Le cose che non ho di _Even (/viewuser.php?uid=42509)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E io non ti aspetto più ***
Capitolo 2: *** Non posso farlo ora ***
Capitolo 3: *** E te ne andrai via ***
Capitolo 4: *** Sarò qui ***
Capitolo 5: *** ¿Qué más quieres? ***
Capitolo 6: *** We can't surrender even a gram of love ***
Capitolo 7: *** The only way is up ***
Capitolo 8: *** Giuro, io lo aspetterò ***
Capitolo 9: *** L'estate mia migliore ***
Capitolo 10: *** More than yesterday ***
Capitolo 11: *** Fuori ***
Capitolo 12: *** Parole in circolo ***
Capitolo 1 *** E io non ti aspetto più ***
Resti indifferente
Quel
temporale, la pioggia batteva
Ed è banale restare a pensare che
poi
Tutto
resti normale
La
pioggia non fa male quando cade sulla pelle.
Si posa come una lacrima sul viso e con essa si
confonde, creando linee immaginarie che come mappe tracciano i corsi
dei fiumi.
Annebbia la vista come farebbero le nuvole, i brividi che poi scuotono
le ossa
paiono quasi terremoti nelle lande desolate del cuore.
La pioggia, le nuvole e i terremoti. Come l’Irlanda.
Sono lacrime o gocce di pioggia quelle che ti vedo sul
viso?
Parli. Dalla tua bocca amara vedo uscire gelido vapore che sa di
sconfitta.
Potrebbe quasi piacermi il dolore che mi infliggi, ma ho imparato a
essere meno
duro con me stesso. Strano che sia accaduto grazie a te, vero?
Ora l’uggiosa città di Dublino è
diventata troppo
piccola per me. E, sotto lo stesso ombrello, hai detto la
verità.
Si dice che dalla realtà non si possa fuggire. Ma sono
del tutto intenzionato a scoprirlo. Finché le ossa non
smetteranno di tremare e
la pioggia non cesserà di assorbire il mio pianto
così che possa fingere che
non sia mai neanche esistito, finché le nuvole non
scompariranno dai miei occhi
consentendomi di vedere chiaramente ciò che avrei
già dovuto vedere ormai da
tempo.
Finché l’Irlanda non uscirà dalla mia
vita, io non
sarò libero.
Dopo
questa tempesta, la goccia
Che bagnava la pelle, addolcisce le
ferite
Che non curiamo più
Marco si
svegliò
all’improvviso, madido di sudore. I sogni agitati erano
diventati suoi cari
amici ormai da un po’ di tempo.
Scostate con
violenza le
coperte, si alzò dal letto e arrancò pigramente
verso il bagno. Lì si sfilò la
maglia con la quale aveva dormito e la gettò sul freddo
pavimento. Si guardò
nello specchio che sovrastava il lavandino e si studiò. Era
invecchiato. Quando
era accaduto? Quando, ai lati dei suoi occhi, erano comparse quelle
lievi rughe
che parevano sollevarsi a ogni sorriso? Le sue tempie, poi, da quando
erano
così ampie e visibili? Quante fan indignate gli avevano
fatto notare che stava
perdendo i capelli, mentre la sua barba era sempre più
folta, dandogli
l’aspetto di un apostolo, più che di un cantante?
Forse troppe, per poterle
contare. Sospirò. Quella mattina si era decisamente
svegliato con il piede
sbagliato. Tutta colpa di quei sogni che ormai da tempo tormentavano i
suoi
pensieri, incupendoli come fuliggine dopo una vampata.
Ed io rimango, io, io
rimango
immobile qui
Per te
Si sbarazzò
anche degli altri
indumenti, poi si infilò nella doccia, accese
l’acqua, e una volta divenuta
bollente, iniziò a riflettere.
Quel giorno
era il giorno, quello in cui
sarebbe
iniziato un nuovo capitolo della sua carriera, in cui sarebbe tornato
da dove
tutto aveva avuto inizio, ma in una veste del tutto nuova.
La decima
edizione del più
famoso talent show d’Italia, X Factor, era alle porte. I due
giudici più
quotati dello scorso anno, l’eclettica Skin e il grande Mika,
avevano dato
forfait: proprio la parte internazionale della giuria aveva deciso di
mollare,
lasciando la produzione in un mare di guai. Quale donna avrebbe avuto
la carica
di Skin, chi avrebbe mai potuto sostituire il suo talento e la sua
bellezza del
tutto androgina? Ma il vero guaio era stato l’abbandono di
Mika, divenuto il
simbolo del fattore X. Nessun cantante, anzi, nessun uomo sulla terra
sarebbe
riuscito ad avere la sua verve, il suo mix di simpatia e
serietà, esperienza e
spensieratezza, nonché la sua bellezza del tutto spontanea
che tante e tanti
giovani aveva fatto capitolare.
Era stato
allora che ai
produttori del programma era balzato in mente quel ragazzino tanto
talentuoso
che aveva vinto la terza edizione del talent, per poi ascendere alla
vetta e
divenire il celebre Marco Mengoni che ormai era conosciuto a livello
internazionale. Il suo tour era appena giunto al termine quando aveva
ricevuto una
proposta di lavoro in qualità di nuovo, brillante, e giovane
giudice del
programma. Marta, la sua manager, lo aveva saggiamente esortato ad
accettare:
oltre a un compenso alquanto generoso, X Factor gli avrebbe donato una
visibilità del tutto nuova e mettersi alla prova con nuove
esperienze non era
forse la prova che ogni celebrità che potesse definirsi tale
doveva affrontare?
Marco non era
mai stato del
tutto convinto di quel ruolo. Innanzitutto, la sua timidezza lo avrebbe
messo
in seria difficoltà nel momento in cui avrebbe dovuto,
inevitabilmente,
formulare un giudizio di senso compiuto, per non parlare poi della
possibilità
di dire di no a un concorrente. Un buon giudice avrebbe dovuto essere
sicuro di
sé, non balbettare a ogni tre per due. E poi, sostituire
Mika? Era più una
specie di suicidio che un’opportunità di lavoro.
Ma la
verità era tutt’altra.
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che resti
indifferente e poi cambi
d’estate
La verità
faceva più male di
un dardo nel cuore, una verità che sapeva di pioggia e
nuvole. La verità era
che Marco, con Mika, non avrebbe voluto avere più niente a
che fare, figurarsi
poi essere il suo sostituto: era perfettamente conscio di non avere la
sua
spiccata personalità, che l’esito sarebbe stato
disastroso e, per l’amor del
cielo, l’ultima cosa che voleva era leggere commenti del tipo
“Mengoni pretendeva
di essere all’altezza di Mika? Ma cosa credeva?”.
Quello stupido sogno non
aveva fatto altro che ricordargli quanto quell’affermazione
fosse reale e le
prove erano lampanti.
E
cadono le scuse
E
muore il mio pensiero su te
Eppure, alla fine, il
contratto era stato firmato e consegnato ai dirigenti, così
da rendere a tutti
gli effetti Marco Mengoni il nuovo giudice di X Factor.
Perché
lo aveva fatto? Era
davvero così masochista? Certo che no.
In
realtà credeva, anzi, era
certo che una nuova sfida gli avrebbe dato talmente tanto da pensare da
occupare la sua mente a tal punto da recidere il filo che legava il suo
cervello, i cui ingranaggi parevano non smettere mai di lavorare, a
quel
ricordo fin troppo triste, una cicatrice ormai in via di guarigione, ma
che
alle volte doleva ancora.
Sempre che si
fosse
rimarginata.
Riconterò
gli errori di questa
partita
Senza più paura di restare in fondo
L’acqua
lavò via il sapone
sul suo corpo e i pensieri dalla sua mente. Spense il getto e
uscì, nudo e
gocciolante, piccole stille d’acqua caddero ticchettando sul
freddo pavimento. Prese
un bel respiro.
Tra poco
sarebbe andato negli
studi di X Factor, avrebbe incontrato i dirigenti, gli altri giudici,
avrebbe
firmato altri contratti, non del tutto ufficiali, avrebbe capito i
meccanismi
di quel gioco dal quale era uscito vincitore, anni e anni fa, per pura
fortuna.
Quello sarebbe bastato?, si chiese. Probabilmente no. Essere il pupillo
del
programma l’avrebbe fatto campare di rendita forse
per le prime due puntate, poi la gente
avrebbe iniziato a stancarsi. In tal caso, avrebbe potuto chiedere al
suo amico
Federico (in arte Fedez) di ripetere l’oscena pantomima della
scorsa edizione e
fingere, per quanto possibile, un’improbabile attrazione
omosessuale l’uno nei
confronti dell’altro. L’anno passato, il duo
formato da Mika e Fedez aveva
spopolato tra le giovanissime, che li riconoscevano ormai come coppia
affermata,
benché fossero entrambi fidanzati (Federico, tra
l’altro, stava anche con una
donna); così facendo, si erano guadagnati le simpatie di
buona parte del
pubblico. Ah, la magia del mezzo televisivo: non contavano i fatti
concreti, esso
aveva abbastanza potere da far credere alla gente ciò che si
voleva, purché si
mostrasse una facciata adatta. Marco fino a quel momento era stato un
ottimo
cantante e una celebrità impeccabile e riservata, ma chi era
veramente? Qual
era la sua personalità televisiva?
Beh, presto lo
avrebbe
scoperto.
Si
asciugò con un ampio
asciugamano bianco di spugna, poi tornò nella sua stanza,
dove scelse con cura
un abbigliamento che mostrasse, per quanto possibile, la propria
personalità: un
semplice maglione chiaro e jeans neri, a cui poi aggiunse il solito
berretto
che nascondeva quella stempiatura di cui tanto si vergognava. Prese il
telefono
cellulare e il portafogli, poi uscì di casa, mentre ancora
quel triste sogno
non cessava di tormentarlo.
Guardando
un po’ più in là oltre le
nuvole
La strada da, la strada da
Da rifare
Più che un
sogno, in realtà,
era un ricordo, di un giorno non particolarmente lieto della sua vita
che aveva
trasformato l’Irlanda, il suo personale paese delle
meraviglie, nella terra dei
suoi incubi, e questo solo per colpa di Mika. No, a lui non doveva
pensare più:
sarebbe stato difficile, sarebbero stati fatti molti paragoni tra loro
due, ma
non se ne sarebbe curato. O almeno ci avrebbe provato.
Ed io rimango, io, io
rimango
immobile qui
Qui per te
Uscito di casa, si
infilò in
macchina e guidò fino agli studi del programma. Durante il
tragitto si accese
una sigaretta, poi un’altra, accendendole agli stop. Sapeva
che fumare nelle
auto era severamente vietato ma Marco, di vietato, aveva fatto ben poco
nella
sua vita. Che almeno riuscisse a concedersi un vizio, di quando in
quando.
Mezz’ora
e sei sigarette
dopo, arrivò dinanzi a quell’imponente edificio
che tanto lo terrorizzava.
Dentro di lui,
il ragazzino
ventenne con le sopracciglia dal taglio improbabile e
dall’aria allampanata e
goffa si agitò. A volte, quella parte di lui si risvegliava:
era timida e aveva
sempre voglia di piangere, soprattutto in quel momento, dove tutto era
improvvisamente troppo grande, troppo bello, troppo speciale per lui. Si sentiva
esattamente come quando aveva
partecipato come concorrente ad X Factor. Sette anni e svariati premi
non
avevano cancellato la sua introversione adolescenziale, ma forse nulla
lo
avrebbe mai fatto.
Decise di
varcare le grandi
soglie di quel palazzo e di percorrere una strada che, sebbene
chiaramente
indicata dai cartelli, lo spinse a perdersi più volte in
quel dedalo di
corridoi. Alla fine, però, riuscì a giungere alla
sala riunioni.
Aperta la
porta, il suo cuore
cominciò a martellare prepotentemente. Dinanzi a lui
c’erano cinque produttori
esecutivi, qualche tecnico e un paio di assistenti che non conosceva e,
seduti
più vicini alla porta, dei volti conosciuti. Elio, il buon
vecchio Elio, gli
sorrise con entusiasmo da sotto i baffi non appena lo vide e finse un
piccolo
applauso. Alessandro Cattelan, con il quale condivideva una generosa
altezza e
un affetto genuino, lo salutò immediatamente con trasporto,
così come fece
anche Elio, e lì fu tutto un gran dare di pacche sulle
spalle e abbracci
poderosi e pieni di calore.
Soltanto una
persona non si
alzò dalla sua sedia per accoglierlo, se non quando il
momento dei saluti fu
terminato.
Era una donna,
bassa a
dispetto del fisico ben formato e del volto adulto, dai lunghi capelli
bruni e
gli occhi azzurri come pozzi d’acqua limpida. La figura era
piena e prosperosa,
i lineamenti erano ben marcati. A vederla, sembrava quasi una fata. Ma
Marco
l’aveva conosciuta e non era affatto una fata,
bensì una cantante di voce incantevole
e nobili natali.
Era Irene
Fornaciari, figlia Adelmo
Fornaciari, alias Zucchero, sua maestà il Cappellaio Matto
italiano, come lo
conoscevano all’estero. Marco l’aveva incontrata
dietro le quinte della
sessantesima edizione del Festival di Sanremo e subito di lei aveva
pensato
essere una donna asciutta. Non mostrava le proprie emozioni in
pubblico, non
cercava la fama, non pretendeva di sfondare con la hit del momento.
Arrivava
sul palco come una regina, si esibiva, sorrideva al suo pubblico e
spalancava
le sue braccia come ad accogliere tutti i suoi ammiratori, evitava
cerimonie e
fronzoli, poi così come era apparsa, scompariva.
Lo
capì immediatamente,
sarebbe stata una sua collega.
«Irene»
sorrise,
abbracciandola.
Lei
poggiò le mani sulla sua
schiena, per poi levarle quasi subito, esibendosi nell’unico
tipo di abbraccio di
cui era capace. Gli sorrise, e quello fu un sorriso vero.
All’improvviso,
uno dei
produttori si mise tra loro due. «Oh, signor Mengoni, ben
arrivato! Ha già
conosciuto la signorina Fornaciari, vedo. Sono onorato di dirle che
affiancherà
lei e il signor Belisari in giuria.»
Sorrise,
immaginando che Elio
avesse storto il naso nel sentirsi chiamare così: odiava che
ci si rivolgesse a
lui con il proprio nome, Stefano Belisari, era forse uno dei pochi
cantanti a
preferire il nome d’arte a quello vero. Al contrario, invece,
Federico
detestava che nel quotidiano lo si chiamasse Fedez perché,
sosteneva, fuori dal
palco era in pausa anche dal suo stesso nome d’arte.
All’improvviso,
Marco si
guardò intorno.
Un momento.
Dov’era
finito Federico?
Si
schiarì la voce e prese
coraggio, cercando di combattere contro la sua timidezza.
«Scusate... ma dove
sta Federico?»
Brillante.
Davvero brillante.
Non sapeva nemmeno esprimersi in un italiano decente.
Al sol
pronunciare Federico,
l’atmosfera all’interno della stanza
cambiò: gli assistenti si voltarono, Irene
assunse un’aria grave, Elio si passò una mano sul
viso e il produttore sbuffò.
«Il
contratto con il signor
Lucia è stato annullato» tagliò corto,
stizzito.
A Marco
caddero le braccia. Cosa
era accaduto? Perché Federico non era lì in quel
momento? Fece per prendere il
cellulare e chiamarlo, d’altronde erano amici anche al di
fuori delle
apparizioni televisive, ma il produttore (che per Marco divenne il
signor
Fastidio) glielo impedì.
«Non
c’è tempo. Dobbiamo discutere
circa il suo ruolo, signor Mengoni.»
Ma, ormai,
Marco si era
distratto. Da una parte era dispiaciuto, voleva bene a Federico e non
gli
sembrava giusto che il contratto gli fosse stato annullato,
chissà per quale
motivo. D’altra parte, era terrorizzato al pensiero che al
suo posto, in
sostituzione, potessero richiamare qualcuno dei vecchi giudici, anzi,
un
vecchio giudice in particolare. No, era impossibile: quando avevano
chiamato
Marco per proporgli di entrare nella nuova giuria, si erano vantati di
possedere “una scuderia tutta italiana per un programma tutto
italiano”. Il
ritorno di Mika era da escludersi.
Elio lo
distolse dai suoi
pensieri, dandogli uno scappellotto sulla nuca. «Riprenditi,
testina! Ora
arriva la parte divertente.»
Marco
biasciò a mezze labbra:
«Divertente?»
La cosa lo
confondeva. Che
fine aveva fatto Federico? Perché non gli era stata fornita
spiegazione alcuna?
Oh, giusto: perché era un timido patologico e si era
vergognato anche a
chiedere di saperne di più.
Il signor
Fastidio lo fece
sedere accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio entrambi
osservavano il
resto della troupe andare di qua e di là come polli senza
testa. Era
un’immagine grottesca e vagamente spassosa, ma non era il
momento degli scherzi,
quello.
«Allora,
la questione è la
seguente» iniziò il signor Fastidio.
«Con Fedez fuori dai giochi, dobbiamo
pescare un altro giudice che possa adeguarsi alle sue caratteristiche.
Attualmente stiamo puntando al signor Giambelli.»
«Emis
Killa?» fece, incredulo.
Non era affatto tipo da talent, dubitava seriamente che sarebbero
riusciti a convincerlo
a essere uno dei giudici. Inoltre, era un omofobo dichiarato, mentre X
Factor
era un programma palesemente a favore dei gay.
«Pare
di sì, ma questo non è
un problema suo» proseguì quello. «Lei
però deve venirci incontro in un modo
analogo e vestire i panni che erano stati del giudice
Penniman.»
Marco prese un
profondo
respiro. Si era ripetuto in testa quella frase almeno cento volte e,
nel dirla
ad alta voce, gli sembrò acquisire un senso del tutto nuovo.
«Io
non sono Mika.»
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che resti
indifferente e poi cambi
d’estate
Il signor Fastidio
eluse la
sua affermazione con un gesto della mano. «Oh, che Dio ce ne
scampi, no! Siete
due personalità completamente diverse, ma avete senza ombra
di dubbio dei punti
in comune. La spontaneità, l’eleganza, la
sfacciataggine mascherata da
gentilezza.»
A quel punto,
perfino Irene
accennò un sorriso che celava una battuta sarcastica. Marco
era, sì, spontaneo,
ma soltanto sui palchi dei concerti mentre cantava: era un disastro nel
parlare.
Mordendosi il
labbro, fece
cenno di no.
«Invece
sì, signor Mengoni.
Sa, il pubblico la percepisce come uno di loro, sarebbe quasi il
ragazzo della
porta accanto, se non fosse per il suo straordinario talento. Se si
adeguasse
alla visione che gli spettatori hanno di lei, ha una vaga idea di
ciò che
potrebbe ottenere?»
E, senza
aspettare che Marco
rispondesse, proseguì: «Il doppio della
visibilità e almeno il triplo dei
consensi. Al pubblico piace sapere com’è il
proprio idolo una volta sceso dal
palco. Si dà arie? Gli piace scherzare? La fama lo ha
cambiato o è rimasto il
ragazzo semplice di un tempo? Noi puntiamo a dare risposte a questi
interrogativi.
Se la vedranno un uomo del popolo, diverrà la star
più apprezzata del Paese, e
non solo per la sua musica, ma anche per la sua
personalità.»
All’improvviso,
Marco capì:
tra tutte quelle lusinghe vuote, il signor Fastidio gli aveva
praticamente chiesto
di essere come Mika. Non era difficile immaginare il perché:
in Italia, negli
ultimi anni, era scoppiata la Mika-mania. Tutti volevano conoscerlo,
uscirci
insieme, averlo anche a cena, perché no?, gli avrebbero
cucinato dei
manicaretti e chiacchierato amabilmente di arredamento e di come
trascorrere le
vacanze. Era diventato l’idolo delle adolescenti e delle loro
mamme, l’uomo che
tutti vorrebbero nella propria casa. Era quello il suo modo di
conquistare la
gente. Certo, nessuno conosceva la parte di lui che si infilava nei
sogni
altrui per prenderne il comando.
E
cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te
Ma Marco? Lui non era
così.
Nel suo paese natale lo chiamavano addirittura “il
Pizzuttato”, che in
dialettale viterbese corrispondeva pressappoco a
“scorbutico”.
Dopo una lunga pausa, ammise.
«Io non so come si fa.»
Fu allora che un tecnico,
come se fosse stato addestrato per quel momento, tirò fuori
da un archivio un
piccolo faldone contenente dei dischi.
«Imitare lo stile di qualcun
altro non è certo cosa che si faccia dall’oggi al
domani» iniziò di nuovo il
signor Fastidio. «Così ho provveduto a fare per
lei una raccolta di tutte le
puntate di X Factor degli ultimi tre anni. Le guardi, studi Mika, i
suoi
movimenti e il modo in cui sa cogliere ogni istante per mettersi in
luce, con
una critica o una battuta. Assorba il suo modo di essere e tra una
settimana ci
rivedremo. È tutto chiaro?»
Marco ebbe a malapena la
forza di annuire, mentre ancora il produttore blaterava dandogli altri
consigli
per essere Mika. Esattamente l’ultima cosa che avrebbe voluto
fare nella sua
vita. Aveva sempre ammirato X Factor per il modo in cui ognuno, dai
concorrenti
ai presentatori, avesse l’opportunità di essere se
stesso fino in fondo. Ma
forse quello non valeva per i giudici. Gli stavano assegnando un
copione senza
battute: avrebbe dovuto recitare la parte ed essere perfetto, ma senza
neanche
uno straccio di appiglio a cui aggrapparsi.
Si voltò a guardare Elio, che
ricambiò lo sguardo con un pizzico di compassione: lui era
avvantaggiato, visto
che aveva una personalità talmente spiccata da non poterne
assumere un’altra imposta
dalla produzione.
Irene, invece, gli rivolse un
sorriso sbieco. «Ringrazia il cielo, Mengoni. A me hanno dato
i DVD di Morgan.»
Quell’affermazione gli
strappò una risatina, mentre ancora sentiva la fastidiosa
voce del fastidioso
produttore sproloquiare di cose fastidiose, e nel frattempo pensava.
Dunque Elio sarebbe stato
l’uomo vivace un po’ in là con gli anni,
come era sempre stato. Irene, invece,
sarebbe stata la stronza di turno, un grande cambiamento visto che, da
qualche
anno, il giudice donna ricopriva immancabilmente, nel bene e nel male,
il ruolo
della “mammina”. Marco, invece, sarebbe stato il
giudice spontaneo, che era
capace di fare inaspettati complimenti e di dire brutali
oscenità sempre con dolcezza
e un gran sorriso. Al solo pensiero tremava, ma se diventava nervoso
anche quando
doveva prenotare un tavolo al ristorante! Come avrebbe fatto a
patrocinare dei
ragazzi recitando una parte che non era la sua?
D’un tratto, una segretaria
piccoletta e robusta corse verso il signor Fastidio, urlando che forse
Clementino sarebbe stato disponibile a far parte della giuria, poi gli
passò un
telefono nel quale lui iniziò a far colare delle altre
sdolcinate falsità.
Marco approfittò di quel
momento per prendere il cellulare, rintanarsi in un angoletto
dell’enorme sala
e chiamare Federico.
Si appiccicò letteralmente il
cellulare all’orecchio, mentre quello squillava in attesa che
Federico rispondesse.
Dopo un po’, sentì dall’altra
parte un allegro: «Ehi, Priscilla regina del
deserto!»
Sorrise. Federico lo prendeva
spesso in giro per la sua omosessualità, per via di alcuni
loro trascorsi. Ma
non lo faceva, e mai lo aveva fatto, in modo offensivo, anzi
tutt’altro: era un
modo, per quanto rude, per fargli capire che lo accettava.
«Ciao omaccione. Sto qui a X
Factor e ho saputo che ti hanno fatto fuori» lo zelo iniziale
andò scemando.
«Mi dispiace un sacco.»
Dall’altra parte, un sonoro ringhio
di frustrazione. «Burattini del sistema. Fidati di me, fai
carriera in Spagna o
da qualunque altra parte e qui in Italia non tornarci
più.»
«Ma cosa è successo con
esattezza?»
«Che è successo? Giusto.
Perché d’altronde non lo sa nessuno che questa
merda di programma è palesemente
di sinistra. Già il PD aveva cercato di farmi fuori
perché sto con i 5 Stelle,
ma non ce l’aveva fatta. Allora ha fatto in modo che la
sicurezza di Sky mi
beccasse con dell’erba in tasca.»
«Te l’hanno messa loro?»
«No, tutti lo sanno che io ho
sempre dell’erba addosso, ma a nessuno è mai
importato un fico secco. Che sono
per la legalizzazione, è risaputo anche questo. Ma adesso
chissà perché
interessa a tutti e la questione era: o ti facciamo passare per un
drogato
spacciatore o te ne esci dal programma.»
Marco spalancò la bocca. Quei
meccanismi gli erano stati del tutto sconosciuti fino ad allora, e
decisamente
la politica non faceva per lui: non era mai stato un fan dei giochi di
potere.
Ma gli pareva assurdo che potessero estromettere una persona come
Federico da X
Factor solo perché avevano ricevuto delle pressioni da
Sinistra.
Si morse il labbro. «È
terribile. Mi viene voglia di mollare, ti giuro.»
«Per carità, non farlo.
Resisti quest’anno e poi riempiti l’agenda di
impegni così non potranno
chiamarti. Non permettergli di averti in pugno, Marco.»
«Lo farò. Grazie Fede e a
nome di chi ti ha cacciato, ti chiedo scusa.»
«Non scusarti, piccola
checca. Piuttosto, giurami che farai il bravo.»
Rise
di quel tentativo di sdrammatizzare. Però nulla
riuscì a distoglierlo dal
pensiero che X Factor faceva qualcosa di brutto alle persone. Dopo aver
partecipato al programma Morgan lo aveva ripudiato, Federico lo aveva
insultato, Arisa se ne era andata disgustata... Soltanto Elio aveva
resistito.
Ciò
che in quel momento importava era che, se neppure un tipo testardo come
Mika
era riuscito a resistere più di tre anni, X Factor aveva
fauci.
E
Marco sarebbe stato mangiato tutto in un boccone.
Una
settimana dopo, Marco tornò. Tra dieci giorni ci sarebbero
state le prime
audizioni e sicuramente il signor Fastidio voleva assicurarsi che Marco
si
fosse trasformato nella brutta copia di Mika, perché
l’aveva chiamato con una
tale urgenza da fargli temere che i capelli di Irene avessero preso
fuoco e che
avessero arso vivo Elio.
Il
che, da una parte, sarebbe stato più divertente di guardare
effettivamente
trentasette ore di puntate di X Factor con Mika. Cosa che per altro non
aveva
fatto.
Faceva
più caldo quel giorno, così Marco aveva optato
per una buffa maglietta con
sopra stampato uno smoking e dei pantaloncini kaki. Occhiali da sole e
cappello
in testa non sarebbero mancati, e di nuovo varcò quelle
soglie, stavolta senza
perdersi. Strano che ce l’avesse fatta, visto che in quella
settimana non aveva
dormito.
Era
terrorizzato all’idea di dover fare come Mika. Aveva cercato
di pensare al modo
in cui avrebbe dovuto vestirsi, atteggiarsi, muoversi e comportarsi, e
più ci
pensava più gli veniva il panico. In quei sette giorni aveva
cercato di
rilassarsi e di essere il più possibile spontaneo
“alla Mika”, ma gli venivano
almeno sette attacchi di panico alla volta quando ci provava per
davvero. Era
arrivato perfino a sognarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Una
notte lo
aveva sognato in piedi su una tavola imbandita, nell’intento
di calpestare il
suo cibo. Un’altra volta lo aveva sognato vestito da dandy
dell’Ottocento,
mentre rideva di lui e continuava a tormentarlo dicendo: «Io
sono l’unico Mika
di questo mondo». Perlopiù, però,
sognava la sua fuga precipitosa dall’Irlanda.
Avrebbe preferito il Mika in versione Ottocento.
Per
questo negli ultimi giorni aveva dormito davvero poco.
E
muore il mio
pensiero su te
Entrò
dentro il solito edificio, si fece strada tra i corridoi e, non appena
fece per
avvicinarsi alla sala riunioni dell’altra volta, ecco
spuntare un’altra volta
il signor Fastidio.
«Mengoni,
eccoti qua!» disse con un sorriso da coyote. Non gli piacque
affatto. «Mi piace
il suo abbigliamento. Particolarmente indicato.»
Marco
finse di sorridere e gli assicurò: «Dopo aver
visto tutte quelle ore di DVD, il
minimo che potessi...»
«Oh,
spero che tu non le abbia guardate tutte» lo interruppe.
«Non voglio più che tu
imiti Mika. Devi cambiare personaggio.»
Lo
sguardo inceneritore che provenne dagli occhi di Marco dovette
persuaderlo che
non era stata una mossa azzeccata uscirsene in quel modo. Si era
tormentato
tutta la settimana per essere come Mika e ora scopriva che non se ne
faceva più
nulla?
Spiegò
meglio: «Intendo, lei ha fatto bene, anzi benissimo a vedere
quelle puntate, ma
invece di concentrarsi su Mika, provi a riguardarli concentrandosi su
Fedez.»
«Fedez?».
Si
chiese cosa volesse da lui. Era stanco di dover interpretare ruoli di
altre
persone. Poteva essere il miglior Marco Mengoni possibile, anche se
qualche
imitatore avrebbe affermato il contrario, ma non poteva essere
un’altra persona
e poi un’altra ancora. Era da escludersi.
Quello
non demorse: «Invece del giudice affascinante e spontaneo,
vorrei che lei fosse
più la tipologia di giudice moderno e divertente. Lei adora
i social, è vicino
ai giovani. Qualche battutina di tanto in tanto, non sia sempre
accomodante con
gli altri, e per l’abbigliamento...»
Una
risata esplose.
Oh, no.
E
io riuscirò da
solo
A distinguere il
confine
Che ci divide e
ci porta via
Era
una risata particolare, quasi simile al verso di una foca, eppure
divertente e
contagiosa.
La
conosceva.
Marco
piantò lì il signor Fastidio ed entrò
a passo di marcia all’interno della sala.
Sgranò
gli occhi.
Spalancò
la bocca.
Era
completamente convinto di star sognando ancora.
Elio
e Irene si stavano facendo un autoscatto esibendosi in smorfie e
boccacce verso
il cellulare dell’uomo che, in mezzo a loro, lo reggeva e
rideva in quel modo
tanto travolgente.
Marco
non poté confondere i suoi ricci bruni, né la sua
notevole altezza e,
sicuramente, non avrebbe mai potuto confondere la sua risata.
Per poi
confonderci tra tutta questa gente
In
quel momento, accanto a lui comparve il produttore Fastidio.
«Come avrà forse
avuto modo di capire ieri, abbiamo avuto delle difficoltà
nel trovare un
sostituto per il signor Lucia. Fortuna che ieri il signor Penniman ci
ha
chiamato per dire che aveva cambiato idea.»
«Michael?»
Che
resta
indifferente a noi
Marco,
quel nome, lo urlò senza prestare ascolto alle parole che
gli circolavano
attorno.
Con
tutta la calma del mondo, Mika si voltò con un sorriso ampio
e radioso che
espose i suoi incisivi marcati. Andò verso Marco studiandolo
e sul suo viso
l’espressione di piacevole sorpresa mise il ragazzo sulla
difensiva. Cosa stava
succedendo?
Non
si erano né visti né sentiti dalla fuga di Marco
in Irlanda. Che razza di gioco
perverso aveva in mente?
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che
resti indifferente e poi cambi d’estate
E cadono le
scuse. e cadono le scuse
Come
se gli avesse letto nel pensiero, Mika emise una risatina e disse:
«Ciao, scappatore.»
Ed io non ti aspetto
più.
La soffitta dell’autrice:
Salve,
lettori e lettrici. Non pensavo, sarò
sincera, di tornare con una nuova long. Ormai avevo abbandonato questa
impervia
strada per prendere quella, più semplice e senza impegno,
delle OS.
Eppure sentivo che
c’era ancora una storia da
raccontare. La storia di un amore che sembra finito. La storia di una
playlist
in divenire. E dunque eccomi qui.
Ringrazio la mia
fantastica e dolce beta, che
mi ha convinta a tornare a scrivere long, il mio piccolo grande amore
comeunangeloallinferno94. Grazie per la lettura, un bacio.
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Capitolo 2 *** Non posso farlo ora ***
Ti ho
voluto
bene veramente
Così
sono partito per un lungo viaggio
Lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso
Michael.
Un secondo
prima il tuo nome era l’unica fonte della
mia gioia, un nettare al quale anelavo per sopravvivere. Ora tra le mie
labbra
diviene amaro e schiuma in gola come veleno.
Come hai
potuto?
Tu mi chiedi
scusa non una, ma cento volte. Ancora
prima che io reagisca, tu ti scusi.
Perché
mi hai ingannato e lo sai. Mi hai fatto credere
che la nostra fosse una semplice passeggiata sotto la pioggia, sapevi
bene che
sarebbe mutata nel più crudele dei delitti. Eppure hai
protratto sinora il tuo
inganno.
Con gli occhi
gravidi di pianto mi implori di restare.
Ma quanto piange il cielo in confronto a te, e se i tuoi occhi sono
lucidi, le tue
guance sono asciutte.
Non ti credo
più.
Come vetro il
mio cuore s’incrina, una crepa diviene
una ragnatela di fratture fino a esplodere in una cascata di frammenti.
Ormai
non ho più un cuore che batta per te, eppure sembra che i
suoi fragili pezzi
siano tutti protesi verso i tuoi occhi lucidi. Oh, no. Li
porterò via con me,
me ne andrò. Fuggirò da te, perché mi
sento ancora troppo tuo per starti
accanto.
Ho
visitato luoghi per non
doverti rivedere
E
più mi allontanavo e più sentivo di star bene
Che tu sia dannato,
Michael.
Il produttore batté le
mani.
«Bene, vedo che ci siamo tutti. Bando alle ciance: dobbiamo
ripensare lo spot
pubblicitario daccapo, soprattutto adesso che Mengoni sostituisce Lucia
e
credetemi sulla parola se vi dico che due persone tanto diverse non
esistono in
tutto il mondo.»
Degli sproloqui del signor
Fastidio –il cui nome era peraltro ancora sconosciuto ai
più– Marco non ascoltò
una parola, troppo concentrato sugli occhi consapevoli di Michael.
Occhi che
scrutavano, occhi che sapevano e scavavano affondo. Occhi che
parlavano. Occhi
che perfino sorridevano.
Sapeva perfettamente che
Marco non si aspettava di trovarlo lì, conosceva le sue
intenzioni, ossia
quelle di non rivederlo mai più. Lo aveva incastrato per
bene, messo nel sacco.
Marco ormai non poteva più scindere il contratto, a malapena
i dirigenti lo
avevano ritirato a Federico, per ragioni del tutto straordinarie.
Già
immaginava l’entusiasmo del target al quale X Factor puntava
–ragazzine,
ragazzini e madri lavoratrici– quando avessero rivelato i
nomi dei giudici.
Strano a dirsi, le cinquantenni con velleità artistiche e le
nonnine arzille
stravedevano per Marco come le ragazzine delle medie, mentre Michael
conquistava adolescenti, genitori single appena trentenni e zie in
sovrappeso. Mossa
astuta quella di unire entrambi in un unico programma: avrebbero
conquistato il
mondo.
Peccato che a Marco, di
conquistare il mondo con Michael, non importasse un fico secco.
L’unica cosa
che desiderava in quel momento era la fuga, forse per questo
l’altro sorrideva
in quel modo soddisfatto e al contempo irritante. Marco non poteva
andare da
nessuna parte, per questo prima lo aveva apostrofato come scappatore, per sottolineare
l’impossibilità di sottrarsi non solo
a quell’incontro, ma a tutti i provini e le puntate di X
Factor, nonché per
l’ExtraFactor. Sarebbero stati gomito a gomito sempre, in
ogni secondo.
Marco era fottuto.
E
nevicava molto però io
camminavo
A
volte ho acceso un fuoco per il freddo e ti
pensavo
Si
accasciò, ancora incredulo,
sulla sedia, tra il produttore e Irene, di fronte a lui c’era
Elio e Michael
era proprio accanto. L’espressione furbetta del suo viso
lasciava presagire un
piano studiato nel dettaglio. Marco era convinto che fosse tornato
lì per lui,
non per stargli accanto, quanto piuttosto per torturarlo, per
possederlo, per
ricordargli ogni minuto della sua vita che lui, sì, proprio
lui era suo e di
nessun altro.
Per tutta la
durata
dell’incontro, Marco digrignò i denti per
l’indignazione, mentre gli altri
commentavano, sorridevano, facevano cose.
Lo spot per
annunciare
l’inizio del programma sarebbe stato girato tre giorni dopo:
ciascuno dei
giudici si sarebbe presentato da solo su un palcoscenico vuoto. Avrebbe
detto
il proprio nome, la provenienza, il ruolo che la musica ricopriva nella
propria
vita, poi avrebbe cantato (si era optato di comune accordo per dei meri
vocalizzi, onde evitare di autocelebrarsi o di incorrere in sgradevoli
inconvenienti di copyright), poi tutti assieme sarebbero stati filmati
come una
band; dei ragazzi presenti al primo giorno di audizioni sarebbero stati
filmati
mentre urlavano, dicevano o cantavano un grande
“sì” a favore dei giudici. Una
specie di audizione al contrario, quello spot, per celebrare la decima
stagione
del talent. L’idea piacque a tutti, perfino Marco ne fu
colpito: chiaramente,
non era farina del sacco del fastidioso produttore.
Quest’ultimo
descrisse nel
dettaglio il compito di Marco per quell’edizione: nonostante
non fosse più un
ragazzo, bensì un uomo, era comunque il giudice
più giovane e quella sarebbe
stata la sua parola d’ordine. L’abbigliamento, il
modo di parlare e di
interagire con giudici e concorrenti, perfino le sue scelte musicali
avrebbero
dovuto essere giovani, fresche e moderne. Il suo punto debole, invece,
sarebbe
stato un’eccessiva difesa dei propri gusti, dei propri
concorrenti, una sorta
di gelosia infantile. Per come la vedeva Marco, era tutto fin troppo
studiato:
non poteva certo comportarsi come un ragazzo in tempesta ormonale,
quella farsa
per farlo sembrare appena un teenager sarebbe risultata sgradita e
falsa agli
occhi del pubblico e, per carità, nulla sarebbe stato
più ridicolo di un uomo
con barba e capelli bianchi che butta a caso frasi come
«Bella zio».
Non avrebbe
mai funzionato.
Eppure Marco,
troppo timido
ed educato per controbattere, fece di sì con la testa
continuamente, senza neppure
accennare al proprio parere. In quello fu davvero impeccabile.
A ciascuno
venne dato quel
tipo di direttiva, ma Marco ormai aveva smesso di ascoltare da un
pezzo. Dopo
qualche altra comunicazione e aver stabilito luogo e ora del prossimo
appuntamento, vennero tutti congedati.
Marco
praticamente schizzò
fuori dalla sala, al fine di evitare Michael, ma la sorte gli fu
avversa,
poiché nell’estrarre dalla tasca dei pantaloni il
suo consueto pacchetto di
sigarette, queste gli volarono di mano e molte andarono a spargersi sul
pavimento. Si chinò e le raccolse nervosamente, ma non fu
abbastanza svelto:
due mani, grandi e forti quanto le sue, si avvicinarono per aiutarlo.
Le sue mani. Odiava quelle
mani.
«Lascia,
faccio io.»
«No,
grazie» ribatté Marco,
piccato. «Ho fatto.»
Si rimise in
piedi in un
batter d’occhio, guardando Michael dall’alto in
basso. Egli gli sorrise con gli
occhioni divertiti. Poi si alzò anche lui da terra,
porgendogli le sigarette
che aveva preso. Marco le afferrò di malavoglia e se le
ficcò tutte in tasca.
Poi lo osservò.
Sognando
ad occhi aperti sul
ponte di un traghetto
Credevo
di vedere dentro il mare il tuo riflesso
I riccioli di Michael erano
leggermente
arruffati quel giorno, indossava dei jeans aderenti e una maglia
bianca, dove
si intravedeva una macchia violacea che sembrava marmellata, proprio
vicino al
fianco sinistro. In quel modo sembrava un bambino dispettoso che si era
svegliato tardi e aveva consumato la colazione in fretta e furia per
arrivare
puntuale a scuola. Un gran bambinone come al solito. Strano come tutto
ciò che
un tempo aveva trovato tenero, ora gli paresse irritante e lo urtasse.
No, non era affatto vero. Era
ancora tenero ai suoi occhi. Ma la cosa non aveva più
importanza.
«Marco, ciao» gli fece,
spontaneo. «Quanto tempo noi non vediamo. È
da...»
«Dall’Irlanda, sì» lo
precedette, per evitare che lo dicesse lui. Tutt’a un tratto
il sorriso di
Michael si affievolì, il suo volto divenne più
serio, quasi infelice. Ma era
ovviamente impossibile, si disse, perché un uomo nella sua
condizione non può
essere infelice.
«Senti, io ha voluto tanto
parlare a te, ma io ho voluto lasciare tuoi spazi. Sono passati tre
mesi, noi
deviamo parlare.»
Marco scosse la testa. Doveva
essere un incubo, un orribile e grottesco incubo dal quale si sarebbe
svegliato. Si rifiutava di parlare di quel giorno. «Non
è né il momento né il
luogo. Ti pare?»
«Prima o poi sarà» rispose,
quasi profetico. «E noi ci diremo tante cose.»
Scuotendo la testa, cercò di
raccogliere il coraggio. Aveva immaginato tante volte quella
conversazione
nella sua mente, ma ora le parole svanivano come vento tra le dita e
non ne
aveva di buone da usare. Infine, cauto, replicò:
«Io credo che non abbiamo
niente da dirci.»
Fu lì che Michael sorrise.
Sì, sorrise proprio con una faccia da schiaffi.
«Io vado via, così tu non agiti
e non sei triste, ok? Ma poi noi ci vediamo in tre giorni.
Così tu hai tempo
per pensare se è momento e luogo.»
Le
luci dentro al porto
sembravano lontane
Ed
io che mi sentivo felice di approdare
Mentre si allontanava,
Marco
si sentì ribollire di rabbia: pensava che andandosene
avrebbe fatto un favore a
lui? Tutt’al
più, lo avrebbe fatto a
se stesso, evitando una situazione imbarazzante in cui
l’altra persona non
aveva nulla da dirgli. Marco stava benissimo senza Michael.
Non gli
avrebbe detto una
parola di più del dovuto.
Questo
pensò, guardandolo andar
via. Lasciò andare il respiro, neppure si era reso conto di
averlo trattenuto.
E
mi cambiava il volto e la barba
mi cresceva
Trascorsi
giorni interi senza dire una parola
Se era lontano, odiare
Michael era molto, molto più facile.
Il giorno dello spot era
arrivato.
Marco decise, una volta tanto,
di contravvenire alle istruzioni che gli erano state fornite. Una
canottiera
scollata e dei pantaloni corti e colorati non erano nel suo stile,
decisamente.
Visto il caldo optò per una t-shirt nera e dei pantaloncini
bianchi di lino.
Anelli, bracciali e il rosario che sua madre gli aveva regalato
avrebbero
compensato la sua mancanza di colore la quale, a sua volta, serviva per
compensare la mancanza dei caratteristici tatuaggi di Fedez. Visto che
non
riusciva a farsi valere con le parole, lo avrebbe fatto con le azioni.
Il luogo d’incontro era un
teatro, piccolo e sperduto, nella periferia milanese. Gli era chiaro
ciò che avrebbe
dovuto fare: camminare con passo incerto sul palcoscenico, posizionarsi
al
centro e recitare la sua battuta: «Sono Marco Mengoni, vengo
da Ronciglione e la
musica è il mio riflesso». Sembrava abbastanza
facile.
Ma lì ci sarebbe stato anche
Michael, e con lui nulla era mai stato facile.
Arrivò lì in circa tre quarti
d’ora, colpa del traffico mattutino. Quando entrò
dalla porta già spalancata,
gli sembrò di assistere a uno spettacolo in miniatura: le
luci e le videocamere,
tutto era stato studiato e orchestrato per far sembrare quello un
teatro
abbandonato e fatiscente, in cui alcuni fori nel soffitto lasciavano
trapelare
dei piccoli fari luminosi.
Michael era lì in piedi.
Stavano filmando la sua parte della pubblicità. Gli altri
giudici lo guardavano
con un sorriso stampato in volto, probabilmente dopo aver girato
ciascuno la
propria scena.
Lui aveva un completo beige
con sotto una camicia bordeaux e cravatta ricca di elaborati ghirigori
beige e
panna. Sembrava un principe, dominava quel piccolo palco con la sua
sola
presenza, senza però essere ingombrante. Era a casa sua.
«Sono Michael Holbrook
Penniman Junior» iniziò, la sua voce sprizzava
vivacità e voglia di cantare.
«Vengo da Londra e il canto è il mio primo
amore.»
Marco storse il naso. Aveva
pronunciato Michael all’inglese, come gli avevano suggerito
di fare per
rendersi più internazionale, mentre Marco sapeva
perfettamente che si
pronunciava così come si scriveva, con l’accento
posto sulla “e”. Anche se
diceva di venire da Londra, la sua casa effettiva, era un fatto
risaputo che
fosse nato a Beirut. Per quanto riguardava il suo primo amore, sapeva
per certo
che da piccolo giocasse a fare lo sposo con sua sorella Zuleika, con le
altre
due sorelle a fare da damigelle e il papà che faceva da
prete. Quindi, per
quanto eloquente, ogni singola parola della sua presentazione era una
bugia.
Glielo avrebbe rinfacciato.
«Taglia!» urlò il regista, un
ometto basso e tarchiato, con un pizzetto sale e pepe e un gran paio di
occhialoni rotondi. Questi si voltò verso Marco e gli fece
cenno di
avvicinarsi.
Michael balzò giù dal palco e
lo salutò con un cenno della mano. A quel gesto, Marco
tirò dritto di
proposito, fingendo che la risatina che udì di seguito fosse
frutto della sua
immaginazione. Salutò cordialmente il regista, il quale lo
squadrò con disgusto,
ma sorvolò circa il suo abbigliamento completamente
sbagliato. Gli comunicò ciò
che avrebbe dovuto fare: raggiungere il centro del palco come fosse
spaesato,
giungere al centro, esibirsi prima con i vocalizzi e poi registrare la
sua
battuta. Tutto chiaro.
Dopo una breve sistemata
presso la sezione trucco e parrucco, fu pronto per girare. Non fu
affatto
complicato, il tutto durò all’incirca un minuto e
mezzo, pause e tagli esclusi.
Finì ancora prima di rendersene conto e quello sì
che fu un grande sollievo.
Il regista gli disse di
restare sul palco mentre, sotto gli occhi stupefatti di Marco, a
velocità
supersonica i tecnici portarono una batteria, una chitarra elettrica,
un
pianoforte e un autentico microfono vintage. Sentì la risata
di Elio alle sue
spalle, probabilmente per via della sua bocca spalancata di fronte a
quella
piccola magia. Presto tutti e quattro i giudici salirono sul palco.
Elio prese
posto alla batteria, Michael si sedette al piano e Irene
afferrò la chitarra.
Marco afferrò quel microfono pazzesco e, quando dalle casse
venne sprigionata
una musica energica e palesemente pre-registrata, tutti finsero di
suonare e
iniziarono a divertirsi come dei pazzi. Marco scoppiò a
ridere, perché se da
una parte le casse battevano al ritmo di quella musica incalzante, sul
palco
ognuno suonava quello che voleva ed era davvero atroce, ma nulla che
una buona
dose di umorismo non potesse riparare. Iniziò a giocare con
l’asta del
microfono, ballare e fare quelle mosse che tanto facevano piacere alle
ragazzine e tanto facevano ridere i loro fidanzati.
A un certo punto, proprio
mentre si stava divertendo, Michael gli si affiancò. Si mise
accanto a lui come
un vecchio amico e finse di rubargli il microfono di mano.
Ma come si era permesso?
Marco cercò di tirare il
microfono verso di sé, scatenando
l’ilarità generale: sembravano due vocalist
in competizione per il ruolo di leader. Se lo contesero, Marco
seriamente
irritato e Michael che invece rideva come un bambino. Presto quel gioco
coinvolse tutti e anche Elio e Irene cercarono di rubare il microfono a
Marco.
Quando il regista urlò il suo «Stop!»,
anche lui stava ridendo. Avrebbe tenuto
quella ripresa improvvisata, poco ma sicuro.
