Resti indifferente
Quel
temporale, la pioggia batteva
Ed è banale restare a pensare che
poi
Tutto
resti normale
La
pioggia non fa male quando cade sulla pelle.
Si posa come una lacrima sul viso e con essa si
confonde, creando linee immaginarie che come mappe tracciano i corsi
dei fiumi.
Annebbia la vista come farebbero le nuvole, i brividi che poi scuotono
le ossa
paiono quasi terremoti nelle lande desolate del cuore.
La pioggia, le nuvole e i terremoti. Come l’Irlanda.
Sono lacrime o gocce di pioggia quelle che ti vedo sul
viso?
Parli. Dalla tua bocca amara vedo uscire gelido vapore che sa di
sconfitta.
Potrebbe quasi piacermi il dolore che mi infliggi, ma ho imparato a
essere meno
duro con me stesso. Strano che sia accaduto grazie a te, vero?
Ora l’uggiosa città di Dublino è
diventata troppo
piccola per me. E, sotto lo stesso ombrello, hai detto la
verità.
Si dice che dalla realtà non si possa fuggire. Ma sono
del tutto intenzionato a scoprirlo. Finché le ossa non
smetteranno di tremare e
la pioggia non cesserà di assorbire il mio pianto
così che possa fingere che
non sia mai neanche esistito, finché le nuvole non
scompariranno dai miei occhi
consentendomi di vedere chiaramente ciò che avrei
già dovuto vedere ormai da
tempo.
Finché l’Irlanda non uscirà dalla mia
vita, io non
sarò libero.
Dopo
questa tempesta, la goccia
Che bagnava la pelle, addolcisce le
ferite
Che non curiamo più
Marco si
svegliò
all’improvviso, madido di sudore. I sogni agitati erano
diventati suoi cari
amici ormai da un po’ di tempo.
Scostate con
violenza le
coperte, si alzò dal letto e arrancò pigramente
verso il bagno. Lì si sfilò la
maglia con la quale aveva dormito e la gettò sul freddo
pavimento. Si guardò
nello specchio che sovrastava il lavandino e si studiò. Era
invecchiato. Quando
era accaduto? Quando, ai lati dei suoi occhi, erano comparse quelle
lievi rughe
che parevano sollevarsi a ogni sorriso? Le sue tempie, poi, da quando
erano
così ampie e visibili? Quante fan indignate gli avevano
fatto notare che stava
perdendo i capelli, mentre la sua barba era sempre più
folta, dandogli
l’aspetto di un apostolo, più che di un cantante?
Forse troppe, per poterle
contare. Sospirò. Quella mattina si era decisamente
svegliato con il piede
sbagliato. Tutta colpa di quei sogni che ormai da tempo tormentavano i
suoi
pensieri, incupendoli come fuliggine dopo una vampata.
Ed io rimango, io, io
rimango
immobile qui
Per te
Si sbarazzò
anche degli altri
indumenti, poi si infilò nella doccia, accese
l’acqua, e una volta divenuta
bollente, iniziò a riflettere.
Quel giorno
era il giorno, quello in cui
sarebbe
iniziato un nuovo capitolo della sua carriera, in cui sarebbe tornato
da dove
tutto aveva avuto inizio, ma in una veste del tutto nuova.
La decima
edizione del più
famoso talent show d’Italia, X Factor, era alle porte. I due
giudici più
quotati dello scorso anno, l’eclettica Skin e il grande Mika,
avevano dato
forfait: proprio la parte internazionale della giuria aveva deciso di
mollare,
lasciando la produzione in un mare di guai. Quale donna avrebbe avuto
la carica
di Skin, chi avrebbe mai potuto sostituire il suo talento e la sua
bellezza del
tutto androgina? Ma il vero guaio era stato l’abbandono di
Mika, divenuto il
simbolo del fattore X. Nessun cantante, anzi, nessun uomo sulla terra
sarebbe
riuscito ad avere la sua verve, il suo mix di simpatia e
serietà, esperienza e
spensieratezza, nonché la sua bellezza del tutto spontanea
che tante e tanti
giovani aveva fatto capitolare.
