L'oscuro tentatore

di Figlia di un pirata
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Bando ai convenevoli. ***
Capitolo 2: *** Finisce sempre così. ***
Capitolo 3: *** Rivelazioni. ***
Capitolo 4: *** Rappresenta la morte ***
Capitolo 5: *** Di panda e vestiti neri ***
Capitolo 6: *** Se non ci fossimo noi ***
Capitolo 7: *** Prima dovresti chiedermelo ***
Capitolo 8: *** Per l'ennesima volta ***
Capitolo 9: *** Essere speciali non rende così felici ***
Capitolo 10: *** Bianco ***
Capitolo 11: *** Di tonno e uova ***



Capitolo 1
*** Bando ai convenevoli. ***


- Perché le hai cancellato la memoria, eh? Perché? Su, muoviti, spiega.
- Sta’ calmo, Har. Era solo per proteggerla.
- Proteggerla? Proteggerla? Zayn, ti rendi conto di cosa hai fatto?
- Starà molto meglio così.
- Non sa neanche che esistiamo, adesso.
 
 
L'oscuro tentatore - Capitolo 1: Bando ai convenevoli

Quella mattina, a scuola, c’era il solito trambusto. Mi recai, come al solito, al mio armadietto. Misi i libri sottobraccio e mi avviai alla lezione di Biologia. La mia materia preferita, come no.
Diciamo solo che, se la professoressa Hale fosse stata in procinto di cadere dalle scale, le avrei dato una spintarella. Per sbaglio, ovviamente.
- El! - sentii urlare.
Quando mi voltai, scostando un ricciolo ribelle dalla mia fronte, mi ritrovai davanti una ragazza dagli occhi meravigliosamente azzurri ed una chioma liscia e biondiccia, resa meno banale da qualche ciocca colorata di blu. Il suo nome? Charlotte Hastings. Professione? Mia migliore amica.
- Charlie! Eri a limonare con chi sappiamo noi, come al solito? - le domandai, con un sorriso stampato in volto.
Era fidanzata da circa otto mesi con un ragazzo di nome Louis William Tomlinson, meglio noto come Lou, Gran Capo dei Figoni o, più semplicemente, Boss degli Gnocchi. Come tutti i suoi amici, del resto. I suoi tre, perfetti amici. Peccato fossero così antipatici...
- No... potrebbe essere... circa... sì. - ammise, mentre le sue guance candide si tingevano leggermente di rosso.
No, non iniziate a fare strani pensieri. Non era una di quelle che si imbarazzano facilmente, tantomeno timida o, ancora peggio, snob. Era una forza della natura, non stava mai ferma un attimo e aveva un talento naturale nel disegno, oltre che nel canto. Ci conoscevamo da circa quattro anni e, anche se inizialmente c’era un po’ di competizione fra noi, alla fine avevamo imparato a conoscerci meglio e penso che non mi sarebbe mai potuta capitare cosa migliore.
Le diedi uno schiaffetto sulla nuca, con aria di rimprovero. - Non va mica bene, eh. Così lo consumi. E ti consumi anche tu. - lanciai un’occhiata alle sue labbra screpolate, soffocando una risatina. - Ok, vado che ho la Hale. A dopo!
- A dopo!
Scorsi, in lontananza, Louis che le si avvicinava, raggiante. Quanto erano carini insieme!
Ok, sono consapevole di non essermi ancora presentata. Piacere, il mio nome è Ellen Fox, ma chiamatemi El. Vi basterà sapere che non sono molto alta, ricci ribelli e castani, con qualche spruzzo di rosso qua e là e occhi banalmente castani.
Adesso che i convenevoli sono terminati, possiamo continuare.
Entrando in aula, mi accorsi con orrore di essere l’ultima arrivata. E sapevo bene cosa significava.
- Fox! Di nuovo in ritardo? - quanto odiavo quella voce stridula, persino peggio di quell’oca di Blaineley, la capo cheerleader. Non è un luogo comune che tutte le capo cheerleader siano antipatiche, lo sono eccome.
- Ma come di nuovo? Prof, quest’anno non sto entrando in rit-... - come previsto, non riuscii nemmeno a terminare la frase.
- Questo lo dici tu. Vai fuori, non ti è concesso entrare senza il regolare permesso. Lo sai che posso essere buona e cara, ma su queste cose non transigo!
- Sì, prof. - Capite perché non la sopportavo? Alla fine, era l’unica materia in cui non avevo dei buoni voti. Tutta colpa sua.
Strascicando i piedi, sbattei la porta e corsi via, prima di ricevere una nota per ‘comportamento poco adeguato’. Non ci pensavo nemmeno a stare fuori ad ascoltare le sue legnosissime lezioni! Piuttosto me ne stavo nel parco.
 
- Sempre con quella roba in mano, Fox?
Ecco un’altra voce che era presagio di sventura. Chiusi l’oggetto che avevo in mano molto seccata e mi sistemai meglio sul tronco dell’albero su cui ero poggiata. Fortunatamente, a breve sarebbe suonata la campanella. Non sopportavo quel tipo. - Sì, Styles. Questa roba si chiama Moleskine e non devo renderti conto se mi piace scrivere, ok?
Rise. Quanto odiavo quella risata. - Aggressiva oggi?
Finsi un sorriso anch’io. - Eh già. Potresti persino ritrovarti con la testa che rotola qui sul prato, che ne dici? - sbuffai.
Si sedette accanto a me. Guardandolo, notai che sembrava avere gli occhi leggermente più grigi del solito e una vena pulsava sulla sua fronte.
Ovviamente mi scostai.
- E’ una proposta allettante.
- Toglimi una curiosità... che ci fai qui?
Guardò in alto, verso l’edificio grigio che ci sovrastava, puntando in particolare ad una finestra. Quella dell’aula di matematica. - Sai, ti ho visto dal mio posticino accanto alla finestra, sola soletta, e ho pensato che ti avrebbe fatto piacere una mia visitina qui.
Gli diedi uno schiaffo sul bicipite, che si massaggiò. - Beh, ti sei sbagliato, perché... - ancora una volta, non feci in tempo a finire la frase, perché un suono squillante attraversò le mie orecchie, facendomi scattare in piedi come mai era successo. - Toh, la campanella, che peccato! Devo proprio andare.
Alzò un sopracciglio. - Spero proprio che tu cada dalle scale.
- Sì, anch’io ti voglio investito da un treno, ciao.
Mi precipitai su per le scale e, effettivamente, stavo quasi per inciampare. Certo che ne portava di iella, quel ragazzo.

Finalmente, un’altra lunga giornata era passata nel mio stupidissimo liceo Cowerdeen e mi apprestavo a tornare a casa. Non prima di aver salutato la mia migliore amica, questo era ovvio.
Come dovevo probabilmente aspettarmi, la trovai circondata da quattro ragazzi. I loro nomi erano Louis, Harry, Liam e Zayn. In particolare il primo le cingeva la vita con un braccio e la guardava dritto negli occhi.
Ok, mi intromisi.
Cercai di attirare la loro attenzione con qualche colpetto di tosse, ma, dal momento che era inutile, optai per qualcosa di più efficace. Mi aprii un varco tra Zayn ed Harry. Sì, quell’Harry. Le loro spalle erano decisamente troppo larghe, quasi possenti, e, chissà per quale oscuro motivo, mi ritrovai a chiedermi che sport facessero.
- Guarda chi c’è! - esclamò uno, passandosi le dita fra i capelli ricci e giocherellandoci per un po’.
- Fox! Cercavi compagnia? - domandò maliziosamente quello con il ciuffo di almeno un metro e mezzo.
- Sì. - risposi, secca. - E sicuramente non la vostra.
Fu Liam, quello che a prima vista poteva quasi sembrare simpatico, a intervenire. - Sembra che qui qualcuno abbia il ciclo.
Ignoralo, so che puoi ignorarlo. Non lo ignorai. - Per quanto sia dubbiosa riguardo alle tue conoscenze in campo fisiologico, Payne, sono spiacente di informarti che è la vostra visione a rendermi particolarmente irritabile.
Fu allora che notai un bagliore scuro nei suoi occhi, ma non ci diedi troppa retta. I quattro ragazzi dall’ego spropositato se ne stavano finalmente andando, lasciandomi sola con la mia migliore amica. Sapevo che non era una buona idea venirla a cercare dopo scuola, ma che volete farci, sono masochista.



Argh.
Buonasera a tutte, ragazze!
Ebbene, la prima storia che pubblico su questo account, il mio terzo su EFP.
Lo so, come primo capitolo è un po'... scarno, ecco. Ma si sa, i primi servono sempre ad introdurre i personaggi principali e, come avete visto, il nostro personaggio principale è Ellen Fox, che voglio siate libere di immaginare un po' come vi pare. Sapete cosa odio dei primi capitoli? Sono corti e banali. Ma prometto che cercherò di non deludervi, perché credo che questa non sia una storia come le altre.
Non so esattamente come mi sia nata quest'idea, è la prima volta che mi cimento nel sovrannaturale e ho tante idee, ma non so bene come legarle tra di loro.
SI ACCETTANO CONSIGLI, SIORE E SIORI.
Un parere fa sempre piacere, davvero.
Ci vediamo al prossimo capitolo.
Aria.

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Capitolo 2
*** Finisce sempre così. ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 2: Finisce sempre così


- Comunque… - iniziò Charlie cercando di sviare il discorso dal penoso siparietto di poco prima. - Lou dà una festa domani sera. Sei dei nostri, vero?
Alzai un sopracciglio. - Per vedervi limonare allegramente tutta la sera sotto l’apposito ramo di vischio allestito per l’occasione? No, grazie, passo. E poi domani è il 20 gennaio!
Si intrecciò una ciocca blu fra le dita e mi concesse un grande sorriso. - Eh dai, lo sai che per me sei più importante di lui! - parve riflettere un attimo. - Cosa te ne importa del 20 gennaio? Non iniziare ad accampare le solite scuse! E poi ci sarà anche Harry. - pronunciò quel nome con tale enfasi che, se avessi potuto, le avrei strappato i denti uno a uno.
- Ci risiamo. - erano mesi, precisamente da quando frequentava l’allegra compagnia composta da Louis, Harry, Liam e Zayn che continuava a insinuare che io nutrissi, sotto sotto, un certo amore dirompente per quell’individuo spregevole che rispondeva al nome di Harry Styles. Ovviamente, mi chiedevo in continuazione di quale strana sostanza si facesse. Non mi sarebbe, seriamente, mai passato nemmeno per l’anticamera del cervello di passare più del tempo strettamente necessario in compagnia di un ragazzo che per passatempo aveva il rivolgermi battutine sarcastiche appena se ne presentava l’occasione. - Se continui così, è ovvio che non vengo. - la ammonii.
Alzò gli occhi al cielo, che aveva lo stesso colore delle sue grandi iridi. - Su, mi farebbe piacere!
- Ci penso.
 
- Ci penso, ci penso, e poi finisce sempre così! - mi ritrovai a borbottare per l’ennesima volta mentre, seduta nella sua macchina da diciottenne, mi sistemavo il vestito succinto che mi aveva prestato.
Rosso. Diceva che il rosso mi stava bene. Rosso come le ciocche che davano un tocco di colore ai miei ricci castani. Rosso come il sangue pulsante nelle mie vene. Rosso come l’amore e la passione. Rosso come il fuoco che mi è sempre bruciato dentro.
- Tutto merito delle mie capacità persuasive. - mi fece un occhiolino l’attimo prima che l’autista del bus frenasse bruscamente. - Cos’ha detto Emma?
Emma, la mia sottospecie di madre. - Cosa vuoi che gliene importi? Mi ha solo detto di non tornare tardi…
- …che è proprio ciò che farai. - completò la frase per me. Era inutile dire che Charlie era bellissima, come sempre, nel suo abito blu, forse un po’ troppo corto per i miei gusti, ma quelli erano dettagli.
Fu solo osservando il ciondolo a forma di goccia che portava al collo che lo notai. - Cos’è quello? L’ennesimo succhiotto del tuo amore “piccipuccettoso”? - la presi in giro indicando una specie di voglia rossa abbastanza larga che macchiava il suo collo candido.
Lei arrossì di colpo. La mia migliore amica che arrossiva, questa era davvero bella. - Sì, un s-succhiotto… come al solito, eh? - sembrava persino vagamente preoccupata. La cosa non quadrava.
- Ti senti bene? Guarda che non mi offendo solo perché il tuo ragazzo è talmente possessivo da dover rivendicare in continuazione il tuo possesso. Come i cani che fanno la pipì per marcare il territorio.
Rise leggermente. - Sì, ora andiamo però.
Scese dal trabiccolo e così feci anch’io, seguendola sul viale che portava a casa Tomlinson che, per l’occasione, presentava molte luci che ne addobbavano la facciata. Ebbi la netta sensazione che si trattasse di quelle dell’albero di Natale. Tutto, in quell’abitazione, sembrava ostentare sfacciatamente l’agiatezza della famiglia di Louis, che non esitava mai a metterla a disposizione di tutti noi comuni mortali che non potevamo permetterci una festa a settimana. Complice anche l’assenza dei genitori, sarebbe corretto dire che Louis era allora noto per la grande disponibilità a farsi distruggere la casa almeno ogni sabato.
Oltrepassando il cancelletto, nel giardino, notai un gazebo allestito a mo’ di bar, molto affollato a causa della sete di alcolici che pervadeva ogni animo. Proprio lì c’erano due ragazzi dall’aria familiare.
- Oh, no. - sussurrai, consapevole del fatto che, con quella musica, la mia migliore amica non avrebbe mai potuto sentirmi.
Invece lo fece.
Si girò verso di me con un sorriso malizioso stampato in volto. - Cosa c’è? Di cosa ti preoccupi?
- Styles e Malik. Lì. A mezzo metro.
Seguì con lo sguardo il punto che le stavo indicando col dito indice e mi diede una pacca sulla spalla. - Andiamo a salutarli.
Troppo tardi.
Fu lì che imparai a non indicare mai qualcuno col dito.
I due si fecero avanti, riuscendo, in un qualche oscuro modo, ad aprirsi un varco tra tutte le persone schiacciate fra loro in quell’enorme giardino.
Zayn prese la mano di Charlie e le fece il baciamano in un modo assurdamente disgustoso. - Signorina Tomlinson. - le fece un occhiolino mentre lei sorrideva.
Per quanto fosse impegnata, non si poteva negare che Zayn fosse un ragazzo alquanto figo e sarebbe stato impossibile non compiacersi di fronte ad un gesto del genere. No, non ho davvero pensato alla parola “figo”. “Belloccio”, sì, belloccio può andare.
- Fox. - sorrise leggermente, probabilmente più per educazione che per reale voglia di salutarmi, e io risposi al saluto con un cenno del capo.
Tra l’altro, osservandolo bene, notai che i suoi occhi castani erano più ombrosi del solito, come… come se fossero stati neri. Giustificai quel dettaglio con l’assenza della luce solare e mi ripetei che non erano cose a cui pensare, che il colore degli occhi della gente non era affar mio.
- Ciao, Zayn. - disse allegramente Charlotte. Sembrava che quel tipo riuscisse a sentirla, anche se lei aveva un tono di voce normale. Tanto normale che dovetti faticare un bel po’ per capirla. - Sai dov’è Louis?
Sapevo che saremmo arrivati presto a questo punto, ma non pensavo così presto.
- Sì, è dentro casa. Ti accompagno?
- Vamos! - detto questo, si fece guidare dentro da quel bel pezzo di fig-... belloccio, subito dopo aver lanciato a me ed Harry un’occhiata zeppa di significati.
Lo sapevo, lo sapevo. Trovava sempre un modo per trascinarmi alle feste per poi rifugiarsi in qualche angolo col suo ragazzo, aspettandosi che seguissi il suo esempio e mi dessi alla pazza gioia.
A proposito del riccio, non appena si rese conto che quei due si erano dileguati, colse la palla al balzo. Maledetta Charlie. - Mh, a quanto pare i nostri amici sono evaporati.
Vidi la stessa vena pulsante del giorno precedente e gli occhi, solitamente di un bel verde smeraldo, grigi. Sembrava poterti trafiggere con un solo sguardo e provai quasi paura. Quasi. In fondo, era sempre di Harry Styles che si parlava.
Mi appoggiai alla ringhiera. - Sì, - risposi, seccata, fissando la folla. - ma non preoccuparti, ci sono ancora abbastanza sprovvedute pronte a caderti ai piedi.
Si passò la lingua sulle labbra e sorrise. - Dimmi che sei una di quelle.
-Dio, che squallido. - borbottai, in modo da non essere udita.
E invece anche lui parve sentirmi. Ma cosa avevano tutti?
- Mi hai appena dato dello squallido?
Sbuffai. - A quanto pare.
Mi spiazzò. - Forse è proprio quello che sono.
Mi voltai verso di lui con sguardo sconvolto, ma non lo trovai. Strizzai le palpebre e non c’era.
Non capivo. Dov’era finito?
Consolata dal fatto di non avere più nessun riccio impertinente fra i piedi, ma anche un po’ preoccupata per la mia sanità mentale, entrai in casa, sperando ardentemente di trovarmi in un sogno. O che, per lo meno, fossero gli altri quelli pazzi, non io.
L’interno era completamente diverso dall’esterno, diciamo che offriva un po’ più di privacy. Del resto, come si potrebbe non avere un po’ di privacy in una normalissima abitazione, mentre il fulcro della festa è in giardino?
Non feci fatica ad individuare la mia migliore amica le cui risate si sentivano persino in salone. Aprendo la porta a vetri della cucina, la trovai seduta su di un tavolo in pietra, mentre chiacchierava col suo ragazzo, con un tipo che non avevo mai visto prima e con Liam Payne. Non ci avevo mai parlato troppo, ma, con quella strana voglia sul collo e il sorriso perenne, sembrava di gran lunga più simpatico degli altri membri della banda di idioti.
- Fox! - mi apostrofò carinamente proprio Liam. - Ci sei anche tu, a quanto pare. - Io l’avevo detto che la sua simpatia era tutta un’impressione.
Sforzai un sorriso, ma sembrava piuttosto che avessi appena preso una dentata. - Già… a quanto pare.
Notando la mia espressione confusa nel guardare lo sconosciuto, Louis si fece avanti. - Fox, ti presento Niall Horan. - prese per un braccio il biondo e lo trascinò con sé. - Niall, ti presento Fox.
- Fox? - domandò lui, grattandosi il mento con un dito.
Sospirai. - E’ il mio cognome. Mi chiamo Ellen. Ma preferisco El.
Non era semplicemente figo come gli altri. Era… bello. Molto bello. I primi dettagli che mi saltarono all’occhio furono i numerosi nei sul collo candido, che portava ad un viso simpatico, in cui non si potevano non notare i suoi meravigliosi occhi di un blu intenso. Ne avevo visti di occhi azzurri fino ad allora, ma blu... mai. Erano meravigliosi, anche se leggermente coperti dai capelli biondi, sovrastati da un cappello blu.
Notai che Charlie, cercando di non farsi vedere, agitava le braccia, come a dire Portalo via di qui.
Non c’era niente da fare: ogni momento era buono per un po’ di privacy col suo ragazzo.
Sospirai nuovamente e cercai di portarlo via da lì. - Mh… che ne dici se andiamo un attimo fuori? - azzardai. Sicuramente avrebbe pensato che fossi una psicopatica la cui unica intenzione era stuprarlo in un giardino. Come primo incontro, niente male.
- Con piacere. - Mi fece un occhiolino, inaspettatamente.
Chiuse la porta a vetri, ma non prima che io sussurrassi a Charlie: - Mi devi un favore.
Uscendo, ci ritrovammo nel salone, nel quale i divani erano gremiti di coppiette ansiose di incontrare la lingua di qualcun altro.
Guardai l’orologio appeso alle pareti candide: era già passata un’ora e mezza. Ovviamente, l’effetto dell’alcool iniziava a farsi sentire.
Camminammo per un pochino senza dirci nulla, fino a che non arrivammo al giardino che sembrava essersi leggermente svuotato. Ci sedemmo ad un tavolino e mi guardò. - Allora - disse. - Fox…
Lo interruppi subito, riservandogli una linguaccia. - Non mi chiamare così.
- Curioso, sembra che qui tutti ti chiamino così.
Sbuffai. - Lo so, e non è bello! Ti piacerebbe se la gente ti individuasse sempre come ‘Horan’?
Scrollò le spalle. - Perché dovrebbe darmi fastidio? È il mio cognome.
Sorrisi senza neanche accorgermene e, per cambiare discorso, mi aggrappai ad una delle sue particolarità più evidenti. - Non sei di qui, vero? Non abiti a Leicester.
Scosse la testa, sorridendo a sua volta e mi ritrovai a pensare di non aver mai visto un sorriso più bello in tutta la mia vita. - No, in realtà no. Sono di Mullingar.
Spalancai gli occhi per la sorpresa, rischiando di urtare una ragazzina che correva in giro urlando il nome di un ragazzo. - Irlandese?
- Stupita? - inarcò entrambe le sopracciglia.
- E’ che non se ne vedono molti da queste parti. E poi non si risponde a una domanda con un’altra domanda. - lo rimbeccai.
- Già, immaginavo. - il suo sorriso si allargò ancora. - Ho conosciuto Louis a Londra due anni fa e siamo molto amici. Lui aveva 17 anni. Non sarei mai mancato ad una sua festa!
Improvvisamente, la musica non c’era più. L’unico suono era la sua voce cristallina.
- Tu quanti anni hai? - mi ritrovai a domandargli. Non ero stata io a domandarglielo, ma qualcun altro sepolto dentro di me, ne ero sicura, perché io non sarei mai stata in grado di fare una domanda che a me pareva così personale, così intima.
- Diciannove, tu?
- Diciassette. - risposi.
Mi scompigliò i capelli. - Oh, piccola!
Feci la finta offesa, nascondendo la reazione che quel tocco mi aveva provocato. - Non sono piccola.
- Io dico di sì.
Sorrisi, sorrisi ancora. Forse venire a quella festa non era stata una così cattiva idea. Forse, alla fine, avrei dovuto ringraziare Charlie per l’insistenza. E anche per l’essere così dannatamente legata a Louis.
Finché qualcuno non spezzò l’incanto.
- Ehi, Fox! - mi sentii chiamare.
Voltandomi, due occhi color ghiaccio mi trafissero, provocandomi i brividi a fior di pelle. - Styles. - color ghiaccio? I suoi occhi non erano mai stati color ghiaccio.
- Vedo che hai fatto conoscenza con Horan!
- Così pare. - borbottai, seccata per l’interruzione.
- Oh, ho interrotto un momento topico? Chiedo perdono. - ci passò accanto stringendo la mano di una ragazza vestita di verde, con una lunga e folta chioma rossa.
Qualcosa sembrò bruciare dentro di me, fino a che non sentii ancora la sua voce dal caldo accento irlandese.
- El? Come faceva quel tizio a sapere il mio nome, secondo te?
- Non ne ho idea. Credevo che lo conoscessi.
- No. Mai visto in vita mia.
- Ehm… - tutto ciò era alquanto strano. - forse Louis gli ha parlato di te. - borbottai, riflettendo.
Non sapevo cosa mi aspettava.
Ci fu qualche minuto di silenzio, in cui osservammo, con sguardo annoiato, tutte le coppiette che si apprestavano ad entrare in casa, soggiogate dall’effetto dell’alcol e pronte ad una notte di fuoco, ma anche tutti i gruppi di amici che si scatenavano come impazziti, provocando in me qualche risatina.
Poi lo vidi.
In un angolo, un angolo molto buio, c’era qualcuno accasciato. Sembrava avere il viso rivolto verso il terreno ed era inerme, quasi come se non respirasse più.
Gettai uno sguardo a Niall, che pareva aver notato il corpo anche lui, quindi si alzò e ci avvicinammo al… coso.
Il biondo tentava di tenermi indietro con un braccio, molto protettivo da parte sua, ma non sapeva che la mia curiosità aveva sempre la meglio su tutto, quindi arrivai a quel corpo esangue addirittura prima di lui.
- Sta’ attenta. - mormorò.
Improvvisamente mi resi conto che la musica si era davvero fermata. Non si sentiva più alcun rumore, se non il fremere delle ali dei grilli.
Grilli in inverno?
Qualcosa non quadrava.
Il giardino era deserto. Non più una ragazza, non più un ragazzo, niente barista, niente di niente.
C’eravamo solo noi e quella cosa che, improvvisamente, aveva assunto ai miei occhi un aspetto più che pericoloso.
Di primo acchito, pensai che fosse qualcuno che aveva bevuto troppo. Non sarebbe stata la prima volta.
I capelli erano radi sul capo, mi ricordava stranamente qualcuno, ma…. chi?
Delicatamente, sotto lo sguardo preoccupato di Niall, gli presi la testa e la voltai.
Lanciai un urlo, prima di essere buttata di lato.
Era orribile: somigliava terribilmente a Liam Payne, ma semplicemente non poteva essere lui. Aveva gli occhi spenti, smarriti, e i denti digrignati. Sembravano lame affilate, pronte ad essere affondate nella carne da un momento all’altro. La pelle era più scura del solito. Però non era stato lui a spingermi di lato.
Era stato qualcun altro (Horan?), qualcuno con una forza tutt’altro che umana, a gettarmi indietro, come se avesse voluto proteggermi.
Mi resi conto di non riuscire a vedere. O meglio, tutto ciò che avevo davanti agli occhi appariva distorto, come se fosse stato a pallini. Sentivo solo delle voci.
Una sembrava quella pacata di Zayn. - Sta’ calmo. - diceva. - La luna piena… dev’essere stato uno scherzo di cattivo gusto. Calmo, sta’ calmo.
E poi c’era Louis, il responsabile della festa, ansioso. - Ma cosa…? Anche tu, Niall?
E l’accento irlandese. - Sì, ma non… non come voi. È diverso.
Sentii anche la voce graffiante di Harry. - Questo… non è possibile.
Solo la mia migliore amica parve accorgersi di me. Il suo tono di voce era più preoccupato del solito. - Dov’è finita El? L’ha… morsa?
- No, non l’ha morsa.
- E’ stato solo… un momento. L’ho buttata di lato, non ha fatto nulla.
L’ultima cosa che avvertii furono due paia di mani sul mio corpo mentre mi sembrava che tutto girasse vorticosamente.
Un forte mal di testa, una folata di vento gelido, poi di nuovo il buio.



Argh.
Ciao a tutti, ladies and gentlemen!
Come vedete, sono finalmente riuscita a postare, e non ho molto da dire su questo capitolo se non che è ufficialmente da qui che inizieranno i casini per i nostri cari personaggi.
E allora sì che saranno uccelli senza zucchero. Chi voleva intendere, ha inteso a sufficienza.
Mi raccomando, fatemi sapere cosa ne pensate, e soprattutto cosa credete che sia successo alla nostra piccola Ellen. O forse, dovrei chiamarla Fox? A proposito, guardate cos'è comparso di recente sulla Bacheca di Facebook della povera Ellen. La faranno impazzire, in quel di Leicester!


Aria.

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Capitolo 3
*** Rivelazioni. ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 3: Rivelazioni
 
- Sbrigati, El: sono le sette e mezzo! - stava sbraitando mia madre.
Mi accorsi con orrore di essere nella mia camera, nel mio letto, coperta dal mio piumone.
Cosa ci facevo lì?
Mentre mi preparavo, di tutta fretta, per andare a scuola, notai un livido sul braccio, in corrispondenza del punto su cui ero atterrata la sera precedente. Non ricordavo di aver bevuto.
E allora perché l’unica parola che mi rimbombava nella testa era licantropo?
Cosa c’entravano i licantropi con la serata precedente?
Pensai che forse, proprio perché avevo bevuto troppo, avessi immaginato tutto, compreso l’incontro con un essere così perfetto.
Niall.
Quel nome, insieme a licantropo, iniziò a ronzarmi nelle orecchie.
Scrollai le spalle al pensiero: Niall era un nome così insolito che difficilmente avevo incontrato qualcuno che si chiamasse così.
Era stato sicuramente un sogno.
E forse quella notte ero caduta dal letto, per quello mi ritrovavo quel livido.
Era stato senz’altro un sogno.
Non poteva essere altrimenti.
Anche mentre mi recavo a scuola mi meravigliai della mia stupidità nel credere, anche per qualche istante, che quello che avevo sognato corrispondesse alla realtà. Del resto, era altamente improbabile che io andassi per caso a una festa di mia spontanea volontà, anche se era la festa di Louis e quindi sarei stata comunque costretta ad esserci, per caso incontrassi un essere decisamente troppo perfetto per essere umano, per caso ci parlassi per tutta la sera, per caso mi salvasse la vita e per caso mi trovassi nel mio letto il giorno dopo.
Quel giorno arrivai a piedi: Charlotte aveva deciso di non venire a scuola e, a quanto pare, neanche Louis, visto che altrimenti sarebbe stato lì a chiedermi di confessargli il motivo segreto dell’assenza della sua ragazza, quante volte l’avesse tradito e quante volte mi avesse parlato di lui. Scossi leggermente la testa e mi recai al mio armadietto, anonimamente grigio.
Lui era lì.
Prima di scoprire cosa mi nascondevano, ero solita trovare molto strano il fatto che, quasi ogni giorno, c’era Harry allegramente piazzato davanti a dove posavo i miei libri.
Quel giorno sembrava decisamente più normale del precedente: occhi di un verde perfetto, ricci perfetti, pelle chiara e perfetta, sorriso perfetto, labbra disegnate e perfette, atteggiamento perfetto. Tutto in lui gridava “sono perfetto”, ma mi avevano sempre insegnato a non giudicare un libro dalla copertina e lui era la prova vivente del fatto che nessuno è come sembra.
Era poggiato con nonchalance al mio armadietto e mi guardava sornione.
- Ti spiacerebbe spostarti? - gli domandai seccamente vedendolo così rilassato. Almeno quel giorno non era in compagnia di Zayn e Liam. Non avrei sopportato di vedere i prototipi del maschio alfa gironzolarmi attorno nonostante i nostri rapporti non propriamente civili. Che poi non ci sarebbero stati problemi con gli altri, come non ce n’erano con Louis, se solo non avessero sempre apprezzato la compagnia di quell’energumeno dai capelli ricci.
- Nah, si sta comodi qui. - mi riservò un sorrisetto sghembo, che io interpretai più come un ghigno.
- Consideralo un ordine, Styles. Spostati. - gli lanciai un’occhiataccia.
Ero particolarmente nervosa quella mattina, e sentivo qualcosa nell’aria. Come se stesse per succedere qualcosa di non ben definito. Qualcosa che, però, non prometteva nulla di buono.
- Nervosetta, oggi?
- Secondo te?
Rise, dandomi estremamente sui nervi. - Comunque… - continuò, facendosi di lato e permettendomi, finalmente, di liberarmi dal peso che reggevo tra le braccia. - ieri sera ti abbiamo riportato a casa io e Charlie. Con la mia macchina. Mi aspetterei un ringraziamento, come minimo.
Lo guardai confusa. - Riportarmi a casa? Ma che cosa…?
Il suo volto si fece serio e vidi un’ombra attraversargli gli occhi. - Dopo aver chiacchierato con Horan, evidentemente avevi bevuto troppo, sei svenuta e hai iniziato a contorcerti a terra. Sembrava che avessi delle visioni. Ti abbiamo dovuto riportare a casa. Non mi sarei mai aspettato che la santarellina Ellen Fox potesse trasformarsi in una cattiva ragazza.
Avvertii un forte mal di testa. - So per certo di non aver bevuto nulla ieri sera. Sono rimasta a casa mia.
- Così credi… - il suo tono si fece irritantemente vago e mi domandai perché fosse così ottuso da non percepire il mio bisogno di spiegazioni.
Sbuffai e, senza dire nulla, mi limitai a camminare verso l’aula di Letteratura Classica, rimuginando sulla nostra conversazione incredibilmente civile per i nostri soliti standard. Cos’è che aveva detto?
Horan?
Mi portai le mani alla bocca. Io quel nome l’avevo già sentito.
Mi voltai per vedere dove fosse, ma non lo trovai.
Dov’era sparito?
 