Marco scese dal palco senza
voltarsi indietro, suscitando un coro sdegnato da parte dei suoi
colleghi, che
si chiesero perché Marco dovesse fare il guastafeste.
Neppure fece in tempo a
uscire dal teatro per farsi una sigaretta, che subito sentì
la voce di Michael
dietro di sé che tutto pimpante annunciò:
«Ecco lo scappatore!»
E
quanto avrei voluto in
quell’istante che ci fossi
Si voltò, tutti
sorridevano
pensando a uno scherzo.
Certo che lo pensavano.
Nessuno di loro sapeva per quale motivo Marco ce l’avesse con
Michael tanto che
ogni suo gesto risultava quanto mai provocatorio, non era certo colpa
loro.
Così, di malavoglia, finse di ridere e tornò tra
di loro, con somma
soddisfazione di Michael.
Forse a lui non dava fastidio
fingere che fossero amici come prima, ma a Marco sì,
parecchio. Borbottò un
blando: «Comunque sei un falso.»
«Perché dice questo?»
Non la piantava neanche un
secondo di sorridere. Marco avrebbe dato qualunque cosa per togliergli
quel
ghigno dalla faccia: per colpa sua, non sorrideva da mesi, come faceva
lui
invece a essere così felice?
Ah, giusto. Si era liberato di Marco.
Si schiarì la voce. «Sai, non
sei di Londra, il tuo nome non si pronuncia Michael
all’inglese e... sì, hai
giurato amore eterno a tua sorella Zuleika. Quindi hai detto una bugia
dietro
l’altra nella registrazione.»
Il sorriso di Michael si
ampliò fin quasi a raggiungere le orecchie. «Tu ti
ricordi tutte queste cose?»
Marco si morse le labbra.
Quanto era stato stupido!
Sperava di zittirlo una volta per tutte, invece gli aveva dato
l’ennesima scusa
per rimarcare il proprio dominio su di lui. Si sentì un
idiota di prima
categoria.
«Tu ti ricordi» constatò
nuovamente, colmo di gioia per chissà cosa. «Wow,
che grande memoria! Invece io
volevo di dire a Irene il nome di tua madre e non lo ricordavo...
è Sofia?»
«Nadia.»
Quella fu la sua unica
risposta.
Era troppo, perfino per lui.
Era stato meschino da parte
sua sottolineare come Marco ricordasse ancora ogni cosa di loro, mentre
Michael
neppure aveva azzeccato il nome di sua madre. Dovette incassare anche
quel
colpo, dopo tutti i rospi che aveva già dovuto ingoiare a
causa sua.
Fu lì, negli sguardi
impietositi dei suoi colleghi, che Marco capì che loro
sapevano. Forse non ne
erano certi, ma di sicuro lo avevano intuito, forse proprio per colpa
dell’ostinazione di Marco. Ottimo, non poteva andare peggio
di così.
Tirò su col naso per
trattenere le lacrime: «Beh, è evidente che i
dettagli te li sei scordati.
Pazienza, ce ne faremo una ragione.»
Michael gli tirò
scherzosamente un finto pugno sulla spalla. «Non essere
arrabbiato, Marco! Io
ho memoria di merda, per questo non ricordavo.»
Rise, ma la sua risata aveva
poco a che fare con il divertimento. «E chi si arrabbia? Io
no.»
La tempesta sembrò evitata e
tutti sorrisero di sollievo, poi si misero a discutere delle audizioni,
che
sarebbero cominciate il 26 giugno, ossia tra dieci giorni appena. Irene
era
seccata per via dell’abbigliamento che le avevano imposto:
invece dei suoi
soliti abiti hippie e al contempo eleganti, l’avrebbero
agghindata come una
jazzista di secondo ordine. Elio rise, ribattendo che, se voleva
decidere lei
per se stessa, avrebbe dovuto per lo meno vincere
quell’edizione al primo
colpo.
Tra quelle chiacchiere tanto
amichevoli, Marco non si sentì a suo agio. Prese una
sigaretta e annunciò la
“pausa ciminiera”, giusto perché
ridessero un po’. Poi volò giù dal
palco e
uscì dal teatro, indossò degli occhiali da sole e
si poggiò al muro. Sigaretta
accesa tra le dita, un profondo respiro, nicotina in circolo, un
sospiro
soddisfatto e grigio di fumo.
Finalmente una meritata
pausa.
«Marco.»
Aveva parlato troppo presto.
Perché
ti voglio bene veramente
E
non esiste un luogo dove non mi torni in mente
«Sai, noi
stavamo pensando»
si poggiò affianco a lui «di arrivare a le
audizioni a cavallo! Ti piace?»
Marco
annuì. «Bello.»
Rimasero per
un po’ in
silenzio, l’uno cercando di capire cosa pensasse
l’altro. Come prevedibile, fu
Michael a rompere il silenzio.
«Ora
è momento e luogo?»
«No.»
«Perché
non vuoi parlare?»
Marco si
voltò e vide che
finalmente aveva smesso di sorridere. Stavolta toccò a lui
sogghignare. «Hai
parlato abbastanza tu per tutti e due. Prima, sul palco» e
indicò l’ingresso
del teatro con un cenno della mano.
Sbuffò
sonoramente. «Solo
perché io non mi è ricordato il nome di tua
madre.»
«O
forse perché mi hai fatto
fare la figura del disperato» sbottò, incapace di
trattenersi oltre.
«Questa
è una sciocchezza»
fece, sembrando addirittura offeso. «Io volevo solo dire che
tu hai memoria
molto grande e io no.»
Marco
gettò la sigaretta a
terra e la calpestò. Tanto valeva giocare a carte scoperte,
anche se sapeva che
avrebbe versato calde lacrime per tutta la notte, ma meglio che tenersi
tutto
dentro fino alla fine.
Avrei
voluto averti veramente
E
non sentirmi dire che non posso farci niente
«Ora ti dico
com’è andata la
cosa» soffiò l’ultima nuvola di fumo.
«Io non ne ho più voluto sapere di te
dopo l’Irlanda, a ragione direi. Pensavi che sarei tornato
strisciando da te ma
non l’ho fatto, quindi hai pensato bene di venire a X Factor
e fare di nuovo il
giudice, giusto per darmi il tormento e vedere come stavo di merda
senza di te
e poterti divertire a mie spese. Allora, ci ho visto giusto?»
Sorrise, quasi per dispetto.
Michael, invece, sembrò un
bambino al quale avevano tirato uno schiaffo. Provò una
rabbia contenuta.
Scosse la testa impercettibilmente, quasi più per se stesso
che per Marco.
«Tu sei un pazzo» sentenziò,
infine. «Non sai quello che dici.»
«Io credo di saperlo,
invece.»
Avrei
trovato molte più risposte
Se
avessi chiesto a te ma non fa niente
Si
grattò la testa, le sue
mani affondate nei propri, folti riccioli. Sospirò,
accennò brevi sorrisi amari
e scrollò le spalle. Sembrava non sapere nemmeno cosa fare,
o cosa dire, forse
per la prima volta da quando si erano conosciuti.
Marco si sentì
momentaneamente meglio: in realtà, di dire a Michael la
verità, non gli
importava affatto, voleva solo fargli del male. E ci era riuscito.
Poteva
essere contento.
«I decided to came back, but it was a mistake.» Ho
deciso di
tornare, ma è stato uno sbaglio.
Non
posso farlo ora che sei così lontano
Detto questo,
tornò nel
teatro, lasciando Marco a crogiolarsi nella sua stagnante, malsana
felicità.
Finalmente anche Michael soffriva come aveva sofferto lui. Si potevano
forse
dire pari? Questo non lo sapeva.
L’unica
cosa che sapeva era
che, quando aveva immaginato il momento in cui gli avrebbe rinfacciato
tutto,
aveva pensato di sentirsi meglio di così.
Non sarebbe
mai stato così
semplice, vero?
In quei dieci giorni,
i
quattro giudici si videro quasi ogni mattina. I veterani diedero a
Marco e a Irene dei
preziosi consigli su come essere un giudice giusto e, nel frattempo, un
personaggio televisivo di portata non indifferente. Elio fu un mentore
eccezionale, fece sentire Marco sempre più convinto della
propria decisione:
comprese finalmente che il suo scopo in quanto giudice non era di fare
bella
figura o di mettersi alla prova, ma di forgiare talenti. Il pensiero di
aiutare
dei ragazzi a scoprire il fattore X che c’era in loro
aiutò Marco a ritrovare
un entusiasmo che credeva perduto. Poteva dirsi finalmente soddisfatto,
nonostante il nervosismo che gli scuoteva le vene e i polsi al pensiero
di
parlare di fronte a pubblico e concorrenti.
Con Michael,
invece, i
rapporti erano diventati puramente professionali. Una volta per tutte,
aveva
capito che erano solamente colleghi e in quanto tali si erano scambiati
tutt’al
più consigli e opinioni, nulla di più. Forse,
pensò Marco, le cose stavano
iniziando ad andare per il verso giusto.
Allora
perché non si sentiva
del tutto felice?
Mi
sentirei di dirti che il
viaggio cambia un uomo
E
il punto di partenza sembra ormai così lontano
Forse era stato per il modo
in cui si era rivolto a Michael. In Irlanda lo aveva ferito, ma non
voleva dire
che si meritasse un trattamento come quello che Marco gli aveva
riservato. Si
sarebbe sentito meglio, magari, se si fosse scusato.
Decise che non lo avrebbe
fatto. D’altronde, si era già umiliato abbastanza
per lui. Doveva rammentare
che da colleghi avrebbero finto di essere pappa e ciccia. Ma come ex,
non
avrebbe avuto pietà.
Pur ignorando un piccolo nodo
che sentiva nella gola.
La mattina del 26 di giugno,
Marco si recò in una specie di hangar utilizzato per tenere
i cavalli sui quali
i giudici si sarebbero presentati sul tappeto rosso (sì,
alla fine
quell’assurda idea era stata approvata). Indossava una
camicia bianca, un gilet
nero e pantaloni neri, scelta che gli venne nuovamente criticata per
non essere
abbastanza “giovane”. Mentre una stagista era
lì a fargli la predica, con la
coda dell’occhio scorse Michael, fasciato in un elegantissimo
tartan verde
smeraldo. Questi andò verso di lui e, come una falena
attratta dalla sua fiamma,
involontariamente Marco lo raggiunse.
La
meta non è un posto ma è
quello che proviamo
E
non sappiamo dove né quando ci arriviamo
Michael lo
osservò con un
tenue sorriso. Marco si maledisse, era sicuro che avesse già
compreso quell’inspiegabile
magnetismo che li aveva fatti avvicinare. Dannazione.
«Ciao
Marco» lo salutò come se il giorno prima non fosse
mai esistito. «Questi stallioni sono
fantastici.»
Marco
si voltò: un imponente pezzato con una folta criniera
cercò di montare, proprio
in quel momento, una giumenta bianca che sembrava uscita da una fiaba.
Un
fantino li separò, tra lo sgomento e
l’ilarità generale.
Non
poté fare a meno di
sorridere. «Al mio cavallo piace la tua puledra»
constatò in tutta ingenuità.
Poi
all’improvviso Michael lo
attirò a sé e lo abbracciò.
Trascorsi
giorni interi senza
dire una parola
Credevo
che fossi davvero lontano
Non andava bene. Non
andava
affatto bene.
Lo aveva
praticamente
imprigionato tra le sue braccia, con le mani premute sulle sue scapole.
Il
volto di Marco andò letteralmente a fuoco. Perché
lo stava abbracciando, lì di
fronte a tutti, poi? E in quel modo? Lo aveva insultato ieri, aveva
fatto delle
insinuazioni pesanti. Non c’era motivo di abbracciarlo. Marco
pensò di
divincolarsi.
Sospirò.
Era stanco di essere
lo scappatore.
Michael
parlò piano, quasi
per timore di rompere l’incanto. «Io non sono qui
perché voglio tormentare. Io
sono qui perché mancavi tu.»
Sapessimo
prima di quando
partiamo
Che
il senso del viaggio e la meta è il richiamo
Marco chiuse gli occhi
e
scosse la testa. Una parte di lui avrebbe voluto lasciarsi andare nel
suo
abbraccio e alle sue parole, ma sapeva perfettamente cosa lo aspettava
se
avesse ceduto.
«Non
manco io» replicò, senza
staccarsi. «Non possiamo cambiare le cose. O, almeno, io non
posso.»
«Io
non posso» disse,
aggrappandosi al suo gilet.
Marco era
migliore di così.
Non sarebbe stato più ciò che era prima, per il
bene di tutti. Poteva aver
sbagliato in passato senza che questo influenzasse il suo presente.
Fece per
staccarsi, ma
Michael lo tenne più forte. «No, no, non essere
arrabbiato. Io non posso fare
nulla per io e te. Ma questo non è che non ti voglio
bene.»
Perché
ti voglio bene veramente
E
non esiste un luogo dove non mi torni in mente
In quel momento, Marco
capì
che qualcosa tra loro era rimasto in sospeso, ma era bene che rimanesse
tale.
Era pericoloso, in quella situazione. Non avrebbero dovuto.
Così,
per quanto doloroso
fosse, Marco dovette dirgli quello che poi gli disse.
«Anche
io ti ho voluto bene,
veramente.»
Avrei
voluto averti veramente
E
non sentirmi dire che non posso farci niente
Non ci fu bisogno di dire
altro. Michael sciolse il loro abbraccio con un sorriso sghembo, forse
accontentandosi, forse pensando che fosse meglio di niente.
In quel momento, Marco capì
che le cose erano tornate al loro posto, che così doveva
essere. Ma una parte
di lui avrebbe voluto cambiare le parole e quel tempo volgerlo al
presente
perché, sì, gli voleva bene veramente, nonostante
tutto. Ma cosa avrebbe potuto farci Michael,
con il suo affetto? Assolutamente niente.
Avrei
trovato molte più risposte
Se
avessi chiesto a te ma non fa niente
Non
posso farlo ora che sei così lontano
Era troppo tardi.
Non
posso farlo ora.
La
soffitta
dell’autrice:
Eccomi qua, sono
tornata! Con un capitolo un po’
crudele per i miei standard ma, beh, vorrei vedere voi a essere feriti
come è
stato ferito Marco. Chissà che gli avrà fatto
Mika di tanto grave da allontanarlo
per sempre (?). Lo scoprirete solo leggendo! Ringrazio come sempre la
mia beta,
la pazzesca comeunangeloallinferno94. Per lei la mia fanfic non ha
segreti!
Chicca del capitolo: ero io a credere che la mamma di Marco si
chiamasse Sofia, anziché Nadia.
Un
bacio.
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Capitolo 3 *** E te ne andrai via ***
Ricorderai
l’amore
Ritornerai,
ritornerai da me
«Cosa?»
«Aspetta Marco. So che sembra una cosa assurda, ma io
non ho...»
«No, cazzo. Rallenta. Tu cosa?»
«Per
favore, so che sei arrabbiato, ma tu cerca di
capire.»
«No. No. No, Michael, non puoi parlare sul serio! Mi
hai portato dall’altra parte del continente solo per farmi
questo?»
«Oh, no Marco, non piangere. Sai che io non volevo
questo, ma è andata così.»
«È andata così? Non puoi dire una cosa
del genere!
Anzi, sai cosa? Non dire niente. Non voglio sentire neanche una parola
uscire
da quella tua bocca di merda.»
«Non dire questo...»
«Cosa dovrei dirti? Che sono contento, che perderti
è
stupendo? Che felicità, che gioia.»
«Mi dispiace, sai che lui voleva questo da tanto.»
«Michael, tu mi hai preso in giro, mi hai ferito, ma
soprattutto stai cercando di buttare la colpa su di lui invece che su
te
stesso.»
«Non c’è una colpa.»
Mi
guarderai, mi guarderai come se
io
fossi colpevole
«Ah, sì? Bene, allora
è colpa mia. Se non fossi mai
entrato nella tua vita tu non avresti tradito Tim e sarebbe andato
tutto
meglio.»
«Tu sta dice che è meglio se noi non ci
incontravamo?»
«Sì. Preferirei non averti mai conosciuto.
Fanculo.
Fanculo tu, fanculo Tim e fanculo pure l’Irlanda.»
«No, Marco, listen... Marco,
wait, no please! Don’t leave me!»
«Che altro vuoi?»
Annunciato da
Alessandro
Cattelan, su un maestoso pezzato, Marco venne annunciato al mondo come
nuovo
giudice di X Factor assieme a Irene Fornaciari. Salutò
timidamente il pubblico
mentre Elio e Michael, già annunciati, facevano a gara a chi
arrivava per primo
al traguardo. I fotografi sembravano impazziti, scattarono talmente
tante foto
che a Marco sembrò di ritrovarsi di fronte a una gigantesca
distesa di vibranti
lustrini. E le urla, oh, quelle furono talmente fragorose che da sole
avrebbero
potuto far crollare il tetto dell’X Factor Arena.
Il cuore di
Marco fece un
balzo, come ogni volta che si trovava di fronte al suo pubblico: non si
spiegava perché i fan avessero tanto a cuore la sua persona,
ma li ringraziava per
tutto quel calore. Per poco non si commosse nel vedere gente piangere
al sol
vederlo: riponevano fiducia in lui a prescindere, e forse sarebbe stato
il
giudice più disastroso nella storia del programma ma a loro
sembrava non
importare. Emozione e timore viaggiavano a braccetto.
Fu tutto un
tripudio di urla,
luci, calore soffocante e batticuore a mille. Marco venne aiutato a
scendere da
cavallo, poi entrò all’interno
dell’edificio adibito per i casting. Passarono
da un’entrata laterale per spuntare poi dalle scale sopra il
pubblico.
Entrarono tutti quattro insieme e si disposero in fila.
Videro tutto.
Era enorme.
La gente
urlò.
Marco si
spaventò.
Un vago senso
di nausea lo
colse come un pugno nello stomaco. Elio se ne accorse e gli sorrise
ampiamente
per metterlo a suo agio. Marco gli ricambiò la gentilezza
mentre Irene, più
esperta e meno emotiva, volò al suo posto di giudice.
Indossava una specie di
divisa da majorette dark, con tanto di bastone e cilindro.
Sospirò: lei non
sarebbe mai stata Morgan, e lui non sarebbe mai stato Fedez e quello
era
evidente.
Michael,
invece, parve
risollevarsi alla vista di quel palco e di tutte quelle persone che si
affollavano il più possibile attorno a loro, per non parlare
dell’aria
condizionata che in quella giornata afosa era ristoratrice. Se qualcuno
sapeva
come si faceva a mantenere il sangue freddo, quello era lui. Ma Marco
avrebbe
preferito mangiare vetro piuttosto che ammettere di fronte al suo
vecchio amore
di avere bisogno del suo aiuto.
Elio, scese le
scale saltellando
e, arrivato al suo posto, si accarezzò la voluminosa
parrucca afro color
carbone. Poi fu il momento di Mika, che scese con eleganza principesca,
toccando le mani dei suoi ammiratori più accaniti.
Marco fu solo
in quel momento.
Non
c'è più tempo
Non
c'è più tempo per riflettere
Per un secondo,
incrociò gli
occhi di Michael che ammiccarono, come se sapesse quanta tensione si
era
accumulata nel cervellino super ansioso di Marco e cercasse di
confortarlo a
distanza.
Più
tardi, avrebbe cercato di
convincersi che fosse tutta colpa dei nervi, ma in quel momento, gli
sorrise.
Quando il suo
nome venne
annunciato, ampliò quel sorriso e lo rivolse a tutti,
camminando timidamente
verso il banco dei giudici e prendendo posto accanto a Michael, che
strinse un
pugno e lo scosse come a dirgli “Coraggio”!
Marco lo
guardò con occhi
spenti. Avrebbe voluto –Dio solo sapeva quanto–
potergli sorridere e lasciarsi
tutto alle spalle. Ma guardandolo così da vicino, nei suoi
occhi vide Tim e
l’odore di pioggia e terra gli permeò nelle
narici: profumo d’Irlanda.
Non
ho più voglia
Non
ho più voglia di restare
Non poteva ancora
dimenticare.
E
tu?
Michael incassò per
l’ennesima volta il colpo e si mise a guardare il palco. A
Irene vennero
concessi gli onori di casa.
«Ciao Milano!» urlò. «Siete
carichi?»
Il palazzetto le rispose con
un gran boato che fece tappare le orecchie dei giudici uomini. Il
pubblico urlò
di nuovo, mentre con uno sguardo Irene concedeva a Marco
l’onore di dire la
fatidica frase.
Lui si avvicinò al microfono,
sorrise nell’attesa delle grida esultanti che sarebbero
conseguite e quasi con
cautela disse:
«Avanti il primo
concorrente.»
Gli applausi non si sarebbero
potuti contare, le singole voci gioiose si fusero e divennero una sola
e, per
la prima volta da quando quell’assurda esperienza era
cominciata, Marco si
sentì veramente felice.
Scoprì con sommo piacere che
non era poi così difficile come pensava: i primi ragazzi
andarono tutti bene,
passarono tutti alla fase successiva, soltanto un paio ricevettero un
secco
“No” da Irene, la quale aveva preso molto
seriamente il suo compito di novella
Morgan. Ma c’erano sempre Elio o Michael a contrastarla e a
lasciare a Marco il
semplice compito di concordare con l’uno e con
l’altro.
Poi arrivò il disastro.
Una ragazza allampanata con
il fascino del mistero, Alessia, proclamò di essere la
seconda Kate Bush e
decise di esibirsi nella celebre Wuthering
Heights.
I movimenti, per quanto
simili a quelli del video originale, erano scoordinati rispetto alla
melodia,
la quale venne eseguita con un falsetto flebile e tremolante. Il
risultato fu
quanto mai scadente. Prima che il pubblico iniziasse a incattivirsi, o
a
inveire eccessivamente contro la povera malcapitata, i giudici la
fermarono.
Il primo giudizio toccò a
Marco.
Prese un enorme respiro,
iniziando a tremare dalla punta dei capelli fino ai talloni.
«Alessia» cominciò, con il
migliore dei suoi sorrisi «tu sei giovane. Hai tanto tempo di
fronte a te per,
ehm, come dire, fare un pochino di, ecco, esercizio in più.
Diciamo che forse,
cioè, con il canto è un po’
così.»
«Traduco dal Mengonese all’italiano»
irruppe Elio con la sua solita faccia tosta. «Tu canti male,
oggettivamente. La
tua voce è semplicemente atroce.»
Irene sospirò: «Com’è
possibile che nessuno ti abbia mai detto che non sai cantare? Davvero,
non hai
consultato nessun parente, amico, vertebrato provvisto di parola,
primate?
Prima di venire qui, qualcuno ti aveva mai sentita anche solo
parlare?»
Marco si torse le mani. Non
era giusto. Stavano umiliando quella povera ragazza senza alcuna
ragione,
eppure il pubblico pareva divertirsi un mondo. Non capiva,
semplicemente non
capiva.
«Guarda, sembri un pietro
messo in mio frullatore» fece Michael, facendo ridere tutti
quanti.
Dopo aver speso qualche
parola altrettanto umiliante, tutti i giudici diedero il loro dissenso
unanime.
La povera Alessia, che a stento trattenne le lacrime,
ringraziò soltanto Marco,
mentre evitò accuratamente tutti gli altri.
Michael si sporse verso
Marco: «Non fare così.»
«Così come?»
«Non è la prima ragazza che
dovrai dire no. Non puoi fare la faccia triste, non è
divertente.»
«Infatti non lo è. Io non
voglio che lo sia.»
«Tu non capisci niente.»
Marco sgranò gli occhi
deluso, ma non osò controbattere.
Da lì in poi fu tutto un
susseguirsi di catastrofi. Il concorrente dopo era bravissimo, ma lui
decise di
non concedergli il suo “sì” per via di
pecche stilistiche che gli altri giudici
ignorarono e per le quali il pubblicò gli riservò
fischi e insulti. Il
concorrente successivo fece pena e Marco, pur di essere divertente come
gli
altri, gli disse che sua zia cinquantenne che si faceva il bidet era
più
musicale di quel ragazzo, ma così facendo lo ferì
profondamente e perfino Irene
dovette dirgli di moderare i toni. Per quello ancora successivo non
riuscì
neppure a formulare un vero giudizio, tutto preso dai suoi
“come”, “cioè” e
“diciamo”.
Dopo poco, i giudici si
concessero una piccola pausa. Irene si accostò a Marco
assieme a Elio, così che
venne circondato da tutti i giudici.
«Che ti è preso? Stai facendo
un macello» sbraitò lei. «Neanche
l’italiano sai parlare.»
Balbettò per un po’ prima di
riuscire a replicare: «Ci sto provando.»
Elio scosse la testa. «Non ci
sei, ragazzo. Non hai ancora capito come si fa, ti stai comportando
come uno
che è passato di qui per caso.»
«Fai parlare noi, ok?» fece
Michael, pacato. «Tu parli solo per dire di sì o
di no.»
Deglutì e annuì, cercando di
ricacciare indietro le lacrime.
Ci stava provando con tutte
le sue forze, ma evidentemente la televisione, i giudizi, non erano
parte del
suo mondo. La verità era che, musica a parte, era un buono a
nulla. Quello non
era il suo posto, era lampante e, se era lampante, il pubblico
l’avrebbe
boicottato, costasse quel che costasse.
Due concorrenti dopo, Marco
aveva semplicemente confermato ciò che dicevano i suoi tre
colleghi e, pian
piano, il suo stomaco aveva iniziato a gorgogliare come se
là dentro ci fosse
dell’acido corrosivo.
Sul palco si presentò una
brasiliana tutta pepe di nome Amanda che decise di cantare la celebre Valerie. Con la coda
dell’occhio, vide
Irene lanciargli uno sguardo tagliente e glaciale come solo i suoi
occhi
azzurri avrebbero potuto fare. Gli ripeté, quasi con la
forza del pensiero, di
tacere il più possibile. Quando la ragazza finì,
toccò di nuovo a Marco
giudicare per primo.
Respirò e all’improvviso
tossì: non aveva fiato. Si sentì soffocare, ma
doveva parlare e giudicare, di
certo non voleva altre ramanzine da parte degli altri giudici.
«Io penso che tu abbia una
bella voce» sentenziò con voce strozzata,
ansimando leggermente per via della
fame d’aria. «Ma non mi sei rimasta
impressa.»
«Non sono d’accordo» ribatté
la ragazza con aria risoluta. «Non ho una voce comune. La
gente si ferma ad
ascoltarmi.»
Oh, no. Perfino i concorrenti
iniziavano a fargli la predica adesso? Che orrore.
«Sì, hai una bella voce, te
l’ho già detto. Ma se io dovessi adesso pensare a
una tua possibile
collocazione discografica, non saprei proprio che pesci
pigliare.»
«Scusami, ma tu mica sei un
granché come cantante, eh.»
Volò qualche fischio e anche
una risata o due, mentre Marco arrossiva fino alla punta dei capelli.
Cercò di ribattere, ma a
malapena riusciva ad articolare: «Amanda, no.
Cioè, non è questo che, diciamo,
stiamo andando a fare...»
«Scusa, ma non accetto
consigli da uno che non è neanche un vero
cantante.»
Il pubblico si agitò, mentre
Elio prese la parola per dirle che la base di ogni celebrità
era l’educazione.
Marco non stava bene. Cercò
di stare più comodo sulla sedia, ma sentì un
rimestio di budella che lo spinse
ad alzarsi in piedi.
«Marco, che hai?» chiese
Irene.
«Devo solo...»
Fece per allontanarsi, ma non
fece in tempo a parlare che crollò a terra rovinosamente e
riversò sul
pavimento il contenuto del suo stomaco, tra lo sdegno e il disgusto di
tutti.
Due calde lacrime corsero giù sulle sue guance, mentre un
inserviente corse con
uno straccio e uno scopettone.
Avrebbe voluto morire per la
vergogna e l’ansia, ma non fece in tempo ad autocommiserarsi
che dovette scappare
urgentemente dietro le quinte, raggiungere il bagno più
vicino e avere un altro
conato di vomito.
Gli era già capitato un paio
di volte: al liceo durante gli esami di stato, a X Factor il giorno
della
finale e in altre occasioni simili. Un eccesso di apprensione lo
portava ad
avere seri problemi di stomaco, ma non pensava di arrivare a quel
punto. Di
solito riusciva a trattenersi, prima di vomitare.
Singhiozzò, mentre le
orecchie gli fischiavano e la gola gli bruciava e poi il riflesso di un
conato
lo fece annaspare, in cerca di fiato.
La porta si spalancò con un
rumore sordo.
«Marco!»
Ricorderai
l'amore
Risorgerai
dal niente, dal niente
Sbuffò,
stremato dagli eventi.
Era la voce di Michael e la porta del bagno era aperta.
Lo
sentì raggiungerlo,
inginocchiarsi alle sue spalle e tenergli la fronte con entrambe le
mani.
«Respira
lentamente» gli
consigliò con gentilezza, cosa che Marco fece.
Rimasero in
silenzio, solo il
suono dello sciacquone li scosse dai loro pensieri. Poi Marco
ricominciò a
singhiozzare.
«Io
mi ammazzo» mormorò, con
voce rotta dal pianto.
«Non
essere ridicolo» ribatté
prontamente, come se desse per scontato che un’idea del
genere non avrebbe mai
sfiorato la mente di Marco.
Camminerai
nella vita
Un'altra
volta deluso
Tirò su col
naso e si
accucciò alla parete, la testa poggiata al muro.
«Non è questo il mio posto.
Non avrei mai dovuto accettare.»
«Non
puoi mollare così, sono
solo le prime ore» cercò di avvicinarsi.
Marco si
ritirò,
schiacciandosi contro la parete. «Non mi toccare!
È tutta colpa tua.»
Non
poté di certo contraddirlo.
Sorpreso, Marco scorse un minuscolo luccichio negli occhi di Michael
che sapeva
di rimpianto.
«Sì,
è mia colpa. Non dovevo
tornare per te. Ti ho fatto il male più che il
bene» ammise.
Si ritrovarono
così, entrambi
invasi da una profonda brama di pianto, ma entrambi frenati da
qualcosa. In fin
dei conti, avrebbero soltanto voluto un abbraccio l’uno
dall’altro. Ma
l’orgoglio di Marco e la colpevolezza di Michael sarebbero
stati un ostacolo
insormontabile.
«Scusa»
disse quest’ultimo.
«Siamo stati troppo duri con te. Noi deviamo aiutarti, non
dire che stai
zitto.»
Scrollò
le spalle. «Fate bene
a dirmelo. Anche quella brasiliana lo sapeva. Faccio schifo
totalmente.»
Una mano di
Michael andò a
posarsi, leggera come una farfalla, su quella di Marco. Seduti a terra
come
adolescenti, mano nella mano, l’uno di fronte
all’altro, custodivano segreti.
«Tu
hai detto tante cose
giuste, soprattutto alla ragazza ora.»
«Dici
davvero?»
Asserì,
convinto come non lo
aveva mai visto. «Ma tu non è finora te stesso.
Dov’è l’uomo che io ho
conosciuto? Dov’è il mio Marco?»
Marco
avvampò e sottrasse la
mano alla sua presa. Non poteva averlo detto davvero. Non era
più suo da tempo.
Il suo Marco era morto in un uggioso giorno di fiele in Irlanda.
Ma non ebbe la
forza di
dirlo.
«Ho
vomitato» rispose invece,
ribadendo l’ovvio in modo privo di senso.
«Vedo»
sorrise amaramente.
«Se tu ora torni là, io giuro che io aiuto.
Così tu non vomiti più, ok?»
«Sì»
scattò, senza pensarci,
sapendo che nonostante i loro trascorsi e la delusione che gli aveva
inflitto,
Michael era l’unico in quel momento in grado di dargli una
mano.
«Tu
parla. Qualunque cosa tu
deve dire, parla. Anche se è sbagliato. Mistakes
are ok.»
Va bene
sbagliare.
Dagli
sbagli che rubavano il fiato alle parole
E
te ne andrai via, via, via
Michael si
alzò in piedi e
gli porse una mano per far sollevare anche Marco, ma ancora non era
pronto ad
accettare un tale contatto. Un abbraccio per quel giorno era
più che
sufficiente. Si rimise in piedi da solo e di quel piccolo gesto Michael
parve
fiero. Gli parve di sentirlo sussurrare qualcosa di simile a
“Piccolo guerriero”,
ma probabilmente era solo frutto della sua immaginazione malata.
Uscì
dalla toilette,
scoprendo che anche Elio e Irene erano corsi a cercarlo. Tutti e
quattro
insieme si rimisero al loro posto, con un educato applauso del pubblico.
«Allora,
Marco, la
concorrente precedente era stata così terribile?»
scherzò Elio, riferendosi al
fatto che prima aveva vomitato.
Marco
respirò. Essere se
stesso, parlare, il Marco che Michael aveva conosciuto. Poteva farcela.
«No,
è stata la colazione»
sorrise, impacciato. «Birra e parmigiana di
melanzane.»
Qualcuno rise,
al ché Michael
replicò: «Noi deviamo seriamente parlare di tua
dieta.»
«Mi
sa che dovevo evitare la
birra » finse di ammettere.
Risero quasi
tutti, dopo
quell’uscita. Forse le cose sarebbero andate meglio.
Sulla
casa il futuro che
assaporerai con un po' di sale mentre alla tv
Passa un’altra notizia degli
sbagli del mondo
Subito dopo
l’interruzione
forzata, fu la volta di un trio di ragazze che si facevano chiamare le
Pop
Coture. Cantarono una versione a cappella di Lollipop
delle Chordettes e lo fecero molto bene: le loro voci si
armonizzavano alla perfezione, eppure tutte e tre avevano
caratteristiche peculiari
e assolutamente originali. La giuria ne fu conquistata.
Il primo giudizio sarebbe
spettato a Irene, ma questa si volse verso Marco e sorrise in un modo
che non
gli piacque.
«Voglio che cominci tu»
proclamò come fosse uno dei Dieci Comandamenti.
«Negli ultimi dieci minuti non
ho avuto abbastanza “ehm” e
“cioè” e voglio farne scorta.»
Meschina ma salace.
Come un incantesimo o una
preghiera, egli continuò a ripetere quasi ossessivamente il
mantra di Michael.
Se stesso, parlare, il suo Marco.
No,
non era di Michael. Non gli era mai realmente appartenuto.
«Allora» espirò, già a corto
di fiato. «Non mi è piaciuta la scelta
scontata.»
Il pubblicò iniziò già a
fischiare, ma cercò di continuare nonostante tutto:
«La capisco perché, essendo
le prime audizioni, avete fatto, diciamo, quella che avete ritenuto la
vostra
esibizione più sicura, cioè, siete andate sul
sicuro.»
Guardò Michael e poté
proseguire soltanto quando ricevette un suo cenno d’assenso.
«Ma, visto e
considerato quanto siete state brave e speciali, ve la perdono.
Perché una girl
band con i contro coglioni come voi non la vedo dai tempi delle
Destiny’s
Child.»
Lì ricevette un applauso con
qualche urlo, che lo fece ridacchiare di imbarazzo. Poi fu la volta di
Elio
che, forse pentito anche lui per lo scoppio di prima, lo
elogiò per la sua
analisi “tanto precisa quanto colorita” e, strano
ma vero, tutti gli diedero
ragione.
E, per le ore che restarono,
filò quasi tutto liscio.
Certo, ogni tanto continuava
a incepparsi a causa dell’imbarazzo, a volte si sentiva
rifilare un insulto più
o meno velato da parte di Irene, ma finalmente comprese
cos’era il meccanismo
televisivo o, almeno, iniziò a farsi un’idea: non
si trattava di fingere, ma di
portare le proprie caratteristiche all’estremo. Se eri un
po’ imbranato come
Marco, dovevi apparire come un idiota totale; se eri ironico e mordace
come
Irene, ti trasformavi in una stronza completa, e così via.
Zoppicando e
arrancando, arrivò fino a tarda sera stanco ma soddisfatto.
Era finita. Almeno
per quel giorno, poi l’indomani sarebbe ricominciata la
tortura.
Corsero dietro le quinte e
Marco si catapultò letteralmente nella sua limousine, in cui
doveva entrare
assieme a Irene.
Ma qualcosa doveva essere
andato storto, perché al suo posto entrò Michael
e si mise accanto a lui. Gli
riservò un applauso e una vera e propria standing ovation in
miniatura. Marco
poté dirsi quasi felice.
Che
come te anche lui ci spera
Come
te anche lui rimane ferito
«Tu sei
stato fenomenale»
rise, scandendo ogni sillaba. «Completamente
fantastico.»
Anche Marco fu
costretto a
ridere, per la situazione paradossale. «Grazie.»
Michael si
voltò. «Grazie a
te.»
Non
c'è più tempo per
Non
c'è più tempo per riflettere
«E di cosa?
Aver vomitato
tutto il palazzetto e aver mostrato al mondo l’interno delle
mie viscere?»
«Perché
tu sei stato
solamente e completamente te dopo» sorrise un sacco, uno di
quei sorrisi che
strappano l’anima e gonfiano il cuore. «Questo
è il regalo il più bello che tu
poteva fare a tutti i tuoi fan e a noi.»
«A
voi? Non so perché ma credo
che Irene non l’abbia gradito quanto te.»
Il suo volto
divenne serio.
«Io ho gradito tantissimo.»
Ricorderai
l'amore
Risorgerai
dal niente, dal niente
Fece per avvicinarsi, ma di nuovo
Marco
si allontanò da lui, quasi come spaventato.
«No,
per favore» lo implorò.
Non aggiunse
né lasciò
intendere altro. Michael fece per ribattere o andare avanti nonostante
le
proteste, ma poi si ritrasse e guardò per tutto il tragitto
fuori dal
finestrino. Aleggiava un’aria pesante all’interno
dell’abitacolo, ma nessuno
dei due si decise a fare il primo passo finché non furono
giunti a casa di
Marco.
«Aspetta.»
Camminerai
nella vita, un'altra
volta delusa
Dagli
sbagli che rubavano il fiato alle parole
Marco si voltò proprio
mentre
stava per uscire dall’auto. «Michael?»
«Tu mi tratti male.»
Si morse le labbra e annuì
piano. «Vorrei non farlo. Ma non posso cambiare, questo
è il mio carattere.»
«Almeno non scappare» si
lamentò, con una punta di disperazione nella voce.
Non scappare. Gli ricordò
all’improvviso quando, in Irlanda, gli aveva urlato quel
falso Don’t leave me.
Ecco che la rabbia
riprese a divampare di nuovo. Si risedette e lo affrontò,
viso a viso.
E
te ne andrai via, via, via
«Potrei
chiederti anch’io di
fare qualcosa per me» fece, in modo volutamente allusivo.
«No,
please, non dirlo.»
«Allora
tu non chiedermi di
non scappare da te» alzò la voce.
Scosse la
testa. «Non posso.
Io sono ferito quando tu ti fai lontano da me. Non farlo.»
«Chi
ti credi di essere per
dirmi cosa devo o non devo fare? Ormai non stiamo più
insieme. Non sono più il
giocattolo che puoi usare quando il tuo fidanzato ha altro da fare.
Vedi, è
questo che proprio non puoi sopportare, che io non ti abbia implorato
di
scegliere me quando mi hai detto di voi.»
«Io
penso che tu avevi ormai
deciso di perdonarmi per quello» sussurrò,
attonito.
Quando
un giorno
guarderai
le tue ferite capirai
Gli venne di nuovo da
piangere, così come tornò ad avere un
più che vago sentore di nausea, ma
scacciò entrambe le sensazioni per lasciarsi possedere da
una furia cieca.
«Posso
parlarti e fingere di
essere il tuo amichetto davanti alle telecamere. Ma io non ti
perdonerò mai.
Mai, mi hai capito?»
Fu allora che
Michael lasciò
andare le sue difese. Lo guardò con gli occhi pieni di
lacrime, lacrime false,
sperò Marco. Ma quando gli parlò,
sentì che lo stava facendo con il cuore in
mano.
Che
non è stato un errore
fidarti
di chi ti teneva per mano
E
capirai che qualcosa è cambiato
«Non posso
cambiare cose. Ma
io ho bisogno di non perderti, Marco. Tu sei la persona troppo preziosa
per
me.»
Per un attimo,
le sue parole
parvero toccarlo. Un angolino remoto del suo cuore ebbe uno spasmo
verso il
viso contrito di Michael e arrivò quasi a perdonarlo
lì, su due piedi,
maledicendo quella stessa lingua che pochi secondi prima aveva
affermato il
contrario.
Non
darai più colpe al mondo
E
ridarai un senso nuovo al tuo volto
Ma poi
rinsavì.
Non ci sarebbe
mai più
cascato. Aveva potuto essere il suo amante, un tempo, ma era diventato
una
persona migliore da allora e non avrebbe mai più fatto quel
genere di sbagli.
Tim lo amava davvero, e non meritava di essere ingannato
così.
«Vallo
a dire al tuo
fidanzato» e fece nuovamente per uscire.
Ricorderai
l’amore
Risorgerai
dal niente, dal niente
«No, Marco,
ti prego» gli
afferrò il polso. «Non andare.»
«Lasciami!
O giuro che ti
tiro uno schiaffo e non sto scherzando.»
Camminerai
nella vita un'altra
volta deluso
Dagli
sbagli che rubavano il fiato alle parole
«Non
scappare stavolta» lo
pregò con voce lamentosa. «Non andare via da
me.»
Marco perse
completamente le
staffe. Si avvicinò e gli urlò praticamente in
faccia.
«E
allora tu lascialo per me!»
E
te ne andrai via.
La
soffitta dell’autrice:
Salve a tutti! Ebbene
sì, non
sono ancora morta per i feels che mi danno questi due. Prima di tutto,
ringrazio la mia tenera dolce beta, comeunangeloallinferno94. Poi vi
annuncio
che il “mistero” che avvolge la separazione e la
storia di Marco e Mika verrà
svelato nel prossimo capitolo. Chiedo scusa se il capitolo corrente
può essere risultato un poì noioso, ma era un
passaggio necessario per arrivare a quello successivo.
Un bacio :*
|
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Capitolo 4 *** Sarò qui ***
Le cose che
non ho
Le
cose che non ho sono come te
Ti
somigliano un po’, sono
bellissime
L’aria
attorno a loro si
bloccò per un attimo.
Non
un respiro, né un battito
di ciglia o un sussulto del cuore si frappose tra loro e il silenzio
che si era
venuto a creare nell’abitacolo, il quale venne rotto soltanto
dopo da un lieve
sussurro di Michael.
«Marco»
lo chiamò.
Egli
si riscosse, pentendosi
all’istante di ciò che aveva detto.
«Devo andare ora.»
«No,
please, aspetta!»
Provò
ad andargli dietro, ma
Marco gli sbatté la portiera dell’auto
praticamente in faccia e scappò dentro
casa, finché non sentì chiaramente, e con suo
sommo sollievo, la sgommata
dell’automobile che sfrecciava nella notte. Poi si concedette
un pianto.
Gli
aveva davvero chiesto di
lasciare Tim, l’amore della sua vita, solo per lui? Ma cosa
gli era preso?
Aveva giurato a se stesso di essere una persona diversa: non voleva
più essere
quel tipo di uomo, quello che fa del male a un altro solo per
prendergli ciò
che è suo. Lui era, e sarebbe stato, una persona migliore.
E
poi, Marco non lo amava
più.
Allora
come gli era venuto in
mente di dire quella cosa?
Mentre
guido piano verso casa in compagnia di una radio accesa
C’è
una canzone che riempie
l’aria della sera
Corse
nella sua camera e si
gettò sul letto, ancora vestito, ancora in lacrime, e
così si addormentò.
Smettere di pensare fu così confortante, per quel giorno.
Le
settimane che seguirono
furono strane e cupe, per Marco.
Ricevette
almeno ogni giorno
una tale quantità di e-mail, tutte da parte di fastidiosi
produttori, che gli
criticavano il suo modo di vestire e di parlare: non era abbastanza
giovane,
trendy, moderno. Perlomeno, con le e-mail poteva fare ciò
che ne avrebbe fatto
delle loro opinioni: cestinarle e non badarci neppure per un istante.
Ciò
che lo sconvolse
realmente fu il comportamento di Michael dopo quel breve alterco avuto
nella
limousine.
Aveva
preparato discorsi su
discorsi nella sua mente per quando l’avrebbe rivisto, tante
frasi a effetto,
tutte con il medesimo contenuto: tu ormai hai scelto lui e questa cosa
deve
restare tale senza eccezione alcuna. Ma nessuna parola fu necessaria,
poiché
Michael non lo degnò neppure di uno sguardo per i giorni
avvenire.
Sì
che, a telecamere accese,
sembravano grandi amiconi e questo poteva anche ingannare il pubblico
pagante
e, con sua grande sorpresa, aiutare Marco a concentrarsi sul suo
lavoro,
cosicché pian piano imparò sul campo il mestiere
di giudice. Ma durante le
pause, o quando le registrazioni finivano, Michael fingeva che Marco
neppure
esistesse e, scontato dirlo, il sentimento era perfettamente reciproco.
Era
assurdo, pensava Marco,
che lui si prendesse il lusso di ignorarlo dopo tutto quello che gli
aveva
fatto patire. Non che rimpiangesse di essere continuamente tormentato
da lui
ma, per qualche ragione, non gli sembrava giusto. Dov’era
finita tutta quella
smania di farsi perdonare? Era tutta una finta, forse?
Probabilmente
non lo avrebbe
mai scoperto.
Le
cose che non ho, radici e nuvole
e
lì in mezzo ci sei tu da
qualche parte
Questo
stava pensando, quando
uno stagista di X Factor lo chiamò, un giorno, per
annunciare che una celebre
radio con sede a Milano avrebbe intervistato i giudici non appena
fossero
tornati da Torino, la loro terza tappa per i casting del programma dopo
Roma e
Milano. Marco accettò senza indugi, poiché le
radio erano sue grandi amiche.
Ma
non impazziva all’idea di
stare, per l’ennesima volta, in compagnia di un Michael che
faceva l’amico con
tutti e poi fingeva che Marco fosse invisibile. Pensò che,
se le cose fossero
davvero andate così, non avrebbe avuto alcun indugio nel
fare altrettanto.
D’altronde, l’importante era riuscire a fingere
davanti al pubblico una solida
e spassosa amicizia, il resto contava poco: il fulcro del programma di
certo
non erano i giudici, bensì i ragazzi.
I
casting erano andati alla
grande e quanto parevano affiatati i quattro giudici assieme. La
personalità di
Marco, per quanto potesse non piacere alle alte sfere, andava
delineandosi nel
corso delle puntate ancora in fase di registrazione: sembrava uno di
quei
classici professori intelligenti ma imbranati, timidi e inconsapevoli
del
proprio fascino, che avevano appena iniziato a insegnare. Al pubblico
piaceva
tanto, quindi Marco pensò che non ci fosse motivo di
cambiare stile o comportamento
per qualcuno. Infatti, Marco Mengoni non sarebbe cambiato per nessuno.
Né per
un qualsiasi stagista né per una sua vecchia fiamma.
Oh,
Michael.
A
volte un nome sulle labbra appese
Anche
se più leggero di una piuma
Anche
se Michael aveva ricevuto
una sua indecente e folle proposta solo qualche settimana prima, Marco
non
avrebbe modificato nulla di se stesso per lui. Che rimanesse pure nei
suoi
silenzi, lui ne aveva di propri.
Tornato
a Milano dopo la
tappa torinese dei casting, cercò di prepararsi al meglio
per l’intervista
radiofonica dell’indomani. Niente esitazioni, tutti quei
“boh” e “diciamo”
sarebbero dovuti sparire dalla faccia della terra. Carino e spigliato,
quello
sarebbe stato il suo motto. Scherzare con Elio, prendere in giro Irene,
stare
gomito a gomito con Michael. Un bel respiro e tutto sarebbe andato a
gonfie
vele.
Altri
pensieri, però, lo
distraevano.
Quando
il suono di una felicità
che si consuma
«E
allora tu lascialo per
me!»
Come
gli era venuto in mente di dire un’idiozia simile?
L’impatto
che quelle parole ebbero sulla sua vita lo investì
nuovamente e senza
preavviso, facendolo ripiombare in quello strano torpore in cui solo un
amore
finito poteva gettarti. Le cicatrici erano dure a rimarginarsi,
soprattutto se
continuamente toccate e stuzzicate. Marco sapeva di dover dimenticare
di quel
ridicolo incidente di percorso, ma quello stesso, ridicolo incidente
aveva reso
le cose talmente diverse, a tratti insopportabili, che Marco si sentiva
soffocare. Perché Michael doveva fargli questo? Prima
riempirlo di attenzioni e
poi, da un giorno all’altro, abbandonarlo a se stesso,
proprio adesso che
finalmente gli era sembrato che potessero tornare a essere amici?
