato portando a risultati rovinosi.
Aveva davvero bisogno di quel lavoro, in tutti i sensi, ma guadagnarselo in modo disonesto l’avrebbe fatto stare peggio che ricevendo un rifiuto.
« Sono stato licenziato, signore. » già deciso ad aggiungere delle ulteriori spiegazioni, continuò. « Ora mi sono migliorato molto, ma purtroppo tendevo ad essere un po’ disordinato e con l’arrivo di altri cuochi in cucina sono stato inevitabilment-… »
La sua voce si fermò nel vedere la mano dell’anziano sollevarsi. Aveva parlato troppo? Aveva dato l’impressione di essere un vittimista? Non credeva al fatto che avesse iniziato ad essere più ordinato?
« Non do molto peso alle passate esperienze lavorative, ragazzo. Se hai del tempo questa mattina, potresti fermarti per fare una prova. »
Gli occhi di Feliciano si illuminarono.
Quindi aveva un’occasione?
 
 
Ludwig aveva detto a Feliciano che sarebbe rimasto ad aspettarlo in macchina anche mezza giornata, se fosse servito, che si sarebbe potuto prendere tutto il tempo necessario senza doversi preoccupare di avvisarlo, però dopo circa un’ora di attesa Ludwig stava iniziando a preoccuparsi.
Aveva fatto in modo di preparare Feliciano a qualsiasi cosa, nel bene e nel male, ma aveva finito inevitabilmente con l’incoraggiarlo e ormai si era annidato in lui il dubbio di averlo convinto che avrebbe ottenuto il lavoro.
Per questo aveva trascorso il tempo – non solo di quella mattina, anche la notte era stata una buona compagna – a pregare che Feliciano ottenesse il posto.
Avrebbe dato qualsiasi cosa per non vederlo più in lacrime come qualche mese prima perché sì, certamente non poteva dire di soffrire tanto quanto lui, ma indubbiamente vederlo stare male non era un toccasana nemmeno per il tedesco.
Appoggiò la fronte sul volante dell’auto, lasciandosi sfuggire un sospiro.
Tanto ormai che avrebbe potuto fare? Aveva trovato l’occasione, aveva aiutato Feliciano quanto più possibile e per quella volta non avrebbe potuto far altro che sperare nel meglio. Ci sarebbero state altre occasioni, eventualmente, quella era solo la migliore che aveva trovato.
Già, soltanto la migliore.
Si passò una mano sul volto, tastando le occhiaie insolitamente profonde con cui si era svegliato quella mattina. Purtroppo i pochi momenti di sonno di Feliciano erano stati agitati e non avevano fatto altro che ricordargli per tutte le ore notturne cosa sarebbe accaduto il giorno dopo. Nel giro di un paio di risvegli, il sonno l’aveva abbandonato.
Improvvisamente vide una figura oltre il finestrino della portiera del passeggero e si sollevò di scatto, riconoscendo l’abbigliamento di Feliciano e poi il suo viso, quando entrò in macchina.
« Mi hanno preso, Ludi! » la voce entusiasta del ragazzo aveva iniziato ad arrivargli alle orecchie già da quando si trovava fuori, per il motivetto che stava canticchiando mentre correva fino a lì, ma ora era esplosa a pochi centimetri dal suo orecchio. « Comincio a lavorare da domani, abbiamo già firmato tutto! »
Per qualche attimo Ludwig rimase immobile, guardando gli occhioni ambrati di Feliciano coperti da un velo di lacrime provocate dalla gioia, osservò il suo immenso sorriso e il suo busto ondeggiare come se dovesse esprimere anche in quel modo la propria felicità.
Ce l’aveva fatta.
Prima che l’italiano potesse chiedergli il perché non stesse gioendo, venne afferrato da una presa salda che raramente Ludwig usava, tantomeno per primo.
« Sei stato bravissimo, Feliciano. »
Per una volta, a Feliciano non parve di udire il solito tono trattenuto del tedesco.
 