Era stato
allora che ai
produttori del programma era balzato in mente quel ragazzino tanto
talentuoso
che aveva vinto la terza edizione del talent, per poi ascendere alla
vetta e
divenire il celebre Marco Mengoni che ormai era conosciuto a livello
internazionale. Il suo tour era appena giunto al termine quando aveva
ricevuto una
proposta di lavoro in qualità di nuovo, brillante, e giovane
giudice del
programma. Marta, la sua manager, lo aveva saggiamente esortato ad
accettare:
oltre a un compenso alquanto generoso, X Factor gli avrebbe donato una
visibilità del tutto nuova e mettersi alla prova con nuove
esperienze non era
forse la prova che ogni celebrità che potesse definirsi tale
doveva affrontare?
Marco non era
mai stato del
tutto convinto di quel ruolo. Innanzitutto, la sua timidezza lo avrebbe
messo
in seria difficoltà nel momento in cui avrebbe dovuto,
inevitabilmente,
formulare un giudizio di senso compiuto, per non parlare poi della
possibilità
di dire di no a un concorrente. Un buon giudice avrebbe dovuto essere
sicuro di
sé, non balbettare a ogni tre per due. E poi, sostituire
Mika? Era più una
specie di suicidio che un’opportunità di lavoro.
Ma la
verità era tutt’altra.
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che resti
indifferente e poi cambi
d’estate
La verità
faceva più male di
un dardo nel cuore, una verità che sapeva di pioggia e
nuvole. La verità era
che Marco, con Mika, non avrebbe voluto avere più niente a
che fare, figurarsi
poi essere il suo sostituto: era perfettamente conscio di non avere la
sua
spiccata personalità, che l’esito sarebbe stato
disastroso e, per l’amor del
cielo, l’ultima cosa che voleva era leggere commenti del tipo
“Mengoni pretendeva
di essere all’altezza di Mika? Ma cosa credeva?”.
Quello stupido sogno non
aveva fatto altro che ricordargli quanto quell’affermazione
fosse reale e le
prove erano lampanti.
E
cadono le scuse
E
muore il mio pensiero su te
Eppure, alla fine, il
contratto era stato firmato e consegnato ai dirigenti, così
da rendere a tutti
gli effetti Marco Mengoni il nuovo giudice di X Factor.
Perché
lo aveva fatto? Era
davvero così masochista? Certo che no.
In
realtà credeva, anzi, era
certo che una nuova sfida gli avrebbe dato talmente tanto da pensare da
occupare la sua mente a tal punto da recidere il filo che legava il suo
cervello, i cui ingranaggi parevano non smettere mai di lavorare, a
quel
ricordo fin troppo triste, una cicatrice ormai in via di guarigione, ma
che
alle volte doleva ancora.
Sempre che si
fosse
rimarginata.
Riconterò
gli errori di questa
partita
Senza più paura di restare in fondo
L’acqua
lavò via il sapone
sul suo corpo e i pensieri dalla sua mente. Spense il getto e
uscì, nudo e
gocciolante, piccole stille d’acqua caddero ticchettando sul
freddo pavimento. Prese
un bel respiro.
Tra poco
sarebbe andato negli
studi di X Factor, avrebbe incontrato i dirigenti, gli altri giudici,
avrebbe
firmato altri contratti, non del tutto ufficiali, avrebbe capito i
meccanismi
di quel gioco dal quale era uscito vincitore, anni e anni fa, per pura
fortuna.
Quello sarebbe bastato?, si chiese. Probabilmente no. Essere il pupillo
del
programma l’avrebbe fatto campare di rendita forse
per le prime due puntate, poi la gente
avrebbe iniziato a stancarsi. In tal caso, avrebbe potuto chiedere al
suo amico
Federico (in arte Fedez) di ripetere l’oscena pantomima della
scorsa edizione e
fingere, per quanto possibile, un’improbabile attrazione
omosessuale l’uno nei
confronti dell’altro. L’anno passato, il duo
formato da Mika e Fedez aveva
spopolato tra le giovanissime, che li riconoscevano ormai come coppia
affermata,
benché fossero entrambi fidanzati (Federico, tra
l’altro, stava anche con una
donna); così facendo, si erano guadagnati le simpatie di
buona parte del
pubblico. Ah, la magia del mezzo televisivo: non contavano i fatti
concreti, esso
aveva abbastanza potere da far credere alla gente ciò che si
voleva, purché si
mostrasse una facciata adatta. Marco fino a quel momento era stato un
ottimo
cantante e una celebrità impeccabile e riservata, ma chi era
veramente? Qual
era la sua personalità televisiva?