Amici,
lui e Michael. No, non sarebbe mai accaduto. L’Irlanda si
sarebbe sempre
frapposta fra loro due. E, forse, era meglio ignorarsi che ferirsi
ancora.
La
mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
Appena
sotto la superficie c’è
tutto quello che ho di te
«Buongiorno
a tutti i nostri ascoltatori!»
Lo
speaker possedeva un entusiasmo spaventoso in quell’uggioso
mattino milanese.
Elio aveva due occhiaie che quasi cadevano a terra, i capelli di Irene
sembravano un gran cespuglio castano e Marco era intontito per non
essere
riuscito a prendere neppure un caffè prima di andare in
radio. Quell’ospitata
avrebbe dovuto lanciare finalmente la giuria nell’Olimpo
delle personalità
italiane di spicco, essendo una delle più variegate degli
ultimi anni. Eppure ciascuno
sembrava aver avuto una pessima nottata e soltanto Michael aveva
mantenuto un
suo contegno, anche se un morso di zanzara sopra l’occhio
rischiava di farlo
somigliare pericolosamente a una versione più alta e
affascinante di Quasimodo,
il campanaro di Notre-Dame.
Lo
speaker continuò con zelo: «Quest’oggi
abbiamo con noi degli ospiti
d’eccezione, anzi, degli ospiti eccezionali. Non vedevo una
tale quantità di
star tutte nello stesso luogo da quando sono stato a
Woodstock.»
Lì
scappò una risatina generale.
«Ecco
a voi Mika, Elio, Irene Fornaciari e Marco Mengoni, la giuria della
decima
edizione di X Factor» annunciò, premendo sulla sua
mastodontica console un
tasto che facesse partire dei finti applausi in radio.
Tutti
e quattro salutarono cordialmente, poi lo speaker chiese a Irene e
Marco cosa
li avesse spinti ad accettare quel ruolo così impegnativo di
talent scout,
giudici e mentori di nuovi e giovani talenti. Irene sostenne
l’importanza di
forgiare dei musicisti, cantanti e interpreti a tutto tondo e aggiunse
che
l’idea di poter contribuire a farlo la elettrizzava parecchio.
Poi
toccò a Marco rispondere: «Allora,
cioè, io sono stato al posto di tutti quei,
diciamo, concorrenti che adesso stiamo giudicando. Posso dire che
è importante
che uno che, ecco, vuole fare poi nella sua vita il cantante...
sì, insomma,
quando sei a X Factor è come una palestra, impari il
mestiere proprio dalle
fondamenta. È una cosa importante che io voglio fare per i
giovani che
intendono, come dire, “servire” la Madama
Musica.»
Irene
lo guardò con un sorriso beffardo, a metà tra la
cheerleader perfida e la
mammina orgogliosa del proprio figlio: era evidente che non poteva
uscire dal
suo personaggio così facilmente, ma a Marco quello
sembrò un gesto
incoraggiante e le fu grato.
Poi
venne chiesto ai due giudici veterani, ossia Elio e Michael, come fosse
lavorare con i due novellini. Elio scherzò definendo Irene
una donna
“deliziosamente spregiudicata” e Marco un
“ gran fruitore di intercalare”, con
tutti i suoi “cioè” ed
“ecco”. Tutti risero e Michael si unì al
coro di Elio,
definendo entrambi molto capaci, competenti e forti nel loro mestiere.
Non
parlò di nessuno di loro singolarmente poiché, se
avesse parlato del talento di
Irene, avrebbe dovuto poi soffermarsi anche su quello di Marco ed era
più che
evidente che stesse evitando di tesserne le lodi. Marco ne fu talmente
innervosito che si perse nei suoi pensieri e, per le successive tre
domande, la
sua risposta venne taciuta.
«Marco»
lo richiamò lo speaker, «sei tra le
nuvole?»
Marco
rinsavì e cercò di ridere per sciogliere la
tensione. «M’ero distratto un
po’.»
«Pene
d’amore per il nostro Mengoni?»
«No»
risposte prontamente, così veloce da impedire a chiunque di
poter ridere di
quella che era stata semplicemente un’infelice battuta.
Ma,
nel vederlo così sull’attenti, lo speaker colse la
palla al balzo per cercare
di mettere un po’ di pepe in quella giuria apparentemente
perfetta. «Beh, il
gossip su questa giuria ha di che sbizzarrirsi. Gira già
voce che tu abbia
avuto una storiella con uno dei tre giudici qualche tempo fa.»
Michael
e Marco neppure si guardarono, eppure si irrigidirono nel medesimo
istante.
E
so che non si torna indietro mai
Lo
so io, lo sai tu
Qualche
anno fa, la relazione tra Michael e Marco era stata quasi scoperta:
qualche
articolo in rete e tanto gossip, allora l’avevano proprio
scampata bella. Così
Marco eluse la domanda con un gesto della mano per poi dire
semplicemente: «Le
uniche voci a cui voglio prestare attenzione sono quelle dei talenti
che sceglieremo
per la gara.»
Partì
un piccolo applauso da parte dei suoi colleghi, interrotto da un
insistente:
«Sì, ma è vero dunque? Tu e Mika avete
veramente avuto una storiella?»
L’occhiata
tagliente di Marco non fece che insospettire ancora di più
lo speaker, che
proseguì senza vergogna: «Avete collaborato prima
d’ora, agli Home Visit di X
Factor in Irlanda. Magari lì è scattata la
passione.»
Mika
e Irlanda, due parole che nella mente di Marco funsero da acido
corrosivo. «Io
e Mika non abbiamo né abbiamo mai avuto nessuna
“storiella”» mentì.
Quello
alzò le spalle. «Chiedevo soltanto. Vi vedo
così affiatati...»
«Essere
affiatati e stare insieme non sono la stessa cosa, no?»
iniziò ad alterarsi,
soprattutto perché vide che Michael non interveniva. Restava
lì a fissare
entrambi come un povero ebete.
«Ma
è anche vero che su di voi sono circolate voci per parecchi
anni. L’albero
senza vento non si muove, così si dice» lo
rimbeccò.
«Appunto,
sono solo voci. I gossip ne hanno dette di cotte e di crude: a sentire
loro, in
questi anni Mika è stato con almeno sette persone
diverse.»
«E
una di queste persone sei tu? Se non ora, magari potrebbe nascere
qualcosa in
futuro. Mi sembrate parecchio in sintonia.»
«No,
mai e poi mai.»
Ma
se dovessi cambiare idea, io sarò qui
«Come
sei categorico.»
«È
ovvio che lo sono!»
«Ho
toccato un tasto dolente?»
«La
smetta.»
«Ma
perché?»
«Perché
Mika si sposerà!»
Un
ombrello, due
innamorati, mille gocce di pioggia. Mi pare quasi un sogno divenuto
realtà. I
verdi prati d’Irlanda invitano gli amanti a passeggiarvi,
silenziosi testimoni
dell’amore vero.
Poggiato
il capo sulla
spalla del mio amore segreto, camminiamo insieme coperti da un medesimo
ombrello che entrambi protegge, l’un l’altro a
braccetto. Quanta poesia in
pochi, semplici gesti.
«Sei
stato molto dolce» parlo
piano, per non interrompere l’incanto. «Siamo qui,
nel luogo dove ci siamo
innamorati, tre anni dopo. Sei fantastico.»
Michael
sospira, come se
quel complimento possa stargli stretto. Si comporta in modo
così strano da un
po’ di giorni. Cosa turba il cuore del mio povero amore?
Qualunque affanno, lo strapperò
a mani nude dalla sua mente.
«Marco,
io ti ho portato
qui perché c’è uno motivo»
dice, con il suo adorabile italiano stentato. Mi metto
di fronte a lui e sto ad ascoltare il dolce suono della sua voce.
«Dimmi
pure, Mich.»
«Tu
sai che io e Tim
siamo insieme, lui è il mio compagnere
e ci conosciamo da prima che io era famoso.»
Un
pensiero fugace mi attraversa
la mente così vivace e repentino che non riesco fare a meno
di esprimerlo ad
alta voce. «Lo stai lasciando per me?» gli chiedo,
portandomi le mani al cuore.
Ma
così non è e lo capisco
dal modo in cui mi guarda. Colpevole, disperato, rassegnato. Una mia
tenue e
segreta speranza è stata appena distrutta e il seme del
sospetto inizia a
germogliare dentro di me, stringendomi lo stomaco in una morsa crudele.
Lo
guardo, rabbrividendo piano.
«Qualunque cosa tu debba dire, ti prego, dilla e basta. Odio
i preamboli.»
Questo
dico, e finisco
appena di pronunciare le ultime parole che lui dalla tasca tira fuori
un
meraviglioso gioiello splendente, oro puro in cui infila il suo dito ed
esso
calza a pennello in quel piccolo cerchio dorato con incastonati dei
diamanti. Me
lo mostra, come se potessi non averlo visto bene, da dove sono.
Con
la sua bocca tumida e
tremante, i suoi occhi ludici e colpevoli, il suo cuore bugiardo, lo
dice. Ciò
che deve dire, lui lo dice.
«Tim
mi ha chiesto di
sposarlo» confessa. «E io ho detto
sì.»
Marco
avvertì gli sguardi sorpresi di tutti quanti, eccetto quello
di Michael. Il suo
era a dir poco furibondo.
Lo
speaker batté le mani. «Congratulazioni Mika! Che
notizia. Chi è il fortunato,
promesso sposo? Forse è il tuo cameraman, Andy? Oppure
è Morgan, come
sostengono in molti?»
La
capacità di ripresa di Michael sorprese tutti,
poiché la rabbia scomparve in un
attimo dal suo volto, che ritornò raggiante e luminoso
più che mai. «No, non è
nessuno di loro. Lui è mio chitarrista, Tim Van Der
Kuil.»
Tutti
i giudici lo attorniarono per fargli le loro congratulazioni
più sincere, alle
quali Michael rispose spargendo grandi baci e dolci sorrisi che
spezzarono
ancor più il cuore frantumato di Marco.
«Sì,
lui qualche mese fa mi ha chiesto di sposarci»
spiegò ulteriormente, «dopo
dieci anni di fidanzati. Come potevo dire no?»
Come
poteva dire di no?
«Che
meraviglia, Mika. Immagino la felicità della tua famiglia.
Puoi dirci di più
oppure preferisci la discretezza?»
Michael
rise: «Visto che Marco ha detto tutto, discretezza adesso
è fuori moda. La mia
mamma è la donna la più felice del
mondo.»
Se
avesse potuto essere inghiottito dal pavimento, Marco
l’avrebbe fatto. Non
avrebbe mai voluto confessare a tutto il mondo che Michael si sposava,
gli era
scappato perché quel deejay odioso non la finiva di fargli
domande e di
provocarlo ed era letteralmente sbottato.
Le
cose che non ho, ragioni e regole
E
anche il cuore adesso sa che
cosa fare
Ma
non l’aveva certo fatto di proposito: l’ultima cosa
che voleva era sentire
Michael blaterare di quanto convolare a nozze lo rendesse felice.
Poi,
all’improvviso, quest’ultimo strinse Elio con un
braccio e Marco con l’altro.
«E loro due, questi due uomini accanto a me, io voglio loro
per miei testimoni
di nozze.»
Elio
esultò e subito disse: «Accetto! Accetto, accetto,
accetto, indietro non si
torna.»
Marco,
invece, restò immobile.
Non
poteva averlo fatto sul serio. Stava scherzando, doveva essere
così.
Lo
guardò negli occhi.
Michael
lo aveva fatto di proposito. Probabilmente pensava che la confessione
di Marco
fosse stato un deliberato atto di vendetta nei suoi confronti ed era
palese che
quella proposta era stata formulata appositamente per fargliela pagare.
Sarebbe
stato meno doloroso ricevere una pugnalata in pieno petto.
«Io»
iniziò incerto, «non potrei mai rubare il posto a
uno dei tuoi fratelli.»
«Oh,
guarda che dice di no io mi offeso!» gli fece scherzoso, con
una punta di
sadismo.
Marco
serrò gli occhi. Gli veniva da piangere, ma di certo non
poteva dargliela
vinta, né peggiorare la situazione parlando del suo amore
per lui.
Quindi,
con la voce strozzata e la morte nel cuore, emise un flebile:
«Sì.»
Il
resto della trasmissione fu intervallato da canzoni e futili domande
sul
matrimonio del celebre Mika, tali da far venire a Marco la nausea.
Nel
momento in cui la puntata fu terminata, e speaker e giudici si misero
amabilmente a discutere, Marco scappò.
Avrei
voluto regalarti i miei sogni
E
farti ridere fino a stancarti
Non
gli importava di essere lo scappatore.
Non
gli importava ciò che Michael avrebbe pensato di lui.
Gli
importava soltanto del fatto che sentiva il cuore spaccarsi in due e,
se fosse
stato possibile morire di dolore, si sarebbe gettato ai piedi di una
croce per
morirvi accanto.
Invece
si affidò alla sola forza delle sue gambe per fuggire fino a
casa sua. Arrivato,
aprì la porta e la richiuse con una tale violenza da far
cadere il soprammobile
sul tavolino dell’ingresso. Si lasciò scivolare
lungo la parete e,
nell’incontrare con le gambe il pavimento freddo, vi si
accasciò, lasciandosi
andare a un pianto liberatorio.
Michael,
il suo Michael, avrebbe sposato un altro uomo.
Si
era sentito tradito da quella promessa fatta alle sue spalle.
Ti
avrei difeso dai dispiaceri con le mie mani
Si
strinse tra le sue proprie braccia. Michael aveva sempre detto di non
essere
tipo da matrimonio, anzi, che non si sarebbe mai e poi mai sposato e
Marco
aveva riposto tutta la sua fiducia in quella piccola, semplice
dichiarazione.
Quando
gli aveva rivelato quell’amara verità, Michael
aveva dato la colpa a chiunque.
Sua madre per averlo spinto ad accettare, Tim per aver insistito, anche
allo
stesso Marco per non essersi accorto che qualcosa non andava. Ma, fino
al suo
arrivo in Italia, non gli era mai neppure passato per la testa che la
colpa
potesse essere tutta sua.
C’era
qualcosa di profondamente sbagliato, secondo Marco, nello sposare
l’uomo che
aveva tradito. Non con qualche fugace sveltina da ubriaco al ritorno da
un
locale, no. Ma con costanza e sistematicità, con lo stesso
uomo, per più di tre
anni. Non era più semplicemente una questione di sesso,
quella era una
relazione vera e propria. O, almeno, così la pensava Marco.
Probabilmente per
Michael non era stato così, forse lui cercava soltanto un
po’ di sano sfogo
fisico. Ma allora perché portarlo in Irlanda per lasciarlo,
invece di mollarlo
con un messaggio come facevano tutti? Una parte di lui, quella
masochista e
utopica, voleva fingere che Michael lo avesse amato con la stessa folle
intensità con cui lo amava anche lui. Ma allora
perché si stavano comportando
in quel modo? Si danneggiavano, si facevano del male l’un
l’altro cercando
invano di risanare vecchie ferite. Non era giusto e così non
andava bene.
«Marco!»
Sentì
dei pugni sbattere violentemente contro la porta e la voce di Michael,
quasi
urlata, giungergli attutita alle orecchie.
«Marco,
aprimi!»
La
mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
appena
sotto la superficie c’è
tutto quello che ho di te
Qualcosa
in quella voce lo spinse ad alzarsi da terra, asciugare le lacrime
sulle sue
guance e prepararsi a combattere.
Aprì.
«Come
hai potuto dire che io sposo, prima, in radio?»
entrò nel suo appartamento a
passo di marcia, furioso come non l’aveva mai visto.
Scosse
la testa richiudendo la porta, senza guardarlo. «Perdonami,
non l’ho fatto
apposta, è solo che quello lì continuava a fare
domande e mi ha fatto
confondere.»
Gli
rivolse una risata di scherno che ben poco gli piacque. «Yes, of course. Tu ha detto per sbaglio
che io e Tim sposiamo, no?»
«Pensi
che lo abbia fatto di proposito? Mi conosci, non oserei mai.»
Michael
si mise a camminare avanti e indietro, ogni tanto guardandolo, ogni
tanto
portandosi le mani ai capelli. «Tu sai cosa? Io sono stanco.
Tu mi tratti
sempre male anche se io con te sono gentile e buono, vorrei che noi
siamo amici
e tu continui a blame me per quello
che io ti ho fatto e poi dici a tutti che io sposo anche se io non
voglio che
persone lo sanno. Stop, Marco! Questo è troppo!»
Si
sentì oltraggiato da quelle parole. «Non
l’ho fatto di proposito» ripeté,
scandendo ogni parola con precisione. «E poi, senti chi
parla! Proprio tu che
mi hai ingannato e poi sei tornato qui solo per darmi il
tormento.»
«Non
voglio dare il tormento!» lo urlò, disperato.
«Se
tu non credi a me, io non credo a te» rispose, dispettoso
come un bambino.
Michael
si avvicinò lo affrontò con durezza, viso a viso,
entrambi rossi d’ira. «Tu mi
odi e stai lontano da me, ma quando ha bisogno di aiuto mi vuoi, poi
dici che
ancora mi ami, poi te ne vai...»
«Quando
avrei detto esattamente che ti amo ancora, scusa?»
«Quella
volta nella limousine.»
E
so che non si torna indietro mai
Lo
so io, lo sai tu
Finse
di sorridere. «Ti stavo solo provocando, non
l’avevi capito? Non volevo mica
che tu lasciassi Tim per me. Che testimone di nozze sarei
altrimenti?.»
«Bene!»
sbottò. «Io sono tanto felice per te.»
«Bene»
lo canzonò. «Solo una cosa: sposare un uomo a cui
hai nascosto tre anni di
relazione fa di te una pessima persona.»
«Avere
una relazione con uomo che non è tuo rende anche te una
pessima persona.»
«Credi
che io non lo sappia?»
«Bene,
allora noi è d’accordo.»
«Bene!»
«Bene!»
Ma
se dovessi cambiare idea, io
E
se dovessi cercarmi ancora, io
E,
con un’azione congiunta, l’uno andando verso
l’altro ed entrambi trovandosi a
metà strada, si scambiarono un urgente ed energico bacio
d’amore.
Come
accadde, nessuno dei due se lo spiegò.
A
Michael improvvisamente importò più delle labbra
di Marco sulle sue che del suo
futuro marito che lo attendeva a casa e Marco, oh, Marco
riversò tutte quelle
settimane di sentimenti a stento trattenuti per restituirli con caldi e
vigorosi movimenti delle sue labbra su quelle del suo unico amore.
Una
mano di Michael andò a posarsi sulla nuca di Marco per
stringerlo di più a sé
mentre le mani di quest’ultimo si arpionarono alle lisce e
dolci guance del suo
vecchio amante, così che fossero talmente stretti da
fondersi e non doversi mai
più separare e quelle emozioni a lungo tenute dentro al
cuore potessero
fuoriuscire finalmente, prorompenti e dolci come cascate di miele.
Sarò
qui perché di te non c’è niente che non
so
E
non avrò paura di un addio
sincero
Ma
Marco all’improvviso lo respinse, boccheggiando al momento in
cui le loro
bocche si separarono.
«No»
disse, balbettando leggermente. «Noi non dobbiamo. Non
possiamo.»
Michael
annuì. «Sì, è vero, non
possiamo.»
Ma
devi crederci davvero
Lo
baciò di nuovo, come a non averne mai abbastanza. Marco, a
metà tra il cedere e
il resistere, parlò in quel bacio stentato.
«Tu
devi sposarti e io devo lasciarti vivere la tua vita»
sospirò.
A
quella frase, Michael levò il capo e lo guardò
con un tenue sorriso che gli
scaldò lo stomaco, recidendo quel germoglio di dolore che
per tanto tempo lo
aveva tenuto prigioniero.
«Io
dirò a Tim di noi, presto» promise.
Nonostante
ciò che si erano detti pocanzi, Marco scosse la testa.
«Non ne vale la pena.»
«Sì
invece» lo prese per le spalle. «Giovedì
in Londra c’è una festa di
fidanzazione per noi due. Io glielo dico quel giorno.»
«A
che scopo? Noi due non siamo più una coppia e se glielo dici
ora, tutto quello
che avete costruito insieme potrebbe crollare.»
Il
folle luccichio degli occhi di Michael gli fece comprendere che,
sì, le sue
intenzioni erano proprio quelle. Avido ed egoista più che
mai, il cuore di Marco
esultò al pensiero di poter avere quell’uomo, il
suo uomo, tutto per sé. Ma la
parte razionale lo costrinse a ragionare: quelle erano parole dettate
dalla
foga del momento, da quel bacio così intenso che si erano
scambiati.
L’eccitazione si sarebbe stemperata alla luce del mattino
seguente e Marco lo
sapeva. Perché illudersi di nuovo per qualcosa che non era
destinato a essere?
La
mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
Appena
sotto la superficie c’è
tutto quello che ho di te
Gli
prese il viso tra le mani. «Non è quello che vuoi
realmente. Tu credi di
volerlo, ma presto cambierai idea, fidati.»
Per
tutta risposta, Michael gli diede un altro bacio, così
forte, così inebriante
che quando si staccò dalle sue labbra, Marco le
lasciò per qualche secondo
dischiuse.
«Michael...»
«No»
gli puntò il dito contro. «Non è ancora
finita e io posso dimostrartelo.»
Così
dicendo, uscì dalla porta del suo appartamento.
E
so che non si torna indietro mai, lo so io, lo sai tu
Ma
se dovessi cambiare idea, io
Marco
era molte cose in quel momento. Confuso nella testa, caldo sulle
labbra,
emozionato nello stomaco, amato nel cuore. Ogni parte di lui provava
una
differente emozione, ma di tutto ciò che Marco era in quel
momento, sicuramente
non era lucido. Avrebbe volentieri dormito per
placare quell’ondata di sensazioni che lo aveva colto
impreparato,
ma non era che mezzogiorno e aveva
stranamente appetito, cosa che da un po’ di tempo a questa
parte pareva aver
perso.
E
se dovessi cercarmi ancora, io
Lo
avrebbe negato al mondo intero se necessario, ma un piccolo sorriso gli
era
appena sfuggito da quelle labbra che avevano appena ritrovato sapore.
Sapore
di speranza.
Sarò
qui.
La
soffitta dell’autrice:
Boom.
Ebbene
sì. Visto
che di recente Mika ha definito Andy il suo
“amico”, ho pensato di tirare fuori
dal mio magico cilindro dei cornuti un altro ipotetico fidanzato a cui
si pensa
molto poco. Lasciamo in pace Andy, una volta tanto.
Il
prossimo
capitolo avrà una connotazione diversa rispetto al resto
della fan fiction. Non
che possa dirvi molto, ma sarà, per così dire, un
“capitolo bonus”.
Ringrazio
come
sempre la mia unica, inimitabile beta comeunangeloallinferno94. Love,
love,
love.
Baci :*
|
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Capitolo 5 *** ¿Qué más quieres? ***
La llorona
Todos me dicen el
negro, llorona
Negro
pero cariñoso
Quell’uggioso
giovedì sera londinese,
tutto sembrò più complicato e diverso. Non
esisteva una regola generale che
concordasse gli eventi in modo che si orchestrassero tutti in direzione
del medesimo
disastro, eppure si avvertiva nell’aria un sentore di
negatività.
Proprio
quel giorno, in casa Penniman, le
bottiglie della cantina si erano messe a fermentare talmente veloce,
quasi a
ribollire, che metà del vino era diventato aceto. Zuleika,
la più giovane delle
fanciulle di quella casa, aveva appena avuto un furioso alterco con uno
dei
suoi numerosi ragazzi ed era di pessimo umore, così le
decorazioni per i
festeggiamenti non riuscirono bene come sperato. La cicatrice di
Paloma, ultimi
lasciti di un terribile incidente, aveva iniziato a dolere proprio quel
giorno,
come se dovesse arrivare un temporale, nonostante un cielo
più terso a Londra
non si fosse mai visto. Il figlio della donna non fece che piangere per
tutto
il pomeriggio, a causa di un dentino che proprio non voleva saperne di
spuntare
e gli premeva sulle gengive provocandogli un gran fastidio. La mamma
era
convinta che qualcuno le avesse fatto il malocchio, perché
non faceva che
confondere nelle sue ricette lo zucchero con il sale, il pepe con la
cannella e
l’origano con il prezzemolo, sicché questa
convinzione la rese nervosa e
intrattabile.
L’aria
pullulava di oscuri propositi.
Nulla
però era più oscuro del
festeggiato, il figlio di mezzo, quell’uomo tutto particolare
che in quella casa
dorata veniva chiamato Mica. C’era qualcosa di grottesco e
infantile, nonché di
adorabile, nell’essere chiamato ancora con il soprannome
dell’infanzia, anche
nel giorno della sua festa di fidanzamento.
Mettere
la giacca bianca con i bottoni
dorati o quella nera con i bottoni argentati? Quello era il futile
pensiero nel
quale si gingillava Michael quel giorno.
Aveva
promesso a Marco che avrebbe
confessato a Tim, il suo promesso sposo, di aver avuto una relazione
durata
anni con lui. Ora che il momento era tanto vicino, però, la
sicurezza spavalda
che aveva mostrato a Marco iniziò a vacillare. Era davvero
quello che voleva?
Mandare all’aria dieci anni di relazione solo per compiacere
un uomo che era
fuggito da lui a gambe levate? Certo, aveva avuto tutte le ragioni per
scappare. Per di più era stato lo stesso Michael a proporsi
per fare quella
specie di mea culpa con Tim. Ma la
sua colpa era solo quella di parlare senza pensare.
Chiuso
nella stanza dei suoi genitori,
intento a prepararsi, sospirò e buttò
all’aria il papillon che si era proposto
di indossare quella sera. Qualunque cosa avesse fatto quella sera,
avrebbe
deluso qualcuno: se avesse detto a Tim di Marco, di certo il loro
matrimonio
sarebbe finito ancora prima di cominciare e la sua famiglia sarebbe
rimasta
talmente delusa da lui da non guardarlo più in faccia.
D’altro canto, quando
aveva provato a rinunciare a Marco, la sua mancanza era stata talmente
opprimente da impedirgli di respirare e aveva dovuto, sì,
aveva proprio dovuto
correre in Italia anche solo per rivederlo e non importava quante
brucianti
parole di rifiuto avesse ricevuto da lui, era sempre meglio che non
riceverne
affatto.
Quella
situazione gli fece venir voglia
di piangere. Era tutto così difficile, così
tremendamente ingiusto.
Mentre
si infilava la giacca bianca con i
bottoni dorati alla quale aveva pensato prima, Michael si promise di
non fare
più promesse a nessuno, perché la promessa di
matrimonio con Tim e la promessa
di confessare tutto fatta a Marco lo stavano solo caricando di angoscia
e
sofferenza. No, lui non era affatto tipo da promesse. O da matrimonio,
se era
per quello. Ma Tim ne era entusiasta, e poi Michael sarebbe stato il
primo dei
suoi fratelli a sposarsi, visto che Yasmine e Zuleika stavano
prendendosi i
propri tempi, Fortuné era troppo timido e Paloma si
contentava di avere un
compagno e per nessuna ragione lo avrebbe reso suo marito.
Contavano
tutti su Michael.
«Serve
una mano?»
Si
voltò repentinamente.
Tim
era sulla porta che lo osservava
dolcemente. Avanzò a grandi passi verso di lui, prese da
terra il papillon nero
di Michael e si premurò di legarglielo attorno al collo nel
modo giusto.
L’uomo,
più grande di lui ma non
altrettanto alto, portava un dignitoso gessato blu che gli donava da
morire.
Indossava uno dei suoi sorrisi più belli, tanto da far stare
male il suo
fidanzato traditore.
«Stai
d’incanto» confessò, colpevole
più
che mai.
Tim
sorrise timidamente e gli stampò un
dolce bacio a fior di labbra. «Con te non
c’è gara, tesoro. Sei un’opera
d’arte.»
Prima
che Michael potesse aggiungere
altro, quello proseguì: «L’Italia ti ha
coinvolto tanto che ora sembri una
delle sue splendide statue di marmo.»
Michael
lo guardò.
Era
quello il momento. Ora o mai più,
si disse. Se proprio deve accadere qualcosa,
che non accada
di fronte a tutti gli invitati.
«Tim.»
Alzò
lo sguardo sui suoi occhi, mentre
accarezzava il suo papillon, perfettamente annodato. Quel sorriso tenue
non lo
abbandonò.
«Sì?»
«C’è
una cosa che devo proprio dirti»
cominciò Michael e, vedendo che Tim non fiatava e stava in
ascolto, decise che
era venuto veramente il momento di essere sinceri. Non avrebbe portato
all’altare un uomo che non sapeva tutto di lui.
«Magari
mi odierai per quello che ti
dirò. Ma devo proprio» prese un profondo respiro e
parlò piano. «Ricordi quando
accettai il contratto di X Factor in Italia? Tu dicesti che era una
stupidaggine. Andare in un altro paese, imparare daccapo una nuova
lingua,
delle nuove abitudini e quant’altro. Ma avevo un motivo, sai?
Io avevo un
motivo. Tu forse non ricordi, ma ti presentai un mio caro amico un
giorno. Eri
dietro le quinte di X Factor assieme a me e ci mettemmo a parlare con
lui, si
chiamava Marco. Marco Mengoni. Bene, allora io e...»
«Amore.»
«Sì?»
Tim
gli posò un dito sulle labbra, senza
perdere il suo sorriso e, con aria comprensiva e dolceamara,
dichiarò: «Non
devi spiegarmi niente. So già tutto.»
A
Michael ci vollero un paio di secondi
per registrare quell’informazione.
Come
aveva fatto Tim a scoprirlo? Da quanto lo sapeva? E perché
non gli aveva
mai detto niente?
Todos me dicen el
negro, llorona
Negro pero cariñoso
«Tim,
tu... ma come?»
«Ti
conosco bene, tesoro» gli carezzò una
guancia con le nocche. «C’era una palese attrazione
tra voi due e sarei stato
uno sciocco a non avere almeno un briciolo di sospetto. Lavoravi sempre
e solo
fino a tardi, non chiamavi mai, sparivi per giorni interi e poi tornavi
a casa
diverso, quasi rinvigorito.»
Michael
chinò la testa e si morse le
labbra, labbra che Tim si premurò di baciare dolcemente.
«Tesoro»
gli disse poi, guardandolo in
pieno viso. «Non sono arrabbiato con te. O almeno, non
più.»
«Dici
davvero?»
«Certo.
Me lo aspettavo un po’, in
effetti, la chiamano “la crisi del settimo anno”:
dopo sette anni, in una
coppia, c’è sempre uno dei due che cerca qualche,
ecco, “sfogo” altrove. Ma se
c’era una cosa che sapevo era che tu, Michael Holbrook
Penniman Junior, tu saresti
sicuramente tornato da me.»
Il
sorriso di Michael fu leggermente
forzato. Si era preparato all’ondata di dolore che
sicuramente lo avrebbe investito
una volta che avesse confessato a Tim la verità, ma
quell’ondata non arrivò. Si
aspettò, d’altro canto, un profondo sollievo, ma
quello neppure arrivò. Si
sentì vagamente insoddisfatto, per qualche strana ragione.
Avrebbe solo dovuto
ringraziare il cielo che Tim non lo avesse sbattuto fuori dalla loro
festa di
fidanzamento a calci nel sedere e gli era di certo grato, ma non
riusciva
proprio a non sentirsi inappagato. Per un doloroso attimo
pensò semplicemente: Tutto qui?
Yo soy como el chile
verde, llorona
Picante pero sabroso
Si
baciarono, a lungo e con passione,
come per suggellare la loro unione e il fatto che Tim sarebbe sempre
venuto
prima di tutti nella vita di Michael.
«Tim,
io davvero» fece una breve pausa,
infine concluse con sincerità, «non ho
parole.»
Quello
sollevò le spalle. «Non servono
parole.»
Sospirò
a lungo e infine sorrise.
Finché
Tim non aggiunse: «Spero solo tu
sia stato ben vaccinato, tesoro.»
«Come?»
Ma,
proprio in quel momento, Jonni piombò
tutta trafelata in camera dicendo che gli ospiti erano arrivati e che
era un
crimine farli attendere. Così, una volta che mamma Penniman
li ebbe distolti
dai loro pensieri, scesero insieme a braccetto. Una grande scalinata
univa il
piano superiore al salone delle feste e i due promessi sposi la
percorsero
sotto lo sguardo stupito di tutti, i quali li invidiarono e si chiesero
come
avessero fatto due uomini tanto perfetti l’uno per
l’altro a trovarsi.
Entrambi
belli, entrambi con la passione
per la musica e dal gusto impeccabile, entrambi abbienti e facoltosi, i
loro
sorrisi espandevano gioia e contagiavano la gente tutta intorno. Era
quasi
magia quella, indubbiamente la loro unione sarebbe stata benedetta da
Dio, o da
qualunque divinità i commensali di quel romantico banchetto
avessero deciso di
venerare.
La
festa fu a dir poco magnifica, sebbene
l’unica cosa davvero magnifica per Michael fosse quel
delizioso champagne che
suo padre aveva stappato appositamente per loro. Ne
trangugiò tre bicchieri
prima che la sorella, Yasmine, gli facesse notare che tutti i loro
parenti,
vicini e lontani, erano lì in quel momento: voleva proprio
che si ricordassero
di lui come un ubriacone? Lo invitò a mollare il bicchiere e
gli ordinò di
aprire le danze con Tim.
«Yaz»
sospirò. «Non farmi fare questa
cosa. Le aprirò al mio matrimonio le danze con Tim,
d’accordo?»
La
sorella, per tutta risposta, assunse
il suo tipico tono da mammina e a braccia conserte lo
sgridò: «Che ti prende?
Ti stai comportando come se fossi stato costretto a venire qui.
Dovresti essere
l’uomo più felice del mondo oggi e invece hai
soltanto l’aria di un allocco.
Tim non si merita questo, tantomeno la mamma.»
«Che
c’entra ora la mamma?»
Domanda
sciocca, visto che gli bastò
gettare uno sguardo alla madre per capire. Era raggiante, sorrideva a
tutti
quanti come se fosse stata lei a sposarsi e non c’era momento
in cui non
guardasse verso Tim, colma d’orgoglio. Michael
riportò gli occhi su Yasmine,
che lo fissava con aria saccente e vagamente compiaciuta.
Alzò
le mani al cielo. «Sono felice che
la mamma sia felice.»
«Mica»
lo prese per un braccio e lo
guardò dritto negli occhi. «Sposerai un
meraviglioso ragazzo londinese che
viene da una famiglia agiata e che vive di musica come te.
Cos’altro vuoi tu,
dalla vita?»
«Stai
forse dicendo che non apprezzo
quello che ho?»
«No,
voglio dire che faresti meglio a
trattare Tim come il meraviglioso ragazzo che è. Posa il
bicchiere e vai a
ballare con lui, è tutto chiaro?»
Michael
annuì, ma dentro di lui la rabbia
ribolliva.
Era
per questo tutti erano così felici?
Michael non poteva sposare una donna, ma almeno sposava un ricco
gentiluomo
inglese. Se invece fosse stato, per dirne una, un onesto italiano con
un
passato da barista che non era riuscito a permettersi neppure di vivere
da solo
e, per un certo periodo, era dovuto tornare a casa dei suoi? Avrebbe
sprizzato
altrettanta allegria?
Yo soy como el chile
verde, llorona
Picante
pero sabroso
Rinunciò
ai suoi pensieri ribelli e fuori
luogo.
Posò
il bicchiere e andò da Tim, come si
aspettavano tutti.
Gli
porse la mano, come si aspettavano
tutti.
Fortuné
cambiò la musica e la sostituì
con un romantico lento, come si aspettavano tutti.
Tim
e tutti gli altri invitati parvero
sorpresi da quel gesto perfettamente romantico e perfettamente
calcolato, come
nei migliori film d’amore. I due innamorati si posizionarono
al centro della
pista, l’uno stretto all’altro talmente forte che
neppure un foglio di carta
avrebbe potuto inserirsi tra loro. Michael si abbandonò alla
spalla di Tim
cercando da lui consolazione, mentre si muovevano cullati dalla musica.
«Amore,
stai bene?» domandò dolcemente
Tim, carezzandogli i ricci ribelli.
Annuì
appena, convinto di voler tacere.
Ma a che pro tenere la bocca chiusa? Era giusto che il suo futuro
marito
sapesse tutto, no? «Credo che mia madre non sia felice
perché mi sposo, ma
perché mi sposo con te.»
L’altro
dolcemente e con somma gioia
rise. «Che bel complimento!»
«Non
è per te, o meglio, è per quello che
sei» specificò. «Sei di Londra, i tuoi
genitori sono banchieri, sei un giovanotto
rispettabile e di buona famiglia. Mamma è in brodo di
giuggiole al pensiero che
io faccia un buon matrimonio.»
Tim
lo fece volteggiare tra i sussulti
meravigliati di tutti gli invitati alla festa. Poi lo riprese tra le
sue
braccia e gli lasciò un dolce bacio sulla guancia.
«Amore
mio, è normale che sia così» lo
rassicurò.
«Qualunque madre vorrebbe vedere il proprio figlio accasato
con una persona di
buona famiglia.»
«E
se invece sposassi un povero diavolo?»
gli fece fare un romantico casquet proprio mentre gli faceva quella
bizzarra
domanda. «Sarebbe tanto terribile?»
Nel
tirarlo su, vide che Tim aveva smesso
di sorridere. Lo guardò negli occhi, trovandovi dentro una
punta di odio
passionale.
«Ti
riferisci all’italiano?»
Era
geloso di Marco. Michael prese dei
profondi respiri: era più che comprensibile, sapeva che ci
sarebbe stata una
reazione, così si affrettò a correggersi.
«Non
ho detto questo.»
«Oh,
menomale. Perché se fosse stato lui
al mio posto, Jonni ne sarebbe stata disgustata»
sospirò di sollievo, ridendo.
«Avresti dovuto farti disinfettare tre volte al
giorno.»
«Scusami?»
Tim
fece una giravolta prima di
rispondere. «Sai, gli italiani sono così sudici.
Hanno malattie che noi non
conosciamo neppure.»
«Ma
questo non è vero.»
Lo
fece voltare e lo strinse da dietro,
senza smettere di ondeggiare a ritmo di musica. Più di ogni
altra cosa, Michael
non voleva che vedesse la smorfia contrariata che gli era comparsa sul
viso e
che sapeva perfettamente di aver assunto.
«Amore,
sì che è vero. Non lo dico io, lo
dicono i giornali. Si lavano una volta alla settimana, sudano come
maiali, sono
delle vere e proprie palle di gelatina» e lì, al
dolce Tim, sfuggì un sonoro
singulto di puro disgusto.
Michael
tentò di ignorarlo e lo fece
voltare di nuovo nella sua direzione. Poggiò la fronte alla
sua, tanto che i
loro nasi si sfiorarono e, guardandolo dritto in quegli occhi freddi e
castani,
di nuovo difese l’onore degli italiani.
«Tim,
sono stato a contatto con gli
italiani per più di tre anni. Non sono affatto sporchi come
dici.»
«Beh,
fosse la sporcizia il loro
problema. Oh, ma mettiamoli da parte»
Michael
corrugò la fronte. Se solo avesse
capito che l’intendo di Tim era proprio quello di provocarlo,
forse non avrebbe
ceduto così facilmente al suo tranello. Ma il cuore di
Michael, per quanto
diviso tra tante e varie nazioni, apparteneva al Libano. Era un cuore
grande,
ma agguerrito e passionale. Non avrebbe mai permesso che parlassero in
quel modo
degli italiani. Soprattutto per via di Marco.
Ay de mí,
llorona, llorona
Llorona llévame al
río
La
musica terminò e tutti applaudirono ai
due fidanzati, che si strinsero in un abbraccio e si stamparono un
lungo bacio
sulle labbra. Poi, passati un paio di secondi, si avvicinarono alle
scale e vi
si sedettero per proseguire il loro discorso in un luogo più
appartato. Oh,
quanto ne furono colpiti i commensali, che videro in quel gesto il
costruirsi
progressivo del loro intimo, privato nido familiare.
Michael
prese le mani di Tim fra le sue,
deciso a convincerlo del suo errore. «Tim, fidati di me, non
c’è una sola cosa
che non vada negli italiani. Sono come i libanesi, giuro! Allegri,
spontanei,
accoglienti e calorosi. Li adoreresti se stessi in Italia anche tu per
tre anni
come me, fidati.»
«Per
beccarmi qualche infezione strana e farmi
derubare da qualcuno di quei criminali? No grazie, sono tutti dei
ladri.»
«Non
è vero.»
«Tu
credi? Sicuro di non esserti mai
trovato il portafogli alleggerito quando andavi a letto con
quell’uomo, anzi,
quella donnetta italiana?»
«Smettila»
lo intimò, ormai palesemente
irritato. «Non sono dei ladri.» E
Marco è
tutto fuorché una donnetta, aggiunse nella sua
mente.
«Ti
prego. Sono degli sporchi mafiosi,
tutti quanti» sbuffò, eludendo le sue
giustificazioni con un gesto della mano.
«Tu non te ne accorgi perché ormai te ne sei
perdutamente innamorato.
Francamente, se mi avessi scaricato per una specie di...»
«Non
osare.»
Ay de mí,
llorona, llorona
Llorona llévame al
río
A
quel punto, entrambi seppero di aver
varcato una soglia. Tim poteva fingere che il tradimento del suo uomo
non gli
avesse fatto alcun effetto, ma entrambi avevano compreso
perfettamente che una lite era
nell’aria e lo era da quella mattina.
Così,
guardandolo negli occhi e
sfidandolo come soltanto un innamorato ferito avrebbe saputo fare, gli
scandì
in pieno viso ogni parola. «Se tu mi avessi scaricato per una
specie di scrofa
italiana, sozza e ladra, mafiosa e senza carattere in cerca del tuo
buco solo
per la notorietà, me la sarei presa a morte.»
«Ora
basta!» si alzò di scatto.
Il
suo urlo fu talmente rabbioso e feroce
da interrompere quella festosa celebrazione. Jonni rise di gusto ed
eluse
quell’alterco dicendo semplicemente:
«Già litigano come marito e moglie.»
Tutti
risero così spensierati che quasi
non si accorsero che Michael si era alzato e stava per lasciare casa
Penniman a
passo di marcia.
«Non
puoi sempre scappare da tutto» gli
urlò Tim di rimando.
Michael
si voltò, tornò indietro e lo
affrontò solamente per dirgli sottovoce: «Ritira
quello che hai detto su
Marco.»
Ma
Tim, che ormai era perfettamente
conscio di ciò che voleva fare, ossia metterlo alle strette,
sovrastò ogni
suono e ogni risata con la sua voce tonante.
«Perché sussurri? Ti vergogni?
Perché invece non rendi partecipi tutti gli
ospiti?»
L’altro
abbassò lo sguardo. «Ritira
quello che hai detto e continuiamo questa stupida festa.»
«Tu
vuoi ancora lui, non è vero?»
Lui?
Quella fu la parola che, tra mani portate alla bocca
e sguardi stralunati, serpeggiò tra i commensali, destando
scandalo. In
quell’unione perfetta di Mica e Tim c’era forse un
terzo lui? Ma come era possibile?
Si amavano alla follia, erano fatti
l’uno per l’altro.
Michael
era stufo di mentire, di
nascondersi, di fingere dietro maschere troppo strette per lui.
«Vuoi sapere la
verità? Ecco la verità: io l’ho
lasciato nel momento in cui ho accettato di
essere tuo marito.»
«Però
sei tornato da lui, che bellezza»
lo schernì. «Non mentire. So perfettamente che, se
sei rimasto in quell’orrido
posto un altro anno, è soltanto per quella lurida meretrice
italiana.»
«Non
ti permettere» sbatté il piede a
terra. «Marco è l’uomo più
serio del mondo. Mi ha rifiutato perché ormai io
sono un uomo fidanzato e non vuole che io ti tradisca
ulteriormente.»
«Non
ce n’era bisogno» rise
istericamente. «Tu non mi hai confessato il tuo tradimento
perché sei un uomo
sincero. Lo hai fatto perché speravi che ti lasciassi
così da poter tornare da
lui.»
Michael
non reagì.
Come
avrebbe potuto?
Tim
aveva ragione.
Tápame con tu
reboso,
llorona
Porque me muero de
frío
«Questo
è semplicemente ridicolo» ribatté
infine, senza la benché minima convinzione.
Come
aveva fatto Tim a leggergli così nel
profondo, tanto da svelare delle intenzioni oscure anche al proprio
cuore? Non
se ne poté capacitare e poté facilmente
indovinare che mai nella sua vita
avrebbe subito una tale, sorprendente rivelazione. Ecco il
perché di quella
strana amarezza quando Tim lo aveva miracolosamente perdonato: non
voleva
essere perdonato.
«Se
è così ridicolo, allora perché
dirmelo proprio adesso? Non prima, quando vi siete lasciati,
né dopo esserci
sposati, io e te. Adesso, perché sei ancora in tempo per
mandare a monte
tutto.»
Poi
Tim si volse verso i parenti di
Michael, deciso a dare spettacolo. Sorrise alla madre e le fece un
gesto
galante con la mano. «Complimenti, signora Penniman. Le
presento suo figlio,
che se la faceva alle mie spalle con Marco Mengoni.»
Jonni
era a dir poco costernata. Si
avvicinò appena. «Mica, è la
verità? Avevi una storia?»
Quella
frase fece vergognare Michael per
gli ultimi tre anni, più che tutte le parole inutili che
aveva fin ora usato
Tim.
Iniziò
a piangere e guardò sua madre afflitta,
con le lacrime agli occhi. Poi un pensiero gli attraversò la
mente: era delusa
perché suo figlio era un bugiardo infedele o
perché Marco era un italiano? La pensava
forse come Tim? Per quanto crudele e probabilmente falso, quel pensiero
gli
diede la forza di reagire. Si asciugò le lacrime e
affrontò entrambi.
«Sì,
è vero mamma. Mi sono innamorato di
un altro uomo. Ho scelto di sposare Tim alla fine, ma ho fatto uno
sbaglio» si
volse verso il suo promesso sposo. «Tim, io avevo scelto te.
Ma forse tu non
sei giusto per me, come io non lo sono per te.»
Tápame
con tu reboso, llorona
Porque me muero de
frío
Lo
aveva detto, alla fine. Ce l’aveva
fatta, finalmente aveva detto ciò che pensava. Non voleva
sposarsi, non lo
aveva mai voluto, ma qualcosa lo aveva spinto ad accettare e a mandare
a gambe
all’aria tutto il resto. Avrebbe anche potuto rimanere solo
tutta la vita, se
Marco non l’avesse voluto. Ma almeno era stato sincero con se
stesso, prima di
ogni altra cosa.
Tim
alzò le spalle. «Non importa. Mi
sposerai comunque.»
«Aspetta,
cosa?»
Gli
aveva appena detto di non avere
intenzione di diventare suo marito, di averlo tradito, di non
sopportare che si
parlasse male del suo vecchio amante. Sua madre si vergognava
dell’uomo che era
diventato. Tutto ciò non era riuscito a dissuaderlo
dall’idea di diventare suo
marito?
Pareva
di no.
«Io
e te ci sposeremo» ripeté, come se
Michael fosse un po’ tardo e non avesse capito.
«È già deciso. La stampa lo sa,
i tuoi parenti sono tutti qui, abbiamo anche comprato casa. Non ti
permetterò
di mandare tutto a monte.»
Michael
sgranò gli occhi, pieno di
risentimento e stupore.
«Tim,
io non voglio sposarti.»
«Poco
importa, ci sposeremo lo stesso.»
«No
invece.»
«Tu
hai scelto me, non lui. Me! Ormai è
troppo tardi per tornare indietro.»
«Io
me ne frego!»
Detto
ciò, si sfilò dal dito la fede
d’oro e diamanti che tanto il suo Marco aveva fatto patire,
la strinse in pugno
e la scagliò contro il petto del suo promesso sposo che mai
fu tale.
«Tra
noi è finita, Tim.»
Si porque te quiero,
quieres, llorona
Quieres que te
quiera
más
Michael
si allontanò definitivamente da
Tim, stringendosi tra le braccia per proteggersi dal gelo che gli
sguardi di tutti
i suoi parenti delusi gli infondevano.
