Una brezza lieve

di ferao
(/viewuser.php?uid=33257)

Disclaimer: Questo testo proprietà del suo autore e degli aventi diritto. La stampa o il salvataggio del testo dà diritto ad un usufrutto personale a scopo di lettura ed esclude ogni forma di sfruttamento commerciale o altri usi improri.


Lista capitoli:
Capitolo 1: *** Solo ***
Capitolo 2: *** Profumo di mela ***
Capitolo 3: *** Notte prima del lavoro ***
Capitolo 4: *** Tra capo e naso ***
Capitolo 5: *** Un caffè - Parte 1 ***
Capitolo 6: *** Un caffè - Parte 2 ***
Capitolo 7: *** Risa e lacrime ***
Capitolo 8: *** Un Paguro al Ministero ***
Capitolo 9: *** Inviti... tardivi ***
Capitolo 10: *** Una brezza lieve ***
Capitolo 11: *** Gelide sorprese ***
Capitolo 12: *** I am a rock, I am an island ***
Capitolo 13: *** La congiura dei Bennet - Atto primo ***
Capitolo 14: *** La congiura dei Bennet - Atto secondo ***
Capitolo 15: *** Darcy, curry e rock'n'roll ***
Capitolo 16: *** Del tempo e dei suoi effetti ***
Capitolo 17: *** Cuore d'asino ***
Capitolo 18: *** Mala tempora ***
Capitolo 19: *** Sangue ***
Capitolo 20: *** Quella parte di me ***
Capitolo 21: *** Incontri ***
Capitolo 22: *** The cat came back ***
Capitolo 23: *** Una piccola chiazza rossa ***
Capitolo 24: *** Sana come un Plimpo ***
Capitolo 25: *** Normalmente... più o meno ***
Capitolo 26: *** Dieci buoni motivi ***
Capitolo 27: *** Tutti i sì del mondo ***
Capitolo 28: *** L'incredibile inutilità della segretezza ***
Capitolo 29: *** Riempire i vuoti ***
Capitolo 30: *** Epilogo: Tra la fine di una storia e l'inizio di un'altra ***



Capitolo 1
*** Solo ***


28/05/2011: Avviso ai "nuovi" lettori, ovvero a chi approda a questa storia per la prima volta.
I primi capitoli di questa storia sono stati scritti ormai moooolto tempo fa (notare la data sopra alla tendina col titolo dei capitoli). All'epoca avevo il brutto vizio, comune a tante giovani fanwriter, di prendermi delle licenze sulla storia originale, o comunque di non stare molto attenta a certi dettagli (un po' come fanno alcune scrittrici quando parlano di Smaterializzazioni dentro Hogwarts). Oltre a ciò, all'epoca avevo anche uno stile abbastanza infantile. Questo stile e questa tendenza al non curare i dettagli sono molto ben presenti nei primi 11-12 capitoli, da lì in poi, invece, ho iniziato ad avere una cura maggiore per i dettagli e lo stile (considerate che per un anno ho completamente tralasciato questa storia).
Va bene, scusate, sto temporeggiando. Quello che volevo dire è: se siete amanti (come lo sono io, ADESSO) del canon e dell'IC, non lasciatevi scoraggiare dai primi capitoli. Io personalmente non riesco nemmeno più a rileggerli, ed è per questo che ho desistito dal trovare e correggere i numerosi errori che ho commesso nella stesura.
Lo so, lo so che ci sono delle incongruenze con la storia originale, e me ne dolgo profondamente, io che sono la prima a odiare questo genere di cose; ma davvero, non ho modo di rimettere le mani in pasta a correggere tutto. Accetto volentieri segnalazioni e consigli (come sa la mia adorata Fata Blu! Ciao, carissima!), ma... insomma, non chiudete disgustati la pagina di Explorer/Firefox/Chrome solo perché trovate delle assurdità. Più avanti migliora, ve lo assicuro.

E no, non ci saranno Smaterializzazioni a Hogwarts: non sono mai arrivata a tanto, lo giuro.
Ciò detto, buona lettura.






Solo


"FALLITO."
Uff... il solito biglietto anonimo.
Pochi caratteri in stampatello maiuscolo, scritti con una calligrafia che voleva essere anonima e sembrava invece infantile.
Bah.
Prese il pezzo di pergamena, lo tenne tra le dita guardandolo ancora un momento, poi lo appallottolò e lo gettò nella stufa accanto alla scrivania.
Mentre guardava la carta contorcersi nel vano tentativo di sottrarsi alla fiammella, una risata senza allegria salì alle sue labbra.
Chi, guardando il suo ufficio, il suo posto di lavoro nel Ministero, gli sguardi delle segretarie, avrebbe potuto considerare Percy Weasley un fallito?
Doveva essere uno dei soliti scherzi dei gemelli. E dire che era stato molto attento a non avere più rapporti con nessuno della sua famiglia; le innumerevoli lettere che riceveva venivano cestinate non appena vi intravedeva la calligrafia della madre o di uno dei suoi fratelli. Non desiderava sentirsi accusato, o peggio compatito. Non ne aveva bisogno.
Comunque, non ci voleva pensare ora. Guardò la pila di scartoffie sulla sua scrivania: ormai, chiunque avesse un problema da qualunque reparto del Ministero gli mandava un gufo chiedendogli un parere o una mano. Che noia…
Si tolse gli occhiali, concedendo a se stesso un minuto di riposo. E fa' che nessuno rompa proprio adesso…
- Mi scusi, signor Weasley...
Come non detto.
- Signore...
- Dimmi pure, Minnie.
La piccola segretaria coi capelli biondi stava sulla porta; ormai non aveva nemmeno più bisogno di bussare. Percy la fissò un momento, cercando di ricordare il motivo per cui, più di due mesi prima, si era ritrovato nel suo letto. Semplice noia, forse.
Forse aveva solo voglia di fare qualcosa che non fosse tornare a casa da Penelope.
Doveva essere qualcosa del genere, perché non gli riuscì proprio di ritrovare, nella strega minuta, timida e priva di curve che aveva davanti, nemmeno un grammo della donna con cui aveva tradito la sua compagna di allora.
Ancora con questa storia, Perce… Lascia perdere…
- Ci sarebbero quei curricula da visionare, se ha tempo...
Ottimo. Scartoffie da cestinare. Sicuramente molto più interessanti del dibattito sulla liceità della sperimentazione di pozioni guaritrici sui nani da giardino.
- Va bene. Portameli pure adesso.
Percy osservò con quanta costanza la piccola segretaria bionda cercasse di far compiere nuovamente il miracolo di quell'unica notte. Era piena di attenzioni per lui, si dava sempre da fare per mettersi in mostra, e arrossiva quando le diceva "Ben fatto, Minnie". Percy, però, era sempre pronto a spegnere le sue speranze con un'occhiata gelida o un gesto secco.

Da quando Penelope se n'era andata, tutto era diventato come un limbo denso e nebbioso, dove le donne erano il suo ultimo problema.
Per due settimane stette male, come non era mai stato in vita sua. Male nel corpo e nell’anima; una specie di abbattimento, unito al presentimento di non potersi più rialzare. Fu il momento in cui sentì più forte che mai la tentazione di cercare i suoi; rimase però solo una tentazione.
Per la prima volta non era riuscito a concentrarsi completamente sul suo lavoro. Era distratto, irascibile, intrattabile.
Andò in ufficio con la barba lunga, le vesti messe alla bell’e meglio, tanto non devo piacere a nessuno, chi se ne frega…

Il limbo durò quattordici giorni.
All’alba del quindicesimo giorno, si risvegliò accorgendosi di non aver pensato a Penelope nemmeno per una volta, quella notte.
Si alzò da letto guardando la sua stanza, e pensò che doveva metterla in ordine. Si prese tutto il tempo del mondo; senza usare la magia, ripiegò con cura gli abiti che aveva accumulato sulla sedia vicino al letto, poi si fece la doccia e tagliò via la barba.
Si pettinò, e riuscì di nuovo a guardarsi nello specchio senza sentirsi colpevole.
Tutto tornò normale, tranne una cosa.
Non voleva più toccare una donna.

Sbuffò, mentre la ragazza, senza smettere di fissarlo, appoggiava la pila di curricula sul suo tavolo ed usciva lentamente dalla porta, come se sperasse di essere richiamata da un momento all'altro.
Il pensiero di andare di nuovo con lei gli ispirava solo un sentimento: tristezza. Non lo avrebbe mai creduto possibile, eppure era così.
Costrinse se stesso a non pensarci, tuffandosi nella montagna di fogli davanti a sé.
"È incredibile come tanta gente dia importanza a un lavoro pesante e totalmente privo di utilità come l'archivista. Non posso credere che la comunità magica sia arrivata a un livello tale in cui ci si possa ridurre a cercare un lavoro qualsiasi, anche pessimo, pur di avere un posto sicuro. Non si dovrebbe vivere così, alla bell'e meglio, non è giusto..."
Intanto i fogli volavano sul lato sinistro della scrivania. Perché, anche se non c'era bisogno di un M.A.G.O. particolare per controllare e archiviare i fascicoli del Ministero, non si poteva nemmeno essere totalmente privi di una qualsiasi istruzione o esperienza, o peggio, averne in altri campi.
Mentre la sua segretaria fingeva di lavorare, Percy respinse: tre specialisti di Erbologia (confonderebbero un documento con una mandragola), un ex giocatore di Quidditch (vista l'ortografia, non sa nemmeno il significato del verbo scrivere), una giovane che aveva studiato per fare la veterinaria (bau bau), un magonò (Come farebbe ad arrivare in ufficio tutti i giorni? Abita in Irlanda!) e un ragazzo che non aveva completato gli studi ad Hogwarts (no comment).
Scartati tutti questi, gli rimanevano davanti quattro curricula. I posti erano solo due, quindi pensò che avrebbe dovuto fare un colloquio con questi che gli erano rimasti. Chiamò Minnie, le fece mandare un gufo a tutti e quattro i candidati, poi guardò l'orologio e capì che la sua giornata era finalmente finita.
In teoria.

In pratica sarebbe rimasto in ufficio, come al solito.
Non avrebbe sopportato di tornarsene nel suo appartamento a cenare. Da solo.
Non voleva annoiarsi a casa. Da solo.
Non voleva ripiegare su un buon libro. Da solo.
Non voleva chiudere gli occhi e ritrovare Penelope, la sua Penelope in sogno, inseguire il suo profumo e perderlo, e ritrovarlo e stringerla e guardarla, risvegliandosi subito dopo e ritrovandosi sulla sua, sulla loro poltrona.
Da solo.
Si risvegliò solo quando sentì Minnie radunare le sue cose per andarsene. E tutt'ad un tratto, l'idea di andare di nuovo con lei non gli faceva più molta tristezza.

Ritorna all'indice


Capitolo 2
*** Profumo di mela ***


Profumo di mela



Se c’era una cosa che Percy detestava, oltre che la mancanza di rispetto per l’ortografia, era dover prendere l’ascensore per arrivare al suo ufficio. Non tanto per l’ascensore in sé, non era certo di quelli che si fanno prendere dal panico non appena il pavimento sembra non stare più al suo posto; ciò che non sopportava era incontrare nell’ascensore delle persone. Sentire il suo corpo, la sua veste a contatto con i corpi e le vesti di tanti altri maghi e streghe gli riusciva insopportabile. Lui, vissuto per vent’anni in una casa insieme ad altre otto persone, non riusciva ad abituarsi al contatto con gli estranei.
Per questo cercava di trovarsi al lavoro la mattina presto, quando ancora non c’era affollamento. Gli altri pensavano fosse per solerzia, ma non avrebbero potuto immaginare quanto Percy odiasse trovarsi immerso tra la gente. Quel giorno, poi, era ancora più di malumore del solito. L’avventura notturna con Minnie gli aveva fatto più male che bene.
Anche la segretaria se n’era accorta; quando arrivò non lo salutò nemmeno, ma iniziò subito a lavorare, e si affacciò solo una volta per dirgli che erano arrivati i candidati per il posto di archivista.
E sia, allora… Vediamo un po’ quante brillanti carriere nascenti rovinerò stamattina…
Il ragazzino smilzo che si sedette di fronte a lui per primo fece pensare a Percy che qualcuno aveva scritto un curriculum per lui. Non gli ci volle molto per decidersi a mandarlo via, quando capì che non sapeva bene nemmeno cosa facesse esattamente un archivista.
Il secondo, invece, si dimostrò intelligente e volenteroso, anche perché aveva delle nozioni di contabilità che sarebbero potute tornare utili. – Si presenti domani alle otto, in prova.
La terza era una ragazza che si sarebbe di certo trovata più a suo agio su una passerella che in un ufficio, e a Percy non dispiacque minimamente il doverle dire che non l’avrebbe assunta per tutti i galeoni della Gringott. Era quasi l’ora di pranzo, e stava diventando intrattabile (più di lui, il suo stomaco; avete presente quando i bambini scalciano nel pancione? Ecco. Non dico che ci assomigliasse; era proprio così).
Era tentato di rimandare a casa l’ultima candidata con una scusa qualsiasi e farla tornare il pomeriggio, o l’indomani, o mai più, e andarsi finalmente a sbafare l’insalata di pollo con olive, sottaceti e capperi che lo aspettava come tutti i giovedì nella mensa al secondo piano. Stava per dare corpo al suo pensiero, quando si fermò.

Le sue narici avevano captato qualcosa di anomalo.
Iniziò a inspirare pian piano, cercando cosa fosse l’anomalia.
Poi capì.
“C’è profumo di mele, qui”.
Si guardò intorno. Non era la sua fantasia, quella era ben relegata in qualche profondo recesso del suo giudizioso cervello.
Nella stanza aleggiava, sottile e insinuante, un lieve profumo di mele appena colte, come se ce ne fosse un intero cesto sotto la scrivania. E se magari può non essere strano che ci siano in giro per Londra delle mele in settembre, è molto strano che ce ne siano nell’ufficio dell’assistente del Ministro della Magia.
Mentre Percy si chiedeva da dove venisse, entrò dalla porta la quarta candidata. Fu allora che Percy comprese la provenienza dell’odore.

La ragazza profumava di mela. Tanto bastò a renderla un pelo più interessante ai suoi occhi.
In sé e per sé, la giovane non aveva nulla di particolare. Fisico rotondo (un po’ troppo, direi), viso ovale, capelli castani tagliati sopra le spalle. E profumo di mela.
Si sedette, e Percy notò che teneva gli occhi bassi. “È timida” pensò subito. "Meglio così, sono stufo delle colleghe intraprendenti".
- Buongiorno.
- Buongiorno, signorina…
- Bennet.
Nome comune tra i Babbani, non troppo tra i maghi. Percy ne prese nota.
- Signorina Bennet, il suo curriculum è appena sufficiente per questo lavoro. Voglio dire, qui vedo solo un breve periodo in una biblioteca Babbana. È giusto?
- Giusto, signor Weasley. Sa, sono giovane, non ho lavorato molto e...
Bah. Quella tizia aveva già vent'anni, niente formazione post M.A.G.O., e l'unico lavoro che aveva svolto fino a quel momento era assistente bibliotecaria. In una biblioteca Babbana.
Tutte a me, eh? - Posso farle una domanda?
- Spero di saper rispondere.
- Davvero fin adesso ha lavorato solo... Insomma, perché prima di lavorare per la comunità magica ha scelto di perdere il suo tempo lavorando per i Babbani? Voglio dire, non è nulla di sbagliato, ma è strano, no? - Un tono di voce un po’ impertinente, un po’ provocatorio, ma aveva fame, e l’unica rimasta per il posto di archivista doveva sopportare anche quel suo stato se davvero teneva la posto.
La ragazza lo guardò negli occhi. Forse la domanda le arrivava inaspettata, forse invece voleva guardarlo e basta. Lui si perse un istante a fissare quegli occhi scuri, e gli arrivò la risposta.
- Non credevo che esistessero differenze tra gli archivi Babbani e quelli magici. E comunque…
- Sì?
- Ho sempre creduto che ci fosse più educazione tra i Babbani che tra i maghi, e la sua domanda e il suo tono di voce a quanto pare confermano la mia teoria.

Tac. Colpito.
Mi ha dato del maleducato!
La fissò, sconvolto. Lei alzò un sopracciglio in segno di sfida.
- Allora, parliamo del mio lavoro? Ho fame, e a quanto ho capito c’è l’insalata di pollo in mensa… - continuò ancora lei, ignorando lo sguardo sconvolto.
Lui in compenso le regalò un’occhiataccia tra il nervoso e l’indignato, e per poco non ringhiò. – Alle otto domattina, e non si azzardi a toccare la mia insalata di pollo.
Uscì dall’ufficio come un ciclone, inseguito dall’aroma di mela.
Quando si fu saziato a volontà del suo piatto preferito e tornò nel suo ufficio, istintivamente cercò l’odore di mela nell’aria; non lo trovò, ma pensò che tanto l’avrebbe ritrovato l’indomani alle otto.

E non azzardarti più a darmi del maleducato, Audrey Bennet!

Ritorna all'indice


Capitolo 3
*** Notte prima del lavoro ***


Notte prima del lavoro



- Allora? Quel colloquio?
Mah, sai, normale, lui mi ha fatto una domanda razzista e impertinente e io l’ho insultato, tutto bene in fondo…
- Beh, il capo mi ha fatto un po’ di domande, poi mi ha assunta…
- Davvero? Così, su due piedi?
- Aveva già letto il mio curriculum, doveva solo vedere di persona se ero adatta al lavoro…
All’altro capo del telefono, la signora Bennet esplose in una serie di gridolini vivaci e indignati.
- Sì, come no… Doveva controllare se avessi le gambe lunghe e i capelli biondi…
- Ma che dici?
- Dico sul serio! Sai come sono fatti questi impiegati statali; o sei raccomandata, o sei bionda, altrimenti non ti assumono.
- Mamma, io non sono né raccomandata né tantomeno bionda. Il tuo ragionamento non regge!
Sapendo di averla zittita, Audrey tacque per un po’, godendosi la piccola vittoria. La mamma è sempre la mamma, ma ciò non toglie che a una mamma petulante si possa ogni tanto togliere la parola.
- Comunque, – fece la madre, come per cambiare discorso – com’è il capo? Parlami di lui.
Razzista, maleducato, e mi ha proibito di mangiare la “sua” insalata di pollo. Che gli vada di traverso! Rosso malefico!
- Oh, il capo è un tipo strano. È giovane, avrà giusto uno, massimo due anni più di me. Ha una zazzera rossa incredibile, e non parla molto.
- Un momento… Rossa? Non sarà mica un Weasley?
Weasley o Smith, il cognome non avrebbe cambiato la sostanza.
- Il cognome non me lo ricordo, ma credo di sì…
- Beh, questo cambia tutto. I Weasley sono bravissime persone…
“Oh, no, per favore, non iniziare!” La signora Bennet aveva la straordinaria capacità di intraprendere un discorso tralasciando tutto quello che veniva prima, dimenticandosi anche di chi la stava ascoltando. Per questo Audrey cercava di non parlare molto con lei.
- … educate, laboriose, oneste…
Audrey, resisti, fa’ finta di nulla e vedrai che la smetterà…
- … tuo padre conosceva bene Bilius: una persona semplice, eppure era tra…
- … gli uomini migliori che avesse conosciuto, sì…
- … ti faranno sgobbare parecchio, ragazza mia!
Allegria!
- Ma a parte questo, che ti è sembrato?
Audrey rifletté. Ok, in fondo era stato un po’ maleducato, ma era nervoso e affamato. C’era anche dell’altro, però, ne era sicura.
- Non lo so, sai… È un tipo strano, sembrava molto triste. Forse però era solo una mia impressione.
- Già, è probabile. Ora però è meglio che tu vada a dormire, tesoro, altrimenti non ti alzerai mai in tempo domattina.
La ragazza guardò la vecchia pendola appesa alla parete. Erano le nove e mezza di sera.
Santo cielo… Qualcuno dica a mia madre che ho vent’anni e non cinque…
- Non preoccuparti, mammina. Ci sentiamo domani?
- Certamente! Mi raccomando, non farti cacciare da questo posto…
- Sopravviverò. Buonanotte, mamma.
- ‘Notte, Aud.
Aveva appena attaccato il telefono, che il campanello squillò. Doveva essere Ben, con il loro gruppo di amici. La ragazza sorrise. Altro che dormire, quella sera avrebbe festeggiato il posto di lavoro come si deve…

Quando finalmente uscì dalla doccia, Percy si sentiva rinato.
Niente più ufficio, niente più segretaria, niente più scartoffie impolverate per quel giorno.
Solo un buon odore di mela che continuava ogni tanto a riaffiorare nella sua mente. Ma non sono poi così maleducato, vero?
Qualcosa nella sua testa disse di sì.
Ok, domani mi scuserò… Ora a dormire, sono già le dieci di sera!

Ritorna all'indice


Capitolo 4
*** Tra capo e naso ***


Ma salve!!! Speravo che sarebbe stata un po' più visibile questa storia, ma in fondo ho sbagliato io a non avvertire direttamente chi ce l'aveva tra i preferiti... snifff...
A proposito... Sophonisba!!! Ben trovata! meno male che hai trovato la storia!è bello ritrovare i tuoi commenti! Oltre a qualche elemento stilistico ho modificato un po' il carattere di Audrey: la descrizione iniziale mi sembrava un po' piatta, le ho dato un caratterino un po' più deciso ma è sempre lei!! e sta per tornare alla ribalta Adams!!!!
per i nuovi lettori che ho trovato: salve e grazie per aver messo la storia nei preferiti e nei seguiti. Piccola introduzione per facilitarvi la lettura: Questa è la terza storia che scrivo su Percy Weasley. Le prime due parlavano della sua storia con Penelope Light, la sua morosa Rowlingiana; consultando il sito di JKR, ho scoperto che, alla fine, Percy risultava accoppiato con una certa Audrey, di cui non si sapeva assolutamente nulla, così mi sono divertita ad immaginare la storia...
ok, basta così. Divertitevi e commentate, io scrivo per la gloria!!!



Tra capo e naso



Du-dududu-dudu-duuu…
Du-dududu-dudu-duuu…

Il giro di basso di “Seven Nation Army” le rimbalzava nella testa, mentre emergeva da un sogno non particolarmente gradevole.

Du-dududu-dudu-duuu…
Ricordassi almeno come fa la strofa…
Quel suono però non la disturbava; non che amasse particolarmente i White Stripes, ma piacevano a Ben e questo bastava. No, c’era un suono di sottofondo che, assonnata com’era, non riusciva a distinguere bene.
Vabbè, ci dormirò su un altro po’…

Capì che il suono sgradevole proveniva dalla sveglia quando la sentì suonare per la quarta volta; imprecando si trascinò a fatica verso di essa, cercando di metterla a tacere.

Per chi non lo sapesse, i modelli magici di sveglia sono precisi al millesimo di secondo e dalle forme assolutamente adorabili (quella di Audrey era a forma di pulcino, rotonda e con tanto di piumette e un becco imbronciato che l’aveva fatta impazzire a prima vista); l’unico problema delle sveglie magiche è che finché non ti alzi non la smettono di suonare. E quando ti alzi, per fermarle devi comunque inseguirle in giro per casa.
Un simpatico regalo della signora Bennet per il compleanno della sua unica figlia.

Dopo aver perso un quarto d’ora solo per stanare il pulcino pigolante dall’angolo della cucina dove si era infilato, Audrey finalmente guardò l’orologio e percorse le sue tre fasi di risveglio.
“...” (occhi socchiusi e ragione ritardata)
“…” (occhi spalancati e neuroni connessi, coscienza ancora confusa)
“…ommerlinocom'ètardi!!!!!!!” (ritardataria non più confusa e arzilla come un toro)

Sebbene sua madre si lamentasse spesso per la sua lentezza, quel mattino batté il suo record personale di velocità nel vestirsi e lavarsi. Aveva giusto un quarto d’ora prima di essere considerata ufficialmente in ritardo dal suo capo; non voleva assolutamente fare brutte figure con quello spocchioso, soprattutto per un motivo così insignificante come il tempo.
Mise su un vestito leggero, cercò di togliersi dalla testa “Seven Nation Army”, e mentre con la bacchetta rifaceva il letto tentò di districare la selva incolta dei suoi capelli, che anche se corti sopra le spalle erano piuttosto resistenti alla spazzola.
Alle otto meno un minuto si Smaterializzò dalla cucina… … per ritrovarsi davanti al Ministero, proprio di fronte al capo.
O meglio, sul piede destro del suo capo.

Percy era in piedi dalle sei: si svegliava in modo automatico, come se avesse un orologio interno che gli segnalasse l’ora esatta. Per questo, e per altri motivi, la sveglia morbidosa a forma di orsetto che la signora Weasley gli aveva regalato, e che a Penelope piaceva tanto, era relegata nell’anfratto più nascosto dell’armadio.
Riusciva sempre, in questo modo, ad essere sempre perfettamente pettinato, pulito e vestito per il lavoro, e gli avanzava anche del tempo che usava per annoiarsi dignitosamente.
Guardò l’orologio: erano le otto meno un minuto; l’idea che i suoi nuovi sottoposti erano già lì ad aspettarlo lo fece ghignare.
Bello essere il capo…
Si Smaterializzò elegantemente di fronte al Ministero…
… ritrovandosi col “dolce” peso della sua nuova impiegata non proprio magrissima sul piede destro.

Ops… Adesso il rosso malefico mi uccide qui e subito…
- Lei è in ritardo, signorina - disse invece Percy, senza scomporsi. Esaminò l’abitino che indossava (il primo che la ragazza aveva trovato, e nemmeno troppo ben sistemato) e storse il naso. Merlino, così combinata sembra che si sia svegliata un quarto d’ora fa… Dove andremo a finire?
Sebbene un po’ in imbarazzo, Audrey riuscì a rispondere prontamente. - Non proprio; anzi, direi che sono arrivata insieme a lei.
Percy gonfiò le guance. Non solo si stava controllando al massimo per non urlarle in faccia il dolore all’alluce che, lo sentiva, avrebbe potuto ucciderlo, ma doveva anche sopportare l’ironia di quella ragazzina maleducata!
- Faccia meno la spiritosa ed entri… - borbottò, con una tonalità vagamente minacciosa. Poi, trascinando leggermente il piede quanto bastava per dimostrarle il dolore che gli aveva provocato, si avviò verso l’entrata.
Borioso e antipatico. Adesso fa anche la sceneggiata… Bel lavoro mi sono scelta…

- Ecco il signor Adams - fece Percy, indicando un ragazzo dall’aria intelligente che li aspettava nel dipartimento. - Ora, prima che iniziate a lavorare…
Non gli ha detto nemmeno buongiorno.
- … devo avvisarvi delle poche e semplici regole che vigono nei miei uffici.
Strano che non ci obblighi a prendere appunti. Mi sembra proprio il tipo…
- La prima: sono sempre disponibile per qualunque vostra necessità…
Ma dai? Allora forse non è poi così cattivo…
- … dalle ore nove alle ore nove e trenta in punto.
Come non detto.
- La seconda: se proprio dovete disturbarmi, fatelo solo per cose di importanza straordinaria.
Chissà se posso chiedergli dov’è il bagno? Quello sì che sarebbe di importanza straordinaria…
- La terza: non tollero assolutamente ritardi, perdite di tempo e rivolte intestine - e guardò Audrey. - Il lavoro agli Archivi Magici è molto, e aumenta di continuo, perciò dovrete avere orari rigidi e poche distrazioni, altrimenti dovrete portarvi il lavoro a casa. Le pause le farete quando ve lo dirò io, o dovrete chiedermele. Sono stato chiaro?
- Limpido - rispose Audrey, mentre l’altro ragazzo annuiva. Grandioso… ho bisogno del suo permesso per fare pipì? Ma dove sono finita???
I pensieri di Adams dovevano essere molto simili, perché il suo volto pallido lasciava trasparire un disagio malcelato. - E non fate quelle facce- riprese il capo. - Lavorare al Ministero è un grande onore, nonostante tutto quello che si dice in giro. Buon lavoro.
Ciò detto, sparì nel suo ufficio.

Ho già detto che è antipatico?

Il lavoro all’archivio era duro e noioso. Dovevano controllare tutti i documenti in arrivo e sistemarli nei giusti scomparti. Appena finivano una massa di scartoffie ne arrivava subito un’altra, in genere (Audrey fece una rapida stima) alta il doppio della precedente. Oltre a ciò, ovviamente, dovevano ricontrollare più e più volte i fascicoli, nel caso vi fosse finito un documento sbagliato.
Nonostante ciò, Audrey era rapida e sveglia; lavorare lì non era molto diverso che lavorare nelle biblioteche Babbane, e poteva mettere a frutto tutto quello che aveva imparato fino a pochi mesi prima.
Alla faccia di quel razzista.
L’altro ragazzo (di cui Audrey sapeva solo che di cognome faceva Adams) era altrettanto capace, anche se non particolarmente portato per la conversazione.

Bisogna dire che i pensieri di Audrey rivolti al bagno non erano casuali.
Lei aveva bisogno del bagno come minimo una volta ogni ora.
Era sempre stato così, fin dai tempi di Hogwarts. Non si fermava di fronte alle prese in giro, alle occhiatacce dei professori, nemmeno di fronte alle condizioni igieniche peggiori o a un “orario rigido”. Se le scappava, le scappava.
Fu così che, dopo circa un’ora e mezza che sfogliava fascicoli e cestinava scartoffie, sentì il richiamo della toilette.
Terrorizzata, guardò l’orologio. Le nove e mezza erano passate, l’Ufficio Richieste al Capo era chiuso.
Oddio no, per favore… Non adesso. Non voglio andare dal capo e chiedergli il consenso per fare pipì!
Stoicamente, Audrey strinse i denti e preparò la sua vescica ad una lotta contro se stessa.
Dai… aspetta almeno che il capo ci dia una pausa...
Passò un minuto. Due minuti. Tre.
Durante quei tre, interminabili minuti passati quasi tutti a tamburellare con le dita e a guardare l’orologio, Audrey pensò davvero di non farcela. Ogni secondo era per la sua vescica una quaresima. Per la seconda volta in quella giornata stava battendo un record.
Fu un’occhiata di Adams a farla decidere. Evidentemente quel tamburellare lo disturbava assai.
Basta, ora vado dall’antipatico e glielo chiedo.
Si alzò come una furia, lasciando il già silenzioso Adams senza parole.
Percorse tutto il corridoio cercando di fare in fretta (muovendosi però a disagio; avete presente quando vi scappa proprio tanto e non sapete come muovervi? Ecco…); esitò un paio di secondi prima di bussare, ma ormai la natura l’aveva chiamata e doveva rispondere.
“Per il bene supremo!” pensò, senza un motivo, prima di alzare la mano e bussare.
La porta glielo impedì, aprendosi e arrivandole dritta dritta sul naso.

- Signorina… Signorina, mi risponda!
Mmmm… Che è successo? Dove sono?
- Signorina Bennet, torni tra noi, per favore!
- Cosa…
- Oh, meno male. Prenda.
Sulle prime Audrey non capì dove fosse. Era sdraiata su uno scomodo pavimento di quello che sembrava un corridoio, e una voce preoccupata la chiamava. La voce preoccupata apparteneva a un giovane coi capelli rossi dall’aria familiare che le stava vicino e le porgeva un bicchiere.
- Lei…
- Si tiri su, signorina, non è nulla…
Poi ricordò. Il bagno. La porta. Il dolore pazzesco al naso. Guardò il giovane. Ora capiva perché le sembrava familiare. Era il capo.

Morgana santa, sono svenuta davanti al capo!
Cercò di rialzarsi di fretta, ma le girò la testa.
- Non così, che le viene da vomitare. Resti giù.
Le mani del capo la costrinsero a rimanere per terra. Merlino, che imbarazzo.
Percy aspettò qualche minuto, poi le disse di alzarsi che il peggio era passato.
- Sono mortificato, le ho aperto la porta in faccia, mi dispiace…
Audrey farfugliò qualcosa che somigliava a “non è niente”. - La faccio portare in…
- Sto bene, non si preoccupi. È che ho… il naso un po’ sensibile - tentò di spiegare, pentendosi immediatamente delle sue parole.
Oh Helga, che ho detto… il "naso un po’ sensibile". Aud, sei una deficiente! Adesso ti prenderà per una pazza isterica!
Percy sembrò pensare la stessa cosa, perché rimase visibilmente interdetto.
Ma da quando esistono i nasi "un po’" sensibili?
Per un folle istante, però, la cosa gli sembrò terribilmente comica.
Sul volto serio e preoccupato del capo passò un’ombra, simile a un sorriso. Audrey lo guardò meglio, ma il volto di fronte a lei era impassibile come al solito.
Peccato… Se sorridesse non sarebbe male…
- Comunque, cosa stava venendo a fare nel mio ufficio? - fece Percy, cercando di salvare il salvabile da quella strana situazione.
- Volevo… ehm… ecco… volevo chiederle una pausa…
- Di già?
Ecco, ora mi sbrana… Sì, ho il naso sensibile e la vescica ancora più sensibile, e allora?
- Ehm…
- E perché mai, se posso saperlo?
- Ecco, io… avevo bisogno del bagno e…
- È in fondo a destra, lo si vede anche da qui. Poteva chiederlo anche a Minnie o ad Adams.
Era più duro di comprendonio di quanto pensasse. Audrey inspirò a fondo. - In verità, io stavo venendo a chiederle il permesso…

Percy non rispose nulla, ma l'espressione sul suo viso era abbastanza chiara.
Diceva: "Cos'è che voleva fare questa sciroccata?"
Audrey iniziò a preoccuparsi. Che altro ho detto di sbagliato? Aiuto! Stupida sveglia, oggi dovevo rimanermene a letto…
- Ma, signorina… Non deve mica chiedermi il permesso per fare pipì! - quasi gridò Percy, e l’ombra del sorriso stava tornando minacciosamente sul suo volto.
Audrey alzò il sopracciglio. - Ehm… volevo dire… per andare al bagno… - fece Percy arrossendo per la gaffe e tornando serio.
- Ma se stamattina ha detto…
- Mi sono espresso male. Mi scusi.
Stettero qualche secondo senza parlare. - Ah... Va bene. Allora io vado…
- Sì. Buon lavoro, signorina…
- Anche a lei, capo.
- E mi scusi ancora…
- Non importa, sul serio…
- Ok.
- Ok.
Audrey annuì, poi spiccò una corsa verso la toilette. La sua vescica era arrivata oltre ogni limite.

Percy stava iniziando a chiedersi se avesse fatto bene ad assumere una squinternata come la signorina Bennet.
Tanto per iniziare, non si era nemmeno scusata per il modo in cui gli era planata sul piede, quella mattina (e pensando ciò se lo massaggiò, anche se non gli faceva più male). “Sono arrivata insieme a lei…” Arriva in ritardo il primo giorno di lavoro e fa pure la spiritosa!
Poi inventava cose assurde, come la storia del “naso un po’ sensibile”… Ma che razza di impiegata gli era capitata?
Certo è, che stava quasi per strappargli un sorriso, qualche minuto prima.
Lo aveva colto impreparato, quella situazione al limite del comico.
Ragionò, mettendo da parte una scartoffia. Ormai erano poche le cose che lo facevano ridere sul serio. Non era mai stato un amante delle barzellette né della comicità comune, figuriamoci se poteva farlo ridere un piccolo incidente quotidiano.
Eppure…
Eppure…
Eppure aveva avuto una voglia matta di scoppiare a ridere, quando aveva saputo che la Bennet voleva il suo permesso per andare al bagno.
Merlino… Credevo che fosse scontato che per quello non devono venirmi a chiedere il permesso! Ma sono forse io quello strano?
Dato che alcuni neuroni stavano formulando la risposta “Sì!”, decise di pensare ad altro.
Ecco, pensa ad altro, e non pensare che hai detto "fare pipì" in mezzo al corridoio, e che molto probabilmente questa frase finirà nella bacheca come la più ridicola della settimana…
Sbuffò sonoramente e si rimise gli occhiali. Al lavoro.

E comunque non mi sbagliavo affatto. Ha un profumo di mela meraviglioso…. Oh santo cielo, smettila, sembri un maniaco!

- Adams… Secondo te, il capo è un ossessivo – compulsivo?
Adams guardò Audrey con sguardo incerto, infine le chiese: - Un... che?
- I Babbani definiscono ossessivo – compulsivi i soggetti che hanno particolari manie o fissazioni… Tu che ne pensi? Il capo è uno di loro?
- Uno di chi? Dei Babbani?
- Lascia stare, Adams.

Ritorna all'indice


Capitolo 5
*** Un caffè - Parte 1 ***


Sììì!!! Ce l'ho fatta, ho riscritto anche questo capitolo! (Puff, pant!)
Sono contenta di essere tornata a lavorare su Percy e Audrey, finalmente!
A questo proposito: visto che c'è stata una proliferazione di storie su questa coppia, vorrei precisare che ho iniziato a scrivere questa storia più o meno l'anno scorso, indipendentemente dall'esistenza o meno di altri racconti simili. (Faccio questo chiarimento perché, purtroppo, ho perso i vecchi lettori e, per fortuna, ne ho acquistati di nuovi, quindi non si sa mai...)
E sempre a proposito di vecchi e nuovi lettori, ringrazio di cuore Sophonisba (arrivano le perle di saggezza!!!) e Eles Weasley (troppi complimenti tutti assieme, mi gira la testa!)
Ora bando alle ciance, e godetevi il quinto capitolo:

Un caffè - Parte 1





- Adams?
- Mmmh?
In dieci giorni di collaborazione, Adams aveva rivolto sì e no dodici parole a Audrey; non per cattiveria o antipatia, ma perché, secondo lui, muovere le corde vocali in presenza di qualcuno che si conosce poco non era strettamente necessario; e Audrey non era il tipo da prendersela, per fortuna. Ciò che Adams diceva era riassumibile con: ‘Sì’, ‘No’, ‘Ok’ e ‘Dopo’. Il picco si era avuto un giovedì, quando aveva detto ‘Ne sono certo’.
- Adams, hai voglia di un caffè?
D’altra parte, un qualunque impiegato ministeriale alle 10 di mattina non ha bisogno di rispondere per esteso a simili domande. Si limitò a rivolgere un’occhiata alla ragazza, e lei capì. – Vado e torno! - fece allegramente alzandosi e aprendo la porta.
Era ancora giuliva per la serata precedente. Con il suo Ben andava tutto bene. Molto bene. ‘Troppo’ aveva sentenziato la mamma. ‘Quando il tuo uomo non ti nasconde più nulla, stai pur certa che ha un’amante’.
Aaahhh!! Tocca ferro, tocca ferro!! Diamine! Perché ho una mamma con la vocazione della menagramo?
Fischiettando, la ragazza si avvicinò al distributore di bevande nel corridoio. Audrey adorava quell’aggeggio: sembrava un perfetto macchinario Babbano, sebbene privo degli inconvenienti dovuti alla mancanza di magia.
- Ciao, Greg!
- Buongiorno, miss! – rispose la vocina metallica del distributore; le lucine lampeggiarono di gioia vedendo avvicinarsi la ragazza.
- Mi prepareresti due caffè neri, per cortesia?
- Neri? Allora è proprio una giornata pesante…
- Abbastanza - rispose Audrey, prendendo le due tazzine apparse sullo sportello di Greg.
- Sicura che non vuoi altro? Ho imparato a fare i cornetti alla crema!
- Magari un’altra volta…
- Ne faresti uno per me, Greg?

A sua discolpa, più tardi, avrebbe detto che non se lo aspettava proprio, e che il capo aveva un passo troppo felpato per essere umano.
Audrey si girò di scatto, talmente veloce che si rovesciò il caffè addosso. Percy alzò un sopracciglio, un po’ sorpreso.
- È nervosa, signorina?
- No, no… è che… - Altro che nervosa… Lo diceva la McGranitt, che coi miei nervi si sarebbe potuto suonare un assolo di chitarra! - … mi scusi, è che lei è apparso all’improvviso e… Cavolo… - terminò, guardando con tristezza la maglietta viola che si tingeva inesorabilmente di marrone.
- Lasci, faccio io – La bacchetta di Percy eliminò rapidamente il danno. Eppure è una donna, dovrebbe saper fare questi incantesimi casalinghi! Mah… come cambiano i tempi…
- Greg, prepara anche tre caffè, per cortesia.
- Va bene, Weasley!
- Grazie… - mormorò la ragazza, imbarazzata, mentre le tazzine evanescevano.
- Dovere – rispose Percy, piegando gli angoli della bocca per cortesia. Le porse due tazzine di caffè. – Le piace molto?
- Cosa? Oh… No, una è per Adams - fece lei sorridendo. – Io non amo molto il caffè…
- Io invece vivo quasi solo di quello, ormai. Lei però è più saggia, è sempre meglio non abusarne. - Che cavolo dico?? Viva il caffè! Me lo diceva sempre mia madre che sono troppo educato…
Si allontanarono dalla macchina salutandola; dopo qualche passo, Percy sembrò pensare a qualcosa, e dopo un istante di indecisione parlò a voce più bassa:
- E comunque, se proprio vogliamo essere pignoli, Greg non è poi così bravo a fare il caffè. Conosco un posto dove è ottimo e lo servono a ogni ora…
- Davvero? Sarei curiosa di vederlo.
- Ma non ha appena detto che non le piace?
- Ecco... In verità non ho molta esperienza. Insomma, finora ho assaggiato solo quello di Greg e quello di mia madre, sempre che si possa definire caffè… -
“Non si dà confidenza agli sconosciuti!!” Improvvisamente la voce di sua madre interruppe il suo flusso di pensieri. Audrey guardò il suo capo e capì che, a lui, del suo rapporto col caffè, non gliene fregava assolutamente nulla. - Scusi, la sto annoiando…
- Niente affatto. - Il viso di Percy si distese mentre la guardava. Oddio, forse stavolta sorriderà! Dai… Per favore… Ma la speranza di Audrey rimase vana.
Erano arrivati davanti all’archivio. Un lieve imbarazzo scese su Audrey, che non sapeva bene cosa fare.
Ossia, lo saprei benissimo. Dico “Beh, grazie per aver salvato la mia maglietta preferita” e, con un’elegante piroetta, volto le spalle al signor Weasley e torno al mio lavoro e al mio animale da compagnia muto.
Prima che potesse aprire bocca, Percy la precedette.
- Comunque – disse – se vuole posso accompagnarla a quel bar. Così capirà cos’è un vero caffè. - Vide lo sguardo perplesso di Audrey e arrossì.
Che cosa ha detto?!
Che cosa ho detto?!

– Se… Se vuole, naturalmente… - Percy sentì che le orecchie stavano per andare a fuoco. D’improvviso si sentì come quando aveva quindici anni.
- Naturalmente… - ripeté lei piano, mentre rifletteva.
Il capo la stava invitando?
Sul serio?
Ma no, è solo una cortesia… Comunque, meglio andarci piano…
- Ecco, signor Weasley, non so se è il caso… Io…
- No, certo, capisco. Faccia conto che non le abbia detto niente, va bene?
Sollevato, Percy si diresse verso il uso ufficio.

Audrey rimase a guardare il signor Weasley mentre se ne andava.
La sua anima di lavoratrice dipendente era contenta: non si esce col capo, per nessun motivo, durante le prime due settimane di lavoro.
La sua anima di fidanzata fu ancora più contenta: non avrebbe dato motivo a Ben di sentirsi geloso (anche se non poteva assolutamente essere geloso di uno come il signor Weasley!)
Purtroppo, però, Audrey possedeva anche ciò che quasi tutte le donne possiedono: l’anima della leonessa.
Ma che fa? Mi invita, e poi è contento che io gli dica di no?
Le leonesse, per loro natura, tendono a essere piuttosto fiere e orgogliose.
Come si permette?
Non ci tengono ad essere scelte dal maschio: sono loro a dover scegliere.
Almeno provasse ad insistere! Un gentiluomo non si comporta così!
E se un maschio osa snobbarle, sono guai.
Groar!
Forse Percy percepì qualcosa dei pensieri di Audrey, perché si voltò e le disse:
- Mi scusi, sono stato un po’ maleducato… Avrei dovuto insistere…
La leonessa tornò a sdraiarsi sull’erba e fece le fusa, tranquillizzata.
- Ma no, non si preoccupi, in fondo è vero… Non è il caso che… ecco… usciamo insieme…
- Ne parla come se l’avessi invitata a cena!
- Beh, visto che lei vive solo di caffè, magari per lei potrebbe essere una cena…

Dovete sapere che Audrey Bennet aveva un vero e proprio talento per le battute idiote. Sapete, quelle che non fanno ridere, che quando le sentite vi contorcono lo stomaco e vorreste picchiare l’idiota che ve l’ha detta sentendosi spiritosissimo.
Ovviamente, però, Audrey non era idiota, ed era perfettamente a conoscenza del fatto che ogni tanto la sua lingua si scollegava dal cervello e diceva cavolate, come in questo caso.
Era già pronta a scusarsi, quando accadde.

Percy Weasley non sorrideva quasi più, da quando era solo. Non ne trovava ragioni. Non usciva con gli amici, non guardava film divertenti, non leggeva romanzi o fumetti, non faceva nulla. È difficile ridere se non hai qualcosa per cui farlo.
Tuttavia, in quel momento accadde.
Con quella battuta, pressoché insignificante e decisamente poco spiritosa, Audrey compì il miracolo. Le labbra di Percy si dischiusero in un largo sorriso, mentre gli occhi si stringevano. Il viso si allargò, e Audrey avrebbe potuto giurare che per un attimo le pupille avessero brillato. La ragazza era semplicemente sbalordita.
Lo fu ancora di più quando Percy, sempre con quel sorriso miracoloso sul volto, disse: - Alle sette, se vuole, mi aspetti all’uscita del Ministero, cercherò di staccare un po’ prima. - La salutò con un cenno della mano ed entrò nel suo ufficio.
Molto lentamente, come se avesse paura di rompere l’aria attorno a sé, Audrey rientrò, si sedette alla scrivania, bevve il suo caffè. Poi bevve quello di Adams. Senza smettere di fissare il vuoto di fronte a sé.
Adams non le disse nulla all’inizio, poi pronunciò la prima delle frasi che lo resero famoso nel reparto Archivi:
- Quando una donna beve il tuo caffè, puoi fare solo due cose: andare a prendertelo da solo, e chiederle con chi esce stasera.
- Adams…
- Tranquilla Bennet, la tua parte di lavoro la finisco io. Vado a bermi un caffè e torno.
Se Audrey fosse stata in sé, avrebbe preso nota del fatto che Adams aveva composto ben due frasi con addirittura quaranta parole. Ma Audrey, l’avrete capito, non era in sé.
E non lo era neppure Percy.

Per dieci minuti buoni il ragazzo stette a chiedersi se l’aveva fatto davvero.
“L’ho fatto davvero?”
Affermativo, rispose il cervello.
“Perché?”
Vuoi proprio saperlo?
“Certo! Perché l’ho fatto?”
Perché finalmente ti sei rotto di stare da solo. È da un po’ che fai il casto Giuseppe, amico mio.
“Che diavolo c’entra? Non ho mica quelle intenzioni lì!”
Fai male.
“Sono una brava persona, io. Ho rispetto per la gente che ho attorno”.
Ma non per te stesso. Te lo diceva sempre anche Penelope…
Fu allora che Percy riprese a lavorare. Tollerava tutto, ma non il pensiero di Penelope. Non ancora.

Alle sette in punto Audrey era sulla soglia del Ministero, aspettando il capo.
“Che brutto pensare che esco col capo… Diciamo che… Esco con Weasley! Ecco, mi pare un pensiero più normale. Esco con il signor Weasley. Già…”
“… Che poi, non è vero che ci esco. È per un caffè. Io non esco proprio con nessuno, ho già il ragazzo… Vado con il signor Weasley a prendere un caffè. Sì, perfetto.”
“… Ma poi, di che si parla quando si esce col proprio capo? Ecco, lo sapevo! Farò la figura dell’idiota, come al solito!”
“Aud, smettila di farti tutti questi problemi! È un caffè! Solo un caffè! Durerà un’oretta al massimo! E parlerete di caffè!”
“Quasi quasi vado via. Domani gli dirò che mi sono sentita male… Anzi, mi invento un attacco di appendicite, così sto a casa una settimana e finalmente finisco quel libro che sta facendo la polvere sul comodino…”
“Ma è solo un caffè! Non succederà nulla!”
… Ne sei sicura, Aud?
“Niente affatto…”

Ritorna all'indice


Capitolo 6
*** Un caffè - Parte 2 ***


Massì, dai... un nuovo capitolo a solo un giorno di distanza dall'altro. Sto ritrovando il mio affetto per questi personaggi, e sono molto felice di ciò... Mi sembra anche che la storia stia proseguendo bene, ma se così non è avvertitemi!
In calce ringraziamenti e una piccola spiegazione.




Un caffè - Parte 2



Era il locale più bello in cui avesse mai messo piede. Percy se n’era letteralmente innamorato la prima volta che vi era entrato, dopo un pomeriggio passato a girovagare a Diagon Alley. Entrando, si cambiava mondo: il piccolo caffè era a metà strada tra un comune bar e un pub irlandese, piccolo, poco affollato e pulitissimo. Un buon profumo di spezie si aggirava per l’ampio salone, in cui facevano bella mostra quattro tavolini di legno di noce. Le pareti, pressoché spoglie a parte alcune foto che salutavano amichevoli gli avventori, erano dipinte con colori caldi, e il camino acceso nella parete in fondo donava all’atmosfera un senso di calore e familiarità. Le uniche voci nel locale provenivano da un tavolo nell’angolo dove alcuni studenti di Magisprudenza ripassavano a voce bassa.
Come da galateo, Percy entrò prima di Audrey nel locale semivuoto.
- Ciao, Percy! - Il barista, un tipo alto e rotondo dal viso sorridente e corredato di due baffoni incredibili, lo salutò alzando una mano enorme. – Finisco con questi ragazzi e sono da te.
- Buonasera, Marcus. Hai tempo per farci due caffè? - disse Percy, non appena il barista ebbe portato agli studenti quattro bicchieroni di vin brulé.
- Due, quattro, venti… Tutti quelli che vuoi, Weasley, purché mi paghi! - La risata di Marcus era forte e rassicurante, e ad Audrey piacque molto. La aiutò a sentirsi subito più allegra.
- Per ora solo due, grazie - rispose il suo accompagnatore, anche lui visibilmente più rilassato.
- Come preferisci. Torno tra dieci minuti, intanto fai accomodare la signorina. - E strizzando l'occhio ad Audrey se ne andò.
Percy scelse un tavolo rotondo accanto alla finestra. Non appena si sedettero, sul tavolino apparve un vassoio con dei dolcetti.
- Usano lo stesso sistema di Hogwarts - disse Percy, rispondendo alla domanda inespressa di Audrey. – Marcus raccoglie e dà lavoro agli elfi domestici cacciati o fuggiti dai loro padroni. Li protegge, e intanto li rende felici facendoli lavorare moderatamente. È un uomo molto buono, e loro lo adorano. Beh, le famiglie ricche un po’ meno, ovviamente…
Audrey si limitò ad annuire. I due non avevano parlato durante il tragitto; nessuno osava oltrepassare il velo di disagio che si era creato da subito; ma (come affermò il giorno dopo Adams, pronunciando la seconda delle sue frasi storiche) nulla riesce a scaldare un animo timido come una tazza di caffè bollente, soprattutto se il caffè è ben preparato.
I due, tuttavia, continuavano a rimanere piuttosto silenziosi mentre aspettavano i loro caffè.
D’altra parte, diciamocelo seriamente, cosa vi aspettavate che si dicessero questi due?
Era la prima volta che Percy portava qualcuno in quel caffè. Era il suo “rifugio segreto”, dove andava quando non ne poteva più; ma più importante ancora era la prima volta da quando Penelope lo aveva lasciato che usciva con una persona. Non basatevi tanto sul fatto che fosse finalmente uscito con una donna: ciò che conta è che ha voluto passare del tempo libero con qualcuno. Magari a voi che non conoscete bene Percy può sembrare normale. Se però lo conosceste meglio capireste che non era poi così normale: Percy amava stare da solo, amava il silenzio che poteva creare attorno a sé e gli impediva di sentire anche i propri pensieri.
In più, quella sera era di un umore peggiore del solito: tra le pagine del suo ultimo fascicolo era comparso ancora una volta il solito bigliettino, con un gran "FALLITO" scritto in inchiostro rosso e vari disegni osceni sotto.
Comunque, Audrey non lo incoraggiava nella conversazione, e questo gli andava più che bene.
Sedevano ora senza guardarsi, sgranocchiando ciascuno un dolcetto. Percy sembrava piuttosto interessato ad un albero sul marciapiede, mentre Audrey si guardava intorno imbarazzata, sentendo su di sé gli sguardi degli studenti suoi coetanei.
I caffè arrivarono.
- Grazie, Marcus.
- È sempre un piacere, Perce.
Rumore di cucchiaini che mescolano lo zucchero.
- Ehm…
- Ecco…
- Come si trova al lavoro?
Una domanda semplice e normale. Audrey avrebbe sospirato di sollievo, ma si limitò a sorridere.
- Molto bene, grazie. Credevo fosse più pesante di quanto non sia in realtà.
- Ora dice così, perché siamo ancora a novembre. Aspetti di arrivare sotto Natale e ne riparleremo…
- La prego, non mi dica così! Preferisco illudermi di avere un lavoro piacevole e soddisfacente!
Per la seconda volta nell’arco della giornata, Audrey compì di nuovo il miracolo. Il ragazzo di fronte a lei fece un gran sorriso.
No, non ci credo… basta davvero una frase così stupida a farlo sorridere? Beh, meglio così…
- Va bene, allora non la distoglierò dalla sua illusione salvifica.
Questo la fece ridere di gusto. La tensione di stava decisamente allentando da parte di entrambi. E meno male… Vedi, Aud, che quando vuole riesce ad essere una persona qualsiasi? Ottimo…
- E con Adams? Come si trova?
La ragazza trattenne a stento una risata folle. Adams è una specie di oracolo silenzioso, parla solo quando deve, ma quando parla è geniale… O almeno credo, non ricordo cosa abbia detto oggi… Forse mi sto confondendo…
- È una bravissima persona, lavora molto e parla poco. Cioè, non parla affatto, ma quando lo fa parla per aforismi. Come ha fatto oggi…
- Oggi?
- Sì, ha detto qualcosa sulle donne che bevono il caffè altrui… Mah…
Tin tin. Lo zucchero di Percy non è ancora ben mescolato.
In quello di Audrey, però, Marcus ha fatto mettere il miele invece dello zucchero. Il barista sa sempre cosa potrebbe piacere di più ai suoi clienti e, in generale, alle persone che ha attorno (e questo, tra parentesi, fa di sua moglie una donna veramente felice e soddisfatta.)
- Comunque sono contento che ci si trovi bene. È molto penoso lavorare con colleghi antipatici o sgradevoli.
Piccolo silenzio, in cui Audrey si chiese se può fare o meno una domanda. Assaggiò il caffè dal cucchiaino, e il miele la rese audace.
- A lei è capitato?
Ma cos’è, una domanda personale? La facevo meno intraprendente questa qui… Ma dai Perce, mica ti ha chiesto quanti peli hai sulle braccia! Fai il bravo e rispondi, è una domanda così tanto per fare, certo, sì…
- Signor Weasley?
- Mi è capitato, una volta. - Gli tornò in mente il viso del suo collega: occhiaie, barba lunga, sguardo irrequieto, come se avesse sempre la febbre. - Ho lavorato per circa tre mesi con un tizio decisamente antipatico e poco raccomandabile, senza contare il fatto che sembrava ignorare le più comuni regole grammaticali… e igieniche.
- Tre mesi? Perché, poi se n’è andato?
- Più o meno. - Deglutì. Era una vecchia storia, ma ancora tremava al pensiero. - È finito ad Azkaban.
Quella frase congelò Audrey. Azkaban? Aveva una voglia matta di chiedere come mai ci fosse finito, ma per un breve istante le venne in mente l’idea che poteva benissimo averlo denunciato proprio il signor Weasley. E comunque, lo sguardo del capo tradiva una certa emozione nel ricordare quel fatto, quindi non si arrischiò a chiedere di più. Calò ancora una volta il silenzio. Gli studenti avevano smesso di parlare e stavano radunando i libri, mentre una coppia di giovani entrava e si sedeva ad un tavolo poco distante dal loro.
Da un bel po’ i cucchiaini avevano smesso di tintinnare.
Il ragazzo ritrovò la parola, con una strana voce bassa e delicata.
- Assaggi il suo caffè, signorina, e mi dica se non è il migliore che abbia mai assaggiato. Freddo non è più la stessa cosa.
Poco convinta, Audrey portò la tazzina alla bocca. Lei non amava il caffè, ma sentiva su di sé lo sguardo del capo, in attesa del suo verdetto.

Quando il caffè è davvero buono, lo si capisce subito dall’odore. Il caldo che avvolge le narici nasconde un aroma profondo che viene liberato a poco a poco. È quell’aroma che ci fa chiudere gli occhi mentre assaggiamo la bevanda.
Non appena la nostra bocca viene a contatto con il caffè – il buon caffè – si produce una qualche reazione che ci fa trattenere, ad ogni sorso, un po’ del buon sapore (amaro, ma non sgradevole) del nostro caffè, sprigionandolo poi di volta in volta anche quando l’abbiamo già finito. Una simile reazione si ottiene con pochissimi altri alimenti, ed è per quello che il buon caffè è superiore al tè, al latte e ad ogni altra bevanda che gli uomini abbiano scoperto o inventato (eccetto forse qualche tipo di vino).
Ed è per quello che Audrey, riaprendo gli occhi dopo aver bevuto il caffè di Marcus (che è tuttora il più buono in circolazione) poté dire a Percy, con voce sognante e un gran sorriso:
- Buonissimo…
Istintivamente Percy rispose al sorriso:
- Ne ero certo.
Si guardarono, ora completamente rilassati. Percy stava per bere il suo caffè, sempre fissando gli occhi in quelli di Audrey (era convinto che fossero marroni, invece erano di un verde molto scuro) quando vide, con la coda dell’occhio, qualcosa fuori dalla finestra che gli fece fermare la tazzina a mezz’aria e girare la testa di scatto.

Mamma.
Fred.
George.
Bill.
Quattro teste rosse su altrettanti corpi familiari.
Non lo avevano notato, ma Percy non poteva fare a meno di guardarli. La mamma era dimagrita molto (saranno anni che non mette quella gonna). Fred e George la stavano prendendo in giro per qualcosa, e lei sorrideva, ma non era il suo solito sorriso. Sembrava… appannato.
Bill, vicino a loro, aveva il braccio intorno alla vita di una bellissima ragazza bionda, che forse Percy aveva già visto da qualche parte.
Si rese conto che anche Audrey li stava fissando. Distolse lo sguardo e lasciò due falci sul tavolo.
- Meglio che vada, si è fatto tardi.
Audrey non osò replicare. Qualche secondo prima avrebbe voluto sapere chi erano quelle persone così simili al suo capo, ma ora non era più così sicura di volerglielo chiedere.
Ogni volta che sta bene, arriva qualcosa a ricordargli che soffre. Solo che non si riesce a capire per che cosa soffra…
Sentì, inaspettatamente, un moto di tenerezza per quell’uomo dal viso serio e malinconico e le spalle improvvisamente ingobbite (ma si può dire uomo? Avrà ventun anni al massimo, è solo un ragazzo…).
Fuori dal suo incarico di lavoro era facile capire che i continui malumori del signor Weasley erano dovuti a qualcosa di più del semplice stress.
Ma per quale motivo…?

I pensieri di Percy erano più o meno dello stesso tipo.
Un momento di tranquillità, chiedo tanto? Prima la storia di Wallace, ora… Mai un momento un cui possa sentirmi bene, mai… Fortuna che almeno questa qui non fa domande, ci mancherebbe solo che scoprisse dei miei…
Audrey l’avrebbe scoperto comunque, un minuto dopo, mentre stava per smaterializzarsi con Percy.
- È pronta?
- Sì…
- Guarda guarda - Il viso di Percy congelò.
No…
- Mi sembra di aver già visto un muso simile da qualche parte.
Non adesso…
- Forse in qualche film dell’orrore, George.
Non loro…
- Naa, chi sarebbe il folle che userebbe un attore così per il suo film?
Non con lei…
Lo scambio di battute era avvenuto tra due gemelli vagamente somiglianti a Percy. Audrey lo guardò interrogativa, e vide che gli occhi di lui fiammeggiavano mentre i due ragazzi si avvicinavano.
- Allora, Perce, nemmeno un salutino ai tuoi fratellini preferiti?
Percy non rispose. Odiava il loro modo di sfotterlo. Odiava dar loro pretesti per deriderlo. Istintivamente cercò dietro di sé una via di fuga, ma trovò solo il muro di una casa.
- Quanto sei antipatico, Perce. E dire che noi ti abbiamo pensato spesso.
- Già. Deliziosa, la tua segretaria, Minnie. Faceva in modo di farti avere sempre i nostri affettuosi bigliettini…
Domani giuro che prima uccido Minnie, poi la licenzio.
Audrey aveva percepito un pericolo. Si assicurò di avere la bacchetta a portata di mano, per ogni evenienza.
- E questa qua? Chi sarebbe? - fece uno dei due, accorgendosi di lei.
- Tu dovresti essere il rimpiazzo di Penelope - gli fece eco l’altro. - Sei proprio ridotto male, Perce… Una volta avevi un gusto decisamente migliore…
Se ne avesse avuto il tempo, Percy gli sarebbe saltato alla gola. Ma non ne ebbe il tempo, perché Audrey li aveva già stesi entrambi con un unico Schiantesimo.
Rimasero fermi un istante, entrambi increduli, a guardare i due distesi a terra, poi Audrey prese Percy per una manica e lo trascinò lontano.
Si smaterializzarono di corsa, sperando che nessuno li avesse visti.
- Mi dispiace…
Audrey non rispose. Non fece nessuna domanda.

- Sono davvero mortificato. Non doveva succedere…
Percy aveva accompagnato Audrey vicino casa; non si sentiva sicuro, e sentiva il bisogno di scusarsi ancora, nonostante lo avesse già fatto più di una volta durante il tragitto.
- Non si preoccupi. È tutto a posto.
- Non una parola in ufficio, per favore.
- Nessun problema.
Percy tacque, indeciso se parlare o no. Decise di farlo. – Comunque… beh… bell’incantesimo.
Il viso di lei si illuminò. – Grazie… Sono cresciuta con quattro cugini, tutti maschi, e ho dovuto imparare a difendermi per bene…
A quelle parole Percy fece una smorfia addolorata, ma confidò che con la penombra non si fosse notata.
Anche sua sorella Ginny era brava con gli incantesimi, perché era cresciuta con sei fratelli maschi.
Sentì il cuore stringersi come una spugna.
Ancora e ancora… sempre sempre loro ovunque io vada, chiunque veda…
- Mi dispiace molto - disse.
- Si è già scusato, signor Weasley. Buonanotte…
- Grazie.
Il tono di voce era tristissimo, quasi sconsolato. Audrey provò ancora un istinto protettivo e quasi materno per quell’uomo che non capiva.
- Grazie a lei. A domani.

La notte passò, e portò via qualche pensiero cattivo lasciandone molti belli.
Tra questi, il viso di Percy che sorrideva era il preferito di Audrey.



************************************************************************************************************************
Eccomi qui! Allora, per prima cosa i ringraziamenti alle mie 2 recensore e a chi ha letto la storia; poi il mio chiarimento:
la prima volta che pubblicai questo capitolo mi venne fatto notare che Fred e George Weasley apparivano molto più cattivi di come siano poi in realtà. Bisogna però ricordarsi che in quel periodo ce l'avevano a morte con Percy perché aveva abbandonato la famiglia per seguire il suo sogno di potere (cosa per cui, almeno nelle mie storie, Penelope Light, la fidanzata rowlingiana, lo avrebbe lasciato). Non è un odio da malvagità, quindi (e me ne guarderei! Fred e George malvagi?? piuttosto smetto di scrivere!!!)

Ritorna all'indice


Capitolo 7
*** Risa e lacrime ***


Risa e lacrime




Se lo meritava.
Un altro calcio raggiunse la scrivania di legno.
Se lo meritava.
Se lo meritava.
Imbecille.
Meschino, codardo.
Aveva detto addio alla sua famiglia per un motivo stupido e idiota; avrebbe meritato anche più del disprezzo che gli pioveva addosso dai suoi fratelli.
Se lo meritava.
Stronzo.
Al quinto calcio, il piede iniziò a dolergli. Si fermò, ansante.
Per il lavoro aveva lasciato sua madre.
Per il lavoro Penelope lo aveva lasciato.
Cosa gli era rimasto, ora?
Solo disprezzo.
Un ultimo calcio, poi più nulla.

Niente di tutto ciò poteva essere colto da Audrey.
Come diceva sempre la mamma, le donne Bennet sono sempre inguaribili romantiche; e lei, infatti, non riusciva proprio ad odiare il capo, nonostante i malumori e le espressioni antipatiche. Per lei, il capo era semplicemente un tipo particolare.
Un po’ fissato, ma in fondo gentile, deciso; sembrava (era un paragone un po’ scontato, ma perfetto) sembrava un’ostrica. Le ci sarebbe voluto del tempo, molta pazienza per scoprire cosa conteneva quell’impenetrabile guscio di serietà e malinconia. Ma giurò a se stessa che ce l’avrebbe fatta.

E pensare che stava per… Stava…
La rabbia montò in lui, incontrollabile.
Perché, si chiese urlando silenziosamente dentro di sé, perché tutto ciò che sfioro, tutto ciò che è bello mi appassisce davanti?
Minnie era stata solo un altro scherzo dei gemelli.
La Bennet…
Audrey…
Era certo, era ovvio che avrebbe dovuto una spiegazione a Audrey. Ed era altrettanto ovvio, che dopo quella spiegazione lo sguardo di quella ragazza – così limpido, così semplice, così avvolgente – sarebbe diventato uguale a quello di tutti gli altri.
Solo poche ore prima, vi aveva visto comprensione, un piccolo misero meraviglioso barlume di comprensione.
D’ora in avanti vi avrebbe letto pena, disprezzo, fastidio, antipatia.
Odio.
Stavolta fu un pugno a raggiungere il muro.

Non era una persona come le altre, questo era certo.
Se le avesse mostrato solo il lato burbero e maniacale, l’avrebbe allontanato con tutte le sue forze. Eppure non riusciva a togliersi dalla testa la sensazione delle mani di Percy che la costringevano a rimanere sdraiata quando era svenuta, o il suo viso trasformato da un imprevedibile sorriso.
Aveva un modo di mostrarsi gentile molto delicato, come se avesse paura di rompere ciò che toccava.
Sentì qualcosa stringerle le viscere, e per un momento pensò a Ben, al suo ragazzo.
Erano le stesse sensazioni che aveva provato le prime volte che si erano visti. Scacciò questo pensiero.
Ben era Ben, senza dubbio.
O forse qualche dubbio c’era?
Uno strano pensiero le attraversò la mente.

Mise le nocche sanguinanti sotto l’acqua gelida. Poi ci mise la testa.
Sentì il freddo penetrargli tra i capelli, nelle ossa, fermargli la rabbia e lo sconforto.
Quando alzò la testa e guardò lo specchio, dovette chiudere e riaprire gli occhi perché non credeva a quello che vedeva.
Stava piangendo.

Ma avrebbe fatto bene?
Poteva lasciar perdere Ben, una certezza nella sua vita, per buttarsi nell’ignoto, in un baratro in cui rischiava di farsi molto male, solo per un attacco di romanticismo?
Ma era davvero così certo Ben, nella sua vita?

Piangeva.
Piangeva per sua madre, per il sorriso smorto che non aveva mai visto prima di quel pomeriggio sul suo volto paffuto.
Piangeva per Penelope, perché tra lei e il lavoro aveva fatto la scelta peggiore e più ignobile.
Piangeva per i gemelli, che l’avevano trattato con volontario disprezzo, come a dimostrargli quanto poco valesse ancora ai loro occhi.
Piangeva per Audrey, per le poche ore passate assieme come esseri umani, per lo sguardo che non gli avrebbe più rivolto.
Piangeva perché sapeva che non lo avrebbe mai più accettato, non dopo aver scoperto chi era davvero.
Piangeva, perché l’aveva persa prima ancora di sapere se e come avrebbe potuto amarla.

Audrey si addormentò tranquilla, ancora pensando al primo sorriso di Percy.

Percy pianse, finché l’alba non lo trovò rannicchiato sul pavimento.

Ritorna all'indice


Capitolo 8
*** Un Paguro al Ministero ***


Un Paguro al Ministero





Le giornate negli uffici diretti da Percy non furono mai così tese come in quella settimana.
Il mattino immediatamente successivo al suo incontro coi gemelli, Percy Weasley cacciò via la sua segretaria storica, Minnie, badando bene che ciò avvenisse nel modo più chiassoso possibile, per aumentare la vergogna e l’umiliazione della ragazza.
Ad Audrey faceva pena. Provò a fermare Minnie mentre scappava via in lacrime nel corridoio, ma lo sguardo di ghiaccio di Percy, fermo sulla soglia del suo ufficio, la bloccò.
Tornò alla sua scrivania che tremava visibilmente.

- Quando una persona soffre e rifiuta ogni aiuto, è bene che sia da sola con se stessa, per non imporre la stessa sofferenza agli altri.
- Non sono d’accordo.
- Non sei obbligata ad esserlo.
Audrey ci rinunciò. Parlare con Adams quel giorno era inutile e controproducente.
- Quel tipo ha bisogno di aiuto! Non vedi com’è chiuso, triste, ferito? Ieri…
- Sì? - fece Adams, il cui interesse si era risvegliato.
- Niente, niente…
Audrey aveva scoperto in Adams una persona non molto loquace, ma decisamente portata per l’ascolto. Forse era per questo che era sempre in grado di dire la frase giusta al momento giusto.
La ragazza ammirava quel modo di fare di Adams. Talvolta le sembrava un filosofo: trent’anni, bella presenza, aveva una postura e un tono di voce invidiabili, e se non parlava molto era perché “le parole superflue sono quelle più dannose”. Probabilmente, si disse Audrey, si sarebbe potuta invaghire di lui, se non fosse stata più che certa che era gay.
- Va bene, non parliamo di ieri. Di cosa vuoi parlare? Del tuo appuntamento col capo?
La ragazza si riscosse. Appuntamento. Capo.
Ah sì, proprio un bel momento per parlarne. Come no.
Non era giusto parlare di quello che era successo. Almeno non con Adams.
Tantomeno poteva chiedere spiegazioni al signor Weasley. Intuiva, senza ombra di dubbio, che farlo sarebbe stato come versare del sale su una piaga ancora aperta; meglio quindi non cercare di spiegarsi le parole dure e gli sguardi cattivi di quei due ragazzini che la sera prima avevano insultato il capo.
Tuttavia, ora bisognava rispondere; cercò di assumere un atteggiamento sdegnoso.
- Appuntamento? Di che parli?
- Di quando siete andati a prendere il caffè, ieri; esattamente la sera prima che Minnie fosse licenziata.
- Oh. Ecco, non era un appuntamento, solo…
- … un’uscita insieme?
- No! - Audrey arrossì. - Non era nulla! Non c’era nessuna seconda intenzione, né altro!
- Strano. Perché ieri non eri così interessata al fatto che il capo fosse chiuso, triste e ferito, anzi direi che te ne fregavi altamente.
Audrey ammutolì. Touché.
Anche Adams ora stava zitto. Aspettava che fosse lei a parlare.
Ma il suono del corno, che annunciava la fine della giornata lavorativa, concluse il dialogo.

Passò un giorno. Due. Sempre uguali, sempre tesi. Percy non salutava nessuno, si rinchiudeva nel suo ufficio e ne emergeva la sera, sempre più tardi.
Tutto ciò per evitare Audrey; per evitare l’espressione di disagio che certamente aveva assunto il suo viso, e soprattutto per evitare di doverle chiedere scusa per il pessimo spettacolo offertole quella sera.
In realtà, Audrey non ci pensava già più; l’unica sua preoccupazione era l’evidente depressione del capo. Adams era costretto ad ascoltare i suoi monologhi ogni mattina.
- … Perché non è possibile, gli esseri umani non sono fatti per stare soli in questo modo. Deve essergli successo di sicuro qualcosa, altrimenti non sarebbe così depresso né così triste. E poi che diamine, avrà al massimo ventun anni come me, mi rifiuto di pensare che uno così non viva come dovrebbero vivere tutti i ventenni, cavolo!
Finita questa frase, si voltò verso Adams. Lui non la guardava, sembrava perso in un pensiero tutto suo. Alla fine la guardò, in modo strano, e disse:
- Se davvero lo vuoi, devi andare a prendertelo. Esistono molti altri uomini come lui, ed hanno questa costante: si sentono come dentro una vetrina. E sei tu a dover aprire la vetrina e prenderteli, e se non hai la chiave devi romperla.
Dopodiché, riprese a lavorare come se niente fosse. Audrey invece era piuttosto scioccata. Cos’era preso ad Adams? Era forse impazzito?
- Adams, ma che diamine dici, io non…
- Allora, si lavora o si fa vacanza qui?
Audrey quasi saltò sulla sedia. Percy si era affacciato nell’archivio, e stava guardando verso Adams.
- Mi scusi, signor Weasley, io…
- Signorina Bennet, eviti scuse inutili - fece, guardandola.
Erano tre giorni che evitava il suo sguardo, tre giorni da quando erano usciti insieme. Ora era lì, e lei gli chiedeva scusa.
Tenne lo sguardo in quello di Audrey per due secondi, poi si rivolse di nuovo ad Adams con voce più pacata: - Sono le dieci e mezza, se volete potete fare una pausa di un quarto d’ora. Io tornerò per le undici. - Detto questo uscì.
I due dipendenti rimasero ammutoliti. Poi Adams guardò Audrey uscire dalla stessa porta da cui si era affacciato il capo, quasi inseguendolo.
- Brava, ragazza - disse fra sé.

- Signor Weasley…
Percy sobbalzò. Non si aspettava di essere stato seguito da lei.
Si voltò, cercando di mantenere il suo contegno distaccato. - Ha bisogno di qualcosa, signorina Bennet?
Audrey arrossì. Lo aveva seguito quasi automaticamente, e non aveva la più pallida idea di cosa voleva dirgli, adesso.
- E-ecco… io… volevo scusarmi con lei, signor Weasley.
Mai le sopracciglia di Percy avevano raggiunto l’altezza a cui arrivarono in quell’istante.
- Scusarsi? M-ma…
- Sì, voglio scusarmi. Il fatto è che… - Audrey ora parlava tutto d’un fiato, senza pensare. - Il fatto è che mi sento in colpa per il suo malumore, perché se non mi avesse offerto quel caffè e io non avessi accettato… cioè, se lei me lo avesse offerto e io avessi rifiutato, ora lei non sarebbe così di malumore e non soffrirebbe, voglio dire, non so se soffre però sembra di sì e allora mi sento in colpa, ecco.
Percy dovette fare uno sforzo di comprensione non indifferente. Quella pazza – perché deve essere pazza, non c’è altra spiegazione! – invece di offendersi e chiedere spiegazioni del modo in cui era stata tratta da due perfetti sconosciuti, si stava scusando per non si sa quale motivo!
Delirio puro. E ora che cavolo le dico?
- M-ma signorina… Non credo proprio che si debba sentire in colpa… insomma, dovrei essere io quello in colpa… e in effetti lo sono. No, cioè, perché è lei che è stata trattata male, non io… Beh sì, in realtà volevano insultare me insultando lei, ma hanno insultato anche lei quindi dovrebbe essere arrabbiata... Ma non è arrabbiata? - disse tutto d’un fiato anche lui, arrossendo sempre di più e chiedendosi alla fine che cosa avesse detto.
Anche Audrey non capì bene lo sproloquio velocissimo in cui si era lanciato il capo, e rispose solo: - Arrabbiata? N-no. Credo di no. Cioè, non ci ho proprio pensato. L’ho vista triste ed ero triste…
…triste? Come, triste! Non puoi essere triste per me! Nessuno è triste per me!
No, questa non è la frase che disse Percy, anche se avrebbe voluto. La frase che disse fu:
- … Ah. Ah, bene. Sì, ho capito.
Seguita da qualche secondo di silenzio da parte di entrambi.
- Ehm… Beh, io tornerei in archivio…
- Non sono triste. Sto bene. Sul serio. Non voglio che si preoccupi.
- Va bene, sono contenta allora - Audrey sorrise involontariamente. - A dopo, signor Weasley.
- A dopo, signorina…

Merlino, è preoccupata per me! È triste perché io sono triste! Non è normale… non è normale per niente…
Come non era normale la stretta allo stomaco che Percy stava iniziando a provare.

Ehi, romanticone. Piantala. Tanto non hai speranze. Non hai visto che razza di figura hai fatto poco fa?
“Ma perché devo sempre sembrare un idiota di fronte a lei?”
Perché tanto sai che non hai speranze, vecchio mio.
“Questo lo vedremo! Non ci voglio ancora rinunciare.”
Ma davvero?
“Sì. E che diamine, non posso stare sempre a piagnucolare rimpiangendo l’amore perduto.”
Ok, se vuoi lanciarti in languidi sogni smielati fai pure. Ma in quanto tua parte razionale sono tenuta ad avvisarti: non so se lei sarà d’accordo.
“E perché?”
Si fermò. Effettivamente, c’erano un miliardo di risposte a quel perché.
E su tutte campeggiava, a lettere cubitali, la parola “Fallito”.
“Oh, al diavolo!”

Finalmente, anche quella settimana infernale terminò. Dal momento della conversazione con Audrey, cinque giorni prima, l’umore di Percy era decisamente migliorato: se prima era nero con sfumature grigiastre, ora virava verso un giallo acceso. Forse c’era qualche strano collegamento con le scelte vestiarie di Audrey, che quel mattino aveva una camicia giallo girasole.
- Ma, sinceramente, che ne pensi del capo?
- Mah. Il rosso non è proprio il mio colore. E poi, non sembra molto socievole.
- Nemmeno tu lo sembri, però.
- Che c’entra? Io piaccio agli altri così come sono. E comunque, ho già la testa altrove…
- Ah sì? E chi è il fortunato?
- Non lo conosci. Fa il musicista in un pub Babbano. È l’unica persona con cui riesco davvero a stare bene.
- Allora siete fortunati entrambi.
- E tu, col tuo ragazzo?
Audrey ci pensò su. Come andava con Ben?
Negli ultimi giorni i loro rapporti erano stati un po’ tesi; Ben, infermiere al San Mungo, ultimamente era sovraccaricato di lavoro, ma non era la prima volta: e di solito trovava sempre uno spazio per Audrey. Ora invece era sempre evasivo, e se parlava con Audrey finivano quasi sempre a discutere. Tutto ciò da ben sette giorni ormai.
La mamma ormai non le risparmiava più le frecciatine sull’infedeltà congenita degli uomini, e anche lei iniziava ad avere seri dubbi sul loro rapporto.
Ad esempio: come mai non le veniva più voglia di telefonargli? La sera prima non si erano sentiti, e nemmeno le due precedenti; entrambi però si sentivano sollevati.
Chi dei due stava sbagliando, chi stava cambiando? Lei, lui, o entrambi?
O era una cosa normale, in una coppia? È normale che ci si stanchi per un po’ della compagnia dell’altro? Ed è una cosa che passa, oppure poi finisce tutto?
Avrebbe voluto parlarne con Adams, e stava per farlo, ma poi cambiò idea.
Sorrise, e disse:- Benissimo. Alla grande.

Altri tre giorni, altri cinque, sette. Il tempo negli uffici di Percy volava.
Il capo aveva iniziato a chiacchierare sempre più spesso con Audrey e Adams; di quest’ultimo, aveva la stessa opinione di Audrey: un dandy in jeans, decisamente portato per l’ascolto e pieno di una saggezza pratica quasi incredibile.
Audrey poi… profumava di mela. Se avesse dovuto descriverla non avrebbe saputo che altro dire. Ormai quello strano profumo era ovunque: sulle carte della scrivania, nel bagno, nel corridoio. Valeva la pena affacciarsi nell’archivio solo per assaporarne un po’.
Percy si rese presto conto che, se anche avesse deciso di evitare Audrey, proprio non ci sarebbe riuscito : come gli veniva voglia di andare da Greg, la trovava già lì a prendere il caffè per sé e per Adams. Se aveva bisogno del bagno era certo di incontrarla mentre vi usciva, e viceversa. Eppure (si ripeteva ogni volta) non gli dispiaceva affatto. Proprio per niente.
Gli sembrava di essere tornato ai tempi di Hogwarts, quando dopo una dura lotta contro se stesso aveva preso Penelope per un braccio e l’aveva condotta a fare una passeggiata al lago bigiando un’ora di lezione*. Sentiva la stessa incertezza, e al contempo un qualcosa che gli diceva di tentare comunque, perché poteva essere la volta buona. Il problema di capire che cosa tentare era, ovviamente, secondario.
D’altra parte, quando la ritrovi una ragazza che profuma di mela e ti fa sorridere solo guardandoti? Nemmeno Penelope ci era riuscita, negli ultimi tempi. E più continuava a vedersela passare nei corridoi, accorgendosi di come spiava il suo umore per capire se fosse triste o allegro, più si rendeva conto che, se c’era qualcuno che avrebbe potuto capirlo davvero a fondo, forse quel qualcuno era proprio lei.

Un mercoledì Percy era pronto a prendere il toro per le corna.
Mamma mia che brutta immagine. Ma non esisteva una metafora un po’ migliore? È atroce! Audrey non è mica un toro, né credo abbia le corna!
Immagini poetiche a parte, il ragazzo si era deciso. Non serviva a nulla rimanersene rintanato. Audrey avrebbe scoperto la verità sul suo conto? Avrebbe scoperto quanto era meschino? Meglio! Era stufo di nascondersi da tutto e da tutti. Aveva bisogno di aprirsi, di dimostrare a qualcuno che poteva essere migliore di quanto sembrasse. E voleva dimostrarlo a lei; perché lei era stata triste quando aveva intuito che lui lo era. Perché qualche recesso profondo del suo animo gli diceva che era lei la persona giusta, più ancora di quanto lo fosse stata Penelope, che pure aveva amato tanto.
Come previsto, la trovò davanti a Greg. Le venne alle spalle, controllando che non avesse i caffè in mano.
- Pausa caffè?-
Stavolta, però, Audrey non sobbalzò. Si era abituata al passo felpato del capo. - Già. Adams ha fatto le ore piccole, ed ha bisogno di un supporto.
Prese il caffè, e attese che anche Percy lo prendesse. Si allontanarono, e quando furono a debita distanza dalla macchina parlante Percy le fece: - Dica, ancora riesce a bere questo caffè dopo aver assaggiato quello di Marcus?
- Anche lei ci riesce, a quanto vedo - fece lei, ridendo piano e facendo sorridere anche Percy.
Il ragazzo esitò un momento, controllando il batticuore da quindicenne che lo stava assalendo a tradimento. – Se le va, possiamo… tornare da Marcus per un altro caffè, oggi, e…
Ma non terminò la frase. Si era accorto che Audrey non guardava più lui, ma si era voltata verso il corridoio con gli occhi spalancati. Si girò, e sentì dire ad Audrey: - Ben! Cosa ci fai qui?

Il giovane alto e biondo la salutò con un sorriso da attore americano.
- Sono venuto a trovarti - disse, dando un bacio sulla guancia ad Audrey. - Dici sempre che non mi faccio mai vivo e che ti trascuro, così eccomi qui. - Corrugò la fronte. - Ti dispiace?
- Certo che no! - Audrey sorrise, dicendosi che doveva essere felice, anche se una parte remota di sé si chiedeva perché mai fosse lì e quando se ne sarebbe andato.
Ci mise poco a riprendersi dalla sorpresa, comunque: si rese conto che il capo era ancora lì, e sarebbe stato scortese non presentarlo.
- Ehm… Ben, ti presento il mio capo, il signor Weasley; capo, questo è Ben.
Ben tese la mano a Percy, sorridendo un po’ intimidito; aveva sentito molto parlare dell’assistente del Ministro.
Da parte sua, Percy era una statua di sale.
Basito.

Chi diamine era quel ragazzino? Cosa ci faceva lì? Che voleva quella specie di yankee con la faccia da mollusco, quel… paguro al Ministero? Era davvero venuto a trovare Audrey?
Gli strinse la mano in una morsa, fissandolo con due occhi gelidi che avrebbero fatto invidia a Piton.
Audrey passava lo sguardo dall’uno all’altro, intuendo che stava passando qualcosa tra i due uomini ma non riuscendo a capire cosa. Presentendo una vaga minaccia, Ben disse: - Molto lieto. Ho sentito molto parlare…
- Piacere mio - mormorò Percy tra i denti, stritolandogli la mano.
Ora anche Audrey era decisamente preoccupata. C’era aria da duello. Ben sorrise ancora una volta (Ma che sorriso insulso che ha! Da dove viene ‘sto tizio?) poi cercò di liberarsi dalla stretta. - Ehm…
- Oh, mi scusi… - ghignò Percy senza farsi vedere da Audrey. Dopodichè cadde il silenzio. Ben era intimorito, nonostante avesse quattro anni e cinque centimetri più di Percy; questi era ben deciso a non rivolgere più una parola a quel paguro, limitandosi a guardarlo sdegnosamente; infine, Audrey non sapeva cosa dire per stemperare la situazione.
Ci pensò Adams, che uscì dall’ufficio gridando: - Non c’è nessuno che voglia essere così caritatevole da arrecarmi il conforto di un buon caffè?
- Ben, quello è Adams, il mio collega - fece Audrey, sollevata dal diversivo.
- Salve, sono Ben. - Il ragazzo riprese finalmente a respirare.
- Ah, il fidanzato di Audrey! Molto lieto!
Adams rivolse alla ragazza uno sguardo di apprezzamento (il rosso non era il suo colore, ma il biondo sì), ma non si accorse delle fiamme che uscivano dalle orecchie di Percy.
Fidanzato?
Fidanzato?
Fidanzato?
- Ah. Congratulazioni, Bennet. Non sapevo fosse fidanzata - borbottò, senza guardarla. Lo prese una specie di delusione, qualcosa che non sapeva spiegarsi.
Audrey si sentì molto imbarazzata, anche lei senza capire perché. - In realtà non siamo proprio fidanzati… è il mio ragazzo, e…
- Bene, buon divertimento. Io torno al lavoro. Signorina Bennet, voglio i fascicoli degli atti di compravendita immobiliare del 1983 dalla A alla N sulla mia scrivania per le due di pomeriggio.
Rientrò nell’ufficio senza salutare nessuno, lo stomaco praticamente ridotto alla metà dalla solita morsa che lo attanagliava da giorni. Stavolta, però, più dolorosa.

- Ripetimi quello che ha fatto.
- Beh, stava parlando… poi quando ha visto Ben si è congelato. Pensa che se n’è andato senza salutare.
- Le cose sono due. O è un gran maleducato…
- Oh no, anzi, è una delle persone più educate e precise che…
- … oppure è geloso.
Audrey divenne paonazza, e per fortuna la madre, dall’altro capo del telefono, non se ne accorse. Geloso?
- Geloso?
- Perché no?
- Ma mamma… è il mio capo! Non può essere geloso!
- Mah, vedila come vuoi…
Il signor Weasley geloso… che assurdità… solo la mamma poteva pensare una cosa del genere.

Io? Geloso? No! Mai!
Non c’era niente da fare. Quella notte non avrebbe dormito.
Gettò via da sé le coperte e iniziò a girare per la casa così com’era, in maglietta e mutande, senza preoccuparsi dei piedi che si stavano congelando.
Non posso essere geloso, non devo… non ne ho il diritto! È fidanzata… con un paguro, è vero, ma è già occupata. Devo solo farmene una ragione.
Nemmeno la birra fredda lo fece stare meglio. Allora fece ciò che tutti gli esseri umani, maghi e Babbani, fanno quando non devono pensare.
Si mise a lavorare.





* questo è un riferimento a "Un prefetto imperfetto", storia, ovviamente, su Percy!

Grazie per i commenti e per aver messo nei preferiti/seguiti/ricordati!!!!!

Ritorna all'indice


Capitolo 9
*** Inviti... tardivi ***


Inviti... tardivi




- Ha l’aria stanca, signor Weasley. Ha dormito male stanotte?
Magari avessi dormito! Invece il tuo stupido Paguro mi ha tormentato tutta la notte, come ieri e l’altro ieri!
- No, signorina Bennet. Ho solo lavorato fino a tardi.
- Capisco - rispose lei. - Il capo deve sempre dare l’esempio, eh?
Percy aggrottò le sopracciglia. Che razza di commento era?
- E questa filosofia spicciola, da dove viene? Da Adams, forse?
- No, è che ho fatto gli scout da piccola. Era una frase che sentivo spesso ripetere dai miei capi.
- Non le hanno dato un grande esempio, se ha lasciato perdere gli scout.
- Beh, sarebbe stato difficile continuarli, dovendo stare ad Hogwarts. E non tutti avrebbero apprezzato la mia capacità di montare le tende con una bacchetta.
- Capisco. Conflitto d’interessi, eh?
- All’incirca…
Scuotendo la testa, Percy rientrò in ufficio. La scoperta del fatto che la Bennet era fidanzata lo aveva messo parecchio di malumore (ma, più di tutto, era stata la scoperta che il Paguro era una specie di Mister Regno Unito più alto di lui di almeno una testa). Tuttavia era riuscito a superarlo grazie ad Adams.
Il suo dipendente, due giorni prima, lo aveva letteralmente bloccato in corridoio e gli aveva detto, col suo classico cipiglio da poeta dandy:
- Non creda di potersi arrendere così facilmente, lei.
- …
- C’è una bella differenza tra lei, signor Weasley, e quel biondino, e conoscendo sufficientemente Audrey e la sua intelligenza devo dire che non avrei dubbi circa un suo eventuale orientamento nel caso lei decidesse di non gettare via quello che sta creando.
-…
- Buona giornata, capo.
Al di là della confusione momentanea in cui lo aveva gettato il discorso senza capo né coda di Adams, dopo averci riflettuto lungamente aveva capito che il ragazzo gli stava dicendo di ritentare e di non arrendersi di fronte al Ben-Paguro.
Anche se non del tutto convinto, aveva deciso che, in fondo, quella che gli aveva portato Adams era una buona notizia.

- Adams, ho paura di aver fatto un danno.
- Di che genere?
Audrey sospirò. Si sentiva a disagio a parlare di qualcosa che non conosceva bene, ma doveva farlo.
- Non so se ho fatto bene a presentare Ben al capo.
- E perché?
Già. Perché? Perché aveva quella sgradevole sensazione?
Era una cosa del tutto normale. Il suo ragazzo era venuto a trovarla in ufficio, il suo capo era lì presente, e lei li aveva presentati. Stop.
- Non lo so, Adams.
- Forse perché il capo lo ha praticamente scuoiato vivo con lo sguardo?
- Può darsi. Non lo so.
- Audrey, non hai niente da preoccuparti. E comunque, a me ha fatto piacere vedere finalmente il tuo uomo.
La ragazza sussultò. Sentire pronunciare le parole “il tuo uomo” l’aveva turbata.
Un pensiero le passò fulmineo nella mente, senza nessun legame apparente con il resto.
Quanto tempo era che non “stava” con il suo uomo? (Sì, proprio in quel senso…)
E da quanto tempo nessuno dei due si proponeva all’altro?
Fece due calcoli. Quando era venuto a trovarla a lavoro, due giorni prima, erano già dieci giorni che non si vedevano. Contando due settimane in cui si erano solo sentiti per telefono, o avevano discusso su cose assolutamente futili, faceva quasi un mese.
Un mese che non andavano a letto insieme.
Sarà grave?
Sperò di non essere arrossita, per non dare modo ad Adams di tirare fuori un altro dei suoi saggi consigli.

La sera stessa, Audrey prese il telefono e chiamò Ben, decisa a capire una volta per tutte se una situazione del genere poteva essere o meno normale e accettabile nella vita di una coppia.
- Pronto?
- Sono io, Aud…
- Aud, ciao! Non mi aspettavo che…
- Devo parlarti. Assolutamente.
Ben tacque un istante, ma Audrey si accorse che aveva sospirato.
– Dimmi pure. È successo qualcosa?
- Da quanto è che non “stiamo” insieme?
- In che senso?
- Hai capito in che senso. Allora?
Altro silenzio.- Mah… Non lo so… Credo una settimana…
- Quattro, Ben. Quasi un mese.
- Cavolo, è tanto… - Audrey credette (volle credere) che fosse colpa del telefono, ma la voce del suo ragazzo le era sembrata inespressiva. Vacua. Come se non gli importasse.
- Ma la cosa più strana – insistette allora, - è che, in tre anni che ci frequentiamo, non hai mai resistito più di cinque giorni senza vedermi. - Rieccola, quella tensione nervosa. Audrey odiava arrabbiarsi, ma ultimamente le prendeva sempre più spesso, e sempre con Ben. Non sopportava la sua leggerezza, il suo non pensare a loro.
Due settimane prima avevano litigato per che cosa prendere per cena.
Ma è possibile?
- Aud, lo so, ma…
- Ma? - La ragazza iniziava a sentirsi a disagio. Sapeva che quel discorso valeva anche per lei. E sperava tanto che Ben le desse una risposta che fosse valida anche per se stessa.
- Il fatto è che… Lavoro un sacco, in questo periodo, e a volte non faccio in tempo a cambiarmi o a cenare che mi addormento di botto…
- L’altro giorno, quando sei venuto a prendermi al lavoro, mi hai accompagnata a casa e te ne sei andato subito. Eppure non mi sembravi stanco morto.
- Beh, non è che tu mi abbia certo trattenuto.
La voce di Ben tradiva la stizza che provava. Audrey tacque, capendo di averlo stuzzicato abbastanza.
Con voce incerta, disse: - Ben… Non è che ci sta succedendo qualcosa?
Silenzio. – Può darsi, Aud. Può darsi.
- Secondo te, è normale?
- Normale? No. Non credo. Forse siamo stanchi. Io sono stanco.
Fece più male del previsto. Audrey si aspettava una risposta meno diretta, da uno come Ben.
- Senti, devo proprio andare adesso, ho il turno di notte…
- Aspetta, Ben.
- Che altro c’è?
Scostante. Ferito. Stanco di lei.
- Ben, io… - Non sapeva più cosa dirgli. Una parte di lei sapeva che era giusto così, che si erano divertiti ma ora non volevano più stare insieme; ma la parte di lei che ancora voleva bene a Ben non riusciva a credere di poterlo lasciare così. – Ecco… Per la vigilia di Natale, il Ministero organizza una festa per tutti i dipendenti. Ti va di venirci con me?
- Sai che odio le feste. Buonanotte.
Audrey non fece in tempo a rispondere. Ben le aveva attaccato il telefono in faccia.

Passò dell’altro tempo. Ben non si faceva più vivo. Eppure, nonostante la sofferenza momentanea, Audrey non pensava più a lui. Era come… sollevata. In fondo, la loro era stata poco più di una storiella tra ragazzi; e nonostante l’animo romantico, Audrey era anche una ragazza concreta che sapeva come risollevarsi da queste piccole cadute.

Anche l’umore di Percy, verso metà dicembre, era alto. Sembrava migliorare di giorno in giorno.
I più maligni potrebbero collegare questo stato di grazia al fatto di aver colto, in una conversazione tra la Bennet e Adams, la frase: - Che vuoi che sia, sta già passando… Non è certo la prima volta che rompo con un ragazzo, e questa non era nemmeno la storia più soddisfacente della mia vita…
Beh, bisogna essere proprio maligni e cinici per collegare il buonumore a una cosa del genere! No, ve lo dico io: era lo stomaco.
Quello stomaco che si annodava in tutti i modi possibili e immaginabili quando Audrey passava con le braccia cariche di fascicoli, o quando la sentiva ridere dall’archivio.



È vero, sembra una dannata frase stucchevole uscita da un dannato libro pseudo adolescenziale per ragazzine sull’innamoramento; ma credete forse che io mi diverta a scrivere certe cose? Prendetevela con Percy! Guardatelo ora: seduto alla scrivania, ha finito il suo lavoro da un pezzo, e cosa fa? Fantastica ad occhi aperti! Certo, non ha l’aria sospirosa dei quattordicenni alle prese con la prima cotta, ma dietro a quello sguardo che vaga sulla Gazzetta del Profeta senza leggerla si celano pensieri abbastanza simili.



E non pensate che Audrey stia tanto meglio! A parte il fatto che lei non ha ancora finito di lavorare, e i suoi occhi non scorrono la Gazzetta ma un contratto di comodato, la situazione mentale è sempre quella. Suffragata, inoltre, dal fatto di aver scorto il capo che la osservava senza dirle niente dal suo ufficio mentre lei prendeva il caffè da Greg. Tuttora è sotto l’effetto della strana emozione – sommamente adolescenziale! – che le ha dato questa scoperta.
“E chissà, magari potrebbe volermi invitare al ballo… E non ci sarebbero problemi, perché ormai sono una dipendente da più di due mesi… Ma sarebbe bello anche se non ci fossero seconde intenzioni dietro, anzi sarebbe meglio, perché potremmo chiacchierare, e potrei capire che cos’è che lo tormenta… Sono certa che potrei aiutarlo in qualche modo…”
(Ehi, io ve l’avevo detto che era una romantica…)
Ah, i giovani…
Tutta colpa di quel dannato caffè…

“A proposito, potrei provare a invitarla di nuovo da Marcus. Sì, perché no, mi pare un’idea fattibile e senza troppe ripercussioni…”
Non ti starai mica innamorando, Weasley?
“Ma che dici? Io? Figurati…”
So quello che dico. Sei cotto. Lesso. Andato.
“E anche se fosse? Come ho già detto, non posso sempre fare il vedovo infelice, no?”
Concordo.
“Meno male. Almeno il mio cervello è d’accordo con me”.
Si riscosse da quelle deliranti riflessioni quando qualcuno bussò alla porta.
- Sì?
- Sono io, signor Weasley. Le ho portato il fascicolo che le serviva.
Il ragazzo deglutì, guardando Audrey. Quella strega lo faceva apposta.
Se avesse indossato, che ne so, una gonna che la ingrassasse, o una camicia volgare, avrebbe potuto distogliere lo sguardo e, anzi, riscuotersi del tutto dai suoi bei pensieri. Invece, sembrava che ogni abito, addosso, le stesse bene. E lo costringeva a guardarla inebetito.
Cotto. Lesso. Andato.
La ragazza non se ne accorse per niente, tutta intenta a sistemare un libro che rischiava di cadere da uno scaffale. - Finalmente è finita, eh?
Ehi, Weasley, sta parlando con te. Sveglia. Sveglia. Smetti di guardarla e rispondi, per Morgana!
- Eh?
- Il lavoro - fece Audrey, perplessa. – Domani iniziano le ferie, no?
- Oh. Certo, già. - Tanto io sarò sempre qui a lavorare…
Audrey si sistemò una ciocca dietro l’orecchio, tanto per fare qualcosa e riempire quei secondi di silenzio.
- Allora a presto, capo.
- Ma certo. - Percy fece un lieve sorriso. – Ci vedremo al ballo della vigilia?
Subito dopo averlo chiesto se ne pentì. E se, per l’occasione, Audrey si fosse rimessa col Paguro? O peggio, con qualcun altro? Magari con Adams? L’idea di Audrey che ballava col Paguro o con Adams gli diede una fitta allo stomaco.
Ma il Paguro posso ucciderlo, invece Adams posso solo licenziarlo!
- Ecco, io temo di no…
- Ah no? Come mai?
- Perché… - L’espressione di Audrey si fece un po’ triste. - Non ho nessuno che mi accompagni, ecco.
Qualcosa scalpitò dentro Percy. Nessuno l’accompagna, quindi il Ben-Paguro non è con lei, quindi è libera, quindi… quindi puoi fare solo una cosa, idiota, e allora perché non la fai, santo Godric?
- Mi dispiace - fece, serio. - Allora, ci vedremo dopo le ferie. Buone feste e buone vacanze, signorina Bennet.
Lo sguardo della ragazza brillò per un momento in maniera strana, poi si spense. Era forse… Delusa?
- Va bene. A gennaio. Buone feste, signor Weasley.
Uscì di corsa, con l’abito che le svolazzava leggermente attorno alle gambe.

Passarono esattamente tre secondi.
Non i tre secondi del modo di dire, ma davvero tre secondi, più qualche decimo e un insieme di centesimi.
Insomma, tra ticchettii di orologio. Tic. Tic. Tic.
Poi Percy sbatté la testa sulla scrivania.
Imbecille!
Imbecille!
Imbecille!

A ogni “imbecille” era collegata una testata sulla scrivania. Questo rituale fu interrotto da qualcuno che bussava alla porta.
- Sì?
- Posso?
- Venga pure…
Adams chiuse piano la porta dietro di sé. Poi si voltò e guardò Percy con le mani sui fianchi. Nella mente di Percy giunse, come un flash, l’immagine della madre che lo rimproverava per aver messo le mani nella marmellata. (Ebbene sì, anche lui l’aveva fatto, una volta…)
Istintivamente gli venne da dire “Non l’ho fatto apposta!”, ma per fortuna si trattenne. Il viso di Adams aveva un’espressione che non ammette repliche.
- Mi permette una parola, signor Weasley?
- Certo, Adams.
- Me ne permette cinque?
- Ehm… Sì.
- Lei è un imbecille, capo.
Passò un intervallo di silenzio. Dopodichè Percy sospirò e si accasciò sulla sedia, tristemente.
- Sì, lo sono.
- Perché non le ha chiesto di venire con lei?
- Non lo so, Adams… è così difficile… - Si prese il viso tra le mani. Erano anni che nessuno lo rimproverava, ed era piuttosto imbarazzante. Perfino le sue scuse sembravano stupide.
- La difficoltà è solo nella sua dannata testa rossa. E finché non lo capisce, sarete tristi entrambi. Mi sono spiegato?
Percy sospirò. Era sempre il capo, ma come arrabbiarsi con uno come Adams?
- Perfettamente.
- Bene. Ora si sbrighi, Audrey sta aspettando l’ascensore.
Appena sentì quelle parole, Percy non ebbe tempo di pensare a cosa fare. Si precipitò semplicemente fuori dall’ufficio, verso gli ascensori, verso Audrey.

“Che stupida che sono… come potevo anche solo pensare che… Mah…”
L’ascensore arrivò.
“Sempre la solita donna Bennet. Uff… vabbè, meglio così, passerò la serata di Natale in gioia e serenità con la mamma… o forse è meglio di no, l’ultima volta non è stata molto serena…”
Audrey si guardò ancora alle spalle, poi mise un piede dentro.
- Bennet!
Il piede ritornò al suo posto.
Il capo stava venendo verso di lei, di corsa. E anche il cuore di Audrey sembrò fare un balzo.
Lasciò andare l’ascensore per andare verso Percy.
Il ragazzo si fermò, con un po’ di fiatone.
- Signor Weasley, che succede?
- Ecco, io… io, veramente…
Lo sguardo di Audrey si fece incoraggiante, mentre sorrideva luminosa.
- Io… Lei… Ha scordato la carta d’identità nell’archivio, poco fa.
Il sorriso si spense.
- Oh, grazie…
- E poi volevo chiederle se vuole venire al ballo con me, il 24 - aggiunse Percy tutto d’un fiato, praticamente senza respirare.
“ … Oh Helga, l'ha fatto…”
La ragazza spalancò gli occhi e la bocca, interdetta dal modo brusco in cui era avvenuto l’invito.
- Dice sul serio?
- Le sembra che stia scherzando?
Audrey lo guardò, trattenendo a stento la risata. Il mantello era storto e i capelli arruffati per la corsa, le guance erano in fiamme così come le orecchie. Non aveva mai visto il capo così. Gli regalò un altro, luminosissimo sorriso.
- Per me va bene.
- Davvero? - Troppo sconvolto persino per sorridere.
- Davvero.
- Ah. Bene, ehm… Allora, ci vediamo il 24.
- Sì…
- Vuole che la passi a prendere?
- Non c’è bisogno, mi Materializzerò qui davanti.
- Va bene. Alle otto.
- Sì.
- Ok, ehm… Buona giornata.
- A lei.
Lo guardò ancora. Sembrava un bambino.
Se ne andò felice e leggera, e aveva voglia di cantare.
Percy, invece, aveva voglia di attraversare l’oceano a nuoto e poi scalare l’Everest, di ballare e di prendere a pugni un Ben-Paguro a caso.
Rientrò a casa fischiettando una vecchia canzone.
Anche Adams iniziò le ferie più contento. Sapere che altri erano felici regalava a lui un decimo di felicità, e al suo spirito filosofico bastava, eccome.

Ritorna all'indice


Capitolo 10
*** Una brezza lieve ***


Il capitolo più lungo che abbia mai scritto, e il mio preferito. Spero vi piaccia, e che vi ricordiate ancora di questa sciocca storiella.

 Una brezza lieve

Per molto tempo a venire, anche quando le cronache erano ormai intasate dalle future battaglie e vittorie, la comunità magica avrebbe ricordato il tremendo acquazzone che si scatenò il 24 dicembre di quell’anno. Già dal mattino, le prime avvisaglie del maltempo avevano fatto presagire una romantica nevicata che avrebbe reso ancora più magico il Natale. Invece, fu un incredibile temporale a rendere indimenticabile la serata, con scrosci di pioggia fitta e fredda sin dal primo pomeriggio.
Per fortuna, i maghi sono maghi, e se anche non usano i loro poteri per controllare il tempo, possono rimediare agli inconvenienti che esso produce: così, attorno al Ministero fu creata una speciale cupola antipioggia, trasparente e gigantesca, che serviva a permettere agli eleganti dipendenti, alle loro accompagnatrici ingioiellate e impellicciate e agli accompagnatori in smoking di raggiungere la sala da ballo senza infradiciare i costosi abiti.
Niente e nessuno avrebbe impedito al Ministero della Magia di sfigurare, quella sera; la stampa magica d'Inghilterra aveva l'abitudine di scrivere lunghi pezzi di commento al tradizionale Ballo di Natale, e un misero acquazzone tropicale non avrebbe evitato quella tradizione.
Mai, mai far sfigurare il Ministero.

Il grande Atrio era stato adibito, per l’occasione, a sala da ballo. Non tutti i dipendenti venivano invitati, ma quelli che quella sera sarebbero venuti, non avrebbero riconosciuto il posto dove arrivavano al lavoro tutti i giorni: i camini erano stati chiusi e addobbati con ghirlande natalizie; i freddi mattoni erano stati sostituiti per l'occasione da pannelli di mogano, così come il pavimento era diventato parquet. Completavano l'atmosfera lampadari dalle luci soffuse e alberi di Natale. La fontana dei Magici Fratelli era stata spostata (nonostante le resistenze del consigliere Dolores Umbridge) per far posto all’orchestra.
Mancavano solo gli invitati. Che arrivarono tutti intorno alle otto, otto e mezza; contenti, soddisfatti, rilassati. Soprattutto rilassati. Tranne, ovviamente, due tipetti di nostra conoscenza.
Eh beh, d'altra parte questa storia parla di loro due, no?
 

Audrey non si sentiva per niente a suo agio.
Cavolo!

Le piaceva vestirsi elegante, le piaceva molto. Il suo fisico non era snello né perfetto ma le piaceva, e non aveva difficoltà con tacchi e gonna; aveva anche un buon gusto (sicuramente migliore del suo senso dell'umorismo).
Fu proprio il suo buon gusto a farle capire che il suo abito era il meno adatto alla situazione.
Super cavolo!
Vicino a tutte quelle Auror, mogli di Auror, dirigenti e mogli di dirigenti, si sentiva letteralmente penosa: l'abitino chiaro e semplice che aveva scelto sembrava fatto apposta per cozzare con i visoni e i tailleurs che la circondavano. Ed è solo per pietà verso la nostra amica che non parlo dei gioielli.
E che diamine!
Avrebbe voluto mimetizzarsi con le pareti, ma il mogano glielo impediva. Iniziò allora a chiedersi perché mai aveva accettato di andare a quel cavolo di ballo. Lei, un'archivista!
Sarebbe stata la barzelletta del mese. Mega cavolo.
E dove cavolo sta quel cavolo di Weasley?
 

Ok, posso dirvelo: non era proprio cavolo la parola che pensava Audrey, ma ci andava vicina.

 

Nel frattempo, a casa sua, quel caz... cavolo di Weasley sbraitava, mentre un cumulo di vestiti gli piombava addosso.
Forse, voi che conoscete la precisione e la pignoleria di Percy Weasley, non ci crederete. Eppure la sua precisione aveva un limite. L’armadio.
Odiava sistemarlo, odiava riporre i vestiti. Era un compito che una volta lasciava volentieri a Molly, e dopo a Penelope, ma se doveva farlo lui era un dramma. D’altronde, quando basta un incantesimo d’Appello per trovare l’abito che cerchi, perché devi metterti a sistemare il guardaroba?
So cosa state pensando: dev'essere bello essere maghi...

Riemergendo dalla pila di vestiti che gli era planata addosso, Percy iniziò a cercare l’abito da cerimonia. Lo trovò e lo indossò; lo tolse, e lo stirò con un incantesimo. Lo rimise, cercò le scarpe, notò che gli stavano strette ma poi si rese conto che le stava solo infilando al contrario.
Cavolo.
“Calma”. Era nervoso. Nervosissimo.
“Calma Perce… Respira… Non è niente, solo una stupida festa.”
In verità, era una settimana che si ripeteva quelle parole.

Una festa. Solo una festa.
Non era la prima volta che partecipava al Ballo della vigilia. Buona musica, buoni alcolici, belle donne. Come sempre.
Solo che stavolta aveva un appuntamento. Un po’ strano, forse chiesto un po’ male, ma pur sempre un appuntamento. Ed era agitatissimo.

Nemmeno fosse il primo… Eddai Weasley, sembra che tu abbia ancora quindici anni! Riprenditi!
Diede un’occhiata veloce all’orologio, e in meno di un secondo uscì di casa. Era in maledetto ritardo.
Cavolo!
Audrey lo stava aspettando da più di un quarto d'ora. Sperò solo che non avesse trovato un'altra compagnia.
Cosa che, purtroppo, era successa. Ma non è quello che pensate voi.

 - Lei dev’essere la nuova archivista, dico bene?
Audrey fece un gran sobbalzo - sperava di essere riuscita a mimetizzarsi meglio - poi si voltò verso la persona che l’aveva interpellata.
Riconobbe la donna (ma la si può chiamare donna?) avvolta in un tremendo vestito rosa confetto: era Dolores Umbridge. Non ricordava esattamente che posto avesse nel Ministero ora: aveva però saputo dei danni che aveva compiuto ad Hogwarts, e della nuova campagna anti Nati Babbani che stava programmando.
Cavolo!

- Dice bene, signora…
- Il suo nome, cara?
“Cara?”
Cara dillo a tua sorella, rospa! – Mi chiamo Audrey Bennet. Lei è Dolores Umbridge, giusto?
La rana rosa fece un gran sorriso, che avrebbe ucciso un diabetico tanto era mellifluo e zuccheroso.
– Giustissimo, signorina Bennet. Strano cognome, il suo… Discende dai Babbani?
Audrey strinse i denti. D'altra parte, dove meglio che al Ministero della Magia poteva trovare persone pronte a indagare sul suo cognome?
- Credo proprio di no. Mi chiamo così perché mio padre, mago Purosangue – e sottolineò quest'ultima parola - fu adottato da una famiglia Babbana, i Bennet appunto. Ha mantenuto il cognome dei genitori adottivi per una sorta di… gratitudine.
Con suo enorme sollievo, la Umbridge sembrò soddisfatta. – Beh, la gratitudine verso i Babbani è qualcosa di… insolito, ma tutti abbiamo le nostre piccole fissazioni, no? - e concluse la frase con un orrido risolino.
“Certo, come c’è chi è fissato con la purezza del sangue”. Si trattenne a stento dal dirlo, ma mantenne un buon contegno, e dopo qualche altra frase di circostanza la ranocchia bipede se ne andò, lasciando Audrey di nuovo sola.
La ragazza guardò la pendola, sconsolata. Ci fosse stato almeno Adams, ma non si era fatto vivo. E il capo tardava di mezz’ora. Dove diamine…
- Mi perdoni per il ritardo, sono davvero mortificato.
Come se l'avesse evocato col pensiero, Percy le comparve accanto. Aveva praticamente corso dall'ingresso alla parete contro cui si era addossata Audrey.
Il sorriso raggiante di Audrey lo ripagò della gran corsa. (Eh, il romanticismo...)
- Nessun problema, signor Weasley… Ho fatto un po’ di conversazione con la signora Umbridge.
Il viso di Percy si rabbuiò. Detestava quella donna. Era il tipo di persona che lo disgustava profondamente. Spesso Percy aveva fatto battute sui Babbani, o li aveva scherniti, ma la Umbridge esagerava. Non gli piaceva il modo in cui parlava dei maghi Nati Babbani, gli dava i brividi.
- Spero che non le abbia dato fastidio… - disse a Audrey. – Sa, è un tipo un po’ strano…
Audrey fece un gesto vago. – Non si preoccupi. Si è solo informata sulle mie origini, e credo di aver passato l’esame - commentò, non senza sarcasmo.
Percy si sentì più tranquillo. Si era accorto che il cognome di Audrey non apparteneva a nessuna famiglia magica conosciuta, ma sperava che comunque non avesse problemi. Se così fosse stato, invece, la Umbridge l’avrebbe tampinata fino a risalire ai suoi antenati della notte dei tempi.
- Bene, meglio così. - Sorrise. - Detto tra noi - e abbassò un po’ la voce, avvicinandosi a Audrey, – non voglio avere nulla a che fare con quella donna, e le consiglio di fare altrettanto.
- Seguirò il suo consiglio più che volentieri, capo.

 

Seguì il silenzio. Nessuno dei due sapeva più cosa dire. Sembravano una coppia alle prime armi, quando ancora si devono imparare nella teoria le regole dell’amore.
Percy avrebbe voluto salutare i suoi colleghi, ma sapeva che avrebbe dovuto portare con sé la sua dama, e non voleva che si spargessero pettegolezzi infondati su di lui e la sua dipendente.
Si mise a osservare la sala. Sapeva che suo padre non era lì, era a casa a festeggiare il Natale con sua madre e i suoi fratelli. Eppure, a Percy non sarebbe dispiaciuto trovare la sua chioma rossa, identica alla sua, in mezzo a quella folla.
Pensò allora di fare un commento sull'abbigliamento di Audrey. Era quasi una vita che non faceva una cosa del genere, ma ricordava come si faceva. Non è difficile fare complimenti a una donna quando impari come si fa, è un po' come andare in bicicletta.

- Ehm... - fece. – Bel vestito.
Ah, fantastico. Davvero un maestro della seduzione.
- Oh! - si stupì invece Audrey. (Comprensibilmente: aveva passato mezz'ora a maledire il proprio abito, e il complimento di Percy le pareva stranissimo).
- Oh! - ripeté. – Oh, ehm... grazie. Non è proprio il massimo ma...
- Le sta molto bene. Davvero. Trovo che la, ehm... - Qual era il tasto giusto con le donne? Ah sì, l'età! - ...ringiovanisca.
Un enorme punto interrogativo si disegnò sulla fronte di Audrey. Ma se io ho vent'anni, adesso quanti ne dimostro? Quindici?

Percy si accorse della gaffe, perché si affrettò a dire, arrossendo: - No, cioè, volevo dire... Non volevo dire che...
- Non importa, – disse lei, – la ringrazio.
In fondo voleva solo farle un complimento, e Audrey apprezzò il tentativo. Mentre Percy si maledisse mille volte: come aveva potuto dimenticare che si può dire a una donna che sembra più giovane solo dai quaranta in su?
Cavolo!
 

Naturalmente, la conversazione non andava avanti.
Audrey provò, da brava inglese, a parlare del tempo. Purtroppo, una volta esaurito l'argomento “acquazzone titanico”, nessuno dei due seppe più cosa dire. E siamo allo stesso punto di prima.
Tutti gli altri invitati stavano chiacchierando, in attesa che il ballo iniziasse. Nessuno era andato a salutare Percy, e Audrey se ne accorse. Evidentemente il suo capo non godeva di grande popolarità tra i dipendenti del Ministero.
Dopo cinque minuti di silenzio, a Percy venne finalmente un'idea.
- Che ne dice se prendo da bere?
Anche la ragazza colse la palla al balzo.
- Sì, più che volentieri. - Non amava bere, ma amava ancora meno non sapere cosa fare e cosa dire.
E magari da brilla sarò un po' più tranquilla...
Mentre il capo girava cercando il tavolo dei drink, cercò di sentirsi più sollevata ma non ci riuscì. Non era la presenza di Percy a farla agitare; anzi, si era sentita subito meglio quando lo aveva avuto accanto.
No, c’era dell’altro… Era quello che Adams le aveva detto. “Gli uomini come il capo hanno tutti questa caratteristica: si sentono come dentro una vetrina”.
Guardò Percy, che ancora girovagava per la sala: era lì, eppure sembrava lontanissimo, distante anni luce. Più che da una vetrina, sembrava separato da lei da un muro di cemento.
“Non so se ho la testa abbastanza dura per abbatterlo”.
Ripensò al giorno del suo colloquio di lavoro. Era freddo, scortese, distaccato. Ma lei non aveva visto solo quello: lei ci aveva preso un caffè assieme, lo aveva visto sorridere e lo aveva visto triste; non era solo il suo inguaribile romanticismo, Audrey sapeva che c'era qualcosa dentro Percy Weasley, qualcosa di tenero e buono, che gli faceva fare quei grandi sorrisi e stare in imbarazzo vicino a lei, che gli faceva fare quelle grosse gaffe (lui! Il super-preciso!) e lo faceva essere triste per settimane, solo per il timore di averla ferita.
Sapeva che c'era, quella cosa tenera e buona, e avrebbe fatto saltare in aria tutte le vetrine del mondo per averla.
È vero, questi sembrano dei propositi da buona samaritana; in effetti, tutto quello che avrebbe dovuto fare era diventare buona amica di Percy.
Naturalmente era impossibile. Il problema era che, a lei, Percy piaceva.

Era attraente, come persona e come uomo. Audrey stava bene in sua compagnia, e avrebbe voluto passare molto, moltissimo tempo con lui, e non solo per parlare.
E che diamine: è una ragazza di vent'anni che si sta prendendo una bella cotta per un ragazzo che conosce da tre mesi; dev'esserci per forza un motivo?
Nel frattempo, Percy era riuscito a prendere due bicchieri e stava tornando. Lei lo guardò, e lo vide bello. Era bello
. Quando si trovava con lei, diventava bello.
Impacciato, intimidito, insicuro. E come la guardava, come se davvero la trovasse bella.
Era bello.
E non era lei a volere che lo fosse. Lo era davvero.
Fidatevi di me.

 

Da parte sua, Percy pensava solo a non fare brutte figure con quella ragazza.
Cavolo, era la prima con cui stava così bene. E non statevi a fossilizzare sul fatto che non riusciva a spiccicare parola con lei. Stava bene.
Si fidava di lei. Voleva esserle amico, amante, voleva conoscerla. Il suo unico problema era che non sapeva da dove iniziare.
Si era scordato come si fa. Era stato troppo tempo con Penelope per ricordare com'è conquistare una donna, e le sue amanti se le era prese per noia, sua o loro.
Audrey però era diversa. Con lei era come tornare adolescente. Il problema dell'adolescenza, è che ci dimentichiamo com'è. Cerchiamo a tutti i costi di uscirne, e non impariamo le cose che ci sarebbero utili nella vita. Ad esempio, cosa dire a una ragazza che ti piace e con cui vai a una festa.
Cosa dovresti dirle, se ciò che pensi guardandola è solo che è bella e che sa di mela?

