Look in my eyes, what do you see? di JeiBieber_Smile (/viewuser.php?uid=372600)
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Lista capitoli:
Capitolo 1: *** -'Be Alright'- ***
Capitolo 2: *** -'Sei bellissima lo stesso'- ***
Capitolo 3: *** -'Prova ad ascoltare'- ***
Capitolo 4: *** -'Hai visto il mio modo di vedere le cose?'- ***
Capitolo 5: *** -'Riesci a farmi vedere com'è fatto l'amore'- ***
Capitolo 6: *** -'Posso svelarti un segreto?'- ***
Capitolo 7: *** AVVISO ***
Capitolo 1 *** -'Be Alright'- ***
Capitolo 1.
Look in my eyes, what do you see?
-'Be Alright'-
L'aria fredda pizzicò, ancora un volta, il mio viso. Gennaio
era
appena finito, dando così spazio a febbraio e poi a marzo.
Venticinque anni, avrei compiuto venticinque anni il primo marzo. Quasi
non
ci credevo. A diciotto anni mamma già aveva me, io
a venticinque non
ero nemmeno fidanzato. Non che fossi brutto o inavvicinabile,
parliamone. Cavolo, sono Justin Bieber. E Justin Bieber ha il suo
fascino. Semplicemente aspettavo l'amore vero. Troppe delusioni. Il
cuore era troppo infranto. Era ormai stato fasciato e rifasciato,
più e più volte. Quando pensavo di aver trovato
l'amore
vero, l'amore che mi avrebbe accompagnato per il resto della vita,
capii di essermi sbagliato. Hayley non era la ragazza adatta a me, come
non lo era stata Selena e nemmeno Caitlin. Le avevo amate tanto, ad
ognuna di loro. Ricevendo solo sofferenza da tutte loro. Ero stanco di
soffrire, volevo solamente godermi la vita e aspettare. Tanto prima o
poi sarebbe arrivata, ne ero certo.
-Amico, che ci fai qui?- chiese Ryan, il mio migliore amico, battendomi
una pacca sulla spalla.
-Pensavo di fare skate- feci spallucce e mi girai verso il suo volto.
Gli occhi azzurri sembravano divertiti.
-Senza lo skate?- alzai le spalle e annuii. -Tu sei fuori-
ridacchiò ancora, battendo una mano sulla mia spalla,
ancora.
-Allora giochiamo a basket- mi alzai e gli feci segno con la testa di
andare verso il campo, situato in un angolo di quell'enorme parco.
Stratford era una cittadina con poco più di trentamila
abitanti,
e nonostante questo aveva ancora delle aree di verde come quella.
Adoravo stare all'aria aperta, correre nei parchi, fare skate.
Lì in città mi conoscevano tutti, spesso suonavo
fuori le
scale dell'Avon Theatre. Avevo finito la scuola da un pezzo e avevo un
lavoro, ma cantare era la mia passione e mi piaceva guadagnare soldi
cantando. Quello stesso pomeriggio avrei anche partecipato ad una gara
canora, chi arrivava primo vinceva duecento dollari e di certo non
volevo perdere quell'occasione. Eravamo in venti a doverci esibire, e
sinceramente il timore di cantare davanti a tante persone era
abbastanza alto. Ciò nonostante, ero pronto e non vedevo
l'ora
di esibirmi. Come ho già detto, cantare era la mia passione
e mi
piaceva emozionare altri con la mia musica. Nel mio piccolo, speravo di
aiutare altri.
-A che ora c'è la competizione?- guardai l'orologio che
avevo al polso, per poi girarmi verso il mio migliore amico.
-Alle tre e mezza. Hanno allestito un piccolo palco, penso che
c'incontreremo tutti lì per discutere su chi
dovrà
esibirsi per primo, cose così..- risposi vago, mettendo le
mani
in tasca.
-Io e Chaz saremo in prima fila a fare il coro. Forza Justin,
alè! Forza Justin, alè!- aggrottai le
sopracciglia e lo
spinsi leggermente.
-E' un'esibizione canora, Butsy, non una partita allo stadio- scossi la
testa più volte, ridendo.
-Biebs, dobbiamo farci riconoscere dalle ragazze- mi fece l'occhiolino,
alzai gli occhi al cielo trattenendo un sorriso.
-Sì, così conosceranno che siete due idioti-
sbottai
ridendo, mi mandò un'occhiata di fuoco che mi fece ridere
ancora
di più, contagiando anche lui.
Ryan e Chaz erano da sempre i miei migliori amici. Erano come dei
fratelli per me, la mia seconda casa e la mia seconda famiglia.
Riuscivo benissimo a confidarmi con loro, anche se la maggior parte dei
commenti erano stupidi i loro consigli erano preziosi. Mi erano stati
vicino durante la rottura con Caitlin, Selena e Hayley, sapevano quanto
avevo sofferto. Non riuscivo a fidarmi di nessuno se non di loro. Erano
davvero degli amici stupendi.
Una volta arrivati al campo di basket, chiamammo anche Chaz, che
abitava a due passi dal campo, e gli chiedemmo di portare un
sé
una palla per poter giocare. In pochi minuti arrivò,
così
che cominciammo a giocare come non facevamo da tempo. Eravamo troppo
presi dal lavoro e dai pensieri, quasi ci dimenticavamo di uscire e
giocare come fanno i bambini. Spensierati e felici, senza problemi e
ansietà. Mi sarebbe tanto piaciuto tornare bambino e non
commettere alcuni sbagli, se fossi tornato bambino sapevo
già
cosa fare e sicuramente mi sarei goduto meglio la mia adolescenza,
invece di perdere tempo dietro a delle ragazze che stavano con me solo
per vantarsi con le amiche. A cui davo amore, troppo amore. Rimanendo
così fottuto. Lo so, sono un mito.
A risvegliarmi dai miei pensieri, fu una pallonata sul braccio, che mi
fece voltare di scatto.
-Chaz, ma sei idiota o cosa?- sbottai, massaggiandomi la parte dolente.
-Amico, devi guardare quella- mi indicò col dito un punto
del parco, così che mi girai.
-Dove?- chiesi, aggrottando le sopracciglia.
-Quella col cane?- Ryan si girò nella direzione in cui
guardavamo sia io che Chaz.
-Sì, quella. E' strana forte- si fermò un attimo
ridendo, per poi continuare. -però è bellissima-
Mi soffermai a guardarla, anche se da lontano riuscivo a scorgere la
sua figura. Camminava col cane al guinzaglio, guardando dritta davanti
a sé. Sembrava incerta nei suoi passi, infatti si muoveva
piano
e con cautela. Osservai il suo corpo, le sue gambe, le sue curve, le
sue braccia. La sua figura sottile faceva tenerezza. Portava i capelli
alzati in una coda di cavallo che lasciava vedere il suo collo, aveva
l'elastico nero che si intonava perfettamente con i suoi occhiali da
sole, sembravano dei Ray Ban, proprio come quelli che avevo io. Era
bella, tanto bella.
-Sì, è molto bella- sussurrai, guardandola
ancora. Morsi il labbro inferiore e chiusi occhio. Non dovevo cedere ancora. Il mio
cuore non era ancora pronto.
-Io vado a farmi una doccia- Ryan passò la palla a Chaz e ci
salutò con un gesto della mano.
-Vado anche io, altrimenti le ragazze scapperanno- la sua espressione
disgustata non appena annusò le sue ascelle mi fece
scoppiare a
ridere.
-Scapperanno lo stesso- gli battei una mano sulla spalla, per poi
girarmi e cominciare a camminare verso casa.
Inevitabilmente, cominciai a pensare a quella ragazza. Non sapevo per
quale motivo, insomma, non la conoscevo nemmeno. Solo, il suo corpo mi
aveva incantato e non riuscivo a levarmelo dalla testa. Avevo voglia di
scoprire qualcosa in più di lei, ma non conoscendo nemmeno
il
suo nome non sapevo come fare a ritrovarla. Scossi la testa
più
e più volte, non dovevo pensare alle ragazze. Erano la
rovina di
noi uomini. Riuscivano a giostrare le cose per farci cadere ai loro
piedi e, una volta raggiunto il loro obbiettivo, ti trattavano come un
cagnolino e ti facevano fare quello che a loro andava meglio. Ed io, da
idiota quale sono, c'ero cascato per ben tre volte. Anche se desideravo
trovare il vero amore, non ero ancora pronto a sopportare un'altra
relazione e rimanerci male un'altra volta. Preferivo starmene per i
fatti miei, e dare amore solo alla mia mamma.
-Tesoro, già di ritorno?- mi sorrise, venendomi incontro.
-Sì, alle tre e mezza ho il concorso, ricordi?- le baciai la
fronte, per poi correre di sopra senza nemmeno darle il tempo di
rispondermi. Mancava poco più di un'ora e l'unica cosa che
volevo era farmi una doccia e fermare i miei pensieri. Per quello che
potevo.
Così entrai in bagno, mi spogliai e mi fiondai sotto la
doccia.
Il getto d'acqua calda riscaldò immediatamente il mio corpo,
facendomi rabbrividire. Chiusi gli occhi e alzai il volto, lasciando
che
l'acqua mi scorresse sul viso. La testa mi scoppiava e il cuore pure
da quando Hayley, qualche anno prima, mi aveva lasciato ancora non ero
riuscito a riprendermi del tutto. Avevo sempre una sensazione di vuoto
e malinconia che si espandeva sempre di più nei momenti di
solitudine. Per questo preferivo stare in compagnia di Chaz e Ryan o al
lavoro, almeno cercavo di non pensare al senso di vuoto che portavo
dentro ogni santissimo momento ormai. Sospirai e poggiai le braccia ai
lati dello specchio poggiato nella doccia. Justin, torna in te. La
vocina nella mia testa non faceva altro che sussurrare questo,
così che scossi la testa ancora una volta.
Finii di lavarmi e mi asciugai, indossando della biancheria pulita e
infine vestendomi. Sistemai il colletto della camicia blu ancora una
volta, guardando il mio riflesso allo specchio.
Gli occhi gonfi, risultato dell'ennesima notte insonne, erano ben
visibili. La mascella contratta, lo sguardo assente, il ciuffo che
ricadeva sull'occhio. A Caitlin piacevo molto di più con il
caschetto, infatti fu per questo che lo tagliai quando mi
lasciò.
Guardai l'ora dall'orologio che avevo sul polso. Erano le tre e dieci.
Presi la chitarra al lato della stanza, mi diedi un'ultima occhiata
allo specchio e scesi le scale di corsa. Ripetevo mentalmente le parole
che avrei dovuto cantare, avevo provato quella canzone un mare di volte
ma l'incertezza c'era sempre. Arrivai sul posto con diedi minuti
d'anticipo, andando così sul retro e aspettando istruzioni.
-Beer, sarai la prima- disse un uomo dai capelli brizzolati,
avvicinandosi ad una ragazza. La ragazza sussultò, sbarrando
gli
occhi. Evidentemente non se lo aspettava. -Anderson, tu sarai il
secondo- un altro ragazzo sorrise e annuì, rimettendosi le
cuffiette. -Bieber, tu il terzo-
-Okay..- bofonchiai, socchiudendo gli occhi. L'uomo continuò
a
dire l'ordine con cui ci saremmo esibiti, io nel frattempo mi preparai
psicologicamente.
Ero solo la terza persona a esibirsi, le mani mi tremavano e le gambe
anche. Terrore. Provavo davvero terrore.
-Madison, sul palco!- urlò un altro uomo, così
che la
ragazza, dopo essere stata annunciata, salì sul palco e
cominciò a cantare.
Aveva una voce molto fine e femminile, era davvero bravissima e infatti
molte persone l'applaudirono. Salì sul palco anche Jake
Anderson
e anche lui fu molto bravo. Entrambi, però, cantarono
canzoni
non loro. Madison cantò Mi Heart Will Go On di Celine Dion,
un
classico, mentre Jake cantò With You di Chris Brown. Piaceva
molto anche a me quella canzone, anche se per quell'occasione avevo
deciso di portare qualcosa di mio. Era una delle mie canzoni preferite,
una di quelle canzoni che scrivi con tutto il cuore e che vuoi far
conoscere alla gente. La scrissi in un momento di bisogno e la trovai
confortante, infatti ogni qual volta avevo bisogno di conforto e i miei
amici non c'erano, prendevo la chitarra e cominciavo a cantare,
dimenticandomi tutto.
-Ed ora, una persona che molti di noi conoscono. Justin Bieber!-
urlò Claire, la presentatrice, dal palco.
-Coraggio, Justin- sussurrai a me stesso, prendendo la chitarra e
salendo sul palco. Sfoggiai uno dei miei migliori sorrisi, sedendomi su
uno sgabello. Vidi Ryan e Chaz in prima fila che urlavano e se la
tiravano perché ero sul palco, chissà cosa
avrebbero
fatto se avessi vinto. Passai la lingua sulle labbra, prima di
sospirare e cominciare a strimpellare la chitarra. -Across the ocean,
across the sea. Startin' to forget the way you look at me now. Over the
mountains, across the sky, need to see your face and need to look in
your eyes. Through the storm and, through the clouds, bumps on
the
roard and upside down now. I know it's hard baby, to sleep at night.
Don't you worry, cause everything's gonna be alright, ai-ai-ai-ai. Be
alright, ai-ai-ai-ai. Through your sorrow, through the fights, don't
you warry, Cause everything's gonna be alright, ai-ai-ai-ai. Be
alright, ai-ai-ai-ai..- chiusi gli occhi, sentendo i problemi svanire e
abbandonare il mio corpo. -All alone, in my room. Waiting for your
phono call to come soon. And for you. oh, I would walk a
thousand
miles. To be in your arms, holding my heart. Oh I..oh I.. I love you..-
continuai a cantare. Il mio corpo era molto più leggero.
Cantare, era la mia medicina. Era l'unica cosa che riusciva a farmi
dimenticare i pensieri e i problemi, anche se per poco. Le mie giornate
erano sempre e completamente grigie, la musica riusciva a dare quel
tocco di colore che mi rendeva sereno. Era sensazionale il modo in cui
mi sentivo cantando, riuscivo ad esprimermi bene solo attraverso la
musica e le canzoni che scrivevo. Negli ultimi due anni, sopratutto, la
musica era stata la mia migliore amica. Nessuno sarebbe mai riuscito a
farmi sentire come la musica riusciva a farmi sentire.
Dopo aver finito di cantare, sentii applausi e urla alzarsi. Sorrisi
soddisfatto, mi piaceva far provare alla gente delle emozioni. Scrutai
con lo sguardo il pubblico, vedendo Chaz e Ryan urlare e mamma
sorridermi con le lacrime agli occhi. Le feci l'occhiolino, per poi
bloccarmi non appena vidi un paio di RayBan qualche fila dietro mia
madre. Era lei. Era quella ragazza. Aggrottai le sopracciglia e mi
bloccai, fissandola. Il suo sorriso, era bellissimo.
-Per quanto ci piaccia sentirti cantare, adesso dobbiamo dare spazio a
un altro giovane talento- rise Claire, tenendo tra le mani il microfono
brillantinato.
Figura di merda.
Ecco cosa le ragazze ti fanno fare.
Solo tante, troppe figure di merda.
Scossi la testa ridendo, strinsi la chitarra tra le dita ed entrai nel
backstage, sicuramente avevo fatto una figura enorme davanti a tutti. E
per cosa, poi? Per essermi perso a guardare il sorriso di una ragazza.
"Una splendida ragazza,
Justin"
"Per quanto bella sia, non devo lasciarmi coinvolgere"
"Non volevi rivederla?"
"Sì, volevo. Ma allo stesso tempo, non volevo"
"Justin, lasciati andare per una buona volta"
"Tu piuttosto, non stressare"
"Non ti sto stressando, voglio farti ragionare"
"Non mi stai facendo ragionare, mi stai facendo stressare"
"Sei tu che ti stressi troppo facilmente"
"Non voglio innamorarmi ancora, okay?"
"Tu stesso dici di voler trovare il vero amore"
"Sì, ma non adesso"
"E quando? Quando avrai quarant'anni? Vuoi restare così per
tutto questo tempo?"
"No.."
"E allora che aspetti?"
"Non voglio soffrire ancora, okay? Lasciami stare adesso"
"Chi dice che devi innamorarti di lei? Pensare che è bella
non vuol dire che devi per forza innamorarti"
"Smettila"
Passai una mano sul viso, stanco di queste conversazioni
che
puntualmente avevo con me stesso. I miei pensieri erano sempre in
contrapposizione, il punto era che nemmeno io sapevo cosa realmente
volevo. Desideravo sposarmi e crearmi una famiglia, ma il solo pensiero
di essere nuovamente tradito e lasciato per l'ennesima volta mi
tormentava. Avevo consumato le mie energie, non volevo ricominciare
tutto da capo e sinceramente preferivo rimanere com'ero, anche se
proprio felice non ero.
Sentii una mano poggiarsi sulla mia spalla, mi girai istintivamente.
-Stavi ascoltando?- scossi la testa, guardandolo con occhi
interrogativi. -Sali sul palco, sei uno dei tre- mi accigliai, non
capendo immediatamente. Dopodiché sbarrai gli occhi e
scattai in
piedi. Avevo una possibilità su tre di vincere il primo
premio.