All’uscita, accesi il cellulare e mi ritrovai sei messaggi.
 
Da: Charlie :3
Amica! Dobbiamo parlare. Ci vediamo alle 5 da me.
 
Da: Charlie :3
Dimmi se puoi… è essenziale!
 
Da: LouislovesCharlie
Ehi El! Grazie per essere venuta alla festa ieri :D
A Niall ha fatto piacere conoscerti ;)
 
Da: Charlie :3
Cazzo! Facciamo alle 5.30, ok?
Poi ti spiego tutto, è.. davvero importante.
Non fare leggere questi messaggi a nessuno, per favore, o mi ammazzano D:
 
Da: Charlie :3
Ok, amica, non ti spaventare :3
Non è niente di grave, ho solo bisogno di parlare con te u.u
Però sbrigati a dirmi se puoi venire D:
 
Da: Styles.
Ho pensato fosse essenziale dirti che secondo Louis hai fatto colpo su Niall, i miei complimenti ragazzina troppo ubriaca ;) credi davvero di non essere venuta alla festa ieri? Che hai in testa? ahahahah.
 

Li lessi tutti in fretta, sbalordita.
Niall.
Quel nome tornava sempre. Per un attimo mi balzò nella mente la possibilità di non aver sognato, dopotutto. Forse lo avevo conosciuto davvero quel ‘Niall’. Ma cosa diavolo c’entrava con i licantropi?
Non feci in tempo a formulare questi pensieri che mi arrivò una telefonata.
Lessi lo schermo.
 
Chiamata in arrivo da: Charlie :3
 
Lasciai squillare un attimo prima di rispondere.
- Certo che sei proprio una scassapalle. - dissi al posto del classico ‘pronto?’.
Sentii sbuffare. - Dove sei stata per tutto questo tempo?
- Mh, non lo so… forse a scuola? - ero ironica.
- Giusto, la scuola! Senti… non hai fatto leggere quei messaggi a nessuno, vero? - sembrava stranamente preoccupata.
- No, no. Ma cos’è successo?
- Ti spiego quando ci vediamo. Facciamo alle quattro e mezza da me, ciao.
Riattaccò senza darmi il tempo di dire una sola parola. Mi chiesi cosa stesse succedendo. Mi domandai perché fossero tutti così strani. E soprattutto, passai la giornata a pensare ad un ragazzo.
E questo ragazzo aveva i capelli biondi e gli occhi blu.
 
Quel pomeriggio, alle quattro e mezza in punto, mi trovavo davanti alla casa di Charlie: ovviamente avevo corso come una pazza per arrivare in tempo e, ovviamente, non rispondeva al citofono.
Decisi di entrare nel vialetto senza chiederle nulla e iniziai a torturare il campanello di casa Hatings finché, alquanto seccata, non mi decisi a tenere il dito indice poggiato su di esso.
Finalmente, dopo ben cinque minuti, qualcuno aprì la porta. Ma non era chi mi aspettavo.
- Louis? Cosa… che ci fai qui? - iniziai a balbettare, vedendomi proiettato davanti una sorta di dio greco, avete presente?
Sorrise. - Ciao, El. - mi chiesi da quando utilizzasse “El” al posto di “Fox”. - Cercavi qualcuno?
Assunsi un’espressione di ovvietà. - No, vengo a casa Hastings per rubare! Cercavo Charlotte.
Sembrò farsi preoccupato e si morse un labbro. - Ehm… lei è… sì, ti accompagno da lei.
Mi permise di entrare in casa e salimmo le scale fino ad arrivare dove si trovava la camera di Charlie.
Non appena varcai la porta, mi accorsi che qualcosa non andava. Ok, Charlie era sempre stata disordinatissima, ma una cosa del genere non s’era mai vista: i libri, solitamente in uno scaffale, erano sparsi sul pavimento, la scrivania era rovesciata e, di conseguenza, anche molte pile di fogli, penne e colori erano per terra, il portatile si trovava, aperto, sull’armadio che, a sua volta, aveva le ante aperte, lasciando intravedere alcuni vestiti strappati.
La mia migliore amica era seduta sul pavimento. Teneva un braccio attorno alle ginocchia ed aveva la fronte sudata e lucida.
Mi precipitai accanto a lei. - Charlie? Charlie, che succede? Cos’è successo?
Alzò lo sguardo verso di me ed un sorriso le trasformò il volto. - Nulla… - mormorò.
Sì, certo. - Sì, certo. Su, racconta. - gettai uno sguardo truce a Louis che, sulla soglia, ci guardava, quasi incapace di proferire parola. - Lui - lo indicai. - c’entra qualcosa?
La mia migliore amica scosse la testa e, con un cenno del capo, lo invitò ad uscire dalla stanza, poi si alzò e si sedette sul letto che, per fortuna, era ancora intatto. La seguii senza proferire parola. Non capivo.
- El, so già che non mi crederai. - mi disse. - Ma due mesi fa è successa una cosa… - fece una pausa e parve soppesare le parole una ad una. - Una cosa strana. Non brutta. Strana.
Mi limitai a guardarla con un’espressione vagamente stupita. Cosa poteva essere successo?
- Io… - continuò. - ricordi quella specie di succhiotto che hai visto sul mio collo ieri sera?
Annuii. - Una specie? Vuoi dire che non era un succhiotto?
- Circa. Era come… un morso. Una voglia, un segno, una cicatrice, mettila come vuoi.
- Questo significa che non se ne andrà?
I suoi occhi azzurri si velarono leggermente, mentre scuoteva la testa. - El, io sono… diversa. Tutti lo siamo, è così che ci siamo conosciuti.
Ero confusa. Non capivo. - Tutti chi?
Sospirò. - Tutti. Io, Liam, Zayn Harry e… Louis. Lui mi ha salvato la vita.
Sapevo che lo amava tanto, ma non pensavo a tal punto. - Perché non ti spieghi meglio? - chiesi, in testa avevo troppe domande e lei si ostinava a spiegarmi le cose a pezzi, e in quel modo non capivo nulla.
Deglutì. - Dopo aver avuto questo morso, lui mi ha presa.
Sbottai. - Chi ti ha morso? Cos’è successo? Cosa c’entra Louis?
Sospirò ancora e, per la prima volta, mi guardò negli occhi. - Allora, devi sapere che ci sono delle creature diverse dagli Umani qui intorno. O meglio, possono sembrare degli Umani, ma in realtà loro si ‘trasformano’, fino  a diventare qualcun altro. Ok?
Annuii. Fino a lì era facile, era come nei libri fantasy che leggevo in continuazione, e ne leggevo così tanti che ormai avevo iniziato a prendere vampiri, lupi mannari e demoni come la realtà. Non era difficile per me crederle.
- Puoi diventare uno di loro solo venendo morsa, o con una trasfusione di sangue. Tu hai quasi rischiato, ma… questa è un’altra storia che ti spiegherò dopo. Devi capire che alcuni di loro sono buoni, altri… un po’ meno.
- E tu? - mi ritrovai a chiedere. Stavo iniziando a capire. Forse quello avrebbe potuto dare una spiegazione a tutte le stranezze che si erano susseguite negli ultimi tempi.
Sembrò stupita. - Io… dammi le mani.
Feci quello che mi disse e la imitai, chiudendo gli occhi. Pensai che non era da lei fare tutte quelle pause mentre parlava e sapevo che mi stava per rivelare qualcosa di grosso. Che mi ero cacciata in qualcosa di grosso. E ancora non riuscivo a capire cosa c’entrasse la sera precedente.
Mi ritrovai in un luogo buio. Ero Charlotte.
 
Penso di essermi persa. Il boschetto dietro casa è sempre spaventoso, buio, cupo.
Eppure a guardarlo da fuori sembra estremamente più piccolo.
Sembra.
Dietro un albero, scorgo un’ombra.
Spaventata, allungo il passo, cercando disperatamente di trovare l’uscita.
Vedo la stessa ombra dietro un altro albero.
La scena si ripete più e più volte, finché non sento come uno scoppio e mi ritrovo tramortita a terra.
Non c’è nessuno davanti a me, ma la paura mi attanaglia lo stomaco. Il cuore mi batte a mille, anzi, di più, sembra quasi che mi voglia uscire dal petto, mentre le gambe cedono ed iniziano a tremare. Ho la gola in fiamme, mentre sento il collo pulsare.
E vedo un segno rossastro che si fa largo sulla mia pelle candida.
Ho paura, tanta paura.
Mi sembra tutto un incubo.
Sono schiacciata a terra da un forza che neanche vedo. Sento un peso enorme sullo stomaco.
Provo ad urlare, apro la bocca, ma qualcosa me lo impedisce e mi ritrovo stesa a terra, i capelli tra le foglie rinsecchite, a piangere come una bambina.
Passano alcuni minuti e il segno sul mio collo si fa sempre più visibile, poi vedo un bagliore. Un bagliore accecante.
 
Ci ritrovammo entrambe stese sul pavimento, io sudata, lei scossa e tremante.
Ero entrata nei suoi ricordi, se non ero pazza e se non mi ero addormentata all’improvviso.
- Charlie, cosa…? - cercai di domandarle, mentre lei si rialzava.
Abbozzò un sorrisetto. - È più difficile di giorno. - commentò, prima di diventare stranamente seria. - Capisci, El, sono… un mostro.
Scossi la testa. Non volevo crederci. Non era un mostro.
- Quella cosa... - continuò, prima che potessi interromperla. - quella creatura. In questo momento sarei come lui, se Louis non mi avesse salvato. Louis è un angelo.
- Un angelo? - gridai, inconsapevolmente. Recuperai il mio tono di voce pacato. - Scusa… che vuoi dire?
- È un angelo. Non di quelli che disegnavamo alle elementari nell’ora di religione, un angelo vero. Ogni angelo ha una persona predestinata da proteggere, ok? Nel suo caso, sono io.
- Tu sei…? Aspetta un attimo, penso di non capire. - e non capivo davvero. Non la seguivo, non capivo come fossi entrata nei suoi ricordi, cosa volesse dire che Louis l’aveva salvata e cosa accidenti significava che il suo ragazzo era un angelo.
- Angeli si nasce, non si può diventare. Ognuno di loro, fin dalla nascita, ha assegnata una persona da proteggere e ognuno di noi ha un proprio angelo. Non mi ha mai rivelato esattamente come funziona, non può, ma so che sono io nel suo caso e che mi ha salvato dall’attacco di quella cosa.
-  E quella cosa cos’era? E che danni ti ha provocato? Tu non sei un mostro.
Si risedette sul letto. - Era un Oniride. Gli Oniridi, come mi ha spiegato Lou, sono delle creature molto rare. Loro possono entrare nei sogni altrui e modificarli a proprio piacimento. Possono leggere il passato e il futuro. Vedono l’aura delle persone senza bisogno di esercizi di concentrazione. Loro capiscono le persone. Provocano in loro incubi, brutti presentimenti… io sono una di loro. - un singhiozzo lieve fuoriuscì dalle sue labbra.
- Tu… tu non sei un mostro. - ripetei, balbettando. - Tu sei la mia migliore amica. Non un mostro…
Sorrise amaramente. - Fortunatamente, io non ho acquistato tutti i poteri. Posso leggere l’aura, passato e futuro e posso provocare incubi. Posso, questo non significa che lo faccia.
- Cioè puoi evitarlo?
- Sì. Ma è doloroso. È per questo che ogni tanto mi assento da scuola.
Ricordai tutte le volte che era uscita prima dalle lezioni per dei fortissimi mal di testa o di stomaco, per dolori alle articolazioni o, addirittura, al cuore. - È pericoloso?
- Sì, per chi mi sta intorno.
- Non mi importa. - confermai. Non avrei mai voluto perdere la sua amicizia, e se per farlo avrei dovuto sopportare degli incubi, l’avrei fatto volentieri. Mi domandavo soltanto perché non mi avesse mai parlato di quello che doveva affrontare, visto che avrei potuto aiutarla, ma immaginavo che se ne vergognasse. - Finora non mi è successo niente, non dev’essere poi così pericoloso, no?
Abbassò lo sguardo, nascondendo il viso coi lunghi capelli. - Non lo so, ho paura che possa avere delle conseguenze…
Non le lasciai finire la frase. - Non mi importa.
- Dici sul serio?
Sorrisi. - Altrimenti non lo direi.
Le sue labbra carnose si spiegarono in un enorme e bellissimo sorriso. Sembrava emanare luce da tutti i pori, altro che ‘creatura dell’ombra’. - Grazie. - mi venne incontro e mi strinse in un abbraccio stritolatore.
- Quando vuoi. - le feci un occhiolino, mentre le sue prime parole iniziavano a farsi strada dentro di me. Improvvisamente, avvertivo il pericolo. - In che senso ho rischiato di essere morsa? - domandai, ripensando alle sue parole.
- Liam. - disse, semplicemente. - E’ un licantropo.
Mi portai le mani alla bocca spalancata, così come gli occhi. - Licantropo? Esistono sul serio?
Annuì. - Sì. Lui e Zayn lo sono. Ieri sera… In realtà la luna piena non dovrebbe più fargli effetto, per lo meno non dovrebbe trasformarsi ancora, ma… ok, ti spiego bene. - alzò un pochino il tono di voce, notando il mio sguardo confuso e impaurito. - Da circa sei secoli, i licantropi cercano di adattarsi alla vita umana. Durante le notti di luna piena cercano rifugio da qualche parte. Tutto è molto doloroso, non so esattamente quanto¸ ma so che stanno male, molto male. Però non si trasformano, perché hanno imparato a controllarsi. - mi aveva preso le mani e la sua voce era concitata. Mi chiesi quante cose ancora non sapessi. - Ieri Liam ha avuto una specie di ricaduta, non so come, ma l’ha avuta e Zayn l’ha aiutato. Quando tu gli sei andata vicino, lui ha tentato di morderti. Horan ti ha gettato di lato.
Horan. Ancora quel nome. - Horan? Chi è Horan? Cosa c’entra lui?
Sembrò confusa. - Come fai a non ricordarlo? Siete stati insieme praticamente tutta la serata.
- Ha i capelli biondi e dei merav-… ehm… e gli occhi blu?
Sghignazzò. - Proprio così.
- Ma allora non era un sogno! - esclamai, sorridendo improvvisamente alla dichiarazione della mia sanità mentale. Tutto quello che ricordavo, era tutto vero.
E solo ora capivo cosa c’entrassero i licantropi.
- Louis  - continuò. - non sapeva che anche lui appartiene a queste creature. Neanche lui è Umano.
- Cos’è? - mi domandai se esisteva una creatura dotata di bellezza sovrumana, ma evitai di chiederglielo, altrimenti avrebbe iniziato ad insinuare una mia cotta nei suoi confronti. E non avevo una cotta per qualcuno che non conoscevo nemmeno.
- Un vampiro.
- Intendi… con i canini a punta e che succhia il sangue? - domandai, quasi con ingenuità. Forse era per via dei suoi canini che portava l’apparecchio.
Ridacchiò. - Circa. Diciamo che quello che devi sapere è che ti ha salvato da un dolore insopportabile. Dovresti essergliene grata.
- Lo sono già.
 
Quella sera, a casa, mi sembrava che la mia testa fosse ormai troppo piena di informazioni per riuscire ad assorbirne qualsiasi altra.
Mentre, sdraiata nel letto col mio portatile, rimuginavo, mi resi conto di non sapere cosa fosse Harry. Ero abbastanza sicura che Charlie avesse detto che anche lui era una di quelle strane creature… ma cosa?
Qualcosa di estremamente rompipalle e disgustoso, senz’altro, pensai. Non sapevo che l’avrei scoperto presto.
Stavo chattando su Facebook quando mi venne in mente un’idea folle.
Niall Horan, furono queste le parole che digitai nella barra di ricerca di uno dei social network più famosi.
Mi comparve un solo risultato. Niall J. Horan
Quello splendido ragazzo nell’immagine del profilo era sicuramente lui.
Richiesta d’amicizia inviata a ‘Niall J. Horan’.

 



Argh.
Buon pomeriggio a tutti, cari lettori.
Finalmente sono riuscita ad aggiornare, anche se trovo questo capitolo un po' troppo prolisso e pieno di informazioni. Non preoccupatevi, è normale essere confusi, anche la nostra cara Ellen lo è (ma voi non diteglielo, le piace avere tutto sotto controllo). Mi piacerebbe molto sapere cosa ne pensate, non sono mai molto sicura su come possiate reagire a questa storia.
Spero sempre di non deludervi!
Aria.

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Capitolo 4
*** Rappresenta la morte ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 4: Rappresenta la morte
 
Il giorno dopo, all’ingresso di scuola, trovai la mia migliore amica intenta a inviare furiosamente messaggini a un destinatario che, ne ero sicura, doveva avere gli occhi azzurri e una certa ossessione per le Toms.
Non appena mi vide, mi prese da parte e, con tono da cospiratrice, mi chiese: - Non hai detto a nessuno delle informazioni riservate di ieri, vero?
Scossi vigorosamente la testa. - No, perché?
Mosse le braccia e le mani in modo da formare nell’aria strani cerchi. Spalancò gli occhi ed assunse un’espressione ancora più stralunata di quella che aveva di solito. - Perché tu non dovresti sapere niente. Ok? Non parlarne mai con nessuno, nessuno, nessuno. Ok?
Sospirai. - D’accordo. Ora però puoi mollarmi il polso?
Guardò le sue dita che, effettivamente, erano ben serrate attorno al mio polso e rise. - Scusa. Cos’hai alla prima ora?
- Storia dell’Arte. - risposi, accennando un sorrisetto perché quella era una delle mie materie preferite. - Abbiamo supplenza per due ore. Tu?
- Anche. - esclamò, stupita. - Per due ore.
Dal momento che aveva un anno in più di me, era ovviamente insolito che noi due avessimo le stesse materie alla stessa ora.
- Con che prof? - mi domandò dopo una piccola pausa, ben sapendo che i professori di Storia dell’Arte erano in tre, in quella scuola. E se il mio professore era assente, e lo era anche il suo...
- Quel matto di Ferguson che fa ricopiare la Marilyn di Warhol sui cartoncini colorati e li appende in giro per la scuola. - ridacchiai, prima di mordermi il labbro inferiore, preoccupata. - Dai, ma se si chiama Storia dell’arte perché far disegnare gli alunni? Si perdono molte nozioni importanti, che sono basilari nel programma di esame, così non capisce di svantaggiare i suoi studenti? Non ci tiene al loro percorso scolastico e a come i risultati che conseguiranno potranno compromettere la loro carriera?
- Non ha certo il dono del teletrasporto, ti pare? - mi interruppe con un cenno della mano. - Tecnicamente ce l’abbiamo anche noi, ora.
Feci due più due e mi resi conto di quanto ciò significasse ma, prima che potessimo dire una sola parola sorpresa, la campanella suonò. Avremmo capito se quello che pensavamo fosse vero solo pochi minuti dopo.
Mi recai nella mia classe.
Il professore si richiuse la porta alle spalle non appena presi posto al mio banco ed iniziò a blaterare.
- Quindi, ragazzi, dal momento che il vostro insegnante di Storia dell’arte è malato ed io, che preferisco definire la disciplina “Educazione Artistica”, sono l’unica anima pia in grado di sostituirlo, quest’oggi affronteremo un’ottima lezione, oltre che scambio culturale tra geniali menti, insieme alla Quinta D. - il professor Ferguson, ormai era risaputo, era un campione dell’egocentrismo più puro, e non era una novità che si ritenesse l’unica persona al mondo capace di sostituire il prof Boyle. Che poi, perché mai avrebbero dovuto assegnargli due supplenze lo stesso giorno? Non c’era davvero nessun’altra anima buona disposta a badare ad una classe di poveri studenti abbandonati a se stessi?
- Chi l’avrebbe mai detto? - ridacchiò Jackson, un mio compagno di classe oggetto di attenzione da parte di qualsiasi ragazza in quella scuola, mentre salivamo le scale che portavano alla classe della mia migliore amica. - La Quarta A e la Quinta D insieme.
Effettivamente, avremmo affrontato quella lezione con la Quinta D, il che significava controllare che Charlie prestasse attenzione alla lezione e conoscere i compagni di cui mi aveva tanto parlato.
Non appena varcammo la soglia, un sorriso si dipinse sui nostri volti nel vedere una classe più ampia, più luminosa e più ordinata di quella in cui eravamo costretti.
Quello stesso sorriso che regnava sulle mie labbra, però, si spense subito non appena mi accorsi di chi fosse il compagno di banco di Charlie.
Harry. Harry Styles.
Ferguson batté le mani, disgustosamente entusiasta. - Buongiorno, ragazzi. Oggi ho pensato di farvi realizzare un lavoro a gruppi, per testare le vostre capacità artistiche. Proprio così, per farvi un bel regalo, oggi non studierete quell’inutile teoria, ma avrete modo di sviluppare la vostra creatività, contenti?
Ci fu un mormorio eccitato da parte di tutti i ragazzi, compresi quelli della mia classe che, come me, erano ancora in piedi, allineati contro il muro di cartongesso bianco. Ovviamente non vedevano l’ora di conoscere gente più grande di loro e, soprattutto, la prospettiva di non studiare, evitando così un bel mal di testa, rallegrava chiunque. Mi dovetti trattenere dall’urlargli contro. I programmi di esame, a quanto pareva, non lo interessavano minimamente.
Il prof, che indossava degli occhialetti spessi e sfoggiava un sorrisetto compiaciuto, utilizzò una strana tecnica per dividerci in gruppi. Una tecnica che lui definì ‘Il salto della gru’, il che mi ricordò vagamente una mossa di arti marziali: in sostanza prendeva bruscamente per il braccio due alunni della mia classe e li univa ad altri due alunni dell’altra classe, generalmente compagni di banco.
Più andava avanti, più l’orrore si dipingeva sul mio volto: Charlie era finita con Bella e Jackson. Bella, la mia compagna di banco. Ciò significava che sarei stata in un gruppo nel quale non conoscevo praticamente nessuno.
- Oh, sembra che la signorina Fox sia rimasta da sola. - Ferguson sorrise nuovamente in quella maniera orripilante che aveva di scoprire i denti inquietantemente bianchi, ed io, orripilata, mi resi conto che i miei compagni di classe erano tutti andati. Niente, niet, rien, nada, caput, zero.
Era normale, mi resi conto, dal momento che la mia classe di Storia dell’Arte era composta da 9 persone.
Tutti avevano spostato i banchi contro la parete, in modo da potersi sedere a terra, divisi in gruppi.
Sembrava di stare all’asilo.
- Quindi… - continuò il professore. - Brooklyn e Styles, signorina. - alzò un sopracciglio, sorpreso. - Ohibò, sono gli unici che rimangono? Perbacco, come vola il tempo quando ci si diverte!
Lanciai un’occhiata truce e supplicante alla mia migliore amica, che si limitò a rivolgermi uno sguardo malizioso, poi mi diressi verso Styles ed un altro tipo, che si presentò come Scott Brooklyn. Era decisamente più alto di me, con i capelli rossicci e corti e gli occhi castani. Nulla di particolarmente eclatante, ma almeno sembrava simpatico.
Quel giorno, le iridi di Harry tendevano all’azzurro.
Il prof passò in giro per i gruppi, distribuendo dei bigliettini, dei fogli di carta da disegno un po’ più grandi del normale e tre matite colorate diverse per ogni gruppo.
A noi erano capitati il blu, l’arancione ed il rosa.
- Perfetto! - esclamò. - La traccia è scritta su ogni bigliettino, il lavoro verrà valutato e farà media per il voto di ammissione agli esami. Avete 85 minuti a partire da ora.
Presi in mano la situazione, anche se era difficile lavorare con due rimbambiti che ti fissano come se fossi l’ultima ragazza sulla terra. - Ok, la consegna dice: ‘Disegna la prima cosa a cui pensi osservando questi tre colori. Il disegno dovrà presentare necessariamente tutti e tre i colori che ti sono stati assegnati. La valutazione tiene conto…’ bla, bla, bla. - la mia voce si spense un pochino.
Harry interpretò in poche parole i pensieri di tutti e tre, soppesando con due dita i colori. - Cosa cazzo dovremmo combinarci noi con ‘sti tre colori?
- Io passo, grazie. - Scott esibì una meravigliosa faccia orripilata. - Sono colori da ragazze! Fatti venire un’idea.
Non potei fare a meno di sbuffare. - La domanda qui sorge spontanea: perché? E soprattutto, Styles, potresti piantarla con le volgarità?
- Non chiedermelo. - rispose il riccio, con sguardo disgustato.
Proprio in quel momento, il signor Ferguson ci passò accanto e mi riservò un sorriso. - So che sei molto capace, Fox. Dacci prova delle tue abilità! Insomma, spero che quei votoni che ricevi non siano dovuti soltanto alla tua conoscenza teorica! Inoltre, Styles, sei un asso in disegno.
Lui annuì. - Grazie professore, mi lusinga.
Inarcai un sopracciglio mentre Ferguson passava oltre. - Mi lusinga?
- Cosa non si fa per un bel voto! - disse, con un sorriso smagliante.
- Io non ti capisco.
- La cosa è reciproca.
- Allora - si intromise Brooklyn. - cos’avete intenzione di disegnare?
Pensai al luogo da dove provenivo, che non era assolutamente Leicester, e ricordai quel paesaggio che ogni sera ammiravo dalla mia stanza. - Un tramonto, no? Un tramonto sul mare…
Styles troncò le mie parole sul nascere. - Scordatelo. Non sono qui per qualcosa di romantico.
- Ah sì? Quali altre idee avresti, allora, signor professore-mi-lusinga? Sentiamo.
- “Quella coi votoni” qui sei tu o sbaglio? Noi aspettiamo solo che tu tiri fuori qualche idea da utilizzare.
Corrugai le sopracciglia. - Comodo, eh?
- Molto.
 
- Non lo sopporto, puoi dire quello che vuoi ma non lo sopporto. Non. Lo. Sopporto. - era l’intervallo e stavo camminando avanti e indietro per il corridoio insieme alla mia migliore amica.
- Ma dai! Siete così carini ins-…
- Charlie, non dirlo neanche per scherzo! È stata la lezione peggiore della mia vita.
- Peggio di quando, all’asilo, ti sei cagata addosso? - cercò, con poco successo, di soffocare una risata.
- Ok, forse non proprio la peggiore… - ammisi, arrossendo al solo ricordo.
- Piuttosto - continuò lei. - secondo te cosa pensa il professore del mio disegno?
Risi. - Beh… - non potei fare a meno di ripensare alla scena.
 
- Professore! - esclamò Charlie. - Questo è il nostro disegno finito. Rappresenta la morte. - iniziò a spiegare, tutta eccitata, con un sorriso soddisfatto stampato sul volto mentre mostrava un disegno sui toni del nero, del grigio e del verde scuro.
Ferguson sbiancò. - È… ehm…  sempre un piacere vedere dei disegni così… - si asciugò delle gocce di sudore dalla fronte. - così allegri e pieni di vita. C-complimenti, Hastings.
 
Anche lei rise. - Poverino, ci è rimasto di sasso.
Ricordai i miei dubbi della sera precedente. - Charlie… a proposito di ciò di cui mi hai parlato ieri…
Si fece improvvisamente vigile, attenta. - Sì?
La guardai negli occhi, cercando di farle capire che era una cosa seria. - Harry.
- Harry? - ripeté, cercando di sembrare confusa. Ma io lo sapevo benissimo che mentiva. - Cosa c’entra lui?
- Tu non… lui cos’è?
- Lui non è nulla… lui è normale. È un Umano.
- No! - esclamai, con un vigore che sorprese anche me. - No… lui non può… tu hai detto che lui non…
La campanella fece sentire il suo rumore perfora timpani. Giusto in tempo, come al solito.
- A dopo, bella. - mi salutò Charlie velocemente, come se andasse di fretta nonostante, per quanto ne sapessi, non aveva nulla di importante da fare.
- Ciao…
 
Quella sera, su Facebook, notai con piacere che Niall aveva accettato la mia richiesta d’amicizia.
Chiamai Charlie, che sembrava aver dimenticato la nostra conversazione di quella mattina. - Charlie? Mi ha accettato la richiesta d’amicizia! - dissi, eccitata.
Potei giurare di sentirla sorridere dall’altra parte della cornetta. - Che aspetti? Scrivigli!
- No, no, no. - e se avesse pensato che io fossi troppo appiccicosa? - Ma secondo te dovrei essere distaccata? Oppure è meglio se gli parlo tanto e…?
- Tu scrivigli e basta.
Stavo per ribattere quando la finestrella della chat si aprì.
 
- Ehilà! :D
                    

Era stato lui a scrivermi. - Oddio mi ha scritto! - esclamai.
Rise. - Ti lascio alle tue pene amorose. Ciao!
- Ciao! - esclamai velocemente prima di riattaccare. Dovevo concentrarmi.
Digitai accuratamente le parole sulla tastiera, ricontrollando più e più volte di non aver fatto errori.
 
- Ciao :)
- Come te la passi? :D
 

Mi aveva scritto una faccina felice. Una faccina felice. Questo significava che era felice di parlare con me? Cosa potevo rispondere al posto del solito ‘bene’? Cercai una risposta meno banale.
 
- Si sopravvive. Tu? :)
- Idem, direi. Ma davvero ti piacciono i 30 seconds to mars? **
 

Conosceva i 30 seconds to mars? Come faceva a conoscerli? E, soprattutto, come sapeva che mi piacevano?
 
- Ovvio: sono la mia band preferita! Perché me lo chiedi? o.o
- Perché ho visto che sul tuo profilo avevi condiviso una loro canzone :D Ed io li adoro!

 
Iniziai a convincermi del fatto che fosse il ragazzo perfetto. Come se non lo sapessi già. Lui li conosceva. E gli piacevano. Non erano in molti a conoscere quella band! E poi… cos’è che aveva detto?
Rilessi velocemente il suo messaggio.
Aveva visto ciò che avevo condiviso sul mio profilo. Ciò significava che aveva visitato il mio profilo o, forse, gli era comparso sulla home. Comunque fosse andata, però, ci aveva fatto caso. Ed era un punto a favore per me.
Cercai di non far trasparire tutta la mia felicità in quel momento, anche se non potevo fare a meno di inserire come minimo uno smile.
 
- Buono a sapersi :) Non sono in molti a conoscerli... :/
- Hai ragione, purtroppo D: Vabbè, adesso devo andare :) E’ stato bello risentirti ;) Ciaoooo! :D
- Ciao! :)

 
È stato bello risentirti. È stato bello… era una delle solite frasi fatte o gli aveva davvero fatto piacere?
Caro Niall, non sai che piacere è stato per me.


 



Argh.
Ciao ciao a tutti!
Loooo so, un noiosissimo capitolo di passaggio, anche se mi è piaciuto parecchio scrivere del ritorno di Niall. E non sottovalutatelo, sarà un personaggio molto importante! :)
Vorrei ringraziare tantissimo chi ha messo questa storia la tre preferite/ricordate/seguite, e Gin7 e Holly Rosebane per aver recensito i capitoli precedenti, siete state carinissime, tanto amore. *vi lancia biscotti e orsetti gommosi (ma non quelli rossi che sono i miei)*
Ci vediamo al prossimo capitolo!
Aria.

