Le cose che non ho

di _Even
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** E io non ti aspetto più ***
Capitolo 2: *** Non posso farlo ora ***
Capitolo 3: *** E te ne andrai via ***
Capitolo 4: *** Sarò qui ***
Capitolo 5: *** ¿Qué más quieres? ***
Capitolo 6: *** We can't surrender even a gram of love ***
Capitolo 7: *** The only way is up ***
Capitolo 8: *** Giuro, io lo aspetterò ***
Capitolo 9: *** L'estate mia migliore ***
Capitolo 10: *** More than yesterday ***
Capitolo 11: *** Fuori ***
Capitolo 12: *** Parole in circolo ***



Capitolo 1
*** E io non ti aspetto più ***


 Resti indifferente

 

Quel temporale, la pioggia batteva
Ed è banale restare a pensare che poi

Tutto resti normale

La pioggia non fa male quando cade sulla pelle.
Si posa come una lacrima sul viso e con essa si confonde, creando linee immaginarie che come mappe tracciano i corsi dei fiumi. Annebbia la vista come farebbero le nuvole, i brividi che poi scuotono le ossa paiono quasi terremoti nelle lande desolate del cuore.
La pioggia, le nuvole e i terremoti. Come l’Irlanda.
Sono lacrime o gocce di pioggia quelle che ti vedo sul viso?
Parli. Dalla tua bocca amara vedo uscire gelido vapore che sa di sconfitta. Potrebbe quasi piacermi il dolore che mi infliggi, ma ho imparato a essere meno duro con me stesso. Strano che sia accaduto grazie a te, vero?
Ora l’uggiosa città di Dublino è diventata troppo piccola per me. E, sotto lo stesso ombrello, hai detto la verità.
Si dice che dalla realtà non si possa fuggire. Ma sono del tutto intenzionato a scoprirlo. Finché le ossa non smetteranno di tremare e la pioggia non cesserà di assorbire il mio pianto così che possa fingere che non sia mai neanche esistito, finché le nuvole non scompariranno dai miei occhi consentendomi di vedere chiaramente ciò che avrei già dovuto vedere ormai da tempo.
Finché l’Irlanda non uscirà dalla mia vita, io non sarò libero.

 

Dopo questa tempesta, la goccia
Che bagnava la pelle, addolcisce le ferite
Che non curiamo più

Marco si svegliò all’improvviso, madido di sudore. I sogni agitati erano diventati suoi cari amici ormai da un po’ di tempo.
Scostate con violenza le coperte, si alzò dal letto e arrancò pigramente verso il bagno. Lì si sfilò la maglia con la quale aveva dormito e la gettò sul freddo pavimento. Si guardò nello specchio che sovrastava il lavandino e si studiò. Era invecchiato. Quando era accaduto? Quando, ai lati dei suoi occhi, erano comparse quelle lievi rughe che parevano sollevarsi a ogni sorriso? Le sue tempie, poi, da quando erano così ampie e visibili? Quante fan indignate gli avevano fatto notare che stava perdendo i capelli, mentre la sua barba era sempre più folta, dandogli l’aspetto di un apostolo, più che di un cantante? Forse troppe, per poterle contare. Sospirò. Quella mattina si era decisamente svegliato con il piede sbagliato. Tutta colpa di quei sogni che ormai da tempo tormentavano i suoi pensieri, incupendoli come fuliggine dopo una vampata.
 

Ed io rimango, io, io rimango immobile qui
Per te

Si sbarazzò anche degli altri indumenti, poi si infilò nella doccia, accese l’acqua, e una volta divenuta bollente, iniziò a riflettere.
Quel giorno era il giorno, quello in cui sarebbe iniziato un nuovo capitolo della sua carriera, in cui sarebbe tornato da dove tutto aveva avuto inizio, ma in una veste del tutto nuova.
La decima edizione del più famoso talent show d’Italia, X Factor, era alle porte. I due giudici più quotati dello scorso anno, l’eclettica Skin e il grande Mika, avevano dato forfait: proprio la parte internazionale della giuria aveva deciso di mollare, lasciando la produzione in un mare di guai. Quale donna avrebbe avuto la carica di Skin, chi avrebbe mai potuto sostituire il suo talento e la sua bellezza del tutto androgina? Ma il vero guaio era stato l’abbandono di Mika, divenuto il simbolo del fattore X. Nessun cantante, anzi, nessun uomo sulla terra sarebbe riuscito ad avere la sua verve, il suo mix di simpatia e serietà, esperienza e spensieratezza, nonché la sua bellezza del tutto spontanea che tante e tanti giovani aveva fatto capitolare.
Era stato allora che ai produttori del programma era balzato in mente quel ragazzino tanto talentuoso che aveva vinto la terza edizione del talent, per poi ascendere alla vetta e divenire il celebre Marco Mengoni che ormai era conosciuto a livello internazionale. Il suo tour era appena giunto al termine quando aveva ricevuto una proposta di lavoro in qualità di nuovo, brillante, e giovane giudice del programma. Marta, la sua manager, lo aveva saggiamente esortato ad accettare: oltre a un compenso alquanto generoso, X Factor gli avrebbe donato una visibilità del tutto nuova e mettersi alla prova con nuove esperienze non era forse la prova che ogni celebrità che potesse definirsi tale doveva affrontare?
Marco non era mai stato del tutto convinto di quel ruolo. Innanzitutto, la sua timidezza lo avrebbe messo in seria difficoltà nel momento in cui avrebbe dovuto, inevitabilmente, formulare un giudizio di senso compiuto, per non parlare poi della possibilità di dire di no a un concorrente. Un buon giudice avrebbe dovuto essere sicuro di sé, non balbettare a ogni tre per due. E poi, sostituire Mika? Era più una specie di suicidio che un’opportunità di lavoro.
Ma la verità era tutt’altra.
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te
Che resti indifferente e poi cambi d’estate

La verità faceva più male di un dardo nel cuore, una verità che sapeva di pioggia e nuvole. La verità era che Marco, con Mika, non avrebbe voluto avere più niente a che fare, figurarsi poi essere il suo sostituto: era perfettamente conscio di non avere la sua spiccata personalità, che l’esito sarebbe stato disastroso e, per l’amor del cielo, l’ultima cosa che voleva era leggere commenti del tipo “Mengoni pretendeva di essere all’altezza di Mika? Ma cosa credeva?”. Quello stupido sogno non aveva fatto altro che ricordargli quanto quell’affermazione fosse reale e le prove erano lampanti.
 

E cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te

Eppure, alla fine, il contratto era stato firmato e consegnato ai dirigenti, così da rendere a tutti gli effetti Marco Mengoni il nuovo giudice di X Factor.
Perché lo aveva fatto? Era davvero così masochista? Certo che no.
In realtà credeva, anzi, era certo che una nuova sfida gli avrebbe dato talmente tanto da pensare da occupare la sua mente a tal punto da recidere il filo che legava il suo cervello, i cui ingranaggi parevano non smettere mai di lavorare, a quel ricordo fin troppo triste, una cicatrice ormai in via di guarigione, ma che alle volte doleva ancora.
Sempre che si fosse rimarginata.
 

Riconterò gli errori di questa partita
Senza più paura di restare in fondo

L’acqua lavò via il sapone sul suo corpo e i pensieri dalla sua mente. Spense il getto e uscì, nudo e gocciolante, piccole stille d’acqua caddero ticchettando sul freddo pavimento. Prese un bel respiro.
Tra poco sarebbe andato negli studi di X Factor, avrebbe incontrato i dirigenti, gli altri giudici, avrebbe firmato altri contratti, non del tutto ufficiali, avrebbe capito i meccanismi di quel gioco dal quale era uscito vincitore, anni e anni fa, per pura fortuna. Quello sarebbe bastato?, si chiese. Probabilmente no. Essere il pupillo del programma l’avrebbe fatto campare di rendita forse  per le prime due puntate, poi la gente avrebbe iniziato a stancarsi. In tal caso, avrebbe potuto chiedere al suo amico Federico (in arte Fedez) di ripetere l’oscena pantomima della scorsa edizione e fingere, per quanto possibile, un’improbabile attrazione omosessuale l’uno nei confronti dell’altro. L’anno passato, il duo formato da Mika e Fedez aveva spopolato tra le giovanissime, che li riconoscevano ormai come coppia affermata, benché fossero entrambi fidanzati (Federico, tra l’altro, stava anche con una donna); così facendo, si erano guadagnati le simpatie di buona parte del pubblico. Ah, la magia del mezzo televisivo: non contavano i fatti concreti, esso aveva abbastanza potere da far credere alla gente ciò che si voleva, purché si mostrasse una facciata adatta. Marco fino a quel momento era stato un ottimo cantante e una celebrità impeccabile e riservata, ma chi era veramente? Qual era la sua personalità televisiva?
Beh, presto lo avrebbe scoperto.
Si asciugò con un ampio asciugamano bianco di spugna, poi tornò nella sua stanza, dove scelse con cura un abbigliamento che mostrasse, per quanto possibile, la propria personalità: un semplice maglione chiaro e jeans neri, a cui poi aggiunse il solito berretto che nascondeva quella stempiatura di cui tanto si vergognava. Prese il telefono cellulare e il portafogli, poi uscì di casa, mentre ancora quel triste sogno non cessava di tormentarlo.
 

Guardando un po’ più in là oltre le nuvole
La strada da, la strada da
Da rifare

Più che un sogno, in realtà, era un ricordo, di un giorno non particolarmente lieto della sua vita che aveva trasformato l’Irlanda, il suo personale paese delle meraviglie, nella terra dei suoi incubi, e questo solo per colpa di Mika. No, a lui non doveva pensare più: sarebbe stato difficile, sarebbero stati fatti molti paragoni tra loro due, ma non se ne sarebbe curato. O almeno ci avrebbe provato.
 

Ed io rimango, io, io rimango immobile qui
Qui per te

Uscito di casa, si infilò in macchina e guidò fino agli studi del programma. Durante il tragitto si accese una sigaretta, poi un’altra, accendendole agli stop. Sapeva che fumare nelle auto era severamente vietato ma Marco, di vietato, aveva fatto ben poco nella sua vita. Che almeno riuscisse a concedersi un vizio, di quando in quando.
Mezz’ora e sei sigarette dopo, arrivò dinanzi a quell’imponente edificio che tanto lo terrorizzava.
Dentro di lui, il ragazzino ventenne con le sopracciglia dal taglio improbabile e dall’aria allampanata e goffa si agitò. A volte, quella parte di lui si risvegliava: era timida e aveva sempre voglia di piangere, soprattutto in quel momento, dove tutto era improvvisamente troppo grande, troppo bello, troppo speciale per lui. Si sentiva esattamente come quando aveva partecipato come concorrente ad X Factor. Sette anni e svariati premi non avevano cancellato la sua introversione adolescenziale, ma forse nulla lo avrebbe mai fatto.
Decise di varcare le grandi soglie di quel palazzo e di percorrere una strada che, sebbene chiaramente indicata dai cartelli, lo spinse a perdersi più volte in quel dedalo di corridoi. Alla fine, però, riuscì a giungere alla sala riunioni.
Aperta la porta, il suo cuore cominciò a martellare prepotentemente. Dinanzi a lui c’erano cinque produttori esecutivi, qualche tecnico e un paio di assistenti che non conosceva e, seduti più vicini alla porta, dei volti conosciuti. Elio, il buon vecchio Elio, gli sorrise con entusiasmo da sotto i baffi non appena lo vide e finse un piccolo applauso. Alessandro Cattelan, con il quale condivideva una generosa altezza e un affetto genuino, lo salutò immediatamente con trasporto, così come fece anche Elio, e lì fu tutto un gran dare di pacche sulle spalle e abbracci poderosi e pieni di calore.
Soltanto una persona non si alzò dalla sua sedia per accoglierlo, se non quando il momento dei saluti fu terminato.
Era una donna, bassa a dispetto del fisico ben formato e del volto adulto, dai lunghi capelli bruni e gli occhi azzurri come pozzi d’acqua limpida. La figura era piena e prosperosa, i lineamenti erano ben marcati. A vederla, sembrava quasi una fata. Ma Marco l’aveva conosciuta e non era affatto una fata, bensì una cantante di voce incantevole e nobili natali.
Era Irene Fornaciari, figlia Adelmo Fornaciari, alias Zucchero, sua maestà il Cappellaio Matto italiano, come lo conoscevano all’estero. Marco l’aveva incontrata dietro le quinte della sessantesima edizione del Festival di Sanremo e subito di lei aveva pensato essere una donna asciutta. Non mostrava le proprie emozioni in pubblico, non cercava la fama, non pretendeva di sfondare con la hit del momento. Arrivava sul palco come una regina, si esibiva, sorrideva al suo pubblico e spalancava le sue braccia come ad accogliere tutti i suoi ammiratori, evitava cerimonie e fronzoli, poi così come era apparsa, scompariva.
Lo capì immediatamente, sarebbe stata una sua collega.
«Irene» sorrise, abbracciandola.
Lei poggiò le mani sulla sua schiena, per poi levarle quasi subito, esibendosi nell’unico tipo di abbraccio di cui era capace. Gli sorrise, e quello fu un sorriso vero.
All’improvviso, uno dei produttori si mise tra loro due. «Oh, signor Mengoni, ben arrivato! Ha già conosciuto la signorina Fornaciari, vedo. Sono onorato di dirle che affiancherà lei e il signor Belisari in giuria.»
Sorrise, immaginando che Elio avesse storto il naso nel sentirsi chiamare così: odiava che ci si rivolgesse a lui con il proprio nome, Stefano Belisari, era forse uno dei pochi cantanti a preferire il nome d’arte a quello vero. Al contrario, invece, Federico detestava che nel quotidiano lo si chiamasse Fedez perché, sosteneva, fuori dal palco era in pausa anche dal suo stesso nome d’arte.
All’improvviso, Marco si guardò intorno.
Un momento.
Dov’era finito Federico?
Si schiarì la voce e prese coraggio, cercando di combattere contro la sua timidezza. «Scusate... ma dove sta Federico?»
Brillante. Davvero brillante. Non sapeva nemmeno esprimersi in un italiano decente.
Al sol pronunciare Federico, l’atmosfera all’interno della stanza cambiò: gli assistenti si voltarono, Irene assunse un’aria grave, Elio si passò una mano sul viso e il produttore sbuffò.
«Il contratto con il signor Lucia è stato annullato» tagliò corto, stizzito.
A Marco caddero le braccia. Cosa era accaduto? Perché Federico non era lì in quel momento? Fece per prendere il cellulare e chiamarlo, d’altronde erano amici anche al di fuori delle apparizioni televisive, ma il produttore (che per Marco divenne il signor Fastidio) glielo impedì.
«Non c’è tempo. Dobbiamo discutere circa il suo ruolo, signor Mengoni.»
Ma, ormai, Marco si era distratto. Da una parte era dispiaciuto, voleva bene a Federico e non gli sembrava giusto che il contratto gli fosse stato annullato, chissà per quale motivo. D’altra parte, era terrorizzato al pensiero che al suo posto, in sostituzione, potessero richiamare qualcuno dei vecchi giudici, anzi, un vecchio giudice in particolare. No, era impossibile: quando avevano chiamato Marco per proporgli di entrare nella nuova giuria, si erano vantati di possedere “una scuderia tutta italiana per un programma tutto italiano”. Il ritorno di Mika era da escludersi.
Elio lo distolse dai suoi pensieri, dandogli uno scappellotto sulla nuca. «Riprenditi, testina! Ora arriva la parte divertente.»
Marco biasciò a mezze labbra: «Divertente?»
La cosa lo confondeva. Che fine aveva fatto Federico? Perché non gli era stata fornita spiegazione alcuna? Oh, giusto: perché era un timido patologico e si era vergognato anche a chiedere di saperne di più.
Il signor Fastidio lo fece sedere accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio entrambi osservavano il resto della troupe andare di qua e di là come polli senza testa. Era un’immagine grottesca e vagamente spassosa, ma non era il momento degli scherzi, quello.
«Allora, la questione è la seguente» iniziò il signor Fastidio. «Con Fedez fuori dai giochi, dobbiamo pescare un altro giudice che possa adeguarsi alle sue caratteristiche. Attualmente stiamo puntando al signor Giambelli.»
«Emis Killa?» fece, incredulo. Non era affatto tipo da talent, dubitava seriamente che sarebbero riusciti a convincerlo a essere uno dei giudici. Inoltre, era un omofobo dichiarato, mentre X Factor era un programma palesemente a favore dei gay.
«Pare di sì, ma questo non è un problema suo» proseguì quello. «Lei però deve venirci incontro in un modo analogo e vestire i panni che erano stati del giudice Penniman.»
Marco prese un profondo respiro. Si era ripetuto in testa quella frase almeno cento volte e, nel dirla ad alta voce, gli sembrò acquisire un senso del tutto nuovo.
«Io non sono Mika.»
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te
Che resti indifferente e poi cambi d’estate

Il signor Fastidio eluse la sua affermazione con un gesto della mano. «Oh, che Dio ce ne scampi, no! Siete due personalità completamente diverse, ma avete senza ombra di dubbio dei punti in comune. La spontaneità, l’eleganza, la sfacciataggine mascherata da gentilezza.»
A quel punto, perfino Irene accennò un sorriso che celava una battuta sarcastica. Marco era, sì, spontaneo, ma soltanto sui palchi dei concerti mentre cantava: era un disastro nel parlare.
Mordendosi il labbro, fece cenno di no.
«Invece sì, signor Mengoni. Sa, il pubblico la percepisce come uno di loro, sarebbe quasi il ragazzo della porta accanto, se non fosse per il suo straordinario talento. Se si adeguasse alla visione che gli spettatori hanno di lei, ha una vaga idea di ciò che potrebbe ottenere?»
E, senza aspettare che Marco rispondesse, proseguì: «Il doppio della visibilità e almeno il triplo dei consensi. Al pubblico piace sapere com’è il proprio idolo una volta sceso dal palco. Si dà arie? Gli piace scherzare? La fama lo ha cambiato o è rimasto il ragazzo semplice di un tempo? Noi puntiamo a dare risposte a questi interrogativi. Se la vedranno un uomo del popolo, diverrà la star più apprezzata del Paese, e non solo per la sua musica, ma anche per la sua personalità.»
All’improvviso, Marco capì: tra tutte quelle lusinghe vuote, il signor Fastidio gli aveva praticamente chiesto di essere come Mika. Non era difficile immaginare il perché: in Italia, negli ultimi anni, era scoppiata la Mika-mania. Tutti volevano conoscerlo, uscirci insieme, averlo anche a cena, perché no?, gli avrebbero cucinato dei manicaretti e chiacchierato amabilmente di arredamento e di come trascorrere le vacanze. Era diventato l’idolo delle adolescenti e delle loro mamme, l’uomo che tutti vorrebbero nella propria casa. Era quello il suo modo di conquistare la gente. Certo, nessuno conosceva la parte di lui che si infilava nei sogni altrui per prenderne il comando.
 

E cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te

Ma Marco? Lui non era così. Nel suo paese natale lo chiamavano addirittura “il Pizzuttato”, che in dialettale viterbese corrispondeva pressappoco a “scorbutico”.
Dopo una lunga pausa, ammise. «Io non so come si fa.»
Fu allora che un tecnico, come se fosse stato addestrato per quel momento, tirò fuori da un archivio un piccolo faldone contenente dei dischi.
«Imitare lo stile di qualcun altro non è certo cosa che si faccia dall’oggi al domani» iniziò di nuovo il signor Fastidio. «Così ho provveduto a fare per lei una raccolta di tutte le puntate di X Factor degli ultimi tre anni. Le guardi, studi Mika, i suoi movimenti e il modo in cui sa cogliere ogni istante per mettersi in luce, con una critica o una battuta. Assorba il suo modo di essere e tra una settimana ci rivedremo. È tutto chiaro?»
Marco ebbe a malapena la forza di annuire, mentre ancora il produttore blaterava dandogli altri consigli per essere Mika. Esattamente l’ultima cosa che avrebbe voluto fare nella sua vita. Aveva sempre ammirato X Factor per il modo in cui ognuno, dai concorrenti ai presentatori, avesse l’opportunità di essere se stesso fino in fondo. Ma forse quello non valeva per i giudici. Gli stavano assegnando un copione senza battute: avrebbe dovuto recitare la parte ed essere perfetto, ma senza neanche uno straccio di appiglio a cui aggrapparsi.
Si voltò a guardare Elio, che ricambiò lo sguardo con un pizzico di compassione: lui era avvantaggiato, visto che aveva una personalità talmente spiccata da non poterne assumere un’altra imposta dalla produzione.
Irene, invece, gli rivolse un sorriso sbieco. «Ringrazia il cielo, Mengoni. A me hanno dato i DVD di Morgan.»
Quell’affermazione gli strappò una risatina, mentre ancora sentiva la fastidiosa voce del fastidioso produttore sproloquiare di cose fastidiose, e nel frattempo pensava.
Dunque Elio sarebbe stato l’uomo vivace un po’ in là con gli anni, come era sempre stato. Irene, invece, sarebbe stata la stronza di turno, un grande cambiamento visto che, da qualche anno, il giudice donna ricopriva immancabilmente, nel bene e nel male, il ruolo della “mammina”. Marco, invece, sarebbe stato il giudice spontaneo, che era capace di fare inaspettati complimenti e di dire brutali oscenità sempre con dolcezza e un gran sorriso. Al solo pensiero tremava, ma se diventava nervoso anche quando doveva prenotare un tavolo al ristorante! Come avrebbe fatto a patrocinare dei ragazzi recitando una parte che non era la sua?
D’un tratto, una segretaria piccoletta e robusta corse verso il signor Fastidio, urlando che forse Clementino sarebbe stato disponibile a far parte della giuria, poi gli passò un telefono nel quale lui iniziò a far colare delle altre sdolcinate falsità.
Marco approfittò di quel momento per prendere il cellulare, rintanarsi in un angoletto dell’enorme sala e chiamare Federico.
Si appiccicò letteralmente il cellulare all’orecchio, mentre quello squillava in attesa che Federico rispondesse.
Dopo un po’, sentì dall’altra parte un allegro: «Ehi, Priscilla regina del deserto!»
Sorrise. Federico lo prendeva spesso in giro per la sua omosessualità, per via di alcuni loro trascorsi. Ma non lo faceva, e mai lo aveva fatto, in modo offensivo, anzi tutt’altro: era un modo, per quanto rude, per fargli capire che lo accettava.
«Ciao omaccione. Sto qui a X Factor e ho saputo che ti hanno fatto fuori» lo zelo iniziale andò scemando. «Mi dispiace un sacco.»
Dall’altra parte, un sonoro ringhio di frustrazione. «Burattini del sistema. Fidati di me, fai carriera in Spagna o da qualunque altra parte e qui in Italia non tornarci più.»
«Ma cosa è successo con esattezza?»
«Che è successo? Giusto. Perché d’altronde non lo sa nessuno che questa merda di programma è palesemente di sinistra. Già il PD aveva cercato di farmi fuori perché sto con i 5 Stelle, ma non ce l’aveva fatta. Allora ha fatto in modo che la sicurezza di Sky mi beccasse con dell’erba in tasca.»
«Te l’hanno messa loro?»
«No, tutti lo sanno che io ho sempre dell’erba addosso, ma a nessuno è mai importato un fico secco. Che sono per la legalizzazione, è risaputo anche questo. Ma adesso chissà perché interessa a tutti e la questione era: o ti facciamo passare per un drogato spacciatore o te ne esci dal programma.»
Marco spalancò la bocca. Quei meccanismi gli erano stati del tutto sconosciuti fino ad allora, e decisamente la politica non faceva per lui: non era mai stato un fan dei giochi di potere. Ma gli pareva assurdo che potessero estromettere una persona come Federico da X Factor solo perché avevano ricevuto delle pressioni da Sinistra.
Si morse il labbro. «È terribile. Mi viene voglia di mollare, ti giuro.»
«Per carità, non farlo. Resisti quest’anno e poi riempiti l’agenda di impegni così non potranno chiamarti. Non permettergli di averti in pugno, Marco.»
«Lo farò. Grazie Fede e a nome di chi ti ha cacciato, ti chiedo scusa.»
«Non scusarti, piccola checca. Piuttosto, giurami che farai il bravo.»
Rise di quel tentativo di sdrammatizzare. Però nulla riuscì a distoglierlo dal pensiero che X Factor faceva qualcosa di brutto alle persone. Dopo aver partecipato al programma Morgan lo aveva ripudiato, Federico lo aveva insultato, Arisa se ne era andata disgustata... Soltanto Elio aveva resistito.
Ciò che in quel momento importava era che, se neppure un tipo testardo come Mika era riuscito a resistere più di tre anni, X Factor aveva fauci.
E Marco sarebbe stato mangiato tutto in un boccone.
 

Una settimana dopo, Marco tornò. Tra dieci giorni ci sarebbero state le prime audizioni e sicuramente il signor Fastidio voleva assicurarsi che Marco si fosse trasformato nella brutta copia di Mika, perché l’aveva chiamato con una tale urgenza da fargli temere che i capelli di Irene avessero preso fuoco e che avessero arso vivo Elio.
Il che, da una parte, sarebbe stato più divertente di guardare effettivamente trentasette ore di puntate di X Factor con Mika. Cosa che per altro non aveva fatto.
Faceva più caldo quel giorno, così Marco aveva optato per una buffa maglietta con sopra stampato uno smoking e dei pantaloncini kaki. Occhiali da sole e cappello in testa non sarebbero mancati, e di nuovo varcò quelle soglie, stavolta senza perdersi. Strano che ce l’avesse fatta, visto che in quella settimana non aveva dormito.
Era terrorizzato all’idea di dover fare come Mika. Aveva cercato di pensare al modo in cui avrebbe dovuto vestirsi, atteggiarsi, muoversi e comportarsi, e più ci pensava più gli veniva il panico. In quei sette giorni aveva cercato di rilassarsi e di essere il più possibile spontaneo “alla Mika”, ma gli venivano almeno sette attacchi di panico alla volta quando ci provava per davvero. Era arrivato perfino a sognarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Una notte lo aveva sognato in piedi su una tavola imbandita, nell’intento di calpestare il suo cibo. Un’altra volta lo aveva sognato vestito da dandy dell’Ottocento, mentre rideva di lui e continuava a tormentarlo dicendo: «Io sono l’unico Mika di questo mondo». Perlopiù, però, sognava la sua fuga precipitosa dall’Irlanda. Avrebbe preferito il Mika in versione Ottocento.
Per questo negli ultimi giorni aveva dormito davvero poco.
 

E muore il mio pensiero su te

Entrò dentro il solito edificio, si fece strada tra i corridoi e, non appena fece per avvicinarsi alla sala riunioni dell’altra volta, ecco spuntare un’altra volta il signor Fastidio.
«Mengoni, eccoti qua!» disse con un sorriso da coyote. Non gli piacque affatto. «Mi piace il suo abbigliamento. Particolarmente indicato.»
Marco finse di sorridere e gli assicurò: «Dopo aver visto tutte quelle ore di DVD, il minimo che potessi...»
«Oh, spero che tu non le abbia guardate tutte» lo interruppe. «Non voglio più che tu imiti Mika. Devi cambiare personaggio.»
Lo sguardo inceneritore che provenne dagli occhi di Marco dovette persuaderlo che non era stata una mossa azzeccata uscirsene in quel modo. Si era tormentato tutta la settimana per essere come Mika e ora scopriva che non se ne faceva più nulla?
Spiegò meglio: «Intendo, lei ha fatto bene, anzi benissimo a vedere quelle puntate, ma invece di concentrarsi su Mika, provi a riguardarli concentrandosi su Fedez.»
«Fedez?».
Si chiese cosa volesse da lui. Era stanco di dover interpretare ruoli di altre persone. Poteva essere il miglior Marco Mengoni possibile, anche se qualche imitatore avrebbe affermato il contrario, ma non poteva essere un’altra persona e poi un’altra ancora. Era da escludersi.
Quello non demorse: «Invece del giudice affascinante e spontaneo, vorrei che lei fosse più la tipologia di giudice moderno e divertente. Lei adora i social, è vicino ai giovani. Qualche battutina di tanto in tanto, non sia sempre accomodante con gli altri, e per l’abbigliamento...»
Una risata esplose.

Oh, no.
 

E io riuscirò da solo
A distinguere il confine
Che ci divide e ci porta via

Era una risata particolare, quasi simile al verso di una foca, eppure divertente e contagiosa.
La conosceva.
Marco piantò lì il signor Fastidio ed entrò a passo di marcia all’interno della sala.
Sgranò gli occhi.
Spalancò la bocca.
Era completamente convinto di star sognando ancora.
Elio e Irene si stavano facendo un autoscatto esibendosi in smorfie e boccacce verso il cellulare dell’uomo che, in mezzo a loro, lo reggeva e rideva in quel modo tanto travolgente.
Marco non poté confondere i suoi ricci bruni, né la sua notevole altezza e, sicuramente, non avrebbe mai potuto confondere la sua risata.
 

Per poi confonderci tra tutta questa gente

In quel momento, accanto a lui comparve il produttore Fastidio. «Come avrà forse avuto modo di capire ieri, abbiamo avuto delle difficoltà nel trovare un sostituto per il signor Lucia. Fortuna che ieri il signor Penniman ci ha chiamato per dire che aveva cambiato idea.»
«Michael?»
 

Che resta indifferente a noi

Marco, quel nome, lo urlò senza prestare ascolto alle parole che gli circolavano attorno.
Con tutta la calma del mondo, Mika si voltò con un sorriso ampio e radioso che espose i suoi incisivi marcati. Andò verso Marco studiandolo e sul suo viso l’espressione di piacevole sorpresa mise il ragazzo sulla difensiva. Cosa stava succedendo?
Non si erano né visti né sentiti dalla fuga di Marco in Irlanda. Che razza di gioco perverso aveva in mente?
 

Nell’attesa fermo rimango
Aspettando a un passo da te

Che resti indifferente e poi cambi d’estate
E cadono le scuse. e cadono le scuse

Come se gli avesse letto nel pensiero, Mika emise una risatina e disse: «Ciao, scappatore
 

Ed io non ti aspetto più.

 

 

 

 

La soffitta dell’autrice:
Salve, lettori e lettrici. Non pensavo, sarò sincera, di tornare con una nuova long. Ormai avevo abbandonato questa impervia strada per prendere quella, più semplice e senza impegno, delle OS.
Eppure sentivo che c’era ancora una storia da raccontare. La storia di un amore che sembra finito. La storia di una playlist in divenire. E dunque eccomi qui.
Ringrazio la mia fantastica e dolce beta, che mi ha convinta a tornare a scrivere long, il mio piccolo grande amore comeunangeloallinferno94. Grazie per la lettura, un bacio.

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Capitolo 2
*** Non posso farlo ora ***


Ti ho voluto bene veramente
 

Così sono partito per un lungo viaggio
Lontano dagli errori e dagli sbagli che ho commesso

Michael.
Un secondo prima il tuo nome era l’unica fonte della mia gioia, un nettare al quale anelavo per sopravvivere. Ora tra le mie labbra diviene amaro e schiuma in gola come veleno.
Come hai potuto?
Tu mi chiedi scusa non una, ma cento volte. Ancora prima che io reagisca, tu ti scusi.
Perché mi hai ingannato e lo sai. Mi hai fatto credere che la nostra fosse una semplice passeggiata sotto la pioggia, sapevi bene che sarebbe mutata nel più crudele dei delitti. Eppure hai protratto sinora il tuo inganno.
Con gli occhi gravidi di pianto mi implori di restare. Ma quanto piange il cielo in confronto a te, e se i tuoi occhi sono lucidi, le tue guance sono asciutte.
Non ti credo più.
Come vetro il mio cuore s’incrina, una crepa diviene una ragnatela di fratture fino a esplodere in una cascata di frammenti. Ormai non ho più un cuore che batta per te, eppure sembra che i suoi fragili pezzi siano tutti protesi verso i tuoi occhi lucidi. Oh, no. Li porterò via con me, me ne andrò. Fuggirò da te, perché mi sento ancora troppo tuo per starti accanto.
 

Ho visitato luoghi per non doverti rivedere
E più mi allontanavo e più sentivo di star bene

Che tu sia dannato, Michael.
 

Il produttore batté le mani. «Bene, vedo che ci siamo tutti. Bando alle ciance: dobbiamo ripensare lo spot pubblicitario daccapo, soprattutto adesso che Mengoni sostituisce Lucia e credetemi sulla parola se vi dico che due persone tanto diverse non esistono in tutto il mondo.»
Degli sproloqui del signor Fastidio –il cui nome era peraltro ancora sconosciuto ai più– Marco non ascoltò una parola, troppo concentrato sugli occhi consapevoli di Michael. Occhi che scrutavano, occhi che sapevano e scavavano affondo. Occhi che parlavano. Occhi che perfino sorridevano.
Sapeva perfettamente che Marco non si aspettava di trovarlo lì, conosceva le sue intenzioni, ossia quelle di non rivederlo mai più. Lo aveva incastrato per bene, messo nel sacco. Marco ormai non poteva più scindere il contratto, a malapena i dirigenti lo avevano ritirato a Federico, per ragioni del tutto straordinarie. Già immaginava l’entusiasmo del target al quale X Factor puntava –ragazzine, ragazzini e madri lavoratrici– quando avessero rivelato i nomi dei giudici. Strano a dirsi, le cinquantenni con velleità artistiche e le nonnine arzille stravedevano per Marco come le ragazzine delle medie, mentre Michael conquistava adolescenti, genitori single appena trentenni e zie in sovrappeso. Mossa astuta quella di unire entrambi in un unico programma: avrebbero conquistato il mondo.
Peccato che a Marco, di conquistare il mondo con Michael, non importasse un fico secco. L’unica cosa che desiderava in quel momento era la fuga, forse per questo l’altro sorrideva in quel modo soddisfatto e al contempo irritante. Marco non poteva andare da nessuna parte, per questo prima lo aveva apostrofato come scappatore, per sottolineare l’impossibilità di sottrarsi non solo a quell’incontro, ma a tutti i provini e le puntate di X Factor, nonché per l’ExtraFactor. Sarebbero stati gomito a gomito sempre, in ogni secondo.
Marco era fottuto.

 

E nevicava molto però io camminavo
A volte ho acceso un fuoco per il freddo e ti pensavo

Si accasciò, ancora incredulo, sulla sedia, tra il produttore e Irene, di fronte a lui c’era Elio e Michael era proprio accanto. L’espressione furbetta del suo viso lasciava presagire un piano studiato nel dettaglio. Marco era convinto che fosse tornato lì per lui, non per stargli accanto, quanto piuttosto per torturarlo, per possederlo, per ricordargli ogni minuto della sua vita che lui, sì, proprio lui era suo e di nessun altro.
Per tutta la durata dell’incontro, Marco digrignò i denti per l’indignazione, mentre gli altri commentavano, sorridevano, facevano cose.
Lo spot per annunciare l’inizio del programma sarebbe stato girato tre giorni dopo: ciascuno dei giudici si sarebbe presentato da solo su un palcoscenico vuoto. Avrebbe detto il proprio nome, la provenienza, il ruolo che la musica ricopriva nella propria vita, poi avrebbe cantato (si era optato di comune accordo per dei meri vocalizzi, onde evitare di autocelebrarsi o di incorrere in sgradevoli inconvenienti di copyright), poi tutti assieme sarebbero stati filmati come una band; dei ragazzi presenti al primo giorno di audizioni sarebbero stati filmati mentre urlavano, dicevano o cantavano un grande “sì” a favore dei giudici. Una specie di audizione al contrario, quello spot, per celebrare la decima stagione del talent. L’idea piacque a tutti, perfino Marco ne fu colpito: chiaramente, non era farina del sacco del fastidioso produttore.
Quest’ultimo descrisse nel dettaglio il compito di Marco per quell’edizione: nonostante non fosse più un ragazzo, bensì un uomo, era comunque il giudice più giovane e quella sarebbe stata la sua parola d’ordine. L’abbigliamento, il modo di parlare e di interagire con giudici e concorrenti, perfino le sue scelte musicali avrebbero dovuto essere giovani, fresche e moderne. Il suo punto debole, invece, sarebbe stato un’eccessiva difesa dei propri gusti, dei propri concorrenti, una sorta di gelosia infantile. Per come la vedeva Marco, era tutto fin troppo studiato: non poteva certo comportarsi come un ragazzo in tempesta ormonale, quella farsa per farlo sembrare appena un teenager sarebbe risultata sgradita e falsa agli occhi del pubblico e, per carità, nulla sarebbe stato più ridicolo di un uomo con barba e capelli bianchi che butta a caso frasi come «Bella zio».
Non avrebbe mai funzionato.
Eppure Marco, troppo timido ed educato per controbattere, fece di sì con la testa continuamente, senza neppure accennare al proprio parere. In quello fu davvero impeccabile.
A ciascuno venne dato quel tipo di direttiva, ma Marco ormai aveva smesso di ascoltare da un pezzo. Dopo qualche altra comunicazione e aver stabilito luogo e ora del prossimo appuntamento, vennero tutti congedati.
Marco praticamente schizzò fuori dalla sala, al fine di evitare Michael, ma la sorte gli fu avversa, poiché nell’estrarre dalla tasca dei pantaloni il suo consueto pacchetto di sigarette, queste gli volarono di mano e molte andarono a spargersi sul pavimento. Si chinò e le raccolse nervosamente, ma non fu abbastanza svelto: due mani, grandi e forti quanto le sue, si avvicinarono per aiutarlo. Le sue mani. Odiava quelle mani.
«Lascia, faccio io.»
«No, grazie» ribatté Marco, piccato. «Ho fatto.»
Si rimise in piedi in un batter d’occhio, guardando Michael dall’alto in basso. Egli gli sorrise con gli occhioni divertiti. Poi si alzò anche lui da terra, porgendogli le sigarette che aveva preso. Marco le afferrò di malavoglia e se le ficcò tutte in tasca. Poi lo osservò.
 

Sognando ad occhi aperti sul ponte di un traghetto
Credevo di vedere dentro il mare il tuo riflesso

I riccioli di Michael erano leggermente arruffati quel giorno, indossava dei jeans aderenti e una maglia bianca, dove si intravedeva una macchia violacea che sembrava marmellata, proprio vicino al fianco sinistro. In quel modo sembrava un bambino dispettoso che si era svegliato tardi e aveva consumato la colazione in fretta e furia per arrivare puntuale a scuola. Un gran bambinone come al solito. Strano come tutto ciò che un tempo aveva trovato tenero, ora gli paresse irritante e lo urtasse.
No, non era affatto vero. Era ancora tenero ai suoi occhi. Ma la cosa non aveva più importanza.
«Marco, ciao» gli fece, spontaneo. «Quanto tempo noi non vediamo. È da...»
«Dall’Irlanda, sì» lo precedette, per evitare che lo dicesse lui. Tutt’a un tratto il sorriso di Michael si affievolì, il suo volto divenne più serio, quasi infelice. Ma era ovviamente impossibile, si disse, perché un uomo nella sua condizione non può essere infelice.
«Senti, io ha voluto tanto parlare a te, ma io ho voluto lasciare tuoi spazi. Sono passati tre mesi, noi deviamo parlare.»
Marco scosse la testa. Doveva essere un incubo, un orribile e grottesco incubo dal quale si sarebbe svegliato. Si rifiutava di parlare di quel giorno. «Non è né il momento né il luogo. Ti pare?»
«Prima o poi sarà» rispose, quasi profetico. «E noi ci diremo tante cose.»
Scuotendo la testa, cercò di raccogliere il coraggio. Aveva immaginato tante volte quella conversazione nella sua mente, ma ora le parole svanivano come vento tra le dita e non ne aveva di buone da usare. Infine, cauto, replicò: «Io credo che non abbiamo niente da dirci.»
Fu lì che Michael sorrise. Sì, sorrise proprio con una faccia da schiaffi. «Io vado via, così tu non agiti e non sei triste, ok? Ma poi noi ci vediamo in tre giorni. Così tu hai tempo per pensare se è momento e luogo.» 

Le luci dentro al porto sembravano lontane
Ed io che mi sentivo felice di approdare

Mentre si allontanava, Marco si sentì ribollire di rabbia: pensava che andandosene avrebbe fatto un favore a lui? Tutt’al più, lo avrebbe fatto a se stesso, evitando una situazione imbarazzante in cui l’altra persona non aveva nulla da dirgli. Marco stava benissimo senza Michael.
Non gli avrebbe detto una parola di più del dovuto.
Questo pensò, guardandolo andar via. Lasciò andare il respiro, neppure si era reso conto di averlo trattenuto.
 

E mi cambiava il volto e la barba mi cresceva
Trascorsi giorni interi senza dire una parola

Se era lontano, odiare Michael era molto, molto più facile.
 

Il giorno dello spot era arrivato.
Marco decise, una volta tanto, di contravvenire alle istruzioni che gli erano state fornite. Una canottiera scollata e dei pantaloni corti e colorati non erano nel suo stile, decisamente. Visto il caldo optò per una t-shirt nera e dei pantaloncini bianchi di lino. Anelli, bracciali e il rosario che sua madre gli aveva regalato avrebbero compensato la sua mancanza di colore la quale, a sua volta, serviva per compensare la mancanza dei caratteristici tatuaggi di Fedez. Visto che non riusciva a farsi valere con le parole, lo avrebbe fatto con le azioni.
Il luogo d’incontro era un teatro, piccolo e sperduto, nella periferia milanese. Gli era chiaro ciò che avrebbe dovuto fare: camminare con passo incerto sul palcoscenico, posizionarsi al centro e recitare la sua battuta: «Sono Marco Mengoni, vengo da Ronciglione e la musica è il mio riflesso». Sembrava abbastanza facile.
Ma lì ci sarebbe stato anche Michael, e con lui nulla era mai stato facile.
Arrivò lì in circa tre quarti d’ora, colpa del traffico mattutino. Quando entrò dalla porta già spalancata, gli sembrò di assistere a uno spettacolo in miniatura: le luci e le videocamere, tutto era stato studiato e orchestrato per far sembrare quello un teatro abbandonato e fatiscente, in cui alcuni fori nel soffitto lasciavano trapelare dei piccoli fari luminosi.
Michael era lì in piedi. Stavano filmando la sua parte della pubblicità. Gli altri giudici lo guardavano con un sorriso stampato in volto, probabilmente dopo aver girato ciascuno la propria scena.
Lui aveva un completo beige con sotto una camicia bordeaux e cravatta ricca di elaborati ghirigori beige e panna. Sembrava un principe, dominava quel piccolo palco con la sua sola presenza, senza però essere ingombrante. Era a casa sua.
«Sono Michael Holbrook Penniman Junior» iniziò, la sua voce sprizzava vivacità e voglia di cantare. «Vengo da Londra e il canto è il mio primo amore.»
Marco storse il naso. Aveva pronunciato Michael all’inglese, come gli avevano suggerito di fare per rendersi più internazionale, mentre Marco sapeva perfettamente che si pronunciava così come si scriveva, con l’accento posto sulla “e”. Anche se diceva di venire da Londra, la sua casa effettiva, era un fatto risaputo che fosse nato a Beirut. Per quanto riguardava il suo primo amore, sapeva per certo che da piccolo giocasse a fare lo sposo con sua sorella Zuleika, con le altre due sorelle a fare da damigelle e il papà che faceva da prete. Quindi, per quanto eloquente, ogni singola parola della sua presentazione era una bugia. Glielo avrebbe rinfacciato.
«Taglia!» urlò il regista, un ometto basso e tarchiato, con un pizzetto sale e pepe e un gran paio di occhialoni rotondi. Questi si voltò verso Marco e gli fece cenno di avvicinarsi.
Michael balzò giù dal palco e lo salutò con un cenno della mano. A quel gesto, Marco tirò dritto di proposito, fingendo che la risatina che udì di seguito fosse frutto della sua immaginazione. Salutò cordialmente il regista, il quale lo squadrò con disgusto, ma sorvolò circa il suo abbigliamento completamente sbagliato. Gli comunicò ciò che avrebbe dovuto fare: raggiungere il centro del palco come fosse spaesato, giungere al centro, esibirsi prima con i vocalizzi e poi registrare la sua battuta. Tutto chiaro.
Dopo una breve sistemata presso la sezione trucco e parrucco, fu pronto per girare. Non fu affatto complicato, il tutto durò all’incirca un minuto e mezzo, pause e tagli esclusi. Finì ancora prima di rendersene conto e quello sì che fu un grande sollievo.
Il regista gli disse di restare sul palco mentre, sotto gli occhi stupefatti di Marco, a velocità supersonica i tecnici portarono una batteria, una chitarra elettrica, un pianoforte e un autentico microfono vintage. Sentì la risata di Elio alle sue spalle, probabilmente per via della sua bocca spalancata di fronte a quella piccola magia. Presto tutti e quattro i giudici salirono sul palco. Elio prese posto alla batteria, Michael si sedette al piano e Irene afferrò la chitarra. Marco afferrò quel microfono pazzesco e, quando dalle casse venne sprigionata una musica energica e palesemente pre-registrata, tutti finsero di suonare e iniziarono a divertirsi come dei pazzi. Marco scoppiò a ridere, perché se da una parte le casse battevano al ritmo di quella musica incalzante, sul palco ognuno suonava quello che voleva ed era davvero atroce, ma nulla che una buona dose di umorismo non potesse riparare. Iniziò a giocare con l’asta del microfono, ballare e fare quelle mosse che tanto facevano piacere alle ragazzine e tanto facevano ridere i loro fidanzati.
A un certo punto, proprio mentre si stava divertendo, Michael gli si affiancò. Si mise accanto a lui come un vecchio amico e finse di rubargli il microfono di mano.
Ma come si era permesso?
Marco cercò di tirare il microfono verso di sé, scatenando l’ilarità generale: sembravano due vocalist in competizione per il ruolo di leader. Se lo contesero, Marco seriamente irritato e Michael che invece rideva come un bambino. Presto quel gioco coinvolse tutti e anche Elio e Irene cercarono di rubare il microfono a Marco. Quando il regista urlò il suo «Stop!», anche lui stava ridendo. Avrebbe tenuto quella ripresa improvvisata, poco ma sicuro.
Marco scese dal palco senza voltarsi indietro, suscitando un coro sdegnato da parte dei suoi colleghi, che si chiesero perché Marco dovesse fare il guastafeste. Neppure fece in tempo a uscire dal teatro per farsi una sigaretta, che subito sentì la voce di Michael dietro di sé che tutto pimpante annunciò:
«Ecco lo scappatore
 

E quanto avrei voluto in quell’istante che ci fossi

Si voltò, tutti sorridevano pensando a uno scherzo.
Certo che lo pensavano. Nessuno di loro sapeva per quale motivo Marco ce l’avesse con Michael tanto che ogni suo gesto risultava quanto mai provocatorio, non era certo colpa loro. Così, di malavoglia, finse di ridere e tornò tra di loro, con somma soddisfazione di Michael.
Forse a lui non dava fastidio fingere che fossero amici come prima, ma a Marco sì, parecchio. Borbottò un blando: «Comunque sei un falso.»
«Perché dice questo?»
Non la piantava neanche un secondo di sorridere. Marco avrebbe dato qualunque cosa per togliergli quel ghigno dalla faccia: per colpa sua, non sorrideva da mesi, come faceva lui invece a essere così felice?
Ah, giusto. Si era liberato di Marco.
Si schiarì la voce. «Sai, non sei di Londra, il tuo nome non si pronuncia Michael all’inglese e... sì, hai giurato amore eterno a tua sorella Zuleika. Quindi hai detto una bugia dietro l’altra nella registrazione.»
Il sorriso di Michael si ampliò fin quasi a raggiungere le orecchie. «Tu ti ricordi tutte queste cose?»
Marco si morse le labbra.
Quanto era stato stupido! Sperava di zittirlo una volta per tutte, invece gli aveva dato l’ennesima scusa per rimarcare il proprio dominio su di lui. Si sentì un idiota di prima categoria.
«Tu ti ricordi» constatò nuovamente, colmo di gioia per chissà cosa. «Wow, che grande memoria! Invece io volevo di dire a Irene il nome di tua madre e non lo ricordavo... è Sofia?»
«Nadia.»
Quella fu la sua unica risposta.
Era troppo, perfino per lui.
Era stato meschino da parte sua sottolineare come Marco ricordasse ancora ogni cosa di loro, mentre Michael neppure aveva azzeccato il nome di sua madre. Dovette incassare anche quel colpo, dopo tutti i rospi che aveva già dovuto ingoiare a causa sua.
Fu lì, negli sguardi impietositi dei suoi colleghi, che Marco capì che loro sapevano. Forse non ne erano certi, ma di sicuro lo avevano intuito, forse proprio per colpa dell’ostinazione di Marco. Ottimo, non poteva andare peggio di così.
Tirò su col naso per trattenere le lacrime: «Beh, è evidente che i dettagli te li sei scordati. Pazienza, ce ne faremo una ragione.»
Michael gli tirò scherzosamente un finto pugno sulla spalla. «Non essere arrabbiato, Marco! Io ho memoria di merda, per questo non ricordavo.»
Rise, ma la sua risata aveva poco a che fare con il divertimento. «E chi si arrabbia? Io no.»
La tempesta sembrò evitata e tutti sorrisero di sollievo, poi si misero a discutere delle audizioni, che sarebbero cominciate il 26 giugno, ossia tra dieci giorni appena. Irene era seccata per via dell’abbigliamento che le avevano imposto: invece dei suoi soliti abiti hippie e al contempo eleganti, l’avrebbero agghindata come una jazzista di secondo ordine. Elio rise, ribattendo che, se voleva decidere lei per se stessa, avrebbe dovuto per lo meno vincere quell’edizione al primo colpo.
Tra quelle chiacchiere tanto amichevoli, Marco non si sentì a suo agio. Prese una sigaretta e annunciò la “pausa ciminiera”, giusto perché ridessero un po’. Poi volò giù dal palco e uscì dal teatro, indossò degli occhiali da sole e si poggiò al muro. Sigaretta accesa tra le dita, un profondo respiro, nicotina in circolo, un sospiro soddisfatto e grigio di fumo.
Finalmente una meritata pausa.
«Marco.»
Aveva parlato troppo presto.
 