 
Quel giorno pranzare era stato particolarmente piacevole; Feliciano aveva cucinato come al solito, ma tenendo tra la spalla e l’orecchio il cellulare mentre raccontava al fratello ciò che era caduto da meno di qualche ora.
Dopo aver passato qualche attimo a sorridere nel guardarlo, Ludwig aveva deciso di avvisare il proprio, di fratello, con un messaggio. L’aveva svegliato nel cuore della notte perché non riusciva a dormire, era il minimo che gli dicesse che le cose erano andate bene, anche se voleva lasciare a Feliciano il piacere di telefonare e raccontare il tutto nei minimi dettagli anche a lui.
Quando finalmente riuscirono a finire di mangiare – tra una chiamata e l’altra, tutte provocate dai messaggi inviati da Feliciano –, Ludwig prese lentamente un pacchettino dalla sedia accanto alla propria, deciso a consegnarlo all’italiano.
Considerando il “regalo” che aveva ricevuto quella mattina, molto probabilmente il suo sarebbe stato un nonnulla, ma ci teneva a darglielo subito.
Capì che il pensiero era stato apprezzato quando Feliciano sbatté le palpebre dando vita a uno sguardo paragonabile a quello di un bambino che ha appena visto il regalo di Natale che più desidera al mondo.
« Ludi, non dovevi! »
« Non hai nemmeno visto che cos’è! »
Feliciano interpretò quella frase come un invito a scartare il pacchetto e prima ancora che Ludwig potesse metterglielo in mano, l’italiano si sistemò sulle gambe del tedesco appropriandosi del regalo.
Affondò le dita nella consistenza morbida di quanto era celato sotto la carta da pacchi e dopo essersi reso conto di non avere idea di cosa potesse essere, cominciò a scartarlo rapidamente, lasciando cadere a terra i brandelli di quella che, secondo Ludwig, fino a qualche attimo prima era stata una carta da regalo abbastanza carina.
Feliciano sollevò la propria sorpresa e la osservò.
Era un grembiule di colore verde, con sopra una moltitudine di pizze di varie dimensioni. Sul petto, vi era un pezzo di stoffa bianca dove in rosso era ricamato il suo nome.
« Ho un po’ mentito dicendoti che sarei rimasto ad aspettarti sempre in macchina, ma me ne avevi parlato ieri e ho voluto prendertelo. » fece una pausa e si passò una mano sul collo, leggermente in imbarazzo. « Ovviamente non l’ho ricamato io, ma spero che il pensiero ti piaccia lo stesso. »
Feliciano non seppe se l’esplosione di allegria fosse dovuta al fatto che Ludwig gli avesse fatto un regalo o piuttosto dall’idea che il giorno prima l’avesse ascoltato, tenendo poi presente quanto amasse quel genere di cose.
Gli schioccò un bacio sulla guancia, appoggiando le mani sulle sue spalle e godendosi il leggero rossore apparso sulle gote del tedesco.
« E’ stupendo, Ludwig! »
Ludwig poteva considerare quella una delle migliori giornate: Feliciano non aveva mai smesso di sorridergli.











Angolo ~
Ciao a tutti! Come promesso sono stata brava e ho aggiornato abbastanza in fretta! ** Sono veramente agguerrita di recente, muoio dalla voglia di scrivere e aggiornare e questa non può che essere una buona cosa!
Ad ogni modo che dire di questo capitolo? Penso ci sia tanto fluff e vado abbastanza fiera delle immagini rievocate all'inizio, quando Feli si sta svegliando: non so perché, ma mi sembra di aver racchiuso la sua essenza in quelle prime righe.
Voglio ringraziare tutti coloro che stanno seguendo, leggendo e commentando la storia anche dopo la mia lunga assenza. Davvero, grazie di cuore <3
Mi riservo i ringraziamenti per il prossimo capitolo che, avendo sviluppato cinque prompt su sei, sarà anche l'ultimo ;______; Temo sarà anche più breve, trattandosi di un epilogo.
Detto questo, vi saluto!

CHAOSevangeline

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Capitolo 6
*** Epilogo - Impasto ***


Epilogo - Impasto

 
 