Be', tecnicamente avevo già vinto, dato che ero arrivato tra
i
primi tre. A passo svelto e con la chitarra stretta tra le mani, andai
sul palco sorridendo alla folla che urlava. Era una bella sensazione
essere accettati.
-Bene, adesso che ci sono tutti e tre i ragazzi, sarete voi a
scegliere!- le urla si alzarono, così che sorrisi. Il
sorriso
scomparve, però, quando vidi le persone al mio fianco.
Johanna
Snow era una ragazza bravissima e che aveva già una gran
fama su
youtube, Kevin Rudolf era un tipo rock molto carismatico e mi sentii
piccolo piccolo in confronto a loro. Infondo io cos'ero? Un semplice
ragazzo di Stratford a cui piaceva cantare. Basta. -Quanti applausi per
il nostro Kevin?- Claire si avvicinò a Kevin che sorrise e
aprì le braccia, sentendo i tantissimi applausi. Abbassai la
testa, già sconfitto ormai. -E quanti applausi per la nostra
Johanna?-
-Su, fatevi sentire!- urlò la ragazza, sorridendo agli
applausi
che furono più di quelli per Kevin. Morsi il labbro e alzai
lo
sguardo verso la folla, mancavo solo io.
-E infine, quanti applausi per Justin?- chiusi gli occhi e sentii il
cuore martellare al petto. Tante mani cominciarono a battere, forte,
assieme a tante, tante urla. Vidi i miei amici alzare le braccia
all'aria e urlare a squarcia gola, mentre mia mamma batteva forte le
mani e urlava il mio nome. Mi sentii morire.
-Penso che abbiamo il vincitore- gracchiò Claire, prendendo
una
statuetta e poggiandola tra le mie mani. La guardai per un secondo,
prima di alzarla in aria e sorridere.
-Grazie a tutti!- urlai, tenendo stretto il premio tra le mani.
Era successo tutto così velocemente, che quasi non mi resi
conto
della gente che stava salendo sul palco. Mi ritrovai tra le braccia dei
miei migliori amici che urlavano e mi facevano saltare in aria, mamma
che rideva e altra gente che urlava in coro il mio nome. Non ero
abituato a tutto quello, ma mentirei se dicessi che non mi aveva fatto
piacere. Sorrisi soddisfatto del mio risultato, ero riuscito a dare
alla gente qualcosa e ne ero fiero. Quella canzone per me rappresentava
davvero molto e sapere di aver vinto grazie alle emozioni che ero
riuscito a trasmettere agli altri proprio attraverso quella canzone mi
rendeva
fiero e quasi piangevo dalla gioia.
Non appena i miei amici mi misero giù, abbracciai forte mia
madre e le diedi un bacio sulla fronte, era bellissimo vederla
sorridere. Aveva le lacrime agli occhi e un sorriso da far invidia al
mondo, era stupenda anche mentre piangeva
-E' qui- sentii dire da una voce sconosciuta.
-Dove?- chiese un'altra voce, così che mi girai.
-Proprio di fronte a te- una ragazza, con un sorriso enorme sul volto,
mi guardava con occhi felici. Al suo fianco, quella ragazza che quel
giorno avevo visto al parco e che, da allora, non ero riuscito a
dimenticare. Da vicino, era ancora più bella. Peccato che
portasse gli occhiali da sole, avrei tanto voluto vedere i suoi
occhi.-Sei stato molto bravo, Justin, complimenti- la ragazza mi porse
la mano, così la strinsi e le sorrisi.
-Grazie mille- dissi, continuando a sorridere.
-No, grazie a te..- disse l'altra ragazza, guardando in un'altra
direzione rispetto a quella dov'ero io.
-Perché?- chiesi, sperando che si girasse verso il mio viso,
ma non lo fece.
-Perché la vita è fatta di alti e bassi, come in
una
montagna russa.Non riusciresti ad andare avanti, se non ci fosse
l'amore delle persone a te care a spingerti ad andare avanti. Con la
tua canzone mi hai dato una speranza e una voglia in più di
andare avanti nonostante tutti i problemi che mi porti dietro da anni.
Per cui.. grazie- fece spallucce, le sorrisi amorevolmente.
-Sono contento di averti fatto provare ciò, è
proprio
questo che voglio far capire a chi ascolta questa canzone- sorrise e
annuì, prima di prendere sotto braccio la sua amica.
-Buona fortuna per tutto, Justin- disse, senza degnarmi di uno sguardo.
Fece per andar via, quando le toccai l'avambraccio stringendolo piano
tra le dita.
-Aspetta, non so neanche il tuo nome- urlai, sperando mi sentisse.
-Anastasia- sorrise, -Anastasia Mitchell-
Non feci nemmeno in tempo a risponderle, che sparì nella
folla.
Il suo sorriso, mi aveva fatto assentare per un secondo.
Anastasia, Anastasia Mitchell. Sapevo il suo nome e il suo viso a
memoria, ormai.
E giuro che ti
troverò, Anastasia.
_________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Buonsalvvveee!
Sembra strano, eh?
Prima non pubblico per mesi, e poi pubblico due fanfiction nello stesso
periodo.
Sì, solo io posso fare una cosa simile.
Ammori miei, tutto bene?
Sono ritornata e non con 'The Storm', ma con una nuova storia.
Oggi pomeriggio mi è saltata in mente l'idea di ricominciare
a scrivere questa storia, per cui eccomi qua.
Dato che per me ha un valore tutto ciò che
succederà ai nostri due amici, spero che avrà lo
stesso valore anche per voi.
Col tempo scoprirete il perché di queste mie parole.
Ma nel frattempo.. buona lettura.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
|
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Capitolo 2 *** -'Sei bellissima lo stesso'- ***
Capitolo 1
Look in my eyes, what do you see?
-'Sei
bellissima lo stesso'-
Bum. Bum. Bum.
Sbattei più volte la pallina sul muro di fronte
a me, prendendola sempre in modo impeccabile.
Bum. Bum. Bum.
Avevo cercato quella ragazza, Anastasia, ovunque. Non era
su
Facebook, su Twitter, su Instagnam, su Ask, su Shots, su Fahlo, su
MySpace, su YouTube. Avevo persino cercato il suo cognome sull'elenco
telefonico, ma di certo non potevo chiamare più di cento
persone
solo per trovare lei. Perché diamine doveva avere un cognome
così comune? Così comune, ma che addosso a lei
suonava
perfettamente.
Bum. Bum. Bum.
Il mio cuore, ormai troppo ferito, mi pregava di non
pensarla.
La mia testa, invece, faceva il contrario. Il suo sorriso e le labbra
che lo contornavano non smettevano di offuscare i miei pensieri e le
mie facoltà mentali. Cavolo, mi aveva stregato e il solo
pensiero di non riuscire a trovarla da nessuna parte mi faceva andare
in tilt. Mi aveva preso, con una semplice frase e un semplice sorriso.
Mi incuriosiva, volevo conoscerla e sapere qualcosa in più
di
lei. Cosa che andava contro le promesse che avevo fatto a me stesso,
dato che era una ragazza e non volevo avvicinarmi ad una di loro.
Bum. Bum. Bum.
Ma cosa potevo farci, se mi aveva preso così
tanto? Non
riuscivo nemmeno a capire il perché. Era il potere delle
donne.
Era potere delle donne prendere un uomo e farlo diventare il proprio
cagnolino. Senza far niente, mi aveva già stregato e
già
era diventata la regina dei miei pensieri. Da idiota mi stavo lasciando
trasportare ancora, sicuro di ricevere un'altra delusione. Speravo, per
lo meno, che fosse diversa. Anche se infondo sapevo, che tutte le
ragazze sono uguali e tutte le ragazze prima o poi ti pugnalano. Per
qualcuno più figo e con un portafoglio più gonfio
nei
pantaloni. Patetiche.
Bum. Bum. Bum.
-Tesoro,
sai vero che
dalla mia stanza si sente tutto?- mia madre entrò in stanza,
disturbando i miei pensieri. Mi distrassi un secondo, lasciando la
pallina cadere.
-E tu lo sai che stavo facendo un record? Ero arrivato a
trecentosessantasette- mia madre alzò gli occhi al cielo
portando le braccia al petto.
-Trecentosessantasette rotture di scatole, Justin..-
mormorò, sedendosi sul mio letto.
-Simpatica- mi sedetti anch'io, dandole un bacio sulla tempia.
-Non sei felice di aver vinto il premio?- chiese, poggiando le mani
sulle ginocchia. Feci spallucce.
-E' uguale, insomma.. non mi cambia nulla- le sorrisi rassicurante,
nascondendo un velo di tristezza.
-Perché non esci con i tuoi amici?- mi accarezzò
il viso, incontrando i miei occhi a metà altezza.
-Perché devo andare a lavoro, stasera. Ricordi?-
batté una mano sulla fronte, facendomi sorridere.
-Allora va a preparti che sono le sei- si alzlò con
nonchalance, dandomi una leggera carezza sul volto.
Pochi secondi dopo, uscì dalla stanza lasciandomi solo.
Amavo
mia mamma, era la donna più buona che io abbia mai
conosciuto.
Forse l'unica, era davvero l'unica donna che si meritava tutta la mia
stima e la mia approvazione. Mi aveva cresciuta da sola, senza mio
padre. Mi ebbe all'età di diciotto anni, pochi mesi dopo
papà mi lasciò e si ritrovò a dover
portare avanti
una casa, un figlio, una famiglia, tutto da sola. Magari fossero state
tutte donne come lei, magari tutte avessero bene in mente il concetto
di 'amore' come lo aveva mia mamma. Le ragazze pensavano solo a
scherzare e a farsi un nome, non pensavano all'altra parte che magari
rimaneva un vero e proprio schifo. E per altra parte, ritenevo noi
uomini.
Straziato dai miei pensieri, mi alzai dal letto e mi diressi verso il
bagno. Stavo diventando abbastanza monotono e sinceramente, scocciavano
anche me quei pensieri. Dopo essermi dato una sciacquata, presi un paio
di pantaloni neri, una camicia bianca e indossai le mie Supra nere.
Lavoravo in un bar e, bene o male, ognuno di noi doveva essere vestito
secondo un certo standard quando andavamo a lavoro. Erano appena le
sette e il mio turno sarebbe cominciato solo mezz'ora dopo,
così
presi le chiavi della moto e mi avviai verso la porta d'uscita.
-A dopo, dolcezza- baciai sulla fronte mia madre che mi sorrise.
-Dolcezza?- alzò un sopracciglio, annuii.
-Hei, sei la mia donna- l'abbracciai, sorridendo.
Ed era vero, era la mia donna. L'unica che veramente mi aveva amato e
che amavo con tutto me stesso.
Mi incamminai verso la porta di casa e varcai la soglia, ritrovandomi
sul vialetto di sassolini grigi. Li calpestai, mentre camminavo
lentamente verso la mia moto. Era un regalo di mio padre, un regalo un
po' eccessivo, forse, dato che era una MV Agusta F3 675. Per quanto
amassi le moto, aveva speso un botto per comprarmela e sinceramente
preferivo mi comprasse una scacchiera. Ma di certo, non potevo
lamentarmi. Hei, avevo la moto di Batman.
Arrivai a lavoro con un quarto d'ora anticipo, il tempo di mettere il
grembiule e di sistemarmi i capelli che si fece ora e dovetti andare al
banco.
-Hey, amico- salutai Chad con una stretta di mano.
-Complimenti per oggi- gli sorrisi, alzando entrambe le sopracciglia.
-Sono Justin Bieber- commentai, scoppiando poi a ridere seguito da
Chad, mio collega nonché mio ex compragno di squadra di
hockey.
Era un portiere ed era anche sensazionale, non faceva entrare un solo
dischetto in porta.
-Allora, mitico Bieber, cosa mi racconti?- presi a lavare dei
bicchieri, focalizzandomi sul renderli lucidi.
-Il solito- feci spallucce, ormai la mia vita era la solita monotonia.
-Hai pure il coraggio di dire il solito dopo aver vinto un premio?-
alzò un sopracciglio stranito, seguendo i miei movimenti.
Ridacchiai e scossi la testa, l'unica cosa che proprio non sopportavo
di lui erano le troppe domande che faceva. Non mi piacevano le persone
che mi riempivano di domande, preferivo stare sulle mie e tenermi le
cose per me. Il mio motto era diventato: meno cose gli altri sanno di
te, meglio è. Avevo imparato a nascondermi dietro ad una
maschera, a mentire e a far credere agli altri che andava tutto bene.
Anche quando tutto bene non andava.
-Mi scusi, può indicarmi il bancone?- alzai di scatto la
testa e mi irrigidii, sentendo quella
voce.
-Se togliessi gli occhiali da sole lo vedresti- ridacchiò
l'uomo, per poi fermarsi improvvisamente. Presi la tazzina contenente
del liquido caldo più comunemente conosciuto come
caffé,
per poi poggiarlo su un piattino di ceramica bianco.
-Grazie- sussurrò la ragazza, sorridendo ad un punto
impreciso della stanza.
-Prego- ricambiò il sorriso, smettendo di toccarle la
schiena.
Ah beh, era ora. Commentò la vocina nella mia
testa.
Guardai quella ragazza, che da ore aveva impegnato i miei pensieri. Era
lì, di fronte a me, con lo sguardo fisso nel vuoto e quello
splendido sorriso sul volto stanco. Gli occhiali da sole non smettevano
di essere presenti sui suoi occhi, impedendomi di decifrarne il colore.
Aveva un viso sottile, la pelle chiara e una folta chioma di capelli
castani. Portava una coda di cavallo alta, proprio come la portava nel
pomeriggio. Era bellissima, anche in quella circostanza. Chad fece per
avvicinarsi, quando lo bloccai di scatto con la mano e gli indicai
l'entrata: erano appena arrivati un paio di ragazzi. Non volevo si
avvinasse a lei, era un tipo che ci provava con tutte e quella ragazza,
Anastasia, mi sembrava così preziosa per essere lasciata
nelle
mani di un ragazzo simile. With love, Chad.
Mi feci coraggio, avvicinandomi e mettendomi proprio davanti a lei.
-Ciao, cosa posso portarti?- le parole mi uscirono lente, quasi in un
sussurro. Non sapevo cosa diamine era successo alla mia voce. Tossii
più volte, sperando che tornasse normale.
-Justin?- aggrottò le sopracciglia e arricciò il
naso. Non era contenta
di vedermi? -Non pensavo lavorassi qui, non ho mai
sentito la tua voce-
-Be', non so come sia possibile dato che ci lavoro da tre anni, tesoro-
poggiai entrambe la braccia sul bancone, sentendola ridacchiare. Aveva una splendida risata.
-Forse sarà perché io mi siedo
sempre infondo
mentre è Lea che prende le ordinazioni per me- fece
spallucce,
girando come una bambina sullo sgabello girevole.
-Lea sarebbe la ragazza con cui eri oggi pomeriggio?- le chiesi,
cercando di intravedere i suoi occhi dal vetro scuro degli occhiali.
Nemmeno la luce mi aiutava.
-No lei era Bernadeth, Lea è una ragazza.. be', molto
simpatica
e chiacchierona- annuii. -Ci sei ancora?- chiese, facendo un giro
completo sulla sedia.
-Sì, piccola, sono sempre qui- ridacchiai, attirando
nuovamente la sua attenzione.
Aveva ragione Chaz, quella ragazza era strana ma allo stesso tempo
tanto dolce e carina. Mi piaceva parlare con lei, anche se avevamo
scambiato giusto un paio di parole. L'unica cosa che proprio non
sopportavo, era non poterla guardare nei occhi. Quando parlavo con una
ragazza la cosa che più mi piaceva era poterla guardare
negli
occhi per capire il suo stato d'animo o semplicemente per distinguere
una bugia dalla verità. Con lei, non poterlo fare, mi
mandava in
crisi.
-Mi porteresti un..uhm..cosa mi potresti portare?- prese il meno tra il
pollice e l'indice, assumendo un espressione pensierosa.
-Posso portarti il listino, se vuoi- mi allungai col braccio prendo un
listino che era a pochi centimetri da lei, porgendoglielo.
-Una birra andrà benissimo- si affrettò a dire,
sorridendo innocente.
-Almeno hai diciotto anni?-
-Passati da tre anni, ormai- riese lievemente, portandosi dietro
l'orecchio una ciocca che le era uscita dalla perfetta coda di cavallo.
-Alla spina o in bottiglia?- le chiesi, guardandola sott'occhio. Teneva
lo sguardo fisso davanti a sé, fissando un punto impreciso.
Poggiai lo sguardo sul punto che fissava, era una parete vuota.
-Alla spina, penso sia più buona..- fece spallucce
mordicchiando
un'unghia, era adorabile, davvero. -Fai tu, io non me ne intendo-
Annuii ancora, prendendo un calice piccolo e portandolo sotto un
tubicino di metallo. Lasciai che il liquido giallastro riempisse il
bicchiere, per poi porgerglielo. Titubante, mosse la mano cercando il
bicchiere. La vidi deglutire e abbassare lo sguardo verso il bancone,
per poi sorridere soddisfatta non appena prese il bicchiere. La guardai
aggrottando le sopracciglia, quel suo comportamento strano mi
incuriosiva. Avvicinò il bicchiere alle labbra, lasciando
che
queste si poggiassero sulla superficie liscia. La pressione le
schiacciò, facendo notare ulteriolmente la loro morbidezza.