Perché ti voglio bene veramente
E non esiste un luogo dove non mi torni in mente

«Sai, noi stavamo pensando» si poggiò affianco a lui «di arrivare a le audizioni a cavallo! Ti piace?»
Marco annuì. «Bello.»
Rimasero per un po’ in silenzio, l’uno cercando di capire cosa pensasse l’altro. Come prevedibile, fu Michael a rompere il silenzio.
«Ora è momento e luogo?»
«No.»
«Perché non vuoi parlare?»
Marco si voltò e vide che finalmente aveva smesso di sorridere. Stavolta toccò a lui sogghignare. «Hai parlato abbastanza tu per tutti e due. Prima, sul palco» e indicò l’ingresso del teatro con un cenno della mano.
Sbuffò sonoramente. «Solo perché io non mi è ricordato il nome di tua madre.»
«O forse perché mi hai fatto fare la figura del disperato» sbottò, incapace di trattenersi oltre.
«Questa è una sciocchezza» fece, sembrando addirittura offeso. «Io volevo solo dire che tu hai memoria molto grande e io no.»
Marco gettò la sigaretta a terra e la calpestò. Tanto valeva giocare a carte scoperte, anche se sapeva che avrebbe versato calde lacrime per tutta la notte, ma meglio che tenersi tutto dentro fino alla fine.
 

Avrei voluto averti veramente
E non sentirmi dire che non posso farci niente

«Ora ti dico com’è andata la cosa» soffiò l’ultima nuvola di fumo. «Io non ne ho più voluto sapere di te dopo l’Irlanda, a ragione direi. Pensavi che sarei tornato strisciando da te ma non l’ho fatto, quindi hai pensato bene di venire a X Factor e fare di nuovo il giudice, giusto per darmi il tormento e vedere come stavo di merda senza di te e poterti divertire a mie spese. Allora, ci ho visto giusto?»
Sorrise, quasi per dispetto.
Michael, invece, sembrò un bambino al quale avevano tirato uno schiaffo. Provò una rabbia contenuta. Scosse la testa impercettibilmente, quasi più per se stesso che per Marco.
«Tu sei un pazzo» sentenziò, infine. «Non sai quello che dici.»
«Io credo di saperlo, invece.»
 

Avrei trovato molte più risposte
Se avessi chiesto a te ma non fa niente

Si grattò la testa, le sue mani affondate nei propri, folti riccioli. Sospirò, accennò brevi sorrisi amari e scrollò le spalle. Sembrava non sapere nemmeno cosa fare, o cosa dire, forse per la prima volta da quando si erano conosciuti.
Marco si sentì momentaneamente meglio: in realtà, di dire a Michael la verità, non gli importava affatto, voleva solo fargli del male. E ci era riuscito. Poteva essere contento.
«I decided to came back, but it was a mistake.»
Ho deciso di tornare, ma è stato uno sbaglio.

 Non posso farlo ora che sei così lontano

Detto questo, tornò nel teatro, lasciando Marco a crogiolarsi nella sua stagnante, malsana felicità. Finalmente anche Michael soffriva come aveva sofferto lui. Si potevano forse dire pari? Questo non lo sapeva.
L’unica cosa che sapeva era che, quando aveva immaginato il momento in cui gli avrebbe rinfacciato tutto, aveva pensato di sentirsi meglio di così.
Non sarebbe mai stato così semplice, vero?
 

In quei dieci giorni, i quattro giudici si videro quasi ogni mattina. I veterani diedero a Marco e a Irene dei preziosi consigli su come essere un giudice giusto e, nel frattempo, un personaggio televisivo di portata non indifferente. Elio fu un mentore eccezionale, fece sentire Marco sempre più convinto della propria decisione: comprese finalmente che il suo scopo in quanto giudice non era di fare bella figura o di mettersi alla prova, ma di forgiare talenti. Il pensiero di aiutare dei ragazzi a scoprire il fattore X che c’era in loro aiutò Marco a ritrovare un entusiasmo che credeva perduto. Poteva dirsi finalmente soddisfatto, nonostante il nervosismo che gli scuoteva le vene e i polsi al pensiero di parlare di fronte a pubblico e concorrenti.
Con Michael, invece, i rapporti erano diventati puramente professionali. Una volta per tutte, aveva capito che erano solamente colleghi e in quanto tali si erano scambiati tutt’al più consigli e opinioni, nulla di più. Forse, pensò Marco, le cose stavano iniziando ad andare per il verso giusto.
Allora perché non si sentiva del tutto felice?
 

Mi sentirei di dirti che il viaggio cambia un uomo
E il punto di partenza sembra ormai così lontano

Forse era stato per il modo in cui si era rivolto a Michael. In Irlanda lo aveva ferito, ma non voleva dire che si meritasse un trattamento come quello che Marco gli aveva riservato. Si sarebbe sentito meglio, magari, se si fosse scusato.
Decise che non lo avrebbe fatto. D’altronde, si era già umiliato abbastanza per lui. Doveva rammentare che da colleghi avrebbero finto di essere pappa e ciccia. Ma come ex, non avrebbe avuto pietà.
Pur ignorando un piccolo nodo che sentiva nella gola.
La mattina del 26 di giugno, Marco si recò in una specie di hangar utilizzato per tenere i cavalli sui quali i giudici si sarebbero presentati sul tappeto rosso (sì, alla fine quell’assurda idea era stata approvata). Indossava una camicia bianca, un gilet nero e pantaloni neri, scelta che gli venne nuovamente criticata per non essere abbastanza “giovane”. Mentre una stagista era lì a fargli la predica, con la coda dell’occhio scorse Michael, fasciato in un elegantissimo tartan verde smeraldo. Questi andò verso di lui e, come una falena attratta dalla sua fiamma, involontariamente Marco lo raggiunse.
 

La meta non è un posto ma è quello che proviamo
E non sappiamo dove né quando ci arriviamo

Michael lo osservò con un tenue sorriso. Marco si maledisse, era sicuro che avesse già compreso quell’inspiegabile magnetismo che li aveva fatti avvicinare. Dannazione.
«Ciao Marco» lo salutò come se il giorno prima non fosse mai esistito. «Questi stallioni sono fantastici.»
Marco si voltò: un imponente pezzato con una folta criniera cercò di montare, proprio in quel momento, una giumenta bianca che sembrava uscita da una fiaba. Un fantino li separò, tra lo sgomento e l’ilarità generale.
Non poté fare a meno di sorridere. «Al mio cavallo piace la tua puledra» constatò in tutta ingenuità.
Poi all’improvviso Michael lo attirò a sé e lo abbracciò.
 

Trascorsi giorni interi senza dire una parola
Credevo che fossi davvero lontano

Non andava bene. Non andava affatto bene.
Lo aveva praticamente imprigionato tra le sue braccia, con le mani premute sulle sue scapole. Il volto di Marco andò letteralmente a fuoco. Perché lo stava abbracciando, lì di fronte a tutti, poi? E in quel modo? Lo aveva insultato ieri, aveva fatto delle insinuazioni pesanti. Non c’era motivo di abbracciarlo. Marco pensò di divincolarsi.
Sospirò. Era stanco di essere lo scappatore.
Michael parlò piano, quasi per timore di rompere l’incanto. «Io non sono qui perché voglio tormentare. Io sono qui perché mancavi tu.»
 

Sapessimo prima di quando partiamo
Che il senso del viaggio e la meta è il richiamo

Marco chiuse gli occhi e scosse la testa. Una parte di lui avrebbe voluto lasciarsi andare nel suo abbraccio e alle sue parole, ma sapeva perfettamente cosa lo aspettava se avesse ceduto.
«Non manco io» replicò, senza staccarsi. «Non possiamo cambiare le cose. O, almeno, io non posso.»
«Io non posso» disse, aggrappandosi al suo gilet.
Marco era migliore di così. Non sarebbe stato più ciò che era prima, per il bene di tutti. Poteva aver sbagliato in passato senza che questo influenzasse il suo presente.
Fece per staccarsi, ma Michael lo tenne più forte. «No, no, non essere arrabbiato. Io non posso fare nulla per io e te. Ma questo non è che non ti voglio bene.»
 

Perché ti voglio bene veramente
E non esiste un luogo dove non mi torni in mente

In quel momento, Marco capì che qualcosa tra loro era rimasto in sospeso, ma era bene che rimanesse tale. Era pericoloso, in quella situazione. Non avrebbero dovuto.
Così, per quanto doloroso fosse, Marco dovette dirgli quello che poi gli disse.
«Anche io ti ho voluto bene, veramente.»
 

Avrei voluto averti veramente
E non sentirmi dire che non posso farci niente

Non ci fu bisogno di dire altro. Michael sciolse il loro abbraccio con un sorriso sghembo, forse accontentandosi, forse pensando che fosse meglio di niente.
In quel momento, Marco capì che le cose erano tornate al loro posto, che così doveva essere. Ma una parte di lui avrebbe voluto cambiare le parole e quel tempo volgerlo al presente perché, sì, gli voleva bene veramente, nonostante tutto. Ma cosa avrebbe potuto farci Michael, con il suo affetto? Assolutamente niente.
 

Avrei trovato molte più risposte
Se avessi chiesto a te ma non fa niente
Non posso farlo ora che sei così lontano

Era troppo tardi.

 

Non posso farlo ora.
 

 

 

La soffitta dell’autrice:
Eccomi qua, sono tornata! Con un capitolo un po’ crudele per i miei standard ma, beh, vorrei vedere voi a essere feriti come è stato ferito Marco. Chissà che gli avrà fatto Mika di tanto grave da allontanarlo per sempre (?). Lo scoprirete solo leggendo! Ringrazio come sempre la mia beta, la pazzesca comeunangeloallinferno94. Per lei la mia fanfic non ha segreti!
Chicca del capitolo: ero io a credere che la mamma di Marco si chiamasse Sofia, anziché Nadia.

Un bacio.

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Capitolo 3
*** E te ne andrai via ***


Ricorderai l’amore
 

Ritornerai, ritornerai da me

«Cosa?»
«Aspetta Marco. So che sembra una cosa assurda, ma io non ho...»
«No, cazzo. Rallenta. Tu
cosa
«Per favore, so che sei arrabbiato, ma tu cerca di capire.»
«No. No. No, Michael, non puoi parlare sul serio! Mi hai portato dall’altra parte del continente solo per farmi questo?»
«Oh, no Marco, non piangere. Sai che io non volevo questo, ma è andata così.»
«È andata così? Non puoi dire una cosa del genere! Anzi, sai cosa? Non dire niente. Non voglio sentire neanche una parola uscire da quella tua bocca di merda.»
«Non dire questo...»
«Cosa dovrei dirti? Che sono contento, che perderti è stupendo? Che felicità, che gioia.»
«Mi dispiace, sai che lui voleva questo da tanto.»
«Michael, tu mi hai preso in giro, mi hai ferito, ma soprattutto stai cercando di buttare la colpa su di lui invece che su te stesso.»
«Non c’è una colpa.»

 

Mi guarderai, mi guarderai come se
io fossi colpevole

«Ah, sì? Bene, allora è colpa mia. Se non fossi mai entrato nella tua vita tu non avresti tradito Tim e sarebbe andato tutto meglio.»
«Tu sta dice che è meglio se noi non ci incontravamo?»
«Sì. Preferirei non averti mai conosciuto. Fanculo. Fanculo tu, fanculo Tim e fanculo pure l’Irlanda.»
«No, Marco, listen... Marco, wait, no please! Don’t leave me!»
«Che altro vuoi?»
 

Annunciato da Alessandro Cattelan, su un maestoso pezzato, Marco venne annunciato al mondo come nuovo giudice di X Factor assieme a Irene Fornaciari. Salutò timidamente il pubblico mentre Elio e Michael, già annunciati, facevano a gara a chi arrivava per primo al traguardo. I fotografi sembravano impazziti, scattarono talmente tante foto che a Marco sembrò di ritrovarsi di fronte a una gigantesca distesa di vibranti lustrini. E le urla, oh, quelle furono talmente fragorose che da sole avrebbero potuto far crollare il tetto dell’X Factor Arena.
Il cuore di Marco fece un balzo, come ogni volta che si trovava di fronte al suo pubblico: non si spiegava perché i fan avessero tanto a cuore la sua persona, ma li ringraziava per tutto quel calore. Per poco non si commosse nel vedere gente piangere al sol vederlo: riponevano fiducia in lui a prescindere, e forse sarebbe stato il giudice più disastroso nella storia del programma ma a loro sembrava non importare. Emozione e timore viaggiavano a braccetto.
Fu tutto un tripudio di urla, luci, calore soffocante e batticuore a mille. Marco venne aiutato a scendere da cavallo, poi entrò all’interno dell’edificio adibito per i casting. Passarono da un’entrata laterale per spuntare poi dalle scale sopra il pubblico. Entrarono tutti quattro insieme e si disposero in fila.
Videro tutto.
Era enorme.
La gente urlò.
Marco si spaventò.
Un vago senso di nausea lo colse come un pugno nello stomaco. Elio se ne accorse e gli sorrise ampiamente per metterlo a suo agio. Marco gli ricambiò la gentilezza mentre Irene, più esperta e meno emotiva, volò al suo posto di giudice. Indossava una specie di divisa da majorette dark, con tanto di bastone e cilindro. Sospirò: lei non sarebbe mai stata Morgan, e lui non sarebbe mai stato Fedez e quello era evidente.
Michael, invece, parve risollevarsi alla vista di quel palco e di tutte quelle persone che si affollavano il più possibile attorno a loro, per non parlare dell’aria condizionata che in quella giornata afosa era ristoratrice. Se qualcuno sapeva come si faceva a mantenere il sangue freddo, quello era lui. Ma Marco avrebbe preferito mangiare vetro piuttosto che ammettere di fronte al suo vecchio amore di avere bisogno del suo aiuto.
Elio, scese le scale saltellando e, arrivato al suo posto, si accarezzò la voluminosa parrucca afro color carbone. Poi fu il momento di Mika, che scese con eleganza principesca, toccando le mani dei suoi ammiratori più accaniti.
Marco fu solo in quel momento.
 

Non c'è più tempo
Non c'è più tempo per riflettere

Per un secondo, incrociò gli occhi di Michael che ammiccarono, come se sapesse quanta tensione si era accumulata nel cervellino super ansioso di Marco e cercasse di confortarlo a distanza.
Più tardi, avrebbe cercato di convincersi che fosse tutta colpa dei nervi, ma in quel momento, gli sorrise.
Quando il suo nome venne annunciato, ampliò quel sorriso e lo rivolse a tutti, camminando timidamente verso il banco dei giudici e prendendo posto accanto a Michael, che strinse un pugno e lo scosse come a dirgli “Coraggio”!
Marco lo guardò con occhi spenti. Avrebbe voluto –Dio solo sapeva quanto– potergli sorridere e lasciarsi tutto alle spalle. Ma guardandolo così da vicino, nei suoi occhi vide Tim e l’odore di pioggia e terra gli permeò nelle narici: profumo d’Irlanda.

 

Non ho più voglia
Non ho più voglia di restare

Non poteva ancora dimenticare. 

E tu?

Michael incassò per l’ennesima volta il colpo e si mise a guardare il palco. A Irene vennero concessi gli onori di casa.
«Ciao Milano!» urlò. «Siete carichi?»
Il palazzetto le rispose con un gran boato che fece tappare le orecchie dei giudici uomini. Il pubblico urlò di nuovo, mentre con uno sguardo Irene concedeva a Marco l’onore di dire la fatidica frase.
Lui si avvicinò al microfono, sorrise nell’attesa delle grida esultanti che sarebbero conseguite e quasi con cautela disse:
«Avanti il primo concorrente.»
Gli applausi non si sarebbero potuti contare, le singole voci gioiose si fusero e divennero una sola e, per la prima volta da quando quell’assurda esperienza era cominciata, Marco si sentì veramente felice.
Scoprì con sommo piacere che non era poi così difficile come pensava: i primi ragazzi andarono tutti bene, passarono tutti alla fase successiva, soltanto un paio ricevettero un secco “No” da Irene, la quale aveva preso molto seriamente il suo compito di novella Morgan. Ma c’erano sempre Elio o Michael a contrastarla e a lasciare a Marco il semplice compito di concordare con l’uno e con l’altro.
Poi arrivò il disastro.
Una ragazza allampanata con il fascino del mistero, Alessia, proclamò di essere la seconda Kate Bush e decise di esibirsi nella celebre Wuthering Heights.
I movimenti, per quanto simili a quelli del video originale, erano scoordinati rispetto alla melodia, la quale venne eseguita con un falsetto flebile e tremolante. Il risultato fu quanto mai scadente. Prima che il pubblico iniziasse a incattivirsi, o a inveire eccessivamente contro la povera malcapitata, i giudici la fermarono.
Il primo giudizio toccò a Marco.
Prese un enorme respiro, iniziando a tremare dalla punta dei capelli fino ai talloni.
«Alessia» cominciò, con il migliore dei suoi sorrisi «tu sei giovane. Hai tanto tempo di fronte a te per, ehm, come dire, fare un pochino di, ecco, esercizio in più. Diciamo che forse, cioè, con il canto è un po’ così.»
«Traduco dal Mengonese all’italiano» irruppe Elio con la sua solita faccia tosta. «Tu canti male, oggettivamente. La tua voce è semplicemente atroce.»
Irene sospirò: «Com’è possibile che nessuno ti abbia mai detto che non sai cantare? Davvero, non hai consultato nessun parente, amico, vertebrato provvisto di parola, primate? Prima di venire qui, qualcuno ti aveva mai sentita anche solo parlare?»
Marco si torse le mani. Non era giusto. Stavano umiliando quella povera ragazza senza alcuna ragione, eppure il pubblico pareva divertirsi un mondo. Non capiva, semplicemente non capiva.
«Guarda, sembri un pietro messo in mio frullatore» fece Michael, facendo ridere tutti quanti.
Dopo aver speso qualche parola altrettanto umiliante, tutti i giudici diedero il loro dissenso unanime. La povera Alessia, che a stento trattenne le lacrime, ringraziò soltanto Marco, mentre evitò accuratamente tutti gli altri.
Michael si sporse verso Marco: «Non fare così.»
«Così come?»
«Non è la prima ragazza che dovrai dire no. Non puoi fare la faccia triste, non è divertente.»
«Infatti non lo è. Io non voglio che lo sia.»
«Tu non capisci niente.»
Marco sgranò gli occhi deluso, ma non osò controbattere.
Da lì in poi fu tutto un susseguirsi di catastrofi. Il concorrente dopo era bravissimo, ma lui decise di non concedergli il suo “sì” per via di pecche stilistiche che gli altri giudici ignorarono e per le quali il pubblicò gli riservò fischi e insulti. Il concorrente successivo fece pena e Marco, pur di essere divertente come gli altri, gli disse che sua zia cinquantenne che si faceva il bidet era più musicale di quel ragazzo, ma così facendo lo ferì profondamente e perfino Irene dovette dirgli di moderare i toni. Per quello ancora successivo non riuscì neppure a formulare un vero giudizio, tutto preso dai suoi “come”, “cioè” e “diciamo”.
Dopo poco, i giudici si concessero una piccola pausa. Irene si accostò a Marco assieme a Elio, così che venne circondato da tutti i giudici.
«Che ti è preso? Stai facendo un macello» sbraitò lei. «Neanche l’italiano sai parlare.»
Balbettò per un po’ prima di riuscire a replicare: «Ci sto provando.»
Elio scosse la testa. «Non ci sei, ragazzo. Non hai ancora capito come si fa, ti stai comportando come uno che è passato di qui per caso.»
«Fai parlare noi, ok?» fece Michael, pacato. «Tu parli solo per dire di sì o di no.»                              
Deglutì e annuì, cercando di ricacciare indietro le lacrime.
Ci stava provando con tutte le sue forze, ma evidentemente la televisione, i giudizi, non erano parte del suo mondo. La verità era che, musica a parte, era un buono a nulla. Quello non era il suo posto, era lampante e, se era lampante, il pubblico l’avrebbe boicottato, costasse quel che costasse.
Due concorrenti dopo, Marco aveva semplicemente confermato ciò che dicevano i suoi tre colleghi e, pian piano, il suo stomaco aveva iniziato a gorgogliare come se là dentro ci fosse dell’acido corrosivo.
Sul palco si presentò una brasiliana tutta pepe di nome Amanda che decise di cantare la celebre Valerie. Con la coda dell’occhio, vide Irene lanciargli uno sguardo tagliente e glaciale come solo i suoi occhi azzurri avrebbero potuto fare. Gli ripeté, quasi con la forza del pensiero, di tacere il più possibile. Quando la ragazza finì, toccò di nuovo a Marco giudicare per primo.
Respirò e all’improvviso tossì: non aveva fiato. Si sentì soffocare, ma doveva parlare e giudicare, di certo non voleva altre ramanzine da parte degli altri giudici.
«Io penso che tu abbia una bella voce» sentenziò con voce strozzata, ansimando leggermente per via della fame d’aria. «Ma non mi sei rimasta impressa.»
«Non sono d’accordo» ribatté la ragazza con aria risoluta. «Non ho una voce comune. La gente si ferma ad ascoltarmi.»
Oh, no. Perfino i concorrenti iniziavano a fargli la predica adesso? Che orrore.
«Sì, hai una bella voce, te l’ho già detto. Ma se io dovessi adesso pensare a una tua possibile collocazione discografica, non saprei proprio che pesci pigliare.»
«Scusami, ma tu mica sei un granché come cantante, eh.»
Volò qualche fischio e anche una risata o due, mentre Marco arrossiva fino alla punta dei capelli.
Cercò di ribattere, ma a malapena riusciva ad articolare: «Amanda, no. Cioè, non è questo che, diciamo, stiamo andando a fare...»
«Scusa, ma non accetto consigli da uno che non è neanche un vero cantante.»
Il pubblico si agitò, mentre Elio prese la parola per dirle che la base di ogni celebrità era l’educazione.
Marco non stava bene. Cercò di stare più comodo sulla sedia, ma sentì un rimestio di budella che lo spinse ad alzarsi in piedi.
«Marco, che hai?» chiese Irene.
«Devo solo...»
Fece per allontanarsi, ma non fece in tempo a parlare che crollò a terra rovinosamente e riversò sul pavimento il contenuto del suo stomaco, tra lo sdegno e il disgusto di tutti. Due calde lacrime corsero giù sulle sue guance, mentre un inserviente corse con uno straccio e uno scopettone.
Avrebbe voluto morire per la vergogna e l’ansia, ma non fece in tempo ad autocommiserarsi che dovette scappare urgentemente dietro le quinte, raggiungere il bagno più vicino e avere un altro conato di vomito.
Gli era già capitato un paio di volte: al liceo durante gli esami di stato, a X Factor il giorno della finale e in altre occasioni simili. Un eccesso di apprensione lo portava ad avere seri problemi di stomaco, ma non pensava di arrivare a quel punto. Di solito riusciva a trattenersi, prima di vomitare.
Singhiozzò, mentre le orecchie gli fischiavano e la gola gli bruciava e poi il riflesso di un conato lo fece annaspare, in cerca di fiato.
La porta si spalancò con un rumore sordo.
«Marco!»

Ricorderai l'amore
Risorgerai dal niente, dal niente

Sbuffò, stremato dagli eventi. Era la voce di Michael e la porta del bagno era aperta.
Lo sentì raggiungerlo, inginocchiarsi alle sue spalle e tenergli la fronte con entrambe le mani.
«Respira lentamente» gli consigliò con gentilezza, cosa che Marco fece.
Rimasero in silenzio, solo il suono dello sciacquone li scosse dai loro pensieri. Poi Marco ricominciò a singhiozzare.
«Io mi ammazzo» mormorò, con voce rotta dal pianto.
«Non essere ridicolo» ribatté prontamente, come se desse per scontato che un’idea del genere non avrebbe mai sfiorato la mente di Marco.
 

Camminerai nella vita
Un'altra volta deluso

Tirò su col naso e si accucciò alla parete, la testa poggiata al muro. «Non è questo il mio posto. Non avrei mai dovuto accettare.»
«Non puoi mollare così, sono solo le prime ore» cercò di avvicinarsi.
Marco si ritirò, schiacciandosi contro la parete. «Non mi toccare! È tutta colpa tua.»
Non poté di certo contraddirlo. Sorpreso, Marco scorse un minuscolo luccichio negli occhi di Michael che sapeva di rimpianto.
«Sì, è mia colpa. Non dovevo tornare per te. Ti ho fatto il male più che il bene» ammise.
Si ritrovarono così, entrambi invasi da una profonda brama di pianto, ma entrambi frenati da qualcosa. In fin dei conti, avrebbero soltanto voluto un abbraccio l’uno dall’altro. Ma l’orgoglio di Marco e la colpevolezza di Michael sarebbero stati un ostacolo insormontabile.
«Scusa» disse quest’ultimo. «Siamo stati troppo duri con te. Noi deviamo aiutarti, non dire che stai zitto.»
Scrollò le spalle. «Fate bene a dirmelo. Anche quella brasiliana lo sapeva. Faccio schifo totalmente.»
Una mano di Michael andò a posarsi, leggera come una farfalla, su quella di Marco. Seduti a terra come adolescenti, mano nella mano, l’uno di fronte all’altro, custodivano segreti.
«Tu hai detto tante cose giuste, soprattutto alla ragazza ora.»
«Dici davvero?»
Asserì, convinto come non lo aveva mai visto. «Ma tu non è finora te stesso. Dov’è l’uomo che io ho conosciuto? Dov’è il mio Marco?»
Marco avvampò e sottrasse la mano alla sua presa. Non poteva averlo detto davvero. Non era più suo da tempo. Il suo Marco era morto in un uggioso giorno di fiele in Irlanda.
Ma non ebbe la forza di dirlo.
«Ho vomitato» rispose invece, ribadendo l’ovvio in modo privo di senso.
«Vedo» sorrise amaramente. «Se tu ora torni là, io giuro che io aiuto. Così tu non vomiti più, ok?»
«Sì» scattò, senza pensarci, sapendo che nonostante i loro trascorsi e la delusione che gli aveva inflitto, Michael era l’unico in quel momento in grado di dargli una mano.
«Tu parla. Qualunque cosa tu deve dire, parla. Anche se è sbagliato. Mistakes are ok
Va bene sbagliare.
 

Dagli sbagli che rubavano il fiato alle parole
E te ne andrai via, via, via

Michael si alzò in piedi e gli porse una mano per far sollevare anche Marco, ma ancora non era pronto ad accettare un tale contatto. Un abbraccio per quel giorno era più che sufficiente. Si rimise in piedi da solo e di quel piccolo gesto Michael parve fiero. Gli parve di sentirlo sussurrare qualcosa di simile a “Piccolo guerriero”, ma probabilmente era solo frutto della sua immaginazione malata.
Uscì dalla toilette, scoprendo che anche Elio e Irene erano corsi a cercarlo. Tutti e quattro insieme si rimisero al loro posto, con un educato applauso del pubblico.
«Allora, Marco, la concorrente precedente era stata così terribile?» scherzò Elio, riferendosi al fatto che prima aveva vomitato.
Marco respirò. Essere se stesso, parlare, il Marco che Michael aveva conosciuto. Poteva farcela.
«No, è stata la colazione» sorrise, impacciato. «Birra e parmigiana di melanzane.»
Qualcuno rise, al ché Michael replicò: «Noi deviamo seriamente parlare di tua dieta.»
«Mi sa che dovevo evitare la birra » finse di ammettere.
Risero quasi tutti, dopo quell’uscita. Forse le cose sarebbero andate meglio.
 

Sulla casa il futuro che assaporerai con un po' di sale mentre alla tv
Passa un’altra notizia degli sbagli del mondo

Subito dopo l’interruzione forzata, fu la volta di un trio di ragazze che si facevano chiamare le Pop Coture. Cantarono una versione a cappella di Lollipop delle Chordettes e lo fecero molto bene: le loro voci si armonizzavano alla perfezione, eppure tutte e tre avevano caratteristiche peculiari e assolutamente originali. La giuria ne fu conquistata.
Il primo giudizio sarebbe spettato a Irene, ma questa si volse verso Marco e sorrise in un modo che non gli piacque.
«Voglio che cominci tu» proclamò come fosse uno dei Dieci Comandamenti. «Negli ultimi dieci minuti non ho avuto abbastanza “ehm” e “cioè” e voglio farne scorta.»
Meschina ma salace.
Come un incantesimo o una preghiera, egli continuò a ripetere quasi ossessivamente il mantra di Michael. Se stesso, parlare, il suo Marco. No, non era di Michael. Non gli era mai realmente appartenuto.
«Allora» espirò, già a corto di fiato. «Non mi è piaciuta la scelta scontata.»
Il pubblicò iniziò già a fischiare, ma cercò di continuare nonostante tutto: «La capisco perché, essendo le prime audizioni, avete fatto, diciamo, quella che avete ritenuto la vostra esibizione più sicura, cioè, siete andate sul sicuro.»
Guardò Michael e poté proseguire soltanto quando ricevette un suo cenno d’assenso. «Ma, visto e considerato quanto siete state brave e speciali, ve la perdono. Perché una girl band con i contro coglioni come voi non la vedo dai tempi delle Destiny’s Child.»
Lì ricevette un applauso con qualche urlo, che lo fece ridacchiare di imbarazzo. Poi fu la volta di Elio che, forse pentito anche lui per lo scoppio di prima, lo elogiò per la sua analisi “tanto precisa quanto colorita” e, strano ma vero, tutti gli diedero ragione.
E, per le ore che restarono, filò quasi tutto liscio.
Certo, ogni tanto continuava a incepparsi a causa dell’imbarazzo, a volte si sentiva rifilare un insulto più o meno velato da parte di Irene, ma finalmente comprese cos’era il meccanismo televisivo o, almeno, iniziò a farsi un’idea: non si trattava di fingere, ma di portare le proprie caratteristiche all’estremo. Se eri un po’ imbranato come Marco, dovevi apparire come un idiota totale; se eri ironico e mordace come Irene, ti trasformavi in una stronza completa, e così via. Zoppicando e arrancando, arrivò fino a tarda sera stanco ma soddisfatto. Era finita. Almeno per quel giorno, poi l’indomani sarebbe ricominciata la tortura.
Corsero dietro le quinte e Marco si catapultò letteralmente nella sua limousine, in cui doveva entrare assieme a Irene.
Ma qualcosa doveva essere andato storto, perché al suo posto entrò Michael e si mise accanto a lui. Gli riservò un applauso e una vera e propria standing ovation in miniatura. Marco poté dirsi quasi felice.
 

Che come te anche lui ci spera
Come te anche lui rimane ferito

«Tu sei stato fenomenale» rise, scandendo ogni sillaba. «Completamente fantastico.»
Anche Marco fu costretto a ridere, per la situazione paradossale. «Grazie.»
Michael si voltò. «Grazie a te.»

 

Non c'è più tempo per
Non c'è più tempo per riflettere

«E di cosa? Aver vomitato tutto il palazzetto e aver mostrato al mondo l’interno delle mie viscere?»
«Perché tu sei stato solamente e completamente te dopo» sorrise un sacco, uno di quei sorrisi che strappano l’anima e gonfiano il cuore. «Questo è il regalo il più bello che tu poteva fare a tutti i tuoi fan e a noi.»
«A voi? Non so perché ma credo che Irene non l’abbia gradito quanto te.»
Il suo volto divenne serio. «Io ho gradito tantissimo.»
 

Ricorderai l'amore
Risorgerai dal niente, dal niente

Fece per avvicinarsi, ma di nuovo Marco si allontanò da lui, quasi come spaventato.
«No, per favore» lo implorò.
Non aggiunse né lasciò intendere altro. Michael fece per ribattere o andare avanti nonostante le proteste, ma poi si ritrasse e guardò per tutto il tragitto fuori dal finestrino. Aleggiava un’aria pesante all’interno dell’abitacolo, ma nessuno dei due si decise a fare il primo passo finché non furono giunti a casa di Marco.
«Aspetta.»

 
Camminerai nella vita, un'altra volta delusa
Dagli sbagli che rubavano il fiato alle parole

Marco si voltò proprio mentre stava per uscire dall’auto. «Michael?»
«Tu mi tratti male.»
Si morse le labbra e annuì piano. «Vorrei non farlo. Ma non posso cambiare, questo è il mio carattere.»
«Almeno non scappare» si lamentò, con una punta di disperazione nella voce.
Non scappare. Gli ricordò all’improvviso quando, in Irlanda, gli aveva urlato quel falso Don’t leave me. Ecco che la rabbia riprese a divampare di nuovo. Si risedette e lo affrontò, viso a viso.

E te ne andrai via, via, via

«Potrei chiederti anch’io di fare qualcosa per me» fece, in modo volutamente allusivo.
«No, please, non dirlo.»
«Allora tu non chiedermi di non scappare da te» alzò la voce.
Scosse la testa. «Non posso. Io sono ferito quando tu ti fai lontano da me. Non farlo.»
«Chi ti credi di essere per dirmi cosa devo o non devo fare? Ormai non stiamo più insieme. Non sono più il giocattolo che puoi usare quando il tuo fidanzato ha altro da fare. Vedi, è questo che proprio non puoi sopportare, che io non ti abbia implorato di scegliere me quando mi hai detto di voi.»
«Io penso che tu avevi ormai deciso di perdonarmi per quello» sussurrò, attonito.
 

Quando un giorno
guarderai le tue ferite capirai

Gli venne di nuovo da piangere, così come tornò ad avere un più che vago sentore di nausea, ma scacciò entrambe le sensazioni per lasciarsi possedere da una furia cieca.
«Posso parlarti e fingere di essere il tuo amichetto davanti alle telecamere. Ma io non ti perdonerò mai. Mai, mi hai capito?»
Fu allora che Michael lasciò andare le sue difese. Lo guardò con gli occhi pieni di lacrime, lacrime false, sperò Marco. Ma quando gli parlò, sentì che lo stava facendo con il cuore in mano.
 

Che non è stato un errore fidarti di chi ti teneva per mano
E capirai che qualcosa è cambiato

«Non posso cambiare cose. Ma io ho bisogno di non perderti, Marco. Tu sei la persona troppo preziosa per me.»
Per un attimo, le sue parole parvero toccarlo. Un angolino remoto del suo cuore ebbe uno spasmo verso il viso contrito di Michael e arrivò quasi a perdonarlo lì, su due piedi, maledicendo quella stessa lingua che pochi secondi prima aveva affermato il contrario.
 

Non darai più colpe al mondo
E ridarai un senso nuovo al tuo volto

Ma poi rinsavì.
Non ci sarebbe mai più cascato. Aveva potuto essere il suo amante, un tempo, ma era diventato una persona migliore da allora e non avrebbe mai più fatto quel genere di sbagli. Tim lo amava davvero, e non meritava di essere ingannato così.
«Vallo a dire al tuo fidanzato» e fece nuovamente per uscire.

 

Ricorderai l’amore
Risorgerai dal niente, dal niente

«No, Marco, ti prego» gli afferrò il polso. «Non andare.»
«Lasciami! O giuro che ti tiro uno schiaffo e non sto scherzando.»
 

Camminerai nella vita un'altra volta deluso
Dagli sbagli che rubavano il fiato alle parole

«Non scappare stavolta» lo pregò con voce lamentosa. «Non andare via da me.»
Marco perse completamente le staffe. Si avvicinò e gli urlò praticamente in faccia.
«E allora tu lascialo per me!»
 

E te ne andrai via.

 

 

 

La soffitta dell’autrice:
Salve a tutti! Ebbene sì, non sono ancora morta per i feels che mi danno questi due. Prima di tutto, ringrazio la mia tenera dolce beta, comeunangeloallinferno94. Poi vi annuncio che il “mistero” che avvolge la separazione e la storia di Marco e Mika verrà svelato nel prossimo capitolo. Chiedo scusa se il capitolo corrente può essere risultato un poì noioso, ma era un passaggio necessario per arrivare a quello successivo.
Un bacio :*

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Capitolo 4
*** Sarò qui ***


Le cose che non ho
 
Le cose che non ho sono come te
Ti somigliano un po’, sono bellissime

L’aria attorno a loro si bloccò per un attimo.
Non un respiro, né un battito di ciglia o un sussulto del cuore si frappose tra loro e il silenzio che si era venuto a creare nell’abitacolo, il quale venne rotto soltanto dopo da un lieve sussurro di Michael.
«Marco» lo chiamò.
Egli si riscosse, pentendosi all’istante di ciò che aveva detto. «Devo andare ora.»
«No, please, aspetta!»
Provò ad andargli dietro, ma Marco gli sbatté la portiera dell’auto praticamente in faccia e scappò dentro casa, finché non sentì chiaramente, e con suo sommo sollievo, la sgommata dell’automobile che sfrecciava nella notte. Poi si concedette un pianto.
Gli aveva davvero chiesto di lasciare Tim, l’amore della sua vita, solo per lui? Ma cosa gli era preso? Aveva giurato a se stesso di essere una persona diversa: non voleva più essere quel tipo di uomo, quello che fa del male a un altro solo per prendergli ciò che è suo. Lui era, e sarebbe stato, una persona migliore.
E poi, Marco non lo amava più.
Allora come gli era venuto in mente di dire quella cosa?
 
Mentre guido piano verso casa in compagnia di una radio accesa
C’è una canzone che riempie l’aria della sera

Corse nella sua camera e si gettò sul letto, ancora vestito, ancora in lacrime, e così si addormentò. Smettere di pensare fu così confortante, per quel giorno.
 
Le settimane che seguirono furono strane e cupe, per Marco.
Ricevette almeno ogni giorno una tale quantità di e-mail, tutte da parte di fastidiosi produttori, che gli criticavano il suo modo di vestire e di parlare: non era abbastanza giovane, trendy, moderno. Perlomeno, con le e-mail poteva fare ciò che ne avrebbe fatto delle loro opinioni: cestinarle e non badarci neppure per un istante.
Ciò che lo sconvolse realmente fu il comportamento di Michael dopo quel breve alterco avuto nella limousine.
Aveva preparato discorsi su discorsi nella sua mente per quando l’avrebbe rivisto, tante frasi a effetto, tutte con il medesimo contenuto: tu ormai hai scelto lui e questa cosa deve restare tale senza eccezione alcuna. Ma nessuna parola fu necessaria, poiché Michael non lo degnò neppure di uno sguardo per i giorni avvenire.
Sì che, a telecamere accese, sembravano grandi amiconi e questo poteva anche ingannare il pubblico pagante e, con sua grande sorpresa, aiutare Marco a concentrarsi sul suo lavoro, cosicché pian piano imparò sul campo il mestiere di giudice. Ma durante le pause, o quando le registrazioni finivano, Michael fingeva che Marco neppure esistesse e, scontato dirlo, il sentimento era perfettamente reciproco.
Era assurdo, pensava Marco, che lui si prendesse il lusso di ignorarlo dopo tutto quello che gli aveva fatto patire. Non che rimpiangesse di essere continuamente tormentato da lui ma, per qualche ragione, non gli sembrava giusto. Dov’era finita tutta quella smania di farsi perdonare? Era tutta una finta, forse?
Probabilmente non lo avrebbe mai scoperto.
 
Le cose che non ho, radici e nuvole
e lì in mezzo ci sei tu da qualche parte

Questo stava pensando, quando uno stagista di X Factor lo chiamò, un giorno, per annunciare che una celebre radio con sede a Milano avrebbe intervistato i giudici non appena fossero tornati da Torino, la loro terza tappa per i casting del programma dopo Roma e Milano. Marco accettò senza indugi, poiché le radio erano sue grandi amiche.
Ma non impazziva all’idea di stare, per l’ennesima volta, in compagnia di un Michael che faceva l’amico con tutti e poi fingeva che Marco fosse invisibile. Pensò che, se le cose fossero davvero andate così, non avrebbe avuto alcun indugio nel fare altrettanto. D’altronde, l’importante era riuscire a fingere davanti al pubblico una solida e spassosa amicizia, il resto contava poco: il fulcro del programma di certo non erano i giudici, bensì i ragazzi.
I casting erano andati alla grande e quanto parevano affiatati i quattro giudici assieme. La personalità di Marco, per quanto potesse non piacere alle alte sfere, andava delineandosi nel corso delle puntate ancora in fase di registrazione: sembrava uno di quei classici professori intelligenti ma imbranati, timidi e inconsapevoli del proprio fascino, che avevano appena iniziato a insegnare. Al pubblico piaceva tanto, quindi Marco pensò che non ci fosse motivo di cambiare stile o comportamento per qualcuno. Infatti, Marco Mengoni non sarebbe cambiato per nessuno. Né per un qualsiasi stagista né per una sua vecchia fiamma.
Oh, Michael.
 
A volte un nome sulle labbra appese
Anche se più leggero di una piuma

Anche se Michael aveva ricevuto una sua indecente e folle proposta solo qualche settimana prima, Marco non avrebbe modificato nulla di se stesso per lui. Che rimanesse pure nei suoi silenzi, lui ne aveva di propri.
Tornato a Milano dopo la tappa torinese dei casting, cercò di prepararsi al meglio per l’intervista radiofonica dell’indomani. Niente esitazioni, tutti quei “boh” e “diciamo” sarebbero dovuti sparire dalla faccia della terra. Carino e spigliato, quello sarebbe stato il suo motto. Scherzare con Elio, prendere in giro Irene, stare gomito a gomito con Michael. Un bel respiro e tutto sarebbe andato a gonfie vele.
Altri pensieri, però, lo distraevano.
                                                                               
Quando il suono di una felicità che si consuma
«E allora tu lascialo per me!»
Come gli era venuto in mente di dire un’idiozia simile?
L’impatto che quelle parole ebbero sulla sua vita lo investì nuovamente e senza preavviso, facendolo ripiombare in quello strano torpore in cui solo un amore finito poteva gettarti. Le cicatrici erano dure a rimarginarsi, soprattutto se continuamente toccate e stuzzicate. Marco sapeva di dover dimenticare di quel ridicolo incidente di percorso, ma quello stesso, ridicolo incidente aveva reso le cose talmente diverse, a tratti insopportabili, che Marco si sentiva soffocare. Perché Michael doveva fargli questo? Prima riempirlo di attenzioni e poi, da un giorno all’altro, abbandonarlo a se stesso, proprio adesso che finalmente gli era sembrato che potessero tornare a essere amici?
Amici, lui e Michael. No, non sarebbe mai accaduto. L’Irlanda si sarebbe sempre frapposta fra loro due. E, forse, era meglio ignorarsi che ferirsi ancora.
 
La mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
Appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te

«Buongiorno a tutti i nostri ascoltatori!»
Lo speaker possedeva un entusiasmo spaventoso in quell’uggioso mattino milanese. Elio aveva due occhiaie che quasi cadevano a terra, i capelli di Irene sembravano un gran cespuglio castano e Marco era intontito per non essere riuscito a prendere neppure un caffè prima di andare in radio. Quell’ospitata avrebbe dovuto lanciare finalmente la giuria nell’Olimpo delle personalità italiane di spicco, essendo una delle più variegate degli ultimi anni. Eppure ciascuno sembrava aver avuto una pessima nottata e soltanto Michael aveva mantenuto un suo contegno, anche se un morso di zanzara sopra l’occhio rischiava di farlo somigliare pericolosamente a una versione più alta e affascinante di Quasimodo, il campanaro di Notre-Dame.
Lo speaker continuò con zelo: «Quest’oggi abbiamo con noi degli ospiti d’eccezione, anzi, degli ospiti eccezionali. Non vedevo una tale quantità di star tutte nello stesso luogo da quando sono stato a Woodstock.»
Lì scappò una risatina generale.
«Ecco a voi Mika, Elio, Irene Fornaciari e Marco Mengoni, la giuria della decima edizione di X Factor» annunciò, premendo sulla sua mastodontica console un tasto che facesse partire dei finti applausi in radio.
Tutti e quattro salutarono cordialmente, poi lo speaker chiese a Irene e Marco cosa li avesse spinti ad accettare quel ruolo così impegnativo di talent scout, giudici e mentori di nuovi e giovani talenti. Irene sostenne l’importanza di forgiare dei musicisti, cantanti e interpreti a tutto tondo e aggiunse che l’idea di poter contribuire a farlo la elettrizzava parecchio.
Poi toccò a Marco rispondere: «Allora, cioè, io sono stato al posto di tutti quei, diciamo, concorrenti che adesso stiamo giudicando. Posso dire che è importante che uno che, ecco, vuole fare poi nella sua vita il cantante... sì, insomma, quando sei a X Factor è come una palestra, impari il mestiere proprio dalle fondamenta. È una cosa importante che io voglio fare per i giovani che intendono, come dire, “servire” la Madama Musica.»
Irene lo guardò con un sorriso beffardo, a metà tra la cheerleader perfida e la mammina orgogliosa del proprio figlio: era evidente che non poteva uscire dal suo personaggio così facilmente, ma a Marco quello sembrò un gesto incoraggiante e le fu grato.
Poi venne chiesto ai due giudici veterani, ossia Elio e Michael, come fosse lavorare con i due novellini. Elio scherzò definendo Irene una donna “deliziosamente spregiudicata” e Marco un “ gran fruitore di intercalare”, con tutti i suoi “cioè” ed “ecco”. Tutti risero e Michael si unì al coro di Elio, definendo entrambi molto capaci, competenti e forti nel loro mestiere. Non parlò di nessuno di loro singolarmente poiché, se avesse parlato del talento di Irene, avrebbe dovuto poi soffermarsi anche su quello di Marco ed era più che evidente che stesse evitando di tesserne le lodi. Marco ne fu talmente innervosito che si perse nei suoi pensieri e, per le successive tre domande, la sua risposta venne taciuta.
«Marco» lo richiamò lo speaker, «sei tra le nuvole?»
Marco rinsavì e cercò di ridere per sciogliere la tensione. «M’ero distratto un po’.»
«Pene d’amore per il nostro Mengoni?»
«No» risposte prontamente, così veloce da impedire a chiunque di poter ridere di quella che era stata semplicemente un’infelice battuta.
Ma, nel vederlo così sull’attenti, lo speaker colse la palla al balzo per cercare di mettere un po’ di pepe in quella giuria apparentemente perfetta. «Beh, il gossip su questa giuria ha di che sbizzarrirsi. Gira già voce che tu abbia avuto una storiella con uno dei tre giudici qualche tempo fa.»
Michael e Marco neppure si guardarono, eppure si irrigidirono nel medesimo istante.
 
E so che non si torna indietro mai
Lo so io, lo sai tu

Qualche anno fa, la relazione tra Michael e Marco era stata quasi scoperta: qualche articolo in rete e tanto gossip, allora l’avevano proprio scampata bella. Così Marco eluse la domanda con un gesto della mano per poi dire semplicemente: «Le uniche voci a cui voglio prestare attenzione sono quelle dei talenti che sceglieremo per la gara.»
Partì un piccolo applauso da parte dei suoi colleghi, interrotto da un insistente: «Sì, ma è vero dunque? Tu e Mika avete veramente avuto una storiella?»
L’occhiata tagliente di Marco non fece che insospettire ancora di più lo speaker, che proseguì senza vergogna: «Avete collaborato prima d’ora, agli Home Visit di X Factor in Irlanda. Magari lì è scattata la passione.»
Mika e Irlanda, due parole che nella mente di Marco funsero da acido corrosivo. «Io e Mika non abbiamo né abbiamo mai avuto nessuna “storiella”» mentì.
Quello alzò le spalle. «Chiedevo soltanto. Vi vedo così affiatati...»
«Essere affiatati e stare insieme non sono la stessa cosa, no?» iniziò ad alterarsi, soprattutto perché vide che Michael non interveniva. Restava lì a fissare entrambi come un povero ebete.
«Ma è anche vero che su di voi sono circolate voci per parecchi anni. L’albero senza vento non si muove, così si dice» lo rimbeccò.
«Appunto, sono solo voci. I gossip ne hanno dette di cotte e di crude: a sentire loro, in questi anni Mika è stato con almeno sette persone diverse.»
«E una di queste persone sei tu? Se non ora, magari potrebbe nascere qualcosa in futuro. Mi sembrate parecchio in sintonia.»
«No, mai e poi mai.»
 
 
Ma se dovessi cambiare idea, io sarò qui
«Come sei categorico.»
«È ovvio che lo sono!»
«Ho toccato un tasto dolente?»
«La smetta.»
«Ma perché?»
«Perché Mika si sposerà!»
 
Un ombrello, due innamorati, mille gocce di pioggia. Mi pare quasi un sogno divenuto realtà. I verdi prati d’Irlanda invitano gli amanti a passeggiarvi, silenziosi testimoni dell’amore vero.
Poggiato il capo sulla spalla del mio amore segreto, camminiamo insieme coperti da un medesimo ombrello che entrambi protegge, l’un l’altro a braccetto. Quanta poesia in pochi, semplici gesti.
«Sei stato molto dolce» parlo piano, per non interrompere l’incanto. «Siamo qui, nel luogo dove ci siamo innamorati, tre anni dopo. Sei fantastico.»
Michael sospira, come se quel complimento possa stargli stretto. Si comporta in modo così strano da un po’ di giorni. Cosa turba il cuore del mio povero amore? Qualunque affanno, lo strapperò a mani nude dalla sua mente.
«Marco, io ti ho portato qui perché c’è uno motivo» dice, con il suo adorabile italiano stentato. Mi metto di fronte a lui e sto ad ascoltare il dolce suono della sua voce.
«Dimmi pure, Mich.»
«Tu sai che io e Tim siamo insieme, lui è il mio compagnere e ci conosciamo da prima che io era famoso.»
Un pensiero fugace mi attraversa la mente così vivace e repentino che non riesco fare a meno di esprimerlo ad alta voce. «Lo stai lasciando per me?» gli chiedo, portandomi le mani al cuore.
Ma così non è e lo capisco dal modo in cui mi guarda. Colpevole, disperato, rassegnato. Una mia tenue e segreta speranza è stata appena distrutta e il seme del sospetto inizia a germogliare dentro di me, stringendomi lo stomaco in una morsa crudele.
Lo guardo, rabbrividendo piano. «Qualunque cosa tu debba dire, ti prego, dilla e basta. Odio i preamboli.»
Questo dico, e finisco appena di pronunciare le ultime parole che lui dalla tasca tira fuori un meraviglioso gioiello splendente, oro puro in cui infila il suo dito ed esso calza a pennello in quel piccolo cerchio dorato con incastonati dei diamanti. Me lo mostra, come se potessi non averlo visto bene, da dove sono.
Con la sua bocca tumida e tremante, i suoi occhi ludici e colpevoli, il suo cuore bugiardo, lo dice. Ciò che deve dire, lui lo dice.
«Tim mi ha chiesto di sposarlo» confessa. «E io ho detto sì.»
 
Marco avvertì gli sguardi sorpresi di tutti quanti, eccetto quello di Michael. Il suo era a dir poco furibondo.
Lo speaker batté le mani. «Congratulazioni Mika! Che notizia. Chi è il fortunato, promesso sposo? Forse è il tuo cameraman, Andy? Oppure è Morgan, come sostengono in molti?»
La capacità di ripresa di Michael sorprese tutti, poiché la rabbia scomparve in un attimo dal suo volto, che ritornò raggiante e luminoso più che mai. «No, non è nessuno di loro. Lui è mio chitarrista, Tim Van Der Kuil.»
Tutti i giudici lo attorniarono per fargli le loro congratulazioni più sincere, alle quali Michael rispose spargendo grandi baci e dolci sorrisi che spezzarono ancor più il cuore frantumato di Marco.
«Sì, lui qualche mese fa mi ha chiesto di sposarci» spiegò ulteriormente, «dopo dieci anni di fidanzati. Come potevo dire no?»
Come poteva dire di no?
«Che meraviglia, Mika. Immagino la felicità della tua famiglia. Puoi dirci di più oppure preferisci la discretezza?»
Michael rise: «Visto che Marco ha detto tutto, discretezza adesso è fuori moda. La mia mamma è la donna la più felice del mondo.»
Se avesse potuto essere inghiottito dal pavimento, Marco l’avrebbe fatto. Non avrebbe mai voluto confessare a tutto il mondo che Michael si sposava, gli era scappato perché quel deejay odioso non la finiva di fargli domande e di provocarlo ed era letteralmente sbottato.
 
Le cose che non ho, ragioni e regole
E anche il cuore adesso sa che cosa fare

Ma non l’aveva certo fatto di proposito: l’ultima cosa che voleva era sentire Michael blaterare di quanto convolare a nozze lo rendesse felice.
Poi, all’improvviso, quest’ultimo strinse Elio con un braccio e Marco con l’altro. «E loro due, questi due uomini accanto a me, io voglio loro per miei testimoni di nozze.»
Elio esultò e subito disse: «Accetto! Accetto, accetto, accetto, indietro non si torna.»
Marco, invece, restò immobile.
Non poteva averlo fatto sul serio. Stava scherzando, doveva essere così.
Lo guardò negli occhi.
Michael lo aveva fatto di proposito. Probabilmente pensava che la confessione di Marco fosse stato un deliberato atto di vendetta nei suoi confronti ed era palese che quella proposta era stata formulata appositamente per fargliela pagare.
Sarebbe stato meno doloroso ricevere una pugnalata in pieno petto.
«Io» iniziò incerto, «non potrei mai rubare il posto a uno dei tuoi fratelli.»
«Oh, guarda che dice di no io mi offeso!» gli fece scherzoso, con una punta di sadismo.
Marco serrò gli occhi. Gli veniva da piangere, ma di certo non poteva dargliela vinta, né peggiorare la situazione parlando del suo amore per lui.
Quindi, con la voce strozzata e la morte nel cuore, emise un flebile: «Sì.»
Il resto della trasmissione fu intervallato da canzoni e futili domande sul matrimonio del celebre Mika, tali da far venire a Marco la nausea.
Nel momento in cui la puntata fu terminata, e speaker e giudici si misero amabilmente a discutere, Marco scappò.
 
Avrei voluto regalarti i miei sogni
E farti ridere fino a stancarti
Non gli importava di essere lo scappatore.
Non gli importava ciò che Michael avrebbe pensato di lui.
Gli importava soltanto del fatto che sentiva il cuore spaccarsi in due e, se fosse stato possibile morire di dolore, si sarebbe gettato ai piedi di una croce per morirvi accanto.
Invece si affidò alla sola forza delle sue gambe per fuggire fino a casa sua. Arrivato, aprì la porta e la richiuse con una tale violenza da far cadere il soprammobile sul tavolino dell’ingresso. Si lasciò scivolare lungo la parete e, nell’incontrare con le gambe il pavimento freddo, vi si accasciò, lasciandosi andare a un pianto liberatorio.
Michael, il suo Michael, avrebbe sposato un altro uomo.
Si era sentito tradito da quella promessa fatta alle sue spalle.
 
Ti avrei difeso dai dispiaceri con le mie mani
Si strinse tra le sue proprie braccia. Michael aveva sempre detto di non essere tipo da matrimonio, anzi, che non si sarebbe mai e poi mai sposato e Marco aveva riposto tutta la sua fiducia in quella piccola, semplice dichiarazione.
Quando gli aveva rivelato quell’amara verità, Michael aveva dato la colpa a chiunque. Sua madre per averlo spinto ad accettare, Tim per aver insistito, anche allo stesso Marco per non essersi accorto che qualcosa non andava. Ma, fino al suo arrivo in Italia, non gli era mai neppure passato per la testa che la colpa potesse essere tutta sua.
C’era qualcosa di profondamente sbagliato, secondo Marco, nello sposare l’uomo che aveva tradito. Non con qualche fugace sveltina da ubriaco al ritorno da un locale, no. Ma con costanza e sistematicità, con lo stesso uomo, per più di tre anni. Non era più semplicemente una questione di sesso, quella era una relazione vera e propria. O, almeno, così la pensava Marco. Probabilmente per Michael non era stato così, forse lui cercava soltanto un po’ di sano sfogo fisico. Ma allora perché portarlo in Irlanda per lasciarlo, invece di mollarlo con un messaggio come facevano tutti? Una parte di lui, quella masochista e utopica, voleva fingere che Michael lo avesse amato con la stessa folle intensità con cui lo amava anche lui. Ma allora perché si stavano comportando in quel modo? Si danneggiavano, si facevano del male l’un l’altro cercando invano di risanare vecchie ferite. Non era giusto e così non andava bene.
«Marco!»
Sentì dei pugni sbattere violentemente contro la porta e la voce di Michael, quasi urlata, giungergli attutita alle orecchie.
«Marco, aprimi!»
 
La mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te
Qualcosa in quella voce lo spinse ad alzarsi da terra, asciugare le lacrime sulle sue guance e prepararsi a combattere.
Aprì.
«Come hai potuto dire che io sposo, prima, in radio?» entrò nel suo appartamento a passo di marcia, furioso come non l’aveva mai visto.
Scosse la testa richiudendo la porta, senza guardarlo. «Perdonami, non l’ho fatto apposta, è solo che quello lì continuava a fare domande e mi ha fatto confondere.»
Gli rivolse una risata di scherno che ben poco gli piacque. «Yes, of course. Tu ha detto per sbaglio che io e Tim sposiamo, no?»
«Pensi che lo abbia fatto di proposito? Mi conosci, non oserei mai.»
Michael si mise a camminare avanti e indietro, ogni tanto guardandolo, ogni tanto portandosi le mani ai capelli. «Tu sai cosa? Io sono stanco. Tu mi tratti sempre male anche se io con te sono gentile e buono, vorrei che noi siamo amici e tu continui a blame me per quello che io ti ho fatto e poi dici a tutti che io sposo anche se io non voglio che persone lo sanno. Stop, Marco! Questo è troppo!»
Si sentì oltraggiato da quelle parole. «Non l’ho fatto di proposito» ripeté, scandendo ogni parola con precisione. «E poi, senti chi parla! Proprio tu che mi hai ingannato e poi sei tornato qui solo per darmi il tormento.»
«Non voglio dare il tormento!» lo urlò, disperato.
«Se tu non credi a me, io non credo a te» rispose, dispettoso come un bambino.
Michael si avvicinò lo affrontò con durezza, viso a viso, entrambi rossi d’ira. «Tu mi odi e stai lontano da me, ma quando ha bisogno di aiuto mi vuoi, poi dici che ancora mi ami, poi te ne vai...»
«Quando avrei detto esattamente che ti amo ancora, scusa?»
«Quella volta nella limousine.»
 
E so che non si torna indietro mai
Lo so io, lo sai tu
Finse di sorridere. «Ti stavo solo provocando, non l’avevi capito? Non volevo mica che tu lasciassi Tim per me. Che testimone di nozze sarei altrimenti?.»
«Bene!» sbottò. «Io sono tanto felice per te.»
«Bene» lo canzonò. «Solo una cosa: sposare un uomo a cui hai nascosto tre anni di relazione fa di te una pessima persona.»
«Avere una relazione con uomo che non è tuo rende anche te una pessima persona.»
«Credi che io non lo sappia?»
«Bene, allora noi è d’accordo.»
«Bene!»
«Bene!»
 
Ma se dovessi cambiare idea, io
E se dovessi cercarmi ancora, io

E, con un’azione congiunta, l’uno andando verso l’altro ed entrambi trovandosi a metà strada, si scambiarono un urgente ed energico bacio d’amore.
Come accadde, nessuno dei due se lo spiegò.
A Michael improvvisamente importò più delle labbra di Marco sulle sue che del suo futuro marito che lo attendeva a casa e Marco, oh, Marco riversò tutte quelle settimane di sentimenti a stento trattenuti per restituirli con caldi e vigorosi movimenti delle sue labbra su quelle del suo unico amore.
Una mano di Michael andò a posarsi sulla nuca di Marco per stringerlo di più a sé mentre le mani di quest’ultimo si arpionarono alle lisce e dolci guance del suo vecchio amante, così che fossero talmente stretti da fondersi e non doversi mai più separare e quelle emozioni a lungo tenute dentro al cuore potessero fuoriuscire finalmente, prorompenti e dolci come cascate di miele.
 
Sarò qui perché di te non c’è niente che non so
E non avrò paura di un addio sincero
Ma Marco all’improvviso lo respinse, boccheggiando al momento in cui le loro bocche si separarono.
«No» disse, balbettando leggermente. «Noi non dobbiamo. Non possiamo.»
Michael annuì. «Sì, è vero, non possiamo.»
 
Ma devi crederci davvero
Lo baciò di nuovo, come a non averne mai abbastanza. Marco, a metà tra il cedere e il resistere, parlò in quel bacio stentato.
«Tu devi sposarti e io devo lasciarti vivere la tua vita» sospirò.
A quella frase, Michael levò il capo e lo guardò con un tenue sorriso che gli scaldò lo stomaco, recidendo quel germoglio di dolore che per tanto tempo lo aveva tenuto prigioniero.
«Io dirò a Tim di noi, presto» promise.
Nonostante ciò che si erano detti pocanzi, Marco scosse la testa. «Non ne vale la pena.»
«Sì invece» lo prese per le spalle. «Giovedì in Londra c’è una festa di fidanzazione per noi due. Io glielo dico quel giorno.»
«A che scopo? Noi due non siamo più una coppia e se glielo dici ora, tutto quello che avete costruito insieme potrebbe crollare.»
Il folle luccichio degli occhi di Michael gli fece comprendere che, sì, le sue intenzioni erano proprio quelle. Avido ed egoista più che mai, il cuore di Marco esultò al pensiero di poter avere quell’uomo, il suo uomo, tutto per sé. Ma la parte razionale lo costrinse a ragionare: quelle erano parole dettate dalla foga del momento, da quel bacio così intenso che si erano scambiati. L’eccitazione si sarebbe stemperata alla luce del mattino seguente e Marco lo sapeva. Perché illudersi di nuovo per qualcosa che non era destinato a essere?
 
La mia vita è sempre uguale, sembra calma come me
Appena sotto la superficie c’è tutto quello che ho di te
Gli prese il viso tra le mani. «Non è quello che vuoi realmente. Tu credi di volerlo, ma presto cambierai idea, fidati.»
Per tutta risposta, Michael gli diede un altro bacio, così forte, così inebriante che quando si staccò dalle sue labbra, Marco le lasciò per qualche secondo dischiuse.
«Michael...»
«No» gli puntò il dito contro. «Non è ancora finita e io posso dimostrartelo.»
Così dicendo, uscì dalla porta del suo appartamento.
 
E so che non si torna indietro mai, lo so io, lo sai tu
Ma se dovessi cambiare idea, io

Marco era molte cose in quel momento. Confuso nella testa, caldo sulle labbra, emozionato nello stomaco, amato nel cuore. Ogni parte di lui provava una differente emozione, ma di tutto ciò che Marco era in quel momento, sicuramente non era lucido. Avrebbe volentieri dormito per placare quell’ondata di sensazioni che lo aveva colto impreparato, ma non era che mezzogiorno e aveva stranamente appetito, cosa che da un po’ di tempo a questa parte pareva aver perso.
 
E se dovessi cercarmi ancora, io
Lo avrebbe negato al mondo intero se necessario, ma un piccolo sorriso gli era appena sfuggito da quelle labbra che avevano appena ritrovato sapore.
Sapore di speranza.
 
Sarò qui.
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Boom.
Ebbene sì. Visto che di recente Mika ha definito Andy il suo “amico”, ho pensato di tirare fuori dal mio magico cilindro dei cornuti un altro ipotetico fidanzato a cui si pensa molto poco. Lasciamo in pace Andy, una volta tanto.
Il prossimo capitolo avrà una connotazione diversa rispetto al resto della fan fiction. Non che possa dirvi molto, ma sarà, per così dire, un “capitolo bonus”.
Ringrazio come sempre la mia unica, inimitabile beta comeunangeloallinferno94. Love, love, love.
Baci :*

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Capitolo 5
*** ¿Qué más quieres? ***


La llorona
 
Todos me dicen el negro, llorona
Negro pero cariñoso
Quell’uggioso giovedì sera londinese, tutto sembrò più complicato e diverso. Non esisteva una regola generale che concordasse gli eventi in modo che si orchestrassero tutti in direzione del medesimo disastro, eppure si avvertiva nell’aria un sentore di negatività.
Proprio quel giorno, in casa Penniman, le bottiglie della cantina si erano messe a fermentare talmente veloce, quasi a ribollire, che metà del vino era diventato aceto. Zuleika, la più giovane delle fanciulle di quella casa, aveva appena avuto un furioso alterco con uno dei suoi numerosi ragazzi ed era di pessimo umore, così le decorazioni per i festeggiamenti non riuscirono bene come sperato. La cicatrice di Paloma, ultimi lasciti di un terribile incidente, aveva iniziato a dolere proprio quel giorno, come se dovesse arrivare un temporale, nonostante un cielo più terso a Londra non si fosse mai visto. Il figlio della donna non fece che piangere per tutto il pomeriggio, a causa di un dentino che proprio non voleva saperne di spuntare e gli premeva sulle gengive provocandogli un gran fastidio. La mamma era convinta che qualcuno le avesse fatto il malocchio, perché non faceva che confondere nelle sue ricette lo zucchero con il sale, il pepe con la cannella e l’origano con il prezzemolo, sicché questa convinzione la rese nervosa e intrattabile.
L’aria pullulava di oscuri propositi.
Nulla però era più oscuro del festeggiato, il figlio di mezzo, quell’uomo tutto particolare che in quella casa dorata veniva chiamato Mica. C’era qualcosa di grottesco e infantile, nonché di adorabile, nell’essere chiamato ancora con il soprannome dell’infanzia, anche nel giorno della sua festa di fidanzamento.
Mettere la giacca bianca con i bottoni dorati o quella nera con i bottoni argentati? Quello era il futile pensiero nel quale si gingillava Michael quel giorno.
Aveva promesso a Marco che avrebbe confessato a Tim, il suo promesso sposo, di aver avuto una relazione durata anni con lui. Ora che il momento era tanto vicino, però, la sicurezza spavalda che aveva mostrato a Marco iniziò a vacillare. Era davvero quello che voleva? Mandare all’aria dieci anni di relazione solo per compiacere un uomo che era fuggito da lui a gambe levate? Certo, aveva avuto tutte le ragioni per scappare. Per di più era stato lo stesso Michael a proporsi per fare quella specie di mea culpa con Tim. Ma la sua colpa era solo quella di parlare senza pensare.
Chiuso nella stanza dei suoi genitori, intento a prepararsi, sospirò e buttò all’aria il papillon che si era proposto di indossare quella sera. Qualunque cosa avesse fatto quella sera, avrebbe deluso qualcuno: se avesse detto a Tim di Marco, di certo il loro matrimonio sarebbe finito ancora prima di cominciare e la sua famiglia sarebbe rimasta talmente delusa da lui da non guardarlo più in faccia. D’altro canto, quando aveva provato a rinunciare a Marco, la sua mancanza era stata talmente opprimente da impedirgli di respirare e aveva dovuto, sì, aveva proprio dovuto correre in Italia anche solo per rivederlo e non importava quante brucianti parole di rifiuto avesse ricevuto da lui, era sempre meglio che non riceverne affatto.
Quella situazione gli fece venir voglia di piangere. Era tutto così difficile, così tremendamente ingiusto.
Mentre si infilava la giacca bianca con i bottoni dorati alla quale aveva pensato prima, Michael si promise di non fare più promesse a nessuno, perché la promessa di matrimonio con Tim e la promessa di confessare tutto fatta a Marco lo stavano solo caricando di angoscia e sofferenza. No, lui non era affatto tipo da promesse. O da matrimonio, se era per quello. Ma Tim ne era entusiasta, e poi Michael sarebbe stato il primo dei suoi fratelli a sposarsi, visto che Yasmine e Zuleika stavano prendendosi i propri tempi, Fortuné era troppo timido e Paloma si contentava di avere un compagno e per nessuna ragione lo avrebbe reso suo marito.
Contavano tutti su Michael.
«Serve una mano?»
Si voltò repentinamente.
Tim era sulla porta che lo osservava dolcemente. Avanzò a grandi passi verso di lui, prese da terra il papillon nero di Michael e si premurò di legarglielo attorno al collo nel modo giusto.
L’uomo, più grande di lui ma non altrettanto alto, portava un dignitoso gessato blu che gli donava da morire. Indossava uno dei suoi sorrisi più belli, tanto da far stare male il suo fidanzato traditore.
«Stai d’incanto» confessò, colpevole più che mai.
Tim sorrise timidamente e gli stampò un dolce bacio a fior di labbra. «Con te non c’è gara, tesoro. Sei un’opera d’arte.»
Prima che Michael potesse aggiungere altro, quello proseguì: «L’Italia ti ha coinvolto tanto che ora sembri una delle sue splendide statue di marmo.»
Michael lo guardò.
Era quello il momento. Ora o mai più, si disse. Se proprio deve accadere qualcosa, che non accada di fronte a tutti gli invitati.
«Tim.»
Alzò lo sguardo sui suoi occhi, mentre accarezzava il suo papillon, perfettamente annodato. Quel sorriso tenue non lo abbandonò.
«Sì?»
«C’è una cosa che devo proprio dirti» cominciò Michael e, vedendo che Tim non fiatava e stava in ascolto, decise che era venuto veramente il momento di essere sinceri. Non avrebbe portato all’altare un uomo che non sapeva tutto di lui.
«Magari mi odierai per quello che ti dirò. Ma devo proprio» prese un profondo respiro e parlò piano. «Ricordi quando accettai il contratto di X Factor in Italia? Tu dicesti che era una stupidaggine. Andare in un altro paese, imparare daccapo una nuova lingua, delle nuove abitudini e quant’altro. Ma avevo un motivo, sai? Io avevo un motivo. Tu forse non ricordi, ma ti presentai un mio caro amico un giorno. Eri dietro le quinte di X Factor assieme a me e ci mettemmo a parlare con lui, si chiamava Marco. Marco Mengoni. Bene, allora io e...»
«Amore.»
«Sì?»
Tim gli posò un dito sulle labbra, senza perdere il suo sorriso e, con aria comprensiva e dolceamara, dichiarò: «Non devi spiegarmi niente. So già tutto.»
A Michael ci vollero un paio di secondi per registrare quell’informazione.
Come aveva fatto Tim a scoprirlo? Da quanto lo sapeva? E perché non gli aveva mai detto niente?
 
Todos me dicen el negro, llorona
Negro pero cariñoso

«Tim, tu... ma come?»
«Ti conosco bene, tesoro» gli carezzò una guancia con le nocche. «C’era una palese attrazione tra voi due e sarei stato uno sciocco a non avere almeno un briciolo di sospetto. Lavoravi sempre e solo fino a tardi, non chiamavi mai, sparivi per giorni interi e poi tornavi a casa diverso, quasi rinvigorito.»
Michael chinò la testa e si morse le labbra, labbra che Tim si premurò di baciare dolcemente.
«Tesoro» gli disse poi, guardandolo in pieno viso. «Non sono arrabbiato con te. O almeno, non più.»
«Dici davvero?»
«Certo. Me lo aspettavo un po’, in effetti, la chiamano “la crisi del settimo anno”: dopo sette anni, in una coppia, c’è sempre uno dei due che cerca qualche, ecco, “sfogo” altrove. Ma se c’era una cosa che sapevo era che tu, Michael Holbrook Penniman Junior, tu saresti sicuramente tornato da me.»
Il sorriso di Michael fu leggermente forzato. Si era preparato all’ondata di dolore che sicuramente lo avrebbe investito una volta che avesse confessato a Tim la verità, ma quell’ondata non arrivò. Si aspettò, d’altro canto, un profondo sollievo, ma quello neppure arrivò. Si sentì vagamente insoddisfatto, per qualche strana ragione. Avrebbe solo dovuto ringraziare il cielo che Tim non lo avesse sbattuto fuori dalla loro festa di fidanzamento a calci nel sedere e gli era di certo grato, ma non riusciva proprio a non sentirsi inappagato. Per un doloroso attimo pensò semplicemente: Tutto qui?
 
Yo soy como el chile verde, llorona
Picante pero sabroso

Si baciarono, a lungo e con passione, come per suggellare la loro unione e il fatto che Tim sarebbe sempre venuto prima di tutti nella vita di Michael.
«Tim, io davvero» fece una breve pausa, infine concluse con sincerità, «non ho parole.»
Quello sollevò le spalle. «Non servono parole.»
Sospirò a lungo e infine sorrise.
Finché Tim non aggiunse: «Spero solo tu sia stato ben vaccinato, tesoro.»
«Come?»
Ma, proprio in quel momento, Jonni piombò tutta trafelata in camera dicendo che gli ospiti erano arrivati e che era un crimine farli attendere. Così, una volta che mamma Penniman li ebbe distolti dai loro pensieri, scesero insieme a braccetto. Una grande scalinata univa il piano superiore al salone delle feste e i due promessi sposi la percorsero sotto lo sguardo stupito di tutti, i quali li invidiarono e si chiesero come avessero fatto due uomini tanto perfetti l’uno per l’altro a trovarsi.
Entrambi belli, entrambi con la passione per la musica e dal gusto impeccabile, entrambi abbienti e facoltosi, i loro sorrisi espandevano gioia e contagiavano la gente tutta intorno. Era quasi magia quella, indubbiamente la loro unione sarebbe stata benedetta da Dio, o da qualunque divinità i commensali di quel romantico banchetto avessero deciso di venerare.
La festa fu a dir poco magnifica, sebbene l’unica cosa davvero magnifica per Michael fosse quel delizioso champagne che suo padre aveva stappato appositamente per loro. Ne trangugiò tre bicchieri prima che la sorella, Yasmine, gli facesse notare che tutti i loro parenti, vicini e lontani, erano lì in quel momento: voleva proprio che si ricordassero di lui come un ubriacone? Lo invitò a mollare il bicchiere e gli ordinò di aprire le danze con Tim.
«Yaz» sospirò. «Non farmi fare questa cosa. Le aprirò al mio matrimonio le danze con Tim, d’accordo?»
La sorella, per tutta risposta, assunse il suo tipico tono da mammina e a braccia conserte lo sgridò: «Che ti prende? Ti stai comportando come se fossi stato costretto a venire qui. Dovresti essere l’uomo più felice del mondo oggi e invece hai soltanto l’aria di un allocco. Tim non si merita questo, tantomeno la mamma.»
«Che c’entra ora la mamma?»
Domanda sciocca, visto che gli bastò gettare uno sguardo alla madre per capire. Era raggiante, sorrideva a tutti quanti come se fosse stata lei a sposarsi e non c’era momento in cui non guardasse verso Tim, colma d’orgoglio. Michael riportò gli occhi su Yasmine, che lo fissava con aria saccente e vagamente compiaciuta.
Alzò le mani al cielo. «Sono felice che la mamma sia felice.»
«Mica» lo prese per un braccio e lo guardò dritto negli occhi. «Sposerai un meraviglioso ragazzo londinese che viene da una famiglia agiata e che vive di musica come te. Cos’altro vuoi tu, dalla vita?»
«Stai forse dicendo che non apprezzo quello che ho?»
«No, voglio dire che faresti meglio a trattare Tim come il meraviglioso ragazzo che è. Posa il bicchiere e vai a ballare con lui, è tutto chiaro?»
Michael annuì, ma dentro di lui la rabbia ribolliva.
Era per questo tutti erano così felici? Michael non poteva sposare una donna, ma almeno sposava un ricco gentiluomo inglese. Se invece fosse stato, per dirne una, un onesto italiano con un passato da barista che non era riuscito a permettersi neppure di vivere da solo e, per un certo periodo, era dovuto tornare a casa dei suoi? Avrebbe sprizzato altrettanta allegria?
 
Yo soy como el chile verde, llorona
Picante pero sabroso

Rinunciò ai suoi pensieri ribelli e fuori luogo.
Posò il bicchiere e andò da Tim, come si aspettavano tutti.
Gli porse la mano, come si aspettavano tutti.
Fortuné cambiò la musica e la sostituì con un romantico lento, come si aspettavano tutti.
Tim e tutti gli altri invitati parvero sorpresi da quel gesto perfettamente romantico e perfettamente calcolato, come nei migliori film d’amore. I due innamorati si posizionarono al centro della pista, l’uno stretto all’altro talmente forte che neppure un foglio di carta avrebbe potuto inserirsi tra loro. Michael si abbandonò alla spalla di Tim cercando da lui consolazione, mentre si muovevano cullati dalla musica.
«Amore, stai bene?» domandò dolcemente Tim, carezzandogli i ricci ribelli.
Annuì appena, convinto di voler tacere. Ma a che pro tenere la bocca chiusa? Era giusto che il suo futuro marito sapesse tutto, no? «Credo che mia madre non sia felice perché mi sposo, ma perché mi sposo con te.»
L’altro dolcemente e con somma gioia rise. «Che bel complimento!»
«Non è per te, o meglio, è per quello che sei» specificò. «Sei di Londra, i tuoi genitori sono banchieri, sei un giovanotto rispettabile e di buona famiglia. Mamma è in brodo di giuggiole al pensiero che io faccia un buon matrimonio.»
Tim lo fece volteggiare tra i sussulti meravigliati di tutti gli invitati alla festa. Poi lo riprese tra le sue braccia e gli lasciò un dolce bacio sulla guancia.
«Amore mio, è normale che sia così» lo rassicurò. «Qualunque madre vorrebbe vedere il proprio figlio accasato con una persona di buona famiglia.»
«E se invece sposassi un povero diavolo?» gli fece fare un romantico casquet proprio mentre gli faceva quella bizzarra domanda. «Sarebbe tanto terribile?»
Nel tirarlo su, vide che Tim aveva smesso di sorridere. Lo guardò negli occhi, trovandovi dentro una punta di odio passionale.
«Ti riferisci all’italiano?»
Era geloso di Marco. Michael prese dei profondi respiri: era più che comprensibile, sapeva che ci sarebbe stata una reazione, così si affrettò a correggersi.
«Non ho detto questo.»
«Oh, menomale. Perché se fosse stato lui al mio posto, Jonni ne sarebbe stata disgustata» sospirò di sollievo, ridendo. «Avresti dovuto farti disinfettare tre volte al giorno.»
«Scusami?»
Tim fece una giravolta prima di rispondere. «Sai, gli italiani sono così sudici. Hanno malattie che noi non conosciamo neppure.»
«Ma questo non è vero.»
Lo fece voltare e lo strinse da dietro, senza smettere di ondeggiare a ritmo di musica. Più di ogni altra cosa, Michael non voleva che vedesse la smorfia contrariata che gli era comparsa sul viso e che sapeva perfettamente di aver assunto.
«Amore, sì che è vero. Non lo dico io, lo dicono i giornali. Si lavano una volta alla settimana, sudano come maiali, sono delle vere e proprie palle di gelatina» e lì, al dolce Tim, sfuggì un sonoro singulto di puro disgusto.
Michael tentò di ignorarlo e lo fece voltare di nuovo nella sua direzione. Poggiò la fronte alla sua, tanto che i loro nasi si sfiorarono e, guardandolo dritto in quegli occhi freddi e castani, di nuovo difese l’onore degli italiani.
«Tim, sono stato a contatto con gli italiani per più di tre anni. Non sono affatto sporchi come dici.»
«Beh, fosse la sporcizia il loro problema. Oh, ma mettiamoli da parte»
Michael corrugò la fronte. Se solo avesse capito che l’intendo di Tim era proprio quello di provocarlo, forse non avrebbe ceduto così facilmente al suo tranello. Ma il cuore di Michael, per quanto diviso tra tante e varie nazioni, apparteneva al Libano. Era un cuore grande, ma agguerrito e passionale. Non avrebbe mai permesso che parlassero in quel modo degli italiani. Soprattutto per via di Marco.
 
Ay de mí, llorona, llorona
Llorona llévame al río

La musica terminò e tutti applaudirono ai due fidanzati, che si strinsero in un abbraccio e si stamparono un lungo bacio sulle labbra. Poi, passati un paio di secondi, si avvicinarono alle scale e vi si sedettero per proseguire il loro discorso in un luogo più appartato. Oh, quanto ne furono colpiti i commensali, che videro in quel gesto il costruirsi progressivo del loro intimo, privato nido familiare.
Michael prese le mani di Tim fra le sue, deciso a convincerlo del suo errore. «Tim, fidati di me, non c’è una sola cosa che non vada negli italiani. Sono come i libanesi, giuro! Allegri, spontanei, accoglienti e calorosi. Li adoreresti se stessi in Italia anche tu per tre anni come me, fidati.»
«Per beccarmi qualche infezione strana e farmi derubare da qualcuno di quei criminali? No grazie, sono tutti dei ladri.»
«Non è vero.»
«Tu credi? Sicuro di non esserti mai trovato il portafogli alleggerito quando andavi a letto con quell’uomo, anzi, quella donnetta italiana?»
«Smettila» lo intimò, ormai palesemente irritato. «Non sono dei ladri.» E Marco è tutto fuorché una donnetta, aggiunse nella sua mente.
«Ti prego. Sono degli sporchi mafiosi, tutti quanti» sbuffò, eludendo le sue giustificazioni con un gesto della mano. «Tu non te ne accorgi perché ormai te ne sei perdutamente innamorato. Francamente, se mi avessi scaricato per una specie di...»
«Non osare.»

Ay de mí, llorona, llorona
Llorona llévame al río

A quel punto, entrambi seppero di aver varcato una soglia. Tim poteva fingere che il tradimento del suo uomo non gli avesse fatto alcun effetto, ma entrambi avevano  compreso perfettamente che una lite era nell’aria e lo era da quella mattina.
Così, guardandolo negli occhi e sfidandolo come soltanto un innamorato ferito avrebbe saputo fare, gli scandì in pieno viso ogni parola. «Se tu mi avessi scaricato per una specie di scrofa italiana, sozza e ladra, mafiosa e senza carattere in cerca del tuo buco solo per la notorietà, me la sarei presa a morte.»
«Ora basta!» si alzò di scatto.
Il suo urlo fu talmente rabbioso e feroce da interrompere quella festosa celebrazione. Jonni rise di gusto ed eluse quell’alterco dicendo semplicemente: «Già litigano come marito e moglie.»
Tutti risero così spensierati che quasi non si accorsero che Michael si era alzato e stava per lasciare casa Penniman a passo di marcia.
«Non puoi sempre scappare da tutto» gli urlò Tim di rimando.
Michael si voltò, tornò indietro e lo affrontò solamente per dirgli sottovoce: «Ritira quello che hai detto su Marco.»
Ma Tim, che ormai era perfettamente conscio di ciò che voleva fare, ossia metterlo alle strette, sovrastò ogni suono e ogni risata con la sua voce tonante. «Perché sussurri? Ti vergogni? Perché invece non rendi partecipi tutti gli ospiti?»
L’altro abbassò lo sguardo. «Ritira quello che hai detto e continuiamo questa stupida festa.»
«Tu vuoi ancora lui, non è vero?»
Lui? Quella fu la parola che, tra mani portate alla bocca e sguardi stralunati, serpeggiò tra i commensali, destando scandalo. In quell’unione perfetta di Mica e Tim c’era forse un terzo lui? Ma come era possibile? Si amavano alla follia, erano fatti l’uno per l’altro.
Michael era stufo di mentire, di nascondersi, di fingere dietro maschere troppo strette per lui. «Vuoi sapere la verità? Ecco la verità: io l’ho lasciato nel momento in cui ho accettato di essere tuo marito.»
«Però sei tornato da lui, che bellezza» lo schernì. «Non mentire. So perfettamente che, se sei rimasto in quell’orrido posto un altro anno, è soltanto per quella lurida meretrice italiana.»
«Non ti permettere» sbatté il piede a terra. «Marco è l’uomo più serio del mondo. Mi ha rifiutato perché ormai io sono un uomo fidanzato e non vuole che io ti tradisca ulteriormente.»
«Non ce n’era bisogno» rise istericamente. «Tu non mi hai confessato il tuo tradimento perché sei un uomo sincero. Lo hai fatto perché speravi che ti lasciassi così da poter tornare da lui.»
Michael non reagì.
Come avrebbe potuto?
Tim aveva ragione.
 
Tápame con tu reboso, llorona
Porque me muero de frío

«Questo è semplicemente ridicolo» ribatté infine, senza la benché minima convinzione.
Come aveva fatto Tim a leggergli così nel profondo, tanto da svelare delle intenzioni oscure anche al proprio cuore? Non se ne poté capacitare e poté facilmente indovinare che mai nella sua vita avrebbe subito una tale, sorprendente rivelazione. Ecco il perché di quella strana amarezza quando Tim lo aveva miracolosamente perdonato: non voleva essere perdonato.
«Se è così ridicolo, allora perché dirmelo proprio adesso? Non prima, quando vi siete lasciati, né dopo esserci sposati, io e te. Adesso, perché sei ancora in tempo per mandare a monte tutto.»
Poi Tim si volse verso i parenti di Michael, deciso a dare spettacolo. Sorrise alla madre e le fece un gesto galante con la mano. «Complimenti, signora Penniman. Le presento suo figlio, che se la faceva alle mie spalle con Marco Mengoni.»
Jonni era a dir poco costernata. Si avvicinò appena. «Mica, è la verità? Avevi una storia?»
Quella frase fece vergognare Michael per gli ultimi tre anni, più che tutte le parole inutili che aveva fin ora usato Tim.
Iniziò a piangere e guardò sua madre afflitta, con le lacrime agli occhi. Poi un pensiero gli attraversò la mente: era delusa perché suo figlio era un bugiardo infedele o perché Marco era un italiano? La pensava forse come Tim? Per quanto crudele e probabilmente falso, quel pensiero gli diede la forza di reagire. Si asciugò le lacrime e affrontò entrambi.
«Sì, è vero mamma. Mi sono innamorato di un altro uomo. Ho scelto di sposare Tim alla fine, ma ho fatto uno sbaglio» si volse verso il suo promesso sposo. «Tim, io avevo scelto te. Ma forse tu non sei giusto per me, come io non lo sono per te.»
 
Tápame con tu reboso, llorona
Porque me muero de frío

Lo aveva detto, alla fine. Ce l’aveva fatta, finalmente aveva detto ciò che pensava. Non voleva sposarsi, non lo aveva mai voluto, ma qualcosa lo aveva spinto ad accettare e a mandare a gambe all’aria tutto il resto. Avrebbe anche potuto rimanere solo tutta la vita, se Marco non l’avesse voluto. Ma almeno era stato sincero con se stesso, prima di ogni altra cosa.
Tim alzò le spalle. «Non importa. Mi sposerai comunque.»
«Aspetta, cosa?»
Gli aveva appena detto di non avere intenzione di diventare suo marito, di averlo tradito, di non sopportare che si parlasse male del suo vecchio amante. Sua madre si vergognava dell’uomo che era diventato. Tutto ciò non era riuscito a dissuaderlo dall’idea di diventare suo marito?
Pareva di no.
«Io e te ci sposeremo» ripeté, come se Michael fosse un po’ tardo e non avesse capito. «È già deciso. La stampa lo sa, i tuoi parenti sono tutti qui, abbiamo anche comprato casa. Non ti permetterò di mandare tutto a monte.»
Michael sgranò gli occhi, pieno di risentimento e stupore.
«Tim, io non voglio sposarti.»
«Poco importa, ci sposeremo lo stesso.»
«No invece.»
«Tu hai scelto me, non lui. Me! Ormai è troppo tardi per tornare indietro.»
«Io me ne frego!»
Detto ciò, si sfilò dal dito la fede d’oro e diamanti che tanto il suo Marco aveva fatto patire, la strinse in pugno e la scagliò contro il petto del suo promesso sposo che mai fu tale.
«Tra noi è finita, Tim.»
 