 
Il campanello sopra la porta tintinnò, annunciando l’ingresso di un nuovo cliente nel locale dall’atmosfera insolitamente tranquilla.
Sapeva che quel bar era abitualmente frequentato da persone intenzionate a provare i dolci della nascente stella pasticcera che lavorava lì, per questo tirò un sospiro di sollievo quando scoprì di essere riuscito a trovare un momento della giornata in cui il locale non era particolarmente affollato.
Ludwig indossava, come di consueto, un completo formale; aveva appena finito di scrivere un articolo notevole al lavoro, ma non avendo altre faccende importanti di cui occuparsi aveva deciso di fare una sorpresa a Feliciano, che da ormai qualche giorno – e si reputava fortunato: sapeva quanto l’italiano potesse essere… perseverante, volendo usare un eufemismo – gli stava chiedendo di andarlo a trovare al lavoro.
Sebbene il ragazzo gli avesse assicurato che non sarebbe stato necessario aspettare un cameriere per occupare un tavolo, il tedesco faticava ad abbandonare quella sua abitudine e, visto che tutti i camerieri conoscevano lui e le sue manie per lo meno per sentito dire, ben presto si ritrovò di fronte a uno dei dipendenti che lo scortò a un tavolo nonostante non fosse prassi comune di quel bar.
Quando lo vide scomparire oltre la porta che conduceva alla cucina, Ludwig giurò di aver visto un leggero sorriso divertito sul volto del cameriere: che fosse per via dell’ordinazione? In fin dei conti non doveva essere una delle richieste più sentite.
“Dite al pasticcere di portarmi quello che preferisce.”
Non aveva idea della scelta su cui avrebbe ripiegato Feliciano e in parte era proprio per quel motivo che la sua ordinazione era stata tanto bizzarra: spesso l’italiano architettava nuove ricette, ma appunto la frequenza con cui ciò accadeva gli faceva scordare di mettere Ludwig al corrente di tutte, o per lo meno di fargliele assaggiare volta per volta.
Gettò un rapido sguardo al calendario, appeso sulla parete dietro al bancone e improvvisamente fece caso, come se avesse perso i contatti con la realtà per molto tempo, che era trascorso ormai un anno da quando aveva incontrato Feliciano per la prima volta.
Un anno alquanto movimentato, per una persona abituata ad avere nella propria vita come unico elemento di disturbo un fratello un po’ irrequieto.
Aveva conosciuto Feliciano e poi cos’era successo? Aveva scritto quella critica, l’aveva incontrato altre volte, l’aveva visto disperato per colpa del licenziamento e l’aveva ospitato a casa propria, dove tutt’ora viveva.
Tutti avvenimenti in grado di dare una svolta alla vita di chiunque, per non parlare poi della nascita inaspettata quanto spontanea della loro relazione.
Davvero, Ludwig non aveva mai fantasticato su come sarebbe stata la sua vita sentimentale, ma le poche volte che vi aveva rivolto qualche distratto pensiero certamente non era riuscito a trarre delle conclusioni simili alla situazione in cui si trovava.
Non che gli dispiacesse, ovvio; innamorarsi di Feliciano, per quanto sentimentalista e poco adatto alla personalità letteralmente tedesca di Ludwig, era stata probabilmente la miglior sorpresa che la vita potesse riservargli.
Non avevano avuto mai ricadute, era quasi come se fossero perfetti l’uno per l’altro: se entrambi erano stressati per il lavoro e avevano poco tempo da trascorrere insieme, non litigavano e si sfogavano a vicenda, o se solo uno dei due aveva qualche problema che fosse o non fosse di carattere lavorativo, l’altro cercava di compensare, togliendo anche a se stesso, in modo da far stare bene la parte della coppia scarsamente di buon umore.
La loro relazione era diventata in questo modo così tanto seria da spingere Ludwig ad accettare la proposta – che il tedesco aveva mentalmente denotato come suicida – di Feliciano di trascorrere qualche giorno in Italia, durante le vacanze natalizie.
Era stato accolto da un’atmosfera così tanto calorosa che non era riuscito a sentirsi a disagio, pur essendo consapevole di non essere coinvolto nel tipo di relazione meno soggetta a pregiudizi.
Abbattuto il muro di paura provocato dal non conoscere i parenti, Ludwig aveva avuto il piacere di incontrare anche il fratello di Feliciano, Lovino.
Gli altri familiari dell’italiano avevano dato a Lovino diversi soprannomi prima che arrivasse e facesse la conoscenza di Ludwig di persona, uno meno rincuorante dell’altro, ma alla fine avevano cercato di rassicurare il tedesco spiegandogli che per la felicità del fratello, Lovino avrebbe accantonato ogni proprio possibile tipo di odio e avrebbe finito con l’accoglierlo tranquillamente in famiglia.
Dopo essersi presentati, Ludwig non aveva avuto esattamente la sensazione che i parenti gli avessero detto tutta la verità e quando aveva rimesso piede in Germania non si era sentito meno odiato di quanto non avesse fatto in precedenza mentre parlava al telefono con il suo “cognato”.