«Michael»
strepitò Tim. «Se esci da
quella porta, giuro su Dio che sei finito.»
Non
soltanto Michael uscì dal grande
portone centrale, ma sbatté forte l’anta come ad
aggiungere un punto
esclamativo alla fine di quella minaccia tutt’altro che
velata.
Corse
via, lontano dalla sua abitazione,
piangendo nella notte. Quando fu stanco di fuggire, si
accasciò a un muro che
stava vicino al celebre ponte di Londra. Se i suoi singhiozzi si
fossero
placati, forse sarebbe anche riuscito a udire le rive del Tamigi scosse
da onde
scroscianti. Ma le uniche onde scroscianti che stava udendo in quel
momento
erano quelle che fuoriuscivano senza controllo dai suoi occhi.
Non
poteva credere a quello che aveva
fatto.
Era
diventato uno scappatore.
Una
parte di sé ripensava a quei dieci
anni d’amore incondizionato verso il suo Tim, che lo
conosceva meglio di quanto
Michael conoscesse se stesso. Aveva davvero sprecato quei tutti quegli
anni di
pura magia, di amore, lacrime e risate... Tutto solo per Marco?
Marco.
Giusto.
Si
tastò furiosamente le tasche, in cerca
del suo cellulare. Quando l’ebbe trovato, non dovette
pensarci neppure per un
istante. Compose il suo numero e si portò il cellulare
all’orecchio. Le
interurbane costavano un occhio della testa, soprattutto in certe zone.
Forse a
Milano era addirittura mezzanotte. Oh, e sicuramente Marco non aveva
intenzione
di sentirlo, dopo quel bacio tanto inopportuno che si erano dati.
«Pronto?»
Sorrise
tra le lacrime. La voce di Marco,
acuta e vellutata, fu come un balsamo per il suo cuore ferito.
«Oh,
Marco» singhiozzò. Dall’altra parte,
solo silenzio. Ci volle un po’ prima che, tirando su col
naso, si decidesse a proseguire,
con la voce rotta dal pianto. «Non sposo più, noi
siamo lasciati.»
Ancora
silenzio dall’altra parte. Forse,
quando aveva sentito la voce di Michael, Marco aveva abbandonato il
telefono ed
era andato a fumare una sigaretta. O peggio, era a letto con qualcun
altro. Oh,
se lo avesse disturbato nel bel mezzo di un amplesso, Michael non
avrebbe avuto
cuore per vivere ancora. Si sarebbe accasciato sulle rive del Tamigi e
lì si
sarebbe abbandonato come il peggiore dei clochard.
«Marco?»
«Sono
qui» fece, distrattamente.
«Controllavo.»
«Che
cosa controllavi?»
«I
voli per Londra. Ce ne sono alcuni,
uno parte alle sei, posso arrivare in mattinata se sei disposto
a...»
«Marco.»
«Sì?»
Si ya te he dado la
vida, llorona
Sarebbe
venuto a Londra solo per lui? Lo
avrebbe fatto veramente?
Non
ebbe parole per esprimere la
gratitudine, la tenerezza che provava per lui in quel preciso istante.
Ne ebbe
solo di altri singhiozzi di vera commozione e delle vane parole che a
malapena
esprimevano la portata bellissima e catastrofica dei propri sentimenti.
«Io
non vivo senza di te.»
I
crepitii metallici del telefono
servirono solo in parte a coprire il silenzio che si era venuto a
creare. Poi,
eroica, la voce di Marco lo interruppe, prima di staccare la chiamata,
con le
due parole più belle e confortanti che Michael ebbe mai
udito.
«Sto
arrivando.»
¿Qué
más quieres?
¿Quieres más?
La
soffitta dell’autrice:
Capitolo bonus.
Una canzone che non fa parte di Le
cose che non ho, per
un capitolo che, pur parlando di Marco, non
lo coinvolge fisicamente. Ci tenevo a inserire La llorona nella mia
storia perché è una struggente canzone d'amore e
morte, o meglio, di morte dell'amore in tutto il suo splendore.
Ringrazio la mia
beta, comeunangeloallinferno94, che in caso di querela da parte del
vero Tim Van Der Kuil verrebbe in galera con
me. Vero?
Baci.
|
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Capitolo 6 *** We can't surrender even a gram of love ***
Nemmeno un
grammo
L’arrivo
di Marco a Londra fu
tutt’altro che semplice.
Innanzitutto,
pensò di
prendere l’aereo delle due e quarantacinque per Londra nel
tentativo di
arrivare il prima possibile ma, dovendo preparare una valigia di
fortuna,
nonché prenotare un volo con un preavviso
pressoché ridicolo, finì per perderlo
e dovette accontentarsi del volo delle sei. Una volta in aeroporto,
cercò di
concentrarsi su come evitare gli sguardi delle persone che lo
squadravano e, da
sotto il cappuccio della felpa e gli improbabili occhiali da sole,
Marco era
ancora abbastanza lucido da tremare al pensiero che qualcuno potesse
beccarlo.
Su quella funesta probabilità si concentrò,
così da non dover riflettere su ciò
che stava facendo.
Tu
chi sei
Che
conti i miei respiri?
Si
era ripromesso di non
sbavare più come un cagnolino dietro a Michael, senza mai
ricevere ciò che
avrebbe sperato e accontentandosi delle briciole. Ed era, come si era
spesso
ripetuto in quel periodo, un uomo nuovo: non avrebbe approfittato del
fatto che
Michael e Tim si fossero lasciati per, beh, fare ciò che con
tutta probabilità
ci si aspettava da lui. Aveva sentito la sua voce lamentosa e tremante
al
telefono: era a dir poco devastato da quell’avvenimento,
così Marco non si fece
illusioni neppure per un istante e mai pensò di sfruttare la
situazione.
L’indomani, Michael avrebbe chiesto perdono al suo promesso
sposo e tutto
sarebbe tornato alla normalità, ne era più che
convinto. Non era strano, per
due fidanzati prossimi alle nozze, avere degli alterchi che
minacciavano di
mandare tutto a monte. L’importante era non farsi
condizionare e non c’era
alcuna ragione perché Marco non dovesse aiutare Michael, per
quanto possibile,
a capire che l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel
momento era Tim.
Ma,
dentro di sé, sapeva
perfettamente che non stava percorrendo più di ottocento
miglia in aereo
soltanto per dare un consiglio in qualità di amico ed era
questo ciò che
davvero lo mandava in bestia, il fatto di aver ceduto anche stavolta al
richiamo sirenico di Michael.
Finalmente
l’alba rischiarò
con un pallido raggio di sole il grigiore del primo mattino,
accompagnato da un
risonante segnale acustico che annunciò la prossima partenza
del volo
Milano-Londra.
Va bene, Marco,
si disse, con un profondo respiro, ora o
mai più. Anche stavolta, è ora o mai
più.
Con
due parole dici
quello
che
Di
fiato io ci metterei chilometri
Salì
su quell’aereo,
chiudendosi nel giubbotto per il freddo che, proprio quel mattino,
sembrò
penetrargli nelle ossa come una lama perfida e sottile, un freddo che
avrebbe
richiesto un abbraccio per essere stemperato. Ma di abbracci, quel
giorno, non
ce ne sarebbero stati. Almeno, non per lui. Lui non c’entrava
niente.
Era
come un anatroccolo tra i
cigni, un incubo tra bei sogni. Un piccolo silenzio fra grandi rumori.
Non
apparteneva a quel mondo, anche se per un momento aveva quasi creduto
di
assomigliarvi.
Giunse
a Londra per le otto,
per un attimo stupito che gli orologi della città segnassero
tutti le sette in
punto. Sospirò, ringraziando che il fuso orario tra Milano e
la capitale
d’Inghilterra fosse tanto esiguo. Riaccese il cellulare che,
durante il volo,
aveva tenuto spento, poi aprì il messaggio che Michael gli
aveva inviato prima
di partire: c’era scritto l’indirizzo di un motel
poco lontano dalla sua
imponente casa di Londra. Era evidente che, in
quell’imponente casa, non ci
poteva tornare. Marco incominciò a chiedersi se la loro lite
fosse avvenuta
durante la festa di fidanzamento di cui aveva parlato la volta
precedente.
Deglutì un groppo in gola grande quanto un uovo e si decise
a chiamare un taxi
che lo portasse a quell’indirizzo. Rilesse almeno dieci volte
il piano e il
numero della stanza in cui si sarebbero incontrati. Quel motel non gli
era del
tutto estraneo: in quel luogo avevano visto qualche scappatella di
troppo, in
passato, vicini ma lontani da quel mondo che Marco tanto aveva
agognato. Si
ripromise, a prezzo della propria dignità, che quel motel
non avrebbe mia più
visto neanche un singolo atto sconveniente da parte sua. Purtroppo, non
poteva
parlare per Michael.
Il
taxi si fermò, Marco si
scusò di non poterlo pagare in sterline, solo in euro.
Fortunatamente, il
tassista non fece troppe storie e lo lasciò di fronte al
motel. Marco sospirò,
mentre sentì la pelle ricoprirsi di una febbricitante pelle
d’oca, segno
inequivocabile di una gran fifa. Ma non era arrivato fin lì
per scappare di
nuovo. Così si fece coraggio e, scalino dopo scalino,
aggrappato al corrimano
come a una scialuppa, giunse dinanzi al luogo
dell’appuntamento.
Piano
secondo, stanza tredici.
Sollevò
un pugno, indugiando
a lungo sul legno scrostato che ricopriva malamente la porta della
camera.
Voleva davvero farlo? Forse Michael se lo meritava, infondo.
D’altronde, era
comprensibile che Tim si fosse adirato nel venire a sapere del loro
tradimento
e, logicamente, non era riuscito a guardarlo più negli
occhi, figurarsi poi a
portarlo all’altare, un domani. Qualche tempo fa, forse,
sarebbe stato felice
che Michael soffrisse come aveva sofferto lui, per quella storia.
Ma
non era più quel ragazzino
senza spina dorsale, no. Era un uomo.
E,
da uomo, bussò alla porta.
Passò
qualche secondo, tra
rumori e fruscii attutiti dalla porta. Poi, dopo che uno spiraglio di
quella
porta venne aperto, si sentì letteralmente risucchiare
dentro da una mano forte
che lo trascinò al di là della soglia,
richiudendo immediatamente la porta alle
sue spalle. Esattamente come quando la loro unione era un segreto, non
un
ricordo.
«Michael.»
Marco
lo squadrò: era
palesemente sconvolto, con gli occhi gonfi e rossi di pianto e le
grandi mani
scosse dai tremiti. In tre anni o più che lo conosceva, non
lo aveva mai visto
in quel modo. Michael non si mostrava mai debole, o vulnerabile, di
certo non
si mostrava sconvolto. Eppure, in quel momento, era ciò che
Marco stava
osservando.
Michael
si accasciò sul
letto, mettendosi a sedere tutto ingobbito con le gambe ben divaricate
e la
testa tra le mani. Marco si inginocchiò al suo fianco,
prendendogli le mani fra
le sue e poggiando la spalla sul suo ginocchio: era l’unico
modo per guardarlo
negli occhi. Chissà perché, aveva dato per
scontato che li avrebbe trovati
freddi e spenti, invece saettavano da destra a sinistra senza sosta,
come se
cercassero di ricucire pezzi mancanti di una storia. C’era
amarezza e un
pizzico di ira in quelle pupille dilatate, rasentavano
l’isteria e questo
spaventò Marco, così prese il suo volto tra le
mani costringendo quelle folli
pupille impazzite a fissare il suo volto.
Che
ci fai
Con
tutti quei pensieri?
«Tranquillo
Michael,
tranquillo» fu in grado di dire, prima che l’altro
piangesse. Non come se
scoppiasse, tutt’altro. Le lacrime scesero rapide dai suoi
occhi, come se lui
neppure se ne accorgesse, con quello sguardo fisso, piantato negli
occhi
dell’uomo che aveva di fronte. Si susseguirono,
l’una dopo l’altra, in rapida
successione e, per tutta la durata di quel pianto, Michael non fece
neppure un
singolo tentativo per asciugarsi gli occhi o spiegare quanto era
accaduto.
Semplicemente tenne gli occhi spalancati, fissi in quelli terrorizzati
di
Marco.
Cosa
gli aveva fatto?
«Michael,
ti prego» lo scosse
leggermente. «Cosa ti è successo? Mi stai facendo
preoccupare.»
«Lui
sapeva di io e te» fece,
le loro parole si accavallarono leggermente. «Lui sapeva da tanto tempo e non lo ha
detto. Perché lui
voleva il matrimonio.»
Stavolta
fu Marco a sgranare
gli occhi. Questa gli giungeva nuova: come aveva fatto Tim a capire che
aveva
un amante, da quanto lo sapeva? Erano sempre stati tanto attenti a non
farsi
beccare, loro due. Avevano sbagliato qualcosa, probabilmente, non
vedeva altra
spiegazione.
E
poi cos’era quella storia
che voleva sposarsi lo stesso?
«Quindi,
fammi capire, a lui
non importa se io e te...?» lasciò quella domanda
in sospeso, come se la sua
bocca si rifiutasse di dirlo, come se il movimento delle labbra fosse
troppo
pesante per ammettere che erano stati insieme per anni.
Michael
annuì appena, poi
iniziò a raccontare. La sua voce era stanca e meccanica,
come se stesse
ricostruendo in quel preciso istante tutto ciò che era
accaduto.
Raccontò
della danza forzata
da Yasmine, di come Tim fosse stato con lui sgarbato e villano, delle
cose
orribili che gli aveva detto, senza però nominarle. Senza
smettere un secondo
di piangere, parlò delle urla di fronte a tutti gli
invitati, di come sua madre
fosse scontenta di lui, nonché del lancio
dell’anello contro Tim, atto di cui,
peraltro, Michael si vergognava molto, ma mai quanto si vergognava di
aver
deluso sua madre.
«Mi
ha guardato come se io ho
ucciso un uomo» singhiozzò. «Lei era
così triste che aveva me come un figlio.»
Sono
pesanti addosso,
che
ci fai?
E
ti anneriscono le mani
«No,
questo non puoi dirlo»
lo fermò. Con le dita si premurò di asciugargli
le guance da ogni lacrima che
le aveva rigate, consolandolo. «Tua madre ti adora. Solo, non
se lo aspettava.
Devi spiegarle come sono andate le cose e che adesso...»
Michael
lo guardò deluso. Non
voleva che lo dicesse, ma Marco dovette dirlo.
«...
che adesso io e te non
stiamo più insieme.»
«Perché
no? Io e Tim non
siamo più noi. Io e te possiamo stare insieme ora, se tu lo
vuoi.»
Marco
si morse le labbra. Non
poteva andar bene, doveva fare qualcosa, subito e in modo rude se
voleva che
reagisse. «Michael, se tua madre si vergogna di te pur
sapendo che ci siamo
lasciati, cosa penserebbe di te se sapesse che non ti sposi
perché preferisci
un italiano qualunque?»
Fu
come se Marco avesse
pronunciato la più grave delle bestemmie.
Puoi
soltanto vivere
Cadere
a terra e correre
Lo
afferrò per un polso, lo tirò sul
letto e ve lo gettò sopra, poi usò il suo corpo
per inchiodarlo sotto di lui.
Marco
ebbe un sussulto
profondo, dettato dalla sorpresa e dall’eccessiva vicinanza
di Michael. Ma non
ebbe paura, neppure per un secondo, che lui potesse fare un gesto
inconsulto.
Piuttosto, gli dispiacque: era palesemente sconvolto.
«Non
dire mai» si interruppe,
così che la parola “mai” riecheggiasse
tra di loro, «mai che tu sei un italiano
qualunque.»
«Lo
ami ancora, non è vero?»
Le
parole di Marco parvero
confondere Michael ancora di più. Lo fissò
dall’alto della sua posizione, lo
sovrastava in un atteggiamento che entrambi avrebbero potuto definire
sensuale,
ma che la tranquillità di Marco rovinava quasi al limite
della parodia. Ne sembrò
innervosito.
Proseguì:
«Tu lo ami. Per
questo eri sconvolto quando hai capito che in realtà gli
importava eccome se lo
avevi tradito, perché speravi che in realtà le
cose restassero esattamente
quelle che erano. Tu vuoi sposarlo, e forse non è troppo
tardi per
riprendertelo.»
Andare
avanti
come fanno gli altri
Come
tutti
Scosse
la testa, piccole
gocce caddero dai suoi occhi, sbalzate in aria come piccoli diamanti
fluidi. A
denti stretti, gli sfuggì un altro singhiozzo. «Tu
non hai capito niente»
sbraitò.
Sapeva
di aver toccato un
tasto dolente, ma sapeva anche che se non si fosse arreso, avrebbe
ottenuto il
risultato sperato e Michael sarebbe tornato da Tim e Marco sarebbe
stato
l’unico a rimanere solo e infelice. Almeno avrebbe
risparmiato l’uomo che amava.
«Sei
tu a non aver capito»
insisté, «che Tim non aspetta altro che tu vada da
lui con un mazzo di fiori e
delle sentite scuse. Devi correre a riprenderti il tuo uomo, o potrebbe
essere
troppo tardi per...»
«He called
you a whore!»
Ti ha dato della troia.
Era
questo che, in inglese,
Michael aveva appena urlato. Ti ha dato della troia.
Con
gli occhi lucidi e le
labbra tumide, il volto contrito e le nocche livide a furia di
stringere al
limite del violento le lenzuola del letto.
Marco
si sollevò con il
busto, senza capire. «Cosa significa che mi ha chiamato in
quel modo?» domandò,
scandendo ogni parola, nel tentativo di cercare quelle giuste per non
rovinare
tutto.
Ma
forse Michael aveva
ragione e Marco non aveva capito niente. Forse non c’era
nulla che non fosse
già stato rovinato prima del suo arrivo e la situazione era
così disastrosa
che, a conti fatti, non poteva fare davvero nulla per ripararla.
Michael,
quasi accorgendosi
all’improvviso di aver tenuto Marco sotto di sé
tutto quel tempo, forse temendo
che quello confermasse l’errata convinzione di Tim, con un
balzo si fece da
parte, rannicchiandosi sul bordo del letto.
Respirò
profondamente,
ricominciando a piangere. «Tim. Ha detto delle brutte cose su
te. Stupide cose
che non sono vere.»
Si
strinse le ginocchia al
petto. Sembrava un bambino offeso perché avevano detto che
il suo giocattolo
preferito era brutto.
Un’orrenda,
subdola
sensazione si fece strada nelle viscere di Marco, avvolgendo il suo
cuore in
una morsa e pungolando crudelmente il suo cervello già in
fiamme.
«Non
dirmelo. Ti prego» lo
implorò.
«Io
dovevo dire che si
sbagliava. Perché tutto che diceva di te era una bugia molto
grande e lo faceva
solo per farmi male. Questo non è amore, è bugia
ancora più grande.»
«Non
dirmi che lo hai
lasciato per le cose che ha detto su di me.»
Michael
nascose il volto
nelle ginocchia, tra le braccia. Marco, dal canto suo, cercò
di trattenersi dal
piangere, ma la sua gola iniziò a bruciare, stretta in un
nodo crudele.
Era
tutta colpa sua.
Come
aveva fatto a non
capirlo subito? Non aveva mai voluto tutto ciò.
Sì, era vero che Michael lo
aveva fatto star male e che per un attimo Marco aveva voluto
altrettanto per
lui, ma non fino a quel punto. Ciò che gli era accaduto era
molto più grave di
una semplice delusione d’amore: si era messo contro il suo
fidanzato e la sua
famiglia soltanto per difendere lui, un uomo come un altro. Non bello,
non
troppo talentuoso, tutt’altro che speciale. Era tutto
terribilmente sbagliato.
Gli
gettò le braccia al collo
da dietro la schiena, poggiandogli la fronte sulla spalla. Al diavolo
tutto,
avevano entrambi bisogno di contatto.
«Non
dovevi farlo. Non ne
valgo la pena.»
Michael
si voltò lentamente e
Marco notò che aveva smesso di piangere. Lo fece distendere
di nuovo, stavolta
con delicatezza, poi poggiò la testa sul tuo petto, un gesto
che valse più di
mille parole. Un gesto che chiedeva. Coccolami
come un figlio, amami come un uomo, insultami come una puttana, ma non
mandarmi
via.
Dove
vai
Che
il freddo prende a morsi?
Una
volta tanto, Michael
implorava silenziosamente. Marco era ancora restio a tutto quello,
così, pur
poggiandogli una mano sulla spalla, non fece altro. Ma non si
scostò da lui e a
Michael quello parve bastare. Si strinse a lui, rendendo quel gesto
più intimo
di quanto Marco intendesse.
«Tu
vali la pena di tutto,
Marco» sospirò contro la sua maglia tiepida, sulla
quale posò una mano che,
lenta, prese ad accarezzarlo. «Di tutto.»
Se
gli ormoni avessero avuto
una coscienza, se Marco fosse stato un uomo meschino e venale, avrebbe
senz’altro colto la palla al balzo, perché le
intenzioni di Michael erano
palesi, e più quella mano lo accarezzava, passando dal petto
al ventre, più
quelle si palesavano con ancor più impertinenza.
Perché solo un pazzo avrebbe
declinato un’esplicita proposta sessuale da parte del bel
Mika.
Ma
lui semplicemente gli
afferrò la mano e la scostò da sé,
lasciando un Michael deluso e perplesso.
«Hai
appena lasciato l’uomo
con cui sei stato per dieci anni» spiegò.
«Non sei lucido e, ora come ora, ti
pentiresti di qualunque gesto.»
Fece
cenno di no con il capo,
a lungo e vigorosamente, posando la mano esattamente dove stava prima.
«In
questo momento mi
sentirei tanto il rimpiazzo di Tim se tu lo facessi» ammise.
Stavolta
fu Michael a levare
la mano prima che fosse Marco a costringerlo.
Rimasero
in quel modo per un
po’, vicini ma lontani.
Poi
Michael si avvicinò a lui
e gli diede un bacio casto, lieve, pieno di tenerezza e un pizzico di
disperazione. Desiderava ardentemente uno sfogo fisico, ma capiva che
non era
momento e luogo e, soprattutto, se davvero era innamorato di Marco,
avrebbe
atteso. Nel frattempo, però, non chiedeva molto.
Così
Marco, per l’ennesima
volta nella sua vita, cedette ai suoi baci, ricambiandoli dolcemente e
dandogliene degli altri, quanti ne volle, senza risparmiarsi. Era
così stanco di
lottare contro i suoi sentimenti, tanto che gli si
abbandonò. Magari, solo per
quell’uggioso mattino, avrebbe gettato alle ortiche la
propria dignità e
sarebbe tornato a essere l’altro uomo. Ma, solo per quella
volta, non gli
sarebbe importato.
Circondò
la vita di Michael
con un braccio possente, attirandolo a sé. Una mano grande e
calda, una
meravigliosa mano da pianista si andò a posare sulla guancia
di Marco,
sfiorandola dolcemente.
Ti
si congelano le mani se
Le
usi adesso come scudi
Erano
baci di fortuna, su un
letto di fortuna, in un luogo di fortuna. Sebbene sconveniente, Marco
si sfilò
le scarpe e coprì entrambi con un lenzuolo impolverato che
stava ai piedi del
letto. Avevano bisogno di dormire entrambi. E dovevano stemperare il
freddo e
il dolore in un dolce abbraccio.
Un
rumore assordante colse di
sorpresa i due fuggiaschi, svegliandoli di soprassalto. Qualcuno stava
bussando
alla porta della loro stanza con eccessiva insistenza, ma per qualche
strana
ragione, Michael era sicuro che non fossero Tim o sua madre.
«Marco,
vai in bagno.»
Per
poco, quello non scoppiò
a ridere. Era una richiesta alquanto bizzarra, soprattutto per una
persona
appena svegliatasi dopo aver perso una notte di sonno e aver baciato un
vecchio
amore.
Vieni
qua
E
conta i miei respiri
«Non
devo andarci.»
«Marco,
vai in bagno» ripeté,
con un tono di comando che non ammetteva repliche.
Qualcosa
in quella voce
costrinse Marco a fare esattamente come gli era stato detto,
chiudendosi a
chiave nel bagno piccolo e angusto, per poi osservare dallo spioncino
come il
peggiore dei bambini dispettosi.
Vide
Michael alzarsi dal
letto, rimettersi le scarpe e raccattare le sue poche cose. Cosa stava
combinando?
Aprì
la porta quasi come se
stesse andando al patibolo.
Un’orda
di paparazzi lo investì
con flash e domande urlate.
Marco
ebbe un sussulto: cosa
era successo? Come avevano fatto i paparazzi a sapere che Michael
sarebbe stato
lì? Chi li aveva avvisati? Quando Michael ebbe chiuso la
porta, Marco
riacquistò abbastanza lucidità per prendere il
suo cellulare e, nonostante la
scarsa connessione a internet, cercare notizie su Mika.
Non
appena vide il titolo del
primo articolo, inorridì.
«Questo
matrimonio non s’ha
da fare» recitò in un sussurro quel titolo che
voleva essere spiritoso, ma che risultò
solo di cattivo gusto. «Mika lancia la fede al fidanzato e
scappa via. Finito
l’idillio di passione?»
Di
seguito a un insulso
articolo che Marco ignorò, scorrendo rapidamente la pagina,
era allegata la
foto, sgranata e vagamente fuori fuoco, di due sagome alte, una delle
quali
riconoscibile a causa del dolce profilo e dei capelli ricci. Era colto
proprio
con il braccio teso, la fede era un cerchietto a malapena distinguibile
fra la
sua figura e quella di Tim. Beccato in flagrante. Scorse le altre
notizie,
tutte copie della prima, eccetto una che risaliva a meno di cinquanta
minuti
prima.
Il
titolo recitava: “Se
scappi non ti sposo. Il cantante
libanese lancia... l’anello e nasconde la mano”.
Riportava
una foto di Mika
che, di soppiatto, si intrufolava proprio nel motel in cui era arrivato
Marco
successivamente. Si morse le labbra. Sperava che nessuno lo avesse
visto, o
sarebbero stati guai seri per entrambi.
Rimase
seduto in bagno per un
infinità di tempo. Qualcosa, un blocco dettato dalla paura,
gli urlava che
restare là dentro era il modo più sicuro per non
farsi beccare.
Però
si chiedeva che fine
avesse fatto Michael e temeva che fosse andato via, non solo dal motel,
ma da
Londra. Lo conosceva abbastanza bene per sapere che probabilmente era
andata
proprio così.
Si
strinse nelle spalle e si
avvolse con le braccia, sentendo su di sé ancora il lieve
tepore lasciato dal
corpo di Michael sul suo.
Dannazione.
Perché doveva
fargli quell’effetto?
Drin! Drin!
Il
suo cellulare squillò.
Sciolse quell’abbraccio solitario e rispose immediatamente.
«Pronto?»
«Scusa,
ti chiedo scusa» era
Michael. «I fotografi mi hanno scoperto. Io devo andare
via.»
«Ti
raggiungo in aeroporto?»
si offrì.
«No,
se vieni tu capiscono
che tu eri con me» si affrettò a dire.
«Finisci nei guai.»
«Allora
resto qui?»
«Sì,
prendi il volo che c’è
alle catordici» disse,
pronunciando
male il numero “quattordici”.
Marco
controllò l’orologio:
erano le undici passate. Come avrebbe fatto Michael a prendere il volo
di
mezzogiorno? Oh, giusto: lui era la star del Paese, per lui ogni porta
era
spalancata e ogni aereo disponibile. Solo Marco non era riuscito a
prendere un
pidocchioso volo delle due e quarantacinque?
«Va
bene.»
All’altro
capo, silenzio.
Pensò che Michael avesse riattaccato, quando
sentì un sospiro amaro.
«È
solo male quanto tu sei
con me» mormorò, rivolto a nessuno in particolare.
Marco
non se la sentì di
contraddirlo: non sarebbe successo nulla di tutto questo se Michael
fosse stato
sincero fin dall’inizio. O se Marco non si fosse lasciato
abbindolare dai suoi
modi.
Ma
quello era l’orgoglio a
parlare. Se solo lo avesse messo da parte, Marco avrebbe capito che una
vera
colpa non c’era. Avrebbe potuto darla all’amore, se
la cosa lo avesse fatto
sentire meglio, ma da quando in qua l’amore era una colpa?
Sui
nostri volti il tempo è passato
Nei
nostri occhi deve ancora arrivare
«Io
ora vado.»
La
voce di Michael lo ridestò
dai suoi pensieri.
«Come
dici?»
«Ciao
Marco.»
«Aspetta.»
Puoi
soltanto vivere
Cadere
a terra e correre
Andare
avanti come fanno gli altri
Come
tutti
Fu
di nuovo silenzio e
imbarazzo. Marco avrebbe voluto dire che non vedeva l’ora di
rivederlo in
Italia, ma non ci riuscì. Maledetta la sua
caparbietà.
«Prima
che tu vada, lascia
che io ti ringrazi» disse, invece.
«Ringrazi?»
chiese confuso.
Ancora
una volta, Marco non
disse ciò che voleva. Perché avrebbe voluto
semplicemente dirgli che dormire
stretto a lui tra un bacio e l’altro era stato il
più bello dei miracoli e la
peggiore delle maledizioni. Ma non poteva.
Michael
aveva la capacità di
farlo sentire fondamentale per un secondo e il secondo dopo renderlo il
più
insicuro degli uomini, in attesa solo di un suo cenno che lo facesse
sentire di
nuovo importante. Non avrebbe dato la stessa certezza a Michael, a meno
che non
ne fosse stato sicuro al cento per cento e, in quel momento,
l’unica cosa di
cui Marco era sicuro era ciò che avrebbe detto in seguito.
«Per
avermene parlato con
sincerità. Dico, di tutta questa storia.»
«Oh,
no Marco» sospirò.
«Grazie a te perché mi hai sollevato.»
Sapeva
che non intendeva dire
che lo aveva davvero sollevato. In inglese era to
raise up: letteralmente rialzare, rimettere in piedi ed
elevare
quasi fino a toccare quasi il cielo. In italiano, non esisteva termine
che
potesse reggere il confronto. Sollevare non era che un mero sostituto.
Ti
solleverei anche se
Io
fossi a terra e tu là in piedi
Ecco,
Marco si sentiva
importante per lui, di nuovo. Cercò di minimizzare la
sensazione, ben sapendo
che si trattava solo di uno di quei rari momenti di estasi prima della
caduta.
«Torna
presto» si raccomandò,
per poi chiudere la chiamata.
Posò
il telefono in tasca,
uscì dal bagno e si distese sul letto, fissando il soffitto.
Aveva un bel po’
di roba su cui riflettere: innanzitutto, aveva mandato a gambe
all’aria un
matrimonio, nonché una relazione decennale. Aveva fatto
sì che una madre
provasse avversione nei confronti del suo stesso figlio, sebbene
trovasse che
Jonni fosse stata poco garbata a farglielo notare di fronte alla sua
intera
famiglia, nonché di fronte a quella del suo ex. Ma forse lo
aveva fatto solo
per salvare le apparenze: che madre sarebbe stata quella che, messa di
fronte
al tradimento di suo figlio, avesse preso le sue difese?
Michael
gli aveva fatto
capire chiaramente di essere disposto a ricominciare daccapo con lui.
L’offerta
era allettante, soprattutto visto e considerato che Marco sarebbe stato
l’unico, stavolta. Il suo unico dubbio era la
fedeltà di Michael. Non voleva tornare
insieme a lui, sulla scia degli eventi, trascinato dal momento di
sconforto e
dal rinnovato interesse nei suoi confronti, per poi ritrovarsi dopo
qualche
mese a confrontarsi con un altro amante di Michael. Un altro se stesso,
in
pratica.
Non
poteva rischiare. Non
avrebbe retto a tanto.
Decise
che, una volta tornato
in Italia, avrebbe messo le cose bene in chiaro con Michael. Non che
avesse
realmente intenzione di tornare con lui ma, ammesso che volesse farlo
in un
prossimo futuro, entrambi dovevano cambiare. Marco non avrebbe
più dato tutto
se stesso immediatamente e Michael non avrebbe dovuto avere altre
tresche
all’infuori di lui. Sembrava ironico, quasi ingiusto che
intendesse porre quei
paletti, proprio lui che aveva accalappiato un uomo fidanzato.
Eppure, non era proprio quella situazione ad aver creato tutti quei
problemi?
Dunque, se le cose dovevano essere in quel modo –ossia
ambigue, romantiche e
sfuggevoli– nessuno dei due avrebbe dovuto sprecare neppure
un attimo del loro
amore.
Non
dobbiamo cedere
Nemmeno
un grammo di amore agli altri
Mentre
rifletteva su quelle e
altre problematiche della sua vita, prese carta e penna dal cassetto
dell’albergo e scrisse una lettera in un inglese stentato,
che avrebbe
lasciato, poco prima di recarsi in aeroporto, nella casella postale
della
signora Jonni Penniman. Era la cosa giusta da fare
Una
volta tornato in Italia, si
fiondò a casa sua. Aveva bisogno di un bel bagno caldo in
cui affogare i suoi
dispiaceri e, soprattutto, i suoi struggimenti d’amore.
Ma
non ne ebbe il tempo,
perché non appena giunto alla soglia di casa, si
ritrovò Michael appollaiato lì
come un avvoltoio. Non appena si accorse della presenza di Marco,
scattò in
piedi e non mi diede neanche il tempo di chiedergli perché
fosse lì.
«Tu
hai scritto una lettera a
mia madre.»
Si
morse le labbra e annuì.
Nella
lettera le aveva
chiesto scusa per tutti i disagi che le aveva causato, per tutti i
problemi che
derivavano dalla propria presenza nella vita di suo figlio. La pregava,
inoltre, di non attribuire a Michael colpe che invece erano solo sue e
la
implorava, se non di apprezzarlo, perlomeno di non provare astio nei
confronti
di suo figlio visto che, sin dall’inizio della loro storia,
la colpa di tutto
era stata di Marco.
The
days will go, the time will flow
O,
per lo meno, era
un’esasperazione di ciò che sentiva davvero. In
quel momento, si sentiva quasi
in dovere di farlo.
«Sì,
le ho scritto» ammise
guardandolo negli occhi, che trovò ansiosi. «Le ho
detto che mi dispiace di
averle causato solo affanni.»
Michael
si sbatté una mano
sulla fronte. «Come hai pensato che era una buona idea? Lei
ti odia.»
La
voce di Marco si fece
sottile e flebile. «Mi dispiace. Pensavo di poter aggiustare
le cose.»
As a
pain relief inside of me
«Lei
dice che non solo sei un
italiano, ma sei anche un uomo senza palle» disse con rude
sincerità, «perché
tu non le hai parlato di persona. Che se noi stiamo insieme, per lei io
non
sono più il suo figlio.»
Marco
tremò e abbassò lo
sguardo. Sperava che, almeno, la madre di Michael potesse perdonarlo
con quel
gesto. Invece sembrava quasi che si fosse immischiato in affari altrui,
cosa in
un certo senso vera. Per di più, era colpevole di essere un
italiano.
«Scusami.»
Michael
non rispose, se ne
andò semplicemente via con passo pesante.
Before
you go
Let
me thank you
Marco
entrò in casa, si richiuse
la porta alle spalle e semplicemente pianse. Pianse di rabbia nei
confronti di
Michael e della sua freddezza, pianse per i sensi di colpa a causa di
sua
madre, pianse di pietà per se stesso. Pianse per amore.
'Cause
you killed me
And
you did it perfectly
Continuò
a versare calde
lacrime finché non sentì bussare alla sua porta.
«Marco,
I’m so sorry»
gridò Michael dall’altra parte della porta,
affinché
Marco lo sentisse forte e chiaro.
Erano
tornate le montagne
russe.
I
would rise even if
I
was on the ground and you standing in front of
me
Marco
aprì la porta, venendo
letteralmente investito dall’abbraccio di Michael, il quale
lo tenne stretto a
sé come a impedirgli di sciogliersi dalle sue braccia, tutto
il contrario di
ciò che Marco avrebbe desiderato. Prese a riempirlo di baci
sul viso e, non
appena le sue labbra incontrarono le guance umide di Marco, prese a
ripetere “Oh,
sorry” tra un bacio e l’altro, rapidi e pronti ad
asciugare le sue lacrime.
Profondamente dispiaciuto per esserne stato la causa.
We
can't surrender even a gram of love
Forse,
dopotutto, non era
Marco la sola parte lesa, come aveva pensato fino ad allora. Era stato
così
comodo recitare la parte della vittima per tutto quel tempo, non aveva
mai
prestato attenzione a quanto anche Michael ne avesse sofferto.
«Michael»
lo richiamò. Doveva
dirgli ciò che si era prefissato, doveva mettere le cose in
chiaro senza che
null’altro lo distraesse.
Ti
solleverei anche se
Io
fossi a terra e tu là in piedi
Non
dobbiamo cedere
Nemmeno
un grammo d'amore
«Shhh»
lo zittì con dei baci
sulle labbra tanto dolci da stordirli, belli quasi quanto lui,
inebrianti più
di ogni cosa, talmente tanto da infrangere ogni metro di paragone.
Un
grammo d'amore agli altri
Poi,
con voce tenera e
sospirata, parlò al suo orecchio prima di baciare anche
quello.
Le
sue parole gli tolsero il
respiro, tanto erano vicine ai suoi pensieri.
«We can't surrender even a gram of love.»
La
soffitta dell’autrice:
Chiedo
scusa per l’abissale
ritardo con cui pubblico questo capitolo. Mezzo mese mi ci è
voluto. Ho avuto
problemi, so che la cosa non mi giustifica, ma è
così.
Ho
scritto questo capitolo
tutto oggi, lasciandomi trasportare dalle sensazioni che mi venivano
fuori.
Spero che non sia uno schifo totale.
Grazie,
comeunangeloallinferno94.
Sei più che una semplice beta.
Spero
vi piaccia il
capitolo, baci.
|
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Capitolo 7 *** The only way is up ***
Rock bottom
Quando
Marco si svegliò,
intuì subito che c’era qualcosa di diverso.
Il
cielo, tanto per dirne
una, era scuro come fosse notte fonda. Osservò
l’orologio digitale e scoprì che
il quadrante segnava le quattro e diciassette del mattino.
Sospirò: dopo aver
passato la precedente notte in bianco, e dopo un sonnellino durato due
ore
appena, non aveva più avuto occasione di riaddormentarsi se
non nel pomeriggio
inoltrato. Comprensibile che la sera fosse stata spesa nel pieno della
fase
REM.
Forse,
però, la causa non era
il cielo. Forse si trattava della fame. Marco non aveva mai fame, o
meglio, ce
l’aveva quando si sentiva particolarmente bene con se stesso.
Per il resto del
tempo, si prefissava degli orari in cui si costringeva a nutrirsi,
giusto per non
crollare a terra in presa a un calo di zuccheri. Quel giorno,
però, aveva
proprio voglia di una bella colazione completa all’italiana,
con tanto di
cappuccino, cornetto appena sfornato, miele e biscotti.
Ci
rifletté. No, non si
trattava neppure della fame. Era qualcosa di meno fisico,
più che sentirlo, lo
percepiva.
Oh,
giusto.
Aveva dormito assieme
a
Michael per tutta la notte.
I want to bury my head in the sand
I want the seas to wash me away
Si
voltò dall’altra parte,
giusto in tempo per vederlo fissare lo schermo del cellulare con aria
afflitta,
da esso illuminato come una piccola torcia che puntava il proprio cono
di luce
esattamente sui bei lineamenti dell’uomo.
«I
paparazzi» sussurrò egli.
Probabilmente si era accorto che Marco era sveglio, ma non riusciva a
staccare
gli occhi dal telefonino, «sono messi vicino a casa
mia.»
Marco
sospirò e poggiò una
mano sulla sua.
I wish someone was holding my hand
But I’m too scared to ask you to stay
Nel
pomeriggio, quando avevano
deciso di andare a dormire (ciascuno a casa propria) Michael aveva
ricevuto una
chiamata dal suo manager italiano, un ometto occhialuto e alla mano di
nome
Giulio. Lo aveva avvisato dell’orda di paparazzi che,
appostati nei pressi del
suo appartamento, che lo aspettavano perché rilasciasse
delle dichiarazioni –o,
per meglio dire, gliele avrebbero strappate di bocca– a
proposito del suo matrimonio
saltato.
Era
pur vero che era stato
Michael a porre fine a quel matrimonio ancor prima che questo
cominciasse, ma
ciò non significava che non ci stesse male, o che fosse
pronto a parlarne.
Così, con somma gentilezza, Marco lo aveva invitato a
passare la notte nella
sua umile dimora. Sul divano, ovviamente. Perché non erano
più, o non ancora,
una coppia, dunque sarebbe stato alquanto sconveniente dormire nello
stesso
letto, così aveva detto a Michael e lui era parso del suo
stesso avviso.
Questo,
almeno, fino al
momento in cui entrambi si ritrovarono sotto le coperte. Erano passati
solo
venti minuti, che già Michael si era presentato al capezzale
di Marco, con il
cuscino stretto al petto, implorandolo di tenerlo con sé per
quella notte
soltanto.
Marco
provò una sensazione
bruciante di vergogna mista a tenerezza: di fronte a quella richiesta
non era
riuscito a tirarsi indietro; per di più, nel momento in cui
Michael si era
infilato nel letto, Marco aveva cercato il suo calore, che fosse
esclusivamente
il calore di un abbraccio. Si vergognò ad ammettere che in
quel momento, in cui
non erano stretti l’uno all’altro come lo erano
stati nelle ore precedenti e
non si scambiavano baci fugaci e deliziosi, Marco avvertiva
più che mai gli
spilloni gelidi del freddo pungente. Era così che doveva
essere.
«Non
ti preoccupare» disse
piano, mettendo da parte quei pensieri. «Vedrai che tra un
po’ troveranno qualcun
altro da tormentare.»
Ma
l’altro scosse la testa.
«Tra poco c’è i bootcamp. Noi giudici
siamo, come si dice? Dentro l’occhio di
un fucile.»
«Nell’occhio
del mirino» lo
corresse.
Michael
sbuffò. «Già siamo in
mirino, poi io non sposo più. I giornalisti mi massacreno stavolta.»
Con
una scrollata di spalle,
le sue preoccupazioni furono eluse. «E allora?
Cioè, tu non hai paura di loro.
Andrai lì e li ignorerai, oppure gli spiegherai quello che
vogliono sapere
senza peli sulla lingua, come hai sempre fatto.»
Per
un momento, pensò di
averlo aiutato per davvero con quelle parole. Questo finché
Michael non si alzò
dal letto, senza neppure degnarlo di uno sguardo, come il peggiore
degli
amanti. Per due che non erano neppure andati a letto quella notte, fu
una scena
quasi ridicola ma, per Marco, fu semplicemente molto dolorosa.
Si
alzò qualche secondo dopo,
cercandolo con lo sguardo, per poi ritrovarselo nel soggiorno a
guardare la
notte dal balcone. Indossava un pigiama di Marco, il quale
notò che, nonostante
le caviglie e i polsi scoperti, quegli indumenti erano troppo larghi
per Michael.
L’essere il più basso e in carne dei due era fonte
d’imbarazzo per Marco, un
imbarazzo tale da chiedere di essere verbalmente espresso.
«Sei
così alto» ammise, «e
magro. Le mie cose non ti andranno mai bene addosso.»
La
frase suonò quasi come un
insulto e questo mise Marco ancora più a disagio.
Non
sapeva cosa fare, né cosa
dire. A dirla tutta, ce ne sarebbero state di cose da dire. Non avevano
ben
chiarito la natura della loro relazione. Michael non gli aveva
raccontato tutto
ciò che era successo alla festa di fidanzamento, non a mente
lucida, almeno.
Marco desiderava sapere in che modo sua madre si fosse espressa circa
la
lettera che le aveva lasciato prima di tornare in Italia.
Ma,
ancora una volta, dovette
lasciare da parte i pensieri, che si annullarono totalmente una volta
che
Michael ebbe parlato.
«Non
sono quello che tu
credi.»
«In
che senso?»
Aspettò
un po’ prima di
rispondere. «Tu pensi che io sono egoista, che io mi importo
solo di me, vero?»
«Non
ho mai pensato questo»
mentì. «Cioè, sì,
è vero, lo pensavo, ma questo era prima. Adesso...»
«Adesso
è tutto uguale» terminò
per lui. «Pensi che io sono così: chi se ne frega
de la mia mamma? Del mio ex,
de giornalisti o anche de te? La cosa la più importante
è che io sono ok, tutto
il resto è noia.»
Marco
non poté ribattere e
restò in silenzio, mordendosi le labbra. Che cosa avrebbe
potuto dire, se non
che era esattamente ciò che pensava di lui? Nonostante
avesse capito di esserne
ancora innamorato, Marco era ben lontano dal perdonargli tutti i suoi
errori.
Nella sua testa, forse, lo aveva demonizzato fino
all’estremo, rendendolo un
essere del tutto incapace di empatia e di bontà. Era stato
sciocco da parte
sua.
Non
ricevendo alcuna
risposta, Michael proseguì: «Beh, tu fa un errore.
A me importa de la mamma e
de te, di tutti. Mi importa di quello che la gente dice su di me. Io
dico
sempre: chi se ne frega di loro?, io sono come sono. Ma io ho paura,
dentro di
me. Ho paura di paparazzi e di come possono cambiare la
realtà, la mia realtà.»
I’m on my knees, I’m
calling my own name
I’m on my knees, I think this is it
Gli
occhi di Marco erano due
fessure, colme di compassione nei confronti di Michael. Cosa gli stava
succedendo? Non era mai stato debole, né fragile e di certo
non aveva mai avuto
paura di niente.
O
forse era soltanto più
abile degli altri a mascherarlo.
«Ma
tu dici sempre tutto alla
stampa» fece, poco convinto.
«Dico
tutto perché se io non
faccio così, loro inventano» spiegò,
lasciando Marco ancor più confuso e
stupefatto.
Aprì
la bocca per parlare, ma
subito la richiuse. Cosa poteva aggiungere?
A
volte, soprattutto per chi
non lo conosceva, il famoso Mika sembrava un essere enigmatico e
perfetto.
Diceva sempre tutto ciò che pensava e non aveva paura di
avere opinioni che gli
altri avrebbero giudicato scandalose o ridicole e lo faceva in modo
talmente
spontaneo da conquistare tutti. Aveva ammesso che una piccola parte di
sua
madre lo avrebbe preferito etero e normale, aveva dichiarato di non
volersi mai
sposare, ma di essere totalmente a favore dei matrimoni tra persone
dello
stesso sesso, aveva confessato addirittura la durata delle sue
prestazioni
sessuali... ma ammettere di aver lasciato Tim a un passo
dall’altare era tutta
un’altra cosa.
Marco
capì che Michael aveva
paura di dire una verità che non riguardava soltanto lui:
riguardava sua madre,
perché si era vergognata di lui; riguardava Tim, che lo
aveva sbugiardato di
fronte ai parenti e agli amici stretti; riguardavo Marco che era stata
la causa
della loro rottura; riguardava la famiglia che lo voleva accasato con
un
inglese, o francese, forse addirittura americano, purché di
buona famiglia,
piuttosto che un italiano che si era arricchito con la fama.
Era
troppo anche per un
essere perfetto.
I’m on my knees, I feel that the
world could end
I wish us a new beginning
Marco
si avvicinò lentamente
a Michael, dandogli il tempo per voltarsi e vederlo sempre
più vicino. Una
volta giunto di fronte a lui, lo circondò con braccia
silenziose e comprensive,
lasciando, o meglio, sperando che tutto il timore fluisse come un fiume
da
Michael a lui. Passami il dolore,
sembrava dire quella stretta.
Poi
lo baciò, una volta
tanto, fu Marco a baciare Michael. Non per pietà, come
avrebbe potuto pensare,
né per il senso di colpa. Era un modo, forse
l’unico adatto a Marco, per dirgli
che lui c’era.
Erano
un duo piuttosto
sgangherato, a dirla tutta. Marco non lo aveva perdonato del tutto e
non sapeva
se lo avrebbe mai fatto, Michael aveva dentro di sé molte
cicatrici non ancora
ricucite, entrambi avevano dei trascorsi che li portavano naturalmente
alla
diffidenza.
Ma
c’erano e ci sarebbero
sempre stati l’uno per l’altro. Perché
era così che doveva essere, tra due
anime affini.
Because I hear a voice so small but big enough
to hear
There’s more, no don’t give
up, no
don’t you give in
Dopo
una doccia e una buona
colazione, ordinata dal bar di fronte e consumata insieme a casa, si
ritrovarono ambedue più sereni e lieti, nonostante il
turbamento di Michael
fosse chiaro agli occhi di Marco.