Si porque te quiero, quieres, llorona
Quieres que te quiera más

Michael si allontanò definitivamente da Tim, stringendosi tra le braccia per proteggersi dal gelo che gli sguardi di tutti i suoi parenti delusi gli infondevano.
«Michael» strepitò Tim. «Se esci da quella porta, giuro su Dio che sei finito.»
Non soltanto Michael uscì dal grande portone centrale, ma sbatté forte l’anta come ad aggiungere un punto esclamativo alla fine di quella minaccia tutt’altro che velata.
Corse via, lontano dalla sua abitazione, piangendo nella notte. Quando fu stanco di fuggire, si accasciò a un muro che stava vicino al celebre ponte di Londra. Se i suoi singhiozzi si fossero placati, forse sarebbe anche riuscito a udire le rive del Tamigi scosse da onde scroscianti. Ma le uniche onde scroscianti che stava udendo in quel momento erano quelle che fuoriuscivano senza controllo dai suoi occhi.
Non poteva credere a quello che aveva fatto.
Era diventato uno scappatore.
Una parte di sé ripensava a quei dieci anni d’amore incondizionato verso il suo Tim, che lo conosceva meglio di quanto Michael conoscesse se stesso. Aveva davvero sprecato quei tutti quegli anni di pura magia, di amore, lacrime e risate... Tutto solo per Marco?
Marco. Giusto.
Si tastò furiosamente le tasche, in cerca del suo cellulare. Quando l’ebbe trovato, non dovette pensarci neppure per un istante. Compose il suo numero e si portò il cellulare all’orecchio. Le interurbane costavano un occhio della testa, soprattutto in certe zone. Forse a Milano era addirittura mezzanotte. Oh, e sicuramente Marco non aveva intenzione di sentirlo, dopo quel bacio tanto inopportuno che si erano dati.
«Pronto?»
Sorrise tra le lacrime. La voce di Marco, acuta e vellutata, fu come un balsamo per il suo cuore ferito.
«Oh, Marco» singhiozzò. Dall’altra parte, solo silenzio. Ci volle un po’ prima che, tirando su col naso, si decidesse a proseguire, con la voce rotta dal pianto. «Non sposo più, noi siamo lasciati.»
Ancora silenzio dall’altra parte. Forse, quando aveva sentito la voce di Michael, Marco aveva abbandonato il telefono ed era andato a fumare una sigaretta. O peggio, era a letto con qualcun altro. Oh, se lo avesse disturbato nel bel mezzo di un amplesso, Michael non avrebbe avuto cuore per vivere ancora. Si sarebbe accasciato sulle rive del Tamigi e lì si sarebbe abbandonato come il peggiore dei clochard.
«Marco?»
«Sono qui» fece, distrattamente. «Controllavo.»
«Che cosa controllavi?»
«I voli per Londra. Ce ne sono alcuni, uno parte alle sei, posso arrivare in mattinata se sei disposto a...»
«Marco.»
«Sì?»
 
Si ya te he dado la vida, llorona
Sarebbe venuto a Londra solo per lui? Lo avrebbe fatto veramente?
Non ebbe parole per esprimere la gratitudine, la tenerezza che provava per lui in quel preciso istante. Ne ebbe solo di altri singhiozzi di vera commozione e delle vane parole che a malapena esprimevano la portata bellissima e catastrofica dei propri sentimenti.
«Io non vivo senza di te.»
I crepitii metallici del telefono servirono solo in parte a coprire il silenzio che si era venuto a creare. Poi, eroica, la voce di Marco lo interruppe, prima di staccare la chiamata, con le due parole più belle e confortanti che Michael ebbe mai udito.
«Sto arrivando.»
 
¿Qué más quieres? ¿Quieres más?
 




 
La soffitta dell’autrice:
Capitolo bonus.
Una canzone che non fa parte di Le cose che non ho, per un capitolo che, pur parlando di Marco, non lo coinvolge fisicamente. Ci tenevo a inserire La llorona nella mia storia perché è una struggente canzone d'amore e morte, o meglio, di morte dell'amore in tutto il suo splendore. Ringrazio la mia beta, comeunangeloallinferno94, che in caso di querela da parte del vero Tim Van Der Kuil verrebbe in galera con me. Vero?
Baci.

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Capitolo 6
*** We can't surrender even a gram of love ***


Nemmeno un grammo
 
L’arrivo di Marco a Londra fu tutt’altro che semplice.
Innanzitutto, pensò di prendere l’aereo delle due e quarantacinque per Londra nel tentativo di arrivare il prima possibile ma, dovendo preparare una valigia di fortuna, nonché prenotare un volo con un preavviso pressoché ridicolo, finì per perderlo e dovette accontentarsi del volo delle sei. Una volta in aeroporto, cercò di concentrarsi su come evitare gli sguardi delle persone che lo squadravano e, da sotto il cappuccio della felpa e gli improbabili occhiali da sole, Marco era ancora abbastanza lucido da tremare al pensiero che qualcuno potesse beccarlo. Su quella funesta probabilità si concentrò, così da non dover riflettere su ciò che stava facendo.
 
Tu chi sei
Che conti i miei respiri?

Si era ripromesso di non sbavare più come un cagnolino dietro a Michael, senza mai ricevere ciò che avrebbe sperato e accontentandosi delle briciole. Ed era, come si era spesso ripetuto in quel periodo, un uomo nuovo: non avrebbe approfittato del fatto che Michael e Tim si fossero lasciati per, beh, fare ciò che con tutta probabilità ci si aspettava da lui. Aveva sentito la sua voce lamentosa e tremante al telefono: era a dir poco devastato da quell’avvenimento, così Marco non si fece illusioni neppure per un istante e mai pensò di sfruttare la situazione. L’indomani, Michael avrebbe chiesto perdono al suo promesso sposo e tutto sarebbe tornato alla normalità, ne era più che convinto. Non era strano, per due fidanzati prossimi alle nozze, avere degli alterchi che minacciavano di mandare tutto a monte. L’importante era non farsi condizionare e non c’era alcuna ragione perché Marco non dovesse aiutare Michael, per quanto possibile, a capire che l’unica cosa di cui aveva bisogno in quel momento era Tim.
Ma, dentro di sé, sapeva perfettamente che non stava percorrendo più di ottocento miglia in aereo soltanto per dare un consiglio in qualità di amico ed era questo ciò che davvero lo mandava in bestia, il fatto di aver ceduto anche stavolta al richiamo sirenico di Michael.
Finalmente l’alba rischiarò con un pallido raggio di sole il grigiore del primo mattino, accompagnato da un risonante segnale acustico che annunciò la prossima partenza del volo Milano-Londra.
Va bene, Marco, si disse, con un profondo respiro, ora o mai più. Anche stavolta, è ora o mai più.
 
Con due parole dici quello che
Di fiato io ci metterei chilometri

Salì su quell’aereo, chiudendosi nel giubbotto per il freddo che, proprio quel mattino, sembrò penetrargli nelle ossa come una lama perfida e sottile, un freddo che avrebbe richiesto un abbraccio per essere stemperato. Ma di abbracci, quel giorno, non ce ne sarebbero stati. Almeno, non per lui. Lui non c’entrava niente.
Era come un anatroccolo tra i cigni, un incubo tra bei sogni. Un piccolo silenzio fra grandi rumori. Non apparteneva a quel mondo, anche se per un momento aveva quasi creduto di assomigliarvi.
Giunse a Londra per le otto, per un attimo stupito che gli orologi della città segnassero tutti le sette in punto. Sospirò, ringraziando che il fuso orario tra Milano e la capitale d’Inghilterra fosse tanto esiguo. Riaccese il cellulare che, durante il volo, aveva tenuto spento, poi aprì il messaggio che Michael gli aveva inviato prima di partire: c’era scritto l’indirizzo di un motel poco lontano dalla sua imponente casa di Londra. Era evidente che, in quell’imponente casa, non ci poteva tornare. Marco incominciò a chiedersi se la loro lite fosse avvenuta durante la festa di fidanzamento di cui aveva parlato la volta precedente. Deglutì un groppo in gola grande quanto un uovo e si decise a chiamare un taxi che lo portasse a quell’indirizzo. Rilesse almeno dieci volte il piano e il numero della stanza in cui si sarebbero incontrati. Quel motel non gli era del tutto estraneo: in quel luogo avevano visto qualche scappatella di troppo, in passato, vicini ma lontani da quel mondo che Marco tanto aveva agognato. Si ripromise, a prezzo della propria dignità, che quel motel non avrebbe mia più visto neanche un singolo atto sconveniente da parte sua. Purtroppo, non poteva parlare per Michael.
Il taxi si fermò, Marco si scusò di non poterlo pagare in sterline, solo in euro. Fortunatamente, il tassista non fece troppe storie e lo lasciò di fronte al motel. Marco sospirò, mentre sentì la pelle ricoprirsi di una febbricitante pelle d’oca, segno inequivocabile di una gran fifa. Ma non era arrivato fin lì per scappare di nuovo. Così si fece coraggio e, scalino dopo scalino, aggrappato al corrimano come a una scialuppa, giunse dinanzi al luogo dell’appuntamento.
Piano secondo, stanza tredici.
Sollevò un pugno, indugiando a lungo sul legno scrostato che ricopriva malamente la porta della camera. Voleva davvero farlo? Forse Michael se lo meritava, infondo. D’altronde, era comprensibile che Tim si fosse adirato nel venire a sapere del loro tradimento e, logicamente, non era riuscito a guardarlo più negli occhi, figurarsi poi a portarlo all’altare, un domani. Qualche tempo fa, forse, sarebbe stato felice che Michael soffrisse come aveva sofferto lui, per quella storia.
Ma non era più quel ragazzino senza spina dorsale, no. Era un uomo.
E, da uomo, bussò alla porta.
Passò qualche secondo, tra rumori e fruscii attutiti dalla porta. Poi, dopo che uno spiraglio di quella porta venne aperto, si sentì letteralmente risucchiare dentro da una mano forte che lo trascinò al di là della soglia, richiudendo immediatamente la porta alle sue spalle. Esattamente come quando la loro unione era un segreto, non un ricordo.
«Michael.»
Marco lo squadrò: era palesemente sconvolto, con gli occhi gonfi e rossi di pianto e le grandi mani scosse dai tremiti. In tre anni o più che lo conosceva, non lo aveva mai visto in quel modo. Michael non si mostrava mai debole, o vulnerabile, di certo non si mostrava sconvolto. Eppure, in quel momento, era ciò che Marco stava osservando.
Michael si accasciò sul letto, mettendosi a sedere tutto ingobbito con le gambe ben divaricate e la testa tra le mani. Marco si inginocchiò al suo fianco, prendendogli le mani fra le sue e poggiando la spalla sul suo ginocchio: era l’unico modo per guardarlo negli occhi. Chissà perché, aveva dato per scontato che li avrebbe trovati freddi e spenti, invece saettavano da destra a sinistra senza sosta, come se cercassero di ricucire pezzi mancanti di una storia. C’era amarezza e un pizzico di ira in quelle pupille dilatate, rasentavano l’isteria e questo spaventò Marco, così prese il suo volto tra le mani costringendo quelle folli pupille impazzite a fissare il suo volto.
 
Che ci fai
Con tutti quei pensieri?

«Tranquillo Michael, tranquillo» fu in grado di dire, prima che l’altro piangesse. Non come se scoppiasse, tutt’altro. Le lacrime scesero rapide dai suoi occhi, come se lui neppure se ne accorgesse, con quello sguardo fisso, piantato negli occhi dell’uomo che aveva di fronte. Si susseguirono, l’una dopo l’altra, in rapida successione e, per tutta la durata di quel pianto, Michael non fece neppure un singolo tentativo per asciugarsi gli occhi o spiegare quanto era accaduto. Semplicemente tenne gli occhi spalancati, fissi in quelli terrorizzati di Marco.
Cosa gli aveva fatto?
«Michael, ti prego» lo scosse leggermente. «Cosa ti è successo? Mi stai facendo preoccupare.»
«Lui sapeva di io e te» fece, le loro parole si accavallarono leggermente. «Lui sapeva  da tanto tempo e non lo ha detto. Perché lui voleva il matrimonio.»
Stavolta fu Marco a sgranare gli occhi. Questa gli giungeva nuova: come aveva fatto Tim a capire che aveva un amante, da quanto lo sapeva? Erano sempre stati tanto attenti a non farsi beccare, loro due. Avevano sbagliato qualcosa, probabilmente, non vedeva altra spiegazione.
E poi cos’era quella storia che voleva sposarsi lo stesso?
«Quindi, fammi capire, a lui non importa se io e te...?» lasciò quella domanda in sospeso, come se la sua bocca si rifiutasse di dirlo, come se il movimento delle labbra fosse troppo pesante per ammettere che erano stati insieme per anni.
Michael annuì appena, poi iniziò a raccontare. La sua voce era stanca e meccanica, come se stesse ricostruendo in quel preciso istante tutto ciò che era accaduto.
Raccontò della danza forzata da Yasmine, di come Tim fosse stato con lui sgarbato e villano, delle cose orribili che gli aveva detto, senza però nominarle. Senza smettere un secondo di piangere, parlò delle urla di fronte a tutti gli invitati, di come sua madre fosse scontenta di lui, nonché del lancio dell’anello contro Tim, atto di cui, peraltro, Michael si vergognava molto, ma mai quanto si vergognava di aver deluso sua madre.
«Mi ha guardato come se io ho ucciso un uomo» singhiozzò. «Lei era così triste che aveva me come un figlio.»
 
Sono pesanti addosso, che ci fai?
E ti anneriscono le mani

«No, questo non puoi dirlo» lo fermò. Con le dita si premurò di asciugargli le guance da ogni lacrima che le aveva rigate, consolandolo. «Tua madre ti adora. Solo, non se lo aspettava. Devi spiegarle come sono andate le cose e che adesso...»
Michael lo guardò deluso. Non voleva che lo dicesse, ma Marco dovette dirlo.
«... che adesso io e te non stiamo più insieme.»
«Perché no? Io e Tim non siamo più noi. Io e te possiamo stare insieme ora, se tu lo vuoi.»
Marco si morse le labbra. Non poteva andar bene, doveva fare qualcosa, subito e in modo rude se voleva che reagisse. «Michael, se tua madre si vergogna di te pur sapendo che ci siamo lasciati, cosa penserebbe di te se sapesse che non ti sposi perché preferisci un italiano qualunque?»
Fu come se Marco avesse pronunciato la più grave delle bestemmie.
 
Puoi soltanto vivere
Cadere a terra e correre

Lo afferrò per un polso, lo tirò sul letto e ve lo gettò sopra, poi usò il suo corpo per inchiodarlo sotto di lui.
Marco ebbe un sussulto profondo, dettato dalla sorpresa e dall’eccessiva vicinanza di Michael. Ma non ebbe paura, neppure per un secondo, che lui potesse fare un gesto inconsulto. Piuttosto, gli dispiacque: era palesemente sconvolto.
«Non dire mai» si interruppe, così che la parola “mai” riecheggiasse tra di loro, «mai che tu sei un italiano qualunque.»
«Lo ami ancora, non è vero?»
Le parole di Marco parvero confondere Michael ancora di più. Lo fissò dall’alto della sua posizione, lo sovrastava in un atteggiamento che entrambi avrebbero potuto definire sensuale, ma che la tranquillità di Marco rovinava quasi al limite della parodia. Ne sembrò innervosito.
Proseguì: «Tu lo ami. Per questo eri sconvolto quando hai capito che in realtà gli importava eccome se lo avevi tradito, perché speravi che in realtà le cose restassero esattamente quelle che erano. Tu vuoi sposarlo, e forse non è troppo tardi per riprendertelo.»

Andare avanti come fanno gli altri
Come tutti

Scosse la testa, piccole gocce caddero dai suoi occhi, sbalzate in aria come piccoli diamanti fluidi. A denti stretti, gli sfuggì un altro singhiozzo. «Tu non hai capito niente» sbraitò.
Sapeva di aver toccato un tasto dolente, ma sapeva anche che se non si fosse arreso, avrebbe ottenuto il risultato sperato e Michael sarebbe tornato da Tim e Marco sarebbe stato l’unico a rimanere solo e infelice. Almeno avrebbe risparmiato l’uomo che amava.
«Sei tu a non aver capito» insisté, «che Tim non aspetta altro che tu vada da lui con un mazzo di fiori e delle sentite scuse. Devi correre a riprenderti il tuo uomo, o potrebbe essere troppo tardi per...»
«He called you a whore
Ti ha dato della troia.
Era questo che, in inglese, Michael aveva appena urlato. Ti ha dato della troia.
Con gli occhi lucidi e le labbra tumide, il volto contrito e le nocche livide a furia di stringere al limite del violento le lenzuola del letto.
Marco si sollevò con il busto, senza capire. «Cosa significa che mi ha chiamato in quel modo?» domandò, scandendo ogni parola, nel tentativo di cercare quelle giuste per non rovinare tutto.
Ma forse Michael aveva ragione e Marco non aveva capito niente. Forse non c’era nulla che non fosse già stato rovinato prima del suo arrivo e la situazione era così disastrosa che, a conti fatti, non poteva fare davvero nulla per ripararla.
Michael, quasi accorgendosi all’improvviso di aver tenuto Marco sotto di sé tutto quel tempo, forse temendo che quello confermasse l’errata convinzione di Tim, con un balzo si fece da parte, rannicchiandosi sul bordo del letto.
Respirò profondamente, ricominciando a piangere. «Tim. Ha detto delle brutte cose su te. Stupide cose che non sono vere.»
Si strinse le ginocchia al petto. Sembrava un bambino offeso perché avevano detto che il suo giocattolo preferito era brutto.
Un’orrenda, subdola sensazione si fece strada nelle viscere di Marco, avvolgendo il suo cuore in una morsa e pungolando crudelmente il suo cervello già in fiamme.
«Non dirmelo. Ti prego» lo implorò.
«Io dovevo dire che si sbagliava. Perché tutto che diceva di te era una bugia molto grande e lo faceva solo per farmi male. Questo non è amore, è bugia ancora più grande.»
«Non dirmi che lo hai lasciato per le cose che ha detto su di me.»
Michael nascose il volto nelle ginocchia, tra le braccia. Marco, dal canto suo, cercò di trattenersi dal piangere, ma la sua gola iniziò a bruciare, stretta in un nodo crudele.
Era tutta colpa sua.
Come aveva fatto a non capirlo subito? Non aveva mai voluto tutto ciò. Sì, era vero che Michael lo aveva fatto star male e che per un attimo Marco aveva voluto altrettanto per lui, ma non fino a quel punto. Ciò che gli era accaduto era molto più grave di una semplice delusione d’amore: si era messo contro il suo fidanzato e la sua famiglia soltanto per difendere lui, un uomo come un altro. Non bello, non troppo talentuoso, tutt’altro che speciale. Era tutto terribilmente sbagliato.
Gli gettò le braccia al collo da dietro la schiena, poggiandogli la fronte sulla spalla. Al diavolo tutto, avevano entrambi bisogno di contatto.
«Non dovevi farlo. Non ne valgo la pena.»
Michael si voltò lentamente e Marco notò che aveva smesso di piangere. Lo fece distendere di nuovo, stavolta con delicatezza, poi poggiò la testa sul tuo petto, un gesto che valse più di mille parole. Un gesto che chiedeva. Coccolami come un figlio, amami come un uomo, insultami come una puttana, ma non mandarmi via.
 
Dove vai
Che il freddo prende a morsi?

Una volta tanto, Michael implorava silenziosamente. Marco era ancora restio a tutto quello, così, pur poggiandogli una mano sulla spalla, non fece altro. Ma non si scostò da lui e a Michael quello parve bastare. Si strinse a lui, rendendo quel gesto più intimo di quanto Marco intendesse.
«Tu vali la pena di tutto, Marco» sospirò contro la sua maglia tiepida, sulla quale posò una mano che, lenta, prese ad accarezzarlo. «Di tutto.»
Se gli ormoni avessero avuto una coscienza, se Marco fosse stato un uomo meschino e venale, avrebbe senz’altro colto la palla al balzo, perché le intenzioni di Michael erano palesi, e più quella mano lo accarezzava, passando dal petto al ventre, più quelle si palesavano con ancor più impertinenza. Perché solo un pazzo avrebbe declinato un’esplicita proposta sessuale da parte del bel Mika.
Ma lui semplicemente gli afferrò la mano e la scostò da sé, lasciando un Michael deluso e perplesso.
«Hai appena lasciato l’uomo con cui sei stato per dieci anni» spiegò. «Non sei lucido e, ora come ora, ti pentiresti di qualunque gesto.»
Fece cenno di no con il capo, a lungo e vigorosamente, posando la mano esattamente dove stava prima.
«In questo momento mi sentirei tanto il rimpiazzo di Tim se tu lo facessi» ammise.
Stavolta fu Michael a levare la mano prima che fosse Marco a costringerlo.
Rimasero in quel modo per un po’, vicini ma lontani.
Poi Michael si avvicinò a lui e gli diede un bacio casto, lieve, pieno di tenerezza e un pizzico di disperazione. Desiderava ardentemente uno sfogo fisico, ma capiva che non era momento e luogo e, soprattutto, se davvero era innamorato di Marco, avrebbe atteso. Nel frattempo, però, non chiedeva molto.
Così Marco, per l’ennesima volta nella sua vita, cedette ai suoi baci, ricambiandoli dolcemente e dandogliene degli altri, quanti ne volle, senza risparmiarsi. Era così stanco di lottare contro i suoi sentimenti, tanto che gli si abbandonò. Magari, solo per quell’uggioso mattino, avrebbe gettato alle ortiche la propria dignità e sarebbe tornato a essere l’altro uomo. Ma, solo per quella volta, non gli sarebbe importato.
Circondò la vita di Michael con un braccio possente, attirandolo a sé. Una mano grande e calda, una meravigliosa mano da pianista si andò a posare sulla guancia di Marco, sfiorandola dolcemente.
 
Ti si congelano le mani se
Le usi adesso come scudi

Erano baci di fortuna, su un letto di fortuna, in un luogo di fortuna. Sebbene sconveniente, Marco si sfilò le scarpe e coprì entrambi con un lenzuolo impolverato che stava ai piedi del letto. Avevano bisogno di dormire entrambi. E dovevano stemperare il freddo e il dolore in un dolce abbraccio.
 
Un rumore assordante colse di sorpresa i due fuggiaschi, svegliandoli di soprassalto. Qualcuno stava bussando alla porta della loro stanza con eccessiva insistenza, ma per qualche strana ragione, Michael era sicuro che non fossero Tim o sua madre.
«Marco, vai in bagno.»
Per poco, quello non scoppiò a ridere. Era una richiesta alquanto bizzarra, soprattutto per una persona appena svegliatasi dopo aver perso una notte di sonno e aver baciato un vecchio amore.
 
Vieni qua
E conta i miei respiri

«Non devo andarci.»
«Marco, vai in bagno» ripeté, con un tono di comando che non ammetteva repliche.
Qualcosa in quella voce costrinse Marco a fare esattamente come gli era stato detto, chiudendosi a chiave nel bagno piccolo e angusto, per poi osservare dallo spioncino come il peggiore dei bambini dispettosi.
Vide Michael alzarsi dal letto, rimettersi le scarpe e raccattare le sue poche cose. Cosa stava combinando?
Aprì la porta quasi come se stesse andando al patibolo.
Un’orda di paparazzi lo investì con flash e domande urlate.
Marco ebbe un sussulto: cosa era successo? Come avevano fatto i paparazzi a sapere che Michael sarebbe stato lì? Chi li aveva avvisati? Quando Michael ebbe chiuso la porta, Marco riacquistò abbastanza lucidità per prendere il suo cellulare e, nonostante la scarsa connessione a internet, cercare notizie su Mika.
Non appena vide il titolo del primo articolo, inorridì.
«Questo matrimonio non s’ha da fare» recitò in un sussurro quel titolo che voleva essere spiritoso, ma che risultò solo di cattivo gusto. «Mika lancia la fede al fidanzato e scappa via. Finito l’idillio di passione?»
Di seguito a un insulso articolo che Marco ignorò, scorrendo rapidamente la pagina, era allegata la foto, sgranata e vagamente fuori fuoco, di due sagome alte, una delle quali riconoscibile a causa del dolce profilo e dei capelli ricci. Era colto proprio con il braccio teso, la fede era un cerchietto a malapena distinguibile fra la sua figura e quella di Tim. Beccato in flagrante. Scorse le altre notizie, tutte copie della prima, eccetto una che risaliva a meno di cinquanta minuti prima.
Il titolo recitava: “Se scappi non ti sposo. Il cantante libanese lancia... l’anello e nasconde la mano”.
Riportava una foto di Mika che, di soppiatto, si intrufolava proprio nel motel in cui era arrivato Marco successivamente. Si morse le labbra. Sperava che nessuno lo avesse visto, o sarebbero stati guai seri per entrambi.
Rimase seduto in bagno per un infinità di tempo. Qualcosa, un blocco dettato dalla paura, gli urlava che restare là dentro era il modo più sicuro per non farsi beccare.
Però si chiedeva che fine avesse fatto Michael e temeva che fosse andato via, non solo dal motel, ma da Londra. Lo conosceva abbastanza bene per sapere che probabilmente era andata proprio così.
Si strinse nelle spalle e si avvolse con le braccia, sentendo su di sé ancora il lieve tepore lasciato dal corpo di Michael sul suo.
Dannazione. Perché doveva fargli quell’effetto?
Drin! Drin!
Il suo cellulare squillò. Sciolse quell’abbraccio solitario e rispose immediatamente.
«Pronto?»
«Scusa, ti chiedo scusa» era Michael. «I fotografi mi hanno scoperto. Io devo andare via.»
«Ti raggiungo in aeroporto?» si offrì.
«No, se vieni tu capiscono che tu eri con me» si affrettò a dire. «Finisci nei guai.»
«Allora resto qui?»
«Sì, prendi il volo che c’è alle catordici» disse, pronunciando male il numero “quattordici”.
Marco controllò l’orologio: erano le undici passate. Come avrebbe fatto Michael a prendere il volo di mezzogiorno? Oh, giusto: lui era la star del Paese, per lui ogni porta era spalancata e ogni aereo disponibile. Solo Marco non era riuscito a prendere un pidocchioso volo delle due e quarantacinque?
«Va bene.»
All’altro capo, silenzio. Pensò che Michael avesse riattaccato, quando sentì un sospiro amaro.
«È solo male quanto tu sei con me» mormorò, rivolto a nessuno in particolare.
Marco non se la sentì di contraddirlo: non sarebbe successo nulla di tutto questo se Michael fosse stato sincero fin dall’inizio. O se Marco non si fosse lasciato abbindolare dai suoi modi.
Ma quello era l’orgoglio a parlare. Se solo lo avesse messo da parte, Marco avrebbe capito che una vera colpa non c’era. Avrebbe potuto darla all’amore, se la cosa lo avesse fatto sentire meglio, ma da quando in qua l’amore era una colpa?
 
Sui nostri volti il tempo è passato
Nei nostri occhi deve ancora arrivare

«Io ora vado.»
La voce di Michael lo ridestò dai suoi pensieri.
«Come dici?»
«Ciao Marco.»
«Aspetta.»
 
Puoi soltanto vivere
Cadere a terra e correre
Andare avanti come fanno gli altri
Come tutti

Fu di nuovo silenzio e imbarazzo. Marco avrebbe voluto dire che non vedeva l’ora di rivederlo in Italia, ma non ci riuscì. Maledetta la sua caparbietà.
«Prima che tu vada, lascia che io ti ringrazi» disse, invece.
«Ringrazi?» chiese confuso.
Ancora una volta, Marco non disse ciò che voleva. Perché avrebbe voluto semplicemente dirgli che dormire stretto a lui tra un bacio e l’altro era stato il più bello dei miracoli e la peggiore delle maledizioni. Ma non poteva.
Michael aveva la capacità di farlo sentire fondamentale per un secondo e il secondo dopo renderlo il più insicuro degli uomini, in attesa solo di un suo cenno che lo facesse sentire di nuovo importante. Non avrebbe dato la stessa certezza a Michael, a meno che non ne fosse stato sicuro al cento per cento e, in quel momento, l’unica cosa di cui Marco era sicuro era ciò che avrebbe detto in seguito.
«Per avermene parlato con sincerità. Dico, di tutta questa storia.»
«Oh, no Marco» sospirò. «Grazie a te perché mi hai sollevato.»
Sapeva che non intendeva dire che lo aveva davvero sollevato. In inglese era to raise up: letteralmente rialzare, rimettere in piedi ed elevare quasi fino a toccare quasi il cielo. In italiano, non esisteva termine che potesse reggere il confronto. Sollevare non era che un mero sostituto.
 
Ti solleverei anche se
Io fossi a terra e tu là in piedi

Ecco, Marco si sentiva importante per lui, di nuovo. Cercò di minimizzare la sensazione, ben sapendo che si trattava solo di uno di quei rari momenti di estasi prima della caduta.
«Torna presto» si raccomandò, per poi chiudere la chiamata.
Posò il telefono in tasca, uscì dal bagno e si distese sul letto, fissando il soffitto. Aveva un bel po’ di roba su cui riflettere: innanzitutto, aveva mandato a gambe all’aria un matrimonio, nonché una relazione decennale. Aveva fatto sì che una madre provasse avversione nei confronti del suo stesso figlio, sebbene trovasse che Jonni fosse stata poco garbata a farglielo notare di fronte alla sua intera famiglia, nonché di fronte a quella del suo ex. Ma forse lo aveva fatto solo per salvare le apparenze: che madre sarebbe stata quella che, messa di fronte al tradimento di suo figlio, avesse preso le sue difese?
Michael gli aveva fatto capire chiaramente di essere disposto a ricominciare daccapo con lui. L’offerta era allettante, soprattutto visto e considerato che Marco sarebbe stato l’unico, stavolta. Il suo unico dubbio era la fedeltà di Michael. Non voleva tornare insieme a lui, sulla scia degli eventi, trascinato dal momento di sconforto e dal rinnovato interesse nei suoi confronti, per poi ritrovarsi dopo qualche mese a confrontarsi con un altro amante di Michael. Un altro se stesso, in pratica.
Non poteva rischiare. Non avrebbe retto a tanto.
Decise che, una volta tornato in Italia, avrebbe messo le cose bene in chiaro con Michael. Non che avesse realmente intenzione di tornare con lui ma, ammesso che volesse farlo in un prossimo futuro, entrambi dovevano cambiare. Marco non avrebbe più dato tutto se stesso immediatamente e Michael non avrebbe dovuto avere altre tresche all’infuori di lui. Sembrava ironico, quasi ingiusto che intendesse porre quei paletti, proprio lui che aveva accalappiato un uomo fidanzato.
Eppure, non era proprio quella situazione ad aver creato tutti quei problemi? Dunque, se le cose dovevano essere in quel modo –ossia ambigue, romantiche e sfuggevoli– nessuno dei due avrebbe dovuto sprecare neppure un attimo del loro amore.

 
Non dobbiamo cedere
Nemmeno un grammo di amore agli altri

Mentre rifletteva su quelle e altre problematiche della sua vita, prese carta e penna dal cassetto dell’albergo e scrisse una lettera in un inglese stentato, che avrebbe lasciato, poco prima di recarsi in aeroporto, nella casella postale della signora Jonni Penniman. Era la cosa giusta da fare
 
Una volta tornato in Italia, si fiondò a casa sua. Aveva bisogno di un bel bagno caldo in cui affogare i suoi dispiaceri e, soprattutto, i suoi struggimenti d’amore.
Ma non ne ebbe il tempo, perché non appena giunto alla soglia di casa, si ritrovò Michael appollaiato lì come un avvoltoio. Non appena si accorse della presenza di Marco, scattò in piedi e non mi diede neanche il tempo di chiedergli perché fosse lì.
«Tu hai scritto una lettera a mia madre.»
Si morse le labbra e annuì.
Nella lettera le aveva chiesto scusa per tutti i disagi che le aveva causato, per tutti i problemi che derivavano dalla propria presenza nella vita di suo figlio. La pregava, inoltre, di non attribuire a Michael colpe che invece erano solo sue e la implorava, se non di apprezzarlo, perlomeno di non provare astio nei confronti di suo figlio visto che, sin dall’inizio della loro storia, la colpa di tutto era stata di Marco.
 
The days will go, the time will flow
O, per lo meno, era un’esasperazione di ciò che sentiva davvero. In quel momento, si sentiva quasi in dovere di farlo.
«Sì, le ho scritto» ammise guardandolo negli occhi, che trovò ansiosi. «Le ho detto che mi dispiace di averle causato solo affanni.»
Michael si sbatté una mano sulla fronte. «Come hai pensato che era una buona idea? Lei ti odia.»
La voce di Marco si fece sottile e flebile. «Mi dispiace. Pensavo di poter aggiustare le cose.»
 
As a pain relief inside of me
«Lei dice che non solo sei un italiano, ma sei anche un uomo senza palle» disse con rude sincerità, «perché tu non le hai parlato di persona. Che se noi stiamo insieme, per lei io non sono più il suo figlio.»
Marco tremò e abbassò lo sguardo. Sperava che, almeno, la madre di Michael potesse perdonarlo con quel gesto. Invece sembrava quasi che si fosse immischiato in affari altrui, cosa in un certo senso vera. Per di più, era colpevole di essere un italiano.
«Scusami.»
Michael non rispose, se ne andò semplicemente via con passo pesante.
 
Before you go
Let me thank you

Marco entrò in casa, si richiuse la porta alle spalle e semplicemente pianse. Pianse di rabbia nei confronti di Michael e della sua freddezza, pianse per i sensi di colpa a causa di sua madre, pianse di pietà per se stesso. Pianse per amore.
 
'Cause you killed me
And you did it perfectly
Continuò a versare calde lacrime finché non sentì bussare alla sua porta.
«Marco, I’m so sorry» gridò Michael dall’altra parte della porta, affinché Marco lo sentisse forte e chiaro.
Erano tornate le montagne russe.
 
I would rise even if
I was on the ground and you standing in front of me

Marco aprì la porta, venendo letteralmente investito dall’abbraccio di Michael, il quale lo tenne stretto a sé come a impedirgli di sciogliersi dalle sue braccia, tutto il contrario di ciò che Marco avrebbe desiderato. Prese a riempirlo di baci sul viso e, non appena le sue labbra incontrarono le guance umide di Marco, prese a ripetere “Oh, sorry” tra un bacio e l’altro, rapidi e pronti ad asciugare le sue lacrime. Profondamente dispiaciuto per esserne stato la causa.
 
We can't surrender even a gram of love
Forse, dopotutto, non era Marco la sola parte lesa, come aveva pensato fino ad allora. Era stato così comodo recitare la parte della vittima per tutto quel tempo, non aveva mai prestato attenzione a quanto anche Michael ne avesse sofferto.
«Michael» lo richiamò. Doveva dirgli ciò che si era prefissato, doveva mettere le cose in chiaro senza che null’altro lo distraesse.
 
Ti solleverei anche se
Io fossi a terra e tu là in piedi
Non dobbiamo cedere
Nemmeno un grammo d'amore
«Shhh» lo zittì con dei baci sulle labbra tanto dolci da stordirli, belli quasi quanto lui, inebrianti più di ogni cosa, talmente tanto da infrangere ogni metro di paragone.
 
Un grammo d'amore agli altri
Poi, con voce tenera e sospirata, parlò al suo orecchio prima di baciare anche quello.
Le sue parole gli tolsero il respiro, tanto erano vicine ai suoi pensieri.  
«We can't surrender even a gram of love
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Chiedo scusa per l’abissale ritardo con cui pubblico questo capitolo. Mezzo mese mi ci è voluto. Ho avuto problemi, so che la cosa non mi giustifica, ma è così.
Ho scritto questo capitolo tutto oggi, lasciandomi trasportare dalle sensazioni che mi venivano fuori. Spero che non sia uno schifo totale.
Grazie, comeunangeloallinferno94. Sei più che una semplice beta.
Spero vi piaccia il capitolo, baci.

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Capitolo 7
*** The only way is up ***


Rock bottom
 
Quando Marco si svegliò, intuì subito che c’era qualcosa di diverso.
Il cielo, tanto per dirne una, era scuro come fosse notte fonda. Osservò l’orologio digitale e scoprì che il quadrante segnava le quattro e diciassette del mattino. Sospirò: dopo aver passato la precedente notte in bianco, e dopo un sonnellino durato due ore appena, non aveva più avuto occasione di riaddormentarsi se non nel pomeriggio inoltrato. Comprensibile che la sera fosse stata spesa nel pieno della fase REM.
Forse, però, la causa non era il cielo. Forse si trattava della fame. Marco non aveva mai fame, o meglio, ce l’aveva quando si sentiva particolarmente bene con se stesso. Per il resto del tempo, si prefissava degli orari in cui si costringeva a nutrirsi, giusto per non crollare a terra in presa a un calo di zuccheri. Quel giorno, però, aveva proprio voglia di una bella colazione completa all’italiana, con tanto di cappuccino, cornetto appena sfornato, miele e biscotti.
Ci rifletté. No, non si trattava neppure della fame. Era qualcosa di meno fisico, più che sentirlo, lo percepiva.
Oh, giusto.
Aveva dormito assieme a Michael per tutta la notte.  
 
I want to bury my head in the sand
I want the seas to wash me away

Si voltò dall’altra parte, giusto in tempo per vederlo fissare lo schermo del cellulare con aria afflitta, da esso illuminato come una piccola torcia che puntava il proprio cono di luce esattamente sui bei lineamenti dell’uomo.
«I paparazzi» sussurrò egli. Probabilmente si era accorto che Marco era sveglio, ma non riusciva a staccare gli occhi dal telefonino, «sono messi vicino a casa mia.»
Marco sospirò e poggiò una mano sulla sua.
 
I wish someone was holding my hand
But I’m too scared to ask you to stay

Nel pomeriggio, quando avevano deciso di andare a dormire (ciascuno a casa propria) Michael aveva ricevuto una chiamata dal suo manager italiano, un ometto occhialuto e alla mano di nome Giulio. Lo aveva avvisato dell’orda di paparazzi che, appostati nei pressi del suo appartamento, che lo aspettavano perché rilasciasse delle dichiarazioni –o, per meglio dire, gliele avrebbero strappate di bocca– a proposito del suo matrimonio saltato.
Era pur vero che era stato Michael a porre fine a quel matrimonio ancor prima che questo cominciasse, ma ciò non significava che non ci stesse male, o che fosse pronto a parlarne. Così, con somma gentilezza, Marco lo aveva invitato a passare la notte nella sua umile dimora. Sul divano, ovviamente. Perché non erano più, o non ancora, una coppia, dunque sarebbe stato alquanto sconveniente dormire nello stesso letto, così aveva detto a Michael e lui era parso del suo stesso avviso.
Questo, almeno, fino al momento in cui entrambi si ritrovarono sotto le coperte. Erano passati solo venti minuti, che già Michael si era presentato al capezzale di Marco, con il cuscino stretto al petto, implorandolo di tenerlo con sé per quella notte soltanto.
Marco provò una sensazione bruciante di vergogna mista a tenerezza: di fronte a quella richiesta non era riuscito a tirarsi indietro; per di più, nel momento in cui Michael si era infilato nel letto, Marco aveva cercato il suo calore, che fosse esclusivamente il calore di un abbraccio. Si vergognò ad ammettere che in quel momento, in cui non erano stretti l’uno all’altro come lo erano stati nelle ore precedenti e non si scambiavano baci fugaci e deliziosi, Marco avvertiva più che mai gli spilloni gelidi del freddo pungente. Era così che doveva essere.
«Non ti preoccupare» disse piano, mettendo da parte quei pensieri. «Vedrai che tra un po’ troveranno qualcun altro da tormentare.»
Ma l’altro scosse la testa. «Tra poco c’è i bootcamp. Noi giudici siamo, come si dice? Dentro l’occhio di un fucile.»
«Nell’occhio del mirino» lo corresse.
Michael sbuffò. «Già siamo in mirino, poi io non sposo più. I giornalisti mi massacreno stavolta.»
Con una scrollata di spalle, le sue preoccupazioni furono eluse. «E allora? Cioè, tu non hai paura di loro. Andrai lì e li ignorerai, oppure gli spiegherai quello che vogliono sapere senza peli sulla lingua, come hai sempre fatto.»
Per un momento, pensò di averlo aiutato per davvero con quelle parole. Questo finché Michael non si alzò dal letto, senza neppure degnarlo di uno sguardo, come il peggiore degli amanti. Per due che non erano neppure andati a letto quella notte, fu una scena quasi ridicola ma, per Marco, fu semplicemente molto dolorosa.
Si alzò qualche secondo dopo, cercandolo con lo sguardo, per poi ritrovarselo nel soggiorno a guardare la notte dal balcone. Indossava un pigiama di Marco, il quale notò che, nonostante le caviglie e i polsi scoperti, quegli indumenti erano troppo larghi per Michael. L’essere il più basso e in carne dei due era fonte d’imbarazzo per Marco, un imbarazzo tale da chiedere di essere verbalmente espresso.
«Sei così alto» ammise, «e magro. Le mie cose non ti andranno mai bene addosso.»
La frase suonò quasi come un insulto e questo mise Marco ancora più a disagio.
Non sapeva cosa fare, né cosa dire. A dirla tutta, ce ne sarebbero state di cose da dire. Non avevano ben chiarito la natura della loro relazione. Michael non gli aveva raccontato tutto ciò che era successo alla festa di fidanzamento, non a mente lucida, almeno. Marco desiderava sapere in che modo sua madre si fosse espressa circa la lettera che le aveva lasciato prima di tornare in Italia.
Ma, ancora una volta, dovette lasciare da parte i pensieri, che si annullarono totalmente una volta che Michael ebbe parlato.
«Non sono quello che tu credi.»
«In che senso?»
Aspettò un po’ prima di rispondere. «Tu pensi che io sono egoista, che io mi importo solo di me, vero?»
«Non ho mai pensato questo» mentì. «Cioè, sì, è vero, lo pensavo, ma questo era prima. Adesso...»
«Adesso è tutto uguale» terminò per lui. «Pensi che io sono così: chi se ne frega de la mia mamma? Del mio ex, de giornalisti o anche de te? La cosa la più importante è che io sono ok, tutto il resto è noia.»
Marco non poté ribattere e restò in silenzio, mordendosi le labbra. Che cosa avrebbe potuto dire, se non che era esattamente ciò che pensava di lui? Nonostante avesse capito di esserne ancora innamorato, Marco era ben lontano dal perdonargli tutti i suoi errori. Nella sua testa, forse, lo aveva demonizzato fino all’estremo, rendendolo un essere del tutto incapace di empatia e di bontà. Era stato sciocco da parte sua.
Non ricevendo alcuna risposta, Michael proseguì: «Beh, tu fa un errore. A me importa de la mamma e de te, di tutti. Mi importa di quello che la gente dice su di me. Io dico sempre: chi se ne frega di loro?, io sono come sono. Ma io ho paura, dentro di me. Ho paura di paparazzi e di come possono cambiare la realtà, la mia realtà.»
 
I’m on my knees, I’m calling my own name
I’m on my knees, I think this is it

Gli occhi di Marco erano due fessure, colme di compassione nei confronti di Michael. Cosa gli stava succedendo? Non era mai stato debole, né fragile e di certo non aveva mai avuto paura di niente.
O forse era soltanto più abile degli altri a mascherarlo.
«Ma tu dici sempre tutto alla stampa» fece, poco convinto.
«Dico tutto perché se io non faccio così, loro inventano» spiegò, lasciando Marco ancor più confuso e stupefatto.
Aprì la bocca per parlare, ma subito la richiuse. Cosa poteva aggiungere?
A volte, soprattutto per chi non lo conosceva, il famoso Mika sembrava un essere enigmatico e perfetto. Diceva sempre tutto ciò che pensava e non aveva paura di avere opinioni che gli altri avrebbero giudicato scandalose o ridicole e lo faceva in modo talmente spontaneo da conquistare tutti. Aveva ammesso che una piccola parte di sua madre lo avrebbe preferito etero e normale, aveva dichiarato di non volersi mai sposare, ma di essere totalmente a favore dei matrimoni tra persone dello stesso sesso, aveva confessato addirittura la durata delle sue prestazioni sessuali... ma ammettere di aver lasciato Tim a un passo dall’altare era tutta un’altra cosa.
Marco capì che Michael aveva paura di dire una verità che non riguardava soltanto lui: riguardava sua madre, perché si era vergognata di lui; riguardava Tim, che lo aveva sbugiardato di fronte ai parenti e agli amici stretti; riguardavo Marco che era stata la causa della loro rottura; riguardava la famiglia che lo voleva accasato con un inglese, o francese, forse addirittura americano, purché di buona famiglia, piuttosto che un italiano che si era arricchito con la fama.
Era troppo anche per un essere perfetto.
 
I’m on my knees, I feel that the world could end
I wish us a new beginning

Marco si avvicinò lentamente a Michael, dandogli il tempo per voltarsi e vederlo sempre più vicino. Una volta giunto di fronte a lui, lo circondò con braccia silenziose e comprensive, lasciando, o meglio, sperando che tutto il timore fluisse come un fiume da Michael a lui. Passami il dolore, sembrava dire quella stretta.
Poi lo baciò, una volta tanto, fu Marco a baciare Michael. Non per pietà, come avrebbe potuto pensare, né per il senso di colpa. Era un modo, forse l’unico adatto a Marco, per dirgli che lui c’era.
Erano un duo piuttosto sgangherato, a dirla tutta. Marco non lo aveva perdonato del tutto e non sapeva se lo avrebbe mai fatto, Michael aveva dentro di sé molte cicatrici non ancora ricucite, entrambi avevano dei trascorsi che li portavano naturalmente alla diffidenza.
Ma c’erano e ci sarebbero sempre stati l’uno per l’altro. Perché era così che doveva essere, tra due anime affini.
 