 

L’orchestra arrivò in gran ritardo sui tempi previsti, sempre a causa del diluvio. La musica fu ben accolta dagli invitati, il cui umore era ormai sceso a livelli più bassi dei sotterranei della Gringott.
I nostri due amici avevano finito i loro bicchieri, e si limitavano ancora a guardarsi.
Che noiosi. Avevano aspettato quel ballo per una settimana, e ora facevano i pesci nell'acquario. Bah.
Per fortuna, alle prime note della musica, Percy si ricordò che quello era un ballo, e il suo animo Grifondoro tentò di sfruttare il diversivo.
- Le va di ballare? - chiese a Audrey a bruciapelo.

Cavolo!
E ora? Che cavolo mi invento?

- Ehm… Ecco… - Mega cavolo... - No, grazie. Avvampò, e sperò che lui capisse da solo ciò che non osava dire.
… No, grazie?
Sul viso di Percy si dipinse un’espressione delusissima.
Ma... Ma... Ma...
Audrey se ne accorse, e si affrettò a spiegare, avvampando sempre di più.

- Non è che non voglio ballare con lei! Anzi, sarebbe bello, no bellissimo, e lei è molto gentile e non me l'aspettavo... - Ma che fai, adesso, blateri? Aud, vieni al sodo! – Ma la verità è che…
- Sì, capisco, non si preoccupi – la interruppe Percy, nervoso. Si concentrò sulla punta delle proprie scarpe.
- Sul serio?
- Certo, anzi, è naturale. - Naturale un corno... Come al solito ho fatto il passo più lungo della gamba. Bravo scemo, Perce!

Audrey aggrottò le sopracciglia. - Naturale?
- Certo, perché non dovrebbe esserlo? - Ora era Percy ad avvampare. Era veramente deluso, e non sapeva più dove guardare. - Ovvio che lei si vergogni a mostrarsi con me; avrà capito da sola che non sono molto popolare qui, quindi meglio non...
- Scusi, capo, ma che cavolo dice? - domandò Audrey, dismettendo il tono educato che aveva usato fino a quel momento e riprendendo quello da archivista che usava sul lavoro.
- Come faccio a vergognarmi di essere qui con lei? Non aspettavo altro che un suo invito!

Stavolta, il punto interrogativo gigante apparve sul viso di Percy.
- ... Sul serio?
- Ma certo! - Audrey non sapeva se mettersi a ridere o indignarsi. Ma che film si fa il capo?

- Ma... Ma allora...
- Non voglio ballare solo perché... perché non posso.
Il punto interrogativo divenne enorme.
- E non posso... perché non so ballare, ecco.
Una povera cronista come me si trova in imbarazzo, nella descrizione di scene simili. Come diavolo si fa a far capire a un lettore lo stato di vergogna assoluta che provava Audrey per una piccolezza come il non saper ballare, o lo sbigottimento totale di Percy nel capire che, per l'ennesima volta, non era stato fregato da se stesso ma solo dal suo complesso di inferiorità?
Io non ci riesco, cercate di immaginare da soli.
 

Percy era letteralmente basito, e la guardava a occhi spalancati.
- Non sa ballare, Bennet?
Audrey deglutì. - No...
- Ah no?
- No.
- Sul serio?
- Sì. - Audrey si sentiva umiliata e si vergognava, ma il capo continuava a interrogarla, dopo aver recuperato una parvenza di serietà.
- E allora perché ha accettato di venire al Ballo della vigilia se non balla?
- Ma... Ecco... Lei me lo ha chiesto e... io... Insomma, ero così contenta e... - diamine, un po' più rossa e l'avrebbero scambiata per una cabina telefonica. – Mi faceva piacere sapere che... beh... che saremmo andati insieme e... - Cavolo!
- ... Mi sono dimenticata di non saper ballare.
Percy inarcò un sopracciglio, sempre più serio.
- Si è dimenticata?
- Sì... - A questo punto, credo sia inutile ribadire che Audrey si vergognava da morire. Ma invece di cercare la via di fuga più vicina, iniziò a guardarsi i piedi.
- E non sa ballare.
- No...
- Bennet...
- Sì?

- Nemmeno io.
Per qualche secondo Audrey non capì bene cosa Percy avesse detto. Poi lo guardò. Stava ridendo fino alle lacrime.
Sbuffò, e iniziò a ridere anche lei.
Risero, finché a uno dei due, o a entrambi, non venne l'idea di uscire da quel posto affollato e confusionario e di andare fuori, a vedere la pioggia infrangersi sull'enorme cupola trasparente.

 

- È così strano…
- Che cosa?
- Questo. - Audrey indicò la cupola sopra le loro teste. – Sembra di essere dentro un acquario.
- O sotto una cascata… - Percy buttò giù quello che era il quarto drink della serata.
Erano seduti su un gradino dell'ingresso; da quando avevano lasciato l'Atrio affollato erano riusciti a chiacchierare normalmente: del lavoro, della scuola, di un sacco di cose.
Percy non ricordava nemmeno di cosa esattamente avessero parlato; era distratto continuamente dallo sguardo di Audrey. Era... Beh, è strano dirlo, ma si sentiva apprezzato da quello sguardo; non giudicato, non detestato, non deriso. La parola giusta è accarezzato.
- Come fa ad essere ancora lucido, dopo tutta quella roba?
- Sono mezzo irlandese, reggo tutto. - Sorrise, tranquillo.
- Mamma mia… Se penso che mi sono dovuta fermare al primo…
Percy rise forte, stavolta. Era stata una serata bellissima. Era bello starsene lì, mentre da dentro giungeva l’eco della musica e da fuori il suono dell’acqua.
Una serata perfetta. Con la più bella e (Percy non ne dubitava minimamente) la più intelligente tra le donne presenti quella sera al Ministero. - Ci vuole un po’, per abituarsi. Anzi, è meglio non farlo.
- Perché?
- Perché potrebbero esserci dei momenti in cui vorrebbe ubriacarsi, ma non ci riuscirà. Sempre meglio non abituarsi all’alcool, per queste evenienze.
- Sembra un discorso alla Adams.
- Scommetto che sarebbe d’accordo con me!
Anche Audrey si sentiva bene. Era… contenta. Se qualcuno le avesse detto, dopo il suo colloquio di lavoro, che avrebbe passato dei momenti così belli col capo, probabilmente lo avrebbe mandato a quel paese.
Invece era contenta. Di più: felice.
E si sentiva strana. Ogni volta che era con lui, c’era qualcosa di strano. Non spiacevole, ma strano.
Ma non così strano, in fondo. Audrey ripensava solo alle parole di Adams.

Gli uomini come il capo si sentono come se fossero in una vetrina.
Aveva voglia di aprire quella maledetta vetrina. Al diavolo tutto, ecco.

- Ha freddo?
- No, sto bene, grazie signor...
- Percy. Solo Percy.
- Grazie, Percy.
- Di nulla, Audrey.
- È strano anche questo.
- Cosa?
- Chiamarsi per nome.
Impercettibilmente, Percy si era fatto più vicino a lei. Si sorrisero.

E se non hai la chiave, rompila.
Senza una parola, e con grande sorpresa di entrambi, Audrey baciò Percy.
La musica dentro cessò, la pioggia non smise di cadere.

 

Si fecero strada nel buio dell’appartamento di lei
Percy notò con piacere, nonostante la penombra, che era ordinato e pulito, proprio come Audrey
Si spogliarono con l’urgenza di due naufraghi arrivati sulla terraferma
perché lei era lì, c’era sempre stata, per lui, e l’aveva scoperta solo ora
Si baciarono, si persero e si ritrovarono, completandosi e dimenticandosi e riscoprendosi l’uno nell’altra
tutto ciò che esisteva era il suo profumo di mela
Si addormentarono stretti
e lui non aveva più paura del mattino.

 

Nell’ultimo periodo della sua vita, quando si era definitivamente allontanato da Penelope, Percy aveva visto le dense nubi della malinconia appesantire il suo cuore.
Sapeva che quelle nubi erano tante, troppe. Eppure, era più che convinto che non aveva per forza bisogno di un uragano o un vento fortissimo per spazzarle via.
Gli sarebbe bastata, per avere un po’ di sollievo, una brezza lieve, un refolo di vento, per portare via qualche ombra. Questo chiedeva, questo sperava; niente di più.
Forse, ora, quella brezza lieve era arrivata da lui; e ora dormiva al suo fianco, la testa sul suo petto finalmente libero dalle nubi.

Ritorna all'indice


Capitolo 11
*** Gelide sorprese ***


L'ho letto dieci volte prima di riscriverlo. L'ho riletto, e l'ho riscritto ancora. Poi ho aggiunto un finale. Poi l'ho tolto. Nonostante l'impellente bisogno di studiare diritto commerciale, non ho fatto altro, la sera, che pensare a questo capitolo.
Noostante ciò, non sono ancora del tutto convinta; ma se l'avessi tenuto ancora in lavorazione, c'era il serio rischio che mi impantanassi e non lo finissi più, per tutte le volte che ci avrei messo le mani.
Alcune avvertenze:
1) ci sarà un cambio di tono un po' drammatico. Non prendetevela con me: non è colpa mia se Percy è un cretino insensibile, ok? una cerca di fare del proprio meglio, ma qui siamo al livello dei miracoli, e devono ancora mandarmi il manuale di istruzioni per imparare a farli.
2) La signora Bennet è come Adams: non avrebbe dovuto avere tutto sto spazio, ma è prepotente e se lo è preso lo stesso. Spero non vi dispiaccia.
3) La metafora della vetrina non è mia, ma di Andrea De Carlo. Non mi piace come autore, e non mi è piaciuto nemmeno "Due di due", da cui è tratta la suddetta metafora, ma questa mi sembrava TROPPO calzante e non ho potuto non sfruttarla. Spero di non aver violato nessun copyryght, e che le ammiratrici di De Carlo non mi boicottino per questo.
4) Anche "Rosemary's Baby" è venuta fuori per caso. Io volevo solo dire che la vicina della signora Bennet si chiamava Rosemary, e mi arriva Audrey con il suo orribile sense of humour a farmi quella battuta cretina. E vabbè, io sono solo una cronista...
5) Vediamo un po' la linea temporale: siamo situati esattamente al capitolo 16 di "Harry Potter e il principe mezzosangue", "Un Natale molto gelato". Ve lo dico, così, se non doveste capire una certa scena del capitolo, sapete dove andare a cercare, anche se il prossimo risolverà i vostri rovelli.

Ciò detto, vi ringrazio molto per il coraggio dimostrato finora affrontando la lettura di questa long fic, e per i complimenti che ho ricevuto; spero che questa storia continui a non deludervi, e prometto che scriverò i prossimi capitoli e la terminerò entro l'anno, anche perché non è giusto che questi poveri personaggi siano sbatacchiati di qua e di là senza ritegno. Giusto?
Buona lettura! :D

PS: il povero Adams... non arrabbiatevi, eh?

Gelide sorprese

 

Quando aprì gli occhi, il mattino dopo, Percy era ancora lì, accanto a lei.
Audrey notò, con immenso piacere e sorpresa, che non dormiva, ma la osservava con sguardo delicato. Ricordò che Ben non lo aveva mai fatto: se ne andava appena sveglio, anche se era domenica e non doveva andare al lavoro.

A essere onesti, era la stessa cosa che Percy aveva fatto per sei anni con Penelope; ma nella vita si cambia, giusto?
Basta trovare qualcosa – o qualcuno – che ci spinga a cambiare.
- Buongiorno, signor Weasley… - mormorò piano Audrey.
- Buongiorno, signorina Bennet… - rispose lui, sorridendo.
Audrey sbadigliò, poi si spostò un po’ da lui, per stiracchiarsi. Immediatamente sentì nostalgia del suo corpo, così tornò a stringersi contro di lui.
- Cos’è? Hai freddo?
- No, ma sto meglio così…
Rimasero ancora un po’ abbracciati, senza dirsi nulla. Poi Percy parlò:
- Comunque, buon Natale, Audrey.
- Buon Natale anche a te.
- E grazie per il regalo…
Audrey fece un gran sorriso, guardandolo negli occhi.
- Grazie a te, Percy…
Il ragazzo rispose anche lui sorridendo. Strofinò il viso contro la spalla nuda di lei, poi si stropicciò gli occhi e fece un gran sbadiglio.

- Sai, non sono riuscito a togliermi un pensiero dalla testa...
- Davvero? Neppure dopo quelle cose? Pensavo di essere più brava...
Percy arrossì, imbarazzato, ma lei rise. - Avanti: cos'è che ti turba, capo?
- Mi chiedevo... Adams aveva detto che sarebbe venuto al Ballo, no?
- Mmm... Mi pare di sì. Ha detto che in fondo poteva anche venire da solo, giusto per incontrare un po' di persone e stare in compagnia.
- Ma ieri non l'abbiamo visto.
- Mi pare proprio di no...
- Ecco, il problema che mi assilla è: dove diavolo si è cacciato Adams?
Audrey ci pensò su. - Sai che non ne ho la più pallida idea? Magari più tardi gli mando un gufo per fargli gli auguri e mi informo su come sta.
- Mi pare un'ottima idea. - Ridacchiò. - Sai che prima di invitarti al ballo avevo pensato addirittura che ci saresti andata con Adams?
- Adams? Merlino santo, non nego che sia un bel ragazzo, ma è del genere che a noi donne è proibito.
Percy aggrottò le sopracciglia, ma bastò un'occhiata eloquente di Audrey per fargli capire cosa intendeva. - Meglio così – commentò. – Perlomeno non dovrò controllare che tenga le mani a posto sul luogo di lavoro.
Per tutta risposta, Audrey lo colpì sulla spalla, fingendosi offesa. Seguitarono a scherzare così per qualche minuto; poi, con disappunto di Audrey, Percy si alzò dal letto, cercando i vestiti. Fece giusto in tempo a trovare e indossare le mutande (che chissà come erano finite nell’angolo della stanza più lontano dal letto) quando la porta della stanza si spalancò.
- Audrey, ma che ci fai ancora a letto a quest'ora? - La signora Bennet piombò nella stanza, senza badare a ciò che vi accadeva dentro.

Un tipetto decisamente simpatico, la mamma di Audrey; piccola e minuta, al contrario della figlia; inarrestabile, sempre di buon umore, con mille cose per la testa e l'energia di dieci Giganti; ma - secondo il parere della stessa Audrey – un po' troppo vulcanica ed espansiva.
E non parliamo della voce. Parlava in modo velocissimo e un pochino petulante, con la tendenza a crescere di un tono e mezzo tutte le volte che faceva un discorso un po' lungo. E li faceva spesso.
Insomma, per farla breve, questa donna-tornado scelse proprio l'istante in cui il povero Percy indossava le sue mutande per fare irruzione nell'appartamento d sua figlia e nella sua stanza da letto.
Penserete: bella sfiga, eh?
Dispiace anche a me raccontare una cosa simile, ma non prendetevela con me; prendetevela con la mamma di Audrey.

Per fortuna, alla suddetta signora Bennet non mancava l'intelligenza; perciò le bastò un secondo, e uno sguardo terrificato di Audrey, per capire: il suo viso diventò di tutti i colori, mentre notava le condizioni della figlia e spostava lo sguardo su Percy, che istintivamente afferrò un cuscino per coprirsi.
Per circa dieci secondi, nessuno disse nulla. La situazione sarebbe stata estremamente comica, se solo tutti e tre non si fossero trovati in estremo imbarazzo.

Su tutti incombeva lo stesso pensiero:
Cavolo!

Alla fine, la signora Bennet cercò di riprendersi e disse:
- A… Audrey, non mi presenti il tuo amico?
- Ehm… Mamma... Lui… Capo... Ehm...
- Sono Percy Weasley, molto lieto, signora Bennet. - Il ragazzo decise che doveva comunque salvare un po’ di dignità, e si avvicinò alla donna tendendole la mano, sempre coprendosi il corpo con il cuscino.

Cavolo! Che razza di figura...
La signora Bennet fece indugiare per un momento di troppo uno sguardo malizioso su di lui, facendolo avvampare, ma alla fine gli strinse la mano. – Felice di conoscerti, caro.
Guardando poi la figlia (ancora sconvolta dalla scena cui aveva appena assistito) disse:

- Adesso capisco perché non mi hai sentita entrare, e soprattutto perché non sei ancora in piedi. È vero che per te il tempo scorre in modo diverso da noi comuni mortali ma...
- Mamma, ma che stai dicendo? E come mai sei qui, di prima mattina?
- Prima mattina? Aud, sono le undici e mezzo! Dovevamo andare a pranzo dallo zio Roman a mezzogiorno, ricordi?
Ad Audrey prese un colpo. Undici e mezzo! Avevano davvero fatto tardi! E se non si fosse sbrigata a prepararsi, avrebbero fatto ancora più tardi!
- Cavolo! - gridò, balzando fuori dal letto con scatto felino. - Mamma, muoviti, dammi una mano o non ce la farò mai!

La signora Bennet scosse la testa, ridendo. La sua piccola confusionaria.
Rifece il letto e mise in ordine il vestito che la figlia aveva indossato la sera prima, mentre Audrey si vestiva in fretta e furia e correva in bagno.
In tutto ciò, il povero Percy, tuttora seminudo ad eccezione di mutande e cuscino, veniva totalmente ignorato. Non sapeva assolutamente cosa fare, né dove guardare per sentirsi meno in imbarazzo.
Alla fine la signora Bennet lo guardò. - Beh – fece, – tu non ti vesti?
- Oh! Io... Ehm...
- Avanti, ho più del doppio della tua età, mica penserai che mi imbarazzi se ti vesti davanti a me!
Lei non si imbarazza? E io?!
Intuì però che era meglio non discutere con quella donna, e si infilò i vestiti mentre la signora Bennet lo osservava di sottecchi, incuriosita. Non aveva mai incontrato uno dei ragazzi di sua figlia, a parte Ben, e questo non era neanche tanto male! Certo, peccato per quei capelli rossi... Ed è un po' troppo smilzo per i miei gusti. Ma vabbè, Aud è strana...
Nel frattempo Audrey era rientrata in camera e controllava di avere tutto in borsa; la signora Bennet scelse quel momento per raccontarle ciò che non riusciva più a tenersi dentro.
- Aud, ascolta, non puoi capire cosa mi ha raccontato la mia vicina!
- Mamma, sono come al solito in ritardo, non trovo le chiavi di casa e tu vieni a raccontarmi i pettegolezzi della tua vicina?!
- Perché non fai un Incantesimo di appello... - suggerì timidamente Percy.
- Perché non trovo la bacchetta!
- È sotto il comodino, Aud. Allora, senti, la figlia di Rosemary, Margareth, è andata a una festa ieri sera, e indovina chi ha visto in atteggiamenti piuttosto... intimi con un uomo?
- Aspetta, Margareth non è la tizia che chiamavamo “Rosemary's Baby” perché appena mi vedeva cercava di sbranarmi? - chiese Audrey acchiappando al volo le chiavi che era appena riuscita ad Appellare.
- Oh sì, ma è molto migliorata da quando aveva cinque anni. Ma fammi finire! Non vuoi sapere di chi sto parlando?
La voce petulante di sua madre le stava persino impedendo di pettinarsi decentemente i capelli. Approfittando del piccolo momento di confusione, Percy era riuscito ad andare al bagno a lavarsi; nonostante la porta chiusa, però, riuscì a sentire la signora Bennet dire:
- Oh, chi se ne importa, te lo dico lo stesso: si tratta di Ben!
Audrey drizzò le antenne, fermando le braccia a mezz'aria mentre cercava di farsi una treccia. Da dentro il bagno, Percy non poté fare a meno di ridere sotto i baffi. “Lo sapevo, io, che il Paguro doveva avere un buon motivo per lasciar perdere Audrey! Insomma, se non sei attratto da lei vuol dire che non ti piace il genere femminile!”
Audrey invece non l'aveva presa con la stessa filosofia. Spalancò gli occhi a più non posso e boccheggiò.
La madre, tranquilla come se non avesse appena sconvolto la sua unica figlia, si limitò a dire: – Oh, ma Aud, questa treccia è un disastro! Lascia, ci penso io!
- Mamma... Hai detto Ben? Cioè Ben il mio ex?
- Ah, è il tuo ex! Non me lo avevi mica detto tesoro! Beh, meglio così, temevo di sconvolgerti troppo. Comunque sì, proprio Ben, quello che sembra un mollusco...
Ah, allora forse la mia teoria non è sbagliata. Che sia davvero un Paguro gigante?
- ... Insieme a un altro uomo, capito? Adesso che ci penso, Audrey, non sarà mica colpa tua se ha cambiato gusti? Guarda che agli uomini basta poco, eh?
A Audrey iniziavano a ronzare le orecchie. Sia chiaro, non provava più nulla per Ben; era stata la classica storia non-seria che può capitare più di una volta a una ragazza giovane come lei.
Ma... certo, non era cosa da tutti venire a sapere dalla tua cara mamma – la quale è ancora convinta che tu stia con un uomo – che lo stesso uomo si è trovato a pomiciare con un altro uomo ancora! È un po' confuso, lo so, ma di certo i pensieri di Audrey in quel momento non erano molto chiari. Tanto che si ritrovò a chiedersi:
Non sarà mica stata davvero colpa mia?

Fortunatamente si riscosse da quei pensieri: come potevano venirle in mente cose del genere?
Tutta colpa della mamma!

Mentre Percy usciva dal bagno, sentì Audrey che, ripresa la lucidità, domandava:
- Scusa mamma, ma stiamo glissando su un dettaglio fondamentale: chi sarebbe quest'altro uomo? Margareth ne sa qualcosa?
- Oh, certo che sì! Sai quanto è pettegola e petulante quella lì! Ha avvicinato Ben e si è fatto dire tutto! Lui le ha detto che si sono conosciuti in un pub Babbano, ma non ha aggiunto altro. Ci credi? Margareth non è riuscita a sapere niente di niente! Ha solo commentato che era un gran bel pezzo di…
- Mamma!
- … ragazzo, con un grosso...

- Mamma, smettila!
- ... sorriso, e, ma una come lei nota subito queste cose, sembrava davvero ben dotato...
- Percy, uccidimi, ti prego! - implorò Audrey, mentre Percy non riusciva più a tenere le risate.
- ... di carattere. Aspetta, com'erano le parole... Ah sì: un dandy in jeans.
Audrey spalancò gli occhi e guardò Percy, che ricambiò lo sguardo stralunato.
Oh cavolo.

Poi guardarono la signora Bennet.
- Un dandy in jeans?
- Hai presente Oscar Wilde? Ecco.
I due giovani si guardarono di nuovo. E lo stesso pensiero passò a entrambi.

Avrebbero potuto risparmiarsi la fatica di chiedere ad Adams come stava.


 

- Non so se è il caso che venga anch’io…
- Percy, non dire sciocchezze! In casa dello zio, più si è meglio è!
- Dico davvero, io non voglio disturbare…
- Audrey ha ragione, ragazzo, non darai fastidio a nessuno. E poi è solo un pranzo.
Un pranzo di Natale (
di conseguenza immenso), insieme alla famiglia della ragazza con cui hai avuto un (interessantissimo) tête-à-tête solo la sera prima. “Chi potrebbe desiderare altro?” pensò, sarcastico.

Forse avrei fatto meglio ad andarmene appena sveglio...
Per impedire altre discussioni, la signora Bennet trasformò l'abito da cerimonia di Percy in un comune completo scuro e si Smaterializzò afferrandolo praticamente per la collottola.
Arrivati di fronte alla villetta dello zio di Audrey, la signora Bennet suonò il campanello, e la porta si aprì quasi subito.
- Zia Lucy! Zia Audrey! Meno male che siete arrivate, i bambini mi stanno facendo impazzire… Piacere, mi chiamo Judith. - Una ragazzina di sì e no dodici anni con lunghe trecce strinse la mano a Percy, poi corse ad abbracciare Audrey.
- Ciao, piccolina! Dove sono il nonno e il papà?
- Stanno finendo di apparecchiare la tavola, nonno Roman sta facendo un disastro con gli incantesimi Levitanti…
Accompagnati da Judith, entrarono nella casa che da dentro sembrava grande il doppio. Era tutto molto ordinato, ma qua e là c’erano i segni della presenza di diversi bambini: aeroplanini di carta, un modellino di scopa volante, giocattoli… Tutto questo diede una forte e fastidiosa sensazione di dejà – vu a Percy.

Cavolo... me lo dovevo aspettare.
Entrati nella grande sala da pranzo, si trovarono davanti l’intera famiglia di Audrey: lo zio Roman, un uomo di circa sessant’anni che gli strinse la mano vigorosamente, e i suoi figli, i famosi quattro cugini di Audrey, di età compresa tra i trentuno e i trentasette anni, con mogli e figli al seguito. In tutto, quattordici o quindici persone.


Se il marchio dei Weasley era costituito dai capelli rossi, quello dei Bennet riguardava in pratica tutto l'ovale del viso. Gli zigomi, la fronte, lo spazio tra occhi e naso, persino il mento erano riprodotti con precisione quasi millimetrica sui visi di zio Roman, dei suoi quattro figli e della figlia del suo defunto fratello, Audrey (con le dovute differenze che ci sono tra viso maschile e femminile), e anche i bambini avevano preso pochissimo delle rispettive madri. Percy fu impressionato, trovandosi di fronte tutti quei visi quasi uguali. Per un attimo un'immagine perversa attraversò la sua mente: un bambino uguale a Audrey coi capelli rossi. Per fortuna svanì all'istante.
Non appena ebbe finito le presentazioni, Percy chiese dov’era il bagno. Trovatolo, vi si chiuse dentro, quasi ansimando. Doveva riprendersi, doveva cercare di tornare lucido.
Perché tutto ciò gli ricordava troppo il Natale alla Tana.
 

Fanculo.
Aveva sperato, forse anche pregato di non trovare una famiglia così.
Rischiava seriamente di crollare quel giorno.
Fanculo.
Lottava da due (tre?) anni contro quella sensazione: quella nostalgia pungente che lo assaliva quando pensava troppo a lungo ai suoi.
La verità è che ricordare la sua famiglia gli faceva ancora male; tanto male.
Non poteva fare a meno di sentirsi in colpa per come aveva chiuso con loro, e al tempo stesso cercava di convincersi che era tutta colpa loro, che non lo avevano mai apprezzato per com'era. Lo avevano trattato male, quando avrebbero dovuto essere felici per lui, per il suo successo e la sua sfolgorante carriera.
Fanculo.
La sua promozione ad assistente del Ministro era stata accolta con gelo; gli avevano dato dell'incapace, dicendogli che la promozione serviva solo a controllare le mosse di Silente.
Come se lui non avesse le capacità adatte per quell'incarico.
Come se lui non potesse farcela da solo.
Fanculo.
Il suo orgoglio finora lo aveva aiutato a camminare ancora con la testa alta, a non sentirsi un imbecille e a fare il suo dovere come al solito. Lo aveva sostenuto, tenuto in piedi, lo aveva spinto ad andare avanti, sempre più avanti.
Solo grazie al suo orgoglio, al suo amor proprio, riusciva a sentirsi davvero qualcuno.
Senza il suo orgoglio, si sarebbe praticamente sgretolato.
Fanculo.
Ciò però non gli impediva di sentirsi morire, quando vedeva una famiglia allegra.
E quella di Audrey era la madre di tutte le famiglie allegre. I Bennet erano chiassosi, esuberanti, erano tanti.
Oltre a ciò, erano due (o tre?) anni che non trascorreva il Natale coi suoi. Non era particolarmente religioso, ma nonostante ciò aveva sempre dato un certo significato al Natale. Stare lontano dai suoi, in quel periodo, era ancora più difficile.

Voi direte, giustamente: ma diamine, perché non fa pace con loro e basta? Cos'è, si diverte a stare male?
Vi rispondo: probabilmente voi non avete lo stesso orgoglio di Percy. E, se è così, sono molto felice per voi, perché il suo dannato orgoglio lo sta letteralmente facendo a pezzi.
Percy sapeva benissimo di aver reso infelici i suoi, e di essere a sua volta infelice; ma nulla al mondo, nulla, lo avrebbe spinto a far visita alla sua famiglia. Nemmeno a Natale.
Non doveva farlo, perché doveva dimostrare di valere qualcosa anche senza di loro.
Non sapeva a chi, ma doveva dimostrarlo.
Si lavò il viso più volte, atteggiò il viso a una serietà di ghiaccio.
Nulla lo avrebbe turbato, nulla doveva turbarlo.
Fanculo.
Non sono crollato finora, non crollerò oggi. Non per colpa di questa famiglia.

  

- Avete visto l’ultima partita delle Holyhead Harpies? Mai visto le ragazze così in forma…
- Mamma, posso lasciare il secondo?
- William, smettila di tirare il sale addosso a Max!
- Tutto bene, Percy?
Il ragazzo si riscosse. Audrey, vicino a lui, gli sfiorava la gamba con la mano sotto il tavolo. Lui la prese, distrattamente, e lei sobbalzò quando sentì quanto era fredda. Praticamente ghiacciata.
- Sì, tutto a posto…

- Stai pensando a qualcosa?
- No... Non preoccuparti...
- Percy, sei così serio... se posso fare qualcosa dimmelo.
Doveva essere serio. Altrimenti quella situazione lo avrebbe spezzato. E non poteva permetterselo.
- Tutto bene, davvero. - Si sforzò di sorridere alla ragazza, ma ne uscì solo una smorfia.

Come ho avuto modo di ribadire già un paio di volte, Audrey non era stupida; e fu abbastanza intelligente da non insistere per sapere cosa turbava Percy.
Anche se potrebbe essere un pelo più gentile... Vabbè...
La stessa cosa pensò Percy. Si rese subito conto di aver ferito la ragazza, e stava per scusarsi, quando qualcosa bussò alla finestra. Era un allocco, più precisamente l'allocco del Ministro Scrimgeour.
Prontamente Percy si alzò, e andò a prendere il messaggio che portava.
"Odio disturbarti anche a Natale, Weasley, ma avrei bisogno di una mano. Vieni immediatamente davanti al Ministero. Grazie."
Il ragazzo si voltò verso i Bennet. Tutti, compresi i bambini, lo fissavano, improvvisamente zittiti. Deglutì, e si sentì avvampare.
- Io… ho da fare, mi dispiace. Grazie infinite per il pranzo.
Fu salutato cordialmente da tutti, e accompagnato fuori da Audrey.
Appena in giardino, lei lo abbracciò. Lui ristette un po' irrigidito, al che lei fece per scansarsi, ma Percy glielo impedì ricambiando infine la stretta.
- Cattive notizie?
- Non ne ho idea.
- Vuoi che ti accompagni?
Per un momento Percy fu tentato di rispondere di sì. Gli sarebbe piaciuto avere ancora accanto a sé Audrey.
- Meglio di no. Il Ministro non ama intromissioni sul lavoro.
- Va bene.
Percy si sentiva diviso. Da una parte il sollievo di allontanarsi da quella casa, dall'altra il dispiacere di staccarsi da Audrey. - Facciamo che ci rivediamo stasera?
- Sicuro di volerlo?

Percy la guardò interrogativo. - Perché me lo chiedi?
- Oggi non hai aperto quasi bocca. Sei stato... lontano. Se vuoi stare da solo stasera, non preoccuparti, fai come meglio credi.
Cara ragazza.
- Audrey, stasera avrò bisogno di stare con te. Allora, ci vediamo?
- Va bene. Casa mia o casa tua?
- Meglio casa mia, non voglio altre sorprese come quella di stamattina.
Sorrisero.
- A dopo. Magari farò anche in tempo a tornare qui.

- Ci conto. A dopo.

 

Il Ministro lo aspettava, intabarrato in un lungo cappotto. Percy si avvicinò, e lui gli fece un cenno di saluto col bastone.
- Salve Weasley. Ti ringrazio di essere venuto, non volevo disturbare ma… sai…
- Nessun problema, Ministro, sono sempre disponibile per lei.

- Spero di non aver interrotto nulla di importante.
Piuttosto che ammettere una cosa simile col suo Ministro, Percy si sarebbe fatto affettare la lingua.
- Assolutamente no. Ero stato invitato a pranzo fuori e...
- Bene, bene. - Il Ministro fece uno dei suoi sorrisi cortesi ma indifferenti. – Dimmi, Weasley, è molto che non rivedi la tua famiglia?

Percy deglutì. Non capiva dove volesse andare a parare, ma non gli piaceva.
Si sistemò gli occhiali, nervoso.
- Come, prego?
- Sai, Weasley, persone come noi sono convinte che la vita giri intorno al nostro lavoro, e finiamo per trascurare le cose davvero importanti; la famiglia è una di queste, figliolo.
Percy non rispose. Quella discussione gli piaceva sempre meno.
- La famiglia – seguitò Scrimgeour, – ti rimane accanto anche nei momenti più difficili; si può discutere, litigare, arrabbiarsi con la famiglia, ma alla fin fine non ci si può allontanare da essa più di tanto. Non sei d'accordo?
Il sorriso fintamente cordiale di Scrimgeour si scontrò col volto di ghiaccio di Percy, ma non cedette.
- Orbene, Weasley, che ne dici se adesso io e te andiamo a trovare i tuoi? In fondo sono curioso di sapere da che famiglia viene il mio prezioso assistente; e poi, vuoi mettere la sorpresa che farai loro?
Parlò ancora a lungo, su questo tono, ma Percy non l'ascoltava. Era diventato di marmo.
Lui amava il suo lavoro, e amava essere ben considerato dal Ministro. Ma questo no. No. No.
Non poteva presentarsi ai suoi, non quel giorno, non così, non...
Non dopo tutto quel tempo.
E soprattutto non in quel modo.
Ma Percy non avrebbe mai detto di no al suo superiore. Per nulla al mondo.
Fu con una voce irriconoscibile che disse:
- Certo, Ministro. Sarebbe molto bello presentarle la mia famiglia.
Il sorriso di Scrimgeour si allargò ancora di più.
- Splendido, splendido, figliolo! Naturalmente, però, diremo che è stata una tua idea; non vorrei mettere in imbarazzo i tuoi...
Naturalmente.
Faceva freddo, freddissimo. Sembrava che quell'inverno non sarebbe mai passato.
Percy gelava, fuori e dentro.

  

Tornato finalmente a casa, quella sera, Percy si stupì di trovare il camino acceso. Poi ricordò che aveva dato appuntamento lì a Audrey, e che probabilmente lo stava aspettando.
Infatti la vide sulla sua poltrona, rannicchiata. Doveva essersi assopita guardando il fuoco.

Percy le lanciò uno sguardo. Dormiva con un'espressione corrucciata, la treccia che sua madre le aveva fatto quella mattina si era disfatta. Non appena però lui fece scricchiolare un'asse del pavimento, Audrey si svegliò con un sobbalzo, lo guardò e sorrise. - Ehi...
Non la salutò nemmeno. Non riusciva neppure a guardarla negli occhi.
Voleva solo una cosa: che se ne andasse.
Non la voleva lì, punto e basta. Voleva stare solo, solo, solo.
Senza nascondere il proprio malumore, andò dritto verso il camino, e lo spense con un tocco di bacchetta.
Nulla avrebbe potuto scaldarlo quella sera.
Audrey lo guardò stranita; non si aspettava che Percy si comportasse così.
- Percy... Cosa...
- È meglio che tu vada via - le disse seccamente.
- Ma che dici? Percy...
- Va' via, ho detto.
Sentendo quel tono, Audrey si arrabbiò. Cosa sono, un puntaspilli?
- E perché mai, di grazia?
- Non sono affari tuoi. Non devo giustificarmi con te.
Quella frase la ferì davvero. Si avvicinò a Percy, lo costrinse a guardarla negli occhi. Si spaventò per quello che vi vide.
Ghiaccio.
Nient'altro. 

Fu quello che la convinse ad andarsene. A rimandare le spiegazioni a un altro giorno, se ci fosse stato.
Prese di corsa cappotto e borsa e uscì, asciugandosi una lacrima di rabbia.
Lo lasciò solo, seguita dal suo profumo di mela.
E quando Percy fu solo, si permise di crollare. Di frantumarsi, come un pezzo di ghiaccio.

Ritorna all'indice


Capitolo 12
*** I am a rock, I am an island ***


Salve!
Aggiornamento vicino al precedente, perché penso che il capitolo vada bene così e non voglio metterci ancora le mani (ho il complesso del revisionismo, inteso come il bisogno maniacale di leggere, rileggere e cambiare totalmente tutto ciò che scrivo; complesso che sparisce una volta che ho pubblicato).
Avvertenze:
1) questo capitolo non è propriamente da "San Valentino". Infatti non volevo aggiornare oggi, anche perché il sito sarebbe stato già invaso da ff "a tema" e l'aggiornamento sarebbe stato risucchiato nel vortice. Però era necessario per aiutarmi a superare questo complesso di cui vi ho parlato. Comunque, io vi ho avvisati (anzi, avvisatE, visto che il successo di questa long fic sembra limitato al pubblico femminile).
2)Spero sinceramente che finiate con l'affezionarvi alla famiglia Bennet, perché io la adoro: giusto ieri ho dato gli ultimi ritocchi all'albero genealogico, e ora tutti i cugini, le mogli dei cugini e i nipoti di Audrey hanno un nome e delle caratteristiche. E anche se non doveste affezionarvi, beh... la storia è MIA e ci metto chi voglio io! :D
3) Il titolo del capitolo, che ricorre un paio di volte, in italiano, nel testo è un verso della canzone "I am a rock", di Simon&Garfunkel -->
http://www.youtube.com/watch?v=My9I8q-iJCI
Vi consiglio di ascoltarla, non tanto perché a tema col capitolo ma perché stiamo parlando di storia della musica!
4) Ho assolutamente bisogno di un nome per Adams! Nella mia mente è stato sempre e solo Adams, ma tra qualche capitolo avrò bisogno di un nome per lui e non so dove sbattere la testa. Accolgo suggerimenti, spero che qualcuna delle mie lettrici abbia l'iluminazione!
5) La parola "blaterìo" non esiste, è un mio neologismo. Potete usarlo, se volete (magari non nei temi scolastici).
6) Vorrei ringraziare pubblicamente tutte le persone (non molte, ma molto care) che hanno commentato i precedenti capitoli. Oramai sono grandicella, e ho superato la fase "Per favore recensite", "Lasciate un commento", "Fatemi sapere che ne pensate" et cetera; nonostante ciò, il fatto che qualcuno abbia gradito talmente tanto ciò che ho scritto da dirmelo è per me fonte di grande gioia e di ispirazione. Grazie mille.
 

 I am a rock, I am an island


Voi che non siete stupidi come Percy, avrete sicuramente capito che, quel famoso Natale, il Ministro Scrimgeour non voleva davvero conoscere la famiglia; ovvio, no?
Beh, a onor del vero, nemmeno Percy era così stupido come pensate, e aveva intuito che qualcosa non quadrava. Tuttavia, non si era permesso di negare un favore al Ministro.
Ne aveva pagate le conseguenze. 

Era stato lì, come un cretino, mentre i suoi fratelli lo guardavano sbigottiti e sua madre tentava di stringerlo; immobile, ostentando una sicurezza che non aveva affatto.
Era congelato.
Un morto.
Si sarebbe dovuto smuovere, di fronte all'abbraccio di sua madre, alle sue lacrime di commozione.
L'unica frase che era riuscito a dire, appena entrato, era rivolta proprio a lei.
- Buon Natale, madre.
Che bastardo.
Lo sapeva; sapeva che solo a lei sarebbe importato qualcosa del suo ritorno. Ma non si era rivolto a Molly per salutarla; lo aveva fatto per ignorare tutti gli altri.
Che non meritavano il mio saluto. 

Capì meglio le mire del Ministro quando lo vide uscire con Potter in giardino.
Che idiota.
L'aveva usato; era stato il lasciapassare di Scrimgeour, per permettergli di parlare con Potter.
Era stato un burattino, come al solito.
Che cretino.
Ci era cascato come un cretino. Si era fatto incastrare da quello stronzo del Ministro. Che verme.
Lui subiva il peggiore dei supplizi – rivedere la sua famiglia quando era fermamente deciso a non farlo – mentre il Ministro tentava di circuire Potter.
- Buon Natale, madre...
Che razza di bastardo era mai?
Naturalmente, nessuno, tranne forse Molly, credette alla storia che era stato lui a chiedere al Ministro di passare a salutarli. Tanto meno finsero di farlo. 

Una volta uscito il Ministro, i Weasley rimasero soli con Percy.
Congelati.
Percy non intendeva aprire bocca. L'ultima volta che aveva parlato, in quella casa, lo avevano accusato di fare comunella col nemico, di essere stato promosso non per i suoi meriti ma per diventare una pedina al servizio del Ministero e dei suoi loschi piani. Discorsi che lui non aveva minimamente accettato.
Aveva gridato contro suo padre, sgolandosi come lui, difendendo il Ministero e il suo lavoro; entrambi urlavano, rossi in volto, a due centimetri di distanza. Si erano detti di tutto: nessuno dei due aveva risparmiato insulti e illazioni. E a un certo punto, Percy aveva tirato la stoccata definitiva:
- Guarda che lo so cosa pensi di me. Pensi che io sia un incapace, un fallito. Beh, non lo sono; mi pare di aver dimostrato abbastanza quanto io sia diverso da te!
A sentirsi dare del fallito, Arthur non ci aveva visto più. Si sarebbe scagliato contro il suo stesso figlio se non fossero intervenuti i gemelli a bloccarlo.
Da quel momento in poi, è storia: padre e figlio non si erano più rivolti la parola, evitandosi anche al lavoro e fingendo di non vedersi.
Stava diventando una lotta a chi aveva la testa più dura. 

Sia chiaro, in un frangente del genere è impossibile parteggiare per Percy.
Lui, e tutti coloro che agiscono come lui (e non pensate siano pochi) hanno il torto più marcio.
Ora, però, riflettiamo. Percy è solo un ragazzino, ha vent'anni e qualcuno, dal Ministero, gli ha dato un'occasione più unica che rara alla sua età. Aggiungete che di certo Percy non si sentiva il figlio favorito dei Weasley: ovviamente Molly e Arthur erano orgogliosi di lui, ma un tipo così, abituato ad essere schernito dai fratelli, si sentirà sempre sottostimato.
Con un ruolo così, invece, Percy si sentiva davvero considerato. Non era più uno dei sette fratelli Weasley, era l'assistente del Ministro. E a soli vent'anni. C'è di che far girare la testa a parecchi di voi, ne sono sicura.

Quando è arrivato alla Tana con la notizia della promozione, si aspettava feste e complimenti, e si è ritrovato il gelo. Si aspettava che si congratulassero per essere arrivato così in alto così giovane, e si è sentito dire che non ci era arrivato per merito suo ma perché il Ministero voleva usarlo.
Naturalmente, e voi ed io lo sappiamo bene, questo non giustificherebbe mai e poi mai ciò che Percy ha fatto.
No di certo.
E anche lui lo sa, ve lo assicuro.
 

Riflessioni a parte, Percy non era intenzionato ad aprire bocca davanti a Arthur e ai suoi fratelli. Le parole che si erano detti gli bruciavano ancora, da morire.
Non che i sentimenti degli altri Weasley fossero molto diversi. Solo Molly sembrava sinceramente felice di rivedere suo figlio.
Lo era.

Non aveva sue notizie da due (tre?) anni; sarebbe bastato, per farla contenta, che Percy le mandasse un gufo ogni sei mesi.
E ora, suo figlio era lì. Il suo adorato Percy.
- Tesoro... - Si asciugò l'ennesima lacrima, trattenendo un singhiozzo. - Guardati, sei tutto sciupato... Dai, mangia qualcosa, siediti... Ti prendo un piatto...
- Non serve, ho già mangiato.
Non voleva dirlo così, con quella freddezza, quell'astio. Ormai però era fatta.
Evitò di guardare sua madre, la quale, non curandosi delle parole di suo figlio, gli stava tagliando un pezzo enorme di tacchino.
- È così bello, sai... A Natale... è proprio il miglior regalo che...
- Non sono tornato per restare, madre. Passavamo di qua. Si tolse gli occhiali, e finse di pulirli sulla veste; non ebbe così modo di vedere il viso di Molly che si contraeva e subito cercava di tornare sereno.
- Oh, ma certo, certo... Lo sappiamo che... che hai da fare...
- Sì, Percy, lo sappiamo che sei un idiota.
Era venuta da Ginny. La piccola Ginny.
Percy aveva sempre adorato la sua unica sorella; si era preso spesso cura di lei, le aveva insegnato a leggere, l'aveva aiutata coi primi incantesimi. Qualcosa si contorse dentro di lui.
Si rimise gli occhiali, e fissò sua sorella, impassibile.
- So bene cosa pensate di me, e mi pare di aver chiarito che non me ne importa nulla.
- Sai una cosa? A noi non importa nulla di te.
- Ginny, non... - provò a intervenire Molly, ma la ragazza la ignorò.
- Non ci importa se vieni qui a cercare di impressionarci, portando il Ministro in casa. Sai una cosa? Senza di te, si sta molto meglio. Peccato che tu non sia andato via anni fa!
- Ginny, basta...
- Tu hai dato del fallito a mio padre. Lo hai insultato in tutti i modi possibili e immaginabili; sei arrivato a dire che era un danno per la tua carriera essere associato a lui. Purtroppo ti è sfuggito il fatto che, al contrario di te, lui ha qualcuno che gli vuole bene. Tu sarai amato sempre e solo da te stesso!
- Ginny, adesso taci.
Era stato Arthur a parlare. Ginny ammutolì immediatamente, aspettandosi che anche lui parlasse. Il padre però si limitò a guardare i suoi figli – tutti, tranne Percy. Poi disse, con un tremito impercettibile nella voce:
- Oggi è Natale. Sappiamo tutti cosa significa il Natale per una famiglia. Oggi non voglio litigi, né discussioni, fra i miei figli. - Dicendo così, guardò Percy negli occhi.

Non si guardavano in faccia da quasi tre anni. Percy sentì una scossa, nel sentire gli occhi del padre nei suoi; quegli occhi lo avevano guardato così tante volte... Eppure era come se li vedesse per la prima volta.
Suo padre. Quante volte avrebbe voluto tornare indietro, rimangiarsi le parole orribili che gli aveva detto. Lo aveva ferito, in parte consciamente, in parte involontariamente, ma sapeva di avergli fatto del male. Sapeva che era lui a soffrire, più di sua madre, più dei suoi fratelli.
Glielo stavano dicendo i suoi occhi, in quel momento.
Fu lì lì per cedere, per ammettere i suoi errori, per chiedere perdono. Lo avrebbe fatto, ora, e al diavolo in Ministro, al diavolo il lavoro, al diavolo tutto.
Ma in quel momento Harry Potter rientrò in casa.
Percy si riscosse. Il Ministro era rimasto fuori, ad aspettarlo.
- Io... devo andare - disse, uscendo quasi di corsa dalla porta. 

Da qualche parte, nel suo cuore, Percy sapeva.
Sapeva che sarebbe tornato, un giorno; ne era sicuro. E sapeva che quel giorno lui sarebbe stato felice, e anche la sua famiglia. Però avrebbe deciso lui quando e come; e quello non era il momento giusto.
Perché si sentiva ancora così arrabbiato con i suoi, che nemmeno l'abbraccio di sua madre era riuscito a scuoterlo. E Percy odiò questa cosa, con tutte le sue forze.
Odiò il fatto di non commuoversi rivedendo sua madre.
Odiò il fatto di non riuscire a scusarsi, semplicemente, con suo padre.
Odiò il Ministro che lo aveva intrappolato in quella situazione.
Odiò quel Natale. 

Per calmarsi, girovagò senza meta per la città. Non aveva mai avuto tanto bisogno di sfogarsi.
Non sapeva esattamente dove andare; dopo che il Ministro lo ebbe congedato nervosamente, pensò che non voleva tornare dai Bennet. Sentiva salire la nausea, al pensiero di rivedere quelle facce felici in un giorno in cui lui agonizzava.
“Calma” pensò. Calma.
Doveva assolutamente recuperare la calma.
La calma, anche solo apparente, lo aveva fatto sopravvivere in quegli anni. Non era come sua sorella: non aveva bisogno di mettere in mostra tutti i suoi sentimenti negativi; era benissimo in grado di reprimerli.
Sì, come no, raccontala a un altro.
Purtroppo, il suo concetto di “reprimere” equivaleva a “ignorare”; ma quel Natale non riusciva proprio a ignorare l'immensa tristezza e al contempo la grande rabbia che gli aveva dato lo stare di fronte a tutta la sua famiglia.
Camminò per il paese, lo sguardo fisso sulle sue scarpe nere che affondavano nella neve. Aveva freddo: bene, lo avrebbe aiutato a distrarsi.
Camminò, camminò un sacco. Non pensò a nulla.
Quando il sole iniziò a calare, pensò di aver ritrovato la lucidità; tornò freddo, serio, impassibile. L'unico modo per non cedere alla nostalgia era non sentirla.
Sono una roccia, sono un'isola, canticchiò. 

 

Quella stessa sera, come avete visto, non riuscì a trattenersi dal cacciar via Audrey in malo modo.
Il fatto è che quella vetrina che la ragazza era riuscita a incrinare la sera prima si stava già riconsolidando.
Tutto doleva a Percy. Soprattutto da quando non stava più con Penelope; da quel momento aveva capito cosa significasse essere veramente soli.
Nonostante ciò, dopo una simile giornata voleva rimanere solo. Non voleva cacciare Audrey, né voleva farla sentire male, dopo che aveva passato chissà quante ore ad aspettarlo. Voleva stare solo, e basta.
Solo con la grande confusione di pensieri che aveva nella testa, che non lo stava aiutando certo a capire quanto stesse ferendo Audrey con quel comportamento.
Stava di nuovo facendo l'egoista; voleva restare solo.
Solo, solo; forse Ginny aveva ragione.
Nessun altro lo avrebbe amato, al di fuori di se stesso. Sarebbe sempre stato solo. Sempre.
Come una roccia. Come un'isola.

 

Si risvegliò il mattino dopo, sulla poltrona; la stessa dove si era assopita Audrey la sera prima.
Era tutto dolorante; la schiena e il collo gli facevano malissimo. Sì alzò, ma si sentì debolissimo: probabilmente, durante la notte gli era salita una febbre da cavallo.
Giustamente, ci mancava solo questo.
Barcollando, andò in bagno e prese un filtro; dopodiché si spogliò e si infilò sotto le coperte, aspettando che la febbre scendesse.
Si risvegliò nuovamente verso le sei di sera, con un vago mal di testa. La febbre era scomparsa, ma aveva avuto degli incubi tremendi: il viso di suo padre appariva e scompariva, accompagnato dalle lettere della parola “fallito”.
Si stropicciò gli occhi, sperando che quelle immagini scomparissero dalla sua memoria.
E tutt'ad un tratto, un'altra immagine comparve vividissima nella sua mente.
Audrey.
Cavolo.
La sera del 25 l'aveva trattata da cani. Non era stato abbastanza lucido da rendersene conto, ma ora l'evidenza di ciò che aveva fatto gli compariva davanti agli occhi.
Cavolo...
Che ho fatto?
Ebbene sì: vi parrà strano, ma, nonostante avesse qualcosa di molto più serio a cui pensare – ovvero il rapporto con la sua famiglia – Percy si mise a pensare a Audrey e a come l'aveva trattata. Non chiedetemi di spiegarvi questo comportamento; probabilmente, mentre il 25 era troppo occupato a indurire il suo orgoglio per non darla vinta alla sua famiglia, al contrario il 26 quello stesso orgoglio aveva iniziato ad afflosciarsi, e, siccome ancora non si sente in grado di riavvicinarsi ai suoi parenti, desidera almeno cercare di far pace con Audrey. Anche perché, strano a dirsi, si stava mettendo nei panni della ragazza, e gli dispiaceva sinceramente per come l'aveva trattata.
Si sentiva... male, ripensando a lei e a quella lacrima di rabbia che le era sfuggita la sera prima. Davvero male.
Non è giusto, non è giusto che dovunque vada faccia sbagli... almeno a questo devo rimediare, cavolo!

 

A proposito: e Audrey? Che fine ha fatto?
Beh, potete immaginare da soli. Cosa fa una ragazza di vent'anni scarsi, dopo che si è illusa di aver iniziato una meravigliosa storia romantica ed è stata invece richiamata alla dura realtà da uno sguardo e alcune parole davvero offensive per lei? (Già; non so esattamente che idea vi siate fatti fin adesso di Audrey Bennet, ma una cosa va tenuta presente: non è una senza spina dorsale. Assolutamente no. Quando vuole, ha un bel caratterino, e non ci vuole molto per offenderla.)
Insomma, cosa fa, secondo voi?
Semplice: va da sua madre.

 

La signora Bennet adorava avere sua figlia in giro per casa. Non aveva avuto problemi quando Audrey aveva preso in affitto l'appartamento a Londra per poter essere più vicina al posto di lavoro, anche perché così aveva più tempo per ospitare le sue amiche e dedicarsi ai suoi hobbies (in primis, l'aerobica e il pettegolezzo).
Avere sua figlia in casa, però, era tutta un'altra cosa, e la signora Bennet era sempre felicissima di stare con lei. O meglio, quasi sempre.
Quel 26 dicembre, per la prima volta, desiderò che Audrey chiudesse la bocca per sempre. La signora Bennet, l'avrete intuito, aveva una parlantina invidiabile ma era una pessima ascoltatrice, e odiava più di tutto doversi sorbire le lamentele della figlia.
Cosa che, quel 26 dicembre, accadde.

 

Audrey era entrata dalla madre alle sette di mattina, furibonda. Sembrava un'Arpia.
La signora Bennet era già in piedi, ma ancora molto assonnata e decisamente poco reattiva. Ciò non impedì a Audrey di iniziare subito la lunga lista delle sue invettive contro Percy Weasley, che la povera signora Bennet dovette sorbire mentre preparava il caffè, lo beveva, rifaceva il letto, si lavava il viso e si vestiva.
E non credete che sia finita.
Intuendo che sarebbe andata per le lunghe, si sedette in poltrona, pensando che almeno avrebbe avuto modo di continuare il centrino all'uncinetto che aveva iniziato la settimana prima. Dovette fermarsi dopo qualche minuto, perché il blaterìo di Audrey la distraeva.

 

Probabilmente penserete che io sia ingiusta contro Audrey: chiariamoci, nessuna più di lei ha il diritto di arrabbiarsi e sfogarsi in ogni modo, e sono d'accordo con voi se pensate che la signora Bennet dovrebbe concedere più attenzione alla sua unica figlia.
C'è però una cosa che la signora Bennet sa benissimo: quando Audrey è furiosa, si lamenta, sì, ma in genere è impossibile trovare un filo logico nel suo discorso. Si può iniziare a parlare con lei e a calmarla soltanto quando si ferma e smette di parlare.
Cosa che può avvenire anche tre ore dopo; proprio come stava succedendo quel 26 dicembre. 

- Insomma, ti rendi conto, mi ha detto lui di andare a casa sua, e invece, ma ti pare, è incredibile, è un cretino, un dannato cretino, io lo sapevo che finiva così, e che cavolo, non è possibile, non lo sopporto, sono buona e cara ma queste cose, Merlino, non so proprio, è assurdo...
Perché, perché, Dio mio, che ho fatto di male?
- ... ma poi, avesse provato a scusarsi, e invece no, nemmeno l'ombra di una chiamata, che cretino, non è incredibile?
Audrey si fermò, guardando sua madre come aspettandosi una risposta. La signora Bennet era accasciata sulla poltrona, la testa le ronzava per la chiacchiera continua della figlia. Credette che quello fosse il momento buono per fermarla e aprì la bocca, ma non fece in tempo a rispondere: sua figlia aveva ripreso a camminare nervosamente avanti e indietro per la stanza, sparando insulti a raffica.
- Idiota, cretino, bastardo, non si merita niente, che imbecille...
Cielo, ma Audrey non sputa mai? Sono due ore che va avanti così! Da chi avrà preso tutta questa parlantina?
- ... sono proprio una sfigata del cavolo, non ho chiuso occhio tutta notte pensando a lui, non si merita niente, tanto lo so, che voleva solo portarmi a letto, è un imbecille...
Chissà, forse se mi alzo e vado in bagno non se ne accorge nemmeno... sono due ore che me la tengo! Tra un po' me la faccio sotto!
- ... Ma perché, perché, dico io, che ho fatto di male, eh mamma?
La signora Bennet si riscosse dai suoi pensieri. Audrey la guardava, disperata, stavolta aspettandosi davvero una risposta.
Il fiume di parole che aveva da dire si era esaurito, ora aveva bisogno di conforto. Che però non arrivò molto prontamente.
- Oh, tesoro, mi dispiace tanto - disse infatti la signora Bennet. - Però non ho ancora capito di che cosa parli.
Audrey spalancò gli occhi, poi si accasciò sulla poltrona di fronte a quella dove sedeva sua madre e scoppiò in lacrime.
- Di Percy, mamma! Ieri mi ha cacciata via, era tutto arrabbiato e non so nemmeno perché...
- Percy? - domandò la madre. - Il tizio con cui...
Audrey annuì, tirando su col naso. - Sì – grugnì. - Lo odio.
- Ma, Audrey, ieri mi sembrava proprio che...
- Ma cavolo! Con che diritto si permette di dirmi: “Non devo giustificarmi con te”? Dimmi, con quale diritto?
La signora Bennet sospirò. Stava per ricominciare lo sproloquio.
- Aud, se non mi dici tutto dall'inizio non capirò mai nulla. E smetti di fare avanti indietro per la stanza, che mi rovini la moquette. 

Finalmente, con un po' di pazienza, la signora Bennet riuscì a farsi raccontare per filo e per segno ciò che era successo la sera prima.
- ... e alla fine mi ha detto “Non devo giustificarmi con te”, come se non... non valessi nulla! Non mi sono mai sentita tanto offesa...La signora Bennet annuì. Conosceva perfettamente il carattere di Audrey, e un atteggiamento di disprezzo la faceva arrabbiare e disperare allo stesso tempo.
- Sai, – borbottò Audrey, dopo essersi soffiata rumorosamente il naso, – nessuno mi aveva mai trattata così, è stato orribile...
- Tesoro, ti capisco - le disse la madre, dandole alcune pacchette affettuose sulla gamba.
- Hai tutte le ragioni per arrabbiarti, si è comportato proprio da cretino. Però sono sicura che c'è una spiegazione...
- Sì, la spiegazione c'è! - esplose Audrey. - È un dannato manipolatore, mi ha portata a letto e poi ha pensato bene di liberarsi di me come di un sacchetto della spazzatura pieno di cacca di Doxy!
- Aud, fidati, riconosco gli uomini a naso, e lui non è il tipo da fare cose simili. Dai, tesoro - sussurrò carezzandole i capelli. - Vedrai che si risolverà tutto, eh?
- Oh, certo che si risolverà. Non voglio vederlo mai più, all'infuori che in ufficio.
La signora Bennet scosse la testa. - Sai che non sarà così. Anzi, scommetto dieci galeoni che stamattina stessa ti cercherà per scusarsi. Senti - aggiunse dopo una pausa, - che ne dici di darmi una mano a preparare dei dolci? Sai, oggi pomeriggio vengono Rosemary e le sue sorelle, e non voglio fare brutta figura...
Nulla tirava su di morale Audrey come la cucina, e la signora Bennet lo sapeva bene. Audrey si soffiò per l'ultima volta il naso, poi corse a preparare l'impasto per i biscotti. 

Mentre Audrey annegava i suoi dispiaceri nella farina e nel burro (maltrattando parecchio l'impasto, tra l'altro), Percy era nel suo letto aspettando che la febbre passasse, quindi la signora Bennet (che non poteva saperlo) perse la scommessa.
Tuttavia, alle sei e mezzo della sera, Percy era (come aveva predetto la mamma di Audrey) ben deciso a chiedere scusa alla ragazza. Non poteva assolutamente fare altrimenti: Audrey gli piaceva, gli piaceva stare in sua compagnia, e non voleva che i suoi malumori rovinassero il bel rapporto che stava nascendo.
Per prima cosa, ebbe il coraggio (o la stupidità?) di presentarsi all'appartamento di lei. (Dico stupidità perché qualsiasi ragazza, al posto di Audrey, se in quel momento si fosse ritrovata alla porta proprio colui che sperava di non vedere mai più, gli avrebbe lanciato una fattura di proporzioni apocalittiche).
Per sua fortuna, Audrey non era in casa.
Si grattò la testa, pensieroso. Dove poteva cercarla?
L'idea di mandarle un gufo più tardi era fuori discussione. Intuiva che, per il suo comportamento, avrebbe come minimo dovuto scusarsi di persona.
Pensò allora di andare dallo zio Roman. Guardò l'orologio: erano quasi le sette e mezzo, probabilmente non avrebbe arrecato disturbo a quell'ora.
Cercando di ricordare esattamente dove abitasse Roman Bennet, si Smaterializzò.
Per la seconda volta fu fortunato: trovò subito la strada giusta. Grazie, memoria!
Suonò il campanello e venne ad aprire una signora alta e bruna che aveva conosciuto il giorno prima a pranzo, ma di cui non ricordava affatto il nome.
- Oh, ma tu sei Percy, no? Il ragazzo di Audrey!
Percy deglutì, tentando di non arrossire. - Ecco, in realtà non sono il rag...
- Roman! C'è il ragazzo di Audrey!
- Sul serio? Dai, Magda, fallo entrare!
- Accomodati, Percy, stavo giusto preparando la cena.
- Ma veramente io...
- Percy! Come va? È bello rivederti così presto! - disse a voce alta lo zio Roman, andandogli incontro nell'ingresso mentre la moglie, la signora Magda, chiudeva il portone.
È il caso di spendere due parole sul signor Roman Bennet. Ho già accennato al fatto che, di viso, i Bennet si assomigliavano tutti moltissimo. Ciò che differenziava Roman dai suoi figli (e da Audrey, naturalmente) era un bel paio di folti baffoni biondi che gli davano una simpatica aria da tricheco; unite a ciò una gran pancia prominente, una risata forte e contagiosa e due occhi verdi e vispissimi e avrete un'idea dello zio Roman.
Strinse forte la mano a Percy, sinceramente contento di rivederlo. - Dai, accomodati pure. Spero che ti piaccia la cucina italiana, Magda fa degli spaghetti squisiti...
- E-Ecco, lei è molto gentile, signor Bennet, ma...
- E chiamami Roman! - esclamò, dandogli una gran pacca sulla schiena che lo fece rimanere senza fiato. - Sei in famiglia, ormai!
- La cena è pronta! -annunciò Magda. - Sei fortunato - disse poi, rivolta a Percy, – avevo preparato per sbaglio tre porzioni di pasta invece che due! Vedi, a volte, i casi della vita...
- Ma io...
- Dai, siediti, non vorrai mica mangiare in piedi!
Non trovò di meglio da fare che obbedire. Qualunque obiezione veniva stroncata sul nascere dai due coniugi. La signora Magda gli schiaffò nel piatto quelli che sembravano due etti di spaghetti e quattro enormi polpette.
- Coraggio, assaggia e dimmi che ti sembra!
Il povero Percy deglutì di nuovo. Non era abituato a mangiare così tanto, ma non voleva offendere la signora Magda. Così, sotto lo sguardo dei due ospiti, assaggiò il primo boccone di spaghetti.
Cavolo, sono davvero deliziosi!
In un quarto d'ora li aveva divorati tutti, comprese le polpette, e su suggerimento di Roman aveva anche intinto il pane nel sugo, ripulendo il piatto. Quando poi gli avevano offerto una fetta di tacchino e un pezzo di tiramisù avanzati dal giorno prima, non aveva potuto rifiutare. E non si dice mai di no a un caffè e un sorso di liquore.
La cena, nel complesso, finì due ore dopo. In tutto quel tempo, i coniugi Bennet lo avevano intrattenuto molto allegramente, parlando di ogni argomento possibile e immaginabile. Percy, con la pancia strapiena e la mente un po' intontita dalla digestione, si sentiva davvero contento; pensava di fermarsi solo un minuto, e invece aveva passato una bella serata con due persone così simpatiche. Sì, stava proprio bene.
- ... e poi, finita la scuola, sono stato ammesso subito alla facoltà di Guarigione... A proposito, Percy, non mi hai detto dove lavori.
- Oh, già. Io lavoro al Ministero. Sono – e gonfiò il petto, inorgoglito – l'assistente del Ministro Scrimgeour.
- Però! Così giovane! - fece Roman, senza smettere di sorridere.
- E inoltre – seguitò Percy – ho altri incarichi di responsabilità, ad esempio dirigo il reparto Archivi...
- Oh, ma è dove lavora Audrey!
- Ehm, ecco...
- Hai ragione, Magda! Allora è lì che l'hai rimorchiata, eh? E bravo, l'assistente del Ministro!
- Roman, sei proprio un cafone! L'hai fatto arrossire! Oh, tranquillo Percy – aggiunse rivolgendosi al ragazzo, le cui guance, più che arrossire, avevano iniziato a virare verso un deciso color prugna. - Roman scherza sempre. Ma, scusa - fece Magda, guardandolo interrogativa, – adesso che ci penso, non ci hai ancora detto come mai sei venuto fin qui!
Già, perché ero venuto qui? Non vedo perché sarei dovuto andare dagli zii di Audrey... un momento, Audrey!
- Proprio di questo volevo parlare. Stavo cercando Audrey, ma non l'ho trovata in casa. Avete idea di dove possa essere?
Roman si allisciò i baffi. - Fammi pensare... Potrebbe essere uscita con qualcuno, ma visto che tu sei qui e che Audrey è una brava ragazza, lo escludo.
Diamine, non ci avevo pensato. E se il Paguro avesse avuto una crisi mistica e fosse tornato a cercarla? Dannazione!
- Se non sbaglio, Roman, Audrey passa il giorno di Santo Stefano da sua madre, quindi probabilmente è ancora lì. Conosci l'indirizzo?
Non lo conosceva. Se lo fece dare, sperando intensamente che non gli chiedessero perché cercava Audrey.
- Se non sono indiscreto, come mai la cerchi?
- Roman, certo che sei indiscreto! Lascialo un po' in pace!
- Va bene, Magda, va bene!
- No, no, nessun problema. - Deglutì. Si stava vergognando moltissimo. - Ecco, devo... parlarle. Ieri abbiamo... si può dire che abbiamo discusso e...
- Avete discusso? Come mai?
- Roman!
- Okay, ho capito!
- Beh, io andrei, si è fatto tardi e... - Cavolo, le dieci! - Devo andare. Grazie infinite per la cena.
- Ma scherzi? Torna quando vuoi!
- E buona fortuna con Audrey!
- Roman!
- Okay, okay! 

Era tardissimo. Presentarsi a un'ora così tarda alla porta di una persona era un atto di grande maleducazione, ma per Percy era molto peggio il non aver ancora fatto pace con Audrey.
Suonò il campanello. Nessuno gli apriva.
Provò di nuovo. Finalmente sentì un rumore di catenaccio tolto dalla porta, e l'occhio indagatore della signora Bennet si posò su di lui.
- Oh! Tu sei...
- Percy Weasley. Ci siamo conosciuti ieri e...
- Lo so chi sei. Ti pare questa l'ora di presentarsi a casa di qualcuno?
Sul viso di Percy comparve un'espressione mortificata che probabilmente intenerì la signora Bennet, visto che lo fece entrare.
- Mi dispiace moltissimo, so che è tardi ma...
- Invece hai fatto bene a venire. Audrey è qui...
- Mamma, chi è? 

Rimase a bocca aperta, trovandosi Percy davanti a quell'ora, in casa di sua madre. Non gli diede però la soddisfazione di mostrarsi sorpresa.
Aveva passato una giornata orribile, e, prima, una notte orribile. Da Percy si sarebbe aspettata di tutto, tranne che di essere trattata in un modo così freddo e cattivo.
Mentre impastava e infornava dolci tutta la mattina per le tre fameliche sorelle della signora Rosemary, e mentre in silenzio sopportava le suddette sorelle blaterare e spettegolare tutto il pomeriggio, aveva pensato a cosa avrebbe detto a Percy se lo avesse rivisto. Senza risultato.
Non voglio dargli la soddisfazione di farmi vedere ferita. Non se lo merita.
Lo detesto.
Odio i capelli rossi.
Sono stata così bene la sera del 24... No, Aud, questo NO!
Uff... non so che fare.
Non le era venuto in mente nulla, proprio nulla.
Era furibonda, ma sapeva che, se Percy si fosse davvero presentato alla sua porta per scusarsi, c'era il serio rischio che la sua rabbia sfumasse.
Perciò, quando Percy si presentò davvero da lei, dovette improvvisare, e ci riuscì.
Rimase semplicemente impassibile.
- Ah, signor Weasley, buonasera. Cosa la porta qui?
Stavolta fu Percy a spalancare la bocca. Signor Weasley?
Mi dà del lei?
- Audrey, ma...
- Scusi, ma è molto tardi; mia madre ed io stavamo per andare a dormire.
- Audrey...
- Se ha bisogno di qualcosa, è meglio che aspetti domani. Non si preoccupi, sarò in ufficio in orario.
- Audrey...
- E per favore, non mi chiami per nome. Per lei sono la signorina Bennet.
Pronunciò l'ultima frase con una crudezza che non credeva di possedere, e colpì nel bersaglio.
A quelle parole Percy tacque. Si sentiva annullato.
Totalmente annullato.
Respinto con la sua stessa arma, la freddezza. Non si era mai, mai reso conto di quanto facesse male.
Stavolta fu lui ad andarsene di corsa, trattenendo le lacrime di rabbia.
La signora Bennet aveva assistito stupita alla scena; mai si sarebbe aspettata che Audrey reagisse così.
Fu ancora più stupita quando, con la stessa impassibilità, la ragazza fece il gesto di tornare in camera sua.
- Io vado a dormire, mamma...
- Aud...
- E niente domande.
La signora Bennet non replicò. Audrey stava veramente male. 

Tornò a casa distrutto moralmente.
Si odiava. Non aveva mai sentito un disprezzo tanto forte quanto quello che gli aveva manifestato Audrey con la sua impassibilità e il suo linguaggio. O meglio, non se ne era mai sentito tanto ferito.
Alle frasi dei suoi fratelli era abituato, se le aspettava. E Penelope gli aveva trasmesso rabbia e frustrazione, ma non quel disprezzo.
Cavolo.
Non si era mai sentito così male per colpa di una ragazza. Mai. E, quel che è peggio, l'avrebbe rivista l'indomani.
E il giorno dopo.
E per i giorni a venire, nel reparto Archivi.
Ti sta bene, imbecille. Un contrappasso perfetto. 

Per la prima volta, inoltre, sentì tutto il peso della propria solitudine. Un macigno sul cuore.
Sono una roccia, sono un'isola.

E una roccia non sente dolore; e un'isola non piange mai.

 

 

 

 

 

Non poteva sapere che, lontano da lì, qualcuno non riusciva a prendere sonno e pensava alacremente a lui e a Audrey, progettando qualcosa...
Non potendolo sapere, si rigirò nel letto tutta la notte, nella più nera angoscia.

Ritorna all'indice


Capitolo 13
*** La congiura dei Bennet - Atto primo ***


Ta-dah! Un aggiornamento "notturno"! Mi dispiaceva lasciare le mie lettrici a bocca asciutta, visto che ormai vi sto facendo abituare al ritmo di un capitolo ogni 3-4 giorni. A questo proposito, il prossimo è praticamente già in lavorazione, perché quello e questo dovevano essere un unico capitolone. Visto però che stava venendo fuori ENORME ho pensato di dividerlo in due parti e lasciarvi un altro po' di giorni con l'acquolina in bocca... eh-eh-eh.
AVVERTENZE:
1) Stakhanov era un minatore dell'Unione Sovietica che (stando a quanto dice il mio dizionario etimologico) nel 1935 stabilì un primato estraendo 102 tonnellate di carbone in 345 minuti, ossia la bellezza di 14 volte più della quantità prescritta per ogni turno di lavoro; questo record fu battuto dallo stesso Stakhanov che, pochi mesi dopo, portò la quantità estratta a 227 tonnellate. Dal suo nome è derivata la parola "stakanovista", che significa "lavoratore indefesso" o "sgobbone".
2) Una lettrice mooolto più attenta di me mi ha fatto notare un'imprecisione: nel sesto libro la "visita" di Percy alla sua famiglia si conclude (cap. 17) con lui che se ne va con la veste macchiata di purè che gli è stato tirato addosso dai gemelli o da Ginny, dettaglio che, da brava fanwriter senza memoria, ho completamente omesso. Mi spiace. Ho voluto strafare con il momento padre-figlio, e ho scordato il lancio di puré di pastinaca. Scusate.
(E ringrazio la suddetta lettrice, anche se l'ho già fatto in privato :D)
In verità, ho commesso un altro errore molto più clamoroso, ma visto che finora nessuno sembra essersene accorto e che non ho intenzione di correggerlo, direi che stiamo bene così...
3) Come ho già detto, questo capitolo non doveva finire così; la parte dedicata ad Adams doveva (come al solito) essere più limitata. E vabbè.
Invece ho DOVUTO aggiungere il pezzo dell'ascensore, perché... perché sì, ecco! Il personaggio che vi compare per me è il padre perfetto, e non potevo non metterlo! E dice proprio ciò che direbbe un padre come lui!
4) Per un po' ho pensato seriamente di intitolare questo capitolo "L'apoteosi dei personaggi secondari", visto che adesso iniziano a venire fuori TUTTI. Ma proprio TUTTI. Spero non vi dispiaccia. (A me non dispiace affatto).
5) Grazie a chi ha aderito all'iniziativa "Dai un nome ad Adams"! Ora ho solo l'imbarazzo della scelta... Vedrò quello che mi sembra più aderente al personaggio!
6) Il cognome Saknussem è un omaggio a Verne e al suo "Viaggio al centro della terra", dove compare l'alchimista islandese Arne Saknussem. Mi serviva un cognome strano, magari non inglese, e ho pensato: "Ehi! Saknussem!"
(Con ciò, vi avviso: non so come un cognome islandese possa essere diventato norvegese, ma, come sopra, non mi interessa).
7) Ho notato, dalle recensioni e dalle conversazioni personali, che sta dilagando una strana forma di Percyzzazione. Attente a non cascarci, ragazze: non finite a sospirare per questo ragazzo smilzo, rosso e occhialuto... finireste solo per mettervi in concorrenza con Audrey, e non c'è lotta!
8)Un'ultima cosa. La mamma di Audrey è PAZZA. Punto.

Buona lettura!

La congiura dei Bennet - Atto primo





La signora Bennet non aveva avuto una vita tutta rose e fiori.
Aveva perso suo marito Klaus per colpa dei Mangiamorte, quando Audrey aveva solo tre anni; si era arrabattata per non farle mai mancare nulla, grazie anche all'appoggio di Roman e Magda; in particolare, il cognato aveva preso particolarmente a cuore la nipotina, e l'aveva coccolata e amata moltissimo. Magda, poi, l'adorava: madre di quattro maschi, amava prendersi cura della femminuccia di casa.
Per la signora Bennet, Audrey era la vita. Tutta l'energia di cui era carica, tutta la voglia di vivere che dimostrava, l'aveva grazie al pensiero di sua figlia. Nonostante sembrasse spesso presa da mille altre cose, era sempre per lei che agiva, per il suo bene.
Adesso, per il bene di Audrey, era importante risolvere la situazione che si era venuta a creare con Percy Weasley. Lucy Bennet non aveva alcun dubbio: quei due dovevano stare insieme.
Col classico fiuto delle donne della sua famiglia, aveva capito che Percy non avrebbe resistito a lungo lontano da Audrey, e viceversa.
Ma figuriamoci se posso dirglielo, è così zuccona!
Lo aveva capito osservando Percy mentre Audrey lo maltrattava, ostentando freddezza.
Quel povero ragazzo... aveva una faccia da cucciolo malmenato. Certo che mia figlia esagera, certe volte!
Beh, che devo dirvi, io vi avevo avvisati: quello del romanticismo è un gene dominante, nelle donne Bennet. Solo una persona come la madre di Audrey avrebbe potuto pensare cose simili, mentre chiunque altro si sarebbe schierato con decisione dalla parte della ragazza contro Percy, e magari l'avrebbe aiutata scagliandogli qualche fattura.
Sì, Audrey esagera proprio. Poverino, lo ha trattato malissimo; ma è testarda e orgogliosa, non tornerà indietro nemmeno a pagarla. Oh, Klaus, che devo fare?
Pensò intensamente a suo marito. Era, quello, un metodo che usava spesso quando era a corto di soluzioni. Ricordare suo marito, la sua intelligenza e la sua giovialità, l'aiutava a trovare buone idee.
Il sistema non fallì nemmeno quella volta. L'idea venne; piccola, ma venne. Non era molto chiara, né molto ben definita, ma c'era.
E di nuovo la signora Bennet non ebbe dubbi: era l'idea. Aveva solo bisogno di tempo, e di un aiuto. Un grande aiuto.


Mentre la signora Bennet era sveglia, pensando a queste cose, anche Audrey vegliava, nel buio della sua vecchia camera da letto, ingoiando lacrime amare.
Bastardo, bastardo, bastardo...
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era bastardo.
Bastardo, bastardo...
Le riusciva incredibile credere come, dopo una serata come quella di Natale, Percy avesse potuto trattarla in quel modo. Prima era stato... dolce, dolcissimo, in una maniera che non si sarebbe mai aspettata. Poi, quando quel dannato Ministro lo aveva chiamato...
È vero, è stato dopo essere andato dal Ministro che ha iniziato ad essere scontroso.
Non aveva affatto collegato le due cose, prima.
In ogni caso, resta il fatto che è un bastardo. Primo, non ha il diritto di trattarmi così, per nulla al mondo; secondo, avrebbe potuto farsi vivo prima, se proprio ci teneva a scusarsi. Invece no; per tutto il giorno io sono stata qui, a pensare a lui, mentre lui pensava bene di passare la giornata come voleva e poi sperare che io fossi contenta di vederlo.
Bastardo...
Non riusciva a smettere di piangere. Ci provava, ma non ci riusciva; si sentiva delusa, umiliata.
E quel che è peggio, domani mi toccherà rivederlo.
Ufficio archivi del cavolo...

Il ventisette dicembre Percy si recò in ufficio, convinto di essere completamente solo nel reparto Archivi. Solitamente, agli impiegati venivano date le ferie fino al 2 gennaio, il che per lui significava ben sei giorni senza Audrey e Adams.
Meglio... Non ho alcuna voglia di sentirmi trattare come ieri sera...
Stavolta non gli riusciva proprio di fingersi indifferente, come aveva sempre fatto in passato; si sentiva triste, tristissimo, e non c'era nulla che potesse migliorare la situazione.
Audrey... aveva tutte le ragioni del mondo; non avrebbe dovuto parlarle così, cacciarla via in quel modo. Non poteva biasimarla se si era offesa così tanto; solo, avrebbe tanto voluto potersi scusarsi con lei.
Erano stati così bene, la notte di Natale; erano anni che non stava così bene. Nemmeno con Penelope si era mai sentito così... sicuro, tranquillo. Per una sera era stato veramente felice. Ora, aveva perso anche quella piccola felicità, per colpa della sua stupidità.
Come se non bastasse, il fatto di aver rivisto la sua famiglia era come un coltello piantato tra le costole; Percy non sapeva cosa fosse peggio, se il ricordo degli occhi di suo padre su di lui o del ghiaccio nello sguardo di Audrey.
In una situazione simile, a che vale fingere di non essere tristi?

Quando Audrey gli aveva parlato, la sera prima, Percy non aveva badato molto alle sue parole; perciò non aveva fatto caso alla frase: “Sarò in ufficio in orario”. Forse avrebbe dovuto. Magari si sarebbe potuto preparare alle giornate che lo aspettavano.
Camminando sempre a testa china, distratto, non si accorse che stava andando dritto verso Adams, e ci finì addosso.
- Cos... Oh, mi scusi... Adams?!
- Buongiorno, capo! - fece Adams, contento, mostrandogli un enorme sorriso.
- Adams, ma... ma... Che ci fa qui? Non siete in ferie?
- Beh, capo, lei dovrebbe saperlo. Il Ministero ha mandato una circolare il 16 dicembre, ci hanno tagliato le ferie per via della crisi di personale.
Percy si passò una mano sul viso. Cavolo, me n'ero scordato... E adesso?
Dove mi nascondo?
Cavolo!
- Qu-quindi siete tutti qui? Lei e...
- Sì, credo che Audrey sia già arrivata. Dunque, signor Weasley, com'è andato il... Natale?
Percy lo guardò, e capì al volo cosa intendesse dire con quelle parole e quel sorrisone: quel tizio sapeva che tra lui e Audrey sarebbe successo qualcosa dopo il ballo! Lo sapeva benissimo, in un modo o nell'altro!
In fondo, era stato lui a incoraggiarlo ad invitarla...
... E adesso, naturalmente, voleva i dettagli.
- Oh - rispose, avvampando fino alle orecchie e grattandosi la testa. - B-bene, bene... Ehm...-
Adams ridacchiò. - Mi scusi, sono stato indiscreto. Ma sa come si dice, no? Non c'è peggior indiscreto di chi sa già tutto! - e gli fece l'occhiolino. - Vado in archivio, forse è arrivata anche la signorina Bennet. Viene con me?
Percy sobbalzò. Oh, no...
Di tutto aveva bisogno, tranne che di rivedere Audrey e di risentire il suo gelo. No no no.
- M-meglio di no, Adams... V-vado... ehm... in ufficio... Tanto lavoro... Importante...
E senza riuscire ad aggiungere altro, si diresse a testa bassa verso l'ufficio, seguito dal sorriso di Adams.
Il quale, se solo avesse immaginato come era andata a finire davvero tra i due, non avrebbe certo avuto quella espressione.
Era però sicuro che tra Audrey e il capo fosse andata come aveva previsto: molto romanticismo al ballo e una sana notte di sesso dopo. (Beh, fin qui ci aveva azzeccato...)
Però non mi pare che gli abbia fatto bene. Uhm... meglio chiedere a Audrey; in fondo il capo non è un tipo molto disinibito.
La ragazza era già in archivio, e stava scartabellando un fascicolo rabbiosamente. Come vide entrare Adams lo fulminò e gli disse:
- Puoi anche togliertelo, quel sorriso. Non c'è niente da ridere.
Fu allora che Adams intuì che qualcosa non andava.
Il capo balbetta, Audrey distrugge i fascicoli... Qui qualcosa non quadra...
Ritornò serio e composto e disse:
- Se non c'è da ridere, c'è da piangere; in entrambi i casi, quel povero fascicolo non c'entra nulla.
Audrey smise di voltare le pagine, e guardò Adams con due occhi molto vicini al pianto.
- Senti, non ho voglia di parlarne, scusami...
Adams alzò le spalle. Era curioso, curiosissimo, ma non lo avrebbe ammesso per nulla al mondo. Ne andava della sua dignità di moderno filosofeggiatore.
- Nessun problema. Tanto me lo dirai, prima o poi.
Si sedette anche lui, e iniziò la sua giornata di lavoro, ignorando Audrey che tornava a imprecare sul fascicolo.
Bastardo, bastardo, bastardo...
Eh già. Non riusciva proprio a toglierselo dalla testa.

Ovviamente, lavorando nello stesso reparto, i nostri amici non potevano non incrociarsi almeno una volta al giorno.
Capitò che a Percy serviva un documento, e Adams si trovava in bagno, quindi toccava a Audrey. Al fatto di doversi presentare da Percy, la ragazza reagì involontariamente come la sera prima: in modo freddo e distaccato.
Toc toc. Slam (porta aperta). - Buongiorno, signor Weasley. - Paff (fascicolo appoggiato). Slam (porta chiusa).
Il tutto con calma; niente porte sbattute, niente fascicolo schiaffato in malo modo, niente sarcasmo. Niente di niente.Percy avrebbe preferito mille volte che Audrey ostentasse verso di lui rabbia, o tristezza. Invece, era calma.
Troppa calma.
E poi, la cosa che faceva più male a Percy: quel “Signor Weasley”.
Lo aveva chiamato così anche la sera prima. “Signor Weasley”.
In quelle due parole Audrey sottolineava la distanza che intendeva porre tra loro due. Se solo lo avesse chiamato “capo”, come faceva qualche volta all'inizio, sarebbe stato meglio. Invece no. “Signor Weasley”.
Lui le aveva dato il permesso di chiamarlo per nome, e lei si rifiutava con decisione.
Era come se stesse scavando un fossato, o meglio un canyon, fra di loro.
Un canyon pieno d'acqua con draghi marini e una piovra cannibale dentro.
Senza dubbio alcuno, Audrey aveva scelto inconsapevolmente il modo migliore in assoluto per farlo sentire in colpa. Percy stava male, davvero male. Si intristiva sempre di più, ogni volta che, incrociandola, Audrey lo guardava impassibile. Ripensò a quante volte lui stesso aveva ostentato freddezza verso qualcuno che gli aveva fatto uno sgarbo, e capì che non si era mai messo nei panni di quelle persone.
Faceva male, dannazione.
Sarebbe bastato che evitasse di incrociare Audrey, ma non ci riusciva, era più forte di lui.
Dopo più di tre mesi che lavorava per lui, Percy aveva imparato a memoria gli orari della ragazza; sapeva esattamente quando sarebbe andata da Greg, quando sarebbe rimasta in archivio a chiacchierare con Adams... Di conseguenza, se non avesse voluto incontrarla avrebbe solo dovuto scegliere orari diversi da quelli di lei.
Non ce la faceva.
Anche se sapeva che lei lo avrebbe ignorato, non resisteva all'impulso di fare una pausa nei momenti in cui la faceva lei, di andare da Greg a prendere il caffè quando andava a prenderlo lei, di uscire dall'ufficio quando lei tornava a casa.
Voleva vederla. Stare male vedendola. Chiamatelo autolesionismo, chiamatelo pentimento, chiamatelo come volete.
Oltre a ciò, mentre lei lo chiamava “Signor Weasley”, Percy si ostinava a chiamarla “Audrey”.
La ragazza poteva allargare il canyon quanto voleva, lui non l'avrebbe aiutata di certo.

In mezzo a tutto ciò, il povero Adams non sapeva proprio cosa fare.
Che abbia maledettamente sbagliato? Sarebbe la prima volta...
Mai prima d'ora il suo spirito di osservazione era stato messo così a dura prova.

- Audrey?
La ragazza sospirò. Sapeva benissimo dove avrebbe portato quella domanda. Erano due giorni che Adams faceva così; ma d'altronde era impossibile ignorarlo.
- Dimmi, Adams...
- Posso sapere una cosa?
- Dipende.
- Esattamente, che ti ha fatto il capo?
Da due giorni la stessa, identica domanda.
- Niente.
- Audrey, sono due giorni che te lo chiedo e due giorni che mi rispondi “Niente” con un'espressione che significa “Tutto”. Sono anche due giorni che tratti il capo come se fosse un gargoyle mentre lui ti guarda sconsolato senza avere il coraggio di dire quello che pensa. Allora, che ti ha fatto il capo?
Il coraggio di dire cosa?
- Perché, che pensa il signor Weasley?
- Non te lo dico finché tu non mi dici cosa ti ha fatto.
Audrey sospirò nuovamente. Prima o poi doveva dirlo ad Adams. Non valeva la pena raccontargli tutto; gli avrebbe dato la sua versione semplificata dei fatti.
- Mi ha portata a letto e poi mi ha scaricata senza indugi.
Adams sobbalzò. Cosa?!
- Cosa?!
Audrey annuì, mentre una lacrimuccia le scappava dall'occhio destro.
- Ma... Ma... Ma il capo non è così!
- E che ne sai?!- disse Audrey ad alta voce. - Forse a te non l'avrà fatto, ma a me sì!
- Ma... Ma... - Adams era davvero sconvolto. Non posso aver sbagliato COSÌ tanto!
- Sai dire solo “ma”? Cos'è, non hai altre frasette consolatorie da estrarre dal cilindro?
Si morse la lingua. Non voleva prendersela con Adams; lui però non si offese affatto, non era la prima volta che gli dicevano cose simili.
Anche perché il problema era un altro.
Possibile che io mi sia davvero sbagliato sul capo? Sarebbe la prima volta! E io non sbaglio mai! No, sicuramente c'è qualcos'altro...
Doveva pensare.
- Devo pensare - disse, e uscì dall'archivio senza badare a Audrey, che si stava asciugando le ennesime lacrime di rabbia che non era riuscita a trattenere.

“Pensare” significava andare dal capo e sentire l'altra campana. Siccome sapeva che il capo non si sarebbe mai confidato con lui, Adams decise di sfruttare l’ “effetto sorpresa”.
Spalancò la porta dell'ufficio di Percy con fare combattivo e lo sguardo inferocito. (Per intenderci, se volete immaginarvi la scena completa dovreste avere il sottofondo della “Cavalcata delle Valchirie”).
- Capo! - gridò, col suo vocione da baritono.
L'effetto sorpresa non fallì: Percy fece un gran balzo dalla sedia.
- Adams! - gridò a sua volta.
Adams si sentì soddisfatto: l'aveva agitato, quindi ora il capo gli avrebbe detto tutto ciò che voleva.
L'importante era non dargli il tempo di rendersi impassibile.
- Capo, cos'è questa storia di lei e Audrey?
Il pomo d'Adamo di Percy fece su e giù. Oh cavolo...
Si sentiva inguaiato. Era sempre così quando lo beccavano in castagna per qualcosa.
Decise di provare a sviare il discorso.
- Adams, non si irrompe negli uffici altrui in questo modo!
- Questo è solo il suo punto di vista. Allora: Audrey?
Si aggiustò nervosamente gli occhiali. - Non so di cosa parla, Adams.
- Oh, lei lo sa benissimo, invece!
- Devo quindi dedurre che ha già parlato con Audrey, perciò sa già tutto.
- Devo quindi dedurre che Audrey dice la verità.
Percy arrossì. - Dipende. Cosa dice?
- Dice che lei l'ha portata a letto e poi l'ha scaricata.
Percy sobbalzò di nuovo. - Non è vero!
- Ah no?
- No! Cioè sì, insomma... La prima parte è vera ma... - Avvampò, annaspando in cerca delle parole giuste. - Io... la sera del venticinque sono tornato a casa e... Beh, ero nervoso, quindi... Sì, l'ho trattata un po' male, anzi molto male, ma... ma poi volevo scusarmi e...
Adams lo fermò con un gesto della mano.
- Voleva scusarsi?
- Certo!- gridò Percy. - E l'avrei fatto, se lei non mi avesse... non...
- Quindi non si è approfittato di lei? Non ha cercato di liberarsene come si farebbe con del pus di Bubotubero?
Percy storse il naso a quel paragone. - Certo che no... Io...
Ma Adams non lo ascoltava già più. Aveva saputo ciò che voleva sapere.
Ecco, mi pareva strano. Non sbaglio mai, io.
Ora doveva solo riflettere.
- Devo riflettere - disse, e uscì, lasciando Percy un po' perplesso e un po' imbarazzato.

Colse Audrey di sorpresa allo stesso modo.
- Audrey!
- Adams!
- Il capo vuole scusarsi, ma non gliene dai modo. Cos'è questa storia?
Audrey ringhiò. - Cos'è, adesso il mondo intero deve impicciarsi degli affari miei? Non ho bisogno delle sue stramaledette scuse, né ho bisogno che qualcun altro pensi a ciò che devo o non devo fare. Chiaro?
Diavolo, con lei l'effetto sorpresa non funziona. Meglio non insistere...
- Va bene, hai ragione. Per stavolta hai vinto tu. Ma sappi che non mollo, con voi due.
Ciò detto, si sedette alla sua scrivania, mentre Audrey innervosita borbottava: - Ma pensa a te e a Ben, piuttosto...
Si bloccò a metà strada verso la sedia, con la schiena piegata.
- Cosa?!
- Mi hai sentita. Ho detto: pensa a te e a Ben.
- E... - farfugliò. - E tu cosa ne...
Audrey alzò le spalle. - Me l'ha detto la mamma. “Rosemary's Baby”...
- Chi?!
- Uff, non la conosci. Comunque questa tizia vi ha visti insieme, la sera della vigilia. Come vedi, non sei l'unico a interessarsi degli affari altrui...
La stoccata di Audrey però non colse nel segno. Guardò Adams, e ciò che vide non le piacque: era impallidito terribilmente, e aveva uno sguardo terrificato. Poi, con una voce funerea e irriconoscibile, enunciò:
- Non. Sto. Con. Ben.
- Ehi, - fece allora Audrey, abbassando i toni, - guarda che tra me e lui non c'è più nulla, anzi, sono contenta che abbia trovato una persona come te...
- Non. Sto. Con. Ben - ripeté.
Al che, il viso di Audrey si fece interrogativo. - Adams, ma...
- Non è successo nulla, né alla vigilia, né mai - concluse, e, ignorando gli occhi spalancati di Audrey, si trincerò in un muro di silenzio dietro ai fascicoli.

Il perché Adams non volesse assolutamente parlare di lui e Ben rimase un mistero, per Audrey; l'aiutò però a distrarsi dal pensiero continuo di Percy.
E dagli. Stupido gene del romanticismo made in Bennet...
Il fatto è che la sua ferma decisione di ignorare il capo a oltranza (decisione presa non senza qualche senso di colpa) iniziava a vacillare pericolosamente, dopo soli tre giorni. Fino al ventinove non aveva (quasi) avuto problemi a sopportare lo sguardo triste di lui che la osservava mentre beveva tranquilla il caffè, e meno che mai si era intenerita sentendosi chiamare “Audrey”; il trenta, però, iniziava a non sopportare più quella situazione.
In fondo, lei era fatta così: era gentile, amichevole e cordiale, e tenere il muso per tutta la vita a qualcuno non è affatto impresa semplice se possiedi queste qualità.
Soprattutto se con questo qualcuno hai passato dei momenti che consideri molto belli.

E poi, c'era stato l'incidente dell'ascensore.

Quel trenta mattina era arrivata in ufficio un po' in ritardo, e quasi tutti gli ascensori erano pienissimi. Riuscì a fermarne uno praticamente vuoto a parte un signore, ma non aveva nemmeno messo piede dentro che subito ebbe l'impulso di uscirne.
Cavolo.
Quell'uomo nell'ascensore era il capo.
O meglio, era il capo un po' più vecchio.
Insomma, non era il capo.
Il signore si accorse della sua indecisione, e la guardò, sorridendo incoraggiante. - Tutto bene, signorina?
- Oh, - mormorò lei, vergognandosi e rendendosi conto di averlo solo scambiato per Percy, - sì, mi scusi...
- Prego.
Mentre l'ascensore si muoveva, non poté fare a meno di osservare di sottecchi il signore che era con lei. Era identico a Percy: aveva i capelli dello stesso colore, gli occhiali come i suoi e lineamenti molto simili; le uniche differenze erano il fisico più rilasciato e venti o trent'anni di età.
Il signore si accorse di essere osservato, e le sorrise di nuovo, rivelando una nuova differenza con Percy: un paio di occhi azzurri.
- Le serve qualcosa?
- Oh no, mi scusi, - balbettò Audrey, imbarazzata, - è che... Somiglia molto a...
- A qualcuno che non voleva incontrare, giusto?
Audrey aggrottò le sopracciglia. - Sì, ma come...
Il signore alzò le spalle. - La sua esitazione prima di salire. È comprensibile solo se ammettiamo che io somigli molto a qualcuno con cui non vuole trovarsi. Ho sbagliato?
Audrey arrossì, abbassando lo sguardo. - No, non ha sbagliato...
Al signore svanì il sorriso dalle labbra, mentre sembrava perso dietro a un suo pensiero.
- Sa, credo anche di sapere di chi si tratta, e non ha tutti i torti a non volerlo vedere...
L'ascensore si fermò, il signore era arrivato. Fece per scendere, ma si bloccò. Guardò di nuovo Audrey e fece un sorriso da spezzare il cuore, prima di dire:
- Percy è un grandissimo cretino, ma è anche un bravo ragazzo. Non sono la persona più adatta a dirglielo, ma è la verità.
Poi, con un cenno di saluto, scese.

Quell'incontro le aveva smosso qualcosa dentro.
Forse era stato il misto di tenerezza e tristezza con cui il signore sconosciuto le aveva detto quell'ultima frase; fatto sta che quel giorno si sentiva mancare il coraggio e la voglia di seguitare a ignorare Percy.
Giungendo finalmente in archivio, sbirciò nell'ufficio di lui; lo trovò che sfogliava evidentemente senza attenzione un documento.
Per la prima volta in tre giorni, provò pena per lui.
Stupida, stupida Aud! Non sei in grado di mantenerti irremovibile? Ti fai muovere a pietà così?
Lo guardò ancora. Aveva anche lui una grande tristezza dipinta in volto.
Ecco, brava, compatiscilo. Sveglia! Ti ricordi come ti ha trattata?
Sembrava tornato quello di prima. Insomma, quello che aveva conosciuto il giorno del suo colloquio, il capo triste e nervoso che teneva tutti a distanza. Le fece una compassione immensa, come le prime volte.
E – soprattutto – sentì di nuovo il famoso nodo allo stomaco.
Oh, per Godric, Helga, Salazar e anche Rowena, sei la creatura più stupida del pianeta!
Ma che si poteva fare? Era buona, e aveva il cuore tenero.
E da tempo si era presa una cotta per Percy. Aveva conosciuto la sua bellezza, nascosta a tutti fuorché a lei, e se ne era innamorata.
D'altra parte, Adams le aveva detto che il capo avrebbe voluto scusarsi; forse avrebbe dovuto dargliene la possibilità...
Si riscosse, e, con passo deciso, si allontanò dall'ufficio di Percy.
“Forse, ma non ora. Deve soffrire ancora un po'.”
Brava Aud, adesso ti riconosco!

Purtroppo, l'irreversibile processo di ammorbidimento era incominciato; Audrey se ne accorse troppo tardi.
Se ne rese pienamente conto solo quando, lo stesso giorno, si ritrovò a chiamare nuovamente Percy per nome.
Accadde quando gli portò dei documenti poco prima della fine del turno.
- Ecco i contratti che mi hai chiesto, Percy.
Deng! Campanello di allarme!
Sulle prime Percy non si rese conto di quello che la ragazza aveva detto, e nemmeno lei.
Non ci misero molto, però. Questione di due secondi.
... Che cosa ho detto?!
- Come hai detto? - domandò Percy, illuminandosi per un istante.
- Ho detto: ecco i contratti, signor Weasley.
- Ah. - Deglutì, tornando a immalinconirsi. - Bene. Grazie, Bennet.
Deng! Secondo campanello di allarme!
- Come? - fece Audrey aggrottando le sopracciglia. Erano giorni che pretendeva da Percy che non la chiamasse più per nome, e adesso... era strano sentirsi chiamare “Bennet”.
- Ho detto: grazie.
- No, ha detto: grazie, Bennet.
- È il tuo cognome, no? Pensavo volessi che ti chiamassi così.
- Sì, ma...
- Ma? - Abbassò la voce, guardandola negli occhi. - Preferisci forse che ti chiami Audrey?
Audrey non sapeva che rispondere. Una strana sensazione si era impadronita di lei.
- No, no, Bennet va benissimo... a dopo, Percy.
- Come?
- A dopo, signor Weasley!

Mega cavolo!
Stava iniziando a crollare, così presto!
Super cavolo!
E perché adesso la chiamava “Bennet”? Lei si inteneriva e lui si raffreddava?!
Stracavolo cavoloso!
Che razza di situazione, eh?

Nonostante l'assenza di ferie, il Ministero era chiuso nei giorni trentuno dicembre e primo gennaio, per cui, quando il turno di lavoro finì, molti dipendenti ne approfittarono per scambiarsi gli auguri di buon anno nuovo.
- Dai Adams, cosa farai a Capodanno? Starai con Ben?
Sentendo quel nome, Adams assumeva sempre un'aria di disagio, e sviava il discorso.
- Ben chi?
- Ben, il mio ex. È inutile che fai lo gnorri, sai...
- A Capodanno andrò in Germania, vado a trovare i parenti di mia madre - disse in fretta Adams, sperando di mettere a tacere Audrey.
- Tua madre è tedesca? Davvero?
- Certo. Non si intuiva dalla mia bellezza fuori dal comune?
Audrey ridacchiò. - A dire la verità... no. Uno dei miei cugini ha la moglie tedesca, e non è un gran bel vedere, te l'assicuro.
- Questa, mia cara, è la solita invidia degli isolani verso il continente.
- Non ti permettere! - scherzò lei, e continuando a ridere uscirono dall'archivio.
Era inevitabile che incrociassero Percy.
- Buona sera, capo! Auguri di buon anno nuovo! - lo salutò Adams.
- Auguri anche a lei, Adams... - rispose lui, evitando di guardare Audrey.
Da parte sua, anche la ragazza lo ignorò. È vero, si stava intenerendo, ma questo lo sappiamo solo noi e lei, e Audrey non era assolutamente intenzionata a dare a Percy un seppur minimo spiraglio di speranza.
Scommetto che non la facevate così ostinata; a dirla tutta, nemmeno io... Evidentemente ha preso molto più di Klaus che di Lucy.
Ci fu un momento di silenzio, in cui l'imbarazzo dei due più giovani pesò su tutti e tre. Alla fine Adams decise di stemperare la situazione, e domandò a Percy:
- Cosa pensa di fare per questo Capodanno, capo?
- A dire la verità, non ci ho ancora pensato. Credo che mi porterò un po' avanti col lavoro...
- Però! - cercò di scherzare Adams. - Lei avrebbe potuto insegnare qualcosa al compagno Stakhanov!
- Già, già - tagliò corto Percy. - Beh, buon anno, Adams... Bennet...
Audrey si limitò a un cenno del capo, poi salutò Adams abbracciandolo e andò dritta a casa sua.
Aveva un gran bisogno di un tè, un bagno caldo e una telefonata a sua madre.

La telefonata per un po' non fu possibile, perché Lucy Bennet era impegnatissima a parlare con suo cognato Roman.
- Dai, Rom, perché non puoi farmi questo favore? Solo per quest'anno...
- Non so, Lucy, lo sai, di solito i ragazzi passano la sera del trentuno con noi e il primo gennaio con le famiglie delle mogli...
- Beh, quest'anno faranno il contrario!
- Senti, non ho ancora capito il perché di tutto questo.
- Ma è ovvio, no? La sera del trentuno avremmo poco tempo, invece il primo gennaio c'è tutta la giornata a disposizione...
- Cognatina cara, ma a cosa ci serve l'intera giornata del primo gennaio?
La signora Bennet sbuffò. Roman era l'uomo più duro di comprendonio che avesse mai conosciuto in vita sua.
- Ma per Audrey, è chiaro! - rispose, con il tono esasperato di chi si trova a spiegare per la quinta volta qualcosa di scontato.
Roman si asciugò la fronte. Parlare con Lucy quando era così esagitata era impossibile.
- Senti, perché non parli con Magda? Forse lei capirà meglio di me...
- Capirà sicuramente meglio di te! Avanti, passamela!
In effetti, Magda capì perfettamente cosa voleva Lucy, e fu d'accordo con lei su ogni cosa.
A Roman non rimase che grattarsi la testa quasi calva, pensieroso, mentre cercava di capire cosa ci fosse nelle donne di tanto diverso dagli uomini.

L'idea che la signora Bennet aveva avuto era molto rozza e semplice: siccome da sola non poteva aiutare Audrey e Percy a far pace, e siccome aveva una scarsa fiducia nelle capacità della propria figlia, aveva pensato che tutta la famiglia Bennet doveva aiutarla.
Il modo migliore, secondo lei, era che si riunissero tutti a Capodanno. Per il resto, non sapeva esattamente cosa si sarebbe dovuto fare, ma avrebbe improvvisato.
Magda non poteva essere più d'accordo. Le era dispiaciuto sapere che Audrey e Percy avevano litigato, anche perché iniziava a starle simpatico quel ragazzino smilzo amante della sua cucina.
Era decisa a fare tutto il possibile perché Audrey tornasse serena.
- Non preoccuparti, Lucy, - disse infine alla cognata, - penserò io a organizzare tutto e a convincere i ragazzi. Per una volta potremo scambiare il cenone con il pranzo.
- Ero sicura che tu avresti capito, Maddie. Grazie.
- Per la mia piccola Audrey questo e altro!
Quando Magda riagganciò, trovò Roman che la guardava perplesso.
- Maddie... Scusa se te lo chiedo, ma... E se Audrey non fosse d'accordo con tutta questa storia?
- Oh, finiscila, Roman. Certo che è d'accordo. Solo che ancora non lo sa. - E considerando chiusa la questione, corse a mandare un gufo a tutti i suoi figli per avvisarli del cambiamento di programma.

È necessario, in vista di questa riunione di famiglia, che voi lettori sappiate qualcosa di più sulla famiglia Bennet.
Quando gli erano stati presentati, a Natale, Percy non era dell'umore più adatto per soffermarsi a ricordare i nomi e i dettagli di ciascuno di loro, e, d'altra parte, gli stessi Bennet non avevano ritenuto necessarie delle presentazioni approfondite. Tuttavia, la storia di una famiglia è sempre interessante, per quanto quella famiglia possa essere bizzarra o tremenda.
Roman e Klaus Saknussem erano figli di una coppia di maghi norvegesi emigrati in Gran Bretagna durante l'invasione tedesca della Norvegia. I genitori erano poi morti, lasciandoli orfani da piccolissimi.
I due fratelli furono scambiati per comuni Babbani, e affidati a una coppia non magica, i Bennet per l'appunto. Dopo aver frequentato Hogwarts, Roman divenne Guaritore, Klaus Auror.
Come abbiamo già detto, Klaus morì ucciso da alcuni Mangiamorte quando Audrey era molto piccola. Roman invece ebbe quattro figli maschi: Rhett, Jarne, Oleg e Saul. Tutti e quattro somigliavano moltissimo al padre, ma avevano caratteristiche proprie. Rhett e Saul, il maggiore e il minore, avevano gli occhi verdi di Roman e i capelli scuri di Magda, Oleg gli occhi azzurri del loro zio Klaus e i capelli biondi del padre, Jarne i capelli e gli occhi nocciola di Magda. Un'accozzaglia di fenotipi interessante, che, unita all'identica forma del viso, rendeva i quattro fratelli al contempo inconfondibili e somigliantissimi.
Tra Audrey e il più piccolo dei suoi cugini, Saul, passavano ben dodici anni di differenza. Normale quindi che tutti si sentissero affezionati e iperprotettivi verso di lei, la piccolina di casa Bennet.
Come ho già detto parlando del Natale dai Bennet, tutti e quattro i figli di Roman erano sposati e avevano un paio di figli, tranne Oleg che ancora non ne aveva nessuno. La più grande dei nipoti di Roman e Magda, Judith, non aveva che dodici anni.
Probabilmente vi direte: ma cosa ci importa dei Bennet? A noi importa di Percy e Audrey!
Beh... Ci arriveremo, non temete.

Non è il caso di parlare dell'atmosfera che invadeva le case di Percy e di Audrey la notte del trentuno. Il primo era da solo, la seconda con sua madre; entrambi però speravano solo una cosa: che quel maledetto anno finisse presto.
Percy non riusciva a non pensare ai suoi genitori, e ogni pensiero era un respiro di aria gelata nei suoi polmoni. Audrey non riusciva a non pensare a Percy, e ogni ricordo della sera passata con lui le bruciava la pelle.
Ad ogni modo, quel maledetto anno finì.
Tuttavia sarebbe rimasto tutto uguale a prima, se non fosse stato per l'idea della signora Bennet.

Alle dieci del mattino del primo gennaio, Percy fu svegliato da un sonoro CRACK nella sua stanza.
Saltò su, afferrando rapidamente la bacchetta sul comodino. Ciò che vide lo terrorizzò.
O meglio, ciò che intravide, visto che non era riuscito a mettersi gli occhiali.
Nella sua stanza c'era qualcuno, che frugava nel suo armadio.
- Oh, scusami Percy, non volevo svegliarti...
Quel qualcuno aveva la stessa voce della madre di Audrey.
Cosa diavolo...
- Beh, già che sei sveglio apro le persiane, così almeno riesco a vedere cosa combino... credo di aver rotto un'anta dell'armadio, ma la riparo subito.
Mentre la signor Bennet apriva le persiane, Percy si ricordò di essere in mutande, e si nascose sotto le coperte. La sua mente ronzava per la confusione.
- Cosa... Chi... Perché...
- Ah! Va molto meglio ora, non trovi? - La signora Bennet gli sorrise, incurante dell'imbarazzo e dello stordimento del povero Percy.
- Lei... Io... Ma... Ma...
- Certo che però questo armadio è un disastro! Non capirò mai perché voi uomini ci teniate tanto ad essere così disordinati!
Mentre la signora Bennet gli sistemava il guardaroba, Percy ritrovava la lucidità di sentirsi offeso per quell'invasione del suo spazio vitale.
- Signora Bennet...
- Oh, chiamami pure Lucy, caro! Dov'è che tieni i maglioni?
- Signora Bennet, cosa ci fa qui a casa mia, a quest'ora?
- Hai ragione, avrei dovuto avvertirti ma ho dimenticato di mandarti un gufo. Maglione e camicia, che ne dici?
- Cos... - tentò di dire Percy, mentre la signora Bennet, incurante di lui, estraeva dall'armadio una camicia bianca e uno dei maglioni di Molly, blu elettrico con una grossa P gialla ricamata.
- Bellissimo, questo! E che bel colore! È fatto a mano, vero?
- Signora Bennet! - ruggì Percy, che però non osava ancora alzarsi.
Diavolo, sono in mutande! Che ci fa questa pazza a casa mia?
- Vedi, Percy, ieri mia cognata mi ha detto che avrebbe voluto invitarti a pranzo da loro oggi, - fece la signora Bennet, sorridendo per la piccola bugia e cercando un paio di pantaloni nell'armadio, - solo che non sapevo dove poterti rintracciare, poi mi è venuto in mente che potevo chiedere al Ministero il tuo indirizzo...
- Al Ministero?! Lei ha chiesto il mio indirizzo al Ministero?!
- Sai, ci sono ancora in giro dei vecchi colleghi di mio marito, ogni tanto mi fanno qualche favore - chiocciò allegra la signora Bennet mentre trovava finalmente dei pantaloni. - Purtroppo era troppo tardi per mandare un gufo, e non ero sicura che avresti avuto il tempo di rispondermi, perciò...
Perciò, secondo lei, la soluzione migliore era irrompere in casa mia e svegliarmi spaccando l'armadio?
Si schiarì la voce. Era tentato di usare proprio quella frase, ma non voleva essere sgarbato. Quella donna lo intimoriva.
- E quindi ha pensato di... disturbarsi venendo di persona? - domandò, facendo attenzione al tono.
- Oh, no, nessun disturbo! Ho solo pensato che con così poco preavviso potevi avere bisogno di una mano per vestirti..
Pazza. Questa è pazza. Anche Audrey è pazza, ma non a questi livelli; qui siamo alla camicia di forza.
Diamine, non le permetterò di vestirmi!
- Ecco, credo che vestito così staresti benissimo! - gorgogliò soddisfatta la signora Bennet.
- Direi che puoi anche indossarli, io intanto vado a prepararti un caffè. - E fece per uscire dalla stanza.
- Aspetti un momento! - la chiamò Percy, facendo il gesto di alzarsi, e tornando subito a nascondersi sotto la coperta. La signora Bennet se ne accorse.
- Ehi, non preoccuparti se sei in mutande: non mi imbarazzo di certo! E poi ti ho già visto...
Pazza. Paz-za. P. A. Z. Z. A.
- Senta, signora Bennet...
- Lucy.
- Senta, Lucy, io le sono molto grato per il... disturbo, e lo sono anche verso sua cognata, ma... Ecco, avevo altri programmi per oggi...
E soprattutto, non intendo passare un'altra giornata come il Natale, in mezzo a quel gruppo di casinari e... Dio, ci sarà anche Audrey! No, no, non mi avrete...
La signora Bennet si fece seria, mentre considerava ciò che il ragazzo le aveva detto. Poi disse:
- Magda aveva pensato che avresti risposto così. Perciò mi ha detto di farti sapere che avrebbe preparato gli spaghetti con le polpette.
Se foste stati almeno una volta a pranzo o a cena da Magda Willow in Bennet, sapreste che davanti a un argomento del genere non si può controbattere. La mente stessa si rifiuta di far pervenire alle corde vocali gli impulsi nervosi necessari per dire “No”.
Annientato da quell'argomentazione, Percy si alzò e iniziò a vestirsi, mentre la signora Bennet, ridendo sotto i baffi, andava a preparargli il caffè.

Lucy Bennet era incredibilmente riuscita a tenere nascosto a Audrey il fatto che avrebbe “invitato” a pranzo Percy; e insieme a lei c'era riuscita tutta la famiglia Bennet.
Tuttavia, la ragazza aveva intuito che qualcosa non andava.
Mentre Lucy faceva il suo blitz a casa di Percy, Audrey era a casa di Roman e Magda ad aiutare la zia a preparare il pranzo. Per tutto il tempo, Magda, cercando di fare la sua parte nel piano di Lucy, non fece che chiedere alla nipote di Percy.
- Allora, come va con... Come si chiama...
- Come si chiama chi?
- Il ragazzo che hai portato a Natale, quello smilzo, rosso...
- Beh, come va... Normale.
“Quando Audrey dice “normale” vuol dire che va molto male”, ricordò Magda.
- E... non sei stata con lui, a Capodanno?
- No. Perché avrei dovuto?
- Beh, sai, sei giovane... Hai l'età per divertirti, vedere gente... E lui sembra simpatico.
Simpatico come un Grugnocorto con la raucedine.
- Poi a quanto ho capito fa un bel lavoro, ha una posizione importante... Di questi tempi è bene che un uomo abbia un posto sicuro...
Audrey smise per un attimo di preparare la crema pasticciera, cercando di capire dove volesse andare a parare quel discorso.
- ... Poi è molto educato, e sembra piuttosto intelligente...
- Scusami, zia, stai cercando di fare la ruffiana per Percy? - chiese Audrey, stizzita.
- Ah, ecco come si chiama! Non riesco mai a ricordamelo...
- Non cambiare argomento e rispondi! - insistette Audrey, brandendo minacciosa la frusta da cucina.
- Ruffiana? - Magda sostenne lo sguardo della nipote, mentre enunciava la sua bugia colossale. - Ruffiana? Certo che no! Che idea! - e riprese a mescolare il sugo degli spaghetti.
Audrey non era affatto convinta. - Se non stai facendo la ruffiana, a che servono tutti questi discorsi sul posto di lavoro e sull'educazione?
- Uh, come sei permalosa, Aud! Volevo solo fare conversazione, tutto qui!
Audrey sospirò. Non era davvero permalosa, ma le dava fastidio sentir parlare di Percy mentre cercava in tutti i modi di toglierselo dalla testa.
Dico io, una fa tanto, e poi arriva la zia con questi discorsi...
- E comunque, zia, - disse riprendendo a mescolare la crema, - come fai a sapere tutte queste cose su Percy? L'hai visto solo a Natale e non ci hai parlato molto...
- In verità, l'ho rivisto a Santo Stefano; è venuto a cena da noi, sai?
Stavolta la frusta le cadde di mano.
Sgranò gli occhi. - A cena?!
Magda annuì. - In realtà cercava te, non ti aveva trovata a casa e voleva sapere dov'eri. Però l'abbiamo trattenuto, sai, avevo preparato gli spaghetti e gli sono piaciuti parecchio...
- Zia, i tuoi spaghetti piacciono a tutti... - commentò Audrey.
- ... poi abbiamo chiacchierato fino alle dieci di sera, e solo dopo gli ho chiesto come mai era venuto da noi e ci ha detto che avevate discusso. Oh, Audrey, - esclamò Magda, colpita da un pensiero improvviso, - avete discusso? È per quello che sei così giù di morale?
È bello avere accanto persone che ti capiscono al volo...
- No, zia, non preoccuparti, è tutto risolto.
Magda intuì che era meglio non discutere. - Mi fa piacere. - Mentre assaggiava il sugo aggiunse: - Comunque, avresti dovuto vedere come ha divorato quegli spaghetti. Li ho preparati apposta, oggi!
Audrey aggrottò le sopracciglia. - Perché, cosa c'entra?
La zia si accorse in tempo dell'errore. - Niente... Solo che... Era da tanto che non li facevo per tutti voi, ecco!
Ma Audrey già non l'ascoltava più.
Quindi, Percy non era venuto a scusarsi a quell'ora solo perché ci aveva pensato tardi. Era stato bloccato dagli zii. Non aveva alcun dubbio che fosse andata così: sapeva quanto Roman e Magda potessero essere insistenti, chiacchieroni e ospitali.
E visto che cenavano immancabilmente alle sette e mezza di sera, Percy doveva essere andato da loro a quell'ora.
Si sentì un po' in colpa. Lo aveva maltrattato rimproverandogli di essersi presentato alle dieci di sera, quando lui era già pronto a scusarsi tre ore prima.
Resta il fatto che non mi ha cercata tutta la mattina.
Il senso di colpa svanì.

Subito prima dell'arrivo di Lucy e del suo ospite “coatto”, giunsero tutti gli altri Bennet; tra una cosa e l'altra si era ormai fatto mezzogiorno, e tutti si disposero in tavola.
Tutte le grandi famiglie hanno in genere un ordine fisso per quanto riguarda i posti a tavola:
a capo della lunga tavolata c'era Roman. Alla sua destra e alla sua sinistra si sedevano rispettivamente Oleg e Rhett, e accanto a loro le mogli Edna e Stacey. Seguivano così, alternati, i figli di Roman e le mogli, poi la signora Bennet davanti a Magda e Audrey e, poco staccati dagli adulti, i bambini, a partire da Judith e a finire con le gemelline di Saul, Claire e Christine, di quasi due anni.
Tutti avevano già preso posto, quando il campanello suonò.
- Dev'essere tua madre, Audrey, apri tu?
- Certo, zia - rispose, anche perché voleva proprio chiederle dove diamine fosse finita tutto quel tempo.

Nel breve intervallo che si frappose tra l'allontanamento di Audrey dalla sala da pranzo e il suo grido belluino in seguito all'apertura della porta, Magda era riuscita a spiegare rapidamente al suo primogenito, Rhett, lo scopo di quel pranzo di Capodanno. A nome dei suoi fratelli, Rhett aveva aderito con entusiasmo all'iniziativa.
Tutto era pronto per la congiura dei Bennet.

Ritorna all'indice


Capitolo 14
*** La congiura dei Bennet - Atto secondo ***


Buonasera! Altro capitolo enorme. Ci ho messo il cuore, davvero.
Non so se sono riuscita a rendere bene le scene: le avevo tutte in testa, ma scriverle è stato duro. Spero davvero che vi piaccia.
AVVERTENZE:
1) in parte posso dire che questo capitolo ricalca la mia esperienza personale, in quanto ho anch'io una famiglia numerosa stile Bennet ramo Saknussem. Naturalmente noi siamo molti di meno, undici-dodici, ma so perfettamente cosa si prova quando TUTTA la famiglia si impiccia degli affari tuoi... (anche se per me non è mai stato fatto ciò che i Bennet hanno fatto per la povera Audrey...)
2) In questo capitolo credo che troveranno soddisfazione i lettori del partito "Povero Perce" e quelli della fazione "Percy doveva morire o almeno soffrire". Se leggete capirete perché.
(L'esistenza di questi partiti l'ho dedotta dalle recensioni, che naturalmente non rapresentano la totalità dei miei lettori ma mi danno un utile indizio su ciò che la mia storia vi porta a pensare...)
3) "Boccalona", femminile di "boccalone" è voce dialettale e significa "persona che abbocca facilmente, che cade subito negli scherzi".
4) Vi ricordate di zio Bilius Weasley? Viene citato da Fred e George al matrimonio di Bill, e ricordato come l'"anima della festa" per le cose - ehm!- simpatiche che faceva. E' uscito fuori anche lui dal nulla, spero non vi dispiaccia.
5) Verso la fine del capitolo avevo una voce nella testa che mi diceva: "Stai andano OOC! Stai fottutamente andando OOC!"; ho deciso però di ignorarla, perché certe volte anche noi esser umani ci comportiamo in modo inaspettato, e non vedo perché un personaggio non debba fare altrettanto. Ecco.
6) Non so quante delle persone che leggeranno conoscono gli effetti devastanti della grappa: sappiate però che la sottoscritta li conosce, e ne parla quindi con cognizione di causa. (Una volta io e una mia amica abbiano alternato sorsate di grappa a sorsae di Cabernet, e siamo tornate a dormire ballando. Non sto scherzando. BALLANDO. Non so se mi spiego.)
7) Spero che sia chiaro il modo in cui i fratelli Bennet comunicano tra loro. Lo so che è strano, anch'io non ci ho creduto quando me l'hanno raccontato.
8) Ho letto nel forum una discussione sui cliché più usati nelle FF. Mi è preso un colpo: a quanto pare sono la REGINA dei cliché! Da lì, una serie di paturnie mentali... Vi chiedo scusa; cercherò di recuperare originalità con lo stile :D
9) Come al solito, un grazie pubblico (oltre a quello privato) alle persone che hanno scelto di lasciarmi un commento. Naturalmente, grazie anche a chi ha la pazienza di leggere, e a chi ha ADDIRITTURA messo la storia tra le preferite/seguite/ricordate. Spero di non farvi cambiare idea :D

Buona lettura!