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Capitolo 5
*** Di panda e vestiti neri ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 5: Di panda e vestiti neri
 
Il mattino dopo non c’era scuola, quindi mi limitai a sonnecchiare… o meglio, sonnecchiai finché qualcosa non mi svegliò.
A warning to the people, the good and the evil…’
Era il suono del mio cellulare. Mi domandai chi potesse mai chiamarmi alle 11 del mattino, ossia l’alba per una persona poco mattiniera come me, ma, non appena lessi il nome sullo schermo, tutto mi fu chiaro. Charlie era una nota rompipalle con la pessima abitudine di svegliarsi al sorgere del sole e potevo giurare che fosse in piedi come minimo dalle otto e mezzo.
- Buongiorno…  dissi, con la voce impastata dal sonno.
- Ehilà! - esclamò invece lei, col solito tono squillante. - Stavi ancora dormendo?
- Evidentemente. - sbadigliai. - Che vuoi?
- Mi chiedevo… non è che ti andrebbe di uscire oggi pomeriggio?
- Dove sta il trucco? - domandai, con quel poco di lucidità che mi rimaneva.
- Nessun trucco, niente inganno! Voglio solo passare la giornata insieme alla mia migliore amica. Allora puoi?
Ero troppo stanca per ribattere. - Sì.
- Perfetto, veniamo a prenderti fra un’ora, ciao!
- Veniamo? Tu e chi? - le chiesi, ma aveva già riattaccato.
Ok, avevo solo un’ora per rendermi presentabile. La mia mission impossible della giornata era cominciata.
 
Quando suonò il campanello, mi precipitai ad aprire la porta, pronta a scoprire in che luogo avrei dovuto fare il terzo incomodo tra Charlie e Louis. Dopo accurate riflessioni, infatti, ero giunta alla conclusione che la mia migliore amica mi aveva buttato giù dalle brande a quell’ora indegna solo per portarmi in qualche strambo luogo col suo ragazzo, come accadeva circa ogni mese nella speranza che, per citarla, “capisca quant’è bello avere un ragazzo, soprattutto se somiglia a Louis”. Chi mi trovai davanti, però, non era esattamente chi mi aspettavo.
- Zayn? - ero basita.
- Lo so il mio nome, grazie. - lui esibì un sorrisetto strafottente, a lato della mia migliore amica.
Non capivo.
- Cosa ci fa lui qui? - domandai, fingendo di non avere davanti agli occhi un’apparizione di due metri e venti, di cui quaranta centimetri causati dal ciuffo ben modellato col gel.
- Semplice. - rispose Charlie con la solita praticità. - Avevo per caso specificato con chi saremmo uscite? No.
Sospirai. - Chi altro c’è? - avevo capito di dovermi rassegnare.
No, non fate quella faccia. Non ero una che si dava per vinta molto facilmente, non lasciavo passare tutto con quella leggerezza, ma Charlie era Charlie e non mi potevo opporre. Avevo già commesso quell’errore in passato. Mi consolai pensando a come avrei potuto vendicarmi nelle settimane successive.
- Liam, Harry e Niall. Che sono tutti amici di Louis, quindi togliti quell’espressione, perché è la volta buona che tu capisca quant’è bello avere un ragazzo, soprattutto se somiglia a Louis. Ah, e c’è anche lui ovviamente.
Quasi mi strozzai con la mia stessa saliva al sentire il terzo nome. - Niall? Quel Niall?
Zayn mi fece un occhiolino. - Proprio lui. Ci aspettano in macchina, andiamo!
Mentre, con sguardo vacuo, percorrevo il tragitto che portava a un SUV che riconobbi come la macchina di Zayn, mi maledii mentalmente per aver indossato solo un paio di jeans e un’anonima felpa, per poi maledirmi nuovamente per aver anche solo un attimo pensato di aver bisogno di un outfit adeguato per un’uscita con gli amici di Charlie e Louis che non avevo minimamente intenzione di frequentare. I loro amici più Niall, ovviamente, il che cambiava tutto. In effetti, era già successo che la mia migliore amica mi trascinasse in giro con lei, il suo ragazzo e le amebe meglio note come Zayn, Liam ed Harry e non avevo mai capito perché ci tenesse tanto che io costruissi un rapporto non fondato sulla violenza con loro. Io non pretendevo lo stesso da lei. Non che avessi molti amici.
- Salta su! - esclamò Zayn, aprendomi una delle sei portiere.
- Questa macchina è enorme! - esclamai, stupita.
- Lo so. - rispose lui, compiaciuto. - E comunque l’avevi già detto l’altra volta. Non che a Tina non facciano piacere i complimenti. - mi ricordò, memore forse dell’ultima volta in cui eravamo andati tutti insieme a Dover. Una giornata terribile, su uno sfondo, però, magnifico. Non avrei mai dimenticato le bianche scogliere, forse anche per come mi ero accapigliata con i ragazzi che proprio non riuscivo a sopportare. Decisi di non fare domande a proposito della macchina “Tina”, anche se pensavo che fosse un nome da vecchia.
Zayn sedeva al posto del guidatore e, accanto a lui, stava Liam, che gli faceva da navigatore (siamo a posto, pensai); Charlie e Louis avevano tre sedili tutti per loro mentre, in quelli posteriori, erano comodamente spaparanzati Harry e la visione.
Niall.
Era fottutamente bello, con la sua felpa verde scuro e i suoi jeans neri.
- C-ciao. - balbettai, entrando e sedendomi.
- Ehi, El! - esclamò Niall, sfoderando quel suo sorriso magnetico dal quale, ne ero sicura, presto sarei dipesa totalmente.
Zayn mise in moto.
- Fox. - Harry, invece, esibiva il solito tono strafottente e il sorrisetto sghembo, mentre sembrava volermi fulminare. Esultai mentalmente ricordandomi che lui, non avendo mai prestato attenzione alle lezioni di Mitologia, non sapeva nulla di Zeus e non lo poteva invocare contro di me.
- Ciao! - dissero invece Louis e Liam.
Era inutile dire che ero piuttosto confusa… e non era certo una novità. - Dite un po’, da quando mi rivolgete la parola voi tre? - chiesi rivolta a Liam, Harry e Zayn.
Fu quest’ultimo a rispondere. - Mah, sai, certe cose vengono così, spontaneamente. Dopotutto, non voglio ripetere l’esperienza di un bagno gelato. - il suo tono era piuttosto divertito, e riconobbi con orrore che si riferiva a quando, proprio a Dover, l’avevo spinto nell’acqua, stufa delle sue frecciatine.
Per quanto riguardava Louis, ero ormai abituata conviverci. Del resto, me lo trovavo in mezzo ai piedi sei giorni su sette, e non era poi così antipatico, solo un pochino ansioso e leggermente petulante, ma sopportabile, in fondo.
Alzai gli occhi al cielo. - Andiamo, è stato pochi mesi fa, sono maturata da allora! Piuttosto, com’è che sei di nuovo qui? - domandai a Niall, l’unico che sembrava possedere un cervello in quella vettura. Oltre a me, sia chiaro.
Mi rivolse un altro dei suoi larghi sorrisi. - Aiuto Louis nel lavoro che fa quando non studia.
- Tu lavori? - chiesi ancor più stupita all’interessato, che rise.
- Certo! - mi rispose con tono di ovvietà. - Lavoro in un negozio di CD.
- E com’è che non ti ho mai visto in giro?
- Forse perché non hai una vita sociale! - propose Harry, irritandomi alquanto.
- Forse. - mi limitai a dire, sedendomi tranquillamente sul sedile e aspettando di arrivare a destinazione.
Notai che Liam pareva particolarmente imbarazzato.
- Ma El! - mi rimproverò Charlie. - Ti ho parlato un casino di volte di Louis e del suo lavoro…
- Evidentemente non ti stavo ascoltando, cara. - risi sotto i baffi, mentre lei assumeva un’espressione corrucciata e si rifugiava tra le braccia del suo ragazzo.
 
- Intanto dove volete pranzare? - chiese Harry, pratico, mentre passeggiavamo lungo le vie del centro di Leicester.
Strano a dirsi, ma, conoscendoli meglio, quei ragazzi erano quasi simpatici.
Quasi.
Diciamo che Louis era il più divertente, ma anche Zayn riusciva a strapparmi delle risate. Liam stava molto sulle sue, non parlava granché, ma quando lo faceva si rivelava geniale, anche se non l’avrei mai ammesso davanti a lui. Per quanto riguardava Niall… be’, era Niall. Avevo camminato al suo fianco per tutto il tempo, seppur con un po’ d’imbarazzo a causa di alcuni commenti di Styles. Ecco, lui ancora non lo sopportavo, ma la cosa era reciproca e non mi causava alcun fastidio, mi limitavo a ignorarlo. O a insultarlo, a seconda.
- Per me va bene anche un panino! - rispose Charlie, che teneva le sue dita intrecciate a quelle di Louis, mentre additavano chiunque ci passasse accanto e ridevano per qualcosa che capivano solo loro.
- O un kebab! - aggiunsi io.
- Ho capito. - sospirò lui. - Mangeremo qualcosa per strada.
- Però. - commentai. - Perspicace, il ragazzo.
Non ne andavo fiera, ma mi ero sbagliata su di loro. Su quasi tutti.
- Ellen?
Mi voltai verso la fonte del rumore. - Liam?
- Possiamo parlare un secondo?
- Ma certo.
Lasciai andare avanti i ragazzi, mentre lui ed io rimanevamo un po’ indietro.
- Senti… - iniziò. - Charlie mi ha detto che ti ha raccontato. - alludeva sicuramente a quella famosa sera.
- È così. - ancora una volta in quella giornata, mi chiesi come avessi fatto a crederlo antipatico, nonostante tutti i complimenti che la mia migliore amica gli faceva costantemente.
Abbassò lo sguardo. - Scusa per quello che è successo, non so cosa mi sia preso. Non l’ho fatto apposta, penso sia successo qualcosa, ma non me lo so spiegare, e ti giuro che anche se non mi stavi simpatica non l’avrei mai fatto. Nemmeno se ci fosse stata la mia prof di Tecnica che è insopportabile l’avrei fatto, quindi figurati con te.
Che carino, pensai, almeno mi ritiene più simpatica della Bigby. Gli sorrisi. - Non c’è problema, tranquillo!
Spalancò gli occhi. - Sicura?
- Certo! Non hai fatto niente. Non di tua spontanea volontà.
Mi rivolse un occhiolino malizioso che ben poco gli si addiceva. - Per fortuna che c’era Niall allora, eh?
- Già… - mi sorse un dubbio. - Secondo te lui sa che Charlie mi ha raccontato tutto?
- Io dico di sì. - fece un sorriso incoraggiante, e per l’ennesima volta mi ritrovai a rivalutarlo, dandomi della stupida.
- Dovrei ringraziarlo. - conclusi, mentre ci riunivamo agli altri.
Il vento batteva sulla città quel giorno, sferzava i nostri visi e agitava i nostri capelli. Lungo la via non era difficile incontrare gruppetti di bambini che giocavano ad ‘acchiapparello’, mentre degli agitatissimi adulti li rincorrevano. Nonostante il freddo, però, era piacevole passeggiare in compagnia.
- Lì. - Charlie indicò un chiosco poco lontano. - Lì possiamo prendere qualcosa. Ho fame.
Louis la strinse di più a sé mentre ridacchiava. - Tu hai sempre fame.
 
Mentre addentavo il mio kebab, una goccia di sugo mi arrivò dritta sul collo.
Harry, col suo hot dog in mano, ridacchiò. - Sei… un po’ sporca.
- Dove? - domandai dal momento che, distratta com’ero, non mi ero accorta di nulla, e iniziando ad analizzare i miei vestiti, per identificare eventuali macchie da nascondere.
Le sue dita indicarono un punto imprecisato vicino alla mia gola, fino a toccarlo. - Qui. - fece, con tranquillità.
Quel contatto col suo indice ruvido mi aveva provocato i brividi… e non solo perché era gennaio. Erano dei fremiti, dei sussulti incontrollabili.
Cos’era Harry Styles?
Mi calcai sulla testa il mio cappello da panda.
- Allora lo metti! - disse Charlie con un dito puntato verso di me, con fare accusatorio.
Sbuffai. - Solo perché non trovavo altri cappelli in giro. - inarcai un sopracciglio nell’osservare il suo copricapo raffigurante una scimmia. Adorava le cose strane, compresi i cappelli: non era una novità che, per Natale, me ne avesse regalato uno a forma di panda che, sosteneva, era un animale che mi rappresentava parecchio.
- Quant’è puccioso questo cappello! - constatò Niall sfilandomelo dalla testa e, di conseguenza, spettinandomi tutta.
Tentai disperatamente di appiattire quella massa informe che erano i miei capelli, ma era tutto inutile.
Se lo mise in testa e iniziò a camminare per la città fischiettando come se niente fosse, mentre io lo seguivo, in preda alle risate.
- Tu sei matto. - sospirai per riprendere fiato, mentre se lo sfilava e me lo rimetteva addosso.
- Posso? - domandò Styles, prendendolo e indossandolo a sua volta.
- Penso che stia particolarmente bene ai ricci. - commentò Louis, rivolto a me ed Harry e indicando il panda che, in breve, fu indossato da tutti.
Da tutti, sì, ma non da Zayn.
- Siete matti? - aveva quasi urlato. - Mi si rovina il ciuffo così.
 
Fu quella sera che accadde.
Avevo voglia di prendere una boccata d’aria e uscii, con una tuta, per recarmi nei campi vicino alla mia piccola casa. Niente di particolare, bazzicavo per quei campi da quando avevo dieci anni, ormai li conoscevo come le mie tasche. I miei erano andati a cena fuori e sarebbero ritornati solo ore dopo.
Stavo camminando nell’erba alta, ormai quasi del tutto congelata, ma mi sentii tirare a terra.
Sbattei la testa. Qualcosa mi teneva saldamente ancorata al terreno.
Successe in fretta. Troppo in fretta.
Sentii una voce fredda, quasi un sibilo, nell’orecchio. - Conosco le tue paure.
Qualcosa si materializzò davanti a me. Era una figura indistinta, che tendeva al rosso, ma anche al blu.
Strizzai gli occhi e mi resi conto che si trattava di un clown. Somigliava terribilmente a IT, con un cespuglio di capelli in testa e un ghigno spaventoso stampato sul viso. Sempre che quello si potesse definire viso.
Si stava avvicinando a me, con grandi falcate dei piedi coperti da scarpe enormi, illuminato dalla fioca luce della luna.
Spalancò la bocca, mostrando una serie di denti aguzzi, affilati, appuntiti e bianchissimi.
Urlai e provai a chiudere gli occhi, ma non ci riuscivo.
Iniziai a tremare come non mai.
Urlai ancora e ancora e mi domandai perché non riuscissi a non guardare. Qualcosa me lo impediva.
- Conosco i tuoi segreti. - ancora quella voce.
Vidi, proprio davanti al mio naso, susseguirsi i miei enormi segreti, quelli di cui nemmeno Charlie era a conoscenza.
In particolare un episodio di qualche tempo prima.
Ero in un bagno.
Piangevo.
C’era del sangue che macchiava il piatto della doccia, qualcuno d’indefinibile accasciato al di sopra.
Di nuovo provai a chiudere gli occhi, mentre il cuore mi martellava nel petto, mentre mi veniva da vomitare, mentre le prime lacrime sgorgavano dai miei occhi, mentre un nodo enorme mi stringeva la gola e pareva non esserci verso di scioglierlo.
E poi tutto finì.
Così com’era cominciato, finì.
Di nuovo, per la seconda volta in quel mese, qualcuno mi gettò di lato e l’unica cosa che udii fu un grido. E non era il mio.
So solo che mi rannicchiai accanto ad un albero, incapace di proferire qualsiasi parola, e cominciai a fare dei respiri seguendo la tecnica che mi era stata inculcata con tanta precisione qualche tempo prima. Non potevo lasciare le lacrime prendere il controllo di me, e fu con quest’idea che provai a calmarmi.
Riuscii a chiudere gli occhi.
Mi portai le mani davanti ad essi per coprirmeli ulteriormente. Non volevo vedere nulla.
Tremavo come una foglia scossa dal vento, la paura mi pervadeva.
Cos’era successo?
Qualcosa, o meglio, qualcuno, si avvicinò a me. Potevo avvertirne la presenza. Lo sentivo.
Mi sfiorò la guancia, ma io mi ritrassi.
Il cuore iniziò a battere ancora più forte a quel tocco.
- Fox? - quella voce era terribilmente familiare. - Fox? Come ti senti?
Scossi leggermente la testa e sentii un braccio attorno alle mie spalle. Non c’era, per me, possibilità di scappare.
 
Adagiata su un divano che aveva il profumo di casa mia, mi costrinsi ad aprire gli occhi per vedere chi fosse la persona che mi ci aveva portato.
Le mie guance erano leggermente appiccicose a causa delle lacrime che erano cadute durante quel qualsiasi cosa fosse successo.
Ero tremendamente scossa.
- Ehi… - di nuovo quella voce. Quella voce calda, roca, profonda.
Un paio di occhi verdissimi, delle labbra carnose, una fronte corrugata e un’espressione preoccupata sul volto. Era lui.
- Styles? - trovai il coraggio di dire dopo alcuni secondi di silenzio totale. Un silenzio assordante, considerati gli urli che avevo sentito fino a qualche minuto prima. La mia voce era ridotta a un sibilo soffocato.
Mi misi a sedere e ispezionai il mio corpo. Delle braccia mi cingevano i fianchi e, senza ombra di dubbio, mi trovavo sul divano letto di casa mia.
Mi stava abbracciando?
Puntai i miei occhi nei suoi e lo guardai. Uno sguardo implorante, impaurito, pieno di domande e lacrime che, nonostante tutto, erano sfuggite agli esercizi che avevo messo in atto per recuperare il controllo.
Harry ne acchiappò una col pollice, la intercettò prima che potesse colarmi lungo la guancia, e così fece per tutte le altre. Era tremendamente rassicurante.
- È tutto a posto, tranquilla. - sussurrò, continuando a carezzarmi le guance e tenendomi stretta a lui.
Il ritmico battere del suo cuore mi tranquillizzò leggermente. Lui non sembrava neanche Harry. Per lo meno, non quello che conoscevo. Quella situazione aveva del surreale e, se avessi potuto, mi sarei data un pizzicotto per svegliarmi da quel sogno. Ma non l’avrei fatto, non finché ci sarebbe stato uno Styles con tutte le risposte che cercavo. Anche se non sopportavo l’idea di apparire debole di fronte ai suoi occhi, così vulnerabile. Io non ero vulnerabile, non ero impotente, io ero Ellen Fox e potevo tutto quello che volevo. Così mi avevano detto, quella era una cantilena costante nella mia vita.
- Cos’era? - riuscii soltanto a chiedere.
Accennò un mesto sorriso, mentre continuava a guardare i miei occhi. - Non penso che sia ora che tu lo sappia, Fo-... El. Dove dono i tuoi?
Bella storia, quella dei miei. Bella, lunga storia. - Sono a cena fuori. Per favore, devo sapere. - insistetti.
Sospirò. - E va bene. Ma hai bisogno di riposo, ok? Non è una cosa facile.
Annuii, ma il movimento del capo mi provocò un enorme mal di testa.
- Sei stanca. Quello che ti è successo è… spossante. Può far male. E molto.
- Sei un esperto in materia… - constatai, mentre mi afflosciavo come una torta senza lievito.
- È permesso? - all’udire della voce, che non era affatto quella di Harry, ritornai tesa come la corda di un violino.
E lui evidentemente se ne accorse. - Sta’ calma. Non ti succederà più nulla, te lo assicuro, nulla. - quelle parole mi sembrarono più confortanti di quanto sarebbero potute sembrare a qualsiasi altra persona, che le avrebbe giudicate come uno stupidissimo cliché, vuoto e senza senso.
- Come sta? - una voce concitata si rivolse a Harry, che parlottò un po’ col proprietario di quel tono.
Davanti a me, ora, c’erano due paia di occhi.
- Niall? - ero ancora più stupita. - Perché? - furono le uniche parole che mi uscirono dalla bocca.
- Lui ti saprà raccontare meglio cos’è successo. - mi spiegò Harry. - L’ho chiamato io.
- El - iniziò Niall. - avrei solo una curiosità, prima di iniziare. Mi serve saperlo, dobbiamo capire cosa ci troviamo davanti. Tu devi aver già sofferto nell’ultimo periodo, diciamo negli ultimi cinque anni. Non ti chiedo cosa ti sia successo, solo… è cosi? - sembrava cauto, quasi avesse paura di ferirmi.
Aveva ragione. - Sì. - risposi.
Sentii le braccia di Harry stringermi ancora più forte, mentre il biondo si sedeva accanto a noi e sospirava. Indossava un completo nero. - Sei stata aggredita. Da un Demone.
- Che cosa? - il mio tono di voce era un po’ più colorito.
- Sì. - continuò. - Un Demone. Somigliano parecchio a quelli dei libri, in effetti.
- Cos’ha fatto? E perché tu - mi rivolsi a Harry. - eri lì?
- Charlie. - disse semplicemente. - Ricordi che può leggere il futuro? Aveva visto cosa ti sarebbe successo.
- Non mi ha avvisato… - mormorai, incredula. La mia migliore amica aveva permesso un’aggressione di quel genere?
- Non poteva. - m’informò Niall, e mi diede fastidio che stesse cercando di difenderla. - Non le era consentito dirtelo.
- A me no e a lui sì? - sbottai, indicando Harry.
Tutto quello non aveva senso. Perché mi ero cacciata in una situazione del genere?
- Non sempre le previsioni degli Oniridi si avverano. - continuò a spiegarmi il biondo con pazienza e non riuscii a non pensare a quanto il nero facesse risaltare i suoi occhi. - Soprattutto per quanto riguarda Charlie, che è stata salvata da Louis e non possiede i poteri comuni a tutti quelli… - si fermò un attimo per ponderare le parole. -… come lei. - concluse infine.
Sbuffai stancamente. Non capivo, continuavo a non comprendere cosa c’entrassi io in tutto quello e perché, dopo diciassette, tranquillissimi anni, dovesse tutto capitare in un colpo. Dovevo iniziare a vivere nella perenne paura di un attacco, di un’aggressione? Dovevo chiudermi in casa e marcire in compagnia dei miei spassosissimi genitori? Come se non bastasse, quella fortissima emicrania mi stava lacerando.
- Sei troppo stanca, Fox. - disse il riccio, e lì mi resi conto che mi stava ancora stringendo. E che non mi dispiaceva. - Forse dovresti andare a riposarti.
- Harry - il tono del vampiro si era improvvisamente fatto grave. - Non è sicuro per lei stare da sola, non stasera. Sai cosa implica questo tipo di attacchi.
Ricominciavo a non capire nulla e quando Harry sciolse il suo abbraccio per accompagnare Niall in un’altra stanza, sentii un’ondata di gelo travolgermi e una sensazione di vuoto incolmabile. Quel Demone, o qualunque cosa fosse, aveva risvegliato tutte le mie paure più profonde, tutti i momenti che avevo da tempo gettato nel dimenticatoio, perché era proprio questo che volevo. Dimenticare. Ma, a quanto pareva, neanche quello era possibile.
Sentii la nausea farsi strada in me, salirmi alla gola, ma ricacciai l’impulso di vomitare perché udii altri passi dirigersi in salotto. Timorosa che potessero essere i miei genitori, mi ridistesi sul divano fingendo di dormire, ma il mio incontrollabile tremito mi avrebbe tradito. Certo, se fossero stati loro.
- So che non stai dormendo. - la voce di Harry mi arrivò come… attutita da qualcosa. Poi mi ricordai di essermi lanciata il cuscino sulla testa.
- Tu non te ne vai? - domandai, forse con un pizzico di acidità, pregando in cuor mio che la risposta fosse no perché avevo terribilmente paura.
- No, se non vuoi.
Non poteva rispondermi in quel modo. Chiunque a quel mondo sapeva che ero terribilmente orgogliosa e che lo avrei cacciato senza troppi complimenti. Invece, mi ritrovai a rispondere in maniera enigmatica, perché io non volevo restare sola, non quella sera: - N-Niall ha detto che non è sicuro. Se ha detto la verità, puoi restare. Ma…
Sembrò quasi sorridere. - Ma cosa?
- I miei genitori non apprezzerebbero. - sussurrai, ricordandomi del problema. - E nemmeno io, in situazioni normali.
A quel punto, sorrise apertamente. E quello sul suo viso, ne ero sicura, non era più un ghigno. - Sono piuttosto bravo a non farmi vedere, sai?


 


Argh.
Salve salve!
Argh, capitolo piccantino e pieno di sorprese, questo. Cosa sarà stato quell'attacco? E di cosa trattavano i segreti di Harry?
Ma soprattutto, perché sono così dannatamente presa dal kebab nell'ultimo periodo?
C'è poco da dire, vi lascio con una piccola chicca maledettamente fluff rubacchiata dal telefono di Charlie. Quanto shippo la Chouis.
Coooomunque, spero che le cose inizino a farsi interessanti, personalmente ho riletto questo capitolo milioni di volte, non mi convinceva mai.
Oh, volevo comunicarvi che, nonostante le vacanze imminenti, non credo di interrompere con la pubblicazione. O comunque lo spero veramente tanto.
E se proprio volete sapere il mio parere, io sono innamorata di Niall, in questa storia, credo sia il mio personaggio preferito. Detto questo, vi saluto e ringrazio chiunque perda tempo dietro questa long senza troppe pretese.


Aria.

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Capitolo 6
*** Se non ci fossimo noi ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 6: Se non ci fossimo noi
 
Quando mi alzai, la mattina successiva, sentii un certo peso sulla spalla e, girandomi, mi accorsi che Harry si era addormentato e il suo viso era beatamente poggiato su di me. Mi soffermai a guardarlo (aveva l’espressione beata, lui, mentre io parevo sicuramente un mostro) prima di osservarmi allo specchio. Se non avessi avuto paura della reazione dei miei genitori, avrei urlato. C’era qualcosa sul vetro, in rosso, pareva una scritta. Mi sembrò che qualcuno stesse stringendo il mio cuore in un pugno e avevo paura, perché non conoscevo le dinamiche in cui sarebbe potuto avvenire un altro attacco e io, di quel che era successo la sera precedente, non volevo più saperne.
Fu allora che mi ricordai di Harry e la mia intenzione era quella di chiamarlo, peccato che lui fosse già sveglio, in piedi accanto al mio letto.
- Che cosa? - chiesi, confusa. - Cosa… quando ti sei svegliato?
- La giusta domanda dovrebbe essere “quando ti sei addormentato?”, Fox. Quando uno è abituato ad andare alle feste, fa fatica a prendere sonno a certi orari da nonna. - mi spiegò con tono saccente, irritante almeno quanto quello che utilizzava di solito. - Ma dubito che tu possa capirlo. - ecco di nuovo i suoi insopportabili modi presuntuosi. - Stai meglio?
- Veramente… - mormorai incerta, indicandogli lo specchio di fronte a me.
Lui vi si accostò immediatamente, gli occhi sbarrati, la bocca che formava una grossa O. Pensai che fosse il ritratto dello stupore. - Merda. - imprecò, digrignando i denti e tirando immediatamente fuori il cellulare dai pantaloni. - Louis? Abbiamo un problema.
Io avevo solo una domanda: aveva intenzione di cambiarsi le mutande?
Gettai per l’ultima volta uno sguardo ai caratteri rossi, senza avere la minima intenzione di scoprire con cosa fossero stati tracciati, né quando. “Attenta. - P.A.U.R.A.”
 
I giorni seguenti furono concitati e iniziavo a rimpiangere la noiosa monotonia che aveva caratterizzato le mie giornate sino alla rivelazione. Tutto intorno a me era un fremere di gente che improvvisamente ci teneva a starmi vicino, e questa “gente” era principalmente Harry, che cercavo di evitare come la peste. Peccato però che, secondo Charlie, avrei dovuto stargli accanto, che ne andava della mia vita, che avrei dovuto essergli grata per come mi era stato accanto quella sera eccetera eccetera. E come se non bastasse, Louis, Liam e Zayn le davano man forte. E da quando si fossero messi in testa di dirmi cosa fare, non ne avevo idea. Dopo quel messaggio sullo specchio, che per ripicca consideravo ormai uno scherzo di cattivo gusto di Styles, non potevo andare in giro senza avere la sensazione di possedere una guardia del corpo, e non era divertente che qualcuno monitorasse la mia vita. Persino i miei genitori erano incuriositi. Già, la loro figlia dalla scarsa vita sociale che portava degli amici a casa per passare il pomeriggio, alquanto curioso. Accanto a me, le persone sembravano terrorizzate, impaurite, cercavano in tutti i modi di non lasciarmi mai sola e continuavano a ripetermi che non avrei dovuto prendere la cosa così alla leggera. Ma vediamo se rendo l’idea: prendo la cosa alla leggera perché non ho la minima idea di cosa stiate parlando, forse? Loro e i loro stupidi segreti. Avrebbero potuto raccontarmi tutti i film mentali che popolavano le loro testoline bacate, pensavo, avrei saputo benissimo badare a me stessa senza tanti maggiorenni a salterellarmi attorno. Non avevo idea della grandezza di ciò in cui ero coinvolta. E nemmeno di cosa questo sarebbe diventato.
 
Un giorno, un ventisette gennaio terribilmente simile alle mattine precedenti, Charlie arrivò di corsa al mio armadietto con un’aria eccitata al massimo, ma non ebbe nemmeno il tempo di dire “cioccolato” perché io la interruppi. - Se è una festa, è un no.
La sua espressione si fece delusa per un secondo, ma ritornò subito allegra come sempre. - Mi dispiace, ma non hai possibilità di scelta. Domani sera sei ufficialmente invitata alla festa più attesa dell’anno. E la più frequentata da ragazze importanti, pare.
La guardai interdetta. - Che cosa vorresti dire? Lo sai che sono contraria a queste cavolate, come se m’importasse di un branco di ochette giulive che se non “rimorchiano” - mimai le virgolette con le dita. - non sono soddisfatte della serata trascorsa. E poi chiami tutte le feste “festa dell’anno”.
- Oh, aspetta di sentire di chi è la festa. - ammiccò, come se il nome di un semplice ragazzo avesse potuto farmi cambiare idea. - Niall Horan.
Okay, forse quel nome poteva farmi cambiare idea. Ma quello era un colpo basso. - Ma questo è un colpo basso. - protestai infatti.
- Lo so, cara. - sfoggiò il suo sorriso straordinariamente irritante. - Ci vediamo da me alle cinque. Sai, per prepararci.
 