Beh, presto lo
avrebbe
scoperto.
Si
asciugò con un ampio
asciugamano bianco di spugna, poi tornò nella sua stanza,
dove scelse con cura
un abbigliamento che mostrasse, per quanto possibile, la propria
personalità: un
semplice maglione chiaro e jeans neri, a cui poi aggiunse il solito
berretto
che nascondeva quella stempiatura di cui tanto si vergognava. Prese il
telefono
cellulare e il portafogli, poi uscì di casa, mentre ancora
quel triste sogno
non cessava di tormentarlo.
Guardando
un po’ più in là oltre le
nuvole
La strada da, la strada da
Da rifare
Più che un
sogno, in realtà,
era un ricordo, di un giorno non particolarmente lieto della sua vita
che aveva
trasformato l’Irlanda, il suo personale paese delle
meraviglie, nella terra dei
suoi incubi, e questo solo per colpa di Mika. No, a lui non doveva
pensare più:
sarebbe stato difficile, sarebbero stati fatti molti paragoni tra loro
due, ma
non se ne sarebbe curato. O almeno ci avrebbe provato.
Ed io rimango, io, io
rimango
immobile qui
Qui per te
Uscito di casa, si
infilò in
macchina e guidò fino agli studi del programma. Durante il
tragitto si accese
una sigaretta, poi un’altra, accendendole agli stop. Sapeva
che fumare nelle
auto era severamente vietato ma Marco, di vietato, aveva fatto ben poco
nella
sua vita. Che almeno riuscisse a concedersi un vizio, di quando in
quando.
Mezz’ora
e sei sigarette
dopo, arrivò dinanzi a quell’imponente edificio
che tanto lo terrorizzava.
Dentro di lui,
il ragazzino
ventenne con le sopracciglia dal taglio improbabile e
dall’aria allampanata e
goffa si agitò. A volte, quella parte di lui si risvegliava:
era timida e aveva
sempre voglia di piangere, soprattutto in quel momento, dove tutto era
improvvisamente troppo grande, troppo bello, troppo speciale per lui. Si sentiva
esattamente come quando aveva
partecipato come concorrente ad X Factor. Sette anni e svariati premi
non
avevano cancellato la sua introversione adolescenziale, ma forse nulla
lo
avrebbe mai fatto.
Decise di
varcare le grandi
soglie di quel palazzo e di percorrere una strada che, sebbene
chiaramente
indicata dai cartelli, lo spinse a perdersi più volte in
quel dedalo di
corridoi. Alla fine, però, riuscì a giungere alla
sala riunioni.
Aperta la
porta, il suo cuore
cominciò a martellare prepotentemente. Dinanzi a lui
c’erano cinque produttori
esecutivi, qualche tecnico e un paio di assistenti che non conosceva e,
seduti
più vicini alla porta, dei volti conosciuti. Elio, il buon
vecchio Elio, gli
sorrise con entusiasmo da sotto i baffi non appena lo vide e finse un
piccolo
applauso. Alessandro Cattelan, con il quale condivideva una generosa
altezza e
un affetto genuino, lo salutò immediatamente con trasporto,
così come fece
anche Elio, e lì fu tutto un gran dare di pacche sulle
spalle e abbracci
poderosi e pieni di calore.
Soltanto una
persona non si
alzò dalla sua sedia per accoglierlo, se non quando il
momento dei saluti fu
terminato.
Era una donna,
bassa a
dispetto del fisico ben formato e del volto adulto, dai lunghi capelli
bruni e
gli occhi azzurri come pozzi d’acqua limpida. La figura era
piena e prosperosa,
i lineamenti erano ben marcati. A vederla, sembrava quasi una fata. Ma
Marco
l’aveva conosciuta e non era affatto una fata,
bensì una cantante di voce incantevole
e nobili natali.