PS: Sì, questo capitolo ha titolo e sottotitolo, anzi, sottotitoli.


     
 

La congiura dei Bennet – atto secondo
 

(ovvero: the dark side of Audrey; Oleg il Serpico contro Saul Mangiapolpette; Percy e il purè di carote; come la prima volta)
 

 



Per l'intera durata del tragitto verso la porta della casa di Roman, Percy aveva cercato debolmente di ribellarsi alla signora Bennet.
- Sul serio, non è il caso che io venga, non...
- Insisto.
- Ma...
- Niente ma.
- Ma... E va bene, signora, parliamoci chiaro - esordì Percy fermandosi di botto.
- Lucy - fece lei, fermandosi a sua volta e guardandolo tranquilla.
- Eh?
- Lucy. Vorrei che mi chiamassi Lucy.
Percy iniziava a esasperarsi. - Signora Lucy, lei era presente la sera di Santo Stefano, quando ho visto Audrey.
- Ero presente, sì.
- Ebbene, voglio che lei sappia che sua figlia aveva tutto il diritto di trattarmi così, e anche molto peggio. Non mi sono comportato bene con lei, per niente. Quindi, non crede che sarebbe... poco contenta di vedermi, oggi?
La signora Bennet ci pensò su. - In effetti...
- Per me - continuò Percy – è stato... imbarazzante, fin adesso, incontrarla sul posto di lavoro, e credo che anche per Audrey sia stato lo stesso. Non sarebbe meglio se... se evitassimo questo imbarazzo a me e a lei?
- Forse hai ragione - rispose la signora Bennet, sospirando. Percy si rilassò; era riuscito a spuntarla con la pazza, grazie al cielo! In fondo bastava solo essere logici...
- Sarebbe molto imbarazzante per entrambi, in effetti - continuò la signora Bennet seria, con espressione pensierosa. - Va bene, hai vinto. Puoi andartene.
- Oh, bene! Sono lieto che abbia compreso le mie...
- Puoi andartene; non sei obbligato a vedere Audrey oggi- tagliò corto la signora Bennet, dandogli infine le spalle e seguitando a camminare verso la casa del cognato. - Sappi però - aggiunse, fermandosi e voltandosi di nuovo verso Percy, – che questa è l'unica occasione che hai per cercare di convincere Audrey a smettere di ignorarti; noi della famiglia la conosciamo molto bene e potremmo persino aiutarti, perciò, se cerchi una seppur minima speranza di avere una discussione civile con lei, devi approfittarne oggi.
Il ragazzo rimase sconcertato da quella risposta. C'era “molta logica in quella follia”.
Ma che diavolo aveva in mente quella donna?
- Ma... Ma... Ma come... Ma lei...
Lucy alzò le spalle. - Sono una madre, e ho una certa esperienza della vita. Non mi sembri il tipo che possa ferire intenzionalmente Audrey, o scaricarla come lei dice. Inoltre conosco la sua propensione a tirare conclusioni affrettate. Sono più che convinta che il vostro sia stato solo un malinteso.
Percy sgranò gli occhi. Quella donna gli credeva, allora! Perché con Audrey non poteva essere così semplice?
- Lo è, signora Bennet! - esclamò. - Glielo giuro, io...
- Naturalmente - proseguì lei, senza ascoltarlo, – potrei sempre sbagliarmi, e se non ti interessa davvero tornare a stare con Audrey è inutile che tu venga da noi oggi. In ogni caso, buon anno nuovo - concluse, e continuò a camminare con passo svelto verso la casa di Roman.
Percy restò un attimo pensieroso, spiazzato dal modo in cui la signora Bennet si era allontanata.
Gli interessava davvero tornare a stare con Audrey?
Beh, cavolo, direi proprio di sì...
Valeva la pena sopportare una giornata dai Bennet per poterle parlare qualche minuto?
Spero anche più di qualche minuto... Comunque...
E soprattutto: sarebbe riuscito a sopportare che Audrey lo trattasse male anche quel giorno? Sarebbe riuscito ad essere abbastanza uomo da mettere da parte i suoi complessi e passare un'intera giornata con l'enorme famiglia Bennet?
...oh, al diavolo!
Raggiunse di corsa la signora Bennet e si mise accanto a lei, sulla soglia della porta; il suo viso magro era serio ma arrossiva, mentre Lucy rideva sotto i baffi.
Aveva ottenuto esattamente ciò che voleva.
- E mi raccomando, - sussurrò Lucy – non lasciarti intimidire da Audrey. Non si aspetta di incontrarti oggi, ed è probabile che vedendoti entri nella sua fase Banshee.
- Fase cosa?
- Fase Banshee. È una definizione che abbiamo inventato in famiglia, per definire i suoi momenti di rabbia. Audrey è dolce e tenera come una Puffola Pigmea, e non si arrabbia praticamente mai, ma quelle poche volte che succede accumula la rabbia e alla fine esplode, diventando proprio come una Banshee. L'importante è che tu non ci faccia caso. È probabile che ti gridi in faccia.
Percy deglutì forte.
- In questo caso – continuò la signora Bennet – bisogna solo evitare di darle retta. Resta impassibile e deciso, e al contempo sii molto cortese e gentile qualsiasi cosa ti dica o faccia, e alla fine non saprà più controbattere. In casi estremi lascia fare a me.
Percy fece un sorrisetto. Impassibile ma cortese, eh?
- Non c'è problema - rispose.
Suonò lui stesso il campanello. Doveva essere deciso. Voleva fermamente far capire a Audrey che quella situazione lo faceva soffrire, e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di riavvicinarsi a lei.
Prima che la porta venisse aperta, Percy sentì che una strana follia si stava impadronendo di lui; forse la signora Bennet era contagiosa.
Era molto curioso di vedere Audrey nella sua fase Banshee.
 
 
Avevano ragione: Audrey non sarebbe mai stata contenta di vederlo, quel giorno.
Aprì la porta e stava per dire: - Mamma, finalmente, ma dov'eri? -, ma le parole le morirono in gola.
Prima del viso tondo e sorridente di sua madre si trovò davanti quello serio e spigoloso del capo. E un pensiero invase la sua mente.
Cosa ci fa il bastardo qui?!
- Ciao tesoro! - chiocciò la madre, come se nulla fosse. - Potresti farci entrare? Quei nuvoloni non mi piacciono per niente, sai... Non vorrei che ci ritrovassimo sotto la pioggia a due passi da casa...
Audrey non reagì. Non la guardò nemmeno. Continuava a fissare Percy inebetita, mentre lui sosteneva tranquillo il suo sguardo.
COSA CAVOLO ci fa il bastardo qui?!
La signora Bennet ignorò la reazione della figlia, e semplicemente la scansò mentre entrava e si toglieva il cappotto. - Scusa per il ritardo, sono andata a prendere Percy, sai, zia Magda ha invitato anche lui oggi...
- Cosa cavolo ci fai tu qui?! - ruggì Audrey, fiammeggiante, contro Percy.
Da dietro la schiena di sua figlia, Lucy lanciò a Percy uno sguardo incoraggiante. Il ragazzo lo colse, incrociò le braccia e rimase tranquillo.
- L'hai sentito, sono ospite di tua zia.
- Sei COSA?! - gridò la ragazza, al limite della furia. - COSA SEI?!
Percy non si scompose, sentendo ancora su di sé l'appoggio della signora Bennet. Una parte di lui aveva paura della reazione di Audrey, ma un'altra parte – quella folle e sfrenata, che esisteva ma non era mai entrata in scena prima d'ora nella sua vita - iniziava persino a divertirsi.
- Ospite - scandì. - Di tua zia.
 
Dalla sala da pranzo, i Bennet non sentirono distintamente cosa avesse risposto Audrey, ma colsero un grido belluino che li fece sobbalzare tutti.
- La cara, dolce Audrey oggi sta passando per la fase Banshee, o sbaglio? - commentò Oleg con un sorrisetto, facendo ridere i bambini.
Di fronte a lui, Rhett si limitò a lisciarsi i corti baffetti che si stava facendo crescere, probabilmente in onore al suo omonimo protagonista di “Via col vento”. - Dalla voce che ha oggi mi sembrava più un Troll di Norvegia, in verità...
- Cos'è un Droll, papà? - chiese Sophie, tre anni, a Jarne.
- Dopo te lo spiego, tesoro - rise Jarne scompigliandole i capelli.
 
- NON SE NE PARLA! - stava gridando Audrey, violacea in volto.
- Aud, ti stai comportando davvero male. Vergognati.
- IO? Ma se è LUI...
- Adesso basta, Aud: tua zia ed io siamo libere di invitare chi vogliamo senza che tu faccia i capricci. Punto.
- Capricci? CAPRICCI? Io non rimango se rimane lui!
In tutto ciò, Percy era rimasto a braccia conserte sulla soglia della porta, attendendo che gli dessero il permesso per entrare.
Iniziava a capire a fondo cosa voleva la signora Bennet.
Lo stava aiutando a far pace con Audrey. Incredibile ma vero, gli stava dando una mano. Se fosse riuscito a dimostrare a Audrey che teneva a lei, sopportandola mentre era furibonda, avrebbe potuto scusarsi e spiegarsi, e sperare che lei lo avrebbe capito. Forse.
L'importante era mostrarsi deciso e sicuro, si ripeté. Doveva farcela.
Per ora, era un vero spasso vederla nella sua fase di rabbia massima. Sembrava davvero una Banshee, a parte per il colorito viola e non verdastro: aveva i capelli sparati da tutte le parti e gli occhi di fuori.
- Come vi siete PERMESSE! - abbaiò ancora Audrey. - Me lo avete fatto APPOSTA, brutte megere!
- Non farla tanto lunga, Aud. Lui resta, e anche tu. E ti proibisco di fare ancora certe scenate di fronte a un ospite. Sono stata chiara?
Un ruggito corrispose alla risposta affermativa di Audrey.
- Oh, bene. Adesso ricomponiti, che sembri una Banshee. Vado a salutare i ragazzi! - e detto ciò la signora Bennet sparì nella stanza accanto, lasciando la figlia a digrignare i denti.
Percy intanto non si era perso una sola sillaba del dialogo tra le due.
Proprio un vero spasso... Certo, se la sua rabbia fosse rivolta verso di me invece che verso la signora Bennet, forse non mi divertirei tanto...
- Quanto a TE...
Ecco, appunto.
- Che diamine ci fai ancora sulla porta? - ringhiò la ragazza.
Cortese e gentile. Deglutì, deciso a non farsi intimorire. - Aspetto che tu mi inviti a entrare, Bennet.
Un altro ringhio.
- Piuttosto mi taglio la lingua. Se è il mio permesso che aspetti, stai fresco; per me puoi restare sotto la pioggia al freddo e al gelo per gli anni a venire.
Un'idea balenò a Percy. Era davvero, davvero folle, ma sentiva che quel giorno doveva giocarsi il tutto per tutto. Rischiava la morte, dicendo ciò che aveva in mente; ma in fondo, finora tutti si erano comportati da pazzi con lui, poteva concedersi una pazzia a sua volta.
- Devo quindi ritenere - disse lentamente - che desideri essere licenziata, Bennet?
Ovviamente era un bluff. Non avrebbe mai, mai licenziato Audrey, per nessuna ragione al mondo; ma dirle quella cosa forse era l'unico modo per entrare in casa, anche se altamente rischioso.
Audrey lo guardò shockata. Non si aspettava un colpo così basso.
- Cosa? COSA?
- Esatto, licenziata. Ti ricordo che, in quanto direttore del tuo reparto, ho questo potere. - Si tolse gli occhiali e iniziò a pulirli con lentezza, aspettando una risposta. Visto che non arrivava, infierì con la pacatezza di un serial killer. - Se tieni al tuo posto di lavoro, ti conviene farmi entrare e lasciarmi salutare tua zia, che gentilmente mi ha invitato qui.
Audrey era colma di rabbia; quel bastardo la stava ricattando.
- Non mi licenzieresti mai.
- Preferisci rischiare, Bennet?
- Preferisco che tu vada a farti fottere.
- Proprio il genere di trattamento che un direttore di archivio si aspetta da una sottoposta. Continua così, Bennet, e domattina sarai felicemente in cerca di un nuovo impiego.
- Mi stai ricattando, per caso?
- Non è un ricatto. È uno scambio di favori - ribatté Percy rimettendosi finalmente gli occhiali. - Tu mi fai entrare in casa al caldo, e io ti garantisco che domani avrai ancora un lavoro sicuro in archivio.
- Tu, grandissimo...
- Un'altra parola, Bennet, e ti considererò dimissionaria.
Audrey non era più violacea, ora tendeva al nero.
- Sei uno stronzo, e lo sai - disse piano.
- Lo so, - replicò Percy, - ma se l'unico modo per passare del tempo con te è minacciarti, non vedo perché non dovrei farlo.
La ragazza chiuse gli occhi e fece un gran respiro. Calma. Doveva stare calma. Rischiava di diventare veramente una Banshee, se seguitava ad ascoltarlo.
- Allora, Audrey: posso entrare, per favore?
Riaprì gli occhi, e cercò di incenerirlo con lo sguardo.
- Muoviti, sono tutti a tavola.
- Grazie.
- E sappi - ringhiò - che non sono affatto contenta di vederti, Percy.
- Sì, lo avevo intuito - commentò lui, mentre toglieva il pastrano.
Perlomeno adesso mi chiama per nome...
Nonostante la situazione drammatica, gli venne da sorridere.
Se riesco veramente a far pace con Audrey, dopo una mattinata simile, sarò sempre grato a quella pazza di sua madre.
 
- Allora, Rhett, sei sicuro di aver capito?
- Mamma, me lo hai detto dieci volte. Perché non lo dici anche a Oleg e agli altri?
- Preferirei che glielo dicessi tu... Sai, temo che non siano d'accordo...
- Va bene, ma', farò il possibile - ridacchiò Rhett, divertito. Sarebbe stato uno strano Capodanno.
Se ho ben capito, siamo tutti qua perché Audrey ha litigato col tizio rosso che era qui a Natale... Però!
- Buongiorno, ragazzi! - salutò Lucy gioviae. - Scusate la confusione, ma Audrey ha scoperto la sorpresa... Rhett, - fece, avvicinandosi al nipote, – tua madre ti ha già detto tutto?
- Dieci volte. Non ho ben capito cosa dovremmo fare ma...
- Oh, Rhett, mi fido di voi. Improvvisate - rispose Lucy, sorridente, e andò a prendere posto alla sua solita sedia.
Improvvisate? Questa è bella: nemmeno la zia sa cosa vuole!
Non riuscì a reprimere un'altra risatina.
Sua moglie Stacey lo guardò stranita. - Cosa state combinando, Rhett?
- Probabilmente, un gran casino; secondo la mamma, un fidanzamento – le disse il marito a bassa voce, scoppiando poi a ridere forte.
- Ehi, Oleg, ascolta... - aggiunse poi, tornando serio e cercando di spiegare il piano al fratello, ma dovette zittirsi. Sulla soglia del salone erano comparsi Audrey, ancora violacea in volto, e Percy, dall'espressione seria e al contempo divertita, che non staccava gli occhi di dosso da Audrey.
Uno strano, stranissimo Capodanno.
 
La zia Magda lo accolse festosamente, alzandosi in punta di piedi e baciandolo sulle guance.
- Percy, meno male che sei venuto, sono proprio contenta! Lucy ti ha detto che avrei fatto gli spaghetti?
Audrey scattò come un serpente a sonagli. - Li hai fatti per LUI?!
Magda ignorò la nipote. Intanto anche Roman si alzava da tavola e salutava Percy con una delle sue soffocanti pacche sulla schiena.
- È bello riaverti qui, Percy! Ti ricordi dei miei figli?
- Ecco...
- Oh, tranquillo, sono talmente tanti che me li scordo anch'io! - rise forte Roman, mentre i quattro uomini a cui si riferiva si guardavano perplessi.
Avete mai visto papà fare così con qualcuno?
 
Io no.
 
Io nemmeno.
 
Non fa mai così con le persone che ha visto solo una volta.
- Scusate ragazzi, ovviamente scherzo. Allora, questi due qui sono Oleg e Rhett, il terzo e il primo; vicino a loro ci sono Edna e Stacey, loro dolci consorti. – Le due donne risero, salutando Percy. - Poi ci sono Jarne e Grace, e quei due vicino alle gemelline sono il mio minore, Saul, e sua moglie Ingeborg.
Percy li salutò, con un cenno del capo. Aveva già scordato tutti i nomi.
Diavolo!
- Poi ci sarebbero i miei nipoti, naturalmente...
- Rom, perché non lasci che si sieda? Il pranzo si fredda!
- Oh, certo Maddie, scusami... Prego, scegliti il posto!
Percy guardò la tavolata, perplesso. I posti in tavola erano tutti occupati; l'unico buco dove avrebbe potuto mettersi era...
Oh no!
No!
Non è possibile!
- Mi spiace, Percy, - gli disse Audrey con una voce da mettere i brividi, rivolgendogli un sorriso da cobra, – l'unico rimasto libero è lì, di fronte a Judith.
La parte finale della tavolata. Il tavolo dei bambini.
Si morse un labbro. Odiava i bambini; ma non poteva darla vinta a Audrey e al suo sorrisetto beffardo.
Cavolo. Che fare?
Dichiararsi sconfitto in partenza?
- Certo, - continuò Audrey con fare noncurante, osservandosi le unghie di una mano, - se è un problema potresti sempre andartene...
- Nessun problema. Adoro i bambini - rispose Percy stringendo i denti, e andandosi ad accomodare.
Audrey lo seguì con lo sguardo, sempre col sorriso da cobra stampato in volto. Mentre lo guardava, incrociò gli occhi di Judith.
Tra le due ragazze passò uno sguardo d'intesa.
Voglio che soffra.
Consideralo già fatto.
Audrey annuì, mentre Judith le ricambiava il sorriso feroce.
Si sarebbe divertita anche lei, quel giorno.
 
 
A Rhett non era sfuggito lo scambio di battute tra la cugina Audrey e quel tizio; soprattutto non gli era sfuggito il tono.
Accidenti, mamma e zia vogliono DAVVERO che questi due facciano pace? Sarebbe più semplice cavare un occhio a un Kappa imbizzarrito...
Mentre Lucy e Magda si affaccendavano a servire l'antipasto, Rhett iniziò a pensare a cosa avrebbero dovuto fare esattamente. Insomma, sua madre e sua zia non avevano le idee chiare, né Audrey sembrava intenzionata a collaborare in nessun caso. Quindi, cosa cavolo avrebbe dovuto fare affinché quei due facessero pace?
Era urgente sentire i suoi fratelli.
Lanciò un'occhiata a Oleg.
Oleg? Ehi, Oleg?
Oleg si accorse dello sguardo del fratello, e ricambiò.
Cosa c'è?
Rhett guardò un momento in basso, poi alzò gli occhi su Magda e poi su Audrey.
Mi serve il tuo aiuto. Mamma mi ha chiesto di fare qualcosa, riguardo a Aud.
Oleg aggrottò le sopracciglia.
Aud? Cos'ha che non va?
Rhett roteò gli occhi e sbuffò.
Cos'ha che non va? Ma dico, dove vivi? Non lo vedi da te?
 
In verità, a me sembra che stia bene. Non l'ho mai vista così in forma.
 
Ci avrei giurato. Ascolta: forse avrai capito che Audrey ha qualche problema con il tizio rosso...
 
Qualche problema? Perché? In fondo gli ha solo fatto subire le ire della Banshee, e l'ha piazzato in mezzo ai marmocchi che sicuramente lo faranno a pezzi... Nulla di che in fondo...
 
Come forse avrete intuito, i fratelli Bennet avevano imparato negli anni a comunicare tra loro semplicemente guardandosi. Non si trattava di trasmissione di pensiero: più probabilmente era semplice complicità. Uno alzava un sopracciglio, e gli altri tre capivano cosa intendesse dire.
Era una tecnica che avevano perfezionato a Hogwarts, quando dovevano scambiarsi messaggi da una tavolata all'altra, visto che erano finiti in Case diverse.
La cosa bella era che nessuno aveva mai scoperto questo loro segreto: né i loro genitori, né i loro amici, né tantomeno Audrey o le loro mogli. Potevano quindi dirsi qualsiasi cosa in qualsiasi momento, in presenza di chiunque.
Naturalmente, le frasi che qui vengono trascritte sono semplificazioni, per farvi capire meglio il senso generale di quello che si stavano comunicando in quei momenti; dovete però immaginare come per loro la comprensione fosse molto più diretta e immediata.
È strano, lo so; non ditelo a me.
 
 
Nulla di che?! Forse per te, stupido serpico!
 
Vacci piano, grifetto. Stavo solo scherzando.
 
Rhett sbuffò. Nel frattempo, avevano iniziato a mangiare.
Dannazione, vuoi sentire cosa devo dirti o no?
 
Okay, okay, sta' calmo...
 
Sono calmissimo. Allora. Le cose stanno così, a quanto ho capito: Audrey stava col tizio rosso, poi per qualche motivo hanno litigato...
 
Senti, per favore, dimmi qualcosa che non so già!
 
Sto per dirtelo! Vuoi aspettare un momento? Allora, visto che hanno litigato, mamma e zia vorrebbero che li aiutassimo a far pace.
 
Oleg si strozzò con un sorso d'acqua. Tossendo, passò uno sguardo sconvolto da Audrey a Percy.
Cosa?! Perché dovremmo far tornare insieme Aud e il tizio rosso? Mi sta antipatico!
 
Rhett scosse la testa.
Oleg, tutti i ragazzi di Aud ti sono sempre stati antipatici. Hai il complesso del fratello maggiore, tutto qui.
 
Senti sapientone, io quel tizio rosso non lo voglio in famiglia. Diamine, non ho mai sentito Audrey così incavolata, pensavo sarebbe diventata davvero una Banshee!
 
In effetti... e hai sentito poi con che voce gli ha detto di sedersi davanti a Judith?
 
Oleg annuì. Santa Circe, mi ha fatto davvero paura. Una persona capace di scatenare la sua ira in questo modo NON PUÒ stare con Audrey! E poi cosa dovremmo fare noi due?
Rhett sospirò. Oleg aveva ragione; quella faccenda era davvero troppo intricata per loro due soli.
 
 
Dall'altra parte della tavola, Percy cercava di mantenere il controllo della situazione.
E della mia sanità mentale, direi...
Non appena si era seduto, cinque paia di occhi infantili avevano preso a fissarlo con la stessa identica sorpresa. Raramente un adulto si era seduto in mezzo a loro.
Percy si sentì arrossire, sotto quegli sguardi.
- Ehm... - si schiarì la voce. - Ehm... Ciao.
Nessuno di loro rispose. I bambini continuavano a fissarlo.
Poi uno dei due maschietti chiese:
- Sono veri quei capelli?
Percy sgranò gli occhi. - Come, prego?
- Ti ho chiesto se quei capelli sono veri - ripeté il ragazzino, tranquillo.
- Beh, ma... - balbettò. - Certo che sono veri... io...
- Hai visto? Te lo avevo detto che erano veri! - disse allora il bambino, eccitato, al maschietto più grande.
- Ma figurati, secondo me sta dicendo una bugia. Nessuno può avere i capelli di quel colore - gli rispose l'altro, storcendo il naso.
Percy spalancò la bocca, indignato. - Non è una bugia! Io...
- Secondo te, anche le orecchie sono finte? Perché quelle sì che sono strane!
- Cosa... Cos'hanno le mie orecchie? - fece, coprendole con le mani e cercando qualche anomalia.
Una delle bambine rise, a quel gesto, seguita dalle due gemelline più piccole.
Percy arrossì ancora di più, quando capì finalmente che i due ragazzini si stavano tranquillamente prendendo gioco di lui.
Iniziava a innervosirsi. Era sempre così coi bambini; non sapeva come trattarli, né come farsi trattare da loro. Istintivamente cercò lo sguardo della più grande tra loro, Judith, che gli sedeva proprio di fronte.
Aveva scelto la persona sbagliata.
Judith adorava Audrey, e viceversa; erano anche piuttosto simili, sotto molti punti di vista. E se quel tizio stava antipatico a Audrey, era logica conseguenza che stesse antipatico anche a lei.
La bambina si accorse che Percy cercava il suo appoggio. Si scansò con noncuranza una delle lunghe trecce nere, sbatté le ciglia e gli rivolse lo stesso sorriso da cobra della cugina:
- Quindi tu sei Percy, giusto? Quello che ha fatto arrabbiare Audrey.
Poco mancò che Percy lasciasse cadere la testa nel piatto. Lo avevano intrappolato.
Non sarebbe mai uscito vivo da lì, mai.
 
La frase di Judith diede il via a numerosi gridolini da parte dei due maschi.
- L'hai fatta arrabbiare?
- Come hai fatto? Noi non ci riusciamo mai!
- Ce lo spieghi, per favore?
- Sì! Vorremmo tanto trasformarla anche noi in Banshee ma non sappiamo come fare!
- Abbiamo provato a metterle il sale nell'acqua...
- ... a macchiarle i vestiti di vernice...
- ... a farle cadere addosso le cose...
- ... ma niente! Lei dice solo: “I miei piccoli mostriciattoli!” e non si trasforma!
- Dai, per favore, spiegaci come si fa!
Due paia di occhi scuri lo guardarono imploranti.
Oddio, questi sono più matti della signora Bennet!
- Kinder, lasciate in pace ospitte! - intimò allora Ingeborg, la moglie tedesca di Saul. Era l'adulto seduto più vicino alla zona dei bambini, e sorrise a Percy.
Ingeborg era enorme. Un donnone bavarese biondissimo, altissimo e molto rumoroso. Non era grassa, ma molto formosa, e superava di almeno cinque centimetri di altezza suo marito.
- Scusa loro, ragazzo, zono molto maleducatti...
- Oh! - ansimò Percy, grato del soccorso. - Grazie, ma non c'è problema... Sono solo bambini...
Solo bambini? Sono piccoli mostri!
- Ja! - fece Ingeborg ridendo forte, mostrando dei denti enormi. - Pampini molto molto fa confuziona... Zopratutto se William è con Max, allora zwei pampini è come vier... Wie heißt du?
- Eh? - fece Percy, che non era riuscito a seguire ciò che diceva Ingeborg, in quel suo confuso inglese misto tedesco.
- Tuo nome. Come chiama tu? Scusa ma non sa io ancora inglesse...
- Ehm... Percy.
- Perrrcy! - esclamò Ingeborg, ridendo. - Ich heiße Ingeborg. Chiama me Inge!
- Ehm... Va bene...
- Scusa se chiede te, Perrrcy, ma aiuti me con Claire und Christine? Loro fa storie se mancia carotte e... - fece un gesto vago con la mano - ... Io non so come spiega...
- Non preoccuparti, zia Inge, glielo dico io - fece calma Judith, sorridendo. Poi si rivolse a Percy:
- Dovresti imboccare le gemelle. Non mangiano molto volentieri il purè di carote, e visto che sei il più vicino a loro...
Percy guardò alla propria destra. Claire e Christine, evidentemente figlie di Inge (stessi capelli biondo tedesco e stessi occhioni celesti) stavano sputando in giro il loro purè, comodamente sedute sui loro seggiolini appaiati.
Il ragazzo deglutì.
- Ehm... Veramente... Non l'ho mai... Se ci scambiamo di posto, potresti farlo tu? - le domandò, con un sorriso speranzoso. - Sembri così brava...
Judith spalancò gli occhi e la boccuccia, atteggiando il viso a un'espressione di dispiacere chiaramente falsa.
- Oh, sai, ti aiuterei molto volentieri ma... zia Inge lo ha chiesto a te, e ci rimarrebbe male se tu non lo facessi... Sai, è fatta così... - gnaulò.
Piccola bastarda!
Percy deglutì forte, tornando a osservare le due bambine che lo fissavano come aspettandosi qualcosa da lui. Cavolo. Ci mancava solo che mi mettessero a fare da baby sitter.
Decise che lamentarsi non lo avrebbe aiutato. E soprattutto, non intendeva darla vinta a quella ragazzina. Deglutendo ancora, con fare incerto prese un cucchiaino, lo riempì di purè e cercò di far aprire la bocca a una delle due bambine.
Sentiva su di se l'occhio beffardo di Judith, ma decise di ignorarlo: ciò che doveva fare era già abbastanza penoso.
Imboccò la prima bambina, che sembrò assaggiare il purè di carote senza storie.
Però! Non è così difficile!
Contento, riempì di nuovo il cucchiaino e imboccò la seconda bambina. Nessun problema anche su quel fronte.
Caspita, è veramente facile... Perché mi preoccupavo tanto?
Si voltò verso Judith, che aveva perso l'espressione beffarda e osservava le gemelle incredula.
Ti ho fregata, piccola arpia in erba!
Si volse di nuovo verso le gemelle con un sorriso soddisfatto, che scomparve subito.
Claire e Christine, con precisione invidiabile, avevano sputato contemporaneamente il purè.
Un mare di purè.
Sugli occhiali di Percy.
Il quale, prima di capire appieno cosa diamine fosse successo, vide arancione per qualche secondo.
Dall'altra parte, Judith scoppiò in una grassa risata, e guardò Audrey strizzando l'occhio.
Cugina, mi togli il divertimento: questo qui fa tutto da solo!
 
Per la seconda volta in pochi minuti Oleg rischiò di strozzarsi con l'acqua, quando si accorse di quello che succedeva al tavolo dei bambini. Sputacchiando guardò Rhett:
Fratello, ritiro tutto, con un tipo così in casa mi divertirei un sacco! Deve assolutamente sposarsi con Audrey e fare dieci bambini!
 
Ma che dici? Che succede?
 
Guarda tu stesso: le mini-Inge lo hanno ridotto a sputacchiera, la tua cara figlioletta infierisce, da brava nipotina di zio Oleg, e lui non fa una piega! È fantastico!
 
Oleg, dobbiamo solo aiutare Audrey, non farti avere un nuovo tiro a segno!
 
Uff... potremmo unire l'utile al dilettevole...
 
No, no e poi no. È pur sempre un ospite, non puoi infierire anche tu su di lui.
 
Va bene, va bene. Però non ho la minima idea di cosa potremmo inventarci, visto che la dolce Audrey sembra godere come una porca delle sue sofferenze.
 
Si voltarono entrambi verso Audrey; la ragazza non aveva perso nemmeno una scena di ciò che avveniva al tavolo dei bambini. La sua fase Banshee non si era ancora esaurita del tutto: Audrey ghignava soddisfatta e senza ritegno, osservando l'espressione sconsolata di Percy mentre guardava i suoi poveri occhiali.
 
Temo che tu abbia ragione. Ci servono rinforzi dotati di intelligenza. Chiamami Jarne.
 
Jarne? Ci servi subito!
 
Che volete? Che succede?
 
Jar, non puoi capire! Audrey deve fare quindici bambini con il tizio rosso!
 
Eh? Cosa? Chi? Dove? Perché?
 
Oleg, lascia parlare me, va bene? Allora...
Spiegò la faccenda a Jarne, che rimase pensieroso. Poi trasmise:
 
Difficile.
 
Ma va? Jar, non so proprio come faremmo senza di te.
 
Oleg, piantala!
 
Volevo dire che ho qualcosa in mente, ma è difficile da realizzare.
 
Wow! Hai già qualcosa in mente? Grande, Jar!
 
Grazie Rhett, ma aspetta a fare complimenti. È DAVVERO difficile.
 
Non importa! Sono pronto a tutto! Quel tizio DEVE far parte della mia famiglia! Già sento di volergli bene...
 
Oleg, un'altra parola e ti trasformo in una polpetta!
 
Se posso proseguire, senza che il serpico mi interrompa ancora, seguitò Jarne, con un'occhiata esasperata, secondo me dovremmo semplicemente vanificare l'azione di Audrey, impedendo l'embargo morale che sta evidentemente indicendo ai danni del tizio rosso e riportando quest'ultimo in una situazione neutrale nella quale abbia modo di esprimersi liberamente, riuscendo così a tornare a un tipo di comunicazione definito “da pari a pari” con nostra cugina al fine di, come si dice volgarmente, fare pace con lei.
 

Oleg e Rhett rimasero a guardarlo con espressione assolutamente vacua. Jarne fece un gran sospiro.
Dobbiamo metterlo a suo agio.
 
Ahhh! Chissà che mi credevo!
 
Io mi ero perso alla parola “embargo”...
 
Questo perché la tua ignoranza è grassa come Enrico VIII!
 
Senti, intellettuale dei miei calzari, smettila o...
 
Oleg! Piantala una buona volta! Jar, hai avuto un'ottima idea. Ora, come facciamo a mettere a suo agio il tizio rosso?
 
Beh, normalmente la gente ama parlare di sport, di libri, di...
 
La gente?! Solo Jarne Bennet ama parlare di libri!
 
Oleg!
 
Comunque, io da qui non riesco a parlare con il tizio rosso, è troppo lontano. Qual è il Bennet più vicino a lui, esclusi i marmocchi e le donne?
 
Jarne guardò in giro. Credo Saul; è l'unico ad averlo in linea d'aria, io dovrei chinarmi in avanti o all'indietro per aggirare mia moglie, Audrey, zia e le mini-Inge, e lo stesso dovrebbe fare Rhett.
 
Okay, allora lo chiamo. Saul?
 

 
Saul?!
 

 
Saul!
 
Gnam gnam slurp chomp chomp...
 
Saul! Stupido sacco di ciccia mangiapolpette!
 
È inutile, è troppo concentrato sugli spaghetti per guardarci; Jarne, tiragli un calcio.
 
Volentieri, Rhett!
 
- Ahio! - gridò Saul, facendo voltare tutti. - Jar, che ti è preso?
- Scusa Saul, ho allungato la gamba e ti ho colpito per sbaglio.
- Alla faccia dello sbaglio, se lo avessi fatto apposta me l'avresti staccata...
Piantala di lamentarti, abbiamo bisogno di te!
 
Ah, ecco, allora non mi hai colpito per “sbaglio”, eh?
 
Scusami, abbiamo cercato di chiamarti ma eri impegnato...
 
E avevate bisogno di rompermi una tibia? Non potevate chiamarmi per nome?
I fratelli si guardarono. Non ci avevano pensato.
 
Vabbè, fece Rhett, l'importante è che ora ci sei. Ascolta...
 
E Rhett si ritrovò a ripetere per la terza volta tutto ciò che dovevano fare. Saul si grattò la testa pensieroso, prima di domandare:
E quindi?
 
Quindi dovresti rivolgere la parola al tizio rosso, chiacchierare con lui, insomma non farlo sentire a disagio. Audrey lo ha massacrato, mettendolo in mezzo ai bambini...
 
È vero. Poveretto, mi fa un po' pena...
I quattro guardarono verso Percy. Volendo imitare le cugine, anche la piccola Sophie aveva cercato di bersagliare Percy col purè, colpendolo più volte proprio al centro del suo maglione nero (indossato dal ragazzo con molta fatica, dopo aver perso almeno mezz'ora a discutere con la madre di Audrey circa il fatto che non intendeva assolutamente indossare il maglione di Molly con la P). Esaltati dal successo della piccola, Max e William avevano iniziato a fare una gara di lancio della polpetta l'uno contro l'altro, mentre Judith, cui di solito bastava una delle sue penetranti occhiate di disprezzo per fermare sia il fratello Max che i suoi cugini, se ne stava beatamente infischiando, con un sorriso serafico in volto. Inge non ci pensava minimamente a intervenire, anzi rideva forte e diceva: - Ja, ja, pampini piccole pesti... Non diverte, Perrrcy?
No, il povero Percy non si stava affatto divertendo. Il suo sguardo sconcertato passava da un bambino all'altro, mentre si chiedeva perché mai non avesse semplicemente Schiantato la signora Bennet quando se l'era ritrovata in camera quel mattino.
Audrey invece si divertiva, e tanto. Gli sta bene, così impara a ricattarmi per... Com'è che ha detto? Ah, sì: passare del tempo con me.
Si accorse di essere osservata, e quando si voltò tutti e quattro i suoi cugini la stavano guardando.
- Vi serve qualcosa, ragazzi?
- No, Aud, tranquilla - le rispose Rhett, con un gran sorriso.
- Ci chiedevamo solo se... Beh, sai, - fece Saul, – se non fosse il caso di coinvolgere un po' il tuo amico nella conversazione. Sai, stare in mezzo ai bambini non è facile e...
- Oh, non devi preoccuparti per lui - rispose Audrey, con una strana luce negli occhi e un sorriso lupesco. - Lo ha detto lui stesso, che adora i bambini. Sta benissimo lì dov'è, te lo garantisco...
 
Cavolo, ragazzi, io ho paura. Audrey non ha mai fatto così!
 
Beh, forse il tizio rosso si merita davvero un trattamento simile. Non avete pensato che magari è un bastardo che la tratta male?
 
Trattarla male? Come potrebbe? Quello è meglio di un punching-ball! Ah ah! Una delle mini-Inge è riuscita a ficcargli un cucchiaio nell'occhio e l'altra gli ha rovesciato il succo di zucca sul cavallo dei pantaloni, e lui non ha detto nulla! Ah, come mi divertirei con uno così...
 
Oleg, sei proprio un infame.
 
Oh, non è colpa mia se so divertirmi! Però, la piccola Sophie ha una mira da giocatrice di Quidditch, secondo me ha un futuro! Non ti somiglia affatto, Jarne, antipatico topo di biblioteca...
 
Serpico, taci e lasciami pensare. La situazione è evidentemente complicata dal fattore “Banshee”.
 
Intendi dire Audrey, Jar?
 
No, Rhett, intendo dire la Banshee che abita in lei. Qualsiasi cosa abbia fatto il rosso, Audrey lo detesta, e detestandolo libera la Banshee; ora, visto e considerato il modo in cui ha reagito quando il buon Saul ha accennato alla possibilità di coinvolgerlo in una conversazione, bisogna tener conto del fatto che chi rivolgerà la parola al tizio correrà il rischio di incorrere a sua volta nelle ire di Audrey. Saul, sei ancora convinto di volerlo fare?
 

 
Saul?
 
Chomp chomp gnam gnam glu glu glu...
 
Oh Salazar, torna in vita e distruggilo!
 
Non serve, Oleg, ci penso io.
 
- Ahio! Jarne, mi hai fatto male di nuovo!
- Scusa, Saul...
 
 
La pazienza di Percy stava oltrepassando tutti i limiti fino ad allora conosciuti.
Quando aveva tolto gli occhiali per ripulirli, una delle gemelle gli aveva quasi cavato un occhio con un cucchiaio. Il suo povero maglione era diventato un tiro al bersaglio, e nessuno sembrava curarsi del fatto che i due piccoli mostri si lanciavano cibo come se niente fosse.
Era appena riuscito a ripulire il suo maglione, che i suoi pantaloni avevano subito una sorte simile, se non peggiore: un intero bicchiere di succo di zucca si era “accidentalmente” rovesciato su di essi, inzuppandolo.
- Oohh, sembra che ti sei fatto la pipì addosso!
- Will, non si dice la parola “pipì” a tavola!
- Sta' zitto, Max!- e giù di nuovo polpette.
Il povero Percy appariva sempre più sconvolto. Non ricordava tanta confusione nel suo stesso tavolo da quando lo zio Bilius aveva cercato di insegnare a lui, Bill e Charlie a ruttare durante il pranzo di compleanno di suo padre. Molly se ne era accorta, e aveva iniziato a gridare sempre più forte, sempre più indignata, mentre zio Bilius superava le sue urla con rutti sempre più potenti e Arthur cadeva giù dalla sedia ridendo, seguito da loro tre.
Sbuffò di divertimento, ricordando quella scena.
- Come va, laggiù?
Drizzò le orecchie. Qualcuno gli aveva rivolto la parola!
Si guardò in giro, e incrociò lo sguardo del Bennet che sedeva vicino a Inge.
- Oh... Beh, non c'è male... - rispose, con una smorfia.
Il Bennet, dal volto paffuto e simpatico (come si chiama accidenti? Paul? Karl?) gli sorrise, comprensivo. - Sai, una volta è capitato a me di sedere in mezzo ai bambini, ed è stato tremendo. Mi dispiace che oggi sia toccato a te.
- Davvero? - Ormai non sperava più che qualcuno si accorgesse di lui. Notò che Audrey guardava il cugino con aria omicida.
- Ti ringrazio molto, ma qui è tutto a posto, sul serio - aggiunse, mentre con uno splaf una polpetta gli piombava fra i capelli.
- Devi avere una pazienza incredibile, per sopportare quei due demonietti.
- Oh, sono abituato a ben altro... - mormorò, mentre si toglieva la polpetta dalla testa.
- Dico sul serio, devi essere bravo coi bambini per stare in mezzo a loro così a lungo. Io non ho resistito che mezz'ora...
- Ja, Saul, Perrrcy viel prave mit pampini... Lui fatto manciare carotte a Claire und Christine!
- Davvero?! - Saul sembrava sbalordito. - Nessuno ci riesce, nemmeno Audrey!
Audrey sentì che si parlava di lei e si morse la lingua. Che gli saltava in mente, a Saul, di uscirsene con queste cose con Percy?
Il ragazzo si sporse verso di lei; notò la sua espressione, e le rivolse un sorriso beffardo. Sentì una gran voglia di provocarla.
- Sul serio? Audrey non ci riesce?
- Proprio così. È brava a farle addormentare, ma per mangiare... Lasciamo stare, meglio non parlarne...
- Oh, no, ti prego - fece Percy, tornando a guardarlo con uno strano bagliore negli occhi. – Sembra interessante. Cos'altro c'è che Audrey non sa fare?
- Beh... Ecco...- Saul tentennò, accorgendosi dello sguardo strano di Percy.
- Saul, se non la pianti subito ti farò pentire di aver imparato a parlare - soffiò Audrey.
- Ehm... Uhm... - lo sguardo preoccupato di Saul vagò da lei a Percy. - Uhm... Ehm... Buono il dolce, eh?
E tornò a mangiare, lo sguardo ben chino sul piatto.
Percy e Audrey si guardarono, incuranti del fatto che a separarli c'erano Lucy e le mini-Inge.
- Cos'è, hai voglia di prendermi in giro, adesso?
- Io? Assolutamente no!
- Perché fai questi discorsi con Saul?
- Sono un ospite educato, parlo con le persone che mi rivolgono la parola.
- Oh, certo, sei un ospite molto educato...
- Aud, perché non vai a prepararci un caffè?
- Non ora, mamma, sono occupata!
- Allora, Percy, non ci hai detto che lavoro fai! - esclamò Saul, dopo aver ricevuto varie occhiatacce di rimprovero dai suoi fratelli per essersi fatto intimorire così da Audrey.
Percy vide lo sguardo incoraggiante di Saul. - Oh, ehm, sono assistente del Ministro e direttore degli Archivi magici.
- Ah! - esclamò di nuovo Saul, cercando di coprire con la voce il battibecco sorto tra Audrey e sua madre. - Sembra interessante! È lì che hai conosciuto Audrey?
- Già, proprio così! - rispose Percy con lo stesso volume, mentre la diatriba tra madre e figlia cresceva di tono. - Ho avuto questa grande fortuna!
- Oooohh! Che coza carina ha detto tu! - gorgogliò Inge, sbattendo le ciglia. - Viel romantico!
- Cosa? Che ha detto? - domandò Lucy, smettendo di litigare con la figlia.
- Perrrcy detto lui molto fortuna a conoscere Aud! - chiocciò la tedesca.
- Oohhh! Davvero, Percy? Sei proprio un caro ragazzo! - esclamò Magda, mentre tutte le donne presenti, intenerite, rivolgevano sorrisi luminosissimi a Percy e questi arrossiva violentemente, iniziando a pentirsi di essersi fatto sfuggire quella frase.
- AH! - strillò invece Audrey. – Adesso siamo al SARCASMO!
- Veramente, Aud, a me sembrava sincero... - provò a dire Saul, ma fu trafitto da un'altra occhiataccia della cugina.
- Sincero un CORNO! Come può essere SINCERO uno così?
- Senti, Bennet, - rispose Percy piccato – se non sei in grado di riconoscere i complimenti io non posso farci nulla; il problema è tutto tuo.
- Visto, Aud? - provò a inserirsi Rhett, con fare conciliante. – Non è stato sarcastico, voleva solo essere carino...
- Secondo me, invece, ha ragione Audrey.
Era la prima volta che Oleg prendeva la parola quel giorno. Tutti si voltarono di scatto, tacendo di colpo: quando il Serpico parlava, di sicuro stava per combinare qualcosa.
Percy lo fissò, gelato. - Come, scusa?
- Secondo me non dici sul serio. Non ti senti fortunato ad averla conosciuta.
 
Oleg, che diamine...
 
Lasciatemi fare, ragazzi. Ho avuto un'idea.
 
Tornò a rivolgersi a Percy. Ciò che vide gli piacque: era impallidito e stringeva i denti, segno che stava toccando le corde giuste.
- Sai, - proseguì, mentre un sorriso da volpe gli compariva sulle labbra – le persone come te non si rendono mai conto delle fortune che gli capitano...
- Oleg, vacci piano... - mormorò Audrey. Era più forte di lei: Oleg le scatenava istinti di protezione verso i malcapitati che diventavano vittime dei suoi tiri mancini.
- Guardati: stai lì, tutto serio e impettito, a fingere di essere a tuo agio, mentre ti stai pentendo di essere qui...
- Oleg...
- ... e ti chiedi se vale davvero la pena sopportare tutta questa confusione, queste scemenze per una come Audrey...
- Oleg...
- ... che magari non è abbastanza per te, perché i tipi come te meritano di meglio...
- Oleg, lui...
- Di', non ti sei divertito abbastanza con Audrey?
Percy scattò in piedi, stringendo i pugni. Una rabbia feroce lo stava assalendo.
Era sporco, stanco, le orecchie devastate dalla confusione, Audrey non faceva che attaccarlo su tutti i fronti, e quel cretino si permetteva di dirgli queste cose?
Gli rivolse un'occhiata che avrebbe raggelato chiunque; ma Oleg non era chiunque, e non smise di sorridere.
- Però... - mormorò sarcastico. - Quanto coraggio, bambino. Sono impressionato.
- Non... devi permetterti di dire queste cose - soffiò Percy con una voce diversa dalla propria.
- Non devo?
- No.
Il sorrisetto di Oleg si allargò, diventando ancora più beffardo. - E perchè mai, Vostra Grazia?
- Perché non ne hai il diritto. Non mi conosci.
- Non serve conoscere le persone come te per capire che bisogna girarci alla larga il più possibile.
- Adesso basta, Oleg! Stai esagerando! Non puoi parlargli così! Tu non lo conosci!
Anche Audrey era scattata in piedi, arrabbiata. Oleg non poteva essere più contento: stava facendo reagire il tizio rosso, e stava mettendo Audrey dalla parte di lui. Eccellente.
Poteva anche smettere, per il momento.
- Va bene, Aud, come vuoi tu - e, dopo aver rivolto un ultimo sguardo beffardo a Percy, si ritirò a fumare sotto la veranda.
Dopo che fu andato via, seguì qualche istante di silenzio imbarazzato, rotto finalmente da Roman:
- Beh, vado a preparare il caffè, chi ne vuole?
Seguirono risposte affermative e negative. Nel frattempo Lucy, Magda e le sue nuore iniziarono a togliere i piatti e a sparecchiare, e i bambini furono portati da Ingeborg a fare un sonnellino. Solo Percy e Audrey rimasero fermi, in piedi, senza parlare.
Non riuscivano neppure a guardarsi.
Se ne accorse Lucy, che intervenne per sbloccare l'impasse.
- Aud, mi aiuteresti con questo vassoio?
- Sì, certo - mormorò, e sempre senza guardare Percy prese il vassoio e andò in cucina, urtandolo mentre gli passava accanto.
Il ragazzo non le staccò gli occhi di dosso, mentre lei chiudeva la porta della cucina dietro di sé.
Intanto, Rhett, Jarne e Saul confabulavano, in piedi vicino a una finestra.
 
Che diamine è preso a Oleg? Vuol far fallire tutto?
 
No, mi ha solo detto che aveva avuto un'idea...
 
L'ultima volta che ha avuto un'idea siamo stati quasi espulsi dalla scuola! Perché non accettiamo serenamente il fatto che sia solo un fottuto bastardo?

Jarne, smettila. Oleg è un provocatore ma non fa mai nulla per caso. Forse voleva far reagire il tizio rosso in qualche modo.
 
Bella reazione! Se avesse trattato me in quel modo gli avrei rotto il naso.
 
Però avete visto che Audrey alla fine lo ha difeso.
 
È vero, non ci avevo pensato.
 
Che abbia davvero avuto una buona idea?
 
Non fecero in tempo ad andare a chiedergli spiegazioni. Oleg era rientrato e rivolgeva loro uno sguardo molto eloquente.
Caro Jarne, tra poco sarai costretto ad ammettere che io, Oleg il Serpico, sono il vero genio di casa.
 
Veramente, mi sembra che tu abbia solo fatto danni.
 
Bah... Se avessi dovuto aspettare che Saul il Mangiapolpette districasse la situazione, rischiavo di diventare troppo vecchio per veder nascere i venti figli di Audrey e del tizio rosso.
 
A proposito di tizio rosso, forse dovresti scusarti...
 
Sta' tranquillo, Rhettuccio, farò di meglio.

Oleg, per favore, siamo preoccupati: puoi dirci almeno cos'hai in mente?

Semplice: voglio che questo damerino tiri fuori gli attributi. Se continua a essere così passivo e a non andare dritto all’obiettivo, non combinerà mai nulla con Audrey; vediamo se riesco a cacciargli fuori la grinta.
 
Oleg fece l'occhiolino al fratello maggiore, poi si schiarì rumorosamente la voce.
Percy distolse lo sguardo dalla porta della cucina e lo portò su di lui.
C'era dell'odio bene in evidenza in quegli occhi.
Oleg sorrise come prima, un sorriso da volpe che fece salire ancora di più la rabbia di Percy.
- Bene, bambino, sei pronto finalmente a un discorso da uomini?
 
 
 
- Aud, non avresti dovuto prendertela così tanto con quel ragazzo...
- Ti ha solo fatto un complimento! Era necessario trattarlo così?
- Poveretto! Non ti sei accontentata di farlo sedere in mezzo ai bambini...
- Pampini tremendi mit Perrrcy, ma lui non fatto ztorie!
- ... hai dovuto anche infierire!
- Mi fate parlare?! - implorò Audrey.
- NO! Tu adesso ascolti. Nessuno in famiglia è mai stato così testardo...
- Di me non ha preso di certo!
- Perrrcy zolo vuole scusa te! Perrché tratti lui come Sheiße di Doxy?
- Maddie, Lucy, Inge, lasciate che parli io. Audrey, sicuramente hai un ottimo motivo per essere così arrabbiata...
- Oh! Finalmente! Grazie, Edna...
- ... ma direi che dopo la giornata che ha passato oggi, Percy possa essere perdonato, no?
- Ha ragione! - esclamò Grace, la moglie di Jarne. - Non ho mai visto tanta pazienza in un uomo solo. Se consideri che è venuto fin qui solo per fare pace con te...
- Questo è quello che dice lui! - gridò Audrey. - Lo sapete cosa ha fatto per entrare in casa? Mi ha minacciata di licenziarmi!
- Perché, tu non volevi farlo entrare? Non è mica casa tua!
Oh, Merlino, dammi forza...
- Figurati se diceva sul serio!
- Perrrcy prave ragazzo, non fare mai...
- Solo tu sei tanto boccalona da crederci!
Audrey scosse la testa, sconfitta e ormai vicina alle lacrime. Qualsiasi argomento era improponibile, con quelle donne. La cucina si era trasformata in una cella dell'Inquisizione, con Audrey al centro e sua madre, sua zia e le altre tutte attorno. Mancava solo Judith, che non era stata ammessa a quella consultazione perché ritenuta troppo piccola per certi discorsi.
Nessuna badava al povero Roman, che cercava di preparare il caffè per tutti in un angolo.
- Ascolta, Aud - le disse Stacey avvicinandosi. Era quella che Audrey ascoltava più volentieri, la più pacata e la più matura del gruppo “Signore Bennet”.
- Sinceramente, hai mai dato occasione a Percy di spiegarti il suo comportamento la sera di Natale?
Audrey tirò su col naso, pensando. - No...
- Lui ti ha mai cercata per scusarsi?
- Sì! - esplose di nuovo. – Alle dieci di sera, dopo che non si è fatto vivo per tutto il giorno!
- E ti sei fatta spiegare perché non si è fatto vivo?
Altra tirata di naso. - No...
- Quindi, se ho ben capito, - continuò Stacey dolcemente, carezzandole i capelli – lui voleva scusarsi, ma tu non gliene hai dato modo perché eri troppo arrabbiata per ascoltarlo. Giusto?
Audrey si limitò ad annuire, la testa china.
- Ascolta quello che penso: se è venuto qui oggi, sopportando l'imbarazzo di stare con tutti noi solo per rivederti, ha dei buoni motivi e degli ottimi argomenti da sottoporti. Non vuoi proprio dargli un'occasione?
Audrey rialzò la testa: sei paia di occhi femminili (più quelli di Roman) la osservavano. Tirò su col naso per l'ultima volta.
- Devo pensarci - mormorò, e uscì dalla porta sul retro.
 
 
Tutta questa discussione non fu udita da Percy e dai fratelli Bennet, perché Magda aveva avuto l'opportuna idea di silenziare la cucina.
E anche perché ciò che avvenne nella sala da pranzo fu molto più interessante per gli uomini.
La provocazione di Oleg aveva fatto trattenere il fiato ai suoi fratelli. È vero, avevano tutti almeno dieci anni di più rispetto a Percy, ma era sempre un ospite, e dargli del bambino non era proprio il modo ideale per fare ciò che dovevano fare.
Percy si sistemò gli occhiali sul naso.
- Io sarei prontissimo, ma non vedo altri uomini con cui dovrei fare questo discorso.
- Ti piace fare lo spiritoso, bambino? Non sei nelle condizioni adatte.
- Perlomeno non mi ritrovo nelle tue condizioni.
- Che vorresti dire?
Percy si morse la lingua. Non poteva mettersi a litigare coi parenti di Audrey; d'altra parte, diamine, lui non era un bambino, era... beh, in un qualche modo era importante!
- Io non mi riduco a lanciare insulti squallidi basati sulla differenza di età. Come se dovessi sentirmi offeso dal fatto che tu hai trent'anni e io ventuno.
- Ventuno? - esclamò Oleg fingendo stupore – Sul serio hai ventun anni? Oh, cielo, ritiro tutto! Come ho potuto pensare che fossi uno stupido ragazzino immaturo che non è capace nemmeno di tenersi una ragazza?
Rhett, Jarne e Saul guardarono Percy aspettando una risposta. Il ragazzo si morse forte il labbro.
Non c'era nulla da rispondere. Oleg aveva ragione.
Vista la difficoltà in cui Percy si trovava, Oleg gli diede un'altra spinta:
- Magari vorresti anche farmi credere che quello che ti ho detto prima non è vero.
- Infatti - ruggì Percy – non è vero niente.
- Chissà come mai, stento a crederlo.
- So benissimo che conoscere Audrey è stata una fortuna, per me. E no, non penso di meritarmi qualcosa di meglio, anzi, non penso nemmeno di meritare una come lei. Non sono stato con lei per divertimento ma perché... - si fermò. Ma che diamine stava dicendo?
Perché andava raccontando tutte quelle cose a quel... quel tizio?
- Sì? Continua, ti ascolto! - fece Oleg.
Si sistemò di nuovo gli occhiali, improvvisamente in imbarazzo. - Non c'è altro - disse, distogliendo finalmente lo sguardo dagli occhi azzurri di Oleg.
Questi sbuffò, e guardò i fratelli.
 
Credo che ci siamo, ragazzi, il tizio rosso è quasi pronto ma mi serve un piccolo aiuto.
 
Io continuo a non capire...
 
Perché sei un Mangiapolpette, la tua mente è preclusa ai misteri della comprensione.
 
Io invece ho capito! Serpico, sei un fottuto genio!
 
Poi me lo spieghi, vero Rhett?
 
 
Oleg smise di scambiare sguardi coi fratelli. Prese una sedia e si sedette.
- Siediti, ragazzino.
Ancora imbarazzato, Percy ubbidì, e così fecero gli altri Bennet.
Oleg evocò dei bicchierini di vetro e appellò una bottiglia.
- Non si beve l'ammazzacaffè prima del caffè, ma faremo un'eccezione.
Stappò la bottiglia, e un forte odore di alcool si sparse attorno. Davanti all'espressione interrogativa di Percy, l'uomo rise.
- Grappa. Un liquore dei Babbani italiani. Papà l'ha portata dall'ultimo viaggio. La tiriamo fuori solo nei casi estremi, e tu sei il più estremo dei casi estremi, bambino.
Mise un bicchierino davanti a Percy e glielo riempì a metà. Un po' incerto, anche per la stranezza della situazione, lo buttò giù.
Subito una immensa vampata di calore gli risalì dallo stomaco alla gola, facendolo tossire e riempiendogli gli occhi di lacrime. Cavolo, ma sono matti questi Babbani?!
Con lo stesso sorriso da volpe di prima, Oleg bevve il suo bicchierino tutto d'un fiato, senza scomporsi minimamente.
Percy prese quel gesto per quello che era: una sfida.
- Dunque, ragazzino - riprese a parlare Oleg, mentre riempiva di nuovo i bicchierini. - Tu affermi, davanti a noi fratelli Bennet ramo Saknussem, che non pensi di meritarti nostra cugina Audrey. Corretto?
Percy esitò. - Beh...
- Bene, hai ragione. Non te la meriti.
Abbassò la testa tristemente. La giustezza di quell’affermazione non poteva essere negata.
- Sì, è vero.
Buttarono giù i bicchierini.
Oleg li riempì ancora.
- Perché allora vorresti far pace con lei?
Buttarono giù. Di nuovo pieni.
- Allora, ragazzino?
- Perché... Perché sono stato davvero un bastardo con lei. L'ho trattata male e voglio che sappia che mi dispiace. Tutto qui. - Buttò giù.
- Anche ammesso che tu sia in grado di scusarti con lei, - fece Oleg riempiendo ancora i bicchieri, - perché dovrebbe ascoltarti?
Percy avvampò. Quella grappa gli stava bruciando lo stomaco, ma gli scioglieva anche la lingua.
- Non lo so - rispose, tristemente. Buttò giù, e tossì.
- Certo, per saperlo prima dovresti provare... - Bicchieri di nuovo pieni.
- Ci ho già provato. Niente. Non mi lascia parlare. - Buttarono giù.
Rhett guardava sconcertato ciò che suo fratello minore stava facendo. Prima aveva rischiato di litigare con Percy per “tirargli fuori gli attributi” , adesso ne stava raccogliendo le confidenze imbottendolo di grappa.
 
Jarne, Oleg non può essere davvero nostro fratello, è disumano!
 
Visto? Visto?! Ti avevo detto che era meglio non lasciarlo fare! Adesso ce lo farà ubriacare, così mamma e zia ci metteranno alla gogna, Audrey scatenerà la Banshee contro di noi e Grace si dichiarerà in sciopero mettendomi a dormire sul divano! Tutto per colpa sua!
 
Veramente penso che stia facendo la cosa giusta: il damerino è più rilassato adesso. Si è un po' sfogato, non è più incazzoso come prima, sembra più deciso e tra poco potremo dirgli cosa fare per tornare con Audrey. E poi guardalo, ti sembra uno che sta per ubriacarsi?
 
In effetti Percy stava più che bene. La sua parte di sangue irlandese gli stava venendo in aiuto: non aveva problemi a reggere quel liquore, come non aveva problemi con l'alcool in generale. Ad essere in difficoltà era Oleg. L’uomo non era affatto un buon bevitore, anzi, ma pensava che il ragazzino non avrebbe retto più di tre bicchieri. E invece, stava bevendo la grappa come fosse acqua fresca. Diamine.
- Non ti lascia... parlare?- disse infatti, un po' intontito. - E perché non... non provi a insistere?
Stavolta fu Percy a riempire i bicchieri. Buttò giù tutto d'un fiato, mentre Oleg si limitava a osservare il suo cicchetto.
- A che servirebbe? Ha ragione lei: sono uno stronzo. E lei non merita uno stronzo.
Bevve di nuovo. Nell'idea originaria di Oleg, questo sarebbe stato il momento giusto per dirgli qualcosa di incoraggiante, dopo cioè che il tizio rosso avesse tirato fuori una volta per tutte i suoi timori. Purtroppo Oleg non era nelle condizioni di dire alcunché del genere: la grappa stava agendo con decisione su di lui, e l'uomo rimase a fissare il suo sesto cicchetto senza berlo.
Percy invece sembrava acquistare lucidità via via che beveva: fece fuori il cicchetto e se ne versò un altro, mentre continuava a parlare.
- Lei è vivace, allegra, spigliata, un’ottima persona, anche se ogni tanto tira fuori delle cose assurde. Il primo giorno di lavoro le ho sbattuto la porta sul naso ed è svenuta, e quando ha ripreso i sensi se n'è uscita con la storia che ha il... Com'era? Ah sì: il naso sensibile. Vi giuro che stavo per riderle in faccia. Ma la cosa più divertente... - ingoiò il cicchetto e ne prese un altro, sotto gli sguardi attoniti dei fratelli Bennet che non perdevano una parola. – La cosa più divertente è che era venuta da me per chiedermi il permesso di andare al bagno. Come se fosse ancora a scuola! Una pazza, capite? E anche la madre non è del tutto sana. Pensate... - giù un altro cicchetto - ... ma non è importante...
- No, racconta, ti prego! - A Rhett stavano uscendo le lacrime dalle risate. Oleg intanto aveva bevuto il sesto cicchetto e aveva appoggiato la testa tra le mani, ormai K.O.
- ... La notte di Natale io e Audrey siamo stati insieme, e il giorno dopo chi entra in camera mentre mi stavo mettendo le mutande? La madre di Audrey! È stata la cosa peggiore che...
Altro cicchetto.
- Comunque, dicevo, Audrey è semplice ma speciale, mi fa stare bene, a mio agio, e non si merita uno come me. Io sono noioso, brutto e antipatico, faccio un lavoro noioso, brutto e antipatico, e... - giù il cicchetto – E lei non è il tipo da stare con uno così. Le serve uno come... come... come il Paguro, diamine!
 
Credo che adesso sia ubriaco. Cos'è un paguro?
 
Il paguro è un crostaceo che vive nelle conchiglie vuote dei gasteropodi...
 
Jarne, che fai, prendi in giro? Sappiamo cos'è un paguro, ma non sappiamo cosa c'entri adesso!
 
Zitti, fatemi sentire cos'altro dice!
 
- Quando stava col Paguro veniva al lavoro sempre allegra. Tutte le volte che è stata in mia compagnia invece le è successo qualcosa, o è successo qualcosa a me. La prima volta che l'ho vista mi sono comportato da razzista e lei mi ha dato del maleducato, la seconda mi ha schiacciato un piede... - Cicchetto.
- ... Poi la prima volta che siamo usciti insieme è stata insultata dai miei fratelli, poi...
- Ehi, ragazzo, - lo interruppe Saul, togliendogli di mano bottiglia e bicchiere, – ci hai raccontato abbastanza, non credi? Meglio che la smetti, o ci racconterai anche il colore delle sue mutande la sera di Natale; e questo magari può interessare te, ma non noi.
Percy si riscosse, rendendosi conto di aver parlato a ruota libera senza pensare.
- Scu-scusatemi, io... – avvampò – io… Temo di essermi fatto trasportare...
- È normale, la grappa non perdona. In ogni caso hai battuto Oleg, guarda come si è ridotto - rise Jarne, indicando il fratello che aveva appoggiato la testa sul tavolo e russava.
Percy deglutì. Iniziava a sentirsi di nuovo in imbarazzo.
- Mi dispiace, ho parlato a vanvera, io... non lo faccio mai...
- Tranquillo, - gli fece Rhett, paterno, – è tutto a posto. Ti senti meglio, adesso?
- Meglio rispetto a cosa?
- Beh, rispetto a prima. Sai, prima di parlare di te e di Audrey.
Ci pensò su. - Sì, credo... credo di sì... Però…
- Sai, zio Klaus ci diceva sempre, da piccoli, che parlare è la cura contro la maggior parte dei mali.
- Zio Klaus?
- Sì, - rispose Rhett, – il padre di Audrey. - Si incupì un istante, pensando allo zio. - È crudele che noi abbiamo potuto conoscerlo e lei no…
Fecero silenzio, interrotti solo dal russare di Oleg. Percy lo guardò, e non resistette alla tentazione: gli sollevò la testa e la lasciò ricadere sul tavolo; fece un tonfo, ma l'uomo non si svegliò. In compenso, gli altri tre fratelli risero forte.
- Devi scusare Oleg - fece Jarne. – Prima non voleva offenderti; lo chiamiamo “serpico” perché ha la lingua lunga ed è stato a Serpeverde. Non è cattivo, voleva solo provocare in te una reazione. Sai... Ci sei sembrato un po' troppo passivo, mentre ci vuole decisione per far pace con Audrey dopo che è passata per la fase Banshee.
Al sentir nominare di nuovo quell’argomento, Percy guardò con rimpianto la bottiglia di grappa tra le mani di Saul. – Perché, secondo voi ho la minima speranza di fare pace con lei?
- E secondo te avrei acconsentito a far aprire la grappa se non avessimo questa certezza? - rise Saul. – Ma sì, ragazzo, Audrey ti vuole ancora, è evidente per noi che l’abbiamo vista nascere.
- E non ricominciare - aggiunse in fretta Rhett, impedendo a Percy di ribattere, – con la storia del noioso brutto e antipatico. Lascia che sia lei a decidere se la meriti o no; nessun uomo è all'altezza di nessuna donna, a meno che lei non decida di portarcelo.
- Considera inoltre - si inserì Saul, facendogli l'occhiolino – che nessuno che sia in grado di sopportare per quasi due ore Max e Will e che riesca a imboccare le mie figlie può essere tanto antipatico.
- E poi, a quanto pare tieni davvero tanto a Audrey, se hai sopportato cose davanti alle quali qualsiasi mago o Babbano sano di mente se ne sarebbe andato indignato. Ultimo fra tutti, il buon Oleg - e Jarne indicò il fratello che sembrava in pieno coma etilico.
Percy osservò le tre facce quasi identiche dinanzi a sé. In tutte e tre c'era un incoraggiamento muto, un qualcosa che diceva: non ti arrendere, ritenta, hai sbagliato ma puoi riprovare, siamo con te.
- Quindi, secondo voi, se mi spiego con Audrey lei mi perdonerà e smetterà di trattarmi come cacca di Doxy?
Un lieve imbarazzo scese sui fratelli, che si guardarono. Oleg rantolò qualcosa come:
- ... Baaaanshhheeeee...
- Beh, ragazzo, non possiamo garantire risultati ma... - rispose Rhett, cauto. – Diciamo che... se non ci provi non lo saprai mai, no?
Percy annuì, convinto. - Avete ragione. Sono proprio uno stupido… Perché non l'ho fatto prima?!
Oleg rantolò di nuovo. - ... Grrraaaapp... Ssserppp...
- Sì, sì, Oleg, adesso dormi, da bravo...
Percy intanto si era alzato in piedi, avviandosi verso la porta. Non sapeva se era stata la grappa, o le parole dei Bennet, o il fatto di aver ricordato i momenti passati con Audrey fino ad allora, ma sentiva una decisione nuova in sé. Doveva piantarla di comportarsi da idiota una volta per tutte.
Sono stato uno stupido, un grande stupido, ma posso rimediare e lo farò. Che Audrey lo voglia o no!
In un momento in cui i Bennet erano distratti da Oleg, e proprio un istante prima che Roman entrasse in sala con il caffè seguito dalle donne, Percy corse fuori in giardino, dove gli era sembrato di scorgere la figura familiare di Audrey.
Per una volta nella mia vita voglio comportarmi da uomo. Magari morirò per mano della Banshee, ma non provare sarebbe peggio.
Cavolo, ma perché servivano i cugini di Audrey per farmelo capire?
 
- Ecco il caffè, ragazzi! - annunciò Roman aprendo la porta della cucina. – Spero che… Oleg! Che ti è successo?
- Oleg! - strillò Edna. – Cosa diamine gli avete fatto, voialtri?
- Ma… Noi niente, ha fatto tutto da solo!
- Oleg… Oleg! Svegliati! - urlò Edna, mentre prendeva a schiaffi il marito.
Quello aprì un occhio, mormorò qualcosa come - … Mmmaudruugrup… - e tornò ad appoggiare la testa sul tavolo.
Nel mentre, i suoi fratelli si erano finalmente accorti dell’assenza di Percy.
Jar, dov’è il tizio rosso?
 
Cosa ne so io?! Ho la faccia da cercatore di tizi rossi? Stavo guardando Oleg!
 
Oddio, e se fosse scappato? Non l’avremo mica spaventato?
 
Se è scappato significa che abbiamo fatto fallire il piano di zia Lucy, la quale ci appenderà per i capelli  mentre  mamma ci taglia le gambe. Abbiamo mandato in giro per la città un ubriaco!
 
Calmi, magari non se ne accorgono…
 
- Saul, dofe è Perrrcy?
- Oh, ehm… Ecco… Vedi, Inge…
- Tranquilli, l’ho trovato… - mormorò Rhett, con un sospiro di sollievo. No, decisamente Percy non era scappato. Non stavolta, almeno.
Guardarono tutti fuori dalla finestra. Audrey era seduta in giardino, senza cappotto, osservando il cielo che si riempiva di enormi nubi nere e minacciose. Dietro di lei stava arrivando Percy, anche lui senza cappotto.
 
- Non hai freddo, Bennet?
Audrey si girò di scatto. Percy veniva verso di lei a grandi passi, le mani in tasca.
- Pensa per te, Percy.
- Cos’è, niente più “signor Weasley”?
Sbuffò. – Se ci tieni posso chiamarti così…
- Assolutamente no.
Rimase in piedi, un metro dietro di lei. Per un attimo si guardò indietro, verso la casa.
Colse un rapido spostamento di tende dalla finestra del salotto. A quanto pareva qualcuno li osservava.
Sperò intensamente che lì dentro stessero facendo il tifo per lui.
Tornò a guardare Audrey. Non poteva vederle la faccia, ma concentrò lo sguardo sulla sua nuca.
- Grazie per prima. Per avermi difeso da Oleg.
- Oleg esagera sempre. Lo avrei fatto per chiunque.
- Ma non eri tenuta a farlo per me, quindi ti ringrazio. E sappi che in quello che ha detto non c’è niente di vero.
- Ah no? Sicuro? - ribatté lei, con una gran tristezza nella voce. – Perché da come mi hai trattata mi sembra che tu pensi sul serio che non sono abbastanza per te…
- Credi davvero che abbia solo voluto portarti a letto?
Audrey strinse i denti. Non sapeva cosa rispondere. Non sapeva nulla.
- Lo credi davvero, Audrey?
Si alzò un vento gelido. Rabbrividirono entrambi.
- Audrey…
- Non lo so.
- Lo hai detto ad Adams, però…
- Senti -  lo interruppe, voltandosi di scatto a guardarlo, – sono arrabbiata con te, va bene? Non avevi il diritto di trattarmi in quel modo, la sera del 25. Mi hai fatto male, dannazione!
Percy deglutì. – Lo so. Mi dispiace.
Audrey fece una risatina sarcastica. – Oh, già, ti dispiace. Questo risolve tutto, no?
- Non vuoi sapere perché mi sono comportato così?
- Non mi interessa.
- L’ho fatto perché stavo male. Sono stato male tutto il giorno. E il pomeriggio ho vissuto uno dei momenti peggiori della mia vita.
La ragazza si voltò di nuovo a guardarlo, spalancando gli occhi. Il viso di Percy era duro, come se raccontare quelle cose lo facesse soffrire molto.
- Magari hai pensato che non avessi una famiglia, o dei fratelli. Io sono il terzo di sette fratelli. Sette, capisci? - continuò il ragazzo, con la voce un po’ diversa. – E sono due anni che non ho contatti con loro perché… perché abbiamo litigato, e non vogliono più vedermi. A Natale - deglutì, – quando il Ministro mi ha chiamato, sono stato costretto ad accompagnarlo dai miei parenti, e li ho rivisti. Erano tutti lì.
Audrey si alzò in piedi, avvicinandosi. Non aveva idea che Percy potesse avere una storia simile.
- Non sai - seguitava a dire Percy – cosa significhi per me trovarmi con una famiglia come la tua quando… quando per colpa mia non ho più una famiglia. La sera - deglutì di nuovo, – non capivo più nulla, volevo soltanto… soltanto starmene solo e… Beh, lo sai.
Audrey tacque. Quel ghiaccio che aveva visto nel suo sguardo… tutto per aver rivisto i suoi. Aveva pensato fosse per lei. Che stupida.
Avrebbe voluto dirgli qualcosa, ma Percy non smise di parlare.
- Il giorno dopo volevo venire subito da te, per chiederti scusa, ma mi è salito un febbrone da cavallo. Sai, - fece un debole sorriso, – quando si dice la sfortuna…
La ragazza avrebbe voluto sotterrarsi. Che idiota che sono… Non ho proprio capito nulla…
- Sono stato meglio solo la sera, e…
- Sì, zia Maddie mi ha detto che loro ti hanno trattenuto.
- Già. - Sorrise di nuovo, debolmente. – Tua zia fa degli spaghetti…
- … buonissimi, sì.
Una goccia di pioggia cadde a terra, seguita da un’altra. Nessuno dei due ci fece caso.
- È stato stupido presentarmi da tua madre a quell’ora, ma non potevo farne a meno. Dovevo provare a chiederti scusa. Invece ho solo peggiorato la mia situazione.
Audrey si stava vergognando moltissimo. Tutta la rabbia era scomparsa, come se non ci fosse mai stata. Un altro pensiero adesso le rimbalzava in testa: non gli aveva dato modo di spiegarsi o giustificarsi, aveva tirato conclusioni affrettate basate sul nulla, e qual era il risultato?
Il risultato è che sei una completa idiota, Aud.
- E oggi, beh… Sono stato inclassificabile. Non volevo farti arrabbiare così tanto, sul serio.
Sei un’idiota, e Percy dovrebbe essere arrabbiato con te, invece ti sta chiedendo scusa…
- Ora, non so se accetterai ancora le mie scuse, ma…
Reagì senza pensarci. Si avvicinò di scatto e lo abbracciò.
Lui rimase interdetto, a quel contatto tenero e inaspettato, mentre Audrey nascondeva il suo viso contro l’incavo della spalla di lui.
- Mi dispiace… - la sentì mormorare. – Mi dispiace, mi dispiace, sono un’idiota, sono…
- Ehi…
- … Una cretina, stupida, e…
- Audrey, guardami. - La costrinse a staccarsi da lui. – Non sei stupida, né cretina né altro. Avresti… Avresti dovuto trattarmi molto peggio. Dico davvero. Guardami.
Altre gocce iniziarono a cadere. Audrey non riusciva ad alzare lo sguardo sul viso di Percy.
Cretina, idiota, perché sono stata così stupida…
- Guardami, per favore.
Scosse la testa. Non ce la faceva. Lui… Lui avrebbe dovuto detestarla per quello che gli aveva fatto in quei giorni. Avrebbe dovuto essere arrabbiato, o deluso di lei, e invece era lì a scusarsi.
- Se c’è un cretino qui sono io. Io e basta. Per quello che ho fatto ai miei, e per quello che ho fatto a te. Non merito il perdono di nessuno, ma…
Uno scroscio di pioggia più forte li investì in pieno. Si trovarono all’improvviso bagnati fradici, e tremanti dal freddo; eppure, nessuno dei due voleva muoversi da lì.
- … Ma se almeno… Se tu…
Finalmente Audrey lo guardò negli occhi. Rimasero a fissarsi per un lungo, lungo momento, senza più dire nulla.
Non c’era niente da dire, solo da guardarsi e guardarsi ancora, come avevano fatto la prima volta.
Desiderarsi, come la prima volta.
Alla fine fu Audrey a rompere il silenzio.
- È… È meglio che tu vada dentro, ti stai bagnando.
- Al diavolo. Io sono dove sei tu.
Le prese il viso tra le mani e la baciò.
 
 
Dentro la casa, una piccola folla aveva assistito al tutto.
- Cosa guardate?
- Che fanno?
- Ehi! Audrey lo sta abbracciando!
- Non vedo niente, scansatevi!
- Sono il capo famiglia, ho il diritto di guardare…
- Oleg, ti stai perdendo il meglio!
- …Tizzrrroossss…
- Propongo un cicchetto in onore dei Bennet ramo Saknussem!
- Prave Perrrcy! Sapevo che lui riuscifa!
- Va bene, adesso basta, razza di guardoni! - esclamò infine Lucy, ridendo e chiudendo la tenda nell’istante esatto in cui Percy baciava Audrey.
 
 

Il bacio durò poco: Audrey si scansò quasi subito facendo un passo indietro.
- Puzzi di alcool… - disse, ansimando.
- Oh… Scusa… - balbettò Percy. - M-mi dispia…
Non finì la frase. Audrey l’aveva abbracciato di slancio, baciandolo di nuovo.
Ci misero un po’ a capire che forse era il caso di andare in un luogo un più asciutto e meno affollato di sguardi curiosi.
Fino a quel momento seguitarono a baciarsi sotto la pioggia, come la prima volta.

  

Ritorna all'indice


Capitolo 15
*** Darcy, curry e rock'n'roll ***


Eccoci qui, finalmente. Un ritardo di... uhm... 8 giorni rispetto al mio target (cavolo!). Mi spiace, ma ho avuto VERAMENTE da fare.
(Ok, poi magari a voi non frega nulla, comunque...)
Blateramenti a parte, ecco il nuovo capitolo. Sono sicura che, dopo la rutilante confusione e il romanticismo finale dello scorso capitolo, vi aspettavate qualcos'altro. Beh... mi spiace, ma questo è così, e può essere solo così.
Non posso mica giocarmi tutta la storia ora e subito, no?
Diciamo che sono in fase di assestamento...
Ora, come al solito, alcune AVVERTENZE:

1) "A Night at the Opera" è un album dei Queen, "The dark side of the moon" invece è dei Pink Floyd.
2) “Should I stay or should I go” è dei Clash
3)“Johnny B. Goode” invece è di Chuck Berry. Ascoltare entrambe per capire.
4) Stando a Google esiste davvero un ristorante indiano in Floral Street. NOn ho idea di come si mangi lì, visto che non ci sono stata; tuttavia sono passata per Covent Garden tutte e due le volte che ho visitato Londra, e posso dire, senza timore di sbagliare, che si tratta di una delle zone più belle in assoluto di quella meravigliosa città.
Se ci fate un salto, fatemi un fischio che mi aggrego anch'io... :D
5) Lieve SPOILER di "Psycho" di Alfred Hitchcock (ma lievissimo, perché in realtà non racconto nulla). Questo straordinario film è da poco stato eletto ufficialmente tra i miei 10 preferiti, e credo che Audrey sarebbe d'accordo, quindi NON potevo non metterlo.
6) Lieve SPOILER anche di "Orgoglio e pregiudizio". Spero lo abbiate letto, sennò leggetelo. Anche questa citazione era dovuta, visto che il cognome di Audrey è direttamente ispirato a questo bellissimo romanzo.
Le citazioni dell'incipit di "Orgoglio e pregiudizio" (scritte in carattere diverso) sono tratte dall'edizione italiana pubblicata nei Mammut "Newton & Compton", 2008, con la bella traduzione di Italia Castellini (che ringrazio :D).
7) Spero sinceramente che questo capitolo non vi annoi. Ve l'ho detto, sono in fase di assestamento, e la storia vera e propria tornerà a esplodere dal prossimo capitolo; ho riscritto questa parte svariate volte (sempre a notte fonda...) e questa che pubblico è la forma migliore in assoluto che sono riuscita a plasmare; non mi soddisfa pienamente, soprattutto nella parte finale un po' frettolosa, ma non mi viene meglio di così, mi spiace.
Credo che non riuscirò mai più a scrivere nulla come lo scorso capitolo, è il mio preferito in assoluto per quanto riguarda questa long :D
8) Anche questo capitolo ha il sottotitolo. Oh sì.







Darcy, curry e rock'n'roll

(ovvero: dell'evidenza)
 




Il luogo un po’ più asciutto era la casa di Audrey.
Percy si premurò di chiudere a chiave la porta e lanciare un incantesimo anti intrusi, prima di tornare a baciarla.
- Che cosa fai?
- Casomai a tua madre venisse in mente di fare una visita…
 
 
La sveglia a forma di pulcino segnava le sette, quando Audrey aprì gli occhi il mattino dopo.
Si girò, pensando di trovare ancora Percy, ma lui era già completamente vestito e si stava infilando le scarpe, seduto sul letto.
Si stropicciò gli occhi, incredula.
Non è nemmeno giorno! Che diavolo ci fa già in piedi?
La domanda era troppo complessa perché riuscisse a formularla in maniera decente, a quell’ora del mattino; tutto ciò che uscì dalle sue labbra fu un grugnito di disapprovazione.
Percy si voltò subito verso di lei, facendo un gran sorriso.
- Buongiorno, Bennet!
Altro grugnito, che precedette un sonoro sbadiglio. - Pe-Percy, sai che ore sono?
- Sono le sette. Scusa, non volevo svegliarti, ma vado a casa a cambiarmi, e dobbiamo essere in ufficio per le otto.
Altro sonoro sbadiglio, mentre Audrey si rintanava sotto le coperte.
- E chi lo dice? Potresti non andare al lavoro, così non dovrei andarci nemmeno io…
- Bennet, stiamo insieme da nemmeno ventiquattr’ore e già cerchi di ottenere favori personali?
- Uff… Sei proprio noioso, capo… - borbottò, la testa nascosta sotto al lenzuolo.
- Se non fossi noioso, non sarei il capo.
- Ieri sera non eri noioso.
- Ieri sera non ero il capo.
Audrey riemerse dal lenzuolo, sentendosi ormai quasi del tutto sveglia. – Diamine, come fai ad avere la risposta pronta a quest’ora del mattino?
Percy fece spallucce, vagamente divertito da quel botta e risposta.
- Non saprei. Sarà che ho già bevuto il caffè.
- Tu hai… cosa?! Ma a che ora ti sei svegliato?!
- Mezz’ora fa. Un po’ prima del mio solito, in verità. Sai, chi dorme non piglia pesci, il mattino ha l’oro in bocca, e cose del genere…
Audrey si tirò su, a fatica. Si sentiva ancora un po’ intontita. - E va bene, mi arrendo. Sarò in ufficio alle otto spaccate. Ora però lasciami dormire…
Si voltò dall’altra parte e si coprì la testa con il lenzuolo, mentre Percy non riusciva a trattenere un altro sorriso.
Se non fosse stata Audrey, una persona simile gli avrebbe dato sui nervi; ma era Audrey, quindi lo faceva solo sorridere.
Uscì dalla stanza in punta di piedi, sperando solo che Audrey non tardasse troppo, quel mattino.
In fondo, era pur sempre il suo capo.
 
Naturalmente, Audrey si presentò in archivio con un ritardo di ben tre quarti d’ora.
- Oh, Aud! Meno male che sei arrivata - le disse Adams, vedendola entrare tutta trafelata. - Sei fortunata, il capo non è ancora passato di qui e non si è accorto che…
Tacque di botto. Qualcosa lo aveva colpito.
Tornò a guardare Audrey, e non ebbe più alcun dubbio; fu così sorpreso che iniziò a fissarla a bocca aperta, senza riuscire a smettere.
La ragazza non se ne accorse, preoccupata com’era per il ritardo mostruoso. Sistemò il cappotto all’appendiabiti, prese un fascicolo appena arrivato e si sedette alla scrivania, senza guardare Adams.
Dopo qualche secondo si accorse di qualcosa di strano, e alzando lo sguardo sul suo collega lo trovò ancora sconvolto e con la bocca spalancata. Alzò un sopracciglio, interrogativa:
- Beh?
Niente. Adams non riuscì a spiccicare parola, e seguitò a boccheggiare come un pesce rosso, mentre la forza di ciò che aveva intuito lo circondava sempre di più.
Per un momento Audrey ebbe la tentazione di toccarsi il viso per vedere se le mancasse qualche pezzo, che so, il naso, un occhio...
- Adams, mi stai spaventando. Tutto bene?
Niente; nessuna risposta.
Audrey iniziò a irritarsi. - Senti, ho un sacco di lavoro da fare, quindi, se vuoi smetterla di giocare…
All’improvviso la porta si aprì, e il viso serio del capo apparve sulla soglia.
Adams si girò di scatto verso di lui, e la sua bocca, se possibile, si spalancò ancora di più, mentre gli occhi uscivano dalle orbite.
Percy se ne accorse, ma lo ignorò, e disse:
- Bene, ci siete entrambi. Vedo che i bagordi di Capodanno non vi hanno del tutto sottratti ai vostri doveri.
- Non c’è pericolo per questo, capo, ormai Adams ed io siamo due professionisti - rispose Audrey, trattenendo faticosamente una risatina. Il succitato Adams in realtà tutto sembrava tranne che un professionista: il suo sguardo sconvolto andava da Audrey al capo e viceversa, mentre la bocca restava spalancata senza ritegno.
Il capo non batté ciglio, il viso sempre atteggiato alla serietà che ormai lo contraddistingueva.
- Grazie di avermi confortato, Bennet. Ora tornate pure a lavorare, volevo solo vedere se tutto andava bene e avvertirvi che sarò assente fino a mezzogiorno, per impegni col Ministro. Buon lavoro.
- A lei, capo.
La porta si richiuse. Adams la fissò per un po’, stentando a credere a ciò che aveva visto e cercando di riprendersi.
Non ci posso credere… No no, è troppo, troppo incredibile… Ma se dopo Natale Aud lo odiava… Ma come… Ma… No, non è possibile… Invece sì, è evidente! Ma come, come!
- Adams, - domandò dopo qualche minuto Audrey, sconcertata dal comportamento dell’amico, - per caso vuoi mangiare qualche mosca per colazione? No, perché con quella bocca spalancata forse riesci a prenderne qualcuna…
L’orribile battuta di Audrey lo riscosse. Di scatto si voltò verso di lei.
- Audrey… tu… tu… tu…
- Occupato.
- Cosa?!
- Niente. Suppongo che tu non sappia cosa sia un telefono…
Adams cercò di risistemare rapidamente i propri pensieri.
- Audrey… Tu… tu sei andata di nuovo a letto con il capo!
La ragazza inarcò di nuovo il sopracciglio, cercando di mantenersi perfettamente seria e di non scoppiare a ridere.
 
Ora, a questo punto una brava cronista quale è la sottoscritta dovrebbe aprire una piccola parentesi.
Per Audrey era fuori discussione il fatto che Adams doveva sapere di lei e Percy. Per quest’ultimo invece c’era da discutere, eccome.
Ne avevano parlato per qualche minuto, seduti sul letto durante una “pausa”, la sera prima.
- Senti, non posso non dirlo ad Adams! Sarebbe come tradirlo!
- Non se ne parla! Io… non voglio che lo sappia, ecco!
- E perché? Sentiamo!
- Beh… Perché… Perché no, ecco! - aveva farfugliato allora Percy, avvampando.
- Non è una risposta. Allora?
Percy aveva deglutito, un po’ in difficoltà. – Perché… Ecco… Ma scusa, perché devi proprio dirglielo? Non potresti non dirglielo e basta?
- Adams è mio amico! - aveva esclamato Audrey, piccata. – E non sarai tu a decidere cosa posso o non posso raccontare ai miei amici, chiaro?!
- M-ma… Non volevo dire questo…-
- E allora dimmi perché Adams non dovrebbe sapere una cosa che per me è importante!
Non aveva risposto subito; era rimasto per qualche secondo a mordicchiarsi il labbro.
- Perché… Oh, e va bene, mi vergogno, okay? Mi vergogno! - aveva esclamato alla fine, mentre Audrey spalancava gli occhi e per poco non scoppiava a ridere. - Non conosco Adams abbastanza da volere che sappia i fatti miei!
- Ma, Percy… - provò a dire Audrey, sempre contenendo le risate - Adams è Adams… non puoi vergognarti con uno come lui. Lui… - non sapeva come spiegarsi. - Lui è… è così! È impossibile vergognarsi, non ce n’è motivo!
- Non mi importa - replicò Percy, incrociando le braccia e imbronciandosi. - Non voglio che lo sappia, punto e basta.
Di fronte a quella che era evidentemente una crisi di infantilismo, Audrey non resistette più, e scoppiò in una sonora risata; cosa che fece imbronciare Percy ancora di più.
- Ecco, ridi pure… Prendimi in giro, dai…
- Scusa, è che sei così tenero quando ti imbronci…
Credo che sia il caso di farla breve, a questo punto. La “pausa” finì, e Audrey promise che non ne avrebbe parlato con Adams.
- Neanche una parola?
- Neanche mezza.
Tanto alla fine lo capirà lo stesso… Figuriamoci… Lui è Adams!
 
Questa parentesi serviva a farvi capire perché, di fronte all’affermazione di Adams, Audrey non disse la verità, ma mentì con grande nonchalance.
Rispose infatti:
- Non so di cosa parli, Adams. Se è uno scherzo, non fa ridere.
- Ma è così, deve essere così! Sono sicuro! - farfugliò Adams, confuso, diventando completamente rosso.
- Se fosse successo lo saprei, non credi? - ribatté Audrey troncando così la discussione, dopodiché iniziò a lavorare e ignorò a oltranza il povero Adams, lasciandolo ancora più confuso e stordito.
 
Se Audrey e Percy non erano d’accordo sul fatto di tenere Adams all’oscuro della loro storia, su una cosa erano invece stati concordi fin da subito: meno persone al Ministero sapevano di loro due, meglio era. Storie simili erano già state deleterie per le carriere di parecchie persone, nel loro ambiente, e i due non volevano che qualche pettegolezzo di troppo incidesse sulle rispettive vite lavorative.
Chi rischiava di più, ovviamente, era Percy: un ragazzo così giovane, nella posizione in cui si trovava, doveva stare molto più attento di chiunque altro, e una relazione con una dipendente, per quanto fosse innocente, poteva diventare uno strumento pericoloso se capitava nelle mani sbagliate. Anche Audrey però non voleva correre alcun rischio: lavorare all’archivio le piaceva, e rendeva anche abbastanza bene. Perdere quel posto le avrebbe causato qualche problema, decisamente.
La necessità di riservatezza, e ovviamente il pudore naturale che provava Percy, non impedivano tuttavia a quest’ultimo di compiere, quando poteva, qualche gesto a suo modo tenero verso Audrey.
La mattina andava per caso a prendere il caffè quando ci andava anche lei. Sempre per caso capitava che con le dita le sfiorasse una spalla, o la mano, o addirittura la schiena, mentre aspettavano che Greg preparasse le tazzine.
Quando faceva così Audrey avvampava subito, ma scambiava quattro chiacchiere con lui normalmente facendo finta di nulla, dopodiché tornavano entrambi a lavorare.
Altre volte Percy si affacciava all’archivio per chiedere se tutto andava bene, e, non appena Adams si distraeva un momento, accennava un lieve sorriso verso Audrey, che gli rispondeva strizzando l’occhio.
Sembrerà strano, ma a loro due bastava, in quei momenti.
Il pudore di Percy, in realtà, infastidiva leggermente Audrey. Non poteva impedirsi di pensare che, se almeno Adams avesse saputo della loro storia, magari lei e Percy avrebbero potuto fare qualcosa di più che sfiorarsi, nella riservatezza dell’archivio.
Oddio, non che io voglia fare chissà che… Ma almeno potrei abbracciarlo…
D’altra parte, non se la prendeva nemmeno troppo. Le bastava sapere che, una volta usciti dal lavoro, lui avrebbe smesso di essere il capo, e sarebbe stato solo suo.
Sarebbe stato solo Percy.
 
Però sento che qualcuno di voi si sta chiedendo: e Adams? Dai, è impossibile che non abbia intuito qualcosa!
Avete ragione. Non solo Adams aveva intuito: aveva capito.
E avendo capito, si tormentava perché i due non lo rendevano partecipe della cosa.
Scusate se tralascio un momento di parlare di Audrey e Percy, ma vorrei tanto spendere un paio di parole sul nostro amico:
Adams è un tipo a cui piace far felice la gente; e una volta che l’ha fatta felice, adora che quella gente gli si mostri riconoscente. Un bell’ “Ehi, Adams, grazie mille, non so cos’avrei fatto senza di te!” gli fa più che piacere, lo rende fiero di sé e gli dà motivo di gonfiare a dismisura il proprio ego.
Ora, da un mesetto si è messo in testa che il capo e Audrey sono fatti per stare assieme; è una sensazione, più che una certezza, ma quella sensazione è stata suffragata dal fatto che tra i due è successo qualcosa a Natale.
Da quando Audrey gli ha raccontato il modo in cui si erano evolute le cose, ha iniziato a mettersi il cuore in pace, dicendosi che un errore di valutazione capita anche ai migliori; ma ecco che, all’improvviso, gli si è presentata Audrey con la faccia di una che evidentemente è stata (stavolta senza effetti collaterali) col capo, e, nel giro di un minuto, il capo che evidentemente è stato con Audrey (sempre senza i succitati effetti collaterali). Stavolta non poteva sbagliarsi, era impossibile.
Quindi: perché nessuno dei due gli diceva nulla? Perché non gli davano modo di sentirsi contento per aver avuto ragione per l’ennesima volta? Perché gli negavano questa piccola soddisfazione?
Noi, ovviamente, sappiamo perché: sappiamo che, in teoria, Adams non doveva venire a sapere nulla per via del pudore di Percy.
In teoria.
Nella pratica, nessuno avrebbe mai, mai potuto pensare di tener nascosta una cosa simile ad Adams.
Audrey lo aveva intuito, ma tentò lo stesso di mantenere il proprio segreto, per parecchi giorni.
Affrontò coraggiosamente l’arma che Adams aveva messo con cura da parte fino a quel momento, e che ora sfoderava senza pietà: l’insistenza.
- Audrey, non penserai di negarlo ancora? - le chiedeva Adams, almeno quattro volte al giorno.
- Negare cosa? - ribatteva sempre lei, impassibile.
- L’evidenza! - era la pronta risposta.
In genere, a questo punto le repliche di Audrey si differenziavano. Andavano da un grugnito annoiato (“Grunf!”) a un commento al documento che aveva sotto mano (“Ci crederesti? Questo è l’ottavo certificato di residenza che trovo che presenta errori grammaticali gravi! Dove andremo a finire…”) o al tempo (“Fa sempre più freddo, dannazione… Piove di continuo questo periodo…”). In genere però riusciva a zittirlo semplicemente nominando Ben.
- Come puoi accusarmi di negare qualcosa, quando tu per primo neghi senza ritegno la tua storia con Ben?
A questo punto Adams assumeva in genere un colorito verdastro, faceva una smorfia sofferente e rispondeva:
- Non. Sto. Con. Ben.
Dopodiché taceva, finalmente.
E, sotto sotto, Audrey sogghignava.
 
Sogghignava perché, come tutti, anche Audrey aveva un lato oscuro. Lo abbiamo visto a Capodanno sotto forma di “fase Banshee”, ma nei momenti di “tranquillità” talvolta emergeva sotto altre forme, che la rendevano parecchio simile a Oleg e Judith.
Adesso, per esempio, si stava divertendo un mondo a vedere Adams in piena confusione. Aveva la massima stima di lui, lo riteneva molto intelligente, ma lasciarlo per una volta senza parole era davvero soddisfacente.
Sogghignava perché non era affatto facile mettere Adams in difficoltà, e lei ci stava riuscendo.
Mi spiace, amico, ma è davvero divertente…
 
È inutile dire che il povero Adams non riuscì a scucire un’informazione nemmeno al capo. Potete immaginare la scena: il nostro amico aveva provato a sfruttare di nuovo l’effetto sorpresa (spalancare la porta all’improvviso e gridare “Capo!”), ma non aveva nemmeno messo la mano sulla maniglia che l’uscio si era aperto da solo.
Non mi piace…
- Prego, Adams, prego… Le piace l’Incantesimo Rivelatore che ho eseguito sulla porta? - esclamò Percy, senza smettere di scrivere sul foglio che aveva dinanzi agli occhi. - È molto utile, sa? Serve a evitare che le persone irrompano nel mio ufficio all’improvviso.
Non mi piace per niente… Diamine!
- Allora, posso esserle utile? - chiese Percy, smettendo di scrivere e guardando Adams al di sopra degli occhiali.
- Beh… - Adams raccolse il coraggio che aveva. Si sentiva messo in difficoltà, ma la sua curiosità era troppo forte. Decise di buttarsi.
- Capo, ma è vero che lei e…
- Adams - Percy lo interruppe subito, - non è la giornata dei quiz. Ha un problema che riguarda il suo lavoro?
- Come?! - fece, aggrottando le sopracciglia. - N-no, io… io…
- La salute sua o di parenti, affini e collaterali?
- Cos… No, io…
- La situazione economica sua o di persone che la influenzino?
- No, ma…
- Bene, quindi nulla che possa interessarmi. Buon lavoro. - Percy sistemò gli occhiali e tornò a scrivere.
- Ma… Ma… Ma Audrey...
- La signorina Bennet è appena tornata dalla pausa, può trovarla nel vostro ufficio, dove, a dirla tutta – smise di scrivere, cavò di tasca un orologio e lo guardò - lei dovrebbe trovarsi già da ben quindici secondi…
Che dire? Al povero Adams non rimase che tornare alla sua scrivania, mogio mogio e molto affranto.
- Audrey, ti prego, dimmi se…
- No.
Diamine, perché nessuno mi vuole bene?
Povero Adams.
 
 
 
 
 
I primi giorni successivi a quel Capodanno furono giorni di assestamento. In genere, una volta usciti dal Ministero, Percy e Audrey erano troppo presi dalla strana euforia che segue immediatamente all’infatuazione per poter fare qualcosa di diverso dall’abbracciarsi, baciarsi e… Beh, lo sapete.
Ebbene sì, anche Percy sembrava vittima di quella strana euforia. Per Audrey era normale, aveva avuto più di una storia e conosceva perfettamente quella voglia di stare insieme, quel desiderio che si accendeva a uno sguardo, quel volersi continuo.
Percy no, non lo conosceva. Per niente.
Per quanto bella e importante, la sua storia con Penelope era stata anomala: la maggior parte era andata consumandosi negli anni dell’adolescenza, mentre ciò che ne rimaneva, quando entrambi erano finalmente adulti, era andato miseramente perduto in due frasi di troppo. Decisamente Percy non avrebbe mai e poi mai  pensato di sentirsi di nuovo come quando aveva sedici anni, e anche se lo avesse pensato, di certo non avrebbe saputo richiamare alla mente quelle sensazioni.
Diamine, come avrebbe potuto ricordare il brivido lungo la schiena quando una ragazza gli faceva quel sorriso? Quello scioglimento del cuore quando sentiva il suo odore, la sua pelle?
So cosa pensate: un tipo severo e rigido come lui, sciogliersi per una cosa del genere! Dai, era impossibile! Ma ti pare…
Beh, se davvero la pensate così, dovreste ricredervi come ha fatto lui. Nemmeno lui lo credeva possibile, ma… succedeva.
Ora, chiariamoci: non dovete certo immaginare che da un giorno all’altro il rigido e – diciamolo pure – antipatico assistente del Ministro Percy Weasley fosse diventato dolce e tenero come un cucciolo di unicorno. Queste cose succedono solo nei romanzetti rosa di mezza tacca, non nella realtà.
Nessuna trasformazione sovrannaturale, né repentini mutamenti caratteriali. Percy non era diventato più buono e più bravo, ma in compenso… Beh, diciamo che un po’ più sciolto lo era di sicuro.
Se non sciolto, rilassato. Sì, credo che l’atteggiamento di Percy in quei giorni si potesse definire con la parola “rilassato”. Sorrideva di più, parlava con voce meno veemente e più tranquilla, e talvolta si fermava addirittura a chiacchierare con qualche collega in ascensore o nel corridoio. Una cosa inaudita, decisamente.
Non è possibile spiegare questo “rilassamento” senza collegarlo al suo momento di euforia con Audrey.
O almeno, Adams non ci riusciva. Per questo continuava a tormentarsi, chiedendosi perché non lo rendessero partecipe di quella cosa.
 
Comunque, il periodo di assestamento durò circa una settimana. Dopo, iniziarono ad andare anche a cena fuori insieme. Audrey conosceva un sacco di locali Babbani a Londra, e costrinse Percy a girarne parecchi, finché non trovarono il loro preferito.
Era il ristorante indiano di Floral Street, che raggiungevano a piedi da Covent Garden (altro posto che avrebbero ricordato bene, in seguito, per le lunghe soste che vi facevano).
In seguito alla loro prima cena al ristorante indiano, Percy scoprì una passione malsana per tutto ciò che conteneva curry, fatto di cui Audrey prese nota storcendo un po’ il naso, visto che a lei il curry non piaceva per niente.
Anche se, col sapore di curry, baciarlo diventa molto più interessante…
Magra consolazione. Percy non aveva mai mangiato curry prima, e ora sembrava voler recuperare il tempo perduto. Non era un ghiottone, ma quando qualcosa gli piaceva ne divorava quantità smodate, e Audrey dovette assistere più di una volta al triste spettacolo di lui che ingollava enormi quantità di pollo al curry come se non vedesse cibo da un’era geologica.
- Perce, un giorno mi spiegherai come diamine fai a mangiare così tanto e a non vergognartene…
- Bennet, un giorno mi spiegherai come diamine fai a non mangiare curry e a non vergognartene…
- Pensavo che non amassi il cibo Babbano.
- Beh, era prima di assaggiare questo cibo! - rispondeva lui, a bocca piena.
 
Questa frase faceva molto piacere a Audrey. Pur essendo strega figlia di maghi, la nostra amica era cresciuta a stretto contatto con il mondo babbano, un po’ per volontà di Lucy, un po’ perché i suoi nonni adottivi non erano maghi. A differenza di molte persone magiche, Audrey era stata educata a prendere il meglio da entrambi i mondi, il babbano e il magico.
Purtroppo non molti la pensavano come lei; Audrey avrebbe tanto desiderato che almeno Percy condividesse il suo affetto per il mondo non-magico, ma ricordava ancora con un certo fastidio la frase un po’ razzista che Percy le aveva rivolto, il giorno del colloquio di lavoro (“Perché prima di lavorare per la comunità magica ha scelto di perdere il suo tempo lavorando per i Babbani?”); adesso tuttavia iniziava a pensare che, forse, la diffidenza di Percy verso la cultura babbana dipendeva solo dall’ignoranza; quindi, se lei gli avesse mostrato quanto di buono esisteva tra i Babbani, magari si sarebbe ricreduto.
Intanto, con la cucina aveva avuto successo; subito dopo, Audrey decise di far scoprire a Percy la musica babbana. Riteneva (a ragione) che questa fosse decisamente superiore a quella prodotta dai gruppi magici (limitati di numero e soprattutto mortalmente noiosi); si impegnò così a depurare le orecchie del suo ragazzo facendolo accostare ai “classici”, come “A Night at the Opera” o “The dark side of the moon”.
Dovette interrompere la sua missione quando si rese conto che Percy sembrava del tutto insofferente verso la musica, magica o babbana che fosse, di qualsiasi genere.
Non è che non gli piacesse: semplicemente non l’ascoltava. E si annoiava pure.
Avreste dovuto vedere che sbadigli che faceva, mentre lo stereo diffondeva “Should I stay or should I go”. Già. Sbadigli.
Inconcepibile, secondo Audrey.
L’unico che, incomprensibilmente, sembrava piacere a Percy era Chuck Berry, che Audrey aveva messo su per sbaglio una volta. Da allora la nostra eroica Audrey, le poche volte che permise a Percy di fare una doccia in casa sua, dovette sopportarlo mentre, stonato come dieci chitarre elettriche scordate, cantava “Johnny B. Goode”.
Ma perché, perché l’ho fatto, perché?! Si domandava, mentre dal bagno uscivano gli ululati di Percy.
Go Johnny, go, go!”
 
E non parliamo del cinema.
Audrey era una grande appassionata di cinema, soprattutto americano. Aveva visto almeno due volte quasi tutti i film di Alfred Hitchcock, e pensò bene di iniziare da lì per “istruire” Percy.
Una sera affittò una cassetta di “Psycho”: era convintissima che, se anche la musica babbana non riusciva a colpire Percy, quello l’avrebbe colpito, eccome.
Prese come un buon segno il fatto che non commentasse la prima parte. Durante la scena della doccia, sentì che la testa di Percy si appoggiava sulla sua spalla; prese come un buon segno anche quello, visto che gesti così da parte di lui non erano molto frequenti: pensò che fosse molto preso dal film, e si compiacque di aver fatto la scelta giusta.
La sua certezza crollò miseramente nel momento in cui l’investigatore Arbogast entrava a casa Bates. Un rumore improvviso, vicinissimo al suo orecchio sinistro, la fece sobbalzare mandandole il cuore a mille.
Il rumore finì subito, ma riprese all’istante. Audrey si riscosse dalla tensione che il film le aveva messo addosso, e individuò la fonte del rumore: era Percy.
Russava.
E russava della grossa, anche.
Davanti a “Psycho”.
Probabilmente si era addormentato già prima, quando si era appoggiato a lei; era strano, in effetti, che facesse un gesto così.
Se russi davanti a “Psycho”, non puoi guardare nessun altro film.
Ma chi me lo ha fatto fare?!
Audrey avrebbe tanto voluto sbattere la testa contro il muro per la disperazione, ma fino alla fine del film non riuscì a muoversi, con Percy che le pesava addosso; così dovette rimanere seduta per tre quarti d’ora, mentre il sonoro russare del ragazzo le rovinava per sempre il suo film preferito.
Da allora rinunciò a qualsiasi tentativo di condividere la sua passione per il mondo babbano; non ne valeva la pena, con un tipo come Percy.
 
 
Senza che Audrey lo volesse, fu invece la letteratura babbana a conquistare Percy.
Un pomeriggio (la fase di euforia era passata da circa otto giorni) questi era andato a casa di Audrey ad aspettarla. La ragazza si sarebbe incontrata con alcune amiche, e lei e Percy erano d’accordo di vedersi subito dopo; lui inoltre si era offerto di preparare la cena, cosa che Audrey aveva accettato con entusiasmo visto che, a quanto pare, il ragazzo se la cavava abbastanza bene con i fornelli. (D’altronde, vivendo per quasi un anno da scapolo, si era dovuto arrangiare; e sebbene lui non lo avrebbe mai ammesso, in quel periodo l’eredità genetica di Molly gli si era rivelata molto utile, facendogli tirare fuori una insospettabile bravura in cucina).
Era la prima volta che Percy si trovava completamente solo a casa della sua ragazza; visto che l’ora di cena era abbastanza lontana, pensò di dare un’occhiata in giro, tanto per vedere.
Quel posto lo incuriosiva un sacco. Aveva sempre pensato che dai dettagli si potesse capire moltissimo su una persona; e il modo in cui una casa era tenuta, o ciò che vi si trovava dentro, erano dettagli non trascurabili.
La casa di Audrey si presentava bene sin dal piccolo ingresso-salone-angolo cottura; sembrava un appartamento babbano, come babbani erano il televisore e il telefono che lì si trovavano. Percy osservò che era tutto piuttosto ordinato, tranne la libreria: strano, per una che ha lavorato in biblioteca e ora è impiegata in archivio.
Si avvicinò agli scaffali, curioso di vedere i titoli. I libri erano numerosissimi e disposti senza un ordine apparente: i piccoli inframezzavano i grandi, con una moltitudine di foglietti a mo’ di segnalibro che sbucavano qua e là. I vecchi testi scolastici non erano separati dai romanzi, ma sparsi tra gli scaffali.
Strano modo di tenere una libreria… La mia è in ordine alfabetico per autore, e i libri di scuola hanno uno scaffale a sé… Quanto disordine!
Lesse alcune coste dei libri: Christie, Ende, Brontë, Austen, King, Defoe…
Tutti autori Babbani, tanto per cambiare…
Storse il naso. Non gli era mai piaciuto il mondo babbano. Sapeva che Audrey al contrario lo amava molto, ma lui non ce la faceva proprio; i Babbani gli sembravano sempre un po’ stupidotti, così come tutto ciò che producevano.
Ma dai, come si fa a vivere come loro, o anche solo ad ammirare il loro stile di vita? Si credono chissà chi, e invece manca loro proprio la cosa più importante del mondo!
Diede un’occhiata all’orologio: vide che aveva un sacco di tempo prima dell’ora di cena, e, non avendo di meglio da fare, decise di aprire un libro a caso, tanto per passare qualche minuto. (In realtà, era curioso di sapere quali fossero i gusti di Audrey, ma questo è il genere di cosa che Percy non ammetterebbe mai…)
Prese un volume non troppo spesso, con la copertina rigida rossa.
“Orgoglio e pregiudizio”.
Titolone altisonante: sicuramente ho scelto il più noioso…
Aprì il libro a metà e mise il naso fra le pagine. Almeno l’odore era buono: sapeva di Audrey.
La ragazza doveva averlo sfogliato una miriade di volte, per lasciarci su il suo odore di mela.
Questo lo confortò un po’: Audrey non era il tipo da leggere cose noiose.
Si sedette sul divano, e sfogliò le prime pagine.
 
« È cosa ormai risaputa che uno scapolo in possesso di un vistoso patrimonio abbia bisogno soltanto di una moglie.
Questa verità è così radicata nella mente della maggior parte delle famiglie…
»
Uff… Invece ho ragione io; è già noioso…
Tuttavia continuò a leggere.
« … che, quando un giovane scapolo viene a far parte del vicinato – prima ancora di avere il più lontano sentore di quelli che possono essere i suoi sentimenti in proposito- …»
Come fa Audrey a leggere cose simili? Uff…
« … è subito considerato come legittima proprietà di una o dell’altra delle loro figlie».
Qui Percy lasciò andare uno sbuffo divertito.
Beh, dai, qui inizia a diventare un po’ assurdo…
« - Caro Mr. Bennet -, disse un giorno una signora al marito… »
Bennet? È anche il cognome di Audrey! È pure scritto uguale! Che cosa strana…
Fu per quello, o forse perché la signora Bennet cartacea somigliava in modo inquietante a quella reale, che Percy andò avanti nella lettura. Molto avanti.
Quando, due ore e mezzo dopo, Audrey arrivò a casa, si aspettava di trovare la cena pronta, o almeno una buona accoglienza da parte di Percy; lo trovò invece accovacciato sulla poltrona, gli occhi incollati alla pagina, che leggeva febbrilmente mordicchiandosi l’unghia del pollice.
- Percy, ma che diamine… Dov’è la mia cena?! - esclamò lei, quando vide che lui non si era minimamente accorto del suo arrivo.
- Ssst! Quella stupida di Lydia è fuggita con Wickham, e Darcy sta aiutando Elizabeth a trovarla! Devo sapere cosa succede! - rispose lui in fretta, senza degnarla di uno sguardo.
Audrey rimase basita per qualche secondo, fortemente tentata di prenderlo a sberle per il modo in cui aveva dimenticato di preparare la cena e per il fatto che la stava ignorando del tutto; alla fine però non riuscì a trattenersi, e scoppiò a ridere, così sonoramente che Percy smise di leggere e sollevò su di lei uno sguardo un po’ stravolto.
- Cosa c’è? - chiese, senza capire.
- Oh, niente, niente… - rispose lei, senza riuscire a smettere di ridere. – Stavo solo notando che ti sei un pochino appassionato a “Orgoglio e pregiudizio”…
Percy arrossì un poco, riscuotendosi finalmente. – Ehm… Scusami, ma volevo passare il tempo e… beh, ho preso il primo che è capitato… Scusa per la cena, mi sono…
- Tranquillo, tranquillo - seguitò lei ridendo. – Sapessi quante volte è capitato a me. Comunque non sono molti gli uomini che leggono “Orgoglio e pregiudizio”, sai?
Percy arrossì ancora. – Oh, beh, è strano perché è molto… ehm… come dire… Insomma, pensavo che la letteratura babbana non fosse granché, invece… - si impappinò. – Insomma, sì, credo che invece mi piaccia parecchio, ecco. - Diede uno sguardo veloce al libro: non mancavano molte pagine, e lui era velocissimo a leggere. - Ti dispiace se vado avanti? Sai, sono curioso di sapere come va a finire…
- Ah, fai pure, non preoccuparti. A me basta che non ti innamori anche tu di Darcy, perché allora potremmo avere qualche problema…
Il rossore di Percy non diminuì affatto, anzi; Audrey allora ebbe un altro attacco di risate, dopo il quale decise di mettersi a cucinare lei stessa.
Grazie, Jane! Avrei dovuto avere fiducia in te fin da subito!
 
Peccato, peccato non poter raccontare una cosa simile ad Adams.
Chissà cosa avrebbe detto, sentendo che il loro capo iniziava ad apprezzare il mondo babbano leggendo Jane Austen.
 
In verità, Audrey non avrebbe dovuto aspettare molto, per scoprirlo: dopo circa tre settimane che Percy e Audrey stavano assieme, Adams riuscì finalmente a soddisfare la propria curiosità.
E senza fare il minimo sforzo.
- Audrey, – domandò Percy entrando in archivio, - potresti portarmi il certificato di morte di Rowan Bamber-Hagen?
- Certo, Percy.
Audrey? Percy?!
Oh cavolo.
Adesso sì che siamo nei guai.
 
Entrambi avevano parlato senza pensare. Cadde il gelo nell’archivio, mentre, con lentezza esasperante, Adams alzava la testa dalla sua scrivania per guardare i due ragazzi; i quali adesso guardavano lui, augurandosi nello stesso momento di poter essere seppelliti seduta stante da una montagna di letame di Troll.
- Ho sentito bene, capo? Ha detto… Audrey? - domandò Adams guardando Percy, mentre un enorme sorriso di trionfo compariva sulle sue labbra e gli occhi scintillavano di una malizia senza precedenti.
Il ragazzo si sistemò gli occhiali nervosamente, deglutendo.
Diamine, che fesso! Per tutti quei giorni non si erano mai chiamati per nome al Ministero; faceva parte delle “cose-da-evitare-per-non-insospettire-Adams”. Non che fosse grave: il pudore quasi maniacale che aveva provato all’inizio andava sparendo, e non si sarebbe vergognato più con il suo impiegato, ma ormai tenerlo all’oscuro era per lui e Audrey un divertimento, una specie di sfida contro l’insistenza di Adams. Erano stato così attenti finora…
Diavolo, fregato con le mie stesse mani!
Ricordò allora il consiglio che gli aveva dato, un giorno, suo fratello Charlie, e che non aveva mai avuto modo di mettere in pratica:
 
Nega sempre, nega tutto, soprattutto l’evidenza. Guarda l’avversario negli occhi e nega senza paura.
O, al limite, incolpa qualcun altro.
 
E sia, proviamoci… Al limite farò la figura del cretino…
- Qualche problema, Adams? - balbettò, cercando di darsi un contegno. – Ho il diritto di chiamare i miei dipendenti per nome, se lo desidero. Potrei chiamare per nome anche lei, volendo…
- Preferirei di no, capo. Il mio nome sta bene dov’è, al sicuro nella sua mente. Percy? - domandò, stavolta rivolgendosi a Audrey.
La ragazza spalancò gli occhi verso Percy, in cerca di aiuto, ma lui le rivolse solo uno sguardo eloquente.
Ti prego nega tutto, inventa una scemenza qualsiasi!
- Ecco, beh… sai, io… Beh… ehm… Dunque… Uhm… Vedi…
- Continua, ti ascolto! - ghignò Adams, ben consapevole della propria vittoria. Quei due avevano cercato di tenerlo al di fuori del loro intrallazzo, e adesso gli stavano dando proprio ciò che voleva: il modo di costringerli a non mentirgli più.
Li aveva beccati in castagna, finalmente.
Oh, come mi diverto!
- Ecco, Adams, ho dato io a Au… alla signorina Bennet il permesso di chiamarmi per nome - disse in fretta Percy venendo in soccorso di Audrey.
- Ah, davvero? – ghignò ancora Adams.
– Certo… Ormai… Sono mesi che, insomma, che lavorate qui… Anzi, ehm, se lo desidera, può… ehm… chiamarmi per nome anche lei…
- Se per “chiamare per nome” intende dire “andare a letto”, la ringrazio ma declino l’offerta senza indugi – rispose Adams, reprimendo una risata malvagia.
Audrey rimase sconcertata: Adams non era mai stato così sboccato, soprattutto davanti al capo.
Si aspettò che Percy replicasse, ma il ragazzo apriva e chiudeva la bocca senza trovare qualcosa da dire per rispondere a quell’affronto esplicito.
Guardò di nuovo Adams, e capì pienamente ciò che stava facendo: li metteva in difficoltà apposta per farli crollare.
- Oh, e va bene! - esclamò Audrey, esasperata da quella pantomima, mentre le guance di Percy venivano attraversate da tutte le sfumature possibili di rosso. – Stiamo insieme da Capodanno, d’accordo? Tutto il giorno facciamo i bravi, così nessuno si accorge di nulla, e la sera usciamo insieme, ceniamo insieme e andiamo a letto insieme! Contento, ora?!
- Insomma… - commentò Adams, sempre con la stessa malizia nello sguardo. – Sarei più contento se potessi sapere perché il povero vecchio Adams non è venuto a sapere nulla di tutto ciò.
- Perché… Oh, piantala, Perce! - esclamò di nuovo Audrey, stavolta contro Percy che aveva cercato, con un gesto, di trattenerla. – Adams, tu non conosci la parola “pudore”? Beh, a noi non va di sbandierare la nostra vita ai quattro venti, soprattutto al Ministero! Non sai che Marjorie Leach ha perso il posto per aver avuto una storia con il capo dell’Ufficio del Trasporto Magico? E Wolfgang Barks? Stessa cosa! Quindi perdonaci se non ci va di far sapere al mondo il nostro privato!
- Aud, ora calmati però… - provò a dire Percy.
- Te l’avremmo detto, è ovvio! - continuò Audrey – Prima però volevamo… volevamo vedere se riuscivamo a tenere il segreto più a lungo possibile, dannazione! Perché dovevi a tutti i costi venire a sapere tutto?
Il sorriso malizioso svanì dal viso di Adams. Cavolo, Audrey aveva ragione; quei due non avrebbero avuto vita facile in un ambiente come quello del Ministero, dove chiunque era pronto a pugnalare il vicino con una scusa qualsiasi solo per fare carriera.
Si grattò il mento.
- Hai ragione, Aud. Non ci avevo pensato. Scusi, capo.
Il capo aveva il viso dipinto di una deciso rosso amaranto. Fece solo un gesto vago, come a dire “Non importa”.
Rimasero tutti in silenzio qualche secondo, poi, come se non fosse accaduto nulla, tornarono ciascuno alla propria scrivania.
Al Ministero si lavora, non c’è posto per altre cose.
 