- E poi è troppo corta, mi si vede la ciccia. - sbuffai per l’ennesima volta.
- È l’ennesima volta che lo dici. - appunto.
Seduta sul letto della stanza di Charlie, mi diedi un’occhiata attorno: sembrava si fosse appena tenuta una guerra. C’erano vestiti dappertutto, addirittura una t-shirt era appesa alla maniglia della porta, trousse piene di futili trucchi erano sparpagliate in giro, un mascara stava per cadere dall’armadio sul pavimento e una boccetta di smalto giallo fluorescente stava riversando il prodotto al suo interno sul tappeto.
- Non posso andare vestita così. E poi sicuramente non si ricorda nemmeno di me! - obiettai. - E anche se si ricordasse, è fidanzato. E non m’importa se mi dici che non lo è, comunque non ho speranze.
La mia migliore amica mi squadrò. - Nah, stai benissimo. Smettila di farti problemi. - sapevo che lo diceva soltanto perché era da un’ora che continuavo a pronunciare le stesse frasi, sembrando un disco rotto. Anche la sua pazienza aveva un limite, purtroppo.
- Smettila di farti problemi? - ripetei, con enfasi. - Hanno cercato di uccidermi due volte in una settimana, non mi sembra che questo sia un problema.
Lei sbuffò. Come faceva da parecchio tempo in effetti, ma al mio occhio esperto sembrò di cogliere un certo irrigidimento da parte sua. - Ora andiamo, ci staranno aspettando sotto da almeno mezz’ora.
- Staranno? - ripetei. - Louis e chi?
- A dire la verità - ammise Charlie, arrossendo un pochino. - Louis è già alla festa. Sotto c’è Liam e… ehm… gli serviva un passaggio e visto che non c’erano problemi… - dicendo questo scese le scale velocemente, per impedirmi di fare altre domande.
Solo a metà strada mi resi conto di somigliare terribilmente alla già citata Blaineley. Non mi piaceva quella gonna rossa a fantasia scozzese. O quel top nero. O le calze dello stesso colore. Nemmeno gli stivaletti che adoravo tanto mi piacevano più. Né tantomeno la giacca che stavo usando per coprirmi.
- Charlie? - chiamai, mugugnando.
Lei sospirò. - Sì?
- Sembro una puttana? - chiesi.
Non ebbe nemmeno la voglia di rispondermi e corse fuori da casa sua. Certo, quale migliore amica non risponde alle domande di una ragazza triste e ansiosa che sta per incontrare il ragazzo più bello che abbia mai conosciuto e per di più alla festa dell’anno? Tze.
Quando fui fuori e guardai di fronte a me, spalancai la bocca. La richiusi. Mi strofinai gli occhi, sperando che il mio trucco non finisse per posarsi sulle mie mani nonostante questo fosse inevitabile, ma confidavo nei prodigi del waterproof. Li riaprii e la scena era ancora lì.
- Liam mi andava ancora bene. - mi lamentai ad alta voce mentre salivo su una macchina che mi pareva un carro funebre, senza paura che i diretti interessati potessero udirmi. - Ma Styles. Perché sempre Styles?
Fu proprio quest’ultimo a rispondermi, con un ghigno sul volto che trovai a dir poco patetico. - Ammettilo che non riesci a stare un secondo lontano da me.
- Hai ragione. - dissi, fiera della reazione di shock che queste mie parole gli provocarono. - Perché un secondo lontano da te è troppo poco. - aggiunsi soddisfatta, incrociando le braccia al petto e sorridendo verso Charlie. Me l’avrebbe pagata, oh, se me l’avrebbe pagata.
Il luogo della festa era carino: un localino intimo, il che significa stipato da centinaia di persone, dal quale proveniva della musica consona alla gente della mia età, il che significa che a me faceva schifo, e il cui cibo avrebbe accompagnato i drink, il che significa che era lì invano per prevenire troppe ubriacature. Fu allora che fui presa da un colpo di genio. - Charlie... - mormorai, non tanto sicura che potesse sentirmi.
- Sì? - mi rispose invece quella.
- Dimmi che oggi non è il compleanno di Niall, ti prego.
Sentii un pizzicotto sui fianchi e mi voltai stizzita verso quella brutta faccia di Styles. - No, ma mercoledì primo febbraio è il mio, e sarebbe gradito un regalo.
- Ah sì? - domandai, scettica, prima di accorgermi che la migliore amica si era dileguata. - Del tipo?
La sua faccia si fece improvvisamente maliziosa.
- Anzi, non credo di volerlo sapere. - conclusi, dirigendomi all’interno. - Ma te l’assicuro, non passerò un’altra serata in tua compagnia.
- Oh sì, vai pure a cercare Niall. - enfatizzò particolarmente l’ultima parola, dandomi parecchio ai nervi. - Tanto lui non sarà mai bello, attraente, affascinante e misterioso come me.
- L’unico mistero è dove sia finito il tuo cervello. Cos’è, l’hai usato come pallina da baseball o era troppo piccolo? - così dicendo me ne andai, cercando davvero il bel biondo. Ripensandoci, quel mica tanto velato insulto non era niente male, mi annotai mentalmente di riutilizzarlo in futuro.
Non sapevo della svolta che la mia vita avrebbe preso da quel giorno.
Il locale, all’interno, mi dava una brutta sensazione di claustrofobia, nonostante non fosse per niente piccolo. Il DJ, possiamo dircelo, stava mettendo della musica davvero pessima, eppure tutti continuavano a dimenarsi come se non ci fosse un domani. Nella zona bar c’era parecchia fila, il che significa che la mia Coca Cola avrebbe dovuto aspettare.
- Pensavo che sarebbe stata un’impresa convincerti a venire.
Ebbi un attimo di scompenso mentale in cui cercai di rimettere a cuccia gli ormoni, che parevano intenzionati a imitare i ragazzi scatenati sulla pista da ballo. - In effetti lo è stato. - ammisi, sorridendo imbarazzata. Niall era bellissimo, lo era davvero. E l’unica cosa che volevo era coprirmi il più possibile, perché sapevo che scoprire i punti deboli del mio corpo, quelli in cui la maggior parte delle ragazze ha dei difettucci che cerca in tutti i modi di nascondere, non era una mossa vincente. Dannata Charlie che me li faceva mettere in mostra. Pensai a una formula per far sparire la cellulite che avevo ereditato sulle cosce da mia madre, confidando negli incantesimi non verbali citati in Harry Potter e il Principe Mezzosangue, prima di ricordarmi che comunque avevo le calze e teoricamente non avrebbe dovuto notarsi eccessivamente.
Il bel biondo si avvicinò a me. Aveva un bicchiere con uno strano liquido blu all’interno, e sembrava intatto. - Poco male, l’importante è che tu sia venuta, o questa festa non avrebbe avuto senso. - mi fece l’occhiolino e pensai che un infarto sarebbe stato un magnifico modo per morire.
- Ehi, cosa intendi dire? - quell’”ehi” era maledettamente stupido.
- Oh, niente. - finse indifferenza. - Piuttosto - e indicò il bicchiere. - ti va un po’ di questo?
Riflettei un attimo. Fare la figura della verginella inesperta e rifiutare o assaggiare solo un sorso per poi sputare subito? - Giusto un pochino. Non reggo molto l’alcool. - ammisi.
Le sue labbra si spiegarono in un grande sorriso, che mi fece solo soffermare di più sulla sua bellezza. Fui tentata di chiedergli se tutti i vampiri fossero così belli, ma mi trattenni. - Non è niente di forte, non ti preoccupare. Credo sia in assoluto la cosa più buona del mondo.
Nel prendere il bicchiere che mi porgeva, feci di tutto per non toccare la sua mano ma, com’era ovvio, non ci riuscii. Il solo tocco mi provocò una scossa che si propagò in tutto il corpo e mi resi conto di quanto fosse strano, quasi... sembrava quasi che fossi sotto un incantesimo. Scossi la testa per allontanare il pensiero e sorseggiai il liquido. Era dolce, molto dolce. - Non è male. - constatai.
- Lo so. - rispose, soddisfatto, mentre mi si avvicinava per riprendere il bicchiere. - Credo sia il terzo di questa sera.
- E non sei ancora ubriaco? - chiesi, a occhi sbarrati.
Lui mi scompigliò i capelli. - Non è così facile ubriacarsi. Sono irlandese, mica come te. - rise.
 
Sorrisi al ragazzo con cui avevo passato l’ultima ora. Era così bello stare in sua compagnia. Mi sembrava quasi di... ripensai all’espressione da me coniata poco prima. Sì, mi sentivo come in un incantesimo, così soggiogata da lui che quasi non sembravo io quella che parlava.
- Sto morendo di caldo, vado a riprendere quella cosa blu. - rise per l’ennesima volta Niall ed io acconsentii, aspettandolo in piedi come un’idiota. Ed era proprio quello il modo in cui io mi sentivo: un’idiota. Non capivo perché.
Intravidi tra la folla una Charlie adorante, che danzava col suo ragazzo e sorrisi tra me e me: quei due non sarebbero mai cambiati. Zayn e Liam si trovavano nello stesso gruppo di amici e parlottavano, ridendo di tanto in tanto. Non vidi Harry, ma la cosa non mi toccò più di tanto. Fu qualcos’altro, invece, ad attirare la mia attenzione: una figura nera, il volto della quale era indistinguibile, camminava, ma nessuno pareva accorgersene. Il passo era spedito, qualcosa d’inquietante la circondava. Ma c’era qualcosa di ancora più inquietante in tutto quello: veniva verso di me.
La scena che seguì fu quella da cui scaturirono gli eventi che vi sto per narrare. Ma procediamo ordinatamente.
Quando fu davanti a me, mi coprii la testa con le mani, come a cercare di proteggermi. Non mi piaceva. Quella persona, sempre che così si potesse definire visto che non ero a conoscenza di cosa nascondesse sotto il cappuccio, tese una mano verso di me, e mi scansai. Non volevo che mi toccasse. Reagì con violenza, questa volta riuscì a prendermi la fronte e iniziò a stringermela forte, violentemente, come se volesse spremermi il cranio per farvi fuoriuscire qualsiasi cosa. Provai a difendermi, a lottare, non mi davo per vinta facilmente, ma qualcosa non andava. Il mio corpo non rispondeva ai comandi. E perché nessuno si accorgeva di noi? Perché eravamo soli, io e quella cosa, e nessuno accorreva in mio aiuto? E cos’era quella macchia scura che si muoveva dietro dell’aggressore? Ricordo che, quando la sua mano si staccò dalla mia fronte, caddi in terra, non dopo una dura, vana lotta per riprendere il controllo.
 
Quando riaprii gli occhi, mi sentii accecata da una luce troppo forte e li richiusi immediatamente. Provai a muovere un dito. Funzionava! Un po’ intorpidito, ma in fondo tutte le volte che mi risvegliavo dopo un lungo sonno mi formicolavano braccia e gambe. Provai col piede. Funzionava anche quello!
- Ti prepari per il balletto, Fox? - una voce irritante, l’ultima che avrei voluto sentire, si fece largo rovinando la mia esaltazione per aver riacquistato la sensibilità degli arti.
- Non sei degno di citare Harry Potter. - risposi a tono e udii qualche risatina sommessa. - Chi altro c’è, oltre a te?
Qualcun altro si avvicinò, un profumo familiare m’investì le narici e riconobbi la voce della mia migliore amica. - Per mille folletti, ma allora non sei morta! Ehi Harry, te l’avevo detto che non era morta.
- Già, peccato. - aggiunse quello, con noncuranza.
Riaprii nuovamente gli occhi, ma solo per lanciargli un’occhiata truce che non mi riuscì molto bene a causa della luce negli occhi. - Queste non sono cose da dire. - lo rimproverai. - E poi, che ci fai qui con Charlie e a quello laggiù non identificabile? E precisamente, dov’è qui?
“Non identificabile” si avvicinò a dovunque fossi poggiata, ridendo e rendendosi immediatamente identificabile. - Niall? - chiesi con circospezione.
- In persona. E per la cronaca, qui è fuori dal locale in cui ti trovavi fino a due minuti fa.
- Oh. - alzai con fatica un braccio per grattarmi la testa, confusa. - Allora non sono impazzita, si sente davvero la musica. - poi un improvviso brivido mi scosse. - Cos’era quella cosa nera?
Si udirono tre sospiri in contemporanea, ma fu Charlie a rispondermi. - El, forse non è il momento migliore.
Harry le diede manforte. - Sì, non è il caso di parlarne, sei ancora molto indebolita.
Mi rialzai di scatto per dimostrare loro che non ero affatto indebolita, col risultato che ricaddi all’indietro. Peccato, non mi sarebbe dispiaciuto avere qualcuno che mi reggesse. Qualcuno come Horan, giusto per nominarne uno a caso che sicuramente non era il mio tipo.
E fu proprio il bel biondo a prendere la parola. - Forse sarebbe il caso che conoscesse la verità.
Annuii con vigore, anche se avvertii male al collo e un paio di ciuffi di capelli dentro gli occhi. - Ecco, forse sarebbe il caso che conoscessi la verità. - ripetei. Nel frattempo, un occhio occupato dai miei capelli aveva iniziato a lacrimare e non potei fare a meno di pensare che Harry Styles portasse veramente iella perché, ovunque fosse lui, succedeva qualcosa di brutto.
Charlie rivolse a Niall un’occhiata grave. - Non penso che...
- Oh, andiamo, smettetela di parlare come se non ci fossi e ditemi cos’è successo. Qualcuno attenta alla mia preziosa vita - mi premurai di calcare bene il “preziosa”, nel caso in cui Styles avesse avuto qualcosa da commentare. - e vi ostinate a tenere tutti i vostri segreti per voi? Perché non mi dite da cosa devo nascondermi, invece? Un pazzo maniaco? Uno stalker? Cosa?
Passarono ancora molti, irritanti secondi, caratterizzati da un altrettanto irritante scambio di sguardi carichi di significati tra Charlie, Harry e Niall prima che, finalmente, il riccio si degnasse di rispondermi. - Fox, per quanto mi costi dirlo, noi crediamo che tu abbia qualcosa di... - fece una pausa. - speciale, in un certo senso. E che qualcuno stia cercando di arrivare a questo “qualcosa”, ma ovviamente per farlo ha bisogno di te.
Mi sollevai e, con un certo sforzo, riuscii a mettermi seduta. - Ma cosa andate cianciando? E in che modo potrebbe mai aver bisogno di me?
Charlie s’inginocchiò accanto a me, poi mi passò un braccio attorno alle spalle e strinse, leggermente, come a volermi far sentire che lei era lì. - Non ti abbiamo raccontato tutto l’altro giorno. Come sai, questo mondo non è popolato solo da Umani. Il punto è che credevamo che anche tu fossi un’Umana, e che quindi non corressi alcun rischio venendo a sapere di noi.
- E non è così? - chiesi, impaziente che arrivassero al punto.
- Non esattamente. - le sue guance si tinsero leggermente di rosso. - Per il momento non siamo del tutto sicuri di cosa stia succedendo, non possiamo darti altre informazioni, ma c’è bisogno che tu sappia che non tutte le persone non Umane sono come noi. Alcuni di loro non tornano alla loro forma originaria dopo la trasformazione.
Non capivo. - Significa che se io fossi un licantropo, resterei tale anche dopo la luna piena?
- Esattamente. - intervenne Niall. - Non è una cosa naturale, è un processo che questi pazzi furiosi s’inducono da soli per... - fece una pausa, come per rifletterci. - be’, non ho alcuna idea del perché lo facciano, ma lo fanno, ed è una cosa che non va trascurata. Perché trasformarsi fa male, molto male e, se si prolunga l’azione per più del dovuto, le conseguenze possono essere disastrose.
- E tutto questo cosa c’entra con me? - mi sentivo come se la mia testa potesse esplodere da un momento all’altro.
Sembrava che non sapessero come spiegarmelo e, a quel punto, anche il biondo si avvicinò a me. - Vedi, alcune di queste persone si sono riunite, formando una sorta di gruppo di pazzi fanatici. Questi cercano una persona della cui identità si è dubitato per molto tempo. Per molto tempo fino al tuo attacco. Ricordi il messaggio che hai trovato scritto sul tuo specchio?
Mi sembrò che tutto fosse accaduto il giorno prima, nella mia mente balenò l’immagine. - Sì. Pensavo fosse uno scherzo di cattivo gusto di Styles.
Fu proprio questo che, con espressione minacciosa, si avvicinò a me. - Ehi, non osare paragonarmi a nessuno di quegli idioti masochisti. - sputò, con rabbia. Tanta rabbia che quasi mi spaventai, per fortuna era solo Harry. - Comunque - questa volta sembrava più tranquillo. - quel messaggio riporta con precisione a quel gruppo di malati. E se si trovava nella tua camera, l’unica motivazione plausibile è che la persona che stanno cercando sia proprio tu.
Questa volta, parlai senza accorgermene. La testa mi faceva male, male da morire, e la cosa peggiore è che mi pareva di vivere un déjà-vu, tutto quel discorso mi sembrava qualcosa di già sentito. - Ma io non ho niente a che fare con loro.
Il riccio ghignò. - Se posso dirti la verità, nemmeno io credo che tu abbia qualcosa di così speciale - enfatizzò particolarmente quella parola. - ma non sappiamo cosa possano volere da te, e fino a quando non lo scopriremo tu dovrai stare attenta. Non possiamo correre il rischio che ti prendano con sé.
- Perché, cosa succederebbe se mi unissi a loro?
- Ti userebbero contro di noi, contro tutti noi. E per “tutti noi” intendo tutti quelli che non hanno la minima intenzione di unirsi a loro, nemmeno sotto tortura. Ti sfrutterebbero per diventare più potenti, per assumere il controllo sugli Umani e sui non Umani, darebbero inizio a una guerra persa in partenza da chiunque non ascolti i loro ordini, perché se sei davvero tu quella che stanno cercando, allora sei l’arma più potente mai costruita. - fece una pausa in cui parve riflettere su qualcosa, poi riprese. - Oh, e ovviamente moriresti dopo l’estrazione del tuo potere dal tuo corpo.
Niall lo rimproverò: - Harry, che diamine, un minimo di delicatezza. L’hai appena avvertita che potrebbe morire se non ci fossimo noi.
- “Se non ci fossimo noi”? - ripetei. - Perché, pensate che non sia perfettamente in grado di difendermi da sola dagli attacchi di un gruppo di pazzi?
Charlie rise con amarezza. - No, te l'ha dimostrato l’attacco alla festa.
Un lampo mi balenò in mente. - A proposito della festa, perché non è intervenuto nessuno? Com’è possibile che nessuno mi abbia visto? Stavo praticamente lottando contro una figura nera.
- Perché - spiegò Niall. - non potevano vederlo. Per lo meno, gli Umani non potevano e, di conseguenza, non potevano vedere te.
- È per questo che voi mi avete visto e lo avete messo al tappeto, qualunque cosa fosse, vero? Perché è questo che avete fatto, no?
- Non proprio. Diciamo che è stata una fortuna che Harry si trovasse nei paraggi. Ha capito di cosa si trattasse, ma quando si è avvicinato quel tipo si è dileguato, allora ha chiamato me e Charlie per portarti fuori. La gente era stupita che tu fossi ubriaca. - accennò una risatina mentre il quadro si faceva più chiaro nella mia testa. - Ed io che pensavo che ti fosse piaciuto l’”Angelo azzurro”.
Sorrisi leggermente, mentre la mia mente si faceva meno annebbiata e tutto iniziava a tornare normale. Be’, per quanto possa essere normale scoprire di essere una persona potentissima e che qualcuno cercherà di ucciderti per usare i tuoi poteri. - Era quella cosa blu che mi hai fatto bere prima?
- Sì, proprio quello. Io lo trovo buono. - piantò i suoi occhi nei miei e non potei fare a meno di pensare che quel blu così intenso fosse la sfumatura più bella che avessi mai visto, e che sarei rimasta a osservarlo per tutta la vita.
Scossi la testa per cancellare quello stupido pensiero e un colpo di tosse attirò la mia attenzione. - Non ringraziarmi per averti salvato la vita nonostante questo vada parecchio contro le mie priorità. - disse Harry, con un’aria a dir poco infastidita.
Mi sentii un’ingrata per un momento, prima di rendermi conto che era Harry Styles a parlare, ovvero una persona priva di qualsivoglia sentimento. Mi alzai e gli andai vicino. - Pensavo che i ringraziamenti di “Ellen Fox” ti avrebbero disturbato. - feci con noncuranza. - Ad ogni modo grazie. Senza di te probabilmente non avrei nessuno da ringraziare in questo momento, quindi direi che...
M’interruppe con un gesto della mano. - Mi ero fermato a “Pensavo che”.
- Sei odioso. - lo rimbeccai.
- Potrei dire lo stesso di te.
 

 


Argh (o "Questo capitolo è troppo lungo").
Buonasera e tanti auguri a tutti!
Spero davvero che abbiate passato un buon Natale, personalmente mi sto drogando del DVD del Where we are - live from San Siro, e non credo che sia una cosa buona. Senza contare che sto morendo di freddo in quel di Berlino, ma non importa.
Grazie grazie grazie di cuore a tutti voi che continuate a leggere la mia long, un grazie in particolare a Holly Rosebane e alla mia migliore amica, Destina. No, non è il suo vero nome, almeno credo.
Niente, non ho molto da dirvi oggi, quindi spero solo che abbiate enjoyato questo capitolo, e vi lascio con queste conversazioni rubate in gran segreto dal gruppo del liceo della nostra Ellen. Ma voi non ditele che ho sbirciato nel suo telefono.

         

Aria.

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Capitolo 7
*** Prima dovresti chiedermelo ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 7: Prima dovresti chiedermelo
 
Fu allora che iniziò la mia nuova vita da sorvegliata speciale. Non esagero nel porre l’attenzione su queste parole, perché è proprio così che andò. Non passava giorno senza che io dormissi da Charlie o lei venisse da me, non c’era lezione a cui qualcuno non mi accompagnasse, non c’era momento in cui non mi ritrovassi almeno un paio di teste attorno. Cercavano di far passare tutta quella situazione per “normalità”, ma quella non era la normalità, per lo meno non per come la vivevo io.
Nel complesso, però, iniziai a trovare dei lati positivi in tutto quello.
1) Avevo stretto un discreto legame con Liam Payne e Zayn Malik, il che mi portava ad essere felice sia per l’avere un numero di nemici a scuola decisamente più ristretto sia perché potevo finalmente partecipare a tutte le uscite di gruppo di Charlie sia perché quei due avevano un fisico niente male.
2) Niall ed io ci sentivamo molto spesso, a volte veniva a prendere Louis a scuola e mi salutava, e fu così che capii di essere irrimediabilmente cotta di lui. Ma era troppo l’orgoglio per ammetterlo, giustificavo quell’attrazione non proprio da me col fatto che fosse bello da mozzare il fiato. Del resto, non ero certo la sola a non essergli indifferente.
3) Styles era costretto a passare la maggior parte del suo tempo con me. Forse questo non dovrebbe essere tra i lati positivi, ora che ci penso. In ogni caso, non capivo il perché della sua improvvisa preoccupazione, quando continuava a fare battutine poco carine e a stuzzicarmi ogni qualvolta ne avesse l’occasione. Iniziai a credere che avesse qualche problema, una crisi d’identità o che so io, dato che si comportava sempre come una ragazza col ciclo. Iniziai persino a considerare seriamente l’ipotesi che potesse essere una ragazza per davvero.
 
Niall: Ahahahahah sei adorabile, io l’ho sempre sostenuto!
Ellen: Sì, adorabile come un cactus.
Niall: Mia nonna ha un debole per i cactus, me ne ha regalato uno per il mio compleanno. Ho apprezzato il regalo, se me lo stai per chiedere.

 
Risi sentendomi un’idiota, perché quello che stavo facendo era effettivamente ridere da sola. Azione da idiota. Be’, non ero esattamente sola visto che Charlie era sdraiata sul mio letto. Cosa dicevo del fatto che ero sempre scortata da qualcuno?
- Perché stai ridendo? - mi chiese infatti immediatamente. - Ah, no, aspetta. - finse di ripensarci. - Non voglio che tu mi rilegga la tua conversazione con Niall per l’ennesima volta. - enfatizzò particolarmente il nome del ragazzo.
Incrociai le braccia al petto e sbuffai, indispettita. - Non te l’ho letta così tante volte! - protestai. - E comunque, nel caso in cui te lo stessi chiedendo, non sto parlando con lui.
Lei rotolò su un fianco, facendosi più vicina a me e dandomi modo di osservare i suoi capelli scombinati. - Eri più simpatica e sincera quando avevi una relazione segreta con Styles. - assottigliò gli occhi prima che io potessi interromperla. - O forse stai utilizzando Horan per i tuoi loschi scopi e quindi per coprire il tuo rapporto col bel riccio? Confessa. - mi puntò un dito al petto che io scansai prontamente, ridendo.
- Come se io e Styles avessimo mai avuto una relazione segreta. - poi, un’orribile sensazione si fece spazio in me. - Non starà mica raccontando questo in giro, vero? Perché se lo sta facendo, io lo ammazzo. - pronunciai con veemenza, prima di accorgermi di un piccolo dettaglio nella frase che mi aveva scritto Niall su Facebook. Il suo compleanno.
La mia migliore amica si soffiò sulle unghie, in un gesto di noncuranza. - No, lui no, ma c’è stato un periodo a scuola in cui non si parlava di nient’altro che di “Hallen”. - mimò in aria le virgolette con le dita.
Strabuzzai gli occhi, distogliendo per un attimo l’attenzione dalla pagina del bel biondo nella quale stavo cercando di carpire informazioni, troppo sconvolta per la ridicola fusione del mio nome con quello di quel grandissimo imbecille di Styles. - Cosa? E tu me lo dici solo ora? E poi che prove avevano per farci un affronto del genere? No, io non posso accettarlo. - mi alzai di scatto dal letto, facendo traballare pericolosamente il mio portatile risalente all’anteguerra, anno più anno meno.
Lei ridacchiò. - Vuoi dirmi che non ti è mai passato per la testa di limonartelo selvaggiamente? “Chi disprezza vuol comprare”. - canticchiò citando un vecchio proverbio che sua madre non smetteva di ripeterle.
- Charlie! - la redarguii, sempre più sconvolta, lanciandole addosso il primo libro che mi capitò tra le mani. Per fortuna lo parò al volo, perché non credo che la mia vecchia copia di Grandi Speranze di Dickens le avrebbe potuto fare bene. - Dimmi che hai messo a tacere le voci. E, per l’amor del cielo, potresti essere un po’ meno volgare?
Questa volta non si limitò a ridacchiare. Iniziò proprio a ridere di gusto tenendo tra le mani il mio prezioso libro, forse un tantinello voluminoso, e sollevando le gambe in aria. - Non dirmi che ci hai davvero creduto! - esclamò, quando si fu calmata.
Per tutta risposta le saltai addosso, in un’improvvisata imitazione di un lottatore di sumo, minacciando di soffocarla.
Fu un “pop” proveniente dal mio portatile a distrarmi dai miei pensieri omicidi.
 
Niall: Ehi, non mi dirai che ti sei offesa perché ho insinuato che tu somigliassi a un cactus. Mia nonna me ne ha veramente regalato uno per Natale.
 
Non potei fare a meno di ridere e, finalmente, individuai sulla sua pagina la data che ceravo. - Charlie, Niall è nato il tredici settembre. - la informai, come se gliene potesse fregare qualcosa, prima di rispondere.
 
Ellen: Nessuna offesa, biondo, ero solo troppo impegnata a soffocare la mia amica per poterti rispondere, chiedo umilmente perdono. :c
Niall: Fingerò di perdonarti solo perché non ti sei offesa dopo che ti ho dato del cactus.
Ellen: E comunque prima mi hai detto che te l’aveva regalato per il compleanno. Mi menti, ammettilo. u.u
Niall: Nah, era la tua troppa adorabilità a farmi dimenticare dell’occasione in cui me l’ha regalato veramente ;)
 

- Mi ha scritto un occhiolino. - sussurrai più a me stessa che rivolta alla mia migliore amica, ancora troppo impegnata a rivolgermi degli sguardi assassini. - Scusa Charlie. - dissi, stavolta a voce più alta in modo che mi potesse sentire. - Giuro che non volevo spettinarti, ma a Louis piacerai lo stesso, vedrai.
Lei alzò gli occhi al cielo. - Io gli piacerei anche se andassi in giro vestita da carota. - obiettò.
Risi. - Fallo. - la sfidai.
- Sto solo aspettando il giorno adatto. - cercò di sembrare misteriosa pronunciando quelle parole, col solo risultato di farmi ridere ancora di più.
 
Ellen: Dovrò ideare un piano per sembrare un’apatica rompipalle allora.
Niall: Saresti un’apatica adorabilmente rompipalle, in quel caso ;)
Ellen: Cielo, sembra proprio che io non abbia scelta. D:
Niall: Sembra anche a me. Ora devo staccare, ma ci vediamo presto! Buona giornata, El <3

 
Chiusi gli occhi.
Li riaprii.
Sbattei le palpebre un paio di volte.
Ritornai a osservare lo schermo.
- Cosa c’è, ti è entrata una bruschetta nell’occhio? - domandò Charlie a cui non era sfuggito quello che pareva un tic nervoso. - O Horan ti ha giurato amore eterno?
- Si dice bruscolino. - la corressi. - E ci sei quasi. Mi ha scritto un cuore! - esultai, lanciando i pugni in aria e digitando una veloce risposta.
- Non puoi innamorarti di quel ragazzo. - si lamentò la mia migliore amica. - È troppo biondo e perfetto per stare con te, non ci sarebbe gusto, passereste le giornate a baciarvi e a fare tutte quelle cose sdolcinate che fanno le coppiette di quindici anni. Tipo tenervi per mano, ballare un lento e dividere un piatto di spaghetti. “Sii il mio Vagabondo, sarò la tua Lilli”.
- Non farmi abituare troppo all’idea. - risposi, mentre nella mia mente mi figuravo noi due, ricoperti di pelo e che dividevamo un piatto di pasta mentre il cuoco intonava “È dolce sognar” e ci faceva i complimenti per la meravigliosa coppia che costituivamo.
 
Quando, il 1° febbraio, mi recai a scuola insieme a Charlie dopo aver dormito a casa sua, mi resi conto che c’era qualcosa di storto.
Nell’ordine:  
  • La mia migliore amica saltò addosso ad Harry Styles davanti ai miei occhi ben sapendo che non potevo sopportarlo. Parlo di Harry, eh, per me poteva saltargli addosso quanto le pareva.
  • Più o meno tutta la scuola l’aveva imitata nel gesto, stampando bacetti a destra e a manca all’insopportabile ragazzo e abbracciandolo calorosamente.
  • Una nuova ragazza di cui non avevo mai sentito parlare prima d’ora si era materializzata nell’atrio e salutava tutti come se conoscesse chiunque.
  • Stavo intrattenendo una conversazione piacevole con Zayn.
  • Ho già menzionato il fatto che tutti sembravano essere particolarmente inclini a flirtare con Harry?
- Di’ un po’, Malik. - lo chiamai, mentre aspettava che finissi di prendere tutto quello che mi serviva dall’armadietto. - Com’è che oggi tutta la scuola sembra idolatrare Harry come se fosse l’ultima creatura vivente sulla faccia della terra? Dimmi che si trasferisce in un’altra città. O un altro paese. Eventualmente, anche un altro pianeta può andare. Mi accontenterei persino della galassia più vicina. - riflettei.
Lui rise, passandosi una mano tra i capelli perfettamente impomatati. Come al solito. Almeno quello era un segno palese del fatto che non stavo poi impazzendo così tanto. - Come, non ti ricordi del suo compleanno? Penso che tu sia l’unica, sarà almeno un mese che lo ripete a chiunque gli passi accanto.
Mi sbattei una mano sulla fronte. - Già, l’aveva ripetuto anche a me. - constatai, preoccupata.
- Be’, sei ancora in tempo per fargli gli auguri. - commentò, indicandolo mentre ci passava accanto.
Io lo sapevo, non si doveva mai indicare qualcuno col dito. Infatti, se non l’avesse fatto, Harry non si sarebbe avvicinato a noi con quel sorrisetto irritantemente trionfante stampato sul viso troppo sfacciato per i miei gusti.
- Le stavi facendo notare quanto sia bello oggi? - chiese quello, beffardo, dando un cinque al suo amico.
- Divertente, davvero. - lo incenerii con lo sguardo. - Peccato che la vecchiaia avanzi.
Sollevò un sopracciglio, mostrando un sorrisetto canzonatore. - È un modo sottile e raffinato per farmi gli auguri?
Mi concessi un sorriso anch’io. - Vedila come vuoi. - conclusi, chiudendo l’armadietto e recandomi a Letteratura, ben consapevole di averlo stupito. Era troppo abituato ai nostri continui battibecchi, potevo considerarla una piccola rivincita. E oh, cosa non avrei fatto per osservare da vicino l’espressione confusa che, ne ero certa, albergava sul suo viso.
In classe c’era un gran fermento, e io sbuffai, infastidita da tutto il tumulto. Letteratura era la mia materia preferita, l’unica da cui davvero non riuscivo a distogliere l’attenzione e in cui volevo dare il massimo. O almeno, avrei voluto non distogliere l’attenzione, ma era impossibile visto che tutto attorno a me era tutto un passarsi fogliettini e ridacchiare sommessamente per non farsi beccare dal professor Hugo che però sembrava interessato molto di più al libro di testo e all’opera di Shakespeare a cui ci saremmo dedicati per quella lezione.
Quando riuscii ad intercettare il foglio che stava facendo il giro della classe da un po’, guardai con confusione Rebecca, la ragazza seduta accanto a me. - Ma cosa sta succedendo, me lo puoi spiegare?
Lei si raccolse i lunghi capelli castani in una coda. - Guarda tu stessa. - disse, facendo un cenno del capo verso il pezzo di carta sul mio banco.
Lessi attentamente, stringendo gli occhi per il disgusto. Pareva che tutti gli studenti della scuola si fossero mobilitati per scrivere un biglietto d’auguri ad Harry e sembravano tutti particolarmente ansiosi di apporre la propria firma su di esso. Mi domandai egoisticamente perché facessero una cosa del genere per un essere così disgustoso.
- Avanti, firma anche tu. - mi incitò Rebecca, ottenendo da parte mia solo uno sguardo seccato.
- Non ne ho la minima intenzione. - feci in tutta risposta, rilanciando il pezzo di carta alla diretta interessata. - So fare di meglio per il suo compleanno. - sorrisi con aria maliziosa, nonostante non avessi intenzione di fare un bel niente. Ma era bello vedere l’espressione preoccupata che campeggiava sul suo volto mentre credeva che io potessi boicottare in qualche modo il suo piano per farsi finalmente notare da Harry.
 