Because I hear a voice so small but big enough to hear
There’s more, no don’t give up, no don’t you give in
 
Dopo una doccia e una buona colazione, ordinata dal bar di fronte e consumata insieme a casa, si ritrovarono ambedue più sereni e lieti, nonostante il turbamento di Michael fosse chiaro agli occhi di Marco.
Quest’ultimo cercò di temporeggiare quanto più poté, finché poi non poté resistere più e sbottò:
«Devi tornare a casa tua.»
A Michael per poco non cadde il croissant di mano quando lo sentì. «Marco, se qui io sono disturbo...»
Scosse la testa. «Credimi, non è per quello.»
«No?»
Delicatamente, Marco tolse la brioche dalle mani di Michael, mani che si premurò di stringere lui stesso.
«Tu ne hai bisogno» dichiarò, senza un briciolo di esitazione. «Tu devi andare lì e affrontare la tua paura: quella di essere assalito da giornalisti ficcanaso.»
Michael ritrasse le mani e lo guardò come avrebbe fatto con un insetto, impietosito e disgustato.
«Aspetta, Michael, so che sembra spaventoso, ma se non torni a casa e ti rifiuti di parlarne, li insospettirai ancora di più.»
«Fuck off, possono impiccare me. Non dirò una parola a loro» sbraitò.
Sospirò. «Ascoltami. So bene cosa significa quando i giornalisti si impicciano nella tua vita privata. Ma se continuerai a nasconderti, quello che potrebbe essere un piccolo gossip passeggero diventerà un segreto inconfessabile. Allora la gente sì che pagherebbe per estorcertelo.»
L’espressione di Michael si addolcì. Sapeva che, se Marco parlava in quel modo, c’era un motivo più che valido: all’inizio della sua carriera, si era rifiutato di ammettere la sua omosessualità per giocare con il mistero e l’ambiguità, così da essere più interessante agli occhi di tutti. Ma quel gioco era rischioso e alla fine si era ritorto contro di lui, così che ora la gente di tutte le età, sessualità ed etnie gli stava addosso, opprimendolo affinché rispondesse alla fatidica domanda: etero o gay?
Michael gli carezzò i dorsi delle mani con i pollici, prima di rispondere: «Io non sono ancora pronto.»
«Allora per ora dovresti semplicemente ignorarli e poi, quando te la sentirai, ammettere tutto. Puoi fare tutto quello che vuoi, fuorché nasconderti.»
 
Yeah I can hear a voice so small but big enough to hear
There’s more, don’t give up now, you’re finally here

Stavolta le parole di Marco dovevano aver fatto centro, perché lo vide rifletterci su, a testa bassa e con il naso leggermente arricciato, tanto da farlo ridacchiare sotto i baffi. Alla fine sbatté leggermente una mano sul tavolo con fare risoluto.
«Marco, tu hai ragione» esclamò, «e io affronto i paparazzi.»
«Così si fa!»
 
Rock bottom
I’ll hit rock bottom
I’ll hit rock bottom

All’improvviso, Michael premette le labbra contro le sue. Stavolta a lungo e con la bocca spalancata, senza pudore, facendolo arrossire: era forse il loro primo bacio vero da quando se n’erano scambiati uno litigando, la settimana prima, quasi per errore. Quel bacio, invece, sapeva di decisioni consapevoli e scelte tanto difficili quanto dolci. Ne ebbero per un bel po’, prendendo l’uno dall’altro ciò di cui aveva bisogno. Oh, quanto era affamato il suo dolce italiano, che ne mordeva a sazietà, con un tenero e avido egoismo che Michael letteralmente adorava.
«Grazie, Marco. Sei tutto» gli disse, piano.
L’altro deglutì, tenendo a freno le emozioni. «Non c’è di che.»
Sorrise.
 
I’m not afraid to hit
Rock bottom

«Quindi mi fai restare anche stanotte?» se ne uscì Michael.
Fece un sorriso beffardo che Marco si premurò di cancellare a suon di schiaffi sul petto. In realtà, questo non fece che far scoppiare a ridere Michael, che finse di sfuggirgli solo per farsi acchiappare, giocando come bambini finché non si ritrovarono in camera. Stavano distesi di schiena sul letto, l’uno dal lato sinistro e l’altro dal destro. I loro corpi erano lontani, ma i loro visi erano vicini.
 
The only way is up
Michael emise un lungo sospiro. «Quando io ho detto che ero gay, mamma diceva che andava bene per lei e anche per papà. Ma quando vedeva me con uomini, lei era triste e io lo capivo.»
Marco si voltò e lo ascoltò, in religioso silenzio. Si stava aprendo, con lui. Lo stava facendo sentire importante per l’ennesima volta.
 
The only way is up
«Quando ho innamorato di Tim, lui aveva soldi e famiglia con un nome alto, così lei poteva essere meno delusa. Io l’ho amato, ma tanto ha fatto che mamma amava noi insieme più che io.»
Michael non disse altro.
Marco non disse altro.
Cosa avrebbero potuto aggiungere a quella confessione?
 
The only way is up
Quella discussione, in realtà, continuò molto dopo che le labbra di Michael avevano cessato di muoversi. Creavano domande che restavano sospese nell’aria, appese al soffitto, in attesa solo di essere colte per dar loro una risposta.
Mamma era davvero felice che mi sposassi con un uomo?
La signora Penniman gradirebbe un italiano alla sua tavola?

E se Tim dicesse alla stampa che Marco è gay per vendicarsi?
Perché mi sto affezionando di nuovo a lui?
Se provassi a sedurlo, lui mi riterrebbe una sgualdrina?
Dovrei baciarlo?

 
The only way is up
Non vi fu risposta a quelle domande, né quella sera né le sere future.
Ma si strinsero, braccia tra le braccia riempiendosi di baci finché ne furono paghi. La bocca di Michael era affamata, si saziò con quella di Marco e ne esplorò ogni anfratto più nascosto, mentre quest’ultimo godeva di questi benefici e li onorava come doni divini, ripagandone ciascuno più del precedente.
Il sole li colse ancora tra i baci.
Fuori albeggiava.
 
But now I’m standing staring at the sun
You pick me up in your loving arms

 
Mika non commenta. Che la rottura sia solo una bufala?
Una settimana dopo, i giornalisti erano intenti a ideare le più strampalate congetture per spiegarsi le mancate spiegazioni di Michael. Lo videro andare a lavoro presso X Factor, senza vedere sul suo volto traccia di tristezza, inquietudine o rabbia. Dunque avevano iniziato a inventare. Forse non si erano veramente lasciati, forse si erano lasciati di comune accordo, forse non erano mai stati insieme e l’intera giuria del talent italiano si era apprestata a mentire solo per creare uno scandalo che portasse il nome di Mika su di sé. Qualunque fosse l’ultima trovata della stampa, quando Marco e Michael giunsero dietro le quinte del programma, entrambi parvero rinati.
Michael salutò Irene con tanto di inchino, baciamano e saltello, tanto che lei rise definendolo “un principe giullare”. Marco, dal canto suo, strinse Elio in un abbraccio un po’ troppo forte.
«Marco, oggi ti sei trasformato nell’incredibile Hulk?» chiese ridendo.
E non aveva torto.
Per i bootcamp, a ogni giudice era stato chiesto di vestirsi di un dato colore: Elio indossava un’eccentrica giacca rosso rubino con pantaloni in tinta; Marco aveva indosso maglia, gilet e pantaloni, ciascuno di un verde diverso; Irene era fasciata vestito bluette, grazioso ma di impatto, degno di una punk degli anni ’70; Michael, infine, portava una giacca dorata tutta tempestata di paillettes sopra una camicia e un paio di pantaloni rigorosamente bianchi. Sembravano pedine su un tabellone di un qualche bizzarro gioco da tavolo.
«Allora, spiegatemi meglio» Irene si rivolse a loro. «Noi arriviamo in questa stanza buia, dove ci sono tutti i concorrenti, le luci si accendono e i ragazzi sono... colorati?»
Marco le mise una mano sulla spalla. «Noi entriamo nella stanza buia, le luci si accendono e ogni categoria di concorrenti sarà seduta sugli spalti del colore a loro assegnato. Ad esempio, se le under donne sono sedute su seggiolini gialli, vuol dire che il giudice della loro categoria e questa specie di premio Oscar alto due metri» concluse, indicando Michael con un gesto.
Risero tutti e, quando l’ilarità cessò, Irene iniziò a innervosirsi.
«Datemi tutto, ma non ragazzine con gli ormoni in tempesta. Troppe ovaie in una stessa stanza non lavorano bene» mise in chiaro, in modo alquanto colorito.
Michael ne rise, accostandosi in modo ben poco casuale a Marco. «Oh, io mi metto sulle ginocchia, Gesù, dammi le band!»
«Giù le mani, quelle sono mie» lo sfidò Marco, ridendo.
Sia Elio che Irene li osservarono con una punta di tenerezza: sicuramente avevano saputo che Michael non si sarebbe sposato e, nei loro pensieri, Marco aveva preso a comportarsi bene soltanto per tirarlo su. Che ragazzo d’oro.
Se solo avessero saputo quello che era accaduto veramente.
Marco e Michael non si erano visti da quella notte in cui Marco aveva accettato di ospitarlo un’altra sera –non che gli pesasse. Aveva cucinato per lui e insieme con somma gioia avevano cantato.
Poi, Michael aveva affrontato i paparazzi.
Marco aveva comprato tutti i giornali di pettegolezzi in circolazione per controllare cosa avessero scritto di lui e aveva scoperto, con sua grande sorpresa, che Michael era tornato a casa sorridendo calorosamente ai fotografi, senza però rilasciare alcuna dichiarazione. Ecco perché i giornalisti si erano messi a sparare congetture: cosa avrebbero potuto scrivere di un sorriso muto?
Marco era fiero di lui, anzi, scoppiava letteralmente d’orgoglio.
Ma questo, a lui, non lo avrebbe detto. Qualche bacio e più di ventiquattrore insieme non facevano di loro una coppia, al contrario, Marco si era persuaso che la cosa migliore da fare fosse aspettare. Se, con il passare del tempo, Michael si fosse rivelato innamorato, senza riserve né rimorsi, proprio di lui, allora forse avrebbe potuto valutare la possibilità di tornarci assieme.
Sì, ma quanto avrebbe dovuto attendere?
Michael era stato fedele a Tim per sette anni, ma poi l’arrivo di Marco aveva rovinato tutto.
Forse, l’unica cosa che lo bloccava era proprio sapere di avergli rovinato la vita.
 
I thought that I would never let go
The nightmare and I had become one

Un tecnico richiamò i quattro all’ordine, imponendo loro di entrare uno per volta nella sala che ospitava i ragazzi. Irene fu la prima. Entrò incrociando le dita dietro la schiena, poi la porta si richiuse sui suoi riccioli bruni da sirena. Attesero.
Qualche secondo più tardi, un coro di limpide voci maschili si levò per lei: le erano stati assegnati gli under uomini.
Poi fu la volta di Elio, il quale, dopo che fu entrato, ricevette il calore di strillanti voci di ragazze che lo accolsero con l’entusiasmo che solo delle adolescenti che vivono il loro sogno possono avere. Under donne, senza dubbio.
Marco rise. «Ma potrebbe essere il papà di ognuna delle sue concorrenti!»
La sua ilarità, però, non durò a lungo.
Perché due forti mani gli arpionarono le braccia, portandolo lontano.
Perché un torace solido e definito premette contro il suo.
Si sentì improvvisamente schiacciato tra il muro e Michael.
Approfittando della distrazione di tutti, aveva preso Marco di forza e lo aveva portato dietro l’angolo, senza dargli via di scampo. Inchiodandolo.
 
I’m on my knees, I’m calling my own name
I’m on my knees, I think this is it

Avvampò quando il viso di Michael si fece più vicino. Nonostante si fossero già scambiati ampi e caldi baci, averlo a quella distanza fu tutta un’altra cosa. Il ghigno che gli vedeva impresso sulla bocca e quegli occhi penetranti e seducenti fecero di Marco una facile preda di qualunque fossero gli scopi di quel folle. Aveva qualcosa in testa ed era evidente che avrebbe raggiunto i suoi scopi, qualunque essi fossero.
 
I’m on my knees, I feel that the world could end
I wish us a new beginning

«Ora non fai più lo scappatore» soffiò, a un centimetro dalle sue labbra. Il suo fiato caldo lo spinse a socchiuderle, urlando silenziosamente: ancora.
Lentamente, Marco scosse la testa, sentendo nel corpo spandersi una miriade di brividi. Non erano così intimi da mesi, e Marco riconobbe le fitte familiari al cuore e sotto il ventre che solo quell’uomo era capace di causargli.
Il corpo di Michael si fece più vicino. I loro petti aderivano l’uno all’altro, le loro cosce si sfioravano, i loro ventri erano incollati e, benché Marco provasse a ritrarsi, non c’era scampo da quelle sensazioni scalpitanti, troppo a lungo trattenute.
Rimasero così per qualche secondo, sospesi nel vuoto.
«Che cosa fai?» balbettò Marco, timidamente.
 
Because I can hear a voice so small but big enough to hear
There’s more, no don’t give up, no don’t you give in

Il suo sorriso, malizioso e sadico, si fece più ampio e appagato. «Tu sei agitato.»
Le sue labbra si accostarono al suo orecchio. «Sei nervoso. Ti piace avermi così vicino.»
Marco boccheggiò in cerca di aria fresca. Cosa gli era preso? Fino a qualche giorno prima lo implorava solo per un abbraccio e ora stava facendo leva sul suo desiderio, desiderio che perfino Marco aveva egregiamente ignorato. Come aveva fatto Michael a vederlo, invece, come palesatosi di fronte ai suoi occhi penetranti?
«Tu vuoi me di nuovo, vero?» fece scendere le labbra, le quali indugiarono sul suo collo. Non lo sfiorarono neppure, ma le reazioni di Marco a quella vicinanza furono sufficienti a dare conferma di ciò che era appena stato detto. «Io lo so.»
«Non è così» riuscì a rispondere, ma gli ansiti deboli che gli sfuggirono di bocca tradirono le sue vere intenzioni.
 
Yeah I can hear a voice so small but big enough to hear
There’s more, don’t give up now, you’re finally here
«Ah, no?»
Michael aprì la bocca. Marco chiuse gli occhi voltando il viso, per non vedere la mossa successiva. Non avrebbe retto a tanto.
Inaspettatamente, tutto ciò che ricevette fu un tranquillo e soffice bacio sulla guancia. Sgranò gli occhi per la sorpresa e si voltò di scatto verso Michael, che a stento tratteneva una risata soddisfatta. Si allontanò con fare beffardo da lui, come se avesse ricevuto esattamente le risposte che si aspettava.
 
Rock bottom
I’ll hit rock bottom
I’ll hit rock bottom

«Tu dice che io non posso averti perché ho appena lasciato Tim» sorrise, trionfante. «Ma io so cosa volio. Volio te. Tu sei quello che non sa.»
Le guance di Marco si imporporarono, in un misto di imbarazzo, timidezza e irritazione. «Io so perfettamente cosa voglio.»
Scosse la testa. «Non ti credo.»
Aprì la bocca per ribattere, ma lui lo interruppe. «Quando tu capirai cosa vuoi, io ti aspetto.»
 
I’m not afraid to hit
Rock bottom
Un tecnico chiamò il nome di Marco.
Egli si affrettò a precipitarsi in quella grande sala che lo attendeva, allontanandosi quanto prima da Michael. Ringraziò il cielo che la stanza fosse così buia, abbastanza da celare il suo rossore e la sua confusione.
 
The only way is up
Si rifiutava di volere di nuovo Michael. Non poteva andar bene: la loro storia era finita per una ragione, e ricominciare daccapo non avrebbe di certo portato a un lieto fine. Inoltre, la sua presunzione, tutto quel “tu non sai cosa vuoi, io sì” lo aveva mandato su tutte le furie. Per di più, si sbagliava di grosso: il problema di Marco era che sapeva benissimo ciò che voleva. E lui voleva Michael.
 
The only way is up
Non poteva averlo, però. Sarebbe stato troppo rischioso, troppo azzardato, si trattava di puntare davvero troppo in alto per lui. Ci aveva già provato una volta e non era finita molto bene.
Si morse le labbra.
Ma come poteva non pensare che i momenti appena passati fossero stati dannatamente belli?
Perché, si chiese, doveva continuare a lottare? Dopo aver ceduto, le sue difese si erano risollevate e forse addirittura rinforzate. Si rese conto, suo malgrado, che a erigere quelle mura ci stava rimettendo lui soltanto, perché Michael non avrebbe esitato un solo istante a riprenderlo con sé. Marco, però, era ancora troppo intento a punirsi per aver mandato a gambe all’aria un matrimonio.
Uno scriteriato, folle pensiero gli balenò in mente.
Forse, solo forse, l’unico modo per uscire da quella situazione era puntare in alto.
Se avesse, in via del tutto ipotetica, ceduto alle attenzioni di Michael, cosa sarebbe successo?
 
The only way is up
Non lo sapeva e ne aveva una paura matta, anche solo sognarlo pareva un’eresia.
Ma i sogni non sono peccati, no?
Le luci si accesero.
E Marco, tra le urla dei suoi concorrenti, con gli occhi che gli brillavano dall’emozione, pensò a quanto fosse bello essere un giudice.
 
The only way is up
 
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Inizio subito ringraziando comeunangeloallinferno94. Perché? Perché giuro che questo capitolo era di una noia mortale finché lei, da beta eccezionale qual è, non mi ha spronata a dare di più. L’ho rivoltato come un calzino, ‘sto capitolo, ma alla fine è uscito fuori qualcosa di decente.
Grazie mille ♥
Spero vi sia piaciuto, alla prossima! Baci.

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Capitolo 8
*** Giuro, io lo aspetterò ***


Dove siamo
 
«Oh, Marco Mengoni!»
La familiare voce di Michael tuonò a gran voce il suo nome al microfono.
Il primo giorno di bootcamp era trascorso in una relativa serenità, frammista a tensione e un pavido imbarazzo da parte di Marco che, per tutta la durata delle registrazioni, non riuscì a capacitarsi di essere stato brutalmente sedotto da Michael. Quest’ultimo, ogni qualvolta lo guardava o si rivolgeva a lui, esplodeva in una risatina soddisfatta, perfettamente consapevole di aver fatto capitolare Marco con quelle parole e quei gesti. Poi, una volta tornato a casa in limousine insieme a Elio, aveva ricevuto da quest’ultimo un messaggio nel quale gli faceva i complimenti: il disagio provato in seguito ai tentativi di Michael di conquistarlo sembrava aver consolidato il suo “personaggio”, ossia il dolce timidone, serio ma maldestro, che al pubblico sembrava piacere un sacco. Elio si era congratulato per la capacità di aver creato e fatto suo un archetipo.
Se solo avesse saputo che quello era tutt’altro che un archetipo, ma il suo lato più introverso, forse non avrebbe sfoggiato un tale orgoglio. Ma questo non glielo disse di certo.
 
Giuro, riparto da qualcosa
Che non faccia male

Il giorno seguente, per Marco, sarebbe stato la vera sfida: sarebbe toccato a lui e a Irene selezionare i sei concorrenti ciascuno che, agli Home Visit, si sarebbero giocati la possibilità di accedere alla diretta.
Il desiderio di Marco era stato esaudito: a lui erano capitate le band e i gruppi vocali. Il suo compito era un onore e un onere senza dubbio, ma anche un grande piacere. Agitazione a parte, era elettrizzato come un bambino al parco giochi.
Forse, però, le scosse elettriche che sentiva sottopelle erano causate da ciò che aveva fatto Michael il giorno prima: far crollare le sue ultime barriere, per poi tirarsi indietro e lasciarlo a bocca asciutta. In cuor suo, sapeva che avrebbe dovuto avercela con lui, come era giusto che fosse, eppure non ci riusciva. Una vocina insistente nella sua testa gli diceva che, sì, era così che le cose sarebbero dovute andare sin dall’inizio. Che tutti i dubbi, gli ostacoli, le perplessità e gli affanni non erano che piccoli intoppi, a ritardare un destino che ora pareva quasi inevitabile e che profumava d’amore.
 
Che non faccia male come noi
Io già lo vedo nei giorni tuoi

Così, perso tra i suoi pensieri, Marco venne risvegliato dal suono dolce e squillante della voce di Michael che chiamava il suo nome. Si voltò all’improvviso e forzò un sorriso.
Erano al banco dei giudici in quel momento, e toccava proprio a lui dare inizio alle danze: non poteva permettersi distrazione alcuna.
«Marco Mengoni» ripeté. «Fai tu gli onori di casa.»
Marco sorrise, stavolta in modo naturale, afferrò il microfono e proclamò:
«Il secondo giorno di bootcamp abbia inizio!»
Urla e scalpiccii di piedi accompagnarono il suo annuncio. Marco non si sarebbe mai abituato a quella foga, ne era certo: era estasiato nel vedere con quanto calore i giudici fossero costantemente accolti, anche lui che stava appena imparando e che, per ogni passo avanti, ne faceva due indietro. Aveva già tutto l’amore del mondo se solo guardava negli occhi uno solo dei suoi fan.
Allora perché essere così smaniosi per ottenere anche l’amore di un uomo che lo confondeva e basta?
Oh, no. Non si pensava a Michael. Il giorno prima era stato uno sbaglio, un gioco sporco di quel pazzo che si era messo in testa di amarlo, ma sarebbe stato diverso da quel momento in poi.
Preparatosi, a metà tra l’agitazione e l’eccitazione, Marco diede inizio ai suoi primi bootcamp.
Decise di valutare in modo il più istintivo possibile, d’altronde la musica stessa per lui era istinto puro. Si curò, tuttavia, dello stile e dell’originalità di ciascuna band e, ulteriormente preciso, fu attento a quanto fossero amalgamati i singoli elementi di ogni gruppo. Se non erano tutti sullo stesso livello, se una voce prevaleva sull’altra o due strumenti discordavano, li avrebbe mandati via e così fece, forse tentando di zuccherare un po’ troppo i suoi giudizi. I suoi colleghi criticarono il suo eccessivo tatto, poiché non faceva che rallentare il ritmo dei provini, tanto da guadagnarsi il soprannome di “lumacone”, da parte di Michael, ovvio.
Qualche turno dopo, arrivò la sua girl band preferita dalle prima audizioni, le Pop Coture. Furono strepitose, meglio, divine nella loro interpretazione di Behind the wall di Tracy Chapman, anche se Irene le giudicò dicendo di loro che avevano “troppa America e poca Italia”.
Marco rifletté seriamente su quel giudizio.
«Irene ha ragione» sentenziò, quando fu il suo turno. «Questa è una delle regole più importanti per me. Se verrete scelte per partecipare al programma, così come tutti gli altri concorrenti, prima della prima diretta dovrete trovare un nuovo nome per la vostra band, che sia in italiano.»
Sulle sedie, una squadra dall’improponibile nome americanizzato sbottò con sbuffi e polemiche tutt’altro che velate. Anche parte del pubblico si alterò, facendo piovere fischi sul nuovo giudice.
Marco strinse i denti: aveva incasinato tutto con quell’uscita azzardata. Fu sul punto di perdersi d’animo. La sua reazione istantanea fu quella di guardare Michael, giusto per vedere cosa ne pensasse: gli occhi nocciolati dell’uomo lo incitavano a prendere posizione; una volta fatta una dichiarazione, tale doveva restare e non si tornava indietro. Quello sguardo d’intesa gli diede la giusta carica per rilanciare. Tornò a osservare le Pop Coture e rispose al pubblico: «Mi dispiace se non siete d’accordo. Ma questo è X Factor Italia e le band devono avere un nome italiano. Questo è quanto.»
Il piccolo coro di fischi continuò per un po’, finché Marco non si sbrigò a decretare che le Pop Coture erano più che meritevoli di una sedia.
Alla fine, Marco si accasciò sulla sua poltrona da giudice e tentò di affondarvi dentro.
«Sei bravissimo» gli sussurrò Michael, chinandosi verso di lui. «Tu hai schivato un grande desastro
Annuì, mordendosi le labbra. L’ultima cosa che avrebbe voluto era che Michael divenisse la sua ancora, soprattutto non voleva mostrargli le sue debolezze. Eppure si ritrovò a sorridergli di gratitudine: non solo era un giudice esperto e navigato, ma l’istinto, ciò che guidava sempre Marco nel bene e nel male, gli aveva detto che, se c’era una persona in grado di tirarlo su e indirizzarlo nel modo più appropriato solo con uno sguardo, quello era proprio Michael.
Dannazione a lui.
 
A questo punto a me non serve
Adesso più niente

Dopo un paio d’ore, le sei sedie erano ormai complete e Marco si trovò sul punto di decidere chi di loro si dovesse alzare per far posto alle due gemelle Di Specchio (palese nome d’arte). Nel pieno di quell’ardua decisione, Michael si chinò nuovamente verso di lui. Marco pensò volesse dargli un opinione tecnica, o complimentarsi di nuovo; di certo, non si aspettava ciò che gli giunse all’orecchio.
«Tu porti ancora gli slip che ti ho regalato io?»
Sussultò e avvampò. Oh, quegli slip.
Il giorno del suo ventiseiesimo compleanno, Marco lo aveva passato insieme a Michael, il quale, tra molti doni pieni di dolcezza, gli aveva fatto un regalo più piccante rispetto agli altri: un paio di mutande color prugna, provviste di push-up. O, come recitava la confezione, una straordinaria e rinnovata tecnologia super push-up che avrebbe reso le sue notti magiche ancora più magiche.  
Chiuse immediatamente le gambe al solo pensiero.
«No» bisbigliò infine, cercando di mantenere la calma.
Michael sghignazzò. «Allora tu sei molto meglio di che ricordavo io.»
Tornò al suo posto sorridendo, Marco, invece, si deconcentrò.
Non sapeva quali fossero le intenzioni di quel pazzo adorabile, ma una cosa era certa: non gli stava rendendo le cose facili. Un giorno erano amici, quello dopo si concedevano teneri baci e adesso lui si metteva a decantare le doti delle sue, inconsuete quanto imbarazzanti, dimensioni? Le cose si stavano facendo decisamente troppo complicate.
Alla fine, Marco decise di far subentrare le Di Specchio al posto dei tizi con il nome improponibile, con un giudizio blando e tutt’altro che ben formulato. Sicuramente, la band eliminata lo avrebbe odiato a morte per il resto della sua carriera di giudice.
Sospirò, mentre decideva quali altri concorrenti tenere sulle sedie e quali sacrificare. Era dura, sì, ma dopo aver visto, nel corso delle passate edizioni, giudici piangere dallo strazio di dover fare alzare dei ragazzi che se lo meritavano, si persuase che fossero davvero soltanto trucchi televisivi. Erano tutti ragazzi meritevoli, ma l’obiettivo era trovare quel fattore X tanto nominato e, per quanto crudele fosse quel meccanismo, Marco ne apprezzava la metodicità.
«Sbaglio o tu non ha più la tua concentrazione?» soffiò all’improvviso Michael, in modo lascivo.
Ovviamente aveva ragione e le gambe di Marco si strinsero tra loro ancora di più. Si morsicò le labbra, lasciando che il rossore aumentasse sulle sue guance e formulando giudizi a malapena coerenti sulle concorrenti che passavano di fronte ai suoi occhi. Tenero, disse il pubblico. Timido, ma giusto. Forse,infondo, non era poi tanto male come giudice. Probabilmente era questo il suo modo, a detta del pubblico, di esprimere la tristezza per quel metodo di selezione così doloroso.
In realtà, Marco era semplicemente imbarazzato, esattamente come il giorno prima. Michael lo faceva di proposito, lo stuzzicava quando non poteva reagire e lo faceva morire di voglia quando questa non poteva essere sfogata. Cercò di ripetersi che faceva così solo perché sesso e amore, per lui, erano una cosa sola; e, a dirla tutta, ricevere le sue attenzioni lo mandava in estasi.
 
Ho perso tutto e tutto me
Ho davanti il futuro insieme a te
Ma poi, tutt’a un tratto, l’angoscia lo colse allo stomaco.
Si stava facendo guidare dagli ormoni o dal cuore? E con quale parte del corpo stava ragionando Michael, nel suo tentativo di riaverlo con sé?
A che gioco stavano giocando, esattamente?
«Sei così sexy quando ti agiti» gli sussurrò poco dopo, con voce roca.
Marco tentò di ignorarlo, insicuro su cosa volesse e sul perché lo volesse. Poi piantò gli occhi sull’ultima band da giudicare che, per quanto brava, secondo Marco non aveva sufficiente fattore X per meritare una sedia. Una volta concluse quelle difficili selezioni, si fermò a contemplare la sua scuderia, ricca di talenti variegati e particolari, ma anche di nomi americanizzati e di pessimo gusto.
Vi fu una breve pausa che consentì ai giudici di andare a rinfrescarsi, di prendere qualcosa da mangiare o, nel caso di Marco e Michael, di uscire fuori dagli studios a passo di marcia.
«Marco, Marco, Marco. C’è qualcosa che vorresti dirmi?» sorrise, trionfante, una volta che furono usciti.
«Tu non mi ami, vero?» se ne uscì.
 
Su sentieri irraggiungibili
Sguardi fissi percorribili
Le parole di Marco stupirono perfino lui stesso. Non intendeva chiederglielo, si era imposto di attendere, di vedere come Michael si sarebbe comportato prima di affrontare quel discorso. Evidentemente, il suo cuore e la sua mente non parlavano la stessa lingua.
«Sì, invece» rispose Michael, come fosse la più ovvia e scontata delle verità.
L’altro sospirò e scosse la testa. «Mi dispiace, Michael. Io non ti credo.»
«Che cosa?»
Marco doveva pur trovare qualcosa che lo liberasse da quell’opprimente sensazione così piacevole che quell’uomo provocava in lui. Non era che un’illusione passeggera, destinata a svanire. Questo si disse e, pur pentitosi delle sue parole, non demorse neanche per un istante. «Prima ti ho consolato quando hai lasciato Tim e forse mi sei riconoscente. Magari ti manca il contatto fisico, può essere che tu abbia voglia di, ecco, di sesso. Mi sei grato e vorresti che noi... lo sai, ed è facile confondere queste sensazioni con l’amore a volte. Soprattutto visto che ora sei in un momento così delicato della tua...»
«Tu hai paura.»
Marco lo fissò, stranito, sul viso una maschera di puro caos. Era così confuso: dentro di lui, tenerezza e conforto e timore e rabbia e gelosia si mescolavano tutti insieme, vorticando a velocità supersonica e impedendogli di ragionare da essere umano qual era. Per un attimo, temette di svenire a causa di quel turbinio soffocante di sensazioni contrastanti. Marco voleva Michael, ma lo voleva vicino al cuore o vicino al desiderio? Lo avrebbe tradito come aveva tradito Tim, con lui? Si sarebbe pentito di aver scelto un italiano senza un nome importante al giovane rampollo Van Der Kuil? Non voleva tornare a essere il suo amante, ma si sarebbe accontentato di qualunque cosa pur di averlo di nuovo per sé.
Di certo, però, non provava paura.
«Cosa?»
«Questo è scuse, perché tu hai paura.»
«Non è vero» dichiarò con caparbietà.
Michael lo guardò negli occhi. «Allora tu guarda me e dici che non hai paura di amare me di nuovo.»
 
E dimmi dove siamo
Per volare più lontano
All’improvviso, gli occhi di Michael divennero troppo luminosi e il suo sguardo troppo intenso, troppo pesante. Si sentì schiacciato da qualcosa di più grande di lui e in qualche modo, seppe che qualcosa lo faceva star male dentro.
Avrebbe pianto molto volentieri.
«Chi è di scena!» urlò Irene, piombando all’improvviso alle spalle dei due innamorati, che subito si ricomposero e tornarono in sala.
Marco si morse la lingua. Avrebbe voluto parlare, dire di più, ma la sua bocca era arida di parole e la sua gola chiusa, sopraffatta dalle emozioni. Le parole, quelle giuste, ancora gli danzavano sulla punta della lingua, creando un prurito che chiedeva di essere liberato e Marco seppe che se non avesse aperto bocca per dare fiato alla sua verità, sarebbe esploso.
Scosse la testa, scacciando quegli inopportuni pensieri.
La trasmissione era ricominciata.
Il primo concorrente di Irene entrò. Si trattava di un ragazzino dal look punk e dalla voce disarmonica e molesta, il quale sentiva di essere già arrivato alla vetta.
Toccò a Marco l’arduo compito di commentare per primo quell’esibizione tremenda.
Non aveva la testa e il cuore al posto giusto per poter formulare un giudizio di senso compiuto, o per dire qualcosa che non fosse “Michael, sposami o uccidimi”. Un po’ estremo, ma rendeva l’idea di ciò che provava.
Prese un profondo respiro: lo spettacolo doveva andare avanti.
«Dobbiamo essere sinceri oggi. Se non siamo sinceri oggi, allora quando?» fece una breve pausa, per raccogliere le parole e disporle al meglio. «Ci sono delle situazioni nella vita in cui bisogna dare il meglio di sé, o se non altro bisogna provarci. Quando non si riesce, di solito è per due motivi: o perché te ne importa troppo, dunque l’emozione ti gioca dei brutti scherzi, oppure non te ne importa abbastanza.»
Guardò i suoi colleghi, i quali annuirono gravemente: sembrarono fieri della sua considerazione, come se tutti pensassero lo stesso. Tranne Michael, che sembrò completamente assente.
Il piccolo punk tentò di difendersi. «Ma che diamine ti inventi? Non è...»
«Impara ad ascoltare innanzitutto» sollevò una mano, interrompendolo. «In entrambi i casi, vuol dire che semplicemente non sei all’altezza della situazione. Questo non è che l’inizio di ciò che potrebbe essere, ma se fai questi sbagli adesso, che ancora la tua carriera non è iniziata, cosa farai quando questo accadrà? Manderai tutto all’aria perché non te ne frega abbastanza?»
Stava parlando del concorrente o di se stesso? Michael parve pensarla in quest’ultimo modo e, in un certo senso, anche Marco: il suo discorso era pregno della loro storia la quale, mai iniziata, era diventata una matassa confusa, piena di nodi e di fuliggine di un fuoco ormai spento. Per un attimo, temettero che l’unica cosa che li legava fosse quel vago ricordo di passione.
«Forse non sei adatta a essere qui, forse sei venuta qui pensando solo “Io ci provo, così, per gioco”. Beh, ti dico una cosa: se è così, stai sprecando il tuo tempo e il nostro e non solo, stai togliendo il posto ad altre persone che magari lo desidererebbero molto più di te. Dimmelo, tu ci credi in quello che stai facendo? Oppure stai solo giocando?»
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle

Il ragazzo non parlò, colpita dal modo in cui Marco si era imposto. Quest’ultimo neppure si era accorto che, nella foga, si era alzato dalla sedia. Si rimise al suo posto, vergognandosi profondamente.
Marco amava Michael.
 
Giuro, io lo aspetterò
Non lo avrebbe mai confessato ad anima viva, ne fosse andato della sua stessa vita. Ma era bastato pensare che lo rivolesse non come uomo, ma come amante, per far risvegliare in lui una furia cieca che era andata ben oltre quello che si erano detti, che avevano fatto, che lui aveva fatto a Marco. Non poteva più negarlo oramai.
Semplicemente, lo amava ancora e non poteva più nasconderlo. Era arrabbiato, perché temeva che Michael in lui vedesse soltanto quello che gli uomini avevano sempre visto in lui: un puledro da cavalcare. Ma l’emozione lo spingeva ben oltre quella convinzione, forse giusto nell’intento di illudersi ancora.
Le orecchie gli fischiavano per le urla che aveva emesso. Aveva creato silenzio attorno a sé e Michael, bloccato dalla fobia per i timori forti e forse dalla sorpresa, divenne paonazzo in viso. Nessuno degli altri giudici osò fiatare, se non Irene. Inutile dire che, per il primo concorrente degli under uomini tanto particolare non c’era posto sulle sei sedie vuote.
Marco fissò quelle, per non girarsi neanche una volta a osservare un Michael che, incredibile a dirsi, parve confuso tanto quanto Marco.
E, per tutta la durata delle riprese, gli occhi del più giovane oscillarono tra l’essere aridi e umidi, tra il deserto e il mare in tempesta.
 
Il mattino seguente, Marco bussò con insistenza alla porta di Michael.
Parve quasi che l’agnello andasse a bussare alla tana del lupo ma, per qualche strana ragione, Marco forse pensava di essere l’unico ad avere il diritto di sentirsi triste, deluso o amareggiato tra loro due. Il viso spento che il suo amato e odiato libanese aveva sfoggiato, la sera prima, lo aveva non poco seccato.
O forse, semplicemente, non sopportava l’idea attendere un mese per rivederlo, in attesa degli Home Visit. Questa era al verità che Marco celava al suo cuore: potevano anche litigare, darsele di santa ragione e insultarsi, bastava solo che lo facessero ogni santo giorno senza mai smettere.
 
Anche se a volte
Lascio dietro un po’ più di luce
Quando Michael gli aprì, Marco faticò a concentrarsi, visto che quell’uomo riusciva a mozzargli il fiato anche in t-shirt da notte e pantaloni della tuta.
«Marco.»
«Ok, che ti è preso ieri? Ti sei offeso? Ci sei rimasto male?» sbraitò, entrando in casa.
Michael rise. Sul tavolino da soggiorno, Marco notò una bottiglia di Jack Daniels vuota. «È così che fai colazione?»
«No, così io ceno» lo corresse, stropicciandosi gli occhi. Nel suo fiato, Marco non avvertì neanche un vago sentore di alcol, quindi dovette attribuire quella specie di intorpidimento a tutt’altro.
«Ti ho svegliato, forse?» domandò, con aria colpevole.
Annuì. «Sì, ma non è niente. Sognavo te.»
«Bene» commentò. «Cosa hai sognato?»
«I bootcamp di ieri» fece, amaro. «E come tu hai parlato di noi a quel ragazzo.»
Sì, ammetteva che non era stata una bella mossa scaricare sul ragazzo tutta la frustrazione che provava per Michael. Ma, per fortuna, solo loro due se n’erano accorti.
«Non ho parlato di noi» puntualizzò.
Come se la scenata del giorno prima non fosse già abbastanza, si prendeva addirittura il lusso di provocarlo, quando Michael sapeva benissimo che ogni singola parola di quel discorso troppo concitato era riferita a lui.
«Ah, no?» sorrise, tanto con le labbra quanto con gli occhi. «Quindi tu non è confuso perché tu ami me ma hai paura che io ti voglio solo per il sesso?»
Marco per poco non si ritrovò a urlare. Era insieme frustrato e sorpreso ed entrambe quelle sensazioni scaturivano dal modo in cui Michael aveva sondato perfettamente la sua anima.
 
Su quella scia io traccerò
L’irrazionale che c’è in me
«Ridicolo» borbottò appena, mentre lui si faceva sempre più vicino.
«Sicuro? Io ho pensato tutta la notte» continuò, avanzando lentamente, «a che tu aveva paura ieri. Ma non che tu ami me, no, tu hai paura che io amo te. Questa è la verità.»
Marco fece cenno di no con il capo, finché la sua schiena non incontrò la parete fredda. Oh, no, l’aveva di nuovo bloccato al muro?
Cercò di sfuggirgli, ma Michael lo prese per i fianchi e lo spinse contro la parete. Fatemi morire, vi prego, pensò Marco, perduto nell’inebriante sensazione che le mani di Michael, leggermente strette sui suoi fianchi, gli provocavano. Bella, era dannatamente bella.

«Non è vero» balbettò. «Tu non mi ami. È tutta una cosa di ormoni.»
Si morse le labbra. Ogni volta che cercava di difendersi, faceva peggio. Infatti gli occhi di Michael si accesero di una luce furba e incantevole, poi fece aderire perfettamente i loro petti.
«Quindi se io ora ti bacio, tu non provi niente e nemmeno io?» soffiò, a un centimetro dalle sue labbra. Troppo vicino.
Marco, il viso in fiamme, le mani tremanti, il corpo teso che cercava in vano di sottrarsi alla presa di Michael, sospirò un flebile: «No, niente.»
 
E in equilibrio anche in bilico
Il vuoto sembra ancor più logico

Michael spostò le labbra e, invece di dedicarsi alle sue labbra iniziò a baciare il punto debole di Marco: il suo collo.
«Io ti voglio nel mio letto» sussurrò.
Quel gesto, quelle labbra umide e quel fiato caldo misero Marco al tappeto, facendolo mugolare e balbettare un poco convinto: «Smettila... per favore.»
«Io ti voglio con me, sul mio divano, a guardare film alla sera» proseguì, scivolando sempre più giù con la bocca. «Ti voglio con me la mattina che io preparo colazione. Ti voglio con me a X Factor. Ti voglio sempre. Io ti amo, io lo so e tu lo sai perche tu ami me.»
«No» gemette, sia per negare ciò che provava per Michael sia per via di quei baci, troppo sensuali ed eccitanti per permettergli di ragionare. Il suo cuore palpitava al ritmo della sua voce.
«So che quello che faccio ti piace» sorride, iniziando un percorso sulla sensibile pelle di Marco, fatto di ghirigori lenti e paradisiaci. «Dillo o non smetto mai.»
Non smettere mai, avrebbe voluto dirgli.
Serrando gli occhi, Marco trovò la forza di scostarsi dalle labbra di Michael, una dolce tortura, che sembrò non finire quando egli poggiò la fronte alla sua e parlò, quasi sfiorando le sue labbra.
«So che ti piace quello che faccio» ripeté, «come so che ti amo.»
Lo aveva detto, più volte, con convinzione e senza esitare.
Marco pensò di baciarlo. Lo aveva già baciato prima di allora, molte volte. Ma si trattava baci consolatori, dolci, baci da uomo infatuato. Quello sarebbe stato diverso.
In quel momento si sentiva nudo. Non era pronto a tanto.
«Tu mi ami, Marco?»
 
E dimmi dove siamo
Per volare più lontano
Schiusero entrambi le labbra, caldi nel viso e dolci negli occhi, pronti a un vero bacio d’amore.
«Mica!»
Un bussare impetuoso fece sobbalzare entrambi a un soffio dal bacio.
«I’ve got a good new for you, my darling
Michael se ne uscì con una parolaccia. Non lo aveva mai fatto se non per casi eccezionalmente rari.
A Marco mancò la terra sotto i piedi.
«Chi è?»
«Mia madre.»
Le ossa di Marco tremarono come scosse da corrente elettrica. La donna alla quale aveva scritto scusandosi e che gli aveva risposto a pesci in faccia, ora era lì, in Italia? E diceva di avere buone notizie per Michael?
«Nascondi» gli ordinò quest’ultimo. «Vai in mia camera, ora.»
Come un automa, sopraffatto dal timore e dall’angoscia, Marco corse nella stanza di Michael e chiuse la porta con un tonfo secco, come per sfuggire a quella situazione fin troppo complicata. Ancora aggrappato alla maniglia con entrambe le mani, si accasciò sul pavimento, mentre le voci di Michael e della sua dolce mamma si diffondevano nella casa, serpeggiando tra le stanze fino a scivolare sotto la porta di Marco e penetrare attutite alle sue orecchie. Le nocche livide mollarono la presa sulla maniglia, la quale non si richiuse perfettamente, ma lasciò aperto uno spiraglio, dal quale Marco poté assistere, pur nell’assenza, alla conversazione in un impeccabile inglese.
Nascosto.
Come un amante.      
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
«Ho ottime notizie per te» diceva, in inglese di Londra, la signora Jonni Penniman.
«Devono essere proprio belle se vieni fin qui per dirmele» udì una lieve risata da parte di Michael.
«Ho parlato con Tim. Dopo averci riflettuto a lungo, ha deciso di perdonarti e ha acconsentito a sposarti!»
«Che cosa?»
Marco dovette tapparsi la bocca, per non singhiozzare come un bambino in preda alla disperazione. Senza sapere bene perché, il pensiero di Michael all’altare con Tim lo distrusse più di quanto non avesse fatto la prima volta.
«Per fortuna ancora non abbiamo disdetto nulla» spiegò Jonni, concitata. «Quindi la data e il locale restano gli stessi e, beh, anche gli sposi! Oh, tesoro, non è stupendo?»
Dì di no, pensò Marco, quasi implorando silenziosamente. Ti prego, dille di no.
«No.»
Un tale sospiro di sollievo, Marco non l’aveva mai tirato in vita sua.
«Come dici, Mica?»
«Mamma, io ti sono grata per essere venuta qui, ma sai che io non voglio sposarlo. C’è un motivo per cui l’ho lasciato.»
«Sì, perché lui si era ingelosito per quell’italiano. Ma ora è tutto apposto.»
«No, mamma, non è tutto apposto.»
«Perché no?»
«Io non voglio il matrimonio, e non voglio Tim, non più almeno.»
Vi fu una pausa, nel corso della quale Marco poté constatare di aver pianto senza neppure rendersene conto.
«Mica, è per il ragazzo italiano?»
«E anche se fosse?»
 