Prese un piccolo sorso di birra, per poi allontanare il bicchiere e
leccarsi le labbra con la lingua. Sorrise, guardando lo stesso punto
davanti a sé.
-E' buona- annuì, bevendo un altro piccolo sorso.
-Qui alla Hause's Coffee abbiamo solo alimenti di prima scelta- la vidi
incurvare le labbra in un sorriso, per poi scuotere la testa.
-Voi ragazzi ve la tirare sempre per qualasi cosa?- chiese trattenendo
una risata, ancora senza guardarmi. E voi donne siete sempre
traditrici?
-Be', quando si tratta della verità, sì- feci
spallucce e
ridacchiai, pulendo il bancone e poggiando una tazzina sporca nel
lavabo. -Ti va di aspettare che finisca il mio turno?- le chiesi,
stupendo me stesso.
Era la prima volta che avevo una conversazione così lunga
con
una ragazza, cercavo sempre di evitare la loro compagnia da quando
anche Hayley mi aveva lasciato. Solo che quella ragazza mi aveva
stregato e cavolo, avevo passato quasi due ore intere a cercarla su
internet. Avevo un desiderio enorme di conoscerla meglio, andando
contro tutti i principi che avevo costruito nel corso degli ultimi due
anni. Cosa potevo farci se mi aveva attratto così tanto?
Aveva
qualcosa, che mi spingeva a cercarla. Qualcosa, che mi diceva che di
lei potevo fidarmi.
"La conosci appena,
Justin" continuava a ripetermi il cuore.
"Fidati di lei,
è diversa" ripeteva la mia testa.
Avete presente l'angelo e il diavolo? Non avevo loro sulle mie spalle,
ma avevo un cuore parlante ed una mente contorta. M'impauriva questa
situazione.
-Di notte ho paura di camminare da sola- guardai fuori dalle porte, era
già buio pesto.
-E' già buio..- sussurrai, andando per un secondo alla
cassa.
-Due dollari, grazie- un uomo mi porse una banconota da cinque, gli
diedi il resto per poi tornare a guardare Anastasia che torturava il
suo labbro e si girava e rigirava il bicchiere tra le mani.
-Allora, uhm.. se mi accompagnerai a casa, sì- gli occhi mi
si illuminarono, sorrisi.
-Volerai sulla mia splendida moto- mi misi di fronte al suo volto,
ancora una volta non mi degnò di uno sguardo. Abbassai lo
sguardo e mi scostai, probabilmente non le faceva piacere la mia
compagnia quanto a me faceva stranamente piacere la sua.
-Non vedo l'ora- ridacchiò, bevendo un altro sorso dal suo
bicchiere. -Penso che nel frattempo avrò bisogno di un'altra
di
queste- indicò il bicchiere vuoto, poggiandolo piano sul
bancone, il più vicino possibile al suo corpo. Lo fece
scorrere
piano, firno a farlo arrivare a metà bancone.
La guardai sorridendo, presi il suo bicchiere e ne riempii un altro,
mettendolo affianco alle sue dita lunghe. Lo afferrò
saldamente,
prima di portarlo alle labbra e ripetere quel procedimento straziante.
Era troppo bella e quelle labbra erano troppo provocanti. Morsi
l'interno guancia e mi sforzai di non guardarla, concentrandomi sugli
altri clienti. John desiderava il suo solito spritz, Candice il suo
solito caffè per restare sveglia, Colin stranamente
desiderava
un mojito anziché la sua vodka alla fragola.. Insomma, la
solita
monotonia della serata. Anche se, a differenza delle altre serate,
avevo una ragazza seduta a gambe conserte su uno sgabello che stava
aspettando me per poter tornare a casa. Mi piaceva parlare con lei e
sorridere, ogni qual volta sorrideva lei.
Il tempo, parlando e ridendo, passò in fretta.
-Vado a cambiarmi, aspettami qui- le sfiorai la mano con le dita,
facendola sussultare.
-Aspetta, devo pagare le due birre- prese la borsa e
cominciò a
frugarci al suo interno. -Quanto ti devo?- chiese, prendendo il
portafogli tra le mani. Mi avviai alla cassa-
-Quattro dollari- dissi in un sussurro, osservando le sue dita.
Aprì il portafogli, tirando fuori una banconota da cinquanta
dollari. -Non ne avresti una da cinque?- le chiesi, cercando di
incrociare ancora una volta il suo sguardo.
-Oh, ho di nuovo confuso i sue lati..- borbottò tra
sé e
sé, riposando la banconota da cinquata e porgendomene una da
cinque dollari. -A destra quelle alte, a sinistra quelle basse. A
destra quelle alte, a sinistra quelle basse- sussurrò tra
sé e sé, sospirando. La guardai confuso per un
secondo,
porgendole il resto. Restai col braccio alzato per un paio di secondi,
finché non mi schiarii la gola.
-Ehm, il resto lo vuoi?- chiesi, trattenendo un sorriso.
-Oh, sì- le sue gote si colorarono di rosso, allungando
titubante la mano e porgendomi il palmo.
-Arrivo subito, aspettami qui- diedi un ultimo sguardo all'orario,
lasciando il mio posto a Leonard e andando a cambiarmi.
I suoi atteggiamenti, erano insoliti. Parlava da sola e sembrava con lo
sguardo assente, sempre e costantemente. Sembrava una ragazza che aveva
la testa tra nuvole, come se fosse stata in una realtà
parallela
e tornasse alla reltà solo quando veniva chiamata o
interpellata. Nonostante questo, aveva un sorriso mozzafiato e un senso
dell'umorismo che non ero riuscito a riscontrare in nessua ragazza.
Era riuscita a far ridere me, ed erano anni che non ridevo a causa di
una ragazza. Mi stava stregando, e non riuscivo a capire come.
A passo svelto, entrai nel camerino riservato ai dipendenti, appesi il
grembiule, presi il cappotto e lo indossai, per poi uscire. Attraversai
il piccolo corridoio color sabbia, come l'interno del locale. Era una
caffetteria, tutto doveva bene o male assomigliare al colore del
caffé. Dal colore delle pareti, al colore delle sedie. Una
volta
uscito dal camerino, mi avvicinai alla ragazza poggiandole una mano
dietro la schiena. Sussultò irrigidendosi, sembrava quasi
che
non si fosse accorta di me quando invece il suo sguardo era puntato
verso la porta da dove ero uscito. O più semplicemente, non
voleva essere toccata.
-Andiamo- sembrò rilassarsi, non appena sentì la
mia
voce. Annuì posando qualcosa nella borsa, non
riuscii a
capire cosa fosse ma ugualmente non le chiesi nulla.
-Mi porti a casa?- sentii le sue mani sottili stringermi piano il
braccio. Questa volta, fui io ad irrigidirmi. Non la faceva nessuna
ragazza, da troppo tempo ormai.
-Sì- mi scostai, avvicinandomi a passo svelto verso la
porta. La
aprii e la vidi lì, immobile e spaesata. Mosse il primo
passo
lentamente, poi un altro e un altro ancora. Sembrava avesse paura di
camminare. La vidi deglutire, prima di stringere tra le mani la stoffa
della borsa e camminare più velocemente. Morsi il labbro e
mi
sentii in colpa, non sapevo nemmeno io per cosa. Così
bloccai la
porta e mi avvicinai al suo corpo, le poggiai lentamente la mano dietro
la schiena e le sorrisi. -Meglio?- le chiesi, notandola camminare
più velocemente e più sicura.
-Molto- annuì lei, per poi abbassare lo sguardo. -Scusa,
è solo che io..- sospirò, stringendosi le braccia
al
petto.
-Non preoccuparti- le accarezzai piano il viso, sentendo una scarica di
adrenalina scorrermi lungo il corpo. Alzò nuovamente le
braccia
verso di me, tastò il mio petto per poi spostarsi sul
braccio e
stringersi a questo, come aveva fatto poco prima. -Hei piccola,
già vai dritta al punto?- risi lievemente scherzando,
sorrise
anche lei.
-Ne ho bisogno- la sentii sussurrare, abbassando poi la testa verso il
pavimento in cemento sicuramente freddissimo.
Ne ho bisogno. La
sua era
sembrata pià una supplica che un'affermazione. Annuii
impercettibilmente, trasportandola con me verso la mia moto. Non era
tanto male dopotutto, tenerla aggrappata a me come una bimba si tiene
impaurita aggrappata al papà quando ha paura di qualcosa di
astratto. In quel momento, Anastasia sembrava tanto una bambina
impaurita, l'uinco problema era che io non sapevo tanto fare l'uomo
forte come lo sono
solitamente i papà. Ero tutt'altro che forte. Ma averla
vicino,
mi infondava una certa sicurezza.
Una volta arrivati affianco alla mia moto, presi le chiavi dalle tasche
e mi fermai un secondo a contemplarla. Nonostante fosse nera, brillava
sotto la luce della luna.
-Ti piace?- le chiesi, contemplando la bellezza del mio gioiellino.
-Cosa?- aggrottai le sopracciglia, guardandomi intorno. C'era solo la
mia moto e una macchina qualche isolato più avanti. -Sai
com'è, con gli occhiali neri non vedo..ehm..nulla..-
sospirò ancora, portando poi lo sguardo alle punte dei suoi
piedi.
-Toglili allora, se non riescono a farti vedere la bellezza della mia
bambina- ridacchiai, rialzandole il viso tra le mani.
Deglutì e
si giro, camminando piano verso la direzione della mia moto.
Allungò una mano, tastando la superficie fredda.
-Sembra molto bella- continuò a toccarla con entrambe le
mani,
tastò per bene l'intera sella, i comandi. Si
abbassò,
toccando poi la marmitta e il lato. -E anche potente, suppongo- si
alzò e si girò verso di me, sorridendo.
-E' potentissima-la raggiunsi, montando in sella. -Sai salire da sola o
hai bisgono di una mano?- mi toccò una spalla e poi la
sella,
per poi scuotere la testa più volte. -Ho capito- soffocai
una
risata scendendo dalla moto e prendendola per i fianchi. Era leggera
come una piuma. L'aiutai a salire, per poi salire anch'io. -Ti
farò vedere quanto veloce riesce ad andare-
-Magari potessi- sussurrò contro la mia schiena, lasciandomi
perplesso. -Però posso sentire il suo rombo-
continuò,
tenendo stretta la sella.
-Ti conviene tenerti a me..- le passai un casco, che
indossò.
Menomale che ne avevo ancora uno di riserva. Era di Selena. -..andremo
molto veloce-
Non le diedi nemmeno il tempo di contrabbattere che sfrecciai, veloce.
Sentii le sue braccia stringersi attorno al mio corpo in meno di un
secondo, sorrisi a quel suo tocco. Il cuore mi batteva e non per la
velocità, ero ormai abituato anche a toccare i duecento
chilometri orari. Averla così vicina, praticamente incollata
al
mio corpo, faceva un certo effetto. Insomma, non avevo un contatto
fisico con una ragazza, se non con mia madre, da due anni. Era strano
per me sentire un corpo femminile così vicino al mio. E non
un
corpo qualsiasi, tra l'altro, ma il corpo di quella ragazza che mi
aveva affascianato dal primo momento che l'avevo vista. Per quanto
strana potesse essere, mi piaceva la sua compagnia.
Le chiesi, quasi urlando, dov'è che abitasse. Sembrava
assorta
nei suoi pensieri, infatti ci mise un po' prima di dirmi la via.
Volendo stare più tempo con lei, feci il giro più
lungo.
La sentii staccarsi leggermente, lasciando che il vento le
scompigliasse i capelli -dato che aveva sciolto la coda per poter
mettere il casco-. La guardai da uno specchietto ed era bellissima, per
quel che riuscivo a vedere dato che quei dannatissimi occhiali da sole
erano ancora lì, a coprire i suoi occhi.
Una volta arrivati, mi sentii mancare.
-Qual'è casa tua?- le chiesi, scendendo dalla moto e
aspettando che facesse lo stesso.
-E' una villetta gialla..- rispose vaga, guardandosi intorno.
Deglutì, abbassando poi lo sguardo. -Potresti, uhm..- si
grattò la tempia imbarazzata, guardando a destra e a
sinistra,
ancora. -..indicarmela tu?- continuò, lasciandomi spiazzato.
-E perché io? Non riesci a riconoscere casa tua?- risi
lievemente, facendola sospirare.
-No,- serrò le labbra in una linea. -non ci riesco-
sospirò ancora.
-E perché?- chiesi ancora, aggrottando nuovamente le
sopracciglia.
-Perché non ci vedo, Justin..- quasi sussurrò,
levandosi
gli occhiali. -Sono cieca- continuò, guardando un punto
dritto
davanti a sé.
Incrociai finalmente i suoi occhi, l'azzurro era quasi impercettibile
dato quel velo bianco che lo copriva.
La sua espressione era impassibile, non lasciava trasparire nessuna
emozione.
Mi sentii in colpa, dannatamente in colpa per averla presa in giro.
Presi il suo viso tra le mani, avvicinandomi piano al suo volto.
-Sei bellissima lo stesso- deglutii, sentendomi morire.
Avevo appena preso in giro una ragazza cieca e le avevo pure detto che
era bellissima.
Justin, penso che
stasera ti sei proprio superato.
__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Buonasera, tesori miei.
Anche se sono circa le
cinque, fuori è già buio ed è
bruttissimo vedere il tempo così.
Sopratutto col mio stato
d'animo, ma traslasciamo.
Purtroppo i problemi ci
sono e più di provaread affrontarli, non posso fare.
Ma ho delle persone
stupende vicino, per cui le ringrazio davvero di tutto.
E voi? Come state?
Sapete, vero, che per
qualsiasi cosa io ci sono per voi?
Qualsiasi, giuro.
Infondo, noi Beliebers siamo una famiglia.
E le sorelle si aiutano.
L'unica cosa che proprio
mi rende felice, è sapere che Justin ci ama.
E ce ne ha dato la
certezza al concerto, dicendo esplicitamente 'I love my italian
Bliebers'.
Io non c'ero, ma so che
quelle parole erano indirizzate anche a me.
Come a tutte voi, che da
casa lo avete seguito tesori miei.
Parlando della storia,
ecco che abbiamo capito una cosa importante della nostra protagonista:
è una non vedente.
E sembra che al nostro
Justin questa cosa non dispiaccia.
Cosa
succederà?
Be', continuate a
seguirmi.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
|
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Capitolo 3 *** -'Prova ad ascoltare'- ***
Capitolo 2
Look in my eyes, what do you see?
-'Prova ad
ascoltare'-
Sorrisi, non appena notai il suo timido sorriso.
Era vero, era bellissima. Era dannatamente bellissima.
-Potevi dirmelo prima, almeno non avrei..si be', non ti avrei presa in
giro..-cominciai, grattandomi la nuca. -Insomma, non lo sapevo e
pensavo che, ecco..- mi poggiò una mano sul petto, ridendo
appena.
-Sta tranquillo, ci sono abituata ormai- mi sorrise. Perché
io non riuscivo a farlo?
Era un'ingiustizia, prendersi gioco delle persone che non potevano
difendersi. Chissà quante ne aveva passate, quanti scherzi
che
aveva subito e quante prese in giro. Leggevo nella sua espressione
amarezza e delusione, un passato sofferente più che felice.
Tante prese in giro, tante delusioni, tanti scherzi subdoli e cattivi.
Non riuscivoa capire come riusciva a sopportare tutto ciò,
sembrava
così piccola quando invece aveva una forza assurda.
Sopratutto
per aggirarsi di sera da sola, doveva avere coraggio. Ero l'impotente
della situazione, lì, e ciò mi turbava
terribilmente.
-Ti va di restare ancora un po' con me? Ho una panca ad altalena fuori
al mio giardino, potremmo restare lì un po'.. se vuoi,
ovviamente-
-Certo che voglio- mi affrettai a dire, cercando con lo sguardo casa
sua. -Una casa gialla, hai detto? Con uno gnomo da giardino alto due
metri fuori la porta con un mantello rosso?-
-Lo gnomo c'è, ma non so quanto gnomo possa essere se mi
dici
che è alto due metri- fece spallucce ridendo lievemente.
-Scusa- sussurrai imbarazzato, insomma.. non è cosa di tutti
i
giorni incontrare ragazze trementamente belle, ma che non ci vedono.
Vidi quella che doveva essere casa sua, così che lentamente
ci
avvicinammo. Le sue dita sottili ancora stringevano il mio braccio,
avevo il cervello in panne. Non la volevo così vicino, ma
allo
stesso tempo desideravo sentire le sue mani su di me, desideravo che
toccasse il mio corpo. Forse perché erano due anni che non
mi
facevo toccare da una ragazza, o forse perché era
così
delicata. Non sapevo il motivo esatto per cui la volevo vicino, sapevo
soltanto che, se si fosse allontanata, avrei sentito un enorme vuoto
dentro di me.
E no, non era perché non avevo mangiato nulla.
Silenziosamente, ci avvicinammo alla sedia a dondolo.
-Uhm, la tieni ferma?- la guardai sorridendo, prendendola poi per i
fianchi.
-Ti aiuto io- sussurrai al suo orecchio. Sentii una scarica di
adrenalina percorrere la mia schiena dorsale, eppure ero stato io a
provocarla.
-Grazie- arrossì, dolcemente le accarezzai il viso.