- Allora, ti è piaciuto il biglietto?
Io l’avevo detto.
Era proprio la voce di Rebecca quel pigolio fin troppo acuto per i miei gusti che si sentiva anche dall’altro lato del corridoio.
- Siete stati fantastici, davvero, non me l’aspettavo.
Io l’avevo detto.
Ed era la voce roca di Harry quella che rispondeva.
Potevo già vedermeli, lui che disgustosamente le sorrideva, lei che disgustosamente gli gettava le braccia al collo, lui che disgustosamente la stringeva a sé, lei che disgustosamente tirava fuori la lingua per...
Scossi la testa con molto, moltissimo vigore per togliermi dalla testa quell’immagine raccapricciante che anticipava un evento che si sarebbe sicuramente verificato di lì a pochi minuti, vista la vicinanza tra i loro volti.
- Che schifo. - borbottai.
- Ehi, potevi anche essere un po’ più gentile! Ti ho solo chiesto se ti piaceva la mia felpa nuova. - mi riprese Liam, con aria decisamente offesa.
Liam? Cosa ci faceva Liam lì?
Spostai lo sguardo dall’armadietto del neodiciottenne al sorriso del ragazzo accanto a me.
- Non mi sono offeso davvero. - precisò. - Ma si può sapere perché ti fa così tanto schifo? - domandò riferendosi alla felpa blu che indossava e che, in realtà, non mi dispiaceva affatto.
Mi misi a ridere, non sapendo bene che cosa fare. - Non mi riferivo alla tua felpa, Liam. Mi piace, la tua felpa.
- Oh. - parve stupito. - E allora cosa ti fa schifo?
Gettai un’occhiata fin troppo eloquente ai due che ancora non avevano smesso di flirtare davanti a tutta la scuola. - Chi non si sa dare un contegno in ambiente scolastico. - commentai, cercando di ostentare una certa freddezza mentre uscivo dalla scuola.
Lui mi lanciò un’occhiatina divertita, infilandosi la giacca. - Di’ un po’, non ti piaceva Horan?
- E questo cosa c’entra? - domandai, prima di accorgermi dell’errore e tentare, grossolanamente, di rimediare. - Non farti strane idee Payne, io non sono nemmeno minimamente interessata a Niall, è solo simpatico.
Mi scrutò. - Comunque credo che a Harry non interessi Rebecca.
- Dovrebbe importarmi qualcosa di quello che fa quell’essere?
- Era solo per garantirti che non saranno loro quelli che non si sanno dare un contegno in ambiente scolastico. - ribatté, non riuscendo a nascondere l’aria divertita. - E comunque, faresti meglio a dare un’occhiata ad Horan, là sotto, sembra stia cercando qualcuno.
Mi voltai di scatto, muovendo velocemente gli occhi per individuare il ragazzo che ormai, parliamoci chiaro, non riuscivo a togliermi dalla testa. Fui confusa nel sentire Liam ridere poco dietro di me. - E ora che hai da ridere?
- La tua espressione. Lui non è qui, comunque. - precisò. - E come puoi vedere, non gli sei del tutto indifferente.
Continuai a rimbeccarlo, mentre ci univamo a Charlie e Louis, puntandogli un dito contro il petto. - Non è questione di essergli indifferente. È che siamo amici perché lui è simpatico e bello...
Fu proprio il ragazzo della mia migliore amica ad interromperci. - Parlavate di me?
Gli diedi uno schiaffetto sulla nuca. - Ho detto “bello”, non “irritante”. - precisai, non riuscendo a nascondere un sorrisetto alla vista dei suoi occhi vivaci.
- Appunto, quindi non potevi non parlare di me. - incrociò trionfante le braccia al petto, prima di fermarsi bruscamente. - Aspettate un attimo.
Charlie lo guardò con aria interrogativa. - E ora che cosa c’è?
- Harry mangia con noi. - le ricordò.
Oh. - Oh. - mormorai. - Be’, mi sono appena ricordata di un appuntamento urgente. Mia madre non vorrà certo aspettarmi per pranzo. Credo che l’estetista mi stia telefonando. A proposito, vi ho mai raccontato di quanto mia nonna ci tenga a vedermi il primo febbraio di ogni anno? - pronunciai quelle parole a velocità così elevata che non me ne accorsi nemmeno.
Esattamente mentre stavo raccontando dell’estetista, Zayn ci raggiunse, osservandomi con un sopracciglio alzato. - Chi stai cercando di evitare? - domandò, in maniera fin troppo poco discreta. - C’è Horan da qualche parte?
Sbuffai sonoramente. Andiamo, era davvero così evidente? - Andiamo, è davvero così evidente? - chiesi. Poi mi ricordai della frase completa del ragazzo, senza soffermarmi troppo sul cognome di Niall. - Intendevo dire che non sto cercando di evitare nessuno. Ho davvero molti impegni oggi, non sto scherzando.
Louis mi prese per le spalle e mi scosse leggermente. - El, se non ci credo io dubito che ti possa credere chiunque altro.
Charlie assottigliò gli occhi. - Ti sei appena dato del credulone?
- Sì, tesoro. È per questo che credo alla scusa del mal di testa tutte le volte. - rispose con un’occhiatina che trovai fin troppo maliziosa.
Le guance della ragazza s’imporporarono immediatamente. - Non stavamo aspettando Harry?
Zayn sorrise, prima di prendere Liam a braccetto. - Adesso capisco da chi stava cercando di scappare la nostra piccola Ellen. Ci vediamo domani, ragazzi. - ci salutò prima che potessi protestare per l’appellativo che mi aveva affibbiato, poi si allontanò, conversando fitto fitto con Liam, la schiena curva e i vestiti troppo larghi che non aderivano al corpo magro.
Iniziai a battere il piede in terra nervosamente. - Si può sapere perché devo aspettare qui con voi? Mi avevate detto che avremmo mangiato qualcosa al volo e poi saremmo andati in biblioteca a studiare. La parola “Styles” non era inclusa nei piani.
Louis sbarrò gli occhi. - Io? Studiare? - rise. - Noi andremo a mangiare qualcosa al volo, poi ciondoleremo in giro per la città fino a un’ora ragionevole, poi forse tu e Charlie potrete andare a rintanarvi in mezzo a quei noiosissimi libri mentre io e Harry vi osserveremo studiare e flirteremo con le meraviglios-... ahia! - esclamò di dolore, mentre Charlie gli pestava un piede e, nello stesso momento, Harry ci degnava della sua presenza. - Scherzavo sulla parte del flirt. - precisò. - Oh Harry, ti avevamo dato per disperso ormai.
- Probabilmente era a flirtare - ripresi le sue stesse parole. - con Rebecca nei bagni della scuola. Povere bidelle. - commentai con una punta (okay, forse un po’ di più di una punta) di acidità nel tono della voce e incamminandomi verso il luogo in cui ci fermavamo sempre a pranzare.
Mi guardò, inviperito. - Non insinuare nulla del genere. - sibilò tra i denti. - Posso avere di molto meglio di lei.
- Ah sì? Tipo?
Non fece purtroppo in tempo a rispondere che fummo richiamati all’ordine dal bacio fin troppo spinto per i miei gusti che si stavano scambiando Charlie e Louis di fronte a noi.
Scossi la testa e continuai a camminare, fino a che non sentii un tocco leggero sulla manica del cappotto. Era Harry che cercava di attirare la mia attenzione.
- Cosa c’è? - domandai, rabbrividendo per il freddo delle strade di Leicester, gremite di studenti che si affrettavano verso i propri bar preferiti.
- Non volevi sapere la risposta? - sorrise, mettendo in mostra le fossette che gli incorniciavano la bocca leggermente arrossata.
Agitai una mano con noncuranza. - In realtà non m’importa di chi ti porti a letto una sera sì e l’altra pure.
Inarcò un sopracciglio con aria scettica. - Pensi davvero questo di me?
Annuii in segno di conferma e lui scosse la testa.
- È pazzesco quante poche cose tu sappia. Dio, Fox, e tu dovresti essere intelligente?
Fui costretta a fermarmi per guardarlo negli occhi e mi stupii di come avessero recuperato il loro colore verde intenso, tanto intenso da fare quasi male. Pensai che portasse le lenti a contatto e mi ritrovai a reputarlo ancora più stupido di quanto facessi prima. - Niente scenate da tu non sai niente di me, non sai la mia storia, non giudicare. - citai le parole tipiche della maggior parte delle mie coetanee, scimmiottando il loro tono da eterne vittime. - Non ti si addice. - conclusi con un sorrisetto.
Ma prima che potesse replicare, un rumore sordo ci fece voltare entrambi.
La scena era piuttosto esilarante: Louis era sdraiato per terra e si massaggiava il sedere mentre Charlie, proprio sopra di lui, provava ad alzarsi per poi ricadere ad ogni tentativo. Doveva essere colpa della neve che stava iniziando a sciogliersi, assumendo una terrificante gradazione grigiastra che non mi piaceva affatto.
- Pensate di aiutarci, voi due? - sbottò Louis, senza smettere di carezzare con dolcezza il proprio posteriore.
Scambiai un’occhiatina divertita col ragazzo accanto a me, prima di scuotere la testa con vigore e tornare a camminare, lasciando i due piccioncini a vedersela da soli.
 
- Comunque - borbottai, masticando un hamburger che era tutto meno che salutare. - io domani ho il compito di Francese e devo...
Non riuscii nemmeno a finire la frase perché fui interrotta da Louis. - “Devo studiare perché altrimenti la mia media del nove e mezzo sarà irrimediabilmente rovinata”. - mi imitò.
Non potei fare a meno di sentirmi vagamente offesa per quel suo scimmiottare decisamente poco lusinghiero. - Io non faccio veramente così! - esclamai, ricevendo però in risposta un paio di occhiatine che mi zittirono. - E va bene. - sbuffai, tornando al panino del McDonald’s che mi fece venire in mente solo i chili in più che mi avrebbe regalato. Quell’idea non mi eccitava molto, a dire la verità, ma da che mondo è mondo, il cibo era da sempre il mio migliore amico, in particolare il cibo spazzatura.
Charlie si girò verso il suo ragazzo per sussurrargli qualcosa all’orecchio, e doveva essere qualcosa di davvero buffo visto il modo in cui lui iniziò a ridacchiare, per poi carezzarle i capelli con una mano. Quei due erano un concentrato di miele che non avrei mai sopportato nel mio ragazzo. L’unico dettaglio era che io non avevo un ragazzo al momento, ma “tempo al tempo”, è così che dice il proverbio.
- Cosa c’è di così divertente? - chiese Harry, seduto alla mia destra, guardando con avidità le patatine che dovevo ancora finire di mangiare.
- Niente. - Charlie restò sul vago, sbattendo le lunghe ciglia chiare, mentre rideva sotto i baffi.
- Puoi dirlo anche se c’è lei.
- Puoi dirlo anche se c’è lui.
Furono queste le parole pronunciate, rispettivamente, dal ragazzo accanto a me e dalla sottoscritta, appena prima di guardarci l’un l’altra con aria truce.
- Ma guardatevi - Louis giunse le mani sotto al mento e ci osservò come una vecchia signora felice che il suo gatto abbia imparato a defecare nella lettiera. - siete pure sincronizzati adesso. Ho sempre detto che sareste stati una coppia perfetta.
- Dacci un taglio, Tomlinson. - lo ripresi. - O puoi dire addio alle tue amate Toms. - sapevo che quella minaccia lo avrebbe zittito. Da un po’ di tempo a quella parte infatti, aveva iniziato a frequentare il negozio del marito di mia madre, perché sosteneva che vendesse delle “scarpe da fine del mondo”, testuali parole, e il caro uomo non esitava certo a rivendergliele a prezzo ridotto. Amava quel ragazzo e spesso si domandava perché non me lo volessi sposare.
- Ma quelle scarpe sono da fine del mondo! - ecco, appunto.
- Sapevo che l’avresti detto. - sorrisi, scuotendo la testa prima di rivolgermi ad Harry. - Hai intenzione di fissare le mie patatine per tutta la giornata?
Lui si passò una mano fra i ricci. Non si rendeva conto, a quanto pare, di quanto il cibo del fast food fosse unto e non aveva paura che l’olio potesse compromettere la chioma su cui pareva incentrare tutta la sua vita. - Se, diciamo, potessi assaggiarne solo una... - azzardò, con sguardo supplicante.
- Non se ne parla, hai già finito le tue. - suvvia, non poteva certo essere l’unico avido! Non in campo di cibo.
A quel punto spalancò gli occhi, dandomi modo di osservare quelle iridi di un colore così perfetto da sembrare finto, il che tornava a favore della mia teoria sulle lenti a contatto. L’espressione che assunse doveva somigliare a quello di un cucciolo, nonostante io credessi che sembrasse piuttosto quella di, giusto per citarmi, un gatto che defeca. - Ma io ancora fame. - mormorò, spingendo il labbro inferiore in fuori e facendolo tremolare leggermente. - E tu sei l’unica che lascia le patatine per ultime. - mi fece notare, indicando i cartoni rossi col marchio del McDonald’s già vuoti dei miei amici. - Per favore.
Roteai gli occhi prima di tirargli una gomitata. - Vorrà dire che le mangerò adesso, anche se non ha senso.
- Perché non ha senso? - domandò Louis, apparentemente interessato alla questione cibo.
Fu la mia prontissima migliore amica a intervenire. - Lei - disse, indicandomi. - sostiene che ci siano due scuole di pensiero. Una è quella che mangia gli alimenti preferiti per primi, l’altra quella che li mangia per ultimi.
- E io faccio parte della seconda. - conclusi, con un sorrisetto. - Perché così mi resta il sapore più buono in bocca.
Louis inarcò vistosamente un sopracciglio, prima di scoppiare a ridere. - È la cosa più ridicola che io abbia mai sentito!
Quel commento mi indispettì particolarmente e incrociai le braccia, non facendo in tempo a fermare Harry quando si precipitò sulle mie patatine per ingoiarne voracemente una manciata. Odiavo quel ragazzo.
 
Quando quella sera mi connessi su Facebook dal mio portatile, mia madre entrò nella mia stanza, nella quale si era già sistemata Charlie. Anche quella notte avremmo dormito insieme.
Quando la mia migliore amica si alzò dal letto per salutarla, lei fece un cenno di noncuranza prima di rivolgersi a me. - Credo che dobbiamo parlare. - sibilò a denti stretti.
La donna che avevo davanti doveva essere stata molto bella, in passato, come testimoniavano le foto sul tavolino basso del salotto. Era molto alta, ma non si poteva dire che anche il fisico fosse apprezzabile perché, a causa dell’età, i chili si erano accumulati e la cellulite non aveva esitato, nonostante i tentativi per debellarla, a depositarsi sulle cosce e sui fianchi, nonché sul didietro che comunque continuava ad attirare gli sguardi degli altri uomini. I capelli molto scuri come i miei non avevano però la stessa forma, perché lisci come spaghetti, e gli occhi verdi sovrastavano un naso piccolo e delle labbra sottili. Non ci somigliavamo per niente, ma non me ne facevo un cruccio. Attirava troppe persone per i miei gusti, stava sempre al centro dell’attenzione e decisamente non faceva al caso mio.
- Cosa c’è? - chiesi, cercando di mascherare la sorpresa.
Erano mesi, molti mesi che non affrontavamo un discorso serio come quello che, a quanto pareva, stava per farmi. Era dal due marzo che le cose fra di noi erano molto cambiate, e sebbene continuassi a rimpiangere con un pizzico di nostalgia i nostri giorni felici, non mi pentivo di quello che era successo. Se c’era una cosa che lei non mi aveva trasmesso, quella era l’orgoglio, di cui era abbondantemente provvista, e che sostenevo dovesse mettere da parte per chiedermi scusa. Se era successo il casino, di certo non era colpa mia e non poteva aspettarsi che io mettessi da parte la mia integrità per sostenerla dopo tutti i torti che avevo subito.
Fece con il pollice un cenno alla porta alle sue spalle e mi indicò di seguirla. Mentre uscivo in corridoio, cercai di capire dove volesse andare a parare? Aveva scoperto dei miei poteri? L’aveva sempre saputo e non mi aveva mai detto nulla? Reputava strano che all’improvviso avessi iniziato a parlare con Zayn e Liam? Sapeva della mia cotta... o meglio, attrazione, per Niall? Cosa succedeva?
- Quando pensavi di dirmelo? - chiese violentemente, col suo tono arrogante, di chi pensa di sapere tutto.
- Dirti cosa? - chiesi, corrugando la fronte. Ma di cosa stava parlando?
Lei sbuffò vistosamente, prima di volgere gli occhi verdi su di me. - Che sei lesbica.
Credo, in tutta la mia vita, di non aver mai osservato qualcuno con più stupore di quanto feci in quel momento. - Ma di che diavolo stai parlando?
Il suo sorrisetto mi fece capire che pensava di sapere tutto e aspettava solo mie conferme. - Oh, andiamo. Inizi improvvisamente a invitare Charlie a dormire o ad andare da lei ogni sera, sei sempre fuori casa, ci hai persino raccontato la balla del suo fidanzato per farci pensare che...
La interruppi bruscamente. - Frena, mamma. Okay, non ho un ragazzo da molto tempo, ma io non sono lesbica.
- Ah no? E allora cosa significa la sua presenza costante? - disse. Penso che credesse di avermi colta nel sacco.
Riflettei velocemente, ringraziando in seguito la mia prontezza. - Abbiamo litigato qualche tempo fa. Stiamo solo cercando di recuperare il rapporto. - mormorai, fingendomi dispiaciuta.
Nei suoi occhi passò un lampo di consapevolezza. - Oh, e ci state riuscendo?
Annuii in risposta.
- Comunque puoi parlarmi dei tuoi problemi, perché non ne sapevo nulla? - domandò, recuperando l’aria vagamente stizzita.
Roteai gli occhi prima di tornare in camera, ma non senza congedarla con un semplice: - Sai cosa penso a riguardo.
 
 
Niall: E se io ti chiedessi di uscire insieme, domani dopo scuola, accetteresti?
Ellen: Certo che accetterei, ma prima dovresti chiedermelo.
Niall: Allora domani dopo scuola esci con me?
Ellen: Assolutamente sì.


 

 


Argh.
Buonasera e buon penultimo giorno dell'anno!
Sarò di poche parole oggi, o meglio, meno del solito. Buffo che non riempia metà pagina con l'"Argh", visto che di persona sono molto logorroica.
Ad ogni modo, mi sento parecchio malinconica, non credo sia il modo migliore di iniziare l'anno nuovo ma prometto che cercherò di migliorare.
Comunque, se qualcuno volesse proprio farmi cambiare umore, basterebbe una scorta di libri. Un biglietto per il concerto dei ragazzi. Una scorta di libri con dentro un biglietto per il concerto dei ragazzi. Si accetta tutto, in casa Aria.
Vorrei tanto augurarvi un 2015 migliore del 2014, a tutti, anche a chi non leggerà questa storia o a chi lo farà ma salterà malamente il mio angolino. Mi piacerebbe tanto svegliarmi dopodomani e scoprire che i sogni sinceri di qualcuno che ci crede da tempo si sono realizzati, ma in questo momento ho questa visione poetica e dolciosa del mondo solo per la mia malinconia, sappiatelo. Domani probabilmente leggerò ciò che ho scritto e lo cancellerò, ma who cares?
Vi lascio col frammento di una conversazioncina tra la nostra Ellen e quello sbruffone di Styles per cui, a quanto pare, non è mai abbastanza tardi per accusare la riccia fin troppo sicura del colpevole. Mi dispiace di non potervi aggiornare su cosa si siano detti dopo ma, ahimé, Harry mi ha presto scoperto. Ma non temete, ho escogitato un piano infallibile per screenare tutte le conversazioni degne di nota.
Buona giornata/serata/vita a tutti!


Aria.

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Capitolo 8
*** Per l'ennesima volta ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 8: Per l'ennesima volta
 
Quando il giorno seguente mi recai al liceo Cowerdeen, dovetti trattenermi dall’urlare, dal saltellare e dal compiere atti che avrebbero messo in seria discussione le mie facoltà mentali. Dopo aver raccontato a Charlie dei messaggi che Niall ed io ci eravamo scambiati la sera precedente, nonché del mio prossimo appuntamento, lei aveva reagito esattamente in quel modo e non posso negare che pensai fosse completamente fuori di testa. Prima di imitarla, ovviamente.
Non riuscivo a credere di uscire finalmente, dopo tutte le notti passate a pensarlo, col ragazzo più fantastico che avessi mai conosciuto, e ovviamente il primo dilemma era Cosa indosserò? Ero discretamente felice di poter rivedere un conoscente come Niall e avrei affrontato la situazione con estrema calma.
- Fox, pensi di rispondermi entro la fine della giornata?
Agitai la testa, facendo muovere qualche ricciolo ribelle che avevo rinunciato da tempo a domare. - Scusami Zayn, non ti stavo ascoltando. La smetti di chiamarmi “Fox”?
Mi riservò un sorrisetto sghembo. - Scusa, abitudine. Comunque ti stavo dicendo che ieri Liam mi ha raccontato di averti visto pomiciare con Harry alla stazione.
Quell’affermazione mi fece strabuzzare così tanto gli occhi che sembrava stessi per soffocare. - Cosa? - quasi urlai. Senza il quasi.
Si guardò attorno prima di tornare a me con aria complice. - Guarda che a me puoi dirlo, so mantenere i segreti.
Sbuffai vistosamente, prima di notare Liam camminare in corridoio. Mi diressi verso di lui con aria tutt’altro che felice e, quando gli fui accanto, gli presi tra pollice e indice un orecchio lasciato scoperto dal taglio di capelli e strinsi forte.
Lui, dal sorriso che aveva abbozzato, passò a un’espressione di intenso dolore. - Ahia! - si lamentò infatti. - Perché l’hai fatto?
- Cos’è che hai detto a Zayn, brutto bugiardo? - domandai, minacciosamente.
Improvvisamente, un’espressione consapevole gli attraversò il viso, prima di essere sostituita da un sorriso che non riusciva a trattenere. - Perché ti agiti così tanto? Era uno scherzo.
La mia faccia divenne ancora più inferocita, tanto che Zayn indietreggiò di un passo. - Perché non mi piacciono le bugie. - conclusi, prima di lasciarlo andare e di tirargli una gomitata.
Entrambi i ragazzi si avvicinarono a me che mi stavo allontanando per recarmi in classe per sussurrarmi all’orecchio la medesima frase. “Tutta la scuola lo sa”.
Merda.
 
Quando finalmente la campanella simbolo della mia liberazione trillò, mi precipitai fuori dall’aula come non avevo mai fatto, avendo a malapena il tempo di segnare sul mio taccuino nero il giorno in cui il professor Gerald aveva deciso di sottoporci una verifica di Algebra.
Ero di fretta, ma non volevo sudare per evitare di presentarmi davanti al bel biondo con una faccia esausta quindi, camminando celermente, raggiunsi Charlie solo per farmi dare l’okay riguardo al mio look. Non che fossi molto diversa dal solito, stretta nel mio maglioncino bianco e grigio e i pantaloni chiari, ma non volevo sembrare una scappata di casa né una che aveva pensato eccessivamente a cosa indossare. Riposi i libri nell’armadio e con passo veloce arrivai all’esterno, dimenticando quasi di indossare il cappotto necessario per il clima rigido di Leicester.
Era lì.
Appoggiato ad una macchina sportiva blu, c’era Niall, molto diverso da come lo ricordavo.
No, a dire la verità era sempre lo stesso, meraviglioso Niall Horan, con l’unica differenza dettata dall’abbigliamento. Avvicinandomi a lui, avvertii quasi timore, e un brivido mi percorse la spina dorsale. Mi accorsi con orrore di avere paura che qualcosa potesse andare male, paura di fraintendere le sue intenzioni, persino paura che non stesse aspettando me, ma qualcuno di meglio.
Tutte angosce che svanirono nel preciso momento in cui le sue labbra si posarono sulla mia guancia fredda per lasciarvi un bacio amichevole. - Era ora che ci rivedessimo, non ti pare? - esordì, e credetemi se vi dico che ricordo quel momento come uno dei più emozionanti della mia vita.
 
- Tu mi sottovaluti, ragazza. Il mio libro preferito è Il signore degli Anelli e credo di aver riletto Il trono di Spade almeno due volte.
Lo spinsi leggermente, prima di prendere parte a quella piccola sfida che ci eravamo lanciati qualche minuto prima. - Ma io credo che Martin non dia abbastanza spessore psicologico ai personaggi, sono così tanti perché gli è impossibile concentrarsi appieno su uno solo. - ribattei con fierezza, prima di mordicchiarmi nervosamente il labbro superiore. - Ma sul signore degli Anelli non ho niente da dire, è tra i miei cinque libri preferiti. - ammisi.
Sorrise. - Lo sapevo che non eri poi così imbattibile in campo letterario. - alzò il pugno destro come in segno di vittoria, prima di nasconderlo nuovamente nel giubbotto.
Faceva freddo, in quei giorni di febbraio, a Leicester. Il lato positivo era che in città si respirava un clima allegro e festoso, accogliente, che sembrava tanto contrastare col vento e la neve che, inesorabili, si abbattevano sugli abitanti. Per le vie si avvertiva un forte profumo di caffè, ben bilanciato da quello degli innumerevoli negozi di dolci, dai quali si spargeva un odore pungente di cioccolato e vaniglia.
- Questo è quello che credi. - feci una smorfia, avvicinandomi al negozio che preferivo in tutta la città: la crêperie, ovvero il posto in cui preparavano le crêpes migliori del mondo. E lo erano davvero.
- Crêpe? - mi domandò il ragazzo, come a leggermi nel pensiero.
- Se continui così, sarò costretta a sposarti. - scherzai, mentre entravamo nel piccolo locale gremito di gente che aveva solo voglia di qualcosa di dolce e di caldo.
Lui parve rifletterci davvero. - Non credo che dovresti ripeterlo due volte, o potrei iniziare a crederci.
Accostai la porta, inspirando a fondo il profumo mai stucchevole della nutella. - Allora lo ripeto, se continui così ti sposerò. - sorrisi, non sentendomi in imbarazzo perché, in fondo, quello che si era creato tra noi era un clima così giocoso e spensierato che ormai parlavo senza pensare alle parole che mi uscivano dalla bocca. Era quello che mi piaceva di Niall (e forse non solo quello): riusciva ad allontanarmi dalla mia rigidità quotidiana, dagli schemi precisi che, fin da bambina, mi ero sempre imposta, sapeva farmi vivere quel che avevo disperatamente cercato nei libri perché non riuscivo a trovarlo nella realtà, cioè un sentimento sincero, puro, qualcosa per cui, lo sentivo, valeva la pena tentare.
Si avvicinò un po’ a me, e non riuscii a non soffermarmi sulle sue guance arrossate per il freddo, come quelle di un bambino, come le avevo sempre desiderate io. - Ehi, non illudermi di poter avere una possibilità con te. - mi strizzò l’occhio, sorridendo, e non riuscii a staccare i miei dai suoi nemmeno per un secondo. E nemmeno lui ruppe quel magnifico contatto visivo in cui mi stavo crogiolando, un contatto che mi faceva sentire come se avessi finalmente trovato quello che per tanto tempo avevo desiderato.
- Non mi è mai piaciuto illudere le persone. - conclusi, facendo spallucce.
- E allora perché iniziare proprio con me?
Pian piano, impercettibilmente, la distanza tra noi si stava accorciando. Niente di affrettato, niente baci affannosi o dichiarazioni struggenti. Un semplice gioco, un divertimento per i due bambini che nascondevamo dentro di noi e che si erano finalmente decisi ad uscire allo scoperto.
E la cosa più bella?
Non stavo osservando la mia sciarpa nera e bianca, un po’ sfilacciata, e nemmeno il suo giubbotto blu, sformato, né tantomeno la bambina che usciva trionfante e ci dava una leggera spintarella col gomito per farci spostare. Ciò che dominava i miei occhi erano le sue iridi celesti.
- Chi ha detto che io non voglia davvero sposarti? - chiesi, allargando il mio sorriso.
Lui fece una piccola pausa. - Istinto maschile. - rispose, prima di mettersi a ridere, e io lo seguii a ruota.
Mi sentii leggermente turbata dall’interruzione del contatto che si era stabilito fra noi due, ma mi accostai a lui mentre la fila per ordinare la crêpe diminuiva sempre di più ed io iniziavo a temere il momento in cui il ragazzo irlandese dai capelli biondi e gli occhi cerulei se ne sarebbe andato.
- Comunque, mi devi delle spiegazioni. - ricominciò, serio, mentre il mio stomaco iniziava a brontolare nell’avvertire quel familiare aroma di cannella.
Quella richiesta mi confuse leggermente. - In che senso?
- Non mi hai ancora detto quali sono i tuoi altri quattro libri preferiti. Oltre al signore degli anelli. - precisò, ed io mi sentii stranamente sollevata.
- Oh! - esclamai, sospirando. - Era questo che intendevi. Vediamo... - lasciai la frase in sospeso fingendo di pensarci su, mentre in realtà sapevo benissimo dove sarei andata a parare. - Al primo posto Harry Potter, senza dubbio, fin proprio alla fine. - citai le parole della dedica dell’autrice nell’ultimo romanzo della saga, chiedendomi se l’altro le avrebbe colte.
E non mi deluse. - Tu non puoi capire quanto mi sia commosso la prima volta che ho letto quella dedica.
Sorrisi senza quasi accorgermene, prima di continuare, perché a me era successa la stessa cosa. - Ma quello non vale, Harry Potter è sottinteso. Quindi Sogno di una notte di mezz’estate. Poi, be’, ovviamente Orgoglio e Pregiudizio. Vacanze all’isola dei gabbiani e Non ti addormentare. Ma non devi tenere conto dell’ultimo.
- E perché?
- È l’ultimo libro che ho letto. - spiegai. - E ogni volta che ne finisco uno, blatero su quanto mi sia piaciuto. - ammisi, abbassando lo sguardo. - Ma tu non mi hai ancora detto quali sono i tuoi, di libri preferiti. - lo rimbeccai immediatamente.
Guardò davanti a sé. Toccava quasi a noi. - Non puoi sapere tutto su di me, andiamo!
- E perché mai?
- Perché poi non avremmo più motivi di rivederci.
 