 
 
 
 
Visto il modo in cui si è parlato finora di Audrey e Percy, di Adams e della famiglia Bennet, verrebbe da pensare che nelle loro vite non accadesse nient’altro.
In realtà, come spesso succede, il mondo non si era affatto fermato: conosciamo tutti, ormai, il tipo di politica che il Ministro Scrimgeour portava avanti in quel periodo, in continua tensione con Albus Silente e, ormai, con buona parte della popolazione magica. Percy era sempre al suo fianco: c’erano giorni in cui non si faceva vivo al Ministero, perché spedito da Scrimgeour a fare controlli a sorpresa o perché costretto ad accompagnarlo in visite ufficiali. Il ragazzo non dubitò, per molto tempo, che quella seguita da Scrimgeour fosse la politica migliore possibile per affrontare il problema del ritorno di Tu-Sai-Chi.
(Su questo fatto, poi, nascevano accese discussioni con Audrey, fiera sostenitrice della tesi avversa; in genere però l’argomento era lasciato cadere, perché entrambi soffrivano parecchio per quei litigi).
Comunque, a parte la presenza una certa tensione nell’aria, gli eventi di quel periodo non avevano ancora inciso con forza nelle loro vite.
Non ancora.
 
Perché questo accadesse, doveva passare qualche mese; doveva venire la primavera, e poi l’estate.
Una bella, bellissima estate.
L’ultima, per certi aspetti.
Ma bellissima.
Indimenticabile estate.
Alla fine della quale, Audrey aveva qualcosa da dire a Percy, ma non poté farlo per un po’.
Lasciamo, per adesso, che passino l’inverno e la primavera. Bellissimi, anch’essi.

Ritorna all'indice


Capitolo 16
*** Del tempo e dei suoi effetti ***


Okay, non ci credo che ho pubblicato questo capitolo. Diamine, ci sono rimasta bloccata per tutto questo tempo, e mi è uscito così: non ho parole. E soprattutto non capisco dove ho trovato il coraggio di pubblicarlo: senza parole, davvero.
Diamine, volevo che fosse perfetto; e vabbè. L'ho letto, riletto e ri-riletto, ma quello che penso è così e non può non essere così. Di nuovo vabbè.
Ma basta con lo sproloquio e andiamo alle AVVERTENZE:
1) forse avrei buttato per aria capitolo e storia se non avessi scoperto la musica dei Pogues, che mi ha tirata su di morale quando sentivo la totale assenza di ispirazione. Thank you, Pogues.
2) Lo so che in inglese non esiste differenza tra il dare del tu e il dare del lei/voi; ma io scrivo in italiano, quindi ci metto tutte le differenze che voglio. Pappappero.
3) Per quanto possa risuonare strano, in riferimento a un personaggio originale, qui mi sembra che mi sia venuto fuori un Adams OOC. Lo so, LO SO che è assurdo, ma è una sensazione di cui non riesco a liberarmi...
4) Sono rimasta bloccata su questo capitolo perché ho ben chiare in testa le scene dei prossimi capitoli, ma questo proprio non riuscivo a visualizzarlo. Per la terza volta: eh vabbè.
5) Mi rendo anche conto che la mia pretesa di riassumere tanto tempo in poco spazio è assurda. Prendetela così, miei più fedeli lettori: è un capitolo da cui tirare fuori un sacco di spin off...
6) Ho immaginato Judith come una specie di Mercoledì Addams; per questo è... così! Io però le voglio un sacco bene lo stesso... *o*
7) Una recensitrice (del gruppo delle fedelissime, alle quali - come al solito - vanno i miei più calorosi ringraziamenti) mi ha fatto notare una somiglianza tra Adams e il protagonista di "The Mentalist" Patrick Jane; non avevo mai guardato quella serie, così per curiosità ho visto qualche puntata e... e ho avuto una serie di infarti.
Diamine, quello è Adams! Sì, lo immaginavo diverso, moro e con un po' di barba, ma... ma niente, quello è Adams. (Non so se riuscite a capire: trovarsi sullo schermo l'incarnazione del tuo personaggio è qualcosa di inconcepibile...)
8) Pogue Mahone. Chi capisce capisce.
(Eh beh, d'altronde la fissa per i Pogues passerà prima o poi, ma nel frattempo resto fissata...)

Grazie ai lettori, ai recensitori, ai coraggiosi che seguono questa storia o la tengono tra le preferite e le ricordate e, nonostante tutto, non cambiano idea su di essa. Grazie di quore. (Sì, con la Q. Sono le due di notte, abbiate pietà).



Del tempo e dei suoi effetti

 
Per quanto meravigliosi siano gli attimi che viviamo, essi sono purtroppo destinati a svanire, presto o tardi.
Percy Weasley non se n’era mai reso conto appieno, prima di quel momento. Gli sembrava impossibile che fossero già passati sei mesi da quel Capodanno.
Sei mesi… Diamine, non poteva essere già giugno!
Dove aveva messo tutti gli altri giorni? Che fine avevano fatto?
Non poteva essere il quattro giugno, santo cielo!
Eppure il calendario sulla sua scrivania non mentiva. Decisamente no.
Era lui stesso a cambiare la data, ogni mattina.
Sempre con lo stesso gesto meccanico, senza farci granché caso. Fino a quel giorno.
04/06/1997, mercoledì.
Cavolo.
Sarà brutto usare luoghi comuni, ma il tempo era proprio volato.
Di più: era scivolato via, come se fosse uscito da un buco in una tasca; senza fare rumore, senza che Percy potesse accorgersene.
Sei mesi. Porca miseria.
Possibile che avesse completamente perso il senso del tempo?
Non del tempo cronologico, naturalmente: il computo del cosiddetto “tempo oggettivo” era presente in lui, per via delle date sui documenti, delle scadenze, degli appuntamenti di lavoro.
Era il “tempo vissuto” a dargli problemi. Diamine, stava con Audrey da sei mesi e gli sembrava di aver fatto pace con lei solo il giorno prima.
Cavolo.
Come ha fatto Audrey a sopportarmi tutto questo tempo?
 
In quei mesi avevano fatto parecchi passi avanti; il fatto che Adams fosse venuto a conoscenza della loro storia li aveva messi più a loro agio, in archivio (dove, tra l’altro, Percy andava sempre più raramente, perché si ritrovava spesso a dover svolgere mansioni per il Ministro), e almeno davanti a lui non recitavano più la parte del capo e della dipendente che si ignorano a vicenda.
Non che avessero iniziato a scambiarsi effusioni in archivio: Percy lo avrebbe trovato decisamente inappropriato (e spesso, per farlo vergognare e arrabbiare, Audrey andava a stampargli un bacio non appena lui metteva piede nell’archivio, tra le risate di Adams).
Adams era davvero contento di ciò: il fatto che quei due stessero insieme lo riempiva di gioia sincera. Anche perché lui l’aveva capito da un bel pezzo, che due persone così non potevano che stare assieme.
Insomma, dai, basta guardarli: Audrey ha bisogno di qualcuno che bilanci la sua esuberanza, e il capo necessita di qualche scossone di tanto in tanto. Meglio di così…
Per farla breve, Adams era gioioso. Non so proprio spiegarvi questo tipo di gioia: esistono persone per cui felicità è quando sono felici gli altri. E non si può proprio dire che Percy e Audrey fossero infelici, in quei giorni.
Per cui, Adams era felice.
 
 
 
Anche Lucy Bennet era felice.
Quando, la domenica immediatamente successiva a quel Capodanno, Audrey si era presentata a casa di Roman tenendo per mano un Percy un po’ (molto!) titubante, la signora Bennet aveva seriamente pensato di rimanerci secca, per quanto era contenta.
(Ve lo ripeto, nel caso improbabile che ve ne siate dimenticati: le donne Bennet sono molto romantiche. Intendo dire, naturalmente, le Bennet acquisite e le loro figlie; tutte, tutte hanno questa caratteristica discriminante. Non c’è un perché: è un fatto, puro e semplice. Si potrebbe pensare che gli uomini Bennet si cerchino apposta donne così… Chi può dirlo).
Lucy era veramente, veramente felice vedendo la figlia così contenta; certo, ancora non capiva cosa ci trovasse Audrey in quello smilzo rosso e miope, ma d’altra parte l’aspetto fisico non è tutto; in fondo Percy sembrava un bravo ragazzo, e si dimostrava piuttosto affezionato a Audrey.
Alcuni dei Bennet ramo Saknussem furono, in verità, molto sorpresi quando si resero conto che Percy era diventato ormai un ospite fisso dei loro pranzi domenicali, che si svolgevano a settimane alternate. Il più stupito era Jarne.
 
Vi rendete conto che Audrey non ha mai portato a casa uno dei suoi ragazzi? Si è sempre vergognata! Perché invece questo rosso sta sempre con lei?
 
Fossi in te non mi preoccuperei tanto, rispondeva Rhett, significa solo che Audrey sta così bene con lui che non si vergogna a presentarcelo…
 
Oppure, può significare che il sottoscritto Serpico ha fatto un ottimo lavoro. Certo, la visione a settimane alterne di quel colore di capelli turba un po’ le mie iridi delicate, ma vabbè…
 
Uff… Sempre simpatico, eh Oleg?
 
Ci tengo ai miei begli occhietti nordici, io.
 
E comunque, Jar, devi considerare che in realtà lo conosciamo da un po’, ormai.
 

Oh sì, lo conosciamo meglio di lei! Vi ricordate quando ha iniziato a raccontarci la storia della sua vita?
 
Come fai a ricordarlo? Eri incosciente per colpa della grappa!
 
Torna a mangiare polpette, Saul. Incosciente non vuol dire sordo. Se non sbaglio a un certo punto stava parlando del colore delle mutande di Audrey…
 
Ehm, no. Quella è una cosa che ho detto io…
 
Tu?! Ma sei un MAIALE!
 
Uff, la volete piantare? Sembrate due bambini!
 
A proposito di bambini… No, Percy non era più stato costretto a sedere al loro tavolo. Per fortuna.
Mai e poi mai avrebbe potuto replicare un pranzo come quello di Capodanno, e mai e poi mai Audrey lo avrebbe obbligato a farlo ancora.
Per le sue visite, a Percy era stato assegnato un posto fisso tra Audrey e Lucy, posto che alla fine divenne suo di diritto. Tanto che, quando per ragioni di lavoro si trovò costretto a mancare per tre o quattro volte, nessuno si sedette su quella sedia, tanto i Bennet si erano abituati a quella presenza un po’ silenziosa ma visibile.
L’unica che (a distanza) sembrava non digerire Percy era Judith. Quando Audrey, rispondendo a una sua lettera da Hogwarts, le aveva raccontato di aver fatto pace col “tizio rosso che era a pranzo da nonno Roman a Capodanno”, Judith era rimasta sinceramente shockata. Come? Quello smilzo era riuscito a farla arrabbiare come nessun altro mai, prima di allora, e in quattro e quattr’otto ci aveva fatto pace?
E poi, non riusciva proprio a capire in che modo una come Audrey potesse trovare interessante uno senza spina dorsale come quel tizio; meritava sicuramente di meglio. Dai, quello lì si è fatto sputare in faccia il purè delle gemelle e schiaffare polpette in testa senza battere ciglio: sicuramente è un pazzo. Pericoloso e represso.
(Signore e signori, vi presento Judith Bjørg Bennet: l’unica donna del clan senza una goccia di romanticismo in corpo).
Espose i suoi dubbi a Audrey, senza edulcorare nulla nel suo pensiero.
La risposta la shockò ancora di più.
“Sai, Judy, non so… è che ha qualcosa che mi attira, davvero. Non hai idea di quanto è dolce, certe volte… E poi mi piace, così imbranato… Lo trovo tenero!
E poi scusa, mica me lo devo sposare. Finché ci sto bene insieme, però, non mi pongo problemi!”
Risposta di Judith:
Aud, sei scema o cosa? Non sentivo tanta stupidità tutta insieme da quando Max ha fatto credere a Will che il forno di zia Magda era una macchina del tempo e lo ha convinto ad accenderlo e a entrarci.
Sinceramente, credo che qualcuno ti abbia fatto una fattura. Riprenditi, ti prego.
Mi stai facendo preoccupare.”
Risposta di Audrey:
Jud, quando fai così la Serpeverde non ti sopporto. Non è come lo immagini tu. Oggi per esempio sono riuscita a portarlo in un cinema Babbano! Ci avevo rinunciato, da quando si è addormentato guardando “Psycho”, ma poi ho pensato che con un altro genere avrebbe reagito in modo diverso. Infatti! Quel film (non mi ricordo il titolo, ma ricordo che ho dovuto spiegargli cosa fosse un avvocato… Boh!) gli è piaciuto un sacco… Peccato che mi sia addormentata io! Però è stato carino, mi ha svegliata e mi ha riportata a casa anche se a lui interessava vedere come andava a finire… Ammetterai che è gentile!”
Judith:
“Credo che tu stia parlando de “L’avvocato del diavolo”; a questo punto non ho più alcun dubbio sul fatto che qualcuno si sia impossessato dei tuoi neuroni succhiandoti via l’intelligenza: nessuno può dormire davanti a quel film. Quindi sei matta.
E comunque, tutti sono gentili quando vogliono portarti a letto: quindi, per me resta un maniaco.”
Audrey:
“Chi ti ha insegnato a dire queste parole? Zio Oleg, scommetto! Comunque, continuo a non spiegarmi la tua antipatia… sono sicura che se passaste del tempo assieme cambieresti idea…
Scusa, ho dovuto interrompere la lettera perché è appena tornato Percy… gli ho detto che ti stavo scrivendo e mi ha chiesto di salutarti! Vedi che è gentile?
Credo davvero che andreste più che d’accordo!”
Judith:
“ … Chi sei?! Cosa vuoi da me?!
E cosa ne hai fatto di Audrey?!
Ti prego, restituiscici almeno il suo corpo, affinché possiamo darle degna sepoltura!”
E così via, su questo tono.
 
 
 
Nonostante i dubbi di Judith, anche per Audrey quei sei mesi furono davvero felici.
Adams aveva perfettamente ragione: Percy controbilanciava tutti i suoi difetti. Era puntuale, preciso e metodico, tutte cose che a lei non era mai riuscito di essere. A Audrey piaceva quel modo di fare così tranquillo che aveva in ogni circostanza: era raro che si facesse prendere dall’ansia o perdesse il controllo. In un certo senso, le dava sicurezza.
Certo, spesso si fissava su dettagli del tutto trascurabili, ma niente di male, in fondo. Poteva andar peggio…
Stesso discorso all’inverso si può fare per Percy: Audrey era in grado di dargli gli “scossoni” di cui aveva bisogno. Riusciva sempre a coglierlo di sorpresa: un gesto che lo faceva sorridere, un abbraccio che lo inteneriva… Audrey gli risvegliava sensazioni che credeva sepolte, dimenticate, o che non aveva mai conosciuto.
Non aveva bisogno di dimostrarle niente: lei sapeva già che lui valeva qualcosa, sapeva che c’era del buono in lui, sapeva anche come tirarglielo fuori. Lo sapeva, in qualche modo. Era come avere una continua iniezione di fiducia, una spinta leggera verso la strada giusta. Una brezza lieve che gli portava via i cattivi pensieri.
Non starò a dilungarmi sui dettagli della loro vita in quei giorni; non sarebbe giusto nei loro confronti (insomma, un po’ di intimità non guasta, no? Soprattutto per una coppia così giovane…).
Accontentatevi di sapere che furono felici, entrambi. Molto.
Il tipo di felicità che si accatasta giorno per giorno, e che, al contrario di altre felicità, a volte dura per molto, moltissimo tempo.
 
 
Parte di quella felicità era dovuta a ciò che disse Percy, una tiepida sera di aprile.
Erano abbracciati sul letto di Audrey, semiaddormentati. La ragazza gli dava le spalle, e Percy teneva il naso affondato tra i suoi capelli. Non sarebbe mai riuscito a stancarsi del suo odore, nemmeno volendolo.
A un tratto Audrey ebbe un forte sussulto, e Percy si svegliò del tutto.
- Che succede? - mormorò, un po’ confuso.
- Che giorno è domani? - domandò Audrey in tutta fretta, preoccupata.
- È… Aspetta, è mercoledì, credo… Sì, mercoledì.
La ragazza sospirò, sollevata. – Meno male, mi era preso un colpo. Temevo fosse giovedì. Sai, devo pagare l’affitto entro giovedì, ma ci ho pensato solo adesso…
- È mercoledì, tranquilla - mormorò di nuovo lui, tornando a stringerla.
Poi iniziò a dire qualcosa che nessuno dei due si sarebbe aspettato.
- Sai… Stavo pensando…
- A cosa? - sussurrò Audrey, mezzo addormentata.
- Beh… Sai… Se tu… Insomma… è solo un’idea… anche abbastanza strana se ci pensi, però… Lo so che non è molto che stiamo assieme, ma… Pensavo che… Voglio dire… Se venissi a stare da me non avresti problemi di affitto, sai? Voglio dire... Sarebbe… Sarebbe come adesso, che ci svegliamo assieme e… e andiamo a dormire assieme, solo che… Solo che sarebbe tutte le sere e… passeremmo più tempo insieme… e le tue cose starebbero a casa mia e… Beh, non è più grande di questa, ma in due ci si sta… Solo se… se vuoi…
Si accorse che Audrey stava trattenendo il respiro, e smise di parlare. Cavolo… Perché l’ho detto? Adesso sì che l’ho spaventata! Che idiota…
Infine la ragazza si voltò verso di lui, alzandosi a sedere. Nella penombra della stanza, l’espressione sul suo volto era difficilmente decifrabile, un misto di stupore e incredulità.
- Ma… Ma stai dicendo sul serio? - balbettò dopo qualche secondo. – Tu… Tu vuoi che venga a stare da te?
- Io… Ecco… Solo se vuoi, naturalmente, forse è un’idea stupida ma… ma… Ecco… - si impappinò.
- Sai, io, beh… Volevo solo… Non lo so, ho esagerato, scusami… - riuscì a dire alla fine.
- No, no, tranquillo - si affrettò a dire lei. – Solo che… ci penso su, okay?
- O-Okay… scusa…
- Non scusarti, tranquillo. Adesso dormi, dai… - e Audrey gli diede di nuovo le spalle, in modo da non mostrargli l’immenso ed emozionato sorriso che le era involontariamente spuntato sulle labbra.
 
Altro che dormire: Percy ebbe tutta la notte per pentirsi di quella richiesta avventata.
Sei un cretino! Ma diamine, come puoi pensare che accetti una cosa del genere? Di’ un po’, sai quanto mesi sono da gennaio ad aprile? Quattro! Cavolo, quattro mesi! E tu… tu pensi davvero che una ragazza normale accetti di venire a stare da te dopo quattro mesi? Sei fortunato se non ti ha mandato a quel paese!
E via di questo passo.
Tutta la notte.
Eh, già.
(Forse Judith non aveva tutti i torti quando si preoccupava…)
 
Il mattino dopo, Audrey si era alzata molto prima di lui; un fatto decisamente insolito.
Ancora più insolito era che i suoi vestiti del giorno prima, solitamente lasciati alla rinfusa su una sedia, erano scomparsi. Molto, molto insolito.
Ma la cosa più insolita di tutte era la valigia che giaceva accanto alla porta. Una valigia grande dall’aria pesante.
Insolitissimo.
Trovò Audrey seduta sul divano a gambe incrociate, che fissava la libreria di fronte a sé. Era già vestita e preparata.
Alle sette di mattina.
Qui scendiamo nella fantascienza, ragazzi.
- Ti dà fastidio che io tenga i libri in ordine sparso? - domandò Audrey a bruciapelo, senza staccare gli occhi dagli scaffali.
Percy fu troppo sorpreso da questa domanda per non rispondere.
- Io… No, no, credo di no… Beh, li ordinerei diversamente, ma… Ma che domanda è, scusa?
- E i vestiti? Non so te, ma l’unica cosa che riesco a tenere perfettamente in ordine è l’armadio. Hai un ordine particolare per i vestiti?
Ah ah. Sei spiritosa, ragazza.
- Io… No, non… Ripeto, che domanda è?
- E la musica? So che non ti piace, ma io non posso fare a meno di ascoltarne un po’, qualche volta…
- Bennet, santo cielo! Sei lavata, vestita e pettinata a quest’ora, te ne stai lì a fare domande senza capo né coda… Sicura di stare bene?
Finalmente Audrey si voltò a guardarlo. – Sto bene, scusa. È che… Pensavo che, se fosse ancora valida, avremmo dovuto prima chiarire qualche punto, no?
- Valida cosa?
- La tua proposta di ieri sera.
La mandibola di Percy rischiò di andare a spiaccicarsi contro il pavimento. Audrey non se ne curò.
- Sai, non ho problemi a pagare l’affitto alla padrona di casa, perciò se ci hai ripensato basta dirlo, però… Però ci ho pensato, e credo che mi piacerebbe molto… insomma… venire a stare da te.
- Ma… Ma stai dicendo… davvero?
- Beh, sì…
- E… Scusa, ma mi avevi detto che ci avresti pensato!
- E infatti ci ho pensato… adesso.
- Aud, senti… Io non voglio che tu ti senta costretta. Davvero. Fai… Fai con calma, insomma… Voglio dire, sono contento che… anzi, molto contento, ma… Forse, anzi sicuramente sono stato affrettato e… e non voglio che tu faccia qualcosa che non vuoi e…
- Oh, diamine, Perce, vuoi smettere di parlare una buona volta? - lo interruppe Audrey, stavolta sorridendo. Aveva qualcosa negli occhi, come un’emozione incredibile.
Poi tutt’ad un tratto si fece di nuovo seria.
- Senta capo, ho bisogno di una giornata di permesso dal lavoro. Sa, devo traslocare e mi serve tempo per imballare le cose…
A sentire quel cambio di tono, Percy non poté fare a meno di ridere forte.
Inutile. Quella strega lo avrebbe sempre, sempre colto di sorpresa. Tanto valeva arrendersi.
- Uhm, non saprei… - finse di pensarci su. – Per stavolta va bene, Bennet. Però ti scalo questa giornata dalle ferie.
- Dalle ferie?! - Audrey scattò in piedi – Ma capo, lei è un bastardo!
- Te l’ho già detto: se non fossi bastardo…
- … non saresti il capo. Sì, ho già sentito qualcosa di simile.
Risero assieme, poi rimasero a guardarsi soltanto negli occhi, per un po’.
La stessa emozione. Forte, fortissima emozione.
Qualcosa di nuovo che iniziava.
 
 
 
Fu strano trovare le cose di Audrey a casa sua, quella sera.
Bello, ma strano.
Percy si era quasi dimenticato di come fosse avere un’altra persona che divide stanza, bagno e vita con te.
Davvero, davvero strano. Ma bello.
Era ancora più strano perché, dopo Penelope, nessun’altra ragazza aveva mai messo piede lì dentro.
 
Ah, dimenticavo: naturalmente Audrey non sapeva nulla di Penelope.
Ma proprio nulla, eh. Per quanto ne sapeva, non era mai esistita.
Il 4 giugno 1997, nel momento in cui Percy si rendeva conto di quanto tempo era passato, Audrey ignorava che lui, prima che con lei, aveva condiviso vita e casa con un’altra.
Percy non le aveva mai accennato a quel dettaglio, e lei non se lo era mai chiesto. Punto.
D’altronde, perché Percy avrebbe dovuto parlargliene? Penelope era passato, passato remoto. Audrey era il presente. Tutto il suo presente.
A dirla tutta, nemmeno ci pensava più: non c’era proprio nulla in Audrey che potesse riportargli alla mente la sua ex, e anche casa sua, da quando Audrey ci aveva messo piede, sembrava diversa da com’era prima.
Era più bella, più accogliente.
Audrey ci aveva messo subito qualcosa di suo, ovviamente senza chiedergli il permesso: così Percy si era ritrovato tende chiare dove prima erano scure, mobili spostati da un punto all’altro della stanza e strani aggeggi Babbani qua e là.
I libri di Percy avevano dovuto fare posto ai romanzi di Audrey, come pure i vestiti; il ragazzo aveva subìto un piccolo shock, aprendo l’armadio e trovando tutto in perfetto ordine, ma non poteva certo lamentarsi.
Di cosa avrebbe dovuto lamentarsi? Era… bello; cavolo, era tutto bello.
Era bello come Audrey si comportava in casa, come ci teneva a che tutto fosse in armonia col resto. Era bello uscire di casa assieme e sapere che si sarebbero ritrovati la sera, bella era stata l’espressione sconvolta della signora Bennet quando Audrey le aveva detto che vivevano insieme, bello quando Percy faceva tardi e trovava Audrey addormentata sul divano e anche quando era Audrey a far tardi con le amiche e ritrovava Percy che leggeva avidamente i suoi romanzi babbani.
Era bello. Non facile, perché non è mai facile vivere con qualcuno; non perfetto, perché si devono sempre sopportare i difetti e le manie dell’altro; ma bello. Punto.
Cos’altro volete che vi dica?
 
Fu così, da aprile a giugno. Il tempo passava e nessuno dei due lo contava più. La primavera di quell’anno era stata bellissima, un trionfo di colori dopo i molti giorni di pioggia che avevano concluso l’inverno.
E ancora più bella si prospettava quell’estate. La fine di maggio aveva portato un venticello caldo e invitante, ed erano pochi gli impiegati del Ministero che ancora indossavano le lunghe vesti da mago, mentre la maggior parte di loro aveva decisamente optato per maglie a maniche corte.
Adams era tornato ad essere un compagno di ufficio silenzioso per Audrey, anche perché stavolta era lei a non smettere mai di parlare.
Parlava, parlava, parlava. Da quando era iniziata la primavera, parlava.
Era allegra, quindi parlava; o meglio, ciarlava. E al nostro povero Adams non rimaneva che tacere, e fingere di ascoltare.
Avete mai provato a dare ascolto a una ragazza che parla in continuazione? Magari riuscite a seguirla per i primi due, diciamo tre minuti (i più bravi arrivano a cinque), ma poi…
Se poi la ragazza in questione salta da un argomento all’altro senza fare nemmeno una pausa… Beh, si salvi chi può.
Adams non poteva, quindi fingeva di ascoltare.
Era così impegnato nella sua finzione che non si accorse che Audrey gli aveva rivolto una domanda diretta; fu dopo una decina di secondi di silenzio assoluto che intuì che qualcosa non quadrava.
Alzò lo sguardo su di lei.
- Scusa, hai detto qualcosa?
Audrey restò sconcertata. – Adams… Non hai sentito nulla di tutto ciò che ho detto finora, vero?
- Senti Aud, è solo mezzogiorno e parli senza sosta da almeno tre ore. Mi sarà pur sfuggito qualcosa, no?
Audrey tacque. – Hai ragione, scusa. Non lo faccio apposta, sul serio…
- Non preoccuparti. Allora, mi hai chiesto qualcosa?
- Ah, già! - Audrey si sbatté una mano sulla fronte, poi guardò Adams dritto negli occhi. – Allora, caro Adams, non mi racconterai mai la tua storia con Ben?
- Non. Sto. Co…
- Sì sì, conosco il ritornello. Sai che è la stessa cosa che mi ha detto lui?
Adams era diventato giallognolo.
- Lui… Chi?
- Ma Ben, naturalmente! - sogghignò Audrey. – Sai, un paio di settimane fa gli ho telefonato…
- Hai fatto che?
- Uff, certo che voi Purosangue potreste anche prendervi la briga di informarvi sugli oggetti Babbani! Okay, te lo dico in breve: ho parlato con lui, e mi ha detto la stessa cosa che hai detto tu.
- Ossia?
- Le sue parole precise sono state… Aspetta, com’erano… ah, sì: Non. Sto. Con. Adams.
Sentendo quello, Adams arrossì un po’. Per qualche secondo non parlò.
- Ha detto proprio così?
Audrey annuì. – Già. E poi ha attaccato il telefono.
- Cosa?
- Abbiamo smesso di parlare.
- Ah.
Ancora silenzio.
- Adams, non vuoi proprio dirmi cosa è successo con Ben?
- Facciamo così, Audrey - fece Adams, dopo essere stato pensieroso per una manciata di secondi, – il giorno in cui ti sposerai col capo te lo dirò.
Audrey sobbalzò. Ma è impazzito?! Ma chi gli mette in testa queste idee?! Oddio, è proprio matto, santo cielo…
- Ma che cavolo dici, Adams? Noi non… - si sentì avvampare. – Se anche succedesse, sarebbe tra parecchi anni! Oppure potrebbe non succedere mai! Anzi, non succederà mai, punto e basta!
- Appunto, - ghignò Adams, – così sarò lasciato in pace una volta per tutte.
- Ma non è giusto! Io sono curiosa! Sei proprio un dannato figlio di…
- Piccola Aud, queste espressioni da scaricatore di porto non ti si addicono. Che direbbe il tuo fidanzato?
- Rimangiati ciò che hai detto, imbecille!
- Nemmeno per sogno! È troppo divertente vederti così in imbarazzo!
In effetti, Audrey imbarazzata era uno spettacolo imperdibile, forse più della Audrey arrabbiata: i suoi occhi diventavano molto più grandi, mentre le sue mani iniziavano a gesticolare forsennatamente e la sua voce saliva di un’ottava.
- Sei… Sei… Sei la persona più spregevole che conosca!
- Solo perché non ti lascio invadere la mia privacy?
- Perché… Perché insinui queste cose!
- Non ho insinuato niente di male - replicò Adams, tranquillo. – In fondo, vivete insieme da aprile, no?
- Sta’ zitto, vuoi che lo sappiano tutti?! - pigolò Audrey, ormai al colmo dell’imbarazzo. – E comunque… Che c’entra? Il fatto che due vivano insieme non significa che… Voglio dire, noi non… Oh, vai al diavolo!
Al che Adams non poté proprio trattenere una sonora risata, così forte che si zittì subito, temendo che si fosse sentita anche in corridoio.
Il timore fu presto confermato da un lieve bussare alla porta.
- Contento, cretino? - bisbigliò Audrey. – Adesso verranno a lamentarsi e il capo ci romperà le scatole perché abbiamo fatto casino…
- E tu convincilo a non romperci le scatole, gli argomenti non ti mancano di sicuro - le rispose Adams, preso da un attacco di ridarella.
- Sei uno stupido - commentò Audrey, sbuffando. Alla porta bussarono di nuovo.
- Avanti! - esclamò lei, mentre Adams cercava di calmarsi.
Ci riuscì non appena vide chi si era affacciato alla porta.
 
Già dalla prima occhiata dava l’idea di una professionista; una di quelle che sanno quanto valgono e non hanno paura di dimostrarlo. Intelligente, di sicuro.
E bella. Cavolo, se era bella.
Bionda, alta, slanciata. Bella.
Persino le lievi occhiaie non riuscivano a cancellare la bellezza naturale di quella ragazza. Audrey rimase a osservarla per un momento, imbambolata, finché quella non la riscosse con una domanda.
- Scusate il disturbo, sto cercando l’ufficio del signor Weasley; mi hanno detto di chiedere a voi…
Audrey si voltò verso Adams, ma lui sembrava ancora perso in contemplazione.
- In questo momento non c’è, dovrebbe tornare entro una mezz’ora - rispose allora. – Se vuole può aspettarlo qui fuori, o ripassare nel pomeriggio…
- Non c’è problema, aspetterò. Ti ringrazio. - La sconosciuta sorrise e richiuse la porta.
“Ti” ringrazio? Ma come si permette? Non sono mica sua sorella!
- Chissà chi era… - disse invece, rivolta ad Adams. – Una così non si vede spesso al Ministero, no?
Attese una risposta che non arrivò.
- Adams?
- Eh?
- Tutto bene?
- Più o meno… Hai detto qualcosa?
- Niente, ho solo commentato la tizia che è entrata qui…
- Ah, già. Stupenda, no?
Audrey sobbalzò per la seconda volta in venti minuti. Cosa?!
- Ma… Io pensavo che tu non…
- Il bello è ovunque, e va riconosciuto, donna o uomo che sia. E lì ce n’è da riconoscere.
- Dici? - fece Audrey, sentendo improvvisamente una punta di gelosia. – Secondo me non è un granché…
- Secondo me stai incappando nella classica invidia femminile. Diamine, l’hai vista?
Oh cielo, Adams che commenta la bellezza di una ragazza? Qui c’è da uscire matti!
- Se lo dici tu… - concluse, un po’ piccata da quell’atteggiamento. – Chi pensi che fosse, comunque?
- La futura signora Adams, se mai decidessi di cambiar vita e sposarmi…
- Adams!
- Okay, okay, scherzavo… - replicò, alzando le mani. – Comunque, non la conosco, ma aveva il tesserino della “Gazzetta”. Magari è qui per un servizio.
- Possibile. - Effettivamente, in quel periodo la “Gazzetta” non faceva che pubblicare articoli di elogio al Ministero, cosa che faceva infuriare Audrey e la metteva spesso in discussione con Percy.
- Oppure - ghignò Adams, ormai entrato nella modalità sadica, – è l’amante segreta del capo e vuole incontrarlo per combinare qualche losco affare… Sto scherzando Aud, sto scherzando! - aggiunse in fretta, accorgendosi dell’occhiata assassina che la ragazza gli aveva scoccato.
 
Se Adams era rimasto abbagliato dalla visitatrice, Percy restò invece abbastanza sconvolto.
Era nervoso, quella mattina; aveva dovuto fare un paio di cose che non gli erano affatto piaciute, come notificare uno sfratto a una famiglia. Erano in cinque, in quella famiglia, diamine.
Di malumore, passò nel corridoio senza guardarsi attorno; non fece però in tempo a mettere piede in ufficio  che il suono di una voce terribilmente familiare lo pietrificò all’istante.
- Perce?
Una voce dall’oltretomba. Dannazione. Adesso no…
Lentamente si voltò verso il punto da cui si era sentito chiamare. Magari mi sono sbagliato.
Non si era sbagliato.
- P-Penelope?
 
 
In archivio, Audrey stava bruciando sui carboni ardenti. Percy doveva essere tornato da un po’, ormai, e la tizia bionda si trovava di sicuro nel suo ufficio.
Cavolo!
Era strana, quella sensazione. Audrey non era mai stata gelosa, anzi; però, il fatto che Percy adesso stesse parlando con quella lì…
Persino Adams, che non amava le donne, era rimasto affascinato.
E stupida non era di sicuro; aveva qualcosa nello sguardo che lasciava trasparire la presenza di un bel cervello.
Cavolo…
Si riscosse. Doveva darsi una calmata; doveva. In fondo, Percy stava con lei, non con la tizia bionda o con qualcun’altra.
Ma fa sempre in tempo a cambiare idea… In fondo tu sei bassa, sciatta, bruna e fai un lavoro che definirlo mediocre è troppo poco… E beh, tu stessa sei sempre stata mediocre, alla fin fine…
Si riscosse di nuovo. No, no, no. Così non va per niente, Aud. Se inizi a seguire le tue stupide paturnie rischi di impazzire, lo sai. Vedi di non fare la cretina.
Dopo un quarto d’ora, però, era di nuovo lì che tamburellava le dita, come una dannata.
Cavolo.
- Audrey, potresti smetterla per favore? Mi dai sui nervi! - esclamò Adams. – Sono due ore che cerco di capirci qualcosa in questo documento e non ci riesco! Se sei tanto curiosa di sapere cosa sta facendo il capo con la mia futura moglie, entra nel suo ufficio con una scusa qualsiasi, no?
- Ma io non sono curiosa… - sibilò lei, mentre afferrava una matita nel tentativo di fermare le proprie mani.
- Ah, no, certo. E io mi chiamo Barbara.
Il rumore della matita che si spezzava confermò Adams della sua teoria.
- Audrey, sei un tipo geloso, per caso?
- Mai stata gelosa… - rispose, restando a fissare le due metà della matita.
- In ogni caso, passare nell’ufficio del capo non sarebbe sbagliato. Magari sarebbe contento di vederti…
Senza una parola, Audrey afferrò un documento a caso tra la montagna da far firmare a Percy e volò fuori dall’archivio.
Adams sogghignò: era sicuro che non ci fosse nulla di male in ciò che stava facendo il capo con la bionda, però era curiosissimo di saperlo, e mandare la ragazza a controllare era il modo migliore per sapere tutto subito; e poi, Audrey gelosa era ancora meglio della Audrey imbarazzata.
(Sì, lo ammetto: a volte Adams si comporta un po’ da manipolatore. Ognuno ha in sé il cielo e l’inferno, disse una volta uno scrittore Babbano…)
 
Percy era rimasto basito, trovandosi lì davanti Penelope.
Così basito che non pensò subito a farla entrare in ufficio.
- Cosa… Cosa ci fai qui? - articolò.
- Lavoro – rispose lei, per niente sorpresa dalla reazione del ragazzo.
- Adesso lavori qui al Ministero?
- No, come puoi vedere – e indicò il tesserino – mi manda la “Gazzetta”. Avrei bisogno di un favore da parte tua.
Percy non le rispose, limitandosi a fissarla: il solo fatto di ritrovarsela lì, a mezzo metro, dopo quasi un anno che non la vedeva, era bastato a mandarlo in confusione.
Penelope se ne accorse, e fece un sorrisetto.
- Allora, mi fai entrare nel tuo ufficio?
Il ragazzo si riscosse. Si scansò dalla porta, ed entrò dopo di lei.
- Ti vedo sorpreso, Perce - interloquì Penelope, non appena Percy ebbe chiuso la porta. – Sono davvero così spaventosa?
- Non mi aspettavo di trovarti qui - borbottò per tutta risposta.
- Lo so. Nemmeno io faccio i salti di gioia, se è questo che intendi.
Si accomodarono. Cavolo, se era cambiata; era sempre bella, ma sembrava invecchiata di molto. Percy faticò a ricordare che aveva solo vent’anni, come lui: quegli occhi ne dimostravano dieci di più.
Come al solito: era sempre stata più sveglia, più matura di lui. Molto migliore di lui, sempre.
D’un tratto desiderò non averla mai rivista. Aveva faticato a dimenticarsi di lei, e ora piombava là, senza un preavviso, senza niente.
- Cosa ti serve? - le domandò sbrigativo.
- Cos’è, hai fretta di mandarmi via? Non sei contento di vedermi?
La domanda era evidentemente sarcastica, e pronunciata con un tono un po’ velenoso.
- L’hai detto tu stessa, che non fai i salti di gioia per essere qui. Quindi dimmi cosa vuoi e finiamola.
- Come stai?
- Che ti importa?
- Mi importa sempre degli altri. Al contrario di te, se non ricordo male.
- Sei venuta solo per insultarmi?
- Sono venuta per lavorare, ma visto che ci conosciamo pensavo di essere gentile chiedendoti come stai.
Percy si morse la lingua, per evitare di dire qualche sciocchezza. Si era messo sulla difensiva istintivamente, ma stava solo facendo la figura dello stupido.
- Scusa - disse, chinando il capo. – Io sto bene. Tu come stai?
- Non c’è male, grazie.
Seguì il silenzio. Percy aspettava che Penelope gli dicesse il motivo della sua visita, ma la ragazza non parlava.
- Allora, cosa ti serve?
- Hai fretta?
- Me lo hai già chiesto.
- E tu non hai risposto…
- Senti, Penelope… Non ho voglia di giocare, okay? Se non vuoi dirmi cosa vuoi, quella è la porta.
- Non hai perso l’abitudine di cacciar via le persone, eh?
- Sei tu che te ne sei andata.
- E tu non mi hai fermata. Come vedi, siamo pari.
Tacquero di nuovo. Cos’è, aveva voglia di rivangare il passato? Era davvero venuta solo per indispettirlo?
Se era così, Penelope ci stava riuscendo benissimo.
- Comunque, - fece lei dopo qualche secondo, – sono qui perché…
La porta si spalancò. Sorpresi, guardarono entrambi verso Audrey, che nella fretta si era scordata di bussare; per completare la brutta figura, dalla mano le scivolarono tutti i fogli del plico che doveva costituire il suo alibi per entrare nell’ufficio.
- Ehm… - fece lei, chinandosi di corsa a raccogliere tutto e sentendo gli occhi di Percy e della tizia bionda puntati addosso. – Scu-scusate, non volevo disturbare…
Percy si distese, vedendola. Sempre la solita…
La mia piccola confusionaria.
Dovette arrossire a quel pensiero, perché quando Penelope si voltò di nuovo verso di lui lo guardò con un’espressione strana. Tornò serio, e si schiarì la voce.
- Tranquilla Au… Bennet. Non disturbi affatto.
- Oh, no, infatti - fece Penelope, tornando a guardare Audrey con la stessa strana espressione. – Stavamo solo facendo una… chiacchierata tra ex conviventi.
Percy vide distintamente Audrey irrigidirsi e trattenere il respiro, e chiuse gli occhi. Oh, cavolo…
- Scusate, volevo solo… solo farle firmare questo, capo - disse invece lei, ignorando Penelope.
Mentre si sporgeva verso la scrivania, Audrey avvertì su di sé lo sguardo azzurro e indagatore di quella tizia, e si sentì come nuda. Cavolo, mi sta facendo l’esame ai raggi X?
Ma che vuole?
- Beh, Percy, non mi presenti alla tua… amica?
Il ragazzo si sentì gelare. – Lei è una mia dipendente, non è…
- Mi chiamo Bennet, – le rispose Audrey, tranquilla, – e non sono una sua amica. E lei, signorina?
- Abbiamo un bel caratterino, vedo - commentò Penelope, senza staccarle gli occhi di dosso. – Un po’ sprecato, per un lavoro come il tuo… Comunque mi chiamo Penelope.
Persino il nome era bello. Audrey si sentì bruciare di invidia.
- Non credo che ci sia qualcosa di male, nel mio lavoro. In fondo, giornalisti come lei vengono tutti i giorni a documentarsi da noi; e spesso, per sopportare certe persone ci vuole carattere.
Penelope alzò le mani, ridendo. – Lo ammetto, hai vinto tu. - Si rivolse poi a Percy: - Senti, avrei bisogno di un lasciapassare per le aule giudiziarie, vorrei assistere a un processo. Puoi procurarmelo tu?
- Naturalmente. Bennet, - disse poi a Audrey, che era ancora ritta presso la scrivania e fissava Penelope, - puoi andare, ti ringrazio.
Lei lo guardò per un secondo, poi si diresse decisa verso la porta.
Non era sicura di voler raccontare ad Adams quello che aveva sentito.
Ex convivente… Ma vai a quel paese…
 
- Simpatica – commentò Penelope, mentre Percy cercava un foglio per firmarle il lasciapassare. – Da quando sta qui?
- Da settembre. - Nove mesi, di già.
- Ti ho mai fatto notare quanto sei prevedibile, Perce?
Non capì la domanda. – Che intendi?
- Solo uno come te poteva incappare nel più classico dei cliché: il capo che fa gli occhi dolci alla sottoposta. Tipico di te, Weasley.
Avrebbe potuto risponderle nel peggiore dei modi, ma si trattenne. Le firmò il permesso con un gesto rabbioso, e l’accompagnò alla porta, senza aggiungere una parola.
 
 
Sperò ardentemente di non doverla rivedere ancora.
Non la sopportava. Non sopportava tutto il suo sarcasmo, il suo veleno. E va bene, si erano lasciati male, e allora? Non era certo la fine del mondo; possibile che lui l’avesse superato e lei no?
Diamine, com’era cambiata. Ed era passato solo un anno.
Pensava a queste cose, mentre si avviava verso casa. Ed ecco che la vide di nuovo.
Seduta al tavolo di un bar Babbano, che mescolava un tè. Non aveva più l’aria sfacciata di prima: adesso sembrava solo una ragazza stanca.
Percy avrebbe potuto allontanarsi, o cambiare strada. Scelse la terza via.
- Ancora da queste parti?
Penelope sobbalzò, e lo guardò sorpresa. – Sì - rispose poi, con una voce diversa da quella della mattina. – Ho girato nel Ministero tutto il giorno.
- Sarai stanca.
- Un po’. Siediti.
- Grazie.
- Sai, - iniziò a dire lei, con dolcezza – mi spiace per prima. Non avrei dovuto dirti quelle cose. Ero solo  stanca e… e nervosa…
- Non preoccuparti. Non avevi tutti i torti.
- E per la storia del cliché…
- È tutto a posto. In effetti, ne sono consapevole anch’io, ma non posso farci nulla.
- Posso immaginarlo.
Tornò a mescolare il tè in silenzio, come immersa in un pensiero. Percy non riusciva a staccarle gli occhi di dosso: quanto, quanto tempo era passato tra di loro? Poco: ma sembravano secoli.
- È carina, sai? La ragazza di oggi - spiegò, vedendo lo sguardo interrogativo di lui. – Pensavo che le brune non ti piacessero… Beh, si vede che in qualcosa sei cambiato…
Percy continuò a non parlare. Non sapeva assolutamente cosa dire. Avrebbe potuto chiederle del suo lavoro, della sua vita, ma in fondo non gli interessava. Come è strano il modo in cui il tempo ci separa dalle persone, più che lo spazio. Possono esserci migliaia di chilometri di distanza tra un uomo e una donna, e questi potranno rimanere gli stessi; lascia che passi tra loro un anno, e non si riconosceranno più.
- È stato… strano, sai? - seguitò la ragazza, pacatamente. - L’ho capito da come la guardavi, che ti piace. State insieme?
- Viviamo insieme, sì.
Un piccolo sorriso sincero si fece strada sul viso di Penelope. – Anch’io ho conosciuto… un altro. Ad essere sinceri, lo conoscevo già da prima che… insomma, che ci lasciassimo. Mi è stato accanto quando ne avevo bisogno.
Percy si sentì amareggiato, ma Penelope continuò a sorridere. – Sono andata a stare da lui quasi subito. Ora pensiamo di sposarci a settembre. E indovina un po’? Aspetto un bambino.
Qualcosa di fastidioso punse Percy dentro lo stomaco. Aspettava un bambino. Solo un anno prima ci avevano provato insieme: Penelope lo desiderava tanto, ma… ma non era arrivato.
Almeno adesso sapevano di chi era la colpa.
- Oh, - disse, cercando di non far trasparire la sua umiliazione – è bellissimo. Sono contento, davvero.
- Ti ringrazio - gli rispose lei, contenta. – Sai, in fondo è stato meglio che non lo avessi da te, no? Insomma, visto che…
- Non eravamo fatti per stare insieme, già.
- Già. È stato meglio.
Questo poneva la parola “fine” sul loro dialogo. Percy aspettò educatamente che Penelope finisse il suo tè, poi la salutò, senza rancore ma con un briciolo di tristezza nel cuore.
Solo un anno era passato, ed erano tanto cambiati.
 
 
Tornato a casa, trovò Audrey che pelava le patate, china in piedi sul piano da cucina.
- Ehi…
La ragazza si voltò un momento soltanto verso di lui, ma non rispose al saluto. Disse solo:
- Ex convivente?
Percy sospirò. Sapeva che avrebbero dovuto affrontare quell'argomento, prima o poi.
Meglio farsi coraggio subito.
- Senti, Aud, è una storia vecchia…
- È carina, sai?
La stessa identica cosa che Penelope aveva detto di lei. Forse le donne avevano una specie di codice segreto, una terminologia particolare da usare quando si parlava di certi argomenti?
- Davvero carina. Deve mancarti.
- Che dici, Audrey? Certo che non mi manca! - esclamò, stupito da quell’atteggiamento.
- Non hai fatto certo un salto di qualità, con me - seguitò Audrey, con voce atona. – Dopo una così, qualsiasi ragazza deve sembrarti insignificante…
- Audrey…
- … E quindi, se ti manca lo capisco.
Percy sbuffò. Quel discorso era totalmente cretino.
- Diamine, Bennet, non cominciare ad essere irrazionale! - esclamò di nuovo.
- Perché mai dovrebbe mancarmi Penelope? Io ti amo.
Lo disse così, senza pensare. Forse per questo fu veramente sincero.
Non appena lo sentì, a Audrey caddero coltello e patata dalle mani.
Lentamente riuscì a voltarsi verso di lui: Percy era tutto rosso, ma non smetteva di guardarla negli occhi.
- C-come?
- L’hai… L’hai sentito benissimo - balbettò lui.
- Sì, ma, ma… In che senso? - domandò Audrey, in preda alla confusione.
- Beh, Bennet, io… Insomma, non sono un grande esperto ma… credo che quello che ho detto si possa intendere in un solo senso, non so se mi spiego…
Tacquero entrambi. Non c’era mai stato tanto imbarazzo tra di loro.
Cavolo! Perché, perché ho imparato a parlare?!
- Percy… - riuscì a dire infine Audrey. – So che ti sembrerà strano, ma… potresti ripeterlo?
- C-cosa?
- Come “cosa”? Quello che mi hai detto!
- Devo… Devo ripeterti che ti amo?
Un sorriso beato si stampò sul viso di lei. – Sì…
Percy rimase inebetito di fronte a quel sorriso; mai visto uno così bello prima d’ora.
Restò così inebetito che gli ci volle un po’, prima di rendersi conto che Audrey lo stava baciando, tante e tante volte, e ai baci alternava le stesse parole che lui le aveva detto in quel modo forse sbagliato, ma assolutamente sincero.
 
 
Fu una bella, bellissima estate. Meravigliosa estate.
Tuttavia, per quanto meravigliosi siano gli attimi che viviamo, questi sono destinati a finire, prima o poi.
La fine di quella estate iniziò il 29 giugno, quando Albus Silente fu ucciso.
Sarebbe terminata del tutto il 31 luglio; dopo, non aveva senso parlare di bellezza e di meraviglia, né di estate.
Questo però né Percy né Audrey potevano saperlo, quel quattro giugno, e vissero quei due mesi come se fossero l’estate più bella della loro vita.
Meravigliosa estate.
Un’estate dedicata ad imparare i mille modi per dirsi “ti amo”, senza imbarazzo. Solo con amore.

Ritorna all'indice


Capitolo 17
*** Cuore d'asino ***


Cara Charme, io ti avevo avvisata: è palloso, verboso e al 90% Percy-centrico. Mi spiace
Ora che lo sapete anche voi, lettori, vi prego di attivare la vostra modalità "depressione", o in alternativa fuggire altrove.
Non dico altro, ci sentiamo alla fine del capitolo.


Cuore d'asino

 
Beh, immagino che tutti voi sappiate che non si vive di solo amore.
Ogni tanto ci vuole anche una bella e sana discussione, possibilmente tale da far arrabbiare a morte entrambi i litiganti e farli diventare violacei per lo sforzo di urlarsi a vicenda tutti gli improperi possibili.
L’argomento principale delle discussioni fra Percy e Audrey era la differenza di posizioni riguardo l’azione del Ministero. Conosciamo tutti ormai il pensiero di Percy: la sua tendenza a giustificare il Ministro in ogni circostanza era estremamente irritante, e ad essa Audrey reagiva con violenta schiettezza, sbattendogli davanti al muso tutte le falle che la politica del cavolo del ministro Scrimgeour presentava.
Fortuna che Audrey sapeva poco o nulla di quanto era successo tra Percy e la sua famiglia, altrimenti avrebbe avuto un altro argomento ancora con cui sostenere le proprie tesi, o peggio.
I litigi giravano sempre attorno alla convinzione di Audrey circa la fondamentale inutilità delle azioni del Ministero, teoria negata costantemente e con forza da Percy.
- Vorresti farmi credere che arrestare Stan Picchetto è stato davvero un “duro colpo all’organizzazione dei Mangiamorte”?!
- Non fare la stupida! Dobbiamo commettere anche azioni impopolari, se questo può servire a qualcosa!
- E a cosa sarebbe servito, signor So-Tutto-Io?
- Dimmelo tu, visto che conosci ogni cosa! In fondo ci sei dentro, no? Ci lavori, no?
- Sono fiera di non collaborare a schifezze del genere!
- Se non collabori non puoi nemmeno lamentarti! Meglio quello che faccio io piuttosto che dar retta a un ragazzino con manie di protagonismo!
- Cretino!
- Testa di rapa!
- Ottuso!
- Stupida!
- Sarò anche stupida, ma tu sei troppo intelligente per farti circuire da quella gente!
- Non mi faccio circuire!
- Invece sì!
- No!
- Sì!
Si andava avanti in questo modo per un po’, finché non rimanevano entrambi senza voce; allora uno dei due si scusava, e facevano pace.
Almeno finché il Ministro non prendeva un nuovo provvedimento discutibile. Audrey riattaccava a lamentarsi, e Percy cadeva nelle sue provocazioni.
 
 
Un bel giorno, tuttavia, Percy si rese conto che non esisteva più nessun argomento con cui controbattere a Audrey.
Nessuno. Non più.
Come tutti i testardi e gli ottusi, aveva dovuto sbattere forte contro il proprio errore per riuscire ad accorgersene.
O meglio, per iniziare ad accorgersene.
Incominciò un ventoso mattino di metà giugno, una giornata davvero strana. Il mattino di quel giorno Percy si era ritrovato a verbalizzare un interrogatorio quanto mai eterodosso.
Solitamente era incaricato di stilare i verbali dei processi ufficiali, o almeno di quelli cui presenziava il Ministro, il quale interveniva in casi di particolare gravità.
Aveva assistito invece solo a due interrogatori, ma ne aveva ben chiara la dinamica. Si trattava di una pratica giudiziaria posta in essere per reati di particolare gravità prima della celebrazione del vero e proprio processo: l’ufficiale addetto agli interrogatori poneva inizialmente delle domande di rito sulle generalità (nome, età…), dopodiché aveva inizio la procedura vera e propria, il cui momento culminante era sempre quello in cui venivano mostrate all’interrogato le prove che avevano portato a lui. Potevano essere foto, documenti, testimonianze… qualsiasi cosa. Gli venivano mostrate, di modo che gli fosse possibile smentire o chiarire le apparenze, o crollare inesorabilmente con una confessione in piena regola.
Semplice, ordinato, regolare. Nel segno della giustizia, senza dubbio.
Ma questo valeva per i primi due interrogatori cui Percy assistette. Non per il terzo.
 
Percy non amava particolarmente le aule giudiziarie: gli mettevano addosso una strana sensazione, un disagio inesprimibile. Non che fosse un tipo impressionabile, anzi; però… Però le aule giudiziarie non gli piacevano, ecco.
Era come se… se ci rimanesse dentro la traccia di tutti quelli che ci erano passati. I loro odori, le loro voci, il sudore, le lacrime. I gemiti, i tremiti, la paura. La disperazione, la rassegnazione.
Percy non era un tipo impressionabile, ma odiava le aule giudiziarie.
Sembravano fatte apposta per far sentire colpevoli le persone. E lui aveva molti motivi per sentirsi così.
 
Si era dovuto recare al Ministero prestissimo, prima delle sette: un orario inconsueto per un interrogatorio, ma forse faceva parte delle misure speciali adottate in quel periodo.
Nell’aula Interrogatori era già presente l’ufficiale addetto, che sbadigliava e si stiracchiava stravaccato su una sedia, le gambe appoggiate alla scrivania. Quando vide entrare Percy, gli rivolse un sorriso sghembo.
- Buongiorno, giovanotto! Weasley, giusto? - esclamò, gioviale. - Hanno mandato te a quest’ora infame del mattino?
- Beh, - rispose Percy, andandosi a sedere accanto a lui dietro la scrivania, - a quanto pare ero l’unico disponibile…
- Devi essere un tipo che non ama dormire. - L’ufficiale sbadigliò di nuovo, senza coprirsi la bocca.
- Di’ un po’,- riprese, - hai mai assistito a un interrogatorio, ragazzo?
- Oh, sì - rispose in fretta Percy, fiero di mostrarsi preparato. - Due volte, l’anno scorso; e credo di conoscere la procedura piuttosto bene…
- Se hai assistito a degli interrogatori l’anno scorso, la procedura di oggi ti sembrerà un po’… diversa - lo interruppe l’ufficiale, ridendo. - In compenso ci metteremo meno tempo, vedrai.
A Percy quella frase suonò strana, ma non replicò. Quell’individuo aumentava il suo disagio, invece che diminuirlo.
L’ufficiale sbuffò, guardando l’orologio da polso. - Speriamo che si sbrighino, questi Auror sono veramente…
Non ebbe modo di esprimere il proprio pensiero al riguardo, perché la porta dell’aula si era spalancato e un Auror che Percy non conosceva aveva portato dentro una donna, costringendola a sedersi dinanzi a loro.
Anche a distanza di un anno il ragazzo sarebbe stato in grado di evocare con esattezza quel volto: una signora di mezza età, capelli sale e pepe e occhi chiari; avrebbe potuto essere sua madre.
Alla donna non era stato dato quasi il tempo di pettinarsi, e sul viso leggermente segnato di rughe c’erano ancora dei residui di crema da notte.
Mentre la signora si guardava attorno, confusa e intimorita per quella convocazione improvvisa e senza motivazione, Percy lesse tra sé il documento che l’Auror gli aveva appena porto: l’accusa che pendeva su di lei era di commercio clandestino di manufatti oscuri e collaborazione con i Mangiamorte.
Piuttosto grave, soprattutto in quel periodo.
Prese tra le mani il blocco e la penna per stilare il verbale, e si accorse solo in quel momento che, al contrario, l’ufficiale non aveva portato nulla con sé; gli parve strano, ma non commentò.
L’Auror tornò verso la porta e rimase lì, in piedi; la donna superò il momento di smarrimento e iniziò a guardare alternatamente l’ufficiale e Percy, prima di rivolgersi a quest’ultimo.
- Che succede? Perché mi hanno portata qui? Io…
- Può parlare con me, signora Stapleton - la interruppe l’ufficiale, un po’ irritato dal fatto di non essere stato preso subito in considerazione. - Sono l’ufficiale O’Brien - interloquì poi, cambiando tono di voce e divenendo affabile e cortese.
La donna si volse verso di lui, ma dovette trovarlo comunque poco rassicurante, perché guardò di nuovo Percy. Probabilmente, il vederlo così giovane le ispirava maggior fiducia.
- Io… Non capisco, perché sono qui?
- Signora, - proseguì O’Brien ignorandola, ma sempre gentilmente, - dobbiamo solo farle qualche domanda, non si preoccupi.
- Posso almeno avvisare i miei figli? - chiese di nuovo la donna a Percy - Potrebbero preoccuparsi se…
- Lei è Diana Moira Herston, coniugata Stapleton, giusto? - O’Brien non si curò affatto della richiesta della donna; Percy distolse finalmente lo sguardo da lei e iniziò a prendere nota.
La signora Stapleton tuttavia seguitò a guardarlo, mentre rispondeva alla domanda. - Sì, sono io.
- Nata a Bristol il 15 luglio 1949?
- Sì, ma perché…
- Signora Stapleton, -  esordì O’Brien, con tono professionale, - voglio che le sia chiaro che questo è un interrogatorio ufficiale che prelude al giudizio vero e proprio. Lo scopo di questo interrogatorio è giungere alla verità al fine di garantirle un giusto ed equo processo. Ha compreso, signora Stapleton?
Finalmente la signora Stapleton si volse verso O’Brien. Percy alzò lo sguardo dal foglio, mentre attendeva la sua risposta. La confusione negli occhi di quella donna era immensa.
- Ma… Non capisco, scusi, ma quale processo, io…
- Risponda alla domanda, prego - la fermò l’ufficiale, con un tono di voce improvvisamente più aspro. – Ha compreso?
Messa in difficoltà, la signora Stapleton guardò di nuovo Percy, come aspettando un suggerimento; lui non sapeva bene cosa fare, era la prima volta che un’interrogata si rivolgeva a lui. Le fece solo un cenno con la testa, per invitarla a rispondere. La donna deglutì, prima di dire che aveva compreso.
- Signora Stapleton, - riprese O’Brien, tornando all’atteggiamento incoraggiante, - lei è accusata di commercio di oggetti proibiti e collusione con i Mangiamorte. Come si definisce al riguardo?
La donna spalancò gli occhi: la confusione lasciava il posto alla sorpresa più genuina. Tornò a rivolgersi a Percy.
- Cosa… Cosa vuol dire? Come sarebbe? Io non ho mai…
- Signora Stapleton, risponda alla domanda, prego - ripeté O’Brien.
- … Mai fatto una cosa del genere, come è possibile, c’è un errore…
- Signora Stapleton, - si inserì allora Percy, un po’ incerto ma con voce tranquillizzante, – ci dica solo se si definisce colpevole o non colpevole…
- Signor Weasley, lei si limiti a scrivere, prego - lo interruppe O’Brien, seccato; guardò poi di nuovo la signora Stapleton: l’espressione gentile era scomparsa, lasciando il posto a una durezza di viso e di voce impressionanti.
- Allora, signora, si definisce colpevole o no?
- I-io… No, no, certo che no! - esclamò la donna in fretta.
- Lei afferma, in un interrogatorio ufficiale, di non aver commesso i reati di commercio clandestino di manufatti oscuri e di collusione con i seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato?
- Io non ho mai fatto nulla del genere! - gridò la signora Stapleton, indignata. - Sono una persona per bene, io! Ho un negozio di alimentari, non…
- Signora Stapleton, sa che mentire a un ufficiale addetto agli interrogatori è un reato, che andrà ad accumularsi con gli altri da lei commessi?
- Ma io non ho fatto nulla! - La signora Stapleton appariva ora esasperata. A Percy sembrava sincera, ma aspettava il momento in cui l’ufficiale avrebbe mostrato le prove…
Ma dove diavolo sono queste prove?
Un dubbio pressante si insinuò nella mente di Percy.
Dovevano esserci; il Ministero non avrebbe mai permesso un interrogatorio senza che ci fossero almeno degli indizi determinanti. Non era mai successo, mai. Le prove dovevano esserci.
Che aspettava allora O’Brien a mostrarle?
E perché non ha niente con sé?
- Lei afferma di non aver fatto nulla, - seguitò l’ufficiale, - tuttavia io so benissimo che non è così. Lei mi sta mentendo.
- No, no, glielo giuro, è la verità! - strillò allora la signora Stapleton, alzandosi in piedi. L’Auror che l’aveva accompagnata si avvicinò e la costrinse di nuovo a sedere.
- Signora Stapleton, le ho già detto che è inutile mentirmi. Se confessa potrà avere un giudizio più clemente, glielo assicuro; ma se continua a negare sarà sottoposta ad una pena aggiuntiva…
- Le prove! - gridò la donna, impaurita e al contempo molto lucida. - Dove sono le prove? Non potete avere nulla contro di me, io sono innocente!
Si stava ora difendendo con grande fierezza; Percy smise di scrivere e guardò O’Brien, pensando che questi fosse ormai obbligato a mostrare le prove di quanto affermava. Quello però fece uno strano sorriso, e disse pacatamente:
- Bene, signora Stapleton. Visto che non desidera collaborare con un incaricato del Ministero, io, ufficiale Francis O’Brien, dispongo l’arresto cautelare e la reclusione ad Azkaban in attesa di giudizio, la cui data le sarà notificata entro dieci giorni come previsto dal Regolamento delle Aule Giudiziarie. È tutto. Pensaci tu, Norman.
- Cosa?! NO! - gridò la signora Stapleton volgendosi verso Percy, disperata, mentre l’Auror l’afferrava per un braccio e la conduceva fuori. - No, no, non è vero, non è vero, non avete le prove! Non avete le prove! I miei figli, i miei figli… No, no, no!
La porta chiusa dell’aula Interrogatori non impedì alle urla di raggiungere Percy e O’Brien dal corridoio.
L’ufficiale non disse nulla, finché l’eco dell’ultimo urlo non svanì; poi si stiracchiò, con evidente soddisfazione.
- Bene, - fece, - come promesso, abbiamo già finito. Ti offro un caffè, ragazzo?
 
Percy non lo sentì nemmeno. Non si era mai sentito così impotente, così confuso.
Quello… Quello era un interrogatorio?
E in quale universo, scusa?
Lui aveva sentito tutto; aveva scritto tutto. Il poco che si erano detti O’Brien e la signora Stapleton era lì, nero su bianco.
In base a cosa l’ha fatta portare via?
Dov’era la confessione? Dov’era la ritrattazione? Dov’era la difesa?
Dov’erano le prove?
Quel… Quel cretino di O’Brien aveva commesso un errore, un terribile errore! Perché, perché aveva fatto recludere quella donna? C’era forse qualcosa che Percy non sapeva?
 
- Weasley, mi hai sentito?
Percy si riscosse. Si rese conto di stare fissando la porta da cui la signora Stapleton era stata costretta ad uscire.
- S-sì… Scusi, ufficiale, ma… - non sapeva come formulare la sua domanda.
- Ma… Non ho capito bene come…
- Non dirmelo - lo fermò O’Brien, mentre si alzava e si avviava verso la porta. - Stai per chiedermi come mai ho svolto l’interrogatorio così, giusto?
Percy lo raggiunse di corsa, chiudendo poi la porta dietro di sé.
- Lo chiedono tutti quelli che assistono a un interrogatorio di nuovo tipo. Non sai che le procedure sono cambiate, rispetto all’anno scorso?
Stavano percorrendo il corridoio a lunghi passi; Percy faticava a star dietro all’ufficiale. Scosse la testa.
- È passata una circolare, lo scorso novembre; per interrogatori che riguardano casi di collusione coi Mangiamorte non è più necessaria la fase delle prove e tutto il resto: basta il sospetto.
- Cosa?! - esclamò Percy basito, forse con un tono di voce troppo alto. – Il sospetto?!
- Esatto - rispose tranquillo l’ufficiale. – In questo modo, le persone vengono portate a giudizio più rapidamente: d’altronde, per casi gravi come la collaborazione coi Mangiamorte non è il caso di mettersi a perdere tempo cercando prove dando a queste persone il modo di difendersi, ti pare?
No, a Percy non pareva proprio. Il suo cervello iniziò a formulare strani pensieri, a una velocità incredibile.
Niente prove, niente difesa.
Per i casi più gravi.
Queste persone.
Più rapidamente.
In base a cosa?
- E… Mi scusi se glielo chiedo, - articolò, cercando di rimanere tranquillo, – ma… in base a cosa ha… ritenuto di mandare a processo quella donna?
L’ufficiale stava ormai per uscire dal Ministero; si voltò verso Percy e fece un sorriso furbo, toccandosi il naso.
- Fiuto, ragazzo, fiuto! - Rise. – Sono più che certo che quella tizia mentiva, lo sento nelle ossa. La cosa migliore è proprio questa: posso mettere a frutto l’esperienza accumulata in dieci anni senza dovermi mettere a cercare le prove di ciò che so già.
- Va bene, però… - Non va bene per niente, non va bene per niente, cazzo! - … quello che volevo dire è… Se non ci sono prove, come siete arrivati alla signora Stapleton?
L’ufficiale sbuffò, vagamente irritato; aveva fretta di tornarsene a casa a dormire, probabilmente.
- È partita una denuncia dal suo vicino di casa. Ora, scusami ma devo…
- E come fa a sapere se quella donna è davvero colpevole? - riprese a chiedere Percy, a voce ancora più alta. – Come può esserne certo, se non ha le prove? Come fa ad essere sicuro che il suo vicino non mentisse? Come fa a dire che quella donna va processata se non sa…
- Senti, ragazzino, - sbottò l’ufficiale, stavolta decisamente arrabbiato, - non pensare di venire a insegnarmi il mestiere, chiaro? Ho solo applicato la legge che il Ministero ha approvato. Del resto non mi curo.
Uscì con passo affrettato, senza salutarlo.
 
Percy invece non riuscì a muoversi da lì. Mille pensieri si stavano affollando nella sua mente, generando una terribile confusione in cui però si stagliava, chiarissima, un’unica convinzione:
Non può essere vero.
 
Passò il resto della mattinata a frugare nell’archivio in cerca della circolare menzionata da O’Brien, preso da una foga e un’inquietudine che non aveva mai conosciuto. Inizialmente Audrey si offrì di aiutarlo, ma dovette desistere dopo un po’: lui non la sentiva nemmeno, troppo concentrato a scrutare ogni singolo foglio che gli capitava dinanzi.
Lo scorso novembre. Il Ministro aveva emesso centinaia di circolari dirette ai dipendenti, da quella data. Poteva essere finita ovunque.
Aprì raccoglitori, sfogliò fascicoli, cercò e cercò, perché doveva vederlo coi suoi occhi, che il Ministero aveva deciso di permettere che una donna (ma quante altre, oltre a lei?) fosse mandata ad Azkaban senza prove.
 
La trovò, alla fine. Era in un raccoglitore che aveva già controllato, e in cui aveva guardato di nuovo solo per scrupolo.
Seduto in terra a gambe incrociate, con gli occhi ormai distrutti per averli sforzati a decifrare scritture minuscole e brutte grafie, lesse.
Vista la necessità di giudizi celeri e condanne certe, si esentano gli Ufficiali Addetti agli Interrogatori dalla ricerca di prove indiziarie a carico dei soggetti indagati per i reati di: Concussione con Seguaci di Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato, Istigazione e Associazione a scopo di Sostegno di Voi-Sapete-Chi ed altri ad essi assimilabili per via analogica. Si terrà conto, al fine dell’arresto cautelare e della detenzione ad Azkaban in attesa di giudizio, delle sole denunce e della discrezionalità degli Ufficiali.
 
Discrezionalità. Una parola complicata, che stava a significare un concetto tanto semplice.
Significava che non c’erano limiti, o quasi, alle decisioni degli ufficiali. Avrebbero potuto esserci miriadi di prove di innocenza, o non esserci affatto prove di nessun tipo: in ogni caso, un qualsiasi ufficiale O’Brien poteva decidere senza problemi che una tale signora Stapleton, denunciata da chissà chi e chissà perché, andava mandata ad Azkaban e processata, se lo riteneva.
Poteva farlo, con prove contrarie o in assenza di prove. Poteva, e basta. La legge del Ministero lo permetteva.
Ma quale legge?
Dov’era l’ordine, dov’era il rigore in quel sistema?
Percy era pronto ad appoggiare e a difendere il Ministero contro qualsiasi attacco, anche contro Audrey, perché per lui rappresentava l’ordine, la legge al di sopra di tutto; per quell’ordine, per quella legge era pronto a sacrificarsi, per quello che sentiva essere un bene superiore.
Ma - di nuovo - dov’era l’ordine, dov’era la legge, dov’era il bene in un sistema che permetteva che una qualsiasi signora Stapleton, forse innocente, fosse gettata in galera senza che qualcuno si scomodasse a dimostrarne la colpevolezza?
 
Non ci credeva, non ci credeva. Lesse le poche righe della circolare tre, quattro, cinque volte; credendoci sempre di meno.
È vero?
È vero che lo permettiamo?
È vero che abbiamo lasciato l’innocenza e la colpevolezza delle persone in mano a gente come O’Brien?
E la legge dov’è? Dov’è l’ordine?
È vero?
L’interrogatorio della signora Stapleton era una prova più che tangibile del fatto che sì, era vero.
 
 
I miei figli, i miei figli…
Per il resto della giornata, quelle parole urlate dalla signora Stapleton accompagnarono i pensieri di Percy.
I miei figli, i miei figli…
Chissà quanti figli aveva, quella donna. Dovevano essere piccoli, per stare ancora in casa con lei; o forse avevano già finito Hogwarts, chissà.
Potevano anche avere la sua età.
Alle sette di mattina dovevano essersi svegliati, e non l’avevano più trovata in casa. Magari invece erano stati buttati tutti giù dal letto dagli Auror, ed erano riusciti a darle un saluto frettoloso.
Un ultimo saluto, forse.
I miei figli, i miei figli…
Tutto per una denuncia del vicino. E se quella denuncia fosse stata falsa?
Se il vicino avesse inventato la storia del commercio clandestino, per qualche ragione?
Era possibile?
E in quel caso, cosa succedeva?
Cosa succede se un innocente va in prigione?
Cosa succede se la colpa è del Ministero?
 
La parte razionale di Percy cercò automaticamente, per tutto il giorno, di dare un senso a ciò che aveva visto. In fondo, non gli era mai giunta notizia di persone innocenti giudicate colpevoli in tribunale; quelle misure cautelari così severe erano di certo volte al bene dei cittadini; magari erano scorrette per quanto riguardava l’applicazione pratica, ma contenevano di certo una logica intrinseca. Il Ministero non fa mai nulla per nulla.
Mi preoccupo troppo. È evidente che le prove saranno raccolte in tempo per il vero e proprio processo. Sì, è così di sicuro. Finora è stato così, questa cosa non è cambiata.
Sì sì, è così.
Deve essere così.
Il Ministero non permetterà che si faccia altrimenti.
Non può.
 
Il dubbio, però, rimase.
Tutt’ad un tratto, il suo ordine di idee era stato mandato in confusione dalle urla di una donna e da una strana legge. Potrà sembrare strano, per uno come lui; insomma, era pur sempre Percy Weasley, il ragazzo che aveva avuto abbastanza pelo sullo stomaco da troncare i rapporti con la propria famiglia per non rinunciare alle prospettive di carriera che il Ministro gli aveva offerto.
Uno così non dovrebbe crollare davanti a un (probabile) caso di errore giudiziario.
E invece sì.
Perché Percy Weasley aveva un cuore d’asino e uno di leone.
 
Quando era molto piccolo, aveva chiesto a suo padre il significato di quello strano modo di dire; era rimasto piuttosto impressionato dall’idea che una persona potesse avere due cuori, appartenenti tra l’altro a due animali. Arthur aveva sorriso davanti a quello strano dubbio, e si era messo pazientemente a spiegargli.
- Vedi, Perce, è solo un modo di dire. Significa che gli esseri umani sanno essere sia coraggiosi e forti come leoni, sia impauriti e insicuri come asini. In alcuni momenti però può succedere che un uomo si senta leone ed asino nello stesso istante, e abbia coraggio e paura allo stesso tempo. Capirai quando sarai grande – aveva concluso, dando a Percy un buffetto sulla guancia e ridendo della sua espressione confusa.
Ora Percy era grande, e capiva. Capiva benissimo.
Si sentiva diviso a metà, spaccato proprio come se avesse due cuori, due anime; non erano nemmeno ben distinte tra loro, anzi, ad ognuna appartenevano elementi diversi e discordanti.
Una credeva nel suo lavoro e nel suo Ministro, l’altra nelle urla della signora Stapleton e nell’evidente assurdità della circolare che aveva letto.
Il suo cuore di leone era fermo sui propri ideali e sulla propria posizione, il suo cuore d’asino vacillava pericolosamente.
Il suo cuore di leone era pronto a pretendere spiegazioni, il suo cuore d’asino aveva paura a chiederne.
Il suo cuore di leone avrebbe rinunciato al suo posto di lavoro quello stesso giorno; il suo cuore d’asino no.
- Tutto bene, capo?
Si riscosse. Erano solo le due e mezza; quella maledetta giornata non sarebbe mai finita.
Guardò verso Audrey, la cui voce lo aveva risvegliato dalle sue riflessioni.
- Sì, Bennet, tutto bene…
L’occhiata che gli rivolse Audrey era piuttosto eloquente: non se l’era bevuta, ovvio. Tuttavia la ragazza non commentò.
- Volevo ricordarle che deve andare dal Ministro, tra un quarto d’ora…
Il Ministro. Già. Ci mancava solo questo.
Doveva andare dal Ministro a depositare il verbale stilato quella mattina.
- Me lo ricordo, grazie.
Magari, gli sussurrò il suo cuore di leone, mentre Audrey richiudeva la porta, puoi parlarne con il Ministro, dirgli dei tuoi dubbi. Lui ti saprà spiegare ogni cosa, in fondo sei il suo assistente, vedrai che ti capirà… Devi riuscire a capire se nel sistema c’è qualcosa di sbagliato, devi farlo, perché tu hai venduto l’anima per questo, e se il sistema è marcio devi uscirne, non è per questo che lavori, non lavori perché la signora Stapleton vada ad Azkaban: tu lavori per il bene di tutti, anche per il tuo, sì, ma la politica è il bene di tutti, non di alcuni a discapito degli altri, e devi capire se è così… se è così devi starne fuori, tu non sei così marcio, non devi esserlo…
Si sentì sempre più convinto, ascoltando quella voce interiore. Non c’era una parola che non fosse vera.
Lui… non poteva, non voleva credere che al Ministero si permettessero abusi contro persone di cui non si provava la colpevolezza; ma se davvero era così, allora il Ministero poteva fare a meno di lui. Non era per quello che stava lavorando, non era per quello che si era dannato l’anima a vent’anni.
Non era per quello che era disposto a sacrificarsi.
 
Dopo quindici minuti era lì, davanti alla porta dell’ufficio del Ministro.
Teneva stretto tra le mani il verbale, come un amuleto. Non aveva bisogno di altro: conosceva ogni singola parola raccolta in quelle poche pagine, ogni verbo, virgola, pausa; e tutto portava a una sola domanda.
È vero, Ministro, che distruggiamo gli innocenti per salvare quelli che forse non lo sono?
Un cuore di leone, si sentiva solo un cuore di leone, in quel momento. Pronto a fare la cosa giusta, anche se significava lasciare il Ministero, anche se significava tornare strisciando dalla sua famiglia.
E chissà, magari anche Audrey sarebbe stata contenta. Quel pensiero lo riscaldò più di tutto il resto.
Girò piano la maniglia; non gli serviva più bussare, ormai.
Scrimgeour era appoggiato alla sua scrivania, assorto nella lettura di una pergamena. Come Percy mise piede nell’ufficio, alzò la testa e gli sorrise.
- Allora, Weasley, com’è andata stamattina?
Ecco. Era quello il momento.
Era l’istante perfetto: quello in cui avrebbe dovuto parlare col cuore in mano, lì, subito, davanti al Ministro che tanto stimava e da cui si sentiva stimato, parlare e dire quanto ingiusti fossero per lui quel sistema, quella ricerca di una falsa giustizia e quella fretta di mandare le persone in galera, lo sa, Ministro, la signora Stapleton ha dei figli, e loro forse nemmeno sanno dove sia la madre adesso…
Ma non disse niente.
Niente.
Restò lì, coi suoi fogli in mano, un po’ imbarazzato. Spostò il peso da un piede all’altro e deglutì due volte, prima di rispondere:
- Non male.
Il Ministro non smise di sorridere, mentre aggiungeva:
- Ne ero sicuro. Sapevo che sarebbe stato interessante, per te, assistere a un interrogatorio. In fondo, - soggiunse, - uno nella tua posizione deve poter fare tutte le esperienze possibili, ed è ora che inizi a pensare seriamente alla tua carriera, ragazzo…
Dov’era, dove diamine era finita quella sicurezza, quella decisione che sentiva pochi istanti prima? Chi gliel’aveva portata via?
Dov’era il suo cuore di leone? Pochi minuti prima si sentiva spezzato a metà e nonostante ciò pronto a tutto.
Ora un solo cuore batteva in lui. Un cuore d’asino.
Niente, non riusciva a dire niente, mentre Scrimgeour continuava a parlare di lui e di ciò che avrebbe potuto fare in futuro. Nessuna delle belle parole che aveva preparato uscì dalla sua bocca. Rimase lì, finché il Ministro non gli prese il verbale dalle mani e non lo congedò.
Un cuore d’asino aveva, un cuore d’asino. Che lo rendeva semplicemente impotente di fronte alla necessità di fare la fottuta cosa giusta.
Aveva un cuore d’asino: per quello era rimasto lì, senza riuscire a dire nulla; per quello sarebbe rimasto lì, al suo posto, nel Ministero.
 
 
Tornato a casa, quando finalmente quella maledetta giornata sembrava finita, trovò Audrey già lì ad aspettarlo.
Audrey… Sembrava che sapesse tante cose di lui. Le intuiva, semplicemente. Spesso Percy non doveva nemmeno spiegarle come si sentiva, lei lo capiva lo stesso. Avevano fatto decisamente dei passi avanti, rispetto allo scorso dicembre.
Possibile che Audrey sapesse anche del suo cuore d’asino?
Lo sapeva, lei, che razza di uomo era? E se lo sapeva, perché gli stava ancora accanto?
Perché rimanere insieme a una persona senza coraggio, senza abbastanza forza e coerenza da prendere una decisione, una, che fosse giusta?
- Ehi…
Audrey lo stava guardando, e sorrideva. Rispose a quel sorriso: era, di certo, la prima cosa veramente bella che quella giornata gli regalava.
La seconda fu il suo profumo di mela mentre si avvicinava e si sollevava sulle punte dei piedi per baciarlo.
- C’è della posta per te, è appena arrivata…
 
Audrey non sapeva del suo cuore d’asino. Sapeva però benissimo che c’era qualcosa di cui Percy non voleva parlare, e questo qualcosa era la sua famiglia.
A Capodanno Percy le aveva accennato a una qualche discussione che c’era stata tra lui e i suoi parenti, ma poi non aveva più menzionato quell’argomento. Le poche volte che Audrey si era lasciata sfuggire qualche domanda era diventato evasivo, e alla fine la ragazza ci aveva rinunciato del tutto.
Tanto prima o poi me ne parlerà…
Pensò questa cosa anche quella sera, mentre porgeva la lettera indirizzata a Percy a quest’ultimo.
Audrey non l’aveva aperta, ma era curiosa: era raro che in quella casa circolassero lettere che non provenissero dal Ministero o dai Bennet; quella invece era strana. La grafia con cui era stato scritto l’indirizzo era diversa da qualunque altra conosciuta da Audrey: rotonda, poco marcata, leggermente tremolante.
Percy sembrava invece conoscere molto bene quella grafia, perché come prese la busta tra le mani divenne serio.
- Ah - fece, atono, - sì, grazie.
Audrey lo guardò stranita, mentre lui lasciava cadere la lettera su un tavolo e si toglieva il soprabito.
- Beh? - domandò, dopo qualche secondo. - Non la leggi?
- Non serve, - mormorò Percy, - so già cosa contiene.
- Chi te la manda?
- Non è importante.
- Allora - domandò Audrey, con una strana idea in mente, - non ti dispiace se la leggo io, vero?
Prima che Percy potesse fermarla, Audrey aveva afferrato la busta e l’aveva aperta.
- Dammela subito! - strillò lui, mentre cercava inutilmente di sfilargliela dalle mani.
- E perché? A te non interessa, a me sì - rispose Audrey, allontanandosi velocemente e brandendo la busta aperta a debita distanza da lui.
- Audrey, smettila subito, capito? Non voglio che tu la legga!
- Cos’è, hai un’amante? - ridacchiò lei.
- No, ma ho avuto una pessima giornata, e se non mi dai subito quella lettera tu avrai una pessima serata!
- Te la do solo se prometti di leggerla, qui e subito.
Percy sbuffò. Perché doveva mettersi a fare la ragazzina proprio in quel momento?
Diamine, finora era riuscito a evitare che Audrey trovasse le lettere che sua madre gli mandava; Percy non voleva nemmeno  leggerle, sapeva fin troppo bene cosa ci avrebbe trovato dentro. E non voleva che Audrey sapesse del suo rapporto (o non-rapporto?) con gli altri Weasley. Non voleva, punto e basta: non si sentiva ancora pronto ad affrontare quell’argomento con lei.
E adesso, invece, quella squinternata si permetteva di intromettersi in quel modo negli affari suoi!
Sbuffò di nuovo, esasperato.
- Bennet - sibilò - non fare la stupida. È la mia posta, e ci faccio quello che voglio, chiaro?
- Beh, finché ce l’ho in mano io è la mia posta, e visto che tu hai detto che non ti interessa la leggo io.
- No! Dammela, dannazione, giuro che la leggo, ma dammela!
La ragazza rimase sorpresa da tanta veemenza, e Percy ne approfittò per acciuffare di corsa la lettera e aprirla.
Un cartoncino cadde a terra, ma non se ne accorse. Si limitò a leggere le poche righe che Molly Weasley aveva vergato con la sua inconfondibile grafia.
Tuo fratello Bill si sposa. Sarei tanto felice se venissi al matrimonio.
Mi manchi.
Mamma.”
 
Se Percy avesse letto le lettere precedenti avrebbe saputo che quella era la più breve mai scritta da Molly. Tuttavia non si curò della brevità; doveva prima digerire il contenuto del messaggio.
Bill si sposava. Cavolo.
Di già?
E con chi?
Quando mai si era fidanzato uno come lui? Per quanto ricordava, Bill non era proprio il tipo da “figli-e-famiglia”, anzi!
Cavolo…
Chissà quante altre cose erano cambiate, in sua assenza…
- Chi è William, Percy? Un tuo parente?
Percy alzò lo sguardo su Audrey. Aveva raccolto il cartoncino e lo stava osservando.
- Questo è un invito a un matrimonio: c’è scritto che William Weasley si sposa con Fleur Delacour… Sono tuoi parenti?
Fleur Delacour? Ma dai, la biondina francese del Torneo Tremaghi! Il mondo è davvero piccolo…
- Percy?
- Sì. Lo sposo è mio fratello.
Fece una smorfia, vedendo la faccia sorpresa di Audrey.
- Uno dei miei tanti fratelli.
Si avvicinò e le prese l’invito dalle mani. L’osservò un momento, poi lo strappò.
Strappò anche la lettera, senza che Audrey riuscisse a dire qualcosa.
Ecco, di nuovo, la parte - in un certo senso - coraggiosa di lui. Quella che lo faceva rimanere saldo e fermo nelle sue convinzioni. Non era il momento di tornare dalla sua famiglia, di sicuro non sarebbe stato gradito a quel matrimonio, quindi la risposta non poteva che essere no, grazie tante mamma ma no, ho una sola parola e andrò avanti sulla mia strada, tu aspettami che prima o poi tornerò ma non adesso…
No, no, no. Ho deciso.
Guardò di nuovo verso Audrey, e si stupì nel vederla così triste.
- Non mi parlerai mai di loro, vero, Percy?
E di nuovo sentì sparire tutto il coraggio. Tutta la determinazione si dissolse come una bolla di sapone, come quel pomeriggio davanti a Scrimgeour.
Rimase solo con la sua stupida paura, come quel pomeriggio. L’idea di parlare a Audrey della sua famiglia lo fece rimanere muto, come se un tremito interiore gli impedisse di parlare e gli legasse la lingua e il cuore. Il suo cuore.
Un cuore d’asino, sempre e comunque.
Non rispose alla domanda, ma non ce n’era bisogno. Audrey aveva capito benissimo.
 
 
 
Non ne parlarono più. Audrey non gli fece più alcuna domanda sulla sua famiglia.
Cavolo, non credevo stesse così male. Ma che diamine ha combinato?
Il fatto che Percy non si confidasse con lei la metteva a disagio, ma cercava di non pensarci; faceva parte di quegli atteggiamenti negativi che Audrey stava imparando a sopportare in quei mesi di convivenza.
Deciderà lui quando parlarmene. Prima o poi me ne parlerà.
Non voleva calcare la mano, con Percy; soprattutto riguardo a un argomento che apparentemente lo faceva stare così male.
Sapeva che doveva essere delicata con lui, perciò non gli chiese più nulla. Non gli fece più nessuna domanda, riguardo ai suoi genitori, o alle lettere che riceveva e non leggeva, o al matrimonio di suo fratello.
Non faceva domande, e aspettava una risposta.
 
 
Ho già detto, però, che quell’estate fu felice per entrambi.
È vero, lo confermo; e ciò che ho detto finora non smentisce questa verità.
Per quanto riguardava loro due, Percy e Audrey erano al massimo della felicità; purtroppo, era tutto ciò che girava attorno a loro a non essere felice.
E non sarebbe migliorato.
 
Arrivò quel maledetto trenta giugno; maledetto, in tutti i sensi.
Percy non aveva fatto in tempo nemmeno ad entrare in ufficio che il Ministro lo aveva chiamato nel suo, di corsa. Insieme a lui c’erano altre quattro o cinque persone, pezzi grossi che Percy conosceva solo di vista.
Scrmigeour non perse tempo coi discorsi introduttivi, come faceva di solito. Fu subito chiaro e lapidario.
- Silente è morto, i Mangiamorte sono entrati a Hogwarts ieri notte. Ora, capirete tutti che, vista la gravità della situazione, noi…
Percy non sentì le ultime parole. La sua testa aveva iniziato a ronzare.
Silente? Morto? Mangiamorte a Hogwarts?
Ma a Hogwarts ci sono…
Il cuore mancò un battito.
Ci sono Ron e Ginny, cazzo.
Oddio.
No.
- Weasley, tutto bene?
Un uomo di cui non ricordava il nome, vicino a lui, lo aveva riscosso dai suoi pensieri con una leggera spinta.
No, no, che non va bene, cazzo, no…
Perché non ho saputo niente, perché…
- Weasley?
Adesso anche il Ministro lo stava fissando, e gli altri uomini. Percy era diventato mortalmente pallido.
- Weasley? Hai bisogno di qualcosa?
- I-Io… - balbettò. Calma. Mantieni la calma.
- I-Io… No, no, tutto bene, solo… Ci sono state altre vittime, oltre al professor Silente? - domandò in un soffio.
- Non abbiamo ancora la stima esatta dei danni, ma è probabile. Di sicuro ci sono stati dei feriti, sono già stati ricoverati al San Mungo. Dunque, come dicevo, per il funerale noi…
Al diavolo il funerale, al diavolo tutto. Ron e Ginny, cazzo.
Una paura tremenda lo attanagliava, la paura che fosse successo loro qualcosa.
I Mangiamorte… C’erano di sicuro i Lestrange, tra loro. E Greyback, cazzo, Greyback.
Che potevano fare Ron e Ginny contro gente così?
E lui… lui non sapeva niente, niente, cazzo.
Niente.
Oddio.
A tutto quello che diceva il Ministro Percy annuì meccanicamente, senza ascoltare, senza pensare.
Si rese conto, alla fine, di aver accettato di far parte della delegazione che avrebbe partecipato al funerale di Silente, di lì a due giorni.
Non gli importò. Non gli importò di nulla.
Cazzo, Ron e Ginny.
E non so se gli è successo qualcosa.
 
Naturalmente, non ebbe il coraggio di mandare una lettera a casa, per sapere, per chiedere informazioni. Non ce la faceva.
Come al solito, il suo cuore d’asino aveva vinto. Non aveva nemmeno il coraggio di scrivere per domandare informazioni sui suoi fratelli.
Preferì macerarsi nell’attesa, finché Roman non gli mandò dal San Mungo la lista degli studenti feriti gravemente.
Nessun Weasley; lo stesso nell’elenco dei morti.
Una giornata passata ad aspettarsi il peggio, perché non riusciva a scrivere una lettera a sua madre.
Una maledizione, il suo cuore d’asino; e non se ne sarebbe liberato tanto presto.
 
Audrey insistette per accompagnarlo al funerale; aveva conosciuto Silente, a Hogwarts, e la notizia della sua morte l’aveva molto rattristata.
Percy avrebbe preferito che lei non l’accompagnasse, ma alla fine dovette cedere.
- Di’ che mi porti in quanto tua segretaria, o inventati un’altra balla…
- Non preoccuparti, non credo che qualcuno farà storie per una persona in più.
Infatti; quasi nessuno si accorse che l’archivista Audrey Bennet si era aggregata alla delegazione ministeriale che accompagnava il Ministro a Hogwarts, il giorno del funerale di Albus Silente.
Seduta poco distante da Percy, Audrey poté osservarlo, e si rese conto che non guardava verso la bara di Silente né verso il lago: i suoi occhi erano puntati verso una coppia di mezza età con i capelli rossi piuttosto distante da lui, che quindi non poteva vederlo. Audrey ebbe un sobbalzo, quando vide che una delle due persone era l’uomo che aveva incontrato nell’ascensore del Ministero mesi prima, l’uomo che aveva scambiato per il capo.
Non dirmi che quello è suo padre…
Sembrava proprio di sì. Audrey non riusciva a vedere l’espressione sul viso di Percy, ma si sentì più che sicura del fatto che il suo compagno stava guardando i suoi genitori.
Ma perché non va da loro? Che diamine hai combinato, Percy?
La coppia non si era accorta dello sguardo del figlio; si stavano sostenendo a vicenda, lei in lacrime, lui più composto. Accanto a loro sedevano i due gemelli che Audrey aveva già conosciuto la prima volta che era uscita con Percy, e vicino ad essi un ragazzo con i capelli lunghi e profonde cicatrici sul viso, e una bellissima ragazza bionda.
Chi erano? Audrey sentì vivo e pungente il desiderio di conoscere quella parte della vita di Percy che lui le precludeva; perché, perché non voleva parlargliene?
Perché si vergognava di fronte a lei? Non sapeva che aveva imparato ad accettarlo, che lo avrebbe capito, che gli voleva bene comunque, qualsiasi difetto avesse?
Non aveva capito che lo amava, dannazione?
Percy sentì su di sé lo sguardo di Audrey, e si voltò verso di lei. Lesse la curiosità e la pena sul suo viso, e il suo cuore tremò di nuovo.
Come, come spiegarle che razza di persona era davvero?
Non ne aveva il coraggio.
Solo un cuore d’asino, ancora e ancora.
Un cuore d’asino, un cuore d’asino, un cuore…
Ma poi, ce l’aveva davvero un cuore?
Osservò ancora la sua famiglia, da lontano.
Forse no.
 
 
 
 
Nonostante tutto, passò anche quel mese. Come, non si sa.
Le giornate si erano fatte di piombo; una tensione estrema pervadeva l’aria, nel Ministero e fuori, ed era sempre più difficile trovare un pezzetto di pace in quell’atmosfera così pesante.
Per Percy, pace era Audrey.
Lo so, lo so: è scontato, banale, sa di già sentito, un luogo comune. Lo so. Però non posso farci niente: era esattamente così.
Se aveste chiesto a Percy quale fosse la cosa che lo rendeva felice in quei giorni, lui avrebbe risposto “Audrey”.
Scontato, banale?
Non ci si può far nulla, mi dispiace.
E per Audrey era lo stesso. Cos’è che ti rende felice in questi giorni, Audrey? “Percy”.
Forse a vent’anni ci si può permettere di essere banali e scontati, no?
Ad ogni modo, quel mese pesante passò; passarono i giorni in cui Percy rimaneva fuori fino all’alba e correva di nuovo dal Ministro dopo poche ore, passarono i giorni in cui Audrey e Adams dovevano correre su e giù tra l’archivio e gli uffici a consegnare documenti, fascicoli e certificati di qualsiasi genere, per scopi non chiari. Passarono quei giorni talmente tesi e frenetici che non se ne vedeva la fine, quei giorni in cui ogni momento trascorso insieme, rubato al lavoro e alla preoccupazione, era un dono, un pezzetto di paradiso.
Passarono, e ne vennero di peggiori.
Noi che viviamo in un periodo lontano da quei giorni bui e sappiamo bene cosa accadde, potremmo forse pensare che quello che avvenne il primo agosto al Ministero fosse evitabile, persino prevedibile.
Beh, vi assicuro che chi in quel tempo era lì non avrebbe mai, mai potuto pensare che il Ministero sarebbe stato attaccato in modo così poco plateale e al contempo così devastante, e che la situazione sarebbe precipitata in così poco tempo.
Lo stesso Percy non avrebbe mai potuto immaginarlo, eppure il Ministero era ormai la sua seconda casa. Sempre più spesso Scrimgeour chiedeva di lui, sempre più spesso restavano fino a notte alta a discutere, a pensare, a decidere. Se anche all’inizio Scrimgeour aveva assunto Percy per la vicinanza della sua famiglia a Silente, come aveva detto Arthur, ora non lo dava a vedere, anzi: sembrava cercare sempre più l’appoggio del suo assistente, ne teneva in considerazione il parere e le idee.
Peccato che non ebbe mai modo di dirglielo apertamente.
La sera del primo agosto Scrimgeour e Percy erano rimasti al Ministero, e contavano di starci ancora per un po’. L’edificio era ormai quasi vuoto, ad eccezione forse degli Indicibili e di qualche impiegato che aveva deciso di fare degli straordinari.
L’ufficio del Ministro era quasi buio, ormai. L’unico rumore era il fruscio della penna di Percy sulla pergamena, alternato al respiro talvolta affannoso di Scrimgeour, seduto di fronte a lui, che leggeva e rileggeva i suoi documenti.
- Vuole del caffè, Ministro?
Scrimgeour alzò gli occhi stanchi su Percy. Incredibile cosa si possa fare a vent’anni: il mondo può stare in bilico su una lama, eppure si riesce ancora a pensare alle piccole cose. Come il caffè in una notte di veglia.
- No, Weasley, grazie. Se ne vuoi puoi andarlo a prendere, però. Ti sei meritato una pausa.
- Non credo mi serva, grazie Ministro.
Scrimgeour lo osservò; così giovane, e così ossequioso. Se fossero stati tutti come Weasley, lì al Ministero, probabilmente lui non avrebbe avuto tutti quei problemi da risolvere.
Il ragazzo intanto aveva ripreso a scrivere il documento a cui stavano lavorando: una richiesta di alleanza con i Giganti.
Scrimgeour fece una risata amara, e Percy alzò la testa per guardarlo.
- Non è buffo? - ghignò il Ministro senza allegria. – Ho fatto tanto per non piegarmi a Silente, per fare di testa mia, come Caramell. E ora… Ora sto semplicemente seguendo un suo consiglio. Diamine. Quel dannato vecchio starà ridendo come un matto, dall’altra parte…
Di nuovo una risata, amarissima. – Ho fatto tutto e non ho fatto niente. Ho pensato alla mia immagine e a quella del Ministero e ho trascurato le cose davvero importanti. Credevo di fare bene tutto - strinse i pugni – e mi ritrovo ad allearmi con i Giganti.
Fissò Percy: quel ragazzo lo stava guardando con un’espressione un po’ confusa, forse non si aspettava quello scoppio di confidenze. Ma era giovane, e doveva capire.
- Ormai - seguitò, – sono da solo, ed è giusto così. Questa è diventata la mia battaglia. Ho solo il rimpianto di non averla combattuta decentemente dall’inizio.
- Lei non ha niente da rimproverarsi, Ministro - mormorò allora il suo assistente. – Pensava di fare bene, ma tutti possono sbagliare.
Scrimgeour fece una smorfia. - È vero, Weasley. Ma quanti altri possono dire di aver mandato persone ad Azkaban senza né prove né processo?
- Lei… - provò a rispondere Percy, ma si fermò. Mise insieme le parole adatte e proseguì. - Nessuno può dire di aver fatto tutto bene. Nessuno. Ma lei… Lei ha la responsabilità del mondo magico inglese, Ministro. È vero, penso anch’io che avrebbe potuto evitare qualcosa, o farla meglio, ma… - si leccò il labbro, pensando. – Ma non si è tirato indietro, si è assunto le sue responsabilità, nel bene o nel male. Io penso… che non debba rimproverarsi nulla.
Scrimgeour lo osservò. Quel ragazzo era davvero sincero: non lo stava arruffianando, non cercava di compiacerlo. Così giovane, così sincero…
- Grazie, Weasley. Era ciò che avevo bisogno di sentirmi dire. Grazie davvero.
Vide il ragazzo fargli un piccolo sorriso gentile, appannato dall’estrema stanchezza.
- Ascolta, penso che la richiesta di alleanza possa aspettare domattina, che ne dici? - soggiunse Scrimgeour, sorridendo dell’espressione stupita del suo assistente. - Sei stanco, Weasley: vai a casa.
- Oh, no, - fece il ragazzo in fretta - non è necessario, sto bene…
- Avanti. Non hai una ragazza che ti aspetta a casa? - Sorrise. - Sì, l’archivista, quella carina, piccolina, con i capelli corti…
Percy arrossì. Cosa ne sapeva il Ministro di Audrey?
- Ma… Io… Sì, beh, ma…
Scrimgeour sorrise di nuovo. - Un vantaggio dell’essere Ministro della Magia è che non mi si può nascondere nulla. Un altro vantaggio è che posso decidere quando un mio dipendente deve andare a casa o rimanere qui. Vai pure, Weasley; mi hai già aiutato molto, oggi.
Lo sguardo del suo assistente tradiva la gratitudine che provava. Doveva essere davvero stanco, oppure doveva desiderare molto la compagnia della piccola archivista.
- Davvero? - domandò Percy, incredulo. - Posso… Posso andare?
- Direi di sì, e sbrigati prima che io cambi idea - rispose il Ministro, con tono stanco ma sempre sorridendo.
Il suo assistente. Così giovane, così vivo. Anche in un tempo così morto.
- Va bene, allora… - fece Percy, raccogliendo in fretta le sue cose. – Allora… Grazie, Ministro. A domani.
- A domani, Weasley. Puntuale, mi raccomando.
- Lo sarò. A domani.
- A domani.
La porta dell’ufficio si chiuse, e Percy tornò a casa da Audrey, con la sua fretta di ventenne.
Il Ministro lo invidiò, con forza. Così giovane, con un cuore d’asino, ma con tutta la vita davanti per rimediare, per cambiare.
Una vita che il Ministro stava perdendo di giorno in giorno.
Sospirò, solo nel suo ufficio.
Basta con questi pensieri, vecchio stupido. Domani sarà un’altra giornata pesante.
Domani…
Ma per Rufus Scrimgeour non ci sarebbe stato un domani. Né per lui, né per il Ministero della Magia.
Non più.
Percy non lo sapeva, e dormì sereno, abbracciato alla piccola archivista.




Bene, grazie di essere arrivati fin qui.
Come avrete capito, l'atmosfera di pace-e-amore sta andando inesorabilmente a scatafascio. Non è colpa mia, sto seguendo pedissequamente la Rowla, è lei che decide ç_ç
Se non vi siete depressi abbastanza, vi spammo questa storia, la mia ultimogenita, di cui sono estremamente fiera per le belle soddisfazioni che mi ha dato.
Se poi volete proprio farmi contenta, vi segnalo questo account, le cui storie sono state scritte da due autrici bravissime che però hanno seri problemi di autostima (una è la sottoscritta).

Dimenticavo!!!

1) Non so se esista davvero il proverbio "avere un cuore d'asino e uno di leone", ma io l'ho scoperto grazie al mitico Andrea Camilleri; nel caso non sia un vero proverbio ma se lo sia inventato lui, beh, lo ringrazio sinceramente (oltre che per aver creato Montalbano, Fazio, Augello, Catarella e tutti gli altri)
2) Grazie alle recensitrici, ai lettori, e alle svariate bimbeminkia che con le loro FF (!) mi hanno tirata su di morale in questi giorni e grazie alle quali ho capito di non potermi lamentare della mia storia(oh, come vi amo...)
Un bacio, Ferao

Ritorna all'indice


Capitolo 18
*** Mala tempora ***


Mala tempora




La sera del primo agosto, Percy non poteva essere più felice.
Una settimana; era esattamente una settimana che non dormiva a casa sua, con Audrey.
Per sette giorni non l’aveva quasi vista; si erano sempre incrociati frettolosamente nel momento in cui uno rientrava e l’altra usciva di casa. Anche incontrarsi al Ministero era diventato praticamente impossibile: ultimamente a tutto il personale venivano imposti ritmi frenetici e pazzeschi. Lo stesso Percy aveva solo tre o quattro ore libere al giorno, che usava per cercare di dormire e recuperare energie.
Adesso, invece, aveva un’intera notte.
Finalmente.
Cosa potevo chiedere di meglio?
Chissà come mai Scrimgeour aveva avuto quel momento di umanità; doveva essere veramente distrutto, pover’uomo.
Meglio per lui, però: Percy amava sentirsi utile e darsi da fare per il Ministro, ma quando è troppo è troppo.
Ed era troppo stare una settimana senza praticamente vedere Audrey.
E adesso, un’intera notte libera.
Cosa potevo chiedere di meglio?
 
Arrivato a casa trovò tutte le luci spente. Audrey era già addormentata sopra il lenzuolo, poteva sentirne il respiro regolare dalla soglia della camera da letto.
Sorrise tra sé. Povera ragazza: correva come una matta su e giù per gli uffici tutto il santo giorno, trasportando pile di fascicoli e documenti; lei e Adams erano veramente spompati.
Adams però sembrava avere delle riserve di energia nascoste: qualsiasi cosa ci fosse da fare era pronto e scattante, cercava di sembrare sempre fresco e riposato anche dopo aver lavorato dieci ore di fila. Una forza della natura, quell’uomo; Percy non l’avrebbe potuto sostituire con nessuno, mai.
Audrey non era altrettanto forte, purtroppo. Fortunatamente riusciva a prendere tutto con buonumore, per cui anche il fatto di dover sgambettare di piano in piano, spesso senza poter nemmeno usare gli ascensori, diventava oggetto di racconti e commenti più o meno comici. Alla ragazza mancava solo la resistenza fisica: così, una volta a casa, crollava addormentata non appena poggiava la testa sul cuscino, sul divano o da qualsiasi altra parte.
Percy la osservò un po’, dalla soglia della camera. Era incerto se svegliarla o meno; da una parte dormiva così bene, dall’altra… non parlavano da una settimana. Non parlavano né… tutto il resto.
Tutto perché doveva aiutare il Ministro.
Una volta sarebbe rimasto volentieri per giorni e giorni di fila al Ministero: l’idea che Scrimgeour lo tenesse in così alta considerazione sarebbe bastata come ricompensa per tutti i suoi sforzi.
Una volta, però, non conosceva Audrey; non conosceva il suo corpo e il suo sorriso, né la bellezza del tempo passato con lei.
E adesso non la vedeva da una settimana, diamine.
Si sfilò le scarpe e si sedette sul letto, dalla sua parte. Il peso improvviso sul materasso fece svegliare Audrey di colpo, con un sussulto.
- Sono io… - sussurrò Percy, sdraiandosi vicino a lei.
- Percy? - fece Audrey, voltandosi di scatto.
- In persona, Bennet.
Sì, era decisamente lui. Ormai Audrey si era arresa al fatto che da Percy non poteva aspettarsi nessun tipo di vezzeggiativo; solo quel “Bennet” che gli sfuggiva ogni tanto, anche nei momenti di intimità.
D’altra parte, lui era Percy Weasley; uno come lui non poteva permettersi smancerie.
Allungò una mano verso il viso di lui, e lo sentì fremere.
In fondo, per dirsi certe cose non servono le parole.
Mi sei mancata… da morire.
Percy rispose alla carezza, e la baciò.
Anche tu mi sei mancato. Tanto…
- Ma… - tentò di chiedere lei, sorpresa. - Ma… Che ci fai qui?
- Non sei contenta? - Un altro bacio.
- Molto, - sospirò lei, riprendendo fiato, - ma… Non dovevi fare l’alba col tuo amato Ministro, oggi?
- Dovevo. - Lasciò che Audrey gli togliesse gli occhiali, e riprese a baciarla. - Ma mi ha chiesto espressamente di tornare a casa dalla mia archivista preferita…
- Preferita? - domandò Audrey, mentre si lasciava baciare il collo. - Perché, ce ne sono altre? Oppure ti sei convertito a un’altra parrocchia?
- Mmh… Non sai che tentazione possa essere Adams, certe volte…
Audrey rise piano, vicino al suo orecchio: una risata che faceva solo lei, che faceva girare la testa a Percy.
Al serio, impeccabile, irreprensibile Percy.
Una risata che non sentiva ormai da una settimana.
Amore… mi sei mancata tanto…
Tu di più…
- Lunga vita al Ministro, allora…
- Pensavo lo odiassi… - mormorò lui, sorridendo in risposta e carezzandole una coscia.
- Non quando ti obbliga a venire a casa da me… - rise di nuovo Audrey, iniziando a spogliarlo.
 
 
Lunga vita al Ministro.
Fu la stessa cosa che dissero a Scrimgeour, poco prima di ucciderlo.
Lunga vita al Ministro.
Un’ultima beffa, un ultimo insulto per un uomo che non era stato in grado di riconoscere e affrontare il pericolo in tempo.
Lunga vita al Ministro.
Non ne poteva più. Non ne poteva più.
Scrimgeour si sforzò di non rantolare, mentre un’altra Cruciatus si abbatteva su di lui.
Avrebbe salvato almeno la dignità. Forse.
- Dov’è Potter?
Una Cruciatus, due… Forse mille, Scrimgeour non si era certo messo a contarle.
Potter. Potter. Proteggere Potter. Proteggere…
- Dove lo nascondete?
Ancora dolore, ancora e ancora.
Potter. Proteggere Potter. Prote…
Non riusciva proprio a concentrarsi su Potter; non in quel momento.
Tutto ciò a cui riusciva a pensare era un ragazzo rosso e occhialuto, che, grazie a Merlino, se ne era andato pochi minuti prima che arrivassero loro.
Un ragazzo che solo poco prima - ore? Giorni? Anni forse?- aveva identificato con la propria giovinezza, con la propria vita ormai passata.
- Lunga vita al Ministro.
Così giovane, così vivo mentre tornava dalla sua ragazza.
Almeno qualcuno si può ancora salvare.
Qualcuno, qualcosa si è salvato.
Un’idea, una vita.
Salva.
Spero.
- Lunga vita al Ministro…
L’ultima beffa. Scrimgeour chiuse gli occhi, e disse addio al domani.
 
 
 
 
Quando la mattina aprì gli occhi, Percy si sentì stranamente allegro.
Erano solo le sei, ma la giornata si preannunciava già bellissima. Un sole meraviglioso si insinuava discreto tra le cortine della stanza.
Percy si strofinò gli occhi. Si sentiva meglio, decisamente meglio. Una notte accanto a Audrey era la cura contro qualsiasi male, contro qualsiasi preoccupazione e stanchezza.
Rivolse un pensiero di gratitudine a Scrimgeour, e si ripromise di lavorare al meglio, quel giorno.
 
Uscendo di casa non notò nulla di strano; Londra era sempre lì, sempre uguale, anzi forse ancora più bella con quel sole splendente.
Visto che era presto, Percy decise di non Smaterializzarsi ma di andare a piedi. Il Ministro lo aspettava di lì a un’ora, aveva tutto il tempo che voleva.
Tutto il tempo del mondo.
Non pensò a fermarsi a un’edicola per prendere la Gazzetta del Profeta. Se lo avesse fatto si sarebbe accorto prima, che qualcosa non andava. Quel mattino, infatti, il giornale non era ancora uscito; per la prima volta in più di quattrocento anni di attività, il quotidiano magico più diffuso nel Regno Unito non aveva pubblicato la testata mattutina. Inaudito.
Se si fosse fermato in un’edicola Percy avrebbe visto lo smarrimento del negoziante e la confusione dei clienti. Non si fermò, e forse fece male: sarebbe stato meno allegro e più preparato, se lo avesse fatto.
 
Nemmeno Audrey si era accorta di qualcosa. Quando si svegliò, Percy era già uscito da un pezzo, ma non se la prese: ormai era abituata alle sue sveglie antelucane, e anche (ma con qualche difficoltà) al fatto di non vederlo fino a sera.
Sospirò, trascinandosi a fatica fuori dal letto. Merlino, che sonno…
Era sempre stanchissima, in quel periodo. Al Ministero lei e Adams facevano avanti e indietro tra l’archivio e le aule giudiziarie; era quasi un anno che lavorava lì, e non aveva mai visto una tale concentrazione di processi tutti insieme. Per ogni processo era necessaria la documentazione completa per quanto riguardava i convenuti, e i due archivisti del Ministero dovevano spulciare fascicoli di qualsiasi tipo, impacchettare i documenti e portarli di persona ai presidenti di tribunale. Per ogni pacchetto consegnato ne venivano chiesti in media altri tre.
Adams aveva commentato con la solita filosofia: - Chi può dirlo, magari tra queste persone c’è davvero chi merita un processo. E visto che non possiamo saperlo con certezza è meglio fare un buon lavoro con tutti, non credi?
Era instancabile, Adams; Audrey ci pensava mentre dava una sistemata alla camera. Come diamine faceva il suo collega? Era sempre sveglio e scattante; e dire che, a prima vista, sembrava invece tanto pigro, tanto lento.
Beato lui… Io ho dieci anni di meno, e me ne sento venti di più…
Chissà… Magari è Ben che gli fa questo effetto.
Erano mesi che non accennava a quella storia con Adams, ma la curiosità era sempre presente in lei. Cos’era che le aveva detto?
“Quando ti sposerai col capo, te lo racconterò.”
Che stupido, quell’Adams. Come poteva pensare che lei e Percy…
Bah. Che idea ridicola.
“Proprio uno stupido” pensò Audrey, iniziando a vestirsi.
Ridicolo. Come se noi due potessimo mai…
Bah.
Assolutamente fuori dal mondo. Decisamente.
Un’idea idiota.
No, no, e no.
In fondo, però, perché no?
Scosse la testa, afferrò al volo borsa e bacchetta e si avviò finalmente verso il Ministero.
Ridicolo.
Ma perché no?
 
Nell’Atrio c’era qualcosa che non andava. Decine e decine di maghi e streghe si affollavano curiosi attorno a un punto preciso.
Percy allungò il collo da lontano, da una parte tentato dalla curiosità, dall’altra desideroso di non mischiarsi a quella folla. Alla fine decise di avvicinarsi un po’.
Seguì gli sguardi delle persone attorno a lui, ma non notò nulla di strano: l’Atrio era sempre quello, e la riproduzione della Fontana dei Magici Fratelli era sempre lì…
No. Un momento.
La fontana. Come aveva fatto a non vederlo subito?
Che diavolo…
Cos’era, quella roba? Che voleva dire?
Guardò le persone attorno a sé, ma sui loro visi poteva leggere il suo stesso identico smarrimento.
Perché al posto della fontana c’era quella statua?
 
 
Una statua enorme. Audrey sgomitò un po’, per avvicinarsi e vederla meglio.
Da lontano si poteva vedere solo la parte superiore: un mago e una strega. Quando però Audrey riuscì ad arrivare sotto di essa, scoprì che c’era qualcos’altro: corpi e corpi ammassati, su cui il mago e la strega sedevano.
Una scritta inquietante campeggiava sulla base: "Magia è potere".
Ma che diamine…
- Hai visto? - sussurrò una voce accanto a lei.
Si voltò e vide Adams. Non si era accorta che fosse vicino a lei: il suo collega era molto pallido, e non staccava gli occhi dalla base della statua.
- Adams… - mormorò. - Che roba è?-
- Credo… Credo significhi che qualcosa è cambiato - rispose lui, con un filo di voce.
- Che vuoi dire?
- Hai saputo del Ministro?
 
 
 
Andò subito a cercare il Ministro; lui gli avrebbe sicuramente dato qualche spiegazione.
Arrivò nell’ufficio di Scrimgeour trafelato, sicuro di trovarlo già lì. Non solo invece non trovò il Ministro, ma non trovò niente.
La stanza era completamente vuota; le pareti biancheggiavano minacciosamente, e un senso di nausea prese Percy alla gola.
Cos’è, questo?
Rimase immobile, completamente disorientato. Che è successo qui?
- Qualche problema?
Due uomini, comparsi dal nulla alle sue spalle, lo stavano fissando con malcelata irritazione.
- Io… Io… - Cavolo, riprenditi, su, dai... - I-Io stavo cercando il Ministro Scrimgeour.
I due uomini si guardarono, e iniziarono a sghignazzare. Percy si sentì arrossire, senza un perché.
- Ah sì? - rise uno dei due, facendogli il verso - T-Tu cerchi Scrimgeour?
Percy deglutì. Cosa diavolo è successo?
- E tu chi saresti, bimbetto? Il suo amico speciale?
Fu soprattutto il tono di voce ad urtare profondamente Percy. Si sistemò gli occhiali e, riacquistata la lucidità, riprese il suo solito cipiglio severo.
- Io sono il suo assistente. Piuttosto, sarebbe interessante sapere chi siete voi.
I due si scambiarono velocemente uno sguardo. - Noi? Noi… siamo amici di Scrimgeour. Siamo… venuti a prenderlo ieri sera.
- A prenderlo? Perché? - domandò Percy insistente. Era chiaro che quei due mentivano, e voleva capire dove volessero arrivare.
- Non lo sai, bimbetto? - ghignò l’uomo più basso. - Giusto ieri sera… Beh, diciamo che Scrimgeour si è sentito poco bene.
- Così poco bene… che si è dimesso - aggiunse l’altro.
Percy non poté fare a meno di sgranare gli occhi per la sorpresa.
 
 
 
- Come, dimesso?! - strillò Audrey, una volta in archivio.
- È quello che dicono, ma io non ci credo - rispose Adams, chiudendo la porta dietro di sé.
- Io… Io… Ma che diavolo è successo, Adams?! Che significa?
- Non lo so, Aud, non lo so. - Il suo collega era ancora molto pallido, troppo. - Però ho una brutta sensazione.
Si sedette, prendendosi il viso tra i pugni, mentre Audrey camminava avanti e indietro vicino alla sua scrivania, tormentandosi le mani.
- Che… Che significa che si è dimesso, non è possibile… non è possibile, non… Percy avrebbe dovuto saperlo, invece… invece… Cavolo, Percy lo saprà? Oh, merda… Se ieri sera sono rimasti fino a tardi, a lavorare… E oggi dovevano… Ma se… Ma se non si è dimesso, - guardò Adams con gli occhi spalancati, - cosa gli può essere successo?
 
 
 
- Credo ci sia un errore - mormorò Percy, cercando di rimanere freddo. - Se fosse così lo avrei saputo subito.
- Nessun errore, signor “assistente del Ministro”… O forse dovrei dire “ex”- sibilò l’uomo più basso. - Sai, non credo che il nuovo Ministro abbia una passione per i ragazzini come quello vecchio…
- Badi a come parla - lo zittì Percy, raggelandolo con un’occhiataccia. - Ditemi dov’è adesso Scrimgeour.
- Mi dispiace, informazione riservata - tagliò corto l’altro uomo. - Non siamo autorizzati a divulgare notizie. Accontentati di quello che ti abbiamo già detto…
- E perché mai? - Avanzò di un passo verso di loro, acquistando sicurezza. - Al contrario di voi, che non avete ancora chiarito la vostra qualifica, io possiedo una posizione tale da potervi obbligare a…
- Non credo proprio - ruggì l’uomo basso, saltando verso Percy; prima che quest’ultimo potesse fare qualcosa lo afferrò per i capelli e gli premette la bacchetta contro la gola. - Tu e tutti quelli come te non avete proprio nessuna posizione, da oggi in poi. Di’, bimbetto… - sibilò poi, a pochi centimetri dal suo viso. - Com’è il tuo sangue, eh? Un bel sangue pulito? Oppure sei mezzo Babbano? Sì… - continuò, mentre Percy iniziava a tremare piano, decisamente spaventato, - posso sentire la puzza del tuo sangue sudicio da qui… Sei solo un Babbano che si è fatto strada dando via il culo al Ministro, eh? E lo sai, bimbetto, qual è la posizione di quelli come te?
- Rookwood, basta adesso- intimò l’uomo alto, ma l’altro non smise di puntare la bacchetta. - Gli hai detto anche troppo, ora abbiamo altro di cui occuparci… Muoviti, dai!
L’uomo chiamato Rookwood lo fissò per qualche istante, poi finalmente lo lasciò. Percy ricominciò a respirare, senza riuscire a staccargli gli occhi di dosso.
Rookwood sorrise di nuovo, prima di allontanarsi. Un sorriso tremendo.
- Vuoi sapere qual è la posizione dei Babbani come te? Guarda la statua, nell’Atrio, e fatti un’idea. Alla prossima, bimbetto… e lunga vita al Ministro Scrimgeour!
 