-Parlami di te- mi girai verso il so viso, illuminato dal chiaro di
luna.
Senza occhiali era davvero più bella. Quella montatura, per
quanto mi piacesse, non mi permetteva di vedere il suo viso, perfetto.
Ciglia lunghe, naso all'insù, labbra rosee e carnose, mento
piccolo e gote rosse. Era davvero una bambolina, sembrava fatta di
porcellana. Mi piaceva guardare il suo viso, il suo profilo. Sembrava
più piccola della sua età, ed era solo un segno
positivo.
Era davvero tenera, ogni qual volta finivo per guardarla avevo voglia
di
stringerla tra le braccia e di tenerla stretta al mio corpo.
Quelle emozioni che provavo, mai le avevo provate prima. E mi
spaventavano, anzi, mi terrorizzavano. L'ultima volta che avevo
guardato una ragazza nello stesso modo in cui stavo guardando
Anastasia, ero finito col rimanere fottuto. E di rimanere fregato
ancora,
proprio non mi andava.
-Cosa c'è da dire?- portò una mano al mento,
accarezzandolo. Solo allora notai il suo smalto rosso, rosso fuoco.
-So solo che hai un nano da giardino alto due metri e che la tua casa
è gialla- ridacchiai, portando la mia attenzione sulle sue
labbra. Mi persi a guardarle, sembravano davvero tanto, tanto carnose.
-Penso che sia abbastanza- fece schioccare la lingua sotto il palato,
facendomi sorridere.
-Qual'è il tuo colore preferito?- cominciai con le domande,
pentendomene subito dopo. -Oh, scusami, io..-
-Mi piaceva il verde- mi interruppe, poggiando una mano sulla mia
gamba. -Il verde smeraldo. Il colore della speranza e della natura-
-Quindi non sei nata cieca, ma ci sei diventata?- m azzardai a
chiederle, spostando la mia mano sulla sua come per darle conforto.
Annuì, prima di abbassare la testa.
-Avevo quindici anni, ero col mio migliore amico.. aveva da poco preso
la patente, era di solo un anno più grande di me. Come
poteva
pensare che proprio la sera che mi aveva promesso di uscire, si sarebbe
messo a piovere così tanto che sbandò e
andò fuori
strada?- sospirò, mentre io trattenni il respiro. -La
macchina
girò su sé stessa, si fermò addosso ad
un albero.
Dylan venne schiacciato.. e morì sul colpo..-
deglutì, le
strinsi più forte la mano. -Quando mi svegliai dal coma non
ci
vedevo più. L'ultima cosa che ricordo di aver visto,
è il
volto impaurito del mio migliore amico e il suo sguardo spento. Dissero
che avrei ripreso a vedere, che prima o poi avrei ripreso la vista.
Ogni giorno che passa, mi rendo conto però che in
quell'incidente ho perso due cose fondamentali che non torneranno
più. Sono sei anni che aspetto e la vista non è
tornata,
se n'è andata con Dylan. Non torneranno più..- si
fermò, sospirando ancora.
-Anastasia, io..- mi bloccai, analizzando per bene le parole che volevo
dire.
Cosa si poteva dire in quei casi? Non mi era mai successa una cosa
simile e un 'ti capisco', sicuramente non avrebbe migliorato la
situazione. Era così delicata e tragica che il silenzio
parlava
da sé, facendomi capire che continuare con le parole non
serviva
praticamente a nulla. Così, senza un preavviso e stupendomi
di
me stesso, l'abbracciai.
Strinsi le mie braccia, attorno al suo gracile corpo, attirandola a me
più che potevo. Le accarezzai i capelli, poi la schiena, di
nuovo i capelli e di nuovo la schiena. Sentivo il mio cuore battere
forte mentre le sue lacrime bagnavano il mio giubbotto. Lacrime amare,
dolorose, pungenti. Lacrime così anguste, di cui una ragazza
così docile e fragile non doveva nemmeno saperne
l'esistenza. Ma
a quanto pare, lei stava vivendo in prima persona quell'esperienza
così tragica.
-Nonostante tutto, sei sempre bellissima..- sussurrai, più
che a
me stesso che a lei. La sentii tirar su col naso e ridere lievemente.
Che calore assurdo che sentivo dentro di me.
-Io? Bellissima? Ma andiamo, se neanche posso vedermi allo specchio per
aggiustarmi meglio i capelli!- sbottò, dandomi un leggero
pugno
sul braccio.
-Sappi che stanno divinamente- le feci l'occhiolino, per poi scuotere
la testa. -Sai, sei quasi più bella di me-
-Ohoh, qui abbiamo un ragazzo che se la sta tirando. E sentiamo, anche
questa sarebbe la verità?- alzò le sopracciglia,
facendomi sorridere.
-Justin Bieber non mente, piccola- sussurrai al suo orecchio, facendola
sorridere. Che bello l'effetto che avevo su di lei..
-Sentiamo- sussurrò a sua volta, avvicinando una mano al mio
corpo.
Sussultai, non appena toccò il petto. Non che non mi
piacesse,
sia chiaro. Ma mi aveva preso alla sprovvista, ecco tutto. Quando le
ragazze ti toccano sul petto o sugli addormiali, è solo
perché vogliono qualcosa da te. Lei, semplicemente, stava
vedendo attraverso le sue mani e la situazione non faceva altro che
piacermi. Allungò l'altra mano, fino a toccare lo stesso
punto.
Trattenni il respiro sentendo le sue mani toccare il mio petto,
ritrovarsi poi sulle spalle, sulle clavicole, finendo poi sul collo.
Chiusi gli occhi e mi lasciai espezionare da quelle mani
così
delicate ma allo stesso tempo che si facevano sentire, portai
addirittura il collo all'indietro lasciandole più spazio.
Era
una sensazione piacevole. Molto piacevole.
-Sento il pomo d'adamo- commentò, salendo lungo il collo.
Morsi
le labbra, annuendo lievemente. Continuò a salire su, fino
al
mento. -Hai fatto la barba stamattina, vero?- annuii ancora,
sorridendo. Salì piano, fino a toccarmi le labbra.
Passò
entrambi i pollici sopra e subito dopo l'indice, ispezionandole come
solo lei sapeva fare. -Le tue labbra sono molto carnose-
passò a
toccarmi le gote, che stavando letteralmente andando a fuoco. -Sei
caldo..- sussurrò, riaprendo gli occhi e continuando la sua
dolce tortura. Accarezzò il mio naso con l'indice, andando
su
fino allo spazio tra i miei occhi. -Hai un naso piccolo- annuii
lievemente, chiudendo gli occhi e lasciando le sue mani toccaresso i
miei occhi e le mie sopracciglia. -Hai delle soppracciglia folte ma
curate, vero?- chiese, ancora una volta annuii. Poggiò le
mani
dietro le mie orecchie e mi accarezzò i capelli, si
avvicinò impercettibilmente. -I tuoi capelli sono morbidi..-
sussurrò a pochi centimentri da me, trattenni il respiro
stupito
dalla sua vicinanza. Mi accarezzò la nuca, la parte
superiore
della testa, il ciuffo. Fece cadere poi le sue mani sulle mie spalle,
scendendo fino alle braccia. -Che colore sono i tuoi capelli?-
-Uhm?- alzai leggermente lo sguardo. Era così rilassante
avere le sue mani sul mio viso.
-Ti ho chiesto che colore sono i tuoi capelli- ridacchiò,
interrompendo quel contatto che mi aveva mandato in estasy.
-Biondi..- dissi in un sussurro, quasi deluso. Non volevo che
smettesse.
-E i tuoi occhi?-
-Marroni- risposi vago, allungando la mia mano verso la sua.
-Solo?- alzò un sopracciglio, le sorrisi.
-Di quanti colori devono essere gli occhi?- presi la sua mano e la
poggiai sulla mia, accarezzandola come prima aveva fatto lei con me.
-Hai presente il caramello?-annuì. -Vedi, sono color
caramello.
Alla luce, assomigliano tanto all'ambra, con qualche punta d'oro e
anche di verde. Quando c'è brutto tempo si scuriscono,
diventano
marroni, un marrone duro, freddo.. Quando però sono con gli
amici, i miei occhi trasmettono calore e serenità, Insomma,
dipende da come sto, da con chi sto, dal tempo. Il colore dei miei
occhi cambia continuamente-
-E adesso come sono i tuoi occhi?-
-Penso che debbano ringraziarmi..- sussurrai, accarezzandole
leggermente il viso.
-Perché?- chiese ancora, sorridendo timidamente.
-Perché si stanno beando della tua bellezza-
Sussurrai ancora, sentendo il cuore pulsare contro la cassa toracica.
La vidi sorridere, cosa che non fece altro che peggiorare le cose. Mi
sentivo come un ragazzino, alle prese con la prima cotta e con le prime
mosse. Con lei era tutto così naturale e così
spontaneo,
riusciva a farmi sentire il calore dentro anche senza parlare. Le sue
mani, i suoi gesti, il suo sorriso.. parlavano da sé. Anche
i
suoi occhi parlavano ed esprimevano un mix di emozioni che non riuscivo
a decifrare. Riconoscenza e amore, però, spiccavano in mezzo
a
tutte le altre emozioni.
Chiusi gli occhi e sospirai, non volevo ritrovarmi emotivamente
coinvolto ancora una volta. Non era pronto il mio povero cuore a
soffrire ancora e, per quanto dicesse il contrario, neanche la mia
testa. Avevo bisogno di pace e tranquillità,
emozioni che
non potevo provare stando con una ragazza.
Ma allora perché, con lei era diverso?
-Smettila di farmi arrossire- mi bacchettò il braccio,
arricciando il naso come una gattina. Però..non sarebbe
stata
male con i baffi e con le orecchie da gatta, molto più
grintosa
e sensua.. Justin,
frena gli ormoni.
-Non puoi impedirmi di parlare e dire la
verità- le feci
la linguaccia, che ovviamente non poteva vedere. Idiota Justin, idiota
sei. -Mi sento stupido- commentai, ridendo lievemente.
-Stupido?- aggrottò le sopracciglia, mordendo il labbro. Se solo potessi farlo io..
-Sì, perché mi capita di farti
l'occhiolino o la
linguaccia, ma da stupido non ricordo che non puoi vedere questi gesti-
conffessai, girando tra le mani le sue dita.
-Però posso sentirre altri gesti..- chiusi gli occhi e
sospirò, come se si stesse preparando. -Prova a fare come
me.
Libera la mente, smetti di pensare. Prova solo ad ascoltare. Ascolta la
natura, ciò che ti circorda. Senti gli odori, i rumori, le
superfici. Prova ad ascoltare..-
Sospirò ancora, prima di chiudere gli occhi e di portare il
viso
verso il cielo. Seguii i suoi movimenti, liberando la mente. Basta
pensare al lavoro, basta pensare a Hayley, o a Cait o a Selena. Basta
pensare alla sofferenza e alla malinconia. Basta pensare di aver deluso
la propria madre, basta pensare di essere un peso per i proprio
migliori amici. In quel momento ero solo io, seduto con affianco una
ragazza stupenda che riusciva a farmi sentire finalmente completo.
Provai ad ascoltare, ciò che mi stava incontro. Il rumore in
sottofondo di una canzoncina proveniente da una casa del vicinato, il
brusio del vento, il clackson delle auto in lontanaza. Il profumo della
neve sciolta, di cornetti appena sfornati dalla pasticceria di fronte,
il profumo di lei. Sentii il cigolio dell'altalena ed il rumore delle
nostre impronte sulla neve. Non avevo mai provato ad ascoltare, a
capire bene cosa mi stava intorno. Pensavo che con gli occhi si potesse
vedere tutto, quando invece con gli occhi riesci a vedere solo un
quinto di ciò che la realtà ha da offrirti.
E in quasi venticinque anni, non l'avevo ancora capito.
Avevo bisogno di conoscere lei, per rendermi conto di ciò
che di bello la vita ha da offrirti.
-Voglio sentire il battito del tuo cuore- sussurrò di botto,
facendomi girare. Senza proferire parola, la presi dolcemente dalle
spalle, facendola poggiare piano al mio petto. Strinse tra le mani la
mia maglietta, stringendosi sempre più a me. Aveva le
braccia
avvolte contro il mio bacino e il viso schiacciato contro il mio petto.
Non sapevo cosa fare, dove mettere le mani. Non volevo
sembrare
troppo invadente, ma allo stesso tempo volevo anche accarezzarla. E fu
ciò che feci. -Grazie..-
-Di cosa?- le chiesi, passando l'indice lungo tutta la sua spina
dorsale.
-Di non esserti preso gioco di me..- mi si strinse il cuore a quelle
parole. Mi bloccai di colpo, alzandole piano il viso verso il mio
volto. Avevo un espressione seria, anche se lei non poteva vedermi.
-Nessuno si prenderà più gioco di te, te lo
prometto-
sussurrai, passando le mie nocche fredde sulla pelle bollente del suo
viso. -Mai più-
-Davvero?- annuii, anche se non poté verdermi.
-Sì- sorrisi, prendendo il suo viso con entrambe le mani e
portandolo tra l'incavo del mio collo. -Adesso ci sono io-
Sentii il mio cuore cominciare a battere all'impazzata e il corpo
diventare una lampada di fuoco. Sentivo, dentro di me, una sensazione
strana
che mi spingeva a stringerla forte e a tenerla più vicina,
avevo la netta sensazione che qualcosa stava cambiando dentro di me ma
non sapevo bene cosa. Dovevo proteggerla, dovevo tenerla con me, dovevo
farla stare bene. Mi ero imposto quegli obbiettivi così, dal
nulla. Così, solo perché quella ragazza mi aveva
stregato. Non sapevo che superpoteri avesse, ma ero letteralmente
terrorizzato dal potere che stava avendo su di me. In un solo giorno,
era riuscita a farmi cadere ai suoi piedi e quella sensazione era tanto
piacevole quanto spaventosa. L'ultima volta che mi ero abbassato a quei
livelli ne ero uscito completamente K.O e non volevo succedesse di
nuovo.
Anastasia, cosa mi stai
facendo?
-Si è fatto tardi, penso sia ora che tu rientri..-
sussurrai,
più a me stesso che a lei. Era l'una di notte passata.
Eravamo
lì seduti da due ore quasi ormai.
-Tanto tardi?- si strinse al mio corpo, poggiando la testa sulla mia
spalla.
-E' l'una di notte- ridacchiai, accarezzandole la schiena.
Scattò in piedi, portandosi una mano tra i capelli.
-Mia madre si starà preoccupando- mi alzai, portandole una
mano dietro la schiena.
-Se vuoi, posso dirle che sei stata con me- suggerii, avanzando verso
la porta di casa.
-Non penso che sia contenta di sapere che sua figlia cieca è
stata fino all'una di notte con un ragazzo- ridacchiò
leggermente.
-Attanta al gradino- le presi la mano. -Hai le chiavi?- scosse la
testa, così che bussai. -Ci vediamo..domani?-
-Sì, ci vediamo domani- marcò la parola
'vediamo', scossi la testa divertito.
-Scusami, la forza dell'abitudine- ridacchiai, guardando il suo viso.
-Se vuoi, sarò a casa tutta la mattinata.. domani non ho
impegni- sentii dei passi avvicinarsi, così che mi affrettai
a
poggiarle le labbra sulla fronte.
-Ci sentiamo domani, piccola meraviglia- sussurrai al suo orecchio,
marcai a posta la parola 'sentiamo' in modo tale da provocarle un
sorriso.
Sentiamo era proprio la parola giusta.
Le sensazioni, non per forza causate dalla vista, ti facevano provare
strane emozioni a volte anche incontrollabili. Delle emozioni
così forti, che ti spingono a compiere azioni senza pensarci
due
volte. I legami che si creano con una determinata persona, anche se
inspiegabili, a volte sono così dannatamente belli che ti
fanno
sentire vivo, che ti fanno sentire importante. E Anastasia, per quello
che mi aveva lasciato quella sera, mi stava facendo provare emozioni
che proprio non riuscivo a controllare. E il sorriso sul mio volto era
la conferma, i muscoli del mio viso si erano contratti senza
avvertimenti in uno splendido sorriso. Un sorriso, finalmente felice e
sereno. Un sorriso, che desideravo portare sempre. Perché
quello
era uno di quei sorrisi veri, di quei sorrisi che ti infondono calore.
Anastasia era riuscita a farmi diventare una lampada, una vera e
propria lampada. Era riuscita a scaldarmi, anche se fuori eravamo dieci
gradi sotto lo zero e il mio cuore era ghiacciato a causa di tutte le
sofferenze.
Anastasia era, quella sera, riuscita a sciogliermi.
E speravo, con tutto il cuore, che quella fosse la volta buona che non
solo il ghiaccio sul mio cuore scomparisse, ma anche che il mio povero
cuore si abbronzasse al sole in modo tale da essere cotto al
punto giusto.
E sopratutto, della persona giusta.
__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Buonaseraaaa!
Amorucci miei , come state? Io sto uno schifo, sono con la febbre.
E, inoltre, il mio computer ha pensato di farmi uno scherzo idiota.
Stavo scrivendo l'ottavo capitolo di questa storia -perché
si, mi sto portando avanti-, ma.. indovinate?
Pensavo di chiudere solo una pagina in più che avevo aperto,
e invece ho chiuso tutto.