Ero seduta su una panchina dove centinaia di coppiette perdutamente innamorate avevano inciso i propri nomi, o si erano dedicate frasi troppo smielate per i miei gusti, e qualcuno che aveva la mia piena stima aveva scalfito il cemento con un “Tanto vi lascerete tutti”. Stavo aspettando che Niall uscisse dal negozio poco lontano. Avrei voluto entrare con lui, ma mi aveva intimato di non farlo, dicendomi che avrei capito al suo ritorno cos’era andato a fare e che mi sarebbe piaciuto. Era per quello che stavo cercando di decifrare tutte le scritte su quella panchina, in una viuzza laterale, dove passava una persona ogni tanto e mi guardava con aria interrogativa. Anche un certo Harry Styles era passato di lì, fissandomi più a lungo di quanto pensassi, ma mi ero limitata a ignorarlo. Come facevo sempre, del resto.
Un forte rumore di stivali mi fece alzare lo sguardo.
Mi portai le mani al petto, o meglio, ci provai, perché mi accorsi con orrore di non riuscire più a muovermi.
La figura nera di qualche sera precedente mi fece balzare il cuore in gola.
Non era paura, era più... terrore, ma neanche quello sarebbe il termine appropriato. Era anche un po’ di voglia di vivere, che per una volta mi aveva pervaso, non volevo morire in quel momento. Non ero io la persona coi poteri a cui avevano accennato i miei amici, ne ero certa, come potevano non averlo ancora capito?
Mentre quella persona incappucciata, dagli alti stivali neri, così come il resto dei vestiti, si avvicinava con quel fastidioso rumore dovuto alle scarpe, cercai di divincolarmi, di urlare, di sbarrare gli occhi, persino di percepire il mio respiro.
Niente.
Il corpo non rispondeva ai miei comandi.
E sapevo cosa, inevitabilmente, sarebbe successo. Mi avrebbero portato via, mi avrebbero ucciso prima di capire che non ero io la loro ragazza, e chissà quante altre persone innocenti avevano ammazzato prima di me. E chissà quanto ci avrebbero messo i miei amici a capire tutto, magari avrebbero semplicemente pensato che fossi scappata perché ero troppo codarda per stare ancora con Niall, o che non volevo più essere amica di Charlie, o che... sì, in effetti non avevo una così vasta cerchia di amici, ma chissà cos’avrebbe detto il professore di letteratura non vedendomi entrare in classe.
Il rumore di passi si amplificò.
Mi sembrava ci fossero persone dietro di me, ai lati, tutt’attorno alla panchina ma, se le cose stavano così, non potevo saperlo. Perché semplicemente non mi potevo muovere per controllare cosa diavolo stesse accadendo.
Poi, all’improvviso, proprio com’era cominciato, tutto finì.
La figura che mi stava davanti corse via, veloce, tanto veloce che feci fatica a distinguere la sua sagoma scura affrettarsi lungo quella viuzza.
Feci un tentativo che, contro ogni aspettativa, riuscì. Potevo nuovamente muovermi.
Prima che potessi cercare di scuotermi di dosso lo shock che mi aveva invaso dalla punta dei piedi alle radici dei capelli, un’altra figura si avvicinò a me.
Non riuscivo a distinguerla, e presto capii che la colpa era tutta della mia vista, appannata a causa delle lacrime tanto odiate. Non mi era mai piaciuto piangere in effetti, anche se, come molte adolescenti, avevo attraversato un periodo in cui versavo lacrime per ogni minuscolo ostacolo, o anche senza motivo. Li chiamavano ormoni. Ero però uscita in fretta da quella fase, e avevo ricominciato a detestare i piagnistei con tutta me stessa, come quand’ero piccola e avevo voglia di prendere a ceffoni chi frignava davanti alla maestra. Eppure, non mossi nemmeno la mano. Mi sentivo ancorata al duro metallo su cui ero seduta, potevo però avvertire chiaramente che stavo tremando. E mi accorsi ben presto, con mio grande sollievo, che la figura che stava correndo verso di me apparteneva a un irlandese che arrivava sempre al momento giusto.
 
- Sei sicura di stare bene? - mi domandò per l’ennesima volta, seduto accanto a me, col braccio sinistro che passava dietro la mia schiena mentre l’altro lo aiutava ad assicurarsi alla panchina.
Sarebbe stata una scena comica se fosse ruzzolato giù.
Per l’ennesima volta annuii. - Sì, sto bene, davvero. - accennai un sorrisino, ma era troppo forzato, quindi decisi di abbandonare quel vano tentativo.
Per l’ennesima volta si passò la mano sul volto e sospirò rumorosamente. - Non ti lascio più sola, la prossima volta che ci vediamo. - ripeté per l’ennesima volta.
- Questo implica che ci sarà una prossima volta? - chiesi, prima di portare le gambe sul cemento dove ero poggiata e incrociarle.
Non rispose, si limitò a fissarmi, per l’ennesima volta. - Penso ci sia una cosa che dovresti sapere.
Allontanai lo sguardo da lui, non appena il suo braccio mi lasciò. Fissai il marciapiede che, improvvisamente, era diventato terribilmente interessante. - Si tratta di qualcos’altro di sconvolgente?
- Un pochino. - ammise, e il suo tono mi spiazzò, perché non era per niente scherzoso come quello di poco prima. Qualcosa era cambiato, ma cosa? Proseguì. - Penso tu abbia capito che quella persona se n’è andata per colpa mia. Charlie ti ha detto cosa sono. Quando l’ho vista da dentro il negozio, in cui tra l’altro non sono riuscito a portare a termine nulla, ho cercato di allontanarla. Noi vampiri non siamo dei bellocci luccicanti che succhiano il sangue alla gente. - una nota di divertimento colorò quella frase, che però si spense subito dopo. Non riuscivo a replicare. - Se n’è andata in fretta, ma il fatto che fosse lì per te, e per la seconda volta, può significare solo una cosa. - fece una pausa, ma continuò, vedendo che non rispondevo. - Sei davvero tu quella che stanno cercando.
Spalancai gli occhi, sempre continuando a fissare per terra. - Io non sono la persona speciale che cercano. Me ne sarei già accorta. - confessai i pensieri che avevano popolato la mia testa negli ultimi tempi. - Io non sono capace di fare quello che vogliono che faccia, se avessi davvero quei poteri fantastici li userei per fare qualcosa di buono, di utile, qualcosa per aiutare chi li combatte, qualunque cosa loro siano. Perché non posso farlo? Si stanno sbagliando, io lo so che si stanno sbagliando. - la mia voce mi sembrò quasi rauca. Ritornai a guardarlo e lui scosse la testa.
- El, non si stanno sbagliando. - sussurrò. - Sei tu la diretta discendente. Come ho fatto a non pensarci prima?
Iniziavo a non capirlo più. - Cosa? Che significa?
Si alzò immediatamente, spiazzandomi. Sembrava improvvisamente molto agitato. - Vieni, presto. Dobbiamo avvisare Charlie. Immediatamente.
Mi alzai e feci per seguirlo, ma non iniziò a camminare. Rimase, invece, e mi prese la mano, che risultava straordinariamente piccola tra le sue, e terribilmente fredda. Alzai lo sguardo per incontrare il suo, e mi beai del calore che pareva emanare. I vampiri non avevano il sangue freddo? I vampiri non dovevano essere mostri spietati? E chi diceva che erano così belli?
- Sei pronta? - mi chiese con serietà.
Non capii esattamente a cosa si riferisse, ma in quel momento sentii che c’era da fidarsi di lui. Non so perché, ma lo sentii, era dentro di me, forse era quella strana sensazione che faceva sembrare il mio cuore sul punto di aprirsi, ma la mia risposta fu semplice, coincisa. - Sì. - lo sono, se tu starai accanto a me, conclusi nella mia testa.


 


Argh.
Nessuna strana conversazione e nessun capitolo extralungo, oggi.
Solo un grandissimo, enorme, tanti auguri a tutti voi! Ripongo molto fiducia in queso duemilaquindici, come ho cercato di trasmettere in questa piccola Shot scritta per Capodanno, se v'interessa la potete trovare qui. Per chi ha smesso di crederci da tempo.
Penso che quello che ho appena pubblicato sia il mio capitolo preferito, non tanto per come l'ho scritto (perché, al solito, non mi soddisfa), ma per quello che accade. Capitemi, ho cercato di far passare l'attacco il più in fretta possibile perché mi metteva ansia (sono un disastro di scrittrice, sigh), invece, be', non c'è bisogno che mi ripeta: Niall è in assoluto il mio personaggio preferito, in assoluto.
Fatemi sapere cosa ne pensate voi, invece, ne approfitto per ringraziare chiunque perda un pochino di tempo a leggere i miei capitoli. Grazie, davvero.
Passate una buona giornata, o serata, o vita. Scegliete un po' quel che vi pare.

Aria.

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Capitolo 9
*** Essere speciali non rende così felici ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 9: Essere speciali non rende così felici
 
Imparai, nelle settimane che seguirono, a non dare niente per scontato. Capii che a volte l’essere speciali non rendeva poi così felici. E che, anche quando si pensa di avere tutto completamente sotto controllo, ci si sbaglia, e di grosso.
Charlie e Louis avevano iniziato a presentarsi a scuola con delle occhiaie violacee degne dei peggiori drogati. Pensai che fosse per colpa delle loro notti infuocate, ma non era così. Zayn aveva abbandonato la sua fissa per i capelli perfetti e passava ore e ore attaccato ad un tablet a fare non si sa cosa. Pensai che avesse conosciuto una ragazza online, ma non era così. Liam aveva deciso di gettarsi a capofitto nello studio di libri che non avevo mai visto prima. Pensai che la famiglia lo costringesse, ma non era così. Harry aveva scelto di non parlarmi definitivamente più, ma ogni giorno faceva in modo che ci incrociassimo da qualche parte. Pensai che avesse bisogno di stupide attenzioni, ma non era così. Niall aveva pensato di scrivermi quasi quotidianamente, e non mancava mai di chiedermi come stessi. Pensai di fargli pena, ma non era così.
Aprile portò con sé una tangibile aria di novità e, dopo attente riflessioni, mi decisi a cercare di capirci qualcosa. Charlie e Louis sostenevano di studiare tanto, ecco la colpa delle loro occhiaie. Io non ci credevo. Zayn diceva di lavorare a dei progetti scolastici. Io non ci credevo. Liam mi raccontava di essersi responsabilizzato e di voler approfondire i programmi di sua spontanea volontà. Io non ci credevo. A questi quattro, non credevo, ma avrei approvato nel caso in cui quella che mi stavano raccontando fosse stata la verità. Ma c’era qualcosa che ancora non mi tornava, perché ormai mi ero abituata ai battibecchi quotidiani con Harry, e c’era qualcosa sotto se aveva deciso di non parlarmi più.
Fu per questo che, forte delle mie convinzioni, mi recai da lui all’intervallo di una tiepida giornata di aprile per cercare di capire cosa diamine stesse succedendo. E lui mi accolse non senza sorpresa, considerando che strabuzzò gli occhi in maniera decisamente spropositata perché non avesse nulla da nascondere.
- Andiamo Styles, spiegami che succede e la facciamo finita. - mi impuntai e lui volse la testa, ma non potei evitare di accorgermi di come il suo viso sembrasse scavato.
- Non so a cosa ti riferisca. - il suo tono fu freddo, come non l’avevo mai sentito, e la cosa mi fece rabbrividire, nonché chiedere cosa diavolo stesse succedendo.
- Mi riferisco al fatto che non hai fatto altro che starmi attorno per tutto questo tempo senza però rivolgermi mai la parola. Voglio dire, - precisai. - non è che mi infastidisca, ma non è da te.
Sempre a sguardo basso, parlò. - Pensavo fosse quello che volevi.
- Proprio perché è quello che volevo non avresti dovuto farlo, tu non hai mai... - buttai lì, sentendomi una completa idiota il secondo successivo. Mi accorsi che il motivo della mia difficoltà nel fargli dire quel che volevo era che non avevo la sua completa attenzione. - E guardami, santo cielo!
Non alzò lo sguardo, si limitò a chiudere gli occhi.
- Styles, lo ripeto, guardami.
Allora mi assecondò, e avrei preferito non osservarlo. Perché non erano solo gli occhi cerchiati e rossi, erano anche le labbra torturate, la pelle pallida. - Sei contenta?
- Che succede?
Ci ponemmo quelle domande quasi contemporaneamente, come un cliché della più smielata fan fiction in cui alla fine i due ragazzi che tanto si odiavano si sarebbero sposati. Ma quella era, purtroppo, la realtà.
L’ombra di un sorriso velò il suo volto scuro. - Forse sei tu a dovermi spiegare quello che succede, visto che ti presenti qui da me, senza nessun motivo, solo per accusarmi di qualcosa che non sto facendo.
Mi sentii punta sul vivo, ecco perché ribattei, piccata, senza però togliermi di dosso quella sensazione che qualcosa di brutto stesse accadendo: - Forse non sono l’unica a stare accusando l’altro, e comunque vorrei solo sapere perché ti comporti come se volessi perennemente incontrarmi solo per farmi pesare il fatto che non mi parli più come i bambini di cinque anni.
Sul suo volto si formò un’espressione indignata, e capii di aver detto la cosa sbagliata. - Io non ti parlo per mesi, sbattendomi ogni giorno per fare in modo che tu non muoia in mano a idioti senza scrupoli e poi sarei un bambino di cinque anni? Grazie tante, la prossima volta ricordami che la tua sopravvivenza non è così importante come ho sempre sostenuto. - la rabbia che trasudavano quelle parole mi fece attorcigliare lo stomaco, ma non ebbi nemmeno il tempo di rifletterci che si passò una mano sul viso smunto per continuare, stavolta stancamente. - Fa’ finta che non abbia detto le ultime parole e va’ via, credo che potrei non rispondere delle mie azioni.
- Non so di cosa tu stia parlando, è una delle tante volte in cui ti comporti come un eroe incompreso? - domandai, questa volta con meno sicurezza perché non sapevo quanta verità si nascondesse nella frase che aveva pronunciato, ma una cosa era certa: dovevo capire cosa diamine gli fosse preso e perché tutto all’improvviso avesse iniziato a comportarsi come un bambino. Perché io lo pensavo veramente, che si stesse atteggiando da bambino. Un bambino capriccioso.
Mi sembrò quasi di poter vedere il fumo uscire dalle sue narici, osservai le sue iridi e sussultai. Ecco cosa c’era di strano. Erano quasi bianche. Ripensai alla mia teoria sulle lenti a contatto.
- Proprio perché non sai di cosa stai parlando, dovresti star zitta. Zitta, dico sul serio, non capisci nulla, la gente si fa il culo per te dalla mattina alla sera e tu ti comporti solo come un’ingrata che non capisce quello a cui tutti vanno incontro per salvarla. E continui a metterti in situazioni di potenziale pericolo, sembra quasi che tu lo faccia apposta. E in tutto questo vieni anche a chiedermi spiegazioni per il mio comportamento? Non basta quello a cui ci sottopongono tutti i giorni solo per colpa tua?
- Forse se qualcuno si degnasse a spiegarmi cosa cazzo sta succedendo, io adesso non sarei qui a disturbarti. - alzai il tono della voce, e qualche faccia annoiata si girò verso di me, evidentemente sorpresa che la pudica Ellen Fox pronunciasse qualche brutta parola. Moderai il volume. - E per la cronaca, nessuno ti ha chiesto di “sbatterti tanto” - lo scimmiottai, con rabbia, perché a quanto pareva ero l’unica persona all’oscuro di qualcosa che mi riguardava, e doveva essere qualcosa di grosso. - per me, nessuno, né tantomeno io, quindi non osare rinfacciarmelo, perché non è una mia decisione.
Uno dei suoi grandi palmi scattò automaticamente verso i suoi ricci, scompigliandoli un po’ nel vano tentativo di aggiustarli. - È stata una mia decisione, ma in questo momento me ne sto veramente pentendo. E non far finta di non sapere quello che noi, io, Charlie, Louis, Liam, Zayn e quel Niall dobbiamo fare ogni giorno solo per te, perché non è possibile che non te ne sia accorta.
Spalancai gli occhi. - Io non lo so veramente. - ammisi abbassando il tono di voce, chiedendomi di cosa avrei dovuto accorgermi.
Sbuffò. - Dio, Ellen - non aveva mai pronunciato il mio nome. - e tu saresti nota per essere intelligente? - rise. - Certo, un’intelligenza frutto solo di ore e ore passate a rincretinirti sui libri, perché quando si tratta di quello che succede attorno a te sei davvero messa male.
Non accolsi di buon grado quel velato (mica tanto) insulto. - Senti, non so chi ti creda di essere per mettere in dubbio il mio buon senso - iniziai, rinunciando del tutto a capirci qualcosa. - ma se la cosa ti infastidisce così tanto, che ne pensi di dirmi tu stesso a cosa diamine ti riferisci? Perché sai, finché mi credete un’idiota e mi tenete all’oscuro di tutto, di qualsiasi cosa si tratti, dubito di poterlo capire da sola. Non vi leggo nella mente.
Sbuffò nuovamente e evitò il mio sguardo, ancora. - Allora dopo scuola fermati e ne parliamo. - si quietò un poco. - Perché a quanto pare mi hanno mentito sul fatto di averti raccontato tutto.
- Mi stai dicendo che mi darai le risposte che cerco? - domandai, speranzosa.
- Non tutte, mi sarebbe impossibile. Ma una parte. - sollevò l’angolo sinistro del labbro e una solitaria fossetta si fece spazio accanto ad esso. - Ma non fraintendermi, credo ancora che tu sia un’idiota col prosciutto sugli occhi per non esserti accorta di niente...
Lo interruppi prima che potesse finire la frase. - Ho notato tutte le stranezze degli ultimi tempi, altrimenti non sarei venuta a chiederti spiegazioni.
- Potevi chiederle a Charlie, non sei esattamente una persona con cui mi fa piacere parlare. - replicò.
Stizzita, gli risposi. - Forse avevo frainteso i motivi dei cambiamenti. Non c’è bisogno di precisare che mi odi, Styles, la cosa è reciproca.
- No, non lo è. - ribatté, convinto. - Altrimenti non saresti venuta qui sul piede di guerra per sapere perché non ti parlassi più. Cosa c’è, ti sei affezionata a me, dopotutto? - ed ecco la sua vena irritante fare capolino sotto uno strato di stanchezza e frustrazione.
Lo spinsi leggermente. - Ti preferivo quando non mi rivolgevi la parola. - non riuscii a trattenere un sorrisino.
 
Mi stupii della mia sete di risposte quando, in classe, presi a osservare costantemente l’orologio. Non che ci tenessi particolarmente a passare del tempo con quell’idiota di Styles, ma per lo meno mi sarebbero state chiare tutte le stranezze degli ultimi mesi. Non riuscivo a smettere di pensare alle sue parole, ma mi convinsi che mi stesse solo prendendo in giro riguardo allo “sbattersi per me” perché, andiamo, non poteva essere che qualcuno si desse tanta pena per me, soprattutto senza avvisarmi. E anche se avesse davvero fatto qualcosa per me, anche se dubitavo parecchio che fosse accaduto col suo consenso, non ero stata io a chiederglielo.
Quando, dopo ben sette minuti di orologio dal suono della campanella, Harry si degnò di raggiungermi all’uscita dell’edificio, mi trovò particolarmente irritata. Non tolleravo i ritardi.
- Pensavi di metterci ancora un pochino? - domandai, sbattendo il piede a terra e iniziando a pentirmi di aver accettato di passare del tempo con lui, soprattutto in virtù del fatto che molti ci fissavano con aria scioccata. Mi consolai pensando a come, con quegli occhi sgranati e le espressioni sprezzanti, somigliassero a dei pesci.
Sbuffò, e di nuovo mi impedì di vedere i suoi occhi, perché chinò il capo. - Ringrazia, invece, che mi sono liberato. Oggi dovevo uscire con una ragazza, e non mi è piaciuto darle buca.
Scettica, inarcai un sopracciglio. - Ora hai dei sentimenti?
- Fai sempre in tempo ad andartene, fidati, mi farebbe più che piacere. Ma non otterresti tutte le informazioni che cerchi, scegli il male minore. - l’espressione furba che campeggiava sul suo viso mi fece venire voglia di staccargli la faccia a suon di schiaffi, ma mi ripetei più volte che ero contraria alla violenza.
- Allora, spiegami. - iniziai a camminare, non sapevo esattamente in quale direzione. Per una volta nella vita, decisi di assegnare al cibo il secondo posto. In quel momento una potenziale pizza era la cosa di cui m’importava di meno, ecco perché non mi diressi verso la via dove generalmente pranzavo. Per di più, avevo tanta paura che si potesse ripetere un attacco della misteriosa figura nera, a chiunque appartenesse quella sagoma raccapricciante. Sapevo che Harry, se si fosse verificato un simile evento, non mi avrebbe sicuramente difeso a spada tratta come invece aveva fatto Niall.
Lui infilò le mani nelle tasche dei jeans stretti e chiari, stiracchiandosi un po’. - Non sono sicuro che sia arrivato il momento che tu lo sappia, d’altro canto Charlie mi aveva assicurato di averti già raccontato tutto, e a quanto pare non è così. Oggi a scuola mi ha detto che era troppo difficile perché te ne parlasse lei, quindi lo farò io...
Lo interruppi prima che partisse la tangente. - Okay, non tesserò le tue lodi solo perché mi metterai al corrente di qualcosa che mi riguarda. - l’avvertii. - Ora spiegami cos’è successo, e non dimenticare che devo sapere anche perché mai non mi hai rivolto la parola per mesi.
Sogghignò. - Vedo che, alla fin fine, t’importa di me, ragazzina.
- Sono solo di un anno più piccola. - protestai.
- Sì, ma ti comporti come una bambina viziata. - prima che potessi ribattere, però, ricominciò a parlare. - C’è poco da dire, stiamo lavorando per proteggerti, non possiamo correre il rischio che tu cada tra le mani di qualcuno che non avrebbe pietà del tuo bel visino.
Quelle parole furono come una pugnalata. - Parlate di quel gruppo di maniaci?
Annuì, con aria grave, mentre rallentava il passo. - Hai detto bene, una banda di maniaci. Senti, forse tu non te ne rendi conto, ma la cosa è molto più grave di quanto pensi. Per quanto faccia fatica a crederci, tu hai dei poteri che potrebbero cambiare il corso della vita umana sulla terra per sempre. Niall ci ha avvisato dell’attacco quando siete usciti, quindi io adesso sto lavorando con lui, Charlie, Louis, Zayn e Liam per cercare di capirci qualcosa in più. Ovviamente non siamo soli, ma la cosa non è molto consolante. Passiamo giornate intere a incontrarci, a discutere, a controllarti e a cercare di non farci beccare per non morire, o sarebbe la fine.
Mi portai le mani alla bocca. - Ma state rischiando la vostra vita. - obiettai.
Lui scrollò le spalle. - Non c’è bisogno che me lo ricordi, lo so, ma ne vale la pena. Se ti prendessero, non hai idea delle conseguenze che questo potrebbe avere. S’impadronirebbero del mondo, capisci cosa significherebbe lo sterminio della razza Umana? Altro che seconda Grande Guerra, si tratterebbe di un fenomeno nocivo per i tre quarti della popolazione mondiale.
Quei dati mi fecero rabbrividire e non potevo credere di essere parte di tutto quello. - Ma perché non mi avete detto nulla? È di me che si parla, non ho mai voluto che qualcuno rischiasse per me.
- Non è di te che si parla. - mi fece notare. - Si tratta di miliardi di persone. E la vita non sarebbe comunque facile per i non Umani sopravvissuti, sotto il loro regime.
Mi sentii tremendamente egoista. - Ma se io ho questi fantomatici poteri, perché non posso utilizzarli per darvi una mano? Posso aiutarvi a combatterli...
Un sorriso amaro si fece strada sul suo volto. - Non sai di cosa stai parlando, Fox. La nostra è una battaglia persa in partenza.
Quell’affermazione mi irritò. - E se non ci credi, allora perché ti impegni così tanto? Non basterebbe andartene semplicemente?
- Non è così facile. Ci sono cose che non puoi capire.
- Perché non le posso capire? - urlai stavolta. Mi trattavano come una bambina.
- Perché tu hai bisogno di restare viva. - mi rispose, enigmatico. - E comunque, non potresti aiutarci a prescindere. I tuoi poteri non sono compatibili.
- Cosa significa?
Si passò stancamente una mano sulla fronte, chiudendo gli occhi per un istante. - Significa che tu hai l’animo essenzialmente Malvagio.
- Mi stai prendendo in giro? - inarcai un sopracciglio, chiedendomi di quante cose ancora non fossi a conoscenza.
- No. Prendi Louis: è un angelo, il suo animo è essenzialmente Buono, ovviamente anche con un animo Malvagio si può decidere di collaborare con il Bene e viceversa, ma non nel tuo caso, tu sei un’eccezione.
- Ma non posso rimanere qui con le mani in mano. E poi io non sono Malvagia, non me l’ha mai detto nessuno! - strinsi i pugni, mentre lo shock per quelle rivelazioni minacciava di farmi cadere sul marciapiede umido di pioggia.
La risatina che gli uscì dalle labbra carnose risultò stranamente forzata. - Io mi domando quanto debba essere difficile il compito da svolgere per il tuo angelo.
Quelle parole mi procurarono un sorriso e un’ondata di consapevolezza. - Ne ho uno anch’io?
- Tutti ne hanno uno. Tranne gli angeli, ovviamente.
- Quindi ne ho uno! - esclamai, felice come una bambina. In fondo, tutti fantasticano su angeli e compagnia, da piccoli. - E tu ce l’hai?
Lui scosse la testa, agitando i ricci. - Se esiste, non l’ho mai incontrato.
- Perché non so niente di tutto quello che succede al di fuori del mio piccolo? - chiesi stupidamente, pentendomene il secondo successivo ricordandomi chi fosse il mio interlocutore.
Inarcò un sopracciglio e assunse un tono di ovvietà. - Te l’ho già detto: perché sei solo una bambina che pensa solo a se stessa e non si accorge di chi fa tutto per lei.
Mi accigliai. - Questo non vuol dire nulla, io non sono un’egoista, non osare ripeterlo.
Fece spallucce. - Fox, non sono solo io a dirlo, ti assicuro che persino Niall non sopporta la tua infantilità.
- Davvero?
- No, ma avresti dovuto vedere la tua faccia.
Lo spinsi leggermente. Non importavano tutte le cose che mi aveva detto, continuavo ad odiarlo.
- Non ti sopporto, Styles, non ti sopporto.
 
Quando chiesi giustificazioni alla mia migliore amica, mi stupì che non me l’avesse raccontato per paura. Lei era sempre stata la parte forte tra di noi, quella pronta a tutto, quella che ti convinceva a fare le cose più spericolate per divertimento. Fu un colpo duro, venire a conoscenza di come fosse in realtà impaurita all’idea di tutto quello che stava succedendo e anche un pochino commovente sapere che non voleva che mi prendessero. Ci teneva veramente a me, ecco cosa continuava a ripetermi, e io le credevo. Le avevo sempre creduto.
 
Niall J. Horan: Salve salve salve! ^^
Ellen Fox: Salve salve salve anche a te!
Niall J. Horan: Come stai? Tutto bene?
Ellen Fox: Fammi indovinare: Harry ti ha raccontato.
Niall J. Horan: Ebbene sì, ma non sentirti troppo figa solo perché hai azzeccato, piccolina u.u
Ellen Fox: Perché avete tutti la brutta abitudine di pensare che io sia piccola? :c
Niall J. Horan: Forse perché lo sei. :P E comunque sei tenera, le persone tenere sembrano piccole, di solito. Almeno, con te funziona così. Senti, devo chiederti una cosa...
Ellen Fox: Gne gne. >.< Dimmi tutto!
Niall J. Horan: Ti sembrerei un emerito coglione se ti chiedessi il numero di telefono? Ogni tanto mi capita di pensarti e se non sono su Facebook è un problema per me romperti le palle ewe
Ellen Fox: Idiota, tieni: 0336017853622. E tu vedi di darmi il tuo, vale lo stesso discorso del rompere le palle. :’)

 
In quello stesso momento mi squillò il cellulare. Osservai lo schermo illuminarsi e il numero che vi era scritto in bianco. Non era memorizzato nella mia rubrica.
- Pronto? - risposi, mentre aspettavo con ansia che Niall mi rispondesse su Facebook, premurandomi di non sembrare troppo patetica e implorante ai suoi occhi.
Una voce divertita mi parlò dall’altro capo del telefono. - Che dici, l’ho memorizzato giusto il tuo numero?
Tentai invano di soffocare una risatina. Mi sentivo formicolare, iniziai a camminare su e giù per la stanza, giusto per avere qualcosa da fare, mentre un grosso sorriso si faceva strada sul mio volto e io mi sentivo una tremenda idiota. - A quanto pare. Ciao, Irlanda!
Me lo immaginai mentre faceva una smorfia all’udire quelle parole. - Ciao bambina. Stavo pensando ad una cosa.
- Fingerò di non aver sentito come mi hai appena chiamato, ma solo per stavolta, Horan. - lo redarguii, non riuscendo però a non ridere. - Addirittura? Di che si tratta?
- Pensavo... - fece una pausa durante la quale mi figurai lui che mi chiedeva di sposarlo, lui che mi chiedeva di fare un figlio, lui che si voleva fidanzare con me, lui che si prostrava ai miei piedi perché aveva capito che ero la donna della sua vita, lui che... - Sabato sera potremmo uscire. Insomma, se ti va, è da tanto che non ci vediamo e siccome ho il turno che finisce alle sette se volevi...
- Sì, lo voglio. - risposi, prima di scuotere la testa per evitare di pensare alla meravigliosa figura di lui in abito da sposo. Il mio vestito comunque non era bianco, ma color pesca, per andare contro la tradizione. Credo mi sentissi estremamente trasgressiva a pensarla in quel modo. - Voglio dire che certo che mi andrebbe! Insomma, non usciamo insieme da tanto... - azzardai, prima di mordermi la lingua.
Una risatina divertita m’incantò. - Non credo di voler sapere a cosa stessi pensando. Comunque d’accordo, allora se ti va potremmo vederci verso le sette e... niente, non ho molti piani in realtà, solo passare una serata a fare da babysitter alla piccola Ellen.
Tirai fuori la lingua prima di rendermi conto che, comunque, non avrebbe potuto vedermi.
- Scommetto che stavi per fare la linguaccia.
- Scommetto che mi spii.
- Scommetto che non vedi l’ora che sia sabato.
- Scommetto che tu non vedi l’ora che sia sabato.
- Scommetto che hai ragione.
- Scommetto che ho sempre ragione.
- Scommetto che devo andare. - si udì un sospiro. - Anche se in realtà resterei più volentieri a parlarti.
- So che te ne stai andando solo perché stavi perdendo. - annunciai in tono fiero. - Allora ci vediamo sabato? - chiesi esitante, temendo in un rifiuto dell’ultimo secondo.
- Scommetto che hai ragione. - furono quelle le parole che sancirono la fine della nostra prima conversazione telefonica.
Se da un lato però non vedevo l'ora di chiamare la mia migliore amica per raccontarle di tutto quello che mi era appena successo, dall'altro non potevo non voler tenere quella piccola conversazione per me. Ero fermamente convinta, infatti, che se mi fossi esposta troppo riguardo a una potenziale relazione fra me e il ragazzo che non riuscivo a smettere di sognare, tutto quello che avevamo costruito insieme con fatica fino a quel momento si sarebbe dissolto, come per magia. Era lo stesso, stupidissimo principio secondo il quale dopo ogni compito  in classe mi ostinavo a ripetere "Tanto è andato male", forte del fatto che, se avessi sostenuto il contrario, il risultato sarebbe stato ben poco incoraggiante.
Mentre riflettevo sul da farsi, però, il filo dei miei pensieri fu interrotto dalla suoneria del mio cellulare. Convinta che si trattasse nuovamente di Niall, non persi tempo a leggere il nome del chiamante, mi limitai semplicemente a rispondere.
- Pronto?
Qualcosa però non andava. Dall'altro lato si sentiva un suono metallico, insieme a una serie indistinta di rumori indefinibili, che mi facevano rabbrividire. Si udì un tintinnio soffocato, poi un urlo, poi il rumore automatico che si sente quando si invia un fax, solo estremamente più forte. Fui costretta ad allontanare la cornetta dall'orecchio fino a quando quel sordo baccano non scemò. A quel punto riavvicinai, confusa, il telefono all'orecchio, e una voce evidentemente alterata con qualche mezzo tecnologico pronunciò una sola frase che mi raggelò. "Paura. Fai bene ad averla".
Non mi ero ancora tolta il telefono dalle mani che il campanello suonò. Non ebbi il tempo di riflettere sulla conversazione telefonica che avevo appena affrontato: udii la voce concitata di mia madre e dei passi rumorosi che salivano le scale. Pochi secondi dopo, la porta della mia stanza era spalancata  e Charlie mi stava ordinando di seguirla.
L'unico pensiero che fui in grado di formulare fu che c'era decisamente qualcosa di strano in tutto quello.
L'immagine di Niall svanì dalla mia testa, mentre un'altra prendeva il suo posto.
Era una figura nera dalla testa ai piedi.