 
 
- Aud, non so proprio cosa pensare - mormorò Adams. - Mi viene in mente solo il peggio possibile…
La ragazza si fermò, senza però smettere di torturarsi le mani. - Tu pensi che…
- … Il Ministero sia finito nelle mani sbagliate? Sì, Audrey, lo penso.
- Ma… Come, quando? Come puoi esserne sicuro?
- Hai visto anche tu la statua. Hai capito anche tu cosa significa. Tira le conclusioni.
Audrey chinò la testa. La statua. Babbani schiacciati dai maghi. Un chiaro, chiarissimo segno del fatto che Adams aveva ragione: si erano presi il Ministero, non potevano esserci dubbi.
E adesso?
Un'unica, enorme domanda aleggiava nell’archivio.
E adesso?
Che sarebbe successo? Cos’altro dovevano aspettarsi?
 
Fu proprio in quel momento che Percy aprì la porta ed entrò, raggiungendoli.
Audrey si spaventò, vedendolo: era mortalmente pallido, sembrava un fantasma.
- Avete saputo, immagino… - riuscì a dire Percy, dopo aver ripreso fiato un paio di volte.
- Abbiamo saputo quello che ci hanno detto, capo… - rispose Adams, andando verso di lui. - Abbiamo saputo che il Ministro si è dimesso…
Era questo, quindi, che si raccontava in giro. Percy si sedette su una delle scrivanie, puntando lo sguardo sul pavimento.
Dimesso. Impossibile. Scrimgeour non si sarebbe mai dimesso, non sarebbe mai scappato…
E chi diamine erano quei due? Quel… Come cavolo si chiamava… Rookwood…
Un momento.
Rookwood.
Quel cognome gli rimbombò nella testa, per una frazione di secondo.
Oh cazzo.
Rookwood. Augustus Rookwood.
Lunga vita al Ministro.
Fu solo allora, in un lampo improvviso di comprensione, che Percy riuscì a capire davvero quello che Rookwood gli aveva detto. C’era un intero universo, in quella frase.
La sua mente vacillò per un secondo, mentre capiva; una forte stretta allo stomaco lo prese, e non lo avrebbe lasciato tanto facilmente.
Lunga vita… No. No. No.
Non è giusto, no, non è giusto… Non è possibile, non è giusto…
- Adams, io… - deglutì, guardando il dipendente negli occhi.
Non è giusto, non è giusto, non è giusto…
Eppure era così chiaro. Così tremendamente chiaro.
- Io credo che il Ministro sia morto - terminò.
 
Dopo, ci fu il silenzio, interrotto solo da Audrey: la ragazza si era portata le mani al volto, incredula, ed era poi esplosa in una serie di singhiozzi isterici e angosciati che non riusciva a controllare. I due uomini, invece, seguitarono a guardarsi.
- Ne sei sicuro? - chiese dopo un po’ Adams, con voce incolore. Ogni formalità era sparita, non ce n’era più bisogno.
- Quasi.
- E come…
- Ti dice niente il nome Rookwood?
Adams sgranò gli occhi. - Era… è un Mangiamorte. Un evaso; faceva la talpa per Tu-Sai-Chi. Ma allora…
- Allora, Adams, - concluse Percy in un sussurro, - è davvero finita.
Mentre Adams, a sua volta, realizzava completamente il significato di tutto quanto, Percy andò ad abbracciare Audrey che ancora piangeva, cercando di calmarla. Cercando di calmare se stesso.
Lunga vita…
Non è giusto.
 
Naturalmente non era il caso di andare raccontando in giro che Scrimgeour era morto; sembrava infatti che tutti, nel Ministero come nel resto del mondo magico, si sforzassero di far circolare la voce che si fosse dimesso.
Lo disse anche il nuovo Ministro, O’Tusoe, il giorno del suo insediamento: - Accetto questo incarico per riparare alla vergogna gettata sul Ministero dal mio disonorevole predecessore, che ha preferito abbandonare la sua gente in questo difficile momento piuttosto che assumersi le sue…
Di tutto il resto del discorso Percy non sentì nulla. Quelle sole parole lo avevano ferito, ferito nel profondo. Lui ci aveva lavorato, accanto a Scrimgeour, nel bene e nel male. Lo aveva conosciuto, ed apprezzato. Era già duro da sopportare il fatto di essersi salutati - per l’ultima volta - con un semplice “A domani” frettoloso; sentir poi parlare di vergogna e di disonore andava davvero oltre i suoi limiti.
Che sarebbe successo, se non me ne fossi andato?
Un dubbio tremendo, pressante. Che sarebbe successo?
Terribile dubbio, perché non ne avrebbe mai conosciuto la risposta.
 
Come era prevedibile, Percy non fu riconfermato nel suo incarico di assistente del Ministro, né lo avrebbe voluto. Restò invece come direttore dell’Archivio.
Forse fu anche peggio. Da quella posizione in un certo senso privilegiata poté assistere alla messa in atto della “nuova politica ministeriale”.
Iniziarono ad arrivare richieste molto strane: permessi per visionare alberi genealogici, certificati di consanguineità, attestati di riconoscimento di figli illegittimi… Qualsiasi cosa riguardasse rapporti di paternità e maternità; molto strano, perché in genere non c’era bisogno di visionare questi documenti, nemmeno per i processi.
Una volta Audrey e Adams dovettero cacciare a forza tre persone che pretendevano di controllare da soli quei fascicoli; dovette intervenire anche Percy, che confermò quanto detto dai suoi dipendenti: l’accesso ai documenti nell’archivio era permesso solo agli archivisti e al direttore.
I tre protestarono molto, arrivando alle minacce, ma Percy era irremovibile e alla fine dovettero andarsene.
- Che cosa diavolo volevano, Aud? - domandò, una volta che furono soli con Adams nell’archivio.
- Il solito: alberi genealogici. Santa Helga… - mormorò Audrey, accasciandosi sulla sua sedia. - Quei tizi non volevano proprio sentir ragioni…
- Capo, tu sai a che cosa servono tutti questi controlli circa le parentele? - chiese Adams, dubbioso; anche lui era molto provato per l’alterco con quei tre invasati.
- L’ho saputo stamattina. - Percy porse ad Adams un foglietto con la firma del Ministro O’Tusoe.
- È un nuovo provvedimento. Vogliono censire tutti i Nati Babbani entro settembre; stanno inviando… Non ho capito bene, ma credo siano delle specie di questionari. Non ho idea dello scopo - concluse Percy, con voce stanca.
- Censimento dei Nati Babbani? - ripeté Audrey.
- È ovvio, no? - commentò Adams, disgustato. - Vanno controllati, come se fossero animali. Non sono… puri. Sarebbero solo dei… Com’è che ha detto la Gazzetta?-
Afferrò rabbiosamente il giornale. - Dei ladri. Ladri. Come se la magia si potesse rubare, porca troia.
Gettò lontano da sé la Gazzetta del Profeta, in preda all’ira.
- Dio, quanto vorrei… Se solo io… Dannazione! - gridò.
Percy si limitò a scuotere la testa, serio. Lo capiva benissimo: si sentiva esattamente come lui, debole e impotente; impossibilitato a fare qualsiasi cosa, bloccato da qualcosa senza nome.
Loro… sapevano. Sapevano cosa stava succedendo. Eppure non c’era nulla che potessero fare, nulla.
Nulla.
- Percy, - mormorò ad un tratto Audrey, - zio Roman è stato adottato da una coppia Babbana; dici che avrà problemi?
Aveva tutti i segni della preoccupazione dipinti sul viso. Percy cercò di farli scomparire con una mezza verità.
- Non credo; penso che… No, non ci saranno problemi. Credo di no.
 
In realtà, Roman Bennet avrebbe potuto avere qualche problema, anzi, parecchi. Ciò che Percy ignorava era che nell’archivio del Ministero della Magia non era presente un albero genealogico che testimoniasse la sua discendenza da Eivind e Jorunn Saknussem, mettendolo al riparo da qualsiasi sospetto di ascendenze Babbane. Questo perché l’albero era rimasto dove si trovava nel 1940, cioè nel Ministero norvegese; i coniugi Saknussem non avevano avuto il tempo né il modo di recuperarlo mentre fuggivano dall’invasione tedesca, così tutto ciò che rimaneva riguardo a Roman e Klaus Saknussem era un certificato di adozione da parte della famiglia Bennet. Un certificato che valeva come un no, non sono Purosangue, e comunque non potrei dimostrarlo.
Noi, oggi, sappiamo cosa avrebbe significato trovarsi in questa situazione, ma i nostri amici non potevano saperlo, ancora; non potevano sapere che di lì a poco decine e decine di maghi e streghe sarebbero finiti tra le mani dei Dissennatori per il solo fatto di non essere nati in famiglie magiche.
Nessuno poteva immaginare qualcosa di simile; non era mai, mai successo, non al Ministero.
Fu la preoccupazione di Audrey a salvare Roman; la ragazza lo mise al corrente di quanto stava accadendo in Inghilterra, e lui e Magda ritennero più saggio rimanere dove si trovavano. Per un’incredibile e fortunata coincidenza, infatti, proprio in quei giorni erano in Italia, ospiti di amici.
Che razza di coincidenza, direte voi. Una botta di fortuna assurda.
Beh, che devo dirvi; in fondo, le coincidenze servono proprio per casi come questo. Inutile chiedersi il come o il perché. È successo, no? Tanto meglio; una persona come Roman Bennet merita una coincidenza fortunata, per una dannata volta nella sua vita.
 
 
 
 
Fu un agosto teso, confuso; i contorni delle giornate si perdevano nell’indistinto, l’una valeva l’altra.
Non era chiaro se tutti, al Ministero, ignorassero ciò che stava accadendo o se invece fingessero di farlo. I più si limitavano a scuotere il capo, di fronte agli strani provvedimenti del Ministro (uno fra tutti, l’istituzione, appunto, della Commissione per il Censimento dei Nati Babbani). Sembrava quasi che tutti fossero stati Confusi nello stesso momento: nessuno si faceva domande, nessuno cercava risposte.
Nessuno lo fece, neanche quando iniziarono i processi. Neanche quando le persone iniziarono a sparire dagli uffici, inghiottite chissà dove. Neanche quando i Dissennatori furono visti nei pressi delle aule giudiziarie.
Era molto più facile non chiedere, non fare domande, e sperare che non sarebbe toccato a noi ma a qualcun altro.
Più facile… sì. Quando corrono brutti tempi ci si aggrappa a ciò che è più facile, non a ciò che è più giusto.
E se non sono brutti tempi questi…
 
 
Brutti tempi. Mala tempora.
Mai come in quel periodo Percy aveva riflettuto sul quel detto latino.
Mala tempora currunt.
E mai come in quel periodo Percy sentì la nostalgia della sua famiglia.
Era fine agosto, oramai; i processi erano iniziati, e non si sarebbero fermati. Tutti quelli che avevano ricevuto i questionari venivano convocati nelle aule giudiziarie; molti, moltissimi non uscivano da lì.
Percy non aveva più modo, oramai, di assistere ai processi, e non poteva quindi farsi un’idea di ciò che avveniva; poteva però immaginarlo.
Non si fa altro che parlare di sangue, di purezza… non serve fantasia per immaginare cosa succede a chi non è puro.
Ma perché, perché tutto adesso, perché…
E perché non so cosa fare…
Mala tempora, mala tempora currunt…
E non riusciva a non pensare ai suoi, non riusciva a non preoccuparsi.
Loro e quella mania di mettersi contro, sempre. Di sicuro hanno già avuto dei problemi, di sicuro li controllano, sono sicuro, come sono sicuro che sono mala tempora e che non finiranno tanto presto…
Già. Controllati. Percy ne era certo.
Non aveva mai desiderato tanto riavvicinarsi a loro, e non aveva mai avuto così tanta paura di farlo. Se infatti fosse tornato dai Weasley, sarebbe stato considerato anche lui un sospetto; uno da tenere sotto controllo, uno pericoloso.
Tutti al Ministero conoscevano le posizioni di Arthur, e tutti sapevano che Percy ne aveva preso le distanze; per questo uno era controllato, l’altro no. Tornare in famiglia adesso era come un’ammissione di colpevolezza, agli occhi del Ministero. Un tradimento.
E il Ministero sapeva come trattare i traditori.
Non posso, non posso, proprio adesso, no…
Mala tempora, mala tempora… E poi?
Se Percy Weasley avesse ricordato il modo in cui la frase terminava, se ne sarebbe fregato del pericolo e sarebbe corso dalla sua famiglia.
Ma non se lo ricordava. Non ricordava che, quando corrono brutti tempi, stanno per arrivarne di peggiori.
Mala tempora currunt, sed peiora parantur.
 
 
Il tempo peggiore per Percy stava per iniziare molto presto.
La preoccupazione per i suoi era sempre presente, ma gli bastava individuare ogni tanto i radi capelli rossi di suo padre nella folla del Ministero per sentirsi più tranquillo. Anche la sua seconda famiglia era al sicuro, per il momento: Roman non poteva avere problemi in Italia, e nessuno dei suoi figli aveva ricevuto il questionario, segno che non erano considerati Nati Babbani; inoltre i Bennet non erano collegati in nessun modo al Ministero, né si erano apertamente schierati a favore o contro di questo.
Quindi, Percy era relativamente tranquillo.
Non aveva considerato che, a un certo punto, avrebbe dovuto iniziare a preoccuparsi per Audrey.
Un giorno di inizio settembre si ritrovò tra le mani un documento che lo mandò in fibrillazione, tanto che dovette rileggerlo tre volte. La terza volta lo lesse mentre saliva in uno degli ascensori, senza badare alle persone che vi erano dentro.
“Per i dipendenti ministeriali di qualsiasi ordine e grado, il controllo dello Stato di Sangue riguarderà le quattro generazioni precedenti. Gli Archivisti sono tenuti alla massima disponibilità e a trasmettere informazioni complete, senza nulla omettere o tacere”.
Quattro generazioni… Diamine, se erano tante.
Era praticamente impossibile, tranne rare eccezioni, che non si trovasse almeno uno stipite Babbano in quattro generazioni. Percy apparteneva alle eccezioni, ma… quanti potevano dire lo stesso?
Evidentemente si voleva che il Ministero fosse il più pulito possibile…
Pulito.
Che schifo.
Era così concentrato su quel decreto, che non alzò subito gli occhi. Quando lo fece si sentì male.
Nell’ascensore c’erano altre due persone: una era un certo Runcorn; lo ricordava perché aveva fatto spesso richiesta di controllare alcuni alberi genealogici, richieste che, per una nuova legge, Percy e gli archivisti avevano dovuto accontentare.
L’altra persona era suo padre.
Percy si sentì avvampare: entrambi gli uomini lo fissavano. Volse in fretta lo sguardo altrove, per evitare di incrociare gli occhi furenti di suo padre.
Papà…
Lo considerava ancora uno di loro, uno del Ministero.
Mi dispiace…
Possibile che lo credesse davvero capace di approvare quello che il Ministero stava facendo?
Sono sempre io, papà…
E dire che lui, Percy, non desiderava altro che poter tornare da lui. Da loro.
Lo desiderava, in un modo che era strano ed incomprensibile persino a lui. Lo desiderava, nonostante il suo orgoglio e il suo cuore d’asino. Nonostante qualsiasi idea ci si possa essere fatti su Percy Weasley, lui desiderava tornare.
 
Probabilmente, se Runcorn non fosse stato lì presente, Percy sarebbe persino riuscito a parlare con Arthur.
Forse gli avrebbe detto le stesse identiche cose che desiderava dirgli il Natale precedente. Gli avrebbe detto tutto.
Forse.
Non lo fece; non riuscì nemmeno a guardare suo padre, anche se sentiva gli occhi di lui penetrargli nella nuca. Aspettò che l’ascensore si fermasse, e scese a un piano qualsiasi.
Mala tempora, mala tempora…
Ma ne stavano arrivando di peggiori.
 
Non fece in tempo a metter piede in archivio, che capì che c’era qualcosa di pesante nell’aria.
All’aprirsi della porta, Adams e Audrey avevano guardato nella sua direzione, con la stessa identica espressione confusa e preoccupata.
Pochi secondi prima, quelle espressioni erano rivolte verso una pergamena sottile, indirizzata a entrambi.
Quella pergamena passò a Percy, nel più totale silenzio. In silenzio lui lesse e capì.
In tutto quel silenzio, la fuga dei Nati Babbani che dovevano essere processati quel giorno passò quasi inosservata. C’era tanto altro, di cui preoccuparsi.
C’era Audrey di cui preoccuparsi. Una preoccupazione enorme, in quei brutti tempi.
 
 
 
 
 

Si convocano gli Archivisti
Audrey Jorunn Bennet
e
Ernest Friedrich Adams
A comparire dinanzi alla Commissione per il Censimento dei Nati Babbani
E alla Nuova Commissione per il Controllo dell’Etica e della Morale
In data 18/09/1997.
A entrambi è richiesto di presentare copia del proprio Albero Genealogico.
Firmato:
Dolores Jane Umbridge

 










Sono viva! Sono viva viva!!! (Citazione da "Frankenstein Junior"). Per Godric, questo capitolo è corto ma è stato un parto, visto che ho poco tempo e poca ispirazione. Spero di essere riuscita a rendere un po' l'idea di quella che credo fosse l'atmosfera al Ministero dopo il cambio di regime: ho pensato che tutto fosse piuttosto confuso, visto che (a quanto dice Remus in HP7) si era persino riusciti a far girare la voce che Scrimgeour si fosse dimesso. Sicuramente non ho reso al meglio l'atmosfera, ma questo è il massimo che son riuscita a buttar giù in queste nottate... ç_ç
Alors, qualche avvertenza:
1) Non so se la Gazzetta del Profeta ha davvero più di quattrocento anni, ma come idea mi piace ^^
2) Non serve che vi ripeta chi è Rookwood e soprattutto quando compare nel settimo libro, VERO?? Voi lettori attenti ve lo ricorderete di sicuro...
3) Sì, la scena dell'ascensore è quella del giorno in cui Potter & company si infiltrano nel Ministero per prendere il medaglione di Serpeverde; per questo si parla della fuga dei Nati Babbani. Di conseguenza, Runcorn non è Runcorn ma Harry trasformato; e, tanto per cambiare, è di nuovo colpa di Harry se Percy non riesce a parlare con Arthur. Santa Morgana, odio quel ragazzino.
4) Mala tempora currunt, sed peiora parantur: corrono brutti tempi, ma se ne preparano di peggiori. Così diceva Cicerone, in non so più quale opera. E aveva ragione: stanno per arrivare tempi peggiori, mi spiace.
5) Okay, okay, mi arrendo. Ci ho provato, ma non ce la faccio a non lamentarmi di questo capitolo, diamine. Lo trovo insulso. Ma è inutile che mi lamenti, perché ci sarà sempre, tra voi lettori, qualche pazzo o pazza a cui piacerà, quindi basta.
(Però ammetto che sono molto soddisfatta della prima parte, e che mi sono fomentata quando ho dovuto impersonare Rookwood... sono strana, lo so, ma i cattivi sono sempre i migliori u_u)
6) Roman e Magda sono in Italia. Sì. A fare stragi inutili ci ha già pensato J.K. Rowling, non è di mia competenza... per ora. E sì, proprio in Italia: non è una cosa autocelebrativa, ma mi serve per un piccolo dettaglio che metterò più avanti.
7) In verità, qualcosina di autocelebrativo c'è, nel capitolo... ma non ve lo dico :D
8) Grazie, grazie, GRAZIE alle coraggiose recensitrici (vi adoro, davvero!) che assecondano le mie follie e seguitano a leggermi nonostante tutto; grazie a voi lettori vecchi e nuovi che vi soffermate sulla mia storia; grazie a chi ricorda/segue/preferisce. è vero che si scrive per se stessi, ma avere un riscontro dà maggior soddisfazione alla propria "fatica".
Devo ringraziare soprattutto chi ha letto "Notte", il mio ultimo parto. Grazie. Mi sento però in dovere di chiarire che, nella mia testolina bacata, il buon Percy NON somiglia minimamente all'attore che lo ha interpretato nei film e che compare nei (bellissimi! *_*) bannerini che avete visto in fondo alla storia. Un'immagine che si avvicina approssimativamente alla mia immaginazione è questa qui; in particolare, l'espressione qui ritratta è proprio quella che Percy mi rivolge ogni volta che si rende conto che lo sto maltrattando nelle mie storie. Cosa che, in effetti, succede abbastanza spesso.
Poro cèo...
(=povero piccolo, per chi non mastica dialetto veneto).
9) Dopo aver guardato l'immagine di Percy, fatevi un giro nell'account dell'autrice, è fantastica e disegna benissimo i Weasley!
10) Nel prossimo capitolo... mi odierete. Mi darete della sadica. Mi scaricherete cacca di drago sul pc e manderete gli Auror, o i Mangiamorte, o entrambi, a casa mia. Ma non importa. Dovrà essere così, punto e basta.



Buonanotte! (Anzi, buongiorno, visto che sono le 3.51 antimeridiane e tra poco albeggerà...)
Sempre vostra
Ferao.


Aggiornamento delle ore 8.27: stanotte (o stamattina) mi sono dimenticata di mettervi in allerta: sto preparando i seguiti di questa long, gente. E mi sto divertendo da morire... ghghghgh
*riceve un miliardo di occhiatacce da Percy*
uff, che personaggio noioso... e vabbè, d'altra parte me lo sono scelto.
Di nuovo arrivederci
Ferao.

Ritorna all'indice


Capitolo 19
*** Sangue ***


Sangue





Percy osservò perplesso la pergamena col simbolo del Ministero che Adams gli aveva consegnato.
- Perché dovreste comparire davanti alla Commissione? Vi sono forse arrivati i questionari?
- No. A quanto abbiamo capito, queste convocazioni sono arrivate anche ad altri dipendenti, tra quelli rimasti intendo… - rispose Adams con amarezza.
- Credo sia collegato a questo, allora. - Percy gli porse il documento che aveva finito di rileggere in ascensore. - Adesso per i dipendenti ministeriali richiedono quattro generazioni di Purosangue.
- Quattro?! Ma… Ma è quasi impossibile! - esclamò Adams inorridito, gli occhi fuori dalle orbite. - Cos’è, vogliono forse che il Ministero si svuoti? È… Diavolo, è folle…
Scosse il capo più volte, incredulo.
- E… E hanno chiamato anche te?
- No. Forse a voi è arrivata la convocazione perché i vostri casi sono dubbi…
- Dubbi?! - gridò Adams, saltando in piedi. - Devono solo… solo osare a…
Tacque di botto, come preso da un’idea. Si fece restituire la convocazione e la rilesse attentamente; quando si soffermò su una riga, qualcosa gli si ruppe dentro.
- Hai ragione, capo - esalò, con un tremito. - Il mio caso è dubbio.
Ricadde sulla sedia, e nascose il viso tra le mani.
- Ma… Ma tu puoi dimostrare di essere Purosangue, vero? Voglio dire…
- Sì, posso. Il mio albero genealogico è perfetto fino a sei generazioni fa.
- E allora cosa…
- Preferirei non parlarne ora, capo. Dopo.
Poi tacque, tenendo sempre il viso tra le mani. Percy rinunciò a fargli qualsiasi domanda.
In tutto ciò, Audrey aveva taciuto; il suo sguardo era rivolto verso un punto imprecisato del pavimento. Percy se ne accorse.
- Audrey… Ti senti bene?
La ragazza serrò gli occhi e digrignò i denti. Di tante cose che avresti potuto dire, Percy Weasley, hai scelto la più inutile e la più stupida.
No che non mi sento bene, cazzo.
Sono fottuta.
Sono morta.
- Ehi…
Riaprì gli occhi, e rivolse uno sguardo vacuo al suo compagno.
- No, non sto bene. Non sto bene per niente.
Sospirò, mentre Percy aggrottava le sopracciglia.
- Sei preoccupata? Ma vedrai che…
- Perce… Te ne sei dimenticato? Io non ho un albero genealogico.
 
Percy sgranò gli occhi, mentre la sua mente elaborava all’istante le possibili conseguenze di quell’affermazione.
Diamine, se ne era scordato: i Bennet non avevano un albero genealogico; c’era stata un’interruzione, nel passaggio dai Saknussem alla famiglia attuale, e quella interruzione rendeva impossibile per Roman (e adesso anche per Audrey) dimostrare di essere discendente di maghi e non di Babbani.
Cavolo.
Oh cazzo.
- Non ho un albero - continuò Audrey, con voce incolore. - Tutto quello che ho è un cognome Babbano, un fottuto cognome Babbano di cui sono sempre andata fiera. Evidentemente la signora Umbridge si ricorda della nostra conversazione a Natale, anche se deve essersi scordata del fatto che le ho detto chiaramente che mio padre era Purosangue…
Anche Adams la stava guardando, adesso.
Audrey era davvero nei guai, in guai enormi. La Umbridge e la Commissione non andavano tanto leggeri con le persone che convocavano: presentarsi a loro senza un albero genealogico, poi, equivaleva a una condanna.
Equivaleva ad Azkaban. Con tutto ciò che questo comportava.
- Ma… - balbettò Percy, mentre una paura mai provata prima si impadroniva di lui. - Ma… vedrai che… Insomma, puoi dimostrarlo in altro modo, no? Tu… Tu sei una strega, e… e…
- Anche i Nati Babbani e i Mezzosangue sono maghi e streghe, - mormorò Adams, - ma questo non è bastato…
Schiaffò con gesto rabbioso la convocazione sul tavolo di fronte a sé, mentre gli occhi vuoti di Audrey tornavano a rivolgersi verso il pavimento.
Percy si sentì stringere le viscere da dieci mani: avrebbe voluto provare a confortarla, a dirle che sarebbe andato tutto bene, ma in cuor suo sapeva che non sarebbe stato così, e questa certezza lo stava uccidendo.
Per l’ennesima volta si sentì impotente, debole, incapace. Non sapeva cosa fare, non sapeva cosa dire…
Avrebbe voluto almeno riaccendere una scintilla negli occhi di Audrey, quegli occhi così belli e così paurosamente vuoti. Lesse di nuovo la convocazione a giudizio dei suoi dipendenti, e disse la prima, stupida cosa che gli venne in mente.
- È vero - domandò, - che ti chiami Gioràn?
Sentendo storpiare il proprio secondo nome, Audrey si rianimò, riacquistando un po’ del suo spirito. Sobbalzò e rivolse un’occhiataccia a Percy.
- Si pronuncia Iòran - rispose pronta. Lo aveva detto decine di volte, nella sua vita, a decine di persone diverse.
Ma ti pare… Stupidi inglesi, come fanno a trasformare “Jorunn” in “Gioràn”?! Santo cielo…
- Ah… Scusa… è che non l’ho mai sentito prima…
- Lo so. Lo sbagliano tutti. Voi inglesi avete questa irritante tendenza a pronunciare le parole straniere a modo vostro…
Eccola lì, la sua Audrey. Combattiva e permalosa se le toccavi le sue origini nordiche.
Percy tirò un sospiro di sollievo. Sei tornata. Meno male.
- Hai ragione, scusami… - continuò, visto che quell’argomento la faceva reagire. - Però ammetterai che è un nome insolito. Voglio dire, non sembri un tipo da… da Jorunn
- Non prendermi in giro, - ribatté la ragazza, piccata, - è un nome norvegese bellissimo. La nonna Saknussem si chiamava così. - Sorrise debolmente. - Zio Roman dice che ho i suoi occhi…
Un’altra stretta alle viscere. Merlino, come poteva fare per aiutarla?
Doveva farlo; non c’erano discussioni. Come vivere senza di lei, altrimenti?
Se già si sentiva morire vedendo i suoi occhi - gli occhi di Jorunn Saknussem - spenti dalla disperazione, come poteva sopportare di saperla ad Azkaban?
 
 
Per un bel po’ tutti e tre rimasero in silenzio. Adams e Audrey mantenevano un silenzio desolato, mentre Percy pensava febbrilmente a un modo per aiutare la ragazza.
Niente albero, niente prove; cosa faccio?
Cosa mi invento?
Però aspetta… Norvegia… Norvegia… Nor…
E se magari… Ma se…
Ma sì!
Si sbatté una mano in fronte, così forte che rischiò di rompersi gli occhiali e fece saltare sia Audrey che Adams.
Percy, sei un super imbecille. Super, super imbecille.
Un Vermicolo avrebbe molto più buonsenso, porca Circe.
- Ho un’idea.
- L’avevamo capito… - mormorò Adams.
- Cavolo, che cretino. Io… Io ci lavoravo, diamine, come ho fatto a non pensarci subito?
Continuò a tenersi la mano in fronte, e iniziò a camminare avanti e indietro parlando tra sé.
- Di sicuro lei… Se poi le dico che… Altrimenti… Cavolo, lei è norvegese… Lo farà, sicuro… Attestato… Giorno… Non ci vorrà mica un mese…
Nonostante il momento non fosse esattamente dei più distesi, vedere Percy blaterare e girare per l’archivio con la mano sulla fronte e gli occhiali storti produsse un effetto irresistibilmente comico su Adams e Audrey.
- Fa sempre così, quando ha un’idea? - bisbigliò Adams, trattenendo una risata.
- Non lo so, è la prima volta che assisto a una scena del genere… - rispose Audrey, allibita.
- Sul serio?
- Sì.
- Pensavo che dopo cinque mesi di convivenza si imparasse tutto su una persona…
- Non quando convivi con lui.
Adams annuì comprensivo, mentre Percy, finalmente, si fermava.
- Ho un’idea - ripeté.
- Fin qui ci eravamo arrivati…
- Sapete dove lavoravo, prima di arrivare qui? Al Dipartimento per la Cooperazione Magica Internazionale! - esclamò Percy, senza badare ad Adams. Questi e Audrey lo fissarono, senza capire.
- E… allora?
- E allora, Bennet, hai davanti a te uno dei pochi che possono ancora avere qualche contatto col Ministero della Magia norvegese. - Prese fiato. - Qualche anno fa ho… fatto un favore a una che lavora lì…
Altro che favore… Se lo sapessero, forse, ci ingabbierebbero a vita… Ehm! Controllati!
- … e posso chiederle di darmi una mano. Posso provare a farti pervenire l’albero dei Saknussem e…
- E poi?! - strillò Audrey. - Cosa succederà, poi? Quel fottuto albero dice solo che Roman e Klaus sono figli di Eivind e Jorunn, ma non c’è scritto da nessuna parte che io sia una Saknussem!
- Beh, intanto è un punto di partenza - commentò Adams, interessato. - Credo sia una buona idea, capo; fatti mandare l’albero, poi vedremo di inventarci qualcosa.
- Inventarci?! Ma siete impazziti, voi due?!
Audrey iniziava a infuriarsi. Se Lucy Bennet fosse stata lì, avrebbe potuto notare che sua figlia stava entrando a tempo di record nella fase Banshee.
- Ma non vi rendete conto di quanto sia pericoloso, dannazione? Gli alberi genealogici che conserviamo in archivio sono proprietà dei Ministeri, non possono essere presi e mandati da un Paese all’altro così! Si rischia la galera, cazzo! Voi… Voi non vi metterete nei guai per me! Tu non ti metterai nei guai per me, idiota! - strillò puntando il dito contro Percy. - E tu - il dito fu puntato verso Adams, - non lo asseconderai, è chiaro?
I due uomini la fissarono, basiti, mentre Audrey raccoglieva le sue cose e usciva dall’archivio, furibonda.
 
- Che… diavolo le è preso?
- Credo sia solo spaventata, capo.
Percy rimase a fissare la porta da cui Audrey era uscita, disorientato.
- Io… Io… Non capisco, è tutto quello che posso fare per lei, non…
- Infatti secondo me è un’ottima idea. - Adams si appoggiò alla scrivania, e Percy lo imitò andandogli accanto.
- Però Audrey ha ragione. È rischioso. E se poi non sappiamo che farcene dell’albero genealogico incompleto?
Adams tacque. Lui aveva la soluzione, naturalmente, ma la cura poteva essere peggiore del male.
- Tu… potresti sempre Garantire.
- Cosa?
- Non hai mai studiato Magisprudenza, vero?
- Mi sarebbe piaciuto, ma non avevo i mezzi…
- La Garanzia - spiegò Adams, - è un istituto piuttosto antico, e poco usato: consiste nella possibilità, per una persona del Ministero, di dare la propria parola riguardo alla situazione di un soggetto, se la posizione di questi è dubbia. Sarebbe proprio il caso di Audrey, se ci pensi…
- Quindi si Garantisce quando…
- Quando non ci sono prove, esatto. La Garanzia serve, in soldoni, a prendere tempo per continuare a cercare le prove in difesa dell’accusato. Sembra semplice - aggiunse Adams, mentre il viso di Percy si rischiarava,- ma spesso è solo una trappola: il Garante si gioca la faccia e la reputazione, e se nel tempo stabilito non riesce a dimostrare che la persona su cui ha posto la Garanzia è effettivamente innocente… Beh… Diciamo che le conseguenze non sono tra le più rosee, ecco. Per questo viene usata solo in casi estremi.
Casi estremi, reputazione. Al diavolo.
Se parlava subito con Grete lei poteva attivarsi, e se non ce l’avesse fatta entro il diciotto settembre avrebbe potuto comunque guadagnare tempo…
Ebbe per un breve istante l’impulso di abbracciare Adams. Come avrebbe fatto senza di lui? Era così calmo, così ragionevole, così pieno di risorse…
Ed era anche lui nei guai; Percy se ne ricordò all’improvviso.
- Adams, adesso puoi dirmi perché anche il tuo caso sarebbe dubbio? Tu hai un albero genealogico…
Adams strinse i denti. Non avrebbe mai voluto affrontare quell’argomento; se lo avesse fatto sarebbe piombato nella paura e nello sconforto.
D’altronde, però, quel ragazzo aveva tutto il diritto di sapere.
- Il mio caso non riguarda lo stato di sangue, capo.
Alzò gli occhi tristi su Percy. - Leggi meglio la convocazione.
Percy ubbidì, ma non ci trovò niente di strano; finché i suoi occhi non tornarono sulla stessa riga che aveva colpito Adams.
Oh cavolo… Ma come…
- Tu… - sussurrò. - Tu credi che sia per…
- Inizio a crederlo, sì.
- Ma… Ma non è possibile, cosa c’entra? Tu… Insomma, non…
- La pulizia, evidentemente, non riguarda solo il sangue. Vogliono che il Ministero sia… privo di imperfezioni.
- Ma… Ma come… come diamine fanno a sapere che…
Si zittì. In fondo, pensò Percy, per quanto fosse stato attento, Scrimgeour sapeva benissimo di lui e Audrey; evidentemente le persone importanti del Ministero avevano un modo per venire a conoscenza di certe cose…
- E… E allora come farai?
Adams sospirò. - Mi inventerò qualcosa.
- Non c’è nulla che io possa fare per te? Voglio dire… Se Garantisco per Audrey posso farlo anche per te, non lascerò che ti mandino ad Azkaban per… per…
- Non puoi farlo.
- Ma certo che posso! Io devo!
- No. Non puoi. - Adams sospirò di nuovo. - Si può usare una sola Garanzia in un giudizio, per uno solo degli imputati.
- E allora?
- La convocazione mia e di Audrey è unica; significa che non si tratta di due processi, ma di uno solo. Quindi, se la matematica non mi inganna, hai una sola Garanzia da giocarti.
Fissò Percy negli occhi. - E se non la usi per Audrey giuro che ti ammazzo, ragazzino.
 
 
 
 
 
Inutile e impotente. Ecco come si sentiva.
Cavolo.
L’idea di non poter aiutare Adams e di non essere sicuro di riuscire ad aiutare Audrey lo stava facendo impazzire.
Cavolo!
Doveva parlare con Grete, e di corsa; avrebbe prima risolto il problema di Audrey, e poi pensato ad Adams.
Per tutta la mattinata Percy dovette rimanere insieme a quest’ultimo al Ministero; la ragazza invece non si fece più viva, se ne era tornata dritta a casa tanto era furibonda (o meglio, come diceva Adams, spaventata).
Alla sera, finalmente, Percy riuscì a trovare il modo di comunicare con la sua collega norvegese. Non potendo usare il camino di casa sua, perché Audrey si sarebbe sicuramente opposta, prese in prestito quello di Adams.
Non si soffermò a osservare l’arredamento della casa, come avrebbe fatto solo un paio di mesi prima: si diresse dritto verso il camino, mentre Adams si piazzava pochi passi dietro di lui, curioso.
- Signora Skjalgsson? È in casa?
Nessuna risposta. Percy provò di nuovo, un po’ più forte. - Grete?
Finalmente, nel fuoco comparve il viso di Grete Skjalgsson, una bella signora bionda sulla quarantina.
- Faen! Chi è adesso? - chiese, un po’ scocciata.
- Scusi se la disturbo, signora Skjalgsson…
La donna strinse un po’ gli occhi, poi sorrise nel riconoscerlo.
- Ah, god kveld! Tu sei…
- Percy Weasley, del Ministero della Magia inglese. Si… ehm… ricorda di me? Ci siamo conosciuti tre anni fa, a Belfast…
- Come non ricordo di te? - rise la donna, parlando a fatica in inglese. - Era il convegno di febbraio per modifica di trattato sulle importazioni, ja?
- Proprio quello. Lei ha un’ottima memoria, signora Skjalgsson.
Speriamo di no! Non potrà mica ricordarsi anche di quello…
Grete sorrise di nuovo, ma stavolta era un sorriso malizioso al massimo grado.
- Grazie, ma memoria non c’entra. Non posso mica scordarmi di piccolo inglese che veniva a rimboccarmi le coperte la notte…
Percy sentì che tutto il sangue nel suo corpo abbandonava membra e organi e si trasferiva nel viso e nelle orecchie. Non aveva valutato quanto sarebbe stato imbarazzante parlare di nuovo con Grete, dopo quello che era successo tre anni prima.
In fondo, era stato solo un errore di gioventù, diamine; capita a tutti!
Certo, di sicuro capita a ogni diciottenne di andare a letto per quattro notti di fila con una delegata del Ministero norvegese col doppio degli anni…
Sentì che Adams si stava producendo in un attacco di tosse eccessivamente rumoroso, ma gli fu grato lo stesso per quel piccolo gesto di discrezione. Capo, io non so niente, non ho sentito niente, non sono nemmeno qui.
Anche Grete si accorse del suo imbarazzo, e scoppiò in una grossa risata. - Scusa, lille, dimenticavo che voi inglesi siete poco dins… disb… dibis… non so parola…
- Disinibiti? - tentò Adams, istintivamente. Fu fulminato da un’occhiataccia di Percy, e decise di allontanarsi fischiettando.
- Ja, quello. Comunque, perché mi dai del lei e hai testa in mio camino? Successo qualcosa?
- Sì, Grete; ho bisogno di un aiuto da parte tua.
- Riguarda cosa state facendo con Nati Babbani? - Grete divenne seria. - Sai che mio Ministero vuole chiudere le frontiere con Regno Unito? Tra pochi giorni neanche potremo inviare né ricevere posta. Che combinate lì?
- Posso dirti la versione ufficiale, non quella ufficiosa, purtroppo. Ad ogni modo, ho un serio problema e speravo potessi aiutarmi.
- Se posso farò, kjære. Dimmi.
- La mia compagna è stata convocata in giudizio e deve presentare l’albero genealogico…
- Ma chi, Penelope?
- No, no. Ora sto con un’altra… è mezza norvegese, tra l’altro, e…
- Sapevo che tu preferivi norvegesi! - rise Grete. - Si vedeva come ti piacevano, tre anni fa…
- Grete, per favore! - emise Percy, di nuovo in imbarazzo. Un nuovo colpo di tosse di Adams giunse dal fondo della stanza.
- Scusa, lille. Allora?
- Suo padre è stato adottato dai Babbani, e non riusciamo a farlo risalire ai suoi veri genitori. Mi servirebbe il suo albero genealogico, o almeno una copia; si trova nel tuo Ministero.
Grete si irrigidì. - Tu vuoi che… prendo un albero? Ma…
- Lo so, lo so che è difficile e rischioso, e se non vuoi farlo lo capisco. Ma… Se non lo presenta, Audrey, voglio dire, la mia compagna finirà in galera senza possibilità di repliche. Ti prego, Grete.
La donna rimase in silenzio, pensierosa. - Facciamo così: adesso sono in compagnia di un idiotisk che lavora in archivio, posso convincere lui di aiutarmi. Però non so quanto ci vorrà. Quando è il giudizio?
- Il diciotto settembre.
Grete storse il naso. - Troppo poco. Serve tempo, e non so nemmeno se riesco a spedirlo. Però provo, okay?
- Va benissimo, Grete. Takk.
- Di nulla. Come è cognome?
- Saknussem. Devo risalire a Eivind e Jorunn Saknussem. Il padre di Audrey si chiamava Klaus e ha un fratello, Roman.
- Saknussem. Godt. Ti faccio sapere.
- Grazie davvero, Grete, grazie infinite…
- Non ringraziare, elskede. Faccio in nome della nostra vecchia amicizia - e stavolta Grete gli sorrise senza malizia.
 
Finito che ebbe di parlare con Grete, Percy si volse a guardare Adams. Quest’ultimo sembrava molto interessato al soffitto di casa sua.
Adams conosceva benissimo se stesso; sapeva che, se avesse guardato Percy in faccia in quel momento, la battuta sarebbe uscita spontaneamente dalle sue labbra senza che potesse farci nulla.
Capo, lei ha proprio uno strano concetto di “cooperazione internazionale” …
Sì, gli avrebbe dato del lei, per aumentare l’effetto comico e l’imbarazzo del ragazzino.
Visto però che il momento non era proprio tra i più adatti, seguitò saggiamente ad osservare il soffitto.
- Adams… - ruggì Percy, cercando di suonare minaccioso - Tu non sai niente, chiaro?
- Niente di cosa? - domandò Adams indifferente.
- Lo sai, di cosa.
- So di non sapere, capo.
Percy non colse la citazione, per cui si limitò ad annuire; dopodiché uscì di corsa, le orecchie in fiamme.
Merlino, quanto era imbarazzante!
 
 
 
Grete non si fece viva prima del diciotto settembre; ciò contribuì ad aumentare la tensione di Percy, e non solo.
Più la data del giudizio si avvicinava, più Audrey diventava irrequieta e intrattabile. Era talmente tesa che aveva iniziato a vomitare tutte le mattine, e soffriva ormai di continui mal di testa; tanto che alla fine Percy riuscì a convincerla ad andare a farsi visitare da Rhett (Guaritore come suo padre) e a farsi dare qualcosa per combattere quell’ansia continua.
Anche Percy era nervoso, nervosissimo, ma cercava di non darlo a vedere; se Audrey non riusciva ad essere forte doveva provare ad esserlo almeno lui. Come poteva sperare di aiutarla, altrimenti?
Voi direte: ma il cuore d’asino? Beh… Grazie al cielo se n’è dimenticato, per ora.
Anche Adams faceva come lui: se era teso, in quei giorni, non lo diede affatto a vedere; sembrava solo un po’ più pallido del normale, per il resto era il solito Adams, disponibile, gentile e affabile.
Ogni tanto, però, qualcosa si spegneva dentro ai suoi occhi, e d’improvviso non sembrava più lui, ma una brutta copia di se stesso, come un sosia o un manichino che lo imitasse.
Aveva paura, Adams; aveva paura per sé, e aveva paura per Audrey.
Fu uno strano triangolo, quello tra Percy, Audrey e Adams prima del diciotto settembre: ciascuno temeva per se stesso o per gli altri, o entrambe le cose.
Solo Audrey iniziò ad avere più paura degli altri, dopo che Rhett l’ebbe visitata.
Una paura estrema.
 
 
- Hai detto che vomiti? - aveva chiesto Rhett.
- Tutte le mattine.
- E i mal di testa? Sono continui?
- Praticamente sì. Prendo l’aspirina, ma non basta.
- Aud, quando la smetterai di usare medicine Babbane?
- Quando smetteranno di farmi effetto…
Rhett aveva sospirato, poi le aveva prescritto una pozione. Prima di firmare la ricetta però si era bloccato, colpito al volo da un’intuizione.
- Senti… Come va tra te e Percy?
Audrey lo aveva guardato stranita. - Perché?
- Tu rispondimi. Allora?
- Beh… Noi… Bene, credo…
- Avete rapporti regolari?
A quella domanda inaspettata la ragazza aveva spalancato gli occhi, avvampando.
- Aud, sono il tuo Guaritore, non tuo cugino. Dunque?
- Noi… Beh… S-sì…
- E immagino che tu usi… contraccettivi Babbani, giusto?
- Scusa, Rhett, vuoi piantarla con queste stupidaggini e dirmi perché mi fai queste domande?
- Aud, secondo te perché ti senti così male?
Audrey aveva avuto un sussulto, a quella domanda. Era più che sicura che i suoi malesseri derivassero dall’ansia per il processo; di questo, però, non aveva parlato con nessuno dei Bennet, e non intendeva farlo neanche con Rhett.
Si era limitata quindi ad alzare le spalle. - Sono un po’ tesa in questo periodo, penso sia per quello. Però sto bene, davvero: è Percy che esagera a preoccuparsi, come al solito…
- Da quant’è che stai così? Che vomiti e hai mal di testa?
Aveva alzato di nuovo le spalle. - Oggi è il quindici, saranno… dieci giorni, undici forse.
Rhett aveva abbassato lo sguardo sul foglio della ricetta, e quando l’aveva rialzato aveva un’espressione stranissima.
- Mi serve un campione di sangue, Aud. E anche uno di urine.
Non serviva una laurea in Guarigione per capire che Rhett aveva qualcosa di ben preciso in mente. Audrey, tuttavia, ci arrivò un po’ tardi, quel giorno. E quando ci arrivò, la sua paura schizzò alle stelle.
Salì ancora più su, quando Rhett confermò che, sì, era quello che pensava.
 
 
Quindici, sedici, diciassette settembre.
Nessuna notizia da Grete; Percy non faceva altro ormai che chiedere continuamente se fosse arrivata posta per lui in ufficio. Aveva seriamente paura che la Norvegia avesse già chiuso le frontiere e impedisse le comunicazioni: se così fosse stato, anche Garantire per Audrey sarebbe stato vano, visto che non poteva comunque provare che lei fosse Purosangue da quattro generazioni. Non solo vano, ma ancora più dannoso: sarebbero finiti entrambi ad Azkaban, in quel caso.
Di nuovo quel senso di totale inutilità, di impotenza. Percy non riusciva più a ragionare freddamente: ogni minuto della sua giornata era costellato di preoccupazione per Audrey, per cosa le avrebbero fatto, per cosa lui non avrebbe potuto fare. La ragazza poi sembrava davvero devastata; nei primi giorni riusciva ancora a confortarla, dicendole che sarebbe andato tutto bene, che ci avrebbe pensato lui, ma ormai quelle parole non le bastavano più.
I suoi occhi restavano spenti e vacui tutto il giorno.
Percy avrebbe voluto che lei parlasse almeno con sua madre, Lucy: ma Audrey insisteva a dire che non voleva spaventarla, che stava meglio da sola, che non aveva bisogno di lei…
Come se non sapessi che non è vero. Diamine, Aud…
Sei così diversa da me; perché allora commettiamo gli stessi sbagli?
 
La mattina del diciotto settembre fu la più afosa di quel mese. L’estate dava gli ultimi colpi di coda, e quell’anno c’era stato un caldo insolito a Londra.
Solo Audrey aveva freddo, un freddo tremendo.
Era nell’Atrio, e aspettava Percy appoggiata a una parete, stringendosi addosso una felpa. Come al solito, si erano diretti separatamente al Ministero.
Come al solito. Chissà se succederà ancora?
In quelle due settimane non aveva pensato, nemmeno per un attimo, a quello che sarebbe successo quel giorno. Si era rifiutata di farlo.
Aveva vissuto come in uno stato di semisordità: tutto le arrivava ovattato, irreale.
Chissà se mi faranno stare ancora con te?
Per questo non ne aveva voluto parlare con nessuno, nemmeno con sua madre. Sapeva che, parlandone, quell’incubo sarebbe diventato reale.
Chissà se potremo tornare a casa insieme, di nuovo?
Un incubo, un incubo. Per lei, per Adams. E adesso, anche per quello…
Già. Quello.
Chissà se potrò mai dirtelo?
Chissà che mi dirai?
Adesso che la prospettiva di non tornare più a casa, quel giorno, diventava terribilmente vicina e reale, Audrey si rese conto che non poteva, non poteva andare ad Azkaban. Non poteva.
Perché non aveva ancora avuto il coraggio di dire quella cosa a Percy.
Non gliel’ho detto. Non posso andarmene.
Finalmente intravide Percy in mezzo all’Atrio. Smise di pensare e andò da lui.
 
La strada per le aule giudiziarie era lunga, ma non sembrò mai così breve.
- Dov’è Adams?
- Credo sia già lì ad aspettarci…
- Stai tranquilla, Bennet.
Stai tranquilla. Percy le diceva sempre di stare tranquilla. Ma come, come?
Come faccio a stare tranquilla? Non te l’ho ancora detto…
Scesero i pochi gradini uno davanti all’altra. Nel corridoio c’erano già una decina di persone, molte delle quali erano familiari a Percy: erano fattorini, impiegati, persino un Indicibile… Tutti casi sospetti, tutti lì a cercare di dimostrare una purezza di sangue quasi impossibile.
Percy rabbrividì. C’era qualcosa di strano, lì. Non era la solita sensazione che provava nelle aule giudiziarie, era qualcosa come…
E lo vide.
Sentì Audrey gemere, dietro di sé, e le si mise accanto per stringerle un braccio. Non ci si doveva disperare, davanti ai Dissennatori.
 
Sempre tenendola per un braccio la portò verso le prime sedie disponibili, e la fece sedere accanto a sé.
- Audrey… - mormorò, così piano che solo lei poteva sentirlo.
- Audrey, andrà tutto bene, te lo prometto. Tutto bene…
Lei non lo guardò neanche. I suoi occhi erano sempre vuoti e lontani. Si risvegliò solo quando Percy, ignorando inaspettatamente le occhiate curiose delle persone attorno, le passò un braccio attorno alle spalle.
- Te lo prometto, non ti faranno niente; andrà tutto bene…
Non può più andare bene. Non può.
Diamine, se erano vicini, quei Dissennatori. Ma perché erano lì, perché ce li tenevano?
Sempre col braccio a circondare Audrey, Percy si guardò intorno cercando Adams. Fu però lui a trovare loro: l’uomo li raggiunse di lì a cinque minuti, stringendo convulsamente tra le mani la copia del suo albero genealogico.
- Bello spettacolo, no? - mormorò, accennando con la testa ai Dissennatori. - Perfetto per preparare le persone ai processi… Le persone normali, almeno; e noi non lo siamo, vero, Audrey? Noi siamo migliori.
Audrey fece una piccola smorfia, alzando un angolo della bocca. Adams era davvero un prodigio: nemmeno i Dissennatori riuscivano a piegarlo del tutto. Lei invece…
Il sangue.
Non pensi al sangue?
… iniziava a fare pensieri strani.
Si strinse ancora di più nella felpa, e sentì la mano di Percy aumentare la presa sulla sua spalla. Caro, caro Percy…
Non lo vorrà.
Il sangue. Il sangue.
Ancora un pensiero strano, un pensiero non suo. Lo scacciò subito.
Adams si rivolse a Percy. - Notizie?
Il ragazzo capì subito cosa intendeva dire. - Nessuna. Credo che… seguirò il tuo consiglio.
Adams annuì. - Una sola, capito?
- Sì.
- E se… se va male…
- Non importa. Non potrebbe andare peggio di così, comunque.
Restarono in silenzio per quasi un’ora. Tutti, in quel corridoio, tacevano.
Le uniche voci appartenevano alla Umbridge, che a intervalli quasi regolari chiamava nell’aula gli interrogati, e a Percy, che all’incirca con la stessa frequenza sussurrava a Audrey: - Tutto bene, andrà tutto bene…
Lo disse talmente tante volte che alla fine non ci credette più nemmeno lui.
 
Quasi tutti entrarono, pochi uscirono da soli; molti venivano accompagnati dai Dissennatori.
- Ernest Adams e Audrey Bennet!
Un tremolio improvviso impedì a Audrey di alzarsi subito. Percy le strinse di nuovo il braccio, e la costrinse dolcemente a tirarsi su; Adams invece era entrato subito nell’aula, a testa alta.
Dopo di lui entrò Percy. E si sentì gelare.
Ancora Dissennatori. Decine di Dissennatori.
Adams era bianco come un cencio, ma fece uno sforzo e li ignorò con indifferenza quasi regale, andandosi a mettersi in piedi di fronte alla commissione per consegnare la bacchetta. Percy si voltò invece a guardare Audrey, che immobile sulla soglia fissava i Dissennatori raggelata.
- Audrey, - bisbigliò, - guardami…
Il sangue, il sangue…
- Audrey, ascolta…
Non ti vorrà, non ti vorrà.
- Bennet.
Finalmente riuscì a smettere di guardare i Dissennatori, e si volse verso Percy.
- Bennet… Pensa… a qualcosa di bello. Va bene? Qualcosa… di bello. Non pensare ad altro, capito?
Di bello. Qualcosa di bello.
- Capito, Bennet?
Audrey annuì, e finalmente entrò nell’aula.
La Commissione era stata rimpolpata, dopo l’“incidente” avvenuto nei primi di settembre e conclusosi con la fuga di buona parte dei Nati Babbani. Insieme alla signora Umbridge, a Yaxley e a Mafalda Hopkirk che verbalizzava c’erano altre quattro o cinque persone, tra cui, notò Percy, l’ufficiale O’Brien e l’uomo alto che era insieme a Rookwood il due agosto.
- Bene, signorina Bennet, vuole farci il favore di mettersi qui di fronte, prego? E non dimentichi di consegnare la bacchetta…
Per un breve istante Percy riuscì, non visto, ad afferrare la mano di Audrey prima di allontanarsi da lei e sedersi nei posti riservati a spettatori e testimoni. Sperò con tutte le forze che quel gesto quasi infantile bastasse a non farla crollare, non lì, non in quel momento… Non davanti a loro
- Dunque, Adams e Bennet: i due archivisti, dico bene? Beh... - la Umbridge fece un breve risolino. - Andiamo in ordine alfabetico, ovviamente. Signorina Bennet, lei può aspettare lì; si segga, signor Adams.
Adams obbedì docilmente, andandosi a mettere sul sedile degli interrogatori. Stranamente le catene non lo strinsero.
L’uomo ebbe il tempo di voltarsi a guardare prima Audrey, accasciata su una panca alla sua destra, e poi Percy, sistemato a sinistra, poco dietro di lui. Dopodiché il giudizio iniziò.
- Lei è Ernest Friedrich Adams?
- Sono io.
- Figlio di Algernon Adams e Lisbeth Schuster?
- Proprio così.
- Impiegato al Ministero della Magia con la qualifica di archivista?
- È il mio ritratto. - Alcuni dei maghi della Commissione sbuffarono divertiti.
- Il suo albero genealogico? - chiese la Umbridge, un po’ irritata da quella tranquillità. Adams fece per alzarsi e consegnarglielo, ma lei Appellò la pergamena e l’aprì. La passò poi a Yaxley, che la fece girare tra gli altri membri.
- Una genealogia invidiabile, signor Adams - chiocciò la Umbridge, con un sorriso lezioso. - Ben sei generazioni di puri maghi e streghe. Invidiabile.
L’influsso dei Dissennatori iniziava a farsi sentire su Adams, ma lui riuscì lo stesso ad accennare un sorriso cortese. - Lei è troppo gentile.
- Un sangue quasi totalmente puro. Non sono molti a poter vantare questo privilegio.
- Adesso mi lusinga, signora Umbridge.
- Se tutti fossero come lei, - proseguì la donna, - questa Commissione non avrebbe motivo di esistere. Un vero peccato, sa?
Adams avrebbe voluto tacere, ma non riuscì a trattenersi. - Che cosa? - chiese.
- Che un mago con un sangue come il suo debba finire ad Azkaban.
 
Su un’altra persona, una frase del genere avrebbe sortito qualche effetto; Adams, però era preparato. Aveva già capito; sapeva già cosa volevano da lui, cosa gli avrebbero chiesto, e anche come sarebbe finito quel processo. C’era un’unica uscita possibile, purtroppo.
E Adams non era il tipo da far storie
Non restava che fare la propria parte; tanto, speranze non ce n’erano, a che valeva fare il bravo e fingere di volerli assecondare mentre giocavano con lui come il gatto con la preda?
Quei bastardi non se lo meritavano.
Si inumidì le labbra. - Immagino c’entri qualcosa la Nuova Commissione per l’Etica e la Morale, giusto?
Il sorriso della Umbridge si fece, se possibile, ancora più grande e falso. - Purosangue e anche acuto. È proprio vero che lei ha un solo difetto, signor Adams.
Percy non stava perdendo una parola di quello scambio di battute. Incredibile: Adams aveva intuito giusto. La sua convocazione non riguardava lo stato di sangue, ma la sua omosessualità.
Sono davvero arrivati a tanto?
Mai, mai era accaduto, nel mondo magico, che quello fosse considerato un reato. Mai.
Ora, invece…
Doveva davvero assistere allo scempio che avrebbero fatto di quell’uomo?
 
Audrey invece non riusciva ad ascoltare.
Circondata dai Dissennatori, lontana da Percy e dalla sua stretta confortante, la mente della ragazza aveva ripreso a formulare pensieri strani.
Come il sangue. Sai quanto sangue si perde?
Tanto, tanto…
E poi perdi anche quello.
Lo perdi. Puff. Sparito.
E non l’hai detto a Percy.
Percy. Percy le aveva detto di pensare a qualcosa di bello.
Bello, bello… Il loro primo bacio: un assaggiarsi timido e incuriosito, sotto la cupola antipioggia.
Il secondo, ancora sotto la pioggia, ma stavolta bagnati fradici e tremanti di freddo, stretti come se non dovessero separarsi mai più.
Bello, bello…
Lui ti lascerà.
La bellezza si infranse.
 
- Difetto? Mi definisca “difetto”, per favore.
La Umbridge rimase un attimo senza parole, sentendo il tono con cui Adams le aveva rivolto quella frase. Era calmo, pacato; sembrava non avere nessuna paura. Questo non le piacque.
- Sono io a fare le domande, signor Adams. - Fece una breve pausa.
- Ammette dunque le sue inclinazioni deviate?
- No.
La Umbridge aggrottò le sopracciglia. - No?
- No. - Adams prese fiato, resistendo all’influenza dei Dissennatori che, per un attimo, stava per avere la meglio su di lui.
- Mi dispiace, signor Adams, ma il Ministero è in possesso di prove che…
- Ammetto - la interruppe Adams, - di aver compiuto una scelta di vita; e ammetto di averla portata avanti con sobrietà e discrezione.
- Non è la discrezione che ci interessa, signor Adams, - ghignò Yaxley, - ma proprio la sua scelta…-
- Scelta di cui non mi pento - ribatté, faticosamente. - Scelta per la quale non ho mai preteso approvazione o sostegno. Scelta che non ho sbandierato in nessuna occasione, in nessun luogo, per nessun motivo, proprio per rispetto a chi non la pensa come me.
- Signor Adams, la sua autoassoluzione è irrilevante per questa commissione. Siamo qui per giudicare la sua moralità, non il modo in cui si è nascosto.
- La moralità si giudica in base ai comportamenti.
- La moralità si giudica in base ai fatti, - sibilò la Umbridge stringendo i denti, - e la sua pederastia è un fatto.
- Sono omosessuale, non pederasta - ghignò allora Adams. - Ai pederasti piacciono i ragazzini. La vedo poco informata, cara signora…
- Ne so quanto basta! - esclamò la Umbridge, poi si contenne. Inspirò, e tornò a mostrare il suo sorriso dolciastro. - Omosessuali, sodomiti, pederasti, deviati, invertiti. Voi siete anche peggio dei Nati Babbani. Voi avete il sangue puro e lo insozzate con le vostre luride pratiche da animali.
- Gli animali si accoppiano per necessità, - ribatté pronto Adams, - gli umani perché lo vogliono.
- Adesso basta! - strillò di nuovo a Umbridge, al colmo dell’irritazione. Dismise del tutto il sorriso falso e scrutò Adams minacciosa, imitata da Yaxley e da altri della commissione.
- Ernest Adams, lei ha appena ammesso di fronte alla Nuova Commissione per l’Etica e la Morale di essersi macchiato del reato di sodomia. Ha inoltre ripetutamente insultato e provocato la sottoscritta, presidente di questa Commissione. Ha altro da aggiungere?
- In verità, sì - fece Adams. Non era strano, essere così tranquilli davanti alla propria fine?
Beh, lui lo era. La tranquillità di chi non ha speranze.
Tanto è tutto finito, ormai; meglio chiudere in bellezza, no, vecchio mio?
E allora dai, un ultimo sforzo per farci ricordare da questa gente.
- Signora Umbridge, lei ce l’ha molto con me, e lo capisco. Sono però orgoglioso di affermare che, a differenza di lei, - e abbassò un po’ la voce, - almeno io ho scopato, nella mia vita.
 
Per un momento Percy pensò che Adams fosse veramente impazzito. Che diamine gli era venuto in mente? Dire una cosa del genere di fronte a persone che hanno potere di vita o di morte su di te!
Un pazzo, un pazzo, oddio, lo ammazzeranno, lo ammazzeranno, sicuro come la morte che lo ammazzeranno…
Nella commissione non tutti erano riusciti a sentire ciò che Adams aveva bisbigliato, e si guardavano tra loro sconcertati. La Umbridge invece era stata colpita in pieno da quelle parole insolenti: sembrava sul punto di avere un colpo apoplettico. Era diventata completamente bianca, e le mani tozze avevano iniziato a tremolare dalla rabbia.
Provò ad aprire la bocca, ma non riuscì ad emettere nulla, tanto la furia si era impadronita di lei. Alla sua destra Yaxley la osservava preoccupato, non sapendo cosa dire né cosa fare: era la prima volta in assoluto che un imputato si comportava in quel modo, una cosa da pazzi, da pazzi…
Alla fine la donna sbatté le mani sul banco con forza inaudita, e si alzò in piedi urlando.
- Ad Azkaban, a vita! Fuori… Fuori da qui… Fuori! Azkaban a vita! A vita!
- No!
 
Lo avevano gridato insieme, istintivamente. Sia Audrey che Percy erano in piedi, in due parti opposte dell’aula, a gridare quel “no” disperato.
La Umbridge quasi non se ne accorse, ma Yaxley ed altri si sporsero a guardare i due ragazzi.
Dopo quei “no”, cadde il silenzio. I membri della commissione aspettavano che Dolores Umbridge dicesse qualcosa; la donna però stava ancora cercando di controllare la propria esplosione di furia.
Ci volle qualche secondo, ma alla fine la Umbridge recuperò la calma. Ignorò totalmente Audrey, e guardò verso Percy.
- Ha detto qualcosa, signor Weasley? Oppure desidera parlare in difesa di questa... persona?
E lì arrivò la tentazione.
Fu forte, fortissima. Al diavolo, adesso ti frego io, stronza, Garantisco per lui, voglio vedere cosa puoi fare, puttana… Garantisco per Adams, e andate a farvi fottere, tutti quanti, voi e le vostre menate sulla purezza…
Percy ce l’aveva lì, sulla punta della lingua. Prima di riuscire a parlare, però, fu fermato dallo sguardo di Adams.
Uno sguardo che valeva molto più di mille parole.
Puoi aiutare solo uno di noi, cretino. Pensa a Audrey.
Si sarebbe pentito di non aver aiutato Adams, ma non avrebbe mai potuto perdonarsi il fatto di non aver salvato Audrey. E nemmeno Adams lo avrebbe perdonato.
Deglutì, e sentì il sudore colargli lungo la schiena nonostante il gelo dell’aula.
- No. Non ho nulla da dire.
Abbassò lo sguardo per non incrociare gli occhi increduli e delusi di Audrey.
Scusa, Aud, scusa, scusa, non puoi capirlo adesso, scusa, mi dispiace, mi dispiace…
- Molto bene, - esalò la Umbridge con voce acuta, quasi senza fiato, - stando così le cose, io, Dolores Umbridge, presidente della Nuova Commissione per l’Etica e la Morale, condanno Ernest Adams alla reclusione ad Azkaban per i reati di sodomia e oltraggio alla Commissione. Fuori!
Mani mostruose attorniarono Adams, che non riuscì a trattenere un gemito di terrore.
Percy assistette a quella scena come al rallentatore, incapace di pensare ad alcunché, impossibilitato a dire qualcosa, qualsiasi cosa. Era tutto così assurdo, così irreale, così impensabile…
Finché Adams non lo guardò di nuovo, un attimo prima di uscire. Lo guardò, e le sue labbra si mossero a malapena.
- Va bene così, tranquillo… Va bene così.
Poi la porta dell’aula si rischiuse dietro di lui.
 
 
Percy rimase lì, in piedi, a fissare la porta.
Quando avrebbe rivisto Adams? Lo avrebbe mai rivisto?
No, no, no, perché… Non è giusto, no, no…
- Bene, - gracchiò la Umbridge, dopo un minuto di silenzio totale, - se i miei colleghi sono d’accordo direi che possiamo proseguire col giudizio. Signorina Bennet, prego.
Percy si riscosse. Non aveva potuto fare nulla per Adams; l’uomo si era praticamente sacrificato perché lui pensasse a Audrey, ed era quello che doveva fare.
Vecchio mio, mi dispiace tanto, ma ora penso a lei, scusami, scusami…
Mentre la ragazza, tremante, si sedeva sul seggio degli interrogatori, Percy si avvicinò al palco della commissione.
Dall’alto la Umbridge lo scrutò. Aveva ripreso il solito falso sorriso, e sembrava più che mai una rana gigante.
Ma io non sono una mosca.
Il Patronus della donna gli passò vicino, e Percy trattenne l’impulso di disperderlo con un gesto della mano.
- Vuole dirci qualcosa, signor Weasley? - domandò la Umbridge, nuovamente mielosa.
- Sì. - Percy si sistemò gli occhiali col suo solito gesto, e riprese coraggio. - Mi assumo l’incarico di difensore d’ufficio di Audrey Bennet.
- È… insolito- chiocciò la Umbridge. - La signorina non è una sua dipendente?
- Proprio per questo me ne faccio carico. Secondo il Regolamento delle Aule Giudiziarie, possono costituirsi difensori d’ufficio o testimoni della difesa i parenti più prossimi, i coniugi e tutti i soggetti aventi un legame diretto e di superiorità con l’accusato, come il tutore, il Preside della scuola o il datore di lavoro - snocciolò Percy, sentendosi sempre più sicuro.
- Lei conosce bene la nostra legge, signor Weasley - rispose la Umbridge con un risolino. - E va bene, la Commissione riconosce il suo ruolo. Vogliamo iniziare?
Percy guardò Audrey. Non gli era mai sembrata così piccola, così indifesa: sembrava una ragazza forte e decisa, ma ora se ne stava lì, rannicchiata e terrorizzata. Fragile, da proteggere.
Farò qualsiasi cosa per te, lo sai.
Sistemò nuovamente gli occhiali.
- Sì. Cominciamo.
 
 
Per fortuna che Percy era intervenuto per parlare al posto suo, perché Audrey non sarebbe stata in grado di pronunciare una parola.
Se Adams era riuscito, con uno sforzo immenso, a mantenere il controllo della sua mente, quella di Audrey sembrava invece totalmente in balia dell’influsso dei Dissennatori. Non faceva che pensare al sangue.
Sangue, sangue… Sai quanto sangue può perdere una donna?
Quei pensieri… non erano suoi. Lei… Lei era giovane, sana, sarebbe andato tutto bene…
Sai quanto poco ci vuole, per perderlo?
No, no, non era vero. Smettila di pensare a queste cose e ascolta Percy, piuttosto…
L’anno scorso è successo a Edna, ricordi? Ha perso tanto sangue, tanto sangue… Il pavimento di zia Magda era pieno, pieno di sangue…
Oleg non aveva mai avuto così tanta paura, l’ha portata di corsa all’ospedale ed era tutto sporco di sangue, sangue…
L’aveva detto anche Rhett. Era sana, stava bene. Non sarebbe successo.
“Edna ha un problema, per lei è più difficile… Ma tu sei sana, sei giovane…”
Succederà, lo sai che succederà.
E se non succederà, lui ti lascerà.
Perché, perché proprio adesso quei pensieri? Perché non pensava ad Adams, povero Adams, che male ha fatto, non è giusto, chissà che gli faranno, Adams, Percy ha lasciato che…
Lui ti lascerà. Lui non vuole un figlio, non te lo ha mai detto ma tu sai che è così, ti lascerà, e lo perderai, perderai entrambi…
… Povero Adams, chissà se si sarebbero rincontrati ad Azkaban… Ma lei ci sarebbe andata?
Alzò lo sguardo e vide Percy. Stava parlando; cercò di capire, diceva qualcosa su un’adozione, un padre…
Non vuole essere padre. Tu lo sai, non te l’ha mai detto ma tu lo sai.
Lo perderai, perderai entrambi…
Ed è colpa tua.
No, no, non doveva cedere, non doveva fare quei pensieri; Percy l’amava, l’amava, glielo diceva sempre che l’amava…
È colpa tua, che ti affidi ai metodi Babbani. È colpa tua se lui avrà un figlio che non vuole. E ti lascerà.
Non l’avrebbe lasciata, per nulla al mondo. Non sarebbe successo. Lui l’avrebbe salvata, adesso, lui…
Lui non può fare nulla per te. Andrai ad Azkaban. Ti lascerà. Perderai il bambino.
Si prese la testa tra le mani, abbandonandosi alla disperazione più nera.
 
 
- E cosa le fa credere, signor Weasley, - commentò la Umbridge, dopo che Percy ebbe spiegato la situazione di Audrey, - che questa commissione si accontenti della sua testimonianza? Per tutti abbiamo richiesto un albero genealogico completo; perché mai dovremmo fare un’eccezione per la sua dipendente?
- Vi ho detto che l’albero è attualmente irreperibile, ma esiste - ribatté Percy, duro. - Come avrebbe potuto la signorina Bennet presentarlo, se non poteva nemmeno recuperarlo?
- Possiamo darle credito - intervenne Yaxley, - sul fatto che sia Purosangue, visto che il seggio non l’ha incatenata. Tuttavia dobbiamo vedere il suo albero genealogico. Lei capisce, - aggiunse con un ghigno, - se iniziamo a fare delle eccezioni qualcuno potrebbe approfittarne…
Percy sospirò, ricominciando a sentire paura. Quindi esisteva, per la commissione, un mezzo certo per sapere se chi avevano davanti era Purosangue o meno. Figli di puttana. Lo sapete che Audrey è Purosangue, non vi basta ancora?
No. Non gli bastava, evidentemente. La sentenza di Audrey era già scritta, come quella di Adams. A quei… pazzi non importava davvero del sangue, della morale o di altre scemenze: volevano solo che alcune persone soffrissero; possibilmente le persone più deboli.
E non era forse debole Audrey in quel momento? Così piccola, così sola, circondata dai Dissennatori…
Strinse i pugni e i denti. Gli restava solo una cosa da fare.
Sentì il gelo di un Dissennatore proprio accanto a sé, e cercò di pensare a qualcosa di felice.
Torneremo a casa insieme, tra poco. Io e te, Audrey.
- In questo caso, - emise, tra i denti, - appongo la mia Garanzia su Audrey Bennet.
 
Tra i membri della Commissione si diffuse un mormorio. Molti non sapevano nemmeno cosa fosse, la Garanzia.
Yaxley e Mafalda Hopkirk si scambiarono uno sguardo dubbioso, ma la Umbridge osservò Percy con interesse.
- Lei conosce davvero bene la nostra legge, signor Weasley.
- Mi piace tenermi informato, signora Umbridge.
Un ennesimo, insopportabile sorrisetto.
- Lo sa che se non riesce a recuperare l’albero genealogico della qui presente Audrey Bennet, entrambi finirete ad Azkaban?
- Lo so benissimo.
- E sa anche - un sorriso più largo, - che sarò io a stabilire quanto tempo avrà per reperirlo?
Di nuovo il sudore freddo. Dannazione. Avrebbe potuto dargli anche solo due giorni, o uno solo…
Vedi, cosa ti aspettavi? Sono dei pazzi, questi, pazzi…
- Non credo - riuscì a rispondere, con voce un po’ più acuta, - che sia nell’interesse della commissione il mandare ad Azkaban due persone di sangue puro. Come il signor Yaxley ha fatto notare, il seggio non ha incatenato la signorina Bennet, per cui il suo stato di sangue è certo; per quanto riguarda me, posso procurarvi il mio albero genealogico in qualsiasi momento, ma dubito che sia necessario.
- Conosciamo tutti la sua stirpe, signor Weasley - borbottò la Umbridge - Esecrabile, ma pura.
- Per l’appunto. - Percy riprese fiato, mettendo insieme le parole. Calmo, devi stare calmo.
- Come ha dimostrato poco fa, signora Umbridge, Azkaban è un luogo adatto per chi tradisce il proprio sangue, per chi sporca la propria dignità di mago con comportamenti deviati o per chi addirittura si permette di rubare la magia…
Audrey mi ammazzerà per aver detto queste cose. Mi ammazzerà. Cavolo, mi ammazzerà dieci volte, e avrà ragione.
- … e lei, signora Umbridge, ce ne ha appena dato una dimostrazione più che soddisfacente; le chiedo quindi, in nome della giustizia, di concedermi un tempo ragionevole per dimostrare la purezza di sangue della signorina Bennet, onde impedire che…
- È stato chiaro, signor Weasley, grazie - lo interruppe la Umbridge, interessata. Percy riprese di nuovo fiato: era riuscito a blandirla con tutte quelle stupidaggini. Audrey mi ammazzerà; ma l’unico modo per ragionare con questa gente è dire loro quello che vogliono sentire.
- Avrà cinque giorni, a partire da oggi, per sfruttare la sua Garanzia. Le sembra un tempo ragionevole, signor Weasley?
Cinque giorni non erano niente, ma Percy non era sicuro di poter osare ancora. Si limitò a chinare la testa in segno di assenso.
- Spero vivamente che riesca a farcela, signor Weasley…
Percy alzò gli occhi sulla donna, e rabbrividì quando ne incrociò lo sguardo.
- Sa, - proseguì lei, - sarebbe davvero terribile se il figlio dell’Indesiderabile Arthur Weasley finisse in prigione… Non trova?
Ecco. Lo avevano incastrato.
 
Era chiaro, chiaro come il Patronus che gli stava davanti. Era stato un cretino ad esporsi così; la Umbridge aveva trovato un modo per colpire i Weasley e aveva colto la palla al balzo.
Probabilmente pensava che, mandando Percy in galera, avrebbe danneggiato Arthur e sarebbe riuscita a controllarlo. Merda.
Percy sapeva benissimo che così non sarebbe stato, ma… Come spiegarlo a quella donna?
Merda.
E c’era anche un altro piccolo particolare da aggiungere: se anche Grete fosse riuscita a farsi bastare quei cinque giorni, lui era fregato. Si era esposto per un caso di discendenza sospetta con cui non aveva nessun legame apparente, se non quello lavorativo; lo avrebbero tenuto d’occhio, d’ora innanzi, molto più di prima. Se poi avessero scoperto che lui e Audrey erano qualcosa di più che capo e dipendente, beh… Sarebbe potuto andare tutto molto peggio.
Se davvero pensavano che Percy avesse ancora qualche collegamento con la sua famiglia, lo avrebbero colpito usando lei. E non poteva assolutamente permetterlo.
Merda…
Realizzò tutto in un paio di secondi. Alla mente umana basta pochissimo per rendersi conto del male che subisce.
Percy prese di nuovo fiato, lasciando che l’aria gelida gli ferisse i polmoni. Confermò che cinque giorni andavano bene, e, dopo aver aiutato Audrey a rialzarsi, uscì da quel maledetto posto.
 
Dovette sorreggerla, mentre salivano i gradini; Audrey non riusciva nemmeno a tenersi in piedi.
Il sangue… Perdi sangue…
Ed era pallida, santo cielo se lo era. Percy non pensava che sarebbe stata così male vicino ai Dissennatori.
La ragazza riprese un po’ di colore solo quando si trovò nell’Atrio, ben lontana da quel gelo.
Fu lì, in mezzo alla gente, che scoppiò in lacrime. Non ne poteva più, non ne poteva più di pensare quelle cose, di sentirsi così male… perché mai doveva pensare che lo avrebbe perso, che li avrebbe persi, perché…
Si rese conto confusamente che Percy la stava abbracciando. Rimase sorpresa: non era da lui un gesto del genere, in mezzo a tutta quella gente; non ci stette a pensare troppo però. Aveva bisogno di lui, bisogno di sentirsi dire che sarebbe di nuovo andato tutto bene, di sapere che non l’avrebbe lasciata...
- Non lasciarmi, per favore, per favore… Mi dispiace, non lasciarmi… - singhiozzò, disperata.
- Non ti lascio, tranquilla. Va tutto bene. Non ti lascio - ripeté lui, stringendola in mezzo all’Atrio.
Che diamine ti hanno fatto, Aud?
- Non ti lascio, lo sai. Non ti lascio.
 
 
- Siediti, ti preparo qualcosa.
- Non serve. Sto bene, adesso.
Percy sospirò, scuotendo la testa. A casa loro Audrey si era sentita decisamente meglio, e aveva perso quell’aria vuota che aveva al Ministero. Non si poteva dire, però, che stesse bene.
- Faccio un tè, va bene?
- Perché non hai aiutato Adams?
Percy chiuse gli occhi. Non aspettava altro che quella maledetta domanda.
- Non potevo. Lo avrei fatto, ma non potevo.
- Perché?
- Potevo Garantire solo per uno di voi; ho scelto te. Adams me l'ha chiesto.
Non si dissero altro, mentre l’acqua si riscaldava e iniziava a bollire. Percy la versò in due tazze e prese due bustine di tè.
- Non ci sarebbe della camomilla?
Una bustina di tè e una di camomilla. Vedi che devi calmarti, amore…
Si sedettero, e fecero ancora silenzio. Si sentivano entrambi storditi, come quando si ricevono talmente tanti colpi in testa che alla fine non se ne sente più il dolore. Tutto era distante, lontano, come se ciò che era successo solo mezz’ora prima fosse vecchio di settimane, o fosse solo un sogno. Come se Adams non fosse stato trascinato via dai Dissennatori quello stesso giorno, e Audrey e Percy non rischiassero di finire ad Azkaban di lì a cinque giorni.
- Sono dei mostri… - mormorò il ragazzo a un certo punto. - Dei mostri. Io… Mi dispiace tanto, io avrei voluto…
- Lo so - lo interruppe Audrey. - Lo so. Scusami.
Si guardarono. Avevano due facce da sopravvissuti. Ma per quanto ancora?
Quanto possiamo sopravvivere ancora, così?
- Audrey, io… Devo dirti una cosa…
- Anch’io.
- Ah… Va bene, dimmi prima tu.
- No, posso aspettare.
Percy inspirò, chiudendo gli occhi. Ecco la parte più dura, la parte più difficile. Quella che non sarebbe mai dovuta venire, e che invece stava diventando inevitabile.
Separarsi.
- Audrey, ascolta. Oggi io… mi sono esposto per te, e… penso di essere diventato un bersaglio. La mia famiglia… - cercò le parole - ... non ha mai appoggiato il Ministero, e ora meno che mai. La Umbridge pensa di poter arrivare a loro controllandomi, e… e se scopre che stiamo insieme potrebbe… farti del male, ecco. Quindi… Quindi oggi stesso te ne torni da tua madre.
Audrey trattenne il fiato e spalancò gli occhi, sconcertata.
- Tu… Tu vuoi che… E perché, scusa? Solo perché pensi che…
- Non lo penso, ne sono sicuro. Non hai sentito cos’ha detto la Umbridge alla fine? Sono il figlio dell’Indesiderabile Arthur Weasley. E… E finché mi sei vicina sei anche tu un bersaglio. Per favore, - implorò, prevenendo la raffica di obiezioni di Audrey - lo so, pensa pure che io sia un cretino, o che…
- Percy…
- … O che non sappia quello che dico, ma più mi stai lontana più sono sicuro che…
- Percy…
- … Non ti succederà niente di male, quindi per favore…
- Percy, sono incinta.
- … Vai subito a… cosa?!
 
Otto secondi. Sapete quanto sono lunghi, otto secondi?
Provate a contarli. Uno. Due. Tre. Quattro. Cinque. Sei. Sette. Otto.
Non finiscono mai.
Immaginate adesso otto secondi di completo, perfetto, totale silenzio. Sembrano ancora più lunghi, adesso, no?
Ora, in otto secondi di silenzio si ha tutto il tempo di pensare a qualcosa di intelligente da dire, e persino al tono con cui dirlo.
Otto secondi sono tanti, no?
Beh, non per Percy.
- In… - pigolò, dopo otto secondi. - In… In che senso, scusa?!
Se a un uomo (normale) occorrono otto secondi per pensare a cosa dire, a una donna basta una frazione di secondo per offendersi.
Se è Audrey, poi, molto meno.
- Come sarebbe a dire in che senso?! Quanti altri sensi conosci?!
- Ma… - farfugliò Percy. - Ma… Io… Tu… Ma… Cosa… Come… E me lo dici adesso?!
- Tu mi hai detto adesso che vuoi che me ne vada di casa!
- Ma… Ma noi… Tu… Ma come… Come?!
- Vuoi davvero che te lo spieghi, Perce?
- Ma… Ma… è mio?!
L’idiozia di quella domanda fece capire a Audrey che quel dialogo stava scadendo nel demenziale.
- Perce, o la pianti di dire cose ridicole o ti faccio smettere io. Di chi altri dovrebbe essere? Ho la brutta abitudine di essere fedele, sai… E comunque, non è questo il punto.
No, infatti; il punto era un altro. Adesso dovevano riuscire a farsi mandare l’albero genealogico, e, soprattutto, Audrey doveva andarsene da lì. Assolutamente.
- Aud… Io… Io… Scusami, ma… ma così è peggio. Molto peggio.
- Perché? È così grave che non voglia separarmi da te proprio adesso?
- Ma… Cavolo, Bennet, non capisci? Tu… Io non posso pensare che… che tu sia in pericolo per me, soprattutto visto che sei… sei…
- Incinta.
- Sì. Ecco. - Sospirò. - Tu non… non puoi… Ti prego, per favore, vai da tua madre, fallo per me.
Fallo per noi.
Audrey si morse un labbro e chinò il capo. - Niente può farti cambiare idea, vero?
- Stavolta no. Però - aggiunse in fretta, vedendo che Audrey si asciugava una lacrima, - non è mica per sempre, insomma… Appena sarà possibile noi…
- E quando sarà possibile, Perce?
Non rispose. Non c’era risposta possibile, a quella domanda.
Restarono muti, senza guardarsi, mentre l’acqua nelle tazze si raffreddava.
 
Non era vero, come pensava Audrey, che Percy non avrebbe voluto un figlio. Anzi.
Se non fosse successo in quel momento, in quei giorni, in quella situazione, sarebbe stato il ragazzo più felice della Terra. Non l’aveva cercato, è vero, ma era suo. Suo e di Audrey. Il sangue di lei e quello di lui si erano mescolati, si erano fatti carne ed era… meraviglioso. Magico.
Ma non era il momento, non era il tempo.
E il pensiero che Audrey aspettava un bambino da lui rese Percy non felice ma, se possibile, ancora più preoccupato e impaurito.
 
Stavano arrivando i tempi peggiori.







*Indossa l'elmetto da Sturmtruppen e alza la barricata*
Sì, va bene, odiatemi! Non dite però che non vi avevo avvertito!
Vado subito alle avvertenze, anche se non credo che riusciate a leggerle dopo questo capitolo biblico (scusate se è lungo, ma mi sentivo ispirata ^_^):
1) Immagino non serva chiarire che quello che Dolores dice ad Adams non rispecchia la mia idea sugli omosessuali, vero? Cioè, non avrete mica pensato che io creda quelle cose?? Se lo avete fatto, sparite da qui, significa che non avete ancora capito a chi va la mia simpatia.
2) "So di non sapere". Mi rifiuto categoricamente di dirvi chi è l'autore di questa frase.
3) Il fatto che gli inglesi (o meglio gli anglofoni) tendano a pronunciare le parole come gli pare a loro è pura verità. In bocca a loro, un semplicissimo sine die latino diventa saine dai. Inquietante. Li odio u_u
4) Tanto per continuare sulla scia delle citazioni non volute: già una recensitrice (ciao, Charme! So che stai leggendo!) mi aveva fatto notare che, nel capitolo 15, tra i proverbi snocciolati da Percy ce n’era uno, “Il mattino ha l’oro in bocca”, che ricordava in maniera inquietante il film “Shining”; pochi giorni fa, invece, sfogliando dopo anni dall’ultima lettura uno dei miei romanzi preferiti, ho scoperto che un O’Brien (ricordate? L’inquisitore bastardo che manda ad Azkaban la povera signora Stapleton) esisteva già. Ed era egualmente bastardo, se non di più,infinitamente di più.
Che romanzo era? “1984”, di Orwell. Eh già, proprio lui.
Perfetto, no?
Ormai il mio cervello va per conto suo, e lo lascio fare.
5) Come avrete intuito, la sottoscritta non sa una ceppa di norvegese; neanche una parola. Per i termini usati dalla simpatica Grete Skjalgsson (la quale deve la propria esistenza a un mio momento di pura follia) mi sono affidata a internet e al traduttore Google. Spero non passi nessun norvegese autentico, sennò sono fregata.
Piccolo dizionario dei termini usati:
Elskede: un vezzeggiativo, qui usato in chiave ironica (tipo “amore”)
Faen: imprecazione generica (tipo “cazzo”)
God kvald: buona sera
Godt: bene
Idiotisk: stupido
Ja: sì
Kjære: caro
Lille: piccolo
Takk: grazie
6) Avete visto? Stavolta non mi sono lamentata del capitolo! Faccio progressi, eh?
7) Come al solito un grosso grazie e un bacio bavoso (?!?) a tutti i lettori, preferitori, seguitori, ricordatori e alle mie recensitrici. Vi adoro, ragazze: siete le pazze migliori del mondo.
Ho visto anche che vicino al bottone "Mi piace" c'è un numero, in alcuni capitoli (nell'ultimo addirittura un 2): ora, la sottoscritta è orgogliosamente priva di Facebook, quindi non ho idea di che cippa significhi quel numeretto, ma lo prendo come un segno di apprezzamento. Grazie ^_^

Okay, torno a barricarmi, non vorrei che mi arrivassero veramente i Mangiamorte a casa... (o peggio la Umbridge...)
A presto
Ferao

Ritorna all'indice


Capitolo 20
*** Quella parte di me ***


Buon Dio, il capitolo 20. Non pensavo che ci sarei mai arrivata.
*si commuove*
Ormai quasi quattro anni fa ero solo una fanwriter alle prime armi, e ho iniziato la prima stesura di questa storia senza avere in testa una trama ben definita né un punto d’arrivo. Lo si può vedere dallo stile dei primi capitoli, che tra l’altro sono stati modificati a partire dal 2009: uno stile che spero vivamente sia cambiato, visto che non riesco a rileggere i primi dieci capitoli senza provare un piccolo fastidio.
Era nata come una piccola bimbaminkiata, in sintesi. Ora non lo è più, o almeno non credo.
Ora ce l’ho a cuore, questa storia. Sono riuscita a dare un ordine a tutto nella mia mente; sto incastrando gli ultimi pezzi, anche quelli che non si lasciano incastrare, e finalmente sono soddisfatta, nonostante tutto ciò mi stai succhiando via tempo, energie e ore di sonno.
Ad ogni modo ho preso lo sprint, finalmente, quello sprint che mi mancava da secoli, e sono contenta. Davvero.
Però… c’è un però. È vero, ho scoperto che scrivere capitoloni lunghi mi viene più facile e mi soddisfa di più, ma con questo sistema… siamo quasi arrivati alla fine. Eh già.
Adesso che mi stavo riaffezionando a questa long, accantonata e messa da parte per così tanto tempo, sto per concluderla. Diamine.
Controllo l’indice dei capitoli che ho scritto in fondo alla pagina Word come guida, per avere uno schema di lavoro, e non ci credo. Altri tre, quattro… cinque, se proprio riesco ad allungare il brodo. E poi basta.
Santa Cacca di Doxy, sta davvero finendo.
Parrà strano, ma mi dispiace. Faen.
Faen. Faen, faen, faen.
 
*si asciuga le lacrime*
 
…però ho già pronti i seguiti, quindi non sperate di liberarvi di me e dei miei personaggi tanto facilmente… *ghigno malvagio*
 
 
 
 
Ué! No, dico, dove pensate di andare? A leggere il nuovo capitolo? No no no, assolutamente no.
Non azzardatevi a farlo, faen. C’è una cosa che dovete AS-SO-LU-TA-MEN-TE fare prima di questo. NON OSATE leggere il capitolo 20 senza passare prima di qua: "Di libri e di altre sciocchezze"
Cos’è? È una delle cose più meritevoli di essere lette che la sottoscritta abbia mai trovato finora. È una raccolta bellissima, originalissima, scritta meravigliosamente da un autore (sì, un autore MASCHIO, finalmente!) che dire che è bravo è come dire che Potter porta una sfiga mostruosa. Cioè, riduttivo.
Leggete leggete leggete. Non azzardatevi a tornare qui prima di aver letto TUTTA la raccolta (ci si mette poco, vedrete) e magari di aver lasciato un commento al buon dierrevi, che saluto di quore (con la Q) anche se spero che non passi mai di qui a vedere questa storia, perché mi farebbe vergognare il fatto di mostrargli quanto poco valgo rispetto a lui ^__^
(Al gruppo delle recensitrici fedeli: voi leggete più di tutti, perché poi vi interrogo u__u)
(…e fu così che non rimasero nemmeno le recensitrici fedeli, come i dieci piccoli indiani…)
 
 
 
 
 
 
Avete letto? E avete lasciato la recensione?
No? Beh, tranquilli, fate con comodo. Vi aspetto.
 
 
 
 
 
 
 
Tutto fatto? Benissimo!
Ora potete leggere il nuovo capitolo.
Ma prima…
AVVERTENZE (che stavolta torno mettere a inizio pagina perché… perché sì, ecco):
1) “Rosci e cani pezzati, ammazzali appena nati”: proverbio diffuso in quel di Roma (ma forse anche altrove in giro per l’Italia) che è indice di una sorta di tradizionale malignità contro le persone dai capelli rossi, considerate cattive sin dalla culla. È OVVIO che NON condivido, anche perché il mio amato fidanzato Babbano ha a sua volta i capelli rossi ^_^
Tuttavia era perfetto per il contesto in cui l’ho inserito. Nel capitolo lo troverete parafrasato, ma ugualmente riconoscibile.
2) Stavolta sono riuscita a inserire un pizzico di follia in più nel capitolo, grazie all’aiuto dell’indispensabile Lucy Bennet (santa donna! Che farei senza di lei?); forse però, in effetti, un po’ troppa follia, visto che siamo sempre nel periodo “lutti-dolore-tragggedia-e-tempi-bui”. Non pensate che me ne sia dimenticata, eh. Però, insomma, a scrivere di quel periodo ci ha già pensato la Rowla, mentre io… io sto solo scrivendo di Percy e Audrey; voglio dire, okay, ci sono i Mangiamorte sguinzagliati in giro, a Hogwarts succede quello che succede, il malefico Potty Potter sta facendo lo “stravede” (per chi mastica un po’ di romanesco)… però Percy e Audrey si sono dovuti separare, e, cosa più importante, stanno per avere un bambino. Quindi, anche per non dare vita agli ennesimi monologhi di tristezza et disperazione in cui mi sono prodotta negli ultimi capitoli, mi sono soffermata più su di loro che su tutto il resto, anche se mi rendo conto che questo può portare forse a qualche incongruenza con la storia originale. Sorry.
3) Visto che ho notato un po’ di persone abbastanza interessante alla parola faen, vi lascio qui il link a un video molto istruttivo e interessante che spiega (in inglese) il corretto uso di questo utile termine, nonché l’esatta pronuncia e persino l’etimologia:  "Faen!"
Guardatelo, sia per farvi una cultura, sia perché lo speaker è piuttosto carino e potrebbe tranquillamente essere un Bennet, per come lo vedo io ^_^
4) Tornando alla signora Bennet, credo che potreste trovare i suoi principi un po’… contraddittori tra loro, considerato che quando si è ritrovata il povero Percy in mutande a casa della figlia non ha fatto una piega. Non stupitevi, però. Lo sapete benissimo, che è pazza, quindi non fatemi ripetere cose ovvie.
4) Il Ministero poteva controllare i camini dei dipendenti? (*Dubbio atroce…*)
In fondo, sono maghi… quindi possono, no? Non mi ricordo, ma… secondo me possono. Il dubbio rimane però…
Diciamo di sì, okay? Mi accettate questa licenza poetica? Daaaai, siate buoni… non siate pignoli e rompiscatole come Percy! Non avete idea di quanta ansia mi metta, lui: quando scrivo se ne sta sempre lì appollaiato come un gufo a controllare che non scriva sfondoni (ma qualche errore riesco a farlo lo stesso, alla faccia sua!) e che non lo tratti troppo male nella storia. Quando ho descritto il pranzo dei Bennet gli è quasi preso un infarto, e ho creduto che me ne sarei finalmente liberata; purtroppo, invece, è ancora vivo e vegeto, sempre lì a sbirciare il mio computer per lanciarmi occhiatacce e togliermi punti quando sono troppo cattiva nei suoi confronti. Ogni tanto, quando esagero, mi tira persino uno scappellotto. Eccolo, infatti.
*incassa lo scappellotto*
Si permette queste cose solo perché sa che non posso eliminarlo del tutto, in rispetto al Canon e a ciò che ha scritto la Rowla. Dipendesse da me sarebbe sparito dalla circolazione da un bel pezzo…
*altro scappellotto*
Ahia. Questo faceva male.
5) “Moll Flanders” è un bellissimo romanzo di Daniel Defoe; a Audrey è piaciuto un sacco, e anche a me ^_^
Da notare, comunque, la scarsissima fantasia che hanno questi due per i nomi... bah!
6) Grafia da Guaritore = grafia da medico, ovvero brutta grafia.
7) “Tutti i giorni della mia vita”: nella formula attuale del matrimonio concordatario (per capirci, quello che celebrate in chiesa, col prete e tutto) si dice: “…in salute e in malattia, in ricchezza e povertà per tutti i giorni della mia vita”. Non c’è più la dicitura “finché morte non ci separi”. Per questo non ho usato quest’ultima frase, ma l’altra.
8) Il fonetolo non è uno dei sette nani, ovviamente. È che la parola feletono è troppo inflazionata oramai.
9) A questo indirizzo (http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=9172940) c’è il link per testare il livello di Mary Suaggine dei nostri personaggi originali. Naturalmente non potevo esimermi, e sono lieta di annunciare che Audrey ha superato alla grande il test rivelandosi, udite udite, niente meno che una Anti-Sue, con il clamoroso punteggio di 8!
Inutile aggiungere che sono schifosamente orgogliosa della mia piccola Aud ^_^
(Invece il povero Adams è un Quasi-Sue, ma vabbè, ci può stare. Lui è lui, insomma).
10) Per citare una recensione (ad un’altra storia, però) della solita Charme (ma ciao! Ricorda che dopo ti interrogo!) in questo capitolo ho messo un po’ di “Oh, una nuova vita sta nascendo, blablabla… lagne varie”. Ne sono consapevole, ma non mi dispiace affatto. Accontentatevi. I miei protagonisti sono una coppietta giovane alle prime armi e con una gravidanza inaspettata sul collo, un po’ di pazienza, per Giove. Pori cèi, non è mica facile, eh!
11) A parte ciò, in questo capitolo troverete OOC, paturnie mentali e melensaggini a go-go; mi spiace. Non piacciono nemmeno a me, ma sono in un periodo così, vedo tutto a fiorellini… roba strana, gli ormoni femminili.
Ed è ovvio che non sono soddisfatta del capitolo, ma non serve che ve lo ripeta. Soprattutto il finale mi sembra estremamente patetico, ma che volete che vi dica… sono gli ormoni, ahimé.
12) È sicuro al 99% che il prossimo capitolo arrivi dopo la santa Pasqua, perché sarò parecchio impegnata in questi giorni; in effetti non avrei nemmeno dovuto scrivere questo capitolo, perché mi sarei dovuta concentrare sulla fanfiction per i play off di Quidditch da consegnare entro – brrr! – lunedì. Però il pensiero dei miei venticinque lettori (sé, magari…) che attendono (?) con ansia (?!) il nuovo capitolo di questa long mi ha mossa a compassione. Vorrà dire che stanotte farò – come al solito – le ore piccole cercando uno straccio di idea che non verrà.
Faen.
13) Dimenticavo: visto che qualche volta le battute dei personaggi mi vengono in mente in inglese (esempio: quando Percy balbetta e dice di continuo “voglio dire..”, io immagino che dica “I mean…”) per questo capitolo avevo in testa un bel gioco di parole che però in italiano non rende per niente. Ho giocato infatti sull’assonanza tra “ginger” (modo colloquiale per indicare i capelli rossi) e “ginger bread” (biscotti allo zenzero… sapete, quelli a forma di omino. Ne ho mangiati a chili, quando sono andata in Inghilterra con gli scout, e sono deliziosi!)
Nonostante in italiano non suoni, l’ho inserito lo stesso (anche perché i nostri protagonisti sono inglesi, remember!). Per chiarirvi le idee, però, vi metto la versione in italiano e quella nel mio approssimativo inglese, anche se ho qualche dubbio sulla costruzione sintattica della prima frase. (Quindi correggetemi, se ho sbagliato).
 
- […]Non faccio altro che imbottirmi di biscotti allo zenzero! […]
- Temo sia colpa mia… Sai, i capelli rossi…
 
- […] I do nothing but stuffing with ginger breads! […]
- I think it’s my fault… You know, ginger…
 
Non è colpa mia: è semplicemente un esempio del terribile pseudo-umorismo di Percy, il quale, lo ricordiamo, «non riconoscerebbe una battuta di spirito neanche se ballasse nuda davanti a lui con il copriteiera di Dobby in testa».
*scappellotto*
Ahia. Fai piano, dannazione!
 
Ehm, scusate.
Buona lettura!




Quella parte di me






 
Audrey Bennet non si arrabbiava facilmente, nemmeno con uno come Percy (e questo significa tanto, tantissimo); quando lo faceva, però, ci metteva tutta la forza che aveva, e allora conveniva fuggire.
Lucy Bennet, degna madre di tanta figlia, era persino peggio di lei.
Quando, il diciotto settembre, la signora Bennet si era vista piombare in casa Audrey con le valigie in mano e il viso pieno di lacrime, aveva subito pensato che quel dannato figlio di buona donna l’avesse abbandonata. Ed era così furiosa che stava per andare di persona da Percy a farlo pentire di essere nato; per fortuna Audrey riuscì a fermarla in tempo: la convinse a rimanere in casa e le raccontò tutto per filo e per segno, di come avesse rischiato di andare ad Azkaban e di come Percy le avesse dato una mano.
A sentire che il caro Percy aveva salvato la sua bambina da un pericolo così imminente, la rabbia della signora Bennet smise di essere rivolta contro di lui e si concentrò sulla figlia: perché Audrey l’aveva tenuta all’oscuro di tutto?
- Volevi forse farmi morire di pena? Potevi finire ad Azkaban e io non lo avrei saputo! Ma che diavolo ti è saltato in testa, Aud! Sei un’incosciente! Un’irresponsabile! È questo il modo di…
Dopo mezz’ora, Audrey era riuscita a raccontare la parte finale delle sue disavventure: doveva aspettare altri cinque giorni, poi la Umbridge avrebbe pronunciato la sentenza definitiva.
- Umbridge! Un’altra buona donna figlia di buona donna! Lo diceva sempre Klaus, che quella lì va evitata come il vaiolo di drago! E la lasciano giudicare! Uno scandalo! Un abominio! Un…
Passò un’altra mezz’ora, e finalmente Audrey riuscì a tirar fuori la cosa che le pesava di più: se ne era dovuta andare di casa su richiesta di Percy.
- Allora è davvero colpa SUA! - tuonò la signora Bennet. - Lo sapevo! “Capelli rossi e cani pezzati vanno uccisi appena nati”! Quel farabutto! Quell’imbecille! AH! - saltò in piedi e afferrò la bacchetta. - Stavolta vado davvero a cantargliene quattro!
- Mamma, per favore… - A Audrey stava salendo il mal di testa, come sempre quando si ritrovava a dover discutere con sua madre arrabbiata. - Lo ha fatto per me. Ha detto che adesso inizieranno a controllarlo, visto che si è esposto per me e che la sua famiglia non appoggia il Ministero, e non vuole che io ci vada di mezzo. Tutto chiaro, adesso?
- Oh!- Lucy ci pensò su un istante. - Oh… Sì, tesoro, sì, adesso è chiaro…
La rabbia svaporò come se non ci fosse mai stata. Lucy posò la bacchetta, e andò ad abbracciare la figlia seduta sulla sedia di fronte a sé.
- Scusa, non avrei dovuto dubitare di Percy, quel caro ragazzo…
- C’è anche un’altra cosa, ma’…
- … è ovvio che ti vuol bene, cosa sono andata a pensare… ma dimmi pure, piccola mia.
Audrey prese fiato. Okay, era il momento di dire a sua madre quella cosa. Ma da dove cominciare?
Cavolo, se è difficile… Però devo dirglielo. Lo capirebbe comunque da sola, quindi meglio togliersi il dente subito.
… Come faccio?! Mi ucciderà!
Decise di prenderla alla larga, per sicurezza.
Molto larga.
- Mamma?
- Sì?
- Tu mi vuoi bene, vero?
Lucy la guardò perplessa. - Ma… Certo, Aud, certo che ti voglio bene…
- Mamma?
- Sì?
- A te non ha fatto piacere che io sia andata a convivere con Percy, vero?
La signora Bennet storse il naso. - Lo sai che sono un po’ all’antica; per me puoi anche andare coi ragazzi, ma convivere… Avrei preferito che tu lo facessi dopo sposata, ecco.
- Ma mi vuoi bene lo stesso, vero? Anche se ho fatto una cosa non in linea coi tuoi principi, giusto?
- Sì, Aud, te l’ho già detto!
- Mamma?
Lucy sospirò. - Sì?!
- Ne ho fatta anche un’altra.
- Un’altra… che?
- Un’altra cosa non in linea con i tuoi principi.
- … Ti sei drogata?!
- Sono incinta.
Passò un inquietante silenzio tra le due. Audrey si rese conto che, forse, non era stata una buona idea dirglielo così.
La signora Bennet era impallidita vistosamente; dopo otto secondi emise le parole che a fatica era riuscita a mettere insieme in quel lasso di tempo.
- In… In… in che senso, scusa?!
Audrey si sbatté una mano sulla fronte, rassegnata.
Inizio a credere che l’anima gemella di Percy, in verità, sia mia madre…
 
 
Passarono quattro giorni, e Grete non si fece viva.
Per quanto fosse stordito da tutto quello che gli era accaduto in così poco tempo, Percy riusciva ancora a provare paura. Paura per quello che sarebbe successo se non avesse presentato l’albero genealogico di Audrey alla Umbridge.
Azkaban. Per entrambi.
E aspettavano un bambino.
 
Più ci pensava, meno lo realizzava.
Ed era ancora più difficile da credere, in assenza di Audrey.
Aspettavano un bambino.
Sembrava un sogno, una fantasia. Una bugia.
Aspettiamo un bambino.
Da quando aveva chiesto a Audrey di andarsene erano passati solo quattro giorni, e in quel lasso di tempo Percy non era riuscito a pensare ad altro. Cercava in tutti i modi di capacitarsene, di rendersi conto che sì, era vero, ma non ce la faceva.
Aspetto un bambino.
Diamine, che follia. Proprio in quel momento… perché?
Perché proprio quando stavano rischiando entrambi Azkaban, perché proprio quando aveva dovuto lasciare Audrey da sola?
Perché?
 
 
In quei quattro giorni erano cambiate parecchie cose.
Audrey si era dimessa; non riusciva più a stare in archivio, davanti alla scrivania vuota di Adams, pensando ai Dissennatori che si aggiravano nelle aule giudiziarie poco più sotto. Percy aveva accettato le dimissioni a malincuore, perché il Ministero era l’unico posto dove avrebbero ancora potuto vedersi senza problemi, ma la capiva. Anche lui, potendo, se ne sarebbe andato subito.
Ma non poteva.
Nonostante Audrey fosse abbastanza convinta che le sue supposizioni fossero idiozie e che lui si fosse solo lasciato prendere dalla “sindrome del perseguitato”, su una cosa Percy aveva sicuramente ragione: la Umbridge, o chi per lei, pensava di poter arrivare ai Weasley attraverso di lui, e lo stava facendo controllare.
In sostituzione di Audrey e Adams gli erano arrivati in archivio due personaggi che di sicuro, nella loro vita, avevano fatto tutto tranne che mettere le mani fra fascicoli e documenti; tuttavia li aveva dovuti assumere per forza, perché “raccomandati caldamente” da qualcuno abbastanza in alto da poterselo permettere.
Non ci volle molto, a Percy, per capire la vera funzione di quei due. Non serviva molta fantasia, visto che divenne quasi normale, per lui, incrociarli sotto casa sua, la mattina quando usciva e la sera quando rientrava; nemmeno poté stupirsi quando si accorse che la sua posta, al Ministero, veniva regolarmente aperta e richiusa, prima di essergli consegnata. Questo lo fece temere più di tutto: se quei due si fossero ritrovati tra le mani l’albero di Audrey, non ci sarebbero state più speranze. Gli alberi genealogici cartacei venivano gelosamente custoditi nei Ministeri, spedirne e riceverne uno originale erano reati di un certo peso.
Forse era per questo che l’albero non era ancora arrivato: forse Grete si era tirata indietro, aveva avuto paura… o forse la Norvegia aveva già chiuso le frontiere…
Perché, altrimenti, quel fottuto albero non era ancora arrivato?
Quanto ancora avrebbe dovuto aspettare?
Stava diventando tardi, troppo tardi…
 
 
La sera del ventidue settembre, la vigilia della scadenza della sua Garanzia, Percy Weasley capì che la lettera che aspettava non sarebbe mai giunta.
Seduto nel suo ufficio, solo, a pochi passi da quelli che ormai chiamava “le sue spie”, sentì all’improvviso tutto lo sconforto accumulato in quei pochi giorni cadergli addosso, e soffocò. Non era riuscito a salvare Adams, non era riuscito a salvare Audrey; aveva lasciato che distruggessero le loro vite, e ora anche la sua, e quella del suo bambino…
Si prese la testa tra le mani; la sentiva scoppiare, andare a fuoco, mentre l’enormità di quella situazione gli si presentava finalmente davanti agli occhi in tutta la sua accecante chiarezza.
Avevano una vita, lui e Audrey. Avevano un futuro. Stavano diventando una famiglia.
E lui, per la sua incapacità, aveva rovinato tutto, tutto.
Era solo colpa sua. Tutta colpa sua. Era stato debole e incapace, come al solito.
Come sempre. Colpa sua, sua, sua.
Rimase a lungo così, la testa tra le mani, e non si accorse subito che uno dei nuovi archivisti era entrato senza bussare.
- Signor Weasley, - annunciò questi, riscuotendo Percy  - è appena arrivata una lettera per lei.
Una lettera a quest’ora?
Non può essere, non può essere…
Ti prego, fa’ che lo sia.
Le sue spie facevano un lavoro davvero pessimo: nonostante fosse stata richiusa a dovere, si vedeva che la busta era stata dissigillata in precedenza. Fece una smorfia.
Se me l’hanno portata significa che non è quella che aspettavo.
Non è lei, non è lei.
Hanno vinto.
Disse all’archivista che poteva andare, ma quello, indifferente, non si mosse da davanti la scrivania. Percy decise di ignorarlo. Avevano già vinto, ormai, che differenza poteva fare?
Estrasse la lettera e l’aprì, e per qualche secondo restò sconcertato. Che… diamine era?
La calligrafia era familiare, ma la lingua era assolutamente incomprensibile. Per un folle momento pensò che fosse norvegese, ma in quel caso lo avrebbe riconosciuto; non lo parlava, ma aveva sfogliato qualche documento bilingue anni prima, nel periodo in cui aveva conosciuto Grete, e qualcosa gli era rimasto in mente.
Quello… No, non era norvegese, né tantomeno inglese. Erano solo lettere mischiate a caso.
Adesso si mettono anche a farmi gli scherzi?
Lanciò un’occhiata all’archivista, che ricambiò con espressione vacua. No, non erano stati loro, decisamente.
Quando però gli occhi di Percy si posarono di nuovo sul foglio, qualcosa era cambiato.
Sotto il suo sguardo incredulo, le lettere iniziarono a spostarsi, formando frasi di senso compiuto in inglese.
Trattenne il fiato, mentre leggeva tra sé le parole un po’ sgrammaticate di Grete Skjalgsson.
 
Ho incantato la letera, così puoi leggerla solo tu. Non rispondere, non serve.
Scusa ritardo, ho avuto provlemi, spero che sono ancora in temppo.
L’albero è la busta, basta uno semplice “Finite Incantatem”. Mi sono permessa fare innesto de famiglia Bennet, ho trovato da noi il doccumento di adozione. Non devi fare nulla, tutto fatto.
Lykke til, lille.
 
 
Lykke til. Buona fortuna.
Non aveva più bisogno di fortuna, ormai. Aveva tutto ciò che gli serviva.
In uno slancio di gioia si strinse la lettera al petto. Tutto andava bene, finalmente, tutto sarebbe andato bene, tutto, tutto…
- Posso sapere - fece la voce antipatica del nuovo archivista, - che cos’è, signor Weasley?
Percy lo guardò, e fece un sorriso strano, beffardo.
- Una lettera d’amore - rispose.
 
 
L’albero era perfetto, perfetto. Non solo c’era tutta la genealogia dei Saknussem con i relativi incroci, ma Grete era riuscita a innestare anche il ramo inglese. Sotto a Eivind e Jorunn comparivano ora due rametti: Roman e Klaus, con aggiunta la frase “Cambio di cognome causa adozione Babbana (pratica F903E4/1949): da Saknussem a Bennet”.
Così diventava infinitamente più semplice dimostrare che Roman e Klaus non erano affatto figli di Babbani, e, di conseguenza, che Audrey non aveva ascendenti non magici. Era Purosangue anche sulla carta, alla faccia di quella troia della Umbridge e dei suoi compari.
Intelligentemente, Grete non gli aveva mandato l’albero originale ma una copia, e questo metteva Percy al sicuro anche da ulteriori inconvenienti. Non sarebbe mai stato in grado di ringraziare abbastanza quella donna; quello che aveva fatto per lui andava oltre l’immaginabile. Gli aveva ridato la vita e il futuro, senza chiedere nulla in cambio.
Se è femmina, la chiamerò Grete.
Stavolta il pensiero di Audrey e della sua… incintezza non lo rattristò minimamente.
 
Dolores Umbridge accolse l’albero genealogico con il solito sorriso forzato e lezioso, e si limitò a dire che, data l’acquisizione di quei nuovi elementi, la signorina Audrey Jorunn Bennet era prosciolta, ma tanto lei quanto gli altri discendenti dei Saknussem avrebbero dovuto dismettere il cognome Babbano e riprendere l’originale.
- È una questione di dignità - spiegò la Umbridge quando Percy chiese il motivo di quella decisione. – Nessun vero Purosangue dovrebbe mantenere l’onta di un cognome Babbano, non trova?
Le solite stronzate razziste. Al diavolo, cosa vuoi che importi, Audrey è libera, starà bene, avrà un bambino, va bene così…
Audrey non la prese altrettanto bene. La sola idea di dover cambiare cognome la fece infuriare.
- Non se ne parla neanche! - sbraitò, non appena lei e Percy si trovarono fuori dall’ingresso del Ministero.
- Perché dovrei cambiarlo? È il mio cognome! Compare su tutti i miei documenti! E poi come si permette di imporre una cosa del genere anche ai miei parenti? Non può, non può! Lurida bastarda…
Percy lasciò che si sfogasse: in cuor suo non gli importava nulla di quella storia dei cognomi, quello che contava era che si erano salvati, per miracolo. Un vero miracolo.
- … Infame, zoccola, demente, cretina, imbecille, befana, baldracca…
Era così sollevato che gli venne da ridere, sentendo la sfilza di epiteti rivolti alla Umbridge. Udendo la sua risata, Audrey si interruppe, e lo guardò stranita.
- Che cavolo ridi, tu? Non c’è niente da ridere!-
- Scusami… È che…
- Che cosa? Perce, vedi di non iniziare a fare lo scemo, per piacere! Sono furibonda!
- Lo so, lo so… Stavo solo pensando che non ti vedevo così arrabbiata dal Capodanno a casa di Roman. Ricordi?
Involontariamente Audrey fece una smorfia divertita, e smise per un attimo di essere arrabbiata. - Certo che mi ricordo… Hai seriamente rischiato di morire, quella volta.
- Però alla fine ne è valsa la pena.
La smorfia si tramutò in un gran sorriso; era il minimo, davanti a una delle rarissime frasi sentimentali di Percy.
E poi, ora che ci pensava, c’era un altro motivo per sorridere: erano in salvo, tutti e due. Anzi, tutti e tre.
Audrey fece per avvicinarsi a Percy, ma parve ripensarci.
- La ringrazio ancora, signor Weasley. Spero di rivederla presto - disse, tendendogli la mano.
Percy la strinse, capendo al volo il perché di quel saluto formale. Dietro di lui c’erano le sue spie.
- Lo spero anch’io. Mi saluti sua madre.
- Non mancherò. A presto.
Non poté fare altro che guardarla mentre si Smaterializzava. Si voltò e incrociò lo sguardo dei due nuovi archivisti, che non tentarono nemmeno di dissimulare la loro presenza.
 
Non avrebbe rivisto Audrey per sei mesi.
 
 
 
 
 
Il primo mese Percy cercò semplicemente di non pensare. Non pensava; ogni pensiero faceva male, malissimo.
Se pensava ad Adams, il coraggioso Adams, laggiù ad Azkaban, si sentiva morire; anche solo provare a immaginare quello che stava soffrendo lo uccideva: non doveva esserci niente di peggiore che trovarsi in quel luogo senza aver commesso alcun delitto, senza aver fatto nulla di male. Niente di peggiore.
Se pensava a Audrey, alla sua metà di letto vuota, ai suoi romanzi rimasti nella libreria e alla sua pancia che lui non avrebbe visto crescere, Percy si sentiva portare via il cuore. I primi giorni senza di lei furono duri, quelli dopo ancora più duri, perché gli facevano ricordare quanto fosse solo, quanto poco valesse senza Audrey.
Se pensava alla sua famiglia si sentiva svuotato e riempito di ogni amarezza: provava ora una grande paura per loro, soprattutto per Ron e Ginny che, ne era certo, avrebbero fatto qualche follia per seguire Potter; non aveva mai desiderato così tanto tornare dai suoi, proprio ora che non poteva proprio contattarli o chiedere notizie. Si accontentava, ogni tanto, di incrociare suo padre al Ministero, ma il conforto che provava in quei momenti era avvelenato dagli sguardi carichi di rabbia e dolore che Arthur gli lanciava.
Riguardo ai Bennet, la sua seconda famiglia, Percy non aveva saputo più nulla di nulla. Era tranquillo solo riguardo a Roman e Magda, che immaginava ancora in Italia, e a Judith, che Rhett aveva fatto trasferire già da inizio luglio a Beauxbatons; degli altri non sapeva nulla, e questo faceva preoccupare Percy.
Tante persone a cui pensare, tanti pensieri per ogni persona.
Era come… come avere tante parti di cuore, ciascuna delle quali non faceva che ricordargli quante persone ci fossero nella sua vita e quanto poco si fosse curato di loro, prima.
Ogni parte di cuore era un pensiero, un pensiero tremendamente triste.
Così, per un mese, Percy cercò semplicemente di non pensare.
 
Audrey invece non riusciva a smettere di pensare, proprio non ce la faceva. Tentava in tutti i modi di distrarsi, di tenersi impegnata; aveva persino trovato lavoro in un bar Babbano, ma niente, niente.
Pensava, e si sentiva mangiata dalla nostalgia. Le mancava tutto quello che aveva lasciato a Londra; le mancava il lavoro al Ministero, le mancava casa sua, le mancava Adams, le mancava Percy. Oltre a ciò doveva combattere contro il suo stesso corpo: mal di testa e nausee non accennavano a scomparire, nei primi mesi, e a completare il quadro erano arrivati un bel mal di schiena cronico nella zona lombare che non l’abbandonava nemmeno nel sonno e una fastidiosa tensione dei seni.
Senti, Coso, ho capito che adesso siamo in due, ma non è davvero il caso di infierire. Già hai scelto il momento sbagliato per venir fuori, vuoi proprio rendere il tutto ancora più complicato?
Già. Il suo pensiero ricorrente.
Com’era strano abituarsi a quell’idea; all’idea di avere un Coso dentro di sé che non era lei ma era parte di lei, e anche parte di Percy. La signora Bennet ci aveva messo meno tempo ad accettarla, e, nonostante si rendesse conto del periodo difficile che stavano vivendo, era tutta eccitata all’idea di diventare presto nonna.
Vedi, Coso, mia mamma è un tipo strano. Fosse stato per lei, tu non saresti nato se non dopo che io mi fossi sposata, cioè tra MOLTI anni; eppure, adesso che ci sei, è felice come una Pasqua. Ho provato a dirle che il fatto di diventare nonna l’avrebbe invecchiata in modo tremendo, ma lei si è limitata ad alzare le spalle, ed ha continuato il suo lavoro a maglia. A mano, perché – dice – con la magia è meno divertente.
Povero Coso, sarai sommerso dai maglioncini, temo… in più saranno tutti gialli, visto che la mamma dice che è un colore che va bene sia per i maschietti che per le femminucce.
Tranquillo però, non lascerò che quella pazza di nonna Lucy ti trasformi in un canarino gigante: mi ricordo ancora qualcosa di Trasfigurazione, vedrai, avrai maglioni di mille colori diversi…
 
Parte di lei, parte di Percy. Assurdo. Eppure era così reale.
Così bello, a pensarci. Proprio quando si erano dovuti dividere avevano fatto in modo di restare insieme, in qualche modo. Non si erano separati del tutto, non si sarebbero separati più.
Da brividi, no, Coso? E scusa se ti chiamo Coso, ma non so in quale altro modo chiamarti. Ho dato un’occhiata a un’enciclopedia medica, e non sei nemmeno un Coso, ma un Cosino! Come fai a darmi tutti questi fastidi, se sei così piccolo? Credo che in uno scontro tra te e una lenticchia quest’ultima ti schiaccerebbe senza difficoltà, quindi spiegami: come fai ad abbattermi così?!
 