Era Irene
Fornaciari, figlia Adelmo
Fornaciari, alias Zucchero, sua maestà il Cappellaio Matto
italiano, come lo
conoscevano all’estero. Marco l’aveva incontrata
dietro le quinte della
sessantesima edizione del Festival di Sanremo e subito di lei aveva
pensato
essere una donna asciutta. Non mostrava le proprie emozioni in
pubblico, non
cercava la fama, non pretendeva di sfondare con la hit del momento.
Arrivava
sul palco come una regina, si esibiva, sorrideva al suo pubblico e
spalancava
le sue braccia come ad accogliere tutti i suoi ammiratori, evitava
cerimonie e
fronzoli, poi così come era apparsa, scompariva.
Lo
capì immediatamente,
sarebbe stata una sua collega.
«Irene»
sorrise,
abbracciandola.
Lei
poggiò le mani sulla sua
schiena, per poi levarle quasi subito, esibendosi nell’unico
tipo di abbraccio di
cui era capace. Gli sorrise, e quello fu un sorriso vero.
All’improvviso,
uno dei
produttori si mise tra loro due. «Oh, signor Mengoni, ben
arrivato! Ha già
conosciuto la signorina Fornaciari, vedo. Sono onorato di dirle che
affiancherà
lei e il signor Belisari in giuria.»
Sorrise,
immaginando che Elio
avesse storto il naso nel sentirsi chiamare così: odiava che
ci si rivolgesse a
lui con il proprio nome, Stefano Belisari, era forse uno dei pochi
cantanti a
preferire il nome d’arte a quello vero. Al contrario, invece,
Federico
detestava che nel quotidiano lo si chiamasse Fedez perché,
sosteneva, fuori dal
palco era in pausa anche dal suo stesso nome d’arte.
All’improvviso,
Marco si
guardò intorno.
Un momento.
Dov’era
finito Federico?
Si
schiarì la voce e prese
coraggio, cercando di combattere contro la sua timidezza.
«Scusate... ma dove
sta Federico?»
Brillante.
Davvero brillante.
Non sapeva nemmeno esprimersi in un italiano decente.
Al sol
pronunciare Federico,
l’atmosfera all’interno della stanza
cambiò: gli assistenti si voltarono, Irene
assunse un’aria grave, Elio si passò una mano sul
viso e il produttore sbuffò.
«Il
contratto con il signor
Lucia è stato annullato» tagliò corto,
stizzito.
A Marco
caddero le braccia. Cosa
era accaduto? Perché Federico non era lì in quel
momento? Fece per prendere il
cellulare e chiamarlo, d’altronde erano amici anche al di
fuori delle
apparizioni televisive, ma il produttore (che per Marco divenne il
signor
Fastidio) glielo impedì.
«Non
c’è tempo. Dobbiamo discutere
circa il suo ruolo, signor Mengoni.»
Ma, ormai,
Marco si era
distratto. Da una parte era dispiaciuto, voleva bene a Federico e non
gli
sembrava giusto che il contratto gli fosse stato annullato,
chissà per quale
motivo. D’altra parte, era terrorizzato al pensiero che al
suo posto, in
sostituzione, potessero richiamare qualcuno dei vecchi giudici, anzi,
un
vecchio giudice in particolare. No, era impossibile: quando avevano
chiamato
Marco per proporgli di entrare nella nuova giuria, si erano vantati di
possedere “una scuderia tutta italiana per un programma tutto
italiano”. Il
ritorno di Mika era da escludersi.
Elio lo
distolse dai suoi
pensieri, dandogli uno scappellotto sulla nuca. «Riprenditi,
testina! Ora
arriva la parte divertente.»
Marco
biasciò a mezze labbra:
«Divertente?»
La cosa lo
confondeva. Che
fine aveva fatto Federico? Perché non gli era stata fornita
spiegazione alcuna?
Oh, giusto: perché era un timido patologico e si era
vergognato anche a
chiedere di saperne di più.