Aveva deciso di non pensarci più: dopotutto, a meno che non avesse dovuto varcare di nuovo il confine, che senso aveva preoccuparsi ancora?
Venne riscosso dai propri pensieri quando una figura familiare uscì alla stessa porta oltre la quale era scomparso il cameriere: Feliciano indossava, come al solito, la divisa da cuoco, ma si era tolto il cappello che Ludwig gli aveva visto indossare quando l’aveva portato a casa per “farsi ammirare in tutta la sua professionalità”, come aveva affermato lui stesso.
Le labbra del tedesco si inclinarono in un lieve sorriso, sorriso che venne sostituito da un’espressione sorpresa quando riconobbe il dolce che l’italiano gli stava portando, ben servito su un piattino di porcellana bianca finemente decorato.
« Buongiorno! »
La formalità di quel saluto venne tradita dal tono di Feliciano, che si sedette di fronte a lui senza nemmeno domandare il permesso dopo aver adagiato l’ordinazione di fronte a Ludwig.
« Buongiorno a te. » rispose il tedesco, mentre l’espressione serena di poco prima tornava a farla da padrona sul suo volto.
Non pensava di saper sorridere se non forzatamente prima di conoscere Feliciano, confessargli apertamente che da quando c’era lui aveva in un certo senso scoperto come si faceva doveva aver costituito per l’italiano un traguardo notevole.
« Visto cos’hai chiesto che ti portassi e vista la data, ho pensato di prepararti questo dolce. »
Quello che aveva di fronte sarebbe potuto essere confuso con uno qualsiasi degli altri dolci solitamente preparati da Feliciano e proprio per questo l’aspetto era servito solo in parte ad aiutare Ludwig a riconoscerlo; più che altro, era riuscito a capire di quale si trattasse grazie al suo profumo inconfondibile.
Profumo di ricordi, più che di impasto per dolci.
« Non serviva che me lo spiegassi. »
Feliciano parve aspettarsi quella risposta, mentre osservava Ludwig aprire il tovagliolo e sistemarselo in grembo, come se non conoscesse affatto quel rituale del critico.
Quando Ludwig si portò la forchetta alle labbra, ebbe la conferma di ciò che Feliciano aveva detto e in primo luogo di ciò che lui stesso aveva creduto: era proprio quel dolce.
Il dolce che aveva assaggiato lo stesso giorno in cui si erano parlati per la prima volta, ancor prima che scrivesse la recensione del locale in cui Feliciano lavorava.
Era lo stesso dolce che li aveva portati a quel punto, seduti a quel tavolo come una coppia, perciò definirlo il fautore di tutto non era un’esagerazione.
« Sai, ogni tanto ci ripenso Ludi, che in un anno sono successe davvero tante cose. » si reggeva la testa con una mano sotto il mento e questo faceva solo sembrare che le sue guance fossero più morbide e paffute del solito. « Non avrei mai pensato di arrivare a questo punto… di conquistare la fiducia dei miei nuovi datori di lavoro e di ottenere in gestione un bar. Davvero… ed è stato tutto grazie a te! »
Ludwig era veramente grato al cielo che tutte quelle cose gliele stesse dicendo Feliciano e non qualcun altro: se non si fosse trovato di fronte proprio quel ragazzo, probabilmente avrebbe avuto l’incondizionata paura che la persona in questione l’avesse usato solamente per raggiungere i propri scopi. Invece con Feliciano era impossibile pensarlo, perché gli dimostrava quanto fosse importante almeno tanto quanto lui sapeva lo fosse l’italiano per sé.
« Forse ho aiutato in minima parte, ma ti ricordo che è il tuo talento che ti ha portato dove sei adesso, Feli. »
Quel soprannome fece sorridere Feliciano, che decise di non insistere troppo su quanto in realtà il merito fosse di Ludwig; dopotutto, sapeva che alla fin fine entrambi avevano fatto la loro parte.
Si ritrovò indeciso: aveva pensato di aspettare per compiere quella mossa, pianificata almeno una volta al giorno durante tutti i giorni in cui aveva chiesto a Ludwig di andarlo a trovare.
Sollevò lentamente il menù che aveva recuperato da un tavolino lì accanto, di modo che coprisse il più possibile il profilo di Ludwig.
Alzatosi lentamente dalla sedia e appoggiati i gomiti sul tavolo per sorreggere il busto, Feliciano poggiò le proprie labbra su quelle del tedesco che si lasciò sfuggire un’espressione a dir poco sconvolta: il menù non avrebbe nascosto nulla, se lui reagiva sempre in quel modo ogni volta che lo baciava a sorpresa. Ogni volta sgranava gli occhi e avvampava.
« Buon anniversario, Ludwig. » mormorò ad un soffio dalla sua bocca. « Ich liebe dich. »
Il tedesco impiegò qualche attimo per riprendersi propriamente da quello che per lui aveva costituito un vero e proprio shock. Rimase immobile dopo aver ricambiato in modo impacciato, boccheggiò e alla fine le parole di Feliciano gli fecero sollevare involontariamente un angolo delle labbra.
« Ich auch. »
Mentre diceva queste parole, a Ludwig cadde lo sguardo su un ritaglio di giornale familiare, appeso sul muro alle spalle del bancone.
 