Insieme grazie al Coso. Che idea. Le faceva pensare a quella strana frase che Percy le aveva detto la seconda volta che si erano baciati, a Capodanno. “Sono dove sei tu”, o qualcosa di simile.
Era una frase strana, senza molto senso, così poco da Percy. Probabilmente era stata la grappa a parlare, in quel momento.
Però… non era forse così, adesso? Insomma, lei era lì, stesa sul suo letto nella sua vecchia casa, e c’era anche Percy, o almeno una parte di lui.
Percy era dov’era lei.
Sai, Coso? Percy, voglio dire il tuo… Merlino, che strano dire che Percy è il tuo papà! Quando l’ho conosciuto non avrei mai detto che sarebbe finita così, anzi! Dicevo, il tuo papà è un tipo strano. Pensa che la prima volta che l’ho visto non sorrideva nemmeno… Ha iniziato a sorridere quando ho fatto una battuta stupida. Non che sia cambiato molto, eh, anche adesso ci sono dei momenti in cui lo prenderei volentieri a schiaffi per come si comporta, ma… Beh, che ti devo dire: come tutti gli uomini, Coso, lui ha una parte buona e una parte meno buona, come ce l’ho io e come ce l’avrai anche tu. La sua parte meno buona lo fa essere spesso testardo, cattivo, rompiscatole e mortalmente noioso; la sua parte buona invece… Beh, se tu sei lì è perché ha questa parte buona, che è anche quella che lo fa sorridere, che lo fa arrossire quando mi fa un complimento, che lo ha portato a sopportare tutta la mia famiglia per scusarsi con me… e che me lo fa mancare così tanto.
Chissà se sai cos’è la nostalgia, Coso…
O Cosa?
No, Coso; spero tanto che tu sia un Coso. Non c’è un perché, mi piaci più Coso che Cosa…
 
Un mese, due mesi, tre… era dicembre ormai, un dicembre freddissimo.
Ed erano ormai tre mesi che Percy e Audrey non si vedevano e non si sentivano. Non potevano usare gufi né camini, perché il ragazzo sapeva che entrambi potevano essere controllati. Niente mezzi di comunicazione magici, lo aveva detto chiaramente a Audrey.
Lei, però, non si rassegnava.
Dimmi tu se questa non è paranoia… Magari lui è insensibile alla nostalgia, ma io non lo sono! Cavolo! Tre mesi! Come se fosse facile poi, non posso mica alzare il telefono e…
E…
Telefono?
Stava camminando avanti e indietro nella sua stanza, l’irritazione alle stelle, ma quel pensiero la bloccò sul posto.
Ma no!
Si schiaffò una mano sulla fronte. Oh santi reggipetti di Helga: Aud, sei cretina. Sì sì. Una cretina.
Perché non ci aveva pensato subito? Come aveva fatto a dimenticarlo?
Percy… Lui… in casa aveva un telefono. Ce l’aveva lasciato proprio Audrey, le sembrava quasi di vederlo, lì, appoggiato vicino al piccolo divano. Se ne era totalmente dimenticata.
Il telefono… Un marchingegno Babbano. Il Ministero della Magia non lo controllava di sicuro.
Coso, tua madre è cretina! Cretina cretina cretina!
Diamine, cioè, sono stata davvero tre mesi a immalinconirmi quando avevo la soluzione a portata di mano? Sto proprio invecchiando…
Guardò l’orologio appeso al muro: Percy doveva essere tornato da un bel pezzo, ormai.
Senza indugiare ancora, prese la cornetta e compose il numero.
Ehi Coso, tra poco sentirai il tuo papà! Sei contento?
 
Che giornata orrenda, pensava Percy.
Orrenda come tutte le altre.
Giornate così non si auguravano a nessuno. Nemmeno al peggiore dei criminali, nemmeno a Voi-Sapete-Chi Percy avrebbe augurato di passare simili momenti.
Era solo, come non lo era mai stato; era solo, e la solitudine amplificava i suoi pensieri e le sue preoccupazioni per i suoi, per Adams, per i Bennet, per Audrey…
Quanto era stato stupido a desiderare quella solitudine, anni prima! Stare solo non ti fa essere migliore, non ti fa dimostrare nulla: ti fa essere solo, e basta. Finché non arriva il giorno in cui vorresti tornare indietro e non puoi…
Il filo dei suoi pensieri fu bruscamente interrotto da un suono fastidioso.
 
Uno squillo, due, tre… Che non fosse ancora tornato?
Audrey guardò l’orologio appeso al muro. No, di sicuro era a casa.
Sette, otto, nove…
Beh? Che ci vuole a rispondere a un telefono?
 
Il suono era strano: intermittente, metallico, estremamente irritante. Che cavolo è?
Percy si guardò attorno, cercando la fonte del rumore. Credette di individuarla in quello strano aggeggio Babbano che Audrey aveva lasciato vicino al divano, e che lui aveva dimenticato di mettere via.
Si avvicinò. Sì, il rumore fastidioso proveniva da lì. Incuriosito, Percy prese l’aggeggio tra le mani e lo osservò da vicino.
Quello continuava a fare rumore. Percy lo avvicinò all’orecchio e lo scosse, forse all’interno c’era qualcosa che voleva uscire. Niente. Il macchinario non presentava aperture, anche volendolo era impossibile vedere cosa ci fosse dentro. Lo riappoggiò dove si trovava, e tornò ad osservarlo.
Magari per farlo smettere bisognava spingere quei… Che roba erano? Quei… quadratini con i numeri sopra. Un po’ titubante, Percy provò. Premette 3, 0, 8… Tentò anche con più numeri insieme, ma niente, l’aggeggio insisteva con quel rumore irritante.
Stufo di quei tentativi infruttuosi, Percy cercò di ricordare se e quando avesse mai visto usare quel coso. Gli ricordava un aggeggio che suo padre teneva in casa, ma, essendo istintivamente diffidente verso le diavolerie Babbane, non si era mai soffermato troppo su di esso. Era più probabile che avesse visto Audrey usarlo almeno una volta: doveva essere successo, da quando era venuta a stare da lui. Si concentrò, nonostante fosse difficile con quel suono in sottofondo: dunque, una volta era rientrato e lei aveva…
Ecco! Si sbatté la mano sulla fronte. La parte più grande di quel mostruoso aggeggio era attaccata a un filo, e dall’altra parte di quel filo c’era una specie di… maniglia?
Insomma, Audrey teneva la maniglia attaccata… alla testa?!
Che diavoleria è?!
Comunque, non aveva che da provare. Un po’ impaurito, prese la maniglia e la sollevò con cautela.
C’era riuscito: il suono si era interrotto.
Sospirò di sollievo, ma tornò a preoccuparsi. Un altro suono, decisamente diverso, era uscito dalla maniglia.
- Percy? Sei tu?
- AAAH! - strillò, lasciandola immediatamente cadere.
 
Audrey sentì uno strillo e un tonfo provenire dall’altra parte del cavo telefonico.
Ma che sta combinando, santa Morgana?
- Perce! Mi senti?
Silenzio. Audrey sospirò. Si era dimenticata del piccolo dettaglio che Percy non aveva mai usato un telefono.
A volte penso che con un Babbano sarebbe tutto più semplice… Tu che ne dici, Coso?
- Percy! - esclamò, alzando la voce. - So che puoi sentirmi, quindi ascolta: raccogli la cornetta e mettila vicino all’orecchio!
 
Ancora shockato dalla sorpresa di aver sentito quell’aggeggio parlare, Percy cercò di capire cosa avesse detto.
Devo raccogliere… che COSA?
- C-come? - balbettò.
- Perce! Senti da dove esce la mia voce? - riprese a dire l’aggeggio. - Bene, prendilo e mettilo vicino all’orecchio! Muoviti!
Sempre più titubante, Percy si chinò e afferrò la maniglia. Vicino all’orecchio, giusto?
- Fatto? Adesso parla!
- M-Ma… Cosa…
- Oh, Perce! Finalmente! Ma che ti è successo? Non volevi rispondere? Tutto a posto?
Quella… Quella era la voce di Audrey! Ma… Cosa…
- Audrey? S-Sei tu?
- Certo che sono io! Chi altro dovrebbe essere?!
- Ma… Ma… Ma che ci fai dentro questo aggeggio?
Sentì silenzio, poi una grossa risata. La risata di Audrey, una brezza lieve.
- Perce… questo è un telefono. I Babbani lo usano per comunicare a distanza; non sono mica dentro, sono a casa di mia madre!
- Cos… Che… Ma… Ma senza magia?!
Un’altra risata. - Dico, Perce, ma non hai mai studiato Babbanologia? Senza magia, è ovvio! Solo energia elettrica!
Diamine, Babbanologia. Studiata controvoglia, tanto per aggiungere una voce al curriculum. Forse gli sarebbe servita davvero… perlomeno avrebbe evitato quella figuraccia.
- Qu-quindi… Tu… Ma… Ma il Ministero…
- Mi stupisco di te, ex Assistente del Ministro. Il Ministero della Magia può mettere sotto controllo i camini, all’evenienza anche i gufi, ma non può sorvegliare le vie di comunicazione Babbane. Stavolta non hai scuse per non parlarmi, Percy…
Per quanto quella situazione fosse strana, assurda e decisamente inaspettata, Percy si sentì crescere una felicità immensa in cuore.
La voce di Audrey, dopo tre mesi. La sua risata. Molto, molto più di quanto osasse mai desiderare.
 
Nonostante all’inizio non si fossero presi bene, Percy prese rapidamente confidenza con il fonetolo. Le comunicazioni serali con Audrey divennero un appuntamento fisso: era sempre lei a chiamarlo, perché lui non ne sarebbe stato assolutamente in grado.
Risentirsi, dopo tutto quel tempo, era una specie di miracolo, una piccola grande consolazione in tutto quello schifo attorno che entrambi erano costretti a sopportare.
Grazie a quelle telefonate Percy riuscì anche a informarsi sui Bennet.
- Saknussem - lo corresse Audrey, con tristezza. - Adesso siamo la famiglia Saknussem… Ad ogni modo, va male. Avrei voluto dirtelo prima…
- È successo qualcosa di grave? Stanno… Stanno tutti bene, vero? - chiese Percy, mentre un brivido gli correva per la schiena.
- Tutti vivi, ma bene… insomma. Jarne era riuscito finalmente ad ottenere la licenza per diventare insegnate privato, e gliel’hanno ritirata il giorno dopo. Adesso è di nuovo a spasso, Rhett sta cercando di aiutarlo ma lui non vuole. Oleg ha dovuto chiudere l’apoteca, gli hanno mandato una serie di controlli a sorpresa e a sentire gli ispettori sarebbero andati tutti male; che idioti, Oleg è precisissimo, un ottimo apotecario, avrebbe superato qualsiasi ispezione normale… E…
Una pausa. - Sì? - domandò Percy.
- Hanno ritirato il permesso di soggiorno a Inge. - La voce di Audrey adesso era spezzata. - A ottobre è dovuta tornare in Baviera; Saul e le bambine sono partiti con lei…
- Ma… Ma scherzi? E perché hanno fatto queste cose? Che motivo hanno? Non capisco…
Sentì Audrey sospirare. - Che vuoi che ti dica… evidentemente a loro non serve un motivo preciso. E comunque non siamo gli unici: ho sentito di altre famiglie con problemi simili al nostro… Tutte famiglie che non si erano apertamente schierate con il Ministero, né contro. Forse è una qualche… tattica elettorale, chi può dirlo…
Incredibile. Erano riusciti a separare i Bennet, la sua seconda famiglia. Povero Saul: doveva essere stato un brutto colpo, per lui, essere costretto ad andarsene da lì; aveva un lavoro, una casa… e aveva dovuto lasciare tutto per seguire Ingeborg. Di sicuro Audrey sentiva moltissimo la loro mancanza, e quella di Claire e Christine: la ragazza adorava quelle bambine…
- Ad ogni modo, - riprese Audrey, dopo una pausa - stanno tutti bene. Anche zio Roman e zia Magda.
- Siete riusciti a contattarli?
- Sì, giusto una settimana fa. Abbiamo confermato loro che è meglio se non si muovono da dove sono; è stato difficile convincere lo zio, ma per fortuna i suoi amici lo hanno fatto ragionare, e possono ospitarlo a tempo indeterminato come hanno fatto finora.
Stavano tutti bene, grazie al cielo. Con qualche problema, ma tutti bene. La parte di Percy che si preoccupava per i Bennet era rassicurata.
Poteva tornare a pensare a Audrey, a quanto bello fosse parlare con lei. Quelle telefonate erano l’unica cosa importante, in quel gelido dicembre, e lo furono anche nei due mesi successivi.
 
 
 
- La mamma mi ucciderà, per tutte queste telefonate… - sospirò Audrey, una sera di fine febbraio.
- Se smetti di chiamarmi ti uccido io!
- Maleducato! Come osi dire queste cose alla madre di tuo figlio?
Parlare di quello era la cosa più bella, la più dolce. Tutte le volte che Audrey accennava al loro bambino, Percy si sentiva sciogliere le ossa e dimenticava tutto il resto. Poteva persino fingere che tutto andasse bene, che il mondo fuori non stesse andando a rotoli; poteva far finta di essere separato da lei per poco tempo, una breve vacanza, e che ci si sarebbe rivisti presto, molto presto…
Non pensava di poter provare qualcosa di così forte, di così immenso all’idea di diventare padre; non credeva fosse… così.
Ecco perché papà ha voluto avere così tanti figli…
- Sai, Perce, oggi… Oh, cavolo, scusa un secondo…
Sentì silenzio dall’altra parte del cavo, e poi uno strano crunch crunch.
- Audrey? Che combini?
- Scusami, sono andata a prendere dei biscotti, mi è venuta fame…
- Ma non hai già cenato?
- Sì, ma vallo a dire al Coso! Diamine… Non faccio altro che imbottirmi di biscotti allo zenzero, ormai!
- Allo zenzero? Tu odi lo zenzero!
- Lo so! Però… Ho voglia di biscotti allo zenzero, ecco.
- Temo sia colpa mia… Sai, i capelli rossi…
- È sempre colpa tua, mettitelo in testa. Comunque… - riprese Audrey, sempre sgranocchiando. - Oggi l’ho sentito muoversi.
Un brivido, come una scossa. - Su-Sul serio?
- Sì.
Un breve silenzio.
- E… E com’era?
- Beh… Strano. Bello. Difficile da descrivere. - Sospirò. - Avrei voluto che ci fossi anche tu…
Un’altra scossa.
Merlino, quanto stava perdendo, stando lontano da Audrey. Il Coso si era mosso, e lui non era lì per sentirlo. Non era lì a vedere il viso emozionato della sua compagna, non era lì ad abbracciarla per la felicità. Non era lì.
Si sentì assalire dalla malinconia, a tradimento.
- Senti…- fece Audrey, dopo un po’. - Stavo pensando… non sarà il caso di dare un nome al Coso?
- Beh, - si riscosse, - direi che è ora. Chiamarlo “Coso” mi fa un effetto un po’ strano… Però non sappiamo ancora se è maschio o femmina.
- Io spero sia un maschio, ma Grace dice di no.
- Grace?
- Sì. Ha un intuito formidabile per quanto riguarda le gravidanze, finora ha indovinato il sesso di tutti i figli dei miei cugini; adesso si è ostinata a dire che il Coso sarà una femmina, ma io non credo.
- E perché? A me piacerebbe che fosse femmina. Sai, nella mia famiglia le bambine sono rare, mia… - deglutì, - … mia sorella è stata la prima, dopo un sacco di tempo.
Sentire Percy parlare dei suoi fratelli era ancora più raro che sentirgli dire qualcosa di carino. Audrey sorrise, intenerita.
- Va bene. Io tifo per il maschietto, tu per la femminuccia; tanto abbiamo il cinquanta per cento delle probabilità che sia l’uno o l’altro. Scegliamo un nome da maschio e uno da femmina, va bene?
- Io ne avrei già in mente un paio.
Rumore di biscotto sgranocchiato. - Spara.
- Se è maschio, Ernest.
- Come Adams?
- Esatto. Come Adams.
Crunch crunch.- Sì, Percy. Ernest è perfetto. E come secondo nome?
- A quello non ho pensato. Scegli tu.
- Klaus.
- Come tuo padre?
- Sì.
- È perfetto. Sì, Klaus è perfetto. Ernest Klaus, quindi.
- Ottimo, abbiamo un nome completo! Posso cominciare a chiamarlo Ernie, allora?
- Quanta fretta! Ti ricordo, Bennet, che potrebbe essere una femmina; non vorrai mica chiamare mia figlia "Ernie", no?
Mia figlia. Com’erano dolci, quelle parole. Come si scioglievano in bocca, quasi fossero di miele.
Aveva mai pensato di essere in grado di provare qualcosa di simile?
- Proprio convinto che sia femmina, eh?
- Beh, se lo dice Grace…
- Per me Grace può dire ciò che vuole, io sento che il Coso è un maschio. Comunque, facciamo come dici tu; hai un nome già pronto?
- Grete, come la signora Skjalgsson. È quella che mi ha mandato il tuo albero genealogico…
Sentì Audrey masticare, mentre pensava. - Mi dispiace, Perce, non lo possiamo usare. Grete è già il secondo nome di Sophie, la figlia di Jarne; vorrei evitare di ripetere nomi già usati dai miei cugini, scusa…
- Va bene, nessun problema. - In realtà a Percy dispiacque molto; chiamare sua figlia come la donna che li aveva salvati tutti e tre gli sembrava il minimo, per esprimere la sua gratitudine, ma preferì non insistere troppo.
- Hai altri nomi?
- Uhm… - Percy finse di pensarci su. - Che ne dici di Penelope?
Sentì un ringhio uscire dalla cornetta, e si affrettò a rassicurare Audrey. - Bennet, stavo solo scherzando, dai…
- Non mi piacciono i tuoi scherzi, Perce. Ti preferisco serio e scorbutico, se il tuo umorismo deve essere di questi livelli.
- Non fare la permalosa, dai. Scusami. Tu hai qualche nome in mente? O devo rassegnarmi all’idea che mia figlia si chiami Ernie?
- No, no, ho un po’ di nomi in testa. Dunque: il primo, quello che mi piace di più, è Pernille.
Percy ebbe un moto di ribrezzo, sentendo quel nome. - Cosa?!
- Non ti piace? È un nome norvegese, secondo me è bellissimo!
- Scherzi? È… Insomma, non è un po’ troppo insolito?
- Le stesse identiche parole che ha detto mia madre. Inizio davvero a credere che tu e lei dovreste stare insieme… Sarebbe divertente, diventeresti il mio patrigno e mio figlio sarebbe il mio fratellastro!
Percy trattenne a stento una risata. L’idea di lui con la signora Bennet era quanto di più bizzarro fosse possibile immaginare, per non parlare di tutto il resto.
- Non farti strane idee. E comunque, Pernille è davvero insolito.
- Macché! E poi, noi ex Bennet abbiamo la tradizione di mettere un nome inglese e uno norvegese…
- Davvero?
- Certo! Audrey Jorunn, Judith Bjørg, Saul Kasper, Claire Sigrid, Christine Solveig… - sciorinò Audrey, mentre Percy tornava a rabbrividire al suono di tutti quei nomi nordici. - Insomma, se non è il primo è il secondo nome; se vuoi, possiamo mettere Pernille come secondo.
- Credo che sarebbe meglio… - borbottò Percy, disgustato. Avevo dimenticato che Audrey sa avere dei gusti decisamente discutibili…
- Oppure, se non ti piace, c’è sempre Astrid!
Peggio ancora: almeno Pernille aveva un suono un po’ più dolce!
- No no, mi hai convinto. Pernille va bene, ma come secondo nome.
- Okay, vada per il nome inglese allora. Che ne dici di Molly?
Il cuore di Percy mancò un battito. Molly?
- Molly? - chiese, con voce diversa. - P-perché proprio Molly?
- Hai mai letto “Moll Flanders”? Era il mio libro preferito, da adolescente, insieme a “Orgoglio e pregiudizio”: mi è sempre piaciuta l’idea che mia figlia si sarebbe chiamata Moll come la protagonista, o magari Molly, che è molto meglio.
Invaghita di un nome per via di un romanzo: tipico di Audrey. Come spiegarle che Molly proprio non potevano usarlo?
- Secondo me, è molto bello... - seguitò Audrey - Molly Pernille. Non suona bene?
Come un pugno dritto sul timpano. Molly Pernille Weasley, santo cielo.
- Non so… Ci sono troppe “elle”.
- È questo il bello!
- Perché invece - tagliò corto Percy, - non la chiamiamo Lucy, come tua madre? Sono sicuro che le farebbe molto piacere…
- Ci avevo pensato, in realtà - rispose Audrey, interrompendosi per mangiucchiare un altro biscotto. - Poi però ho cambiato idea.
- E perché? Mi sembra un bel nome, no?
- Sì, però… - Audrey rise. - Sai, credo che al mondo basti una sola Lucy Bennet, e mia madre vale già per due!
- Beh, ma… - Percy si grattò la testa, perplesso. - Non si chiamerebbe mica Lucy Bennet.
- Hai ragione, sarebbero entrambe Lucy Saknussem, ma ciò che conta è l’omonimia, no?
- No, io intendevo dire… Si chiamerebbe come me, non come te. Lucy Weasley.
Cadde il silenzio. - Audrey?
Nessuna risposta.
- Audrey, ci sei ancora?
- Senti, Perce… - La voce della ragazza era stranamente cambiata.
- Sì?
- Percy, io… io ci ho pensato, e… Ascolta, non serve che tu riconosca il bambino, davvero.
Percy fece un salto sul divano. Non credeva alle sue orecchie. - Ma… Ma che dici, Aud? Certo che lo riconosco!
- Ascolta, - continuò lei - tu sei già inguaiato col Ministero, e… e dare il tuo cognome a un bambino illegittimo non è proprio il modo ideale per migliorare la situazione, quindi…
Ma che razza di scemenze stava dicendo Audrey?
- Bennet, ma che diavolo ti salta in mente? Scusa, non è mio?
- Certo che è tuo, ma…
- Ma niente. Non cominciare. Sei… assurda.
Ci fu una lunga pausa; quel discorso non era piaciuto a nessuno dei due. Audrey tacque, rendendosi conto di aver detto una cosa veramente sbagliata; Percy invece approfittò del silenzio per prendere fiato più che poteva, perché ne aveva bisogno per quello che stava per dire.
- Senti... - esordì, ma si fermò subito perché gli era mancata la voce.
Fermati e rifletti.
Era proprio il caso di dire quella cosa a Audrey?
In fondo, lui stesso ci aveva pensato da poco, anzi da pochissimo: gli era venuto in mente proprio in quel preciso momento. Forse non era il caso di parlarne, no? Magari lei non voleva… Se non era nemmeno sicura di volere il riconoscimento del bambino, come poteva…
Però, se non ci provava non lo avrebbe mai saputo.
Come accadeva spesso quando si trattava di parlare con Audrey, la parte razionale di Percy fece “ciao ciao” con la manina e uscì dal suo cervello sbattendo la porta, lasciando il ragazzo solo con i suoi impulsi.
Eddai, Perce, un po’ di coraggio. Su. Che sarà mai. Dai. Sii uomo. Puoi farcela.
Godric, aiutami.
-Senti… - riprovò, con la voce improvvisamente più acuta che andava e veniva. - Io, io… i-io non so come dirtelo, ma, ma… ci-ci ho pensato e… e… e beh, non… non…
Prese di nuovo fiato. Stava sudando freddo.
Non è la fine del mondo, su. Sii uomo, faen! Prima di te ci sono riuscite migliaia, milioni di persone! C’è riuscito persino Bill, porca Circe! Perché tu no? Avanti!
Aspettò per vedere se la sua parte razionale si riaffacciava, ma niente. Seguitò quindi a seguire i suoi impulsi.
- I-io pensavo c-che… insomma…- inspirò nuovamente. - C-che… a-anche tu potresti… potresti prendere il mi-mio cognome, sai… qu-quando questa situazione sarà f-finita e… insomma… noi… tu… e… v-voglio dire…
Per poco a Audrey non cadde di mano la cornetta. Prendere il suo cognome?
Non starà… Non starà mica parlando di…
- P-Perce… - esalò, dopo qualche secondo di imbarazzato silenzio. - Tu mi stai dicendo c-che…
- I-io… Ecco… sì, io credo… vorrei… sì… se… vuoi… noi… io… tu…
Deglutì faticosamente, preso da una secchezza improvvisa della gola. Aveva finito le parole, e Audrey era tornata a tacere dall’altra parte.
- Percy, io… i-io…
- S-sì?
- I-io… devo andare, scusa.
- Aspetta…-. Niente, troppo tardi. Aveva riattaccato.
Percy rimase a fissare inebetito la cornetta, prima di sbattersela sonoramente in fronte.
Bravo idiota. E adesso?
Adesso faen. Faen, faen, faen.
 
Il risultato fu che Audrey non lo chiamò per dieci giorni. Non ce la faceva; si sentiva in imbarazzo, sia per ciò che Percy le aveva detto, sia per il modo in cui l’aveva liquidato.
Diamine.
Perché Percy le aveva proposto quella cosa? Sapeva benissimo quali fossero le idee di Audrey su quell’argomento; poche, ma riconducibili a una soltanto: il matrimonio, se proprio lo si voleva, andava procrastinato il più possibile.
Non c’era un perché; Audrey aveva una paura istintiva e abbastanza irrazionale delle parole “per tutti i giorni della mia vita”. E questo nonostante avesse convissuto per parecchi mesi con Percy, fosse convinta (in modo tuttora inspiegabile ai più) che era lui l’uomo della sua vita e stesse per avere un figlio da lui.
Non ce la faceva, non ce la faceva.
Non posso farcela, Ernie. O Molly. Mi dispiace.
Mi spiace, Percy.
Questi intanto si stava seriamente pentendo di averle proposto quella cosa, in quel modo poi. Avrebbe dovuto pensarci subito: Audrey e il matrimonio erano due universi lontani e separati.
In fondo, però, che male ci sarebbe stato? Non erano, ormai, una famiglia?
Era tanto strano che lui desiderasse averla accanto, sempre? Tutti i giorni della sua vita?
Mistero.
Resti però un idiota. Sempre e comunque.
Faen.
 
 
Dieci giorni dopo sembrava che la primavera si fosse decisa ad arrivare; marzo era iniziato da poco, per Audrey scadeva il sesto mese di gravidanza e Percy stava per avere, finalmente, una buona notizia.
Quella notte aveva sognato Audrey, di nuovo. O meglio, non Audrey, ma i suoi nei.
La ragazza ne aveva pochissimi in tutto il corpo, e lui li ricordava tutti con precisione. Quella notte aveva sognato il suo neo sulla schiena: era abbastanza grande, e si trovava esattamente al centro della sua spina dorsale; per esserne sicuro, una volta, Percy aveva contato le vertebre di Audrey dal basso e dall’alto, ed era rimasto affascinato. Precisamente la metà della sua colonna vertebrale.
Visto che Audrey si addormentava sempre dandogli le spalle, talvolta Percy si incantava ad osservare quel neo, di notte. Gli sembrava che fosse il centro esatto di Audrey, e quell’idea lo ammaliava.
Si svegliò; qualcosa picchiettava alle persiane della finestra.
Non appena aprì, si ritrovò in stanza un grosso gufo bruno che trasportava una lettera e un pacco. La prima, ovviamente, era stata già aperta, ma il secondo sembrava intatto.
Percy sfilò la lettera dalla busta e subito gli si parò davanti agli occhi la grafia da Guaritore di Roman Bennet.
 
Abbiamo saputo: congratulazioni! Speriamo che tu sia felice almeno la metà di quanto lo siamo noi, è una notizia meravigliosa!
Avremmo voluto scrivere prima ma abbiamo avuto un po’ di intoppi, scusaci.
Nel pacco c’è un regalo, per festeggiare: siamo sicuri che capirai subito di cosa si tratta. Non stapparla, però, aspetta il momento in cui saremo di nuovo tutti insieme.
Ancora congratulazioni
R. e M.
 
Nel pacco c’era una bottiglia che sembrava piena d’acqua, ma a Percy non servì aprirla per capire che si trattava di grappa.
E non serviva tanta fantasia nemmeno per capire cosa rappresentava.
Saremo di nuovo tutti insieme. Tutti. Come una volta.
 
Fu quello, forse, che lo fece decidere. O forse fu il fatto di aver sognato il neo di Audrey.
Ad ogni modo, quella sera la razionalità di Percy imboccò di nuovo la porta, e lo lasciò nuovamente in balìa dell’impulso.
Il quale impulso gli diceva: se stai ancora senza vedere né sentire Audrey, impazzisci. Già non sei tanto sano, visto che hai una razionalità che viene e va, ma se continui così dai di matto.
Puoi fare una cosa sola.
Una cosa sola, estremamente rischiosa. Potevano seguirlo. Potevano riconoscerlo. Potevano arrivare a Audrey. Potevano…
Ma quell’impulso era forte. Il più forte che avesse mai provato. Percy ne aveva repressi, di impulsi, nella sua vita; sembrava quasi, a dirla tutta, che non ne avesse. E invece.
L’impulso di andare da Audrey era stato più forte di tutto, della sua paura, della sua ragione, di se stesso. Ed era per colpa di quel maledetto impulso che Percy si trovava lì, alle undici di sera, a fissare come un allocco il condominio Babbano dove viveva Audrey, in quel paese fuori Londra.
Cavolo.
Che diamine ci faccio qui?
Un po’ tardi, per chiederselo; la sua razionalità aveva fatto una passeggiata  un po’ più lunga del previsto, tanto che era riuscito, nell’ordine, a pensare che usare la Smaterializzazione era meno sicuro che prendere mezzi Babbani, a uscire di casa nel momento esatto in cui, sul muretto di fronte casa sua, le sue spie si davano  il cambio, e addirittura a cambiare tre artovus senza sbagliare fermata fino al paese dove vivevano i Bennet.
Nemmeno avesse calcolato tutto. Ad ogni modo, quando si rese conto di quello che aveva fatto, per un momento fu tentato di lasciar perdere e tornarsene a casa.
Sì, bravo. Così sì che tutto si risolve. Sei un genio.
Deglutì e si guardò indietro. La strada era deserta, la notte tranquilla. Respirò ed entrò, dirigendosi al secondo piano.
Ci mise un po’ per trovare la porta che cercava: continuava a cercare il cognome “Bennet” su tutti i campanelli e non si soffermava sugli altri. Finalmente si ricordò che doveva cercare “Saknussem”.
Riprenditi, per favore. Non hai dodici anni.
Trovato.
Saknussem.
E adesso?
Adesso?
Quella porta. Il cuore gli batté più forte.
Cavolo, quanti ricordi.
Era stato lì solo un’altra volta, più di un anno prima. Secoli prima.
Quella volta Audrey non voleva più vederlo per quello che le aveva detto; adesso non lo chiamava più, sempre per una sua frase affrettata, e lui era di nuovo lì davanti a quella porta, col cuore in gola.
Corsi e ricorsi storici, eh?
Allungò una mano verso la porta e bussò. Niente.
Bussò un po’ più forte. Di certo le stava svegliando, Audrey e la signora Bennet.
Ora sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie. Niente, meglio andarsene, che idea mi è venuta, che scemo, vedi a dar retta agli impulsi…
- Chi è?
E di nuovo la razionalità scomparve.
- Sono io.
 
 
La prima cosa che Percy notò, quando Audrey aprì la porta in preda alla sorpresa, fu la lunghezza dei suoi capelli. Li aveva sempre portati corti ben sopra le spalle, tranne un breve periodo due Natali prima, in cui li aveva lasciati crescere. Ora, invece, i capelli le arrivavano appena sotto il seno, arricciandosi in punta.
La seconda cosa che notò fu il suo viso magro, sciupato: gli zigomi erano diventati sporgenti, e gli occhi sembravano più grandi.
La terza cosa che notò fu la pancia che le tendeva la camicia da notte. Una pancia rotonda che a Audrey donava moltissimo.
Sentì che gli occhi gli pizzicavano; sbatté le palpebre un paio di volte, prima di riuscire a parlare.
- Ciao, Bennet - sussurrò. - Scusa l’ora, non volevo disturbare…
La quarta cosa che notò, mentre Audrey lo abbracciava a tradimento, lì, sul pianerottolo, scalza e infreddolita, fu che non era cambiata di una virgola in quei sei mesi: era sempre lei, sempre bella, sempre odore di mela, sempre così inconcepibilmente innamorata di lui. Sempre Audrey.
Con qualcosa di suo, una parte di lui.
 
 
Non è facile separarsi da un abbraccio così, ma alla fine ci riuscirono. Senza una parola, troppo sorpresa per poter dire qualcosa, Audrey fece entrare in casa Percy tenendolo per mano, con la bacchetta stretta convulsamente nell’altra.
Nel frattempo la signora Bennet si era precipitata nell’ingresso, stringendosi la vestaglia addosso.
- Che c’è? Che succede? Chi…
Rimase a bocca aperta, trovandosi Percy davanti agli occhi. Per fortuna ritrovò subito abbastanza lucidità per parlare.
- Ti… Ti pare questa l'ora di presentarsi a casa di qualcuno?
A risentirsi dire le stesse, identiche parole di un anno prima, Percy non riuscì a trattenere un sorriso di sollievo.
- Mi dispiace, signora Bennet…
- Non mi chiamerai mai Lucy, vero? - sorrise la donna, intenerita.
- Credo di no, signora Bennet.
Percy sentì che la stretta di Audrey si faceva più forte, e ricambiò.
- Hai… Hai cenato? - domandò la signora Bennet.
- Io… no, in verità no, ma…
- E da quant’è che non ceni?
Era pazza, la signora Bennet, ma forse nemmeno tanto. Mentirle era impossibile.
- Due giorni, in verità.
- Ti preparo qualcosa.
La donna uscì, lasciando i due ragazzi da soli. Audrey non staccava gli occhi di dosso a Percy, come se temesse che, smettendo di guardarlo, se ne sarebbe andato.
Ernie, hai visto? Hai visto chi c’è?
Sentì un calcio provenire da un punto imprecisato sotto l’ombelico.
Sì, hai indovinato. È proprio lui.
 
Sebbene non avesse affatto fame, Percy mangiò educatamente il panino che la signora Bennet gli aveva preparato in pochi minuti. Subito dopo Lucy si scusò, dicendo che tornava a dormire perché il giorno dopo doveva andare a lavorare, quindi era meglio per lei non fare troppo tardi…
Tornò in camera, lasciando i due di nuovo soli.
Audrey, seduta accanto a lui, continuava a guardarlo, senza parlare; si era quasi scordata com’era fatto, e rivederlo così, all’improvviso… era strano. Bello.
Nemmeno Percy aveva molta voglia di parlare; improvvisamente non sapeva più cosa dire. La sua razionalità era tornata, l’impulso scomparso, e si sentiva più che mai insicuro davanti a lei.
Si limitò a ricambiarle lo sguardo, incerto se parlarle o no.
Alla fine fece la cosa più semplice: allungò una mano e le sfiorò uno zigomo.
- Sei dimagrita... - mormorò.
- Non… Non ho molta fame, in questi giorni - rispose lei piano. Dieci giorni che non parlavano, e quello era il massimo che riusciva a dire.
La mano di Percy scese a una ciocca di capelli più arricciata delle altre. - E… e questi?
- Colpa della mamma, - fece lei, sorridendo appena - non vuole che me li tagli. Mi… dispiace, so che li preferisci corti…
- Sei sempre bella, lo sai.
Arrossirono entrambi per quella frase inaspettata; Audrey però superò l’imbarazzo per prima. - Non la pensavi così, quando me li sono tagliati come un uomo…
A ricordare quel periodo Percy rabbrividì. - È un altro discorso. Eri identica a Jarne senza occhiali… - Rabbrividì di nuovo. - Mi sembrava di andare a letto con Jarne. Cerca di capirmi… Non era mica facile per me.
Al che Audrey scoppiò a ridere. - Non è colpa mia, se noi Bennet siamo tutti uguali. Considera che anche Ernie potrebbe essere così.
- Hai proprio deciso che sia Ernie, eh?
- Va bene. Ernie oppure Molly.
Si sorrisero di nuovo. Il ghiaccio era rotto, finalmente; erano di nuovo loro, solo loro.
Percy tornò ad accarezzarle il viso. Mi sei mancata…
Anche tu mi sei mancato…
Si avvicinò, ma Audrey ebbe un sussulto.
- Che succede?
La ragazza non rispose, limitandosi a fissarlo con stupore. Poi gli prese la mano e l’appoggiò sul pancione.
 
Fu la prima volta che Percy si rese del tutto conto di quanto fosse incinta Audrey. Lui aveva visto nascere altri quattro fratelli, si poteva dire che fosse un esperto; tuttavia un conto era vedere sua madre gravida, un conto era Audrey in quelle condizioni.
Cavolo.
Guardò la ragazza interrogativo, ma lei seguitò a tenergli la mano ferma sulla pancia. Finché non lo sentì.
Bump.
Istintivamente Percy ritirò il braccio, come se si fosse scottato. E questo… Cos’era?
- L’hai sentito? - sussurrò Audrey, emozionata.
- S-sì, ma… Era…
- Era Ernie. O Molly.
Percy trattenne il fiato, fissando la pancia rotonda di Audrey in preda a uno strano batticuore. Cavolo, cavolo…
- Si sta muovendo ancora, credo sia… contento della tua presenza.
Cavolo. Avevano passato mesi a parlarne, e ora era lì. Davanti alla pancia di Audrey. Davanti al suo bambino.
Si fece coraggio e rimise la mano nel punto dov’era prima.
Bump.
Sobbalzò di nuovo, poi guardò Audrey.
- Dovresti vedere la tua faccia, Perce! - rise lei. - Guarda che non morde mica!
Prima che Percy potesse ribattere, lo sentì ancora. Bump.
Però, si muoveva eccome il Coso. Se davvero era contento, lo stava dimostrando molto bene.
Attonito, Percy appoggiò anche l’altra mano sulla pancia di Audrey. Veniva da lì quello scalciare, da quel punto del ventre della ragazza; poco sopra c’era l’ombelico, e un po’ più in alto a destra tre piccoli nei che formavano un triangolino. A Percy sembrava di vederli in quel momento, quei nei; li conosceva a memoria, li sognava di notte.
E dietro a quell’ombelico e a quei nei…
Bump.
Un altro calcio.
Percy chiuse gli occhi e li riaprì, tutto preso da quella nuova situazione. Non riusciva a pensare a nulla, tutto era silenzio nella sua testa, e il silenzio aveva il ritmo di quel bump che ricompariva ogni tanto.
Senza staccare le mani e gli occhi dalla pancia di Audrey, Percy scese dalla sedia, inginocchiandosi.
Bump.
Appoggiò l’orecchio sui tre nei, mentre Audrey gli accarezzava i capelli, piano, come mesi prima.
Bump. Bump.
Non pensò più a nulla, quella notte. Non pensò a ciò che accadeva fuori da lì, non pensò a Audrey e non pensò a se stesso. Non pensò nemmeno al fatto che non si era mai, mai sentito così emozionato in tutta la sua vita, mai; e tantomeno pensò al fatto che le sue emozioni potevano contarsi sulle punte delle dita di una mano.
Non pensò che ad averlo spinto lì era stata la parte migliore di lui, quella parte che teneva ben nascosta e che per Audrey era chiara come il sole; non pensò che quella stessa parte era lì, al sicuro, e gli tirava calci da sotto i tre nei di Audrey. Non pensò che quella parte avrebbe seguitato ad esistere, nonostante la separazione, nonostante il Ministero, nonostante tutto, e questa era l’unica cosa davvero importante.
Non pensò; si limitò, per una volta, ad ascoltare.
Bump.











...grazie a chi ha legge, chi preferisce, chi segue, chi ricorda e chi recensisce!
A tutti, Buona Pasqua! ^_^
Ferao

Ritorna all'indice


Capitolo 21
*** Incontri ***


Stavolta il capitolo non è un granché, e non è nemmeno molto lungo. È stato scritto… di fretta. Già.
La parte iniziale è okay, ma il finale non è stato quasi per niente limato; non ne ho avuto modo, mi dispiace.
Comunque non stupitevi se è sintetico: doveva essere così perché “il bello” viene dopo, non adesso.
Su richiesta di Nymphy Lupin (ciao cara!) stavolta le ciacole (= chiacchiere) sono in fondo; solo, tenete della cioccolata a portata di mano mentre leggete, credo che vi servirà. A me è servita.
Grazie dell’attenzione.

 

Incontri

 
Settembre, ottobre, novembre, dicembre. Gennaio, febbraio, marzo, aprile.
Cosa volete che contino queste parole, ad Azkaban? Lì è come se fosse sempre notte: una notte infinita, senza ore, senza limiti.
Una notte senza sogni, ma un solo spaventoso incubo che dura miliardi di minuti; una lunghissima apnea.
Digrignare di denti nel buio, in ogni istante, in ogni luogo.
Azkaban non è luogo, non è tempo. È oltre.
Oltre il tempo non esistono ore, non esiste respiro, non esisti tu. Solo il tuo dolore.
Immenso, illimitato dolore. Più sei innocente più soffri, ad Azkaban; è una regola non scritta, ma esiste.
 
Ernest Adams era ad Azkaban, innocente.
 
 
 
- Bacchetta, prego.
Controvoglia, Percy consegnò la bacchetta alla Guardia dal volto coperto, dopodiché alzò le braccia e si lasciò perquisire.
- Ha con sé il permesso per entrare qui?
Consegnò anche la pergamena con il simbolo del Ministero; la Guardia la osservò, prima di arrotolarla e riporla in un piccolo archivio.
- Mi segua, signor Weasley.
Entrare ad Azkaban da prigionieri o da visitatori era la stessa cosa: a nessuno venivano risparmiate le occhiate invisibili ma penetranti delle poche Guardie umane presenti lì dentro.
(Che poi, umane: incappucciate e irriconoscibili, chi poteva dire cosa fossero davvero? Se non le si scambiava per Dissennatori era solo perché, accanto a una Guardia, non si provava gelo).
Inoltre il tempo si fermava per tutti, lì, anche per chi non era destinato a rimanervi a lungo. L’unica differenza era che, per il periodo in cui un visitatore si trovava lì dentro, i Dissennatori si tenevano a distanza da lui e dal prigioniero che riceveva la visita.
Entrare ad Azkaban era cambiare mondo, dimensione, universo. Se Percy non avesse avuto un motivo più che valido per andarvi si sarebbe guardato bene dal farlo; ma aveva un motivo, e si chiamava Adams.
Aveva dovuto aspettare mesi prima di ricevere il permesso per visitare la prigione; lo aveva richiesto pochi giorni dopo l’arresto di Adams, ma ai piani alti avevano preferito farlo aspettare.
Probabilmente si erano chiesti il perché di una visita a un condannato per sodomia; alla fin fine, però, Percy era già tenuto sotto controllo, e nessuno dei suoi comportamenti sembrava indicare un rapporto particolare con Adams. “Ma sì”, dovevano aver pensato, “diamogli un contentino, lasciamo che assaggi l’aria di Azkaban, se tanto lo desidera…”
- Siamo arrivati, signor Weasley.
Di già? Possibile che ci avessero messo così poco?
Era proprio vero che tempo e spazio non esistevano, lì dentro.
- Ha mezz’ora. Verrò a prenderla più tardi.
Mezz’ora. Aveva aspettato sette mesi per avere quel fottuto permesso, e gli davano solo mezz’ora.
Pazienza.
La porta alle sue spalle si richiuse con un cigolio. Percy fece un passo avanti, incerto.
- Adams…
Un cencio buttato di lato, ecco cos’era diventato Adams. Rannicchiato in un angolo, con la testa fra le ginocchia e le braccia a riparare la nuca. Percy strinse i denti, e si avvicinò ancora.
- Adams…
L’uomo non si mosse; Percy si inginocchiò di fronte a lui e gli sfiorò un braccio.
A quel contatto Adams sobbalzò e si ritrasse, terrorizzato. I suoi occhi chiari erano vuoti, completamente smarriti.
- Adams, sono io, mi riconosci? Sono Percy Weasley.
L’uomo aveva un aspetto orribile: era quasi irriconoscibile sotto quella barba e quegli stracci che chiamavano “divisa dei carcerati”. Lo sguardo vacuo di Adams vagò per un minuto in quello di Percy, e all’improvviso si illuminò di memoria.
- Capo…
Una voce roca, scordata, non sua.
- Sì, Adams, sono io. - A fatica Percy trattenne le lacrime che già premevano per uscire. Mio Dio, se esiste un Dio; che ti hanno fatto, Adams…
- Capo…
- Sì, sì, Adams, sono io…
Adams seguitò a fissarlo ad occhi spalancati, poi allungò debolmente una mano. Percy la strinse tra le sue, col groppo alla gola, sentendo crescere l’angoscia. Che ti hanno fatto…
- Capo… Sei tu…
- Sono io, vecchio mio…
- Audrey?
Percy deglutì, e stavolta una lacrima gli sfuggì.
- Sta bene, Audrey? - articolò Adams, a fatica.
- Sta bene, sì… Grazie a te sta bene, Adams…
- No. Grazie… a te. Io…
- Non parlare, tranquillo.
Adams cercò di alzarsi, ma non ci riuscì. Stava seduto da giorni ormai, le gambe erano anchilosate.
- Sta’ fermo, Adams, non muoverti. Tranquillo.
Adams gli obbedì, docile. Percy era incredulo: quello che aveva davanti non poteva essere davvero l’uomo che mesi prima aveva tenuto testa alla Umbridge in presenza dei Dissennatori. Non poteva.
L’avevano distrutto, spezzato. Azkaban può questo ed altro.
Adams abbassò lo sguardo, come cercando di formulare un pensiero; poi guardò di nuovo Percy, mentre un lampo attraversava gli occhi spenti.
- Capo… L’albero…
Percy dovette riflettere qualche secondo prima di capire a cosa si riferisse: stava parlando dell’albero genealogico di Audrey. Il suo tempo si era fermato al diciotto settembre.
- È arrivato, è… è andato tutto bene. Audrey… ti saluta tanto, le manchi, ci manchi…
Gli sfuggì un singulto, mentre cercava le parole giuste per ciò che sentiva di dover dire.
-Adams, io… io… Tu non… non dovresti essere qui, io dovevo… volevo… aiutarti, io… M-mi dispiace, è colpa mia, mi dispiace…
Le lacrime arrivarono, irrefrenabili. Non era riuscito a fare niente per Adams, niente, e quello era il risultato della sua impotenza: un uomo fatto a pezzi. Un grumo di dolore.
Come, pensava Percy, come poteva esistere davvero qualcosa fuori da lì? Come poteva un solo mondo contenere tutto quello? Come potevano esserci un tempo e un luogo, oltre quell’orrore così profondo?
Nulla sembrava vero, nulla. Solo quell’oscurità e quella sofferenza erano reali, nient’altro.
E nulla poteva togliergli dalla testa che la sorte di quell’uomo fosse in parte causata da una sua colpa, dalla sua debolezza, dalla sua incapacità a far andare le cose nel verso giusto.
Per un po’ il ragazzo non riuscì a parlare: poteva solo piangere, piangere e piangere. Adams lo guardava, serio, come se non capisse quelle lacrime, quel dolore. Per lui era tutto fermo, tutto dolore, e il dolore degli altri non era altro che parte di quel dolore più grande, immenso, che lui provava.
- Sai… Audrey… - singhiozzò Percy, una volta che fu in grado di parlare ancora. - Lei… n-noi stiamo per avere un bambino.
Un altro lampo negli occhi di Adams, un lampo, stavolta, come di timida e remota gioia. - Sì?
- Sì. E…- Percy deglutì - Se… Se sarà maschio lo chiameremo Ernest.
Forse fu per la distanza dai Dissennatori in quel breve tempo, o forse fu perché era davvero felice di quella notizia, la prima felicità da sette mesi; fatto sta che, in mezzo a quel dolore immobile, a quel tempo senza fine, Adams sorrise.
- Grazie, capo… - sussurrò.
- Dovere - rispose fiocamente Percy, mentre la Guardia apriva la porta della cella.
Ad Azkaban il tempo non esisteva, eppure era già passata mezz’ora.
 
Un istante prima di tornare fuori, nel mondo, Percy si ricordò di una cosa, o meglio di un viso.
- Mi scusi, - domandò alla Guardia che lo accompagnava - vorrei un’informazione su un’altra persona che è stata portata qui…
La testa coperta della Guardia si girò verso di lui. Chissà se è un uomo o una donna, pensò Percy.
- Il suo permesso le consente di far visita a un solo prigioniero - fece prontamente la Guardia.
- E infatti non voglio vederla - rispose Percy, duro.
Aspettò che venisse una replica, ma la Guardia non parlò.
- Si chiama Diana Stapleton. È stata portata qui… quasi un anno fa, lo scorso giugno…
- Sì - lo interruppe la Guardia. - Diana Moira Stapleton, accusata di commercio clandestino di manufatti Oscuri e collusione coi Mangiamorte. Rilasciata dopo un mese per assenza di prove.
Tanto bastava. Percy riprese la bacchetta e tornò nel tempo, nel mondo.
Alle sue spalle Azkaban, mostro paziente, sognava i suoi eterni incubi.
 
 
 
 
Hogsmeade non era mai stata così triste, così vuota. Il sole di metà aprile splendeva e iniziava a fare caldo, ma Percy si sentiva ancora scosso dai brividi. Quanto, quanto gelo ad Azkaban…
Chissà perché si era Smaterializzato proprio in quel villaggio; non aveva affatto voglia di andare in giro, voleva solo tornare a casa, starsene in pace, finalmente…
Poi vide il castello, e capì perché il suo istinto lo aveva guidato proprio lì. Hogwarts…
Aveva bisogno di rivedere Hogwarts; aveva bisogno di quella sicurezza, di quella tranquillità che le mura della scuola gli avevano sempre infuso. Aveva bisogno di sentire la vita in quella maledetta giornata, e la vita era lì, tra quelle torri. Lì c’erano i suoi fratelli, pensò con un’ennesima stretta al cuore. Chissà se stanno bene.
Camminò nella strada semideserta, pensando. Non aveva visto suo padre in Ministero né il giorno prima né quello ancora precedente, e questo era strano; più che strano, preoccupante: non era mai successo, prima, che Arthur fosse assente per ben due giorni di seguito.
Percy guardò di nuovo Hogwarts; secondo i suoi calcoli le vacanze di Pasqua dovevano essere iniziate, Ron e Ginny di sicuro erano alla Tana… a meno che non si fossero davvero messi in viaggio per seguire Potter, cosa di cui Percy non poteva essere sicuro; non leggeva più la Gazzetta del Profeta, non ne aveva la minima intenzione: a che sarebbe servito? Era sempre la stessa merda, ogni giorno.
Diamine, quanto era vuota Hogsmeade; sembrava che tutti trattenessero il respiro dietro le finestre. Il fatto che ci fosse qualche passante in strada, ogni tanto, non eliminava quell’impressione: era tutto così spento, così freddo… freddo come Azkaban.
Un altro brivido. Mille pensieri si affollarono nella sua testa, facendolo vacillare; era di nuovo come mesi prima: un pensiero per la sua famiglia, un pensiero per Adams, un pensiero per il suo bambino, un…
Hai bisogno di qualcosa di forte, vecchio mio.
Ecco, quello sì che era un pensiero che valeva la pena assecondare; la Testa di Porco era a due passi da lui, gli bastò allungare il braccio per aprire la porta.
 
 
Aberforth Silente non era esattamente quello che si definirebbe un buon padrone di casa; d’altra parte, però, i suoi clienti non facevano certo caso alle buone maniere: tutto quello che chiedevano era bersi un goccio senza dover rispondere a troppe domande, e in questo erano accontentati al cento per cento.
Gli avventori della Testa di Porco erano davvero di tutti i tipi; nessuno si sorprendeva di nessun altro, lì dentro. L’unica volta in cui Aberforth si era stupito di qualcosa era stata giusto due o tre anni prima, quando un gruppo nutrito di studenti si era riunito lì.
Altro che stupito: il termine giusto era sbalordito. Erano così… fuori posto, lì, tutti quei marmocchi in una volta sola. Esattamente come sembrava fuori posto quel ragazzino alto e smilzo appena entrato nel suo locale. Aber lo guardò di traverso mentre rabboccava con Ogden Stravecchio il bicchiere di un vecchio mago che pareva ben deciso a non uscire da lì se non ubriaco a dovere.
Decisamente, pensava Aber, quel ragazzino non era tipo da Testa di Porco. No no.
Bastava guardarlo mentre osservava l’ambiente circostante: era spaurito come un coniglio, un coniglio rosso con gli occhiali che ha decisamente sbagliato il posto dove andare a cacciarsi.
Aber fu fortemente tentato di gridargli di andarsene da Madama Rosmerta, se il suo pub lo impressionava tanto; in fondo, però, un cliente è sempre un cliente, quindi attese che il ragazzino si mettesse seduto e ordinasse qualcosa.
 
Percy non era mai entrato lì prima di allora; aveva sempre considerato con sospetto quel pub dalla fama discutibile, e lo aveva accuratamente evitato nei suoi anni di scuola. Ora invece si trovava proprio lì, in quel buco puzzolente e affumicato che sapeva di capra, a guardarsi attorno come un idiota.
Una risata volgare lo riscosse: due megere lo osservavano da lontano, ridacchiando. Percy avvampò, ma le ignorò e andò a sedersi al bancone.
Si aspettava che il proprietario del locale gli rivolgesse la parola, o almeno uno sguardo interrogativo, ma quello sembrava ignorarlo tranquillamente mentre con qualche colpo di bacchetta sistemava delle bottiglie su un ripiano in apparenza pericolante.
Percy provò a schiarirsi la voce, ma il barista non lo sentì. Doveva per forza chiamarlo.
- Mi scusi, signore…
 
Ecco, lo sapeva. Un damerino, quel rosso non era altro che un damerino beneducato e senza attributi.
Proprio il genere di persona destinata a soccombere in un posto come il suo pub. Bah.
Cosa gli toccava vedere. Date ad Aber dieci, cento, mille probabili criminali coi volti coperti da bende per non farsi riconoscere, ma non un solo tipo come quello. Non li sopporta proprio, gli stronzetti che sanno solo ripararsi dietro buone maniere e belle parole e poi ti accoltellano alle spalle col loro sorrisetto garbato, o magari rimangono a fissarti impauriti aspettandosi che tu li accoltelli. Come se valesse la pena sporcarsi le mani per gente come loro.
Bah.
Girò la testa e rivolse un’occhiata truce e obliqua al ragazzino, facendolo arrossire.
Decisamente quel tipo aveva sbagliato posto dove andare a cacciarsi.
 
 
 
 
 
Perlomeno sei capace a bere, coniglio.
Non si poteva negare che quel ragazzino sapesse reggere bene l’alcool. Almeno questo.
Tipo curioso, il rosso; sembrava ancora un pesce fuor d’acqua, ma non pareva farci caso: teneva le spalle e lo sguardo bassi, mentre mandava giù un bicchiere dopo l’altro senza battere ciglio.
E poi ad Aber ricordava qualcuno. Dove diamine aveva già visto quella faccia?
Ci pensò su mentre spingeva via dal bancone la testa bendata del vecchio mago che, finalmente, era riuscito nel suo intento di sbronzarsi a dovere e ora russava alla grande.
Gli ricordava una persona, magari qualcuno visto poche volte… quei capelli poi…
Ma no. Non dirmi che questo è il figlio di Weasley.
Tornò a guardare il coniglio. Sì, c’era una rassomiglianza con Arthur, vaga ma bastevole.
Il figlio stronzo di Arthur Weasley, quello che appoggia il Ministero.
Adesso che Aber poteva dire di averle viste tutte. Diamine.
Non era tipo da giudicare i suoi clienti, purché paganti, ma per una volta si sentì autorizzato ad osservare un avventore con disgusto.
Stronzo e coniglio. Cosa c’è di peggio, al mondo?
A saperlo prima, gli avrei avvelenato l’Ogden.
 
Sentì che il barista lo osservava, ma non se ne curò. Percy non aveva intenzione di attaccar bottone, né di fare nient’altro. Voleva solo riscaldarsi un po’, cancellare per qualche minuto le sensazioni che Azkaban gli aveva messo addosso. Che guardasse pure, il barista, c’era di peggio al mondo che essere giudicati da uno così…
Svuotò il bicchiere, poi appoggiò i gomiti al bancone e si prese la testa tra le mani. Si sentiva stanco, stanco, stanco…
- Finito?
Il tono di voce era pungente, irritante. Percy sollevò la testa e incontrò lo sguardo azzurro di Aberforth Silente, uno sguardo carico di antipatia.
- No.
- Come vuoi.
Distolse lo sguardo, mentre Aberforth lo serviva di nuovo. Stanco, stanco, stanco…
Osservò con invidia il vecchio mago ubriaco accanto a sé.
Potrebbero esserci dei momenti in cui vorrebbe ubriacarsi, ma non ci riuscirà. Sempre meglio non abituarsi all’alcool, per queste evenienze.
Diamine. Aveva detto quelle parole a Audrey la notte in cui si erano baciati la prima volta, più di un anno prima, e gli erano tornate in mente all’improvviso.
Parole profetiche, senza dubbio: in quel momento avrebbe tanto voluto stordirsi, non capire più nulla per un po’. Invece no. Lucido e ragionevole, come al solito.
Riabbassò gli occhi sul bicchiere, ma non bevve.
 
Finalmente Aber era riuscito a far sloggiare l’ubriaco dal bancone. Con un gesto stanco della bacchetta ripulì il punto dove quello aveva appoggiato la testa.
Di tanti pub che ci sono proprio qui doveva venire, il figlio stronzo di Arthur?
Tornò a guardare il ragazzino con crescente antipatia.
Mi hanno detto che non scrive più nemmeno a casa. Di sicuro non sa neanche che i suoi si sono dovuti nascondere.
Io proprio non li sopporto, quelli che abbandonano la famiglia per seguire il potere.
Stronzo di un coniglio.
Il barista si guardò attorno: gli ultimi avventori stavano uscendo, ormai erano rimasti solo lui e il rosso.
Decise che valeva la pena attaccar briga con uno così, giusto per farlo stare un po’ male.
Gente così deve soffrire.
- Non bevi più? - chiese acido.
Percy sollevò lo sguardo dal bicchiere ancora pieno. - No, grazie.
- No, grazie - disse Aber, facendogli il verso. - Poche smancerie, damerino. Non sei nel posto adatto.
Il ragazzo fece una faccia perplessa. - Come, scusi?
- Hai sentito. Adesso paga e porta il tuo culo da stronzetto fuori dal mio pub.
 
Percy spalancò gli occhi e la bocca. Cosa?
Ma che diavolo…
- Ma… Ma io…
Deglutì. L’espressione con cui il barista lo guardava non era tra le più rassicuranti.
- Scusi, io… io cre-credo che mi abbia scambiato per qualcun altro…
- Tu sei il figlio dei Weasley. - Non era una domanda.
Percy deglutì di nuovo. - Come fa a saperlo?
- Somigli ad Arthur. Tu sei quello che li ha abbandonati.
Neanche questa era una domanda.
Okay, forse stavolta sono ubriaco. Non ho mai visto questo tizio in vita mia, eppure sa tutto di me.
Perché?
- Brave persone, i tuoi genitori e i tuoi fratelli. Non si meritavano uno come te…
- Lei… Lei li conosce? - mormorò Percy, sgranando gli occhi. - Conosce la mia famiglia? Ma come…
- Ti aspetti che venga a raccontarti i fatti miei? - grugnì Aber, incrociando le braccia. - Li conosco e basta. E ora conosco anche te. Pezzo di merda.
- Li conosce… Ma allora… Allora forse sa qualcosa di loro?
Stavolta fu Aber a sgranare gli occhi. L’insulto era letteralmente scivolato addosso al coniglio, che sembrava più interessato al fatto che lui conoscesse i Weasley.
Percy intanto non aveva smesso di parlare. - Sono due giorni che mio padre non viene al lavoro, non è mai accaduto… è successo qualcosa? Me lo dica, la prego…
- Perché non glielo chiedi tu stesso? Oh, ma certo, dimenticavo: voi traditori siete troppo orgogliosi per…
- Volevo scrivere, ma la mia posta è sotto controllo. Allora? Cos’è successo ai miei? Se lo sa, per favore…
Stava davvero implorando. Questo Aber non se l’aspettava.
Tuttavia non si mostrò sorpreso. Seguitò a guardare Percy con astio.
- E a te cosa importa?
- Secondo lei? - esclamò il ragazzo, arrabbiato. - È la mia famiglia!
- Te ne sei ricordato un po’ tardi, o sbaglio?
Stavolta Aber colpì nel segno; Percy aprì la bocca, ma la richiuse subito. Non c’era nulla da ribattere.
Quel tipo aveva ragione. Tutta la ragione del mondo.
E infieriva.
- È facile, andarsene a quel modo e poi chiedere notizie da lontano. Facile, comodo… Intanto, però, li hai abbandonati. Coniglio.
Percy distolse lo sguardo, arrossendo.
Li aveva abbandonati.
Come rimbombavano quelle parole, nella sua testa. Com’erano piene di rabbia, di dolore.
Li aveva abbandonati.
Era… un traditore. Solo un traditore.
Traditore del proprio sangue.
Non solo: nonostante avesse da tempo capito di aver commesso un errore, non aveva fatto nulla per tornare indietro. Non un gesto di pentimento, non una riga su una lettera; nulla.
Un traditore, e un codardo. Non esiste niente di peggio al mondo.
Con che diritto, adesso, voleva rimediare? Pensava davvero che chiedendo notizie dei suoi avrebbe cancellato l’immagine di sé che aveva disegnato in quegli anni?
Credeva che fosse così facile?
Pensava davvero che avrebbe potuto giudicarsi meno traditore, in quel modo?
Lo sguardo di Aberforth, che Percy sentiva su di sé come un coltello puntato alla gola, era molto più eloquente di qualsiasi discorso.
Chiuse gli occhi. Era stanco, stanco e ferito.
Si alzò in piedi, e mise qualche moneta sul bancone.
- Ha ragione - gracchiò, combattendo contro un nodo alla gola. - Sono solo… un coniglio. Scusi se l’ho disturbata, non avrei dovuto… essere così insistente.
Guardò un’ultima volta il barista negli occhi, poi si volse verso la porta, avviandosi con passo un po’ malfermo.
- Stanno bene.
Si bloccò. Era stato più che altro un sussurro, ma lo aveva sentito benissimo.
Percy si girò verso il barista, sorpreso. Aber non si era mosso di un millimetro: aveva ancora le braccia incrociate e lo fissava con lo stesso astio di prima, ma c’era anche qualcos’altro, adesso, nei suoi occhi.
Compassione.
- Stanno bene - ripeté. - Si sono dovuti nascondere perché uno dei tuoi fratelli è stato beccato assieme a Potter. Tutti vivi, comunque.
Compassione. Che altro poteva desiderare Percy in quel momento?
La compassione è come una pacca sulla spalla, per chi sa di non meritare altro che calci in culo.
E tu ne meriti, coniglio. Eccome se ne meriti. Ma non sarò io a dartene, tranquillo; o almeno non adesso.
 
 
 
 
“Che razza di giornata”, pensò Percy avvicinandosi alla porta di casa sua.
Che incontri, soprattutto. Vedere Adams… diamine, era stato terribile. Percy non aveva dubbi sul fatto che era stato giusto andarlo a trovare, che non avrebbe potuto fare altrimenti, ma… era stato difficile. Duro.
E incontrare Aber… incredibile, davvero incredibile. Chi avrebbe mai pensato che un tipo così conoscesse i suoi genitori?
Per via dell’Ordine della Fenice, certo. Che stupido. Avrebbe dovuto pensarci prima.
Mentre metteva la mano sulla maniglia ripensò alla promessa che Aber gli aveva fatto: lo avrebbe tenuto informato, nel caso avesse avuto altre notizie della sua famiglia.
Certo, il “come” avrebbe fatto gli risultava ancora strano, visto che, in qualsiasi modo Percy fosse stato contattato da lui, il Ministero lo avrebbe saputo subito.
A meno che anche Aber non abbia un fonetolo…
Smise di pensare. La porta era aperta.
Velocemente mise mano alla bacchetta, e aprì l’uscio con cautela.
 
Non una singola cosa era al suo posto. I libri di Audrey erano sparsi in giro, i pochi mobili erano tutti a gambe all’aria. Il telefono giaceva in un angolo, rotto.
Percy restò così stupito che per un momento abbassò la guardia e osservò la scena, confuso.
- Buonasera, signor Weasley.
Sobbalzò, quando sentì quella voce venire da camera sua: da questa uscì l’uomo alto che aveva visto insieme a Rookwood il giorno della morte del Ministro, e che era anche nella Commissione che aveva interrogato Audrey e Adams. Insieme a lui c’erano altri due uomini e una donna.
Quattro contro uno.
- Ci perdoni per il disordine, sa… Non ci muoviamo bene nelle case altrui.
La mente di Percy stava lavorando a tutta velocità, ma il suo corpo non rispondeva con la stessa prontezza. Restò come pietrificato, mentre l’uomo alto si avvicinava a lui.
- Tra l’altro, bell’arredamento. Le piacciono le cose Babbane, eh?
Alla donna scappò una risata, simile a un latrato. Fu quello a riscuotere un po’ Percy.
- Che diavolo ci fate a casa mia? - ringhiò, duro. Aveva la pelle d’oca, ma non poteva assolutamente darlo a vedere.
- Abbiamo un mandato, signor Weasley - rispose l’uomo alto. - Siamo incaricati della ricerca di alcuni pericolosi sospettati…
- E li venite a cercare a casa mia? - ringhiò di nuovo.
- Beh, visto chi sono, è molto probabile che lei ne sappia qualcosa…
Percy fece istintivamente un passo indietro, verso l’uscio ancora aperto; i quattro si erano avvicinati a lui, e non sembrava che avessero intenzioni amichevoli. Alzò la bacchetta contro l’uomo alto.
- Vi avverto, - disse piano, invaso da un improvviso coraggio - non tollero questi comportamenti, da nessuno. Fuori da qui, subito.
- Le ho già detto - rispose pacato l’uomo alto, alzando le mani - che abbiamo un mandato. Le consiglio di abbassare la bacchetta, o dovremo arrestarla per resistenza ai controllori ministeriali.
Percy non obbedì. - Mi sembra che abbiate già cercato abbastanza, qui. Adesso fuori.
- Signor Weasley, cosa può dirci in merito ad Arthur e Molly Weasley? - domandò l’uomo, incurante di Percy.
- Se non ricordo male, sono quelli che mi hanno messo al mondo - fu la risposta. Percy si stupì di se stesso: non si era mai sentito così minacciato, e allo stesso tempo così coraggioso.
Quei personaggi cercavano la sua famiglia; avrebbe dovuto pensarci subito. Era solo questione di tempo prima che venissero da lui.
- Ricorda bene, signor Weasley - ghignò l’uomo alto, per nulla impressionato. - Quello che ci interessa è dove si trovino adesso.
- Non vedo come potrei saperlo, visto che non ho contatti con loro da più di due anni. Questo - soggiunse Percy, con maggior durezza - lo sanno bene, al Ministero, visto che controllano i miei gufi e il mio camino.
Lì per lì l’uomo alto non seppe cosa rispondere.
- Ho tagliato tutti i legami anni fa, - riprese Percy, vergognandosi mentalmente per quello che stava dicendo - e non ho certo intenzione di ricucirli adesso che i miei… parenti sono diventati dei traditori del nostro Ministero.
- La sua… fedeltà al Ministero è invidiabile - mormorò l’uomo alto, sogghignando.
Percy rimase indifferente. - Lo so, grazie.
- Spero per lei che sia sempre così, signor Weasley…
- Non si preoccupi per me. Pensi piuttosto a trovare i veri criminali.
- Su questo - e il ghigno si allargò - può mettere la mano sul fuoco. Noi troviamo sempre le persone che cerchiamo.
Si aspettava forse una reazione da Percy, ma questi rimase completamente impassibile. Con un ultimo ghigno, l’uomo alto lo aggirò e uscì, seguito dagli altri tre.
L’uscio si chiuse. La bacchetta cadde di mano a Percy, che si appoggiò al muro, disperato.
Non si era mai sentito tanto vuoto, tanto verme in vita sua.
 
 
I controlli su Percy aumentarono, lui stesso se ne accorse senza difficoltà. Ormai non poteva andare da nessuna parte senza essere seguito: al Ministero credevano davvero che lui sapesse qualcosa dei Weasley, e cercavano di tenerlo sotto controllo il più possibile.
Rotto il telefono, Percy non aveva più modo di comunicare con Audrey in modo sicuro; aveva provato a riparare l’aggeggio ma non ne era in grado. Cavolo.
Audrey si sarebbe preoccupata da morire, non sentendolo; e non poteva più nemmeno andare a trovarla, sempre per il piccolo dettaglio di essere seguito a ogni passo.
Che razza di situazione. Con la sua famiglia ricercata, poi…
In realtà, Percy non era preoccupato per i suoi: suo padre non era uno stupido, di certo aveva provveduto a ogni tipo di protezione possibile.
No. Ad essere in pericolo era Percy. Il Ministero non faceva più tanti complimenti, ora, quando si trattava di sbattere ad Azkaban traditori o presunti tali; sembrava quasi che bastasse pensare qualcosa contro il nuovo regime…
E Percy aveva paura, una paura matta che prima o poi sarebbe toccato a lui; non so se riuscirei a spiegarvi questo tipo di paura: è continua, onnipresente, invade ogni minuto della nostra giornata, ogni centimetro del nostro spazio. Ci pensiamo tutto il giorno, ce la sogniamo di notte; ci fa svegliare bagnati di sudore, o tremanti di freddo e con i denti digrignati.
Ci toglie la fame, il sonno, le forze. Ci fa pesare ogni respiro, ogni parola.
Se solo ci fosse Audrey con me…
Lei, almeno, era al sicuro. Nessuno al Ministero sapeva di loro due, nessuno; l’unico che lo sapeva – ironia della sorte – era ad Azkaban.
Sì, i Weasley e i Bennet erano al sicuro, e lo erano anche Audrey e il bambino.
Solo Percy era in pericolo, e lo sapeva; e aveva paura.
 
 
 
 
Su ciò che avvenne in quei giorni si è parlato un sacco di volte, in centinaia di pagine; dubito quindi che sia il caso di ricamarci ancora su.
Ai fini della nostra storia, sappiate solo che accadde tutto all’improvviso; una marea di cose inaspettate, tutte nell’arco delle stesse ventiquattr’ore.
Prima, la fuga di un drago dalla Gringott. La sera stessa, il Ministero che, letteralmente, si svuotava.
Poi, una capra a casa di Percy.
Sì, una capra. Avete presente, le capre?
Beh, non una capra vera, accidenti! Le capre vere non sono argentate, non si evocano con la bacchetta e soprattutto non parlano.
Meglio però se vado con ordine.
 
Sul drago fuggito non serve che vi dica nulla, insomma. Notizie così sono ormai di pubblico dominio, nel nostro mondo; e poi è meglio non parlarne troppo, alcuni Babbani hanno ancora dei sospetti circa quella storia.
Credo che vi interesserebbe di più la questione del Ministero.
Dovete sapere che questo non rimaneva mai vuoto, la sera: c’era sempre qualcuno di guardia a sorvegliare.
La sera del primo maggio, però, il Ministero si svuotò completamente. Nessuno rimase lì, sia che fossero sostenitori di Voi-Sapete-Chi sia che non lo fossero.
I primi lasciarono i loro posti per prepararsi a una battaglia; gli altri invece capirono che era l’occasione buona per darsela finalmente a gambe senza rischio.
 
No, non sembra che vi interessi poi tanto; voi state pensando alla capra, vero?
In effetti, avete ragione: è l’avvenimento più importante, ai fini di questa storia.
Erano passati ormai un bel po’ di giorni, da quando Percy aveva incontrato Aberforth; in seguito non aveva ricevuto più nessuna notizia da lui.
Non che se ne aspettasse qualcuna, in effetti. Anzi, in fondo era meglio così: nessuna nuova, buona nuova.
Significava che i Weasley erano ancora nascosti, al sicuro. Tanto meglio. Meglio…
Si riscosse. Si stava addormentando sul divano, ma qualcosa lo aveva svegliato. Strinse la bacchetta, e per poco non la lasciò cadere quasi subito.
Davanti a lui una capra brillava.
Ma che cavolo…
Per fortuna recuperò al volo la lucidità. Era un Patronus, solo un Patronus. Improvviso e inaspettato.
Ma chi poteva avere un Patronus del genere?
Si strofinò gli occhi al di sotto degli occhiali, sconcertato. La capra era sempre lì, e aveva iniziato a parlare con la voce di Aberforth Silente.
Sono tutti qui, anche la tua famiglia. Stanno arrivando i Mangiamorte, vogliono attaccare il castello. Piantala di fare il coniglio e sii uomo, merdina di un rosso. Qui c’è una guerra; noi rischiamo la vita, tu che intendi fare?
Poi, così com’era arrivata, la capra svanì.
Breve ma incisivo, il messaggio; Percy non impiegò molto tempo per capire: stavano attaccando Hogwarts, e i suoi erano tutti lì. C’era una guerra, santa Morgana.
Cavolo!
Non perse minuti a riflettere. Aber aveva ragione: non c’era altro da fare. Per una volta nella vita doveva essere uomo.
Non poteva abbandonare la sua famiglia un’altra volta, non in un momento così… Non nel momento in cui rischiava davvero di non rivederli mai più.
Fu subito preso da una fretta folle, ansiosa e irrazionale; di corsa si rimise le scarpe e afferrò un mantello.
Un istante prima di Smaterializzarsi si ricordò di una cosa.
Audrey.
Si fermò, mentre in un lampo di lucidità realizzava un’altra cosa.
Rischiava di non rivedere mai più nemmeno lei. Se davvero stavano preparando una battaglia, lì a Hogwarts, lui avrebbe potuto non tornare più da Audrey.
Si sedette mentre, d’un tratto, l’aria svaniva dai suoi polmoni. Audrey. Audrey.
Poteva non rivederla più.
Non pensava che poteva morire, badate bene; pensava solo che non l’avrebbe più rivista.
Né lei, né il bambino. Mai più.
E allora, ormai privo della capacità di ragionare logicamente, fece una cosa stupida. Una cosa che avrebbe avuto conseguenze serie.
Il cretino le scrisse una lettera.
 
Audrey,
sto andando a Hogwarts. Stanno arrivando i Mangiamorte, e Aberforth mi ha detto che c’è tutta la mia famiglia a difendere il castello.
Non posso non andare. Tornerò, te lo prometto.
 
Strinse forte la penna, mentre pensava a cos’altro aggiungere.
 
Ti amo.
 
Non lo aveva mai messo per iscritto in vita sua; leggerlo gli diede una strana sensazione, ma non aveva tempo da perdere in sentimentalismi.
Meglio non pensare ancora a Audrey. L’avrebbe rivista, sì, l’avrebbe rivista.
Affidò il messaggio al gufo, e senza indugiare ancora si Smaterializzò alla Testa di Porco.
 
 
Ad attenderlo c’era Aber, col solito viso arrabbiato.
- Ce l’hai fatta ragazzino - grugnì. - Sono di sopra, muoviti.
“Di sopra dove?” stava per chiedere Percy, ma Aber lo precedette mostrandogli un passaggio nella parete.
- Di lì si va a Hogwarts. In bocca al lupo.
Percy esitò, guardando il passaggio.
Finalmente si rendeva del tutto conto quello che stava facendo.
Cavolo.
Stava tornando dalla sua famiglia; in tutta fretta, senza ragionarci, senza pensare a quello che avrebbe detto loro…
… O che loro gli avrebbero detto.
Sì, ma è davvero il caso di mettersi a pensare queste cose qui, adesso?
No che non lo era. Rivolse un rapido ringraziamento ad Aber, e corse su prima di sentire la risposta.
 
Fretta, fretta: tutto ciò che provava era solo fretta. Ve ne siete accorti anche voi lettori, immagino.
Tutto, su questa pagina, vorrebbe trasmettervi questa fretta indemoniata.
Le gambe di Percy gridavano fretta, facendolo barcollare contro le pareti del passaggio.
La fretta lo fece quasi cadere un attimo prima di uscire.
La fretta lo fece caracollare, mentre usciva dal passaggio. Per la fretta quasi perse gli occhiali.
Senza pensare, senza rendersi conto di quello che faceva, fu in tutta fretta che disse la prima, stupida cosa che gli venne in mente.
- Sono in ritardo? È già cominciato? L’ho saputo solo ora…
Infine la fretta cessò all’improvviso, quando si rese conto che tutti gli sguardi erano puntati su di lui.
Deglutì.
E adesso?











Mangiata tutta la cioccolata? Bravi.
 
 
 
Ferma là. Tu, sì, proprio tu.
Dove. Credi. Di. Andare.
Sì, dico proprio a te, Fata Blu. Già. Inutile che tu faccia la vaga e tenti di nasconderti.
Non pensare di sfuggirmi. Sai benissimo cosa hai fatto, non cercare di difenderti.
Tu. Tu. Tu.
Tu non hai idea delle lacrime di commozione che ho versato il 20 aprile per colpa tua. Tante, tante lacrime. Ho pianto così tanto che Percy, mosso a compassione, in uno slancio di cavalleria piuttosto insolito nei miei confronti mi ha persino prestato il suo fazzoletto. Salvo poi gettarlo via disgustato. (È fatto così, purtroppo: dopo un po’ però si impara a conviverci…)
Tornando a Percy, sempre per colpa tua sono giorni che non fa altro che girare per casa mia pavoneggiandosi come se avesse appena vinto il premio Oscar, il premio Nobel e dieci Emmy nello stesso momento; tutto ciò ha fatto ingelosire un po’ il mio Babbano (non gli piace che altri tizi rossi siano ospiti a casa mia) e ha spaventato parecchio mia madre, che è arrivata a minacciarlo con un mattarello quando se lo è ritrovato nella sua cucina. Nonostante tutto, però, lui seguita a camminare tutto tronfio per le stanze e a dire che è tutto merito suo, che la sua storia è eccezionale, che le sue lettrici hanno dei gusti davvero raffinati e che lui, modestamente, è proprio un signor protagonista… naturalmente nessun riferimento alla sua autrice adottiva, né agli altri personaggi, cosa che ha seccato un po’ i Bennet e anche Adams. Ma vabbè, ormai lo conosciamo e abbiamo imparato a sopportarlo.
Comunque, quello che voglio dire è che avresti davvero dovuto vedere Percy il 20 aprile, mentre appollaiato come un gufo alle mie spalle leggeva ciò che leggevo io, cioè quella cosa di cui ti sto parlando e che sai benissimo cos’è, e no, non mi riferisco alle tue fanfiction (e se proprio non capisci di che parlo, vatti a guardare le recensioni del primo capitolo). È stato bellissimo: è diventato tutto rosa e gli è comparso un sorrisone come non se ne ricordavano da quando gli è arrivata la spilla da Zuccaposcuola…
*sciaff!*
…Caposcuola. Caposcuola. (Ahio…)
Insomma, ormai Percy è fuori controllo, proprio come i miei dotti lacrimali.
Tutta colpa tua. Già.
E adesso me la paghi. Sì sì. Se ho fatto finta di non accorgermi di nulla e non ti ho detto queste cose in privato è solo perché volevo farlo in pubblico, con fanfara e squilli di tromba. Dunque:
 
- in primis, ti arriva una camionata di GRAZIE giganteschi-ma-di-proporzioni-colossali-grandi-così-ma-anche-di-più;
 
- in secundis, ti arriva anche un mio bacione bavoso su ambo le guance; ti bacerebbe anche Percy, ma a lui piacciono solo le norvegesi…
*sbonk!*
…a lui piace solo Audrey, quindi niente bacio (per tua fortuna, oserei dire). In compenso, sono in arrivo un bacio da Adams e uno da un Bennet a tua scelta;
 
- in terzis, il capitolo, nonostante non sia uno dei miei meglio riusciti, è tuo. Tutto tuo. Spero che comunque ti piaccia e non ti faccia invece cambiare idea.
 
 
 
 
Per tutti gli altri: non prendetevela, eh. È una cosa fra me e Fata Blu, ma sapete che per me siete tutti/e speciali. Le mie recensitrici poi sono le più speciali di tutti ^_^
Vi adoro, ragazze, ma lo sapete già.
 
And now, le attesissime ciacole dell’autrice:
 
1) Scusate l’enorme ritardo, mi dispiace tantissimo; sono stata impegnata prima con un’uscita di tre giorni con i miei lupetti, poi con un sacco di altri impicci… davvero, mi spiace. In questo periodo i giorni mi sfuggono via tra le dita, è terribile.
2) La battuta finale di Percy è presa dai Doni della Morte, ovviamente.
3) Ogden (o Ogden Stravecchio): altro nome del Whiskey Incendiario (Ogden’s Old Firewhiskey). Perché lo chiamo così? Perché Whiskey Incendiario e Firewhiskey sono termini troppo inflazionati, e mi infastidisce un po’ leggerli di continuo, proprio come feletono.
4) Adoro Aber. Forse mi sono presa qualche licenza nel descriverlo (come tra l’altro ho già fatto con altri personaggi), ma mi piace come mi è venuto fuori. Il pezzo in cui dice che non sopporta chi abbandona la famiglia per seguire il potere è, ovviamente, un riferimento a ciò che a fatto Albus con lui e Ariana (non mi metterò qui a ri-raccontarvi tutta la storia dei Silente, cercatevela da voi!)
L’ho inserito nella trama perché Percy, nei Doni, dice chiaramente di essersi messo in contatto con lui (come? Quando? Perché?) e di essere stato da lui avvisato dell’inizio della battaglia. Ergo, doveva entrare per forza nella storia. Eh.
5) C’è un punto in cui ripeto tre o quattro volte la parola “dolore” nella stessa frase; non è un errore, è voluto.
6) Un vero errore – e anche grosso – l’ho invece commesso nel capitolo “Gelide sorprese”: lì, infatti, il Ministro chiamava Percy usando un Patronus parlante. Mi sono informata meglio, e ho scoperto che quel mezzo di comunicazione viene usato ESCLUSIVAMENTE dai membri dell’Ordine della Fenice, ed è stato inventato da Silente. Quindi Scrimgeour non poteva conoscerlo e usarlo.
Ho già provveduto a correggere quella parte, ma se doveste trovare altri errori simili non esitate a dirmelo.
(In verità, alcune volte mi sono presa vere e proprie licenze; comunque, segnalatemi qualsiasi cosa, anche senza lasciare recensioni).
In questo capitolo, invece, il Patronus di Aber parla, perché lui che fa parte dell’Ordine. Non c’è errore, almeno qui.
7) Per scrivere questo capitolo mi sono riletta più volte le parti dei Doni della Morte che interessavano questo spazio temporale (la fuga dei Weasley dalla Tana e la loro entrata in clandestinità, susseguente all’arrivo del Trio da villa Malfoy a Villa Conchiglia; l’irruzione del Trio da Aber e l’inizio della battaglia di Hogwarts) e mi pare di aver rispettato la storia originale senza errori; comunque, se ne trovate segnalatemeli, perché la mia memoria è peggio di un foglietto di carta immerso nel whiskey e di sicuro qualcosa m’è sfuggito.
8) Nessuna nuova, buona nuova: non so se si dice anche dalle vostre parti, ma è un modo di dire che nella mia famiglia si usa spesso. Significa che, quando non si hanno notizie, vuol dire che va tutto bene.
9) Visto?? Ve l’avevo detto, donne di poca fede: Adams sta bene, e anche la signora Stapleton. Io AMO i miei personaggi, non farò mai loro del male come la perfida JK.
10) Per scrivere una ff per un concorso (ma dubito che questa la pubblicherò, mi vergogno troppo) mi sono documentata sul feticismo (!?!), argomento su cui non sapevo nulla-di-nulla, e ho scoperto che esiste anche una forma di feticismo dei nei. Beh, Percy non è feticista, ci tengo a sottolinearlo. Non vorrei che tutta la storia dei nei di Audrey nello scorso capitolo vi abbia fatto venire in mente strane idee…
11) Un’altra scoperta ha sconvolto la mia mente e l’ha tenuta per parecchio tempo in fibrillazione in questi giorni.
Dunque, ero sul forum di EFP, e sono andata a leggermi una discussione nel fandom di HP. A un certo punto ho letto il post di una ragazza che, parlando di Ron Weasley, citava una frase di un’intervista della Rowla la quale dichiarava che “tutti i Weasley sono belli”. Al che mi si sono drizzate le antenne, e, da brava fanwriter che vuole tanto bene ai suoi personaggi, ho pensato “Tutti tranne Percy, ovviamente!
Solo che il dubbio mi è rimasto, così ho domandato: “Tutti i Weasley? Tutti TUTTI?!”.
Leggendomi nel pensiero, un’altra ragazza mi ha risposto: “Sì, anche Percy”.
Immaginerete il mio shock. Non sono nemmeno del tutto sicura di essermi ripresa.
Non so voi, ma io non sono talmente Percyzzata da pensare che il nostro amico possa essere… insomma, bello.
Voglio dire: eravamo tutti edotti circa la figaggine di Bill; sulla bellezza del caro Charlie nessun dubbio, naturalmente (e guai a chi viene a dirmi il contrario; uno che doma i draghi non può che essere il mio fidanzato ideale, sì sì); i gemelli sono belli, è lapalissiano; Ron ha di sicuro il suo perché, impossibile dubitarne; su Ginny la Rowla ci ha sfracassato gli zebedei, nel sesto libro, facendo dire ogni tanto a personaggi a caso che era diventata una bella ragazza (o meglio, a me ha sfracassato gli zebedei, non so a voi…); Arthur è l’uomo perfetto, quindi di sicuro è anche bello…
…ma Percy?

…cioè, quel Percy? Siamo sicuri?

…mah. Rimango perplessa e incredula.
Scusa, Perce.
(Anyway, in questo capitolo e anche qualche capitolo fa ho scritto che Percy somiglia un po’ ad Arthur, quindi magari proprio brutto-brutto non è… comunque, immaginatevelo come preferite, ecco).
12) Questo capitolo è un banco di prova per i Within Temptation; buona parte, infatti, è stata scritta mentre ascoltavo alcuni loro brani. Se il capitolo vi piace, significa che riesco a scrivere bene sotto l’influsso delle loro canzoni e posso farlo più spesso. Se non vi piace, posso finalmente smettere di ascoltarli, perché alcune canzoni mi stanno trapanando il cervello. Intendiamoci, sono molto belle, ma purtroppo sono talmente orecchiabili che mi metto a ri-ascoltarle più e più volte e alla fine… mi trapanano il cervello.
È doloroso, diamine. Peggio degli scappellotti di Percy.
13) Lo so, lo so, sono stata dannatamente sintetica, ma rischiavo di annacquare tutta la storia rimanente allungando ancora il brodo. Se proprio vi interessa questa parte di storia, quella con Percy spiato dal Ministero, posso scriverci su degli spin off, ma non intendo sprecare spazio per parlarne qui. Oh.
 
Finito?
Credo di sì.
Un abbraccio e un bacio alle mie recensitrici, ai preferitori (che aumentano *_*), ai seguitori (aumentati anch’essi! *o*), ai ricordatori (voglio bene anche a voi!!!) e ai semplici lettori (che ammiro per il coraggio).
Grazie di cuore.
Fera.

 

Ritorna all'indice


Capitolo 22
*** The cat came back ***


Odio questo capitolo. Lo odio in ogni sua singola schifosa parte. Un odio feroce e senza possibilità di replica.
Nonostante io lo odii, però, può essere così e solo così. Già.
No, basta, stavolta niente ciacole. Non ce la faccio. Solo qualche breve avvertenza, poi basta.
 
1) Hermes, nei libri, è l’allocco di Percy. (L’ho scoperto per puro caso, nemmeno me lo ricordavo!)
2) Compris (pron. Comprì ): significa “capito” in francese.
3) La parte sul ritorno di Percy e le battute che vi compaiono sono prese dai Doni della Morte, pag. 557 dell’edizione italiana. Ne ho tagliato l’ultima parte per ragioni di economia della storia, e perché non serve ripetere ciò che già la Rowla ha scritto. Sempre per motivi di rapidità ho tagliato la parte che riguarda la riunione in Sala Grande, con Voldemort che dà il suo ultimatum, la McGranitt che fa evacuare gli studenti minorenni e Kingsley che organizza la resistenza (pagine 560-563). Ho riassunto tutto in una frasetta, se non vi ricordate quella parte andate a rileggerla perché – ripeto – non credo sia necessario ripetere paro paro tutta la storia.
Altre battute sono state citate dai Doni: più esattamente dalle pagine 585-586 dell’edizione italiana. Cazzo.
(Sì, perché in norvegese suona troppo pulito, quindi dovevo dirlo in italiano. Cazzo.)
4) La canzone citata è una filastrocca popolare per bambini molto nota nel mondo anglosassone. Qui la trovate nella versione incisa da Fred Penner:
 http://www.youtube.com/watch?v=cSorJ-SMO4M
Probabilmente qualcuno di voi l’avrà già sentita: è stata usata per uno spot qualche tempo fa.
Il ritornello completo recita:
The cat came back the very next day
The cat came back, they thought he was a goner
But the cat came back, he just couldn’t stay away
(Il gatto tornò il giorno seguente
Il gatto tornò, pensavano fosse spacciato
Ma il gatto tornò, non riusciva a stare lontano)
Mi pareva calzante. E perché l’ho collegata a zio Bilius? Perché… mi sembrava una cosa da Bilius, ecco.
5) No, non mi sono scordata che Audrey è all’ottavo mese di gravidanza, tranquilli. E no, non mi sono scordata che, in quanto Anti-Sue, lei non ha capacità di resistenza sovrannaturali.
Però esistono donne che, passato il nono mese di gravidanza, riescono a fare (sempre col pancione) esercizi di aerobica (ne conosco!); inoltre, i maghi e le streghe sono più resistenti dei Babbani, visto e considerato che campano oltre i cent’anni mantenendosi in perfetta forma. Quindi, secondo me Audrey riesce a fare quello che fa (e che farà) nonostante il pancione. Ecco.
6) Ri-leggendo i vari libri della saga, ho dedotto che nel mondo magico il ruolo di padrino abbia un’importanza maggiore di quanta ne abbia nel nostro mondo. È per questo che… no, basta, tanto lo leggerete.
7) Se l’altra volta ho testato i Within Temptation, stavolta è toccato al “Ballo di san Vito” di Vinicio Capossela e a “The rocky road to Dublin” nella versione incisa dai Pogues. L’influenza di queste canzoni si nota un po’, credo, nelle parti che riguardano Audrey e Lucy.
Ascoltatele, vi tireranno su di morale.
 
Ah, mangiate tanta cioccolata. Fa bene al cuore, allo stomaco e al cervello.
Cazzo, quanto lo odio. Tanto, tanto.
E odio anche il prossimo.

Grazie a tutti quanti, sapete che vi voglio bene.
Fera






The cat came back

(Finalmente)







Per quanto un gufo possa essere veloce, e Hermes fortunatamente lo era, per arrivare al paese di Audrey partendo da Londra gli ci vorrà di sicuro almeno una mezz’ora.
La signora Bennet, quindi, trovò l’allocco alla sua finestra all’incirca trenta minuti dopo che Percy si era Smaterializzato alla Testa di Porco. Non capì subito a chi appartenesse, per un momento pensò a una lettera da parte di uno dei Bennet.
- Aud, puoi aprire la busta mentre penso al gufo? - domandò, iniziando poi a servire del mangime all’allocco affamato.
Aspettò poi che la figlia le dicesse qualcosa sul contenuto, o almeno sul mittente. Invece no: silenzio.
- Audrey?
Niente. Audrey aveva aperto la lettera e la fissava, pietrificata.
- Audrey, cosa…
- Oh, cazzo…
- Non dire queste parole! Di chi è?
La signora Bennet si avvicinò e prese la lettera, mentre Audrey, sbiancata in volto, si copriva la bocca con le mani.
- Oh, cazzo!
- Aud, santo cielo, non essere volgare! Cosa sarà… Oh, cazzo!
- Quel… quel cretino è impazzito! È impazzito!
La signora Bennet boccheggiò, rileggendo le poche righe. - Porca vacca. Sta… sta andando a Hogwarts! In battaglia! A rischiare la vi…
- Ma chi se ne frega! - strillò Audrey. - Ci ha mandato un gufo! Non fa altro che dire che la sua posta è controllata… E ci manda un gufo?!
Si guardarono, spaventate. Rimasero in silenzio per una decina di secondi, come aspettando un suono, un rumore, qualcosa.
- Magari… - sussurrò la signora Bennet. - Magari non l’hanno seguito. Magari sono tutti… tutti alla scuola…
Un battere improvviso alla porta le fece sobbalzare entrambe.
- Signora Saknussem, apra la porta - ordinò seccamente una voce maschile.
Audrey rimase paralizzata, ma Lucy reagì con molta freddezza: fece cenno alla figlia di stare in silenzio, poi estrasse la bacchetta dalla veste.
- Dobbiamo solo farle qualche domanda, apra.
La signora Bennet si avvicinò alla porta, quatta quatta. Audrey, invece, non cercava nemmeno di muoversi.
Quell’imbecille le aveva messe in pericolo. Per cosa, poi? Per scriverle una lettera prima di andare al suicidio!
Proprio adesso doveva venirti in mente di fare il romantico?!
- Sappiamo che è lì, signora Saknussem. Apra o lo faremo noi.
- Solo un secondo - rispose Lucy. Lanciò un’occhiata a Audrey, facendole rabbiosamente cenno di spostarsi da lì.
- Sta solo peggiorando la sua situazione. Apra immediatamente!.
- Ma non sono presentabile… - La signora Bennet si spostò, mettendosi in posizione di guardia a cinque passi di distanza dalla porta.
- Adesso basta, Ulf, butta giù questa porta e facciamola finita!
Un secondo dopo la porta cadde a terra con fragore, e due secondi dopo entrambi gli uomini si ritrovarono Schiantati contro l’uscio della dirimpettaia Babbana di Lucy.
La signora Bennet si precipitò verso la soglia, e guardò ansiosamente a destra e a sinistra del corridoio del pianerottolo: non c’era nessuno. Cercò di captare eventuali rumori di pericolo, ma non ce n’erano: i due erano venuti da soli, il pianerottolo era deserto.
- Tutto qui? - esclamò, quasi delusa. Osservò i due uomini a terra: erano svenuti subito, senza nemmeno cercare di reagire.
- Bah. Mammolette - commentò la signora Bennet, disgustata da tanta debolezza. - Hanno mandato il peggio del peggio, a quanto vedo… Sono i due che spiano Percy, vero?
Audrey avrebbe risposto volentieri, ma era troppo sbalordita per farlo. Lucy non ci fece caso, e si avvicinò ai due uomini privi di sensi.
- Che è successo? - strillò la vicina, aprendo la porta. - Che cosa… oh!
- Mi dispiace, signora Lombard - fece prontamente Lucy, nascondendo la bacchetta dietro la schiena. - Sono amici di mia figlia, hanno alzato un po’ troppo il gomito… Sa, i giovani…
- Oh. - La signora Lombard non riusciva a staccare gli occhi da quei due sconosciuti riversi sul pianerottolo. - Oh, ca-capisco…
- Le consiglio comunque di chiamare la polizia, ritengo siano pericolosi anche da svenuti.
- Ce-certo, faccio su-subito…
La Babbana chiuse al volo la porta. Lucy tirò un sospiro di sollievo, e si chinò sui due.
- Meglio se queste le tengo io, non si sa mai… - borbottò prendendo le bacchette. - Muoviti, Aud, fai un Incantesimo di Memoria a questo qui, io penso all’altro.
- I-io, veramente… non… non lo so fare….
- Lo sapevo; sei sempre la solita. Devo pensare a tutto io - sbuffò Lucy; puntò la bacchetta prima contro uno, poi contro l’altro dei due aggressori. - Non sarai mai una buona madre se non impari le cose basilari della vita, tesoro mio… sta’ giù, tu! - e Schiantò di nuovo uno dei due.
Caspita. Audrey era shockata: non aveva mai visto sua madre esibire tutto quel sangue freddo. In effetti, non aveva mai visto sua madre alle prese con dei nemici: sembrava uno di quegli agenti segreti che si vedono nei film Babbani, così calma e padrona della situazione…
Caspita. Insomma, aveva lanciato uno Schiantesimo tremendo! In genere quello era la specialità di Audrey, l’unico incantesimo che le riuscisse davvero alla perfezione: pensava di aver ereditato quella capacità da Klaus, e invece… quella piccoletta di sua madre era un titano!
Caspita!
- Bene, ora dovrebbero stare tranquilli per un po’. - La signora Bennet tornò in fretta nell’appartamento e prese il telefono. - Meglio se chiami io la polizia, quella cretina della Lombard di sicuro sarà troppo spaventata per farlo… Ti immagini la scena? Due maghi confusi e senza memoria nelle mani dei poliziotti Babbani, vorrei essere lì per…
- Mamma, - la interruppe Audrey, ancora a bocca aperta, - ma… Li hai… Sei… sei riuscita a Schiantarli entrambi da sola? Davvero sei… sei così… così figa?
La signora Bennet parve sorpresa da quella domanda. - Aud, tuo padre era un Auror: secondo te come ho fatto a conquistarlo?
 
 
 
 
Circa mezz’ora prima di tutto ciò, Percy si stava sentendo veramente stupido.
È la sensazione che provereste anche voi, amici miei, se vi trovaste di fronte ad una decina di persone che vi fissano ad occhi sgranati senza parlare. Soprattutto nel caso in cui aveste la certezza matematica che quelle persone non vorrebbero affatto vedervi.
Deglutì.
E adesso? Che faccio?
Bisogna ammetterlo, la sua era stata un’entrata in scena ad effetto. Nell’aria aleggiava ancora l’eco del fracasso che aveva fatto trascinandosi dietro una sedia, nel vano tentativo di non rovinare a terra.
Cavolo. C’erano tutti, o quasi. E nessuno si aspettava di vederlo lì, ora.
E… adesso?
La prima a reagire fu la francesina del torneo Tremaghi, che ebbe la felice idea di cambiare argomento.
- Alors… come va il piccolo Teddì?
Tentativo vano: il silenzio esterrefatto seguitava, anzi si fece, se possibile, ancora più pesante.
Percy ebbe la vaga sensazione di dover dire, o fare, qualcosa. Ma cosa?
E se avesse aspettato? Magari uno dei gemelli gli avrebbe tirato un pugno, ma sarebbe stato già un buon punto di partenza…
Sicuramente migliore di quel silenzio.
Lupin nel frattempo aveva risposto qualcosa alla francesina, che – Percy ricordò all’improvviso – era la moglie di Bill adesso. Cavolo, era sua cognata!
Ma piantala di divagare, idiota. Sei qui per loro.
Era lì per loro, che lo fissavano con espressioni indecifrabili. Rabbia? Odio? Delusione? Sorpresa?
Per favore, iniziate voi a parlare, che io non ci riesco…
Niente. Quel silenzio sarebbe potuto andare avanti nei millenni a venire.
Quanto, quanto, quanto sei idiota. Sei venuto fin qui, e non fai nemmeno il primo passo?
Sei tu in torto, non loro.
Chiuse gli occhi, smise di pensare. Basta.
- Ecco, ho una foto! - gridò Lupin a un tratto.
- Sono stato uno scemo! - gridò più forte Percy, facendo sobbalzare tutti quanti.
Niente più silenzio, finalmente. Com’era facile, adesso, parlare.
Anche se le parole non erano quelle che aveva pensato centinaia di volte; anche se quello che stava dicendo lo stava improvvisando lì per lì - e per questo motivo era davvero sincero.
- Sono stato uno scemo! Un idiota, un imbecille tronfio…
Era violaceo; stava urlando, e urlando, e non se ne rendeva neanche conto.
- …sono stato un… un…
- Un deficiente schiavo del Ministero, rinnegato e avido di potere.
Percy si fermò e prese fiato. Ad averlo interrotto era stato Fred.
Suo fratello lo stava guardando in modo strano, una metà strada tra il serio e l’incredulo. Deglutì di nuovo.
- Sì! - gridò.
La serietà scomparve dal viso di Fred. Era… un sorriso, quello?
Fred gli stava sorridendo?
- Beh, - disse, avvicinandosi - non potevi dirlo meglio di così.
E poi gli tese la mano.
 
Ci sono momenti, nella vita di ognuno di noi, in cui, all’improvviso, il tempo si ferma.
Non sembra che si fermi, badate bene: si ferma davvero.
Può essere l’istante in cui per la prima volta si guarda negli occhi la persona amata, l’attimo prima della morte di un amico, il momento in cui arriva una notizia che cambierà del tutto la nostra esistenza.
Per Percy il tempo si fermò quando Fred gli tese la mano. Fu un istante lungo, lunghissimo, come non ce n’erano mai stati prima d’ora nella sua vita; come non ce ne sarebbero stati più nella sua vita, ad eccezione di un altro solamente.
Percy se n’era andato, anni prima, gridando contro tutti loro, gridando che li odiava, che non voleva più vederli. Aveva trattato la sua famiglia come non si trattano nemmeno i peggiori nemici, con arroganza e presunzione. Era stato sordo all’amore di sua madre, alla rabbia di suo padre. Non meritava altro che disprezzo e odio.
E lo sapeva, e si disprezzava, e si odiava.
Eppure suo fratello gli tendeva la mano, con un sorriso; un sorriso infinito, come quell’istante.
Una mano, un sorriso.
Percy non lo meritava. Non lo meritava minimamente; e lo sapeva. Eppure…
Eppure quel sorriso e quella mano tesa durarono secoli, millenni; durarono il tempo di un istante immenso, lunghissimo, infinito.
Interrotto solo da Molly Weasley, che, da brava donna coi piedi per terra, non sapeva che farsene degli istanti infiniti in cui era lontana da uno dei suoi figli.
Fred fu spinto via, e al suo posto comparve Molly, comparvero il suo viso e le sue braccia.
Non fu un abbraccio come quello di due Natali prima; fu un abbraccio vero, caldo, vivo, finalmente.
Molly pianse, stringendosi contro di lui che rispondeva alla stretta con lo stesso amore. Anche a Percy iniziavano a pizzicare gli occhi, ma prima di lasciarsi andare c’era un’altra cosa, molto più urgente, che doveva fare.
Guardò suo padre dritto negli occhi. Come due Natali prima, ma con più coraggio.
- Mi spiace, papà.
L’aveva detto, finalmente; e Arthur non aspettava altro.
Ora che suo figlio era tornato. Ora sì che la sua famiglia c’era tutta.
Finalmente.
 
 
 
 
 
Diamine, quanto riusciva ad essere fredda sua madre. Audrey si sentiva ancora spaventata per l’arrivo improvviso dei due sconosciuti, mentre Lucy già si era ripresa e ragionava con una velocità impressionante.
- Questi sono solo i due che seguivano il gufo, è molto probabile che abbiano avvisato qualcuno del fatto che sarebbero venuti qui, - stava dicendo, camminando avanti e indietro con le tre bacchette strette nel pugno - quindi, se non tornano al Ministero, verrà qualcuno qui a controllare. Audrey, dobbiamo andarcene, e anche di corsa.
- Ma… dove?
- E che ne so! Non posso mica pensare a tutto io! È escluso che andiamo dai tuoi cugini, questo è certo. Tu non conosci un posto sicuro, uno qualsiasi…?
Un posto sicuro… Figuriamoci se riusciva a pensare a quello. Tutto ciò che passava per la testa a Audrey in quel momento riguardava Percy Weasley e i modi possibili per fargli pagare la sua “distrazione”.
Diamine! Che rabbia… sì, lo sapeva che arrabbiarsi faceva male al Coso – sentilo, come scalciava! – ma non poteva farne a meno.
Cretino, cretino, cretino…
Un calcio un po’ più forte la fece sobbalzare.
L’hai capito anche tu, che tuo padre è un cretino, eh Coso?
Ma ti pare! Potevano farci del male! A me, a te e alla nonna!
E oltre alla rabbia c’era la paura.
Se Audrey aveva ben capito, il cretino stava andando a difendere Hogwarts contro i Mangiamorte, assieme agli altri. A rischiare di morire, santa miseria.
Senza salutarla, senza dirle nulla, aspettandosi forse che lei si accontentasse di due parole in croce su una pergamena.
E certo! Lui va a fare l’eroe, e io rimango qui come un’idiota ad aspettarlo, a lui che forse non torna. Certo, come no?
Cosa crede, di potermi lasciare sola? Di lasciar solo il Coso?
Se Percy aveva avuto un’idea pessima, inviandole il gufo, l’idea che venne a Audrey fu persino peggiore. Una completa idiozia.
(Ma, d’altra parte, Merlino li fa e poi li accoppia…)
- Sì, mamma, conosco un posto sicuro.
Tieniti forte, Coso! Si parte!
Prese la madre per mano e si Smaterializzò.
 
 
 
 
 
Disagio.
Non riusciva a liberarsi da quella pressante sensazione di disagio.
Si sentiva… fuori posto. Tagliato fuori dalla complicità degli sguardi che i suoi fratelli si stavano scambiando, intendendosi al volo circa il da farsi.
Che ti aspettavi? Sei stato via per troppo tempo…
- Meglio se ci dividiamo, per difendere i passaggi - stava dicendo Fred. Dopo il discorso che Kingsley aveva tenuto in Sala Grande e l’ultimatum di Voi-Sapete-Chi, i gemelli si erano assunti l’incarico di guidare il gruppo che avrebbe protetto i passaggi tra Hogwarts e il paese. Una strana eccitazione brillava negli occhi di entrambi, come se aspettassero quella notte da anni.
- Siamo pochi, meglio andare in coppie o a gruppi di tre, così il grosso rimane nelle retrovie nel caso i cattivi riuscissero ad entrare. Restate uniti finché potete, dopodiché… beh, vendete cara la pelle, ragazzi.
Quella stessa eccitazione era passata a tutti quelli che avevano ascoltato il breve discorso di Fred. Eccitazione unita a una specie di folle incoscienza del pericolo che stavano per correre.
- Forza, il Gran Pelato non aspetta certo che ci mettiamo comodi. Ognuno al suo posto! Perce, tu vieni con me, preferisco controllarti di persona: potresti combinare qualche danno!
… Certe cose, però, non cambiano mai.
 
 
 
 
Alla Testa di Porco la situazione si stava facendo piuttosto critica.
- Audrey, ma che… che diamine… dove mi hai portata?!
La signora Bennet si guardò attorno, confusa e sbalordita: sua figlia l’aveva portata in una specie di stalla dall’odore indefinibile, con bottiglie di alcoolici e centinaia di ragazzini che l’affollavano.
- Ci risiamo! - tuonò una voce irosa. - Altri pazzi suicidi nel mio pub!
- Aber! - esclamò Audrey, facendosi largo tra gli studenti per raggiungere il barista.
Aberforth non si mosse: guardò prima il pancione, poi la ragazza. - Cos’è, devo aprire anche una nursery adesso? Non bastava che… oh, porca puttana zoccola! Altri mocciosi! - gridò mentre da un’apertura nella parete sbucavano fuori tre piccole teste. - Per di più Serpeverde! Ma cos’hanno in testa quelli lassù?!
Rivolse un’occhiata spaventosa ai tre ragazzini, e poi tornò a volgersi verso Audrey e sua madre. - Voi cosa siete, la cavalleria? Mandano in guerra anche le vecchie e le gravide, adesso?
- Aber, non ti ricordi di me? Sono io, Bennet! - esclamò Audrey a voce un po’ alta, per sovrastare il vocio degli studenti. Cavolo, ma quanti sono? Che ci fanno tutti qui?
Aber l’osservò un po’ meglio, poi parve ricordarsi di lei. - Bennet. Già. A scuola eri una cliente abituale, se non sbaglio.
- Un momento! - boccheggiò Lucy. - Cliente abituale?! Perché santo Merlino eri una cliente abituale della Testa di Porco, tu?! Scommetto che venivi a bere alcoolici di nascosto, testa bacata che non sei altro!
- Andiamoci piano, signora - la fermò Aber. - Io non servo alcoolici ai minorenni. Mi ricordo di questa qui perché non comprava mai niente, veniva solo per pomiciare con i ragazzi più grandi -. Indicò minaccioso il pancione di Audrey. - E quello non lo ha fatto di certo qui, quindi veda di non dare la colpa a me!
- So benissimo di chi è la colpa per quello, grazie! - ruggì Lucy, sempre più battagliera. - La colpa è dello stesso idiota che ha rischiato di farci ammazzare!
- Mamma, piantala, ti prego - la interruppe Audrey, esasperata da quella discussione. Ciò che doveva fare era urgente, e andava fatto subito.
- Aber, mi serve il tuo aiuto. Conosci Percy Weasley?
L’espressione del viso di Aber era già truce al sommo grado, eppure lui riuscì a renderla ancora più truce.
- Se lo conosco?! Purtroppo sì! È salito su un’ora fa, ma di lui non posso proprio dire che mi dispiaccia se…
- Salito? Dove?
- Che ti frega? Non vorrai mica andarlo a cercare, con quello lì! - e indicò nuovamente il pancione di otto mesi di Audrey, che, sebbene fosse molto più piccolo del normale, faceva comunque la sua figura.
- Un momento! - strillò Lucy. - Siamo venute in questo posto perché tu vuoi cercare l’idiota?! Ma dico, Aud, sei impazzita tutta insieme?!
- Un momento! Ferme un attimo! Non ditemi che… Non sarà mica stato quel tizio a… oh, porca troia frigida!
Nonostante la discussione si stesse facendo interessante, Aberforth dovette allontanarsi dalle due donne, perché un’altra decina di studenti erano piombati nel pub.
- Tu non sei mia figlia! - ululò la signora Bennet. - Mia figlia non può essere così scema da venire fin qui con quello - e indicò il pancione - per cercare il coglione!
- Mamma, se non lo vado a fermare, il coglione si farà ammazzare! Non capisci?
- No! Capisco che tu ti farai ammazzare, testa di rapa! Figuriamoci poi se sei in grado di badare a te stessa, con le tue superiori abilità magiche…
- Allora, - si inserì Aber, tornato indietro in tutta fretta, - il rosso ti ha messa nei guai, ragazzina? È per questo che lo cerchi? A saperlo lo avrei avvelenato davvero la prima volta che l’ho visto! Ma come diamine hai fatto a…
- Oh, piantatela, tutti e due! - sbottò Audrey, facendo girare gli studenti più vicini a lei. - Nessuno mi ha messo nei guai, e no, non sto andando a farmi ammazzare. Voglio solo evitare che Percy faccia una brutta fine, santo cielo!
- Aud, non dire idiozie! Tu non puoi…
- Infatti devo!
- No! Non devi farlo! Tu…
- E perché non dovrei?
- Perché no! Ha scelto lui di andare, tu non…
- Quando papà è morto, non avresti voluto fermarlo?
La signora Bennet sgranò gli occhi. - Ma che… che cosa…
- Rispondimi!
- Non… non c’entra niente, questo! Tuo padre non c’entra con…
- Sì che c’entra! Mio padre ha scelto di andare a farsi ammazzare, e qual è stato il risultato? Due donne sole!
La signora Bennet tacque, interdetta e stupita. Sua figlia stava praticamente esplodendo di rabbia repressa; non pensava che potesse averne accumulata così tanta in quegli anni.
- Una moglie sola e una figlia sola, ecco il risultato! - urlò ancora Audrey. - Tutto perché lui ha voluto fare l’eroe! Non ho intenzione di far subire una cosa simile anche a mio figlio!
Alla signora Bennet si stavano riempiendo gli occhi di lacrime. Non ci voleva, in quel momento, il ricordo di Klaus, della notte in cui non era ritornato a casa. Una notte concitata, simile a quella che stavano vivendo in quel preciso istante.
E , avrebbe tanto voluto correre da lui quella notte, correre e fermarlo, riportarlo a casa sano e salvo… proprio come sua figlia voleva fare con Percy.
Ricacciò indietro le lacrime.
- Audrey, - rispose, con una voce dura e fredda che non le apparteneva - so cosa provi. Lo so. Ma non puoi andare da lui. Non in queste condizioni.
- Mamma, tu non…
- Ho detto di no. Ragiona: sei libera di mettere in pericolo te stessa, ma non tuo figlio.
- Non lo sto mettendo in pericolo! Voglio solo…
- Invece sì che lo stai facendo, e non te ne rendi nemmeno conto. Ragiona.
Colpita dall’insolita durezza di sua madre, Audrey smise di parlare, ma proprio non riusciva a ragionare come Lucy voleva.
In quel momento, poi, una scarica di calci la scosse: il Coso era decisamente agitato, proprio come lei.
Già, il Coso. Ernie o Molly. Il suo unico pensiero razionale, in quel momento, riguardava il Coso.
Non poteva lasciarlo senza un padre. Non poteva farlo vivere come aveva vissuto lei.
E, soprattutto, lei non poteva restare senza Percy. Mai. L’aveva trovato, l’aveva scelto, ormai era suo, con tutto il bene e il male che ciò comportava; niente e nessuno poteva portarglielo via, tantomeno un improvviso attacco di “voglia di fare l’eroe”.
- Mamma - sillabò, mettendo insieme faticosamente le parole - lasciami andare. Ti prego. Non voglio rimanere lì, voglio solo… trovarlo e convincerlo a venir via, poi tornerò qui. Te lo prometto. Se davvero sai cosa provo… Per favore…
La signora Bennet taceva, sentendosi d’un tratto esitante. Aber era ancora lì, vicino alle due donne; si sfregò il naso con una mano, poi parlò.
- Signora, credo che non riuscirà a fermare questa gravida sciroccata. Comunque - e rivolse uno sguardo d’intesa alla signora Bennet - che provi pure a salire per il tunnel, se ci riesce. È l’unico modo per raggiungere Hogwarts, se non ci arriva da lì… non esistono altre vie.
La signora Bennet lo guardò prima senza capire, poi intese. - Sì, si può fare -. Guardò la figlia. - Avanti, Aud, prova a salire per il tunnel, se ci riesci.
 
 
 
Dove diamine si trovavano? Percy non ricordava affatto quella parte di Hogwarts; eppure avrebbe dovuto conoscere bene il castello, era stato Prefetto e Caposcuola… ma forse, per orientarsi in quel posto era meglio essere un combinaguai come Fred.
- Va bene, ci siamo: di là si esce verso Hogsmeade.
Com’era tranquillo, Fred… Percy invece non era ancora riuscito a spiccicare parola. Si sentiva così a disagio, vicino a lui; così… imbarazzato.
Oltre a ciò era teso, tesissimo. Stava pensando a Audrey, che di sicuro aveva ricevuto la lettera; chissà cosa pensava, chissà se era arrabbiata, o preoccupata, o…
Qualcosa interruppe il flusso di quei pensieri. Vicino a lui, Fred stava facendo qualcosa di assolutamente anomalo.
Ma che diamine…
Stava canticchiando. Per la precisione, canticchiava una vecchia filastrocca che lui e Percy conoscevano benissimo: era una delle preferite di zio Bilius, il quale l’aveva insegnata ai suoi nipoti quando erano ancora tutti piuttosto piccoli.
- The cat came back the very next day, the cat came back…
- … he just couldn’t stay away - completò Percy automaticamente, stonando di brutto sull’ultima nota.
- Azz… - esclamò Fred, portandosi un mignolo nell’orecchio e sfregando forte. - Anche i miei timpani ti hanno riconosciuto, Perce: sei davvero tu.
- Perché, scusa? Avevi dubbi?
- Non si sa mai. Vigilanza costante!
Percy non aveva conosciuto Malocchio Moody come lo avevano conosciuto gli altri Weasley, quindi non colse la citazione; quel breve dialogo però lo rasserenò un po’.
- E comunque, - continuò Fred - se ci fai caso, quella canzone è perfetta per te. Alla fin fine sei tornato, nonostante ti dessimo ormai per spacciato; proprio come il gatto.
Percy fece una smorfia e chinò il capo.
- Lo so… Io… mi dispiace, io sono davvero…
- Alt.
- Cosa?
- Taci.
- Ma…
- No. Zitto. Non cominciare.
Fred mise su un’aria di rimprovero che ricordava paurosamente quella di Percy; anche il tono con cui parlò era molto simile.
- So benissimo che adesso tutti i tuoi pensieri girano attorno a “oh, sono un verme, sono pentito, imploro perdono, merito calci nelle terga”; non posso negare di essere estremamente felice di ciò, soprattutto per la parte che riguarda i calci; tuttavia sono costretto a dirti di mettere da parte queste idee autolesioniste, perché non è proprio il momento.
- Però…
- Taci e ascolta, stavolta sono serio.
Si fermarono, e Percy tacque. Fred aveva ragione: era serio. Non lo aveva mai visto così serio in vita sua.
- Sia chiaro: ce l’ho ancora con te. A morte. Okay? Non pensare che io e gli altri ci dimenticheremo tanto facilmente di quello che hai fatto. Però non è il momento, adesso, di stare a pensare agli errori e alle cazzate che hai combinato. Non lo è né per me né per te. Va bene? Sì, sei un verme, un coglione, un imbecille, ti detesto e probabilmente ti detesterò ancora per un po’ di tempo… ma stanotte pensiamo solo a sopravvivere. Solo a questo. Dopodiché, tu avrai tutta la vita per fustigarti, e io avrò tutta la vita per ricordarti il motivo per cui ti fustighi. Capito, Perce?
Percy deglutì, incerto. - Io…
- È una questione di concentrazione. Non devi pensare ad altro: concentrati sui Mangiamorte, poi penseremo a tutto il resto.
- Lo so, ma… io… io… mi dispiace, io…
Fred sbuffò. - Dannazione, Perce: per una volta che sono serio, dovresti darmi retta! Va bene, vediamo se riesco a farti capire quello che voglio dire: tu vuoi farti perdonare?
Eh?
Ma che domanda è?
- C-cosa…
- Allora? Dai, che non abbiamo molto tempo.
- Io… C-certo, io…
- Allora sopravvivi. Stanotte devi sopravvivere. Se sopravvivi ti abbuono tutti i calci e le fustigazioni, e pure qualche insulto. D’accordo? Ma per sopravvivere devi essere concentrato; se seguiti a sentirti in colpa e a ripensare al passato, è sicuro come le mutande che porti che non sopravvivrai. Compris?
Quel discorso lo stava mandando in confusione, come al solito. Percy deglutì.
- Cr… Credo di sì, ho capito…
- Eccellente. Adesso chiappe in spalla, Prefetto, ci siamo quasi.
Ripresero a camminare, in fretta. Stavano attraversando un passaggio che, a detta di Fred, collegava la scuola a Hogsmeade.
Concentrato. Doveva stare concentrato. Fred aveva ragione: non era il momento di pensare alla sua famiglia, a Audrey, al bambino… non era il momento. Doveva pensare ai Mangiamorte, e basta. Dopo avrebbero avuto tutta la vita, lui e tutti gli altri.
Lui, i Weasley, e Audrey. E il bambino, il suo bambino.
Sì, sarebbe sopravvissuto, sarebbero sopravvissuti. Lui stava per avere un bambino, doveva sopravvivere, doveva farlo per Ernie o Molly che fosse.
- Mi raccomando, eh? - ripeté Fred, con un tono fintamente apprensivo. - Non cercare di immolarti per espiare i tuoi peccati: cerca solo di sopravvivere.
- Devo sopravvivere - si lasciò sfuggire Percy. - Sto per avere un figlio.
Continuò a camminare, ma dopo un po’ si accorse di essere solo. - Fred?
Si voltò. Suo fratello era rimasto indietro, la bocca spalancata e gli occhi fuori dalle orbite. Sembrava – e mi si perdoni il paragone poco originale, ma è l’unico davvero calzante – un pesce rosso.
- Fred, cosa…
- T-tu… - e lo indicò - Tu stai… stai…
Fred appariva davvero sconvolto per la rivelazione: tutto si sarebbe aspettato, tranne che quella notizia in quel momento.
Boccheggiò, mentre Percy arrossiva, imbarazzato.
- Tu… Tu… Tu…
- Occupato…
- Cosa?!
- Niente, scusa… un déjà-vu.
- Perce - rantolò Fred - ma… ma… ma tu… io… ma… ma è vero?! O stai scherzando?
- Ti pare che io possa scherzare?! - sbottò Percy, sempre più rosso.
- Giusto. Oh, cavolo… ma… aspetta. Aspetta un attimo.
Fred appoggiò le mani sulle gambe e si piegò in avanti, inspirando forte; espirò e guardò Percy.
- Stai per avere un figlio.
- Sì. - Ci pensò su. - O una figlia. Grace dice che sarà femmina.
- E Grace è…
- No, è una cugina. Lei si chiama Audrey.
Nessuno dei due Weasley si rendeva conto che parlare in quel momento di quelle cose era quanto di più surreale potesse succedere loro. Se se ne fossero resi conto, di certo avrebbero smesso: ma Fred era troppo sconvolto da quella notizia, e Percy… beh, ormai lo conoscete.
- Ma… ti sei sposato?
- Non ancora.
Fred fischiò. - Alla mamma non piacerà, lo sai: è tradizionalista.
- Lo so. Vorrà dire che diventerà nonna un po’ prima del previsto.
- Cavolo… cioè, ma tu… insomma, io pensavo che tu non… insomma, che tu non…
- Che io non cosa, scusa? - chiese Percy, sentendo odore di presa in giro. - Che non potessi avere una ragazza?
- Veramente la parola che stavo cercando era “scopassi”, ma sì, il senso è quello. Wow. Insomma. Cavolo.
Per qualche secondo non parlarono. Era difficilissimo prendere Fred in contropiede e lasciarlo senza parole: Percy ci era riuscito. Si poteva sentire il rumore del cervello di Fred che assimilava faticosamente la notizia della paternità di Percy.
- Per quella porca vacca di Circe e tutte le sue consunte sottovesti… - ansimò Fred alla fine, dopo qualche secondo di riflessione - Questo… Questo vuol dire… che sarò zio!- gridò, illuminandosi. - Diamine, Perce, sarò zio! Fammi le congratulazioni!
A quella frase neanche Percy riuscì a trattenere una risata. Si avvicinò al fratello e l’abbracciò.
- Cavolo… sono proprio contento, sul serio, contentissimo. - Fred gli diede qualche pacca sulla schiena e poi si staccò dall’abbraccio, raggiante. - Allora che devi sopravvivere, vecchio mio!
- Beh, anche tu devi sopravvivere. Non vorrai mica che mio figlio cresca senza un padrino, no?
- Scherzi? Vuoi che mi perda lo spettacolo di un piccolo Perce che conquista il mondo? Mai e poi mai! - rispose Fred. Poi aggrottò le sopracciglia. - Aspetta, hai detto…
- Sì. Vorrei che tu fossi il padrino. Se vuoi.
Per la terza volta in poche ore Fred restò senza parole. - Io? Ma… ma sei sicuro?
Che domande. Certo che Percy ne era sicuro.
Fred gli era venuto incontro. Gli aveva teso la mano. Gli aveva sorriso, e parlato senza rancore.
E forse – forse – stava anche iniziando a perdonarlo.
A chi altri poteva chiedere una cosa del genere?
- Ne sono certo, Fred. Sei l’unico a cui posso chiederlo.
- Davvero? Niente Bill? Charlie? George? Ron? Martin? Bob? Walt? Steven?
- No. Nessuno di loro. A dir la verità, alcuni non so nemmeno chi siano...
Fred rise, una risata larga, di cuore. - Sì, credo proprio che dovrò occuparmi io di mini-Perce; almeno imparerà qualcosa sulla sottile arte dell’ironia.
Un rumore improvviso li fece tornare coi piedi per terra. C’era una guerra, oltre quel cunicolo.
- Meglio andare. E ricordati di sopravvivere.
- Sopravvivi anche tu, mi raccomando.
Era come un mantra, quella parola. Sopravvivere. Lo ripeterono ancora, molte e molte volte, prima che la battaglia iniziasse.
- Sopravvivi.
- Anche tu.
 