Del tipo che mi mancava solo la parte finale e invece adesso devo
riscrivere tutta la parte iniziale.
Ciò vuol dire che mi impegnerò di più.
MUAHAHAAHAHAHAHAHHAHA.
Allora, allora, allora. Raccontatemi qualcosa!
Io, ad esempio, sono contenta che questa sera ci sarà The
Flash.
Sto diventando malata di supereroi!
Che poi, vogliamo parlare dei gran fighi nei film Marvel e DC?
Caspiterina.. mi rifaccio gli occhi ogni volta.
Voi? Avete una passione in particolare oltre al nostro Biebs?
Se vi va, possiamo parlare di supereroi su Twitter AHAHAHAH.
Sotto troverete il mio nome.
Ma adesso, parliamo di cose serie.
Che ne dite di questo capitoluccio, uhm?
Io li shippo troppo.
Mi piacciono questi due.
Sopratutto, mi piace molto il fatto che bisogna ascoltare
ciò che ci circonda.
Non basta vedere, abbiamo cinque sensi, non uno.
Possiamo rendere la vita molto più bella e piacevo provando
solo.. ad ascoltare.
Vi aspetto nelle recensioni, tesori miei.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
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Capitolo 4 *** -'Hai visto il mio modo di vedere le cose?'- ***
2
Look in my eyes, what do you see?
-'Hai visto
il mio modo di vedere le cose?'-
Le chiavi, dove cavolo erano le mie chiavi? Cercavo nelle tasche del
jeans, del giubbotto, della camicia.. nulla. Tastai ogni parte del mio
corpo, inevitabilmente cominciai a pensare a lei. A lei, e a quelle
dita sottili e leggere che avevano sfioravato piano il mio petto e il
mio viso,
pochi minuti prima, per esplorarlo. Aveva un modo particolare per
sentirmi e conoscermi, mi piaceva quel suo modo di scoprire com'ero
fatto, era diverso. Solitamente le ragazze mi mangiavano con gli occhi,
invece lei preferiva sentirmi. Sentirmi in tutti i sensi. Proprio come
io sentivo lei. Era vera, era pura, era unica. Ed era perfetta, anche
senza la vista.
Scossi la testa, finendo di tastarmi il petto. Quella ragazza mi stava
facendo andare fuori di testa.
Tastai la tasca posteriore dei miei jeans, sentendo un rumore. Eccole.
Le inserii nella piccola serratura metalicca a fatica, il lampione al
centro della strada illuminava poco e mamma, ogni sera a mezzanotte,
spegneva la luce che illuminava il portone di casa per non consumare
troppa energia. Non appena la porta si aprì, trovai la
figura di
mia madre a braccia conserte. Osservava la porta di casa, con gli occhi
chiusi in due fessure. Non appena vide il sorriso sul mio viso,
però, si addolcì.
-Dove sei stato?- cominciò con le domande, avvicinandosi.
-Sono stato con una ragazza- le baciai la fronte, per poi sorriderle.
-Fino a quest'ora? E cos'avete fatto? Oh, no, ti prego, non dirmelo.
Quasi mi dimentico che sei un ragazzo e che voi ragazzi avete..-
-Abbiamo solo parlato, mamma- la interruppi ridendo, corrugò
le
sopracciglia facendole scontrare. Era così strano parlare
con
una ragazza? -Abbiamo parlato per due ore, pensa. Fuori casa sua.
Sembra diversa dalle altre- impercettibilmente, arrossii.
Già,
quella ragazza mi faceva un effetto davvero strano.
-Per far colpo su di te, dev'essere speciale- sorrise mia madre,
dandomi conforto.
-Domani mattina ci sentia, cioè, ci vediamo, ci vediamo
sì.. più o meno ma ci vediamo- ridacchiai,
facendo
scontrare di nuovo le sopracciglia della mamma.
Senza darle ulteriori spiegazioni, le baciai piano la fronte e le
sorrisi rassicurandola. Ricambiò prontamente il sorriso,
donandomi uno di doni più belli che un figlio potesse
ricevere, così che salii di sopra in camera mia. La
stanchezza
si faceva sentire, eccome se si faceva sentire. Mi stesi a letto senza
nemmeno spogliarmi, sentii la camicia scoprirmi la schiena ma poco mi
interessava, sinceramente. Anastasia. Perché non smetto di
pensarti? Portai una mano sul viso e sospirai, non volevo
ricadere
nello stesso tranello, eppure Anastasia non smetteva di essere la
protagonista dei miei pensieri. La conoscevo da poco meno di tre ore,
eppure già la sentivo così vicina. Mi stavo
illudendo da
solo e di nuovo, da stupido e inesperto, ciò che tra l'altro
non
ero. Però quella ragazza, con la sua spontaneità
e la sua
semplicità, era riuscita a far battere il mio piccolo e
deluso
cuore.
-
Quando sentii la sveglia suonare, scattai in piedi. Avevo impostato la
sveglia per le otto, così da potermi preparare. Non avevamo
piani, a dire il vero non sapevo nemmeno a che ora andare da lei.
Sapevo solo che, forse, avrei visto i suoi genitori e non volevo che
potessero farsi cattive idee su di me. Le occhiaie, quella mattina, non
mi davano problemi: semplicemente non c'erano. Quella notte avevo
dormito, eccome se avevo dormito. Certo, erano state meno di sette ore,
ma mi sentivo riposato e carico. E sopratutto, desideroso di rivedere
quella splendida ragazza che mi aveva già rapito.
Dopo essermi fatto una doccia veloce, mi ritrovai davanti all'armadio.
-Adesso cosa metto?- mi chiesi, sentendomi peggio di una ragazzina al
suo primo appuntamento.
-Mamma!- uscii dalla mia camera con solo l'accappatoio.
-Justin Drew Bieber, ieri ho lavato a terra e guarda, con i piedi stai
bagnando tutto!- incrociò le braccia al petto, alzai le
sopracciglia.
-Non importa, dai, adesso ho bisogno di te- la trascinai con me in
camera mia, piazzandola davanti all'armadio.
-Devo riordinarti l'armadio?- mi chiese, roteai gli occhi al cielo e
abbozzai un sorriso.
-Hei, è già ordinato- alzò le mani in
segno di resa, inclinando verso l'alto gli angoli della bocca.
-Allora a cosa ti servo?- mi chiese, spostando tutto il peso del suo
corpo su una gamba.
-Mentre io mi asciugo i capelli, sceglieresti per me cosa devo mettere
stamattina?- mentre parlavo presi un boxer dal cassetto e feci per
metterlo, ma mi bloccai quando notai lo sguardo stranito di mia madre.
-Amore, non è che hai la febbre?- mi tocco la fronte prima
con
le mani e poi con le labbra. -Non sembra, forse dovremo prendere un
termom..-
-Sto bene- la interruppi -Ti prego, non voglio fare brutte figure.
-Hai preso proprio una bella cotta, eh?-
Sì, avrei voluto rispondere. Ma come avrei potuto? Infondo
non
la conoscevo nemmeno da un giorno, non sapevo quasi nulla di lei a
parte il fatto che no vedesse con gli occhi ma usando altri metodi.
Indossai i boxer, asciugai i capelli e misi l'accappatoio a lavare, per
poi tornare in camera. Mia madre aveva preso una semplice maglia nera
che avrei indossato con un pantalone marrone chiaro e le mie Supra
nere. Ringraziai mia madre dandole un tenere bacio sulla fronte prima
di vestirmi e guardarmi allo specchio. Ero davvero un gran figo.
Aggiustai i capelli, spruzzai un po' di profumo e mi guardai ancora una
volta allo specchio. Avevo uno strano sorriso quella mattina, un
sorriso che non sempre avevo. Era sincero ed esprimeva come mi sentivo:
e mi sentivo bene.
Dopo aver indossato una felpa e il cappotto, uscii da camera mia.
Cavolo, aveva ragione mia mamma: avevo lasciato le impronte. Prima di
andar via, passai una pezza sulle impronte, facendo risultare il
pavimento pulito. Mia madre mi guardava ancora più stupita
e,
sinceramente, anch'io ero abbastanza stupito.
-Devo conoscere questa ragazza- enfatizzò mia madre,
sparendo
poi in cucina. -Tesoro, fai colazione qui o devi già uscire?-
-Esco mamma, ci vediamo dopo- corsi in cucina dandole un bacio, per poi
uscire di casa.
E, ancora una volta, l'aria fresca mattutina mi pizzicò il
viso.
Erano appena le nove meno dieci, non sapevo se Anastasia stesse ancora
dormendo o meno. Non volevo svegliarla, ma allo stesso tempo volevo
vederla. Presi la moto, che mi faceva sentire tanto Batman, e sfrecciai
via, per le vie di Stratford. Ricordavo perfettamente dov'era casa sua.
In un batter d'occhio mi ritrovai fuori la sua abitazione e persi un
battito quando mi avvicinai per poter suonare al campanello. Ma non
feci in tempo a suonarlo, perché la porta si
aprì.
-Sapevo che eri arrivato- quella splendida ragazza dai capelli ramati,
sorrise. Facendo sorridere anche me.
-Come?- le chiesi, dolcemente.
-Ho riconosciuto il rombo della tua bambina- aprì di
più
la porta, facendomi segno d'entrare. -Prego, entra. Hai già
fatto colazione?- si chiuse la porta alle spalle.
-E tu?- scosse la testa. -Allora ti va di fare colazione fuori?- sul
suo viso si accese un sorriso.
-Prendo il cappotto e la borsa- mi strinse la mano, sorridendomi.
Quant'era bella. E quella mattina ancora di più. Indossava
un
paio di jeans chiari che le fasciavano perfettamente le gambe, un
maglioncino grigio con dei richiami in nero e degli stivaletti neri.
Con un movimento fluido, prese il giubbotto e lo indossò,
così come fece con lo scaldacollo e il cappello.
Dopodiché prese la borsa e indossò anche gli
occhiali da
sole neri che aveva anche il giorno prima, provocando un gesto di
disappunto da parte mia. Cavolo, era bellissima senza.
Perché
mai doveva metterli?
Justin, fatti i fattacci
tuoi.
Rotei gli occhi al suono della mia amatissima vocina,
anche
chiamata coscienza, ma che ben presto avrei rinominato rottura di
scatole. Menomale che Anastasia non poteva vedermi, così per
lo
meno non avrei fatto una brutta figura davanti ai suoi occhi.
-Anastasia- una voce interruppe i miei pensieri, mi si gelò
il
sangue nelle vene non appena vidi un uomo sulla cinquantina scendere le
scale di casa sua.
-Papà, ciao- ed era anche il padre, perfetto.
-Non mi presenti il tuo amico?- chiese alla figlia, cingendole le
spalle con un braccio.
-Sì, certo. Papà, lui è Justin, il
ragazzo che
ieri sera mi ha riacompagnata a casa. Justin..- mi tastò il
braccio, fino a scendere alla mia mano che prese dolcemente. -..lui
è mio padre, Joseph- accennai un sorriso.
-Piacere di conoscerti, Justin. Dove porti questa mattina la mia
donzella?- accarezzò di capelli di sua figlia, facendomi
sentire
dannatamente invidioso.
-Avevo pensato di fare colazione e fare un giro al parco, sempre se per
lei va bene- ammisi, suo padre annuì.
-Certo, basta che non me la porti all'una di notte come ieri sera- suo
padre ridachio, mentre io sbiancai. -Non preoccuparti, so che siete
stati qui fuori a parlare- tirai un sospiro di sollievo e sorrisi,
stringendo la mano di Anastasia che ancora giocherellava con le mie
dita, nonostante avessi i guanti.
-Allora a dopo, papà- Anastasia diede un bacio a suo padre,
avvicinandosi a me.
-Arrivederci, signor Mitchell-
Dopo aver dato una stretta di mano a suo padre, uscii di casa,
raggiungendo quella splendida ragazza che era riuscita ad ipnotizzarmi.
Mentre camminava nel vialetto di casa sua sembrava più
sicura, i
suoi passi erano più decisi. Mi trasmetteva sicurezza quella
ragazza, nonostante tutto quello che aveva passato era riuscita a
rialzarsi e a vivere senza una cosa fondamentale: la vista. Era
riuscita a combattere, a crearsi nuove abitudini, a vivere nonostante
quel grande disagio che era costretta a sopportare. E aveva un sorriso,
un sorriso meraviglioso, un sorriso che mi faceva capire che era
felice, che nonostante tutto era felice e che aveva coraggio da
vendere.
Prima di salire in sella alla mia moto, le presi entrambe le mani e mi
soffermai a guardarla. Aveva un'espressione confusa, molto confusa, ma
non ci diedi tanto peso. Levai il guanto della mano sinistra,
così che potesse sentirmi meglio. Le accarezzai dolcemente
il
viso, scesi sul collo, tornai su percorrendo con l'indice il suo naso.
Mi soffermai sul suo mento, prendendolo tra l'indice e il pollice.
-Buongiorno, piccola stella- le sossurrai all'orecchio, prima di
sentirmi sprofondare tra le sue braccia sottili.
Justin, cosa stai
facendo?
La sto abbracciando, non vedi?
Ma così ti farai del male.
Lo so.
E non ti interessa sapere che dopo aver passato quel po' di tempo con
te, ti getterà via come una pezza?
Sinceramente? No.
No? NO? Justin, ti conosco meglio di chiunque altro.
Può darsi, ma non cambio idea.
Perché vuoi soffrire?
Perché sento che lei è diversa dalle altre.
Le femmine sono tutte uguali.
Lei a differenza delle altre non ci vede con gli occhi.
E cosa c'entra?
C'entra il fatto che vede col cuore.
-Grazie per non esser scappato via- mi staccai a
malavoglia da quell'abbraccio, guardandola e accarezzandole il viso.
-Perché sarei dovuto scappare?- le chiesi, baciandole
dolcemente la guancia.
-Perché mio padre fa scappare tutti- ridacchiò,
stringendomi la mano. -Andiamo?- annuii impercettibilmente. Da perfetto
idiota insomma, dato che non poteva vedermi.
-Sì- mi affrettai a dire, mettendo il casco.
Presi quello che precedentemente era stato il casco di Selena e lo misi
a quella ragazza che di Selena aveva ben poco. Selena era bellissima,
certo, e l'avevo amata molto. Ma Anastasia, oh.. Anastasia era riuscita
a stregarmi con un solo tocco, era riuscita a farmi percepire la
dolcezza e la delicatezza con una sola carezza. Mi dava attenzioni,
diverse da quelle che ricevevo dalle altre ragazze che avevo avuto. E
mi piaceva, dannatamente. Aiutai la piccola stella a salire in sella,
dopodiché sfrecciai via verso il centro. Avrei voluto
continuare
a correre ancora, sentendo le sue mani abbracciarmi, ma avevo anche una
certa fame dato che non mangiavo dal giorno precedente. Non appena
arrivammo parcheggiai la moto e aiutai Anastasia a scendere,
era
così bello aiutare qualcuno. Sopratutto se quel qualcuno era
una
bella ragazza.
Dolcemente, presi la sua mano e la poggiai sul mio braccio. Mi sorrise
e le sorrisi anche io.
-Justin, posso farti una domanda?-
-Certo, puoi farmi tutte le domande che vuoi-
-Non prendermi per sfacciata o cascamorta.. ma non vorrei mai che un
ragazzo fidanzato uscisse con una ragazza per cui mi chiedevo.. non sei
fidanzato, vero?- rimasi un secondo spiazzato a quella domanda, ma mi
ricomposi pochi secondi dopo.
-No, non sono fidanzato- risposi semplicemente, schiarendomi la gola.
Perché la sentivo improvvisamente pizzicare? -Da un paio di
anni, ormai- continuai, vedendola annuire.
Parlare della mia relazione sentimentale mi metteva a disagio. Insomma,
ripensare ad Hayley e al fatto che mi lasciò poco prima di
sposarci, non era proprio il massimo. Lei sembrò capire,
anche
se sentivo che non era ancora soddisfatta. Ringraziai però
il
fatto che lasciò perdere, così che potevo fare
colazione
senza dover soffocare col cornetto. Una ragazza del Revel Coffe ci
accompagnò al nostro tavolo, da perfetto gentiluomo aiutai
Anastasia a sedersi e, per minuti interminabili, guardai il suo viso.
Perfetto, anche con gli occhiali.
-Allora, piccola stella, cosa prendi di solito?- le chiesi, prendendole
la mano. -Vuoi che ti legga il menù?-
-No, grazie. Prendo un latte macchiato con una ciambella-
-Al cioccolato bianco?-
-Come fai a saperlo?-
-Perché hai la faccia da cioccolato bianco-
-Devo prenderlo come un complimento?-
-Sì, io amo il cioccolato bianco-
Mi sentii scoppiare il cuore non appena vidi le sue gote arrossire.