Quest’ultimo
cercò di
temporeggiare quanto più poté, finché
poi non poté resistere più e sbottò:
«Devi
tornare a casa tua.»
A
Michael per poco non cadde
il croissant di mano quando lo sentì. «Marco, se
qui io sono disturbo...»
Scosse
la testa. «Credimi,
non è per quello.»
«No?»
Delicatamente,
Marco tolse la
brioche dalle mani di Michael, mani che si premurò di
stringere lui stesso.
«Tu
ne hai bisogno» dichiarò,
senza un briciolo di esitazione. «Tu devi andare
lì e affrontare la tua paura: quella
di essere assalito da giornalisti ficcanaso.»
Michael
ritrasse le mani e lo
guardò come avrebbe fatto con un insetto, impietosito e
disgustato.
«Aspetta,
Michael, so che
sembra spaventoso, ma se non torni a casa e ti rifiuti di parlarne, li
insospettirai ancora di più.»
«Fuck off, possono impiccare me. Non
dirò una parola a loro»
sbraitò.
Sospirò.
«Ascoltami. So bene
cosa significa quando i giornalisti si impicciano nella tua vita
privata. Ma se
continuerai a nasconderti, quello che potrebbe essere un piccolo gossip
passeggero diventerà un segreto inconfessabile. Allora la
gente sì che
pagherebbe per estorcertelo.»
L’espressione
di Michael si
addolcì. Sapeva che, se Marco parlava in quel modo,
c’era un motivo più che
valido: all’inizio della sua carriera, si era rifiutato di
ammettere la sua
omosessualità per giocare con il mistero e
l’ambiguità, così da essere
più
interessante agli occhi di tutti. Ma quel gioco era rischioso e alla
fine si
era ritorto contro di lui, così che ora la gente di tutte le
età, sessualità ed
etnie gli stava addosso, opprimendolo affinché rispondesse
alla fatidica
domanda: etero o gay?
Michael
gli carezzò i dorsi
delle mani con i pollici, prima di rispondere: «Io non sono
ancora pronto.»
«Allora
per ora dovresti
semplicemente ignorarli e poi, quando te la sentirai, ammettere tutto.
Puoi
fare tutto quello che vuoi, fuorché nasconderti.»
Yeah I can hear a voice so small but big enough
to hear
There’s more, don’t give up
now,
you’re finally here
Stavolta
le parole di Marco dovevano aver fatto centro, perché lo
vide rifletterci su, a
testa bassa e con il naso leggermente arricciato, tanto da farlo
ridacchiare
sotto i baffi. Alla fine sbatté leggermente una mano sul
tavolo con fare
risoluto.
«Marco,
tu hai ragione» esclamò, «e io affronto
i paparazzi.»
«Così
si fa!»
Rock bottom
I’ll hit rock bottom
I’ll hit rock bottom
All’improvviso,
Michael premette le labbra contro le sue. Stavolta a lungo e con la
bocca
spalancata, senza pudore, facendolo arrossire: era forse il loro primo
bacio
vero da quando se n’erano scambiati uno litigando, la
settimana prima, quasi
per errore. Quel bacio, invece, sapeva di decisioni consapevoli e
scelte tanto
difficili quanto dolci. Ne ebbero per un bel po’, prendendo
l’uno dall’altro
ciò di cui aveva bisogno. Oh, quanto era affamato il suo
dolce italiano, che ne
mordeva a sazietà, con un tenero e avido egoismo che Michael
letteralmente
adorava.
«Grazie,
Marco. Sei tutto» gli disse, piano.
L’altro
deglutì, tenendo a freno le emozioni. «Non
c’è di che.»
Sorrise.
I’m not afraid to hit
Rock bottom
«Quindi
mi fai restare anche stanotte?» se ne uscì Michael.
Fece
un sorriso beffardo che Marco si premurò di cancellare a
suon di schiaffi sul
petto. In realtà, questo non fece che far scoppiare a ridere
Michael, che finse
di sfuggirgli solo per farsi acchiappare, giocando come bambini
finché non si
ritrovarono in camera. Stavano distesi di schiena sul letto,
l’uno dal lato
sinistro e l’altro dal destro. I loro corpi erano lontani, ma
i loro visi erano
vicini.
The
only way is
up
Michael
emise un lungo sospiro. «Quando io ho detto che ero gay,
mamma diceva che
andava bene per lei e anche per papà. Ma quando vedeva me
con uomini, lei era
triste e io lo capivo.»
Marco
si voltò e lo ascoltò, in religioso silenzio. Si
stava aprendo, con lui. Lo
stava facendo sentire importante per l’ennesima volta.
The
only way is
up
«Quando
ho innamorato di Tim, lui aveva soldi e famiglia con un nome alto,
così lei
poteva essere meno delusa. Io l’ho amato, ma tanto ha fatto
che mamma amava noi
insieme più che io.»
Michael
non disse altro.
Marco
non disse altro.
Cosa
avrebbero potuto aggiungere a quella confessione?
The
only way is
up
Quella
discussione, in realtà, continuò molto dopo che
le labbra di Michael avevano
cessato di muoversi. Creavano domande che restavano sospese
nell’aria, appese
al soffitto, in attesa solo di essere colte per dar loro una risposta.
Mamma era davvero felice che mi
sposassi
con un uomo?
La signora Penniman gradirebbe un italiano alla sua tavola?
E se Tim dicesse alla stampa che
Marco è
gay per vendicarsi?
Perché mi sto
affezionando di nuovo a
lui?
Se provassi a sedurlo, lui mi
riterrebbe
una sgualdrina?
Dovrei baciarlo?
The only way is up
Non
vi fu risposta a quelle domande, né quella sera
né le sere future.
Ma
si strinsero, braccia tra le braccia riempiendosi di baci
finché ne furono paghi.
La bocca di Michael era affamata, si saziò con quella di
Marco e ne esplorò
ogni anfratto più nascosto, mentre quest’ultimo
godeva di questi benefici e li
onorava come doni divini, ripagandone ciascuno più del
precedente.
Il
sole li colse ancora tra i baci.
Fuori
albeggiava.
But
now I’m
standing staring at the sun
You
pick me up in your loving arms
Mika non commenta. Che la rottura
sia
solo una bufala?
Una
settimana dopo, i giornalisti erano intenti a ideare le più
strampalate
congetture per spiegarsi le mancate spiegazioni di Michael. Lo videro
andare a
lavoro presso X Factor, senza vedere sul suo volto traccia di
tristezza,
inquietudine o rabbia. Dunque avevano iniziato a inventare. Forse non
si erano
veramente lasciati, forse si erano lasciati di comune accordo, forse
non erano
mai stati insieme e l’intera giuria del talent italiano si
era apprestata a
mentire solo per creare uno scandalo che portasse il nome di Mika su di
sé.
Qualunque fosse l’ultima trovata della stampa, quando Marco e
Michael giunsero
dietro le quinte del programma, entrambi parvero rinati.
Michael
salutò Irene con tanto di inchino, baciamano e saltello,
tanto che lei rise
definendolo “un principe giullare”. Marco, dal
canto suo, strinse Elio in un
abbraccio un po’ troppo forte.
«Marco,
oggi ti sei trasformato nell’incredibile Hulk?»
chiese ridendo.
E
non aveva torto.
Per
i bootcamp, a ogni giudice era stato chiesto di vestirsi di un dato
colore:
Elio indossava un’eccentrica giacca rosso rubino con
pantaloni in tinta; Marco aveva
indosso maglia, gilet e pantaloni, ciascuno di un verde diverso; Irene
era
fasciata vestito bluette, grazioso ma di impatto, degno di una punk
degli anni
’70; Michael, infine, portava una giacca dorata tutta
tempestata di paillettes
sopra una camicia e un paio di pantaloni rigorosamente bianchi.
Sembravano
pedine su un tabellone di un qualche bizzarro gioco da tavolo.
«Allora,
spiegatemi meglio» Irene si rivolse a loro. «Noi
arriviamo in questa stanza buia,
dove ci sono tutti i concorrenti, le luci si accendono e i ragazzi
sono...
colorati?»
Marco
le mise una mano sulla spalla. «Noi entriamo nella stanza
buia, le luci si
accendono e ogni categoria di concorrenti sarà seduta sugli
spalti del colore a
loro assegnato. Ad esempio, se le under donne sono sedute su seggiolini
gialli,
vuol dire che il giudice della loro categoria e questa specie di premio
Oscar
alto due metri» concluse, indicando Michael con un gesto.
Risero
tutti e, quando l’ilarità cessò, Irene
iniziò a innervosirsi.
«Datemi
tutto, ma non ragazzine con gli ormoni in tempesta. Troppe ovaie in una
stessa
stanza non lavorano bene» mise in chiaro, in modo alquanto
colorito.
Michael
ne rise, accostandosi in modo ben poco casuale a Marco. «Oh,
io mi metto sulle
ginocchia, Gesù, dammi le band!»
«Giù
le mani, quelle sono mie» lo sfidò Marco, ridendo.
Sia
Elio che Irene li osservarono con una punta di tenerezza: sicuramente
avevano
saputo che Michael non si sarebbe sposato e, nei loro pensieri, Marco
aveva
preso a comportarsi bene soltanto per tirarlo su. Che ragazzo
d’oro.
Se
solo avessero saputo quello che era accaduto veramente.
Marco
e Michael non si erano visti da quella notte in cui Marco aveva
accettato di
ospitarlo un’altra sera –non che gli pesasse. Aveva
cucinato per lui e insieme
con somma gioia avevano cantato.
Poi,
Michael aveva affrontato i paparazzi.
Marco
aveva comprato tutti i giornali di pettegolezzi in circolazione per
controllare
cosa avessero scritto di lui e aveva scoperto, con sua grande sorpresa,
che
Michael era tornato a casa sorridendo calorosamente ai fotografi, senza
però
rilasciare alcuna dichiarazione. Ecco perché i giornalisti
si erano messi a sparare
congetture: cosa avrebbero potuto scrivere di un sorriso muto?
Marco
era fiero di lui, anzi, scoppiava letteralmente d’orgoglio.
Ma
questo, a lui, non lo avrebbe detto. Qualche bacio e più di
ventiquattrore
insieme non facevano di loro una coppia, al contrario, Marco si era
persuaso
che la cosa migliore da fare fosse aspettare. Se, con il passare del
tempo,
Michael si fosse rivelato innamorato, senza riserve né
rimorsi, proprio di lui,
allora forse avrebbe potuto valutare la possibilità di
tornarci assieme.
Sì,
ma quanto avrebbe dovuto attendere?
Michael
era stato fedele a Tim per sette anni, ma poi l’arrivo di
Marco aveva rovinato
tutto.
Forse,
l’unica cosa che lo bloccava era proprio sapere di avergli
rovinato la vita.
I thought that I would never let go
The nightmare and I had become one
Un
tecnico richiamò i quattro all’ordine, imponendo
loro di entrare uno per volta
nella sala che ospitava i ragazzi. Irene fu la prima. Entrò
incrociando le dita
dietro la schiena, poi la porta si richiuse sui suoi riccioli bruni da
sirena. Attesero.
Qualche
secondo più tardi, un coro di limpide voci maschili si
levò per lei: le erano
stati assegnati gli under uomini.
Poi
fu la volta di Elio, il quale, dopo che fu entrato, ricevette il calore
di
strillanti voci di ragazze che lo accolsero con l’entusiasmo
che solo delle
adolescenti che vivono il loro sogno possono avere. Under donne, senza
dubbio.
Marco
rise. «Ma potrebbe essere il papà di ognuna delle
sue concorrenti!»
La
sua ilarità, però, non durò a lungo.
Perché
due forti mani gli arpionarono le braccia, portandolo lontano.
Perché
un torace solido e definito premette contro il suo.
Si
sentì improvvisamente schiacciato tra il muro e Michael.
Approfittando
della distrazione di tutti, aveva preso Marco di forza e lo aveva
portato
dietro l’angolo, senza dargli via di scampo. Inchiodandolo.
I’m on my knees, I’m
calling my own name
I’m on my knees, I think this is it
Avvampò
quando il viso di Michael si fece più vicino. Nonostante si
fossero già
scambiati ampi e caldi baci, averlo a quella distanza fu tutta
un’altra cosa.
Il ghigno che gli vedeva impresso sulla bocca e quegli occhi penetranti
e
seducenti fecero di Marco una facile preda di qualunque fossero gli
scopi di
quel folle. Aveva qualcosa in testa ed era evidente che avrebbe
raggiunto i suoi
scopi, qualunque essi fossero.
I’m on my knees, I feel that the
world could end
I wish us a new beginning
«Ora
non fai più lo scappatore»
soffiò, a
un centimetro dalle sue labbra. Il suo fiato caldo lo spinse a
socchiuderle,
urlando silenziosamente: ancora.
Lentamente,
Marco scosse la testa, sentendo nel corpo spandersi una miriade di
brividi. Non
erano così intimi da mesi, e Marco riconobbe le fitte
familiari al cuore e
sotto il ventre che solo quell’uomo era capace di causargli.
Il
corpo di Michael si fece più vicino. I loro petti aderivano
l’uno all’altro, le
loro cosce si sfioravano, i loro ventri erano incollati e,
benché Marco
provasse a ritrarsi, non c’era scampo da quelle sensazioni
scalpitanti, troppo a
lungo trattenute.
Rimasero
così per qualche secondo, sospesi nel vuoto.
«Che
cosa fai?» balbettò Marco, timidamente.
Because I can hear a voice so small but big
enough to
hear
There’s more, no don’t give
up, no
don’t you give in
Il
suo sorriso, malizioso e sadico, si fece più ampio e
appagato. «Tu sei
agitato.»
Le
sue labbra si accostarono al suo orecchio. «Sei nervoso. Ti
piace avermi così
vicino.»
Marco
boccheggiò in cerca di aria fresca. Cosa gli era preso? Fino
a qualche giorno
prima lo implorava solo per un abbraccio e ora stava facendo leva sul
suo
desiderio, desiderio che perfino Marco aveva egregiamente ignorato.
Come aveva
fatto Michael a vederlo, invece, come palesatosi di fronte ai suoi
occhi
penetranti?
«Tu
vuoi me di nuovo, vero?» fece scendere le labbra, le quali
indugiarono sul suo collo.
Non lo sfiorarono neppure, ma le reazioni di Marco a quella vicinanza
furono
sufficienti a dare conferma di ciò che era appena stato
detto. «Io lo so.»
«Non
è così» riuscì a rispondere,
ma gli ansiti deboli che gli sfuggirono di bocca
tradirono le sue vere intenzioni.
Yeah I can hear a voice so small but big enough
to
hear
There’s more, don’t give up
now,
you’re finally here
«Ah,
no?»
Michael
aprì la bocca. Marco chiuse gli occhi voltando il viso, per
non vedere la mossa
successiva. Non avrebbe retto a tanto.
Inaspettatamente,
tutto ciò che ricevette fu un tranquillo e soffice bacio
sulla guancia. Sgranò
gli occhi per la sorpresa e si voltò di scatto verso
Michael, che a stento
tratteneva una risata soddisfatta. Si allontanò con fare
beffardo da lui, come
se avesse ricevuto esattamente le risposte che si aspettava.
Rock bottom
I’ll hit rock bottom
I’ll hit rock bottom
«Tu
dice che io non posso averti perché ho appena lasciato
Tim» sorrise,
trionfante. «Ma io so cosa volio. Volio te. Tu sei quello che
non sa.»
Le
guance di Marco si imporporarono, in un misto di imbarazzo, timidezza e
irritazione. «Io so perfettamente cosa voglio.»
Scosse
la testa. «Non ti credo.»
Aprì
la bocca per ribattere, ma lui lo interruppe. «Quando tu
capirai cosa vuoi, io
ti aspetto.»
I’m not afraid to hit
Rock bottom
Un
tecnico chiamò il nome di Marco.
Egli
si affrettò a precipitarsi in quella grande sala che lo
attendeva,
allontanandosi quanto prima da Michael. Ringraziò il cielo
che la stanza fosse
così buia, abbastanza da celare il suo rossore e la sua
confusione.
The
only way is
up
Si
rifiutava di volere di nuovo Michael. Non poteva andar bene: la loro
storia era
finita per una ragione, e ricominciare daccapo non avrebbe di certo
portato a
un lieto fine. Inoltre, la sua presunzione, tutto quel “tu
non sai cosa vuoi,
io sì” lo aveva mandato su tutte le furie. Per di
più, si sbagliava di grosso:
il problema di Marco era che sapeva benissimo ciò che
voleva. E lui voleva
Michael.
The only way is up
Non
poteva averlo, però. Sarebbe stato troppo rischioso, troppo
azzardato, si
trattava di puntare davvero troppo in alto per lui. Ci aveva
già provato una
volta e non era finita molto bene.
Si
morse le labbra.
Ma
come poteva non pensare che i momenti appena passati fossero stati
dannatamente
belli?
Perché,
si chiese, doveva continuare a lottare? Dopo aver ceduto, le sue difese
si
erano risollevate e forse addirittura rinforzate. Si rese conto, suo
malgrado,
che a erigere quelle mura ci stava rimettendo lui soltanto,
perché Michael non
avrebbe esitato un solo istante a riprenderlo con sé. Marco,
però, era ancora
troppo intento a punirsi per aver mandato a gambe all’aria un
matrimonio.
Uno
scriteriato, folle pensiero gli balenò in mente.
Forse,
solo forse, l’unico modo per uscire da quella situazione era
puntare in alto.
Se
avesse, in via del tutto ipotetica, ceduto alle attenzioni di Michael,
cosa
sarebbe successo?
The
only way is
up
Non
lo sapeva e ne aveva una paura matta, anche solo sognarlo pareva
un’eresia.
Ma
i sogni non sono peccati, no?
Le
luci si accesero.
E
Marco, tra le urla dei suoi concorrenti, con gli occhi che gli
brillavano
dall’emozione, pensò a quanto fosse bello essere
un giudice.
La
soffitta dell’autrice:
Inizio
subito ringraziando comeunangeloallinferno94. Perché?
Perché giuro che questo
capitolo era di una noia mortale finché lei, da beta
eccezionale qual è, non mi
ha spronata a dare di più. L’ho rivoltato come un
calzino, ‘sto capitolo, ma
alla fine è uscito fuori qualcosa di decente.
Grazie
mille ♥
Spero
vi sia piaciuto, alla prossima! Baci.
|
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Capitolo 8 *** Giuro, io lo aspetterò ***
Dove siamo
«Oh,
Marco Mengoni!»
La
familiare voce di Michael
tuonò a gran voce il suo nome al microfono.
Il
primo giorno di bootcamp
era trascorso in una relativa serenità, frammista a tensione
e un pavido
imbarazzo da parte di Marco che, per tutta la durata delle
registrazioni, non
riuscì a capacitarsi di essere stato brutalmente sedotto da
Michael.
Quest’ultimo, ogni qualvolta lo guardava o si rivolgeva a
lui, esplodeva in una
risatina soddisfatta, perfettamente consapevole di aver fatto
capitolare Marco
con quelle parole e quei gesti. Poi, una volta tornato a casa in
limousine
insieme a Elio, aveva ricevuto da quest’ultimo un messaggio
nel quale gli
faceva i complimenti: il disagio provato in seguito ai tentativi di
Michael di
conquistarlo sembrava aver consolidato il suo
“personaggio”, ossia il dolce
timidone, serio ma maldestro, che al pubblico sembrava piacere un
sacco. Elio
si era congratulato per la capacità di aver creato e fatto
suo un archetipo.
Se
solo avesse saputo che
quello era tutt’altro che un archetipo, ma il suo lato
più introverso, forse
non avrebbe sfoggiato un tale orgoglio. Ma questo non glielo disse di
certo.
Giuro,
riparto da qualcosa
Che
non faccia male
Il
giorno seguente, per
Marco, sarebbe stato la vera sfida: sarebbe toccato a lui e a Irene
selezionare
i sei concorrenti ciascuno che, agli Home Visit, si sarebbero giocati
la
possibilità di accedere alla diretta.
Il
desiderio di Marco era
stato esaudito: a lui erano capitate le band e i gruppi vocali. Il suo
compito
era un onore e un onere senza dubbio, ma anche un grande piacere.
Agitazione a
parte, era elettrizzato come un bambino al parco giochi.
Forse,
però, le scosse
elettriche che sentiva sottopelle erano causate da ciò che
aveva fatto Michael il
giorno prima: far crollare le sue ultime barriere, per poi tirarsi
indietro e
lasciarlo a bocca asciutta. In cuor suo, sapeva che avrebbe dovuto
avercela con
lui, come era giusto che fosse, eppure non ci riusciva. Una vocina
insistente
nella sua testa gli diceva che, sì, era così che
le cose sarebbero dovute
andare sin dall’inizio. Che tutti i dubbi, gli ostacoli, le
perplessità e gli
affanni non erano che piccoli intoppi, a ritardare un destino che ora
pareva
quasi inevitabile e che profumava d’amore.
Che
non faccia male come noi
Io
già lo vedo nei giorni tuoi
Così,
perso tra i suoi
pensieri, Marco venne risvegliato dal suono dolce e squillante della
voce di
Michael che chiamava il suo nome. Si voltò
all’improvviso e forzò un sorriso.
Erano
al banco dei giudici in
quel momento, e toccava proprio a lui dare inizio alle danze: non
poteva
permettersi distrazione alcuna.
«Marco
Mengoni» ripeté. «Fai
tu gli onori di casa.»
Marco
sorrise, stavolta in
modo naturale, afferrò il microfono e proclamò:
«Il
secondo giorno di
bootcamp abbia inizio!»
Urla
e scalpiccii di piedi
accompagnarono il suo annuncio. Marco non si sarebbe mai abituato a
quella
foga, ne era certo: era estasiato nel vedere con quanto calore i
giudici
fossero costantemente accolti, anche lui che stava appena imparando e
che, per
ogni passo avanti, ne faceva due indietro. Aveva già tutto
l’amore del mondo se
solo guardava negli occhi uno solo dei suoi fan.
Allora
perché essere così
smaniosi per ottenere anche l’amore di un uomo che lo
confondeva e basta?
Oh,
no. Non si pensava a Michael.
Il giorno prima era stato uno sbaglio, un gioco sporco di quel pazzo
che si era
messo in testa di amarlo, ma sarebbe stato diverso da quel momento in
poi.
Preparatosi,
a metà tra
l’agitazione e l’eccitazione, Marco diede inizio ai
suoi primi bootcamp.
Decise
di valutare in modo il
più istintivo possibile, d’altronde la musica
stessa per lui era istinto puro.
Si curò, tuttavia, dello stile e
dell’originalità di ciascuna band e,
ulteriormente preciso, fu attento a quanto fossero amalgamati i singoli
elementi di ogni gruppo. Se non erano tutti sullo stesso livello, se
una voce
prevaleva sull’altra o due strumenti discordavano, li avrebbe
mandati via e
così fece, forse tentando di zuccherare un po’
troppo i suoi giudizi. I suoi
colleghi criticarono il suo eccessivo tatto, poiché non
faceva che rallentare
il ritmo dei provini, tanto da guadagnarsi il soprannome di
“lumacone”, da
parte di Michael, ovvio.
Qualche
turno dopo, arrivò la
sua girl band preferita dalle prima audizioni, le Pop Coture. Furono
strepitose,
meglio, divine nella loro interpretazione di Behind
the wall di Tracy Chapman, anche se Irene le
giudicò dicendo
di loro che avevano “troppa America e poca Italia”.
Marco
rifletté seriamente su
quel giudizio.
«Irene
ha ragione» sentenziò,
quando fu il suo turno. «Questa è una delle regole
più importanti per me. Se
verrete scelte per partecipare al programma, così come tutti
gli altri
concorrenti, prima della prima diretta dovrete trovare un nuovo nome
per la
vostra band, che sia in italiano.»
Sulle
sedie, una squadra
dall’improponibile nome americanizzato sbottò con
sbuffi e polemiche tutt’altro
che velate. Anche parte del pubblico si alterò, facendo
piovere fischi sul
nuovo giudice.
Marco
strinse i denti: aveva
incasinato tutto con quell’uscita azzardata. Fu sul punto di
perdersi d’animo.
La sua reazione istantanea fu quella di guardare Michael, giusto per
vedere
cosa ne pensasse: gli occhi nocciolati dell’uomo lo
incitavano a prendere
posizione; una volta fatta una dichiarazione, tale doveva restare e non
si
tornava indietro. Quello sguardo d’intesa gli diede la giusta
carica per
rilanciare. Tornò a osservare le Pop Coture e rispose al
pubblico: «Mi dispiace
se non siete d’accordo. Ma questo è X Factor
Italia e le band devono avere un
nome italiano. Questo è quanto.»
Il
piccolo coro di fischi
continuò per un po’, finché Marco non
si sbrigò a decretare che le Pop Coture
erano più che meritevoli di una sedia.
Alla
fine, Marco si accasciò
sulla sua poltrona da giudice e tentò di affondarvi dentro.
«Sei
bravissimo» gli sussurrò
Michael, chinandosi verso di lui. «Tu hai schivato un grande desastro.»
Annuì,
mordendosi le labbra.
L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Michael divenisse la
sua ancora,
soprattutto non voleva mostrargli le sue debolezze. Eppure si
ritrovò a
sorridergli di gratitudine: non solo era un giudice esperto e navigato,
ma
l’istinto, ciò che guidava sempre Marco nel bene e
nel male, gli aveva detto
che, se c’era una persona in grado di tirarlo su e
indirizzarlo nel modo più
appropriato solo con uno sguardo, quello era proprio Michael.
Dannazione
a lui.
A
questo punto a me non serve
Adesso
più niente
Dopo
un paio d’ore, le sei
sedie erano ormai complete e Marco si trovò sul punto di
decidere chi di loro
si dovesse alzare per far posto alle due gemelle Di Specchio (palese
nome
d’arte). Nel pieno di quell’ardua decisione,
Michael si chinò nuovamente verso
di lui. Marco pensò volesse dargli un opinione tecnica, o
complimentarsi di
nuovo; di certo, non si aspettava ciò che gli giunse
all’orecchio.
«Tu
porti ancora gli slip che
ti ho regalato io?»
Sussultò
e avvampò. Oh,
quegli slip.
Il
giorno del suo
ventiseiesimo compleanno, Marco lo aveva passato insieme a Michael, il
quale,
tra molti doni pieni di dolcezza, gli aveva fatto un regalo
più piccante
rispetto agli altri: un paio di mutande color prugna, provviste di
push-up. O,
come recitava la confezione, una straordinaria e rinnovata tecnologia
super
push-up che avrebbe reso le sue notti magiche ancora più
magiche.
Chiuse
immediatamente le
gambe al solo pensiero.
«No»
bisbigliò infine,
cercando di mantenere la calma.
Michael
sghignazzò. «Allora
tu sei molto meglio di che ricordavo io.»
Tornò
al suo posto
sorridendo, Marco, invece, si deconcentrò.
Non
sapeva quali fossero le
intenzioni di quel pazzo adorabile, ma una cosa era certa: non gli
stava
rendendo le cose facili. Un giorno erano amici, quello dopo si
concedevano
teneri baci e adesso lui si metteva a decantare le doti delle sue,
inconsuete
quanto imbarazzanti, dimensioni? Le cose si stavano facendo decisamente
troppo
complicate.
Alla
fine, Marco decise di
far subentrare le Di Specchio al posto dei tizi con il nome
improponibile, con
un giudizio blando e tutt’altro che ben formulato.
Sicuramente, la band
eliminata lo avrebbe odiato a morte per il resto della sua carriera di
giudice.
Sospirò,
mentre decideva
quali altri concorrenti tenere sulle sedie e quali sacrificare. Era
dura, sì,
ma dopo aver visto, nel corso delle passate edizioni, giudici piangere
dallo
strazio di dover fare alzare dei ragazzi che se lo meritavano, si
persuase che
fossero davvero soltanto trucchi televisivi. Erano tutti ragazzi
meritevoli, ma
l’obiettivo era trovare quel fattore X tanto nominato e, per
quanto crudele
fosse quel meccanismo, Marco ne apprezzava la metodicità.
«Sbaglio
o tu non ha più la
tua concentrazione?» soffiò
all’improvviso Michael, in modo lascivo.
Ovviamente
aveva ragione e le
gambe di Marco si strinsero tra loro ancora di più. Si
morsicò le labbra,
lasciando che il rossore aumentasse sulle sue guance e formulando
giudizi a
malapena coerenti sulle concorrenti che passavano di fronte ai suoi
occhi. Tenero,
disse il pubblico. Timido, ma giusto. Forse,infondo, non era poi tanto
male
come giudice. Probabilmente era questo il suo modo, a detta del
pubblico, di
esprimere la tristezza per quel metodo di selezione così
doloroso.
In
realtà, Marco era
semplicemente imbarazzato, esattamente come il giorno prima. Michael lo
faceva
di proposito, lo stuzzicava quando non poteva reagire e lo faceva
morire di
voglia quando questa non poteva essere sfogata. Cercò di
ripetersi che faceva
così solo perché sesso e amore, per lui, erano
una cosa sola; e, a dirla tutta,
ricevere le sue attenzioni lo mandava in estasi.
Ho
perso tutto e tutto me
Ho
davanti il futuro insieme a te
Ma
poi, tutt’a un tratto,
l’angoscia lo colse allo stomaco.
Si
stava facendo guidare
dagli ormoni o dal cuore? E con quale parte del corpo stava ragionando
Michael,
nel suo tentativo di riaverlo con sé?
A
che gioco stavano giocando,
esattamente?
«Sei
così sexy quando ti
agiti» gli sussurrò poco dopo, con voce roca.
Marco
tentò di ignorarlo,
insicuro su cosa volesse e sul perché lo volesse. Poi
piantò gli occhi
sull’ultima band da giudicare che, per quanto brava, secondo
Marco non aveva sufficiente
fattore X per meritare una sedia. Una volta concluse quelle difficili
selezioni, si fermò a contemplare la sua scuderia, ricca di
talenti variegati e
particolari, ma anche di nomi americanizzati e di pessimo gusto.
Vi
fu una breve pausa che
consentì ai giudici di andare a rinfrescarsi, di prendere
qualcosa da mangiare
o, nel caso di Marco e Michael, di uscire fuori dagli studios a passo
di marcia.
«Marco,
Marco, Marco. C’è
qualcosa che vorresti dirmi?» sorrise, trionfante, una volta
che furono usciti.
«Tu
non mi ami, vero?» se ne
uscì.
Su
sentieri irraggiungibili
Sguardi
fissi percorribili
Le
parole di Marco stupirono
perfino lui stesso. Non intendeva chiederglielo, si era imposto di
attendere,
di vedere come Michael si sarebbe comportato prima di affrontare quel
discorso.
Evidentemente, il suo cuore e la sua mente non parlavano la stessa
lingua.
«Sì,
invece» rispose Michael,
come fosse la più ovvia e scontata delle verità.
L’altro
sospirò e scosse la
testa. «Mi dispiace, Michael. Io non ti credo.»
«Che
cosa?»
Marco
doveva pur trovare
qualcosa che lo liberasse da quell’opprimente sensazione
così piacevole che
quell’uomo provocava in lui. Non era che
un’illusione passeggera, destinata a
svanire. Questo si disse e, pur pentitosi delle sue parole, non demorse
neanche
per un istante. «Prima ti ho consolato quando hai lasciato
Tim e forse mi sei
riconoscente. Magari ti manca il contatto fisico, può essere
che tu abbia
voglia di, ecco, di sesso. Mi sei grato e vorresti che noi... lo sai,
ed è
facile confondere queste sensazioni con l’amore a volte.
Soprattutto visto che
ora sei in un momento così delicato della tua...»
«Tu
hai paura.»
Marco
lo fissò, stranito, sul
viso una maschera di puro caos. Era così confuso: dentro di
lui, tenerezza e
conforto e timore e rabbia e gelosia si mescolavano tutti insieme,
vorticando a
velocità supersonica e impedendogli di ragionare da essere
umano qual era. Per
un attimo, temette di svenire a causa di quel turbinio soffocante di
sensazioni
contrastanti. Marco voleva Michael, ma lo voleva vicino al cuore o
vicino al
desiderio? Lo avrebbe tradito come aveva tradito Tim, con lui? Si
sarebbe
pentito di aver scelto un italiano senza un nome importante al giovane
rampollo
Van Der Kuil? Non voleva tornare a essere il suo amante, ma si sarebbe
accontentato di qualunque cosa pur di averlo di nuovo per
sé.
Di
certo, però, non provava
paura.
«Cosa?»
«Questo
è scuse, perché tu
hai paura.»
«Non
è vero» dichiarò con
caparbietà.
Michael
lo guardò negli
occhi. «Allora tu guarda me e dici che non hai paura di amare
me di nuovo.»
E
dimmi dove siamo
Per
volare più lontano
All’improvviso,
gli occhi di
Michael divennero troppo luminosi e il suo sguardo troppo intenso,
troppo
pesante. Si sentì schiacciato da qualcosa di più
grande di lui e in qualche
modo, seppe che qualcosa lo faceva star male dentro.
Avrebbe
pianto molto
volentieri.
«Chi
è di scena!» urlò Irene,
piombando all’improvviso alle spalle dei due innamorati, che
subito si
ricomposero e tornarono in sala.
Marco
si morse la lingua. Avrebbe
voluto parlare, dire di più, ma la sua bocca era arida di
parole e la sua gola
chiusa, sopraffatta dalle emozioni. Le parole, quelle giuste, ancora
gli
danzavano sulla punta della lingua, creando un prurito che chiedeva di
essere
liberato e Marco seppe che se non avesse aperto bocca per dare fiato
alla sua
verità, sarebbe esploso.
Scosse
la testa, scacciando
quegli inopportuni pensieri.
La
trasmissione era
ricominciata.
Il
primo concorrente di Irene
entrò. Si trattava di un ragazzino dal look punk e dalla
voce disarmonica e
molesta, il quale sentiva di essere già arrivato alla vetta.
Toccò
a Marco l’arduo compito
di commentare per primo quell’esibizione tremenda.
Non
aveva la testa e il cuore
al posto giusto per poter formulare un giudizio di senso compiuto, o
per dire
qualcosa che non fosse “Michael, sposami o
uccidimi”. Un po’ estremo, ma rendeva
l’idea di ciò che provava.
Prese
un profondo respiro: lo
spettacolo doveva andare avanti.
«Dobbiamo
essere sinceri
oggi. Se non siamo sinceri oggi, allora quando?» fece una
breve pausa, per
raccogliere le parole e disporle al meglio. «Ci sono delle
situazioni nella
vita in cui bisogna dare il meglio di sé, o se non altro
bisogna provarci.
Quando non si riesce, di solito è per due motivi: o
perché te ne importa
troppo, dunque l’emozione ti gioca dei brutti scherzi, oppure
non te ne importa
abbastanza.»
Guardò
i suoi colleghi, i
quali annuirono gravemente: sembrarono fieri della sua considerazione,
come se
tutti pensassero lo stesso. Tranne Michael, che sembrò
completamente assente.
Il
piccolo punk tentò di
difendersi. «Ma che diamine ti inventi? Non
è...»
«Impara
ad ascoltare
innanzitutto» sollevò una mano, interrompendolo.
«In entrambi i casi, vuol dire
che semplicemente non sei all’altezza della situazione.
Questo non è che
l’inizio di ciò che potrebbe essere, ma se fai
questi sbagli adesso, che ancora
la tua carriera non è iniziata, cosa farai quando questo
accadrà? Manderai
tutto all’aria perché non te ne frega
abbastanza?»
Stava
parlando del
concorrente o di se stesso? Michael parve pensarla in
quest’ultimo modo e, in
un certo senso, anche Marco: il suo discorso era pregno della loro
storia la
quale, mai iniziata, era diventata una matassa confusa, piena di nodi e
di
fuliggine di un fuoco ormai spento. Per un attimo, temettero che
l’unica cosa
che li legava fosse quel vago ricordo di passione.
«Forse
non sei adatta a
essere qui, forse sei venuta qui pensando solo “Io ci provo,
così, per gioco”.
Beh, ti dico una cosa: se è così, stai sprecando
il tuo tempo e il nostro e non
solo, stai togliendo il posto ad altre persone che magari lo
desidererebbero
molto più di te. Dimmelo, tu ci credi in quello che stai
facendo? Oppure stai
solo giocando?»
Il
tempo non si sceglie
Puoi
sentirlo sulla pelle
Il
ragazzo non parlò, colpita
dal modo in cui Marco si era imposto. Quest’ultimo neppure si
era accorto che,
nella foga, si era alzato dalla sedia. Si rimise al suo posto,
vergognandosi
profondamente.
Marco
amava Michael.
Giuro, io lo
aspetterò
Non
lo avrebbe mai confessato
ad anima viva, ne fosse andato della sua stessa vita. Ma era bastato
pensare
che lo rivolesse non come uomo, ma come amante, per far risvegliare in
lui una
furia cieca che era andata ben oltre quello che si erano detti, che
avevano
fatto, che lui aveva fatto a Marco. Non poteva più negarlo
oramai.
Semplicemente,
lo amava
ancora e non poteva più nasconderlo. Era arrabbiato,
perché temeva che Michael
in lui vedesse soltanto quello che gli uomini avevano sempre visto in
lui: un
puledro da cavalcare. Ma l’emozione lo spingeva ben oltre
quella convinzione,
forse giusto nell’intento di illudersi ancora.
Le
orecchie gli fischiavano
per le urla che aveva emesso. Aveva creato silenzio attorno a
sé e Michael,
bloccato dalla fobia per i timori forti e forse dalla sorpresa, divenne
paonazzo in viso. Nessuno degli altri giudici osò fiatare,
se non Irene. Inutile
dire che, per il primo concorrente degli under uomini tanto particolare
non
c’era posto sulle sei sedie vuote.
Marco
fissò quelle, per non
girarsi neanche una volta a osservare un Michael che, incredibile a
dirsi, parve
confuso tanto quanto Marco.
E,
per tutta la durata delle
riprese, gli occhi del più giovane oscillarono tra
l’essere aridi e umidi, tra
il deserto e il mare in tempesta.
Il
mattino seguente, Marco
bussò con insistenza alla porta di Michael.
Parve
quasi che l’agnello
andasse a bussare alla tana del lupo ma, per qualche strana ragione,
Marco
forse pensava di essere l’unico ad avere il diritto di
sentirsi triste, deluso
o amareggiato tra loro due. Il viso spento che il suo amato e odiato
libanese
aveva sfoggiato, la sera prima, lo aveva non poco seccato.
O
forse, semplicemente, non
sopportava l’idea attendere un mese per rivederlo, in attesa
degli Home Visit.
Questa era al verità che Marco celava al suo cuore: potevano
anche litigare,
darsele di santa ragione e insultarsi, bastava solo che lo facessero
ogni santo
giorno senza mai smettere.
Anche
se a volte
Lascio
dietro un po’ più di luce
Quando
Michael gli aprì,
Marco faticò a concentrarsi, visto che quell’uomo
riusciva a mozzargli il fiato
anche in t-shirt da notte e pantaloni della tuta.
«Marco.»
«Ok,
che ti è preso ieri? Ti
sei offeso? Ci sei rimasto male?» sbraitò,
entrando in casa.
Michael
rise. Sul tavolino da
soggiorno, Marco notò una bottiglia di Jack Daniels vuota.
«È così che fai
colazione?»
«No,
così io ceno» lo
corresse, stropicciandosi gli occhi. Nel suo fiato, Marco non
avvertì neanche
un vago sentore di alcol, quindi dovette attribuire quella specie di
intorpidimento a tutt’altro.
«Ti
ho svegliato, forse?»
domandò, con aria colpevole.
Annuì.
«Sì, ma non è niente.
Sognavo te.»
«Bene»
commentò. «Cosa hai
sognato?»
«I
bootcamp di ieri» fece,
amaro. «E come tu hai parlato di noi a quel
ragazzo.»
Sì,
ammetteva che non era
stata una bella mossa scaricare sul ragazzo tutta la frustrazione che
provava
per Michael. Ma, per fortuna, solo loro due se n’erano
accorti.
«Non
ho parlato di noi»
puntualizzò.
Come
se la scenata del giorno
prima non fosse già abbastanza, si prendeva addirittura il
lusso di provocarlo,
quando Michael sapeva benissimo che ogni singola parola di quel
discorso troppo
concitato era riferita a lui.
«Ah,
no?» sorrise, tanto con
le labbra quanto con gli occhi. «Quindi tu non è
confuso perché tu ami me ma
hai paura che io ti voglio solo per il sesso?»
Marco
per poco non si ritrovò
a urlare. Era insieme frustrato e sorpreso ed entrambe quelle
sensazioni
scaturivano dal modo in cui Michael aveva sondato perfettamente la sua
anima.
Su
quella scia io traccerò
L’irrazionale
che c’è in me
«Ridicolo»
borbottò appena,
mentre lui si faceva sempre più vicino.
«Sicuro?
Io ho pensato tutta
la notte» continuò, avanzando lentamente,
«a che tu aveva paura ieri. Ma non che
tu ami me, no, tu hai paura che io amo te. Questa è la
verità.»
Marco
fece cenno di no con il
capo, finché la sua schiena non incontrò la
parete fredda. Oh, no, l’aveva di
nuovo bloccato al muro?
Cercò di sfuggirgli, ma Michael lo prese per i fianchi e lo
spinse contro la
parete. Fatemi morire, vi prego,
pensò Marco, perduto nell’inebriante sensazione
che le mani di Michael,
leggermente strette sui suoi fianchi, gli provocavano. Bella, era
dannatamente
bella.
«Non
è vero» balbettò. «Tu
non mi ami. È tutta una cosa di ormoni.»
Si
morse le labbra. Ogni
volta che cercava di difendersi, faceva peggio. Infatti gli occhi di
Michael si accesero di una luce furba e incantevole, poi fece aderire
perfettamente i loro petti.
«Quindi
se io ora ti bacio,
tu non provi niente e nemmeno io?» soffiò, a un
centimetro dalle sue labbra.
Troppo vicino.
Marco,
il viso in fiamme, le
mani tremanti, il corpo teso che cercava in vano di sottrarsi alla
presa di
Michael, sospirò un flebile: «No,
niente.»
E
in equilibrio anche in bilico
Il
vuoto sembra ancor più logico
Michael
spostò le labbra e,
invece di dedicarsi alle sue labbra iniziò a baciare il
punto debole di Marco:
il suo collo.
«Io
ti voglio nel mio letto»
sussurrò.
Quel
gesto, quelle labbra
umide e quel fiato caldo misero Marco al tappeto, facendolo mugolare e
balbettare un poco convinto: «Smettila... per
favore.»
«Io
ti voglio con me, sul mio
divano, a guardare film alla sera» proseguì,
scivolando sempre più giù con la
bocca. «Ti voglio con me la mattina che io preparo colazione.
Ti voglio con me
a X Factor. Ti voglio sempre. Io ti amo, io lo so e tu lo sai perche tu
ami
me.»
«No»
gemette, sia per negare
ciò che provava per Michael sia per via di quei baci, troppo
sensuali ed
eccitanti per permettergli di ragionare. Il suo cuore palpitava al
ritmo della
sua voce.
«So
che quello che faccio ti piace»
sorride, iniziando un percorso sulla sensibile pelle di Marco, fatto di
ghirigori lenti e paradisiaci. «Dillo o non smetto
mai.»
Non smettere mai,
avrebbe voluto dirgli.
Serrando
gli occhi, Marco
trovò la forza di scostarsi dalle labbra di Michael, una
dolce tortura, che
sembrò non finire quando egli poggiò la fronte
alla sua e parlò, quasi
sfiorando le sue labbra.
«So
che ti piace quello che
faccio» ripeté, «come so che ti
amo.»
Lo
aveva detto, più volte,
con convinzione e senza esitare.
Marco
pensò di baciarlo. Lo
aveva già baciato prima di allora, molte volte. Ma si
trattava baci
consolatori, dolci, baci da uomo infatuato. Quello sarebbe stato
diverso.
In
quel momento si sentiva
nudo. Non era pronto a tanto.
«Tu
mi ami, Marco?»
E
dimmi dove siamo
Per
volare più lontano
Schiusero
entrambi le labbra,
caldi nel viso e dolci negli occhi, pronti a un vero bacio
d’amore.
«Mica!»
Un
bussare impetuoso fece
sobbalzare entrambi a un soffio dal bacio.
«I’ve
got a good new for you, my darling.»
Michael
se ne uscì con una
parolaccia. Non lo aveva mai fatto se non per casi eccezionalmente rari.
A
Marco mancò la terra sotto
i piedi.
«Chi
è?»
«Mia
madre.»
Le
ossa di Marco tremarono
come scosse da corrente elettrica. La donna alla quale aveva scritto
scusandosi
e che gli aveva risposto a pesci in faccia, ora era lì, in
Italia? E diceva di avere
buone notizie per Michael?
«Nascondi»
gli ordinò
quest’ultimo. «Vai in mia camera, ora.»
Come
un automa, sopraffatto
dal timore e dall’angoscia, Marco corse nella stanza di
Michael e chiuse la
porta con un tonfo secco, come per sfuggire a quella situazione fin
troppo
complicata. Ancora aggrappato alla maniglia con entrambe le mani, si
accasciò
sul pavimento, mentre le voci di Michael e della sua dolce mamma si
diffondevano nella casa, serpeggiando tra le stanze fino a scivolare
sotto la
porta di Marco e penetrare attutite alle sue orecchie. Le nocche livide
mollarono la presa sulla maniglia, la quale non si richiuse
perfettamente, ma
lasciò aperto uno spiraglio, dal quale Marco poté
assistere, pur nell’assenza,
alla conversazione in un impeccabile inglese.
Nascosto.
Come
un amante.
Il
tempo non si sceglie
Puoi
sentirlo sulla pelle
«Ho
ottime notizie per te»
diceva, in inglese di Londra, la signora Jonni Penniman.
«Devono
essere proprio belle
se vieni fin qui per dirmele» udì una lieve risata
da parte di Michael.
«Ho
parlato con Tim. Dopo
averci riflettuto a lungo, ha deciso di perdonarti e ha acconsentito a
sposarti!»
«Che
cosa?»
Marco
dovette tapparsi la
bocca, per non singhiozzare come un bambino in preda alla disperazione.
Senza
sapere bene perché, il pensiero di Michael
all’altare con Tim lo distrusse più
di quanto non avesse fatto la prima volta.
«Per
fortuna ancora non
abbiamo disdetto nulla» spiegò Jonni, concitata.
«Quindi la data e il locale
restano gli stessi e, beh, anche gli sposi! Oh, tesoro, non
è stupendo?»
Dì di no,
pensò Marco, quasi implorando silenziosamente. Ti prego, dille di no.
«No.»
Un
tale sospiro di sollievo,
Marco non l’aveva mai tirato in vita sua.
«Come
dici, Mica?»
«Mamma,
io ti sono grata per
essere venuta qui, ma sai che io non voglio sposarlo.
C’è un motivo per cui
l’ho lasciato.»
«Sì,
perché lui si era
ingelosito per quell’italiano. Ma ora è tutto
apposto.»
«No,
mamma, non è tutto
apposto.»
«Perché
no?»
«Io
non voglio il matrimonio,
e non voglio Tim, non più almeno.»
Vi
fu una pausa, nel corso
della quale Marco poté constatare di aver pianto senza
neppure rendersene
conto.
«Mica,
è per il ragazzo
italiano?»
«E
anche se fosse?»
Giuro io lo
aspetterò
Vi
fu una pausa interrotta da
dolci sospiri materni.
«Lascia
che ti dica una cosa,
figliolo. L’amore è stupendo, la cosa
più potente al mondo, la base del
matrimonio. Ma dopo vent’anni che sei sposato capisci che
l’amore non basta
più: c’è bisogno di sicurezza, emotiva
e finanziaria. Tim può darti tutto
questo.»
«Sai
chi mi dà sicurezza?»
«Indovino.
Quell’italiano?»
«Sì,
Marco. Con lui sono
sicuro di quello che sono e di quello che faccio, non devo fingere
né cercare
di essere migliore, perché gli vado bene così
come sono, anche quando faccio
schifo con lui. Questo non si paga, mamma.»
«Le
bollette si pagano. Il
mutuo si paga. Il cibo anche si paga, Mica» alzò
la voce. «Parli come se non
sapessi come ci si sente a essere poveri.»
A
quel punto, Michael venne
zittito.