 
 
Dannazione!
Lo sapeva. C’era l’inganno, ovviamente.
Cavolo!
Aber l’aveva imbrogliata; non sarebbe mai riuscita a salire per quel maledetto tunnel con quel maledetto pancione che si ritrovava; era troppo ripido, non poteva arrampicarsi…
Porca zozza!
Imprecò mentalmente, mentre con cautela si appoggiava alla parete. Non aveva percorso che pochi metri dall’entrata del tunnel, e già si sentiva affaticata.
Inutile. Non ce l’avrebbe mai fatta; meglio rinunciare.
Si accasciò contro la parete, le gambe doloranti. Sua madre aveva ragione: era una pazza, a voler mettere in pericolo a quel modo due vite. Una pazza.
Ma non poteva fare a meno di pensare che Percy era lassù, senza di lei. Cavolo.
Se solo ci fosse una scala, santo cielo…
Inutile, meglio rinunciare. Lacrime di rabbia le sfuggirono, e non si curò di asciugarle.
Ci vorrebbe una scala, qui, una scala…
Meglio tornare indietro. Meglio lasciar stare, meglio starsene al sicuro e sperare che Percy non si facesse ammazzare… sperare che avrebbe potuto rivedere Percy vivo, almeno un’altra volta… una sola… per favore, una volta sola, per favore…
Voglio una scala, porca miseria!
Un fragore improvviso la fece sobbalzare: il pavimento ripido su cui aveva cercato inutilmente di arrampicarsi si stava lentamente trasformando sotto i suoi occhi in una comoda gradinata di pietra.
… Wow.
Avrebbe tanto voluto stupirsi, ma non c’era tempo. Tornò all’imbocco del tunnel, e vide sua madre e Aber affaccendati con gli studenti impauriti; decise che quella distrazione era un segno, e corse a capofitto su per le scale.
 
Arrivò che era ormai senza fiato.
Quanto pesi, Coso!
Si appoggiò all’uscita del tunnel, cercando di respirare. Le faceva male tutto, tutto, ma non importava.
Chissà dove diamine era finita: non ricordava esistesse una stanza simile, a Hogwarts. Si portò una mano al fianco dolorante.
Odio essere incinta.
Giuro che tu sei l’ultimo, Coso. Sarai felicemente figlio unico, oh sì.
Finalmente riuscì a respirare normalmente. Si guardò meglio attorno, e notò dinanzi a sé una figura che la fissava.
O meglio, fissava il suo pancione. Piccolo, ma sempre pancione.
Uffa! Sì, sono incinta, ma non è solo colpa mia!
La figura era una ragazza, piuttosto carina in verità; aveva però qualcosa di stranamente familiare.
E la fissava.
- Scusami, ma non ho tempo per i convenevoli - sbottò Audrey, vagamente irritata da quello sguardo inquisitorio. - Sto cercando una persona, si chiama Weasley. L’hai visto?
- Weasley? - chiese la ragazza, che sembrava sempre più sconcertata. - Weasley quale?
Oddio, è vero, se c’è tutta la famiglia saranno come minimo in sette! O erano otto fratelli?
- Percy - specificò Audrey. - Sto cercando Percy.
A sentire quel nome la ragazzina rimase completamente basita. Tornò a fissare alternatamente Audrey e il pancione, probabilmente cercando di capire il nesso tra Percy Weasley e quello.
E che palle, però!
Audrey roteò gli occhi, esasperata. - Sì, sono incinta di Percy Weasley, va bene?! Ora dimmi dove porca vacca è andato quel cretino!
La ragazza – ecco cos’ha di familiare! I capelli! – spalancò la bocca, poi indicò l’apertura della stanza.
- È andato di là?
- S-Sì… - pigolò l’altra.
- Grazie.
Audrey si avviò verso le scale – ancora! Basta scale! – che conducevano all’apertura, ben decisa a non perdere altro tempo.
- Aspetta!-
E ora che diavolo vuoi, rossa?!
La ragazza la fissava ancora. Audrey sbuffò.
- Senti, lo so che sono all’ottavo mese, non serve che qualcun altro mi dica che non dovrei…
- Mi stai dicendo - la interruppe la ragazza, ignorandola - che… sarò zia? Grazie a Percy?!
- Mi piacerebbe approfondire, ma ne riparliamo quando lo trovo, okay?
- Ma… Aspetta! - strillò ancora la ragazza rossa, ma Audrey si rifiutò di sentirla. Salì gli ultimi gradini e finalmente entrò a Hogwarts.
 
 
 
E così, la battaglia.
Chi c’è stato la ricorderà alla perfezione; ricorderà ogni viso, ogni grido, ogni movimento di quella notte.
O forse ricorderà solo una grande, immensa confusione, un’esplosione continua di suoni e immagini.
Forse la sua mente ha registrato ogni singolo dettaglio, o forse non ha trattenuto quasi nulla.
Forse risente di continuo le grida, forse le sogna soltanto e al risveglio non ricorda nulla.
Ad ogni modo, non c’è modo di dimenticarsela.
Nemmeno Percy l’ha mai dimenticata. Per lui è rimasta impressa nella mente come una serie di momenti di tremenda lucidità, momenti in cui riusciva a pensare solo ad una cosa.
Sopravviviamo.
Fred aveva ragione: doveva restare lucido. Concentrato.
Non era affatto facile, visto che molti studenti attorno a lui si lasciavano prendere dal panico. Aveva perso di vista tutti i suoi fratelli, dal momento in cui i Mangiamorte erano riusciti ad entrare abbattendo alcuni ragazzi.
Non avete pietà nemmeno per i ragazzini, stronzi.
Attorno a lui era il caos più totale. Grida ovunque, esplosioni colorate e schianti. Pensare era sempre più difficile, in mezzo a quella battaglia.
Sopravviviamo.
Parò una maledizione diretta contro due studenti alla sua sinistra, e rispose Schiantando lontano il Mangiamorte.
- È tutta una questione di movimento del polso, potete riuscirci anche voi! - gridò rivolto agli studenti, poi corse verso un altro Mangiamorte incappucciato.
Ma quanti erano, santo Merlino? Ne spuntavano fuori da tutte le parti… sembravano così tanti rispetto a loro…
Atterrò il Mangiamorte e schivò di poco una fattura.
- Perce!
Alle sue spalle era comparso Bill. - Hai visto qualcuno dei nostri? - domandò, mentre un suo colpo prendeva in pieno un uomo alto.
- Tu sei il primo che incrocio - rispose Percy. - Aspetta, eccolo!
Una chioma rossa ballonzolava davanti a loro, schivando le maledizioni di due Mangiamorte dal volto coperto.
- Dagli una mano, io cerco Fleur! - gridò Bill, lanciandosi giù per le scale lì vicine. Non serviva dirlo: Percy era già corso al fianco di Fred.
- Com’è piccolo il mondo!
- Perce! Da quanto tempo!
I due Mangiamorte volarono lontano contemporaneamente.
- Occhio, ne arrivano altri!
Altri due Mangiamorte li avevano puntati e si avvicinavano, minacciosi.
- Uno per uno, da bravi fratelli? - propose Fred, una luce selvaggia nello sguardo.
- Perché no?- ghignò Percy in risposta, con la stessa identica luce negli occhi.
Mai prima di allora Percy e Fred si erano assomigliati tanto. Per una volta, sembravano davvero fratelli.
 
 
Confusione, confusione. Audrey realizzò che non avrebbe mai ritrovato Percy in quella confusione.
Scansò un banco che, correndo come un bufalo, andò a travolgere tre Mangiamorte; vicino a lei una ragazza stava cercando inutilmente di tener testa a un altro tizio, che fu prontamente Schiantato da Audrey.
Cavolo, quanta gente c’era. Hogwarts sembrava persino piccola, troppo piccola per tutte quelle persone.
Se è così piccola, perché non lo trovo?
Dannazione, poteva essere ovunque, lì in mezzo! Lanciò d’istinto un Sortilegio Scudo su un ragazzino poco lontano da lei, poi si voltò e si trovò faccia a faccia con Aberforth.
- Gravida! - gridò lui.
- Aber! Dov’è mia madre?
- L’ho lasciata giù al pub con gli studenti. Perché non sei tornata? Quella vecchia mi stava facendo impazzire, con le sue urla…
- Non ho ancora trovato Percy! - Si abbassarono per evitare una maledizione che si andò a schiantare sulla parete.
- Comunque è tardi, non si può più tornare al pub: un’altra vecchia pazza ha chiuso il passaggio. Buon divertimento, gravida! - ruggì Aberforth, prima di lanciarsi su un Mangiamorte che inseguiva una donna coi capelli rosa.
Ha chiuso il passaggio?
Ha chiuso il passaggio?!
Ecco, adesso sì che siamo nei guai, Coso.
Faen!
 
 
- Occhio!
Schivò appena in tempo un incantesimo che gli passò vicinissimo ad un orecchio. Rispose, e il suo colpo fu più preciso: il Mangiamorte perse il cappuccio, restando a volto scoperto.
Percy non si stupì minimamente, vedendo che si trattava di O’Tusoe. Sorrise feroce, in preda a un’ispirazione improvvisa.
- Ah, Ministro! - sibilò, lanciandogli una fattura insolitamente ben riuscita - Le ho detto che do le dimissioni?
Quella era la sera delle sorprese, per Fred Weasley. Stavolta però non perse tempo a rimanere senza parole.
- Hai fatto una battuta, Perce! - gridò, mentre a sua volta atterrava l’altro Mangiamorte con l’aiuto di non si sa bene chi, apparso in quel momento.
Già, una battuta. Questa era follia pura, da parte di Percy.
Non era mai stato tanto simile a Fred come in quel momento. I due fratelli si guardarono: uno era allegro e assolutamente sbalordito, l’altro non si era mai sentito tanto pazzo in vita sua. Pazzo e felice di esserlo.
- Hai davvero fatto una battuta, Perce! - esclamò di nuovo Fred. Dietro di lui Potter, Ron e Hermione si stavano avvicinando.
Già. Una battuta.
Non era proprio il genere di cosa che Percy sapesse fare, men che mai nel bel mezzo di una battaglia. Però l’aveva fatta; e ne valeva la pena, per il sorriso che Fred gli stava rivolgendo.
Un sorriso che diceva tutto. Che diceva una sola cosa: perdono.
Percy si sentì perdonato, finalmente perdonato. Sorrise a sua volta, pieno di gratitudine, senza badare a quello che Fred gli stava dicendo.
- L’ultima che ti avevo sentito fare era…
 
 
 
 




E poi?
E poi rumore. E silenzio.
Percy amava il silenzio. Percy odiò il silenzio, da quel momento in poi.

Ritorna all'indice


Capitolo 23
*** Una piccola chiazza rossa ***


Questo capitolo, la cui stesura è stata complicata assai, è dedicato a tre persone speciali:
- a Fata Blu, perché si è messa, con una pazienza tanto incredibile quanto assurda, a rileggere i primi esecrabili capitoli di questa long dandomi tanti utili consigli per sistemarli
{grazie, mia adorata};
- a Charme, per il bel pomeriggio passato insieme a Roma e per riparare a tutti gli scappellotti e i tentativi di omicidio che Percy le ha fatto subire
{confermo: lui non ha ancora capito la battuta. LOL};
- ad aGNeSNaPe, perché sopporta e fomenta i miei cazzeggi e perché grazie a lei non ho più Percy in giro per casa
{a te prima o poi farò una statua, my dear}.




Meriterebbero una dedica ciascuno anche le altre persone che hanno recensito lo scorso capitolo, ma non mi basta lo spazio. Sappiate che vi ringrazio tutti, dal profondo.
















 

Una piccola chiazza rossa
















 
Non era lì. Di certo c’era uno sbaglio.
Non era lì. No.
Non era lì in quel momento. No no no.
Vi siete sbagliati, vi siete sbagliati tutti. Non era lì, non poteva essere lì in quel momento.
Di certo c’era un malinteso. Un errore.
È uno sbaglio.
È uno scherzo.
 
Non sentiva nulla a parte uno strano fischio nelle orecchie.
Chissà perché, poi?
Non vedeva niente tranne suo fratello.
Che fai? Mi prendi in giro, vero?
A un certo punto qualcuno gli urlò qualcosa. Qualcuno urlava “No”, più volte.
Si guardò attorno e vide che ad urlare era Ron.
Che ci fa, qui?
Io non sono qui. C’è uno sbaglio.
Ron urlava e urlava, e a terra c’era Fred. Fred.
No, è uno sbaglio. È questo che sta dicendo Ron.
C’è uno sbaglio, uno sbaglio. Di certo è uno sbaglio.
 
Il fischio si attenuò un po’. Riuscì a sentire quello che gli stava dicendo Ron.
- Non puoi fare nulla per lui…
Come no. Certo che sì.
Non è mica morto, no?
Come sei stupido, Ron. Non capisci?
È uno dei suoi scherzi.
Non sai com’è fatto Fred?
Lui scherza sempre.
È uno scherzo.
 
Uno scherzo. Non riusciva a pensare a nient’altro.
Dovevaessere uno scherzo, Fred lo stava facendo apposta per spaventare Percy a morte.
Mi hai sempre fatto scherzi, sempre. Anche questo è uno scherzo, no?
Dai. Piantala. Se non la smetti subito, giuro che non ti farò fare da padrino al Coso.
Dai.
Dai.
Alzati, dai.
Per favore.
Piantala e alzati.
Dai.
 
Altri rumori attorno a sé. Colse il movimento di Ron, che si alzava di scatto e correva via. Dove stava andando?
Perché si allontanava?
Poi qualcuno lo scosse. Chi era?
Che ci facevano tutti lì? C’era uno sbaglio.
 
 
Si risvegliò, finalmente, quando vide Harry Potter prendere il corpo di Fred e trascinarlo via. Tutto d’un tratto tornò lucido: finalmente si rese conto di dove si trovavano e di cosa stava accadendo.
Erano sotto il fuoco di svariati incantesimi che trapassavano la finestra sopra di loro; in mezza frazione di secondo Percy capì che dovevano assolutamente spostarsi da lì: aiutò Harry, sollevando Fred a sua volta.
Pesa come un morto.
È morto.
No, no, non era il momento di pensarci, no.
No. Se avesse iniziato a pensare sarebbe stata la fine. Sarebbe rimasto lì, inchiodato al pavimento, in attesa che qualcuno uccidesse anche lui. Non poteva pensarci, no.
Doveva fare come gli aveva detto Fred.
Cosa gli aveva detto?
“Pensa solo a sopravvivere”.
Fred è morto.
No, no, no.
Magari… magari non era vero.
Invece sì.
Ma non poteva pensarci, ora. Non poteva.
E allora perché lo stava facendo?
Perché Fred è morto. È morto.
Morto.
 
 
 
 
 
Un dolore bruciante colpì Audrey alla spalla.
- Caz… Stupeficium! - strillò, andando poi a ripararsi in una nicchia della parete.
Sangue. Ci mancava solo questo. Sangue e dolore, proprio alla spalla destra.
Se la strinse forte, cercando di riprendere fiato per un istante. Decisamente non era stata una buona idea andare lì a Hogwarts: non aveva ancora visto Percy, e ora non poteva più nemmeno tornare indietro…
E sua madre, diamine: sicuramente stava morendo di pena, lì al pub, in mezzo a tutti quei ragazzini spaventati. Dannazione…
Se solo io…
Ma prima che potesse formulare qualsiasi pensiero fu piegata in due da una fitta al ventre, improvvisa e inaspettata. Boccheggiò, appoggiandosi al muro.
No, no, Coso, dai. Dai. Stai tranquillo.
Una fitta forte, fortissima: durò solo cinque secondi, ma sembrarono molti di più.
Non è niente. Non è niente, piccolo mio. Tranquillo.
Tranquillo.
Non è niente.
Il bambino parve calmarsi davvero; piano piano il dolore diminuì, e Audrey riuscì a riprendere fiato.
Non è niente, piccoletto. Tranquillo. Tranquilla.
Vide sfrecciare uno studente davanti a sé, inseguito da un tizio mascherato.
Forza, non è ancora finita.
Non è niente, Aud, non è niente.
 
 
 
 
 
Niente. Non pensava a niente. Non sentiva niente.
Avrebbe potuto - voluto - continuare a vivere in quel niente per anni, secoli. Un confortante nido di niente.
Percy non guardò il corpo di Fred dopo averlo deposto con Harry in quell’angolo sicuro. Non guardò nemmeno Harry. Non guardò niente.
Meccanicamente seguì Harry e corse via da quel corridoio, trovandosi subito dopo in mezzo al caos: gli studenti cercavano di tenere testa ai Mangiamorte come meglio potevano, ma stava diventando un’impresa sempre più difficile.
D’un tratto due ragazzi sfrecciarono davanti a Percy, inseguiti da un Mangiamorte a volto scoperto.
Percy ebbe modo di vederlo per una frazione di secondo, ma bastò per farlo uscire da quel niente in cui era piombato.
 
 
 
 
Correvano, quei ragazzini. Eccome se correvano.
Che corressero. Era molto più stimolante, così, per Rookwood. Un po’ di sano movimento, finalmente: quei mocciosi pensavano davvero di mettersi contro i Mangiamorte, che scemi, dovrò proprio insegnare loro un po’ di buone maniere, venite qui, bambocci…
Gli studenti svoltarono un angolo correndo all’impazzata, con Rookwood sempre più vicino. Qualche passo ancora e li avrebbe raggiunti, quei ragazzini erano troppo lenti per lui. Quattro passi, tre, due…
Due mani lo afferrarono alle spalle e lo spinsero con forza contro la parete di quel corridoio, curiosamente deserto. Rookwood si ritrovò con la faccia e lo sterno premuti contro il muro di pietra, e per il colpo perse fiato.
Cercò di reagire, ma l’altro non gli dava tregua; dopo averlo schiacciato contro il muro costrinse Rookwood a voltarsi e gli assestò cinque pugni in pieno viso, uno dietro l’altro. Si fermò solo quando vide Rookwood sanguinare: allora lo afferrò per le spalle e lo sbatté di nuovo contro la parete, con rabbia.
- Ti ricordi di me, stronzo? - ruggì Percy, con una voce che non aveva mai avuto. - Ti ricordi di me?
Gli occhi di Rookwood già si gonfiavano, ma il Mangiamorte li aprì lo stesso. Un ghigno insanguinato gli fiorì sulle labbra. Non era maledettamente ironica, quella situazione?
- L-l’amichetto di Scrimgeour… - ansimò, e per poco non si mise a ridere.
- Ciao, bimbetto…
Un altro pugno cancellò quel ghigno.
 
 
 
 
Dove sei, dove sei, dove diavolo sei…
Niente, Percy sembrava non essere da nessuna parte in mezzo a quella confusione. Più di una volta Audrey aveva scorto delle chiome rosso fiamma come quella di Percy, ma si erano sempre rivelate appartenenti ad altre persone.
Dove sei, dove sei…
Ripensandoci, anni dopo, si sarebbe chiesta molte volte come avesse fatto a sopravvivere in quella battaglia con quel pancione di otto mesi. Era stata veramente incosciente: attorno a lei i Mangiamorte non si facevano scrupoli ad attaccare e uccidere degli adolescenti, come aveva potuto pensare che per lei sarebbe stato più facile?
Ma cazzo, io voglio solo trovare Percy!
Dove sei…
 
 
 
 
 
- Guardami, stronzo.
Il Mangiamorte ormai era privo di forze, respirava appena. Percy non sapeva quante Cruciatus gli avesse lanciato in quei pochi minuti, né gli importava.
Doveva soffrire.
Doveva morire.
- Guardami, avanti.
Avevano ucciso Fred. Avevano ucciso Fred e lui non aveva potuto fare niente, niente.
Avevano ucciso il Ministro, avevano mandato in galera Adams e decine di innocenti come lui, avevano costretto Percy a separarsi da Audrey e dal bambino. E lui non aveva potuto fare niente.
Ma adesso era diverso; adesso Rookwood era ai suoi piedi, rantolante. Adesso Percy poteva fare qualcosa.
Ucciderlo.
Troppo poco.
- Guardami.
Il Mangiamorte perdeva ancora sangue da naso e bocca e stava vanamente tentando di rimettersi in piedi; la sua bacchetta era volata lontano, verso l’imbocco del corridoio.
Percy si chinò su di lui. Non aveva mai provato tanta furia in vita sua.
- Hai ammazzato mio fratello, pezzo di merda - ringhiò.
Rookwood era praticamente esanime, ma da qualche parte doveva aver conservato una certa lucidità perché rivolse a Percy il suo solito, orrendo sorriso ironico. - Lo spero proprio.
- Hai tanta voglia di morire? Eh, stronzo?
Percy si rimise in piedi e lo sovrastò, puntandogli contro la bacchetta.
L’avrebbe ucciso, subito. Al diavolo le cazzate sull’anima e sul rimorso, doveva morire, era una bestia e doveva morire. Se Fred era morto, perché quella carogna doveva vivere?
- Tanto… Tanto non mi ammazzerai - rantolò Rookwood, fissandolo spaventato. - Non ce la farai.
- Non sperarci.
- Sembra facile, ma pochi ci riescono.
- Avada…
Fu raggiunto da una fattura che gli fece fare un volo di diversi metri; sbatté violentemente contro il muro e rimase a lungo privo di sensi.
 
 
 
Percy fu risvegliato solo molto tempo dopo dalla voce di Voldemort, che sembrava aver invaso ogni angolo del castello, ogni angolo della terra.
- Avete un’ora. Disponete i vostri morti con dignità…
Aprì gli occhi. Per un po’ non vide nulla, perché entrambe le lenti degli occhiali si erano rotte nell’urto con la parete; cautamente appoggiò le mani a terra e si sollevò, con difficoltà. La gamba sinistra vacillò paurosamente, ma alla fine riuscì a rimettersi in piedi.
Gli doleva praticamente tutto; con mano malferma raccolse la bacchetta e riparò gli occhiali, dopodiché dovette rimettersi seduto perché la testa aveva preso a girargli, così forte che per un attimo provò un gran senso di nausea. Si sentiva stordito e confuso; che era successo?
Ricordava Rookwood, il suo sorriso insanguinato… E poi qualcuno doveva averlo colpito. Quel bastardo gli era sfuggito, dannazione.
- … donna o bambino che abbia cercato di nasconderti a me. Un’ora.
Aveva sentito ma non aveva capito. Si rese conto, d’un tratto, che il silenzio era piombato nel castello; non si sentivano più schianti, urla, colpi. Che fosse… finita?
No. Ragiona, Perce: ha detto un’ora.
Si fece forza e si rialzò. La gamba sinistra tremava di meno adesso, ma muoverla gli dava fastidio. Doveva andarsene di lì, doveva raggiungere i suoi e…
- Perce!
In fondo al corridoio era comparsa Ginny; la ragazza corse verso il fratello e, sorprendentemente, lo abbracciò.
- Perce, meno male, ti stavamo cercando… Hai visto Fred? Non lo trovo… E poi c’è una ragazza che ti…
- Fred.
- Cosa?                                                                          
Fred.
Fred era rimasto lì, in quella nicchia. Fred.
Come avrebbe fatto a dirlo ai suoi?
Percy guardò Ginny negli occhi, sperando che lei capisse. Sperando che non avrebbe dovuto dirglielo.
- Percy, sai dov’è Fred?
- Ginny…
Un urlo disumano fece voltare entrambi.
Non era più necessario che Percy dicesse alla sua famiglia di Fred: Molly aveva potuto constatarlo da sola.
 
 
 
 
 
- Lasciami in pace, Aber!
- Madame, è meglio se butta un occhio anche a questa qua!
- Cazzo, Aber, sto bene!
In pochi minuti la Sala Grande si era riempita di persone, vive, morte e ferite. Madama Chips era stata velocissima a far sparire i tavoli e ad organizzare il punto di raccolta per i feriti e lo spazio dove accogliere i defunti, al centro della Sala.
Audrey non capiva bene come avesse fatto Aber a prenderla di peso e a trascinarla lì; quei minuti di pausa erano preziosi, finalmente poteva cercare Percy e trovarlo, o perlomeno vedere se era ancora vivo o se…
- Aber, lasciami!
- Che succede qui? - Madama Chips arrivò tutta trafelata. - Che cosa… Oh, santo cielo!
La donna fissò lo sguardo sulla pancia di Audrey, che sbuffò irritata.
- Senta, madama Chips, sto benissimo, ora…
- Credo si sia ferita a una spalla, madame. Se poi dà un’occhiata anche al resto è meglio.
Audrey sbuffò di nuovo. Aberforth non faceva mai domande, non si intrometteva mai nelle vite altrui: perché in quel momento non si faceva gli affari suoi?
La ragazza si rivolse a madama Chips: - Senta, ci sono persone ferite in modo più grave, qui, è meglio se…
- A che mese sei?- domandò la donna, incurante di ciò che Audrey diceva.
- Non è proprio il caso che…
- Settimo, giusto?
Un altro sbuffo. - Ottavo.
Audrey si aspettava un’altra serie di rimbrotti, ma questi non arrivarono: madama Chips era una persona discreta.
- Fammi vedere la spalla, poi controlleremo se lì dentro è tutto a posto.
- Le ho già detto che…
- Gli altri feriti devono ancora arrivare, quelli che sono qui sono poco gravi. Avanti, la spalla.
Il tono non ammetteva repliche. Audrey guardò Aber, e anche il suo sguardo lasciava intendere che non avrebbe accettato altri rifiuti.
Sbuffò per la quarta volta e si lasciò visitare. Prima, però, gettò uno sguardo ansioso verso il centro della Sala: stavano iniziando a radunare i cadaveri, a disporli in modo dignitoso. E se…
- È meglio se non guardi. Avrai tempo… dopo.
Di nuovo, madama Chips non ammetteva repliche. Audrey obbedì e diede le spalle al resto della Sala, proprio mentre tutta la famiglia Weasley – tutta meno uno – entrava in silenzio.
 
Percy avrebbe tanto voluto essere al posto di quell’uno. Non riusciva a pensare ad altro, mentre la sua famiglia si stringeva attorno a ciò che restava di Fred. Sarebbe dovuto toccare a lui.
Non vide Audrey, né lei vide lui, durante quella lunga – lunghissima – ora.
 
 
 
Poi? Beh, poi è storia.
Avanti; chi non sa cosa è successo dopo
Harry Potter morto, no, vivo; decine e decine di persone che venivano dal paese per aiutarli a difendersi, e insieme a loro creature di ogni genere. Una gran confusione, un caos assoluto.
Percy conservò pochi ricordi ben definiti di quell’ultimo atto della vicenda: il più vivido sarebbe rimasto sempre quello in cui sua madre, irriconoscibile, uccideva Bellatrix con una durezza in viso che nessuno si sarebbe mai aspettato da lei.
Per il resto, confusione. Confusione. Persino nel momento in cui si era ritrovato spalla a spalla con suo padre, persino mentre abbattevano insieme lo stesso Mangiamorte la sua mente era invasa dalla confusione. La chiarezza si era persa nel momento in cui Fred era morto; dopo c’era solo confusione.
Forse fu per questo che, per tutta la durata dell’ultimo scontro, Percy non si accorse di Audrey; non la vide mentre, assieme ad altri due studenti, correva su per le scale verso il terzo piano cercando di sfuggire a due Mangiamorte.
Madama Chips l’aveva visitata da cima a fondo, un’ora prima; le aveva sistemato la spalla, aveva storto il naso sentendo dire che si era Smaterializzata (“Una cosa del genere è pericolosissima, se sei incinta!”), aveva fatto un rapido controllo e aveva sentenziato che sì, fondamentalmente stava bene, ma di certo quello non era il posto più adatto a lei.
Un po’ tardi oramai, no?
Dal piano terra venne un boato. I due Mangiamorte si fermarono a metà gradinata, confusi, e Audrey e il più grande degli studenti ne approfittarono per farli volare giù dalle scale.
Dopodiché si fermarono anche loro in attesa di capire cosa fosse successo. All’improvviso in basso era calato il silenzio, un silenzio denso e pieno di attesa. Dal terzo piano non si sentiva nulla di ciò che accadeva nella Sala Grande, ma io e voi lo sappiamo: Harry Potter stava finalmente fronteggiando Voldemort.
- Scendiamo, voglio vedere che succede! - disse in fretta uno degli studenti all’altro, poi corsero via entrambi giù per le scale. Audrey fece per seguirli, ma qualcosa la bloccò; d’un tratto era diventata incapace di fare anche un solo passo.
Che succede?
Era… stanca. Improvvisamente stanca.
Si appoggiò con la schiena ad una delle pareti del corridoio, sentendosi debole. Perché?
Fino a quel momento era stata bene, affaticata sì, in preda alla paura ma bene, e ora…
Che succede?
Quel dolore. Di nuovo quel dolore, lo stesso di poche ore prima; lo stesso dolore che le aveva tolto il fiato, ma stavolta non durò cinque secondi. Stavolta era più forte, immensamente più forte, così forte che le gambe non la reggevano più, e fra le gambe qualcosa di caldo, qualcosa che non doveva…
Si accasciò a terra, lentamente, finché non si ritrovò sdraiata, senza capire che diamine stesse succedendo.
Che succede?
Chiuse gli occhi e non se lo chiese più.
 
 
 
Quella battaglia era iniziata nella confusione e terminò nella confusione, ma a nessuno importò.
Nessuno si fece domande sul significato di quello che Harry e Voldemort si erano detti; nessuno. Il Ragazzo ce l’aveva fatta, erano vivi, avevano tempo ora per compiangere i morti, l’importante era che fosse finita, finita finalmente…
Nel trionfo che seguì la morte di Voldemort, tutti i Weasley corsero verso Harry, insieme ai professori e agli studenti; tutti a circondarlo in un unico immenso abbraccio, lui che li aveva salvati tutti, in un modo incomprensibile ma ce l’aveva fatta.
Solo poche persone rimasero indietro, vuoi per lo stupore, vuoi per le ferite. Percy Weasley apparteneva al primo gruppo, anche se il dolore alla gamba aveva sicuramente contribuito alla sua immobilità.
È finita? È veramente finita?
Finita, all’improvviso. Da quanti mesi aspettavano quel momento? Era così difficile da realizzare, lì per lì; soprattutto era impossibile pensare a quante cose sarebbero successe da quel momento in poi. Tutto sarebbe stato come prima, meglio di prima: il Ministero sarebbe tornato alla normalità – beh, magari sarebbe stato un po’ migliore; Adams sarebbe uscito di galera, insieme a tutti gli altri; lui e Audrey avrebbero avuto un bambino e…
No, non era tutto come prima. Mancava qualcosa, mancava qualcuno.
Guardò sua madre e suo padre che si abbracciavano. Dovevano aver finito le lacrime, oppure dovevano pensare che non era quello il momento di piangere ancora. Attorno a loro, i suoi fratelli si stringevano, felici di essere vivi, disperati per quel vuoto enorme ed incolmabile; quel vuoto che, forse, non sarebbe scomparso mai.
La sua famiglia.
Ad un tratto si voltarono verso di lui, tutti insieme. Con tenui sorrisi intrisi di tristezza, lo guardavano e sembravano dirgli: manchi solo tu.
Non sarebbe tornato tutto come prima, ma forse qualcosa sì.
Percy fece un piccolo sorriso involontario, poi iniziò a camminare verso la sua famiglia.
- Eccoti, finalmente!
Sorpreso, Percy si fermò e si voltò: la signora Bennet era lì a pochi passi da lui, e l’espressione sul suo viso tradiva un sollievo infinito mescolato all’esaltazione della vittoria.
- Lucy?! - esclamò lui. - Che cosa ci fa, qui?
- Ah, adesso mi chiami per nome! - bofonchiò Lucy, fintamente arrabbiata, poi fece un gran sorriso e gli corse incontro per abbracciarlo forte.
Percy avvampò, sentendo alle sue spalle gli sguardi curiosi di tutti i Weasley. - Ehm… signora Bennet…
- Oh, per Merlino, meno male che stai bene! Non ti avevo visto fin adesso, avevo paura che… Eravamo così preoccupate per te…-. Si staccò, e Percy ne approfittò per domandarle di nuovo cosa ci facesse lì.
- Sono venuta da Hogsmeade, insieme alla gente del paese. Sono andata con Audrey alla Testa di Porco dopo che… a proposito! - La signora Bennet parve dimenticare la preoccupazione, il sollievo e la vittoria, e rivolse a Percy uno sguardo inferocito. - Come ti è venuto in mente di mandarci un gufo? Sono venuti due del Ministero a casa mia, armati, e ho dovuto Schiantarli! Ma sei impazzito? Testa di rapa! Potevano farci del male! Merlino, che razza di padre di famiglia vuoi diventare?
Percy era ancora troppo stordito da tutti gli avvenimenti delle ultime ore, per cui ebbe bisogno di qualche secondo per capire di cosa stesse parlando la signora Bennet.
- Gufo? Ma quale gufo, io…
- Il tuo gufo, idiota! Avevi la posta controllata, te ne sei scordato? Tanto valeva mandare al Ministero un biglietto da visita col mio indirizzo! Testa di rapa! Sei proprio degno di mia figlia!
Percy fu investito dalla furia di Lucy; cercò faticosamente di mettere insieme quello che la donna stava dicendo, e quando ci riuscì impallidì. Finalmente aveva realizzato l’enormità della stupidaggine che aveva compiuto ore prima; si coprì la bocca con le mani e spalancò gli occhi, incredulo.
- Oh… cazzo! Vi… Vi ho mandato un gufo!
- Eh, già! - borbottò Lucy, che ormai si era sfogata per bene.
- Oh, merda
- Precisamente.
- … Non posso crederci! Io… Io sono un deficiente! Un deficiente!
Alle spalle di Percy i signori Weasley e Bill si erano avvicinati, curiosi di sentire di cosa stesse parlando con quella donna sconosciuta.
- E… E sta bene, signora Bennet? Le hanno fatto qualcosa? E Audrey? Sta bene? Non le hanno fatto niente, vero?
- Oh, Audrey sta benone, figurati, lei… aspetta un momento! - Lucy impallidì, molto più di Percy. - Perché lo chiedi a me?
- E a chi dovrei chiederlo?
- Ma… Ma non è con te? Tu non l’hai vista?
- Vista? Perché avrei dovuto vederla?
- Perché… Audrey è qui! È venuta apposta per cercarti… davvero non l’hai vista?
- Audrey è qui?!
- Perce, che sta… - intervenne Arthur.
- Che diavolo ci fa Audrey qui? - gridò il ragazzo, ignorandolo, mentre una paura feroce si insinuava in lui.
- Te l’ho detto, è venuta a cercarti… -. La signora Bennet mostrava i segni della stessa identica paura.
- Oddio, Percy, se non è con te dov’è?
Di sicuro non era il momento adatto per perdere tempo con certe domande. Percy si lanciò verso le scale, diretto ai piani superiori; alle sue spalle la signora Bennet provò a muoversi a sua volta ma non ci riuscì: rimase semplicemente immobile, paralizzata dalla fatica e dal panico. Scivolò sulla panca più vicina e si sedette, attanagliata da mille pensieri uno peggiore dell’altro.
Quando alzò lo sguardo, trovò di fronte a sé sette persone dai capelli rossi che attendevano una spiegazione da lei.
 
Corse, corse, senza sapere dove stava andando, dove doveva andare. Audrey era lì, maledizione, era stata lì tutto quel tempo e non l’aveva vista… che le era saltato in mente di venire, nelle sue condizioni…
Bennet, cazzo, sei impazzita?
Corse e corse, su per le scale. Nei corridoi c’erano ancora dei corpi, soprattutto di Mangiamorte; quelli dei ragazzi erano stati già portati quasi tutti in Sala Grande, ma quello di Audrey non c’era. Che fine aveva fatto?
Corse e corse, guidato solo dal panico. Ad un tratto Percy incespicò e fu costretto a fermarsi: una fitta acuta alla gamba sinistra lo aveva bloccato; si appoggiò ad una parete, ansante.
Cazzo, Bennet, dove sei… per favore, Aud, almeno tu, per favore...
Fu allora che la vide.
Quando si dice la coincidenza; o la fortuna, decidete voi. Era lì, a due passi da dove Percy si era dovuto fermare.
Riversa a terra, scompostamente, c’era Audrey. Sotto di lei una piccola chiazza rossa.
















*saltella anche se non c’è niente da saltellare*
Yep. Lo so. Due settimane di attesa per questa… roba disgustosa. Già.
Complici un sacco di scadenze a fine maggio, un esame incombente e la visita di un fidanzato che mancava da troppo tempo, ho tardato assai nello scrivere il capitolo. In più ci si è aggiunta una specie di rifiuto nell’affrontarlo: non so perché, ma sono stata davvero bloccata. Questo è il modo migliore in cui sono riuscita a trattare il tutto.
Mi spiace se avete aspettato e se il risultato vi ha delusi, davvero.
 
E mi spiace anche per il finale traggico da telenovela; col prossimo capitolo toccheremo il fondo, perché per come l’ho impostato finora mi sembra una puntata di “Beautiful”. (Oh, the horror…)
 
Ma basta sciocchezze. Tanto so che a qualcuno, inspiegabilmente, piacerà lo stesso, quindi taccio.
Passiamo alle attesissime (?!?) ciacole:
 
1) Non scriverò mai più una ff subito dopo aver letto il blog di Fastidious: ogni volta che passo di lì mi vengono i sudorini freddi e la tremarella al pensiero di vedere una mia storia commentata da loro. (Perché tanto lo so, prima o poi mi troveranno, non posso nascondermi, e allora… ARGH!)
Diamine, inizio davvero a farmi le paranoie, non scherzo!
Brrr…
(Comunque, se non lo conoscete fatevi un giro nel sito, è meraviglioso! Sto rosicando perché l’ho scoperto così tardi, diamine… la mia vita sarebbe stata diversa se l’avessi trovato prima.)
2) Indovinate? Credo di essere riuscita ad allungare la ff di uno/due capitoli. (Spero che questa notizia non vi porti a crisi di vomito e/o tentativi di suicidio… dai, resistete, arriviamo al capitolo 27 e poi vi lascio liberi, ognuno per la propria strada!)
3) Le frasi di Voldemort sono prese dai Doni, pagine 606-607 dell’edizione italiana.
4) Sarebbe stato bello ri-descrivere tutta la battaglia dal punto di vista di Percy o di Audrey, e in effetti ci ho provato: mi sono però resa conto che era un’impresa titanica e che mi stava venendo anche piuttosto male, quindi ho lasciato perdere e mi sono data ai “sottintesi”. Spero vivamente che ciò non vi dispiaccia, la sottoscritta fa del proprio meglio...
5) Come già feci al capitolo 20, anche stavolta devo onorare una promessa, anzi due. Stavolta ho evitato di scassarvi a inizio capitolo, ma desidero davvero che deste un’occhiata alle seguenti raccolte:

- "Come Fantasma.": superba raccolta/long di Taminia sul nostro amato Fred, in una veste un po’… particolare. Una ff veramente meritevole di essere letta, anche se finora conta pochissimi estimatori (e la sottoscritta è fra i più entusiasti). Se la leggete, e ve lo consiglio CALDAMENTE (trad.: o la leggete o vi vengo a cercare casa-per-casa), lasciate anche qualche recensione, perché, lo ricordiamo, un commento, anche se non viene richiesto, fa sempre piacere.

- "A whole life together": restiamo in tema Weasley! Ecco una graziosa raccolta sulla coppia Arthur/Molly, mooolto tenera e simpatica (con cui potrete tirarvi su di morale dalle traggedie di questo capitolo) e con un Arthur semplicemente fantastico! Anche qui, se lasciate una recensione non fate un soldo di danno, ANZI.
(Tra parentesi ringrazio l’autrice, che è una seguitrice di questa mia assurda long, per aver consigliato quest’ultima a tradimento in uno dei capitoli della sua bella raccolta. Grazie, cara ^^)


Bene, ce l'ho fatta: con questo ho ufficialmente più capitoli che anni. Forse non sono poi così vecchia, in fondo.
Grazie di aver letto/commentato/preferito/seguito/ricordato. Grazie. Forse, se non fosse per voi, avrei già cestinato questa ff da secoli. Forse.
A presto, spero.
Sempre vostra
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 24
*** Sana come un Plimpo ***


Sana come un Plimpo

(Scusami)

 






Ci sono momenti, nel corso della nostra esistenza, in cui ci chiediamo perché non finisca tutto in quell’istante: il mondo, l’universo, la vita dovrebbero fermarsi lì, e basta. Non so se vi è successo, ma spero che non vi accada mai.
A molti, comunque, capita; arriva un momento, in genere preceduto da un’altra miriade di momenti, in cui ci si domanda: cos’altro mi resta, adesso? Perché non finisce tutto ora, subito, immediatamente?
Non so voi, ma a me non è mai successo. A Percy invece sì.
 
 
 
Ignorando il dolore lancinante alla gamba, Percy si avvicinò in fretta al punto dove Audrey giaceva priva di sensi e si inginocchiò vicino a lei. Era talmente confuso che non riusciva nemmeno a ricordare cosa dovesse fare per accertarsi che fosse viva o meno; tutto ciò che era in grado di fare, in quel momento, era stare chinato su di lei e scuoterla. Non aveva nemmeno la voce per chiamarla.
Audrey, Audrey, dai, per favore, per favore…
Fu mentre cercava di riscuoterla che si accorse della piccola chiazza rossa che si era addensata sotto la gonna di Audrey, sul pavimento. Non era molto grande, a dir la verità: il diametro non era nemmeno di dieci centimetri; in quel momento, però, per Percy era tutto il sangue del mondo. Era il suo sangue, suo e di Audrey, era quel sangue che si era fatto carne, quel sangue che Audrey aveva perso solo perché lui era stato talmente incosciente da dirle che sarebbe andato a Hogwarts.
Era colpa sua.
Vedendo quella piccola macchia Percy fu preso da un vivo terrore; ricominciò a scuotere Audrey più forte, ritrovando anche la forza di chiamarla.
- Audrey - farfugliò. - Audrey, per favore, per favore… Audrey, amore, ti prego…
Era troppo, troppo. Non poteva perdere anche lei, non poteva perdere anche lei e il bambino, non… non era giusto, non poteva pagare quel prezzo per i suoi sbagli, non potevano pagarlo loro…
Cos’altro mi resta, adesso? Perché non finisce tutto ora, subito, immediatamente?
- Per favore, ti prego, per favore… Ti prego, amore, ti prego, Bennet…
Doveva esserci qualcosa di strano, nel cognome di Audrey; la ragazza aprì gli occhi e li socchiuse subito, cercando di mettere a fuoco il viso di lui.
- Percy…
Il cuore di Percy mancò vari battiti. - Sì, amore, sì, sono io, sono io…
- Percy… Cosa…
Parlava a fatica, ma parlava. Percy avrebbe sorriso di sollievo, se la piccola chiazza rossa non fosse stata lì di fronte ai suoi occhi.
- Cosa mi... è successo, Perce…
Doveva ignorarla. Doveva ignorare quella piccola macchia – che magari non era niente – e portare Audrey via da lì, subito.
- Niente, amore, non è successo niente, sta’ tranquilla… - rispose, con un tremito nella voce.
- Il… Il Coso… Scusami…
- Non è niente, va tutto bene, adesso ci penso io… Tranquilla…
Ma Audrey non voleva saperne di stare tranquilla. Sembrava voler parlare a tutti i costi, nonostante la fatica immensa; cercò debolmente di mettersi a sedere, ma rimase bloccata a terra.
- Scusami… - balbettò allora. - Non… dovevo venire… scusami…
- Non fa niente, non fa niente… Adesso ci penso io…
- Scusami… Scusami…
- Tranquilla, ci penso io, tranquilla…
Più facile a dirsi che a farsi. Doveva portarla via, ma come? Dove?
Non poteva certo scendere tre piani di scale ed attraversare mezza Hogwarts per arrivare al paese, ci avrebbe messo troppo tempo e non ne aveva abbastanza. Si guardò attorno, in cerca di un’idea, e rimase basito.
Impossibile.
Ricordate, quando parlammo delle coincidenze? Vi dissi che, per quanto incredibili o assurde esse siano, a volte è giusto che capitino, soprattutto quando coinvolgono una persona che le merita.
Probabilmente qualcuno riteneva che Percy e Audrey meritassero una coincidenza fortunata; come spiegare, altrimenti, il fatto che si trovassero a due passi dal passaggio che, solo poche ore – secoli – prima, Fred aveva mostrato a Percy?
Impossibile.
Troppe coincidenze, dite?
Beh, che volete che vi dica. Meno male che Percy non l’ha pensata come voi, in quel momento, altrimenti non sarebbe riuscito ad approfittare di quella piccola fortuna.
 
 
 
Più volte, dopo, Percy si sarebbe chiesto come aveva fatto a prendere Audrey in braccio e attraversare l’intero cunicolo senza vacillare mai; la tensione che provava in quel momento doveva essere stata tale da fargli scordare completamente il dolore alla gamba e al resto del corpo.
Mentre Percy camminava, Audrey aveva nuovamente perso i sensi; di sicuro quello era tutto tranne che un buon segno, e il ragazzo si costrinse ad accelerare. Ormai vedeva l’uscita del tunnel: la luce dell’alba stava invadendo Hogsmeade con prepotenza, dando a tutto contorni nuovi, festosi.
Finalmente fuori dai limiti di Hogwarts, Percy si Smaterializzò.
 
 
 
Al San Mungo quel mattino c’era una strana fibrillazione: non si sapeva bene cosa stesse accadendo, si diceva che Hogwarts fosse stata attaccata e che in breve sarebbero arrivate decine di feriti; genitori e parenti di studenti si affollavano fuori dall’ingresso, chiedendo invano informazioni che nessuno era in grado di fornire e suscitando non poca curiosità in un paio di Babbani capitati lì per caso, che non capivano perché tutta quella gente stesse davanti a quella vetrina piena di vecchi manichini.
Percy si Materializzò proprio in mezzo a questa piccola folla; quando lo videro, sporco, ferito e con una ragazza svenuta in braccio, tutti si scansarono per farlo passare. Percy se ne accorse a malapena; si rivolse al manichino chiedendo di Rhett Bennet ed entrò in fretta nell’ospedale.
Non dovette aspettare molto per l’arrivo di Rhett; questi giunse all’ingresso tutto trafelato pochi istanti dopo il suo arrivo.
- Percy! - esclamò. - Che diavolo sta…
Si fermò, vedendo Audrey. - Che… che le è successo?
- Lei…
Percy si bloccò, per un attimo gli andò via la voce. La sto perdendo, Rhett, li sto perdendo tutti e due ed è colpa mia, perché sono un imbecille ed è colpa mia…
- Lei… Perde sangue, Rhett. Perde sangue da… da lì…
Rhett aveva gli occhi spalancati; doveva essere terrorizzato quanto Percy, ma da bravo Guaritore qual era si controllò e non lo diede a vedere.
- Quando è successo? Da quanto è priva di conoscenza?
- Io… Non lo so, io… io…
- Non eri con lei?
- No, io… No… Non sapevo che…
- E da dove venite, santo cielo?!
- Da… Da Hogwarts. C’è stato… Tu-Sai-Chi… Harry… noi…
- Eri a Hogwarts? - Rhett strabuzzò di nuovo gli occhi e fece uno sforzo per non alzare la voce. - Allora è vero che… E tu l’hai portata a Hogwarts?!
- No! Io… non sapevo che fosse lì, io… Ti prego, Rhett, per favore…
Percy non ne poteva più; era distrutto, dentro e fuori, e Audrey continuava a non dare segni di vita. Perché Rhett non si occupava di lei? Perché se ne stava lì a parlare di cose senza importanza?
- Rhett, ti prego, per favore…
- Sta’ calmo, adesso… adesso ci occupiamo di lei. Hai fatto bene a venire qui, ma dobbiamo portarla in un altro posto; seguimi.
Meccanicamente Percy seguì Rhett, con Audrey sempre stretta tra le braccia. Gli sembrava che non pesasse niente; anche quello doveva essere un effetto della tensione che provava.
Attraversarono un lungo corridoio praticamente correndo, fino a raggiungere quella che sembrava una grande porta a vetri, o un acquario gigante. Dall’altra parte si intravedevano alcune persone vestite in modo strano, con lunghi camici bianchi.
- Eccoci, - disse Rhett dopo aver ripreso fiato, - qui c’è il passaggio per l’ospedale Babbano.
Percy sobbalzò, e nello stesso momento Audrey emise un gemito.
- Babbano?! - gridò Percy, facendo voltare alcuni Guaritori. - Vuoi portare Audrey in un ospedale Babbano?!
- Percy, lo so che sembra assurdo, ma… qui non possiamo fare nulla per lei. I Babbani hanno il reparto di Ginecologia e Ostetricia, noi curiamo solo i danni provocati dalla magia…
- No, no, Rhett, ti prego… Che possono fare i Babbani per lei? Lei è una strega, non può…
- Anche il primario del reparto è una strega, è lì apposta per le persone come noi. Fidati e basta.
Il tono era perentorio, autoritario. Percy non discusse più; aspettò un istante, il tempo che Rhett facesse sparire la veste da Guaritore sotto un camice bianco da Babbano, poi lo seguì.
 
 
Il primario di Ginecologia e Ostetricia era una strega indiana sulla sessantina, dal viso paffuto e dai modi decisi e spicci; al contrario di Rhett e Percy era perfettamente mimetizzata in quell’ambiente Babbano. Non appena riconobbe il Guaritore Bennet, gli corse incontro: era sempre lui che accompagnava i maghi e le streghe che per vari motivi dovevano essere accolti nell’ospedale Babbano, e la sua presenza lì indicava che c’era del lavoro per lei.
- Che è successo? - domandò a Rhett, poi notò le condizioni di Audrey. - Infermiera!
- Ha un’emorragia. È all’ottavo mese. Ha fatto… degli sforzi, temo che rischi un parto prematuro o…
- Era in casa?
Rhett guardò Percy e gli fece un cenno. Nel frattempo un’infermiera stava portando una barella.
- No - rispose il ragazzo, con un tremito nella voce. - Era… alla scuola.
L’infermiera scoccò a Percy un’occhiataccia, mentre questi appoggiava Audrey sulla barella: quel ragazzo aveva un aspetto ben strano, così conciato… E così sporco, poi… ma da dove veniva? Da un cantiere? Che tempi, santo cielo, che tempi…
L’infermiera guardò la dottoressa, aspettandosi che questa cacciasse lontano dal suo reparto quel personaggio dall’igiene discutibile, ma la donna sembrava invece colpita da quanto questi aveva detto, più che dal suo aspetto orribile.
- Alla… scuola?
Il ragazzo annuì.
La dottoressa sembrò voler chiedere chiarimenti, ma poi scosse il capo. - Mi spiegherete dopo, adesso vediamo che cos’ha… Ottavo mese?
- Sì - confermò Rhett. L’infermiera, aiutata da un’altra dottoressa, trasportò via la barella; Percy e Rhett rimasero ad osservarla, insieme alla strega indiana.
- Latika, - disse alla fine Rhett, a bassa voce - è possibile che… Sono venuti qui con la Materializzazione, lei e il bambino potrebbero aver subito danni…
La strega chiamata Latika fissò Percy, gli occhi fiammeggianti. - Ti sei Materializzato? Con una donna all’ottavo mese di gravidanza?
Percy si fece piccolo piccolo, mentre il senso di colpa lo avvolgeva di nuovo. - Non… Non potevo fare altrimenti, io…
- Dicono tutti così. Che incosciente… - La dottoressa lo fissò ancora, con durezza, poi scosse il capo.
- Beh, ormai non ci resta che sperare bene. - Senza aggiungere altro, Latika corse ad aggregarsi all’infermiera e alla dottoressa Babbana che si stavano preparando a visitare Audrey.
 
Rhett e Percy non dovettero attendere a lungo; dopo neanche un quarto d’ora Latika uscì di nuovo dalla stanza.
- Nessun danno per quello che dicevi tu, ma dobbiamo comunque portarla dentro: dobbiamo aprire, altrimenti rischia di perderlo - disse in fretta.
Rhett comprese e annuì, ma Percy ebbe un tremito.
- Come, aprire? Cosa? Perché? Lei…
- Si chiama taglio cesareo - spiegò Latika seccamente. - È una tecnica Babbana.
- Hai tutto quello che ti serve? - si intromise Rhett. - Le fasce? Le pozioni?
- L’armadietto abbandonato dell’inserviente è ben fornito, tranquillo. - La donna squadrò Percy, poi tornò a rivolgersi al Guaritore. - Lui può restare qui? È un parente?
- È il marito.
Latika parve soddisfatta perché non fece più domande. Mentre lei si allontanava, Rhett chiese a Percy dove si trovasse Lucy.
- È alla scuola anche lei… O almeno credo, non so se c’è ancora, io…
- Va bene, non preoccuparti. Vado ad avvertirla che siete qui.
- Aspetta, non te ne andare, cosa…
- Non le faranno niente, sta’ tranquillo. I metodi Babbani sono sicuri quanto i nostri, vedrai. - Percy non sembrava affatto convinto, ma Rhett lo ignorò. - Ho detto che sei suo marito, quindi ti faranno restare qui con lei, ma devi stare calmo. D’accordo? Tornerò appena possibile.
- Ma… Ma se…
- Latika è in gamba, ed è una strega. Se le cose vanno male sa cosa fare. - Rhett fece un sospiro esasperato, vedendo che l’altro scuoteva la testa. - Percy, io mi fido di lei, altrimenti non le avrei mai affidato Audrey. Sta’ calmo.
Ancora poco convinto, Percy annuì. Rhett gli diede una pacca sulla spalla e sparì, diretto a Hogsmeade.
 
 
In breve, Percy si ritrovò in una piccola sala d’attesa, fuori dal posto dove i medici Babbani aprivano i pazienti. Nonostante quel pensiero gli desse un’inquietudine che è impossibile spiegare senza essere riduttivi, quel posto sembrava rassicurante, e per un istante Percy si rilassò. Fu allora che dovette fare i conti con se stesso.
La tensione che fino a quel momento l’aveva sostenuto scemò tutta insieme. Si rese conto, improvvisamente, di sentire male in tutto il corpo: le nocche e i muscoli delle braccia gli dolevano, aveva tanti piccoli graffi sulla schiena che bruciavano tremendamente, e non riusciva a tenersi in piedi su entrambe le gambe. Quando si appoggiò sulla gamba sinistra vide letteralmente le stelle; si accasciò quindi su una sedia, distrutto.
Si sentiva intontito, incapace di pensare ad alcunché. Intontito e al contempo spaventato.
Ormai era giorno fatto, e l’ospedale Babbano aveva lentamente iniziato a riempirsi di medici, infermieri, degenti che passeggiavano e visitatori. Molti lanciavano occhiate curiose a Percy, che decisamente sembrava la persona meno adatta a trovarsi in un posto asettico come l’ospedale. I capelli erano pieni di polvere, così come il viso e le mani; i vestiti, già strani per i canoni Babbani, attiravano ancora di più l’attenzione per lo stato pietoso in cui erano ridotti.
Più di una volta un’infermiera fu sul punto di chiedergli di andar via, ma si trattenne: se quel tipo si trovava lì, probabilmente aveva il permesso del primario; e il primario – lo sapevano tutti – era una donna davvero strana.
 
 
 
Da quanto tempo aspettava, ormai? Percy aveva smesso di chiederselo da un po’. Fissava il pavimento, la mente vuota; non badava ai Babbani che lo circondavano, non badava alle signore col pancione che affollavano il reparto di Ostetricia e non badava agli strilli dei bambini.
Si sentiva stanco, stanco, sempre più stanco.
Soprattutto, era il senso di colpa a mangiarlo vivo. Non avrebbe dovuto mandare quel gufo a Audrey, avrebbe dovuto pensarci… sapeva benissimo che lo avrebbero seguito, eppure l’aveva messa in pericolo, li aveva messi in pericolo. Se non lo avesse fatto Audrey sarebbe rimasta a casa, non le sarebbe successo nulla, e lui non avrebbe dovuto portarla lì, in mezzo a quei Babbani che volevano aprire
Aprire cosa, poi? Cosa le avrebbero fatto? Rhett non gli aveva detto nulla, la dottoressa Latika nemmeno…
E il Coso? Il suo bambino… che gli sarebbe successo?
Audrey aveva perso sangue; e se…
No, no, non poteva pensarci. Se fosse accaduto qualcosa sarebbe stata tutta colpa sua, solo colpa sua.
Sono un imbecille, è colpa mia. Non è giusto, Audrey non se lo merita, il Coso non se lo merita.
Non è giusto.
È colpa mia.
Nonostante i taglietti sulla schiena gli facessero male, si piegò in avanti; appoggiò i gomiti sulle gambe e stava per mettere il viso tra le mani quando si fermò.
Le sue mani. C’era del sangue sulle sue mani.
Di chi era quel sangue? Suo? Di Audrey? Di… Fred?
Fred.
Qualcosa si risvegliò in lui. Non aveva più pensato a Fred.
Come ho potuto?
Come aveva potuto dimenticarsi di lui? Per tutto quel tempo, non un pensiero, non un ricordo, non… niente. Niente.
Aveva smesso di pensare a lui, come aveva smesso di pensare alla battaglia, alla sua famiglia, a tutti quelli che erano rimasti lì… a tutti quelli che erano morti lì…
Fred.
Non staccò lo sguardo dalle sue mani, mentre la sua mente entrava nell’ennesimo vortice di pensieri confusi. Di chi diavolo era quel sangue?
Fred era morto. Non avrebbe mai conosciuto Audrey, non avrebbe mai conosciuto il Coso. Forse anche il Coso sarebbe morto, per colpa sua.
Di chi era il sangue?
Non avrebbe rivisto Fred, mai più. Forse anche Audrey stava morendo.
Forse non l’avrebbe più rivista. Per colpa sua.
Come poteva vivere ancora?
Con che coraggio? Dopo tutto quello che aveva fatto, come poteva?
Di chi era quel sangue?
- Tieni.
Percy sobbalzò, e solo il dolore alla gamba gli impedì di saltare in piedi.
 
Arthur era lì, vicino a lui, e gli porgeva un fazzoletto.
- Tieni - ripeté. - Pulisciti.
Incredulo, Percy non riuscì a muoversi. Suo padre era l’ultima persona che si aspettava di vedere in quel momento – e anche l’unica persona che avrebbe voluto avere lì accanto a sé.
- Che… - balbettò, rauco. - Che… Che ci fai tu, qui?
Arthur non rispose. Mise il fazzoletto in mano al figlio, poi si sedette accanto a lui; Percy si aspettò che dicesse qualcosa, ma il padre rimase semplicemente in silenzio, fissando il pavimento.
- È venuto un uomo, a Hogwarts - mormorò dopo un minuto. - Cercava quella signora con cui hai parlato prima di sparire. Ha detto che… che eri qui, con la tua compagna.
Surreale. Percy non riusciva a credere quanto fosse surreale tutto ciò: non si erano parlati per anni; Fred era morto; Voldemort era stato sconfitto… e loro due erano lì, circondati da Babbani che li osservavano schifati, a parlare di Audrey.
- In effetti, - la voce di Arthur era spezzata, - il modo in cui te ne sei andato era piuttosto strano. Ma la signora… Bennet? Sì… Insomma, ci ha… spiegato tutto.
Percy ancora non riusciva a parlare. Non riusciva nemmeno a guardare Arthur. Questi aspettò una risposta per qualche secondo, poi continuò, con maggior fatica.
- Lei è rimasta… a scuola, con… con la mamma e gli altri. Ci raggiungeranno… dopo, credo. Forse. Dipende da… se… se Molly e gli altri ce la fanno…
- Perché sei venuto qui? - mormorò Percy, reprimendo un singhiozzo.
Arthur non lo guardò, ma Percy vide che stava stringendo i denti. Insistette.
- Perché sei venuto? Tu… Tu dovevi restare con loro. La mamma… gli altri… hanno bisogno di te. Tu… Tu dovevi restare con loro… non dovevi venire... da me…
Finalmente Arthur sollevò lo sguardo su di lui, uno sguardo immensamente triste.
- Anche tu sei mio figlio, Perce - rispose. - Anche tu hai bisogno di me.
Questo era troppo, decisamente troppo, per Percy. Sarebbe stato troppo per chiunque, in effetti.
Il peso di quello che era accaduto in quelle ore, mesi, anni gli franò addosso, schiacciandolo. Tutto quello che aveva fatto, il non aver potuto aiutare Fred, l’aver messo in pericolo Audrey… Ora sentiva con chiarezza tutto il dolore che gliene derivava, tutto il male che doveva provare.
Percy ignorò i Babbani, ignorò le infermiere, ignorò tutto quello che lo circondava e iniziò a piangere. Pianse, pianse come un bambino, senza vergognarsi minimamente; singhiozzò forte e a lungo, il viso nascosto tra le mani, e quando sentì che suo padre lo circondava con le braccia e lo stringeva si aggrappò a lui, esattamente come un bambino.
- M-mi dispiace… scusa… mia… colpa mia… Fred… dispiace… scusa… - singhiozzò incoerentemente, sulla spalla di Arthur.
- Scusa, scusa… papà… scusa… scusa… scusa…
Stavano dando un ben strano spettacolo, in quella sala: la gente osservava quei due uomini che piangevano abbracciati, e si chiedeva se non fossero entrambi un po’ matti, per piangere in un posto dove le persone nascevano.
 
 
Passò un’altra mezz’ora prima che Latika si affacciasse. La strega fu sorpresa di trovare Percy in compagnia di qualcun altro, ma non fece una piega.
- Abbiamo finito, venite.
A fatica Percy si alzò: ormai zoppicava vistosamente, l’intera gamba sinistra sembrava essersi irrigidita. Lui ed Arthur seguirono Latika fino alla porta della sala operatoria; non era esattamente regolamentare, ma evidentemente la strega poteva questo ed altro, lì dentro.
- La ragazza sta bene - disse Latika con dolcezza, forse per farsi perdonare di essere stata brusca con Percy prima. - Però deve ancora riprendersi, ha perso parecchie energie. - Si guardò attorno prima di continuare.
- Posso sapere cosa è successo? Per rischiare addirittura un aborto, una strega come lei deve aver fatto degli sforzi tremendi: che cosa…
Brevemente Percy le spiegò quel poco che sapeva; Latika scosse la testa più volte, incredula di fronte all’incoscienza della ragazza.
- Voi giovani… Per fortuna non è successo nulla di grave, ma adesso deve recuperare le forze. Le ho dato una pozione: dormirà per almeno tre giorni, dopodiché sarà perfettamente a posto e più vispa di prima; tra poco la farò spostare nel mio reparto.
Percy annuì, parzialmente sollevato.
E il Coso? Perché non mi parla del Coso?
- E… - provò a chiedere, un po’ impaurito. - E… il…
Latika fece un gran sorriso. - La bambina sta bene; è prematura, certo, ma sembra che tutto funzioni a dovere. Una bella bambina, decisamente.
Bambina? Bambina?
Oh Merlino…
- L’unico difetto che ha è che pesa poco, - continuò la strega, - ma per il resto è sana come un Plimpo. Te la porto fra un minuto.
Sana come un Plimpo.
Oh, Merlino.
- Perce…
Percy doveva avere un’aria molto stupida, mentre fissava inebetito la porta della sala operatoria dietro cui la dottoressa era sparita.
Ma allora… è nato? Nata? E quando? Come?
Ma è... vero?

Si voltò verso il padre, e non poté fare a meno di notare che anche lui aveva un’aria molto stupida.
- Perce… Ha detto… bambina?
La conferma non si fece attendere. Latika uscì reggendo qualcosa tra le braccia, inseguita dall’infermiera che prima aveva guardato male Percy.
- Dottoressa, questo è assolutamente inaudito! Non può prenderla e portarla fuori di qui, non è igienico!
- Betty, sono io il primario, qui, non dimenticarlo.
- Ma… Ma non pensa alla bambina? Non pensa alle malattie che quel tizio potrebbe attaccarle? Ha visto com’è conciato, di sicuro è…
L’infermiera si zittì, vedendo Percy e Arthur fuori dalla porta. Latika approfittò di quell’insperato momento di silenzio.
- Credo di essere molto più esperta in malattie di te, Betty; e comunque, c’è sempre un rimedio a tutto, dico bene? - concluse, e facendo l’occhiolino a Percy gli tese quello che aveva in braccio.
 
Era… diamine, era veramente piccola. La bambina più piccola che avesse mai visto.
Però le dita c’erano tutte; anche le orecchie, e le narici. Due occhi, ovviamente. Niente capelli però: avrebbero dovuto aspettare per vedere come li avrebbe avuti; chissà, magari non sarebbe stata rossa come Percy, magari aveva preso di Audrey e avrebbe avuto i suoi bei capelli scuri, quasi neri…
Sì, ma quanto era piccola. Minuscola.
Pesava poco, veramente poco; titubante e un po' preoccupato, Percy la prese, incerto su come dovesse tenerla. Provò a sistemarsela su un braccio, e si rese conto per la prima volta di quanto fosse difficile.
- Aspetta…- mormorò Arthur, che sembrava intontito esattamente come il figlio. Si avvicinò e prese la bambina. - Aspetta, devi tenerla così. Ecco. - e gliela sistemò tra le braccia. Poi rimase lì a guardare Percy, assolutamente sconvolto.
Certo, la signora Bennet gli aveva detto che sua figlia e Percy aspettavano un bambino, ma Arthur non pensava che… che sarebbe arrivato così presto, ecco. Non se lo aspettava così, in quel giorno poi… era strano, ecco.
Gli ci sarebbe voluto del tempo per abituarsi a quella cosa.
 
Nemmeno Percy, a dir la verità, riusciva a realizzare completamente quello che stava accadendo.
Cavolo.
Aveva sognato quel momento per mesi; ci aveva pensato decine, forse centinaia di volte, fantasticando su come sarebbe stato ritrovarsi il Coso finalmente in braccio, finalmente suo.
Aveva immaginato il giorno in cui avrebbe presentato ai suoi genitori il loro primo nipote: un giorno luminoso e sereno, un giorno di gioia, di festa. Invece no.
Nessuno avrebbe festeggiato, quel giorno; i Weasley non avevano nulla da festeggiare.
Hai sbagliato, piccola. Hai proprio sbagliato. Saresti dovuta nascere prima, o dopo, ma non oggi.
Oggi nessuno ti festeggerà.
Avevi un padrino, piccola mia, e ora non ce l’hai più. Hai scelto il giorno sbagliato.
Mi dispiace. Un po’ è colpa mia, sai?
Mi dispiace. Scusami.
Però. Come sei bella.
Ma tu guarda che stupido. Vedi?
Sto piangendo di nuovo.
Non è giusto che io pianga tenendoti in braccio, no?
Non è giusto che la prima cosa che vedi del mondo sia tuo padre che piange.
Scusami. Non sono un granché come persona, mi dispiace.
Però. Come sei bella.
La tenne fra le braccia per tanto, tantissimo tempo. Avrebbe potuto tenerla fra le braccia per tutta la vita.
 
 
 

Ore dopo, un po' alla volta, molte altre persone giunsero all’ospedale Babbano; parecchie di queste scatenarono l'ira e la preoccupazione dell’infermiera Betty per le condizioni dei loro vestiti, ma la dottoressa Latika lasciò che entrassero e si passassero di mano in mano quello scricciolo di bambina. Molte di quelle persone avevano i capelli rossi, e accolsero la neonata tra le lacrime e i sorrisi.
Quel giorno i Weasley non festeggiarono, certo; ma in fondo, avevano tanto tempo per farlo. Avevano tutta la vita.





















Yèèè! Stavolta ho fatto presto! Sono stata brava, eh? Eh?
*saltella*
Lo ammetto, il capitolo è corto e non è dei migliori, ma a me sta bene così. Non aggiungerei e non toglierei nulla. Non è perfetto, lo so. È il classico odioso capitolo di transizione che non dice nulla ma deve starci per forza perché così è più facile partire coi capitoli successivi. Già.
Ma a me piace lo stesso; anche perché finisce bene, insomma!
Ahhh, come amo gli happy ending…
E a voi, non è piaciuto il capitolo?
Lo trovate troppo lezioso? Troppo improbabile? Troppo scontato? Troppo facile? Troppo da telenovela? Troppo poco traggico?
…bah. Chissene. A me piace così. Yep!
 
Come avrete intuito sono totalmente incompetente in materia medica; indi per cui non ho idea di come avvenga un taglio cesareo. So che ho liquidato quella parte in modo forse un po’ sbrigativo, ma davvero non ho modo di fare un resoconto alla “E.R.” di tutto quanto.
Pochissime noticine di contorno:
- ringrazio Fata Blu per la dritta sulla strega primario di Ostetricia nell’ospedale Babbano: la sottoscritta pensava fosse meglio una Magonò, ma per fortuna la suddetta Fata mi ha fatta ragionare dicendo che è molto più ragionevole che sia una strega vera e propria ad occuparsi delle nascite dei piccoli maghi.
Grazie, mia adorata: il tuo contributo ha salvato mezzo capitolo, anche perché altrimenti non avrei saputo dove andare a sistemare la povera Audrey.
- L’ “armadietto abbandonato dell’inserviente” è ovviamente il nascondiglio supersegreto dove Latika tiene le pozioni e altri medicinali magici, che usa ad hoc per le sue pazienti streghe.
 - Noterete che all’inizio Percy chiama Audrey “amore” almeno tre volte: sì, qui abbiamo sfiorato l’OOC, ma se considerate il momento drammatico vi renderete conto che è normale, in questi frangenti, lasciarsi un po’ trasportare.
 
A parte ciò non ho cose particolari da dirvi, stavolta, quindi vi lascio. Grazie alla miriade di gente che si è fermata a commentare lo scorso capitolo (diamine, è il più brutto che abbia mai scritto e voi lo COMMENTATE? Pazzi…), a quelli che hanno letto senza recensire (già che ci avete passato sopra del tempo indica che non ho fatto poi un cattivo lavoro!), a quelli che preferiscono, a quelli che seguono e  a quelli che ricordano. Cribbio (cit.), quanti siete!
A presto e grazie mille
Fera




…ah, no! Fermi!!! Dimenticavo!
Per chi ancora non lo sapesse, ho iniziato a pubblicare una raccolta di Percy/Audrey, che potrebbe interessarvi perché c’è qualche spoilerino circa la vita futura dei nostri amici: la trovate qui --> Fuoco fatuo
L’aggiornamento, per questa raccolta, sarà ogni quattro giorni circa perché è già tutta pronta ^^
Ri-ciao
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 25
*** Normalmente... più o meno ***


Normalmente... più o meno
 






Non vedo come sia possibile raccontare di tre giorni di sonno magico indotto da una pozione. Insomma, suppongo che si faccia qualche bel sogno, o che si sentano le voci delle persone attorno… ma, francamente, è difficile esserne certi. Voglio dire, quanti di voi hanno avuto un’esperienza simile? Due, tre persone?
Bene, allora per favore pensateci voi a raccontarlo agli altri, che io non ne sono in grado.
Tutto ciò di cui il narratore può parlarvi riguarda quello che accadde al risveglio di Audrey. Che poi, non è affatto meno interessante del resto.
 
Uscì dal sonno come da una lunga apnea, con la testa leggera e allo stesso tempo piena di confusione. Audrey aprì un occhio, poi un altro, e subito li richiuse entrambi, ferita dal tipico biancore delle stanze d’ospedale che rifletteva una luce fastidiosamente elettrica.
Cos’è? Che c’è? Dove diamine sono finita?
Riprovò ad aprire gli occhi, poco alla volta, e pian piano li abituò alla luce. Meglio.
Ora, dove sono?
Che fosse sdraiata era fuor di dubbio; sentiva un materasso rigido e un morbido cuscino sotto di sé.
Dunque sono in un letto. Okay.
Poi?
Sbatté le palpebre e si sforzò di sollevare un po’ la testa per guardarsi attorno, ma cedette subito. Si sentiva curiosamente debole; provò a muovere le gambe, poi le braccia. Sì, c’è tutto.
Ma dove sono?
Riprovò a sollevarsi e stavolta ci riuscì; Audrey si puntellò sui gomiti e riuscì finalmente a osservare la stanza in cui si trovava. Molto ampia, molto bianca; una specie di… qualcosa che sembrava… un lettino di ferro era accostato ai piedi del letto. Da una vasta finestra a sinistra entrava una luce rossastra, doveva essere quasi il crepuscolo; la luce illuminava direttamente le spalle di una figura seduta accanto al letto, con le braccia incrociate appoggiate sul materasso e la testa a sua volta adagiata su di esse: Percy dormiva in quella posizione, respirando piano.
Ancora frastornata, senza capire bene cosa stesse facendo, Audrey allungò una mano verso di lui e gli sfiorò un gomito. Percy si svegliò con un sobbalzo, raddrizzandosi e guardandosi attorno smarrito; finalmente posò lo sguardo su Audrey, e parve svegliarsi del tutto.
- Ehi…
A vederlo, anche Audrey si sentì un po’ meno confusa. Accennò un sorriso. - Ehi…
Percy si strofinò gli occhi al di sotto degli occhiali storti, poi le rivolse a sua volta un sorriso tirato e stanco. Era molto, molto più pallido del solito.
- Da quanto sei sveglia?
- Da… ora. Credo.
Perché, dormivo? Non mi ricordo. Dove sono?
Il sorriso di Percy si allargò un po’, per poi spegnersi un istante dopo. Il ragazzo si alzò dalla sedia per avvicinarsi a Audrey, e lei poté notare il suo abito; involontariamente le sfuggì un commento.
- Sei… elegante - mormorò, raddrizzandosi e mettendosi seduta.
Percy strinse i denti e si rabbuiò. - Sono stato a un funerale.
All’improvviso la mente di Audrey si snebbiò. Ricordò tutto: il gufo, Hogwarts, il dolore e il Coso…
Cazzo, il Coso!
Con orrore si guardò subito il ventre, e lo scoprì decisamente meno gonfio di prima. Lo tastò, terrificata, e lo sentì molle e vuoto.
No no no no no…
Fu come tornare indietro di mesi, al giorno dell’udienza; solo che stavolta non erano i Dissennatori a metterle in testa pensieri orribili, ma l’accecante evidenza di quella pancia vuota.
No no no…
Scosse la testa più volte, mentre le lacrime iniziavano ad offuscarle la vista. No no…
- Audrey… - iniziò a dire Percy, che si aspettava quella reazione. Lei però non lo ascoltava: il suo ventre era troppo vuoto perché potesse pensare o sentire altro.
- Oddio, Percy, oddio, oddio… - gemette, sempre scuotendo il capo.
- Audrey, tranquilla, non è come…
Ma Audrey non sembrava affatto intenzionata a stare tranquilla. Si coprì il viso con le mani e scoppiò a singhiozzare, disperata.
- Oddio, che ho fatto, non dovevo venire, non dovevo, non dovevo, mi dispiace, mi…
- Audrey…
- … L’ho perso, l’ho perso, l’ho perso…
- Bennet, è tutto a posto. Ascoltami.
Se non fosse stata in preda alla disperazione, Audrey si sarebbe stupita non poco sentendo che Percy le accarezzava i capelli e le parlava in modo tranquillizzante. Quando mai era stato così… confortante?
- Va tutto bene. Non l’hai perso. Calmati.
Percy aspettò che i singhiozzi di Audrey cessassero, parlandole con voce sommessa e calma e continuando ad accarezzarla. Finalmente, la ragazza prese un gran respiro e riuscì a guardare Percy.
- Che vuol dire che… che non…
- Ti ho portata all’ospedale in tempo. Va tutto bene. - Percy era serio, ma disse questa frase rischiarandosi un po’. - Latika si è occupata di te, anzi, di voi… È tutto a posto, sul serio…
A spiegare la situazione meglio di quanto stesse facendo Percy ci pensò il Coso in persona. Uno strillo inatteso provenne dallo strano lettino ai piedi del letto.
Audrey sgranò gli occhi, sbigottita. Guardò Percy, che le rivolse un piccolo sorriso e si staccò da lei, per poi avvicinarsi al lettino. Si chinò su di esso e prese in braccio qualcosa che urlava in evidente ricerca di attenzioni.
La ragazza rimase pietrificata, mentre Percy si avvicinava di nuovo a lei e le porgeva qualcosa. Restò immobile, senza avere il coraggio di allungare le mani per prendere quello.
- Bennet… - fece Percy, dopo qualche secondo. - Non morde mica, ricordi? Sei stata tu a dirmelo.
Audrey si riscosse e guardò Percy, poi si decise a prendere il Coso. Istintivamente se lo sistemò tra le braccia, come se non avesse fatto altro per tutta la vita; non appena l’ebbe preso Percy si mise in disparte, allontanandosi di un paio di passi dal letto, e l’osservò.
 
Coso… sei proprio tu?
Era un po’ sciocco continuare a chiamarlo Coso, adesso che non era più un Coso ma un neonato vero e proprio, con le sue orecchie, le sue manine e tutto.
- Ernie? - azzardò Audrey, rivolta più a se stessa che a Percy.
- Temo di no - rispose lui, trattenendo un sorriso. - Grace aveva ragione, è una bambina…
Audrey sgranò ancora di più gli occhi. - La seconda femmina Weasley da generazioni - aggiunse Percy, con una voce in cui Audrey poté individuare una certa dose di orgoglio, nascosta dietro ad una strana amarezza.
- A-Allora… - balbettò la ragazza, tornando a osservare la bambina - …Pernille?!
Percy emise un verso che esprimeva inequivocabilmente un forte disgusto.
- Non si era detto Lucy? - gemette, preoccupato.
- Lucy è un nome sciocco - commentò Audrey, senza staccare gli occhi dalla sua bambina. - Se proprio vuoi il nome inglese, accontentati di Molly.
Dopodiché rimasero entrambi in silenzio, troppo presi da pensieri diversi per poter parlare ancora. Solo Audrey tornò a parlare, qualche minuto dopo, ricordandosi di una cosa.
- Hai detto… un funerale?
- Parliamone dopo.
Poi silenzio.
Era già abbastanza strano essere lì, tutti e due – tre – insieme; ci sarebbe stato tempo, dopo, per raccontare gli avvenimenti di tre giorni prima.
 
 
 
 
Il maggio del 1998 non fu un mese facile, per la comunità magica inglese: tutti avevano qualcosa – una grande cosa – di cui gioire, ma molti avevano perso più di quanto si osasse pensare; questo binomio di immensa felicità e sofferenza inconsolabile accompagnò numerose famiglie lungo quel maggio, che – a dispetto di quanto ci si aspettasse – fu segnato da un maltempo quasi invernale. Sembrava una beffa, tutta quella pioggia: le persone che non desideravano altro che un po’ di sole per trovare la forza di tornare a sorridere si ritrovarono a combattere, oltre che contro il proprio malessere interiore, anche contro quello che l’atmosfera quasi novembrina ispirava.
Era più difficile, sotto quel cielo così scuro e minaccioso, smettere di pensare ai propri morti.
 
Il martedì di maggio in cui Kingsley Shacklebolt, Ministro della Magia ad interim, dispose l’immediata scarcerazione dei detenuti per reati connessi con lo stato di sangue e i comportamenti immorali, pioveva un po’ di meno. Una gran folla si radunò nell’Atrium del Ministero, dove si attendeva l’arrivo di decine di persone (non era chiaro il motivo per cui il Ministro avesse deciso di far arrivare gli ex-detenuti proprio lì; si vociferava che fosse un modo per dimostrare il totale cambiamento di rotta del Ministero… come se ce ne fosse bisogno).
In mezzo alla gran folla di persone che aspettavano il ritorno di amici, figli, fratelli e genitori, stavano anche Percy e Audrey. Lei era stata dimessa giusto il giorno prima, dopo mille raccomandazioni da parte di Latika, e, nonostante le fosse stato prescritto “riposo assoluto”, si era rifiutata di mancare a quell’appuntamento.
- Non arrivano ancora - sbuffò impaziente la ragazza, guardandosi attorno nervosa. - Quanto ci mettono?
- Smettila di agitarti - la rimbrottò Percy, altrettanto impaziente ma meno propenso a dimostrarlo. - Non è facile spostare così tante persone da Azkaban…
- Ma quanto ci mettono?! - esclamò lei, ignorandolo. - Manca l’aria, qui dentro!
- Io ti avevo detto di non venire; nelle tue condizioni sarebbe stato meglio se…
- Oh, ma piantala. Latika ha detto che sto bene, non cominciare a… Guarda! - fece Audrey, dandogli una gomitata nelle costole. In uno dei camini dell’Atrium era apparsa una gran fiammata verde, e dopo due secondi una donna era rotolata fuori, sporca di fuliggine e di prigione.
- Agnes! - strillò una signora, presumibilmente la madre della donna; si fece largo in mezzo alla folla, corse verso di lei e l’abbracciò, scoppiando a piangere. Dovette però spostarsi immediatamente da davanti al camino: un’altra donna era saltata fuori, seguita subito da un vecchio e da un ragazzo che non doveva avere più di diciott’anni.
Mille esclamazioni di esultanza furono emesse dalla folla, mentre a poco a poco tutti i camini si aprivano ed espellevano con delicatezza gli ex-detenuti di Azkaban. Le persone si accalcarono le une sulle altre, cercando di raggiungere i camini; dovunque si sentivano singhiozzi, risate, strilli di contentezza da parte di chi era riuscito a raggiungere la persona attesa.
Ci volle mezz’ora prima che il grosso dei rilasciati raggiungesse il Ministero e si ricongiungesse ai famigliari; poi la situazione si tranquillizzò: molti lasciarono l’Atrium ansiosi di tornare a casa, e in breve rimasero solo una trentina di persone ad aspettare gli ultimi.
Audrey strinse più forte la mano di Percy, improvvisamente allarmata.
- Perce, non si è ancora visto… E se…
- Non gli è successo niente, vedrai, è solo…
Sobbalzarono: finalmente, nel camino di fronte a loro era apparsa una sagoma estremamente magra, estremamente malconcia ed estremamente inconfondibile. La sagoma mise piede fuori dal camino con passo un po’ malfermo e barcollò fuori, incerta.
Percy e Audrey l’osservarono per qualche secondo, come se non credessero davvero di averlo di fronte a loro, finalmente. Per fortuna che almeno Audrey aveva conservato una certa prontezza mentale, altrimenti sarebbero rimasti ore e ore lì a fissarlo.
- Adams! - strillò la ragazza, correndo incontro all’amico e avvinghiandosi a lui con uno slancio tale che lo fece quasi cadere a terra.
- Adams, Adams, finalmente! - continuava a dire Audrey, ridendo forte. Sembrava assolutamente insensibile alla puzza e alla sporcizia di cui era ricoperto Adams: l’unica cosa importante, in quel momento, era abbracciarlo forte e cancellare più di otto mesi di separazione e sofferenze.
Dopo qualche secondo di smarrimento anche Adams scoppiò a ridere, piano, e rispose all’abbraccio; poi si accorse di Percy, che era rimasto indietro e cercava di non far notare i suoi occhi lucidi.
Adams si staccò da Audrey e zoppicò verso Percy, rivolgendogli un gran sorriso.
- Capo, quale onore… - declamò Adams tutto pomposo, accennando a fatica un finto inchino.
A sentire quel tono anche Percy sorrise, e gli tese una mano. Adams lo guardò incredulo, scosse la testa e lo stritolò in un abbraccio soffocante.
- Non si stringe la mano a uno che è appena uscito di prigione, ragazzino! - rise Adams, felice come non era mai stato in vita sua.
 
 
 
- Allora, raccontatemi tutto ciò che mi sono perso durante la mia… vacanza forzata.
Percy aveva sempre saputo che Adams era una forza della natura, ma ogni volta che ne aveva una prova se ne sorprendeva. La lontananza da Azkaban faceva già sentire i suoi effetti: sbarbato, lavato, cambiato e seduto di fronte a Audrey al tavolo della cucina, Adams sembrava proprio quello di una volta. Certo, aveva l’aspetto sciupato e devastato di chi ha passato troppo tempo in galera, ma per fortuna il suo spirito appariva intatto.
Fu Audrey a rispondere ad Adams, mentre Percy si affaccendava attorno ad una teiera.
- Un sacco di cose, Adams! Non hai idea! Non so nemmeno da dove cominciare…
- Beh, per esempio potresti parlarmi del tuo processo. Com’è andata a finire? Il tuo ragazzo, qui, mi aveva detto qualcosa ma… non ero nelle condizioni di capire granché.
- Oh, alla fine si è risolto tutto. - Audrey si voltò verso Percy e gli rivolse un gran sorriso. - Percy ha chiesto ad una sua amica l’albero genealogico di mio padre, ed è riuscito a portarmelo in tempo.
Poi la ragazza si rabbuiò. - Adams, mi dispiace che… insomma, non siamo riusciti a far nulla per te. Avrei tanto voluto…
Adams la fermò, stringendole la mano. - Aud, va bene così. L’unico modo in cui avreste potuto aiutarmi era inaccettabile, per cui ne ho fatto volentieri a meno. - Sorrise, e ringraziò Percy che gli porgeva il tè.
- E poi - continuò Audrey, - è successo che quella schifosa Umbridge ha iniziato a prendere di mira Percy, con la scusa che si era esposto per un caso di discendenza sospetta…
Parlò ancora dei lunghi mesi di separazione, poi della battaglia. Adams ascoltava, rapito: sembrava che non aspettasse altro che sentire di nuovo voci amiche, umane.
- … E poi mi sono risvegliata, e in quattro e quattr’otto mi sono ritrovata ad essere mamma!
Adams sobbalzò, sputacchiando del tè. Fissò stupito entrambi i ragazzi: Audrey era raggiante e soddisfatta della sorpresa dell’amico, mentre Percy, arrossito, teneva lo sguardo chino sulla propria tazza.
- Oh, Godric… - mormorò Adams, poi si schiaffò una mano sulla fronte. - È vero, capo, me l’avevi detto! Come ho fatto a dimenticarmene?
Lo stupore si tramutò in una risata profonda e baritonale. - Ah, dannazione, quel posto ha danneggiato seriamente la mia memoria! Non credo che ci tornerò mai più, nossignori…
Finito che ebbe di ridere, si rivolse ancora a Audrey, eccitato. - E allora, com’è? Maschietto, femminuccia o un po’ tutti e due?
- Per adesso è femmina - scherzò la ragazza. - La seconda femmina Weasley da generazioni - aggiunse compiaciuta, guardando Percy che le rivolse un sorriso timido ma orgoglioso.
- E dov’è adesso? Si può vedere, o il papà ne è già geloso?
- L’ho lasciata a mia madre, per oggi; non vedeva l’ora di spupazzarsela un po’… Percy, tutto bene?
Il ragazzo si era alzato in piedi, di scatto. Deglutì, imbarazzato.
- Sì, sì, ehm… Devo solo… ehm…
Lanciò un’occhiata di scusa alla ragazza e uscì, diretto al bagno.
 
Non era facile. Non era facile per niente.
Quel mese di maggio 1998 non era affatto facile tornare alla normalità.
Che poi, normale… Cos’è normale?
Per quasi tre anni, la normalità di Percy era stata vivere da solo, senza contatti con la sua famiglia. Con tutta la sua famiglia.
Adesso, tutto d’un tratto, non solo era tornato strisciando dalla sua famiglia – alla quale mancava qualcuno, ma era meglio non pensarci – ma ne aveva formata una lui stesso. Questa è normalità?
Non era normale che qualcuno si rivolgesse a lui come al papà di una bambina. Non era normale che lui non avesse più un fratello, non era normale che tutti gli rivolgessero alternatamente congratulazioni e condoglianze e lui non riuscisse a rispondere né alle une né alle altre.
Non era normale che tutto il mondo andasse avanti e voltasse pagina e lui rimanesse lì, bloccato da qualcosa senza nome che non lo faceva né sorridere né piangere, ma solo star male.
Non era normale, adesso, che il suo amico Ernest Adams fosse uscito di galera e lui non riuscisse a gioirne. Non era normale sentir parlare della propria figlia e non sorriderne.
 
Percy tornò in cucina, e sentì che Audrey parlava ancora della bambina.
- … ancora bene come trattarla, sai, è così strano… voglio dire, è stato tutto così inaspettato…
- Immagino. - Adams sembrava sinceramente entusiasta di quella novità. Continuò a tartassare Audrey di domande sulla neonata, poi sulla battaglia, poi su mille altre sciocchezze.
Ne aveva un dannato bisogno. Aveva bisogno di chiacchiere, di tè e di notizie; che riguardassero pannolini o massimi sistemi non era poi così importante.
Aveva bisogno di normalità. La sua vita si era fermata, mesi prima, ed era stata sostituita da qualcosa di innominabile che gli aveva fatto scordare il significato della parola “normale”; adesso era lì, lontano dai Dissennatori e da tutto ciò che rappresentavano, in una casa dov’era ben accolto, a parlare di argomenti qualsiasi.
Cos’altro poteva desiderare?
Finalmente era tutto come doveva essere. Tutto normale.
 
 
 
Il tempo passava. Una settimana, due… A metà giugno finalmente smise di piovere e iniziò a fare caldo, un caldo piacevole come si può conoscere solo in Inghilterra.
In un mese e mezzo la comunità magica aveva cercato di raggiungere un proprio equilibrio, e sembrava che finalmente iniziasse a riuscirci. Dopo il rilascio dei prigionieri ingiustamente detenuti ad Azkaban sembrava che tutto sarebbe tornato come prima, se non meglio.
Certo, non mancarono i momenti di rabbia pura, come quello che seguì il processo alla famiglia Malfoy; i due uomini, Lucius e Draco, sarebbero stati sicuramente condannati ad una lunga permanenza nel carcere di Azkaban (che, seppur privato della presenza dei Dissennatori, rimaneva comunque un luogo di espiazione piuttosto temuto), se non fosse stato per l’intervento di Potter.
- Riconoscenza - ringhiava Arthur mentre usciva dall’aula di tribunale, seguito da un Percy più silenzioso che mai. - Li ha fatti assolvere per riconoscenza verso quella… quella…
Percy non replicò. Da tempo non vedeva suo padre così arrabbiato; per quanto ne sapeva, poi, era la prima volta che se la prendeva direttamente con Harry.
Sbuffando feroce, Arthur risalì verso l’Atrium, sempre con Percy alle calcagna. Era evidente che l’uomo  non voleva incontrare né Potter, né tantomeno i Malfoy.
- Figuriamoci, adesso pretenderanno anche delle scuse, quegli animali… Pretenderanno che li si riabiliti pubblicamente… Oh, lo so, come ragionano queste persone, saranno…
Non era l’unico a protestare, ovviamente: altre persone avevano manifestato la propria delusione e la propria acredine contro i Malfoy in modo molto più vistoso, persino nell’aula di tribunale in cui erano state eccezionalmente ammesse. Nulla però turbava Percy come quell’odio nella voce di suo padre.
Tutti i Weasley stavano reagendo alla morte di Fred, ciascuno a modo proprio. Molly non si fermava mai: trovava sempre qualcosa da fare, sia alla Tana sia altrove, da Bill o da Charlie; sembrava che si tenesse ancora in vita solo grazie a quell’iperattività, e questo preoccupava mortalmente i suoi figli.
George non parlava dal due maggio. Si era completamente chiuso a riccio, ben deciso a non avere contatti con nessuno, se non strettamente legati alle necessità di bere e mangiare. L’unica persona di cui tollerasse la compagnia era il suo migliore amico, Lee: con lui sì che parlava, e molto. L’argomento poteva essere uno e uno solo.
Quando poi Lee tornava a casa, George restava completamente solo con se stesso, rifiutando chiunque cercasse di aiutarlo o solamente di stargli vicino. Era… esasperante.
Percy… Beh, si sentiva schiacciato. Schiacciato tra il dolore, la voglia di stare accanto ai suoi parenti e la consapevolezza di doverli aiutare, e il desiderio di non sprecare neanche un attimo di quelli che poteva trascorrere con Audrey e la bambina. In genere cercava di fare entrambe le cose: adesso era disoccupato, per cui aveva tutto il tempo che voleva da passare con l’una o l’altra delle sue famiglie. Audrey insisteva perché stesse il più possibile con i suoi, ma Percy lo trovava estremamente deprimente; d’altra parte, si sentiva in colpa a rimanere in casa con sua figlia senza far nulla per sostenere i suoi genitori. Schiacciato, si sentiva schiacciato.
La reazione di Arthur, infine, era altalenante. Spesso era immerso in una profonda prostrazione, che strideva orribilmente con l’iperattività di Molly; altre volte sembrava non riuscisse a star fermo, e si chiudeva nella rimessa a trafficare con quei suoi strani aggeggi Babbani.
C’era però una reazione che Percy e i suoi fratelli odiavano in particolare: la rabbia. Arthur Weasley era un uomo mite e buono, fin troppo; ma, come tutti gli uomini troppo buoni, era in grado di esplodere all’improvviso, se provocato troppo e troppo a lungo. Lucius Malfoy lo sapeva bene, sin da quando aveva rischiato di essere pestato da lui al Ghirigoro; e anche Percy poteva dire, non senza vergognarsene, di aver sperimentato la portata della rabbia di Arthur Weasley.
Quel giorno Arthur era furibondo con i Malfoy e con Harry, ma Percy sapeva benissimo che ogni suo pensiero era fermamente e costantemente rivolto a Fred.
La rabbia era tutta per la morte di Fred, non per altro.
- … Si è montato la testa, quel ragazzino, adesso pensa di essere un dio in terra…
- Papà, per favore… - borbottò Percy, una volta fuori dal Ministero.
Arthur parve riscuotersi, sentendo la voce del figlio. Smise di parlare e si voltò a guardarlo, come se si fosse accorto solo allora della sua presenza.
- Perce, ma…
- Per favore. Smettila. Non dici sul serio, e lo sai.
Non aggiunsero altro. Percy aveva un’espressione talmente distrutta che Arthur non seppe cosa dire.
I due si limitarono a guardarsi. Non avevano parlato molto, dal due maggio; in un mondo diverso, meno ingiusto, avrebbero potuto ricostruire tutta la serie di fili che si erano spezzati tra loro… Ma non era quello, il mondo più giusto. Quello era il mondo che aveva rovinato la loro famiglia e impedito ad ogni altra cosa di andare avanti.
Tra Percy e Arthur, in quel mese e mezzo, c’era stato solo tanto silenzio.
- Scusami - fece Arthur dopo qualche secondo, distogliendo lo sguardo. - Ho esagerato.
- No, avevi ragione.
Ripresero a camminare. Nessuno dei due aveva voglia di tornare a casa; la Tana non sembrava più così accogliente, per Arthur, costretto ad assistere al dolore di sua moglie e suo figlio. Percy, da parte sua, aveva timore a staccarsi da suo padre, a lasciarlo solo con i suoi pensieri.
- Senti… - disse il ragazzo, quando ebbero fatto una cinquantina di passi l’uno a fianco dell’altro. - Ti va di… fare un salto a casa mia? Così, giusto per… vedere com’è.
Questa richiesta era molto più strana di quanto non possa sembrare; nessun Weasley, infatti, aveva mai messo piede in casa di Percy. In effetti, nessun Weasley aveva nemmeno ancora conosciuto Audrey; a parte i brevi momenti all’ospedale,  il due maggio, in cui avevano appreso attoniti la notizia dell’esistenza di una compagna di Percy e persino di una loro figlia, non c’erano stati altri contatti tra la famiglia di Percy e quella formata da lui stesso. Non c’è un motivo particolare per questo fatto: probabilmente Percy pensava che fosse troppo presto, Audrey non voleva intromettersi, e i Weasley avevano ben altri problemi da risolvere.
Capirete quindi perché Arthur titubò molto e a lungo, prima di decidere.
 
 
Il sonoro crack nel piccolo ingresso svegliò la bambina che Audrey era da poco riuscita a far addormentare; ne conseguirono il pianto della prima e la disperazione della seconda, già provata da una lunga notte di veglia.
- Oh, santissima Helga… Perce, dannazione! Ti ho detto di fare piano! - ululò, ignorando il fatto che così avrebbe agitato ancora di più la piccola. - No, Molly, dai, sta’ buona… Perce!
Prese la neonata urlante in braccio e si diresse come una furia all’ingresso. Adesso la fai addormentare tu, razza di insensibile! Ma ti pare! Una ci mette una vita a capire come si fa a calmare una neonata, poi arriva lui e me la sveglia!
- Maledizione, Perce, adesso tu… Oh!
Si bloccò a metà rimprovero. Alle spalle di Percy era comparsa una persona che Audrey aveva visto pochissime volte, ma tutte in circostanze particolari.
- Buon giorno - mormorò timidamente il padre di Percy, accennando un sorriso.
Audrey era una ragazza molto ben educata; la signora Bennet aveva fatto in modo che quella scapestrata di sua figlia fosse perlomeno in grado di ricevere ospiti in casa, o quantomeno di non sembrare una perfetta bifolca. Audrey, quindi, sapeva benissimo che avrebbe dovuto rispondere al saluto, far accomodare l’ospite inatteso e offrirgli qualcosa e magari intavolare una conversazione.
Beh, la signora Bennet si sarebbe vergognata moltissimo di lei, perché in quel momento Audrey non riuscì a fare nessuna di quelle cose. Era talmente sorpresa che rimase lì ad occhi sgranati, mentre la bambina si agitava protestando per tutta quella confusione.
- Audrey, - fece Percy, timidamente, - questo è mio padre. Papà, Audrey.
- Lo so - dissero Arthur e Audrey in coro, cosa che rese entrambi ancora più imbarazzati.
Una bifolca, sono una bifolca! Dov’è la mia zappa? Dov’è il mio aratro?
In un raro momento di sensibilità, Percy sembrò capire quello che la ragazza stava provando, perché le sorrise e prese in braccio Molly. - Ci penso io, tranquilla…
Mentre Percy si allontanava, con la bambina improvvisamente e miracolosamente calma, Audrey e Arthur rimasero a guardarsi, decisamente a disagio. Alla fine fu lui a parlare.
- Allora, ehm… Ci siamo già conosciuti, o sbaglio?
Eh, come dimenticarlo? Ti avevo scambiato per tuo figlio, quando hai trent’anni di più e la metà dei capelli!
- Ehm… sì. L’ascensore…
- Già. - Arthur spostò per due volte il peso da un piede all’altro, con un gesto che fece sorridere Audrey: era identico a Percy quando era imbarazzato.
- Così… - riprese Arthur, guardandosi attorno - Sei la fidanzata di Percy.
- No - disse lei in fretta. Poi si corresse. - Sono la sua compagna, non stiamo per sposarci.
- Ah. Capisco…
Calò di nuovo il silenzio. Audrey si sarebbe aspettato di tutto tranne che essere finalmente presentata a un membro della famiglia di Percy; come al solito non aveva fatto domande, quando Percy le aveva raccontato tutta la sua vicenda con i Weasley, e come aveva già fatto in passato si era limitata ad aspettare che lui si sentisse pronto a presentarla “ufficialmente”.
Sì, beh, sarebbe stato meglio se fossi stata pronta anch’io, insomma!
Quella visita a bruciapelo era… dannatamente inaspettata. Doveva esserlo anche per suo suocero (Numi! Suocero!), perché nemmeno lui sembrava a proprio agio.
- Bella casa - commentò Arthur dopo essersi guardato attorno. - Piccola ma bella.
- Oh, grazie. Sì, beh, adesso che c’è la bambina diventerà ancora più piccola…
- Lo diventerà prima di quanto credi, vedrai.
In fondo, non era poi così terribile parlare col padre di Percy. Probabilmente poi il signor Weasley era ancora più imbarazzato di lei; insomma, Audrey immaginava che non fosse stato facile, per lui e per gli altri, assimilare l’idea della sua esistenza.  È proprio il genere di cosa che non si mette in conto, quando si litiga pesantemente con un familiare: non si va a pensare che questi, mentre non vi parlate e non vi vedete, ti renda zio o nonno con il contributo di una sconosciuta.
- Bene, ehm… - bofonchiò. - Vuole, ehm… qualcosa? Tè, caffè…
- Sono a posto, grazie.
- Oh, va bene.
Ancora silenzio. Ma quanto ci mette Percy a sistemare Molly?
- Ehm… Io… - Audrey si passò una mano tra i capelli, tesa, - Insomma… Percy mi ha detto di, beh, suo figlio, e… Beh, mi dispiace…
- Grazie - rispose Arthur, asciutto.
- Io… Beh, ovviamente non l’ho mai conosciuto, ma… Beh, Percy mi ha parlato molto di lui, e di tutti voi, e…
Non sapeva più cosa dire. Audrey aveva paura che toccando quell’argomento avrebbe scatenato reazioni indesiderate in suo suocero (Numi!), ma per fortuna non accadde. Arthur si limitò a fare una piccola smorfia, che però sembrava più un sorriso che altro.
Dalla stanza da letto non si sentivano più gli strilli della piccola Molly, segno che Percy era riuscito a farla finalmente riaddormentare. E in metà del tempo in cui ci riesco io. Vorrei proprio sapere come fa…
- Credo sia calma, adesso - mormorò Arthur, guardando come Audrey verso la camera. - Pensi che potrei, uhm… vederla?
A Audrey non fu necessario rispondere, perché Percy aveva già fatto capolino dalla stanza e, sorridente come non era da molto tempo, faceva cenno a suo padre di entrare.
 
 
Da quel momento fu molto semplice, per Audrey, diventare un membro della famiglia Weasley.
Inizialmente era Arthur ad andare a trovare figlio,  nipote e quasi-nuora a casa loro, e sempre da solo. Un giorno, però, a sorpresa portò anche Ginny. Quando Audrey la riconobbe per la ragazza che aveva visto non appena entrata a Hogwarts, per poco non si mise a ridere: ricordava ancora con precisione l’espressione sconvolta con cui Ginny aveva appreso la notizia di stare per diventare zia.
Anche Ginny stava reagendo al lutto per Fred; era giovane e forte, e aveva assorbito l’urto sicuramente meglio di quanto non avessero fatto i suoi genitori. Come vide la bambina si fiondò a prenderla in braccio e a rimirarla, felicissima.
- È cresciuta un sacco, in due mesi - commentò, entusiasta. - Ehi! Ti ricordi di me? Sono la zia Ginny!
La piccola fece un gran sorriso in risposta a quello di Ginny, e la ragazza gorgogliò estasiata.
- Sai, - disse Arthur a Audrey, mentre Percy, colto da un piccolo attacco di gelosia, cercava di riprendere Molly dalla sorella (“Dai, ridammela...” “No, altri cinque minuti!”), - mia moglie mi ha detto che le farebbe piacere conoscerti. Perché non… venite tutti e tre a cena da noi, uno di questi giorni?
Era martedì, iniziava il mese di luglio, e da lì ebbe inizio la consuetudine dei martedì sera di Percy e Audrey alla Tana. Le prime volte non furono esattamente felici: per quanto tutti si sforzassero di mantenere un’atmosfera normale, l’aria che si respirava era ancora decisamente pesante. Quelli che facevano i maggiori sforzi per tenere su le serate erano i ragazzi più giovani; in genere, però, questi sforzi erano vanificati da George, il cui silenzio sembrava coprire le voci di tutti.
Percy usciva da quelle serate sempre più triste e imbarazzato, immaginando come Audrey dovesse sentirsi a stare in compagnia di una famiglia ancora in lutto; lei, però, non diede mai mostra di fastidio o disagio, anzi.
Aveva desiderato talmente tanto conoscere la famiglia del suo compagno, che già il fatto di essere lì tra loro la rendeva felice; inoltre sapeva perfettamente di non potersi aspettare momenti allegri da loro. Hanno perso un figlio, dannazione: sarebbe strano se non si sentissero ancora abbattuti…
Uno di quei martedì Audrey divenne a tutti gli effetti parte della famiglia. Come suo solito era seduta tra Percy ed Hermione Granger; davanti a lei sedevano Ginny, Ron e George, che a quanto le avevano detto era stato il fratello gemello di Fred. Abituata ormai al silenzio pesante che George manteneva, Audrey era solita non rivolgersi a lui; si sentì quindi fortemente sorpresa quando si rese conto che, contrariamente al solito, George la stava fissando insistentemente.
Audrey si volse verso di lui, guardandolo interrogativa. George seguitò a fissarla senza batter ciglio.
A un certo punto schioccò la lingua e disse:
- No, mi sbagliavo. Tu esisti davvero.
Mentre tutti attorno al tavolo tacevano, colpiti da quell’imprevisto, Audrey ribatté senza pensarci:
- Però. Si nota tanto, eh?
George non replicò. Abbozzò quello che sembrava un sorriso, poi riprese a mangiare in silenzio.
Nella quiete che seguì, su tutti i Weasley, originari e acquisiti, gravava una forte consapevolezza: Audrey Bennet era appena diventata una di loro.
 
 
 
 
Un po’ a fatica, il tempo passò. Passò l’estate e arrivò la fine di agosto; in quel periodo Arthur cercava di convincere Percy a tornare a lavorare al Ministero. Il ragazzo non ne aveva la minima intenzione: la sola idea del Ministero gli faceva ribrezzo.
- Non ci torno, papà, è inutile che tu insista - ripeteva almeno due volte al giorno.
- Perce, finirai col pentirtene - replicava stancamente Arthur ogni volta.
Tutto inutile: Percy sembrava disposto a fare qualsiasi lavoro purché non implicasse un incarico ministeriale di qualsiasi livello. Se poco tempo prima era stato esasperante nel suo attaccamento al lavoro, adesso quel rifiuto era altrettanto irritante, se non di più.
- Tuo padre ha ragione, Perce, - sbottò Audrey una sera, stufa di sentire Percy lamentarsi, - finirai col pentirtene. Sai lavorare al Ministero, sei bravo nel tuo lavoro, quindi perché non lo fai e basta?
- Non ci torno.
- Sei infantile.
- Va bene, ma non ci torno.
- Persino Adams è tornato a lavorare. Adams! Nonostante a lui e agli altri ex detenuti sia stato garantito il vitalizio! E io aspetto solo che Molly sia un po’ più grande per riprendermi il posto. Solo tu ti ostini in questo modo!
- Non. Ci. Torno.
- Se non torni al Ministero ti lascio.
- Non lo faresti mai - disse Percy, con una traccia di preoccupazione nella voce.
- Ne sei così sicuro?
Percy non ribatté; aprì la bocca ma non rispose. Non era un tipo impressionabile, ma due cose gli facevano paura: le aule giudiziarie e la determinazione di Audrey.
Quella notte, in preda al nervosismo, decise che l’indomani avrebbe parlato con suo padre.
Dannata strega. Vince sempre lei.
 
 
Uscì fuori che il Ministro ad interim Kingsley Shacklebolt era in cerca di un assistente da mesi, e che aveva accolto con entusiasmo la proposta di Arthur di assumere suo figlio Percy. L’unico problema era convincere quest’ultimo a tornare a lavorare in quell’ambiente, problema risolto brillantemente da Audrey.
Con grande riluttanza iniziale, poi con sempre maggior soddisfazione, Percy Weasley ricoprì per molti anni l’incarico di assistente del Ministro Shacklebolt, e non gli diede mai motivo di lamentarsi di lui.
 
 
Altri mesi, altre stagioni. Un soffio di vento, ed era già novembre. Ginny Weasley era diventata la madrina della piccola Molly, che iniziava una decisa esplorazione del mondo: qualsiasi oggetto le capitasse sotto tiro finiva immancabilmente a contatto con la sua bocca da lattante; ciò coincise con un aumento della capacità di Audrey di tenere la casa in perfetto ordine.
La famiglia Weasley aveva finalmente iniziato a pensare ad altro che non fosse la battaglia. Ad esempio, iniziavano tutti a chiedersi quando Percy si sarebbe deciso a sposare Audrey.
- Ormai dovrebbero averlo già fatto… - commentò la signora Weasley distrattamente, in un momento in cui non era preda della sua ormai abituale iperattività. - Mi stupisce che proprio Percy… Da lui una cosa del genere…
Gli altri non erano tradizionalisti come la signora Weasley, ma pensavano tutti che un matrimonio, dopo sei mesi, fosse proprio quello che ci voleva per distrarsi un po’.
- La mamma ha ragione, Perce: sarebbe anche ora - diceva Ron, nei momenti in cui era sicuro che Audrey non sentisse.
- Sarebbe così bello, una festa in famiglia! - incalzava Ginny.
- Senza contare che avremmo qualcosa di diverso a cui pensare - aggiungeva Bill.
Discussioni simili si svolgevano ormai di continuo, nei martedì sera alla Tana, sempre lontano dalle orecchie di Audrey. Percy aveva provato a spiegare che la ragazza era decisamente contraria al matrimonio, che lui aveva già provato a proporglielo (- Sì, ma l’hai fatto in un modo orribile!) e lei aveva già risposto di no (- Non ti ha risposto, ha solo smesso di parlarti!) e che se avesse ripreso l’argomento l’avrebbe solo fatta arrabbiare (- Che sarà mai? Una Banshee? Andiamo, Perce…); ma niente. I suoi fratelli insistevano, i suoi genitori osservavano, e tutti si aspettavano che lui convincesse Audrey al grande passo.
 
Da parte sua, Percy sapeva perfettamente cosa fare.
Non sarebbe andato contro Audrey. Non avrebbe anteposto la propria felicità a quella di lei. Certo, lui avrebbe desiderato veramente sposarla, e non solo perché lo richiedevano i suoi parenti… Ma Audrey era più importante. Se non voleva, non voleva.
Non sarò io ad insistere. Non sarò io a farla sentire costretta a fare qualcosa.
Perché, poi? Non stiamo già bene così?
Sì.
Non importa quello che voglio io.
Tanto mi direbbe comunque di no, è inutile anche provarci.
E poi non saprei nemmeno come chiederglielo.
Sarebbe bello, però.
Già.
 
 
 



 
 
- Sposami.











Piccole note prima dell’annuncio vero e proprio (da leggere, per cortesia!):
1) Niente, non c’è niente da fare. Adoro Arthur. E il bello è che lui sembra adorare me, perché decide di apparire nella mia storia quando meno me l’aspetto. Tanto per dirvi, la prima volta che ho scritto questo capitolo lui non compariva affatto, nemmeno di striscio; poi a un certo punto è apparso, e poi Percy ha avuto la bella idea di invitarlo a casa sua, e… alla fine ha preso sempre più spazio. Ma non mi importa, io lo adoro.
2) Non c’entra niente, ma guardatevi questa fanart. Mi ha fatta ridere veramente un sacco (e ha fatto imbarazzare molto Percy ^^):
 http://slinkers.deviantart.com/gallery/217757?offset=24#/d17o3d0
(spero capiate l’inglese!)
3) Arthur rischia di pestare Lucius nella “Camera dei Segreti”; spero vi ricordiate quell’episodio, perché è uno dei miei preferiti ^^
(Eh, come, no, ci avrei giurato. Nulla ti rende più felice di una scazzottata all’irlandese, giusto?)
Gius-ehi, tu! Torna nello sgabuzzino, ti ho già detto che non puoi intervenire nelle note d’autrice!
4) NO MARY SUE. Audrey non diventa all’improvviso colei che salva i Weasley dalla malinconia, né si trasforma nell’amica del cuore di George. Okay? Il fatto che abbia dato occasione a quest’ultimo di iniziare a riaprirsi al mondo con una piccola battuta è collegato solo al di lei legame con Percy, NON al fatto che sia talmente brava/bella/buona da compiere miracoli. Oh.
Audrey è una brava ragazza un po’ bifolca, e basta.
5) Queste musiche hanno accompagnato buona parte della faticosa stesura di questo capitolo:
http://www.youtube.com/watch?v=r0SoF0orkpI
http://www.youtube.com/watch?v=HEt2XdN_TbQ
http://www.youtube.com/watch?v=MDTlQ9xgtGk&NR=1



E ora, le ciacole:

Ma salve, miei cari!
Perdonatemi il ritardo, ma purtroppo l’estate, per la sottoscritta, non porta riposo e tempo libero ma solo maggior carico di studio e maggior quantità di impegni; le ff sono state il mio ultimo problema, ahimè.
Inoltre ho scoperto di avere dei seri problemi, quando si tratta di sganciarsi dalla linea temporale della Rowling e parlare del dopoguerra.
 
Spero vivamente che esami e pagelle siano andati bene, e che vi prepariate a passare delle belle vacanze. A questo proposito, debbo annunciare che sto per prendermi una vacanza anche io.
Ebbene sì, carissimi: fino a settembre non avrò modo di scrivere alcunché, men che meno di aggiornare la long. Mi dispiace lasciarvi “a secco” per così tanto tempo, anche perché in origine contavo di finire la storia entro luglio, ma il tempo è tiranno…
…Insomma, per farla breve, visto che Percy deve tornare a lavorare urgentemente al Ministero e io sarò impegnata con vacanze, fidanzato e due campi scout, dobbiamo lasciarci qui, per il momento. Prometto solennemente che non sparirò, e che a settembre riprenderò con i consueti aggiornamenti.
Nel frattempo, se siete in cerca di qualcosa da leggere, in fondo alle note troverete dei link a fanfiction che mi hanno particolarmente colpita o a pagine di autori che ritengo meritevoli di essere letti. Non ho indicato il nome delle storie nei link, così sono sicura che, almeno per curiosità, ci darete almeno uno sguardo ^^
Leggete e recensite, oh miei adorati lettori! (E se poi leggete pure le altre mie storie, non mi lamento affatto ^^)
Nel frattempo, vi ringrazio calorosamente per avermi seguita finora, per l’affetto che avete dimostrato per questa sciocca long e per tutti i complimenti che ho ricevuto.
E ora… no, Perce, piantala, piantala! Ho detto di no, li spaventeresti, smettila sub-
 
Niente come il vecchio Levicorpus per placare le escandescenze di una scrittrice esagitata.
Oh, sono in diretta? Ehm ehm. Prova. Prova. Sì, mi pare funzioni.
Salve a tutti. Dubito che siano necessarie delle presentazioni, perché tutti voi sapete benissimo chi sono, e io non potrei comunque sentirvi se anche forniste le vostre generalità. Quindi, salve a tutti.
Non è la prima volta che riesco a impadronirmi della tastiera, come alcune lettrici ben sanno, ma la “ragazza” che mi ospita in questo periodo è poco propensa a farmi comunicare direttamente con tutti voi; a fronte di questa nostra lunga separazione, tuttavia, sento che è giunto il momento di un breve discorso di commiato per i MIEI lettori.
Unitamente alla cosiddetta “signorina” Ferao, mia non proprio gentile ospite, desidero porgervi i miei più calorosi ringraziamenti per l’interesse dimostrato in questi mesi verso di me e verso la mia storia. Nonostante alcuni di voi non si siano fatti scrupoli a ribadire più volte una feroce e inspiegabile antipatia nei miei confronti…
 
Inspiegabile un CORNO! Mettimi giù, scimmia occhialuta!
 
…sono estremamente lieto del fatto che molti lettori e lettrici hanno preso a cuore le mie vicissitudini, arrivando persino a riconsiderarmi e a valutarmi in maniera più benigna. Non posso negare che parte del merito vada alle doti scrittorie della mia biografa, “signorina” Ferao…
 
Parte del merito? PARTE DEL-oh, Merlino, se scendo ti riduco a cibo per Kneazle!
 
…alla quale quindi dedico un ringraziamento. È con dispiacere tuttavia che devo mettervi sull’avviso, in quanto la suddetta “signorina”, se anche presenta delle vaghe ma indiscutibili abilità nell’arte del “fanwriting”, sembra soffrire di una grave deficienza dei più elementari sentimenti di accoglienza: sconsiglio a chiunque di andarla a trovare, poiché il suo concetto di “ospitalità” si traduce immancabilmente in uno sgabuzzino polveroso e in avanzi di cibo scadente.
 
È anche troppo, rispetto a quello che ti meriti! TU, lurido ingrato, schifoso viscido verme, tu brutto…
 
*Silencio* Tuttavia, bisogna dare a Godric quel che è di Godric, indi per cui ringrazio sentitamente la suddetta Fera e soprattutto ringrazio voi, egregi lettori e sensibili lettrici, per il vostro gentile interessamento.
Sono certo che, al mio ritorno dal Ministero, Fera ed io vi ritroveremo tutti qui con la stessa fedeltà di cui avete dato prova in questi mesi.
Ora, signori e signorine, devo proprio scappare, altrimenti perderò l’ultima Passaporta per l’Inghilterra. So che è consuetudine fra voi salutarvi mandandovi “un abbraccio” o smancerie simili, ma sono dell’opinione che si debbano ricuperare usi e costumi più civili e adeguati al MIO livello: perciò, mi congederò da voi con una semplice stretta di mano.
Cordialmente
Percy I. Weasley
 
P.S.: Quasi dimenticavo. Troverete nelle vostre caselle e-mail (sì, perché io SO usare i vostri marchingegni Babbani, al contrario della notoriamente imbranata Fera) dei volantini propagandistici a sostegno della mia candidatura a membro permanente del Wizengamot: siete pregati di diffonderli il più possibile tra parenti ed amici, meglio se maghi. Grazie.
 
 
 
 
…Ah, già, quasi dimenticavo: *Finite Incantatem*
A presto, Fera! Ti manderò Hermes appena arrivo, così non starai in pensiero!
 