Giuro io lo aspetterò
Vi fu una pausa interrotta da dolci sospiri materni.
«Lascia che ti dica una cosa, figliolo. L’amore è stupendo, la cosa più potente al mondo, la base del matrimonio. Ma dopo vent’anni che sei sposato capisci che l’amore non basta più: c’è bisogno di sicurezza, emotiva e finanziaria. Tim può darti tutto questo.»
«Sai chi mi dà sicurezza?»
«Indovino. Quell’italiano?»
«Sì, Marco. Con lui sono sicuro di quello che sono e di quello che faccio, non devo fingere né cercare di essere migliore, perché gli vado bene così come sono, anche quando faccio schifo con lui. Questo non si paga, mamma.»
«Le bollette si pagano. Il mutuo si paga. Il cibo anche si paga, Mica» alzò la voce. «Parli come se non sapessi come ci si sente a essere poveri.»
A quel punto, Michael venne zittito.
Jonni proseguì: «Forse credi di amare il ragazzo italiano perché è carino e divertente. Ma la sua non è una famiglia importante, non ha un conto in banca, ha solo... un bel sorriso e tanti soldi ammucchiati che ha guadagnato da qualche buona canzone e che un giorno perderà. Questo non costruisce un futuro.»
«È il presente che voglio costruire con lui.»
Il cuore di Marco palpitò talmente forte che temette gli potesse esplodere nel petto. Quelle parole lo stavano stravolgendo, distruggendo tutta quella fitta rete di pensieri formulati e consolidati fino ad allora. Sarebbe morto d’amore, di questo passo.
«Sai che non c’è nulla che mi importi di più della tua felicità.»
«Bene, mamma. Allora torna da Tim, digli che abbiamo passato dei bei momenti insieme, ma che se lo avessi amato tanto da sposarlo, non mi sarei innamorato di Marco fino a inseguirlo in capo al mondo.»
«Oh Mica, ma tu non vuoi proprio capire» si impose. «Tim ti ama, tu ami Tim e voi vi sposerete. Non butterai dieci anni di amore al vento.»
«Tim non mi ama. Forse crede di amarmi ma, se così fosse non arriverebbe a mandare te per convincermi a sposarlo. Io l’ho amato, mamma. Ma adesso non riesco più neanche a pensare a qualcuno che non sia Marco.»
«Ti spezzerà il cuore. È solo un lurido italiano!»
«Il mio Marco non è un lurido italiano» strillò. Silenzio. «E io cosa sono, allora? Io sono un gay. Un idiota dislessico. Un libanese. Tutte etichette che gli altri mi appioppavano e che tu hai passato la vita a distruggere, e adesso ne stai mettendo a Marco?»
Non poteva. Michael non poteva rinunciare al perfetto rapporto che aveva con sua madre soltanto per lui, che si era sempre dimostrato mutevole e lunatico nel carattere, oltre che ingiusto nei comportamenti. Era solo un brutto sogno, doveva esserlo.
Quando realizzò che lo aveva definito suo nel difenderlo, riprese a piangere più forte di prima.
«Lui ti ama?»
Sospirò. «Non lo so.»
Sì che lo sai, avrebbe voluto urlargli. Lo sai da sempre.
«Però, mamma» continuò, con decisione, «preferisco passare la vita a cercare di capire se mi ama, che sprecare un solo giorno sposato con un uomo tale da soddisfare il tuo interesse: far fare a uno dei tuoi figli un buon matrimonio.»
Sentì dei rumori. Passi, fruscii, chiavistelli... Jonni stava andando via?
«Quando capirai che l’unico interesse è quello del ragazzo italiano, quando lui ti deluderà e ti butterà giù, ricordati che io ci sarò ancora per te. Ma Tim no.»
La porta si aprì e si richiuse con forza.
 
E non importa se poi cadrò
No, no, no, no

No, no, non poteva averlo fatto. Non poteva aver rovinato la vita a Michael.
Al suo Michael.
Non era neppure intervenuto per spalleggiarlo, o tirarsi indietro, non era riuscito a fare nulla se non ascoltare e frignare. Che un uomo terribile era Marco?
Si rimise a fatica in piedi, le lacrime che ancora bagnavano il suo viso e annebbiavano la sua vista. Arrancò verso il soggiorno a passo felpato: lì, Michael era accasciato sul divano con la testa tra le mani. Risentiva del duro alterco avuto con sua madre, nel quale aveva perso la sua stima e l’ultima opportunità di tornare con il suo promesso sposo.
«Michael» tartagliò, con voce lamentosa.
 
Ci proverò ripartendo da lì
Lui si girò di scatto e, nel vederlo sconvolto, capì immediatamente. Aveva sentito tutto e aveva capito, per lo meno a grandi linee.
«Oh, Marco, se io sapevo che mamma veniva qui, ti tenevo lontano da lei.»
Marco si sedette accanto a lui.
Tirò su col naso, mentre con il lembo della maglia, Michael gli asciugava le lacrime sulle guance, implorandolo di non piangere.
«Hai mandato a puttane la tua vita solo per me» constatò, sotto shock.
Michael fece spallucce e, così facendo, ripeté una frase che già una volta aveva persuaso Marco a tornare da lui. «Io ti ho detto. Io non vivo senza di te.»
Come esausto, si poggiò allo schienale del divano, mentre Marco gli poggiò la fronte sul petto, sorprendendolo.
Sospirò, liberando un singhiozzo. «Tu mi ami.»
Michael lo circondò con un braccio, facendogli sollevare il volto. Sorrideva. «Io cerco di dirtelo da quando io sono in Italia.»
Gli carezzò i capelli con l’altra mano, trovandoli sorprendentemente soffici.
«Me ne sono reso conto quando tua madre ha parlato.»
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
Marco, letteralmente circondato dal calore di Michael, con le sue mani attorno al corpo e la consapevolezza del suo amore, vero e incondizionato, in un modo che non sarebbe mai stato capace di spiegarsi, versò lacrime di commozione.
«Anche io.»
Avvertì il battito di Michael mutare sotto il suo viso, bloccandosi per poi accelerare di colpo. Un cuore che batteva al ritmo con il suo.
«What are you talking about?» chiese, temendo di aver capito male.
Marco sorrise tra le lacrime, finalmente felice di poterlo dire ad alta voce.
Era il momento di farsi forte delle sue fragilità. Doveva, e poteva farlo, rischiare tutto e scommettere sui suoi sentimenti: era il momento di essere libero.
«Io ti amo, Michael.»
 
Dimmi dove siamo
Per volare più lontano
Poi chiuse gli occhi, non potendo più reggere lo sguardo di Michael, troppo amorevole, troppo grande, semplicemente troppo. Ma questi fece altrettanto e con la bocca trovò la sua e, sentendosi l’un l’altro in un dolce sapore, gli diede quel primo bacio di vero amore tanto agognato. Un bacio che non sapeva di amanti e di sotterfugi, ma di amore alla luce del sole, di lacrime di gioia, di verità. Marco cedette, nel corpo e nel cuore, sicuro che le braccia di Michael lo avrebbero sorretto. Lo baciò finché non ne ebbe più respiro e anche quando non l’ebbe più, respirò Michael e si fece respirare a sua volta, senza neanche per un minuto pensare di interrompere quell’idillio.
 
Il tempo non si sceglie
Puoi sentirlo sulla pelle
E si maledisse, si maledisse cento volte. Ma non per essere stato così sciocco da cedere.
Bensì da aver tardato così tanto a capire.
 
Giuro, io lo aspetterò
 
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Inizialmente, questo capitolo doveva essere suddiviso in due capitoli. Ma poi la mia meravigliosa beta, comeunangeloallinferno94, mi ha convinta che un capitolo unico sarebbe stato meglio. E io penso che abbia avuto ragione.
Beh, cosa dire di più? Spero vi sia piaciuto (è il più lungo da me scritto fin ora), ancora grazie beta mia ♥
Baci.

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Capitolo 9
*** L'estate mia migliore ***


La nostra estate
 
«Abbiamo fatto scandalo?»
Michael si ridestò da quella specie di torpore in cui era caduto dopo che, tra un bacio appassionato e l’altro, Marco aveva deciso che andava bene accoccolarsi con la schiena contro il suo petto e restare abbracciati come fossero da sempre uniti in uno, da due. Michael per poco non era morto d’infarto di fronte a tanta tenerezza e si era ritrovato a ringraziare mentalmente sua madre per essere venuta a fargli la predica proprio quando Marco poteva sentirla: finalmente, aveva capito che il sentimento nutrito nei suoi confronti era vero e, esattamente come si sperava, era ricambiato.
Per un attimo, un crudele attimo di terrore, non era stato sicuro che Marco fosse innamorato: dinanzi alla sfrontata sicurezza di sua madre, era arrivato a dubitare perfino che qualcuno potesse realmente amarlo.
 
Tempo sei per me
Il migliore che ho

Gli sembrava tanto di rivivere quel momento di tre anni prima a Dublino, quando qualcosa tra loro era scattato. Quando avevano acceso la fiamma, quella pericolosa, bellissima fiamma d’amore.
 
«Marco, possiamo noi parlare?»
Marco scuote la testa. Mi sento morire dentro: non mi parla perché vicino a noi ci sono tecnici, cameraman, stagisti, tutti presenti per vederci all’opera durante gli Home Visit di questa settima edizione di X Factor.
«Vadiamo da altra parte» dico.
La sua faccia terrorizzata mi getta nello sconforto, ma a volte a questo ragazzo bisogna dare uno scossone se si vuole che reagisca. Lo prendo per un polso e lo porto in una stanza isolata dello Shane Castle, un antico castello irlandese nonché albergo a cinque stelle, tranne oggi che è stato chiuso al pubblico solo per noi: le riprese di un programma di tale livello necessitano di un luogo appropriato.
Chiusi in quella camera sfarzosa, potremo finalmente parlare.
«Che cosa è successo, Marco?»
Sgrana gli occhi, quei meravigliosi occhi scuri, che mai avevo visto in vita mia prima di conoscerlo. Spalanca la bocca, un ovale rosso vivo.
«Tu, a me...» balbetta, come fa quasi sempre, «mi hai baciato! Come hai fatto a baciarmi?»
Mi astengo dal dirgli quanto sia semplice e, soprattutto, quanto in questo momento vorrei avventarmi su quell’ovale scarlatto così invitante.
Sorrido al pensiero. «Bocca su bocca, così io bacio. Tu come fa?»
«Non è questo il momento di scherzare» farfuglia, poi inizia a misurare a grandi passi la stanza. «Io ero fuori a fumare una sigaretta in santa pace, avevamo appena parlato della tua convivenza con Tim, qualcuno poteva vederci!»
«Marco, tu respiri» lo prendo per le spalle e lo costringo a guardarmi. «Tu pensi una cosa per la volta, ok?»
Annuisce, con il fiato corto. «Io non vado con gli uomini fidanzati. Non faccio l’amante, soprattutto di uno che è impegnato da più di sette anni.»
Capisco perfettamente cosa voglia dire. Dio solo sa quante volte sono stato io, l’amante della situazione.
«Io e Tim vuole molto bene» cerco di spiegare, «ma cose è così fredde tra noi. Sono tanti mesi che io ti pensa, ti guarda, ti vuole tutte le volte che io è con lui. Oggi, io ho avuto il coraggio di darti un bacio, finalmente.»
Sta per dirmi che sono una persona orribile, lo so. Che dovrei lasciare Tim se c’è qualcosa che non funziona e che, sicuramente, lui non vuole essere secondo a nessuno. Ma qualcosa, una sensazione che ho dentro, mi fa sperare in una reazione positiva. D’altronde, la sintonia che c’è tra di noi è a dir poco palese. Qualcuno la chiama, qui in Italia, “alchimia”.
«Noi ha la alchimia» aggiungo, ricordandomi di quella parola tanto bella che associo immediatamente a qualcosa di magico e misterioso, un po’ come il segreto dell’amore: non sai quando nasce né perché, ma quando arriva lo riconosci benissimo.
Marco mi interrompe, con voce flebile e incerta. «Anche io ti ho sempre pensato, nei mesi in cui ci sentivamo spesso.»
Sorrido e il cuore mi si gonfia nel petto dopo un orribile momento di timore e incertezza.
Oh, sì, questo è proprio amore.
 
«Scandalo?»
 
Il più breve che c'è ad ogni passo sento che
Sarò con te sotto un cielo leggero

Marco si voltò leggermente per guardarlo. «Con la tua famiglia, dico. Stando a quanto dice tua madre, nessun Penniman si è mai messo con un italiano» l’ultima parola venne pronunciata di fretta, quasi senza respirare, evitando che aleggi nell’aria e la appesantisca.
Così Michael, percependone il timore, andò in soccorso del suo uomo. «Sì, io sono il primo Penniman che sta con un italiano» ricalcò quel termine, onde evitare che divenisse un tabù, «ma se pensi che li miei fratelli sono tutte single, ma Paloma ha un compagno e non vuole sposare...»

«Lo scandalo è la norma in casa vostra, ho capito» sorrise.
«La mamma ci chiama i garnements, che è come dire “bambini monelli”» scosse la testa con un sorriso amaro. Sapeva che sua madre aveva fatto tutto quel trambusto solo per il suo bene, ma sapeva anche, dopo anni a stretto contatto con lei, che se non le si poneva un freno era capace di far spostare le montagne a suon di urlacci.
Marco iniziò a torcersi le mani, fissandole come se in quel tramestio di dita vi fosse il coraggio per esprimere chiaramente a parole i suoi turbolenti pensieri.Michael fermò quel moto nervoso, poggiando la sua grande mano su quelle, altrettanto grandi, di Marco. Sospirò.
«Se io sono un problema, se tua madre... se io non dovessi piacerle...»
«Stop» fece, tirandosi a sedere.
Marco emulò quel gesto e lo guardò negli occhi, terrorizzato: aveva forse detto qualcosa di male?
«Tu non sei mai il problema» replicò, con un sorriso. «Tu sei la soluzione.»
 
Su un abisso profondo
Cambieranno tutti gli orizzonti intorno a noi
Di fronte al dolce rossore di Marco, non poté fare a meno che prendergli il viso tra le mani e baciarlo di nuovo.
 
Lo sto baciando di nuovo.
Stavolta è stato Marco a dirmi che potevo, anzi, ha fatto di più: mi ha baciato per primo. Certo, è stato un bacio a stampo minuscolo e fugace, ma ha spianato la strada a ben altro.
Marco è un uomo da baciare all’infinito, con quelle labbra rosse e calde, perfette per essere prese a morsi. Ma non voglio ancora spingermi oltre, ho paura di spaventarlo.
E poi, non sappiamo di preciso cosa ci stia accadendo. Prima mi era venuto spontaneo baciarlo, adesso è un atto deliberatamente fedifrago: sto tradendo Tim in piena regola, Marco è insicuro ma consenziente e nulla si frappone tra di noi eccetto quella stilla di dubbio che ancora ci tiene i cuori stretti in una morsa gelida che va disciolta. Poggio le mani sul suo petto, lo accarezzo e scaldo quel gelo.
 
Solo tu non cambierai
Scaldo lui.
 
«Ti scaldo la carne?»
Michael lo abbracciò da dietro, posando delicatamente le labbra sul suo collo. Stavolta, invece di divincolarsi, chinò il collo di lato e fece spazio a quelle labbra che, se prima erano parse malefiche e tentatrici, ora erano semplicemente dolci, tenere e leggermente dispettose. Il sorriso di Marco dinnanzi a quelle attenzioni avrebbe potuto riscaldare i ghiacci artici, tanto era radioso e irradiava tepore.
«Questa è la mia casa» gli fece notare Michael. «È io che cucino per te, non al contrario.»
Marco si voltò, stavolta osservandolo in pieno viso. Posò le mani sul suo petto, carezzandolo dolcemente.
«Per favore, lascia che faccia qualcosa per te» quasi lo implorò.
Obbediente, l’uno si sedete e l’altro proseguì, intento a preparare quel pranzo casalingo propostogli pocanzi da Michael.
Tra loro aleggiava uno strano silenzio, fatto di malinconia e cose non dette. Perfino la più solida delle case viene intaccata dalla tempesta e la loro, il loro piccolo rifugio d’amore, nella tempesta si andava ancora costruendo.
«Mi sento in colpa» sbottò tutt’a un tratto, gettando il mestolo nella padella. «In questi mesi non ho fatto che starti lontano e darti addosso per evitare che tu mi facessi del male. Solo adesso ho capito quanto io ne ho fatto a te e, a causa mia, quanto ancora dovrai soffrire. Questo non è giusto.»
Sospirarono entrambi, parlando il linguaggio del rimorso. Con i sospiri si parlava soltanto in due occasioni, una delle quali era il classico rammarico di coloro che vorrebbero rifare tutto, potendo tornare indietro.
Quest’ultimo non sapeva bene cosa dire. Marco aveva bisogno della verità nuda e cruda e, sì, il suo comportamento gli aveva fatto male, ma la colpa era stata sua, per primo.
Si maledisse non una, non cento, ma mille e più volte. Si erano fatti tanto male a vicenda, e le loro azioni parevano andare più in là dei loro cuori se il passato ancora tormentava la mente di Marco. Quel ragazzo dolce e fragile era terrorizzato all’idea di fargli del male e, quel che più contava, la consapevolezza di avergliene già fatto lo faceva tremare d’ira e di vergogna, scuotendo le vene e i polsi con forti brividi.
 
Marco è scosso dai brividi. È così bello, così fragile, ho paura quasi di romperlo.
«Non essere spaventato» gli raccomando, mentre lo aiuto a sfilarsi quell’elegantissima, ma assolutamente scomoda, camicia a body che indossa.   
«La fai facile, tu» trema come se avesse freddo, nonostante la temperatura all’interno della stanza sia del tutto estiva.
Gli prendo il viso tra le mani e poggio la fronte alla sua, piantando i miei occhi nei suoi. Deve sapere di essere al sicuro, con me. Che non gli farei mai nulla che lui non voglia o che non desideri tanto quanto me.
 
E mentre gli altri sono solo un attimo
Tu da sempre sei e per sempre sarai

Marco mi abbraccia, quasi commuovendomi. Sembra un ragazzino alla sua prima volta e io, quello che definirebbero un animale da letto, mi sento addosso una responsabilità enorme. Se farò troppo o troppo poco, se gli farò male per troppa paura o per troppa spavalderia, se farò un passo falso, ricadrà tutto su Marco e questo non lo voglio.
Lo circondo con le mie braccia e me lo stringo sul petto, tenendolo più che posso, e così uniti ci distendiamo assieme sulle lenzuola di cotone egiziano, tanto bianco da far apparire la pelle di Marco, già di per sé olivastra, ancor più scura. Ancor più sensuale.
Oh, i londinesi non hanno questo aspetto. Carini, alcuni belli, tutti chiari, biondi come il grano di giugno o castano scuro con la pelle gremita di lentiggini. Per lo più, scialbi.
L’Italia sembra la terra della tentazione, con quei corpi scolpiti e quel capelli folti, gli incarnati scuri, al limite del mulatto, le barbe ispide e incolte.
E poi c’è Marco. Marco è il tipico uomo italiano e mi fa impazzire. Come se già non amassi abbastanza questo paese, mi ritrovo ad amare un italiano. Quale sorpresa per uno come me.
Ne amo il corpo, tanto quanto il cuore, la mente, l’anima.
Questo ragazzo è mio.
 
«Mio.»
«Cosa?»
Michael allungò una mano al fornello e abbassò la fiamma fino a spegnerla del tutto. La carne si sarebbe inacidita, marcendo e creando un olezzo nauseabondo. In quel momento, però, l’unico odore presente era quello dolce di un Michael che aveva da poche ore lasciato il calore di un letto ancora sfatto, letto che ancora ne portava l’impronta e il profumo di iris e cannella tipico di quella casa.
«Tu sei mio» disse Michael.
Marco non osò voltarsi, sicché egli lo strinse da dietro e nel suo orecchio, una colata di miele si riversò nella forma di parole d’amore.
«Tu sei mio, tutto. Le tue paure, i tuoi dispiaceri, i tuoi errori, anche. L’amore è prendere tutto, quello che è brutto e quello che è bello di una persona. Tu hai preso me, con tutti i miei grandi sbagli, li hai portati via. Ora io prendo te con i tuoi e cancello da noi.»
 
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Una volta che ebbe finito di parlare, prese Marco per mano e, preso atto dello stupore di lui, capì cosa doveva fare.
Lo condusse nella camera da letto, dove trovarono quest’ultimo ancora soffice e disordinato, con l’impronta di Michael ben impressa nel materasso. Si sedettero l’uno accanto all’altro e così con trasporto si diedero un altro bacio, in cui Marco riversò ogni singolo timore e, sulla bocca di Michael, ciascuno di essi mutò in una nuova sicurezza. Le loro labbra si fusero con tanta e tale passione che l’ultimo dei segreti venne a galla e uscì dalle labbra di Marco in un gemito.
Michael sapeva cosa doveva fare per cancellare le paure e le insicurezze di Marco: si trattava di affidarsi alla natura dell’uomo e di giacere insieme su quel letto, ancora una volta, dopo mesi di malinconia.
Tornando a vivere.
Forse avrebbero dovuto aspettare, pensò Marco, tra i dubbi. La prima volta che la passione li aveva colti, sotto i cieli d’Irlanda, era stata tanto travolgente da passare su di loro come un uragano e lasciarli, stretti, scarmigliati e madidi di sudore, a chiedersi cosa fosse accaduto. Una catastrofe sublime. Un bellissimo disastro.
Quante cose, però, erano cambiate da allora.
Poi ci rifletté.
Avrebbero dovuto fare l’amore dal primo momento in cui si erano rivisti dopo tutti quei mesi di lontananza. Avrebbe dovuto prenderlo lì, su quel tavolo, di fronte ai suoi colleghi e ai produttori di X Factor e nessuno avrebbe avuto niente da ridirci, ché la loro passione sarebbe cresciuta e avrebbe occupato tutto lo spazio della stanza, scacciando via gli indesiderati –e, quando stavano insieme, chiunque era indesiderato eccetto loro due. Avrebbe dovuto assecondare l’impulso di Michael quando, la notte della sua festa di fidanzamento fallita, in quel piccolo motel londinese, erano andati vicino a unirsi di nuovo. E quante altre occasioni avevano avuto, da quel momento in poi. La notte passata insieme a casa di Marco, i momenti in cui uscivano dagli studi di X Factor per avere dei momenti da soli.
La verità era che Marco e Michael avevano aspettato abbastanza.
 
Sei tutto quello che so
L'assenza di ogni però

Si girò per affrontarlo.
Lo voleva, eccome se lo voleva.
Parlarono il linguaggio dei sospiri, ma stavolta per un motivo diverso dal rammarico. L’altro, l’unico motivo possibile.
 
«Non è impossibile.»
«Ah, no?» balbetta. «Chiedilo al mio...»
«No» sorrido, capendo perfettamente. «Ma giuro che io non fa, capito?»
Marco annuisce e mi fa una tale tenerezza. Ha una paura matta del dolore visto che, a detta sua, tutti quelli che prima di me lo hanno avuto (oh, li cancellerei uno per uno dalla sua memoria, tanta è la mia voglia di averlo solo per me) gli hanno procurato dolore, tanto che dopo le prime volte, è stato lui ad avere gli altri.
Se non potrò essere il primo per lui, per lo meno, intendo dargli una prima volta di piacere senza dolore.
So bene come fare e, sarò sincero, non vedo l’ora di avere di fronte la reazione di Marco, quando capirà quanto è bello provare unicamente goduria.
Poi, come se stessi svelando il più segreto dei misteri, gli slaccio la cintura, gliela sfilo dai passanti dei pantaloni e la uso per attirarlo a me.
Con mano dolce e leggermente curiosa, mi slaccia la camicia e me la fa scivolare dalle spalle, facendomi fremere dalla voglia di farlo subito mio. Come chi trova e scopre un territorio vergine, Marco osserva il mio torace nudo, e presto esso si congiunge alle sue labbra e una pioggia di baci lambisce il mio petto e il mio addome, in modo soave, quasi onorando la mia pelle con i suoi baci. Non resisto oltre e gli sfilo quei pantaloni blu, che ormai sono decisamente di troppo. Svelo la sua erezione, ben visibile anche sotto i boxer. Sono sbalordito dalla sua prestanza fisica, che mi lascia senza fiato.
«Non ti piaccio?» mi chiede prontamente, a metà tra la preoccupazione e il desiderio.
Tutto ciò che potrei desiderare.
«Sì» lo rassicuro, «tu è semplicemente perfecto.»
 
«Semplicemente perfetto» sentenziò Marco.
Marco osservò il petto di Michael alzarsi e abbassarsi ritmicamente, mentre pian piano scopriva il suo ventre e lo liberava da quella maglia di cotone fino, troppo opprimente per i suoi gusti.
Michael arrossì, cosa che non faceva spesso. I complimenti, diceva sempre, lo mettevano a disagio, perché sentiva di non meritarne neppure uno.
Con Marco, però, le cose erano diverse e ogni volta che quel folle uomo contemplava il suo aspetto, non aveva forza né cuore di contraddirlo. Amava il suono di quella voce e con quella poteva dire ciò che voleva, gli avrebbe concesso di tutto pur di continuare ad ascoltarlo.
«Non sei cambiato di un giorno» continuò. «Sei sempre così tonico, e liscio.»
 
E lo spettacolo di fulmini che accende il buio
Baciò Michael proprio sotto l’ombelico, facendolo scalciare leggermente e al contempo rilassare dappertutto. Marco era così: non aveva nessuna tecnica di seduzione e di certo non seguiva quelle tradizionali. Il galateo del sesso prevedeva che si iniziasse a tentare il partner a partire dal collo, o dalla nuca, tutt’al più dalla schiena. Marco, invece, aveva iniziato a baciarlo proprio là, sopra il punto in cui il suo desiderio pulsava, con una tale naturalezza che sembrava non aspettare altro da secoli.
Quella sensazione, non solo di essere voluto, ma di essere bramato con una tale intensità, rese quei baci, già di per sé eccitanti, la più erotica esperienza che potesse anche solo immaginare.
Per quanto incantato da quel delizioso trattamento, ebbe abbastanza lucidità da sfilare la maglia a Marco, il quale si interruppe solo per gettarla via. Chinatosi di nuovo per seguire il contorno dei suoi addominali con la lingua, offrì a Michael una splendida visuale della sua schiena nuda. Poi egli gettò la testa all’indietro, e chiuse gli occhi per concentrarsi sulle sensazioni meravigliose che sentiva.
 
Non può reggere oltre.
Siamo entrambi sul letto, ci stiamo baciando con una tale foga che potremmo addirittura sfondare il materasso.
I nostri corpi strusciano l’uno all’altro, creando quella frizione, quella che mi fa impazzire, che mi fa venir voglia, sostanzialmente, di violentarlo in un modo che lui gradirebbe. Ma come potrei farmi guidare dai miei istinti più bassi, proprio ora che Marco ha bisogno di essere rassicurato e confortato?
Non sa bene quello che fa, lo capisco dalla sua erezione, talmente gonfia che credo gli stia dolendo sotto la stoffa dei boxer, eppure non riesce a fare alcunché, se non continuare ad amoreggiare, con il rischio che venga così, senza aver sperimentato il piacere che intendo donargli.
 
«Se continui così» gemette Michael, la voce arrochita dalla lussuria, «io vengo in li miei pantaloni.»
Marco sorrise e osservò con venerazione il suo bassoventre, poi gli sfilò i pantaloni e i boxer, tutti e due assieme, con un solo colpo secco che lo fece urlare come una vergine alla prima notte.
«Ti ho fatto male?» domandò immediatamente, a metà tra la preoccupazione e la voglia incontrollabile.
Sgranarono gli occhi.
Michael venne colto da un forte senso di déjà-vu.
Capì che nulla sarebbe andato storto e, in quel preciso istante, anche Marco lo capì, quando si sentì rispondere: «Neanche per sogno.»
 
Strade sai ce n'è
Ma nessuna che so mi allontana da te

Lo fece voltare a pancia in giù, poi sfilò i suoi ultimi indumenti rimasti e iniziò a massaggiare le natiche di Michael con gentilezza. Quest’ultimo morse le lenzuola, che tutto desiderava in quell’istante meno che la gentilezza, eppure non avrebbe desiderato nient’altro che quello. Oh, la contraddittorietà dell’amore, i due volti della passione, quella sensazione che varca la soglia della sofferenza per sfociare nella libidine più sfrenata.
Questo era ciò che implorava da Marco.
 
«Non resisto» implora, finalmente.
Iniziavo a pensare che non lo avrebbe chiesto più.
Lo faccio voltare, in modo da porlo nella posizione più agevole possibile: niente dolore, il massimo della goduria.
Inumiditomi due dita di saliva, inizio introducendo nel suo orifizio un primo dito. Lo sento agitarsi e irrigidirsi, così inizio a esplorare le sue pareti per farlo rilassare, cercando i punti più sensibili della sua carne.
Ma dalle reazioni incontrollate che seguono i miei movimenti, capisco che ogni puto di quest’uomo è fatto per essere toccato da me. Questa sensazione di potere mi rende egoista e al contempo mi muove ad avere quanto più riguardo possibile per quel dolce uomo.
Così, continuando, lo preparo.
 
Marco lo preparò con un dito ben lubrificato.
Michael aveva preso il suo dito in bocca, succhiandolo come sapeva avrebbe fatto in altre circostanze e in modo altrettanto sensuale.
Poi Marco lo aveva introdotto nella sua apertura e il viaggio verso l’estasi di Michael era iniziato.
Si accorse, con somma gioia, che egli si premurò di compiere movimenti lenti e circolari, esplorando ogni singolo punto per trovare quello che lo avrebbe fatto impazzire. Aveva imparato l’arte da Michael, ma questi si accorse ben presto che, nelle sue mani, era divenuta cosa divina, rendendo quell’uomo, così timido fuori dalle lenzuola, un vero e proprio dio. Un dio baciato da Cupido e da Priapo.
Lanciava dei flebili urli, simili a lieti lamenti, ogniqualvolta Marco andava toccando determinate zone che lo facevano sobbalzare e stringersi al materasso, e in esso dibattersi, mostrando tutto il suo gradimento.
Una volta che fu adeguatamente preparato, le braccia di Marco lo circondarono e lo strinsero, facendo aderire quel petto forte e muscoloso alla sua candida, liscia schiena. Voltatosi leggermente, Michael lo baciò con avidità e quel bacio venne ricambiato con altrettanta cupidigia.
Poi, con un gesto preciso, sensuale e voluttuoso, Marco entrò dentro di lui.
 
Entro dentro Marco con tutta la delicatezza di cui dispongo.
Lotto contro il desiderio di appropriarmi delle sue carni con prontezza fulminea. Ma mi bastano i suoi gemiti, ben lontani dall’essere urla di dolore, a fermarmi dai miei crudeli propositi.
È bello dentro Marco. È caldo, morbido, è casa.
 
Ogni secondo sembra troppo fragile
Ma se divento un momento è un ricordo perché

Lo cingo con le braccia e bacio il suo collo da dietro. I suoi muscoli si rilassano e, se possibile, nella mia stretta di accuccia, rendendosi più amabile e allettante ai miei occhi. Si sente al sicuro con me.
Vorrei piangere dalla felicità.
 
Michael sprigionò la sua felicità con un urlo liberatorio.
Aveva pregato giorno e notte per quel miracolo e ora Marco lo aveva trasformato nella più bella e incredibile delle verità, cogliendolo quasi alla sprovvista. Ma le braccia di lui erano forti e lo tenevano stretto a sé, come a volerlo tenere al sicuro in quel viaggio sorprendente che tolse a Michael il respiro e a Marco il senno, ché prese a spingere con potenza non appena sentì Michael abituarsi alla sua presenza.
 
Aspetto che si abitui a me, dentro di lui, poi inizio a muoversi.
Come direbbe un artista che io adoro, vado e vengo dalle sue reni.
 
Anche un passo piccolissimo
Importante se sopporta il peso delle nuvole
Sempre sospirando e urlando, come se realmente nessun uomo avesse mai prima d’ora colto il suo primo fiore, asseconda i miei movimenti con spinte del bacino che mi incoraggiano ad affondare di più.
 
Marco affondò completamente tra i dolci fianchi di Michael, facendolo mugolare e ansimare. Incantevole era la sua voce mentre cantava il piacere, e presto entrambi furono inebriati da quella dolce melodia che presto iniziò ad avere il suono della fatica e del sudore, dell’avidità di avere e dell’ingordigia di volere di più.
 
«Di più» ansima Marco, col volto premuto sulla coperta.
Lo risollevo quanto basta per lasciare che il nostro bacio infinito prosegua, mentre mi muovo con più decisione, più veemenza. Lo sento godere e questo mi consuma lentamente, con il sesso che diventa sempre più simile a fare l’amore.
 
«Amore» gemette.
Marco morse il suo orecchio e torturò il suo lobo con i canini, succhiandolo a tratti. Oh, dentro la sua carne quell’uomo fu così sfrontato da farlo imporporare nelle guance. Con le mani, ancora più stringeva il corpo dell’amato e ne faceva oggetto di attenzioni e onori, lo faceva sentire a dir poco indispensabile.
 
Un esercito di sogni siamo io e te
Che da sempre c'è e per sempre sarà
Come sete, come fame, come il più basso istinto dell’uomo che si trasforma nel più alto degli atti d’amore, così Michael godette, così Marco si sentì.
 
Così si dovrebbe sempre amare.
Come la sete, come un uomo perduto nel deserto che incontra un fiore tra le dune e, per quanto pungano le sue spine, egli lo stringerà a sé e berrà dalla sua fonte facendone suo amante.
Come la fame che coglie all’improvviso e pare che non possa essa mai essere saziata fino in fondo.
Così Marco mi fa sentire.
 
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Così lo avverto, tremante e nella goduria, artigliare le lenzuola con le unghie fin quasi a strapparle, e provando l’estasi di essere una parte di lui, così io percepisco il suo orgasmo arrivare, lui invece non riesce a fare altrettanto e l’urlo che esce dalla sua bella bocca è del piacere più intenso e della sorpresa che gli mozza il fiato.
 
Quando Marco iniziò a spingere con tutta la passione che aveva in corpo, cosa che quasi mai osava fare, conoscendo bene la forza che possedeva, la vista di Michael si annebbiò, tanto forti erano le sensazioni che provava. Marco prese a stimolarlo con le dita, e la pressione del suo palmo contro quella del letto, il corpo di Marco schiacciato contro il suo, quel membro turgido e imponente che pulsava fuori e dentro di lui, furono più di quanto Michael potesse sopportare.
Gettò la testa all’indietro, e boccheggiando nel tentativo di prendere l’aria necessaria, in quel modo lanciò l’urlo che accompagnò uno degli orgasmi più forti della sua vita.
 
E riversandomi dentro di lui, tale è il piacere che questo ragazzo mi causa, che sento di aver avuto l’orgasmo più bello di tutta la mia vita.
 
Sei quello che porterò negli occhi
Ovunque sarò

 
Strinse le pareti della sua apertura attorno al suo membro, mentre si lasciava andare.
A Marco bastò sentire che Michael era venuto perché le vene pulsassero più forte e le unghia graffiassero i suoi fianchi efebici e nel momento in cui sentì le dita dei piedi arricciarsi chiamò il suo nome.
«Michael.»
E venne dentro il corpo che aveva fatto suo.
 
Il tempo mio migliore
Cos'è che ci fa partire per poi ritornare
 
«Michael» chiama il mio nome.
Subito gli prendo il volto tra le mani. «Ti ho fatto male?»
«Neanche per sogno» sospira flebilmente, sorridendo.
 
Marco continuò a tenerlo stretto a sé, sollevando per un attimo il viso, per guardalo meglio in volto. «Come stai?»
«Meglio che sempre» riprese fiato, affaticato, ma pago di piacere.
 
Torno a stringerlo a me.
Sono ancora dentro di lui, siamo sudati e nessuno dei due ricorda ancora bene come si respira.
Vorrei vivere così ogni mio giorno.
 
Quello fu il giorno più bello della vita di entrambi.
Marco aveva ritrovato un amore perduto, finalmente aveva smesso di mentire al proprio cuore e lo aveva liberato dalle catene del dubbio e della paura, lasciandolo libero di afferrare la mano di Michael.
 
Il mio cuore, oh, quello potrei benissimo cavarmelo dal petto. Ho trovato l’amore di una vita e ora il mio cuore appartiene a lui. Penserà forse che io non sia serio se dico ciò solo dopo averlo avuto. Ma, per me, non esiste gesto d’amore più alto che questo. Quindi, potrebbe strapparmi il cuore e io neppure me ne avvedrei.
 
«Michael.»
 
Una risposta ce l'ho
Una risposta ce l'ho

Il modo in cui Marco chiamò il suo nome lo mise in allarme. Si voltò, facendolo uscire da lui, e lo trovò perduto tra le lacrime. Ma sul suo volto scorse anche un radioso sorriso.
Gli prese il viso tra le mani. «Marco, cosa hai?»
Alzò le spalle, facendolo accoccolare sul suo petto. «Niente, è l’emozione.»
Michael dovette fare appello a tutta la sua forza di volontà per non scoppiare a piangere come un bambino.
 
«Per me, è questa la mia vera prima volta» sospira.
Dopo qualche secondo, sento nuovamente la sua voce: «Sono così felice.»
 
Una risposta ce l'ho
Marco lo dice con le lacrime agli occhi. Il suo viso, entusiasta, mi implora di non asciugarle e io per poco, d’altronde, non faccio la stessa cosa. Non ho bisogno di prove o per capire, non ho alcun dubbio che lui mi ami. Questa verità mi coglie di sorpresa e causa scosse come terremoti dentro il mio cuore. Oh, sì, so che mi ama e lo saprò fino alla fine del nostro amore.
 
Non gli asciugò le lacrime, piuttosto gliele baciò.
Tra quei baci sul suo viso, tra l’amore che per poco non aveva infranto le pareti del loro rifugio d’amore, Marco rise liberando un singhiozzo.
«È stato come riavere la nostra prima volta.»
 
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Lì, Michael affondò nel suo petto, e rise.  
Non perché ci fosse qualcosa di divertente, ma perché parole più vere non avevano mai raggiunto le sue orecchie. L’aveva vissuta ancora, attimo per attimo, con il suo amato.
Rise fino a non avere più fiato in corpo, rise finché Marco non lo baciò e la sua risata divenne un mugolio sommesso, intriso di tutta la contentezza possibile.
Marco, in quel momento, capì una cosa.
Se c’era qualcuno a questo mondo per cui valeva la pena rischiare, soffrire, tentare, era Michael.
 
Tu sei e resterai l'estate mia migliore
Erano i suoi fianchi, il sapore della sua pelle, il colore dei suoi occhi, il suono della sua risata, l’odore dei suoi riccioli, il cuore che ogni giorno gli apriva, l’anima che volava assieme alla sua. Ogni singola estate passata al suo fianco.
«Marco» stavolta fu lui a chiamarlo.
«Shhh» gli accarezzò le labbra, ancora dolcemente commosso da quell’amplesso e dalle emozioni che esso aveva portato con sé. «Anche io, Michael.»
 
 
L'estate mia migliore
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Gli Home Visit di Dublino. Vi sarete ormai stancati perché sarà tipo la quarta volta che li inserisco in una fan fiction. Ma, sapete, per me questo è il topos dei Mirco, quindi abituatevi, perché in ogni mia singola storia avrete un capitolo hot e un riferimento a Dublino.
Sopportatemi.
Nello scorso capitolo mi sono scordata di dire che comeunangeloallinferno94, che ringrazio, non è soltanto la mia beta. Lei è praticamente la co-autrice di tutti i miei capitoli, in quanto mi dà consigli e mi aiuta a fare taglia e cuci di ogni punto. Questa creatura è sua quanto mia e per questo non ho davvero parole per esprimere la mia gratitudine.
Un bacio.

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Capitolo 10
*** More than yesterday ***


Light in you
 
Quando il telefono di Marco suonò, lo squillo trovò i due amanti ancora teneramente stretti in un abbraccio, intenti a scambiarsi effusioni, finalmente liberi dal senso di colpa e dal rimorso.
 
Somehow I'm worth your while
I get to hold you first thing in the morning
Quel suono irritò e sconfortò Marco, il quale nascose prontamente il volto sulla calda spalla di Michael. Era come se il loro piccolo mondo incantato fosse stato violentemente invaso. Che sensazione detestabile.
«Non voglio rispondere» brontolò, la pelle dell’altro che attutiva la sua voce.
Egli ridacchiò, accarezzando dolcemente i suoi capelli. «Tu hai come la... sbornia da sesso?»
Stavolta toccò a Marco ridere, per poi rifilargli un debole pugno sul petto. Il trillo del cellulare persisteva e rovinò quell’atmosfera romantica e divertente, costringendo il proprietario di quell’aggeggio infernale ad allungare il braccio e, leggermente voltato il viso, recuperò il suddetto mefitico apparecchio.
«È Elio» constatò.
«Fai rispondere me!» esclamò Michael, pensando a chissà qualche battuta spiritosa da fare al suo collega.
«Non ci provare» lo redarguì. «Ha chiamato me e non te, ricordi?»
Sbuffò. Era un dato di fatto: dare a qualcuno, a chiunque, motivo di dubitare che la relazione tra Marco e Michael fosse puramente amichevole e cortese, sarebbe equivalso a un suicidio mediatico.
Dunque, anche se finalmente i loro cuori erano liberi di dirsi “ti amo”, la loro era una consapevolezza che andava in due sole direzioni: l’uno verso l’altro. Nascondersi era la norma.
Ma questo non li avrebbe scoraggiati.
Marco rispose: «Pronto?»
«Ce ne hai messo di tempo!» rise bonariamente Elio. «Volevo solo chiederti se hai saputo della tragica novità di X Factor.»
Michael, a quel punto, stava già gustando la debole nuca di Marco, torturandola con i denti. Tipico di quel dispettoso.
«Tragica novità?» domandò, cercando di scostarsi.
«Oh, dunque non sai niente!»
Marco gli fece cenno di smetterla, cosa che lo spinse a rincarare la dose di attenzioni verso la sua schiena, carezzandola con rapide lappate di lingua.
«Niente di cosa?» cercò di tenere la voce ferma, ma era difficile, vista la predilezione di Michael per la sua spina dorsale. La leccava con delizia, baciandola con tanta foga da succhiare, di tanto in tanto, lembi di pelle. Allontanò il telefono dalle labbra per concedersi un ansito di piacere. Dietro di sé, sentì dei gorgoglii soddisfatti che ben conosceva.
«Gli Home Visit sono stati anticipati, si parte tra due settimane.»
«Che cosa?»
Lo shock lo fece sollevare all’improvviso, ma così facendo colpì accidentalmente il naso di Michael, il quale se lo massaggiò con entrambe le mani, sopprimendo un urlo di dolore.
«Hai sentito bene, ragazzo» proseguì Elio, «i grandi capi avevano fatto un grande affare a Copenaghen, ma a quanto pare è saltato tutto. L’unico posto disposto a ospitare baracca e burattini, e a farlo entro una certa scadenza, è Taormina. Le registrazioni si faranno al Teatro Antico.»
Marco registrò quell’informazione mentre baciava il naso di Michael, come una mamma che guarisce il proprio piccino che si è fatto la bua. Sfiorò la sua guancia con la punta delle dita, consolandolo per il dolore.
Conosceva bene quel teatro, era stato il luogo d’inizio di uno dei suoi tour più belli, a dir poco indimenticabile. Era felice di non dover andare troppo lontano per valutare i talenti della sua squadra e, al contempo, esaltare le bellezze del suo amato Bel Paese.
«Beh, mi sembra un po’ precipitoso, ma non è che si possa fare granché, no?» commentò, non senza un certo nervosismo.
«Eh, lo so bene» sbuffò Elio. « Quando ci si mette di mezzo la burocrazia, restiamo tutti immancabilmente fregati.»
Marco concordò, senza ascoltarlo veramente: Michael aveva appena sorriso.
 
Then when I see you smile
Brighter than the new day and it's dawning
Il sorriso di quell’uomo, labbra sottili che concordavano una dentatura ampia, candida e perfetta. In quel sorriso, però, c’era molto più che bocca e denti: c’era luce, calore e fiamma viva. Ciò di cui realmente Marco non riusciva a capacitarsi era il modo in cui sprigionava quel bagliore: non come un faro nella notte, poiché il buio è facile a essere rischiarato; era come se tra milioni e milioni di luci, lui fosse la più potente, la più bella, in un modo tutto suo.
Amava quel sorriso. Amava quell’uomo.
I discorsi di Elio sfumarono in saluti e cordialità e la chiamata, in breve, terminò.
Michael si sollevò, allontanando il cellulare da loro. «Allora, cosa Elio voleva? Cosa lui ha detto che ti ha fatto uccidere il mio naso?»
«Oh, scusami tanto» gli prese il viso tra le mani e iniziò a riempirlo di teneri baci, tra i quali lo ragguagliò. «Gli Home Visit sono stati spostati. Tra due settimane andiamo a Taormina per girare il tutto.»
«Okay» rispose, laconico, godendosi tutti quei baci da parte di Marco.
«La cosa non ti disturba minimamente?»
«Perché? Io posso essere pronto a partire in due settimane, mi piace di viaggiare e mi piace Taormina. Quale è il problema?»
 
It really makes me wonder
If this is real life
Marco rise dolcemente. Non c’era davvero un limite a quanto poteva amare Michael: tutto diveniva semplice se lo accoglieva tra le sue amorevoli mani; perfino la sua vita appariva meno complicata, i suoi nodi si scioglievano, i dubbi e la disperazione erano stati dissipati da un bacio, da una carezza, da una parola dolce.
Strinse le gambe al suo busto.
«Ti ho mai detto che hai il sorriso più bello del mondo?»
 
Not a dream or spell I'm under
With the way, the way you make me feel like
La risposta non tardò ad arrivare con una naturalezza sconvolgente: «Sempre dopo che il tuo, amore.»
 
L’hanno chiamata “vita” perché “complicazione mortale” pareva brutto.
Due settimane dopo, ecco Marco precipitarsi all’aeroporto, tentando di non perdere il suo volo per Taormina. Il naso gli colava, la testa diveniva ogni secondo più pesante e a malapena respirava, per non parlare di quella ridicola febbre che, andando e venendo, lo tormentava parecchio.
A quale altro, povero, sfortunato idiota poteva venire l’influenza il giorno prima degli Home Visit?
Michael lo tempestava di chiamate, alle quali aveva ormai rinunciato a rispondere, tanta era la foga della corsa.
Una volta giunto a destinazione, dovette fare leva sulla sua celebrità per riuscire ad entrare su quel volo (usò al tattica del “sono un personaggio famoso e ho tanti impegni, per favore fammi salire su quell’aereo”). Fortuna che non tutte le hostess erano inflessibili come sembravano.
Quando giunse, sudato e con il fiatone, verso i posti di prima classe, vide Michael che, seduto accanto a Irene e dietro Elio, lo guardava e prendeva una gran boccata d’aria, per poi rilasciare un sospiro di sollievo, quasi con le lacrime agli occhi.
Marco si accasciò, sprofondando nel posto accanto a quello di Elio e nascondendosi dietro ai grandi occhiali da sole.
«Marco.»