Jonni
proseguì: «Forse credi
di amare il ragazzo italiano perché è carino e
divertente. Ma la sua non è una
famiglia importante, non ha un conto in banca, ha solo... un bel
sorriso e tanti
soldi ammucchiati che ha guadagnato da qualche buona canzone e che un
giorno
perderà. Questo non costruisce un futuro.»
«È
il presente che voglio
costruire con lui.»
Il
cuore di Marco palpitò
talmente forte che temette gli potesse esplodere nel petto. Quelle
parole lo
stavano stravolgendo, distruggendo tutta quella fitta rete di pensieri
formulati e consolidati fino ad allora. Sarebbe morto
d’amore, di questo passo.
«Sai
che non c’è nulla che mi
importi di più della tua felicità.»
«Bene,
mamma. Allora torna da
Tim, digli che abbiamo passato dei bei momenti insieme, ma che se lo
avessi
amato tanto da sposarlo, non mi sarei innamorato di Marco fino a
inseguirlo in
capo al mondo.»
«Oh
Mica, ma tu non vuoi
proprio capire» si impose. «Tim ti ama, tu ami Tim
e voi vi sposerete. Non
butterai dieci anni di amore al vento.»
«Tim
non mi ama. Forse crede
di amarmi ma, se così fosse non arriverebbe a mandare te per
convincermi a
sposarlo. Io l’ho amato, mamma. Ma adesso non riesco
più neanche a pensare a
qualcuno che non sia Marco.»
«Ti
spezzerà il cuore. È solo
un lurido italiano!»
«Il
mio Marco non è un lurido
italiano» strillò. Silenzio. «E io cosa
sono, allora? Io sono un gay. Un idiota
dislessico. Un libanese. Tutte etichette che gli altri mi appioppavano
e che tu
hai passato la vita a distruggere, e adesso ne stai mettendo a
Marco?»
Non
poteva. Michael non
poteva rinunciare al perfetto rapporto che aveva con sua madre soltanto
per
lui, che si era sempre dimostrato mutevole e lunatico nel carattere,
oltre che
ingiusto nei comportamenti. Era solo un brutto sogno, doveva esserlo.
Quando
realizzò che lo aveva
definito suo nel difenderlo, riprese a piangere più forte di
prima.
«Lui
ti ama?»
Sospirò.
«Non lo so.»
Sì che lo sai,
avrebbe voluto urlargli. Lo sai da sempre.
«Però,
mamma» continuò, con
decisione, «preferisco passare la vita a cercare di capire se
mi ama, che sprecare
un solo giorno sposato con un uomo tale da soddisfare il tuo interesse:
far
fare a uno dei tuoi figli un buon matrimonio.»
Sentì
dei rumori. Passi,
fruscii, chiavistelli... Jonni stava andando via?
«Quando
capirai che l’unico
interesse è quello del ragazzo italiano, quando lui ti
deluderà e ti butterà
giù, ricordati che io ci sarò ancora per te. Ma
Tim no.»
La
porta si aprì e si
richiuse con forza.
E
non importa se poi cadrò
No,
no, no, no
No,
no, non poteva averlo
fatto. Non poteva aver rovinato la vita a Michael.
Al
suo Michael.
Non
era neppure intervenuto
per spalleggiarlo, o tirarsi indietro, non era riuscito a fare nulla se
non
ascoltare e frignare. Che un uomo terribile era Marco?
Si
rimise a fatica in piedi,
le lacrime che ancora bagnavano il suo viso e annebbiavano la sua
vista.
Arrancò verso il soggiorno a passo felpato: lì,
Michael era accasciato sul
divano con la testa tra le mani. Risentiva del duro alterco avuto con
sua
madre, nel quale aveva perso la sua stima e l’ultima
opportunità di tornare con
il suo promesso sposo.
«Michael»
tartagliò, con voce
lamentosa.
Ci
proverò ripartendo da lì
Lui
si girò di scatto e, nel
vederlo sconvolto, capì immediatamente. Aveva sentito tutto
e aveva capito, per
lo meno a grandi linee.
«Oh,
Marco, se io sapevo che mamma
veniva qui, ti tenevo lontano da lei.»
Marco
si sedette accanto a
lui.
Tirò
su col naso, mentre con
il lembo della maglia, Michael gli asciugava le lacrime sulle guance,
implorandolo di non piangere.
«Hai
mandato a puttane la tua
vita solo per me» constatò, sotto shock.
Michael
fece spallucce e,
così facendo, ripeté una frase che già
una volta aveva persuaso Marco a tornare
da lui. «Io ti ho detto. Io non vivo senza di te.»
Come
esausto, si poggiò allo
schienale del divano, mentre Marco gli poggiò la fronte sul
petto,
sorprendendolo.
Sospirò,
liberando un
singhiozzo. «Tu mi ami.»
Michael
lo circondò con un
braccio, facendogli sollevare il volto. Sorrideva. «Io cerco
di dirtelo da
quando io sono in Italia.»
Gli
carezzò i capelli con
l’altra mano, trovandoli sorprendentemente soffici.
«Me
ne sono reso conto quando
tua madre ha parlato.»
Il
tempo non si sceglie
Puoi
sentirlo sulla pelle
Marco,
letteralmente
circondato dal calore di Michael, con le sue mani attorno al corpo e la
consapevolezza del suo amore, vero e incondizionato, in un modo che non
sarebbe
mai stato capace di spiegarsi, versò lacrime di commozione.
«Anche
io.»
Avvertì
il battito di Michael
mutare sotto il suo viso, bloccandosi per poi accelerare di colpo. Un
cuore che
batteva al ritmo con il suo.
«What are
you talking about?»
chiese, temendo di aver capito male.
Marco
sorrise tra le lacrime,
finalmente felice di poterlo dire ad alta voce.
Era
il momento di farsi forte
delle sue fragilità. Doveva, e poteva farlo, rischiare tutto
e scommettere sui
suoi sentimenti: era il momento di essere libero.
«Io
ti amo, Michael.»
Dimmi
dove siamo
Per
volare più lontano
Poi
chiuse gli occhi, non
potendo più reggere lo sguardo di Michael, troppo amorevole,
troppo grande,
semplicemente troppo. Ma questi fece altrettanto e con la bocca
trovò la sua e,
sentendosi l’un l’altro in un dolce sapore, gli
diede quel primo bacio di vero
amore tanto agognato. Un bacio che non sapeva di amanti e di
sotterfugi, ma di
amore alla luce del sole, di lacrime di gioia, di verità.
Marco cedette, nel
corpo e nel cuore, sicuro che le braccia di Michael lo avrebbero
sorretto. Lo
baciò finché non ne ebbe più respiro e
anche quando non l’ebbe più, respirò
Michael e si fece respirare a sua volta, senza neanche per un minuto
pensare di
interrompere quell’idillio.
Il
tempo non si sceglie
Puoi
sentirlo sulla pelle
E
si maledisse, si maledisse
cento volte. Ma non per essere stato così sciocco da cedere.
Bensì
da aver tardato così tanto
a capire.
Giuro, io lo
aspetterò
La soffitta
dell’autrice:
Inizialmente,
questo
capitolo doveva essere suddiviso in due capitoli. Ma poi la mia
meravigliosa
beta, comeunangeloallinferno94, mi ha convinta che un capitolo unico
sarebbe
stato meglio. E io penso che abbia avuto ragione.
Beh,
cosa dire di più? Spero
vi sia piaciuto (è il più lungo da me scritto fin
ora), ancora grazie beta mia ♥
Baci.
|
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Capitolo 9 *** L'estate mia migliore ***
La nostra
estate
«Abbiamo
fatto scandalo?»
Michael
si ridestò da quella
specie di torpore in cui era caduto dopo che, tra un bacio appassionato
e
l’altro, Marco aveva deciso che andava bene accoccolarsi con
la schiena contro
il suo petto e restare abbracciati come fossero da sempre uniti in uno,
da due.
Michael per poco non era morto d’infarto di fronte a tanta
tenerezza e si era
ritrovato a ringraziare mentalmente sua madre per essere venuta a
fargli la
predica proprio quando Marco poteva sentirla: finalmente, aveva capito
che il
sentimento nutrito nei suoi confronti era vero e, esattamente come si
sperava,
era ricambiato.
Per
un attimo, un crudele
attimo di terrore, non era stato sicuro che Marco fosse innamorato:
dinanzi
alla sfrontata sicurezza di sua madre, era arrivato a dubitare perfino
che
qualcuno potesse realmente amarlo.
Tempo
sei per me
Il
migliore che ho
Gli
sembrava tanto di
rivivere quel momento di tre anni prima a Dublino, quando qualcosa tra
loro era
scattato. Quando avevano acceso la fiamma, quella pericolosa,
bellissima fiamma
d’amore.
«Marco, possiamo noi
parlare?»
Marco scuote la testa. Mi sento
morire dentro: non mi
parla perché vicino a noi ci sono tecnici, cameraman,
stagisti, tutti presenti
per vederci all’opera durante gli Home Visit di questa
settima edizione di X
Factor.
«Vadiamo da altra parte» dico.
La sua faccia terrorizzata mi getta
nello sconforto,
ma a volte a questo ragazzo bisogna dare uno scossone se si vuole che
reagisca.
Lo prendo per un polso e lo porto in una stanza isolata dello Shane
Castle, un antico
castello irlandese nonché albergo a cinque stelle, tranne
oggi che è stato
chiuso al pubblico solo per noi: le riprese di un programma di tale
livello
necessitano di un luogo appropriato.
Chiusi in quella camera sfarzosa,
potremo finalmente
parlare.
«Che cosa è
successo, Marco?»
Sgrana gli occhi, quei meravigliosi
occhi scuri, che
mai avevo visto in vita mia prima di conoscerlo. Spalanca la bocca, un
ovale
rosso vivo.
«Tu, a me...»
balbetta, come fa quasi sempre, «mi hai
baciato! Come hai fatto a baciarmi?»
Mi astengo dal dirgli quanto sia
semplice e,
soprattutto, quanto in questo momento vorrei avventarmi su
quell’ovale
scarlatto così invitante.
Sorrido al pensiero.
«Bocca su bocca, così io bacio.
Tu come fa?»
«Non è questo
il momento di scherzare» farfuglia, poi
inizia a misurare a grandi passi la stanza. «Io ero fuori a
fumare una
sigaretta in santa pace, avevamo appena parlato della tua convivenza
con Tim,
qualcuno poteva vederci!»
«Marco, tu
respiri» lo prendo per le spalle e lo
costringo a guardarmi. «Tu pensi una cosa per la volta,
ok?»
Annuisce, con il fiato corto.
«Io non vado con gli
uomini fidanzati. Non faccio l’amante, soprattutto di uno che
è impegnato da
più di sette anni.»
Capisco perfettamente cosa voglia
dire. Dio solo sa
quante volte sono stato io, l’amante della situazione.
«Io e Tim vuole molto
bene» cerco di spiegare, «ma
cose è così fredde tra noi. Sono tanti mesi che
io ti pensa, ti guarda, ti
vuole tutte le volte che io è con lui. Oggi, io ho avuto il
coraggio di darti
un bacio, finalmente.»
Sta per dirmi che sono una persona
orribile, lo so.
Che dovrei lasciare Tim se c’è qualcosa che non
funziona e che, sicuramente,
lui non vuole essere secondo a nessuno. Ma qualcosa, una sensazione che
ho
dentro, mi fa sperare in una reazione positiva. D’altronde,
la sintonia che c’è
tra di noi è a dir poco palese. Qualcuno la chiama, qui in
Italia, “alchimia”.
«Noi ha la
alchimia» aggiungo, ricordandomi di quella
parola tanto bella che associo immediatamente a qualcosa di magico e
misterioso, un po’ come il segreto dell’amore: non
sai quando nasce né perché,
ma quando arriva lo riconosci benissimo.
Marco mi interrompe, con voce
flebile e incerta.
«Anche io ti ho sempre pensato, nei mesi in cui ci sentivamo
spesso.»
Sorrido e il cuore mi si gonfia nel
petto dopo un
orribile momento di timore e incertezza.
Oh, sì, questo
è proprio amore.
«Scandalo?»
Il
più breve che c'è ad ogni passo sento che
Sarò
con te sotto un cielo leggero
Marco
si voltò leggermente
per guardarlo. «Con la tua famiglia, dico. Stando a quanto
dice tua madre,
nessun Penniman si è mai messo con un italiano»
l’ultima parola venne
pronunciata di fretta, quasi senza respirare, evitando che aleggi
nell’aria e
la appesantisca.
Così Michael, percependone il timore, andò in
soccorso del suo uomo. «Sì, io
sono il primo Penniman che sta con un italiano»
ricalcò quel termine, onde
evitare che divenisse un tabù, «ma se pensi che li
miei fratelli sono tutte
single, ma Paloma ha un compagno e non vuole sposare...»
«Lo
scandalo è la norma in
casa vostra, ho capito» sorrise.
«La
mamma ci chiama i garnements, che
è come dire “bambini
monelli”» scosse la testa con un sorriso amaro.
Sapeva che sua madre aveva
fatto tutto quel trambusto solo per il suo bene, ma sapeva anche, dopo
anni a
stretto contatto con lei, che se non le si poneva un freno era capace
di far
spostare le montagne a suon di urlacci.
Marco
iniziò a torcersi le
mani, fissandole come se in quel tramestio di dita vi fosse il coraggio
per
esprimere chiaramente a parole i suoi turbolenti pensieri.Michael
fermò quel
moto nervoso, poggiando la sua grande mano su quelle, altrettanto
grandi, di
Marco. Sospirò.
«Se
io sono un problema, se
tua madre... se io non dovessi piacerle...»
«Stop»
fece, tirandosi a
sedere.
Marco
emulò quel gesto e lo
guardò negli occhi, terrorizzato: aveva forse detto qualcosa
di male?
«Tu
non sei mai il problema»
replicò, con un sorriso. «Tu sei la
soluzione.»
Su
un abisso profondo
Cambieranno
tutti gli orizzonti
intorno a noi
Di
fronte al dolce rossore di
Marco, non poté fare a meno che prendergli il viso tra le
mani e baciarlo di
nuovo.
Lo sto baciando di nuovo.
Stavolta è stato Marco a
dirmi che potevo, anzi, ha
fatto di più: mi ha baciato per primo. Certo, è
stato un bacio a stampo minuscolo
e fugace, ma ha spianato la strada a ben altro.
Marco è un uomo da
baciare all’infinito, con quelle
labbra rosse e calde, perfette per essere prese a morsi. Ma non voglio
ancora
spingermi oltre, ho paura di spaventarlo.
E poi, non sappiamo di preciso cosa
ci stia accadendo.
Prima mi era venuto spontaneo baciarlo, adesso è un atto
deliberatamente
fedifrago: sto tradendo Tim in piena regola, Marco è
insicuro ma consenziente e
nulla si frappone tra di noi eccetto quella stilla di dubbio che ancora
ci tiene
i cuori stretti in una morsa gelida che va disciolta. Poggio le mani
sul suo
petto, lo accarezzo e scaldo quel gelo.
Solo
tu non cambierai
Scaldo lui.
«Ti
scaldo la carne?»
Michael
lo abbracciò da
dietro, posando delicatamente le labbra sul suo collo. Stavolta, invece
di
divincolarsi, chinò il collo di lato e fece spazio a quelle
labbra che, se
prima erano parse malefiche e tentatrici, ora erano semplicemente
dolci, tenere
e leggermente dispettose. Il sorriso di Marco dinnanzi a quelle
attenzioni avrebbe
potuto riscaldare i ghiacci artici, tanto era radioso e irradiava
tepore.
«Questa
è la mia casa» gli
fece notare Michael. «È io che cucino per te, non
al contrario.»
Marco
si voltò, stavolta
osservandolo in pieno viso. Posò le mani sul suo petto,
carezzandolo
dolcemente.
«Per
favore, lascia che
faccia qualcosa per te» quasi lo implorò.
Obbediente,
l’uno si sedete e
l’altro proseguì, intento a preparare quel pranzo
casalingo propostogli pocanzi
da Michael.
Tra
loro aleggiava uno strano
silenzio, fatto di malinconia e cose non dette. Perfino la
più solida delle
case viene intaccata dalla tempesta e la loro, il loro piccolo rifugio
d’amore,
nella tempesta si andava ancora costruendo.
«Mi
sento in colpa» sbottò
tutt’a un tratto, gettando il mestolo nella padella.
«In questi mesi non ho
fatto che starti lontano e darti addosso per evitare che tu mi facessi
del
male. Solo adesso ho capito quanto io ne ho fatto a te e, a causa mia,
quanto
ancora dovrai soffrire. Questo non è giusto.»
Sospirarono
entrambi, parlando
il linguaggio del rimorso. Con i sospiri si parlava soltanto in due
occasioni,
una delle quali era il classico rammarico di coloro che vorrebbero
rifare
tutto, potendo tornare indietro.
Quest’ultimo
non sapeva bene
cosa dire. Marco aveva bisogno della verità nuda e cruda e,
sì, il suo
comportamento gli aveva fatto male, ma la colpa era stata sua, per
primo.
Si
maledisse non una, non
cento, ma mille e più volte. Si erano fatti tanto male a
vicenda, e le loro
azioni parevano andare più in là dei loro cuori
se il passato ancora tormentava
la mente di Marco. Quel ragazzo dolce e fragile era terrorizzato
all’idea di
fargli del male e, quel che più contava, la consapevolezza
di avergliene già
fatto lo faceva tremare d’ira e di vergogna, scuotendo le
vene e i polsi con
forti brividi.
Marco è scosso dai
brividi. È così bello, così
fragile, ho paura quasi di romperlo.
«Non essere
spaventato» gli raccomando, mentre lo
aiuto a sfilarsi quell’elegantissima, ma assolutamente
scomoda, camicia a body
che indossa.
«La fai facile,
tu» trema come se avesse freddo,
nonostante la temperatura all’interno della stanza sia del
tutto estiva.
Gli prendo il viso tra le mani e
poggio la fronte alla
sua, piantando i miei occhi nei suoi. Deve sapere di essere al sicuro,
con me.
Che non gli farei mai nulla che lui non voglia o che non desideri tanto
quanto
me.
E
mentre gli altri sono solo un attimo
Tu
da sempre sei e per sempre sarai
Marco mi abbraccia, quasi
commuovendomi. Sembra un
ragazzino alla sua prima volta e io, quello che definirebbero un
animale da
letto, mi sento addosso una responsabilità enorme. Se
farò troppo o troppo
poco, se gli farò male per troppa paura o per troppa
spavalderia, se farò un
passo falso, ricadrà tutto su Marco e questo non lo voglio.
Lo circondo con le mie braccia e me
lo stringo sul
petto, tenendolo più che posso, e così uniti ci
distendiamo assieme sulle
lenzuola di cotone egiziano, tanto bianco da far apparire la pelle di
Marco,
già di per sé olivastra, ancor più
scura. Ancor più sensuale.
Oh, i londinesi non hanno questo
aspetto. Carini,
alcuni belli, tutti chiari, biondi come il grano di giugno o castano
scuro con
la pelle gremita di lentiggini. Per lo più, scialbi.
L’Italia sembra la terra
della tentazione, con quei
corpi scolpiti e quel capelli folti, gli incarnati scuri, al limite del
mulatto, le barbe ispide e incolte.
E poi c’è
Marco. Marco è il tipico uomo italiano e mi
fa impazzire. Come se già non amassi abbastanza questo
paese, mi ritrovo ad
amare un italiano. Quale sorpresa per uno come me.
Ne amo il corpo, tanto quanto il
cuore, la mente,
l’anima.
Questo ragazzo è mio.
«Mio.»
«Cosa?»
Michael
allungò una mano al
fornello e abbassò la fiamma fino a spegnerla del tutto. La
carne si sarebbe
inacidita, marcendo e creando un olezzo nauseabondo. In quel momento,
però,
l’unico odore presente era quello dolce di un Michael che
aveva da poche ore
lasciato il calore di un letto ancora sfatto, letto che ancora ne
portava
l’impronta e il profumo di iris e cannella tipico di quella
casa.
«Tu
sei mio» disse Michael.
Marco
non osò voltarsi,
sicché egli lo strinse da dietro e nel suo orecchio, una
colata di miele si
riversò nella forma di parole d’amore.
«Tu
sei mio, tutto. Le tue
paure, i tuoi dispiaceri, i tuoi errori, anche. L’amore
è prendere tutto,
quello che è brutto e quello che è bello di una
persona. Tu hai preso me, con
tutti i miei grandi sbagli, li hai portati via. Ora io prendo te con i
tuoi e
cancello da noi.»
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Una
volta che ebbe finito di
parlare, prese Marco per mano e, preso atto dello stupore di lui,
capì cosa
doveva fare.
Lo
condusse nella camera da
letto, dove trovarono quest’ultimo ancora soffice e
disordinato, con l’impronta
di Michael ben impressa nel materasso. Si sedettero l’uno
accanto all’altro e
così con trasporto si diedero un altro bacio, in cui Marco
riversò ogni singolo
timore e, sulla bocca di Michael, ciascuno di essi mutò in
una nuova sicurezza.
Le loro labbra si fusero con tanta e tale passione che
l’ultimo dei segreti
venne a galla e uscì dalle labbra di Marco in un gemito.
Michael
sapeva cosa doveva
fare per cancellare le paure e le insicurezze di Marco: si trattava di
affidarsi alla natura dell’uomo e di giacere insieme su quel
letto, ancora una
volta, dopo mesi di malinconia.
Tornando
a vivere.
Forse
avrebbero dovuto
aspettare, pensò Marco, tra i dubbi. La prima volta che la
passione li aveva
colti, sotto i cieli d’Irlanda, era stata tanto travolgente
da passare su di
loro come un uragano e lasciarli, stretti, scarmigliati e madidi di
sudore, a
chiedersi cosa fosse accaduto. Una catastrofe sublime. Un bellissimo
disastro.
Quante
cose, però, erano
cambiate da allora.
Poi
ci rifletté.
Avrebbero
dovuto fare l’amore
dal primo momento in cui si erano rivisti dopo tutti quei mesi di
lontananza.
Avrebbe dovuto prenderlo lì, su quel tavolo, di fronte ai
suoi colleghi e ai
produttori di X Factor e nessuno avrebbe avuto niente da ridirci,
ché la loro
passione sarebbe cresciuta e avrebbe occupato tutto lo spazio della
stanza,
scacciando via gli indesiderati –e, quando stavano insieme,
chiunque era
indesiderato eccetto loro due. Avrebbe dovuto assecondare
l’impulso di Michael
quando, la notte della sua festa di fidanzamento fallita, in quel
piccolo motel
londinese, erano andati vicino a unirsi di nuovo. E quante altre
occasioni
avevano avuto, da quel momento in poi. La notte passata insieme a casa
di
Marco, i momenti in cui uscivano dagli studi di X Factor per avere dei
momenti
da soli.
La
verità era che Marco e
Michael avevano aspettato abbastanza.
Sei
tutto quello che so
L'assenza
di ogni però
Si
girò per affrontarlo.
Lo
voleva, eccome se lo
voleva.
Parlarono
il linguaggio dei
sospiri, ma stavolta per un motivo diverso dal rammarico.
L’altro, l’unico
motivo possibile.
«Non è
impossibile.»
«Ah, no?»
balbetta. «Chiedilo al mio...»
«No» sorrido,
capendo perfettamente. «Ma giuro che io
non fa, capito?»
Marco annuisce e mi fa una tale
tenerezza. Ha una
paura matta del dolore visto che, a detta sua, tutti quelli che prima
di me lo
hanno avuto (oh, li cancellerei uno per uno dalla sua memoria, tanta
è la mia
voglia di averlo solo per me) gli hanno procurato dolore, tanto che
dopo le
prime volte, è stato lui ad avere gli altri.
Se non potrò essere il
primo per lui, per lo meno,
intendo dargli una prima volta di piacere senza dolore.
So bene come fare e,
sarò sincero, non vedo l’ora di
avere di fronte la reazione di Marco, quando capirà quanto
è bello provare
unicamente goduria.
Poi, come se stessi svelando il
più segreto dei
misteri, gli slaccio la cintura, gliela sfilo dai passanti dei
pantaloni e la
uso per attirarlo a me.
Con mano dolce e leggermente
curiosa, mi slaccia la
camicia e me la fa scivolare dalle spalle, facendomi fremere dalla
voglia di
farlo subito mio. Come chi trova e scopre un territorio vergine, Marco
osserva
il mio torace nudo, e presto esso si congiunge alle sue labbra e una
pioggia di
baci lambisce il mio petto e il mio addome, in modo soave, quasi
onorando la
mia pelle con i suoi baci. Non resisto oltre e gli sfilo quei pantaloni
blu,
che ormai sono decisamente di troppo. Svelo la sua erezione, ben
visibile anche
sotto i boxer. Sono sbalordito dalla sua prestanza fisica, che mi
lascia senza
fiato.
«Non ti
piaccio?» mi chiede prontamente, a metà tra la
preoccupazione e il desiderio.
Tutto ciò che potrei
desiderare.
«Sì»
lo rassicuro, «tu è semplicemente perfecto.»
«Semplicemente
perfetto»
sentenziò Marco.
Marco
osservò il petto di
Michael alzarsi e abbassarsi ritmicamente, mentre pian piano scopriva
il suo
ventre e lo liberava da quella maglia di cotone fino, troppo opprimente
per i
suoi gusti.
Michael
arrossì, cosa che non
faceva spesso. I complimenti, diceva sempre, lo mettevano a disagio,
perché
sentiva di non meritarne neppure uno.
Con
Marco, però, le cose
erano diverse e ogni volta che quel folle uomo contemplava il suo
aspetto, non
aveva forza né cuore di contraddirlo. Amava il suono di
quella voce e con
quella poteva dire ciò che voleva, gli avrebbe concesso di
tutto pur di
continuare ad ascoltarlo.
«Non
sei cambiato di un
giorno» continuò. «Sei sempre
così tonico, e liscio.»
E
lo spettacolo di fulmini che accende il buio
Baciò
Michael proprio sotto
l’ombelico, facendolo scalciare leggermente e al contempo
rilassare
dappertutto. Marco era così: non aveva nessuna tecnica di
seduzione e di certo
non seguiva quelle tradizionali. Il galateo del sesso prevedeva che si
iniziasse a tentare il partner a partire dal collo, o dalla nuca,
tutt’al più
dalla schiena. Marco, invece, aveva iniziato a baciarlo proprio
là, sopra il
punto in cui il suo desiderio pulsava, con una tale naturalezza che
sembrava
non aspettare altro da secoli.
Quella
sensazione, non solo
di essere voluto, ma di essere bramato con una tale
intensità, rese quei baci,
già di per sé eccitanti, la più
erotica esperienza che potesse anche solo
immaginare.
Per
quanto incantato da quel
delizioso trattamento, ebbe abbastanza lucidità da sfilare
la maglia a Marco,
il quale si interruppe solo per gettarla via. Chinatosi di nuovo per
seguire il
contorno dei suoi addominali con la lingua, offrì a Michael
una splendida
visuale della sua schiena nuda. Poi egli gettò la testa
all’indietro, e chiuse
gli occhi per concentrarsi sulle sensazioni meravigliose che sentiva.
Non può reggere oltre.
Siamo entrambi sul letto, ci stiamo
baciando con una
tale foga che potremmo addirittura sfondare il materasso.
I nostri corpi strusciano
l’uno all’altro, creando
quella frizione, quella che mi fa impazzire, che mi fa venir voglia,
sostanzialmente, di violentarlo in un modo che lui gradirebbe. Ma come
potrei
farmi guidare dai miei istinti più bassi, proprio ora che
Marco ha bisogno di
essere rassicurato e confortato?
Non sa bene quello che fa, lo
capisco dalla sua
erezione, talmente gonfia che credo gli stia dolendo sotto la stoffa
dei boxer,
eppure non riesce a fare alcunché, se non continuare ad
amoreggiare, con il
rischio che venga così, senza aver sperimentato il piacere
che intendo
donargli.
«Se
continui così» gemette
Michael, la voce arrochita dalla lussuria, «io vengo in li
miei pantaloni.»
Marco
sorrise e osservò con
venerazione il suo bassoventre, poi gli sfilò i pantaloni e
i boxer, tutti e
due assieme, con un solo colpo secco che lo fece urlare come una
vergine alla
prima notte.
«Ti
ho fatto male?» domandò
immediatamente, a metà tra la preoccupazione e la voglia
incontrollabile.
Sgranarono
gli occhi.
Michael
venne colto da un
forte senso di déjà-vu.
Capì
che nulla sarebbe andato
storto e, in quel preciso istante, anche Marco lo capì,
quando si sentì
rispondere: «Neanche per sogno.»
Strade
sai ce n'è
Ma
nessuna che so mi allontana da te
Lo
fece voltare a pancia in
giù, poi sfilò i suoi ultimi indumenti rimasti e
iniziò a massaggiare le
natiche di Michael con gentilezza. Quest’ultimo morse le
lenzuola, che tutto
desiderava in quell’istante meno che la gentilezza, eppure
non avrebbe
desiderato nient’altro che quello. Oh, la
contraddittorietà dell’amore, i due
volti della passione, quella sensazione che varca la soglia della
sofferenza
per sfociare nella libidine più sfrenata.
Questo
era ciò che implorava
da Marco.
«Non resisto»
implora, finalmente.
Iniziavo a pensare che non lo
avrebbe chiesto più.
Lo faccio voltare, in modo da porlo
nella posizione
più agevole possibile: niente dolore, il massimo della
goduria.
Inumiditomi due dita di saliva,
inizio introducendo
nel suo orifizio un primo dito. Lo sento agitarsi e irrigidirsi,
così inizio a
esplorare le sue pareti per farlo rilassare, cercando i punti
più sensibili
della sua carne.
Ma dalle reazioni incontrollate che
seguono i miei
movimenti, capisco che ogni puto di quest’uomo è
fatto per essere toccato da
me. Questa sensazione di potere mi rende egoista e al contempo mi muove
ad
avere quanto più riguardo possibile per quel dolce uomo.
Così, continuando, lo
preparo.
Marco
lo preparò con un dito
ben lubrificato.
Michael
aveva preso il suo
dito in bocca, succhiandolo come sapeva avrebbe fatto in altre
circostanze e in
modo altrettanto sensuale.
Poi
Marco lo aveva introdotto
nella sua apertura e il viaggio verso l’estasi di Michael era
iniziato.
Si
accorse, con somma gioia,
che egli si premurò di compiere movimenti lenti e circolari,
esplorando ogni
singolo punto per trovare quello che lo avrebbe fatto impazzire. Aveva
imparato
l’arte da Michael, ma questi si accorse ben presto che, nelle
sue mani, era
divenuta cosa divina, rendendo quell’uomo, così
timido fuori dalle lenzuola, un
vero e proprio dio. Un dio baciato da Cupido e da Priapo.
Lanciava
dei flebili urli,
simili a lieti lamenti, ogniqualvolta Marco andava toccando determinate
zone
che lo facevano sobbalzare e stringersi al materasso, e in esso
dibattersi,
mostrando tutto il suo gradimento.
Una
volta che fu
adeguatamente preparato, le braccia di Marco lo circondarono e lo
strinsero,
facendo aderire quel petto forte e muscoloso alla sua candida, liscia
schiena.
Voltatosi leggermente, Michael lo baciò con
avidità e quel bacio venne
ricambiato con altrettanta cupidigia.
Poi,
con un gesto preciso,
sensuale e voluttuoso, Marco entrò dentro di lui.
Entro dentro Marco con tutta la
delicatezza di cui
dispongo.
Lotto contro il desiderio di
appropriarmi delle sue
carni con prontezza fulminea. Ma mi bastano i suoi gemiti, ben lontani
dall’essere urla di dolore, a fermarmi dai miei crudeli
propositi.
È bello dentro Marco.
È caldo, morbido, è casa.
Ogni
secondo sembra troppo fragile
Ma
se divento un momento è un ricordo perché
Lo cingo con le braccia e bacio il
suo collo da
dietro. I suoi muscoli si rilassano e, se possibile, nella mia stretta
di
accuccia, rendendosi più amabile e allettante ai miei occhi.
Si sente al sicuro
con me.
Vorrei piangere dalla
felicità.
Michael
sprigionò la sua
felicità con un urlo liberatorio.
Aveva
pregato giorno e notte
per quel miracolo e ora Marco lo aveva trasformato nella più
bella e
incredibile delle verità, cogliendolo quasi alla sprovvista.
Ma le braccia di
lui erano forti e lo tenevano stretto a sé, come a volerlo
tenere al sicuro in
quel viaggio sorprendente che tolse a Michael il respiro e a Marco il
senno,
ché prese a spingere con potenza non appena sentì
Michael abituarsi alla sua
presenza.
Aspetto che si abitui a me, dentro
di lui, poi inizio
a muoversi.
Come direbbe un artista che io
adoro, vado e vengo
dalle sue reni.
Anche
un passo piccolissimo
Importante
se sopporta il peso delle nuvole
Sempre sospirando e urlando, come
se realmente nessun
uomo avesse mai prima d’ora colto il suo primo fiore,
asseconda i miei
movimenti con spinte del bacino che mi incoraggiano ad affondare di
più.
Marco
affondò completamente
tra i dolci fianchi di Michael, facendolo mugolare e ansimare.
Incantevole era
la sua voce mentre cantava il piacere, e presto entrambi furono
inebriati da
quella dolce melodia che presto iniziò ad avere il suono
della fatica e del
sudore, dell’avidità di avere e
dell’ingordigia di volere di più.
«Di
più» ansima Marco, col volto premuto sulla
coperta.
Lo risollevo quanto basta per
lasciare che il nostro
bacio infinito prosegua, mentre mi muovo con più decisione,
più veemenza. Lo
sento godere e questo mi consuma lentamente, con il sesso che diventa
sempre
più simile a fare l’amore.
«Amore»
gemette.
Marco
morse il suo orecchio e
torturò il suo lobo con i canini, succhiandolo a tratti. Oh,
dentro la sua
carne quell’uomo fu così sfrontato da farlo
imporporare nelle guance. Con le
mani, ancora più stringeva il corpo dell’amato e
ne faceva oggetto di
attenzioni e onori, lo faceva sentire a dir poco indispensabile.
Un
esercito di sogni siamo io e te
Che
da sempre c'è e per sempre sarà
Come
sete, come fame, come il
più basso istinto dell’uomo che si trasforma nel
più alto degli atti d’amore,
così Michael godette, così Marco si
sentì.
Così si dovrebbe sempre
amare.
Come la sete, come un uomo perduto
nel deserto che
incontra un fiore tra le dune e, per quanto pungano le sue spine, egli
lo
stringerà a sé e berrà dalla sua fonte
facendone suo amante.
Come la fame che coglie
all’improvviso e pare che non
possa essa mai essere saziata fino in fondo.
Così Marco mi fa sentire.
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Così lo avverto,
tremante e nella goduria, artigliare
le lenzuola con le unghie fin quasi a strapparle, e provando
l’estasi di essere
una parte di lui, così io percepisco il suo orgasmo
arrivare, lui invece non riesce
a fare altrettanto e l’urlo che esce dalla sua bella bocca
è del piacere più
intenso e della sorpresa che gli mozza il fiato.
Quando
Marco iniziò a
spingere con tutta la passione che aveva in corpo, cosa che quasi mai
osava
fare, conoscendo bene la forza che possedeva, la vista di Michael si
annebbiò,
tanto forti erano le sensazioni che provava. Marco prese a stimolarlo
con le
dita, e la pressione del suo palmo contro quella del letto, il corpo di
Marco
schiacciato contro il suo, quel membro turgido e imponente che pulsava
fuori e
dentro di lui, furono più di quanto Michael potesse
sopportare.
Gettò
la testa all’indietro, e boccheggiando nel tentativo di
prendere l’aria
necessaria, in quel modo lanciò l’urlo che
accompagnò uno degli orgasmi più
forti della sua vita.
E riversandomi dentro di lui, tale
è il piacere che
questo ragazzo mi causa, che sento di aver avuto l’orgasmo
più bello di tutta
la mia vita.
Sei
quello che porterò negli occhi
Ovunque
sarò
Strinse
le pareti della sua
apertura attorno al suo membro, mentre si lasciava andare.
A
Marco bastò sentire che
Michael era venuto perché le vene pulsassero più
forte e le unghia graffiassero
i suoi fianchi efebici e nel momento in cui sentì le dita
dei piedi arricciarsi
chiamò il suo nome.
«Michael.»
E
venne dentro il corpo che
aveva fatto suo.
Il
tempo mio migliore
Cos'è
che ci fa partire per poi ritornare
«Michael»
chiama il mio nome.
Subito gli prendo il volto tra le
mani. «Ti ho fatto
male?»
«Neanche per
sogno» sospira flebilmente, sorridendo.
Marco
continuò a tenerlo
stretto a sé, sollevando per un attimo il viso, per guardalo
meglio in volto. «Come
stai?»
«Meglio
che sempre» riprese
fiato, affaticato, ma pago di piacere.
Torno a stringerlo a me.
Sono ancora dentro di lui, siamo
sudati e nessuno dei
due ricorda ancora bene come si respira.
Vorrei vivere così ogni
mio giorno.
Quello
fu il giorno più bello
della vita di entrambi.
Marco
aveva ritrovato un
amore perduto, finalmente aveva smesso di mentire al proprio cuore e lo
aveva
liberato dalle catene del dubbio e della paura, lasciandolo libero di
afferrare
la mano di Michael.
Il mio cuore, oh, quello potrei
benissimo cavarmelo
dal petto. Ho trovato l’amore di una vita e ora il mio cuore
appartiene a lui.
Penserà forse che io non sia serio se dico ciò
solo dopo averlo avuto. Ma, per
me, non esiste gesto d’amore più alto che questo.
Quindi, potrebbe strapparmi
il cuore e io neppure me ne avvedrei.
«Michael.»
Una
risposta ce l'ho
Una
risposta ce l'ho
Il
modo in cui Marco chiamò
il suo nome lo mise in allarme. Si voltò, facendolo uscire
da lui, e lo trovò
perduto tra le lacrime. Ma sul suo volto scorse anche un radioso
sorriso.
Gli
prese il viso tra le
mani. «Marco, cosa hai?»
Alzò
le spalle, facendolo
accoccolare sul suo petto. «Niente, è
l’emozione.»
Michael
dovette fare appello
a tutta la sua forza di volontà per non scoppiare a piangere
come un bambino.
«Per me, è
questa la mia vera prima volta» sospira.
Dopo qualche secondo, sento
nuovamente la sua voce:
«Sono così felice.»
Una
risposta ce l'ho
Marco lo dice con le lacrime agli
occhi. Il suo viso,
entusiasta, mi implora di non asciugarle e io per poco,
d’altronde, non faccio
la stessa cosa. Non ho bisogno di prove o per capire, non ho alcun
dubbio che
lui mi ami. Questa verità mi coglie di sorpresa e causa
scosse come terremoti
dentro il mio cuore. Oh, sì, so che mi ama e lo
saprò fino alla fine del nostro
amore.
Non
gli asciugò le lacrime,
piuttosto gliele baciò.
Tra
quei baci sul suo viso,
tra l’amore che per poco non aveva infranto le pareti del
loro rifugio d’amore,
Marco rise liberando un singhiozzo.
«È
stato come riavere la
nostra prima volta.»
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Lì,
Michael affondò nel suo petto, e rise.
Non
perché ci fosse qualcosa di divertente, ma perché
parole più vere non avevano
mai raggiunto le sue orecchie. L’aveva vissuta ancora, attimo
per attimo, con
il suo amato.
Rise
fino a non avere più
fiato in corpo, rise finché Marco non lo baciò e
la sua risata divenne un
mugolio sommesso, intriso di tutta la contentezza possibile.
Marco,
in quel momento, capì
una cosa.
Se
c’era qualcuno a questo
mondo per cui valeva la pena rischiare, soffrire, tentare, era Michael.
Tu
sei e resterai l'estate mia migliore
Erano
i suoi fianchi, il
sapore della sua pelle, il colore dei suoi occhi, il suono della sua
risata,
l’odore dei suoi riccioli, il cuore che ogni giorno gli
apriva, l’anima che
volava assieme alla sua. Ogni singola estate passata al suo fianco.
«Marco»
stavolta fu lui a
chiamarlo.
«Shhh»
gli accarezzò le
labbra, ancora dolcemente commosso da quell’amplesso e dalle
emozioni che esso
aveva portato con sé. «Anche io,
Michael.»
L'estate mia migliore
La
soffitta dell’autrice:
Gli
Home
Visit di Dublino. Vi sarete ormai stancati perché
sarà tipo la quarta volta che
li inserisco in una fan fiction. Ma, sapete, per me questo è
il topos dei
Mirco, quindi abituatevi, perché in ogni mia singola storia
avrete un capitolo
hot e un riferimento a Dublino.
Sopportatemi.
Nello
scorso capitolo mi sono scordata di dire che comeunangeloallinferno94,
che
ringrazio, non è soltanto la mia beta. Lei è
praticamente la co-autrice di
tutti i miei capitoli, in quanto mi dà consigli e mi aiuta a
fare taglia e cuci
di ogni punto. Questa creatura è sua quanto mia e per questo
non ho davvero parole
per esprimere la mia gratitudine.
Un bacio.
|
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Capitolo 10 *** More than yesterday ***
Light in you
Quando il telefono di
Marco
suonò, lo squillo trovò i due amanti ancora
teneramente stretti in un
abbraccio, intenti a scambiarsi effusioni, finalmente liberi dal senso
di colpa
e dal rimorso.
Somehow I'm worth your while
I get to hold you first thing in the
morning
Quel suono irritò e
sconfortò
Marco, il quale nascose prontamente il volto sulla calda spalla di
Michael. Era
come se il loro piccolo mondo incantato fosse stato violentemente
invaso. Che
sensazione detestabile.
«Non voglio
rispondere»
brontolò, la pelle dell’altro che attutiva la sua
voce.
Egli ridacchiò,
accarezzando
dolcemente i suoi capelli. «Tu hai come la... sbornia da
sesso?»
Stavolta toccò a Marco
ridere, per poi rifilargli un debole pugno sul petto. Il trillo del
cellulare persisteva
e rovinò quell’atmosfera romantica e divertente,
costringendo il proprietario
di quell’aggeggio infernale ad allungare il braccio e,
leggermente voltato il
viso, recuperò il suddetto mefitico apparecchio.
«È
Elio» constatò.
«Fai rispondere
me!» esclamò
Michael, pensando a chissà qualche battuta spiritosa da fare
al suo collega.
«Non ci
provare» lo redarguì.
«Ha chiamato me e non te, ricordi?»
Sbuffò. Era un dato di
fatto:
dare a qualcuno, a chiunque, motivo di dubitare che la relazione tra
Marco e
Michael fosse puramente amichevole e cortese, sarebbe equivalso a un
suicidio
mediatico.
Dunque, anche se finalmente i
loro cuori erano liberi di dirsi “ti amo”, la loro
era una consapevolezza che
andava in due sole direzioni: l’uno verso l’altro.
Nascondersi era la norma.
Ma questo non li avrebbe
scoraggiati.
Marco rispose:
«Pronto?»
«Ce ne hai messo di
tempo!»
rise bonariamente Elio. «Volevo solo chiederti se hai saputo
della tragica
novità di X Factor.»
Michael, a quel punto, stava
già gustando la debole nuca di Marco, torturandola con i
denti. Tipico di quel
dispettoso.
«Tragica
novità?» domandò,
cercando di scostarsi.
«Oh, dunque non sai
niente!»
Marco gli fece cenno di
smetterla, cosa che lo spinse a rincarare la dose di attenzioni verso
la sua schiena,
carezzandola con rapide lappate di lingua.
«Niente di
cosa?» cercò di
tenere la voce ferma, ma era difficile, vista la predilezione di
Michael per la
sua spina dorsale. La leccava con delizia, baciandola con tanta foga da
succhiare, di tanto in tanto, lembi di pelle. Allontanò il
telefono dalle
labbra per concedersi un ansito di piacere. Dietro di sé,
sentì dei gorgoglii
soddisfatti che ben conosceva.
«Gli Home Visit sono
stati
anticipati, si parte tra due settimane.»
«Che cosa?»
Lo shock lo fece sollevare
all’improvviso, ma così facendo colpì
accidentalmente il naso di Michael, il
quale se lo massaggiò con entrambe le mani, sopprimendo un
urlo di dolore.
«Hai sentito bene,
ragazzo»
proseguì Elio, «i grandi capi avevano fatto un
grande affare a Copenaghen, ma a
quanto pare è saltato tutto. L’unico posto
disposto a ospitare baracca e
burattini, e a farlo entro una certa scadenza, è Taormina.
Le registrazioni si
faranno al Teatro Antico.»
Marco registrò
quell’informazione mentre baciava il naso di Michael, come
una mamma che
guarisce il proprio piccino che si è fatto la bua.
Sfiorò la sua guancia con la
punta delle dita, consolandolo per il dolore.
Conosceva bene quel teatro,
era stato il luogo d’inizio di uno dei suoi tour
più belli, a dir poco
indimenticabile. Era felice di non dover andare troppo lontano per
valutare i
talenti della sua squadra e, al contempo, esaltare le bellezze del suo
amato
Bel Paese.
«Beh, mi sembra un
po’
precipitoso, ma non è che si possa fare granché,
no?» commentò, non senza un
certo nervosismo.
«Eh, lo so
bene» sbuffò Elio.
« Quando ci si mette di mezzo la burocrazia, restiamo tutti
immancabilmente
fregati.»
Marco
concordò, senza
ascoltarlo veramente: Michael aveva appena sorriso.
Then when I see you smile
Brighter than the new day and it's dawning
Il sorriso di quell’uomo,
labbra sottili che concordavano una dentatura ampia, candida e
perfetta. In
quel sorriso, però, c’era molto più che
bocca e denti: c’era luce, calore e
fiamma viva. Ciò di cui realmente Marco non riusciva a
capacitarsi era il modo
in cui sprigionava quel bagliore: non come un faro nella notte,
poiché il buio
è facile a essere rischiarato; era come se tra milioni e
milioni di luci, lui
fosse la più potente, la più bella, in un modo
tutto suo.
Amava quel sorriso. Amava
quell’uomo.
I discorsi di Elio sfumarono
in saluti e cordialità e la chiamata, in breve,
terminò.
Michael si sollevò,
allontanando il cellulare da loro. «Allora, cosa Elio voleva?
Cosa lui ha detto
che ti ha fatto uccidere il mio naso?»
«Oh, scusami
tanto» gli prese
il viso tra le mani e iniziò a riempirlo di teneri baci, tra
i quali lo
ragguagliò. «Gli Home Visit sono stati spostati.
Tra due settimane andiamo a
Taormina per girare il tutto.»
«Okay» rispose,
laconico,
godendosi tutti quei baci da parte di Marco.
«La cosa non ti disturba
minimamente?»
«Perché?
Io posso essere
pronto a partire in due settimane, mi piace di viaggiare e mi piace
Taormina.
Quale è il problema?»
It really makes me wonder
If this is real life
Marco rise dolcemente. Non
c’era
davvero un limite a quanto poteva amare Michael: tutto diveniva
semplice se lo
accoglieva tra le sue amorevoli mani; perfino la sua vita appariva meno
complicata, i suoi nodi si scioglievano, i dubbi e la disperazione
erano stati
dissipati da un bacio, da una carezza, da una parola dolce.
Strinse le gambe al suo
busto.
«Ti ho mai
detto che hai il
sorriso più bello del mondo?»
Not a dream or spell I'm under
With the way, the way you make me feel like
La risposta non tardò ad
arrivare con una naturalezza sconvolgente: «Sempre dopo che
il tuo, amore.»
L’hanno chiamata “vita” perché “complicazione
mortale”
pareva brutto.
Due settimane dopo, ecco
Marco precipitarsi all’aeroporto, tentando di non perdere il
suo volo per
Taormina. Il naso gli colava, la testa diveniva ogni secondo
più pesante e a
malapena respirava, per non parlare di quella ridicola febbre che,
andando e
venendo, lo tormentava parecchio.
A quale altro, povero,
sfortunato idiota poteva venire l’influenza il giorno prima
degli Home Visit?
Michael lo tempestava di
chiamate, alle quali aveva ormai rinunciato a rispondere, tanta era la
foga
della corsa.
Una volta giunto a
destinazione, dovette fare leva sulla sua celebrità per
riuscire ad entrare su
quel volo (usò al tattica del “sono un personaggio
famoso e ho tanti impegni,
per favore fammi salire su quell’aereo”). Fortuna
che non tutte le hostess
erano inflessibili come sembravano.