Il signor
Fastidio lo fece
sedere accanto a lui, mentre con la coda dell’occhio entrambi
osservavano il
resto della troupe andare di qua e di là come polli senza
testa. Era
un’immagine grottesca e vagamente spassosa, ma non era il
momento degli scherzi,
quello.
«Allora,
la questione è la
seguente» iniziò il signor Fastidio.
«Con Fedez fuori dai giochi, dobbiamo
pescare un altro giudice che possa adeguarsi alle sue caratteristiche.
Attualmente stiamo puntando al signor Giambelli.»
«Emis
Killa?» fece, incredulo.
Non era affatto tipo da talent, dubitava seriamente che sarebbero
riusciti a convincerlo
a essere uno dei giudici. Inoltre, era un omofobo dichiarato, mentre X
Factor
era un programma palesemente a favore dei gay.
«Pare
di sì, ma questo non è
un problema suo» proseguì quello. «Lei
però deve venirci incontro in un modo
analogo e vestire i panni che erano stati del giudice
Penniman.»
Marco prese un
profondo
respiro. Si era ripetuto in testa quella frase almeno cento volte e,
nel dirla
ad alta voce, gli sembrò acquisire un senso del tutto nuovo.
«Io
non sono Mika.»
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che resti
indifferente e poi cambi
d’estate
Il signor Fastidio
eluse la
sua affermazione con un gesto della mano. «Oh, che Dio ce ne
scampi, no! Siete
due personalità completamente diverse, ma avete senza ombra
di dubbio dei punti
in comune. La spontaneità, l’eleganza, la
sfacciataggine mascherata da
gentilezza.»
A quel punto,
perfino Irene
accennò un sorriso che celava una battuta sarcastica. Marco
era, sì, spontaneo,
ma soltanto sui palchi dei concerti mentre cantava: era un disastro nel
parlare.
Mordendosi il
labbro, fece
cenno di no.
«Invece
sì, signor Mengoni.
Sa, il pubblico la percepisce come uno di loro, sarebbe quasi il
ragazzo della
porta accanto, se non fosse per il suo straordinario talento. Se si
adeguasse
alla visione che gli spettatori hanno di lei, ha una vaga idea di
ciò che
potrebbe ottenere?»
E, senza
aspettare che Marco
rispondesse, proseguì: «Il doppio della
visibilità e almeno il triplo dei
consensi. Al pubblico piace sapere com’è il
proprio idolo una volta sceso dal
palco. Si dà arie? Gli piace scherzare? La fama lo ha
cambiato o è rimasto il
ragazzo semplice di un tempo? Noi puntiamo a dare risposte a questi
interrogativi.
Se la vedranno un uomo del popolo, diverrà la star
più apprezzata del Paese, e
non solo per la sua musica, ma anche per la sua
personalità.»
All’improvviso,
Marco capì:
tra tutte quelle lusinghe vuote, il signor Fastidio gli aveva
praticamente chiesto
di essere come Mika. Non era difficile immaginare il perché:
in Italia, negli
ultimi anni, era scoppiata la Mika-mania. Tutti volevano conoscerlo,
uscirci
insieme, averlo anche a cena, perché no?, gli avrebbero
cucinato dei
manicaretti e chiacchierato amabilmente di arredamento e di come
trascorrere le
vacanze. Era diventato l’idolo delle adolescenti e delle loro
mamme, l’uomo che
tutti vorrebbero nella propria casa. Era quello il suo modo di
conquistare la
gente. Certo, nessuno conosceva la parte di lui che si infilava nei
sogni
altrui per prenderne il comando.
E
cadono le scuse
E muore il mio pensiero su te
Ma Marco? Lui non era
così.
Nel suo paese natale lo chiamavano addirittura “il
Pizzuttato”, che in
dialettale viterbese corrispondeva pressappoco a
“scorbutico”.
Dopo una lunga pausa, ammise.
«Io non so come si fa.»
Fu allora che un tecnico,
come se fosse stato addestrato per quel momento, tirò fuori
da un archivio un
piccolo faldone contenente dei dischi.