Chissà se riusciva a percepire il mio sorriso,
perché
altrimenti ero fregato. Non sorridevo mai così tanto, era
tutto
così strano e nuovo per me. Mi sentivo di nuovo un ragazzino
alle prime armi. Con le mie ex non mi ero mai sentito così
bene,
Anastasia riusciva a darmi emozioni diverse. Con Cait ero solo un
ragazzino, quando ci fidanzammo avevo più o meno quattordici
anni e stammo insieme per due anni. Anche se inizialmente mi piaceva,
volevo stare con lei principalmente per il fatto che volessi sentirmi
anch'io come tutti gli altri ragazzini della mia età che
avevano
la fidanzata. Perché, andiamo, cosa può saperne
un
ragazzo a quattordici anni dell'amore? Solo col tempo cominciai ad
amarla, ma non avevo mai sentito le ginocchia tremolare e non avevo mai
cominciato a tremare in sua presenza. Con Anastasia, invece, era tutto
diverso: lei mi trasmetteva magnifiche emozioni, e le mie
capacità motorie potevano pure andare a farsi fottere
quand'ero
con lei. Per quanto riguarda Selena, era bellissima, davvero bellissima
e provai subito sentimenti per lei. Solo che.. la nostra storia era
più basata sullo stare insieme a casa mia o a casa sua, non
mi
aveva mai toccato con gentilezza e delicatezza come mi aveva toccato
Anastasia. Le sue mani erano stupende sulla mia pelle. Mi facevano
sentire emozioni uniche. Anche con lei sono stato due anni,
così
come sono stato due anni con Hayley. Quanto amavo quella donna, ero
capace di fare di tutto per lei, anche di prenderla e di portarla in
giro per l'universo se necessario. Dovevamo sposarci, ma la sua
attrazione per l'altro sesso l'aveva spinta a tradirmi poco prima del
nostro matrimonio. Da quello che avevo capito da Anastasia, dopo il suo
incidente non aveva avuto molti rapporti con i ragazzi.
Be', meglio. Sarebbe stata solo mia.
Caspita però. Due anni con Cait, due con Sel, due con Hay.
Speriamo non succeda anche con Anastasia..
Sempre se ci starai
insieme.
Non sono problemi tuoi.
Ma io sono te.
No, tu sei il guastafeste della serata.
Sono appena le nove e cinque.
E' uguale.
-Justin?- mi chiamò Anastasia, era
così soave il mio nome pronunciato dalle sue labbra.
-Dimmi, piccola stella- le accarezzai dolcemente il viso, facendole
capire che ero lì.
-Come mai mi chiami piccola stella?- mi chiese, sorseggiando il suo
latte macchiato.
-Perché ti sono state rubate due stelle..-le tolsi gli
occhiali,
toccando i suoi occhi -..ma in compenso, la tua forza ti ha dato
l'opportunità di diventare una stella capace di illuminare
di
speranza chiunque ti stia vicino. E poi sei piccola, per cui sei una
piccoal stella- mi stupii delle mie parole, ma non mi vergognai di
pronunciarle.
Perché erano la verità, la pura e semplice
verità.
Per me, Anastasia, era una stella che riusciva ad infonderti speranza.
Era riuscita a dare speranza a me che avevo smesso di sperare anni
prima, poteva irradiare speranza in chiunque. Bastava vederla
sorridere, era veramente una piccola stella. Guardai i suoi occhi, e mi
ci persi. Erano velati di bianco, ma l'azzurro che si intravedeva sotto
era un qualcosa di spettacolare. Chissà com'erano quando non
era
ancora cieca. Ma a cosa importava? Era bellissima lo stesso. E il fatto
che fosse cieca, la rendeva ancora più avvicinabile. Non
fraintendetemi, non volevo certamente approfittarmene. Semplicemente,
era una persona che aveva sofferto come me, per cui poteva capirmi.
-Ma non mi sembra di illuminare così tante persone- Ammise,
abbassando lo sguardo.
-Hai illuminato me, Anastasia. Sai da quanto tempo non sorridevo
così?-
-Da quanto?-
-Da quando la mia fidanzata mi ha lasciato, poco prima di sposarci.
Pensavo di essere senza speranze, di non avere niente.. poi sei
arrivata tu- ammisi, stringendole la mano.
-E cos'ho fatto?- aggrottò le sopracciglia.
-Mi stai facendo scoprire un mondo nuovo, un mondo in cui non
c'è bisogno degli occhi per vedere, ma del cuore per poter
immagazzinare ogni singolo attimo di vita. Non ti conosco nemmeno da un
giorno, e già mi hai fatto capire che rimpiangersi addosso
non
è il miglior modo per vivere, ma bisogna reagire. Come hai
fatto
tu- mi fermai un attimo, rimettendo insieme tutti i pensieri.
-A me sembra di non aver fatto nulla- mi sorrise, ricambiando la
stretta alla mano.
-E immagina se vorresti fare qualcosa. Anastasia, sei una ragazza
davvero speciale, proprio così come sei. E la tua semplice
presenza mi fa capire quanto importante sia vivere-
Sospirai, alle mie stesse parole. Forse ero stato un po' troppo
sincero, ma era quello che sentivo. Sentivo che sarebbe stata in grado
di illuminare la mia vita, come sarebbe stata in grado di illuminare la
vita di chiunque. Forse non si rendeva conto di ciò che era
in
grado di fare a causa dell'insicurezza che dentro sentiva, ma io
riuscivo a vederlo. E riuscivo a sentirlo.
Dopo la breve conversazione, continuammo a mangiare e a parlare e a
scherzare. Era bellissimo stare in sua compagnia, mi sentivo davvero
me, mi sentivo davvero vivo e mi sentivo davvero bene. Dopo aver
mangiato e pagato, uscimmo dal bar e cominciammo a camminare a
braccetto per le vie di Stratford, la mia città innevata era
davvero bellissima. Anche se mancava davvero pochissimo a marzo, la
neve continuava a scendere la notte. Be', infondo il Canada
è
questo.
-Justin..?- mi chiamò, girai la testa verso il suo viso:
aveva rimesso gli occhiali.
-Dimmi, piccola stella- le baciai dolcemente la tempia, mi sorrise.
-Siamo vicini al parco?- strabuzzai gli occhi, non appena mi resi conto
che aveva ragione.
-Adesso sono io a chiedertelo: come fai a saperlo?- le circondai i
fianchi col braccio, facendo scontrare i nostri corpi.
-Sento il profumo di erba, di foglie.. e le urla dei bambini- la sentii
inspirare a pieni polmoni.
E come lei, chiusi gli occhi. Cominciai ad inspirare, ad espirare,
concentrandomi su ogni odore che sentivo. L'odore di gelato della
gelateria affianco al parco, l'odore di erba bagnata, l'odore del
caffé che stava bevendo un uomo al bar, di una brioche
appena
sfornata. E ascoltai, le urla dei bambini, la risata di una ragazza, le
urla al telefono di un signore poco lontano da noi. Riuscivo a
percepire il suo modo di vedere, il suo modo di sentire, di vivere la
realtà. Era un modo diverso, ma che riusciva a farti capire
ciò di cui l'uomo era capace per poter stare bene, per poter
vivere bene.
-Hai visto, Justin? Ha visto il mio modo di vedere le cose?- per tre
volte, enfatizzò la parola 'visto' e 'vedere'. Sorrisi.
-Ho sentito ogni cosa- enfatizzai la parola 'sentito', facendo
sorridere anche lei.
-E' bello, non è vero?- sussurrò, continuando ad
ascoltare.
-Bella sei tu..- le accarezzai il viso, perdendo il controlle delle mie
azioni e delle mie parole. -E il tuo mondo è proprio come
te-
Portai un braccio sulle sue spalle, le baciai dolcemente la tempia e, a
passo lento, cominciai con lei a camminare verso il parco. Sembravo
davvero un ragazzino in preda agli ormoni, sembravo davvero un
ragazzino alle sue prime armi. Quella ragazza, oh che mi stava facendo.
-Mi canteresti qualcosa?- mi chiese, dolcemente.
-Cosa vorresti sentire?-
-Qualcosa di tuo- ci pensai su per qualche secondo.
-Che genere ti piacerebbe ascoltare?-
-Basta che sia tu a cantare. Può anche essere un inno da
stadio- roteai gli occhi, sorridendo.
-Facciamo così allora: oggi pomeriggio vieni a casa mia, e
ti
faccio sentire qualcosa al piano. Ti va?- le chiesi, prendendole la
mano.
-Non è che vuoi stuprarmi?- mi chiese, nascondendo un
sorriso.
-Oh piccola, se potessi vedermi mi stupreresti tu- ridacchiai,
trascinando anche lei.
-Non c'è bisogno di vederti per capire che sei un bel
ragazzo- mi mise una mano sul petto, delicatamente.
-Allora, ci stai?- le presi delicatamente le mani, avvicinandomi al suo
orecchio.
-Ci sto- affermò, facendomi provare tantissimi brividi lungo
la spina dorsale.
Anastasia.
Che cosa mi stai facendo?
__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Notturne, a rapporto!!
Hola chicas, como estate?
Io sto.. discretamente.
Quando uso sti termini mi sento tanto.. 'acculturata' lol.
Quando invece sono una mezza cafona ahahahah.
Ma tornando serii!
E tornando alla storia sopratutto.
Ricordo che quando ho scritto questo capitolo, cancellavo e
ricancellavo.
Non sono molto soddisfatta, ma spero che colpisca il significato della
scena finale.
La vita è un dono meraviglioso e il corpo umano è
in grado di adattarsi a tutto.
Manca l'udito? Esiste la vita, la lingua dei segni.
Manca la vita? Esiste il braille e tutti gli altri sensi.
Insomma, in breve abbiamo davvero un corpo creato in maniera
meravigliosa.
E non dobbiamo discriminare coloro a cui 'manca qualcosa di
fondamentale'.
Peché nulla è fondamentale quanto la vita e il
rispetto che abbiamo di questa.
Vi
aspetto nelle recensioni, tesori miei.
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
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Capitolo 5 *** -'Riesci a farmi vedere com'è fatto l'amore'- ***
5
Look in my eyes, what do you see?
-'Riesci a
farmi vedere com'è fatto l'amore'-
-Sono stata davvero
bene stamattina, Justin- Anastasia sorrise. Anche se fissava il vuoto,
sapevo che quel sorriso era indirizzato a me.
-Anche io, piccola
stella- le baciai una tempia, socchiudendo gli occhi -Adesso vado a
casa e vedo cosa mangiare-
-Un uomo ai fornelli?
Se fossi in tua mamma, avrei paura-
-Hei,- la bloccai -non
ti fidi delle mie capacità culinarie?-
-Come posso fidarmi se
non ho mai assaggiato nulla di tuo?-
mi diede un leggero schiaffeto sul viso, suscitando la mia risata.
-E' una sfida,
piccola?- la intrappolai tra le mie braccia, sussurrandole
all'orecchio.
-Forse- rispose
semplicemente, per poi girarsi e prendermi il braccio.
Con lei, quella
mattina, ero stato benissimo. Dopo aver fatto colazione eravamo stati
al parco, avevamo camminato per le vie innevate di
Stratford mano nella mano, avevamo anche preso il gelato. D'inverno.
Stare con lei
mi aveva fatto capire molto sul suo conto, sopratutto che era diversa e
non a causa della sua cecità. A differenza delle altre, non
aveva un cuore marcio ma un cuore d'oro, era pronta ad aiutare non ad
abbattere. Non cercava solo le mie attenzioni, ma riusciva a darmi
amore ogni qual volta poteva. E aveva bisogno di amore. Un amore che
forse, avrei potuto darle. O che, meglio, avrei voluto darle.
-Ciao, ragazzi!-
Joseph, il papà di Anastasia, ci salutò con un
sorriso caloroso.
-Ciao,
papà-Anastasia abbracciò suo padre, facendomi
sorridere. Aveva, sì, ventun anni, ma mentre abbracciava suo
papà sembrava una bambina davvero adorabile.
-Questa volta l'ho
riportata per l'una, ma di pomeriggio- scherzai,
stringendo la mano dell'uomo dai capelli brizzolati posto di fronte a
me.
-Be', un punto a tuo
favore, Justin- Joseph mi sorrise, così che sorrisi anch'io.
-Di chi è
questa voce?- arrivò all'ingresso della porta
una donna abbastanza giovane, che avrà avuto sui
quarant'anni e che assomigliava davvero, davvero tanto ad Anastasia. Ed
era davvero
bella.
-Ciao mamma! Vieni, ti
presento Justin- Anastasia cercò la mia
mano, sorrise non appena lasciai che la trovasse. -Justin, lei
è
mia mamma, Rosalie-
-Molto piacere,
signora Mitchell- le strinsi la mano, sorrise anche lei.
-Il piacere
è tutto mio, Justin. Ieri sera Anastasia ha parlato solo di
te- mi morsi il labbro, stranamente contento.
Avete presente quel
momento in cui si apre una piccola gabbia di
farfalle, che cominciano a svolazzarti per lo stomaco, provocandoti
emozioni davvero indescrivibili e, sopratutto, belle? Io sentivo che
qualcuno aveva appena aperto una piccola gabbia di farfalle nel mio
stomaco in modo tale che svolazzassero per tutto il mio corpo, mi
sentivo davvero strano, ma
sopratutto felice. Felice perché quei sentimenti non li
avevo
mai provati e, solitamente, si provano quando si è alle
prime
armi con l'altro sesso. Dopo tre relazioni finite male, di cui l'ultima
finita malissimo poiché stavo per sposarmi e ho visto la mia
quasi moglie farsi il suo migliore amico, riuscivo ancora a sentirmi un
ragazzino. Un ragazzino innamorato. E tutto grazie a chi? Grazie ad una
ragazza che nemmeno riusciva a vedermi esteriormente, ma che era
bellissima fuori e meravigliosa dentro. E che sopratutto,era riuscita a
darmi vero amore nell'arco di nemmeno ventiquattro ore. Un vero record.
-Mamma, dai!-
Anastasia si coprì il viso con una mano, il che mi fece
sorridere ancora di più.
-Cosa c'è
di male, tesoro?-si rivolse alla figlia che fece per
parlare, ma la precedette rivolgendosi a me -Justin, ti va di pranzare
con noi?-mi chiese gentilmente, chiudendo la porta d'entrata.
-E' una bellissima
idea!- esclamò Anastasia, battendo le mani -Infondo saresti
rimasto da solo a casa-
-Non vorrei
disturbare- abbassai per un attimo lo sguardo, sentendomi in imbarazzo.
Quando
mai Justin Bieber si sente in imbarazzo? Non sei una ragazzina.
-Non
disturbi, figliolo- Joseph mi fece l'occhiolino, dandomi poi una pacca
sulla spalla.
-Mamma, Justin resta!
Vieni, ti faccio vedere la mia casa- Anastasia
non mi diede nemmeno il tempo di rispondere, che mi portò
via.
Quella ragazza era un
vero uragano. E non aveva la vista.
Mi portò al
piano di sopra a passo svelto, mi tremavano le gambe
mentre salivo così veloce con lei. Era pur sempre una bella
ragazza, io ero pur sempre un ragazzo, ed eravamo pur sempre quasi in
camera sua. Ma sinceramente, ciò che più mi
interessava
era stare in sua compagnia. Per cui,
ormoni, vi lascerò sfogare un'altra volta,
pensai. Anastasia mi prese dolcemente la mano, tastando con quella
libera le pareti del corridoio in cui eravamo. Non appena arrivammo
vicino ad una porta, la tastò per bene.
-Questa è
di mamma e papà- esordì, aprendo la porta.
-Come fai a saperlo?-
le chiesi curioso, guardando la stanza in cui
eravamo. Era ampia, aveva un grande letto matrimoniale e un armadio
enorme. I mobili erano tutti in legno, molto vintage.
-Leggi con me- mi
disse, non afferrando pienamente il significato
finché non mi fece tastare il punto sulla porta che poco
prima
aveva tastato anche lei. Sentivo dei rialzi.
-Cosa sarebbe?- le
chiesi curioso, continuando a tastare. La sua mano, sulla mia.
-Questo è
il braille. Noi non vedenti leggiamo attraverso le
mani- mi spiegò -Andiamo in camera mia e ti spiego tutto-
Incuriosito, le presi
la mano e la seguii. Tastava con attenzione tutte
le porte, leggendo attentamente. All'improvviso sorrise soddisfatta, al
che capii che eravamo arrivati in camera sua.
Okay
Justin, resisti adesso. Continuavo
a ripetermi, non volevo perdere Anastasia per una mossa fatta in una
maniera troppo affrettata. Volevo dare tempo al tempo. E sapevo che,
a quella ragazza, avrei dato tutto il mio tempo. Perché mi
faceva sentire bene, con lei avevo ritrovato la voglia di sorridere. E
non volevo lasciarla andare.
-Benvenuto in camera
mia!- esclamò, facendo un giro su sé
stessa. Osservai con estrema attenzione ogni dettaglio relativo a
quella stanza. Le pareti erano di un arancione molto tenue mentre i
mobili erano bianchi con degli inserti in arancione che richiamavano il
colore delle pareti. Mi piaceva l'arancione, anche se il viola era il
mio colore preferito.
-Ti piace
l'arancione?- le chiesi ingenuamente, pentendomene subito dopo -Oh,
scusami io..-
-Sì,
l'arancione è il mio colore preferito assieme al verde- mi
interruppe, sorridendo. Ricordai la serata precedente, quando le chiesi
qual'era il suo colore preferito. -Vieni, siediti qui- mi disse,
facendomi spazio
sul letto. Mi sedetti al suo fianco.