 


Argh.
Ciao a tutte anime gaie che si stanno preparando per il prossimo capitolo pieno di rivelazioni (io lo so che non aspettate altro, ha)!
Come sempre, poco da dire. La scuola è ricominciata, questo mi ha gettato in uno stato catatonico con alterne fasi di profonda depressione.
Okay, diciamocelo, non riesco più a studiare niente, e siamo ancora ai piedi della scalata.
Ma non siamo qui per ansieggiarci pensando alla scuola, quindi parliamo d'altro.
Sono sinceramente sconvolta per quel che è successo a Parigi, ammiro davvero tanto i poliziotti e chiunque sia intervenuto per dar loro manforte.
Passando al capitolo, è una fase piena di Hellen, così alcune lettrici mi hanno suggerito via messaggio di rinominare la ship HarryxEllen, e quindi chiamiamola così. L'alternativa era Erry, ma mi metto sempre a ridere quando lo scrivo. Cosa ne pensate? Ma soprattutto, cosa credete che stia succedendo? Ma soprattutto, cos'era quell'inquietante telefonata?
Lo scopriremo nella prossima puntata!
Odio questa frase, ma va bene lo stesso.
Per chi fosse interessato, ho pubblicato qui una One Shot sul nostro amico Niall che, confermo, è il mio personaggio preferito di tutta la storia. Che tristezza, mi sto pubblicizzando da sola.
Alla prossima, gente, e grazie a chiunque continui a leggere.


Aria.

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Capitolo 10
*** Bianco ***



L'oscuro tentatore - Capitolo (troppo lungo e condensato) 10: Bianco

 
Rinunciai a chiedere spiegazioni alla mia migliore amica nel momento esatto in cui, con un silenzio decisamente non da lei, mi prese per mano lasciandomi a malapena il tempo di infilare un giubbotto e iniziando a correre per le strade di Leicester, lo sguardo stanco ma determinato. La osservai con più attenzione, osservando che non erano ancora sparite le occhiaie che avevano dominato il suo viso negli ultimi tempi e notando, oltretutto, un paio di graffi sulla guancia destra. Sapevo che non era il tempo di fare domande a cui, comunque, avrei ottenuto risposte di lì a poco, quindi cercavo di memorizzare il tragitto che stavamo seguendo, rinunciando dopo poco persino a quello. Maledetto il mio inesistente senso dell’orientamento.
Dopo una lunga serie di svolte a destra e una più breve di svolte a sinistra, arrivammo davanti a un edificio assolutamente normale, una casa simile a tutte quelle da cui era circondata. Non sapevo che all'interno ci avrei trovato sistemi tecnologici all'avanguardia di cui non sapevo assolutamente nulla se non che si ostinavano a fare bip ogni due secondi e alcuni ragazzi terribilmente familiari.
- Zayn, Liam, che cosa ci fate voi qui? - domandai, riuscendo finalmente a trovare la voce dopo essermi guardata per un attimo in giro con aria spaesata. E anche un po' impaurita, è doveroso ammetterlo.
Attorno a me, una stanza asettica, come la sala d'aspetto d'un dentista, bianca, col solo tocco di colore di miriadi di testoline sconosciute chinate su computer e quelli che parevano sistemi d'allarme e telecamere.
Fu proprio Liam a rispondermi, dopo essersi guardato attorno con circospezione e essersi poggiato un dito sulle labbra. - Ci sarà tempo più tardi, El. Sei in pericolo. - disse secco.
Zayn gli diede una gomitata, stropicciandogli la camicia abbottonata fino al collo, in pieno stile Payne. - Liam, che diamine, un minimo di delicatezza. - poi si rivolse a me. - El, segui Charlie, noi arriveremo appena questi dannatissimi cosi - e così dicendo indicò una pila di quelli che sembravano quadrati di latta. - si decideranno a funzionare. Non fare domande, ti spiegheremo tutto tra poco.
Liam mi si avvicinò, poggiandomi le mani sulle spalle e scuotendomi in un modo che mi fece avvertire una certa nausea. - Non devi preoccuparti, Fox, andrà tutto bene, lo giuro sul mio onore di eroe, di licantropo e di uomo. Andrà tutto bene, devi solo stare calma.
Fu con la delicatezza di un elefante che mi staccai dalla sua presa. - Liam, mi calmerei se solo stessi capendo qualcosa di tutto quello che sta succedendo. - obiettai, prima che qualcos'altro, più precisamente la mano della mia migliore amica, si poggiasse sulla mia spalla. - Charlie, cosa...?
Lei m'interruppe. - Non c'è tempo, El. Ti spiegherà tutto Louis, vieni con me, e mi raccomando, togliti qualsiasi oggetto elettronico tu abbia addosso. - il suo tono, così grave e serio, mi fece pensare che non fosse la vera Charlotte Hastings quella con cui stavo parlando, ma solo un clone mal riuscito.
Annuii semplicemente poggiando il mio cellulare e il lettore mp3 che tenevo nella tasca posteriore dei miei jeans leggeri su uno dei tavolini bianchi della sala, mentre la sua presa si faceva più salda.
- Ti voglio bene.
Quelle tre parole, quella voce così fioca, mi fecero venire voglia di saltarle addosso e abbracciarla anche per tutte le volte in cui non l'avevo fatto, perché non lo facevamo poi molto spesso, ma avvertii l'urgenza che c'era nell'aria. Mi ritrovai a chiedermi se quello che stava accadendo così in fretta avesse a che fare con la strana telefonata di poco prima, ma non mi diedi la pena di elucubrare ed elucubrare, me ne sarei accorta da sola.
Mi scortò fin dentro una piccola saletta, bianca come il posto in cui ci trovavamo, al cui centro era seduto Louis. Aveva le ginocchia raccolte al petto in un gesto che avrebbe trasmesso paura, se non fosse stato per lo sguardo che i suoi occhi verdi-azzurri avevano. Era così determinato, così sicuro di sé, che mi ritrovai per la seconda volta a pensare di trovarmi faccia a faccia con un clone. Forse lo era.
- Louis, sei tu? - domandai, con un pizzico d'incertezza.
Un sorriso fece increspare le sue labbra, mentre la porta si chiudeva alle mie spalle, facendomi sentire in gabbia. - A quanto pare. Siediti, ho molto da raccontarti.
Ellen, in gabbia. Quello era il mio unico pensiero.
- E io ho tante domande da porti. - dissi semplicemente, avvicinandomi a lui e accorgendomi che quello che avevo davanti non poteva essere un clone.
Era proprio Louis, seduto lì, un angelo in tutte le sue paure e le insicurezze che spesso gli attanagliavano lo stomaco. Il ragazzo petulante e ansioso che mai come in quel momento mi era apparso tanto maturo, cresciuto, si passò una mano tra i capelli, col solito taglio a scodella, e stavolta sorrise apertamente. - Chi inizia? - domandò, con semplicità spiazzante.
- Tu. - mi ritrovai a rispondere, cullandomi in quel vago senso di familiarità che mi aveva sempre comunicato quell'odioso di un Tomlinson e scacciando il senso di emicrania che iniziava a farsi largo dentro di me perché non stavo capendo nulla di quello che stava succedendo, e detestavo non avere nulla sotto controllo.
- D'accordo, senti, non sono mai stato bravo con queste cose. - sospirò. - Tra noi Niall è quello fascinoso e rassicurante, Harry quello che s'impegna, Charlie quella ansiosa, Liam quello che è ancora più ansioso di Charlie e Zayn quello che fa finta di essere subdolo. Poi ci sono io che non ho nessun ruolo distinto, avrebbe dovuto essere Niall a raccontarti quello che succede, tanto più che a te lui piace, non come me e Charlie che io ho sempre paura che possa succederle qualcosa e poi è lei a fare tutto il lavoro e io poi dovrei essere l'uomo che...
Lo interruppi prima che tutto il lavoro che pareva esserci dietro quella strana abitazione andasse in fumo. - Louis, calmati. - lo redarguii, appoggiandogli una mano sul braccio e trovandolo incredibilmente freddo. - Cosa succede? Dove siamo? E soprattutto, perché Charlie è piombata a casa mia alle cinque del pomeriggio trascinandomi via mentre mia madre l'ha lasciata fare con tutta calma senza insospettirsi?
Il suo dito indice grattò la rada barba che, me ne accorsi solo in quel momento, aveva iniziato a coprirgli le guance e il mento. - Una cosa alla volta. Innanzitutto, sei qui perché le cose hanno preso una piega inaspettata. Come Harry ti ha detto, sei davvero tu quella che la P.A.U.R.A., se non te l'avevano spiegato è questo il nome della banda di idioti, sta cercando. Il punto è che pare che oggi ti abbiano quasi raggiunta. Hai ricevuto una telefonata strana, vero?
Annuii in risposta, mentre il nome della P.A.U.R.A. evocava in me ricordi sconnessi, come se ne avessi sempre saputo qualcosa, anche se non riuscivo a identificarlo. E inevitabilmente, quello non faceva che accrescere la mia paura, per non parlare della confusione che ormai dominava ogni singola parte di me.
- Erano loro. Penso stessero cercando di identificarti col segnale del tuo cellulare per venirti a prendere. Ormai sanno che si tratta di te, e ti convinceranno a collaborare, volente o nolente. E qui entriamo in gioco noi, perché stiamo pedinando ogni tua mossa per arrivare a loro. Nessuno sa chi fa parte della P.A.U.R.A., potrei partecipare io stesso al loro progetto.
Lo interruppi subito. - Ma non è così, giusto?
La sua bocca si curvò in un sorrisetto, prima di ritornare alla forma precedente. - Giusto. In ogni caso, stiamo cercando di carpire quante più informazioni possibili su di loro, e ne abbiamo già un numero ragionevole, ma non sono qui per spiegarti cosa facciamo noi. Semplicemente, devi capire che oggi sono quasi arrivati a te, e sicuramente sono giunti a casa tua, immagina cosa non hanno fatto quando non ti hanno trovato.
Mi portai le mani alla bocca, interrompendolo nuovamente. - Mamma... - mormorai.
- Tua madre sa della situazione. - mi liquidò ricominciando a parlare, senza darmi modo di chiedere come diavolo facesse la mia ingenua madre a sapere. - E aveva un piano d’emergenza, ora è al sicuro. La rincontrerai alla fine di tutto questo, non possiamo correre rischi inutili. In ogni caso, da oggi in poi faranno di tutto per prenderti, ed è giusto che tu lo sappia. - spiegò, e apprezzai che non cercasse di sminuire la situazione. Era giunto il momento di sapere, una volta per tutte. - Se prima si muovevano con cautela, la telefonata che ti hanno fatto può significare solo che non si faranno scrupoli a prenderti in qualunque luogo, ormai, che sia la scuola, casa tua o il parco, è per questo che ti abbiamo portato qui. Si tratta del posto dove svolgiamo le nostre ricerche sulla P.A.U.R.A., qui non potranno mai raggiungerti a meno che un membro non ci tradisca, e ti assicuro che dubito fortemente che questo possa succedere.
Mi portai una mano alla fronte e strinsi forte. - Louis, tutto questo, tutto insieme. Cosa sono io?
Un altro sospiro, uno sguardo grave. Non fece in tempo a rispondermi, non ci riuscì, perché la porta della stanza dove ci trovavamo si aprì di scatto.
- Louis, - una voce femminile, la figura di Charlie. - abbiamo scoperto per cosa sta "P.A.U.R.A.".
- Cioè? - domandammo in coro.
- Perduti Associati per l'Usurpazione della Razza Anomala. El, - sembrò accorgersi in quel momento della mia presenza. - i Perduti sono quelli che non ritornano Umani dopo la trasformazione, quelli di cui ti avevamo parlato. Noi li chiamiamo così.
Un brivido mi gelò il sangue, prima che tre faccette sbucassero dietro le spalle della mia migliore amica. Una di queste tre faccette la superò agilmente, precipitandosi verso il centro della sala da cui ancora non mi ero mossa, e si sedette per terra, accanto a me, abbracciandomi di slancio e facendomi sentire un certo calore espandersi su tutto il viso. Non potevo di certo arrossire.
- Dimmi che stai bene, dimmelo. - furono quelle le parole pronunciate sui miei capelli da un certo ragazzo irlandese mentre, in ginocchio, mi stringeva forte, e io non riuscivo a non ricambiare l'abbraccio.
- Sto bene. - mormorai, beandomi di quel contatto e dell'odore unico che la sua pelle emanava. Un odore che non era niente di speciale, in fondo, ma che solleticava le mie narici come avevo sempre sognato, un odore che lo rappresentava a pieno e che mi fece venire voglia di tenerlo ancorato a me per tutta la mia vita.
Si staccò, guardando ovunque meno che sul mio viso. - Scusami ma sai, prima o poi mi farai morire di preoccupazione.
Non riuscii a non sorridere, come nella più demenziale commedia romantica, e mi guardai attorno, notando gli sguardi maliziosi degli altri.
- Se volete vi lasciamo soli. - mormorò Zayn, un'altra delle faccette affacciate dietro Charlie, con aria maliziosa.
- Credo che Niall possegga una scorta di preservativi. Vergini fino al matrimonio. - pronunciò Liam simulando (almeno spero) orgoglio, prima di scoppiare in una grossa risata e di chiamare Louis, che mimò un "avremo tempo dopo, in fondo" e uscì, richiudendosi la porta alle sue spalle.
- Niall. - dissi semplicemente, non riuscendo ad aggiungere nient'altro, semplicemente guardandolo e sperando che anche lui si decidesse a fare lo stesso.
E lo fece. E il momento in cui i suoi occhi si riversarono nei miei, mi sentii di nuovo sotto incantesimo, sensazione che a dirla tutta non mi dispiaceva affatto.
- Ellen. - pronunciò a sua volta, sorridendo. - Credo che la nostra uscita di sabato sia rimandata a data da destinarsi.
- Già, lo credo anch'io.
C'era qualcosa che non andava in quella conversazione, come un velo di imbarazzo. Un velo di imbarazzo che si dissolse l'attimo successivo, in cui posizionò nuovamente le sue braccia attorno al mio corpo, coinvolgendomi in un abbraccio che aveva il sapore di un'amicizia ritrovata dopo molto tempo passato lontani l'uno dall'altra.
- Ti giuro, quando sono arrivato e mi hanno detto cos'era successo mi è preso un colpo. - raccontò, sui miei capelli, e quando si staccò mi stava, finalmente, guardando di nuovo negli occhi. - Ma finché stai qui non c'è pericolo, davvero. Nessuno di noi parlerà, puoi starne certa. Anche perché, se lo facesse, penso che potrei uccidere. - la sua risatina mi scaldò il cuore, e fu solo in quel modo che mi resi conto di quanto mi fossi sentita fredda fino a pochi minuti prima, nonostante il caldo che aveva caratterizzato quei giorni. Come se non avessi avuto più niente, come se mi avessero prosciugato per qualche secondo fine che non riuscivo a comprendere. Ma in quel momento, in quel momento sì che stavo bene, e lui mi era dannatamente mancato.
- Non credo che gli farebbe piacere. - commentai, sorridendogli. - Però ehi, mi stai dicendo che il nostro appuntamento romantico di sabato è saltato, questo mi addolora.
- Non sottovalutarmi, sono un uomo dalle mille risorse. - mi rivolse un occhiolino. - Ho già programmato una seratina solo io e te a visitare sale bianche su sale bianche, ti farò provare i sistemi che abbiamo per controllare i tuoi passi, le telecamere di sicurezza e il sistema d'allarme. Non è eclatante?
Quella volta risi apertamente, rendendomi a malapena conto di come bastasse la sua presenza a tranquillizzarmi. - Non vedo l'ora, sarà la serata migliore della mia vita.
- Lo sarebbe soltanto se ti baciassi. - lo affermò con tanta sicurezza che quasi mi convinsi che sarebbe potuto succedere davvero. - Ammettilo.
- Lo ammetto. - ma a quelle parole non potei evitare che le mie guance si tingessero di un rosso fin troppo evidente.
- Ehi, io ero serio! - esclamò con tono indignato, prima di alzarsi e di tendermi una mano, invitandomi a fare lo stesso.
Fu quando entrambi ci trovammo in piedi, a una distanza decisamente più breve rispetto a quelle che avevamo affrontato fino a quel momento, che mi decisi a ribattere. - Anch'io ero seria, Irlanda, è così difficile crederci?
- Forse, quand'ero piccolo mi dicevano che i bambini raccontano solo bugie. - incrociò le braccia, ma questo non gli impedì di fare un altro passo verso di me.
- Ancora con questa storia della bambina? - domandai, mentre un ciuffo di capelli fin troppo ricci mi si poggiava sugli occhi e dovevo soffiarmelo via dalla faccia, proprio come una bambina.
- Proprio come una bambina. - commentò infatti lui, mentre un sorriso ornava il suo volto. - Non vorrai farmi credere di essere una ragazza matura, vero?
- Invece è proprio quello che sono. - replicai, indispettita. - Me lo ripetono sempre quasi tutti i professori, e io ci credo.
- I bambini credono a tutto quello che si dice loro.
Ci pensai un attimo prima di sorridere, certa della mia vittoria. - Infatti non sono una bambina, non credo che renderai la nostra seratina romantica a lume di parete bianca perfetta grazie a un tuo bacio perché tu in realtà non vuoi baciarmi. - così dicendo, sporsi il labbro inferiore in fuori, in modo da sembrare teneramente affranta. Cosa che, intendiamoci, non ero. Non così tanto.
Un altro passo verso di me, dovetti alzare di molto lo sguardo per tenerlo incatenato al suo. - Così però non è giusto! - protestò, mentre una delle sue mani si poggiava sulla mia schiena, invitandomi ad avvicinarmi a lui, sempre di più.
Lo sentivo, stava per succedere. - La verità fa male, eh? - ridacchiai, cercando di nascondere l'effetto che mi faceva, ossia un certo calore che, dal mio ventre, aveva cominciato a espandersi per tutto il corpo, e intendo proprio tutto il corpo.
- Vedi che i bambini dicono solo le bugie? - quelle le sue parole, dettate dal volto che si avvicinava al mio, lo sguardo brillante di malizia, un sopracciglio inarcato, l'espressione decisamente divertita.
- Non darmi della bugiarda solo perché sai che la verità non è lusinghiera. - lo provocai ancora, schiudendo la bocca e respirando a fondo, avvertendo di nuovo quell'odore familiare che lo caratterizzava. Se quello era un sogno, pregai che nessuno arrivasse a svegliarmi proprio sul più bello.
- Fidati. - sussurrò, un sussurro destinato solo a noi due. - La verità è quella che continuo a sostenere io.
E fu dopo aver pronunciato queste parole che, prevedendo che gli avrei risposto per le rime, si gettò sulle mie labbra probabilmente anche per zittirmi, e io potei finalmente testare quella morbidezza che tanto avevo sognato. Mi sembrava un sogno, una sensazione che aveva del surreale per quanto sembrasse assurda. Le sue labbra che si muovevano sulle mie, carezzandole, e io avvertii quel tocco sul mio cuore, immediatamente più pieno, così tanto che pareva voler scoppiare. Sì, era proprio come se il mio cuore avesse avuto vita propria, e in quel momento stava gridando mentre ballava qualche danza di felicità. La mano che non era poggiata sulla mia schiena si avvicinò alla mia, facendo intrecciare le nostre dita, e sentire il suo tocco, sapere che era lui che stavo baciando, e nessun altro, mi fece sentire come se fossi la ragazza più felice del pianeta. E probabilmente lo ero davvero.
Quel contatto non terminò quando ci separammo e ci trovammo a fissarci per un attimo per poi metterci a ridere imbarazzati, perché il suo pollice continuava a carezzare il dorso della mia mano, causandomi dei brividi che speravo non avrebbe sentito.
- Questo comunque può restare qui, se vuoi. - mormorò, guardando prima le nostre mani, poi i miei occhi, infine le mie labbra. Sciolse le nostre dita e, se prima ne rimasi un po' delusa, pensai tutt'altro quando non fece altro che aprire le sue braccia, incoraggiandomi a rifugiarmici. E, come da copione, fu proprio ciò che feci, e la cosa migliore in tutto quello fu poggiare il mio orecchio sul suo petto, sentendo il suo cuore battere a un ritmo accelerato almeno quanto il mio.
Sorrisi, consapevole che lui non era il personaggio di qualche stupida Fanfiction, il protagonista di un romanzetto rosa da quattro soldi. Lui era Niall Horan ed era lì. Con me, col cuore che batteva allo stesso ritmo del mio.
E ancora, sempre come dettato da copione, la porta si aprì proprio in quel momento, rivelando un Liam che, con aria preoccupata, si precipitava dentro la stanza costringendoci a separarci. E facendomi avvertire freddo, molto freddo.
- Scusate la brusca interruzione ma abbiamo un problema, anzi due. Il primo è che non vi concedo di procreare senza un adeguato consulto riguardo al nome del pargolo, il secondo è che... Ellen, se vuoi seguirmi.
Mi ripresi immediatamente dallo shock del bacio che avevo appena dato al ragazzo per cui avevo un'irrimediabile cotta. - Cos'è successo? E farò finta di non aver sentito la prima parte. - aggiunsi, non riuscendo a trattenere un sorrisino.
- Non c'è tempo, devi muoverti. - detto questo, uscì dalla stanza, lasciandomi sola con Niall e tutte le mie paure.
- Forse faresti meglio ad andare. - mi suggerì proprio il biondo. - Anch'io devo andare. Vogliamo capirne di più su questo gruppo di pazzi.
Annuii, facendo per seguire Liam prima di sentirmi tirare per il polso sinistro.
- Ci vediamo più tardi. Sarai ancora qui. - m'informò Niall prima di lasciarmi andare, e tutto ciò di cui ero consapevole era la confusione per essere andata oltre a ciò che mi ero prestabilita con Niall e la paura che qualcosa di nuovo accadesse, qualcosa di gran lunga peggiore a ciò che era successo prima. Insieme a tutto questo, l'ingenua inconsapevolezza nel sapere tutti gli avvenimenti recenti soltanto a pezzi, e non riuscendo quindi a rendermi veramente conto della grandezza di ciò in cui mi ero cacciata.
Maledetta la mia discendenza.
Quando riuscii a raggiungere Liam, dopo aver attraversato quello che pareva un sogno a causa dell'unicità del colore bianco che ricopriva tutta la casa come se nevicasse, stava entrando in una saletta molto simile a quella che avevo visto al mio ingresso. L'unica differenza era che gli schermi di quattro computer estremamente all'avanguardia ricoprivano una parete, e ad essi stavano lavorando quattro ragazzi di mia conoscenza. Zayn, Louis, Charlie ed Harry si  trovavano lì.
Non appena mi sentirono arrivare, però, premettero velocemente qualche tasto impedendomi di capire cosa stesse accadendo sugli schermi e accolsero con tono grave la mia espressione allarmata.
- El, c'è bisogno che tu dorma qua stanotte. - mi comunicò Charlie, troppo in fretta perché potessi realizzare ciò che mi stava in realtà dicendo. - E non solo. Casa tua non è più sicura.
- Cosa vuoi dire?
- Vuole dire - intervenne Harry, alzandosi dalla sedia e strofinandosi un occhio con aria esausta. - che tua madre è scappata per miracolo e che dovrai dormire qua senza interferire con noi perché se una cosa è chiara è che l'unica cosa che riusciresti a fare è interferire...
- Perché il mio animo è essenzialmente malvagio, lo so. - completai la frase per lui, sentendomi completamente idiota. Forse vivere una storia come quella delle eroine dei miei libri non era poi così avvincente come avevo sempre sognato. Non mi restava che sperare nell'happy ending. - Cos'hai detto di mia madre?
- Che è scappata per miracolo. - rispose freddamente lui, mentre osservava con aria scocciata la mia migliore amica che approfittava della pausa per rifugiarsi tra le braccia di Louis. Doveva aver passato un periodo non proprio dei migliori. - Sono piombati in casa, per fortuna lei sapeva tutto. La buona notizia è che è riuscita a scappare, abbiamo sue notizie e la potrai rivedere a battaglia conclusa. Certo, non sappiamo quanto ci vorrà, ma siamo a un passo dallo scoprire una parte dei membri del team della P.A.U.R.A.. Aspetta solo che ne troviamo uno e gli faremo pentire di essere nato. Tu però devi startene buona - mi indicò col dito indice. - e non cercare di aiutarci, o le cose potrebbero complicarsi. Non avanzare ipotesi, non toccare i nostri strumenti, non ispezionare questo luogo, niente di niente.
- Siete chiusi qui dentro da mesi. - osservai, rendendomene conto solo in quel momento. Allo stesso tempo, ero indignata dalla leggerezza con cui Harry aveva appena parlato di tutto quello che stava succedendo, come se non potessi provare sentimenti nel sentire cosa stava accadendo a causa mia. - State lavorando come dei matti da febbraio, quando avete intenzione di fare una pausa?
Zayn si fece avanti, con un sorriso mesto e  il solito tablet in mano. - Non possiamo, non finché non capiremo cosa diamine vogliono e come abbiano fatto ad accorgersi solo adesso che sei tu la discendente degli Shayton. E non vogliamo neppure, se ci tieni a saperlo. Ormai è una lotta aperta, se loro vogliono indursi del male soltanto per conquistare il dominio su tutta la terra, be', che si facciano avanti. Personalmente non me ne starò qui a guardarli portare via chi ha un minimo di sale in zucca. Nessuno di noi lo permetterà, né permetterà che ti sia fatto del male soltanto per arrivare a dominare il mondo.
- Io lo sapevo che eri diversa dalle altre, ma pensavo che questa diversità si riducesse alla tua incredibile secchionaggine e alla straordinaria capacità di rompere le palle. - scherzò Louis.
Io mi ero però fermata alla prima frase di Zayn e fu dopo qualche attimo di silenzio che posi questa domanda. - Io sono la discendente di chi?
- Degli Shayton. - rispose prontamente Liam, come se avesse ingoiato un libro di testo. Pensai che forse era di questo che parlavano tutti i volumi che aveva iniziato a portarsi dietro. - La tua è una famiglia di origini molto antiche, ma è stata da sempre perseguitata, perché voi avete un potere che altri non hanno. Non si sa di che si tratti, si presume che discenda da una collaborazione con potenti forze oscure, ma si cerca da secoli perché è noto che, dopo essere stato estratto da una persona, renda chiunque capace di dominare il mondo e di imporre il proprio volere su chiunque, Umani e non. Alcuni lo definiscono "Il patto con la morte", proprio per la presunta discendenza, e si ritiene il Santo Graal dei poteri sovrannaturali. La parola Shayton in usbeco significa proprio "demone".
Un applauso risuonò nella stanza. Styles, come al suo irritante solito, non poteva fare a meno di scherzare. - Bravo Payne, ottima memoria.
- Ma se questo potere non si manifesta, come possono aver capito che si trattava di me?
- Questa - Charlie annuì con forza. - è un'ottima domanda. Crediamo siano risaliti al registro degli arrivi del tuo orfanotrofio.
Quelle parole ebbero il potere di paralizzarmi.
- Cielo, forse avrebbe dovuto parlarne Niall. - la mia migliore amica si mangiucchiò nervosamente un'unghia già abbastanza rosicchiata. - Non è lui quello diplomatico?
- Mi stai dicendo che mia madre non è in realtà mia madre? - domandai alzando un pochino la voce. - E io lo scopro solo adesso?
Il loro annuire mi fece intendere che, purtroppo, ci avevo proprio azzeccato.
Scossi la testa, come se questo potesse annullare le loro affermazioni ma, purtroppo, non potevo cambiare il corso degli eventi. - E che fine hanno fatto i miei veri genitori? - chiesi, sperando di non sentire le parole che, invece, pronunciarono. Riponevo la mia fiducia nel potere, per lo meno, conoscerli e chiedere loro tutte le spiegazioni necessarie.
- Morti. - pronunciò in un sussurro Louis, prima di rigirarsi per tornare al suo computer, lasciando a malincuore Charlie. - E ora faresti meglio ad andartene. Arriveremo tra un po'.
Il tempo che passai su un materasso circondato da tanti altri materassi tutti uguali, mi parve interminabile, ma ne avevo bisogno per metabolizzare tutte le sconvolgenti informazioni di quella giornata. Peccato che non fossero ancora finite.
Non ho idea del tempo che passò prima che la porta, bianca anch'essa, della sala dei materassi – tale era il nome che avevo affibbiato a quella sala dotata di almeno una ventina di materassi dall’aria comoda sparsi sul pavimento – si aprisse di nuovo, ma quando lo fece la figura che camminò verso di me mi fece sentire decisamente meglio. E a dirla tutta, non credo che avrei mai potuto sentirmi peggio, visto quanto mi era stato detto. Per quanto non avessi un gran rapporto con mia madre, non potevo credere che in diciassette anni di vita mi avesse tenuto nascosto una verità così fondamentale per me. Forse credeva che non avrei capito, del resto ero per tutti una bambina.
- So tutto. - sibilò Niall, avvicinandosi a me, mentre la paura delle ore precedenti spariva con la visione del suo viso, teso forse perché anche lui aveva dovuto lavorare in quel lasso di tempo.
- Purtroppo anch'io. - mormorai in risposta, prima di scuotere la testa e di fargli un po' di spazio alla mia destra, sperando che si sedesse al mio fianco.
La sua risata mi sorprese parecchio.
- Che hai da ridere? - chiesi, forse sembrando troppo stizzita.
Lui accolse con piacere la mia silenziosa proposta e fu al mio fianco che rispose: - Non lo so, è che è tutto così surreale. Non ti senti un po' la Mary Sue della situazione?
Gli lanciai addosso il cuscino a mia disposizione, sentendomi nuovamente leggera. - Mi stai dicendo che sono un cliché vivente, Horan?
- Forse. - disse, in una sua personalissima imitazione di un tono misterioso e cercando di colpirmi col cuscino. - Non è con questo coso - lo indicò. - che riuscirai a flirtare con me, Fox.
Assunsi un'aria di sufficienza. - Come se io volessi flirtare con te, Horan.
- Non fingere, Fox, nessuna ragazza può resistermi, pensa a quell'altra ragazza che lavora al reparto due e che proprio pochi minuti fa mi ha chiesto di uscire... - s'interruppe, fingendosi addolorato. - Ops, perdonami, non dovevo dirlo, vero?
Sgranai gli occhi, facendogli credere di essere profondamente offesa. - Cosa? Mi stai dicendo che preferisci una ragazzetta qualunque alla meravigliosa me? Questa me la segno, Irlanda. - borbottai, guardandolo torva.
La sua risata aperta sembrò accendere una piccola lucina nel mio cuore, mentre in me si faceva strada una stupida consapevolezza: "non sono sola", continuavo a ripetermi. - Hai ragione, tu hai qualcosa che lei non avrà mai. - ammise, mordicchiandosi il labbro inferiore, mentre io pensavo che avrei potuto essere benissimo io quella che glielo mordicchiava, salvo poi darmi della stupida per quei pensieri decisamente poco etici.
- E cioè cosa?
Mi prese una guancia tra pollice e indice, stritolandola amabilmente come faceva sempre la mia nonna, anche se a quanto pareva non era mai stata mia nonna, quando l'andavo a trovare da piccola. - Lei non è un'adorabile bambina come lo sei tu.
- Almeno sono adorabile. - sospirai, prima di rigirarmi verso di lui. - Niall, quando finirà tutto questo? - domandai, seria per una volta.
Lui parve doverci pensare parecchio, ma un sorriso rassicurante albergava sul suo viso. - Presto El, ci manca solo un nome e siamo a tanto così dal trovarlo, non devi preoccuparti.
- Oh, io non sono preoccupata. - scherzai. - Temo soltanto che Charlie e Louis vadano in crisi d'astinenza. E che Harry mi uccida nel sonno.
Mi scompigliò i capelli, facendomi sbuffare sonoramente. - Non pensare alla vita di coppia altrui, la tua è già abbastanza complicata. E non preoccuparti, nessun uomo oltre al sottoscritto varcherà questa soglia. - e indicò la porta d'ingresso, ancora chiusa.
- E a quale vita di coppia dovrei pensare, scusa? - inarcai un sopracciglio. - La convivenza tra me e il cibo procede a gonfie vele.
Il suo sguardo si fece disgustato. - Me ne compiaccio, Fox. E io che volevo baciarti di nuovo. - stava per nascondere il viso tra le braccia, come per piangere, ma non fece in tempo perché lo fermai prima che potesse portare a termine il gesto, avvicinando il suo viso al mio.
- Se ti obbligassi a farlo?
- A fare cosa?
Stronzo. - Lo sai.
- Voglio che lo dica tu.
Roteai gli occhi. - Oh, baciami e basta.
E lo fece, in un bacio lento che alla mia testa bacata parve quasi il gesto di un gatto rissoso che si lecca le ferite dopo una lotta andata male, come se lui stesse leccando le mie ferite, la pelle che nelle ultime ore si era lacerata più che mai.
Quando, mio malgrado, ci separammo, poggiò la sua mano sulla mia, proprio come aveva fatto qualche tempo prima. - Che ci fai in questa stanza? - chiese, indicando i materassi coperti da involti di ogni colore. - Le altre ragazze, non che siano così tante, dormono qui da quando ci lavoriamo. Devo dedurre che ti trasferirai qui definitivamente anche tu?
Alzai le spalle. - Non ci ho capito molto, a dire la verità. Ma presumo di sì, anche se sono completamente inutile visto che non posso nemmeno dare una mano perché se lo facessi vi intralcerei. - sbuffai sonoramente, avvertendo quel senso d’impotenza farsi largo dentro di me. - Mi spieghi qualcosa su questo posto?
L’espressione che dominò il suo volto fece sembrare che anche lui fosse felice di rendersi utile, una volta tanto. - Sicuro. Questa era la casa che i miei nonni mi avevano lasciato in eredità, del resto ero il loro nipote preferito, - si concesse un attimo per ridacchiare. - per l’università, dicevano loro. Ma io non sono mai andato all’università, e l’ho sempre lasciata inutilizzata. Quando sono iniziati gli attacchi - mi guardò con la coda dell’occhio, forse cercando di intuire la reazione che avrei potuto avere. - Harry è stato il primo a capire di cosa si trattasse e ha iniziato a reclutare tutti coloro che si erano opposti per anni alla P.A.U.R.A.. Fin dalle origini, la tua casata è stata perseguitata dagli antenati di quelli che compongono l’attuale setta e ci sono famiglie che si sono opposte a loro per anni e anni. Allora ha iniziato proprio da queste famiglie, ovviamente non ha esitato a chiedere aiuto ai tuoi amici, dopo aver capito che si poteva fidare di loro, e loro hanno chiesto a me. Non ti nascondo che Harry mi odiava all’inizio, pensava che io facessi parte della banda di idioti.
- Styles ha sempre avuto qualche problema. - commentai.
- Alla fine però, anche se mi sembrava un po’ schifato per dirtela tutta, ha acconsentito. La maggior parte delle persone ha paura di ciò che la setta potrebbe fare se ci scoprisse, quindi non siamo in molti a lavorare, una cinquantina o poco più, tra ragazzi e adulti che hanno collaborato anche allo scontro contro quelli che hanno provato a uccidere i tuoi genitori. Ho proposto questa casa come quartier generale e ci siamo trasferiti qui.
- Da quanto? E cosa fate ogni giorno?
- Viviamo qui permanentemente dal giorno in cui siamo usciti insieme e quella cosa ti ha attaccato. Le famiglie degli altri conoscono tutti una versione diversa sul perché non stanno più a casa. Certo, per quelli che vanno al college non ci sono stati problemi, ma mi domando solo che balle si siano dovuti inventare Charlie o Liam per spiegare tutto ai propri genitori. Non viviamo tutti qui, ma la maggior parte, anche se gli adulti preferiscono tornare a casa propria. Abbiamo iniziato a monitorarti, e non pensare che sia violazione della privacy, - aggiunse, battendomi sul tempo perché era proprio quello che stavo per contestare. - e a studiare tutti gli attacchi che gli Shayton hanno subito fino a te per cercare di capire chi sia a capo di questa setta, o comunque i nomi di qualcuno che vi partecipa. È attestato che ne fanno parte i Perduti, quindi sono esclusi tutti i tipi di Umani, il che è già un passo avanti. La P.A.U.R.A. ha sempre lavorato alla luce del sole, con una massiccia propaganda qualche anno fa hanno svelato i propri obiettivi e anche chi ne faceva parte, i Perduti appunto. L’unica cosa non pubblica è sempre stato il significato del loro nome, che adesso noi conosciamo, e l’identità dei membri, che siamo a un passo dallo scovare.
- Sono come i Mangiamorte in Harry Potter?
- Circa. Esistono da tempi immemori, chiunque nel mondo non Umano sa con esattezza della loro esistenza, ma pensa che non sono mai riusciti a sfruttare uno Shayton, mai. Dovete essere una famiglia bella tosta, voi, mi sono innamorato di una ragazza che mi darà del filo da torcere. - commentò, rimarcando queste ultime parole scompigliandomi i capelli.
Quella frase, pronunciata mentre tentavo invano di assorbire tutte quelle troppe informazioni, ebbe il potere di farmi arrossire, il che con lui era diventata una brutta abitudine. - Cos’hai appena detto?
Roteò gli occhi prima di poggiare lo sguardo sui miei. - Ho detto una miriade di cose, non costringermi a ripeterle.
- Ma io intendo l’ultima frase. - insistetti, perché volevo sentire di nuovo le sue parole.
Lui si grattò la nuca con aria smarrita. - Penso di avere una memoria a breve termine.
Lo spinsi, facendolo cadere disteso sul materasso. - Sei inutile.