«Imitare lo stile di qualcun
altro non è certo cosa che si faccia dall’oggi al
domani» iniziò di nuovo il
signor Fastidio. «Così ho provveduto a fare per
lei una raccolta di tutte le
puntate di X Factor degli ultimi tre anni. Le guardi, studi Mika, i
suoi
movimenti e il modo in cui sa cogliere ogni istante per mettersi in
luce, con
una critica o una battuta. Assorba il suo modo di essere e tra una
settimana ci
rivedremo. È tutto chiaro?»
Marco ebbe a malapena la
forza di annuire, mentre ancora il produttore blaterava dandogli altri
consigli
per essere Mika. Esattamente l’ultima cosa che avrebbe voluto
fare nella sua
vita. Aveva sempre ammirato X Factor per il modo in cui ognuno, dai
concorrenti
ai presentatori, avesse l’opportunità di essere se
stesso fino in fondo. Ma
forse quello non valeva per i giudici. Gli stavano assegnando un
copione senza
battute: avrebbe dovuto recitare la parte ed essere perfetto, ma senza
neanche
uno straccio di appiglio a cui aggrapparsi.
Si voltò a guardare Elio, che
ricambiò lo sguardo con un pizzico di compassione: lui era
avvantaggiato, visto
che aveva una personalità talmente spiccata da non poterne
assumere un’altra imposta
dalla produzione.
Irene, invece, gli rivolse un
sorriso sbieco. «Ringrazia il cielo, Mengoni. A me hanno dato
i DVD di Morgan.»
Quell’affermazione gli
strappò una risatina, mentre ancora sentiva la fastidiosa
voce del fastidioso
produttore sproloquiare di cose fastidiose, e nel frattempo pensava.
Dunque Elio sarebbe stato
l’uomo vivace un po’ in là con gli anni,
come era sempre stato. Irene, invece,
sarebbe stata la stronza di turno, un grande cambiamento visto che, da
qualche
anno, il giudice donna ricopriva immancabilmente, nel bene e nel male,
il ruolo
della “mammina”. Marco, invece, sarebbe stato il
giudice spontaneo, che era
capace di fare inaspettati complimenti e di dire brutali
oscenità sempre con dolcezza
e un gran sorriso. Al solo pensiero tremava, ma se diventava nervoso
anche quando
doveva prenotare un tavolo al ristorante! Come avrebbe fatto a
patrocinare dei
ragazzi recitando una parte che non era la sua?
D’un tratto, una segretaria
piccoletta e robusta corse verso il signor Fastidio, urlando che forse
Clementino sarebbe stato disponibile a far parte della giuria, poi gli
passò un
telefono nel quale lui iniziò a far colare delle altre
sdolcinate falsità.
Marco approfittò di quel
momento per prendere il cellulare, rintanarsi in un angoletto
dell’enorme sala
e chiamare Federico.
Si appiccicò letteralmente il
cellulare all’orecchio, mentre quello squillava in attesa che
Federico rispondesse.
Dopo un po’, sentì dall’altra
parte un allegro: «Ehi, Priscilla regina del
deserto!»
Sorrise. Federico lo prendeva
spesso in giro per la sua omosessualità, per via di alcuni
loro trascorsi. Ma
non lo faceva, e mai lo aveva fatto, in modo offensivo, anzi
tutt’altro: era un
modo, per quanto rude, per fargli capire che lo accettava.
«Ciao omaccione. Sto qui a X
Factor e ho saputo che ti hanno fatto fuori» lo zelo iniziale
andò scemando.
«Mi dispiace un sacco.»
Dall’altra parte, un sonoro ringhio
di frustrazione. «Burattini del sistema. Fidati di me, fai
carriera in Spagna o
da qualunque altra parte e qui in Italia non tornarci
più.»
«Ma cosa è successo con
esattezza?»
«Che è successo? Giusto.
Perché d’altronde non lo sa nessuno che questa
merda di programma è palesemente
di sinistra. Già il PD aveva cercato di farmi fuori
perché sto con i 5 Stelle,
ma non ce l’aveva fatta. Allora ha fatto in modo che la
sicurezza di Sky mi
beccasse con dell’erba in tasca.»
«Te l’hanno messa loro?»