E cominciai ad
osservarla. Aveva appena levato gli occhiali da sole,
così che il suo viso divenne più luminoso. Aveva
dei
lineamenti così delicati, era così tenera e dolce
e,
sopratutto, così bella. Le accarezzai il viso, la sua pelle
era
davvero morbida. Sentii il cuore battere all'impazzata, un battito in
più ogni centimetro che toccavo. Quella ragazza mi faceva
davvero uno strano effetto, ma solo in senso positivo. Era riuscita a
rubarmi il cuore in meno di una giornata, per quanto ciò mi
spaventasse ero felice perché sapevo di aver trovato un
angelo,
non un essere umano. Per cui, il mio cuore sarebbe stato al sicuro in
ogni momento.
-Quindi sai leggere il
braille?- le chiesi, avvicinandomi al suo corpo. Annuì.
-Dopo aver fatto
l'incidente, ero completamente scombussolata. Dovetti
lasciare la scuola che frequentavo per poter frequentare una scuola per
non vedenti, la W.Ross Macdonald a Brantford per cui mi sono dovuta
trasferire dai miei zii finché non mi sono diplomata due
anni
fa. Ho imparato molte cose in quella scuola, sopratutto a leggere. Dato
che era ed è tutt'ora una mia passione, mi è
molto utile.
Quando sono tornata a casa i miei, per facilitarmi, hanno aggiunto
delle lettere in braille per farmi capire qual'è la stanza
di
chi. Ma penso che l'abbiano fatto così da non sorprenderli a
letto la notte a fare cose sconce dato che solitamente resto sveglia
fino a tardi a leggere- ridacchiai a quella sua affermazione, per poi
stringerle la mano.
-Ti è mai
capitato di irrompere in camera loro?- le chiesi, soffocando una
risata.
-No, ma di sentirli
sì- sbuffò -purtroppo..- aggiunse, e
non riuscii a trattenermi così che cominciai a ridere
-Justin
non è divertente sentire i propri genitori fare.. quelle
cose-
gesticolò, facendomi ridere ancora di più.
-Piccola stella, sei
tu che mi fai ridere- confessai, abbracciandola da dietro e mettendole
il mento sulla spalla.
-Spero in senso
positivo- si lasciò abbracciare, giocherellando con la
manica della mia felpa.
-Molto positivo, dato
che non ridevo così da tanto e mi sento dannatamente bene-
Ed era vero. Non
ridevo così tanto da tanto, troppo tempo e solo
in quel momento mi accorsi di quanto mi era mancato ridere. Di quanto
mi era mancato essere felice. Solitamente passavo le mie giornata a
giocare alla play con i miei amici, a suonare la chitarra o il piano, a
comporre musica, a parlare con mia mamma, a giocare a basket con Chaz e
Ryan, andando a lavoro. Ma le emozioni che provavo in quel momento le
avevo provate solo
con le mie ex fidanzate, a differenza che con Anastasia era tutto
più vero. Per quanto fosse bello giocare a basket o alla
play, mi
mancava il benessere che deriva dal sentirsi bene con una donna.
Insomma, l'amore è una cosa normalissima. Ognuno di noi
sente,
prima o poi, il bisogno di amare e di essere amato. Io ne sentivo il
bisogno. Anche se mi sentivo amato da mia madre e dai miei migliori
amici, mi mancava la parte più importante: l'amore che mi
avrebbe dato la mia futura moglie, la mia donna. In quel momento, anche
se non ero fidanzato, sentivo che quel vuoto che mi si era formato
tempo prima si stava colmano.
Ed era una splendida
ragazza non vedente a farmi provare quelle emozioni.
-Un giorno ti va di
insegnarmi a leggere il braille?- le chiesi,
girandola piano verso di me. Mi scontrai col suo viso, aveva gli occhi
chiusi. Quant'è
bella..
-Ne sarei
onorata- mi sorrise, poggiando le mani dietro al mio collo -Quando?-
-Abbiamo una vita
davanti- sussurrai piano, al suo orecchio.
-E chi te lo dice che
tra cinque anni saprai ancora chi sono?- mi
chiese, lasciandomi turbato -Insomma, non ci vedo. Prima o poi potresti
andar via, sotto il mio sguardo assente- si morse il labbro e
abbassò lo sguardo per un secondo. Prontamente, le alzai il
meno
con la mano.
-Anastasia, ascoltami
bene adesso. Anche se sei non vedente, a me non
interessa. Sei una ragazza stupenda e non parlo solo del tuo aspetto
fisico. In poche ore sei riuscita a rompere quel guscio che mi ero
formato, verso voi donne ero completamente chiuso fino a ieri. In meno
di ventiquattro ore, mi hai completamente stravolto e mi hai fatto
tornare la voglia di sorridere. Se pensi che io voglia sfruttarti e poi
abbandonarti, allora non hai capito con chi stai parlando.- le
accarezzai il viso -Non potrei mai far del male ad una creatura
così bella, non potrei mai abbandonarti. Ti prometto che per
te
ci sarò sempre. Che sia mattina, pomeriggio, sera o
addirittura
le tre di notte, non importa. Se hai bisogno di me, sono pronto a
lasciare tutto per te. Non so cosa mi stai facendo, so solo che non
voglio lasciarti andare- chiusi gli occhi per un secondo, realizzando
che le avevo davvero appena detto tutte quelle parole.
-Cosa posso offrirti
io, che sono cieca?- mi sussurrò
dolcemente, mentre una piccola e innocua lacrima le solcò il
viso.
-Tutto ciò
che nessun altro può darmi- le asciugai quella piccola
lacrima -L'amore-
Mi alzai di scatto,
prendendola a mo di sposa. -Justin, ma che..- la
sentii farfugliare, ma non fece in tempo a finire la frase che
cominciai a girare su me stesso. Le parole, in quel momento,
lasciarono spazio
a piccole urla. Non so perché feci quel gesto, semplicemente
lo
sentivo e mi piaceva davvero tanto sentire il suo corpo stringersi
forte al mio e tenermi stretto.
-Anastasia, non mi
interessa il fatto che tu sia cieca. Se avessi avuto
la vista, ti avrei presa senza che tu potessi accorgertene?- le chiesi,
mettendola giù, ma tenendole sempre una mano.
-Probabilmente no-
rispose, sorridendo.
-Vedi? Tu non sei
diversa, tu sei speciale- l'attirai a me per un fianco -Tu puoi darmi
molto più di tante altre-
-Justin, non so
nemmeno il colore dei tuoi vestiti..-
-Ma è
importante?- le chiesi.
-Per me lo
è. Come posso darti ciò che desideri se non so
nemmeno come sei vestito?-
-Anastasia..-
l'abbracciai -Se non volevo continuare a vederti,
perché ho accettato di restare qui a pranzo? O
perché ti
sto abbracciando? Oppure, perché ti sto rassicurando? Se non
fossi sicuro delle parole che sto pronunciando, non te le direi
nemmeno. Invece sono sicuro, al centouno percento, che tu puoi darmi
molto più di qualsiasi ragazza. E vuoi sapere come?- poggiai
la
mia fronte con la sua.
-Come?- mi chiese.
-Semplicemente essendo
te stessa. Perché mi rendi felice proprio
così come sei- e fu in quel momento, che le
scappò un
sorriso e che le sue braccia circondarono il mio collo.
La sentii sorridere a
contatto con la mia spalla, così che la
strinsi ancora più forte. Mi si accese un calore, quel
calore
chiamato amore. Non mi sentivo così da quando Hayley mi
aveva
lasciato. Anche se, molto probabilmente, era troppo presto, sentivo di
dover dire ciò che avevo appena detto e non me ne pentivo.
Infondo, mi aveva colpito sin dal giorno prima, quando l'avevo vista a
spasso col cane mentre giocavo a basket con Ryan e Chaz. Colpo di
fulmine? Forse. Solo che non avevo i capelli alla Einstain, ma un cuore
colmo di pace e appagamento.
-Come ci riesci?- mi
chiese, staccandosi di poco e tirando su col naso.
-A fare cosa?- le
asciugai le gote ormai bagnate, erano ancora più morbide.
-A farmi sentire
così bene, insomma.. ci conosciamo da
pochissimo, eppure riesci a capirmi e a supportarmi meglio dei miei
genitori addirittura- ammise, sorridendo. Il mio cuore fece un triplo
salto carpiato quando realizzò che quel magnifico sorriso
era
dovuto a me.
-Vedi? Sono gli stessi
sentimenti che provo anch'io- le presi la mano, mettendola sul mio
cuore che batteva all'impazzata.
-Più che
vedere, sento- ridacchiò, mi morsi il labbro ripensando alla
frase che avevo appena pronunciato.
-Scusami..- ammisi
sincero.
-Non scusarti.
Nonostante io sia cieca, riesci a farmi vedere com'è fatto
l'amore-
Un colpo al cuore. Un
vero e proprio colpo al cuore.
Quella sua voce,
così pura e candida, così tenera e
delicata. Era riuscita a farmi sentire una ragazzina, quando invece ero
un uomo di venticinque anni e mi ero anche quasi sposato. Avete
presente quando un qualcosa ti prende così tanto che non
riesci
a farne a meno? Ecco. Anastasia mi aveva preso. E sapevo che da quel
momento in poi, non sarei più riuscito a fare a meno di lei,
del
suo essere e delle sensazioni che mi stava dando.
Feci per avvicinarmi,
avere il suo respiro caldo sul viso col freddo che c'era anche
in casa era molto appagante.
Ma proprio quando ero
ad un centimetro dal suo viso..
-Anastasia, Justin,
scendete che è pronto!- urlò sua madre dal piano
di sotto.
Facendomi imprecare in
turco.
-Non è
finita qui- le sussurrai all'orecchio, per poi darle un dolce bacio
sotto il collo.
-Non ho mica detto
game over- sussurrò a sua volta, ripetendo i miei movimenti.
Quella ragazza mi
avrebbe fatto impazzire.
__________________________________________________________________________________________________________________________________________________________________
Ciaoo ragazze!
Perdonate
il mio enorme ritardo.
Purtroppo il lavoro mi
toglie un sacco di tempo, sto tornando a casa sempre tardissimo e non
ho mai tempo di aggiornare.
Ma eccomi qui, no?
Sono qui con questo
capitolo, che parla ancora di queste due piccole pesti.
Ma prima di tutto, come
state? Tutto a posto?
Io mi sento un po'
stanca ma.. quando mai mi sento bene? LOL.
Vorrei tanto stare
meglio, ma a volte non è così.
Ma lasciamo stare, mi
interessa di voi.
Questo capitolo mi
piace.
Strano che io lo dica,
lo so.
Mi piace il dialogo tra
Anastasia e Justin.
Questo suo momento di
crollo e di insicurezza, ma mostrato un lato di lei ancora nascosto.
Un lato che tutti quanti
noi abbiamo.
Per quanto possiamo
essere forti, dentro di noi c'è sempre qualcosa che ci fa
rimanere perplessi,
dentro di noi
c'è sempre quel pizzico di insicurezza che diventa una
montagna.
Ma non dobbiamo mai
dimenticarci di chi abbiamo accanto.
Anastasia ha trovato
Justin.
E voi? Be', io sono
disponibile per qualsiasi cosa quindi potete contare su di me.
Adesso tolgo il
disturbo, non prima di dirvi che siete stupende e che vi ringrazio per
le visite e le recensioni.
Grazie, davvero tanto
tesori miei.
Vi aspetto anche qui con
altre recensioni, eh! c:
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
|
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Capitolo 6 *** -'Posso svelarti un segreto?'- ***
6
Look in my eyes, what do you see?
-'Posso
svelarti un segreto?'-
-Quindi, Justin, ieri hai
vinto tu
il concorso canoro a Stratford- Rosalie mi sorrise dolcemente, un
sorriso che ricambiai amorevolmente.
-Non so come, ma sì, ho vinto io al concorso canoro- al
ricordo
della prima chiacchierata con Anastasia, mi scappò un
sorriso.
-Perché dopo non ci fai sentire qualcosa?- mi chiese suo
padre, rivolgendomi uno sguardo.
-Sì, certo, ma sono senza la mia chitarra o il piano..-
-Noi abbiamo un piano di sopra- Anastasia mi bloccò,
prendendomi
la mano -Così mi fai sentire come suoni il piano, ci stai?-
-Va bene- risi lievemente, sentendo un calore farsi posto il mio cuore.
Suonare era sempre stata una mia passione, sin da piccolo. Prima di
cominciare le scuole, già sapevo suonare la chitarra e il
pianoforte e mi piaceva molto anche suonare la batteria. Ero una
piccola peste,
quante ne avranno dette i miei vicini quando a due anni suonavo la mia
piccola batteria che la mamma mi aveva regalato per il compleanno.. A
scuola avevo imparato a suonare anche la tromba, per cui sapevo suonare
bene la chitarra, il pianoforte, la batteria e la tromba. Insomma, ero
una band musica: prendi quattro e paghi uno. Ma più di
tutto,
amavo scrivere. Scrivere era la mia passione, scrivere era il miglior
modo che avevo per sfogarmi e sentirmi bene, libero. Scrivevo canzoni,
poesie. Ne avevo scritte tante pensando alle mie ex. Erano dei veri
e propri capolavori da sbatterglieli in faccia.
Dopo aver pranzato, aiutai Rosalie e pulire e lavare ciò che
avevamo sporcato: era una mia abitudine farlo con la mamma, mi piaceva
essere servizievole. Mi faceva sentire parte integrante della famiglia,
ero soddisfatto di sapere che il mio operato era stato utile a
qualcuno.
-Rosalie, tesoro, hai finito?- Joseph fece capolino in cucina con sua
figlia avvinghiata al corpo. Hei,
Anastasia. Solo con me devi stare. Pensai.
-Justin?- suo padre mi guardò abbastanza stranito, non
appena
notò che stavo aiutando sua moglie in cucina.
-Si?- chiesi, poggiando lo strofinaccio bagnato sul davanzale della
finestra per farlo asciugare.
-Non ti facevo casalingo- esordì, guardandomi -Ma ammetto
che è un punto a tuo favore-
Mi sentii soddisfatto, davvero soddisfatto. La mia intenzione era fare
buona impressione, volevo che i genitori di Anastasia si fidassero di
me così come volevo che Anastasia si fidasse di me. Sapere
che
ci stavo riuscendo, mi dava una soddisfazione assurda. Dopo aver finito
di mettere a posto la cucina, sentii le braccia di Anastasia stringere
il mio braccio. Le diedi un dolce bacio sulla fronte prima di salire di
sopra con i suoi genitori. Entrammo in una stanza abbastanza grande,
dove c'era un grande pianoforte, era nero e sembrava simile a quello
che avevo a casa. Guardandomi intorno, il pianoforte stonava in po':
chi metterebbe un pianoforte in una camera insieme ad un
biliardo, una tv a 50'', un divano, una play station e un calcio
balilla? Ma, be'.. la stranezza, infondo, piace un po' a tutti. Anche a
me.
Mentre i genitori di Anastasia andarono a sedersi sul divano, lasciai
che quella creatura meravigliosa si sedesse al mio fianco. La sua
presenza mi metteva sicurezza.
-Cosa ci fai sentire?- mi chiese suo padre.
-Qualche anno fa, sono stato lasciato dalla mia fidanzata poco prima
del nostro matrimonio. Dopo quel momento, la mia vita ha subito un
cambiamento tale da diventare monotona, senza uno scopo. Avevo
completamente perso la voglia di vivere. Poi un giorno mi misi a
riflettere e pensai che per essere qui ed essere vivo, allora ho uno
scopo. Così mi sono reso conto che la vita va vissuta. A
causa
dell'errore di una persona mi sono lasciato abbattere troppo, ma
ciò non significa che dobbiamo arrenderci. La vita
dev'essere
vissuta per cui.. adesso vi farò ascoltare Life is Worth
Living-
finii la mia non troppo breve introduzione, cominciando a suonare.
-Ended up on a crossroad, try to figure out which way to go. It's like
you're stuck on a treadmil, running in the same place. you got your
hazard lights on now hoping that somebody would slow down. Praying for
a miracle, who'll show you grace?- mi bloccai, cercando di regolare
l'emozione. Quella canzone mi faceva sempre uno strano effetto, mi
veniva il magone ogni qual volta la cantavo.
-Had a couple dollars and a
quarter tank of gas, with a long journey ahead. Seen a truck pull over,
God sent an angel to help you out. He gave you direction, howed you how
to read a map. With a long journey ahead. Said it ain't over, oh, even
in the midst of doubt- leccai leggermente le labbra, ricominciando col
ritornello -Life is worth living. Life is worth living, so live another
day. The meaning of forgiveness, people make mistakes, doesn't mean you
have to give in. Life is worth living again- lanciai una breve occhiata
ad Anastasia, che sembrava essere presa quasi quanto me, per poi
ricominciare con la seconda strofa.
-Relationship on a ski slope,
avalanche comin' down slow. Do we have enough time to salvage this
love?-chiusi per un secondo gli occhi, immaginando il viso di Hayley.
Scossi la testa, non dovevo pensare una persona così
orribile.
Continuai così a cantare.
-Feels like a blizzard in April, cause
my heart is just that cold. Skating on thin ice, but it's strong enough
to hold us up. Seen her scream and holler, put us both on blast.Tearing
each other down. When I thought it was over, God sent us an angel to
help us out. He gave us direction, showed us how to make it last, for
that long journey ahead. Said it ain't ever over, oh, even in the midst
of doubt- cantai ancora in ritornello, sentendomi completamente preso,
per poi continuare col ponte.