Quando giunse, sudato e con
il fiatone, verso i posti di prima classe, vide Michael che, seduto
accanto a
Irene e dietro Elio, lo guardava e prendeva una gran boccata
d’aria, per poi
rilasciare un sospiro di sollievo, quasi con le lacrime agli occhi.
Marco si accasciò,
sprofondando nel posto accanto a quello di Elio e nascondendosi dietro
ai
grandi occhiali da sole.
«Marco.»
In a crowded room I’m the only one
Then it’s just us two and the setting
sun
Il modo in cui Michael lo
chiamò, dolcemente, lo fece voltare subito. Era seriamente
preoccupato.
«Io ho chiamato mille
volte»
spiegò, indicando il suo cellulare.
Marco non rispose,
perché era
inutile spiegargli che la sera prima era praticamente svenuto sul
letto, messo
K.O. dagli antibiotici e dal cortisone, per poi svegliarsi in ritardo
per via
di uno stordimento tale da fargli dimenticare di puntare la sveglia per
le cinque
del mattino.
Semplicemente, si
abbassò gli
occhiali da sole: il naso rosso e gli occhi, gonfi e iniettati di
sangue,
parlarono per lui.
Irene imprecò.
«Sembri la
bambina de L’esorcista all’opera.»
Michael poggiò la mano
sulla
fronte di Marco, il quale, pur sapendo di doversi ritrarre dal suo
tocco, vi si
protese: quella mano era fresca e delicata, gli faceva desiderare che
restasse
lì per sempre.
«Tu sei un po’
caldo»
sospirò, sconfortato. «Come tu fai a registrare,
in domani?»
Elio rifilò una pacca
sulla
spalla a entrambi. «Che vuol dire “come”?
Andrà alla grande domani! Un paio di
pasticche e torna come nuovo.»
«Mi stai suggerendo di
drogarmi?» lo punzecchiò Marco, nonostante la voce
nasale.
Le risate generali
stemperarono l’ansia che le condizioni di salute del
più giovane dei loro
colleghi avevano destato. Avevano dei tempi serratissimi per fare le
registrazioni e, pur concedendo a Marco più tempo per
riprendersi
dall’influenza, il massimo che gli si potesse dare era un
giorno in più, ma
certo era che in tre giorni sarebbero tornati tutti a Milano e Marco,
in un
modo o nell’altro, avrebbe dovuto farcela.
Il timore di tutti,
soprattutto quello di Michael era che pur di farlo riprendere gli
dessero
qualche “spintarella”, come delle pilloline
eccitanti che, precedentemente,
aveva ben conosciuto nella sua carriera. Per questo, qualche minuto
dopo la
partenza dell’aereo, Michael gli poggiò una mano
sulla spalla, a mille miglia
d’altitudine dall’Italia.
«Irene dorme»
sussurrò.
«Elio?»
«Più o
meno» commentò, osservandolo
bofonchiare sotto i baffi e puntare il dito contro chissà
chi, ad occhi chiusi.
Sospirò, mentre
l’ilarità
andava spegnendosi.
«Mi rifiuto di stare male
proprio adesso» si lamentò, «e di certo
mi rifiuto di farmi aiutare come so che
loro vorrebbero.»
«Lo so, io non voglio che
tu
lo fai» gli carezzò il braccio. «Infatti
io penso a te.»
Si voltò con
discrezione. «Mi
pensi tanto tanto?» lo prese in giro.
Michael sorrise e gli diede
dello stupido. «Dico che, dopo che noi è in
Taormina, io prendo cura di te.
Così tu guarisci e non prendi quegli
“aiuti”.»
«Lo faresti
veramente?»
«No, io lo farò
veramente» specificò.
Marco posò la propria
mano
sulla sua e rimasero così, per un tempo attimo infinito.
Infine, stremato dalla
malattia, egli si lasciò cullare dalle invitanti braccia di
Morfeo.
«Sveglia, testa di
sonno!»
Marco aprì gli occhi a
fatica, le palpebre come cemento. Era in una camera
d’albergo, una sontuosa
suite dove i colori predominanti erano il castano del legno e il beige
tendente
al crema dell’arredamento. La passione per
l’architettura e il grande senso
estetico di Marco gli fornirono una temporanea distrazione dal freddo
che
sentiva penetrargli nelle ossa.
«Come ci sono arrivato
qui in
albergo?» chiese, senza effettivamente conoscere la risposta
a quella bizzarra
domanda.
Michael scoppiò a
ridere:
«Sui tuoi piedi, testa di sonno! Non ricorda che tu ha sceso
dall’aereo come
zombie, sei arrivato qui e sei come un morto sul letto?»
Ovviamente non ricordava
nessuno di quei particolari, altrimenti chiedere sarebbe stato del
tutto
superfluo. Non aveva abbastanza energie o salute per rispondergli in
quel modo,
dunque si limitò a correggerlo.
«Non si dice
“testa di
sonno”» lo ammonì, sulla traduzione
impropria della parola sleepyhead,
«piuttosto “dormiglione”.»
Il volto di Michael era pura
compassione, probabilmente dovuta alla voce nasale di Marco.
Quest’ultimo si
rannicchiò tra le coperte e se le tirò fin sopra
la testa. Che pietà che doveva
fare, ad affondare tra le lenzuola in piena estate, a Taormina per di
più.
Eppure i brividi non accennavano a passare.
«Michael» lo
chiamò, con voce
lamentosa.
Non ebbe bisogno di dire
altro, che Michael si era già infilato sotto le lenzuola. Ai
suoi occhi parve
così aitante, con quel suo sprezzo del caldo afoso con il
quale lo abbracciò
forte e strofinò le sue membra, prede del gelo. Marco si
strinse al suo petto,
la stretta attorno a lui divenne più serrata e il respiro
caldo di Michael andò
ad infrangersi tra il suo collo e la sua spalla, donandogli tepore. Un
sospiro
di sollievo trovò la strada per abbandonare le labbra di
Marco.
«Non voglio stare
male»
piagnucolò.
«Su, su, non fare
così: più
tu pensa di stai male, più peggio è.»
La grammatica non era di
certo il suo forte, e il suo strafalcione strappò a Marco un
piccolo sorriso.
I pensieri di Marco, i suoi
dubbi e i suoi timori, forse per via della febbre che gli annebbiava la
mente,
vennero da lui espressi ad alta voce.
«Andrà
tutto bene, vero? Tra
le tue braccia va sempre tutto bene.»
There’s a light in you
And in everything you do
Michael rise, ben sapendo che
in altre circostanze lo avrebbe preso in giro per quel comportamento
sdolcinato. Ma, forse per via della recente riconciliazione, oppure per
quel
raffreddore atroce, o anche solo per una vena dolcemente stucchevole
che si
celava in lui, la sua reazione fu di passare una mano tra i capelli di
Marco e
dargli un bacio sulla fronte, coperta di un lieve strato di sudore.
«Tu dici?»
Annuì, convinto.
«Per questo
negli ultimi mesi andava sempre tutto male, perché non ero
al mio posto.»
Non c’era bisogno che gli
chiedesse a quale posto si riferisse.
Il posto di Marco era tra le
braccia di Michael.
Quella consapevolezza
provocò
a entrambi una dolce, lieve fitta nello stomaco, tutt’altro
che dolorosa, anzi,
era la più soave delle sensazioni.
Per un paio d’ore,
dimentichi
dei doveri e degli impegni che essere celebrità comportava,
semplicemente
rimasero l’uno accanto all’altro, stretti come uno,
mentre Marco sussurrava
smancerie che, una volta guarito, si sarebbe vergognato anche solo di
ricordare
vagamente. Michael gliele avrebbe rinfacciate tutte, una per una, nei
momenti
più impensati. Marco avrebbe finto di essere offeso e lo
avrebbe picchiato con
la violenza di una piuma, perché far del male a Michael
sarebbe stato il
peggiore dei crimini.
Era così, tra loro due,
da
sempre. Un eterno gioco, più simile a una danza che a un
inseguimento, dove
ogni passo era inevitabilmente seguito da un altro che entrambi
conoscevano a
memoria, ma che mai i due contendenti si stancavano di scoprire come
fosse la
prima volta, il primo attimo del primo giorno.
«Marco» lo
chiamò
gentilmente, dopo un po’ che il suo respiro si era
regolarizzato.
Un flebile mugolio gli giunse
in risposta.
«Adesso io ti misuro la temperature, poi prende una aspirina e
ti do, così tu puoi stare meglio» disse, iniziando
ad allontanarsi da quel
tenero abbraccio, nel quale Marco lo tirò nuovamente.
«Non ti spostare, sei
così
caldo» si lamentò.
«Se non ti guariscio
io, poi ti guarisciono loro e tu
sai come.»
Con gentilezza, ma in
modo
deciso, Michael lo scostò da sé e fu libero di
alzarsi, per medicarlo come un
infermiere di prim’ordine, tanto che Marco appena si accorse
che gli veniva
misurata la febbre finché non gli fu annunciato che stava
sui 38 °C. Gli preparò
un bicchiere con l’aspirina, che Marco bevve avidamente,
vista l’arsura che
sentiva in gola. Tornò immediatamente a distendersi, mentre
Michael provvedeva
a inumidire dei fazzoletti di stoffa. Marco, pur nella malattia, non ne
ebbe
mai abbastanza, di quelle dolci parole di ringraziamento che
quell’uomo
angelico meritava totalmente. Ah, e pensare che meno di un mese fa
avrebbe
preferito tagliarsi la lingua piuttosto che definirlo angelico, eppure
eccolo
lì, a poggiargli le pezze bagnate sulla fronte per
abbassargli la temperatura.
Once again it seems you found a way
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Di quel primo giorno di
permanenza a Taormina, Marco ricordò davvero poco.
Si svegliava a intervalli
regolari, per poi riaddormentarsi. Ogni tanto Michael provvedeva
affinché
mangiasse, o lo aiutava ad alzarsi per raggiungere il bagno. Ogni volta
che
Marco apriva gli occhi, incontrava quelli di Michael, spalancati,
vigili e
attenti. Non si era riposato un secondo da quando erano atterrati,
tanta era la
sua premura nel vegliare su Marco.
La febbre iniziò a
scendere
progressivamente finché, calata la notte, essa non si
stabilizzò intorno ai 37
°C. Una bella conquista, ottenuta a suon di pezze e di
medicinali, oltre che di
teneri abbracci e baci delicati.
Marco arrivò a
mezzanotte,
sveglio come un grillo e madido di sudore, per vedere Michael crollare
dalla
stanchezza, con il termometro stretto tra le mani. Sorrise nel vederlo,
poi
delicatamente gli liberò le dita e, poggiato il termometro
sul comodino, si
accoccolò al suo petto.
Cercò di recuperare i
ricordi
di quel giorno, ma pareva tanto difficile. Solo Michael, solo quel
volto
bellissimo e quella dolce voce, le sue cure e la sua premure: questo
era tutto
ciò che era sicuro di ricordare.
Tenne il viso
sollevato, non
avrebbe saputo dire per quanto. Sapeva soltanto che avere
l’opportunità di
guardare Michael in quel modo, pacifico e dormiente, lo riempiva di
gioia.
Rimase sveglio solo per sentirlo respirare, e quel fiato poi si
infranse come
spuma di mare sulla propria pelle. Sfiorò la sua guancia con
le nocche,
sussurrandogli per l’ennesima volta parole di ringraziamento,
che l’altro non
poté udire.
I figured I'll tell you why
I stay up some nights to hear you breathing
Una volta tanto, sentì
di
avere il cuore al posto giusto. In quei mesi lo aveva tenuto fin troppo
nella
testa, cercando di ragionarci e di dominare l’amore con la
razionalità. A
volte, la furiosa gelosia che provava nei confronti di Tim lo aveva
fatto
precipitare sotto i piedi, quel povero cuore, il quale era poi risalito
precipitosamente nello stomaco quando lo aveva ritrovato, senza pur
volere
ammettere di amarlo ancora.
Adesso, però, il suo
cuore
era dove doveva stare.
Tra le mani di Michael.
With everyday that goes by
You are the one and only I believe in
Marco non poteva essere
più
felice, perché sapeva che aveva lasciato il suo cuore nel
posto più sicuro
possibile. Nel più bello. In un posto che, finalmente, era
tutto suo.
I pensieri lo stremarono e,
dopo un po’, provò a chiudere gli occhi, senza
immaginare che il semplice
respiro di Michael lo avrebbe cullato e rapidamente risucchiato in un
sonno
profondo.
«Amore,
sveglia.»
Sorridendo teneramente, Marco
aprì gli occhi.
Si ritrovò davanti un Michael vestito di tutto punto, con
indosso una camicia
dorata e dei pantaloni bordeaux, con cravatta in tinta. Semplicemente
perfetto.
«Che bel nome che mi hai
dato» sussurrò. «Amore.»
«Amore»
ripeté, carezzandogli
la guancia, «ti ho lasciato dormire più che
può. Io deve fare mie registrazioni,
tu hai due ore in più che me per venire nel teatro. Hai
bisogno che ti aiuto?»
Marco si mise seduto sul
letto. Le ossa gli dolevano un po’, come se avesse fatto uno
sforzo fisico, e
si sentiva la testa pesante. Ma respirava decisamente meglio e si
sentiva molto
più lucido: era decisamente sulla via della guarigione. Per
cui declinò
dolcemente la sua offerta di aiuto:
«Grazie, ma ora sto
bene»
dichiarò, per poi aggiungere «amore.»
Michael sorrise e gli diede
un dolce bacio a fior di labbra, bacio che Marco si premurò
di allungare, sia
per mostrare quanto fosse in forze, sia perché il sapore
delle labbra di
Michael era l’unico che volesse avere sulla sua bocca in
eterno.
«Grazie di cuore per
ieri»
disse, sulle sue labbra.
Michael scosse la testa.
«Non
ringraziarmi più, l’ho fatto con il
piacere.»
Marco lo strinse in
quel
bacio, e proseguì a baciarlo, a lungo e soavemente. Lo
gustò e lo assaporò,
facendolo mugolare dolcemente, arrivò quasi a tentarlo, ma
così facendo per
poco non lo fece tardare e allora, a malincuore, furono costretti a
separarsi.
If you'll agree to have me
Each day of your life
Ci mise un paio di minuti per
trovare il coraggio di alzarsi dal letto, da solo e con la prospettiva
di una
difficile, quanto elettrizzante, giornata di lavoro.
Si preparò, dunque, per
raggiungere i suoi concorrenti, non senza aver preso un’altra
aspirina. Si
sentiva più lento e pigro del solito, ma quello non lo
avrebbe fermato. Era
capace di andare in tour con il raffreddore: ascoltare sei band
emergenti e
selezionarne tre che avrebbero avuto accesso alla diretta non era meno
difficile, o almeno così pensò per farsi forza da
sé.
Una volta pronto scese nella
hall dell’albergo e poi fuori, dove trovò
un’auto ad attenderlo. Raggiunse
entro breve il Teatro Antico e, a quel punto, diede sfogo a tutte le
energie
che non possedeva, ma che finse, per il bene delle telecamere e dei
ragazzi,
tesi come una corda di violino.
Gli altri giudici
registrarono i loro Home Visit in luoghi vicini al teatro, non proprio
nel sito,
al centro delle colonne in pietra: quell’onore venne
riservato a Marco, il
nuovo, celebre e giovane giudice. Che imbarazzo.
Riuscì a resistere per
tutte
quelle ore soltanto grazie a una lieve brezza marina, che gli
fornì un po’ di
ristoro da quel sole cocente che gli picchiava proprio in fronte.
Alla fine di quelle ore
estenuanti, scelse i talenti che sarebbero andati a comporre la sua
squadra e
non poté essere più fiero e orgoglioso del
proprio operato: prime fra tutti, le
Pop Culture, il cui nuovo nome era Ironicamente (Marco lo
adorò); poi scelse
una band che per lui era una novità assoluta, in quanto
composta da tre
vocalist e due musicisti, i Biscroma; infine, pur trovandosi indeciso
tra un
quartetto polifonico e le gemelle Di Specchio, scelse le ultime due,
poiché lo
avevano colpito sin dalla prima audizione per la loro bravura spontanea.
Gli Home Visit erano belli
che andati.
Fu un lavoro duro, ma
soddisfacente, che Marco svolse con somma gioia. Aveva lottato contro
la febbre
e il raffreddore pur di portarlo a termine, il caldo e
l’eccessiva
concentrazione, oltre che la musica ad alto volume, avevano peggiorato
di suoi
sintomi influenzali. Poteva definirsi esausto, ma felice come non mai.
Ora, però, non vedeva
l’ora
di tornare in albergo.
Chiamò Michael sul
cellulare.
«Pronto?»
rispose quello,
dopo qualche secondo di attesa.
«Ho finito con le
registrazioni» annunciò, sorridendo nonostante lo
sfinimento. «Torniamo
all’albergo.»
«Oh, Marco, io non posso.
C’è
problema.»
Problema? Iniziò a
torturarsi
le cuticole con i denti dal nervosismo. «Nulla di grave,
spero.»
«No, certo»
sospirò,
spazientito. «Una donna è persa di sensi mentre
cantava.»
«È
svenuta?»
«Per me, non è
stato così!
Lei ha stonato e ha preteso di svenire per avere altra chance in
provino.»
Ah, gli svenimenti finiti.
Quanti ne aveva visti in quelli che, per lui, erano ben pochi anni di
carriera,
e d’altronde era quello che gli avevano suggerito di fare
quando era ancora un
concorrente del programma: “Se dimentichi le parole della
canzone, o ti accorgi
di stonare, fingi di svenire e salva la performance”!
Figurarsi
«Spero che la cosa si
risolva
in fretta» tagliò corto. «Io inizio ad
andare e ti aspetto.»
«E nel frattempo
vivo» lo
prese in giro, facendolo ridere. «Allora ciao, testa di
letto!»
Marco fu sul punto di
correggerlo di nuovo, ma Michael staccò la chiamata mandando
in fumo quella
possibilità.
Sorridendo, quest’ultimo
tornò in albergo con la stessa auto sulla quale era arrivato
al teatro. Una
volta salito in camera, fu tentato di gettarsi sul letto e tornare
sotto le
coperte, raccogliersi in modo tale da somigliare a un bozzolo e
aspettare che
Michael tornasse. Ciò che fece, invece, fu riordinare e
cambiare l’aria
all’interno della camera da letto. Ci volle
un’immane fatica da parte sua,
tanto si sentiva debole, ma alla fine riuscì a dare alla
stanza un aspetto
presentabile: di certo, l’ultima cosa che desiderava era che
Michael si
mettesse a fare la colf per lui e che si mettesse a ripulire il macello
che
aveva combinato Marco. Era completamente folle, da escludersi a priori.
Marco era
un uomo grande e grosso, e come tale doveva saper gestire un banale
raffreddore.
Poi pensò
che, se era così
che voleva ricambiare l’infinita gentilezza di Michael, era
fuori strada.
Avrebbe dovuto pensare a ben altro, a qualcosa di davvero grandioso,
perché
davvero quell’uomo gli aveva salvato il lavoro; non solo, gli
aveva risparmiato
quelle solite “pilloline magiche” che tanto
piacevano ai produttori, le quali
lo avrebbero fatto riprendere dal suo raffreddore il cinque secondi,
oltre che
farlo impazzire totalmente per le quindici ore successive.
I’ll try to make you happy
Like the way
The way you make me feel like
Rifletté sui modi che
aveva a
disposizione per ringraziarlo, e gli venne in mente di dargli tutto
ciò che
aveva con sé in quel momento: se stesso. Così, e
faticando ancora più del
dovuto, accese un bastoncino profumato che avevano dato in dotazione
all’interno della toletta, poi riempì la vasca da
bagno di acqua, schiuma e
sali da bagno, fino a quanto non la vide piena di soffici bolle di
sapone.
Purtroppo non c’erano candele nella stanza che potessero
creare l’atmosfera
romantica e, francamente, non se la sentiva di scendere giù
e chiedere alla
receptionist di fornirgliele, anche perché ella si sarebbe
certamente fatta
delle domande, le quali avrebbero avuto una sola possibile risposta.
Pertanto, nel tentativo di
evitare qualunque momento di imbarazzo, spense tutte le luci principali
in ogni
stanza, lasciando soltanto quelle periferiche. Nel complesso, si
poté dire
soddisfatto di quella pensata. Come tocco finale, si denudò
completamente,
dimentico della febbre e dell’accortezza, indossando soltanto
gli slip viola
dotati di push-up che Michael gli aveva regalato qualche compleanno fa.
Si guardò
intorno,
congratulandosi con se stesso: tra i profumi dei Sali da bagno e le
luci
soffuse, l’abitacolo evocava lussuria con una lieve nota di
delicatezza, un
binomio che, ne era certo, avrebbe incantato Michael.
In a crowded room
You are the only one
Pensò molto
a lui, nella
realizzazione di quell’oasi erotica: il suo Michael sarebbe
tornato certamente
stanco, dopo quell’increscioso imprevisto con la donna
svenuta. Marco lo
avrebbe condotto nel bagno, facendolo rilassare all’interno
della vasca. Dopodiché
lo avrebbe raggiunto e lì gli avrebbe offerto un lento e
voluttuoso massaggio
che, oltre a sciogliere la tensione del suo amato, avrebbe acceso il
suo
desiderio. Lo sperava davvero con tutto il cuore.
Now it’s just us two
And the setting sun
Marco stava ancora
immaginando quel momento idilliaco, quando il diretto interessato
bussò alla
sua porta.
There’s a light in you
And everything you do
Once again it seems you’ve found a way
Deciso a non mostrarsi
subito
in tutta la sua gloria (se di gloria si poteva parlare), si
infilò in fretta e
furia un morbido accappatoio di spugna, si legò la cintura
in vita e, infine,
andò ad aprire, al colmo dell’impazienza.
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Solo che di fronte a lui non
c’era Michael.
Ma un uomo alto e ben
piazzato, sulla trentina almeno, dal volto indolente e dai capelli radi.
«Marco Mengoni?»
Il suo accento non gli
piacque.
«Sì»
rispose, timidamente.
L’uomo si
esibì nel più
sordido dei ghigni. Marco rabbrividì dalla testa ai piedi e
tenne strette le
estremità della cintura del suo accappatoio.
L’uomo non aveva certo
bisogno di presentazioni: Marco aveva già capito tutto e
pensò che sentirsi
peggio non sarebbe stato neanche lontanamente possibile.
«Hello, you sow.» Ciao,
scrofa. «I’m Tim.»
I love you even more than I love you
yesterday.
La
soffitta dell’autrice:
Mancano
due capitoli alla conclusione di quest’opera.
Cosa
dire? Nel rileggerla, mi accorgo che avrei potuto fare
molto, ma molto meglio. Soddisfatta al 100%? Sicuramente no. Ma so che
senza l’aiuto
della mia beta, comeunangeloallinferno94, questa fan fiction sarebbe
stata una
vera schifezza. E, dunque, grazie per avermela salvata. Sei un angelo
davvero.
Per chi non lo sapesse, questa canzone è "Ad occhi chiusi", nella versione inglese. Sì, lo so: brividi puri.
Baci.
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Capitolo 11 *** Fuori ***
Solo due satelliti
«Hello, you sow.
I’m Tim.»
In
quale parte del corpo
Ci
potremmo incontrare
Tim.
L’uomo
che Michael aveva giurato di sposare.
Tim.
L’uomo
che Michael, al fine, non aveva sposato.
Tim.
L’uomo
che alla famiglia Penniman piaceva così tanto da spingere
mamma Jonni a
prendere un volo diretto per Milano, pur di convincere il figlio a
sposarlo.
Tim.
In
quel momento era di fronte a Marco. Imponente e furibondo, emanava quel
tipo di
sicurezza spavalda che solo una ricchezza antica di secoli poteva
comprare.
Evidentemente, era il tipo di ricchezza posseduta dai Van Der Kuil.
«Tim»
la voce di Marco era ridotta a un sussurro.
L’uomo
entrò nella camera d’albergo a passo sicuro, come
se l’intero mondo gli
appartenesse, come se stesse passeggiando nel proprio, immenso parco
giochi.
Poi, voltatosi per squadrare Marco da capo a piedi, con un gesto
imperioso
agguantò la cintura dell’accappatoio di spugna che
indossava e gliela sfilò dai
passanti, cosicché l’accappatoio si
aprì. Il fisico di Marco, tonico ma
morbido, occhieggiò per un istante prima di venire
brutalmente coperto
dall’accappatoio, con un gesto repentino di colui che lo
indossava. Avvampò in
viso e si ingobbì leggermente, come se avesse ricevuto un
pugno nello stomaco: da
uomo fondamentalmente timido qual’era, di certo
l’ultima cosa che avrebbe
voluto era uno sconosciuto che irrompesse in casa sua (o nella sua
stanza) per
spogliarlo così, di punto in bianco. Soprattutto, se quello
sconosciuto era
l’ex promesso sposo del suo attuale uomo, o almeno, era
così che lui lo
sentiva. Si coperse come una vergine violata.
Senza
andare lontano
Per poterci sfiorare?
Tim
si esibì in un giudizio, in un inglese talmente rapido che
Marco,
spontaneamente, fece: «Eh?»
Tim
sospirò, spazientendosi visibilmente. «Io vede
bene perché Mica cambia Paese
per te.»
Il
suo accento era fortemente londinese, il suo tono era arrogante, quasi
sguaiato. Lo mise in imbarazzo e, al contempo, lo stupì: non
somigliava affatto
all’uomo dolce e mite descritto da Michael per tutti quegli
anni. Quanto poteva
cambiare una persona, la gelosia?
«Perché
sei qui?» lo affrontò, seppur lottando contro il
timore e il nervosismo.
Tremava addirittura.
Tim
iniziò a giocherellare con la cinta di spugna che gli era
rimasta tra le mani,
segno che neppure lui era tanto sicuro di sé come voleva far
credere.
«Io
pensa molto di te» cominciò, in un pessimo
italiano. «Da che Mica lascia mi, io
pensa a: che uomo gancia altro
uomo
che è già engagiato?
Allora, io
pensa: of course!, un
maiala!»
Maiala
però lo sai dire
bene,
pensò Marco. Non poté replicare
all’accusa lanciatagli, ché Tim aveva
perfettamente ragione ad avercela con lui, il quale in un primo momento
gli
aveva soffiato l’uomo.
«Sì,
ma poi ci siamo lasciati e finché siete stati insieme, io
non mi sono più
avvicinato a lui» spiegò timidamente.
«Shut up, whore» lo
zittì, rimettendolo
così al suo posto: in un angoletto remoto, tra la paura e il
senso di colpa.
Marco
si strinse talmente tanto nelle braccia da farsi male, ma quel dolore
non era
nulla se comparato a quello che gli squassava il petto e lo straziava
come lama
rovente.
«Io
capire che lui vede: un bello ragazzo per il sexo.
Ma però io no capire perché lui pensa che
è amore it»
detto ciò, rise beffardamente. «Ora
so: tu ha confuso lui con tuo dirty body.»
Quindi
era questo che Tim, e
probabilmente tutta la famiglia di Michael, pensava di lui: aveva usato
il suo
corpo, che egli poteva aver definito sia “sporco”
che “proibito”, al fine di
sedurre Michael e convincerlo a fare ciò che voleva. Anche
mandare a monte le
sue future nozze.
Tim
proseguì quello che era
divenuto un burlesco, doloroso monologo. «So,
io cerca te su internet: tua family
no è ricca, tuo padre ha lavoro in pasta shop.
Tue monete è per la fama e tu va a perdere, sooner
or later» fece una pausa, compiacendosi delle
origini di Marco, non nobili
o altisonanti quanto le sue. «Io è Van Der Kuil,
ricchi di mille anni fa in Holland.»
Marco
perse definitivamente
la pazienza. Qualunque fossero le intenzioni di Tim, ci stava
impiegando troppo
a rivelarle. Aveva paura di quella visita, sì, ma se la sua
arroganza derivava
unicamente dai suoi illustri natali, aveva sbagliato uomo con cui
vantarsi.
«Signor Van Der Kuil, lo vedi quel letto?» Tim si
volse a guardarlo prima che
Marco proseguisse: «Bene, se ti ci metti sopra senti ancora
il profumo di
Michael sopra. E non è con il tuo cognome che si
è coricato stanotte.»
Tim
parve quasi sul punto di
perdere le staffe, ma si contenne. «Ok, Mengoni. Di cose che
io trova di te in
internet, qui è cosa che io no trova.»
«Vale
a dire?»
Tim
si prese il suo tempo per
pronunciarle, quelle tre lettere. Le articolò per bene, una
per una. Lasciò che
il loro amaro retrogusto danzasse sulla punta della sua lingua, la
quale si unì
alle labbra per compiere quei malefici movimenti che portarono Marco
alla
disfatta.
«Gay.»
Ti
ho annusato le mani
E
ho sentito che mi ami
Marco
ne rimase così allibito
che per poco non mollò la presa sull’accappatoio,
scoprendosi una seconda
volta. Dovette poggiarsi alla parete per non fare ciò che
gli veniva più
naturale: sedersi per accusare il duro colpo.
Tim
seppe di averlo in pungo
quando lo vide vacillare in quel modo. «Ah, so
è vero che tu no dice tu è gay. Persone
dice che tu è, che tu no è: tu è
muto. Tu hai vergogna.»
Eccola, un’altra parola
che sa pronunciare benissimo.
Lo
sguardo di Marco rimase
fisso sul pavimento, più precisamente su una sezione della
moquette ricoperta
da un lieve strato di polvere. Il pulviscolo aleggiava etereo
nell’aria, quasi
fluttuasse, come i pensieri nella sua mente, i quali si muovevano
scomposti
trascinati da un’invisibile e agitata corrente, senza
prendere senso né forma.
Tim
gli si avvicinò. «Mica è
confuso. Io è ricco uomo che fa coming out, tu è
povera maiala che vergogna.
Magari tu dici lui che tu no va bene in sua vita, o...»
L’altro
non gli chiese cosa
venisse dopo quella “o”. Perché aveva
compreso perfettamente e un dolore simile
di rado lo aveva provato in vita sua.
Il
dolore di chi viene messo
al muro, sapendo di meritare tutto ciò che sta patendo.
Marco
non si rese conto di
quanto Tim gli fosse vicino finché il suo fiato caldo non
lambì le sue gote.
«...
o io dice tutti che tu è
gay. Tua musica è over,
tue monete è over. Mica
è over, per
te.»
Il
senso del suo discorso
aveva il sapore del ricatto: nella mente di Tim, Marco avrebbe perso
Michael in
ogni caso. Doveva solo decidere se perdere assieme a lui anche fama e
fortuna,
oppure rimanere un cantante ricco e famoso, ma dicendo a Michael che
loro non
potevano stare insieme.
Due
modi diversi di andare
all’inferno.
Scosse
impercettibilmente la
testa, non potendo credere a ciò che gli stava capitando.
«Tu
ha un week di tempo, poi
io dice tutto» annunciò, infine, imboccando la via
della porta.
«No.»
Ti
ho baciato sugli occhi
Ed
ora mi riconosci
Tim
si irrigidì. Tornò sui
propri passi, gli occhi come due braci ardenti.
«No?»
«So
che ho sbagliato in
passato» mormorò, con il capo chino. «Ma
io amo Michael. Non lo lascerò mai. E
sappi che lui ti odierà per quello che mi stai
facendo.»
Fu
un attimo.
Tim,
con tutto il suo peso,
gli fu addosso.
Marco
tentò di divincolarsi,
di scacciarlo via da sé, ma non ci fu verso: lo teneva
incastrato tra il muro e
il suo corpo, come sovente faceva Michael. Ma del suo calore e della
sua
gentilezza, non v’era traccia. C’era solo paura e
sgomento, oltre che le
lacrime negli occhi e sulle guance di Marco.
Tim
gli spalancò
l’accappatoio, schiaffò la sua mano violenta
proprio in corrispondenza del suo
inguine e strinse in una morsa i suoi genitali, facendolo urlare di
dolore e di
terrore.
«Tu
no dice niente a Mica!»
gli urlò in faccia. «Se Mica sa di io e te oggi, I’ll treat you as the whore you are!»
Lo
avrebbe trattato come la
troia che era.
Marco
credé di essere sul
punto di svenire per il panico e per il trauma che stava subendo, ma
proprio in
quell’istante Tim mollò la presa e
lasciò la stanza, sbattendo con forza la
porta d’ingresso.
Libero
di accasciarsi al
suolo, Marco liberò singhiozzi e lamenti di disperazione.
Non poteva crederci.
Perdere
il suo amore.
Perdere
la sua musica.
Perdere
la sensazione di
sentirsi al sicuro nel mondo.
A
quali orride e funeste
prospettive Marco era stato messo di fronte da Tim Van Der Kuil.
Non
riusciva ancora a
prendere fiato per respirare a dovere, perso tra le lacrime, che si
rimise i
vestiti in fretta e furia e, così come aveva sempre fatto
nella sua vita,
scappò via in cerca di un luogo dove urlare al mondo il suo
dolore.
Come
quando avevo voglia di incontrarti anche
per sbaglio
Per
le strade di un paese che neanche conoscevo
Mi
perdevo ed ero certo che ogni volta tanto poi
ti ritrovavo
Quando
Michael finì i suoi
Home Visit, erano quasi le quattro del pomeriggio. Aveva una fame da
lupi, il
caldo era divenuto soffocante e di fare qualcosa che non fosse mangiare
insieme
a Marco stravaccato sul letto (e, possibilmente, farci
l’amore fino a quando ne
avessero avuto la forza) non ne voleva proprio sapere.
Bussò
alla sua porta con fare
gioioso, componendo una musichetta tutta sua tramite le nocche e il
legno della
porta.
Nel
farlo, però, si rese
conto che la porta non era chiusa. La spinse leggermente ed
entrò nella stanza
senza farselo ripetere due volte, ipotizzando che Marco intendesse
fargli una
sorpresa. Così percorse l’intera stanza, guardando
sotto il letto, dentro
l’armadio e dietro le tende; poi entrò nel bagno,
dove trovò una luce soffusa e
una vasca piena zeppa di schiuma: eccola la sua sorpresa.
Chiamò il nome di
Marco, infilò addirittura una mano all’interno
dell’acqua che quasi trasbordava
dalla vasca. Ma, del suo amato, neanche l’ombra. Rassegnatosi
a non trovarlo là
dentro, provò a chiamarlo al cellulare, ma poco dopo lo
sentì squillare
all’interno della stanza. Pareva che Marco si fosse
volatilizzato nel nulla.
Leggermente
preoccupato, andò
alla reception per chiedere se qualcuno lo avesse visto e, per fortuna,
il
concierge gli disse che circa un paio di ore prima, in tenuta sportiva,
Marco
era corso fuori dall’albergo. Michael immaginò
che, sentitosi meglio, Marco
intendesse mostrare a se stesso tutta la sua capacità di
ripresa.
In
realtà, quella era la più
idiota delle scuse: se fosse andato a correre lo avrebbe avvertito,
avrebbe
portato il telefono con sé e, soprattutto, non avrebbe
lasciato la porta della
camera aperta. Senza contare l’orario improponibile.
Sicuro,
era dovuto
urgentemente correre da qualcuno e, per un secondo, Michael si chiese
chi o
cosa meritasse tanta urgenza, in tutta Taormina, da parte del suo
fidanzato.
Come
quella notte in cui mi hai detto:
"Voglio andare via"
Ho
sbattuto questa porta ed ora
basta e così sia
Un
istante dopo ti eri perso e per le strade già
io ti cercavo
Marco
si ritrovò presto
sperduto tra le vie di quell’immensa città. Il che
fu un bene poiché, in altre
circostanze, avrebbe beccato le strade più trafficate della
città. I fan e
chiunque lo avesse riconosciuto gli avrebbero chiesto che ci faceva, a
quell’ora, in lacrime e sconvolto, a correre per strade e
marciapiedi senza una
meta precisa.
Invece,
per fortuna, aveva
trovato rifugio in un quartiere abbastanza ombroso, dove aveva
ritrovato solo
vecchi provenienti dalla Grecia e gatti randagi. Nessuno lo avrebbe
riconosciuto, seduto lì su una scaletta, con la testa
poggiata a una parete in
roccia, mentre un gatto gli miagolava contro per poi annusarlo,
decidere che
era innocuo e limitarsi a girargli intorno. Di certo, nessun vecchietto
lo
avrebbe interrotto nel suo pianto isterico per chiedergli cosa ci fosse
che non
andava e, anche se lo avesse fatto, quello era il quartiere greco, e la
gente
parlava talmente poco italiano da riuscire a malapena a chiedere in che
direzione fosse la toilette più vicina. Lì era al
sicuro da tutti.
Lì
era al sicuro da Michael.
Lo
avrebbe perduto per
sempre, rinunciando a una delle cose più belle e
gratificanti della sua vita,
se lo avesse lasciato.
Avrebbe
tanto voluto tenerlo
con sé, per impedirgli di tornare tra le braccia di quel
viscido di Tim. Ma
l’opzione era di perdere la sua musica e, per quanto amasse
Michael, era
impensabile vivere senza il suo unico, vero ossigeno.
Se
avesse raccontato tutta la
verità avrebbe rischiato il peggior destino che potesse
capitare a un uomo, e
non era che potesse sempre richiedere la protezione di Michael. Era
escluso.
Il
solo pensiero lo fece
piangere così forte da spaventare i colombi che beccavano le
briciole nei paraggi.
Per
un lungo, doloroso
attimo, pensò a come sarebbe stato se l’avesse
fatta finita.
Lo
sconforto più totale lo
indusse a valutare la possibilità di gettarsi in nel mare
cristallino senza
riemergere mai più. Di sicuro avrebbe trovato la pace, non
avrebbe più subito
minacce, e avrebbe liberato Michael dalla sua presenza, che solo
sofferenze gli
aveva portato.
Subito
quel pensiero svanì
dalla sua mente, lasciandolo in preda al timore di se stesso. Amava la
vita,
nonostante tutto. Ma ciò che gli faceva amare la vita erano
la musica, Michael
e la sua fiducia nel mondo. E, inevitabilmente, avrebbe perso una di
quelle tre
cose. O, forse, tutte e tre.
Non
c'è posto in cui può smettere
Questo
nostro folle amore
Si
voltò, serrando gli occhi
e stringendo i denti più che poté,
finché non cedette all’urlo che gli
raschiava il fondo della gola, e che eruppe dalle sue labbra come anima
che si
catapulta via da corpo morto.
«Oh,
mio Dio» si torse le
mani cento volte almeno.
«Mika,
calmati, vedrai che
adesso lo troviamo» lo tranquillizzò Irene.
Erano
le sei del pomeriggio,
Marco era uscito poco prima delle due e non era ancora tornato. Michael
aveva
contattato Elio e Irene per sapere se era, magari, andato a parlare con
uno di
loro, quando invece nessuno dei due lo aveva visto quel giorno.
Michael
iniziò a preoccuparsi
verso le cinque quando, nonostante le varie ricerche su internet,
nessun fan
aveva postato nessuna foto su nessun social network in cui vi fosse
Marco.
Sembrava essersi dissolto nel nulla e questo riempì Michael
di ansia.
Alle
sei, ancora Marco non
aveva fatto ritorno e i tre giudici si erano organizzati per mettere su
una
piccola squadra di ricerca. Irene di sarebbe occupata di setacciare le
piazze,
le strade e i luoghi più affollati, Elio avrebbe provveduto
a cercarlo in
negozi, teatri e altri centri simili, mentre Michael avrebbe pensato a
delle
strade un po’ meno trafficate e alle spiagge. Così
si divisero e Michael iniziò
a correre a perdifiato. Cercò nel retro dei pub, per salite
e discese, senza
successo. Il cuore iniziò a martellargli nel petto: Marco
avrebbe potuto essere
stato anche rapito, o poteva essergli successo qualcosa? Santo cielo, e
se
fosse annegato? Cercò di calmarsi, si diede del ridicolo, ma
nulla riuscì a
placare la sua ansia. Cercò finanche nelle chiese,
nonostante Marco fosse ateo;
si intrufolò in una casa di piacere che si trovava poco
distante da un
quartiere universitario, nonostante a Marco neppure piacessero le
donne. Non
ebbe successo da nessuna parte.
All’improvviso
si fermò, per
concedersi un lieve momento di sconforto. Riprese fiato e, nonostante
il
fiatone, trovò la forza di versare qualche lacrima.
Marco,
il suo Marco si era
perduto. Se gli fosse successo qualcosa in sua assenza, non se lo
sarebbe mai
perdonato.
In
quale parte del mondo
Ci
potremmo lasciare
Riprese
a cercarlo. Corse
così velocemente da volare, e urlò
così forte il suo nome che poté giurare di
sentirlo chiamare perfino alle porte e alle finestre di tutta la
città le
quali, spalancate, sembravano mille bocche alla ricerca di un unico
amore.
Marco
ebbe abbastanza tempo
per riprendere a odiarsi come quando era un adolescente grasso,
brufoloso e con
l’apparecchio.
Maledisse
mille volte se
stesso e quella disgrazia che aveva tra le gambe, perché il
tocco di Tim lo
aveva fatto sentire più sporco che cosce di puttana, e si
odiava a tal punto da
provare repulsione verso la sua immagine, riflessa in una pozzanghera
che
andava sempre di più a rimpicciolirsi, sotto il calore di
Taormina.
Non
pianse più, ritenne di
aver finito le lacrime da versare e, in più, gli dolevano il
petto e le costole
dopo tutti quei singhiozzi disperati.
A
volte gli sembrava di
sentire il profumo di Michael sulla propria pelle, e
nell’accarezzare l’aria,
per poco non avvertiva al tatto i suoi soffici boccoli scuri. E la sua
voce,
oh, la sua voce, gli pareva di sentirla proiettarsi fuori da qualche
finestra
aperta come una bocca sul mondo.
Per
andare lontano
Senza
mai più tornare
Preso
a gingillarsi nei suoi
pensieri, quasi non si accorse che quella voce era reale, e chiamava il
suo
nome.
La
voce dell’amore, l’amore
che lo sospinse ad alzarsi in piedi e, nonostante tutto, a correre
sulle sue
gambe per ritrovarla. La mente gli suggeriva di stargli lontano, anzi,
di
allontanarsi in fretta: cose terribili gli sarebbero accadute se
così non fosse
stato. Ma l’istinto fu un burattinaio migliore
dell’intelletto e, con fili più
forti, lo guidò verso la voce di Michael. Scappare non aveva
portato a nulla di
buono, da quando aveva cominciato a farlo: era sul punto di ritrovare
la strada
per il suo cuore e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
Ti
ho lasciato le mani
Per
scordarmi il domani
La
stoltezza apparteneva ai
giovani che rinnegavano i loro propositi dopo averli così
ben formulati, essi
erano spergiuri come peccatori, ma gli amanti divisi erano un monito
per tutta
la terra che avrebbe smosso mari e monti pur di sospingerli
l’uno verso
l’altro. Marco arrivò a pensare che, se non avesse
seguito quella voce, il mare
lo avrebbe inghiottito per poi risputarlo tra le braccia del suo unico
amore.
«Michael!»
lo chiamò, quando
non seppe più dove andare per avvicinarsi a lui.
Non
dovette fare altro che
star fermo. Prima avvertì lo scalpiccio dei passi farsi
più forte, poi degli
ansiti accompagnarono quel suono finché non si
ritrovò investito dal più
caloroso e avvolgente degli abbracci che lo prese da dietro alla
sprovvista. E
rigiratosi in quelle braccia che lo stringevano più che mai,
urlò e scoppiò in
lacrime, aggrappandosi così forte a Michael che quasi gli
strappò i vestiti di
dosso.
E
ti ho perso negli occhi
Mentre
già mi mancavi
«Shhh,
va tutto bene,
piccolo» sussurrò, nonostante la sua voce fosse
anch’essa rotta dal pianto. «Ci
sono io qui con te.»
Era
proprio quello il
problema.
Ma
Marco tacque, lasciandosi
coccolare con dolcezza, come un bimbo sperduto. Non avrebbe mai potuto
rinunciare a lui, era chiaro come raggi di sole sull’acqua.
Ma
quale sarebbe stato il
prezzo per il loro amore?
«Non
ha importanza perché è
corso via» lo rassicurò, imboccandogli dolcemente
un cucchiaio di ottimo brodo
di carne.
Dopo
quella corsa sotto il
sole del primo pomeriggio, a Marco era tornata qualche linea di febbre
e i
brividi erano tornati forti quasi quanto prima. Di certo, lo shock
ricevuto
aveva contribuito, ma questo non lo disse.
Avvolto
in una coperta, si
lasciò nutrire dalle amorevoli mani di Michael.
«La
cosa la più importante»
proseguì, «è che tu sta bene e io e
Irene ed Elio siamo così felici di questo.»
Marco
rimase a fissare quel
cucchiaio lucido, gocciolante di brodo, per un tempo che parve
infinito.
Michael glielo spinse verso le labbra.
«Marco,
deve mangiare.»
Ma
la sua mente era altrove,
rivolta a Tim. Quelle minacce, così perfettamente studiate e
calcolate. Quelle
parole in italiano così ben pronunciate, come se avesse
provato mille volte
quel discorso di fronte allo specchio. Magari aveva anche il
beneplacito di
Jonni, chi poteva saperlo. Minacciare un uomo di violenza,
però, quello era
sicuro che neppure la più incallita dei Penniman lo avrebbe
consentito.
«Marco,
oggi tu aveva
preparato bella vasca per me e te, sbaglio?» fece
allegramente, per tirarlo su.
Marco
lo guardò come se lo
avesse condannato a morte.
Non
poté più reggere la
finzione, l’inganno, i dubbi che lo dilaniavano.
Scoppiò a piangere e seppellì
la testa nel cuscino, artigliandone la federa. Sentì il peso
di Michael su di
lui, che lo stringeva e piangeva a sua volta e questo lo fece sentire
peggio
che mai. Era l’uomo più vile sulla faccia della
terra.
«Marco»
lo chiamò. Il suo
nome non era mai stato ripetuto così tante volte da quella
voce, tutta
tenerezza e gentilezza, come una chiave che apriva quella porta, la
stessa che
si ostinava a tenere chiusa.
Ma
che, all’improvviso, si
spalancò.
«Se
restiamo insieme, sono
finito. Se ti lascio, sono finito. Se ti dico tutto, sono
finito!»
Come
quando avevo voglia di incontrarti anche
per sbaglio
Per
le strade di un paese che neanche conoscevo
Mi
perdevo ed ero certo che ogni volta tanto poi
ti ritrovavo
Oddio.
Lo
aveva detto davvero? Che
idiota.
Michael
rotolò su un fianco,
fino a ritrovarsi accanto a Marco. Gli afferrò il mento con
la mano e lo
costrinse a guardarlo. «Cosa dici?»
Iniziò
a tremare. Non un
leggero brivido di freddo, no: delle vere e proprie convulsioni dettate
da una
folle angoscia, quella di perdere ciò che aveva di
più caro al mondo. Si pentì
amaramente delle parole appena pronunciate.
Ma
quando si guardarono negli
occhi, Marco capì che l’idea di tenergli tutto
nascosto, in realtà, non l’aveva
mai presa veramente in considerazione. Si sarebbe detestato per tutta
la vita.
«Tim
è qui in Italia.»
La
bocca di Michael fece per
curvarsi in un sorriso ma, capito appena in tempo che non si trattava
di uno
scherzo, gli si torse, quasi deformata, in un’espressione non
dissimile da
quella di Marco.
Il
quale, pur conscio del suo
errore, gli raccontò tutto per filo e per segno. Dal momento
in cui egli lo
aveva quasi spogliato, fino alla molestia sessuale che gli aveva levato
la
tranquillità. Solo in quel momento capì che
l’unico intento di Tim era quello
di terrorizzarlo, e ci era riuscito alla perfezione.
Michael
ascoltò pazientemente
tutto il racconto, di tanto in tanto qualche lacrima gli solcava una
guancia,
ma in confronto a quelle di Marco, erano brina leggera dinnanzi alla
tempesta.
Alla
fine del racconto, Marco
si poggiò alla spalla di Michael, il quale gli rispose in
modo diretto e
pacato.
«Io
so come tu fai.»
«Come?»
chiese, gli occhi si
fecero enormi e pieni di curiosità e gratitudine per
quell’uomo magico, che
aveva tutte le soluzioni a portata di mano. Che riusciva sempre a
rendere la
sua vita più semplice, più bella. Più
vita.
Guardando
fisso di fronte a
sé, l’altro disse: «Noi in cinque giorni
ha la conferenza stampa per X Factor, prima
di il programma. Bene, tu lì dici davanti a tutti che hai
fidanzata donna.