In a crowded room I’m the only one
Then it’s just us two and the setting sun
Il modo in cui Michael lo chiamò, dolcemente, lo fece voltare subito. Era seriamente preoccupato.
«Io ho chiamato mille volte» spiegò, indicando il suo cellulare.
Marco non rispose, perché era inutile spiegargli che la sera prima era praticamente svenuto sul letto, messo K.O. dagli antibiotici e dal cortisone, per poi svegliarsi in ritardo per via di uno stordimento tale da fargli dimenticare di puntare la sveglia per le cinque del mattino.
Semplicemente, si abbassò gli occhiali da sole: il naso rosso e gli occhi, gonfi e iniettati di sangue, parlarono per lui.
Irene imprecò. «Sembri la bambina de L’esorcista all’opera.»
Michael poggiò la mano sulla fronte di Marco, il quale, pur sapendo di doversi ritrarre dal suo tocco, vi si protese: quella mano era fresca e delicata, gli faceva desiderare che restasse lì per sempre.
«Tu sei un po’ caldo» sospirò, sconfortato. «Come tu fai a registrare, in domani?»
Elio rifilò una pacca sulla spalla a entrambi. «Che vuol dire “come”? Andrà alla grande domani! Un paio di pasticche e torna come nuovo.»
«Mi stai suggerendo di drogarmi?» lo punzecchiò Marco, nonostante la voce nasale.
Le risate generali stemperarono l’ansia che le condizioni di salute del più giovane dei loro colleghi avevano destato. Avevano dei tempi serratissimi per fare le registrazioni e, pur concedendo a Marco più tempo per riprendersi dall’influenza, il massimo che gli si potesse dare era un giorno in più, ma certo era che in tre giorni sarebbero tornati tutti a Milano e Marco, in un modo o nell’altro, avrebbe dovuto farcela.
Il timore di tutti, soprattutto quello di Michael era che pur di farlo riprendere gli dessero qualche “spintarella”, come delle pilloline eccitanti che, precedentemente, aveva ben conosciuto nella sua carriera. Per questo, qualche minuto dopo la partenza dell’aereo, Michael gli poggiò una mano sulla spalla, a mille miglia d’altitudine dall’Italia.
«Irene dorme» sussurrò. «Elio?»
«Più o meno» commentò, osservandolo bofonchiare sotto i baffi e puntare il dito contro chissà chi, ad occhi chiusi.
Sospirò, mentre l’ilarità andava spegnendosi.
«Mi rifiuto di stare male proprio adesso» si lamentò, «e di certo mi rifiuto di farmi aiutare come so che loro vorrebbero.»
«Lo so, io non voglio che tu lo fai» gli carezzò il braccio. «Infatti io penso a te.»
Si voltò con discrezione. «Mi pensi tanto tanto?» lo prese in giro.
Michael sorrise e gli diede dello stupido. «Dico che, dopo che noi è in Taormina, io prendo cura di te. Così tu guarisci e non prendi quegli “aiuti”.»
«Lo faresti veramente?»
«No, io lo farò veramente» specificò.
Marco posò la propria mano sulla sua e rimasero così, per un tempo attimo infinito. Infine, stremato dalla malattia, egli si lasciò cullare dalle invitanti braccia di Morfeo.
 
«Sveglia, testa di sonno!»
Marco aprì gli occhi a fatica, le palpebre come cemento. Era in una camera d’albergo, una sontuosa suite dove i colori predominanti erano il castano del legno e il beige tendente al crema dell’arredamento. La passione per l’architettura e il grande senso estetico di Marco gli fornirono una temporanea distrazione dal freddo che sentiva penetrargli nelle ossa.
«Come ci sono arrivato qui in albergo?» chiese, senza effettivamente conoscere la risposta a quella bizzarra domanda.
Michael scoppiò a ridere: «Sui tuoi piedi, testa di sonno! Non ricorda che tu ha sceso dall’aereo come zombie, sei arrivato qui e sei come un morto sul letto?»
Ovviamente non ricordava nessuno di quei particolari, altrimenti chiedere sarebbe stato del tutto superfluo. Non aveva abbastanza energie o salute per rispondergli in quel modo, dunque si limitò a correggerlo.
«Non si dice “testa di sonno”» lo ammonì, sulla traduzione impropria della parola sleepyhead, «piuttosto “dormiglione”.»
Il volto di Michael era pura compassione, probabilmente dovuta alla voce nasale di Marco. Quest’ultimo si rannicchiò tra le coperte e se le tirò fin sopra la testa. Che pietà che doveva fare, ad affondare tra le lenzuola in piena estate, a Taormina per di più. Eppure i brividi non accennavano a passare.
«Michael» lo chiamò, con voce lamentosa.
Non ebbe bisogno di dire altro, che Michael si era già infilato sotto le lenzuola. Ai suoi occhi parve così aitante, con quel suo sprezzo del caldo afoso con il quale lo abbracciò forte e strofinò le sue membra, prede del gelo. Marco si strinse al suo petto, la stretta attorno a lui divenne più serrata e il respiro caldo di Michael andò ad infrangersi tra il suo collo e la sua spalla, donandogli tepore. Un sospiro di sollievo trovò la strada per abbandonare le labbra di Marco.
«Non voglio stare male» piagnucolò.
«Su, su, non fare così: più tu pensa di stai male, più peggio è.»
La grammatica non era di certo il suo forte, e il suo strafalcione strappò a Marco un piccolo sorriso.
I pensieri di Marco, i suoi dubbi e i suoi timori, forse per via della febbre che gli annebbiava la mente, vennero da lui espressi ad alta voce.
«Andrà tutto bene, vero? Tra le tue braccia va sempre tutto bene.»
 
There’s a light in you
And in everything you do
Michael rise, ben sapendo che in altre circostanze lo avrebbe preso in giro per quel comportamento sdolcinato. Ma, forse per via della recente riconciliazione, oppure per quel raffreddore atroce, o anche solo per una vena dolcemente stucchevole che si celava in lui, la sua reazione fu di passare una mano tra i capelli di Marco e dargli un bacio sulla fronte, coperta di un lieve strato di sudore.
«Tu dici?»
Annuì, convinto. «Per questo negli ultimi mesi andava sempre tutto male, perché non ero al mio posto.»
Non c’era bisogno che gli chiedesse a quale posto si riferisse.
Il posto di Marco era tra le braccia di Michael.
Quella consapevolezza provocò a entrambi una dolce, lieve fitta nello stomaco, tutt’altro che dolorosa, anzi, era la più soave delle sensazioni.
Per un paio d’ore, dimentichi dei doveri e degli impegni che essere celebrità comportava, semplicemente rimasero l’uno accanto all’altro, stretti come uno, mentre Marco sussurrava smancerie che, una volta guarito, si sarebbe vergognato anche solo di ricordare vagamente. Michael gliele avrebbe rinfacciate tutte, una per una, nei momenti più impensati. Marco avrebbe finto di essere offeso e lo avrebbe picchiato con la violenza di una piuma, perché far del male a Michael sarebbe stato il peggiore dei crimini.
Era così, tra loro due, da sempre. Un eterno gioco, più simile a una danza che a un inseguimento, dove ogni passo era inevitabilmente seguito da un altro che entrambi conoscevano a memoria, ma che mai i due contendenti si stancavano di scoprire come fosse la prima volta, il primo attimo del primo giorno.
«Marco» lo chiamò gentilmente, dopo un po’ che il suo respiro si era regolarizzato.
Un flebile mugolio gli giunse in risposta.
«Adesso io ti misuro la temperature, poi prende una aspirina e ti do, così tu puoi stare meglio» disse, iniziando ad allontanarsi da quel tenero abbraccio, nel quale Marco lo tirò nuovamente.
«Non ti spostare, sei così caldo» si lamentò.
«Se non ti guariscio io, poi ti guarisciono loro e tu sai come.»
Con gentilezza, ma in modo deciso, Michael lo scostò da sé e fu libero di alzarsi, per medicarlo come un infermiere di prim’ordine, tanto che Marco appena si accorse che gli veniva misurata la febbre finché non gli fu annunciato che stava sui 38 °C. Gli preparò un bicchiere con l’aspirina, che Marco bevve avidamente, vista l’arsura che sentiva in gola. Tornò immediatamente a distendersi, mentre Michael provvedeva a inumidire dei fazzoletti di stoffa. Marco, pur nella malattia, non ne ebbe mai abbastanza, di quelle dolci parole di ringraziamento che quell’uomo angelico meritava totalmente. Ah, e pensare che meno di un mese fa avrebbe preferito tagliarsi la lingua piuttosto che definirlo angelico, eppure eccolo lì, a poggiargli le pezze bagnate sulla fronte per abbassargli la temperatura.
 
Once again it seems you found a way
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Di quel primo giorno di permanenza a Taormina, Marco ricordò davvero poco.
Si svegliava a intervalli regolari, per poi riaddormentarsi. Ogni tanto Michael provvedeva affinché mangiasse, o lo aiutava ad alzarsi per raggiungere il bagno. Ogni volta che Marco apriva gli occhi, incontrava quelli di Michael, spalancati, vigili e attenti. Non si era riposato un secondo da quando erano atterrati, tanta era la sua premura nel vegliare su Marco.
La febbre iniziò a scendere progressivamente finché, calata la notte, essa non si stabilizzò intorno ai 37 °C. Una bella conquista, ottenuta a suon di pezze e di medicinali, oltre che di teneri abbracci e baci delicati.
Marco arrivò a mezzanotte, sveglio come un grillo e madido di sudore, per vedere Michael crollare dalla stanchezza, con il termometro stretto tra le mani. Sorrise nel vederlo, poi delicatamente gli liberò le dita e, poggiato il termometro sul comodino, si accoccolò al suo petto.
Cercò di recuperare i ricordi di quel giorno, ma pareva tanto difficile. Solo Michael, solo quel volto bellissimo e quella dolce voce, le sue cure e la sua premure: questo era tutto ciò che era sicuro di ricordare.
Tenne il viso sollevato, non avrebbe saputo dire per quanto. Sapeva soltanto che avere l’opportunità di guardare Michael in quel modo, pacifico e dormiente, lo riempiva di gioia. Rimase sveglio solo per sentirlo respirare, e quel fiato poi si infranse come spuma di mare sulla propria pelle. Sfiorò la sua guancia con le nocche, sussurrandogli per l’ennesima volta parole di ringraziamento, che l’altro non poté udire.

I figured I'll tell you why
I stay up some nights to hear you breathing
Una volta tanto, sentì di avere il cuore al posto giusto. In quei mesi lo aveva tenuto fin troppo nella testa, cercando di ragionarci e di dominare l’amore con la razionalità. A volte, la furiosa gelosia che provava nei confronti di Tim lo aveva fatto precipitare sotto i piedi, quel povero cuore, il quale era poi risalito precipitosamente nello stomaco quando lo aveva ritrovato, senza pur volere ammettere di amarlo ancora.
Adesso, però, il suo cuore era dove doveva stare.
Tra le mani di Michael.
 
With everyday that goes by
You are the one and only I believe in
Marco non poteva essere più felice, perché sapeva che aveva lasciato il suo cuore nel posto più sicuro possibile. Nel più bello. In un posto che, finalmente, era tutto suo.
I pensieri lo stremarono e, dopo un po’, provò a chiudere gli occhi, senza immaginare che il semplice respiro di Michael lo avrebbe cullato e rapidamente risucchiato in un sonno profondo.
 
«Amore, sveglia.»
Sorridendo teneramente, Marco aprì gli occhi.
Si ritrovò davanti un Michael vestito di tutto punto, con indosso una camicia dorata e dei pantaloni bordeaux, con cravatta in tinta. Semplicemente perfetto.
«Che bel nome che mi hai dato» sussurrò. «Amore.»
«Amore» ripeté, carezzandogli la guancia, «ti ho lasciato dormire più che può. Io deve fare mie registrazioni, tu hai due ore in più che me per venire nel teatro. Hai bisogno che ti aiuto?»
Marco si mise seduto sul letto. Le ossa gli dolevano un po’, come se avesse fatto uno sforzo fisico, e si sentiva la testa pesante. Ma respirava decisamente meglio e si sentiva molto più lucido: era decisamente sulla via della guarigione. Per cui declinò dolcemente la sua offerta di aiuto:
«Grazie, ma ora sto bene» dichiarò, per poi aggiungere «amore.»
Michael sorrise e gli diede un dolce bacio a fior di labbra, bacio che Marco si premurò di allungare, sia per mostrare quanto fosse in forze, sia perché il sapore delle labbra di Michael era l’unico che volesse avere sulla sua bocca in eterno.
«Grazie di cuore per ieri» disse, sulle sue labbra.
Michael scosse la testa. «Non ringraziarmi più, l’ho fatto con il piacere.»
Marco lo strinse in quel bacio, e proseguì a baciarlo, a lungo e soavemente. Lo gustò e lo assaporò, facendolo mugolare dolcemente, arrivò quasi a tentarlo, ma così facendo per poco non lo fece tardare e allora, a malincuore, furono costretti a separarsi.
 
If you'll agree to have me
Each day of your life
Ci mise un paio di minuti per trovare il coraggio di alzarsi dal letto, da solo e con la prospettiva di una difficile, quanto elettrizzante, giornata di lavoro.
Si preparò, dunque, per raggiungere i suoi concorrenti, non senza aver preso un’altra aspirina. Si sentiva più lento e pigro del solito, ma quello non lo avrebbe fermato. Era capace di andare in tour con il raffreddore: ascoltare sei band emergenti e selezionarne tre che avrebbero avuto accesso alla diretta non era meno difficile, o almeno così pensò per farsi forza da sé.
Una volta pronto scese nella hall dell’albergo e poi fuori, dove trovò un’auto ad attenderlo. Raggiunse entro breve il Teatro Antico e, a quel punto, diede sfogo a tutte le energie che non possedeva, ma che finse, per il bene delle telecamere e dei ragazzi, tesi come una corda di violino.
Gli altri giudici registrarono i loro Home Visit in luoghi vicini al teatro, non proprio nel sito, al centro delle colonne in pietra: quell’onore venne riservato a Marco, il nuovo, celebre e giovane giudice. Che imbarazzo.
Riuscì a resistere per tutte quelle ore soltanto grazie a una lieve brezza marina, che gli fornì un po’ di ristoro da quel sole cocente che gli picchiava proprio in fronte.
Alla fine di quelle ore estenuanti, scelse i talenti che sarebbero andati a comporre la sua squadra e non poté essere più fiero e orgoglioso del proprio operato: prime fra tutti, le Pop Culture, il cui nuovo nome era Ironicamente (Marco lo adorò); poi scelse una band che per lui era una novità assoluta, in quanto composta da tre vocalist e due musicisti, i Biscroma; infine, pur trovandosi indeciso tra un quartetto polifonico e le gemelle Di Specchio, scelse le ultime due, poiché lo avevano colpito sin dalla prima audizione per la loro bravura spontanea.
Gli Home Visit erano belli che andati.
Fu un lavoro duro, ma soddisfacente, che Marco svolse con somma gioia. Aveva lottato contro la febbre e il raffreddore pur di portarlo a termine, il caldo e l’eccessiva concentrazione, oltre che la musica ad alto volume, avevano peggiorato di suoi sintomi influenzali. Poteva definirsi esausto, ma felice come non mai.
Ora, però, non vedeva l’ora di tornare in albergo.
Chiamò Michael sul cellulare.
«Pronto?» rispose quello, dopo qualche secondo di attesa.
«Ho finito con le registrazioni» annunciò, sorridendo nonostante lo sfinimento. «Torniamo all’albergo.»
«Oh, Marco, io non posso. C’è problema.»
Problema? Iniziò a torturarsi le cuticole con i denti dal nervosismo. «Nulla di grave, spero.»
«No, certo» sospirò, spazientito. «Una donna è persa di sensi mentre cantava.»
«È svenuta?»
«Per me, non è stato così! Lei ha stonato e ha preteso di svenire per avere altra chance in provino.»
Ah, gli svenimenti finiti. Quanti ne aveva visti in quelli che, per lui, erano ben pochi anni di carriera, e d’altronde era quello che gli avevano suggerito di fare quando era ancora un concorrente del programma: “Se dimentichi le parole della canzone, o ti accorgi di stonare, fingi di svenire e salva la performance”! Figurarsi
«Spero che la cosa si risolva in fretta» tagliò corto. «Io inizio ad andare e ti aspetto.»
«E nel frattempo vivo» lo prese in giro, facendolo ridere. «Allora ciao, testa di letto!»
Marco fu sul punto di correggerlo di nuovo, ma Michael staccò la chiamata mandando in fumo quella possibilità.
Sorridendo, quest’ultimo tornò in albergo con la stessa auto sulla quale era arrivato al teatro. Una volta salito in camera, fu tentato di gettarsi sul letto e tornare sotto le coperte, raccogliersi in modo tale da somigliare a un bozzolo e aspettare che Michael tornasse. Ciò che fece, invece, fu riordinare e cambiare l’aria all’interno della camera da letto. Ci volle un’immane fatica da parte sua, tanto si sentiva debole, ma alla fine riuscì a dare alla stanza un aspetto presentabile: di certo, l’ultima cosa che desiderava era che Michael si mettesse a fare la colf per lui e che si mettesse a ripulire il macello che aveva combinato Marco. Era completamente folle, da escludersi a priori. Marco era un uomo grande e grosso, e come tale doveva saper gestire un banale raffreddore.
Poi pensò che, se era così che voleva ricambiare l’infinita gentilezza di Michael, era fuori strada. Avrebbe dovuto pensare a ben altro, a qualcosa di davvero grandioso, perché davvero quell’uomo gli aveva salvato il lavoro; non solo, gli aveva risparmiato quelle solite “pilloline magiche” che tanto piacevano ai produttori, le quali lo avrebbero fatto riprendere dal suo raffreddore il cinque secondi, oltre che farlo impazzire totalmente per le quindici ore successive.
 
I’ll try to make you happy
Like the way
The way you make me feel like
Rifletté sui modi che aveva a disposizione per ringraziarlo, e gli venne in mente di dargli tutto ciò che aveva con sé in quel momento: se stesso. Così, e faticando ancora più del dovuto, accese un bastoncino profumato che avevano dato in dotazione all’interno della toletta, poi riempì la vasca da bagno di acqua, schiuma e sali da bagno, fino a quanto non la vide piena di soffici bolle di sapone. Purtroppo non c’erano candele nella stanza che potessero creare l’atmosfera romantica e, francamente, non se la sentiva di scendere giù e chiedere alla receptionist di fornirgliele, anche perché ella si sarebbe certamente fatta delle domande, le quali avrebbero avuto una sola possibile risposta.
Pertanto, nel tentativo di evitare qualunque momento di imbarazzo, spense tutte le luci principali in ogni stanza, lasciando soltanto quelle periferiche. Nel complesso, si poté dire soddisfatto di quella pensata. Come tocco finale, si denudò completamente, dimentico della febbre e dell’accortezza, indossando soltanto gli slip viola dotati di push-up che Michael gli aveva regalato qualche compleanno fa.
Si guardò intorno, congratulandosi con se stesso: tra i profumi dei Sali da bagno e le luci soffuse, l’abitacolo evocava lussuria con una lieve nota di delicatezza, un binomio che, ne era certo, avrebbe incantato Michael.
 
In a crowded room
You are the only one
Pensò molto a lui, nella realizzazione di quell’oasi erotica: il suo Michael sarebbe tornato certamente stanco, dopo quell’increscioso imprevisto con la donna svenuta. Marco lo avrebbe condotto nel bagno, facendolo rilassare all’interno della vasca. Dopodiché lo avrebbe raggiunto e lì gli avrebbe offerto un lento e voluttuoso massaggio che, oltre a sciogliere la tensione del suo amato, avrebbe acceso il suo desiderio. Lo sperava davvero con tutto il cuore.
 
Now it’s just us two
And the setting sun
Marco stava ancora immaginando quel momento idilliaco, quando il diretto interessato bussò alla sua porta.
 
There’s a light in you
And everything you do
Once again it seems you’ve found a way
Deciso a non mostrarsi subito in tutta la sua gloria (se di gloria si poteva parlare), si infilò in fretta e furia un morbido accappatoio di spugna, si legò la cintura in vita e, infine, andò ad aprire, al colmo dell’impazienza.
 
To make me love you even more
Than I loved you yesterday
Solo che di fronte a lui non c’era Michael.
Ma un uomo alto e ben piazzato, sulla trentina almeno, dal volto indolente e dai capelli radi.
«Marco Mengoni?»
Il suo accento non gli piacque.
«Sì» rispose, timidamente.
L’uomo si esibì nel più sordido dei ghigni. Marco rabbrividì dalla testa ai piedi e tenne strette le estremità della cintura del suo accappatoio.
L’uomo non aveva certo bisogno di presentazioni: Marco aveva già capito tutto e pensò che sentirsi peggio non sarebbe stato neanche lontanamente possibile.
«Hello, you sow.» Ciao, scrofa. «I’m Tim
 
I love you even more than I love you yesterday.
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Mancano due capitoli alla conclusione di quest’opera.
Cosa dire? Nel rileggerla, mi accorgo che avrei potuto fare molto, ma molto meglio. Soddisfatta al 100%? Sicuramente no. Ma so che senza l’aiuto della mia beta, comeunangeloallinferno94, questa fan fiction sarebbe stata una vera schifezza. E, dunque, grazie per avermela salvata. Sei un angelo davvero.
Per chi non lo sapesse, questa canzone è "Ad occhi chiusi", nella versione inglese. Sì, lo so: brividi puri.
Baci.

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Capitolo 11
*** Fuori ***


Solo due satelliti
 
«Hello, you sow. I’m Tim
 
In quale parte del corpo
Ci potremmo incontrare
Tim.
L’uomo che Michael aveva giurato di sposare.
Tim.
L’uomo che Michael, al fine, non aveva sposato.
Tim.
L’uomo che alla famiglia Penniman piaceva così tanto da spingere mamma Jonni a prendere un volo diretto per Milano, pur di convincere il figlio a sposarlo.
Tim.
In quel momento era di fronte a Marco. Imponente e furibondo, emanava quel tipo di sicurezza spavalda che solo una ricchezza antica di secoli poteva comprare. Evidentemente, era il tipo di ricchezza posseduta dai Van Der Kuil.
«Tim» la voce di Marco era ridotta a un sussurro.
L’uomo entrò nella camera d’albergo a passo sicuro, come se l’intero mondo gli appartenesse, come se stesse passeggiando nel proprio, immenso parco giochi. Poi, voltatosi per squadrare Marco da capo a piedi, con un gesto imperioso agguantò la cintura dell’accappatoio di spugna che indossava e gliela sfilò dai passanti, cosicché l’accappatoio si aprì. Il fisico di Marco, tonico ma morbido, occhieggiò per un istante prima di venire brutalmente coperto dall’accappatoio, con un gesto repentino di colui che lo indossava. Avvampò in viso e si ingobbì leggermente, come se avesse ricevuto un pugno nello stomaco: da uomo fondamentalmente timido qual’era, di certo l’ultima cosa che avrebbe voluto era uno sconosciuto che irrompesse in casa sua (o nella sua stanza) per spogliarlo così, di punto in bianco. Soprattutto, se quello sconosciuto era l’ex promesso sposo del suo attuale uomo, o almeno, era così che lui lo sentiva. Si coperse come una vergine violata.
 
Senza andare lontano
Per poterci sfiorare?
Tim si esibì in un giudizio, in un inglese talmente rapido che Marco, spontaneamente, fece: «Eh?»
Tim sospirò, spazientendosi visibilmente. «Io vede bene perché Mica cambia Paese per te.»
Il suo accento era fortemente londinese, il suo tono era arrogante, quasi sguaiato. Lo mise in imbarazzo e, al contempo, lo stupì: non somigliava affatto all’uomo dolce e mite descritto da Michael per tutti quegli anni. Quanto poteva cambiare una persona, la gelosia?
«Perché sei qui?» lo affrontò, seppur lottando contro il timore e il nervosismo. Tremava addirittura.
Tim iniziò a giocherellare con la cinta di spugna che gli era rimasta tra le mani, segno che neppure lui era tanto sicuro di sé come voleva far credere.
«Io pensa molto di te» cominciò, in un pessimo italiano. «Da che Mica lascia mi, io pensa a: che uomo gancia altro uomo che è già engagiato? Allora, io pensa: of course!, un maiala!»
Maiala però lo sai dire bene, pensò Marco. Non poté replicare all’accusa lanciatagli, ché Tim aveva perfettamente ragione ad avercela con lui, il quale in un primo momento gli aveva soffiato l’uomo.
«Sì, ma poi ci siamo lasciati e finché siete stati insieme, io non mi sono più avvicinato a lui» spiegò timidamente.
«Shut up, whore» lo zittì, rimettendolo così al suo posto: in un angoletto remoto, tra la paura e il senso di colpa.
Marco si strinse talmente tanto nelle braccia da farsi male, ma quel dolore non era nulla se comparato a quello che gli squassava il petto e lo straziava come lama rovente.
«Io capire che lui vede: un bello ragazzo per il sexo. Ma però io no capire perché lui pensa che è amore it» detto ciò, rise beffardamente. «Ora so: tu ha confuso lui con tuo dirty body
Quindi era questo che Tim, e probabilmente tutta la famiglia di Michael, pensava di lui: aveva usato il suo corpo, che egli poteva aver definito sia “sporco” che “proibito”, al fine di sedurre Michael e convincerlo a fare ciò che voleva. Anche mandare a monte le sue future nozze.
Tim proseguì quello che era divenuto un burlesco, doloroso monologo. «So, io cerca te su internet: tua family no è ricca, tuo padre ha lavoro in pasta shop. Tue monete è per la fama e tu va a perdere, sooner or later» fece una pausa, compiacendosi delle origini di Marco, non nobili o altisonanti quanto le sue. «Io è Van Der Kuil, ricchi di mille anni fa in Holland
Marco perse definitivamente la pazienza. Qualunque fossero le intenzioni di Tim, ci stava impiegando troppo a rivelarle. Aveva paura di quella visita, sì, ma se la sua arroganza derivava unicamente dai suoi illustri natali, aveva sbagliato uomo con cui vantarsi. «Signor Van Der Kuil, lo vedi quel letto?» Tim si volse a guardarlo prima che Marco proseguisse: «Bene, se ti ci metti sopra senti ancora il profumo di Michael sopra. E non è con il tuo cognome che si è coricato stanotte.»
Tim parve quasi sul punto di perdere le staffe, ma si contenne. «Ok, Mengoni. Di cose che io trova di te in internet, qui è cosa che io no trova.»
«Vale a dire?»
Tim si prese il suo tempo per pronunciarle, quelle tre lettere. Le articolò per bene, una per una. Lasciò che il loro amaro retrogusto danzasse sulla punta della sua lingua, la quale si unì alle labbra per compiere quei malefici movimenti che portarono Marco alla disfatta.
«Gay.»
 
Ti ho annusato le mani
E ho sentito che mi ami
Marco ne rimase così allibito che per poco non mollò la presa sull’accappatoio, scoprendosi una seconda volta. Dovette poggiarsi alla parete per non fare ciò che gli veniva più naturale: sedersi per accusare il duro colpo.
Tim seppe di averlo in pungo quando lo vide vacillare in quel modo. «Ah, so è vero che tu no dice tu è gay. Persone dice che tu è, che tu no è: tu è muto. Tu hai vergogna.»
Eccola, un’altra parola che sa pronunciare benissimo.
Lo sguardo di Marco rimase fisso sul pavimento, più precisamente su una sezione della moquette ricoperta da un lieve strato di polvere. Il pulviscolo aleggiava etereo nell’aria, quasi fluttuasse, come i pensieri nella sua mente, i quali si muovevano scomposti trascinati da un’invisibile e agitata corrente, senza prendere senso né forma.
Tim gli si avvicinò. «Mica è confuso. Io è ricco uomo che fa coming out, tu è povera maiala che vergogna. Magari tu dici lui che tu no va bene in sua vita, o...»
L’altro non gli chiese cosa venisse dopo quella “o”. Perché aveva compreso perfettamente e un dolore simile di rado lo aveva provato in vita sua.
Il dolore di chi viene messo al muro, sapendo di meritare tutto ciò che sta patendo.
Marco non si rese conto di quanto Tim gli fosse vicino finché il suo fiato caldo non lambì le sue gote.
«... o io dice tutti che tu è gay. Tua musica è over, tue monete è over. Mica è over, per te.»
Il senso del suo discorso aveva il sapore del ricatto: nella mente di Tim, Marco avrebbe perso Michael in ogni caso. Doveva solo decidere se perdere assieme a lui anche fama e fortuna, oppure rimanere un cantante ricco e famoso, ma dicendo a Michael che loro non potevano stare insieme.
Due modi diversi di andare all’inferno.
Scosse impercettibilmente la testa, non potendo credere a ciò che gli stava capitando.
«Tu ha un week di tempo, poi io dice tutto» annunciò, infine, imboccando la via della porta.
«No.»
 
Ti ho baciato sugli occhi
Ed ora mi riconosci
Tim si irrigidì. Tornò sui propri passi, gli occhi come due braci ardenti. «No?»
«So che ho sbagliato in passato» mormorò, con il capo chino. «Ma io amo Michael. Non lo lascerò mai. E sappi che lui ti odierà per quello che mi stai facendo.»
Fu un attimo.
Tim, con tutto il suo peso, gli fu addosso.
Marco tentò di divincolarsi, di scacciarlo via da sé, ma non ci fu verso: lo teneva incastrato tra il muro e il suo corpo, come sovente faceva Michael. Ma del suo calore e della sua gentilezza, non v’era traccia. C’era solo paura e sgomento, oltre che le lacrime negli occhi e sulle guance di Marco.
Tim gli spalancò l’accappatoio, schiaffò la sua mano violenta proprio in corrispondenza del suo inguine e strinse in una morsa i suoi genitali, facendolo urlare di dolore e di terrore.
«Tu no dice niente a Mica!» gli urlò in faccia. «Se Mica sa di io e te oggi, I’ll treat you as the whore you are
Lo avrebbe trattato come la troia che era.
Marco credé di essere sul punto di svenire per il panico e per il trauma che stava subendo, ma proprio in quell’istante Tim mollò la presa e lasciò la stanza, sbattendo con forza la porta d’ingresso.
Libero di accasciarsi al suolo, Marco liberò singhiozzi e lamenti di disperazione. Non poteva crederci.
Perdere il suo amore.
Perdere la sua musica.
Perdere la sensazione di sentirsi al sicuro nel mondo.
A quali orride e funeste prospettive Marco era stato messo di fronte da Tim Van Der Kuil.
Non riusciva ancora a prendere fiato per respirare a dovere, perso tra le lacrime, che si rimise i vestiti in fretta e furia e, così come aveva sempre fatto nella sua vita, scappò via in cerca di un luogo dove urlare al mondo il suo dolore.
 
Come quando avevo voglia di incontrarti anche per sbaglio
Per le strade di un paese che neanche conoscevo
Mi perdevo ed ero certo che ogni volta tanto poi ti ritrovavo
 
Quando Michael finì i suoi Home Visit, erano quasi le quattro del pomeriggio. Aveva una fame da lupi, il caldo era divenuto soffocante e di fare qualcosa che non fosse mangiare insieme a Marco stravaccato sul letto (e, possibilmente, farci l’amore fino a quando ne avessero avuto la forza) non ne voleva proprio sapere.
Bussò alla sua porta con fare gioioso, componendo una musichetta tutta sua tramite le nocche e il legno della porta.
Nel farlo, però, si rese conto che la porta non era chiusa. La spinse leggermente ed entrò nella stanza senza farselo ripetere due volte, ipotizzando che Marco intendesse fargli una sorpresa. Così percorse l’intera stanza, guardando sotto il letto, dentro l’armadio e dietro le tende; poi entrò nel bagno, dove trovò una luce soffusa e una vasca piena zeppa di schiuma: eccola la sua sorpresa. Chiamò il nome di Marco, infilò addirittura una mano all’interno dell’acqua che quasi trasbordava dalla vasca. Ma, del suo amato, neanche l’ombra. Rassegnatosi a non trovarlo là dentro, provò a chiamarlo al cellulare, ma poco dopo lo sentì squillare all’interno della stanza. Pareva che Marco si fosse volatilizzato nel nulla.
Leggermente preoccupato, andò alla reception per chiedere se qualcuno lo avesse visto e, per fortuna, il concierge gli disse che circa un paio di ore prima, in tenuta sportiva, Marco era corso fuori dall’albergo. Michael immaginò che, sentitosi meglio, Marco intendesse mostrare a se stesso tutta la sua capacità di ripresa.
In realtà, quella era la più idiota delle scuse: se fosse andato a correre lo avrebbe avvertito, avrebbe portato il telefono con sé e, soprattutto, non avrebbe lasciato la porta della camera aperta. Senza contare l’orario improponibile.
Sicuro, era dovuto urgentemente correre da qualcuno e, per un secondo, Michael si chiese chi o cosa meritasse tanta urgenza, in tutta Taormina, da parte del suo fidanzato.
 
Come quella notte in cui mi hai detto: "Voglio andare via"
Ho sbattuto questa porta ed ora basta e così sia
Un istante dopo ti eri perso e per le strade già io ti cercavo
 
Marco si ritrovò presto sperduto tra le vie di quell’immensa città. Il che fu un bene poiché, in altre circostanze, avrebbe beccato le strade più trafficate della città. I fan e chiunque lo avesse riconosciuto gli avrebbero chiesto che ci faceva, a quell’ora, in lacrime e sconvolto, a correre per strade e marciapiedi senza una meta precisa.
Invece, per fortuna, aveva trovato rifugio in un quartiere abbastanza ombroso, dove aveva ritrovato solo vecchi provenienti dalla Grecia e gatti randagi. Nessuno lo avrebbe riconosciuto, seduto lì su una scaletta, con la testa poggiata a una parete in roccia, mentre un gatto gli miagolava contro per poi annusarlo, decidere che era innocuo e limitarsi a girargli intorno. Di certo, nessun vecchietto lo avrebbe interrotto nel suo pianto isterico per chiedergli cosa ci fosse che non andava e, anche se lo avesse fatto, quello era il quartiere greco, e la gente parlava talmente poco italiano da riuscire a malapena a chiedere in che direzione fosse la toilette più vicina. Lì era al sicuro da tutti.
Lì era al sicuro da Michael.
Lo avrebbe perduto per sempre, rinunciando a una delle cose più belle e gratificanti della sua vita, se lo avesse lasciato.
Avrebbe tanto voluto tenerlo con sé, per impedirgli di tornare tra le braccia di quel viscido di Tim. Ma l’opzione era di perdere la sua musica e, per quanto amasse Michael, era impensabile vivere senza il suo unico, vero ossigeno.
Se avesse raccontato tutta la verità avrebbe rischiato il peggior destino che potesse capitare a un uomo, e non era che potesse sempre richiedere la protezione di Michael. Era escluso.
Il solo pensiero lo fece piangere così forte da spaventare i colombi che beccavano le briciole nei paraggi.
Per un lungo, doloroso attimo, pensò a come sarebbe stato se l’avesse fatta finita.
Lo sconforto più totale lo indusse a valutare la possibilità di gettarsi in nel mare cristallino senza riemergere mai più. Di sicuro avrebbe trovato la pace, non avrebbe più subito minacce, e avrebbe liberato Michael dalla sua presenza, che solo sofferenze gli aveva portato.
Subito quel pensiero svanì dalla sua mente, lasciandolo in preda al timore di se stesso. Amava la vita, nonostante tutto. Ma ciò che gli faceva amare la vita erano la musica, Michael e la sua fiducia nel mondo. E, inevitabilmente, avrebbe perso una di quelle tre cose. O, forse, tutte e tre.
 
Non c'è posto in cui può smettere
Questo nostro folle amore

Si voltò, serrando gli occhi e stringendo i denti più che poté, finché non cedette all’urlo che gli raschiava il fondo della gola, e che eruppe dalle sue labbra come anima che si catapulta via da corpo morto.
 
«Oh, mio Dio» si torse le mani cento volte almeno.
«Mika, calmati, vedrai che adesso lo troviamo» lo tranquillizzò Irene.
Erano le sei del pomeriggio, Marco era uscito poco prima delle due e non era ancora tornato. Michael aveva contattato Elio e Irene per sapere se era, magari, andato a parlare con uno di loro, quando invece nessuno dei due lo aveva visto quel giorno.
Michael iniziò a preoccuparsi verso le cinque quando, nonostante le varie ricerche su internet, nessun fan aveva postato nessuna foto su nessun social network in cui vi fosse Marco. Sembrava essersi dissolto nel nulla e questo riempì Michael di ansia.
Alle sei, ancora Marco non aveva fatto ritorno e i tre giudici si erano organizzati per mettere su una piccola squadra di ricerca. Irene di sarebbe occupata di setacciare le piazze, le strade e i luoghi più affollati, Elio avrebbe provveduto a cercarlo in negozi, teatri e altri centri simili, mentre Michael avrebbe pensato a delle strade un po’ meno trafficate e alle spiagge. Così si divisero e Michael iniziò a correre a perdifiato. Cercò nel retro dei pub, per salite e discese, senza successo. Il cuore iniziò a martellargli nel petto: Marco avrebbe potuto essere stato anche rapito, o poteva essergli successo qualcosa? Santo cielo, e se fosse annegato? Cercò di calmarsi, si diede del ridicolo, ma nulla riuscì a placare la sua ansia. Cercò finanche nelle chiese, nonostante Marco fosse ateo; si intrufolò in una casa di piacere che si trovava poco distante da un quartiere universitario, nonostante a Marco neppure piacessero le donne. Non ebbe successo da nessuna parte.
All’improvviso si fermò, per concedersi un lieve momento di sconforto. Riprese fiato e, nonostante il fiatone, trovò la forza di versare qualche lacrima.
Marco, il suo Marco si era perduto. Se gli fosse successo qualcosa in sua assenza, non se lo sarebbe mai perdonato.
 
In quale parte del mondo
Ci potremmo lasciare
Riprese a cercarlo. Corse così velocemente da volare, e urlò così forte il suo nome che poté giurare di sentirlo chiamare perfino alle porte e alle finestre di tutta la città le quali, spalancate, sembravano mille bocche alla ricerca di un unico amore.
 
Marco ebbe abbastanza tempo per riprendere a odiarsi come quando era un adolescente grasso, brufoloso e con l’apparecchio.
Maledisse mille volte se stesso e quella disgrazia che aveva tra le gambe, perché il tocco di Tim lo aveva fatto sentire più sporco che cosce di puttana, e si odiava a tal punto da provare repulsione verso la sua immagine, riflessa in una pozzanghera che andava sempre di più a rimpicciolirsi, sotto il calore di Taormina.
Non pianse più, ritenne di aver finito le lacrime da versare e, in più, gli dolevano il petto e le costole dopo tutti quei singhiozzi disperati.
A volte gli sembrava di sentire il profumo di Michael sulla propria pelle, e nell’accarezzare l’aria, per poco non avvertiva al tatto i suoi soffici boccoli scuri. E la sua voce, oh, la sua voce, gli pareva di sentirla proiettarsi fuori da qualche finestra aperta come una bocca sul mondo.
 
Per andare lontano
Senza mai più tornare
Preso a gingillarsi nei suoi pensieri, quasi non si accorse che quella voce era reale, e chiamava il suo nome.
La voce dell’amore, l’amore che lo sospinse ad alzarsi in piedi e, nonostante tutto, a correre sulle sue gambe per ritrovarla. La mente gli suggeriva di stargli lontano, anzi, di allontanarsi in fretta: cose terribili gli sarebbero accadute se così non fosse stato. Ma l’istinto fu un burattinaio migliore dell’intelletto e, con fili più forti, lo guidò verso la voce di Michael. Scappare non aveva portato a nulla di buono, da quando aveva cominciato a farlo: era sul punto di ritrovare la strada per il suo cuore e non ci avrebbe rinunciato per nulla al mondo.
 
Ti ho lasciato le mani
Per scordarmi il domani
La stoltezza apparteneva ai giovani che rinnegavano i loro propositi dopo averli così ben formulati, essi erano spergiuri come peccatori, ma gli amanti divisi erano un monito per tutta la terra che avrebbe smosso mari e monti pur di sospingerli l’uno verso l’altro. Marco arrivò a pensare che, se non avesse seguito quella voce, il mare lo avrebbe inghiottito per poi risputarlo tra le braccia del suo unico amore.
«Michael!» lo chiamò, quando non seppe più dove andare per avvicinarsi a lui.
Non dovette fare altro che star fermo. Prima avvertì lo scalpiccio dei passi farsi più forte, poi degli ansiti accompagnarono quel suono finché non si ritrovò investito dal più caloroso e avvolgente degli abbracci che lo prese da dietro alla sprovvista. E rigiratosi in quelle braccia che lo stringevano più che mai, urlò e scoppiò in lacrime, aggrappandosi così forte a Michael che quasi gli strappò i vestiti di dosso.
 
E ti ho perso negli occhi
Mentre già mi mancavi
«Shhh, va tutto bene, piccolo» sussurrò, nonostante la sua voce fosse anch’essa rotta dal pianto. «Ci sono io qui con te.»
Era proprio quello il problema.
Ma Marco tacque, lasciandosi coccolare con dolcezza, come un bimbo sperduto. Non avrebbe mai potuto rinunciare a lui, era chiaro come raggi di sole sull’acqua.
Ma quale sarebbe stato il prezzo per il loro amore?
 
«Non ha importanza perché è corso via» lo rassicurò, imboccandogli dolcemente un cucchiaio di ottimo brodo di carne.
Dopo quella corsa sotto il sole del primo pomeriggio, a Marco era tornata qualche linea di febbre e i brividi erano tornati forti quasi quanto prima. Di certo, lo shock ricevuto aveva contribuito, ma questo non lo disse.
Avvolto in una coperta, si lasciò nutrire dalle amorevoli mani di Michael.
«La cosa la più importante» proseguì, «è che tu sta bene e io e Irene ed Elio siamo così felici di questo.»
Marco rimase a fissare quel cucchiaio lucido, gocciolante di brodo, per un tempo che parve infinito. Michael glielo spinse verso le labbra.
«Marco, deve mangiare.»
Ma la sua mente era altrove, rivolta a Tim. Quelle minacce, così perfettamente studiate e calcolate. Quelle parole in italiano così ben pronunciate, come se avesse provato mille volte quel discorso di fronte allo specchio. Magari aveva anche il beneplacito di Jonni, chi poteva saperlo. Minacciare un uomo di violenza, però, quello era sicuro che neppure la più incallita dei Penniman lo avrebbe consentito.
«Marco, oggi tu aveva preparato bella vasca per me e te, sbaglio?» fece allegramente, per tirarlo su.
Marco lo guardò come se lo avesse condannato a morte.
Non poté più reggere la finzione, l’inganno, i dubbi che lo dilaniavano. Scoppiò a piangere e seppellì la testa nel cuscino, artigliandone la federa. Sentì il peso di Michael su di lui, che lo stringeva e piangeva a sua volta e questo lo fece sentire peggio che mai. Era l’uomo più vile sulla faccia della terra.
«Marco» lo chiamò. Il suo nome non era mai stato ripetuto così tante volte da quella voce, tutta tenerezza e gentilezza, come una chiave che apriva quella porta, la stessa che si ostinava a tenere chiusa.
Ma che, all’improvviso, si spalancò.
«Se restiamo insieme, sono finito. Se ti lascio, sono finito. Se ti dico tutto, sono finito!»
 
Come quando avevo voglia di incontrarti anche per sbaglio
Per le strade di un paese che neanche conoscevo
Mi perdevo ed ero certo che ogni volta tanto poi ti ritrovavo
Oddio.
Lo aveva detto davvero? Che idiota.
Michael rotolò su un fianco, fino a ritrovarsi accanto a Marco. Gli afferrò il mento con la mano e lo costrinse a guardarlo. «Cosa dici?»
Iniziò a tremare. Non un leggero brivido di freddo, no: delle vere e proprie convulsioni dettate da una folle angoscia, quella di perdere ciò che aveva di più caro al mondo. Si pentì amaramente delle parole appena pronunciate.
Ma quando si guardarono negli occhi, Marco capì che l’idea di tenergli tutto nascosto, in realtà, non l’aveva mai presa veramente in considerazione. Si sarebbe detestato per tutta la vita.
«Tim è qui in Italia.»
La bocca di Michael fece per curvarsi in un sorriso ma, capito appena in tempo che non si trattava di uno scherzo, gli si torse, quasi deformata, in un’espressione non dissimile da quella di Marco.
Il quale, pur conscio del suo errore, gli raccontò tutto per filo e per segno. Dal momento in cui egli lo aveva quasi spogliato, fino alla molestia sessuale che gli aveva levato la tranquillità. Solo in quel momento capì che l’unico intento di Tim era quello di terrorizzarlo, e ci era riuscito alla perfezione.
Michael ascoltò pazientemente tutto il racconto, di tanto in tanto qualche lacrima gli solcava una guancia, ma in confronto a quelle di Marco, erano brina leggera dinnanzi alla tempesta.
Alla fine del racconto, Marco si poggiò alla spalla di Michael, il quale gli rispose in modo diretto e pacato.
«Io so come tu fai.»
«Come?» chiese, gli occhi si fecero enormi e pieni di curiosità e gratitudine per quell’uomo magico, che aveva tutte le soluzioni a portata di mano. Che riusciva sempre a rendere la sua vita più semplice, più bella. Più vita.
Guardando fisso di fronte a sé, l’altro disse: «Noi in cinque giorni ha la conferenza stampa per X Factor, prima di il programma. Bene, tu lì dici davanti a tutti che hai fidanzata donna. Così, quando poi Tim dice tutti che tu è gay, sembra solo un ex geloso che cerca di avere il suo fidanzato indietro.»
Marco si allontanò per guardarlo dritto negli occhi. Fingersi etero e giocare d’anticipo. Era quella la sua idea? Non era da lui.
«Michael, io non capisco...»
«Cosa vuoi?» lo interruppe, ringhiandogli in pieno viso. «Che io amava l’uomo che è un gran bastardo? Che io vorrei kill him con queste mani? Che io amo te so much che io vuole solo che tu è al sicuro e se lui si avvicina di nuovo a tuo corpo I will break his fucking bones?!»
«Michael!»
 