«No, tutti lo sanno che io ho
sempre dell’erba addosso, ma a nessuno è mai
importato un fico secco. Che sono
per la legalizzazione, è risaputo anche questo. Ma adesso
chissà perché
interessa a tutti e la questione era: o ti facciamo passare per un
drogato
spacciatore o te ne esci dal programma.»
Marco spalancò la bocca. Quei
meccanismi gli erano stati del tutto sconosciuti fino ad allora, e
decisamente
la politica non faceva per lui: non era mai stato un fan dei giochi di
potere.
Ma gli pareva assurdo che potessero estromettere una persona come
Federico da X
Factor solo perché avevano ricevuto delle pressioni da
Sinistra.
Si morse il labbro. «È
terribile. Mi viene voglia di mollare, ti giuro.»
«Per carità, non farlo.
Resisti quest’anno e poi riempiti l’agenda di
impegni così non potranno
chiamarti. Non permettergli di averti in pugno, Marco.»
«Lo farò. Grazie Fede e a
nome di chi ti ha cacciato, ti chiedo scusa.»
«Non scusarti, piccola
checca. Piuttosto, giurami che farai il bravo.»
Rise
di quel tentativo di sdrammatizzare. Però nulla
riuscì a distoglierlo dal
pensiero che X Factor faceva qualcosa di brutto alle persone. Dopo aver
partecipato al programma Morgan lo aveva ripudiato, Federico lo aveva
insultato, Arisa se ne era andata disgustata... Soltanto Elio aveva
resistito.
Ciò
che in quel momento importava era che, se neppure un tipo testardo come
Mika
era riuscito a resistere più di tre anni, X Factor aveva
fauci.
E
Marco sarebbe stato mangiato tutto in un boccone.
Una
settimana dopo, Marco tornò. Tra dieci giorni ci sarebbero
state le prime
audizioni e sicuramente il signor Fastidio voleva assicurarsi che Marco
si
fosse trasformato nella brutta copia di Mika, perché
l’aveva chiamato con una
tale urgenza da fargli temere che i capelli di Irene avessero preso
fuoco e che
avessero arso vivo Elio.
Il
che, da una parte, sarebbe stato più divertente di guardare
effettivamente
trentasette ore di puntate di X Factor con Mika. Cosa che per altro non
aveva
fatto.
Faceva
più caldo quel giorno, così Marco aveva optato
per una buffa maglietta con
sopra stampato uno smoking e dei pantaloncini kaki. Occhiali da sole e
cappello
in testa non sarebbero mancati, e di nuovo varcò quelle
soglie, stavolta senza
perdersi. Strano che ce l’avesse fatta, visto che in quella
settimana non aveva
dormito.
Era
terrorizzato all’idea di dover fare come Mika. Aveva cercato
di pensare al modo
in cui avrebbe dovuto vestirsi, atteggiarsi, muoversi e comportarsi, e
più ci
pensava più gli veniva il panico. In quei sette giorni aveva
cercato di
rilassarsi e di essere il più possibile spontaneo
“alla Mika”, ma gli venivano
almeno sette attacchi di panico alla volta quando ci provava per
davvero. Era
arrivato perfino a sognarlo ogni volta che chiudeva gli occhi. Una
notte lo
aveva sognato in piedi su una tavola imbandita, nell’intento
di calpestare il
suo cibo. Un’altra volta lo aveva sognato vestito da dandy
dell’Ottocento,
mentre rideva di lui e continuava a tormentarlo dicendo: «Io
sono l’unico Mika
di questo mondo». Perlopiù, però,
sognava la sua fuga precipitosa dall’Irlanda.
Avrebbe preferito il Mika in versione Ottocento.
Per
questo negli ultimi giorni aveva dormito davvero poco.
E
muore il mio
pensiero su te
Entrò
dentro il solito edificio, si fece strada tra i corridoi e, non appena
fece per
avvicinarsi alla sala riunioni dell’altra volta, ecco
spuntare un’altra volta
il signor Fastidio.
«Mengoni,
eccoti qua!» disse con un sorriso da coyote. Non gli piacque
affatto. «Mi piace
il suo abbigliamento. Particolarmente indicato.»