 

Aria.

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Capitolo 11
*** Di tonno e uova ***



L'oscuro tentatore - Capitolo 11: Di tonno e uova

 
I giorni passavano veloci in quella casa così strana. Mi sembrava di partecipare a un campo estivo, con tutte quelle persone che bazzicavano per quel luogo che conoscevo così poco. Avevo scoperto, mio malgrado, che la mia compagna di scuola Rebecca lavorava lì e che era un licantropo anche lei, rarissimo per una ragazza. Tutto sommato però, non potevo non esserle grata per quello che stava facendo, per quello che tutti loro stavano facendo. Purtroppo mi sembrava che tutto fosse accaduto troppo in fretta, facevo ancora fatica a mettere insieme i pezzi di tutto quello che mi avevano raccontato e, ciò che era peggio, non mi era concesso di rivedere la mia non-madre per chiederle spiegazioni, né per poter capire perché gli episodi degli anni precedenti erano da lei stati affrontati in maniera così dolorosa. Non sapevo per quale motivo avesse deciso di adottarmi e, anche se avevo litigato con lei per una cosa stupida come quell’emerito cretino del suo secondo marito, sarei stata persino disposta a dire che avevo sbagliato (anche se non lo credevo affatto, sia chiaro) se questo avesse potuto aiutarmi a capire. Capire. Quella la parola chiave degli ultimi giorni, passati in una casa estranea tra persone estranee che non facevano altro che fissarmi o che, nel caso dei miei amici, semplicemente mi ignoravano perché avevano di meglio da fare. Nell’aria si avvertiva un’atmosfera di attesa, non potevo che ammirarli per tutto il lavoro cui si dedicavano ogni giorno, e continuavo a sentirmi decisamente inutile a muovermi in quell’ambiente come un’ameba. Facevo di tutto per trattenermi il più possibile a scuola sebbene non potessi più di tanto perché Charlie mi faceva pressioni, visto che dovevo tornare al quartier generale con lei. Non ero comunque mai sola, il che era consolante anche se il più delle volte finivano per affibbiarmi qualche sconosciuto che non aveva mai sentito parlare di doccia. Tuttavia, le ore passate in compagnia di Niall, Charlie, Louis, e più raramente Liam e Zayn erano più che piacevoli. Di Harry nessuna traccia, sembrava divertirsi a evitarmi di nuovo e io lo lasciavo divertirsi. Quella casa era un continuo viavai di gente, la porta d’ingresso si apriva ad ogni ora del giorno e della notte, e anche se mi era proibito accedervi mi era stato raccontato che l’edificio era dotato di un’enorme libreria che sospettavo contenesse tutti i documenti che le persone tenevano sempre sott’occhio. Il problema era al mattino, quando una massiccia dose di studenti doveva condividere quei quattro bagni che, per una famigliola, sarebbero stati ottimi, ma che per tutti noi erano troppo, troppo pochi. Mi era comunque proibito sostare all’esterno dell’abitazione più dello stretto necessario quindi erano state, con mia somma vergogna, Charlie e Rebecca a recarsi alla mia vera casa per prelevare dei vestiti per me, biancheria intima compresa. Un giorno, la svolta.
 
Ero nella solita sala dei materassi, stavo sfogliando distrattamente il manuale di letteratura consapevole che anche se non avessi studiato avrei comunque ottenuto un buon risultato, mentre la ragazza accanto a me e di cui mi ero già scordata il nome sonnecchiava. Doveva aver lavorato tutta la notte, lo testimoniava l’espressione stanca che aveva nel momento in cui era entrata. Qualcuno, però, bussò alla porta e mentre lei si ridestava un ragazzo si precipitò nella stanza, senza nemmeno lasciarmi il tempo di dire “avanti”. Sembrava trafelato, come se avesse corso per ore.
- Styles, l’educazione. - lo ripresi chiedendomi cosa diavolo volesse.
Lui era quello che avevo visto lavorare di più. Ogni tanto sentivo i miei amici discutere su come staccarlo dal computer e chiedersi perché tenesse così tanto a quel lavoro. Non che loro non facessero altrettanto, si giustificavano, ma lui passava anche due notti senza dormire e bla bla bla.
Sembrò decisamente infastidito, come appariva sempre quando mi vedeva ed era costretto a rivolgermi la parola, del resto. - Non ho chiesto il tuo parere. Ora devi sbrigarti a seguirmi. Lena - oh, ecco come si chiamava la ragazza! - puoi tornare di là, ci penso io a lei.
L’altra annuì, probabilmente seccata che il suo sonno fosse stato interrotto, e uscì dalla stanza lasciandoci soli.
- Curioso che mi parli ancora. - commentai. - Cosa c’è?
Alzò gli occhi al cielo e mi sembrò che stesse pregando. - C’è che bisogna fare una cosa e dovrebbe farla Charlie ma ho pietà di lei e so che non reggerebbe, è già abbastanza scossa dopo aver saputo tutto quello che ti è successo, quindi devo farlo io perché sono l’unico qui, a quanto pare, che non ti giurerebbe amore eterno o che non rimarrebbe scosso da tue rivelazioni scioccanti, l’unico problema sarà la tua fiducia. - pronunciò queste parole così in fretta che dovetti ripetermele più volte nella testa prima di dare un senso a quella frase.
- Se può esservi d’aiuto lo faccio, ma prima devi rispondere a una domanda.
Ora o mai più, pensai. Finalmente avevo modo di rivolgergli quella domanda, quindi dovevo cogliere il momento al volo.
- Sono io qui quello che fa le domande. - affermò, nella perfetta imitazione di un agente di polizia del più squallido film giallo.
- Se sei un Umano - chiesi invece, senza prestare attenzione. - come facevi a sapere della P.A.U.R.A.? E perché collabori?
Mi aspettavo una risposta articolata, considerando la complessità della mia domanda e in virtù del fatto, oltretutto, che gliel’avevo chiesto solo per metterlo in difficoltà, invece si limitò ad ignorarmi, lasciandomi completamente indignata. - Se hai finito con le tue solite stupidaggini da ragazzina, adesso devi rispondermi. E no, non è una cosa che serve ai fini dell’indagine, considerala più una cosa personale tra te e i tuoi amici. I tuoi amici e me. - rettificò, prima di sedersi accanto a me.
Mi scansai, cercando di mantenere più distanza possibile. - Perché dovrei risponderti quando tu non lo fai a me?
Lui parve rifletterci un attimo prima di alzare lo sguardo verso di me con aria trionfante. - Fallo per Charlie. Hai presente quante cose ha fatto e sta facendo per te, no? Io credo che dovresti ripagarla in qualche modo, soprattutto visto che sta male per te ogni santissimo giorno e ha paura di quello che potrebbe succederti. Tiene a te più di quanto credi, non fare l’egoista.
Mi domandai perché ogni parola che pronunciasse, che avesse sempre pronunciato, sembrasse articolata apposta per somigliare a un insulto. - Non sono un’egoista e smettila di parlarmi come se io fossi l’essere più disgustoso sulla faccia della terra. Cosa c’è? - era subdolo e meschino e altri infiniti aggettivi negativi che in quel momento non mi venivano in mente.
- Devi raccontarmi tutto quel che hai visto la sera in cui il Demone ti ha attaccato. Tutto, o almeno ciò che ti ricordi.
Non avevo idea di quale avrebbe dovuto essere esattamente la mia reazione, se si aspettasse che scoppiassi a piangere e mi rifugiassi tra le sue braccia, se volesse farmi deprimere o se pensasse che il mio cervello non avesse già svolto abbastanza attività in quei giorni. - Stavo studiando letteratura. - replicai, perché ormai il ricordo di quell’attacco era, secondo la mia testolina, sepolto, insieme a tutto quello che proprio quel mostro aveva rievocato.
- Ellen. - mi ammonì, facendosi più vicino.
- Sono cose - ammisi in un sussurro. - che non sa nessuno. Oltre me, ovviamente.
Sembrò confuso. - Nessuno ti giudica per i tuoi segreti.
- Non è quello. - replicai. - Non sono come quelle che ogni due secondi ti dicono che hanno paura di essere giudicate e che hanno disperatamente bisogno di qualcuno al loro fianco, non mi chiamo mica Mary Sue - quella riflessione mi fece pensare a Niall e avvertii lo stomaco contorcersi. - però sono cose private. Non mi va di scoppiarti a piangere in faccia come quella sera, mettila così. - e le immagini del giorno di cui si parlava iniziarono a susseguirsi davanti a me, come dei flash. Non dell’attacco, avevo cercato di rimuoverle con tutta la forza che avevo, ma del dopo, e mi sentii terribilmente patetica. Non bisognava mostrarsi mai deboli, figurarsi mostrarsi deboli al nemico che era Styles. Mi Cruciai mentalmente per la reazione completamente non da me che avevo avuto quell’orribile sera, annotandomi mentalmente che, se mai avessi realizzato il sogno comune di costruire una macchina del tempo, l’avrei utilizzata per non farmi compatire da Harry.
E a proposito di lui, si mordicchiò il labbro inferiore con aria pensosa, prima di sorridere stupidamente, facendomi soffermare su quelle fossette che, come gli avevo ripetuto tante volte, non gli si addicevano affatto, visto che lo facevano quasi sembrare dolce. - Fingi che io non ci sia stato quella sera. Fingi che ti abbia salvato... - fece una pausa. - be’, facciamo Niall. Io non ti ho mai visto in quelle condizioni, sono semplicemente la persona che odi di più al mondo o meglio, che fingi di odiare di più al mondo, perché io lo so che mi ami, Fox.
Rinunciai alla mia espressione scettica abbandonandomi a una risata. - Come vuoi. E non insisterò solo perché altrimenti mi daresti della bambina, come al solito.
Fu così che gli raccontai di come fossero andate le cose nella fatidica sera in cui tutto ebbe inizio. Forse con un po’ troppa semplicità, forse solo perché avevo un gran bisogno di parlarne con qualcuno. Mi sentii un pochino stupida nel riversare tutto il veleno che mi ero portata dentro per tanto, era la mia parte oscura, e se lo era stata fino ad allora c’era sicuramente un motivo, ma sentivo che dovevo farlo. Credo che sapessi, in fondo, che Harry mi aveva mentito, che era qualcosa che serviva per la loro indagine, ma scacciai quel pensiero perché non volevo credere che lui mi dicesse solo bugie. Mi sentii come se qualcuno mi avesse svuotato di tutte le parti essenziali di me, come se mi avessero tolto gli indumenti più pesanti in una fredda giornata d’inverno. Gli descrissi con dovizia di particolari la figura del clown, con la sensazione che si sarebbe messo a ridere da un momento all’altro e con una grande sorpresa quando non lo fece. Gli parlai dei piccoli segreti che avevano invaso la mia visuale, a partire dalle giornate passate, nascosta, a osservare un bambino che mi piaceva fino ad arrivare alla volta in cui avevo sentito i miei genitori fare l’amore nell’altra stanza e li avevo sbirciati dalla serratura, stupita dell’anatomia dell’uomo, che avevo sempre creduto completamente differente. A quel punto, ridacchiai stupidamente, perché sapevo che stavamo arrivando alla parte più complicata, e lì rise anche lui.
- L’ultima cosa… - esitai. - Be’, a dire la verità è un po’ complicata. - ammisi.
Lui era stato strano durante tutto il mio racconto, come attento. Mi sembrava che sul suo volto fosse stampata l’espressione che aveva avuto il mio terapeuta  in seguito all’episodio che stavo per raccontargli, una distaccata aria professionale, anche se lui aveva un tocco di colore donato dal naturale interesse che pareva nutrire per le mie parole. Fu con mio grande stupore, infatti, che parlò dopo non avermi interrotto durante quella mia confessione. L’unico segno della sua presenza, infatti, era dato dal battere ritmico del suo piede per terra o dal rumore che faceva spostandosi leggermente. - Non importa, prenditi il tempo che ti serve. Purché non sia troppo, - aggiunse dopo un attimo. - ho anche una vita, io.
- Non si direbbe. - commentai, lieta di quel ritorno alla normalità di uno Styles fin troppo anormale. - E comunque, io non ne ho mai parlato con nessuno.
- Neanche di quello che mi hai appena detto e hai visto la mia reazione, non devi sentirti intimidita. Lo so che sono bello e posso fare quest’effetto, me lo dicono in tante…
Lo interruppi, lanciandogli addosso il cuscino che era accanto a me. - Ma non ti crede nessuno!
Lui prese il cuscino con aria disgustata, tenendolo fra pollice e indice e lo reindirizzò alla mittente, ridendo un attimo dopo. - Non è con questo coso che riuscirai a flirtare con me.
Quelle parole mi suonavano terribilmente familiari. - Niall… - mormorai, prima di riscuotermi. Dovevo aver avuto un lapsus. - Nemmeno se fossi l’unico uomo possibile per ripopolare la terra dopo un’epidemia mortale. - affermai, gesticolando ampiamente per dare enfasi alle mie parole.
La sua risata si fece, se possibile, ancora più forte. - Preferiresti lo sterminio della razza umana?
- Sì. - annuii vigorosamente
- Sono lieta di disgustarti così tanto. È sempre stato il mio obiettivo, Fox.
- Hai raggiunto il tuo obiettivo, Styles. - mi premurai di mettere l’accento sul suo cognome. Perché doveva sempre chiamarmi per cognome?
Dopo un attimo di silenzio, scosse la testa per poi passarsi una mano tra i capelli per sistemarli. - Allora, questa cosa complicata? È ora di raccontarmela, credo.
Chiusi gli occhi, sapevo che prima o poi rivivere quel momento sarebbe stato inevitabile, speravo solo nel “poi”. - Quando avevo dieci anni, vivevo con mia madre Emma e con mio padre, Lucius, anche se adesso so che non sono i miei genitori li considero comunque tali. Eravamo una famiglia normalissima e io ero una bambina normalissima. Un giorno stavo andando a farmi la doccia prima del compleanno di una mia compagna di scuola e nella doccia ho visto una persona. Ho pensato fosse un amico di mamma. - feci una pausa, per evitare che la mia voce si spezzasse. - Purtroppo non lo era, si è avvicinato a me e ha iniziato a parlarmi e a chiedermi di venire con lui. Mi ricordo bene che mi aveva detto che se lo avessi seguito mi avrebbe portato a Hogwarts, evidentemente sapeva che ero una grande fan di Harry Potter. - ricordai immalinconita. - Mamma però mi aveva insegnato a non dar retta agli sconosciuti. Allora ho gridato ed è arrivato mio padre, perché mia madre era al lavoro. Quel tipo è diventato aggressivo e dopo essersi insultati sono arrivati alle mani. Mi ricordo che mio padre perdeva molto sangue dalla testa e quel signore se n’è andato subito dopo aver visto la sua ferita, dimenticandosi di me. Ho aspettato lì con lui, pensavo stesse scherzando, non avevo capito che fosse morto. - mi morsi con forza il labbro inferiore per poi sorridere nostalgicamente al vuoto ripensando al momento. - Quando mia madre è tornata mi sono arrabbiata tantissimo perché non mi aveva portato alla festa della mia amica. A marzo ho litigato con lei perché si è sposata con un uomo che non sopporto, ma questa è un’altra storia. Il demone mi ha fatto rivedere la scena di mio padre morto nel piatto della doccia e dell’uomo che scappava, mentre io piangevo perché non si decideva ad alzarsi e a dirmi che stava scherzando. - la mia voce si spense pian piano, mentre mi sistemavo sul materasso. - Mi ricordo ancora dello psicologo che mi hanno affibbiato dopo quell’episodio, era veramente antipatico.
Il silenzio regnava sovrano in quella stanza, si sarebbero sentiti i grilli frinire, se solo ci fossero stati dei grilli. Fortunatamente non c’erano, o Charlie non avrebbe reagito molto bene, visto il suo odio insito per ogni non mammifero.
Dopo pochi secondi, una strana consapevolezza si fece dolorosamente largo dentro di me. - Harry - mi portai le mani alla bocca, incredula. - quello poteva essere…
- Un membro della P.A.U.R.A., lo credo anch’io. Non me lo descriveresti vero?
- No. - la voce che parlò però non era la mia. O meglio, ero io ad aver parlato, ma non ero io. - Harry, io volevo dire che… - che te lo descriverei volentieri, voglio sapere chi diamine ha fatto questo al mio non padre. - non te lo descriverò mai. - mi spaventava quello che mi stava succedendo, perché parlavo dicendo tutto il contrario di quello che, in realtà, avrei voluto rispondere.
Un sorrisino consapevole sostituì la sua fredda espressione. - Te l’ho detto, non puoi collaborare con noi. Anche se finora l’hai fatto, allora funziona la tecnica di Zayn di non renderti consapevole ci ciò che fai.
Sorrisi a mia volta, sentendo le guance andare a fuoco per la frustrazione. - Sono un’inutile idiota, scusami.
Alzò lo sguardo di scatto, posandolo su di me. - Non dirlo. Non dev’essere stato facile.
- In realtà l’ho presa piuttosto bene. - ammisi. - Voglio dire, meglio di quanto potrebbero fare molti altri, almeno così mi hanno sempre detto. I poliziotti hanno preparato schede su schede di questo signore, ma dopo un po’ hanno abbandonato il caso, credo non volessero immischiarsi in cose oscure.
- Possibile, sì. - sembrò valutare l’ipotesi per un attimo. - Va tutto bene, sicura?
- E tu sei sicuro di essere Harry Styles? - domandai ridendo, perché quel comportamento non era assolutamente da lui.
- Sei un’ingrata, Fox. - ribatté, piccato. - Non mi preoccuperò mai più per te.
- Sai che novità. - risposi facendo spallucce e causandogli una certa indignazione.
- Tu non sai proprio niente! - esclamò, riprendendo il famoso cuscino e lanciandomelo addosso.
Inarcai un sopracciglio. - Ora chi è che flirta con chi? - chiesi, con la vittoria in pugno.
- Va’ al diavolo, Fox. - sbuffò.
Gli scompigliai i capelli, stupendomi di come i suoi ricci fossero più morbidi e meno modellati dei miei. - Oh, sei proprio come i bambini. - lo ripresi, utilizzando le parole che ultimamente lui e Niall usavano fin troppo spesso.
- E tu sei…
Ma non fece in tempo a finire la frase perché un suono che avevo imparato a riconoscere negli ultimi giorni si palesò, annunciandoci l’ora di cena. - Oh, era ora! - mi alzai molto velocemente, il cibo era ormai il mio migliore amico. Be’, lo era sempre stato a dire la verità. - Sto morendo di fame. - mi giustificai, ma prima che potessi aprire la porta la voce di Harry mi immobilizzò.
- Sembrerei un completo cretino se ti abbracciassi in questo momento, vero? - una risatina nervosa.
Corrugai le sopracciglia, non capendo dove volesse andare a parare, che ce l’avesse ancora con me per quella storia del cuscino e del flirt? - Styles, ti ricordo che tu sei un completo cretino. - sottolineai.
Non sentii la sua risposta, ma mi voltai verso di lui e lo vidi avvicinarsi a me.
Quando annullò con la sua stretta la già troppo corta distanza che passava tra noi, avevo solo una domanda che mi popolava la testa. Perché diavolo quest’idiota mi sta abbracciando? Se mi desse fastidio? Non proprio, non direi. Era solo strano. Ma era un tocco che, me ne rendevo conto solo in quel momento, mi era mancato. Aveva qualcosa di rassicurante, lo stesso aggettivo che gli avevo attribuito il giorno dell’attacco che gli avevo appena raccontato. Non solo di rassicurante, era un abbraccio così caldo, così accogliente, che in quel momento mi sentii come da bambina, quando dormivo in mezzo a mia madre e a mio padre nel letto perché avevo paura a stare da sola, e sentivo quel profumo inconfondibile di mamma e papà ed ero felice, perché niente poteva farmi del male. Ecco, la sensazione era quella, ma lui era Harry Styles, e costituiva da sempre il mio nemico numero uno. Ecco perché quella sensazione era completamente sbagliata.
 
Mentre piluccavo un po’ di tonno in scatola, seduta assieme a Niall, Harry e un altro ragazzo di cui avevo, tanto per cambiare, appena dimenticato il nome, maledicevo la ridicola organizzazione di quella casa che imponeva dei turni anche per mangiare, il che significava che non passavo decentemente del tempo con Charlie da secoli. Era completamente immersa nel lavoro, le poche chiacchiere che scambiavamo nella sala dei materassi erano spesso spente in fretta dal suo russare, perché era troppo stanca per imitare le volte in cui eravamo state sveglie tutta la notte a parlare del più e del meno, incuranti della sveglia del giorno dopo.
- Rispiegatemi perché non posso mangiare ancora. - chiese Niall forse per l’ennesima volta.
- Concordo con l’irlandese! - esclamai, cercando di razionare il tonno fino all’ultimo e masticandolo piano, per gustarlo a fondo. Mi pareva di non mangiare da anni, e non scherzo.
Ragazzo non identificabile sbuffò. - Perché le nostre famiglie non hanno soldi infiniti e questo è quello che possiamo permetterci.
- Come sei noioso! - sbuffai  a mia volta, evitando di pronunciare il suo non identificabile nome. - Sei sicuro che lo mangi tutto quello? - indicai con l’indice l’uovo che pareva stesse sezionando.
Quello annuì e, per tutta risposta, Niall rise. - Se non fossi sicuro che non accetteresti, ti sposerei, El.
Non la smetteva più di fare quelle battutine che per lui e me avevano un significato incomprensibile per gli altri. Nessuno sapeva di noi due, ma alla fine non  è che noi due fossimo chissà cosa. Ci eravamo scambiati due baci, presi forse dall’elettricità di quei momenti, lui continuava ad essere la mia cotta dei diciassette anni (“Ogni anno di vita è caratterizzato da una cotta”, ero solita ripetere), ma a parte quello nient’altro. Dubitavo persino di piacergli un quarto di quanto lui piacesse a me, ma avevo problemi più grandi a cui pensare al momento.
Harry spostò la sedia con un rumore secco, prendendo il suo piatto vuoto e riponendolo nella lavastoviglie. - Lo abbiamo capito che vi amate. - borbottò seccato, tanto che pensai di essermelo sognato.
- Io sono fedele solo al cibo. - affermai con sicurezza, mentre il biondo di fronte a me mi faceva un occhiolino, mandandomi in pappa il cervello. Oh, no, nessuna Mary Sue s’impadronirà di me, mi ripetevo mentalmente, ossessionata dalla paura di diventare come tutte le altre, come una spudorata undicenne alla prima cotta che perde completamente la propria personalità. Dicevo che mi fece un occhiolino che non mi provocò alcun effetto.
- Non vorrai rinnegare così la nostra relazione segreta, non è vero Ellen? - chiese appunto lui, alzandosi a sua volta.
- Sapete - s’intromise Ragazzo non identificabile. - inizio a credere che voi due abbiate davvero una relazione segreta.
- Non è abbastanza furba per averne una. - commentò Harry, indicandomi col pollice.
- Ehi! - protestai e la frase che sentii pronunciare all’unisono da Irlanda e da Cambio-umore-come-una-donna-mestruata mi fece venir voglia di ridere e urlare allo stesso tempo.
“Sei proprio una bambina” furono infatti le parole di entrambi, l’uno affettuoso e l’altro disgustato, che si guardarono straniti per un attimo prima che il loro sguardo si posasse di nuovo su di me che, spaesata, non sapevo cosa fare.
- Quando la finirete con questa storia? - optai per sospirare infine, mentre mi alzavo insieme a Ragazzo non identificabile e riponevo sia il mio piatto sia il suo, passando fin troppo vicino a Niall, che non perse l’occasione per toccarmi il braccio in un gesto che, all’esterno, sarebbe dovuto sembrare casuale, ma che non era casuale affatto.


 

Aria.

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