Così, quando poi Tim dice tutti che tu è gay,
sembra solo un ex geloso che
cerca di avere il suo fidanzato indietro.»
Marco
si allontanò per
guardarlo dritto negli occhi. Fingersi etero e giocare
d’anticipo. Era quella
la sua idea? Non era da lui.
«Michael,
io non capisco...»
«Cosa
vuoi?» lo interruppe,
ringhiandogli in pieno viso. «Che io amava l’uomo
che è un gran bastardo? Che
io vorrei kill him con queste
mani?
Che io amo te so much che io vuole
solo che tu è al sicuro e se lui si avvicina di nuovo a tuo
corpo I will break his fucking bones?!»
«Michael!»
Come
quella notte in cui mi hai detto:
"Voglio andare via"
Ed
ho chiuso gli occhi con la testa bassa e così
sia
Un
istante dopo ti eri persa e per le strade già
io ti cercavo
Quest’ultimo
si era alzato e,
afferrato un vaso decorativo che si trovava su uno scaffale, lo
lanciò contro
il muro. Il rumore fu assordante, ma non fu nulla se comparato a quello
della
cascata di frammenti che scivolava lungo la parete, per poi finire
silenziosamente sulla moquette. Marco lo aveva stretto da dietro,
serrando le
braccia di Michael tra le sue. Ma era troppo tardi, il vaso era
già in
frantumi.
Non
aveva mai visto un uomo
così arrabbiato in vita sua.
«Ti
prego, non ne valgo la
pena.»
Michael
si voltò e lo spinse
sul letto, facendolo cadere sul materasso. Poi si mise a cavalcioni su
di lui e
lo spogliò con una velocità tale che, per poco,
Marco mancò il momento di
fermarlo.
«Ehi,
amore, no» gli parlò in
modo tranquillo e pacato, come a una belva inferocita. Pian piano,
respirando a
fatica, Michael si calmò, crollando sul suo petto e
piangendo. Non avrebbe mai
dovuto dirglielo, lo sapeva.
«Scusami»
disse. Ma, per
buffo che fosse, anche l’altro lo disse nello stesso istante.
E l’uno volle
chiedere all’altro di cosa si stesse scusando e
finì che nessuno chiese scusa
di nulla, semplicemente si strinsero e si scaldarono, regalandosi con
un bacio
così disperato, ma pieno d’amore che non aveva
bisogno di spiegazioni, né di
perché.
Le
loro lingue si incontrarono
a metà strada tra le loro bocche, intrecciandosi e
anch’esse come i due amanti
stringendosi tra loro, rendendo quel bacio più profondo,
più intenso, più
intimo di tutti i baci che si erano dati prima di allora. Si lambirono
di
carezze, ben poco languide.
Fu
Michael a interrompere
l’idillio, parlando sulle sue labbra. «Se tu dice
che tu sta con donna, tu può
salvare tua carriera e te da Tim.»
Marco
accarezzò la sua nuca,
proprio alla base dell’attaccatura dei capelli. «Ma
amore, e noi?»
Gli
occhi di entrambi
brillavano, quella sera, tra l’amore e le lacrime. Non si
capiva più se esse
appartenevano a Michael o a Marco, e le labbra erano tumide dei loro
baci.
«Noi
nasconde, come sempre»
alzò le spalle. «Meglio, così noi non
lascia mai.»
Non
c'è posto in cui può smettere
Questo
nostro pazzo amore
Non
era giusto, e lo sapevano
entrambi. Ma la vita non doveva essere giusta, e bisognava aggrapparsi
a ciò
che si aveva di più caro.
E
sentirgli dire che non lo
avrebbe lasciato mai –mai–
gli riempì
il cuore di speranza.
Per
questo Marco premette le
labbra su quelle di Michael, con tenue gratitudine. Gli cinse il collo
con le braccia
e in quel bacio, morbido e umido assieme, gli sfilò uno ad
uno ogni indumento
fino a spogliarlo del tutto.
Quella
notte non fecero
soltanto l’amore. Fecero molto di più.
Non
c'è posto poi per l'ombra
Dove
batta forte il sole
Michael
non si perse in
fronzoli e non lo stuzzicò come faceva di solito. Si
affrettò a entrare dentro
di lui, per divenire fusi in un unico abbraccio: fu talmente bello che
per
Marco fu come un rituale di purificazione dagli occhi e dalle luride
mani di
Tim sul suo corpo, corpo che apparteneva a Michael e a lui soltanto.
Marco si
issò, sedendosi sul grembo di Michael e continuare quel
bacio infinito e quell’erotica
danza tra i due corpi. Un braccio del libanese sorreggeva con forza il
suo
amante, il suo amato, il suo amore, e nel mentre usò la mano
libera come
strumento di piacere che coinvolse il suo membro. Marco
gettò la testa
all’indietro mentre, tocco dopo tocco, quelle dita
cancellavano quelle altrui
e, più affondava dentro le sue carni, più egli lo
faceva suo. Le mani di Marco andarono
a toccare dappertutto il corpo del suo personale dio
dell’amore, in ogni
avvallamento e insenatura: i suoi polpastrelli tracciarono una mappa,
precisa e
senza indugi, sul corpo del suo uomo, il quale, tra gemiti e sospiri,
arrivò
presto al culmine del piacere. Le dita di Michael, strofinando e
stringendo nei
punti giusti il membro fremente di Marco, aiutarono la sua ascesa verso
il
paradiso e, ben presto, venne travolto dalla potenza
dell’orgasmo, che lo
lasciò inarcato, flesso, perfetto, simile a una pantera.
Ogni suo muscolo era
illuminato da una sottile linea di luce, mentre con la colonna
vertebrale
rimaneva incantata in un attimo eterno, nella precisa forma di un arco.
La
bocca spalancata di Marco, assieme ai suoi occhi schiusi, completarono
quel
quadro di estasi pura. Il solo guardarlo rese Michael schiavo della sua
beltà,
causando anche in lui quel tanto agognato culmine del piacere. Anche
lui,
infine, si riversò dentro il suo amore, urlando il suo nome
per l’ennesima
volta quel giorno, in un modo che fece piangere di commozione Marco.
Siamo
solo due satelliti
Che
si crederanno liberi
Su
quest'orbita si gira senza mai uscirne fuori
Nessuno,
nella sua vita, lo avrebbe
mai chiamato con quella voce, talmente coma d’amore da fargli
credere, anzi, da
renderlo certo che lo avrebbe inseguito fino in capo al mondo, nel mare
profondo e nel cielo sconfinato.
No,
Marco non avrebbe mai
potuto neanche pensare di vivere senza Michael.
E,
mentre quest’ultimo
asciugava le sue lacrime con labbra delicate, quasi come a berne per
guarirlo
da quel malessere che aveva dentro, Marco si ritrovò a
dirgli, nel modo più
sincero possibile:
«Io
ti amo, Michael, più
della mia stessa vita e fino alla fine dei miei giorni.»
Non
c'è posto in cui può smettere
Questo
nostro pazzo amore
Michael,
posata la sua
guancia sulla spalla di Marco, tirò su col naso. Questi lo
avvolse con le sue
braccia forti, facendolo sentire, per la prima volta in quella
giornata, al
sicuro. Il calore di quell’uomo ebbe lo stesso effetto su
colui che se lo
stringeva al petto e in quell’abbraccio, si amarono
più che in una vita intera.
Non
c'è posto poi per l'ombra
Dove
batta forte il sole
«Io,
mio Marco» replicò
Michael, con voce leggermente incrinata, «ti amo
più che tutto quello che c’è
in questo mondo.»
Siamo
solo due satelliti
Che
si crederanno liberi
Poi, ancora
accoccolato a
lui, allungò il collo fino ad arrivare al suo viso e lo
baciò, come se fosse
l’ultimo bacio prima che i loro giorni di vita volgessero al
termine.
Su
quest'orbita si gira
Senza
mai uscirne fuori
Come
farfalle alla sera.
Fuori.
La soffitta
dell’autrice:
Eccocci
qua, dinnanzi al
penultimo capitolo di quest’avventura. Alla fine, devo dirlo,
mi sono proprio
divertita! Il tutto, ovviamente, grazie a comeunangeloallinferno, una
favolosa
beta che FINALMENTE SI È DECISA A SCRIVERE LA SUA PROPRIA
FANFICTION MIRCO! (Applausi!)
Beh,
non ho altro da
aggiungere se non che spero di ritrovarvi tutti al prossimo capitolo.
Ricordate,
non è finita finché non è finita!
Baci.
|
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Capitolo 12 *** Parole in circolo ***
Parole in
circolo
«No.»
«Per
favore. Sai meglio di me
che non ho scelta.»
«Potevi
evitare di far casino
fin dal principio, per dirne una.»
«Marta...»
«No,
okay? Una cosa è essere
riservati, una cosa è dire una bugia bella e
buona!»
«Non
sei sempre stata tu a
dirmi che nascondermi era meglio?»
«Non
rigirare la frittata,
Marco. Io ti ho detto che nascondere le tue inclinazioni sarebbe stato preferibile, e tu sei stato
d’accordo
perché non ti andava di rendere pubblica la tua vita
privata. Ma non farò finta
di essere la tua fidanzatina solo per pararti il culo, è
chiaro?»
«Forse
non ci siamo capiti.
Se non mi dai una mano, la mia carriera è rovinata, la mia
reputazione è
rovinata, perdiamo il lavoro tutti e due.»
Un
sospiro.
«Marco,
io ti voglio bene e
giuro, te lo dico nel miglior modo possibile, ma stai raccogliendo
quello che
hai seminato. Sotterfugi, tradimenti, bugie... So che è un
rischio quello che
stai correndo, e sarò ben felice di reggere il gioco se
troverai un’altra
ragazza disposta a vendersi in questo modo. Ma quella non sono io, mi
dispiace.»
Click.
Chiamata
terminata.
Credo
che ognuno abbia il suo modo di star bene
In
questo mondo che ci ha intossicato l'anima
Marco
si gettò sul letto
perfettamente rifatto della camera d’albergo, accasciandosi
proprio vicino alla
valigia già pronta.
Michael
lo guardò con una
smorfia di disappunto. «Marta ha detto no?»
«Marta
ha detto no» confermò,
tristemente. «Ha detto che mi sta bene perché
negli ultimi anni non ho fatto
che raccontare balle.»
Nel
dire questo, allungò una
mano per carezzare i riccioli bruni dell’altro, trovando in
essi il conforto
sperato.
«Lei
non è una donna gentile»
constatò. Non poté ovviamente dire di Marta che
fosse cattiva, né che fosse
bugiarda: aveva semplicemente detto la verità e si era
rifiutata di mentire.
Dopo tante menzogne, la sincerità pareva così
strana a entrambi.
«Io
posso dire a una di mie
sorelle.»
Fece
una risatina amara.
«Sbaglio o la tua famiglia ancora non ti ha perdonato per
aver scelto un
qualunque italiano invece di Tim?»
Michael
si sporse verso di
lui, zittendolo con un bacio intenso e profondo. Marco sapeva quanto
lui
detestasse sentirgli parlare di se stesso in quei termini, ma a volte
proprio
non riusciva a farne a meno: per come la vedeva lui, era impensabile
che il
giovane rampollo di una ricca famiglia preferisse un uomo qualsiasi,
né bello
né interessante, a un altro giovane rampollo di una famiglia
altrettanto ricca.
Avrebbe voluto urlare al mondo intero la sua fortuna e, invece, si
ritrovava
costretto a mentire per proteggerla.
«Oh,
idea!» Michael
praticamente urlò sulle labbra del suo amato.
«Claudia, tua vecchia fidanzata!»
Marco
gli prese il viso tra
le mani, carezzandogli una guancia, sistemandogli un ricciolo ribelle,
sfiorandogli il mento e le labbra. «Non credo: era la mia
ragazza, sì, ma
avevamo quindici anni e ci siamo lasciati dopo qualche mese. E lei sa
perché.»
«Perché
tu ha capito che tu
ami gli uomini?»
«Indovinato.»
Il
sorriso di Michael, con
quel nasino amabilmente arricciato e gli occhi socchiusi, lo
trasportò in un
altro mondo, un mondo in cui potevano andare per mano ovunque
volessero,
affinché tutta la gente che li circondava potesse ammirare
il loro amore e, con
un po’ di fortuna, guardare a esso con benevolenza.
Si
morse le labbra. «Potrei
fare diversamente. Potrei andare alla conferenza stampa e fare una
dichiarazione d’amore nei suoi confronti, senza per forza
dire che stiamo
insieme.»
«Grande
idea» esultò Michael.
«Così tu fa cosa dolce, gente pensa che tu
è romantico e molto straight,
così anche se lei dice no,
sembra che tu è grande amatore di donne!»
Il
suo entusiasmo apparve
agli occhi di Marco come ricoperto da un sottile strato di polvere,
soffocato
dall’inevitabile malinconia.
«Ti
amo» fece Marco
all’improvviso. Glielo aveva ripetuto spesso dalla notte
scorsa, come se
volesse rassicurarlo ogni secondo della loro vita che fingersi etero
non
avrebbe minimamente intaccato ciò che provavano
l’uno per l’altro.
«Io
ti amo, anche» sorrise
l’altro, ben sapendo che avrebbe sofferto le pene
dell’inferno nel vedere il
suo amato dichiararsi a un’altra persona.
Per
un lungo, folle attimo,
mentre indugiava sulle labbra di Michael, Marco pensò di
farla a lui, quella
dichiarazione d’amore. Sì, si sarebbe presentato
alla conferenza stampa e,
dinnanzi ai flash dei paparazzi e ai microfoni dei giornalisti, si
sarebbe
gettato ai piedi di Michael, gli avrebbe detto quanto lo amava e che
dei
giudizi della gente gli importava ben poco. Sarebbero stati felici e si
sarebbero amati alla luce del sole, come nelle migliori fiabe.
E
poi, cosa sarebbe accaduto?
E
devi crederci per coltivare un sogno
Su
questa terra spaventosamente arida
Tim
avrebbe sicuramente confessato
tutto, ossia che la loro era stata una storia d’amore
clandestina durata tre
anni, che Marco aveva rovinato il suo matrimonio, che erano due
traditori e che
probabilmente questo li rendeva perfetti l’uno per
l’altro. Entrambi avrebbero
perduto la loro dignità e, probabilmente, la loro carriera
ne avrebbe
risentito. Non potevano neanche immaginare una vita senza la musica: si
sarebbero sentiti due involucri vuoti, due gusci rotti, senza
più nulla da
custodire al propri interno.
Si
sarebbero dissolti come
cenere al vento.
Per
questo Marco gli diede un
bacio talmente forte da far mugolare Michael in un misto di piacere e
dolore:
per esprimere senza esitazione tutto l’amore che provava e
che, nonostante
tutto, avrebbe sempre provato.
Michael
gli afferrò le
braccia per avvicinarlo ancora di più a sé, poi
si mise su di lui e rese quel
bacio ancora più disperato.
Marco
avrebbe solo finto, non
si sarebbero di certo lasciati solo per una falsa dichiarazione.
Ma
allora, se le cose stavano
così, perché quello parve a entrambi un bacio
d’addio?
«Marco!»
Toc toc!
Il
rumore della porta li fece
sobbalzare entrambi, soprattutto Michael che, dopo un trauma risalente
a
qualche anno prima, odiava che gli altri bussassero alle porte.
«Sì?»
fece Marco, mentre
accarezzava a palmi distesi le spalle di Michael, affinché
si rilassasse.
Irene
urlò per farsi sentire
da dietro la porta. «È ora di andare, ti
aspettiamo tutti alla reception.»
«D’accordo.»
Attesero
qualche secondo poi,
quando furono sicuri che Irene fosse andata via, fecero per baciarsi di
nuovo.
Ma
desistettero.
Non
volevano provare di nuovo
quella triste, lacerante sensazione.
«Quindi»
ripeté Marco, «io
vado alla conferenza e mi dichiaro a Claudia?»
«Sì.»
«Andiamo,
ora?»
«Okay.»
In
quella camera d’albero ci
avrebbero lasciato l’odio e l’amore.
Io
l'ho vista sai, la vita degli illusi
Con
le loro dosi di avidità e superbia
L’odio
per Tim che,
nonostante una comprensibile delusione e una rabbia che ardeva come
fuoco sulla
carne viva, aveva scelto la via più ignobile per cercare di
placare quel
bruciore incessante: la vendetta. Che illuso, se pensava che quello lo
avrebbe
fatto sentire meglio. Avrebbe solo rovinato qualche vita in
più, senza per
quello ottenere nulla di ciò che sperava.
L’amore
l’uno verso l’altro,
di chi proprio non riesce a rimanere a lungo separato. Loro erano
l’archetipo
degli amanti: divisi non sarebbero sopravvissuti, insieme avrebbero
subito solo
affanni. Non erano riusciti a restare a lungo lontani e sarebbero
rimasti
insieme, benché distrutti, ma comunque uniti.
Perché, semplicemente, non
avrebbero potuto fare altrimenti.
Marco
e Michael si presero
per mano come se vi fossero abituati, come se le loro mani fossero nate
per
stringersi l’una l’altra e, insieme, andarono verso
la porta.
Da
quella porta, uscirono
divisi.
Non
si separarono un solo
istante in quei cinque giorni. Dal momento in cui misero nuovamente
piede a
Milano, Michael insistette affinché Marco stesse da lui,
nella sua casa. Se
fosse il timore che dopo la finta dichiarazione le cose tra di loro
sarebbero
cambiate, oppure un moto di tenera protezione nei suoi confronti, Marco
non lo
seppe mai.
Che
per combatterli, ti giuro, basta poco
Devi
interdirli con un po' di gentilezza
Ebbe
appena il tempo di passare
a prendere qualche cosa dal suo appartamento, lo stretto
indispensabile, che
Michael si presentò sotto casa sua e suonò il
campanello finché non vide Marco comparire
dal portone, con un borsone pieno zeppo che fece sorridere il libanese,
con
tanto di fossette.
Poi,
una volta trasferitosi,
Michael non fece che ricoprirlo di attenzioni: dalla colazione a letto
alle
camice perfettamente stirate, dalle cene cucinate da lui in persona
alle notti
di fuoco.
Il
quarto giorno di quel
paradiso, Marco si svegliò con la sensazione di aver vinto
alla lotteria, ma di
avere le ore contate.
Era
tutto perfetto, dolce,
romantico e... passeggero. Era bellissimo, ma non sarebbe durato e
quella
consapevolezza rovinò le premure di Michael.
L’uomo
gli dormiva accanto,
quel giorno. Era molto più pigro di quanto Marco non
ricordasse, e quel particolare
gli sembrò adorabile.
Appariva
quasi innocente.
Un'alluvione
mi ha forgiato nel carattere
Però
il sorriso dei miei mi ha fatto crescere
Marco
si mise a osservarlo a
lungo, contando tutto ciò che lo rendeva perfetto.
Quell’uomo
era pura tempesta,
ma quando dormiva aveva la pace stampata in volto e contemplare il suo
viso era
per Marco fonte di pura meraviglia. I capelli aggrovigliati e soffici
come
nuvola lo incantavano, la pelle liscia e candida invitava a sfiorarla
in eterno
con le dita, la bocca dischiusa era fatta per essere baciata e, sotto
le
palpebre chiuse, Marco sapeva quanto fossero belli i suoi occhi dal
colore
cangiante e dalla luce perenne. Si ritrovò addirittura ad
ammirare quegli
adorabili nei sul collo, quando si rese conto che, di
quell’uomo, Marco amava
proprio tutto.
Aveva
un carattere autoritario,
quasi prepotente alle volte, e Marco, timido ma testardo, spesso aveva
avuto
assaggi di cosa voleva dire scontrarsi con lui. Non aveva filtri e
diceva quel
che pensava senza timore di ferire la gente. Usciva senza avvertire e
tornava a
orari improponibili alle volte, ma mai ubriaco, né di alcol
né di sesso.
Semplicemente, era come un bambino troppo cresciuto e un po’
viziato.
Marco
amava quei difetti,
semplicemente perché rendevano quell’uomo il suo uomo, che conosceva perfettamente e
che amava alla follia:
quelle debolezze, quelle peculiarità, gli altri non le
vedevano, per questo le
amava. Erano cose sue, e solo sue. Solo lui in tutto il mondo poteva
conoscerle
e apprezzarle, nessun altro lo avrebbe mai fatto e di certo Marco le
custodiva
gelosamente.
Se
qualche volta ho anche perso la testa
Però
l'amore mi ha cambiato l'esistenza
Per
un secondo, gli occhi gli
si velarono di lacrime al pensiero di poter perdere tutto quello:
l’amore lo
colse alla bocca dello stomaco, così forte da fargli male.
Strinse le labbra
per trattenere la brama di pianto e, per trovare conforto, si
rannicchiò contro
Michael e inspirò forte il suo profumo.
Un
sospiro più forte degli
altri fece comprendere a Marco che il suo amore si era svegliato.
Sollevò il
capo e lo vide con gli occhi socchiusi, gravidi di luce, e un sorriso
sempre
pronto per lui.
Il
dolore si dissipò per far
spazio a una sensazione ben più lieta e dolce.
«Buongiorno,
piccolo» mormorò,
cingendolo con un braccio.
«Buongiorno,
grande» lo prese
in giro.
Quante
cose fai che ti perdi in un attimo?
Michael
gli stampò un lieve
bacio sulle labbra, tipico di chi ha appena lasciato il caldo abbraccio
del
sonno e ne cerca un altro in cui rifugiarsi. Neanche a dirlo, Marco lo
circondò
con le sue braccia possenti nelle quali l’altro si
accoccolò, proprio come il
bambino troppo cresciuto al quale Marco stava pensando pocanzi.
«Io
ti ho sognato, stanotte»
mugugnò, con la voce ancora impastata. «Tu era
vestito da banana e cantava Sbucciami.»
Una
risata eruppe senza
volerlo dalla gola di Marco, posto dinnanzi a un’immagine a
dir poco
esilarante.
«Ti
prego, dimmi che almeno
mi hai sbucciato.»
Quanti
amici hai che se chiami rispondono?
Stavolta
toccò a Michael
ridere. «Io non volevo rovinare il vestito di
banana.»
Le
loro risate divennero una,
riecheggiando nei loro petti e intrecciandosi nell’aria.
Quando si placarono,
Marco osservò ancora una volta, incantato, il volto di
Michael.
Quest’ultimo,
dopo qualche
secondo, arrossì. «Che tu guarda?»
«Che
sei bello» rispose
semplicemente.
«Io
non sono, tu sei.»
«Guarda,
in effetti non te lo
volevo dire, ma ultimamente la trippa fa tanto “Uomo sexy
dell’anno.»
Gli
occhi di Michael
divennero improvvisamente seri: nessuno poteva dire nulla di cattivo su
Marco,
nemmeno Marco.
Quanti
sbagli fai prima di ammettere che hai
torto?
Così,
prima ancora che
quest’ultimo potesse protestare, egli si infilò
sotto le coperte, si diede un
secondo per orientarsi e poi si dedicò alle
rotondità di Marco, il quale non
comprese ciò che quel matto intendesse fare
finché non sentì i denti premergli
sul fianco.
Quanti
gesti fai per cambiare in meglio il
mondo?
Non
che fosse poi così abbondante
da potersi permettere certe lamentele, ma era un dato di fatto che
aveva della
carne sulle ossa. Se paragonato a Michael, poi, si sentiva
più che in dovere di
sentirsi a disagio con quell’aspetto leggermente
più paffuto.
Michael,
che cercava ogni
scusa per prendersi libertà sul corpo di Marco, colse la
palla al balzo per
aggrapparsi ai suoi fianchi e iniziare a morsicare la sua pancia,
attorno
all’ombelico. Marco sobbalzò e iniziò a
dimenarsi come un’anguilla sotto quei
denti, ma chiaramente questo venne interpretato come un segnale di alto
gradimento e l’opera di tortura venne proseguita. Da sadico
aguzzino, Michael
alternò i morsi a qualche sopradico, ma sensuale, colpo di
lingua, che
regolarmente faceva contorcere Marco. Quest’ultimo si impose
di resistere, ma
non ebbe scampo quando sentì le sue sensuali labbra
succhiare la pelle che
sovrastava l’inguine: un gemito gli sfuggì di
bocca e Michael seppe di averlo
in pugno. Se l’intento era quello di fargli amare quelle
parti del suo corpo,
ci stava riuscendo.
Spuntò
da sotto le coperte
per godersi lo spettacolo di un Marco rosso in viso, con le labbra
vermiglie dei
propri morsi e le pupille che scintillavano di desiderio. Lo
baciò sensualmente,
prendendosi tutto il tempo per togliergli il respiro a dovere. Entrambi
chiusero gli occhi, godendosi quell’istante di estasi e
perfezione.
Libero,
libero, libero, mi sento libero
Canto
di tutto quello che mi ha dato un brivido
Poi,
all’improvviso, Marco lo
sovrastò con la sua figura robusta. Proseguì quel
bacio, spostandolo prima alla
gola di Michael, poi facendolo scivolare al suo addome, e da
lì andò sempre più
giù, con una lentezza disarmante che fece ansimare Michael
di sorpresa e di
piacere. Iniziò ad essere percosso da teneri spasmi, reagiva
senza controllo e
Marco si inebriava di avere quel potere sul suo corpo.
Affondò il viso nel suo
inguine, inspirando quell’odore di sesso che lo uccideva
regolarmente di
voglia.
Schiuse
le cosce di Michael
e, leggera come una piuma, la punta della sua lingua andò a
stuzzicare quel
punto che separava le cosce dal resto del bacino e scoprì
quella zona
particolarmente dolce e sensibile al suo tocco. Dispettosa, la sua
lingua vi si
infilò in mezzo e prese a disegnare allegramente ghirigori e
cerchi
concentrici, guizzando da tutte le parti, alle volte sfiorando
l’interno coscia,
altre volte il suo membro. Dopo qualche minuto di quel supplizio, i
gemiti di Michael
erano divenuti sempre più spezzati dal desiderio e la sua
erezione era ormai
pronta per essere gustata. Marco la assalì come un frutto
prelibato,
godendosene ogni centimetro e percorrendone ogni vena.
E
odio e ti amo e poi amo e ti odio
Finché
ti sento nell'anima non c'è pericolo
In
quel lasso di tempo, Michael
era diventato scarlatto sulle gote, mentre un ampio sorriso si faceva
strada
tra le sue labbra e le sue membra, senza più rispondere ai
suoi comandi, si
agitavano chiedendo sempre di più. Fu solo quando Marco
prese completamene in
bocca il suo membro che poté lanciare un urlo di sollievo e
di soddisfazione.
Infilò le dita tra i suoi capelli setosi e li strinse
leggermente, lottando
contro l’impulso di spingerlo il più possibile
vicino al desiderio.
Quando
Marco lo trattava in
quel modo, quando venerava il suo corpo come il più prezioso
dei doni, quasi
sentiva di poter amare se stesso, se il suo uomo lo apprezzava con
tanta e tale
devozione.
Quest’ultimo
prese a
lappargli sistematicamente la punta, stringendo il resto con forza.
«Marco»
ansimò, e non ebbe
bisogno di dire altro.
Marco
aveva già capito.
Stretta il più possibile la sua eccitazione, richiuse la
punta nella sua bocca
e la succhiò con avidità.
Accogliente,
umida, sensuale:
la bocca di Marco gli provocò una marea di sensazioni, tutte
altrettanto
meravigliose, che investirono Michael come spuma marina e come
quand’essa si
infrange sullo scoglio in mille spruzzi, così il piacere lo
travolse con un
urlo.
Marco
ingoiò tutto il suo seme,
facendolo arrossire leggermente quando si leccò le labbra e
sospirò, ghiotto.
Michael,
esausto ma pago,
allungò la mano verso di lui per accarezzargli il viso. Quel
gesto lo sospinse
a strusciarsi teneramente contro la mano di Michael, più e
più volte, come un
gatto che fa le fusa, fino a ritrovarsi con il capo dolcemente poggiato
sul suo
addome.
Dopo
qualche minuto, Marco
avvertì in corpo sotto la sua guancia tremare leggermente.
Si sollevò per
osservarlo meglio e intravide due familiari luccichii sulle guance di
Michael.
«Amore»
lo chiamò,
preoccupato. «Che cosa c’è?»
Lo
guardò. Piangeva.
«Niente»
farfugliò, «solo io
pensava che oggi era domenica ma è lunedì,
invece.»
Per
un attimo, mentre gli
asciugava le guance, Marco si chiese cosa ci fosse di tanto tragico
nell’essersi sbagliato circa i giorni della settimana.
Poi
capì.
L’indomani
ci sarebbe stata
la conferenza stampa.
Dicono
che è un'altra ottica, se resti in
bilico
L’indomani
Michael avrebbe
visto Marco dichiararsi di fronte alla nazione intera nei confronti di
un’altra
persona.
Dicono
che più si complica, più il fato è
ciclico
L’indomani
tutto sarebbe
finito, sogni, speranze e illusioni.
Marco
lo strinse fortissimo a
sé, mentre comprendeva il motivo della tristezza di Michael.
Dicono,
dicono, dicono, parole in circolo
Pensava
che avrebbe avuto più
tempo.
Parole in circolo
«Ricorda
che deve sorridere
mentre ti dichiara» gli raccomandò Michael,
sistemandogli la cravatta.
«Tu
devi essere sorpreso,
invece. Ricordati che tu non ne sai nulla» ribatté
Marco, mentre gli
abbottonava la giacca.
Credo
che ognuno abbia una strada da percorrere
Ma
può succedere che non ci sia un arrivo
Il
fatidico giorno era
giunto, tra poco ci sarebbe stata la conferenza stampa che avrebbe
preceduto la
messa in onda dei provini, dei bootcamp e, infine, degli Home Visit.
Cinque
settimane appena alla diretta, non sembrava quasi vero che fosse
passato così
tanto tempo.
I
due si stavano preparando
nel camerino che la produzione aveva assegnato loro. Teoricamente
avrebbero dovuto
dividerlo con Elio, ma quest’ultimo aveva preferito
prepararsi a casa e
arrivare elegantemente in ritardo: probabilmente stava indossando
qualche
strampalato completo appositamente per l’occasione e non
voleva rovinare la
sorpresa a nessuno.
Si
ritrovarono dunque soli
nello stesso camerino, così poterono darsi una mano a
vicenda nel vestirsi. Si
vietarono vicendevolmente di usare qualunque tipo di fissante per
capelli,
visto che si piacevano l’un l’altro selvaggi e
naturali. Marco aveva insistito
affinché Michael indossasse un completo bianco, non facendo
altro che ripetere
quanto quel colore gli donasse. Michael invece si era impuntato sui
jeans, che
addosso a Marco facevano un figurone. Era un giorno importante, quello,
e
dovevano apparire al meglio. Stavano giusto finendo di prepararsi e di
ripassare ciò che avrebbero dovuto dire e fare durante
quella bizzarra diretta,
quando Marco venne colto da un dubbio atroce.
«E
se l’intervista non va a
parare dove vogliamo noi?» domandò.
«Insomma, se nessuno mi chiede nulla sulla
mia vita amorosa?»
Michael
sorrise. «Tu deve
fare sempre la faccia assente, così tu fa sempre il stupido
finché non ti
chiede tutti cosa tu ha. A quel punto,» e imitò la
sua voce: «“Oh, Claudia, io
te sempre amata! Da che avevemo
quindici ani.”»
«“Anni”,
Michael, ti prego»
ridacchiò per lo strafalcione.
Le
loro risate e i loro
volti, perfino le loro raccomandazioni parevano aver perduto il
consueto colore.
«Come
tu dice» ribatté. «E io
poi fa “Oooh, che una sorpresa!»
«Starai
bene?» gli chiese, a
bruciapelo.
Gli
occhi tristi di Michael
si posarono su di lui. Con le mani sulle sue spalle, strinse
leggermente la
stoffa scura della sua camicia, come a trattenersi, come a celare una
risposta.
Come a reprimere quell’urlo nero che non poteva lasciar
uscire.
Non
vedeva Michael così
sofferente da quella mattina in cui ammise di aver rotto il
fidanzamento e
questo gli causò una morsa dritta al cuore.
E
quanti piedi che s'incroceranno andando,
Ma
solo un paio avranno il tuo stesso cammino
«Certo,
sicuro» rispose, con
un sorriso tanto affabile quanto falso. «E tu?»
Marco
si strinse nelle
spalle. «Starò come te.»
Si
guardarono a lungo.
Nessuno dei due sarebbe mai più stato lo stesso e lo
sapevano entrambi.
Perché
Marco avrebbe
spudoratamente mentito, senza fare come aveva sempre fatto: ritenere
l’amore
una faccenda privata che non andava sbandierata in pubblico. Si sarebbe
venduto, avrebbe imboccato la via più facile,
perché non poteva fare
altrimenti. E Michael avrebbe minimizzato i futuri tentativi di Tim di
far
capire a tutti che il vero amante di Marco era proprio lui, il suo ex
fidanzato: lo avrebbe messo in ridicolo con la sua solita ironia, e
sarebbe
finito tutto bene.
Tranne
che per il loro amore.
Non
potevano che sperare di
resistere a un tale scossone.
Marco
prese il viso di
Michael tra le sue mani e in quel momento si sentì peggio
che mai. Trattenevano
entrambi le lacrime.
«Ti
prego» lo supplicò,
«fammi un sorriso. Non riesco a respirare se tu non mi
sorridi come fai
sempre.»
Detto
fatto, Michael gli
regalò il più grande sorriso che poté.
Era tremolante e incerto, e tendeva
verso il basso, nella parodia di un sorriso dei suoi. Non
c’era calore, non
c’era gioia, non c’era niente. Erano solo denti e
labbra.
«Grazie.»
Ne
conosco gente che sta ancora in viaggio
E
non si è mai chiesta in fondo quale sia la
meta
E,
detto questo, gli diede un
bacio. Disperato, forte, intenso, e doloroso come un uncino che
arpionò il
cuore di Michael e lo tirò verso il proprio.
Era
certo che sarebbero
rimasti ancora insieme, ma non sapevano se sarebbero mai più
stati felici. Sia
nel lasciarsi che nel tenersi uniti c’era dolore, eppure
separarsi parve così
assurdo, così impensabile, che soffrirono al solo pensiero e
più si strinsero
nelle loro braccia cercando inutile conforto.
«Chi
è di scena» fece una
voce da dietro la porta del camerino.
Ma
nessuno dei due si mosse.
Era
finita. Era finita per
davvero quella volta.
Uscirono
dal camerino e si
diressero, con i denti stretti e lo sguardo gelido, verso il luogo in
cui i quattro
giudici si sarebbero lanciati nel loro servizio fotografico. Quegli
istanti
durarono un’eternità. Perfino quanto Elio si
presentò vestito da Fred
Flintstone, con tanto di clava e piedi nudi, le loro risate furono
forzate e
inutili.
Speravano
solo che finisse
tutto in modo rapido e indolore.
Come
essere giustiziati.
Alla
fine entrarono nella
grande sala, si sedettero sulle poltroncine di velluto color crema e si
misero
a rispondere a tutte quelle solite domande banali e scontate. Come vi
sentite?
Emozionati? Puntate alla vittoria o l’importante è
partecipare? Diteci come
sarà quest’edizione in una parola.
Marco
guardava spesso i volti
degli altri giudici: Irene era eccitata, poiché era la prima
volta che
rispondeva a domande del genere, mentre Michael aveva l’aria
annoiata, di
fronte a tutta quell’inutile ridondanza. Elio era
semplicemente Elio.
Lui,
invece, venne richiamato
un paio di volte, poiché spesso non si accorse che gli
rivolgevano delle
domande. Questo fu un bene, perché dopo il terzo richiamo
iniziarono a
chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava, quali pensieri avesse
per la
testa.
Sarà
che forse dentro sono un po' Re Magio
E
cerco anche in cielo una stella cometa
Era
tutto come nei suoi
incubi peggiori: ogni cosa era piatta, nebulosa e monocolore. Tutto
perfettamente studiato e calcolato, non una risposta partiva spontanea
da loro.
Erano come automi.
Era
peggio dell’inferno.
«Allora,
Elio» fece una
signorina, tutta pimpante. «Tua moglie è o non
è gelosissima? Insomma, la tua
squadra è quella delle ragazze giovani, il gossip
avrà di che sbizzarrirsi.»
«Guarda»
la rimbeccò lui per
quell’infelice domanda, «l’unica cosa che
il gossip può dire è che una di loro
potrebbe essere la mia futura figlia adottiva.»
Risate
generali. Oh, Elio,
sei terribile.
Noia,
prevedibilità. Marco si
sentiva letteralmente soffocare.
«E
tu, Marco?»
«Io
che?»
Si
era distratto un’altra
volta.
«Beh,
tu sei molto fortunato,
Marco. La tua squadra è piena zeppa di ragazze, tutte molto
giovani e
graziose.»
«Sì,
alcune sono molto, molto
giovani» constatò.
Con
aria maliziosa, quella
proseguì: «Un paio di anni fa, Victoria Cabello
affermò di voler trovare
l’amore tra i concorrenti di X Factor, un po’ come
aveva fatto l’ex giudice
Morgan, tempo addietro. Sei del loro stesso avviso? Oppure preferisci
mantenere
il distacco professionale?»
L’aria
si appesantì tutta
l’un colpo.
Ecco,
era quello il momento.
Il
momento di salvare la sua
musica, il suo amore. Tutto quello a cui teneva.
Tutto,
fuorché la verità.
Nonostante
gli occhi gli
pungessero da dietro, si costrinse ad apparire naturale mentre diceva:
«No, non
sono interessato ad altre persone.»
Una
passione mi ha cambiato nella testa
Ma
sono un sognatore con i piedi a terra
Un
coro di “oooh”
sgomenti fu la conseguenza ideale alla sua
dichiarazione.
«Altre?
Vuoi dire che c’è già
una persona speciale nel tuo cuore?»
Silenzio.
Attesa.
Paura
di sbagliare. Paura di
far bene.
Marco
in quel momento neppure
pensava. Poi, il chiacchiericcio del pubblico lo risvegliò
da quella trance.
Forza, Marco, ora o mai
più.
Dovette
sforzare la lingua e
la bocca per compiere quei movimenti che lo portarono alla
più dolorosa delle
menzogne.
«Sì.
Sono innamorato. Ma non
so se lei ricambia i miei sentimenti.»
Lei?
Lei!
Lei.
Marco
osservò la gente
voltarsi a chiacchierare con chiunque gli capitasse a tiro, anche
persone che
tra loro si conoscevano poco e niente, o niente affatto, presero a
parlare, a
ipotizzare, a parlare di lui. Chi era questa lei? Dunque gli piacevano
le
ragazze. Che scoop! Perché non lo aveva mai confessato prima?
Cerco
di trarre da ogni storia un'esperienza
E
di sorridere battendo la tristezza
«Sì,
ecco» cercò di
sovrastare quel brusio, che catturò la sua attenzione.
«Lei è...»
La
gente non la smetteva di
parlare, parlare, parlare. Non appena finiva di proferire con la
persona alla
sua destra, si voltava a sinistra per poterne discutere ancora, e poi
avanti,
indietro, dappertutto. Un paio di signore si alzarono per poter fare
conversazione con i tecnici, i quali parlarono agli intervistatori.
Sentì
perfino Elio e Irene che borbottavano qualcosa a mezza bocca.
«Lei?»
lo incoraggiò
l’intervistatrice.
«Già
tempo fa stavamo
insieme, ma poi è finita» disse, senza dare un
vero senso alle sue parole. Era
solo fiato, vibrare di corde vocali.
Guardava
quella massa confusa
di persone, quelle bocche che non la piantavano di muoversi e produrre
un
insopportabile mormorio di massa.
Cosa
c’era di tanto
interessante? Qual era il punto? Sì, era innamorato: nulla
per cui
scandalizzarsi, di certo nulla che fosse degno di quella reazione
spropositata.
Due cameraman da una parte all’altra della sala si fissarono
increduli,
parlandosi a gesti.
E,
di colpo, capì.
Quante
cose fai che ti perdi in un attimo?
Non era ciò
che diceva.
Quanti
amici hai che se chiami rispondono?
Era
chi lo diceva.
Quanti
sbagli fai prima di ammettere che hai
torto?
Sentì
la signorina chiedergli
qualcos’altro, ma a quel punto non ascoltava più.
Chiacchiere.
Lui
era solo fonte di
chiacchiere.
Quanti
gesti fai per cambiare in meglio il
mondo?
La
gente avrebbe parlato di
lui qualunque cosa avesse detto. Aveva appena dichiarato di essere
ancora
innamorato di una sua vecchia fiamma e tutti si sentivano sotto effetto
di
chissà quale arcaico incantesimo che li spingeva a chiedersi
chi, cosa, da
quanto, perché, perché no.
Era
stanco, al limite della
sopportazione.
Voleva
urlare a tutti di
starsene in silenzio, che tutto quello stupore inutile era da imputarsi
a una
stupida bugia. Se avessero saputo la verità allora...
Allora?
Libero,
libero, libero, mi sento libero
Canto
di tutto quello che mi ha dato un brivido
Non
avrebbe fatto alcuna
differenza.
Avrebbero
avuto comunque di
che parlare.
Avrebbero
continuato a dirne
di cotte e di crude su di lui, a ipotizzare, a fantasticare. A rendere
la sua
vita oggetto di chiacchiere vuote e inutili.
A
che scopo?
Avrebbe
potuto dire qualunque cosa, le persone avrebbero comunque parlato di
lui e ne avrebbero dette di tutti i colori.
Si
ritrovò a chiedersi quale
fosse il reale problema per cui si nascondeva.
«Marco?»
Si
voltò, con calma
disarmante. Osservò la signorina, che gli tendeva il
microfono, e senza
riflettere neppure per un istante, dichiarò:
«Non
è vero.»
«Cosa?»
Per
un attimo aprì la bocca,
poi la richiuse.
Non
era semplice. Ma cosa lo
era mai stato? Non lo avrebbe mai saputo se non avesse tentato.
«Quello
che ho detto. In
realtà, non cerco l’amore, perché sto
già felicemente con...»
Sentì
tutti gli occhi, gli
sguardi, i pensieri convogliare su di lui.
Con?
Odio
e ti amo e poi amo e ti odio
Adesso.
«Con
un uomo.»
Finché
ti sento
nell'anima non c'è pericolo
E
la gente lì esplose in
talmente tante parole e sospiri ed esclamazioni e chi più ne
ha più ne metta,
che Marco per poco non si mise a ridere.
Che
parlassero, che ne
dicessero di tutti i colori. Non gli importava più,
perché finalmente aveva
capito.
Tanto,
avrebbero parlato
comunque, qualunque cosa avesse detto, purché la dicesse lui.
Si
voltò per vedere la
reazione dei suoi colleghi.
Irene
era a bocca aperta,
mentre Elio sorrideva di soddisfazione, quasi fosse orgoglioso che
Marco avesse
detto la verità.
Michael
aveva gli occhi
talmente sgranati che Marco poté distinguere ogni singola
emozione che essi
custodivano.
Paura.
Incredulità. Emozione.
Sconcerto. Scandalo. Amore. Amore. Amore.
Dicono
che è un'altra ottica, se resti in
bilico
Dopo
essersi ripresa dallo
shock, l’intervistatrice divenne più giuliva che
mai.
«Marco,
con un uomo? Questo
sì che è un pettegolezzo! Puoi dirci che
è lui? Da quanto tempo state insieme? Perché
hai mentito dicendo che era una lei?»
«Quanto
rumore» commentò. Non
seppe dire da quando, esattamente, ma aveva smesso di balbettare e di
indugiare
sui suoi molteplici intercalare. Era privo di incertezza.
«Sono un uomo
innamorato. Cosa c’è da dire? Sono una persona
come tante, chi amo non fa
alcuna differenza. Potrei anche stare qui a dirvi come, dove e
perché. Ma non
dirò nulla. Non so neanche se questo è
ciò che lui vuole. Perciò mettetevi
l’anima in pace, non cercate di scoprire chi è e,
soprattutto, piantatela con
questo sottofondo di parole inutili. Accontentatevi di sapere che sono
innamorato e sono felice. Fine della storia.»
Dicono
che più si complica più il fato è
ciclico
L’applauso
che seguì fu
talmente forte che sentì vibrare la sedia sotto di
sé.
Fu
allora che realizzò cosa
aveva fatto.
Aveva
detto a tutti di essere
omosessuale.
Per
poco non scoppiò a
piangere.
Si
premette una mano sul
volto, per non mostrare a tutti la sua confusione.
Finalmente
si era liberato di
quel fardello che lo aveva tenuto prigioniero una vita intera e che,
durante i
sette anni della sua carriera, era stato il più grande dei
tabù. Si era sentito
sbagliato, emarginato, discriminato, pressato, odiato, idolatrato,
tutto in
virtù di ciò che la persona che amava aveva tra
le gambe.
Non
lo aveva mai sopportato.
Dicono,
dicono, dicono, parole in circolo
Parole
in circolo
Non
pensava di poterlo dire,
ma diamine, stava così dannatamente bene.
Una
volta tanto, si sentiva
libero.
«È
quello che lui vuole.»
Oh, mio Dio.
Era
la voce di Michael quella
che aveva sentito?
Libero,
libero, libero, mi sento libero
Canto
di tutto quello che mi ha dato un brivido
Si
voltò immediatamente,
tanto emozionato e con il cuore talmente impazzito che dovette reggersi
ai
braccioli della poltrona per non cadere, tanto si era sporto a
guardarlo.
Il
volto di Michael era tinto
di un amabile rosso, rideva con gli occhi lucidi.
Stava
facendo un altro passo.
Stavano
camminando insieme
verso la libertà.
Era
pericoloso, inebriante e
bellissimo.
Marco
pianse senza tentare di
nasconderlo.
«Lo
vuole davvero? Anche se
dovesse passare i guai? Anche se questa cosa potrebbe
danneggiarlo?»
Odio
e ti amo e poi amo e ti odio
Finché
ti sento nell'anima non c'è pericolo
Michael
si alzò. Lo guardò
dritto negli occhi, avanzò verso di lui e con un gran
sorriso esclamò:
«Chissenefrega!»
Lo disse
così, tutto d’un
fiato.
Dicono che è
un’altra ottica, se resti in bilico
Poi,
di fiato, nessuno dei
due ne ebbe più.
Si
chinò verso di lui.
Poggiò
le mani sulle sue.
Chiusero
entrambi gli occhi.
Dicono che più
si complica più il fato è ciclico
E
Michael baciò Marco.
E
fu scandalo e fragore di
voci sgomente, e battito di mani e urla e rumore assordante.
E
fu amore, e fu rivoluzione.
Fu libertà, fu verità, fu gioia.
Per
un attimo Marco ebbe
paura che tutto quello fosse solo un sogno e che presto si sarebbe
svegliato.
Scostò
Michael da sé
tenendolo saldamente per le spalle e gli restituì uno
sguardo incredulo.
Non
era affatto un sogno.
«Lo
abbiamo fatto veramente?»
«Yes, we did!»
E
andava bene in quel modo.
Dicono, dicono, dicono,
parole in circolo
Perché,
a dispetto di tutte
le parole in circolo in quella stanza, finalmente Marco e Michael
avevano
ottenuto tutte le cose che non avevano mai avuto.
Sincerità.
Felicità.
Amore
alla luce del sole.
Avevano
l’uno l’altro, e
nulla avrebbe avuto più importanza da quel momento in avanti.
Erano
liberi.
Parole in
circolo.
La soffitta dell’autrice:
QUESTA
FANFICTION AVRÀ UN
SEQUEL
Perfetto,
ora ho la vostra
attenzione.
Oh,
mio Dio. Non ci credo
che l’ho finita!
Sapete,
nel corso di questa fan fiction non ho fatto altro che ripetermi che
dovevo il più possibile creare una cosa verosimile... ma ho
scoperto che più
scivolavo nell’assurdo e più mi divertivo.
Così,
è con sommo piacere
che annuncio un futuro per questa storia. Non oggi, né
domani, probabilmente
dopo l’estate, ma QUESTA FANFICTION AVRÀ UN
SEQUEL, per davvero. La mia beta e
coautrice è e sarà sempre la mia amata
comeunangeloallinferno94, anche lei
autrice di una bellissima storia sui Mirco.
E...
che dire? Ringrazio
tutti voi che mi avete letta, recensita e sostenuta. Ringrazio tutte le
Mirco
shipper e ringrazio quei due piccoli idioti che mi ispirano, nonostante
tutto.
Alla
fine, non mi interessa
il risultato, se questa è una bella storia o no.
L’importante è averci messo
dentro le mie emozioni.
Tutto
il resto, non sono che
parole in circolo.
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