Marco
finse di sorridere e gli assicurò: «Dopo aver
visto tutte quelle ore di DVD, il
minimo che potessi...»
«Oh,
spero che tu non le abbia guardate tutte» lo interruppe.
«Non voglio più che tu
imiti Mika. Devi cambiare personaggio.»
Lo
sguardo inceneritore che provenne dagli occhi di Marco dovette
persuaderlo che
non era stata una mossa azzeccata uscirsene in quel modo. Si era
tormentato
tutta la settimana per essere come Mika e ora scopriva che non se ne
faceva più
nulla?
Spiegò
meglio: «Intendo, lei ha fatto bene, anzi benissimo a vedere
quelle puntate, ma
invece di concentrarsi su Mika, provi a riguardarli concentrandosi su
Fedez.»
«Fedez?».
Si
chiese cosa volesse da lui. Era stanco di dover interpretare ruoli di
altre
persone. Poteva essere il miglior Marco Mengoni possibile, anche se
qualche
imitatore avrebbe affermato il contrario, ma non poteva essere
un’altra persona
e poi un’altra ancora. Era da escludersi.
Quello
non demorse: «Invece del giudice affascinante e spontaneo,
vorrei che lei fosse
più la tipologia di giudice moderno e divertente. Lei adora
i social, è vicino
ai giovani. Qualche battutina di tanto in tanto, non sia sempre
accomodante con
gli altri, e per l’abbigliamento...»
Una
risata esplose.
Oh, no.
E
io riuscirò da
solo
A distinguere il
confine
Che ci divide e
ci porta via
Era
una risata particolare, quasi simile al verso di una foca, eppure
divertente e
contagiosa.
La
conosceva.
Marco
piantò lì il signor Fastidio ed entrò
a passo di marcia all’interno della sala.
Sgranò
gli occhi.
Spalancò
la bocca.
Era
completamente convinto di star sognando ancora.
Elio
e Irene si stavano facendo un autoscatto esibendosi in smorfie e
boccacce verso
il cellulare dell’uomo che, in mezzo a loro, lo reggeva e
rideva in quel modo
tanto travolgente.
Marco
non poté confondere i suoi ricci bruni, né la sua
notevole altezza e,
sicuramente, non avrebbe mai potuto confondere la sua risata.
Per poi
confonderci tra tutta questa gente
In
quel momento, accanto a lui comparve il produttore Fastidio.
«Come avrà forse
avuto modo di capire ieri, abbiamo avuto delle difficoltà
nel trovare un
sostituto per il signor Lucia. Fortuna che ieri il signor Penniman ci
ha
chiamato per dire che aveva cambiato idea.»
«Michael?»
Che
resta
indifferente a noi
Marco,
quel nome, lo urlò senza prestare ascolto alle parole che
gli circolavano
attorno.
Con
tutta la calma del mondo, Mika si voltò con un sorriso ampio
e radioso che
espose i suoi incisivi marcati. Andò verso Marco studiandolo
e sul suo viso
l’espressione di piacevole sorpresa mise il ragazzo sulla
difensiva. Cosa stava
succedendo?
Non
si erano né visti né sentiti dalla fuga di Marco
in Irlanda. Che razza di gioco
perverso aveva in mente?
Nell’attesa
fermo rimango
Aspettando a un
passo da te
Che
resti indifferente e poi cambi d’estate
E cadono le
scuse. e cadono le scuse
Come
se gli avesse letto nel pensiero, Mika emise una risatina e disse:
«Ciao, scappatore.»
Ed io non ti aspetto
più.
La soffitta dell’autrice:
Salve,
lettori e lettrici. Non pensavo, sarò
sincera, di tornare con una nuova long. Ormai avevo abbandonato questa
impervia
strada per prendere quella, più semplice e senza impegno,
delle OS.
Eppure sentivo che
c’era ancora una storia da
raccontare. La storia di un amore che sembra finito. La storia di una
playlist
in divenire. E dunque eccomi qui.
Ringrazio la mia
fantastica e dolce beta, che
mi ha convinta a tornare a scrivere long, il mio piccolo grande amore
comeunangeloallinferno94. Grazie per la lettura, un bacio.