Come quella notte in cui mi hai detto: "Voglio andare via"
Ed ho chiuso gli occhi con la testa bassa e così sia
Un istante dopo ti eri persa e per le strade già io ti cercavo
Quest’ultimo si era alzato e, afferrato un vaso decorativo che si trovava su uno scaffale, lo lanciò contro il muro. Il rumore fu assordante, ma non fu nulla se comparato a quello della cascata di frammenti che scivolava lungo la parete, per poi finire silenziosamente sulla moquette. Marco lo aveva stretto da dietro, serrando le braccia di Michael tra le sue. Ma era troppo tardi, il vaso era già in frantumi.
Non aveva mai visto un uomo così arrabbiato in vita sua.
«Ti prego, non ne valgo la pena.»
Michael si voltò e lo spinse sul letto, facendolo cadere sul materasso. Poi si mise a cavalcioni su di lui e lo spogliò con una velocità tale che, per poco, Marco mancò il momento di fermarlo.
«Ehi, amore, no» gli parlò in modo tranquillo e pacato, come a una belva inferocita. Pian piano, respirando a fatica, Michael si calmò, crollando sul suo petto e piangendo. Non avrebbe mai dovuto dirglielo, lo sapeva.
«Scusami» disse. Ma, per buffo che fosse, anche l’altro lo disse nello stesso istante. E l’uno volle chiedere all’altro di cosa si stesse scusando e finì che nessuno chiese scusa di nulla, semplicemente si strinsero e si scaldarono, regalandosi con un bacio così disperato, ma pieno d’amore che non aveva bisogno di spiegazioni, né di perché.
Le loro lingue si incontrarono a metà strada tra le loro bocche, intrecciandosi e anch’esse come i due amanti stringendosi tra loro, rendendo quel bacio più profondo, più intenso, più intimo di tutti i baci che si erano dati prima di allora. Si lambirono di carezze, ben poco languide.
Fu Michael a interrompere l’idillio, parlando sulle sue labbra. «Se tu dice che tu sta con donna, tu può salvare tua carriera e te da Tim.»
Marco accarezzò la sua nuca, proprio alla base dell’attaccatura dei capelli. «Ma amore, e noi?»
Gli occhi di entrambi brillavano, quella sera, tra l’amore e le lacrime. Non si capiva più se esse appartenevano a Michael o a Marco, e le labbra erano tumide dei loro baci.
«Noi nasconde, come sempre» alzò le spalle. «Meglio, così noi non lascia mai.»
 
Non c'è posto in cui può smettere
Questo nostro pazzo amore

Non era giusto, e lo sapevano entrambi. Ma la vita non doveva essere giusta, e bisognava aggrapparsi a ciò che si aveva di più caro.
E sentirgli dire che non lo avrebbe lasciato mai –mai– gli riempì il cuore di speranza.
Per questo Marco premette le labbra su quelle di Michael, con tenue gratitudine. Gli cinse il collo con le braccia e in quel bacio, morbido e umido assieme, gli sfilò uno ad uno ogni indumento fino a spogliarlo del tutto.
Quella notte non fecero soltanto l’amore. Fecero molto di più.
 
Non c'è posto poi per l'ombra
Dove batta forte il sole

Michael non si perse in fronzoli e non lo stuzzicò come faceva di solito. Si affrettò a entrare dentro di lui, per divenire fusi in un unico abbraccio: fu talmente bello che per Marco fu come un rituale di purificazione dagli occhi e dalle luride mani di Tim sul suo corpo, corpo che apparteneva a Michael e a lui soltanto. Marco si issò, sedendosi sul grembo di Michael e continuare quel bacio infinito e quell’erotica danza tra i due corpi. Un braccio del libanese sorreggeva con forza il suo amante, il suo amato, il suo amore, e nel mentre usò la mano libera come strumento di piacere che coinvolse il suo membro. Marco gettò la testa all’indietro mentre, tocco dopo tocco, quelle dita cancellavano quelle altrui e, più affondava dentro le sue carni, più egli lo faceva suo. Le mani di Marco andarono a toccare dappertutto il corpo del suo personale dio dell’amore, in ogni avvallamento e insenatura: i suoi polpastrelli tracciarono una mappa, precisa e senza indugi, sul corpo del suo uomo, il quale, tra gemiti e sospiri, arrivò presto al culmine del piacere. Le dita di Michael, strofinando e stringendo nei punti giusti il membro fremente di Marco, aiutarono la sua ascesa verso il paradiso e, ben presto, venne travolto dalla potenza dell’orgasmo, che lo lasciò inarcato, flesso, perfetto, simile a una pantera. Ogni suo muscolo era illuminato da una sottile linea di luce, mentre con la colonna vertebrale rimaneva incantata in un attimo eterno, nella precisa forma di un arco. La bocca spalancata di Marco, assieme ai suoi occhi schiusi, completarono quel quadro di estasi pura. Il solo guardarlo rese Michael schiavo della sua beltà, causando anche in lui quel tanto agognato culmine del piacere. Anche lui, infine, si riversò dentro il suo amore, urlando il suo nome per l’ennesima volta quel giorno, in un modo che fece piangere di commozione Marco.
 
Siamo solo due satelliti
Che si crederanno liberi
Su quest'orbita si gira senza mai uscirne fuori

Nessuno, nella sua vita, lo avrebbe mai chiamato con quella voce, talmente coma d’amore da fargli credere, anzi, da renderlo certo che lo avrebbe inseguito fino in capo al mondo, nel mare profondo e nel cielo sconfinato.
No, Marco non avrebbe mai potuto neanche pensare di vivere senza Michael.
E, mentre quest’ultimo asciugava le sue lacrime con labbra delicate, quasi come a berne per guarirlo da quel malessere che aveva dentro, Marco si ritrovò a dirgli, nel modo più sincero possibile:
«Io ti amo, Michael, più della mia stessa vita e fino alla fine dei miei giorni.»
 
Non c'è posto in cui può smettere
Questo nostro pazzo amore

Michael, posata la sua guancia sulla spalla di Marco, tirò su col naso. Questi lo avvolse con le sue braccia forti, facendolo sentire, per la prima volta in quella giornata, al sicuro. Il calore di quell’uomo ebbe lo stesso effetto su colui che se lo stringeva al petto e in quell’abbraccio, si amarono più che in una vita intera.
 
Non c'è posto poi per l'ombra
Dove batta forte il sole

«Io, mio Marco» replicò Michael, con voce leggermente incrinata, «ti amo più che tutto quello che c’è in questo mondo.»
 
Siamo solo due satelliti
Che si crederanno liberi

Poi, ancora accoccolato a lui, allungò il collo fino ad arrivare al suo viso e lo baciò, come se fosse l’ultimo bacio prima che i loro giorni di vita volgessero al termine.
 
Su quest'orbita si gira
Senza mai uscirne fuori

Come farfalle alla sera.
 
Fuori.
 
 
 
La soffitta dell’autrice:
Eccocci qua, dinnanzi al penultimo capitolo di quest’avventura. Alla fine, devo dirlo, mi sono proprio divertita! Il tutto, ovviamente, grazie a comeunangeloallinferno, una favolosa beta che FINALMENTE SI È DECISA A SCRIVERE LA SUA PROPRIA FANFICTION MIRCO! (Applausi!)
Beh, non ho altro da aggiungere se non che spero di ritrovarvi tutti al prossimo capitolo. Ricordate, non è finita finché non è finita!
Baci.

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Capitolo 12
*** Parole in circolo ***


Parole in circolo
 
«No.»
«Per favore. Sai meglio di me che non ho scelta.»
«Potevi evitare di far casino fin dal principio, per dirne una.»
«Marta...»
«No, okay? Una cosa è essere riservati, una cosa è dire una bugia bella e buona!»
«Non sei sempre stata tu a dirmi che nascondermi era meglio?»
«Non rigirare la frittata, Marco. Io ti ho detto che nascondere le tue inclinazioni sarebbe stato preferibile, e tu sei stato d’accordo perché non ti andava di rendere pubblica la tua vita privata. Ma non farò finta di essere la tua fidanzatina solo per pararti il culo, è chiaro?»
«Forse non ci siamo capiti. Se non mi dai una mano, la mia carriera è rovinata, la mia reputazione è rovinata, perdiamo il lavoro tutti e due.»
Un sospiro.
«Marco, io ti voglio bene e giuro, te lo dico nel miglior modo possibile, ma stai raccogliendo quello che hai seminato. Sotterfugi, tradimenti, bugie... So che è un rischio quello che stai correndo, e sarò ben felice di reggere il gioco se troverai un’altra ragazza disposta a vendersi in questo modo. Ma quella non sono io, mi dispiace.»
Click.
Chiamata terminata.
 
Credo che ognuno abbia il suo modo di star bene
In questo mondo che ci ha intossicato l'anima

Marco si gettò sul letto perfettamente rifatto della camera d’albergo, accasciandosi proprio vicino alla valigia già pronta.
Michael lo guardò con una smorfia di disappunto. «Marta ha detto no?»
«Marta ha detto no» confermò, tristemente. «Ha detto che mi sta bene perché negli ultimi anni non ho fatto che raccontare balle.»
Nel dire questo, allungò una mano per carezzare i riccioli bruni dell’altro, trovando in essi il conforto sperato.
«Lei non è una donna gentile» constatò. Non poté ovviamente dire di Marta che fosse cattiva, né che fosse bugiarda: aveva semplicemente detto la verità e si era rifiutata di mentire. Dopo tante menzogne, la sincerità pareva così strana a entrambi.
«Io posso dire a una di mie sorelle.»
Fece una risatina amara. «Sbaglio o la tua famiglia ancora non ti ha perdonato per aver scelto un qualunque italiano invece di Tim?»
Michael si sporse verso di lui, zittendolo con un bacio intenso e profondo. Marco sapeva quanto lui detestasse sentirgli parlare di se stesso in quei termini, ma a volte proprio non riusciva a farne a meno: per come la vedeva lui, era impensabile che il giovane rampollo di una ricca famiglia preferisse un uomo qualsiasi, né bello né interessante, a un altro giovane rampollo di una famiglia altrettanto ricca. Avrebbe voluto urlare al mondo intero la sua fortuna e, invece, si ritrovava costretto a mentire per proteggerla.
«Oh, idea!» Michael praticamente urlò sulle labbra del suo amato. «Claudia, tua vecchia fidanzata!»
Marco gli prese il viso tra le mani, carezzandogli una guancia, sistemandogli un ricciolo ribelle, sfiorandogli il mento e le labbra. «Non credo: era la mia ragazza, sì, ma avevamo quindici anni e ci siamo lasciati dopo qualche mese. E lei sa perché.»
«Perché tu ha capito che tu ami gli uomini?»
«Indovinato.»
Il sorriso di Michael, con quel nasino amabilmente arricciato e gli occhi socchiusi, lo trasportò in un altro mondo, un mondo in cui potevano andare per mano ovunque volessero, affinché tutta la gente che li circondava potesse ammirare il loro amore e, con un po’ di fortuna, guardare a esso con benevolenza.
Si morse le labbra. «Potrei fare diversamente. Potrei andare alla conferenza stampa e fare una dichiarazione d’amore nei suoi confronti, senza per forza dire che stiamo insieme.»
«Grande idea» esultò Michael. «Così tu fa cosa dolce, gente pensa che tu è romantico e molto straight, così anche se lei dice no, sembra che tu è grande amatore di donne!»
Il suo entusiasmo apparve agli occhi di Marco come ricoperto da un sottile strato di polvere, soffocato dall’inevitabile malinconia.
«Ti amo» fece Marco all’improvviso. Glielo aveva ripetuto spesso dalla notte scorsa, come se volesse rassicurarlo ogni secondo della loro vita che fingersi etero non avrebbe minimamente intaccato ciò che provavano l’uno per l’altro.
«Io ti amo, anche» sorrise l’altro, ben sapendo che avrebbe sofferto le pene dell’inferno nel vedere il suo amato dichiararsi a un’altra persona.
Per un lungo, folle attimo, mentre indugiava sulle labbra di Michael, Marco pensò di farla a lui, quella dichiarazione d’amore. Sì, si sarebbe presentato alla conferenza stampa e, dinnanzi ai flash dei paparazzi e ai microfoni dei giornalisti, si sarebbe gettato ai piedi di Michael, gli avrebbe detto quanto lo amava e che dei giudizi della gente gli importava ben poco. Sarebbero stati felici e si sarebbero amati alla luce del sole, come nelle migliori fiabe.
E poi, cosa sarebbe accaduto?
 
E devi crederci per coltivare un sogno
Su questa terra spaventosamente arida

Tim avrebbe sicuramente confessato tutto, ossia che la loro era stata una storia d’amore clandestina durata tre anni, che Marco aveva rovinato il suo matrimonio, che erano due traditori e che probabilmente questo li rendeva perfetti l’uno per l’altro. Entrambi avrebbero perduto la loro dignità e, probabilmente, la loro carriera ne avrebbe risentito. Non potevano neanche immaginare una vita senza la musica: si sarebbero sentiti due involucri vuoti, due gusci rotti, senza più nulla da custodire al propri interno.
Si sarebbero dissolti come cenere al vento.
Per questo Marco gli diede un bacio talmente forte da far mugolare Michael in un misto di piacere e dolore: per esprimere senza esitazione tutto l’amore che provava e che, nonostante tutto, avrebbe sempre provato.
Michael gli afferrò le braccia per avvicinarlo ancora di più a sé, poi si mise su di lui e rese quel bacio ancora più disperato.
Marco avrebbe solo finto, non si sarebbero di certo lasciati solo per una falsa dichiarazione.
Ma allora, se le cose stavano così, perché quello parve a entrambi un bacio d’addio?
«Marco!»
Toc toc!
Il rumore della porta li fece sobbalzare entrambi, soprattutto Michael che, dopo un trauma risalente a qualche anno prima, odiava che gli altri bussassero alle porte.
«Sì?» fece Marco, mentre accarezzava a palmi distesi le spalle di Michael, affinché si rilassasse.
Irene urlò per farsi sentire da dietro la porta. «È ora di andare, ti aspettiamo tutti alla reception.»
«D’accordo.»
Attesero qualche secondo poi, quando furono sicuri che Irene fosse andata via, fecero per baciarsi di nuovo.
Ma desistettero.
Non volevano provare di nuovo quella triste, lacerante sensazione.
«Quindi» ripeté Marco, «io vado alla conferenza e mi dichiaro a Claudia?»
«Sì.»
«Andiamo, ora?»
«Okay.»
In quella camera d’albero ci avrebbero lasciato l’odio e l’amore.
 
Io l'ho vista sai, la vita degli illusi
Con le loro dosi di avidità e superbia
L’odio per Tim che, nonostante una comprensibile delusione e una rabbia che ardeva come fuoco sulla carne viva, aveva scelto la via più ignobile per cercare di placare quel bruciore incessante: la vendetta. Che illuso, se pensava che quello lo avrebbe fatto sentire meglio. Avrebbe solo rovinato qualche vita in più, senza per quello ottenere nulla di ciò che sperava.
L’amore l’uno verso l’altro, di chi proprio non riesce a rimanere a lungo separato. Loro erano l’archetipo degli amanti: divisi non sarebbero sopravvissuti, insieme avrebbero subito solo affanni. Non erano riusciti a restare a lungo lontani e sarebbero rimasti insieme, benché distrutti, ma comunque uniti. Perché, semplicemente, non avrebbero potuto fare altrimenti.
Marco e Michael si presero per mano come se vi fossero abituati, come se le loro mani fossero nate per stringersi l’una l’altra e, insieme, andarono verso la porta.
Da quella porta, uscirono divisi.
 
Non si separarono un solo istante in quei cinque giorni. Dal momento in cui misero nuovamente piede a Milano, Michael insistette affinché Marco stesse da lui, nella sua casa. Se fosse il timore che dopo la finta dichiarazione le cose tra di loro sarebbero cambiate, oppure un moto di tenera protezione nei suoi confronti, Marco non lo seppe mai.
 
Che per combatterli, ti giuro, basta poco
Devi interdirli con un po' di gentilezza

Ebbe appena il tempo di passare a prendere qualche cosa dal suo appartamento, lo stretto indispensabile, che Michael si presentò sotto casa sua e suonò il campanello finché non vide Marco comparire dal portone, con un borsone pieno zeppo che fece sorridere il libanese, con tanto di fossette.
Poi, una volta trasferitosi, Michael non fece che ricoprirlo di attenzioni: dalla colazione a letto alle camice perfettamente stirate, dalle cene cucinate da lui in persona alle notti di fuoco.
Il quarto giorno di quel paradiso, Marco si svegliò con la sensazione di aver vinto alla lotteria, ma di avere le ore contate.
Era tutto perfetto, dolce, romantico e... passeggero. Era bellissimo, ma non sarebbe durato e quella consapevolezza rovinò le premure di Michael.
L’uomo gli dormiva accanto, quel giorno. Era molto più pigro di quanto Marco non ricordasse, e quel particolare gli sembrò adorabile.
Appariva quasi innocente.
 
Un'alluvione mi ha forgiato nel carattere
Però il sorriso dei miei mi ha fatto crescere

Marco si mise a osservarlo a lungo, contando tutto ciò che lo rendeva perfetto.
Quell’uomo era pura tempesta, ma quando dormiva aveva la pace stampata in volto e contemplare il suo viso era per Marco fonte di pura meraviglia. I capelli aggrovigliati e soffici come nuvola lo incantavano, la pelle liscia e candida invitava a sfiorarla in eterno con le dita, la bocca dischiusa era fatta per essere baciata e, sotto le palpebre chiuse, Marco sapeva quanto fossero belli i suoi occhi dal colore cangiante e dalla luce perenne. Si ritrovò addirittura ad ammirare quegli adorabili nei sul collo, quando si rese conto che, di quell’uomo, Marco amava proprio tutto.
Aveva un carattere autoritario, quasi prepotente alle volte, e Marco, timido ma testardo, spesso aveva avuto assaggi di cosa voleva dire scontrarsi con lui. Non aveva filtri e diceva quel che pensava senza timore di ferire la gente. Usciva senza avvertire e tornava a orari improponibili alle volte, ma mai ubriaco, né di alcol né di sesso. Semplicemente, era come un bambino troppo cresciuto e un po’ viziato.
Marco amava quei difetti, semplicemente perché rendevano quell’uomo il suo uomo, che conosceva perfettamente e che amava alla follia: quelle debolezze, quelle peculiarità, gli altri non le vedevano, per questo le amava. Erano cose sue, e solo sue. Solo lui in tutto il mondo poteva conoscerle e apprezzarle, nessun altro lo avrebbe mai fatto e di certo Marco le custodiva gelosamente.
 
Se qualche volta ho anche perso la testa
Però l'amore mi ha cambiato l'esistenza
Per un secondo, gli occhi gli si velarono di lacrime al pensiero di poter perdere tutto quello: l’amore lo colse alla bocca dello stomaco, così forte da fargli male. Strinse le labbra per trattenere la brama di pianto e, per trovare conforto, si rannicchiò contro Michael e inspirò forte il suo profumo.
Un sospiro più forte degli altri fece comprendere a Marco che il suo amore si era svegliato. Sollevò il capo e lo vide con gli occhi socchiusi, gravidi di luce, e un sorriso sempre pronto per lui.
Il dolore si dissipò per far spazio a una sensazione ben più lieta e dolce.
«Buongiorno, piccolo» mormorò, cingendolo con un braccio.
«Buongiorno, grande» lo prese in giro.
 
Quante cose fai che ti perdi in un attimo?
Michael gli stampò un lieve bacio sulle labbra, tipico di chi ha appena lasciato il caldo abbraccio del sonno e ne cerca un altro in cui rifugiarsi. Neanche a dirlo, Marco lo circondò con le sue braccia possenti nelle quali l’altro si accoccolò, proprio come il bambino troppo cresciuto al quale Marco stava pensando pocanzi.
«Io ti ho sognato, stanotte» mugugnò, con la voce ancora impastata. «Tu era vestito da banana e cantava Sbucciami
Una risata eruppe senza volerlo dalla gola di Marco, posto dinnanzi a un’immagine a dir poco esilarante.
«Ti prego, dimmi che almeno mi hai sbucciato.»
 
Quanti amici hai che se chiami rispondono?
Stavolta toccò a Michael ridere. «Io non volevo rovinare il vestito di banana.»
Le loro risate divennero una, riecheggiando nei loro petti e intrecciandosi nell’aria. Quando si placarono, Marco osservò ancora una volta, incantato, il volto di Michael.
Quest’ultimo, dopo qualche secondo, arrossì. «Che tu guarda?»
«Che sei bello» rispose semplicemente.
«Io non sono, tu sei.»
«Guarda, in effetti non te lo volevo dire, ma ultimamente la trippa fa tanto “Uomo sexy dell’anno.»
Gli occhi di Michael divennero improvvisamente seri: nessuno poteva dire nulla di cattivo su Marco, nemmeno Marco.
 
Quanti sbagli fai prima di ammettere che hai torto?
Così, prima ancora che quest’ultimo potesse protestare, egli si infilò sotto le coperte, si diede un secondo per orientarsi e poi si dedicò alle rotondità di Marco, il quale non comprese ciò che quel matto intendesse fare finché non sentì i denti premergli sul fianco.
Quanti gesti fai per cambiare in meglio il mondo?
Non che fosse poi così abbondante da potersi permettere certe lamentele, ma era un dato di fatto che aveva della carne sulle ossa. Se paragonato a Michael, poi, si sentiva più che in dovere di sentirsi a disagio con quell’aspetto leggermente più paffuto.
Michael, che cercava ogni scusa per prendersi libertà sul corpo di Marco, colse la palla al balzo per aggrapparsi ai suoi fianchi e iniziare a morsicare la sua pancia, attorno all’ombelico. Marco sobbalzò e iniziò a dimenarsi come un’anguilla sotto quei denti, ma chiaramente questo venne interpretato come un segnale di alto gradimento e l’opera di tortura venne proseguita. Da sadico aguzzino, Michael alternò i morsi a qualche sopradico, ma sensuale, colpo di lingua, che regolarmente faceva contorcere Marco. Quest’ultimo si impose di resistere, ma non ebbe scampo quando sentì le sue sensuali labbra succhiare la pelle che sovrastava l’inguine: un gemito gli sfuggì di bocca e Michael seppe di averlo in pugno. Se l’intento era quello di fargli amare quelle parti del suo corpo, ci stava riuscendo.
Spuntò da sotto le coperte per godersi lo spettacolo di un Marco rosso in viso, con le labbra vermiglie dei propri morsi e le pupille che scintillavano di desiderio. Lo baciò sensualmente, prendendosi tutto il tempo per togliergli il respiro a dovere. Entrambi chiusero gli occhi, godendosi quell’istante di estasi e perfezione.
 
Libero, libero, libero, mi sento libero
Canto di tutto quello che mi ha dato un brivido

Poi, all’improvviso, Marco lo sovrastò con la sua figura robusta. Proseguì quel bacio, spostandolo prima alla gola di Michael, poi facendolo scivolare al suo addome, e da lì andò sempre più giù, con una lentezza disarmante che fece ansimare Michael di sorpresa e di piacere. Iniziò ad essere percosso da teneri spasmi, reagiva senza controllo e Marco si inebriava di avere quel potere sul suo corpo. Affondò il viso nel suo inguine, inspirando quell’odore di sesso che lo uccideva regolarmente di voglia.
Schiuse le cosce di Michael e, leggera come una piuma, la punta della sua lingua andò a stuzzicare quel punto che separava le cosce dal resto del bacino e scoprì quella zona particolarmente dolce e sensibile al suo tocco. Dispettosa, la sua lingua vi si infilò in mezzo e prese a disegnare allegramente ghirigori e cerchi concentrici, guizzando da tutte le parti, alle volte sfiorando l’interno coscia, altre volte il suo membro. Dopo qualche minuto di quel supplizio, i gemiti di Michael erano divenuti sempre più spezzati dal desiderio e la sua erezione era ormai pronta per essere gustata. Marco la assalì come un frutto prelibato, godendosene ogni centimetro e percorrendone ogni vena.
 
E odio e ti amo e poi amo e ti odio
Finché ti sento nell'anima non c'è pericolo

In quel lasso di tempo, Michael era diventato scarlatto sulle gote, mentre un ampio sorriso si faceva strada tra le sue labbra e le sue membra, senza più rispondere ai suoi comandi, si agitavano chiedendo sempre di più. Fu solo quando Marco prese completamene in bocca il suo membro che poté lanciare un urlo di sollievo e di soddisfazione. Infilò le dita tra i suoi capelli setosi e li strinse leggermente, lottando contro l’impulso di spingerlo il più possibile vicino al desiderio.
Quando Marco lo trattava in quel modo, quando venerava il suo corpo come il più prezioso dei doni, quasi sentiva di poter amare se stesso, se il suo uomo lo apprezzava con tanta e tale devozione.
Quest’ultimo prese a lappargli sistematicamente la punta, stringendo il resto con forza.
«Marco» ansimò, e non ebbe bisogno di dire altro.
Marco aveva già capito. Stretta il più possibile la sua eccitazione, richiuse la punta nella sua bocca e la succhiò con avidità.
Accogliente, umida, sensuale: la bocca di Marco gli provocò una marea di sensazioni, tutte altrettanto meravigliose, che investirono Michael come spuma marina e come quand’essa si infrange sullo scoglio in mille spruzzi, così il piacere lo travolse con un urlo.
Marco ingoiò tutto il suo seme, facendolo arrossire leggermente quando si leccò le labbra e sospirò, ghiotto.
Michael, esausto ma pago, allungò la mano verso di lui per accarezzargli il viso. Quel gesto lo sospinse a strusciarsi teneramente contro la mano di Michael, più e più volte, come un gatto che fa le fusa, fino a ritrovarsi con il capo dolcemente poggiato sul suo addome.
Dopo qualche minuto, Marco avvertì in corpo sotto la sua guancia tremare leggermente. Si sollevò per osservarlo meglio e intravide due familiari luccichii sulle guance di Michael.
«Amore» lo chiamò, preoccupato. «Che cosa c’è?»
Lo guardò. Piangeva.
«Niente» farfugliò, «solo io pensava che oggi era domenica ma è lunedì, invece.»
Per un attimo, mentre gli asciugava le guance, Marco si chiese cosa ci fosse di tanto tragico nell’essersi sbagliato circa i giorni della settimana.
Poi capì.
L’indomani ci sarebbe stata la conferenza stampa.
 
Dicono che è un'altra ottica, se resti in bilico
L’indomani Michael avrebbe visto Marco dichiararsi di fronte alla nazione intera nei confronti di un’altra persona.
 
Dicono che più si complica, più il fato è ciclico
L’indomani tutto sarebbe finito, sogni, speranze e illusioni.
Marco lo strinse fortissimo a sé, mentre comprendeva il motivo della tristezza di Michael.
 
Dicono, dicono, dicono, parole in circolo
Pensava che avrebbe avuto più tempo.
 
Parole in circolo
 
«Ricorda che deve sorridere mentre ti dichiara» gli raccomandò Michael, sistemandogli la cravatta.
«Tu devi essere sorpreso, invece. Ricordati che tu non ne sai nulla» ribatté Marco, mentre gli abbottonava la giacca.
 
Credo che ognuno abbia una strada da percorrere
Ma può succedere che non ci sia un arrivo
Il fatidico giorno era giunto, tra poco ci sarebbe stata la conferenza stampa che avrebbe preceduto la messa in onda dei provini, dei bootcamp e, infine, degli Home Visit. Cinque settimane appena alla diretta, non sembrava quasi vero che fosse passato così tanto tempo.
I due si stavano preparando nel camerino che la produzione aveva assegnato loro. Teoricamente avrebbero dovuto dividerlo con Elio, ma quest’ultimo aveva preferito prepararsi a casa e arrivare elegantemente in ritardo: probabilmente stava indossando qualche strampalato completo appositamente per l’occasione e non voleva rovinare la sorpresa a nessuno.
Si ritrovarono dunque soli nello stesso camerino, così poterono darsi una mano a vicenda nel vestirsi. Si vietarono vicendevolmente di usare qualunque tipo di fissante per capelli, visto che si piacevano l’un l’altro selvaggi e naturali. Marco aveva insistito affinché Michael indossasse un completo bianco, non facendo altro che ripetere quanto quel colore gli donasse. Michael invece si era impuntato sui jeans, che addosso a Marco facevano un figurone. Era un giorno importante, quello, e dovevano apparire al meglio. Stavano giusto finendo di prepararsi e di ripassare ciò che avrebbero dovuto dire e fare durante quella bizzarra diretta, quando Marco venne colto da un dubbio atroce.
«E se l’intervista non va a parare dove vogliamo noi?» domandò. «Insomma, se nessuno mi chiede nulla sulla mia vita amorosa?»
Michael sorrise. «Tu deve fare sempre la faccia assente, così tu fa sempre il stupido finché non ti chiede tutti cosa tu ha. A quel punto,» e imitò la sua voce: «“Oh, Claudia, io te sempre amata! Da che avevemo quindici ani.”»
«“Anni”, Michael, ti prego» ridacchiò per lo strafalcione.
Le loro risate e i loro volti, perfino le loro raccomandazioni parevano aver perduto il consueto colore.
«Come tu dice» ribatté. «E io poi fa “Oooh, che una sorpresa!»
«Starai bene?» gli chiese, a bruciapelo.
Gli occhi tristi di Michael si posarono su di lui. Con le mani sulle sue spalle, strinse leggermente la stoffa scura della sua camicia, come a trattenersi, come a celare una risposta. Come a reprimere quell’urlo nero che non poteva lasciar uscire.
Non vedeva Michael così sofferente da quella mattina in cui ammise di aver rotto il fidanzamento e questo gli causò una morsa dritta al cuore.
 
E quanti piedi che s'incroceranno andando,
Ma solo un paio avranno il tuo stesso cammino

«Certo, sicuro» rispose, con un sorriso tanto affabile quanto falso. «E tu?»
Marco si strinse nelle spalle. «Starò come te.»
Si guardarono a lungo. Nessuno dei due sarebbe mai più stato lo stesso e lo sapevano entrambi.
Perché Marco avrebbe spudoratamente mentito, senza fare come aveva sempre fatto: ritenere l’amore una faccenda privata che non andava sbandierata in pubblico. Si sarebbe venduto, avrebbe imboccato la via più facile, perché non poteva fare altrimenti. E Michael avrebbe minimizzato i futuri tentativi di Tim di far capire a tutti che il vero amante di Marco era proprio lui, il suo ex fidanzato: lo avrebbe messo in ridicolo con la sua solita ironia, e sarebbe finito tutto bene.
Tranne che per il loro amore.
Non potevano che sperare di resistere a un tale scossone.
Marco prese il viso di Michael tra le sue mani e in quel momento si sentì peggio che mai. Trattenevano entrambi le lacrime.
«Ti prego» lo supplicò, «fammi un sorriso. Non riesco a respirare se tu non mi sorridi come fai sempre.»
Detto fatto, Michael gli regalò il più grande sorriso che poté. Era tremolante e incerto, e tendeva verso il basso, nella parodia di un sorriso dei suoi. Non c’era calore, non c’era gioia, non c’era niente. Erano solo denti e labbra.
«Grazie.»
 
Ne conosco gente che sta ancora in viaggio
E non si è mai chiesta in fondo quale sia la meta

E, detto questo, gli diede un bacio. Disperato, forte, intenso, e doloroso come un uncino che arpionò il cuore di Michael e lo tirò verso il proprio.
Era certo che sarebbero rimasti ancora insieme, ma non sapevano se sarebbero mai più stati felici. Sia nel lasciarsi che nel tenersi uniti c’era dolore, eppure separarsi parve così assurdo, così impensabile, che soffrirono al solo pensiero e più si strinsero nelle loro braccia cercando inutile conforto.
«Chi è di scena» fece una voce da dietro la porta del camerino.
Ma nessuno dei due si mosse.
Era finita. Era finita per davvero quella volta.
Uscirono dal camerino e si diressero, con i denti stretti e lo sguardo gelido, verso il luogo in cui i quattro giudici si sarebbero lanciati nel loro servizio fotografico. Quegli istanti durarono un’eternità. Perfino quanto Elio si presentò vestito da Fred Flintstone, con tanto di clava e piedi nudi, le loro risate furono forzate e inutili.
Speravano solo che finisse tutto in modo rapido e indolore.
Come essere giustiziati.
Alla fine entrarono nella grande sala, si sedettero sulle poltroncine di velluto color crema e si misero a rispondere a tutte quelle solite domande banali e scontate. Come vi sentite? Emozionati? Puntate alla vittoria o l’importante è partecipare? Diteci come sarà quest’edizione in una parola.
Marco guardava spesso i volti degli altri giudici: Irene era eccitata, poiché era la prima volta che rispondeva a domande del genere, mentre Michael aveva l’aria annoiata, di fronte a tutta quell’inutile ridondanza. Elio era semplicemente Elio.
Lui, invece, venne richiamato un paio di volte, poiché spesso non si accorse che gli rivolgevano delle domande. Questo fu un bene, perché dopo il terzo richiamo iniziarono a chiedergli se ci fosse qualcosa che non andava, quali pensieri avesse per la testa.
 
Sarà che forse dentro sono un po' Re Magio
E cerco anche in cielo una stella cometa

Era tutto come nei suoi incubi peggiori: ogni cosa era piatta, nebulosa e monocolore. Tutto perfettamente studiato e calcolato, non una risposta partiva spontanea da loro. Erano come automi.
Era peggio dell’inferno.
«Allora, Elio» fece una signorina, tutta pimpante. «Tua moglie è o non è gelosissima? Insomma, la tua squadra è quella delle ragazze giovani, il gossip avrà di che sbizzarrirsi.»
«Guarda» la rimbeccò lui per quell’infelice domanda, «l’unica cosa che il gossip può dire è che una di loro potrebbe essere la mia futura figlia adottiva.»
Risate generali. Oh, Elio, sei terribile.
Noia, prevedibilità. Marco si sentiva letteralmente soffocare.
«E tu, Marco?»
«Io che?»
Si era distratto un’altra volta.
«Beh, tu sei molto fortunato, Marco. La tua squadra è piena zeppa di ragazze, tutte molto giovani e graziose.»
«Sì, alcune sono molto, molto giovani» constatò.
Con aria maliziosa, quella proseguì: «Un paio di anni fa, Victoria Cabello affermò di voler trovare l’amore tra i concorrenti di X Factor, un po’ come aveva fatto l’ex giudice Morgan, tempo addietro. Sei del loro stesso avviso? Oppure preferisci mantenere il distacco professionale?»
L’aria si appesantì tutta l’un colpo.
Ecco, era quello il momento.
Il momento di salvare la sua musica, il suo amore. Tutto quello a cui teneva.
Tutto, fuorché la verità.
Nonostante gli occhi gli pungessero da dietro, si costrinse ad apparire naturale mentre diceva: «No, non sono interessato ad altre persone.»
 
Una passione mi ha cambiato nella testa
Ma sono un sognatore con i piedi a terra

Un coro di “oooh”  sgomenti fu la conseguenza ideale alla sua dichiarazione.
«Altre? Vuoi dire che c’è già una persona speciale nel tuo cuore?»
Silenzio.
Attesa.
Paura di sbagliare. Paura di far bene.
Marco in quel momento neppure pensava. Poi, il chiacchiericcio del pubblico lo risvegliò da quella trance.
Forza, Marco, ora o mai più.
Dovette sforzare la lingua e la bocca per compiere quei movimenti che lo portarono alla più dolorosa delle menzogne.
«Sì. Sono innamorato. Ma non so se lei ricambia i miei sentimenti.»
Lei?
Lei!
Lei.
Marco osservò la gente voltarsi a chiacchierare con chiunque gli capitasse a tiro, anche persone che tra loro si conoscevano poco e niente, o niente affatto, presero a parlare, a ipotizzare, a parlare di lui. Chi era questa lei? Dunque gli piacevano le ragazze. Che scoop! Perché non lo aveva mai confessato prima?
 
Cerco di trarre da ogni storia un'esperienza
E di sorridere battendo la tristezza

«Sì, ecco» cercò di sovrastare quel brusio, che catturò la sua attenzione. «Lei è...»
La gente non la smetteva di parlare, parlare, parlare. Non appena finiva di proferire con la persona alla sua destra, si voltava a sinistra per poterne discutere ancora, e poi avanti, indietro, dappertutto. Un paio di signore si alzarono per poter fare conversazione con i tecnici, i quali parlarono agli intervistatori. Sentì perfino Elio e Irene che borbottavano qualcosa a mezza bocca.
«Lei?» lo incoraggiò l’intervistatrice.
«Già tempo fa stavamo insieme, ma poi è finita» disse, senza dare un vero senso alle sue parole. Era solo fiato, vibrare di corde vocali.
Guardava quella massa confusa di persone, quelle bocche che non la piantavano di muoversi e produrre un insopportabile mormorio di massa.
Cosa c’era di tanto interessante? Qual era il punto? Sì, era innamorato: nulla per cui scandalizzarsi, di certo nulla che fosse degno di quella reazione spropositata. Due cameraman da una parte all’altra della sala si fissarono increduli, parlandosi a gesti.
E, di colpo, capì.
 
Quante cose fai che ti perdi in un attimo?
Non era ciò che diceva.
 
Quanti amici hai che se chiami rispondono?
Era chi lo diceva.
 
Quanti sbagli fai prima di ammettere che hai torto?
Sentì la signorina chiedergli qualcos’altro, ma a quel punto non ascoltava più.
Chiacchiere.
Lui era solo fonte di chiacchiere.
 
Quanti gesti fai per cambiare in meglio il mondo?
La gente avrebbe parlato di lui qualunque cosa avesse detto. Aveva appena dichiarato di essere ancora innamorato di una sua vecchia fiamma e tutti si sentivano sotto effetto di chissà quale arcaico incantesimo che li spingeva a chiedersi chi, cosa, da quanto, perché, perché no.
Era stanco, al limite della sopportazione.
Voleva urlare a tutti di starsene in silenzio, che tutto quello stupore inutile era da imputarsi a una stupida bugia. Se avessero saputo la verità allora...
Allora?
 
Libero, libero, libero, mi sento libero
Canto di tutto quello che mi ha dato un brivido

Non avrebbe fatto alcuna differenza.
Avrebbero avuto comunque di che parlare.
Avrebbero continuato a dirne di cotte e di crude su di lui, a ipotizzare, a fantasticare. A rendere la sua vita oggetto di chiacchiere vuote e inutili.
A che scopo?
Avrebbe potuto dire qualunque cosa, le persone avrebbero comunque parlato di lui e ne avrebbero dette di tutti i colori.
Si ritrovò a chiedersi quale fosse il reale problema per cui si nascondeva.
«Marco?»
Si voltò, con calma disarmante. Osservò la signorina, che gli tendeva il microfono, e senza riflettere neppure per un istante, dichiarò:
«Non è vero.»
«Cosa?»
Per un attimo aprì la bocca, poi la richiuse.
Non era semplice. Ma cosa lo era mai stato? Non lo avrebbe mai saputo se non avesse tentato.
«Quello che ho detto. In realtà, non cerco l’amore, perché sto già felicemente con...»
Sentì tutti gli occhi, gli sguardi, i pensieri convogliare su di lui.
Con?
 
Odio e ti amo e poi amo e ti odio
Adesso.
 
«Con un uomo.»
Finché ti sento nell'anima non c'è pericolo
E la gente lì esplose in talmente tante parole e sospiri ed esclamazioni e chi più ne ha più ne metta, che Marco per poco non si mise a ridere.
Che parlassero, che ne dicessero di tutti i colori. Non gli importava più, perché finalmente aveva capito.
Tanto, avrebbero parlato comunque, qualunque cosa avesse detto, purché la dicesse lui.
Si voltò per vedere la reazione dei suoi colleghi.
Irene era a bocca aperta, mentre Elio sorrideva di soddisfazione, quasi fosse orgoglioso che Marco avesse detto la verità.
Michael aveva gli occhi talmente sgranati che Marco poté distinguere ogni singola emozione che essi custodivano.
Paura. Incredulità. Emozione. Sconcerto. Scandalo. Amore. Amore. Amore.
 
Dicono che è un'altra ottica, se resti in bilico
Dopo essersi ripresa dallo shock, l’intervistatrice divenne più giuliva che mai.
«Marco, con un uomo? Questo sì che è un pettegolezzo! Puoi dirci che è lui? Da quanto tempo state insieme? Perché hai mentito dicendo che era una lei?»
«Quanto rumore» commentò. Non seppe dire da quando, esattamente, ma aveva smesso di balbettare e di indugiare sui suoi molteplici intercalare. Era privo di incertezza. «Sono un uomo innamorato. Cosa c’è da dire? Sono una persona come tante, chi amo non fa alcuna differenza. Potrei anche stare qui a dirvi come, dove e perché. Ma non dirò nulla. Non so neanche se questo è ciò che lui vuole. Perciò mettetevi l’anima in pace, non cercate di scoprire chi è e, soprattutto, piantatela con questo sottofondo di parole inutili. Accontentatevi di sapere che sono innamorato e sono felice. Fine della storia.»
 
Dicono che più si complica più il fato è ciclico
L’applauso che seguì fu talmente forte che sentì vibrare la sedia sotto di sé.
Fu allora che realizzò cosa aveva fatto.
Aveva detto a tutti di essere omosessuale.
Per poco non scoppiò a piangere.
Si premette una mano sul volto, per non mostrare a tutti la sua confusione.
Finalmente si era liberato di quel fardello che lo aveva tenuto prigioniero una vita intera e che, durante i sette anni della sua carriera, era stato il più grande dei tabù. Si era sentito sbagliato, emarginato, discriminato, pressato, odiato, idolatrato, tutto in virtù di ciò che la persona che amava aveva tra le gambe.
Non lo aveva mai sopportato.
 
Dicono, dicono, dicono, parole in circolo
Parole in circolo

Non pensava di poterlo dire, ma diamine, stava così dannatamente bene.
Una volta tanto, si sentiva libero.
«È quello che lui vuole.»
Oh, mio Dio.
Era la voce di Michael quella che aveva sentito?
 
Libero, libero, libero, mi sento libero
Canto di tutto quello che mi ha dato un brivido

Si voltò immediatamente, tanto emozionato e con il cuore talmente impazzito che dovette reggersi ai braccioli della poltrona per non cadere, tanto si era sporto a guardarlo.
Il volto di Michael era tinto di un amabile rosso, rideva con gli occhi lucidi.
Stava facendo un altro passo.
Stavano camminando insieme verso la libertà.
Era pericoloso, inebriante e bellissimo.
Marco pianse senza tentare di nasconderlo.
«Lo vuole davvero? Anche se dovesse passare i guai? Anche se questa cosa potrebbe danneggiarlo?»
 
Odio e ti amo e poi amo e ti odio
Finché ti sento nell'anima non c'è pericolo

Michael si alzò. Lo guardò dritto negli occhi, avanzò verso di lui e con un gran sorriso esclamò:
«Chissenefrega 
Lo disse così, tutto d’un fiato.
 
Dicono che è un’altra ottica, se resti in bilico
Poi, di fiato, nessuno dei due ne ebbe più.
Si chinò verso di lui.
Poggiò le mani sulle sue.
Chiusero entrambi gli occhi.
 
Dicono che più si complica più il fato è ciclico
E Michael baciò Marco.
E fu scandalo e fragore di voci sgomente, e battito di mani e urla e rumore assordante.
E fu amore, e fu rivoluzione. Fu libertà, fu verità, fu gioia.
Per un attimo Marco ebbe paura che tutto quello fosse solo un sogno e che presto si sarebbe svegliato.
Scostò Michael da sé tenendolo saldamente per le spalle e gli restituì uno sguardo incredulo.
Non era affatto un sogno.
«Lo abbiamo fatto veramente?»
«Yes, we did
E andava bene in quel modo.
 
Dicono, dicono, dicono, parole in circolo
Perché, a dispetto di tutte le parole in circolo in quella stanza, finalmente Marco e Michael avevano ottenuto tutte le cose che non avevano mai avuto.
Sincerità.
Felicità.
Amore alla luce del sole.
Avevano l’uno l’altro, e nulla avrebbe avuto più importanza da quel momento in avanti.
Erano liberi.    
 
Parole in circolo.




 
 
La soffitta dell’autrice:
QUESTA FANFICTION AVRÀ UN SEQUEL
Perfetto, ora ho la vostra attenzione.
Oh, mio Dio. Non ci credo che l’ho finita!
Sapete, nel corso di questa fan fiction non ho fatto altro che ripetermi che dovevo il più possibile creare una cosa verosimile... ma ho scoperto che più scivolavo nell’assurdo e più mi divertivo.
Così, è con sommo piacere che annuncio un futuro per questa storia. Non oggi, né domani, probabilmente dopo l’estate, ma QUESTA FANFICTION AVRÀ UN SEQUEL, per davvero. La mia beta e coautrice è e sarà sempre la mia amata comeunangeloallinferno94, anche lei autrice di una bellissima storia sui Mirco.
E... che dire? Ringrazio tutti voi che mi avete letta, recensita e sostenuta. Ringrazio tutte le Mirco shipper e ringrazio quei due piccoli idioti che mi ispirano, nonostante tutto.
Alla fine, non mi interessa il risultato, se questa è una bella storia o no. L’importante è averci messo dentro le mie emozioni.
Tutto il resto, non sono che parole in circolo.

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