 
“La persona che vi preparerà ogni tipo di torta lascerà trasparire con la stessa spontaneità di un dessert tutta la propria dolcezza e credetemi sulla parola se vi dico che adorando questi dolci, adorerete in primo luogo la personalità del loro fautore.
 
Non mi sono mai sbilanciato tanto, ma è il compito di un critico portare a chi lo legge la verità: mi è stato inevitabile amarlo. ”
 
Ludwig Beilschmidt.
 
 
 
Fine ~


 
Angolo dell'autrice~
In ritardo come al solito, ma sempre meglio tardi che mai, si suol dire! Ammetto che mi ha un po' scoraggiata non ricevere recensioni e non ho sfruttato appieno per scrivere fanfiction la mia prima parte delle vacanze, ecco il perché questo aggiornamento arriva tanto in ritardo.
Anche se questo epilogo è un po' cortino rispetto agli altri capitoli avevo deciso di renderlo così, una rapida riflessione su tutto ciò che è accaduto e una dimostrazione di ciò che sono ora per dare una conclusione fluff in piena regola <3
Che dire ragazzi? La fanfiction è finita e considerando che è passato più di un anno... mi piange il cuore.
Davvero, uno dei motivi per cui non ho aggiornato subito è stato anche perché ho realizzato che i miei primi due progetti veramente "seri", ovvero questa fanfiction
che mai considererò all'altezza dell'altra, sigh e la Spamano che spero riuscirò ad aggiornare nei prossimi giorni erano veramente avanzati e si stava avvicinando il momento di concluderli. Ora, per la Spamano manca ancora un po', ma per questa dovevo solamente scrivere l'epilogo e beh... non dico che sia stata dura, ma un pochino mi dispiace.
Mi dispiace perché nonostante io sia una complessata perenne che non si accontenta mai dei suoi lavori, nonostante abbia creduto di avergli dato una trama banale e di non aver scritto per niente bene i primi capitoli, è comunque la prima storia che porto a termine. Forse non in tempi esattamente adatti, visto che non era impegnativa e io la sto pubblicando su per giù dalla fine dell'aprile 2013, ma comunque l'ho proseguita e veramente, sapere di non aver abbandonato questo progettino, di averlo continuato sia per i lettori che per me, mi fa veramente piacere.
Mi spiace che vi siate dovuti sorbire tutte queste parole sdolcinate, ma aggiungo le ultime poche righe e poi vi lascio liberi, sempre che abbiate letto: vi ringrazio per aver supportato questa storia, per averla seguita, preferita, ricordata o recensita.
Vi ringrazio anche per aver sopportato le mie lunghe sparizioni, ma prendo lo scrivere come un hobby e non mi voglio forzare rischiando di postare sciocchezzule di cui poi non sarei contenta ;v;
Ora che questa storia è finita forse riuscirò a cominciare il mio nuovo progetto segreto, che penso di aver nominato già da altre parti, continuerò le mie altre storie e certamente mi farò risentire per quanto riguarda questo pairing che ancora shippo.
Vi ringrazio ancora di cuore, grazie per aver letto "Lasciami essere il tuo dolce", grazie davvero!
Detto questo concludo, vado a ritirarmi nel mio angolino malinconico. Non pensavo che finire una fanfiction fosse così tanto traumatizzante ;A;

CHAOSevangeline

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