-What I'd give for my affection, is a
different perception. From what the world may see,tThey try to crucify
me. I ain't perfect, won't deny. My reputation's on the line. So I'm
working on a better me.. Life is worth living, oh yeah Life is worth
living, so live another day. The meaning of forgiveness, people make
mistakes, only God can judge me. Life is worth living again.. Another
day, life is worth living again- chiusi per un secondo gli occhi non
appena smisi di cantare.
Sentendo però, due braccia gettarmisi al collo. Le braccia
di
Anastasia. La strinsi forte a me, sentivo davvero il bisogno di un
abbraccio e non un semplice abbraccio: avevo bisogno di un suo
abbraccio. Quella canzone, era sempre stata parte di me. L'avevo
cantata solo per me stesso, mai per un uditorio e farlo, mi faceva
sentire terribilmente vulnerabile, anche se si trattava solo di tre
persone. Ma sapere che, tra le persone che
avevo ascoltato la mia canzone, c'era anche Anastasia, mi faceva
spuntare il sorriso. Avevo scelto di cantare proprio quella canzone,
perché lei aveva bisogno di forza: dover affrontare il mondo
senza poterlo vedere, non era affatto bello. Dover affrontare un mondo
cattivo, pronto a prenderti in giro, ad usarti e a scartarti, senza
poterlo però vedere, rendeva tutto più difficile.
Ma
nonostante questo e molto altro, la vita va vissuta. Bisogna andare
avanti, a testa alta, e con quella mia canzone volevo dare ad Anastasia
la forza di affrontare il mondo, doveva vivere la sua vita al meglio,
come meglio poteva. Ed io certamente non l'avrei lasciata sola.
Per minuti interminabili, continuai a stringere tra le mie braccia quel
corpicino esile, ma che possedeva una forza che non si vedeva spesso.
Nel frattempo, Joseph e Rosalie ci guardavano ed io mi sentii molto in
soggezione, ma non m'importava: avere Anastasia tra le braccia era
molto più importante.
-Justin.. penso che questa sia una delle più belle canzoni
che
io abbia mai ascoltato- m'intimò Anastasia, staccandosi
leggermente.
-Mai sottovalutare Justin Drew Bieber, piccola stella- ne approfittai
per accarezzarle il viso, era meravigliosa.
-Ragazzi, vi ricordiamo che ci siamo pure noi- Rosalie rise, alzandosi
e trascinando con sé suo marito.
-Ed è meglio che usciamo prima che io perda la pazienza-
unii le
labbra in una linea retta per non ridere, così come fece
Anastasia.
-Sono andati via?- mi sussurrò, non appena sentì
la porta chiudersi.
-Sì- risposi solamente, per poi ridere e poggiare la fronte
contro la sua -Adesso però devo farti ricredere per quanto
riguarda le mie doti culinarie-
-Abbiamo una vita davanti per quello, no?- usò le mie stesse
parole, provocando la mia risata.
-Sì, abbiamo tutta la vita per quello, piccola mia- le
sussurrai all'orecchio, sentendo il suo corpo tremare.
Non ricordavo di avere un effetto simile sulle ragazze.
Ma mi piaceva sapere che avevo quell'effetto su di lei.
..due settimane dopo..
-Ciao Rosalie! Come stai?- le
chiesi, entrando dentro casa e stringendola in un abbraccio.
-Ciao, Justin! Tutto
bene, grazie. Anastasia ti sta aspettando di
sopra- sorrisi, non appena sentii pronunciare il nome di quella ragazza
meravigliosa.
-Corro allora-
ridacchiai, correndo sul serio per le scale.
Erano passate due
settimane. Due settimane da quando avevo conosciuto
quella ragazza che mi aveva completamente stravolto. Da quando ci
eravamo conosciuti, passavamo del tempo insieme ogni giorno. Stava man
mano diventando indispensabile, non riuscivo a stare senza vederla o
senza sentirla per più di qualche ora. A Ryan e Chaz,
così come a mia madre, ancora non avevo detto nulla.
Sapevano
che mi sentivo con una ragazza, ma non sapevano che la ragazza in
questione fosse cieca. Non mi vergognavo di lei, ma volevo prima capire
quali erano i miei sentimenti nei suoi confronti e rendermi conto se
volevo davvero che da quel Justin e Anastasia, potesse nascere un noi.
Be', per come le cose andavano, la risposta era più positiva
che
negativa. In due settimane avevo scoperto molte cose di lei, come ad
esempio la sua passione sfrenata per la lettura, avevo scoperto che le
piaceva nuotare, che aveva un labrador di nome Charlie e che ogni tanto
prendeva lezioni di pianoforte. Avevo scoperto che le piaceva molto la
natura, che il suo fiore preferito era l'ibiscus, che le piacevano i
pancakes con lo sciroppo d'acero. E sopratutto, avevo scoperto che le
piaceva parlare. Eccome se le piaceva parlare.
Come a me piaceva
parlare con lei , d'altronde.
Non appena arrivai al
piano di sopra, camminai lentamente per far
sì che non mi sentisse. Non ci vedeva, ma aveva un udito che
faceva paura. La porta di camera sua era aperta, così mi
soffermai a guardarla per qualche minuto. Era particolarmente bella
quel giorno. Be', ogni giorno che passava era sempre più
bella.
Aveva il viso rivolto di fronte a sé, mentre invece tra le
gambe
aveva un libro davvero molto grande e doppio. Stava leggendo.
Concentrata com'era, era ancora più bella. Aspettai che
finisse
la pagina prima di avvicinarmi.
-Da quanto sei qui?-
mi chiese, sorridendo.
-Potrei risponderti e
dirti 'da abbastanza per capire che sei
bellissima' ma ciò equivale a dire pochi secondi, per cui..-
abbozzai un sorriso, notando le sue gote colorarsi di rosso -..giusto
pochi minuti- finii la mia frase, dandole un dolce bacio sulla fronte.
In tutta risposta,
chiuse il libro che aveva tra le gambe, lo
poggiò a terra e si gettò tra le mie braccia,
stritolandomi. Mi mancavano i suoi abbracci, eppure l'avevo vista la
sera
prima ed erano solo le cinque del pomeriggio. Avevo lavorato tutta la
mattinata, ero solo riuscito a farmi la doccia prima di correre da lei.
Mi
mancava, e ogni giorno che passava sentivo la voglia di stare con lei
crescere sempre di più. -Mi sei mancato-
farfugliò sulla
mia spalla, facendomi sorridere.
-Mi sei mancata anche
tu piccola stella e..- mi avvicinai al suo
orecchio -..ho una sorpresa per te- continuai con un sorriso che si
trasformò in una risata non appena mi scontrai con la sua
espressione perplessa.
-Che sorpresa?- mi
chiese con un sorriso.
-Be', avevo pensato
che tra di noi le cose vanno bene. Solo che spesso
mi manchi, forse un po' troppo spesso- le confessai, provocando la sua
lieve risata -Mi capita spesso di voler sentire la tua voce, ma
chiamare ogni volta sul cellulare di tua mamma non è proprio
il
massimo perché ho paura di disturbarla. E so che per te
è
difficile chiedere a tua mamma di chiamarmi, magari potresti
vergognarti e di conseguenza ho pensato di fare qualcosa. Ho fatto un
paio di ricerche su internet e ho visto che ci sono vari telefoni per
non vedenti, così sono andato in un negozio di telefonia ed
ecco
a te, il tuo nuovo cellulare- presi tra le mani la scatoletta che avevo
precedentemente messo in una bustina colorata, porgendola alla ragazza
che aveva un espressione davvero indecifrabile.
-Cosa?- mi chiese
semplicemente, quel suo sorriso innocente era
meraviglioso -Justin, mi hai appena regalato un cellulare?- chiese
ancora, aprendo la scatoletta.
-Sì,
è un cellulare con i tasti, solo che le lettere e i
numeri sono scritti in braille. All'interno ho messo solamente il mio
numero, il numero di tua mamma e quello di tuo papà. Basta
tenere premuto il tasto uno per chiamare me,- presi il suo indice e lo
posizionai sul primo tasto -sul tasto due per chiamare tuo padre,-
spostai l'indice sul secondo tasto -sul tasto tre per chiamare tua
mamma- ancora le spostai l'indice, vedendo poi Anastasia annuire.
-Tutto chiaro?-
Non mi rispose,
semplicemente si limitò a sorridermi e a
stringermi forte. Mi piaceva farla sorridere, aveva un sorriso che era
davvero mozzafiato. Aveva quel sorriso che solo il paradiso poteva
regalare, ti metteva serenità e felicità. Pregavo
Dio
ogni giorno affinché mantenesse quel sorriso,
perché mi
infondeva sicurezza e felicità e mi faceva stare davvero
bene.
-Tutto limpido- mi
rispose, dandomi un dolce e tenero bacio sulla
guancia -Ancora non ci credo che hai speso tutti questi soldi per me,
chissà quanto ti sarà costato!- mi diede un
leggero pugno
sulla spalla, per poi poggiarci su la testa.
-Una sciocchezza in
confronto alla gravità della cosa- le
circondai le spalle con un braccio, stendendo le gambe sul letto.
-Quale cosa?- mi
chiese.
-Non sentirti per
più di due ore è terribile, credimi.
Preferisco spendere cento dollari all'ora e sentirti, piuttosto che
stare senza di te per troppo tempo-ammisi, giocando con una ciocca
ribelle che le usciva dallo chignon che aveva. Mi piaceva giocare con i
suoi capelli sciolti, ma ammetto che il suo collo nudo era davvero una
bella vista.
-Sei esagerato- mi
accarezzò il collo, scendendo sempre
più giù, sul mio petto -Anche se ammetto che
anch'io mi
sento morire quando non parlo con te per troppo tempo-
Continuò ad
accarezzarmi, cosa che feci anch'io. Mi piaceva
sentire il suo tocco, così lieve ma deciso, così
casto ma
sensuale. Mi piaceva ricevere da lei attenzioni, ero sempre stato io a
darle e per me era una cosa nuova sentirmi apprezzato, sentirmi amato.
Continuammo a coccolarci e a parlare sul letto per un bel po', fino
alle sette. Il tempo sembrava essere volato, quando invece erano
passate già due ore. Ecco un'altra cosa bella dello stare
con
lei, il tempo volava. Ciò voleva dire che stavo bene, e con
lei mi sentivo davvero bene. Il fatto che il tempo passasse veloce,
però, era anche uno svantaggio. Perché comunque
dovevo
tornare a casa, quando invece volevo stare ancora con lei a parlare.
Be', col nuovo cellulare avremmo potuto parlare per ore senza dover
importunare sua madre o, peggio, suo padre. Per quanto mi stesse
simpatico, mi incuteva un po' di timore.
-Anastasia..- la
chiamai, sentendomi il cuore battere forte. Sembrò
accorgersene: infatti sorrise.
-Cosa c'è?-
mi chiese, alzando piano la testa. Anche se non
potevo guardarla negli occhi, sapevo che era felice. Proprio come lo
ero io.
-Hai mai avuto un
fidanzato?- le chiesi, con pizzico di gelosia nella voce.
-Be', no. Elliot
è sempre stato molto geloso. Era lui l'unico
uomo della mia vita, dopo l'incidente non volevo avere nulla a che fare
col sesso maschile. Avevo paura, non sapevo di chi potermi fidare.
Così ho deciso di tagliare i ponti con chiunque- mi
spiegò brevemente, con la testa sul mio petto.
-Con chiunque, ma non
con me- enfatizzai, attirando la sua attenzione -Perché?- le
chiesi, curioso.
-Perché so
che tu sei diverso. Non mi hai mai sfruttata, non mi
hai mai fatta sentire inferiore, non hai mai creato l'occasione per
prenderti gioco del mio corpo. Sono cieca e sotto un certo aspetto sono
anche vulnerabile, eppure tu mi hai sempre trattata con rispetto e con
dignità, cosa che gli altri invece non fanno. Anche se non
ti ho
mai visto e probabilmente mai potrò farlo, so che sei una
persona stupenda, perché la tua bellezza viene dal cuore- mi
toccò il petto, sorridendomi dolcemente -Con i tuoi modi di
fare
mi ricordi tanto Elliot, il mio migliore amico. Solo che per te provo
qualcosa di diverso e mi piace, perché mi fa stare bene- le
accarezzai il viso.
-Posso svelarti un
segreto?- le chiesi, dolcemente.
-Certo- mi sorrise.
-Muoio dalla voglia di
baciarti, in questo momento- sussurrai, quasi
come se non volessi che mi ascoltasse. Ma sentì piuttosto
bene.
-Ed io muoio dalla
voglia di essere baciata da te- rispose con lo stesso tono di voce, che
mi fece sorrise.
E come se fossi stato
travolto da un uragano di emozioni, non riuscii a
controllare più i miei movimenti. Lasciai che il cuore
comandasse le mie mani avvicinando a me quel viso dolce e tenero, per
poi sprofondare in quelle labbra alle quali non riuscivo più
a
resistere. E fu così che la baciai, con tutto l'amore
represso
che avevo in corpo. La baciai, come non avevo mai baciato nessuna. La
baciai e mi lasciai trasportare da quel bacio, che
sapeva d'amore e di appagamento e che mi aveva fatto sentire finalmente
completo dopo tanto tempo. Erano anni che non toccavo le labbra di una
donna,
erano anni che non mi sentivo così completo, erano anni che
non
facevo quei movimenti. Mi sembrava tutto così nuovo,
così
puro. Non volevo sbagliare con lei, non con Anastasia. Volevo rendere
quel bacio il più bello che potesse mai ricevere, anche se
per
me lo era già. La portai lentamente a cavalcioni su di me,
senza
mai staccarla dal mio corpo. Lasciai che le mie mani accarezzassero il
suo
collo scoperto, mentre le sue mani erano ben salde sulle mie spalle.
Non volevo andare oltre, volevo solo baciarla. Solo baciarla, sentendo
quel meraviglioso calore che solo lei era riuscita a farmi provare.
Quando purtroppo
l'aria cominciò a mancare, mi staccai. Chiusi gli occhi e mi
sentii finalmente pieno, e felice.
-Justin..-
sussurrò Anastasia sulle mie labbra, sentii una scossa lungo
la spina dorsale.
-Anastasia..-
sussurrai anch'io, per poi sorridere.
-Non mi stai usando,
vero?- mi chiese, scossi prontamente la testa.
-Non userei mai un
angelo così bello- risposi, accarezzandole ancora il collo.
-Allora potrei
baciarti ancora?- il modo in cui me lo chiese, così tenero e
ingenuo, mi fece sorridere.
-Non chiedermelo
nemmeno- sorrisi sulle sue labbra, prima di
riavvicinare le mie labbra alle sue e stamparci su un tenero e casto
bacio. -D'ora in poi, sai che cambieranno molte cose?- le chiesi,
staccandomi di poco.
-Ovvero?- chiese.
-Ovvero, d'ora in poi
sarai solo ed esclusivamente mia- risposi. Ed era
vero. Con quel bacio, era diventata mia. Mia e di nessun altro.
Ma chi immaginava che
le cose sarebbero davvero cambiare, e non solo in meglio?
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Mie dolci donzelle!!
Buonasera.
Come state oggi? Tutto bene?
Io sono stata influenzata purtroppo e adesso sto un po' meglio, anche
se la tosse è rimasta.
Ma cosa ci posso fare? Purtroppo il tempo non mi permette di stare
bene.
Penso che l'influenza mi consideri la sua migliore amica. LOL.
Comunque!
Aw, io sto scippando sempre di più questi due.
Il loro primo bacio, ma quando possono essere dolci?
Be', le cose sembrano andare bene tra i due.
Ma siamo sicuri che tutto continuerà ad andare bene?
Adesso tolgo il disturbo, non prima di dirvi che siete stupende e che
vi ringrazio per le visite e le recensioni.
Grazie, davvero tanto
tesori miei.
Vi aspetto anche qui con
altre recensioni, eh! c:
Al prossimo capitolo, bellezze.
Much love.
-Sharon.
Seguitemi
su Twitter se vi
va (chiedete il follow back c:).
Se
volete, qui c'è il mio Instagram (chiedete
il follow back sotto una foto).
Se volete leggere la mia prima FF, ecco 'Do you believe in love?'
E per leggere la mia seconda FF, ecco a voi 'We
Can Fly To Never Neverland
Passate anche a leggere..'The
Storm'
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Capitolo 7 *** AVVISO ***
Ragazze, so di avervi
deluso parecchio dato che non aggiorno da un po'.
Mi dispiace e vorrei scusarmi con voi.
Ho avuto dei mesi
burrascosi e, purtroppo, adesso ho gli esami.
Nonostante questo,
volevo inoltre dirvi che mi sono trasferita su wattpad.
Per ora sto
continuando The
Storm lì e a breve aggiungerò anche
il primo capitolo di 'Look in my eyes, what did you see?'.
Se volete, seguitemi
lì.
Sono @JeiBieber_Smile
Questo è il
link del mio profilo-> https://www.wattpad.com/user/JeiBieber_Smile
Pubblico
circa un capitolo al giorno, per cui se non vi piace
aspettare questa volta sicuramente non vi deluderò!
VI
AMO.
Grazie per
l'attenzione.
Spero di ritrovarvi
nei commenti su wattpad.
Love you,
-Sharon.
|
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