 
 
…Sarò molto più in pensiero sapendo che è arrivato sano e salvo in Inghilterra…
 
Improvvisamente mi sento meno propensa a tornare a scrivere a settembre. Chissà perché.
Vabbè. Perdonate questo infelice stacchetto, ma da secoli Percy bramava di comunicare direttamente con voi… e sa diventare mortalmente insistente, se ci si mette.
 
Buone vacanze, o comunque buona estate, miei cari!
Un abbraccio e svariati bacioni invadenti e bavosi, tanto per compensare l’umidiccia stretta di mano di P.W.
Sempre vostra
Fera
 
E non dimenticate di dare un’occhiata a questi link! RECENSITE queste storie, soprattutto, perché lo meritano e perché farete felici le autrici!
 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=747138&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=734833   
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=733273 
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=54430
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=741475 
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=748168&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=742292
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=744317
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=106913  
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=738547
http://www.efpfanfic.net/viewuser.php?uid=115280
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=752282&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=747138&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=749539
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=746435


...ah, se poi volete leggere e recensire anche le mie storie io non mi lamento di certo ^^
Ri-buone vacanze
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 26
*** Dieci buoni motivi ***


 

Dieci buoni motivi





 

 
Sulle prime Audrey pensò di non aver capito bene. Quello emesso da Percy era stato appena un sussurro, non molto diverso in effetti dagli ansiti che si erano accavallati tra loro fino a poco prima.
Dopo qualche secondo, però, la ragazza dovette riconoscere che forse non si era sbagliata: la parola che Percy aveva pronunciato le rimbombava nelle orecchie con sorprendente chiarezza.
Tuttavia rifiutò ancora di preoccuparsi; disse a se stessa che, in fondo, molto probabilmente lui non intendeva davvero dire quella cosa. Insomma, avevano appena fatto l’amore, no? In quei momenti non si sa mai cosa si dice, non ci si sta a pensare troppo su…
Sì, la colpa era della poca lucidità di Percy, senza dubbio. In condizioni normali, infatti, lui avrebbe saputo benissimo che quello era un argomento su cui non si doveva discutere nemmeno alla lontana; se Percy fosse stato presente a se stesso avrebbe potuto prevedere le reazioni di Audrey ad una richiesta del genere e avrebbe quindi evitato con cautela di toccare quel tasto.
Già, certo, era sicuramente così. Percy non voleva dire davvero quella cosa. Ovvio.
Però il dubbio restava, ed era così forte che Audrey non riuscì a resistere.
Costrinse Percy a staccarsi da lei, cercò di guardarlo negli occhi attraverso la penombra e gli disse:
- Come, scusa?
Sulle prime Percy non disse niente. Si rannicchiò nella sua parte di letto, senza smettere di guardare Audrey.
- Sposami - ripeté.
Il suo tono era tranquillo, sicuro; Percy ci aveva pensato su troppo a lungo per potersi sentire imbarazzato o incerto. Tuttavia fu proprio questa sicurezza a far salire l’irritazione di Audrey.
La ragazza si alzò a sedere e contrasse le labbra, stizzita.
- Mi prendi in giro, vero?- domandò, con voce malferma.
Percy l’osservò con estrema serenità; non si aspettava certo salti di gioia dalla sua compagna, anzi, si era preparato a una reazione molto più veemente.
- No. Dico sul serio - rispose.
- Non è possibile.
- Invece sì.
- Allora sei impazzito.
Percy tacque un istante. - Forse.
Inconcepibile. Assolutamente inconcepibile. Da quel lontano febbraio, quando Percy aveva accennato vagamente e goffamente ad una possibilità di sposarsi, l’argomento non era stato più toccato; e ora, quando finalmente avevano recuperato un equilibrio e iniziavano a vivere serenamente…
Inconcepibile.
- Allora? - domandò di nuovo Percy. - Vuoi sposarmi?
Eh no. Lo stava facendo apposta per irritarla, allora.
Se non fosse stato per la bambina, che dormiva nella culla a pochi metri da loro, Audrey avrebbe sicuramente avuto uno scatto di rabbia; riuscì però a contenersi. Si morse forte la lingua, poi, senza degnare Percy di uno sguardo, s’infilò velocemente sotto le coperte e gli diede le spalle.
- Ne parliamo domani - mugugnò a denti stretti, decisa a non aggiungere più una parola a quel dialogo irritante. Sapendo che Percy voleva sempre avere l’ultima parola, tese d’istinto le orecchie per aspettare una replica, ma questa non arrivò. Percy si limitò ad avvolgersi a sua volta nel lenzuolo e a voltarsi dall’altra parte.
 
 
 
 
Non ne riparlarono né l’indomani, né il giorno successivo, né tutta la settimana seguente. Audrey era sempre guardinga, temendo un possibile colpo basso; Percy invece si comportava come al solito, e pareva essersi dimenticato di quello che aveva detto così avventatamente proprio come si dimenticava, di solito, di tutte le incoerenze che diceva nei momenti dopo l’amore.
Insomma, per tutta la settimana nessuno dei due accennò a quel discorso, e basta.
 
 
 
 
È necessario, prima di continuare a parlare degli avvenimenti che conseguirono a questa azione sconsiderata di Percy, che si mettano per un po’ da parte le vicende dei nostri amici e si parli di altre persone molto importanti per questa storia.
Ad esempio, la signora Molly Weasley.
 
Il lutto di una madre è difficilmente concepibile; qualsiasi tentativo di descriverlo o metaforizzarlo risulterebbe vano e riduttivo. Sappiate solo (se ancora lo ignorate) che Molly Weasley era e fu sempre una donna forte, molto forte; era caduta in un baratro, è vero, ma avrebbe potuto uscirne con decisione se avesse avuto dei buoni motivi per farlo.
Verso giugno, un mese dopo la battaglia, avvenne il primo degli eventi che la scossero e la fecero tornare per un po’ quella di una volta: dopo alcune settimane di ricerca, Hermione Granger era tornata dall’Australia insieme ai suoi genitori, i quali – a quanto era stato dato da capire a Percy e Audrey – avevano subìto una modifica della memoria molto forte.
Due giorni dopo il loro ritorno, Hermione Granger era arrivata alla Tana praticamente in lacrime: diceva che i suoi genitori erano apatici, non sembravano felici di essere lì, che lei doveva occuparsi di loro come se fossero degli invalidi e che non sapeva come né quando sarebbero finalmente tornati normali.
Lo sfogo durò qualche minuto; durante questo lasso di tempo Molly rimase ferma, in ascolto, abbandonando il suo frenetico lavoro a maglia. Dopodiché disse senza esitare:
- Portali qui. Potremo occuparci noi dei tuoi genitori, finché non si sentiranno pronti a tornare alle loro vite.
- Signora Weasley, non so se…
- Non discutere, Hermione. - Sorrise per la prima volta dopo settimane. - Sarò vecchia, ma non ancora troppo vecchia per occuparmi di un paio di persone.
 
Nessuno osò controbattere alla proposta di Molly, tantomeno Hermione. Tre giorni dopo, la Tana era pulita, ordinata e pronta per accogliere i suoi ospiti: Molly aveva coinvolto buona parte della sua famiglia nella risistemazione della casa dei Weasley, e aveva diretto i lavori non con l’ormai consueta frenesia ma con un’energia diversa, viva, piena d’amore.
Era davvero quella di una volta, e se ne accorsero tutti.
Il miglioramento dei coniugi Granger, in quel luogo pieno d’amore, fu netto; dopo una quindicina di giorni si erano totalmente ripresi, e tornarono nella loro casa Babbana per riprendere possesso delle loro vite. Due ore dopo che avevano lasciato la Tana, Percy sorprese sua madre a strofinare vigorosamente e inutilmente un bicchiere già pulito.
Le pareti del baratro la circondavano ancora.
 
 
In luglio Arthur ebbe la brillante idea di invitare alla Tana Percy con la sua nuova famiglia, sapendo perfettamente quanto questo avrebbe avuto effetto su sua moglie. Bisogna a questo punto precisare una cosa: la signora Weasley aveva visto Audrey soltanto una volta, il giorno della battaglia, mentre questa si trovava in stato d’incoscienza all’ospedale Babbano; idem per la bambina. In un mondo diverso, in cui i suoi figli fossero stati sette, la signora Weasley sarebbe stata così eccitata all’idea di avere una nipotina col suo stesso nome – da Percy, poi! – da non stare più nella pelle: sarebbe andata ogni giorno a casa di Percy per dare consigli alla sua quasi-nuora, per correggerla, criticarla e all’occorrenza occuparsi lei stessa della seconda Molly in nome della propria esperienza pluridecennale; avrebbe invitato di continuo i tre alla Tana per conoscere meglio Audrey, farsi un’idea del tipo di donna che aveva conquistato il più introverso dei suoi figli e capire se era davvero adatta a lui; avrebbe fatto inoltre allusioni più o meno velate ad un possibile matrimonio, di cui naturalmente si sarebbe occupata nei minimi dettagli e che avrebbe reso memorabile, come quello di Bill.
Ma i suoi figli erano sei, quindi Molly Weasley non poteva fare nessuna di queste cose. Per questo, e per una sorta di inutile delicatezza da parte di Percy, fino ad inizio luglio la signora Weasley non conobbe né la sua quasi-nuora né sua nipote.
Per fortuna Arthur conosceva ogni singola piega dell’animo di sua moglie, ed ebbe la prontezza di capire che quello sarebbe stato un evento che l’avrebbe decisamente spinta verso l’apertura del baratro; per questo, il pomeriggio in cui andò a casa di suo figlio accompagnato da Ginny, decise che era ora di far entrare le due sconosciute – Audrey e la seconda Molly – nella sua (e loro) famiglia.
 
 
Torniamo quindi indietro, a luglio, a quel fatidico martedì sera. I fratelli di Percy non gli avevano ancora messo in testa la malsana idea di proporsi a Audrey, e quelli che si trovavano sulla soglia della Tana erano una neo-mamma ancora molto impacciata, un disoccupato decisamente attaccato a entrambe le sue famiglie e una piccola di due mesi che trovava assai divertente agitarsi come una pazza sul marsupio porta-neonati (regalo della signora Bennet) che Percy portava appeso davanti a sé con una certa dignità.
I due adulti apparivano decisamente nervosi, per motivi ben diversi. Audrey si sentiva divisa a metà come un’albicocca aperta: da un lato non vedeva l’ora di conoscere finalmente la famiglia di cui Percy aveva parlato tanto, vedere la casa dove era cresciuto e scoprire se gli altri Weasley somigliavano tutti al suo compagno o se c’era una minima speranza che la sua bambina venisse su normale; d’altro canto, se la stava praticamente facendo sotto per il nervosismo.
E se faccio brutta figura? E se li deludo? E se deludo Percy? E se pensassero che non vado bene per lui? E se sbagliassi qualcosa? E se non gli andasse bene che abbiamo avuto una figlia così giovani? Ecco, lo sapevo. Andrà male. Andrà malissimo. Mi odieranno. Lo so. Anche il signor Weasley mi odierà. Anche Ginny. Oh Merlino. Oh Helga. Oh cazzo.
Che diavolo ci faccio ancora qui?!
Le preoccupazioni di Percy avevano stessa natura ma diversa direzione: sapeva che i Weasley avrebbero letteralmente adorato una come Audrey, persino sua madre; ma cosa sarebbe potuto succedere se loro non fossero piaciuti a lei? Se li avesse trovati troppo espansivi e confusionari, o, al contrario, troppo depressi e tristi per Fred? Se avessero fatto fuggire Audrey a gambe levate?
Percy guardò alla propria destra, verso la ragazza. Si stava mordicchiando l’interno di una guancia, segno che era estremamente nervosa.
D’altronde, prima o poi bisogna farlo. Facciamolo e basta.
Sospirò e alzò la mano per bussare.
- Aspetta!
La mano ricadde giù. Percy si girò di scatto verso Audrey, scatenando le risa di Molly, felice di ritrovarsi faccia a faccia con la sua mamma.
- Che c’è, Bennet? Non avrai di nuovo scordato qualcosa a casa, spero! Ti ricordo che siamo già in ritardo di un quarto d’ora e che…
- No, stavolta sono sicura di aver preso tutto. No, è solo che… Ecco… Mi chiedevo…
Percy scrollò il capo. I quindici minuti sarebbero diventati mezz’ora.
- Bennet, spero che sia una cosa seria, perché ogni minuto passato su questa soglia mi rende più nervoso. Cosa c’è?
Finalmente Audrey si decise. - Ecco, mi è venuto in mente che so come si chiama tuo padre, ma non tua madre.
Argh!
Percy fece un gesto con la mano come per scacciare una mosca. - Che sciocchezza, non ti serve sapere come…
- E invece sì! Diamine, dei tuoi fratelli non mi importa, ma di tua madre sì!
- Beh, ma… Ma… Ma tanto non ti chiederà mai di chiamarla per nome…
- Voglio saperlo lo stesso. Non si sa mai.
Niente: si era impuntata, e nulla avrebbe smosso Audrey dalla convinzione che, in quel momento, la cosa più importante del mondo era conoscere il nome di battesimo di sua suocera. Percy sospirò per l’ennesima volta in quella serata, dopodiché fissò lo sguardo sulla nuca della bambina e sulla rada peluria rossastra che iniziava a spuntarvi sopra.
Il momento della verità, tanto paventato da mesi, era arrivato.
E allora via.
Diede un colpetto di tosse, spostò il peso da una gamba all’altra per due volte, sospirò e disse: - Molly.
- Cosa?
- Molly.
Audrey osservò preoccupata la bambina e le prese le manine, suscitando in lei un gridolino di contentezza.
- Cos’ha Molly?
- Si chiama Molly.
Stavolta lo sguardo preoccupato fu per Percy. - Lo so che lei si chiama Molly! Quello che ti ho chiesto è come si chiama tua madre!
Percy strabuzzò gli occhi. Oh cielo, Bennet, non puoi essere seria!
No, invece Audrey era serissima. Ancora una volta Percy emise un gran sospiro.
- Mia madre si chiama Molly. Molly Weasley. Come lei.
Audrey Bennet – come ricordava spesso sua madre – non era una cima, ma nemmeno stupida; tuttavia le ci volle qualche secondo per registrare quella informazione.
- Tu… Tu… Tua madre si chiama Molly? - balbettò dopo qualche secondo.
Percy annuì gravemente. In fondo, quella era stata la parte più facile della questione: il peggio sarebbe arrivato di lì ad un istante.
La mente di Audrey intanto stava vagliando a velocità supersonica tutte le implicazioni comportate dal fatto che la signora Weasley si chiamasse Molly.
- Oh… Cavolo…
- Già.
- Perce… Ma allora…
- Sì.
- … Ho chiamato nostra figlia come tua madre senza saperlo?!
- Precisamente.
- Ma… Ma… Ma perché non me l’hai detto subito? - Audrey era incredula, ma sembrava anche entusiasta. - Percy, cavolo, è… è bellissimo! Ho dato il nome di tua madre a Molly e non l’ho nemmeno fatto apposta! Ma tu pensa… E dire che ancora all’ufficio dell’anagrafe ti ostinavi a volerla chiamare Lucy, ah! Quando tua madre saprà che è successo tutto per caso si farà di sicuro quattro risate… Oppure lo sa? Glielo hai già detto?
Eccolo. Il momento che Percy temeva di più.
Dai Grifondoro, puoi farcela. Non ti caverà gli occhi con le unghie, se sei fortunato.
Percy diede un altro colpetto di tosse e si preparò a smorzare l’entusiasmo della sua ragazza.
- Mia madre - espose, con finta tranquillità, - è in realtà convinta che io abbia voluto chiamare nostra figlia Molly per far piacere a lei. Per… riavvicinarmi alla famiglia, ecco.
Audrey scoppiò a ridere. - Ah, sì, proprio buona questa! Se penso che…
- E io lascio che la mamma lo pensi, perché in questo modo mi è più facile essere di nuovo ben accetto dai miei parenti. - Colpo di tosse, spostamento del peso da un piede all’altro, sguardo fisso sulla nuca di Molly. - E ti pregherei di non smentire questa versione, per favore.
Audrey lo fissò interdetta. Percy continuò a non guardarla, mentre Molly iniziò a ridere per conto suo agitando le manine.
- Percy Weasley… - ringhiò Audrey, precipitando all’istante al primo livello della fase Banshee. - Io ho dato a Molly un nome contro il quale tu ti sei battuto fino all’ultimo secondo, e adesso vorresti prenderti tutti i meriti?
Percy si sistemò gli occhiali, convinto che quel gesto gli restituisse una parvenza di dignità. - Esatto.
- Dovrei… Dovrei mentire a delle persone che nemmeno conosco solo per non farti fare brutta figura?
- Beh, mentire è una parola grossa… Direi piuttosto “omettere”, “sottacere”, “tralasciare”…
Audrey guardò Molly, e scambiò con lei un’occhiata che voleva essere d’intesa.
Che faccio, Pernille? Lo strozzo, lo trincio o lo frullo?
La faccetta di Molly sembrò dirle: “Mamma, perché lo chiedi a me? Ho solo due mesi, non ho ancora nessuna esperienza della vita. Tu lo conosci meglio di chiunque altro, e se ritieni che il mondo possa fare a meno di lui sei liberissima di ucciderlo; ti faccio però notare che per me ciò costituirebbe un grosso svantaggio: in primis perché difficilmente troverò una persona altrettanto brava a farmi addormentare la notte, e poi perché crescerei priva di una figura paterna e ciò inciderebbe sul sereno sviluppo della mia personalità.”
Ah, beh, rispose Audrey, a questo si può rimediare; ti ho mai parlato di zio Adams?
Audrey interpretò lo sguardo di Molly come un segno di scarsa approvazione. “Un brav’uomo senza dubbio, e anche decisamente affascinante”, sembrò che dicesse, “ma inspiegabilmente sento di preferire questo rosso qui. Mi dispiace, mamma, ma non posso farci nulla: de gustibus disputandum non est.”
Non scusarti, pulcino, non è colpa tua. Hai preso da me, purtroppo.
Audrey scosse il capo, rassegnata. Dentro di sé sapeva che quella non sarebbe stata l’ultima volta in cui sua figlia avrebbe preso le parti di Percy.
Guardò il suo compagno, sperando di trasmettergli un minimo di disprezzo. - Sei sempre il solito politicante ipocrita e approfittatore, Perce. Ti odio.
Per tutta risposta Percy sorrise sollevato.
- Grazie, Audrey.
- Non ringraziare me. E comunque… Mi devi un favore.
- Non mancherò di ricambiare, promesso.
 
Quando la porta si aprì, davanti a Audrey si parò una visione inaspettata: sulla soglia c’era un ragazzone muscoloso che aveva l’aspetto di chi, nella vita, non fa altro che vivere all’aria aperta, mangiare bene e far felice ogni donna che passa per la sua camera da letto.
Soltanto i capelli rossi lo qualificavano come “parente di Percy”. Nient’altro.
… Ah, beh. Si comincia bene!
- Tu sei Audrey - disse il ragazzone con un gran sorriso. - Finalmente riesco a conoscerti! Molto piacere, sono Charlie.
Il piacere è tutto mio, amico…
Audrey sentì lo sguardo di Percy trapanarle la nuca, e smise di pensare ciò che pensava. Non si sa mai, potrebbe essere un Legilimente senza che io lo sappia…
- Venite, mancate solo voi ormai; Bill e Fleur sono arrivati ore fa, Harry invece non c’è, è impegnato a fare chissà cosa chissà dove…
Prima di voltarsi e far loro strada verso il retro della Tana, Charlie rivolse un altro gran sorriso a Audrey, che inspiegabilmente si sentì molto meno agitata e molto più a suo agio.
Alla tavola erano già sedute diverse persone. C’era il signor Weasley, che si alzò subito per accogliere il figlio e la quasi-nuora; dopo di lui venne Ginny, che corse a prendere in braccio Molly e la mostrò poi in giro agli altri presenti, orgogliosa come se fosse figlia sua. Percy e Audrey furono fatti accomodare di fronte a Ginny e ad un altro fratello che si presentò come Ron.
- Ho già visto la tua faccia… - commentò Audrey, gentilmente ironica. - Doveva essere su una delle ultime Gazzette, se non sbaglio.
Ron arrossì, ma sembrava contento. Iniziarono a parlare, ma poi l’attenzione di Audrey fu catalizzata da Charlie che si accomodò alla sua sinistra. - Così, sei una mezza specie di mia cognata… Peccato, come al solito le ragazze più carine sono già occupate.
Beh, ora non farti condizionare dal fatto che ho una figlia con tuo fratello…
- Non hai un altro posto dove sederti, Charlie?
Audrey si girò verso la propria destra e fulminò Percy con lo sguardo, ma lui non ci badò. Se Audrey avesse avuto una memoria migliore, avrebbe notato che l’espressione con cui il suo compagno guardava Charlie era identica a quella con cui Ben, il suo ex, era stato congelato molti mesi prima.
- Mi spiace, Perce, come vedi è già tutto occupato, e quelli liberi sono i posti di mamma e George. Allora, - fece, tornando a rivolgersi a Audrey, - devi assolutamente raccontarmi come hai fatto a trovare Percy e a trasformarlo in un essere quasi umano.
A quella Audrey scoppiò a ridere, ma sentendo un silenzio di gelo alla propria destra smise subito. - Beh… Ehm… Immagino che tu voglia sapere come ci siamo conosciuti.
- Sì, mettiamola così. Lavori anche tu al Ministero?
- Lavoravo. Ero agli Archivi, e lui…
- Mi sembra di averti già raccontato questa storia, Charlie - la interruppe Percy, sempre gelido.
Charlie lo guardò sorpreso, poi sorrise di nuovo. - È vero, scusa… Devo essermene dimenticato.
Audrey avrebbe voluto rimproverare Percy, ma fu fermata da una voce che ancora non aveva mai sentito.
- Ci siete tutti? Arthur, manca qualcuno?
- No, Molly, solo tu…
Audrey drizzò le orecchie, imitata da Percy.
Cavolo!
La signora Weasley era appena uscita dalla cucina, con l’intenzione forse di controllare che a tavola fosse tutto a posto. Audrey pensò subito che con una madre così non ci si doveva annoiare mai in casa: sprizzava letteralmente energia da ogni poro.
Lei e Percy si alzarono e fecero per andare incontro alla Molly adulta, ma questa li precedette dirigendosi decisa verso di loro.
- Percy! Che bello averti qui… E tu devi essere…
- Audrey. Molto piacere, signora Weasley.
Le due donne si osservarono.  Audrey aveva solo cinque centimetri di vantaggio sulla signora Weasley, per cui quest’ultima riusciva a guardarla negli occhi senza difficoltà.
- Il piacere è mio, Audrey. Dico davvero. - Sorrise e si rivolse a Percy. - E… Per caso, avete portato anche… Oh!
Individuò la seconda Molly che gorgogliava gioiosa in braccio a Ginny. Sia Percy che Audrey osservarono attentamente la signora Weasley, aspettando di vedere come avrebbe reagito di fronte alla sua prima nipote.
Lì per lì la signora Weasley guardò la bambina da distante, in silenzio; dopo qualche secondo si voltò verso Percy, con gli occhi lucidi. - È… È così bella, Perce…
Audrey sorrise, estremamente intenerita. La signora Weasley prese finalmente in braccio la sua omonima, osservandola con qualcosa di simile all’adorazione, sotto gli sguardi silenziosi di tutti gli altri partecipanti alla cena.
- Oh, - sospirò alla fine la signora Weasley, - voi… siete stati così gentili a chiamarla come me… Sai, Audrey, Percy mi ha detto che tu avresti voluto chiamarla come tua madre, ma poi… Oh, sei stata così carina ad accettare di chiamarla Molly nonostante…
Il sorriso si congelò sul viso di Audrey, ma Percy fu rapido a darle, non visto, una gomitata nelle costole.
- Ah, non lo dica neanche - rispose la ragazza riprendendo fiato, - è stato un… un vero piacere… E poi Percy ci teneva così tanto
Approfittando del momento in cui la signora Weasley si voltava di nuovo a guardare la sua nipotina, Audrey scoccò un’occhiata molto, molto significativa a Percy.
Mi devi un favore ENORME, amore mio.
 
Nessuno dei timori di Percy e Audrey si realizzò durante la cena: la ragazza non fece nessuna brutta figura, e i Weasley non la fecero fuggire a gambe levate. Anzi.
Stare in loro compagnia era molto, molto più semplice e piacevole di quanto lei immaginasse.
Soprattutto se si tratta di Charlie…
- Davvero non ti piace il Quidditch? Naaa, non ci credo!
- Credici! Non lo sopporto, e in più soffro di vertigini.
- Scommetto che se ti portassi a volare cambieresti idea… Ero un ottimo giocatore a scuola, sai? Non è vero, Perce?
Quello che dava maggiormente chiacchiera a Audrey era proprio Charlie, che sembrava ben deciso a bombardare la ragazza di domande di tutti i tipi. Le aveva già carpito informazioni sulla sua famiglia, sulla Casa a cui era appartenuta, sui suoi hobby e adesso era arrivato – naturalmente – al Quidditch.
Chissà perché, al contrario di Audrey, Percy era rimasto silenzioso per tutta la serata. Alla domanda diretta di Charlie sollevò le spalle.
- Non so, non mi intendo di Quidditch…
- Oh, andiamo! Non vuoi proprio darmi soddisfazione? - fece Charlie ridendo. - Che fratello noioso…
Più noioso del solito, in effetti. Come mai è così giù? Pensavo fosse felice di presentarmi ai suoi… Tu che ne dici, Pernille? Non trovi che Percy sia decisamente monotono stasera?
La bambina sulle sue ginocchia la osservò priva d’espressione, poi, senza preavviso, rigurgitò sulla gonna di Audrey.
Ma che diamine! Cos’è, non posso dire proprio nulla di male su tuo padre?!
Tra mille scuse, Audrey si alzò e si diresse verso il bagno. Ci mise un po’ a trovarlo, visto che in proposito aveva ricevuto indicazioni diverse e persino contraddittorie; quando finalmente tornò, trovò il proprio posto accanto a Charlie occupato da Percy.
- Beh? - gli chiese, sorpresa.
Lui assunse l’espressione più innocente del mondo.
- La mia sedia è più comoda - spiegò con una tenerezza molto inconsueta.
Audrey lo osservò sospettosa, poi si sedette. Quella sedia era identica all’altra, se non più scomoda.
Guardò di nuovo verso Percy, che era tornato a mangiare senza dir nulla, e notò che ora si frapponeva casualmente tra lei e Charlie.
Ma…?
- Non badarci - le bisbigliò una voce alla sua destra. Audrey si trovò faccia a faccia con Hermione Granger, una ragazza dall’aria simpatica e decisamente sveglia.
- Come, scusa?
La ragazza sorrise. - I Weasley sono tutti così, dal primo all’ultimo: gelosi per natura.
Rivolse un’occhiata significativa a Ron, che non se ne accorse perché impegnato a parlare con Bill.
Finalmente Audrey riuscì a fare il collegamento che le mancava: Percy si stava semplicemente ingelosendo, forse a causa dell’interessamento che suo fratello stava dimostrando nei confronti di lei.
Cavolo… questo SÌ che è inaspettato…
Più che inaspettato, imbarazzante. Quasi imbarazzante come il momento in cui, poco prima, George era sceso dalla propria camera per mangiare: nessuno gli aveva rivolto la parola e lui stesso non aveva salutato nessuno, aveva ingoiato due bocconi ed era tornato al piano di sopra quasi senza far rumore.
Solo che adesso è ancora più imbarazzante.
Cavolo.
Ma che razza di sciocco che sei, Perce. Come puoi pensare che io… Eh?
Istintivamente allungò la mano verso quella di Percy, come per chiedergli scusa; lui la strinse forte e sorrise a Audrey, confortato.
Per fortuna che per dirsi certe cose non servono tante parole.
Lo sai che preferisco te, sempre e comunque. Un po’ come nostra figlia.
 
 
 
Quella lontana sera di luglio nessuno pensò nemmeno lontanamente di chiedere a Percy e Audrey quando si sarebbero sposati; come ben sappiamo, i fratelli Weasley iniziarono a cercare di convincere Percy solo da ottobre, e verso la fine di quel mese lui stesso decise che era giunto il momento di pensarci seriamente.
La signora Weasley, invece, ci pensava già da parecchio tempo. Per l’esattezza, ci pensava già dalla lontana sera di luglio che è stata descritta poco fa.
La signora Weasley era sposata da molto tempo e innamorata da ancora più tempo; nonostante una fitta nebbia avvolgesse i suoi pensieri, quella sera non era riuscita a non accorgersi di ogni sguardo, parola o gesto intercorso tra Percy e Audrey. Non aveva potuto non notare la gelosia di suo figlio e il silenzioso gesto di scusa della ragazza. Non aveva potuto non pensare che quei due dovevano sposarsi, perché sì.
Ci pensava, e più ci pensava più si convinceva che era così, che se Percy aveva trovato Audrey se la doveva tenere; ne trovava conferma ogni volta che li vedeva insieme, con o senza la bambina.
A inizio novembre lasciò che quell’idea vaga si trasmettesse anche ai suoi figli, e quando giunse a Percy la signora Weasley rimase in attesa, aspettando che lui facesse la cosa giusta.
Una volta che l’avesse fatta, avrebbe poi saputo lei come regolarsi. Eccome, se l’avrebbe saputo.
 
 
 
 
 
Torniamo però a quel freddo e piovoso novembre. Una settimana dopo l’avventata proposta di Percy, Audrey iniziò a rilassarsi; il suo ragazzo non dava segni di voler tentare di nuovo il suicidio per mezzo di richieste assurde: probabilmente si era reso conto che lei mai e poi mai avrebbe accettato di sposarlo.
Ma figurati. Come se non glielo avessi detto mille volte: non c’è bisogno di sposarsi per stare bene insieme. Alla fin fine due persone possono amarsi senza doverlo dichiarare davanti a tutti, no?
Che poi, che vuol dire “per tutta la vita”? La vita finisce. È inutile fare promesse su una cosa che dura così poco.
Vedi mio padre, per esempio.
E comunque, se anche decidessi di sposarlo non sarebbe adesso; ho ventun anni, cavolo, vorrei almeno evitare di sentirmi legata già da adesso. Sbaglio?
Contro questi pensieri sarebbe stato inutile far leva su elementi quali il fatto che, alla fin fine, lei e Percy vivessero già come una coppia sposata e che avere una figlia era già un legame piuttosto forte, a ventun anni: niente e nessuno le avrebbe fatto cambiare idea. “Zuccona”, avrebbe detto la signora Bennet.
Ad ogni modo, Percy non le chiese più nulla fino al dieci novembre.
 
L’undici novembre Percy tentò il suicidio un’altra volta.
Verso le sei di sera, come al solito, si Materializzò silenziosamente davanti alla porta di casa e andò a scontrarsi con la signora Bennet, che stava uscendo di corsa.
- Oh… Scusa, Percy…
- Nessun problema.
- Ah! - esclamò allora la signora Bennet, mettendo su un cipiglio inferocito. - Lo dici tu, che non c’è nessun problema! Vallo a dire a quella sciroccata di mia figlia, per cortesia!
E con una rapida piroetta scomparve.
Percy sospirò. Quella storia andava avanti ormai da mesi: ogni volta che la signora Bennet veniva a trovare Audrey, finiva per litigare con lei a proposito del modo in cui si occupava di Molly.
Una volta era per i vestiti, un’altra per il bagnetto, un’altra volta ancora per i giocattoli “poco adatti”… La signora Bennet, in buona fede, credeva di dispensare utili consigli, ma non capiva che Audrey non ne aveva affatto bisogno visto il modo eccellente in cui stava crescendo la bambina; quando la ragazza glielo faceva notare, la signora Bennet si offendeva e accusava la figlia di essere testarda e di non voler ammettere di aver bisogno d’aiuto.
Era così da mesi; la signora Bennet se ne andava affranta, lasciando Audrey afflitta e piena di dubbi.
E io raccolgo i cocci.
Queste donne…
Entrando in casa trovò un silenzio decisamente pesante, il tipico silenzio che segue alle discussioni urlate. Non so se avete mai fatto caso a quei silenzi, ma hanno sempre un che di strano: è come se, una volta cessate le urla, qualcosa sparisse dalla stanza, o al contrario compaia qualcosa di invisibile ma palpabile che toglie l’aria.
In questo silenzio stava Audrey, fissando senza vederla la libreria di fronte al divano.
E io raccolgo i cocci.
- Ehi…
Audrey tirò sul col naso, poi si voltò a guardarlo. Era ancora più triste del solito, ancora più bisognosa di conforto.
Percy sospirò di nuovo, levò il pesante mantello e andò a sedersi vicino a lei; Audrey si accoccolò contro di lui, le gambe ritirate sul divano.
- Per cos’era, stavolta? - domandò Percy, un po’ ironico.
- Il cibo. Ho dato a Molly una mela a pezzetti, e mia madre ha detto che è troppo presto, che a sei mesi deve mangiare ancora pappe e schifezze simili. - Tirò di nuovo su col naso. - Ma ormai ha i denti, e vuole cose più sostanziose, e…
Si accoccolò ancora di più. - Ho sbagliato, vero?
Bene, adesso toccava a lui. Ogni volta che la signora Bennet le metteva un Chizpurfle nelle orecchie, Audrey chiedeva il parere di Percy; aveva sempre bisogno di conferme, o al limite di consigli.
Il bello era che nelle sue risposte Percy era assolutamente sincero: dava ragione a Audrey solo quando pensava davvero che lei fosse nel giusto. Vi parrà strano, ma Audrey apprezzava moltissimo questo suo modo di fare, questa sua schiettezza anche nel mostrarle i suoi difetti – tranne quando mancava totalmente di tatto, ovvio.
Anche quella sera Percy fu onesto. - No, non hai sbagliato per niente; anzi, hai fatto tutto benissimo.
- Ne sei sicuro?
- Non fare domande sciocche, Bennet: se lo dico io significa che è vero.
Audrey sorrise, sebbene non del tutto consolata. - Sbaglio, o più lavori col Ministro più ti monti la testa?
Anche Percy sorrise. - Beh, sei stata tu a volere che tornassi al Ministero a tutti i costi… - Finse di pensarci su. - Se ricordo bene, avevi anche detto che se non avessi ripreso a lavorare mi avresti lasciato.
Audrey si alzò un po’ e lo guardò. - Che sciocco che sei. Non ti lascerei mai, lo sai.
Poi tornò a stringersi contro di lui, senza vedere che Percy stava arrossendo. Diamine, quasi due anni che stiamo insieme e ancora non mi abituo a queste frasi…
- Quindi, - fece Audrey dopo qualche istante, - non ho sbagliato? Non sono una frana, una testarda, una ragazzina senza esperienza?
- È questo che ti ha detto tua madre?
Audrey alzò le spalle. Percy iniziò ad accarezzarle i capelli.
- No. Non sei nessuna di queste cose, e lo sa anche tua madre. Tu sei… - si fermò, pensando alle parole da usare per esprimere ciò che aveva in mente. - Sei... Beh, sei la migliore.
… La migliore cosa?!
- La migliore… cosa?
Audrey osservò Percy vagamente preoccupata, ma lui sembrava stranamente convinto di quello che diceva.
- La migliore e basta. In assoluto. E…
Tacque. Ecco, lo sapeva: l’avrebbe detto di nuovo.
Già farselo sfuggire una settimana prima era stato rischioso, sapeva quanto Audrey desiderasse non parlare di matrimonio… Ma niente, era più forte di lui. Una parte di Percy – la parte che credeva nella famiglia, che pensava che promettersi di stare insieme per tutta la vita avesse un significato che andava ben oltre la brevità di questa – continuava a mettergli in mente l’idea di chiedere a Audrey di sposarlo. A nulla valevano la paura di litigare con lei o di farla scappare via, aveva quell’idea fissata nella mente come un chiodo.
Voleva sposarla. Glielo aveva già detto due volte, glielo avrebbe detto anche una terza volta.
- … E vorrei che mi sposassi, Audrey. Lo so che non ti piace sentirtelo dire, ma vorrei che mi sposassi.
 
Fondatori, vi prego, aiutatemi.
Se c’era una cosa che Percy sapeva far bene, oltre che consolare Audrey, era polverizzare in un nanosecondo il suo equilibrio mentale.
Non. Ci. Posso. Credere.
Stavolta non c’erano giustificazioni: non si poteva addurre la scusa della confusione, delle endorfine, della guerra incombente. Percy voleva sposarla, e basta.
Il viso di Audrey doveva tradire qualche emozione negativa, perché Percy si scansò da lei.
- Perce…
Ahia.
La calma con cui aveva pronunciato quel “Perce” faceva molta più paura di qualsiasi altra cosa. Percy si scansò ancora di più.
- Pensavo che avessimo chiarito - concluse Audrey, gelida.
A questo punto, se avesse ragionato in maniera più razionale, Percy sarebbe rimasto zitto; la sua parte irrazionale però andava ormai a ruota libera.
- Beh, tecnicamente non abbiamo chiarito proprio nulla. Hai detto solo che ne avremmo riparlato…
Non essendosi aspettata una replica così diretta, Audrey contrasse le labbra, stizzita.
- Non dirai sul serio, spero.
- Secondo te?
- Perce… Oh, maledizione!
Audrey si alzò bruscamente dal divano, le braccia conserte e lo sguardo fiammeggiante.
- Dimmi, quante altre volte dovrò ripeterti che non voglio sposarmi adesso?
- Almeno finché non mi dirai perché non vuoi sposarmi.
- Io… oh, non fare lo stupido, lo sai benissimo il perché.
- No che non lo so.
Inconcepibile.Audrey iniziava seriamente ad arrabbiarsi, e tanto; e ciò che la faceva arrabbiare ancora di più era la calma olimpica di Percy. Dove diamine era finito il ragazzo che farfugliava non appena si toccavano argomenti anche solo vagamente sentimentali? Chi era quel tizio che adesso le parlava di matrimonio come se fosse la cosa più facile del mondo?
Come se fosse la cosa più bella del mondo?
Inconcepibile.
Audrey si allontanò di qualche passo, furibonda. - Non voglio sposarmi, punto.
- Perché?
- Perché no!
- È me che non vuoi?
Oh, no, adesso non provare a metterla sul personale! Tanto non ci casco, retore da strapazzo!
- Allora? Sono io il problema?
- Non dire idiozie. Io…
- E allora perché? Dammi un motivo, avanti.
Oh, cielo, adesso si permetteva anche di sfidarla?
Inconcepibile!
Audrey guardò in terra, trattenendo la rabbia. Ciò che più la disturbava, in tutte quelle domande, non erano le domande in sé né il tono con cui venivano pronunciate: la cosa peggiore era che lei stessa non aveva una risposta.
Era facile dire “non voglio sposarmi così giovane”, “sto bene anche così” e “non ho bisogno del matrimonio per essere felice”; più difficile era capire perché diamine si sentisse così irritata, così infastidita dalla sola idea di una unione stabile col padre di sua figlia, nonché unico uomo della sua vita futura.
E che cavolo ne so!
Invece di rispondere, pensò bene di rigirare la domanda.
- E tu, allora? Tu hai un motivo valido per cui dovrei sposarti? Hai un motivo valido per cui le cose, tra noi, dovrebbero cambiare?
Percy ammutolì, colpito. Accidenti, quella che era una bella domanda; proprio azzeccata.
Dovete sapere, lettori, che prima di cedere alle insistenze dei suoi fratelli e decidere che era il momento per proporre il grande cambiamento a Audrey, Percy si era posto quella domanda svariate volte.
Perché voglio sposarla?
Il risultato finale era questo: Percy Weasley non aveva un motivo.
Ne aveva dieci. Tutti più o meno validi ed accettabili.
- Allora? Sentiamo, visto che sei tanto convinto che sia la cosa giusta; perché dovresti sposarmi? - insistette Audrey, a voce più alta.
- Io…
Perché uno con la mia reputazione e la mia posizione non può restare in una situazione ambigua come la convivenza.
Perché, dopo tutto quello che abbiamo passato, mi sembra la cosa più logica da fare.
Perché se non lo facessi i miei fratelli mi prenderebbero in giro a vita.
Perché la mamma ci tiene, anche se non lo dice.
Perché non troverò mai una suocera migliore di tua madre.
Perché adoro la tua famiglia e voglio farne parte.
Perché sì, cazzo.
Perché ti amo, e ho motivo di ritenere che anche tu mi ami.
Perché sono sicuro di volere solo te, e nessun’altra.
Perché ho bisogno che nella mia vita ci sia qualcosa di certo, di concreto, che non finisca.
Deglutì forte.
- Perché… Perché…
Prese fiato, ma inutilmente: non sapeva più cosa dire.
L’espressione irata di Audrey si contrasse in una smorfia trionfante.
- Visto? - esclamò. - Non lo sai nemmeno tu! Tu… Tu vuoi sposarmi solo perché… Perché hai paura, o non so quale altra sciocchezza ti passa per la testa. Non ne sei convinto nemmeno tu, questa è la verità!
Niente di più falso, Percy lo sapeva benissimo. Eppure…
Eppure davanti alla veemenza di Audrey qualcosa in lui crollò. La ragazza era veramente turbata, ad un livello che Percy non aveva immaginato; magari non sapeva nemmeno lei perché fosse così ostile all’idea di sposarlo, o magari lo sapeva benissimo, ma non era questo il punto.
Il punto è che le cose si fanno in due. Se è uno solo ad essere d’accordo allora è tutto inutile.
Osservò Audrey, che in quel momento aveva smesso di parlare, con un’espressione che non aveva mai avuto prima d’ora, di totale rinuncia.
- Va bene - disse.
- Cosa?
- Va bene. - Percy iniziò a fissare il pavimento, concentrandosi su una mattonella sbreccata. - Va bene. Hai ragione tu, non… Non dovevo insistere.
- Perce, io…
- Hai ragione, hai perfettamente ragione. Insomma… non è importante.
- Non…
- A me basta che vada bene a te. Scusami.
Audrey sgranò gli occhi e ammutolì. Stava dicendo… davvero? Intendeva davvero smetterla con quell’assurdità del matrimonio, oppure fingeva una resa per tornare a tormentarla di lì a una settimana?
Attese che Percy aggiungesse qualcosa, ma lui sembrava aver esaurito gli argomenti. Rimasero così, lui seduto con lo sguardo perso, lei in piedi con le braccia strette, per una manciata di lunghi secondi.
- Perce, io…
Percy alzò lo sguardo su di lei; uno sguardo triste, distante. - Mi rendo conto che non posso costringerti a fare quello che non vuoi. Va bene così, sul serio. È la stessa cosa, in fondo.
Di nuovo, silenzio; un tipo di silenzio diverso da quello di prima, uno di quei silenzi che riempiono anche la testa, e ti impediscono di pensare a qualcosa da dire.
In quella, Molly decise che era il momento di sbloccare la situazione – o forse aveva semplicemente voglia di fare qualcosa di diverso che dormire; fatto sta che iniziò a piangere, facendo sobbalzare i due ragazzi.
- Vado…
- No, sta’ tranquilla, ci penso io.
Percy si alzò e si diresse verso la camera, dando le spalle a Audrey. Fu in quel momento, come in un flash, che la ragazza si rese realmente conto di quanto fosse cambiato dal giorno lontano della battaglia: non camminava più tutto rigido e altezzoso, con la schiena ben dritta, la testa alta e quel portamento un po’ ridicolo che l’aveva incuriosita nei primi tempi; al contrario, ora sembrava volersi nascondere. Le spalle erano ricurve, il capo sempre chino, e, se si faceva attenzione, ci si accorgeva del fatto che Percy trascinava un po’ la gamba sinistra, come se questa fosse leggermente più rigida dell’altra.
E quando le parlava di sposarsi non balbettava, non era insicuro né intimidito. Percy Weasley sapeva cosa significava avere una cosa e perderla, o rischiare di perderla; sapeva cosa significava non fare la cosa giusta e pentirsene; sapeva cosa significava sprecare il proprio tempo e non poterlo recuperare mai più.
Sapeva cosa voleva, e voleva mettere ordine nella propria vita; voleva tenere al sicuro quanto di più caro gli restava, e l'idea del matrimonio così romantica e dunque così lontana dalla sua personalità di una volta era perfetta per questo suo scopo. Certo, non avrebbe mai saputo spiegare tutto ciò con questi termini, e nemmeno Audrey – nel luminoso istante in cui comprese tutto quanto – avrebbe saputo farlo. È il genere di cose che si percepiscono e basta, come si percepisce l’aria ma non la si può indicare.
 
L’istante di comprensione di Audrey durò, appunto, il tempo di un attimo. Bastò però a condizionare tutti gli attimi successivi.
Quella sera Audrey e Percy non si parlarono; il mattino dopo era quasi tutto normale, e a sera erano già tornati a comportarsi come al solito.
Sarebbe stato tutto esattamente come prima, se non fosse che Audrey aveva iniziato a pensare.
Nulla come i nostri stessi pensieri influenzano le nostre decisioni. Siamo lì, ancorati ad una certezza assoluta… e il momento dopo stiamo riflettendo, ponderando e valutando, e ci facciamo un’idea totalmente diversa da quella di partenza.
Audrey Bennet aveva questo grosso difetto: se qualcosa la colpiva, iniziava a pensarci su. E quando pensava non si sapeva mai a cosa poteva arrivare.
Mentre si comportava normalmente con Percy, pensava. Pensava a lui, a loro, a quello che avevano passato ed avrebbero passato. Pensò alle sue spalle curve e alla sua espressione spenta.
Pensò che in fondo era come se fosse già suo marito; pensò che qualcuno doveva averle rubato l’animo romantico, se ancora non si era smossa dopo ben tre proposte; pensò che c’è una sola vita ed è breve, ma se non la doniamo non ha valore, e ci sono tanti e tanti modi di donarla.
Pensò tanto e a lungo; pensò così tanto che, alla fine, non ricordava più perché avesse rifiutato di sposare Percy, perché l'idea di stare con lui per tutta la vita non le sembrava poi così stupida, in fondo.

















*saltella felice*
Sono tornata! Sono tornata!!! *spupazza i lettori*
Non avete idea di quanto mi siete mancati! Mi dispiace seriamente di aver tardato così tanto, ma sappiate che, come voi eravate impazienti di leggere, io ero impaziente di scrivere e pubblicare.
Beh, che dire? Mi pare che il capitolo non abbia bisogno di spiegazioni particolari, e direi che è abbastanza succoso da potervi accontentare. Personalmente, poi, mi piace da matti: non so perché, ma scriverlo mi ha davvero resa soddisfatta… Sarà che ho aspettato tanto tempo e non vedevo l’ora di riprendere in mano questa storia.
Non so quando arriverà il capitolo 27, perché a fine mese ho un esame un po’ impegnativo… Ma non disperate.
(Mamma mia, e pensare che al capitolo 20 avevo detto che ci sarebbero stati sì e no solo altri 5 capitoli… Ah, che ingenuità!)
Piccole note:
1) Ecco, credo di aver accontentato tutte le persone che – più o meno minacciosamente – hanno chiesto l’incontro Molly-Molly e Molly-Audrey. Tutto l’excursus sulla signora Weasley diventerà rilevante dopo, non temete.
2) Il Chizpurlfe, se non vado errato, è tipo un parassita che si nasconde nelle pellicce degli animali: perfetto, quindi, per sostituire la pulce del proverbio Babbano che ho citato.
3) Spero davvero che, dopo tutta questa attesa, il capitolo non vi abbia delusi. Ecco, io so già che, due minuti dopo aver pubblicato, smetterò di essere fiera del mio lavoro e inizierò a vergognarmi di quanto ho scritto; poi, insomma, sapete che la sottoscritta non ha una concezione esatta del bello e del brutto per quanto riguarda le proprie ff, e veramente non so mai quando un capitolo è accettabile oppure no… quindi, davvero, spero che a voi piaccia. Se non è così, mi dispiace sul serio.
4) SPAM! Leggete questa storia, merita davvero TROPPO (e tanti spupazzamenti all’autrice ^^): http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=807298&i=1
5) Sì, i Bennet. RICOMPARIRANNO, okay? Non chiedetemi QUANDO ma ricompariranno. So già in che scena (anzi, scene) inserirli. Oh.
6) Spero che si siano capite un po’ le motivazioni di Audrey. Personalmente non sono contraria a chi sceglie di convivere ma credo nel matrimonio (ossia, credo che io farò sicuramente la scelta di sposarmi), quindi mettermi nei pensieri di una che rifiuta il matrimonio “a prescindere”, per motivi che tra l'altro non sono chiari nemmeno a lei stessa, non è stato semplice. Come al solito, più rileggo il capitolo meno mi convince. Uff.
7) Perché Charlie? Perché sì. Ecco. Volevo mettere una scena con un po' di colore (che ricorrerà in seguito, tra l'altro), e Charlie era il più adatto. Spero che non troviate la scena "campata per aria" perché, ripeto, mi serve anche per dopo.
8) Perché i litigi tra Lucy Bennet e Audrey? Perché, per esperienza personale (non mia, ma della mamma), quando una donna si ritrova ad essere nonna ritiene, in genere, di essere migliore della propria figlia/nuora nell’accudimento dei bambini. La mia povera mamma ricorda ancora le discussioni sul come controllare la temperatura dell’acqua del bagnetto. (Gomito o termometro a forma di pesciolino? Per la nonna la prima soluzione, perché "ora che prendi il termometro e lo metti in acqua questa si è già raffreddata!". Questo è il genere di discussioni che, almeno nella famiglia, sono sempre andate avanti tra madri e figlie; se tra qualcuno di voi ci fosser persone che non hanno avuto queste esperienze, beh, BEATE VOI!)
Quando poi a scontrarsi sono due personalità come Audrey e Lucy, meglio fuggire.
9) La scena che trovate nell'introduzione doveva comparire qui, ma l’ho spostata al prossimo capitolo (o tra due capitoli? Boh! Tanto ormai c’è una parte di me che aggiunge scene e dialoghi senza che io li abbia progettati in precedenza, e non so mai quando e se questa parte di me decida di intervenire… per cui chissà).
10) Ho già detto che MI SIETE MANCATI TANTO?!
 
 
 

Ah, prima che mi dimentichi: se siete a Roma, il 29 settembre (“Seduto in quel caffè, io non pensavo a te…”), fate un salto al Romics, alla Nuova Fiera di Roma. Potreste trovarci nientepopodimeno che il signor Percy Weasley in persona, pronto a firmare autografi e a rispondere alle vostre domande.
... Perché quelle facce? Sì, ci sarà Percy.
No, non sto scherzando. Ci sarà davvero. Davvero!
(Lascia stare, tanto questi Babbani non ci crederanno mai.)
Mi sa che hai ragione. E vabbè… Peccato, avete perso un’ottima occasione.
(Eh già. Avevo in progetto di distruibuire copie autografate di "Prefetti che hanno conquistato il potere", opera d'inestimabile valore che...)
... Forse fate bene a non venire, lettori cari.
 

Grazie di aver letto, carissimi! Alla prossima!
*manda baci bavosi&abbracci pelosi*
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 27
*** Tutti i sì del mondo ***


Tutti i sì del mondo
 

 
 
- Insomma, si può sapere cos’è che vuoi da me?
- Senti, mi dispiace, lo so che è tardi ma ho bisogno di… di…
L’uomo sbuffò. - Hai bisogno di una decisa e definitiva botta in testa, ecco di cosa. È notte, per Circe!
- Lo so, ma… ma… io… ecco…
Adams sospirò in maniera eloquente. Sprofondò ancora di più nella sua poltrona e si strinse nella vestaglia, scrutando torvo la ragazza di fronte a sé.
- Ricominciamo da capo, vuoi? - Alzò una mano e iniziò a contare sulle dita. - Numero uno: decidi di venire a casa mia alle due di notte; numero due: entri per sbaglio nel camino della mia rispettabile vicina che cerca, comprensibilmente, di ucciderti a suon di Schiantesimi; numero tre: bussi disperatamente alla mia porta e mi svegli, alle due e cinque di notte, quando sai benissimo che tra sei ore dovrò iniziare una giornata di lavoro che terminerà solo alle diciotto – eredità del tuo caro amichetto masochista e stakanovista; numero quattro: inizi a balbettare frasi incoerenti privando me e tua figlia delle nostre meritate ore di sonno, senza arrivare ad una conclusione decente. Dimentico qualcosa, ex-collega?
Audrey interruppe per un momento l’impegnativa attività di tormentarsi le mani. - No, niente.
Adams sospirò di nuovo.
- Aud.
- Sì?
- Tu non stai affatto bene.
Non hai tutti i torti, vecchio mio…
Nessuno avrebbe potuto dire che Audrey Bennet fosse del tutto sana di mente, sapendo quello che stava combinando. Alle due di una notte insonne in cui era sola in casa con la bambina – per carità, Shacklebolt era un ottimo Ministro, ma aveva quel dannato vizio di far lavorare le persone fino alle tre del mattino… – alle due di notte, insomma, aveva deciso che non poteva assolutamente affrontare quella cosa da sola.
Mi serve Adams. Adesso. Ora.
Fortuna che Molly dormiva, così non era stato difficile prenderla e viaggiare con lei via Metropolvere; molto peggio era stato affrontare quella vecchia mentecatta armata di bacchetta che si era vista comparire di fronte al posto di Adams.
Oh, al diavolo. Mi serve lui.
- Senti - disse Audrey, - lo so che è assurdo…
- Il problema - la interruppe Adams - non è stabilire cosa sia assurdo e cosa non lo sia. Il problema è che adesso devi darmi un’adeguata motivazione al tuo trovarti qui, e per “adeguata” intendo talmente grave ed importante da consentirmi di dimenticare le ore di sonno perdute. Allora, potresti sederti e dirmi che diavolo vuoi?
Seduta sulle ginocchia di Adams, la seconda Molly osservava Audrey con una strana espressione, quasi severa.
“Niente da fare, mamma, sei un vero disastro. Hai persino fatto alterare questo sant’uomo, e pensare che ce ne vuole! Avanti, digli che hai problemi con papà e torniamocene tutti a letto, inizio a sentirmi stanchina.”
- Ma io non ho problemi con lui! - esclamò Audrey, convinta di rispondere a Molly; questo le fece guadagnare un’occhiata preoccupata da parte di Adams.
- Come, scusa?
- Oh, lascia perdere…
Finalmente si sedette, senza però riuscire a rilassarsi; si contorse più volte sulla poltrona come se sotto di sé avesse una colonia di Knarl inferociti e particolarmente attivi.
- Adams, mi serve il tuo aiuto - esalò infine.
Adams fece un sobbalzo molto teatrale, che scatenò l’ilarità di Molly.
- Oh! Ti serve il mio aiuto! Non ci posso credere, questa… questa è la notizia più sconvolgente del mondo! Non lo avrei mai indovinato se non me lo avessi detto, davvero, è…
- Per Morgana, fammi finire!
Adams tacque all’istante. Meglio non far arrabbiare Audrey, c’era il rischio che non gli dicesse più cosa voleva: e lui, ormai, era curiosissimo di saperlo.
- Scusa. Continua, ti prego.
Prima di parlare ancora, Audrey guardò sua figlia; colse quello che interpretò come un segno di assenso, poi prese fiato.
- Ecco, devi sapere che Percy mi ha chiesto di sposarlo…
Stavolta il sobbalzo di Adams fu reale, e l’uomo dovette acchiappare al volo Molly per impedirle di cadere a terra.
- Lo sapevo! - ruggì trionfante, poi scoppiò a ridere. - Lo sapevo, lo sapevo! Ma… Aspetta, mi prendi in giro o l’ha fatto davvero? È la verità? Te l’ha chiesto sul serio?!
- Purtroppo sì - rispose lei, lugubre.
La risata fonda e baritonale di Adams esplose di nuovo. - E bravo il mio ex-capo! E brava la mia ex-collega!
Si portò Molly all’altezza del viso e scoppiò di nuovo a ridere. - Sentito, cuccioletta? Mamma e papà mettono finalmente la testa a posto!
- Adams…
- Oh Godric… Finalmente! Non partecipo ad una festa di matrimonio da una vita! Di’, quando pensate di farlo? Io vi consiglio di aspettare marzo, o forse maggio, così il periodo piovoso sarà finito…
- Adams…
- … Però un matrimonio a dicembre sarebbe la fine del mondo! Basta solo iniziare a organizzarlo da subito e…
- Adams, piantala. Gli ho risposto di no.
Improvvisamente come si era acceso, l’entusiasmo di Adams scemò. Per qualche secondo rimase in silenzio, assimilando con difficoltà quella notizia.
- Co… Co… Cosa?! - domandò infine, basito.
- Gli ho detto di no. Che non voglio sposarlo.
Questo era decisamente troppo per Ernest Adams. Guardò Audrey come se fosse una completa estranea.
- Tu… non puoi averlo fatto sul serio. È uno scherzo. Ti prego, dimmi che non l’hai fatto.
Per tutta risposta Audrey si osservò le unghie, decisamente troppo corte. - Invece sì. Due volte. Anzi, tre, se contiamo quella mezza specie di proposta che mi ha fatto a febbraio.
Adams era sconvolto; guardò Molly e ne interpretò l’espressione.
“Zio Ernie, ti prego, fa’ qualcosa. Mia madre è rimbecillita, non ragiona più lucidamente come un tempo; se non ci pensi tu andrà a finire come quando lei e papà non si parlavano, il Natale in cui si sono messi insieme.”
Adams sgranò gli occhi.
Ma… ma tu come fai a saperlo? Non eri ancora nata!
“E chi ti dice che sono io che ti sto dicendo queste cose e non sei tu a pensarle?”
Adams si riscosse da quei pensieri deliranti e si afflosciò sulla poltrona, stravolto. Rifletté qualche istante prima di tornare a parlare.
- Dunque - disse poi, mentre faceva saltellare distrattamente Molly sulle ginocchia. - Lui ti ha chiesto di sposarlo, tu hai detto di no. Giusto?
- Giusto.
- Sorge spontanea la domanda: perché?
- È questo il problema! - esplose Audrey. - Non lo so!
Adams si coprì il volto con una mano. La bambina aveva ragione, Audrey era rimbambita di brutto.
- Io… io ho sempre pensato che… che non mi sarei sposata prima dei trent’anni! Ho sempre pensato che fino a quell’età avrei fatto quello che volevo! - continuò Audrey, alzandosi e camminando nervosamente per la stanza. - E invece mi ritrovo a ventun anni scarsi con una figlia e un tizio che vuole sposarmi… e ho paura! Una paura fottuta! È come… Cavolo, è come se la mia vita fosse già passata!
Prese fiato ed evitò di guardare Adams. - La mia vita è già passata - ripeté, con tono drammatico.
Adams sbuffò sonoramente; smise di agitare le ginocchia – con gran disappunto di Molly, che si stava divertendo un sacco – e si preparò a mettere ordine in quell’enorme caos che rispondeva al nome di Audrey Bennet.
- Aud, stai parlando come se avessi novant’anni; te ne rendi conto, vero?
L’espressione confusa di lei gli fece capire che no, non se ne rendeva conto.
- Mi stai dicendo che non sei soddisfatta di quello che hai adesso? Che preferiresti non aver incontrato Percy, non aver avuto Molly…
- Certo che no! Io…
- Invece è quello che hai detto. - Adams si stravaccò sulla poltrona assumendo la sua tipica posa da “ne-so-molto-più-di-te-taci-e-ascolta-la-mia-saggezza”. - Hai detto che così com’è la tua vita ti fa schifo perché…
- Non mi fa schifo! Ho solo…
- … perché non hai modo di fare ciò che vuoi. Perché hai vent’anni e…
- Ventuno!
- … ti sembra di non essere più libera. Che poi, libera… Sentiamo, cos’è che faresti se non dovessi occuparti della tua famiglia? Viaggi all’estero? Studi alchemici? Un allevamento di draghi in Romania?
Tacque, aspettando con calma una risposta. Audrey boccheggiò in cerca delle parole adatte.
- Io… io… io non lo so, dicevo per dire!
- Se l’hai detto significa che lo pensi.
- No! Cioè, sì, forse! Oh, maledizione…
La ragazza si sedette di nuovo e si coprì il viso con le mani; dannazione, perché era andata da Adams? Quell’uomo sapeva metterla i crisi come nessun altro al mondo!
Oltretutto Adams sembrava estremamente soddisfatto dell’effetto suscitato in lei: quando Audrey tornò a guardarlo non poté non notare l’espressione tra il beffardo e il compiaciuto che sfoggiava.
- Senti, Adams, - emise esasperata, - non lo so perché gli ho detto di no. Va bene? Sì, okay, penso che sia troppo presto e che in fondo non serva e che ho paura… ma ogni volta che ci penso questi motivi mi sembrano sempre più stupidi! Io… Oh, maledizione, adesso che vorrei sposarlo, cavolo! Voglio sposarlo e basta, anche se… anche se non voglio, accidenti a me.
Adams sorrise sotto i baffi. - Sintetizzando, te la stai facendo sotto ma vuoi dirgli di sì. Oppure no?
- Sì, cazzo, sì!
- E il problema è che non sai come dirglielo.
- Sì!
- E perché non l’hai detto subito, stupida zuccona?
- Perché sono una stupida zuccona!
L’uomo chiuse gli occhi, li riaprì e fece un gran sorriso a Audrey, che invece era sull’orlo delle lacrime per il nervosismo.
- Bene - concluse Adams, - l’importante era chiarire questo punto. Ora sì che posso aiutarti, ex-collega.
Fece saltellare di nuovo Molly, che gorgogliò contenta.
“Mitico, organizziamo un matrimonio! Non vedo l’ora di dirlo alle nonne!”
 
 
 
 
Se Audrey avesse saputo che Percy non era rimasto al Ministero a lavorare, quella notte, di sicuro avrebbe dato libero sfogo alla sua vena Banshee più feroce, mettendoci in mezzo anche qualche accusa di infedeltà e svariate fatture (giusto la settimana prima Ginny gliene aveva insegnata una niente male, una che ti scagliava contro dei pipistrelli...).
Per fortuna Audrey non lo sapeva.
E speriamo che non lo sappia mai! Quella è capace di spellarmi vivo!
E no, non è come pensate: niente scappatelle notturne per Percy Weasley. In realtà, per quasi più di un’ora era rimasto seduto come un fesso su una malconcia panchina nei pressi – ma questo non poteva saperlo – di Grimmauld Place, a rimuginare su quanto fosse stupido e sfigato.
Sfigato. Enormemente sfigato. Il Re degli Sfigati. Nemmeno la tua donna ti vuole. Sei sfigato e stupido.
Sì, proprio così. Per un’ora intera.
Nonostante fossero passati cinque giorni dall’ultimo e definitivo rifiuto di Audrey, Percy non riusciva proprio a smettere di farsi del male tornandoci continuamente sopra col pensiero; si era illuso che magari, insistendo, avrebbe forzato quella che credeva essere una semplice paura di Audrey e l’avrebbe convinta che il matrimonio non solo non era una cosa sbagliata, ma bella e giusta. Soprattutto il loro matrimonio.
Invece non ci sei riuscito. E lo sai perché? Perché sei uno sfigato. E stupido.
Si tormentava in questo modo praticamente ogni giorno. Sembrerà un comportamento sciocco – anzi, probabilmente lo è – ma Percy non riusciva proprio a fare a meno di pensare morbosamente a quanto fosse stato stupido ad insistere e quanto fosse sfigato in generale.
Perché dai, è fondamentalmente ridicolo che l’unica – l’unica! – ragazza che sembri capace di sopportarti in tutto e per tutto sia anche quella che meno desidera legarsi a te. Insomma, parliamoci chiaro: sei uno sfigato. Sì, decisamente sfigato.
Già. Un’ora intera.
(E poi ci si chiede perché i suoi fratelli lo prendessero in giro…)
 
 
Dopo quel famoso undici novembre, Percy non era rimasto con le mani in mano; con Audrey si era comportato normalmente – anche troppo, date le circostanze – ma sin da subito aveva sentito il bisogno di un conforto, o meglio di uno sfogo.
Cosa senza precedenti, nella sua vita. Quando mai aveva avuto necessità di subissare altre persone coi suoi problemi?
Ovviamente mai.
Di fronte a quella nuova e niente affatto piacevole esperienza, dunque, Percy Weasley non sapeva assolutamente cosa fare; a chi poteva rivelare i suoi crucci, a chi poteva confidare di non essere altro che un povero sfigato?
Ai suoi fratelli? Assolutamente no: non poteva nemmeno immaginare la loro reazione, se avessero saputo che era caduto così in basso da essere rifiutato per ben tre volte… figuriamoci, non sarebbero mai stati dalla sua parte.
Nemmeno per sogno.
Ad Adams? Sarebbe stato già meglio, ma Percy sapeva quanto lui e Audrey fossero amici: di sicuro le avrebbe riferito ogni cosa, dettagli compresi.
E non è il caso.
Chi altro c’era nella vita di Percy? Suo padre? Ma il pover’uomo aveva già i suoi crucci, non poteva mettersi a pensare anche a lui…
Shacklebolt? Godric ce ne scampi! Anzitutto non era sposato, poi lui e Percy non erano ancora a un livello di confidenza tale da parlare di… quelle cose, e infine che figura ci avrebbe fatto?
Come minimo mi declasserebbe a Ultima Ruota della Squadra di Manutenzione Magica. E farebbe bene.
Pensa che ti ripensa, Percy aveva raggiunto la sorprendente conclusione che le persone adatte ad aiutarlo in quel frangente erano poche, molto poche, e avevano tutte qualcosa in comune.
Si chiamavano Bennet.
 
 
 
Percy non ne era sicuro al cento per cento, ma conoscendo Audrey era estremamente probabile che non avesse parlato con nessuno delle proposte di matrimonio e dei vari rifiuti: quasi certamente, quindi, i Bennet non ne erano a conoscenza.
Questo poteva complicargli le cose o rendergliele più semplici. Ma in fondo, cosa importava?
Dopo  un’ora di riflessione, Percy decise: abbandonata la scomoda panchina si Materializzò davanti al Paiolo Magico, attraversò il passaggio per Diagon Alley e si diresse, con insolita sicurezza, verso la bassa palazzina che ospitava la casa e l’apoteca di Oleg Bennet.
Percy non aveva mai messo piede nell’abitazione del suo quasi-parente, ma – vista la sua conoscenza di Audrey e di Roman – immaginava che in essa non mancassero riferimenti alla Babbanofilia che ormai considerava un tratto dominante di tutta la famiglia.
Preparandosi mentalmente a trovarsi di fronte televisori, fonetoli e libri Babbani, bussò leggermente alla porta; passò qualche secondo, poi questa si aprì.
- Rosso - disse Oleg, constatando la presenza di Percy sulla soglia di casa propria. - Non adesso, ho da fare.
E richiuse la porta.
Percy sbatté le palpebre, perplesso di fronte a quella reazione inaspettata, poi bussò di nuovo. Un sonoro sbuffo provenne da dietro l’uscio.
- Senti, - fece Oleg, riaprendo, - vorrei tanto farti entrare qui, ma vedi, c’è una donna di là che mi aspetta e… sai com’è…
Percy aggrottò le sopracciglia. - Una donna? Ma… ma Edna non ha il turno di lavoro stanotte?
Oleg roteò gli occhi. - Appunto.
- Oh - fece Percy, confuso. Poi capì, e divenne paonazzo per la vergogna. - Oh! Cavolo, scu-scusa, io n-non volevo…
Con un altro sbuffo, Oleg si spostò e gli fece cenno d’entrare. - Dai, datti una mossa. Ho quasi finito le birre.
Un po’stordito, Percy entrò con cautela nell’appartamento. La prima cosa che notò fu la totale assenza di qualsiasi cosa che non fosse più che magica; libri di incantesimi e ricettari di pozioni riempivano scaffali su scaffali, contendendosi il posto con erbe e strani ingredienti (sistemati lì con buona pace della povera Edna, allergica a più della metà di essi). Un grande orologio con stelle e pianeti al posto di lancette e numeri torreggiava su una parete, e in un angolo giacevano – Percy ebbe un tuffo al cuore – alcuni vecchi articoli dei “Tiri Vispi Weasley”, usati forse di recente.
L’ingresso dava direttamente sul salotto, come nella casa di Percy e Audrey, e il ragazzo cercò istintivamente  la donna di cui aveva parlato Oleg; le uniche forme di vita presenti nella stanza, però, erano il gatto di Edna e tre anglo-norvegesi che Percy conosceva fin troppo bene.
- Oleg, hai finito di gingillarti? Siamo ad un punto decisivo, dobbiamo… Percy! - esclamò Jarne, voltandosi di scatto. - Siediti, abbiamo giusto bisogno di un Cavaliere: Rhett è morto cinque minuti fa!
- Il Narratore ce l’ha con me… - borbottò Rhett in risposta, accasciato su una poltrona di fronte al fratello con una bottiglia di birra in mano.
- Sì, sempre la solita scusa… Perché non ammetti di essere una schiappa a “Medieval Struggle” e basta?
Percy sgranò gli occhi, sorpreso da quell’affollamento, e guardò Oleg con l’espressione di chi ha un enorme punto interrogativo al posto della faccia. Oleg se ne accorse e si stupì a sua volta.
- Beh? Che c’è? - sbraitò. - Non dirmi che pensavi davvero che avrei potuto tradire mia moglie con un’altra donna! Per Salazar, Rosso, non mi piace come ragiona quella tua mente cinica e malfidata…
 
Percy capì subito che non sarebbe stato facile convincere i suoi quasi-parenti a interrompere la loro attività e a dargli retta. Tutti voi sapete bene quanto possa essere coinvolgente un semplice gioco da tavola Babbano; figuratevi allora quanto può esserlo un gioco di ruolo magico; se poi quel gioco è “Medieval Struggle”, allora non c’è nulla da fare.
Non starò a spiegarvi per filo e per segno le complicate regole di questo appassionante gioco, dove bisogna interpretare volta per volta diversi personaggi e seguire le indicazioni di un magico Narratore che tiene le fila della storia; sappiate solo che questo è tuttora il gioco magico più bello e più in voga degli ultimi cinquant’anni, ed è ora disponibile a poco prezzo in qualsiasi negozio ben fornito, come ad esempio Mondomago.
… No, scusate; non era questo che volevo dire.
Il fatto è che Percy era capitato a casa di Oleg proprio la sera in cui i fratelli Bennet si riunivano tradizionalmente per le loro avvincenti partite, che iniziavano verso le nove e terminavano “ad un’ora abbastanza indecente da poterci permettere di tornare a casa”. In particolare, la partita che stavano svolgendo nel momento in cui Percy entrò in casa era alquanto complicata e tortuosa.
- Avanti, non perdiamo tempo - riprese Jarne, subito dopo aver fatto posto a Percy sul divano. - Siamo ad un punto cruciale! Dobbiamo decidere se andare da Gonath il Rigattiere per cercare nuove armi, uccidere l’Ekspires o proseguire semplicemente per Todryk, e…
Si fermò, perché Percy si era schiarito la voce come a voler prendere parola.
- Sì, Percy? - lo interrogò, nervosamente.
In realtà Percy si era schiarito la voce perché la gola gli dava fastidio, non certo perché voleva parlare; colse però lo stesso l’opportunità che gli veniva offerta.
- Ehm… - esordì, guardandosi attorno. - Ecco, io volevo… Ehm…
- Se vuoi giocare, eccoti la pedina - fece Rhett, lanciandogli un pupazzetto a forma di piccolo cavaliere che si animò subito tra le sue mani.
- Ehm… No, no, grazie, non sarei capace… ma… ehm… uhm…
Continuò a fare “Ehm” e “Uhm” per circa un minuto, finché Saul non ebbe il buonsenso di fermarlo.
- Senti, ragazzo, sai che ci piace ascoltare, ma sono già le due e mezza di notte e… beh… vorremmo sapere se dobbiamo uccidere l’Ekspires o no…
- Sì, lo so, ma… io… ecco…
Fu il turno di Oleg. Sbuffò per la terza volta in un quarto d’ora e decise che il Rosso doveva piantarla.
- Parliamoci chiaro, bimbo. O ci dici cosa vuoi o te ne torni a casa tua. - Poi fu colto improvvisamente da un dubbio. - Aspetta… Audrey ti ha cacciato di casa? È per questo che sei qui?
- No! Io…
- Oh, Salazar ti ringrazio! - esultò Oleg, non raccogliendo le occhiatacce di tutti gli altri.
- Io veramente…
- AH! Lo SAPEVO! L’avevo detto che non sarebbe durata! Voi tre, fuori i cinque galeoni, e la prossima volta ricordatevi che non si scommette con…
- … hochiestoaAudreydisposarmiemihadettodino - buttò finalmente fuori Percy, arrossendo.
 
 
Contrariamente a quanto si possa pensare, Percy Weasley non era sciocco – non del tutto, almeno.
Percy Weasley sapeva per esperienza diretta che l’unica femmina di una famiglia porta con sé il pesante bagaglio della gelosia di tutti i suoi parenti maschi, e che questo fardello ricade inevitabilmente su qualunque altro maschio osi mettere gli occhi o le mani sulla suddetta ragazza (soprattutto se lo fa col di lei consenso).
Siccome sapeva tutto questo e non era un completo sciocco, Percy Weasley aveva previsto tutte le possibili reazioni dei cugini di Audrey: lancio di oggetti, occhiate di biasimo e disapprovazione, fatture più o meno pericolose, canti di guerra norreni… Aveva previsto tutto, ed era pronto ad affrontare ogni evenienza.
Purtroppo, un po’ sciocco Percy lo era, perché è vero che aveva previsto le reazioni possibili, ma si era dimenticato di quelle improbabili.
Quello che fecero i fratelli Bennet apparteneva a questa seconda categoria.
Non appena Percy parlò, si congelarono. Oleg rimase bloccato col braccio proteso verso Saul, che stava frugando nella tasca della veste in cerca di monete e si immobilizzò a sua volta; Rhett aveva le braccia incrociate e guardava Oleg con rimprovero, ma si voltò verso Percy con velocità tale che il suo collo scricchiolò in modo sinistro; infine, Jarne lasciò cadere a terra gli occhiali che stava pulendo, e che si ruppero con un sonoro crick! che, però, non fu udito da nessuno.
Al gelo seguì il silenzio. Un gelido silenzio.
Tutti, persino il gatto di Edna, fissavano Percy.
Uhm… questa reazione non l’avevo messa in conto…
Il problema era che non lo guardavano con gelosia, rimprovero o ira; lo guardavano con quella che era senza dubbio curiosità, esattamente come Newt Scamandro doveva aver guardato una specie animale scoperta per la prima volta.
Sotto quegli sguardi Percy avvampò ancora di più. Cavolo!
Ecco, ora la loro vena vichinga si risveglierà e mi prenderanno lo scalpo!
Addio, mondo: sarò ucciso tra tre, due, uno…
Invece no: lentamente i fratelli si volsero a guardarsi tra loro, scambiandosi un’occhiata densa di significato; poi ebbero quella che, tra le reazioni improbabili non contemplate da Percy, era proprio la più improbabile e la meno contemplata.
Iniziarono a ridere.
O meglio, a sghignazzare.
I quattro fratelli Bennet risero forte, di pancia, come se non avessero mai riso prima, senza alcun ritegno nei confronti di Percy che li fissava allibito e senza parole.
Ridono delle mie disgrazie!
Fu quando vide che i cugini di Audrey avevano ormai le lacrime agli occhi dal ridere che Percy ebbe un moto di rabbia contro se stesso. Che idea stupida aveva avuto! Cosa gli era saltato in mente di andare lì e spiattellare i suoi affari a quei quattro zotici… Avrebbe dovuto immaginarlo. Altro che scenate di gelosia! Derisione, solo derisione, come al solito!
Offeso, si alzò dal divano e si diresse con lunghi passi verso la porta, deciso a non rimettere mai più piede lì dentro.
- Asp… Aspetta!
Non avrebbe voluto fermarsi: avrebbe voluto dimostrare almeno a se stesso che non era lo sfigato che pensava. Invece diede ascolto alla voce di Oleg e rimase immobile, fissando la maniglia della porta.
Vista la reazione di Percy, i Bennet avevano deciso di darsi una calmata. Rhett e Saul ripresero fiato, Jarne si asciugò le ultime lacrime, e Oleg rotolò giù dalla poltrona per andare da Percy.
- Aspetta, bimbo, scu… scusaci - disse, trattenendo a stento un'altra risata. - Siediti, così ti spieghiamo…
Cosa c’è da spiegare? È evidente che ce l’ho scritto in fronte: Sfigato Pluririfiutato.
Controvoglia si lasciò condurre sul divano, di nuovo vicino a Jarne che nel frattempo aveva riparato gli occhiali.
Tutti erano tornati seri e composti, anche se ogni tanto Saul muoveva le spalle scosso dagli ultimi accenni di risata. Oleg aspettò qualche secondo prima di parlare.
- Dunque. Hai chiesto a Audrey di sposarti.
Percy deglutì. - Sì.
- Quante volte?
Sentì le orecchie diventare rosse. - Co-come?
- Quante volte glielo hai chiesto?
Percy guardò anche gli altri fratelli, ma erano tutti seri, come se quella domanda fosse stata di estrema importanza. Deglutì di nuovo, preparandosi all’umiliazione.
- Due… no, tre volte - confessò.
- E ti ha detto sempre di no.
- Già.
Percy piantò lo sguardo a terra, sempre più imbarazzato. I Bennet si guardarono tra di loro, poi risero di nuovo ma con maggior gentilezza.
- Oh, povero pulcino… - commentò Oleg mentre riempiva la pipa di tabacco. - Non te l’aspettavi, eh?
Percy ci pensò su, prima di rispondere. - No, in verità le prime due volte me l’aspettavo, visto anche il modo in cui gliel’ho chiesto…
I visi identici dei quattro Bennet si accesero d’interesse. Percy sospirò, e vergognandosi un po’ iniziò a raccontare delle prime due proposte, cercando di sorvolare sui dettagli.
- Beh - fece Saul alla fine, - non c’era proprio il massimo del romanticismo, in effetti…
- E non l’hai convinta nemmeno la terza volta, eh?
Percy tornò a guardare a terra e scosse il capo. - No.
- Beh, non mi stupisco affatto…
- OLEG!
- Intendo dire - aggiunse subito Oleg, senza badare agli sguardi feroci di Rhett e Jarne, - che è risaputo che Audrey detesta l’idea di sposarsi giovane. Noi l’abbiamo sempre saputo, e a quanto pare anche il Rosso qui presente…
- Sì, beh… - disse Percy, ancora imbarazzato. - Io speravo che… insomma, che avrebbe cambiato idea, ma…
- Cambiare idea? - rise Jarne, dandogli poi una pacca sulla spalla. - Tu pensavi che Audrey avrebbe cambiato idea così, tutt’ad un tratto? - e sottolineò il concetto schioccando le dita.
- Vedi - riprese Oleg sbuffando fumo, - se prima ci siamo messi a ridere è stato proprio per questo. Tu… hai fatto qualcosa che nessun sano di mente avrebbe fatto.
Qualcosa in Percy si ribellò. - Perché? - chiese, nervoso. - Che diamine c’è di male nel chiedere alla mia compagna di sposarmi?
- Il fatto che la tua compagna sia mia cugina, per esempio - disse di nuovo Oleg con la pipa tra i denti.
- Vedi, - spiegò poi, - l’odiare a prescindere l’idea del matrimonio è una caratteristica della nostra famiglia… della parte migliore della famiglia - specificò, in risposta alle occhiatacce degli altri tre.
Si accomodò meglio sulla poltrona e allungò le gambe sul tavolino, su cui “Medieval Struggle” giaceva ormai dimenticato.
- Vedi, piccino, sono stato fidanzato con Edna per parecchi anni, e le ho sempre – sempre – ripetuto che non mi sarei mai sposato. Detestavo il matrimonio, e non sono sicuro di amarlo nemmeno adesso.
Sorrise, vedendo che Percy si era fatto attento alle sue parole. - Tu dirai: “beh, ma allora perché hai deciso di sposarti?”
- Sì, infatti, perché…
- Il fatto è - lo interruppe subito Oleg, - che non lo so nemmeno io.
Fece una pausa degna di un compassato attore di teatro, che sortì subito l’effetto voluto: ora non solo Percy, ma anche i suoi fratelli ascoltavano con attenzione. Non aveva mai raccontato quella storia prima di allora, a nessuno di loro.
Aspirò qualche altra boccata di fumo. - Non ho idea del perché abbia deciso di sposare Edna. Anzi, a dirla tutta non gliel’ho nemmeno chiesto: è stata lei a farlo, sapete?
- Non ce l’hai mai detto… - mormorò Saul, basito.
- Edna ti ha… ma lei…
- … sapeva benissimo che le avrei risposto di no. E infatti così è stato. Ogni volta che spostava il discorso sul matrimonio litigavamo.
Svuotò la pipa ormai inutilizzabile nel posacenere vicino, poi prese una delle ultime bottiglie di birra, l’aprì e ne bevve qualche sorso.
Il tutto mentre Percy e gli altri lo guardavano con tanto d’occhi, ansiosi di sapere il seguito della storia.
- Così - riprese Oleg - Edna smise di insistere. Smettemmo di parlare di matrimonio e di vita insieme; non ne valeva la pena, tanto aveva capito che io…
- E come ha fatto a farti cambiare idea? - domandò Percy, impaziente. - Cioè, ti ha detto qualcosa, oppure…
Oleg sbuffò, seccato perché qualcuno gli aveva rovinato l’atmosfera. - No; Edna non ha fatto assolutamente nulla. Capisci?
Si sporse un po’ dalla poltrona, guardando attentamente il suo pubblico. - Non ha detto nulla per convincermi, non si è lamentata, non ha minacciato di lasciarmi. Niente.
- Sì, ma allora perché…
- Ci sto arrivando! - esclamò Oleg scocciato. - Ho fatto tutto da solo, capite? Dopo un po’ che Edna aveva smesso di parlarmene, ho iniziato a pensarci su!
Sospirò e bevve un altro paio di sorsi. - Guardate, non ho idea di come o perché sia successo, ma… a un certo punto ho iniziato a chiedermi perché diavolo non volessi sposare Edna. Insomma, ero… sono innamorato di lei, l’ho sempre trovata affascinante, simpatica e… e la miglior donna che abbia mai conosciuto, senza offesa per le vostre consorti. - I fratelli fecero un gesto per indicare che non gli importava.
- Insomma, nel momento in cui avevo finalmente convinto Edna che il matrimonio non ci serviva… ero io a non esserne più così sicuro. Pazzesco, ma è così.
Tornò a distendersi sulla poltrona, la pipa in una mano e la bottiglia nell’altra. - Fu così che Oleg il Serpico venne accalappiato dalla scaltra Edna. Fine della storia.
Tutti gli altri rimasero in silenzio per qualche secondo, ciascuno immerso in riflessioni. La mente di Percy lavorava a pieno ritmo per cercare di estrapolare da quell’aneddoto qualcosa di utile per lui.
- Mi stai dicendo… - disse lentamente. - Mi stai dicendo che se voglio che Audrey mi sposi devo… smettere di insistere e aspettare che sia lei a cambiare idea da sola?
Oleg ci pensò su. - Ti dirò, coniglietto, non so se la mia mente e quella di Audrey lavorino allo stesso modo… però sì, il consiglio migliore che posso darti è questo. Aspetta e spera.
Aspetta e spera? Era andato fin lì in piena notte per sentirsi dire aspetta e spera?!
Cose da pazzi.
- In effetti, Percy, Oleg non ha tutti i torti. - Percy si girò verso Jarne, e per l’ennesima volta si sorprese constatando che era il Bennet più simile in aspetto a Audrey. - Sai che razza di carattere ha Audrey, è capace di incaponirsi su delle sciocchezze. Forse… forse è meglio che aspetti semplicemente…
- Ma potrei aspettare anni! E io ho bisogno…
- Pensi davvero di aver bisogno che lei ti sposi? - intervenne Rhett. - Pensi davvero di aver bisogno che lei “porti il tuo cognome”, per usare le tue parole?
- Io… no, solo che io vorrei…
- Ecco, tu vorresti. Quello che conta però è ciò che vuole lei, non tu.
Percy provò a replicare di nuovo, ma Rhett lo fermò. - Tutto ciò che puoi fare è aspettarla. Quando si sentirà pronta ti dirà tutti i sì del mondo… ma non adesso.
Percy chiuse la bocca, colpito dalla giustezza di quella frase. Era ciò che si era ripetuto più e più volte in quei cinque giorni, cercando inutilmente di convincersi… ma ogni volta la sua razionalità sbatteva contro il desiderio di formare con Audrey quella che nella sua mentalità era una famiglia “completa”.
Sentirsi ora dire quelle cose da Rhett, con quella forza, gli faceva finalmente capire quello che non aveva voluto accettare fino a quel momento: Audrey andava aspettata. Prima o poi sarebbe stata pronta, ma quel momento andava semplicemente aspettato con calma, senza inutili e stupide forzature.
E se non sarà mai pronta, pazienza. Ci sono cose molto più importanti.
Avrebbe tanto voluto dire ai suoi quasi-parenti quanto gli fosse stata di conforto quella chiacchierata, quanto fosse loro grato per il semplice fatto che avevano riso di lui e parlato con lui, ma si era fatto tardi, ed era proprio ora di andare a dormire.
 
 
 
Alle tre e un quarto Audrey era finalmente tornata a casa. La prima cosa che fece fu controllare che Percy non ci fosse, ma tutto taceva.
Sistemò la piccola già addormentata nel lettino e si accinse a spogliarsi, quando un lieve rumore la bloccò. Il piccolo tonfo che aveva sentito era indubbiamente il passo di Percy tornato a casa.
Velocemente si lanciò sul letto, accese la bacchetta e afferrò il libro sul comodino aprendolo a caso.
La porta della camera si aprì pianissimo; Percy entrò in punta di piedi e sobbalzò quando vide Audrey.
Oh, cavolo!
- Ehi! - lo salutò lei, con più allegria del necessario. - Com’è andata al lavoro?
Percy esitò prima di rispondere: aveva sperato con tutte le sue forze di non trovarla sveglia, e invece…
- B-bene, ehm… Scusami, ma il Ministro mi ha trattenuto proprio tanto e…
- Oh, non preoccuparti! Chissà quanto ti sei stancato, povero caro…
Fondatori, questa NON PUÒ essere Audrey! Di solito a quest’ora avrebbe già lanciato una decina di insulti a Shacklebolt in tre lingue diverse, e invece… si preoccupa della mia stanchezza?
Qualcosa non quadrava, decisamente. Ma non c’era solo quello.
Percy tacque e osservò Audrey, cercando di capire cosa ci fosse di strano in lei. Audrey gli sorrise ancora, nervosamente, poi cercò di sottrarsi a quell’esame rimettendo il naso tra le pagine del libro.
- Come mai - domandò Percy, - sei ancora vestita?
Oh, stracavolo cavoloso!
- Ehm… avevo freddo.
- Ah.
Magra scusa. Se c’era qualcosa di indissolubile, nella loro casa, era il connubio Audrey-pigiama, nel quale si inseriva occasionalmente anche la vestaglia. Audrey vestita  di tutto punto a casa e di notte, quando cioè non era strettamente necessario recarsi da qualche parte, era uno spettacolo completamente inedito.
Anche Audrey si rese conto del grosso errore, e pregò mentalmente che Percy non vi desse peso. Doveva essere la sua serata buona, perché il ragazzo fece spallucce, si spogliò e si mise a dormire come se niente fosse.
Phew. C’è mancato poco.
Di chi era questo pensiero? Ma di entrambi, ovviamente.
 
 
La chiacchierata con Adams aveva schiarito parecchi dubbi di Audrey, ma non tutti. Ormai aveva deciso: avrebbe detto a Percy che aveva cambiato idea, che si sentiva pronta e che lo avrebbe sposato, se lui fosse stato ancora di quel parere.
E se non lo fosse?
Eccola lì, la paturnia. La pressante, incisiva, immancabile ed inutile paturnia mentale.
Se avesse cambiato idea? Se si fosse stancato di sentirsi dire di no e non volesse più sposarmi? Se lo avessi convito che non abbiamo bisogno del matrimonio? Maledizione!
Quindi Audrey rimaneva ferma, indecisa sul come e quando dichiarare il suo cambiamento a Percy.
Dal canto suo, Percy era estremamente tranquillo. Anche lui era stato rinfrancato dal confronto coi cugini di Audrey: ora come ora non gli importava più dei rifiuti, dell’ostinazione, delle idee di lei.
Riprese a comportarsi con lei come se la breve parentesi delle sue richieste di matrimonio non fosse mai esistita, come se se ne fosse completamente dimenticato. Passavano i giorni e lui ci pensava sempre di meno, occupato com’era a seguire i progressi della piccola Molly – che talvolta Audrey s’intestava a chiamare Pernille, per poterla distinguere dalla signora Weasley – e quelli di George, che, cogliendo tutti di sorpresa, era tornato a dirigere i “Tiri Vispi” con un successo immediato.
In fondo c’era già così tanto, nella sua vita. C’era tutto.
Che importanza potevano avere una firma su un foglio e una festa con i parenti?
Le cose non sarebbero comunque potute andare meglio di così.
 
 
 
 
Qualcuno non la pensava esattamente allo stesso modo di Percy. C’era qualcuno che scalpitava e penava non poco, vedendo che quei due ragazzi insistevano a non volersi sistemare definitivamente.
Queste persone non potevano che essere la signora Bennet e la signora Weasley, ovviamente.
Della signora Weasley abbiamo già parlato, in riferimento alla sua convinzione che Percy e Audrey dovevano sposarsi, anzi, che era strano che non l’avessero già fatto. La signora Bennet invece è stata lasciata finora in disparte durante questa vicenda, ma anche lei aveva le idee chiare.
La signora Bennet era uno strano miscuglio di contraddizioni, tutte però unite armoniosamente nella sua testa: sin dall’adolescenza di Audrey non le aveva impedito di frequentare ragazzi, né di spingersi “più in là” con loro (sempre però con le dovute raccomandazioni e precauzioni); non le piaceva però il fatto che sua figlia convivesse, perché la convivenza era, a suo dire, uno stato precario e incerto, simbolo di un’incapacità di impegnarsi fino in fondo.
La filosofia della signora Bennet era questa: un mix di idee avanzate ed antiquate, del quale però lei non riusciva proprio a vedere l’incoerenza di fondo.
Ad ogni modo, il succo di tutto è il seguente: Percy era il tipo perfetto per Audrey, sembrava inspiegabilmente molto legato a lei, per cui era doveroso che quei due si sposassero, e al più presto.
 
Non era a questo che stava pensando la signora Bennet quando una persona inaspettata bussò alla sua porta, quel pomeriggio di fine novembre.
Da quando Audrey era rimasta incinta, Lucy aveva ripreso a lavorare a maglia con molto gusto, stupendosi di non aver perso del tutto l’abilità nel fabbricare cappellini, maglioncini e scarpette di lana. Era così brava che riusciva persino a lavorare un capo con le mani e un altro capo con la magia, incastrando la bacchetta tra il sedile e lo schienale della sedia. Con questo sistema, in genere, otteneva sempre due capi identici, ma ne era comunque orgogliosa.
Quel giorno aveva deciso che la sua adorata nipotina aveva bisogno di qualcosa di più pesante per affrontare il primo inverno della sua vita: Appellò il cestino dei gomitoli e cominciò a scegliere i colori adatti per una coperta.
Aveva appena deciso che viola e verde sarebbe stato un accostamento perfetto quando sentì un lieve bussare alla porta.
Sulla sua soglia c’era una signora bassa e rotondetta, col viso un po’ sciupato, che sorrideva cordialmente.
- La signora Bennet? Non so se si ricorda di me, sono…
- La signora Weasley! Certo che mi ricordo di lei! - esclamò Lucy. - Si accomodi, la prego!
Una volta entrata, la signora Weasley si guardò attorno educatamente. L’appartamento della signora Bennet era situato in una palazzina Babbana, quindi la proprietaria aveva dovuto adeguarsi all’ambiente che la circondava; Molly rimase incuriosita da quella casa che sembrava non avere nulla di magico, ma fu distratta dalla voce di Lucy.
- Si sieda pure, e scusi il disordine… Le preparo un tè? Un caffè?
- Oh, no, non si disturbi…
- Ma quale disturbo, stavo giusto per prepararmi una tisana!
- Oh, beh, allora… un tè lo prendo volentieri, grazie.
Lucy sparì in cucina, e Molly ne approfittò per guardarsi ancora attorno. Alla fine l’occhio le cadde sui gomitoli estratti poco prima, e notò compiaciuta l’accostamento di colore scelto dalla sua ospite.
Di sicuro lei e quella donna sarebbero andate più che d’accordo.
- Tra poco l’acqua dovrebbe bollire - disse allegra Lucy, accomodandosi sul divano poco distante da Molly. - Come mai da queste parti, signora Weasley?
- Ecco, sa, ero a Londra per delle commissioni…
Bugia. La signora Weasley era lì per uno scopo ben preciso: parlare con la madre della ragazza di Percy circa il futuro dei loro bambini.
- … e ho pensato di venire a trovarla. In fondo è molto che non ci vediamo e…
- Ha fatto benissimo! Sono molto contenta che l’abbia fatto, davvero!
Le due signore si scambiarono un gran sorriso. Si erano conosciute dopo la battaglia a Hogwarts, in circostanze tremende per entrambe, e da allora non avevano più avuto contatti.
L’acqua bollì, e la signora Bennet corse a spegnere il fuoco sotto il bollitore che fischiava. Quando tornò trovò la sua ospite che teneva tra le mani i gomitoli verde e viola, e li rimirava con attenzione.
- Le piace l’accostamento?
- Moltissimo! Sta facendo un maglione?
- Una copertina. Per la… nostra nipotina, sa…
Molly annuì e sorrise di nuovo. Prese la tazza che la signora Bennet le porgeva e iniziò la conversazione partendo da un argomento qualsiasi.
Le due donne chiacchierarono di tutto, quel pomeriggio: della nipotina, di ciò che avrebbero fatto a Natale, dei rispettivi gusti… le solite chiacchiere disimpegnate, insomma.
- E quindi, signora Bennet…
- Oh, mi chiami pure Lucy! In fondo siamo quasi consuocere!
- Già… quasi.
Tacquero entrambe, improvvisamente serie. Alla signora Bennet non era sfuggito il modo in cui Molly aveva sottolineato il “quasi”.
La guardò negli occhi, e capì all’istante di aver trovato un’alleata.
- Un vero peccato - mormorò, saggiando il territorio, - che non siamo ancora davvero consuocere.
- Già.
La signora Weasley sorbì lentamente il tè che le rimaneva, poi restò pensierosa. - Sa, Lucy, ho sempre pensato che, tra i miei figli, Percy fosse il più serio, il più posato… il più affidabile…
- Oh, no, Molly! Sono sicura che è tutta colpa di Audrey - la interruppe Lucy. - Percy ha sempre avuto un atteggiamento più che corretto con lei, e sono certa che…
- Però, se lui non fa il minimo sforzo per convincerla…
- Si vede che non conosce bene Audrey, è una tale testarda… ha preso del padre, sa?
Continuarono per un po’ a dare la colpa del mancato matrimonio ciascuna al proprio figlio, finché non raggiunsero un punto d’accordo: non importava sapere quale dei due fosse l’indeciso, l’importante era che quel matrimonio si facesse.
A costo di pensarci loro.
- Dici che riusciremo a… convincerli?
- Mia cara, ne sono certa. Avresti ancora un po’ di quel tè? Era davvero delizioso!
Sì, quel matrimonio si sarebbe fatto, ad ogni costo. Perché .
 
 
 
 
Ventotto novembre, ventinove novembre… Dicembre si avvicinava sempre di più, col suo freddo rigido e impietoso. Sia Percy che Audrey temevano per la salute di Molly Pernille, ma questa, nonostante la costituzione gracile, sembrava molto più resistente di loro al raffreddore e alle altre malattie tipiche di quel periodo.
Di certo non aveva ereditato la resistenza da Percy, che temeva il freddo come il vaiolo di drago. L’inverno millenovecentonovantotto, poi, andava annunciandosi come uno dei più rigidi degli ultimi vent’anni.
Allegria. Come minimo mi prenderò una polmonite.
Quel pomeriggio di inizio dicembre Percy uscì dal Ministero un po’ prima, pregustando già il caldo accogliente della sua casetta. Invece di andare a piedi, come faceva spesso, pensò bene di usare uno dei camini dell’Atrium; non fece però in tempo a sbucare in casa sua che fu colpito in fronte da qualcosa di appuntito.
- Ahio!
Guardò a terra: sul pavimento giaceva un foglio di pergamena appallottolato malamente. Audrey era seduta al tavolo della cucina, e aveva lanciato quella pallina mirando al camino acceso.
- Grazie dell’accoglienza, Bennet…
Sorpresa, Audrey saltò sulla sedia, facendo cadere a terra parecchi fogli e rovesciando l’inchiostro su quelli rimasti sul tavolo. - Perce! Ti pare questo il modo di… apparire alle spalle delle persone?
- Non vedo come sarei potuto apparirti di fronte.
Sorrise, poi si avvicinò a Audrey. Si chinò a baciarla, ma lei ebbe uno scatto, come se volesse coprire il foglio su cui stava lavorando.
Percy restò interdetto da quello scatto, ma per il tempo seguente Audrey lo tenne talmente impegnato che non ci pensò più.
 
 
Cosa c’era di tanto importante su quel foglio? Beh… in verità nulla.
La cosa davvero interessante era scritta sulla pergamena accartocciata che Percy aveva poi buttato nel fuoco senza badarci.
Quel foglietto, infatti, faceva parte dell’idea che la fertile mente di Audrey aveva prodotto un giorno, durante una delle pause dal suo nuovo lavoro (magazziniera al Ghirigoro).
Come idea non era nata proprio bene; era anzi stata accolta con molta diffidenza dalla sua creatrice, che inizialmente l’aveva considerata con fastidio, e solo dopo un po’ era riuscita ad accettarla del tutto.
Non era un’idea complicata, anzi, di base era molto semplice: visto che non sapeva come dire a Percy che voleva sposarlo, non l’avrebbe fatto.
Facile.
La cosa difficile era realizzare la seconda parte del piano. Non avrebbe detto nulla a Percy, ma di certo non sarebbe rimasta senza far nulla.
Anzi, avrebbe fatto, eccome!
 
Il senso di tutto ciò Percy lo capì – e adesso lo capirete anche voi – solo qualche giorno dopo.
Anche quel pomeriggio faceva freddo, anche quel pomeriggio Percy sbucò in casa sua dal camino. L’unica differenza la fece Audrey, che invece di essere seduta al tavolo era in piedi di fronte al camino, con l’aria di chi aspetta da almeno mezz’ora ed è ormai in preda all’impazienza.
- Ehi…
- Mi serve un tuo consiglio.
Esordio strano, ma nemmeno troppo, visti gli standard di Audrey. Percy le sorrise mentre si toglieva il mantello.
- Che hai combinato, stavolta?
- Ecco, vedi, stavo cercando un modo per far sistemare nello stesso tavolo i nostri parenti più anziani, ma ho un dubbio tremendo.
Parenti? Tavolo?
Questo iniziava ad essere già più strano.
Audrey si fece avanti tendendo un foglio vergato a mano, che Percy prese ed esaminò.
- Vedi? Ho immaginato che ci fossero dei tavoli rotondi, sai, li preferisco… però, ecco, il mio dubbio è questo: Charlie mi ha parlato molto di…
- Bennet, che roba è questa?
- … di tua zia Muriel, e ho pensato che è tipo una versione femminile di mio nonno Bunbury, quindi potremmo metterli vicini… ma sarà un bene? No, perché non vorrei che finissero col rovinare la festa a tutti gli altri…
A Percy iniziava a girare la testa. Non lo aiutò a schiarirsi le idee lo schizzo che Audrey aveva fatto malamente sulla pergamena: c’era uno sgorbio che doveva essere un tavolo, con attorno dei pallini – le persone sedute – e delle frecce che indicavano i nomi delle persone. Alcuni nomi erano stati scritti più volte e cancellati.
- Non so proprio che fare, tu che ne pensi?
- Penso che se non mi dici subito cos’hai in mente avrò il mal di testa per tutta la prossima settimana, e non posso permettermelo, perché martedì ho l’esame da uditore per il Wizengamot. Quindi, piantala e dimmi cosa succede, per cortesia.
Audrey prese fiato e lo guardò negli occhi, torcendosi le mani. Ripassò mentalmente il discorsetto che si era preparata, poi parlò.
- Ecco… stavo pensando che… insomma, abbiamo aspettato anche troppo, quindi penso che iniziare ad occuparsi anche delle piccole cose sia il modo migliore per recuperare un po’ di tempo…
- Tempo per cosa, scusa?
- Aspetta, ci sto arrivando! - sbottò Audrey, scocciata in un modo che la rese simile a Oleg. - Vedi, qualche giorno fa ho pensato a quante cose ci sono da preparare, e mi sono detta che era ora di darsi da fare… Così, per prima cosa ho pensato agli invitati, sai, in fondo…
Tacque, interdetta, quando la mano gelida di Percy le coprì la fronte.
- Stai delirando, Bennet. Non sento febbre, ma stai delirando.
- Non sto delirando! Sto benissimo!
- Non mi pare proprio…
- Maledizione, vuoi farmi finire? Sto cercando di spiegarti come ho organizzato il nostro matrimonio!
 
Vi hanno mai dato un colpo in testa così forte da rintronarvi completamente?
Ecco: quelli di voi che hanno avuto quest’esperienza potranno capire come si sentì Percy in quel momento.
Rintronato.
- Il… il… il nostro cosa?
- Levami quella mano da morto dalla testa, sto congelando!
Percy ritrasse subito la mano, sconvolto.
Ha detto matrimonio?
Ha detto MATRIMONIO?
… Godric, è impazzita.
- Bennet, tu… tu… hai detto per caso…
Audrey aprì la bocca e la richiuse. Guardò i propri piedi, si torse le mani e poi passò la sinistra tra i capelli.
Questo era il suo campionario di gesti per i momenti imbarazzanti, ma Percy non ci fece caso. Era così sconvolto che non si sarebbe accorto nemmeno se un drago fosse uscito dal camino e avesse cominciato, che so, a suonare l’ukulele.
- Bennet…
- Io…
- … ti sei espressa male, vero? Tu… forse intendevi dire che stai organizzando un matrimonio al quale noi parteciperemo, non è così?
- Ecco…
Bene, Aud, ci sei. Com’era il discorsetto per introdurre questa parte?
… Cavolo, non l’ho preparato! No!
- Ecco, Perce, io…
Deglutì rumorosamente. D’un tratto non era più sicura di cosa volesse dire o fare. Faceva bene o faceva male?
L’avrebbe scoperto subito.
- … io ci ho pensato, e… se la tua proposta fosse ancora valida…
- Quale proposta?
- Come “quale”? Quella proposta!
- Ah…
- Insomma, se fosse ancora valida, io vorrei… Voglio… Insomma, sì.
- Sì cosa?
- Sì. Vorrei… vorrei sposarti. Sì.
Passò una manciata di secondi senza che nessuno dei due parlasse. Audrey cercava di convincersi che era riuscita a dirlo davvero, mentre Percy non credeva alle sue orecchie. Alla fine però fu lui il primo a riprendersi.
- Dici… sul serio? Non stai scherzando, vero?
- No. Io… sul serio.
D’un tratto apparve qualcosa sul viso di Percy; durò meno di un secondo, ma Audrey avrebbe potuto giurare di averci visto sopra un ghigno, inedito su di lui ma spesso usato dagli altri maschi Weasley che aveva conosciuto.
Un ghigno che era l’essenza stessa della furbizia.
Un secondo dopo era già scomparso: il viso che Audrey aveva di fronte era di nuovo serio e spigoloso come prima.
- Mi spiace, Bennet, ma la proposta non è più valida.
 
 
Fu il turno di Audrey di rimanere rintronata.
Come non è più valida? Che significa? Perché? Quando? Chi? Dove?
- Ma… ma…
- Vedi, Bennet… - Percy assunse il tono che usava un tempo con lei quando era ancora una sua dipendente. - Mi sarebbe tanto piaciuto, sul serio… ma ti ho fatto ben più di una proposta. Te ne ho fatte tre.
- Ma Percy…
- Sulle prime due posso soprassedere, visto che non erano adatte alle circostanze ed erano formulate piuttosto male… - Tolse gli occhiali e iniziò a pulirli, come aveva fatto il Capodanno di due anni prima. - Ma la terza non aveva nulla di sbagliato. Anzi.
- Percy…
- Quella volta, però, mi hai dato una serie di motivazioni per il tuo rifiuto, motivazioni che ho trovato e trovo tuttora fondate e impossibili da biasimare. Dopo quel giorno, quindi, mi sono messo il cuore in pace.
- Ascolta…
- Non ti ho più fatto richieste, non ho più insistito. Mi sono adeguato a quello che desideravi perché ti amo.
- Io…
- Ma la mia proposta non è più valida. Se vuoi sposarmi dovrai chiedermelo tu, Bennet.
Rimise gli occhiali al loro posto per contemplare l’effetto delle sue parole sul viso di Audrey. La ragazza era rimasta confusa sentendo l’ultima frase, ma le bastò un secondo per capire ed arrossire.
- Dovrei… chiederti di sposarmi?
- Certo.
- Ma… Ma no! È pazzesco! Sono gli uomini a fare la proposta alle donne, non il contrario!
- Per Merlino, Bennet: per essere una che a vent’anni è andata a convivere con il proprio capo e a ventuno ha avuto una figlia, ti facevo più anticonvenzionale…
Altro che ghigno! Percy la stava veramente prendendo in giro!
Il mondo gira al contrario! Dannazione, non voglio fargli io la proposta!
- Perce…
- Sì, cara?
- … Non mi hai mai chiamato “cara”!
- Abituati. Allora, volevi dirmi qualcosa?
Il ghigno che Audrey aveva solo intravisto poco prima, adesso troneggiava sul viso di Percy. Era abbastanza irritante. Molto irritante.
- Tu vorresti… ehm…
- Cosa?
- Vorresti… uhm… vorresti… Insomma, lo vuoi o no?
- Mi spiace, non so di cosa stai parlando.
Numi, costui passa troppo tempo con Charlie e gli altri suoi fratelli! Sta diventando come loro! Dov’è il vecchio, noioso, antipatico, scorbutico Percy?
Pregando di riuscire a superare la vergogna e l’umiliazione di quel momento, prese fiato.
- Vuoi sposarmi, Percy?
Umiliante, dannatamente umiliante. Guardò in terra, mentre sentiva le gote arrossarsi.
Percy non rispose subito. Anche guardandolo Audrey non avrebbe potuto capire cosa gli stava passando per la testa in quel momento. Il ghigno provocatorio era scomparso, lasciando il posto ad un’altra espressione completamente nuova e sconosciuta.
Alla fine Percy prese tra le mani il viso di Audrey e lo sollevò per guardarla negli occhi.
- Sì. Tutti i sì del mondo.
 
 
 
 
 
Non so che fine abbia fatto il vecchio, noioso, antipatico e scorbutico Percy, ma penso che stia bene lì dov’è.













Eccomi qui, finalmente!! *spupazz*
Ci ho messo un'eternità, mi dispiace. Prima l'esame a fine settembre (superato, YEP!), poi una specie di blocco che mi ha fatti riscrivere dieci miliardi di volte il capitolo... Un macello. Mi spiace per l'attesa.
Vi dico subito di non aspettarvi tempi brevi nemmeno per il capitolo 28, perché ho delle scadenze a fine mese e non riuscirò a pensare anche alla storia.

Passiamo ora alle NOTE!!

1) Il gioco di "Medieval Struggle" non è una mia invenzione, ma una citazione dalla fanfiction di Charme che ho linkato nello scorso capitolo; se non l'avete ancora letta, FATELO. ORA.
2) Gonath il Rigattiere, l'Ekspires e Todryk vengono invece dal gioco di carte "Sì, Oscuro Signore!", a cui ho recentemente fatto appassionare i miei cugini (che - sia chiaro - sono solo tre, e in maggioranza femmine).
3) Avevo detto che Oleg fumava (capitolo 14), ma siccome c'è un'annosa discussione sul dilemma "i maghi fumano o no le sigarette?", ho deciso che un tipo come lui poteva fumare benissimo la pipa - che, tra l'altro, è canon perché nominata nel secondo o terzo libro, mentre le sigarette non sono mai citate nella saga.
4) Nonno Bunbury: alzi la mano chi ha capito la citazione! (Charme, tu no! Lo so che lo sai! E forse anche Agne!)
5) L'accostamento verde/viola è ORRIBILE. Visto però che la signora Weasley non sembra avere uno spiccato senso del colore (vedi voce: maglione color melanzana) ho pensato che a lei potesse piacere.
Così, un inutile dettaglio tanto per migliorare la scena.
6) Vi prego, non state a fossilizzarvi troppo sul "drago che suona l'ukulele". Mi serviva un paragone stupido, ecco.
7) Sì, Charlie è citato almeno un paio di volte, anche indirettamente. Oh! <3
8) L'angolo dei consigli: stavolta tocca a questa storia, di cui sono la diretta responsab - ehm, ispiratrice: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=847913&i=1
Quest'altra - ma tra poco dovrò chiedere i diritti all'autrice, visto che è ospite fissa dell'angolo-spam: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=845124&i=1
E quest'altra, che mi sta letteralmente facendo impazzire: http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=693617&i=1




Grazie di aver letto, ragazzi e ragazze: siete straordinari!
Un bacio bavoso e uno stritolante *spupazz*
Fera


EDIT!!! La fanart sottostante è stata creata da Agne appositamente per questa storia. Guardatela & veneratela:

Ritorna all'indice


Capitolo 28
*** L'incredibile inutilità della segretezza ***


L'incredibile inutilità della segretezza

 


 
Se la signora Weasley e la signora Bennet avessero saputo che i loro figli avevano finalmente deciso di sposarsi, sarebbe successo di tutto. Le due – perché sicuramente sarebbero state insieme in quel momento – avrebbero finito con l’abbracciarsi e commuoversi fino alle lacrime; ma sarebbe stato un pianto breve, perché pochi minuti dopo avrebbero iniziato a fantasticare sul grande giorno: la signora Weasley avrebbe offerto il giardino della Tana come location, visto che per Bill e Fleur era stato perfetto, e la signora Bennet avrebbe proposto di rivolgersi al marito della signora Rosemary, che lavorava per la ditta di Magigazebo Millamant e avrebbe fatto loro un buon prezzo. Dopodiché le due si sarebbero messe a parlottare in un angolo, discutendo dei dettagli più importanti come il colore delle decorazioni, i non-parenti da invitare assolutamente e i vestiti delle damigelle. E quello dello sposo. E della sposa, ovviamente.
Insomma, se la signora Weasley e la signora Bennet avessero saputo che i loro figli volevano sposarsi, avrebbero sicuramente preso in mano le redini della situazione e si sarebbero occupate di tutto, relegando i due principali interessati al ruolo di semplici ed impotenti spettatori.
Se l’avessero saputo.
 
Siccome, però, a Audrey e Percy non andava di subire passivamente le pianificazioni ideate delle loro amorevoli mamme, decisero che era meglio non dire loro quello che intendevano fare.
Anzi, per sicurezza non dissero niente a nessuno, per evitare qualsiasi tipo di intromissione; né i Bennet né i Weasley vennero dunque messi al corrente della decisione di Percy e Audrey. Certo, sapevano benissimo che quel comportamento non era né corretto né gentile, soprattutto considerando quanto entrambe le famiglie sarebbero state felici di una notizia simile; d’altra parte… era meglio così. Autodifesa, la chiamava Percy, e Audrey per una volta non riusciva proprio a dargli torto.
Quindi, non diedero la notizia a nessuno, e iniziarono silenziosamente a preparare alcuni dettagli del loro giorno. L’unico a sapere tutto, ovviamente, fu Adams, ma a lui non si poteva non dirlo.
- Ci mancava solo che mi lasciaste all’oscuro anche di questo, dopo quello che mi avete fatto penare quando vi siete messi assieme! - esclamò Adams, circa un paio di giorni dopo che Percy aveva detto di sì a Audrey. - Dico, una cosa simile entrerà negli annali della storia magica! Le future generazioni lo studieranno a scuola!
Audrey sollevò gli occhi dai due campioni di stoffa che stava osservando attentamente – cercando di capire quale fosse esattamente la differenza di colore tra il perla e l’avorio e perché fosse tanto importante per una stupida tovaglia – e sospirò.
- Non esagerare… Lo so che il fatto che io mi sposi è strano, ma…
- Magari fosse solo quello! La cosa davvero strana non è che tu ti sposi, ma chi sposi! Conosco persone al Ministero che non avrebbero scommesso un pelo su una cosa simile…
- Grazie, sei un vero amico.
- Dai, Aud, lo sai che ti prendo in giro. In fondo, credo di essere stato il primo a pensare che voi due avreste dovuto fare coppia fissa. - Tornò ad osservare la rivista che stava sfogliando attentamente. - Toh, vesti da sposa rosse! Questo dovrebbe interessarti!
Audrey sbuffò sonoramente. - Ti ho già detto che il mio vestito sarà bianco.
- Beh, dovevi pensarci prima; non trovi che sarebbe un po’ fuori luogo indossare un tradizionale abito bianco da pulzella dopo aver già avuto una bambina?
- Non mi interessa, ho detto bianco e bianco sarà. Punto.
- Anche il verde non ti starebbe male… Guarda che bei modelli, credo che al capo…
- Bianco.
Adams sospirò e alzò le spalle. - Come ti pare. Fortuna che non dovrò occuparmi io di questo… Essendo uomo, grazie a Godric, mi spetterà il compito di aiutare lo sposo a scegliersi l’abito. - Ghignò.  - E allora che mi divertirò…
 
 
Se Audrey sembrava tranquilla e a suo agio per quanto riguardava la gestione del matrimonio – cosa rara, vista la sua avversione per qualsiasi cosa riguardasse una pianificazione e un’organizzazione ben precise – dello sposo non si poteva dire altrettanto.
Anzi.
Era proprio andato.
Così andato che se ne accorse persino il Ministro della Magia, Kingsley Shacklebolt.
Kingsley era un uomo dalle mille qualità: tutti lo conoscevano e lo ammiravano per il coraggio dimostrato durante la guerra, ed ora gestiva il mondo magico inglese con molta serietà e competenza.
Naturalmente uno come lui non poteva non avere un ottimo spirito di osservazione; quindi, doveva per forza accorgersi che il suo assistente aveva qualcosa che non andava.
A dirla tutta, se ne sarebbe reso conto anche senza questo suo famoso spirito di osservazione, perché quando chiedi quattro volte una cosa semplice come “Vammi a prendere dei promemoria, per favore” e ottieni in cambio sguardi vacui rivolti allo stipite della porta, di qualcosa devi pur accorgerti.
Quando si ritrovò a dover ripetere la stessa frase per la quinta volta, Kingsley si arrese. Silenziosamente si alzò, si piazzò davanti alla scrivania di Percy, incrociò le braccia e mise su quella che al corso per Auror definivano “faccia-da-interrogatorio”.
- Va bene, Percy… Non vorrei farlo, ma visto il tuo atteggiamento improduttivo mi ci vedo costretto.
Percy sobbalzò, smise subito di fissare lo stipite e si volse verso il Ministro cercando di assumere subito un’aria efficiente.
Invano. Il Ministro Shacklebolt aveva il viso contratto e minaccioso; non era un’espressione che assumeva spesso, ma quando accadeva… Percy, in realtà, non sapeva bene quali fossero le conseguenze, ma aveva abbastanza esperienza nel campo da intuire che un Ministro arrabbiato non è mai una buona cosa.
Deglutì.
- Ehm… A cosa si riferisce, signore? - squittì impaurito.
Kingsley alzò un sopracciglio e cercò disperatamente di non mettersi a ridere. - Al fatto che, in genere, i dipendenti negligenti vengono degradati o, se ricoprono alte cariche come la tua, spediti direttamente a casa in modo che possano dare il buon esempio a tutti gli altri.
Altro suono di deglutizione. Se prima l’attenzione di Percy aveva vagolato in chissà quali meandri, adesso era ben viva e presente – assieme ad un malcelato terrore. Reprimendo l’ennesimo scoppio di risate, Kingsley proseguì.
- E tu, Percy, ti stai dimostrando decisamente negligente, dato che ho chiesto quei promemoria almeno quattro volte e ancora non li vedo qui…
Veloce come un fulmine, Percy si alzò dalla scrivania sbattendo entrambe le ginocchia e scattò verso la porta, inciampando nella veste e andando quasi a fracassarsi la testa contro lo stipite che poco prima aveva fissato con tanta insistenza. Stavolta Kingsley non riuscì proprio a trattenersi; scoppiò a ridere così fragorosamente e di gusto che Percy interruppe il suo tentativo di uccidersi contro la porta e lo guardò, interdetto.
- Co… - provò a dire, ma fu inutile. Quello che fino a poco prima sembrava un Auror molto molto cattivo si stava ora letteralmente spanciando dalle risate.
Oh beh. Se l’idea di licenziarmi lo fa ridere così tanto, magari ci ripenserà.
O no?
Non sapendo bene cosa fare, Percy rimase lì, perplesso, mentre Kingsley si appoggiava alla propria scrivania per riprendere fiato.
- Ehm… Ministro, quindi devo andare a prendere i promemoria o no?
Finalmente calmo, Kingsley guardò di nuovo il suo assistente. - Nah, non è urgente. Adesso è molto più urgente, per me, sapere cosa ti succede.
Si sforzò di non scoppiare di nuovo a ridere davanti alla faccia estremamente confusa di Percy. Per Godric, come aveva fatto in tutti quegli anni senza averlo come assistente? Era impagabile!
- Percy… - riprese, con più calma. - È tutta la mattina che fissi quello stipite e sospiri. Cosa c’è? Qualcosa che non va? Sai che puoi parlarmene…
Percy impallidì. Delle poche cose che non amava, nel Ministro Shacklebolt, quella era forse la peggiore: il suo voler entrare in confidenza con lui. Diamine, con Caramell e Scrimgeour non aveva mai avuto di questi problemi: entrambi i Ministri evitavano sempre di immischiarsi nei suoi affari personali, e a Percy questo atteggiamento andava benissimo.
Kingsley, invece, non riusciva a fare a meno di occuparsi degli altri: se intravedeva un’ombra di preoccupazione sul volto di qualcuno cercava di capire quale fosse il suo problema e si offriva di risolverlo, con una gentilezza e una generosità che di solito commuovevano l’interessato e lo spingevano a confidare a Kingsley tutti i propri crucci.
Questo – naturalmente – non accadeva con Percy, il quale rimpiangeva i bei vecchi tempi in cui i Ministri facevano solo i Ministri e non cercavano in tutti i modi di farsi i fatti tuoi.
Anzi, è strano che non si sia accorto di quando ero giù per via di Audrey. Adesso che va tutto bene, cosa diamine dovrei dirgli? Che ho la testa occupata dal pensiero dei mille modi per non dire ai miei che sto per sposarmi?
Preso alla sprovvista e privo di una frase decente con cui ribattere, Percy sparò una scusa a caso.
- Ehm… No, nulla, ho solo… beh, ho dormito poco stanotte. Sa, la bambina…
- Non mentire. Di solito quando dormi male hai i cerchi sotto gli occhi e ti scrocchi il collo in continuazione. Allora?
Fondatori, questo è peggio di Adams! È Adams con la mentalità analitica di un Auror!
… Giuro che se Molly diventa un’Auror la sbatto fuori di casa.
- Davvero, Ministro, io… ehm…
Quanto odiava il sorriso disponibile e conciliante di Shacklebolt! Quanto! Era… troppo gentile per i suoi gusti.
- … Ehm… stavo solo pensando… ehm…
- Ehi, se è qualcosa di imbarazzante sta’ tranquillo: non mi infastidisce affatto parlarne.
La curiosità di Adams, l’intuito di un Auror e l’indelicatezza della signora Bennet. Aiuto.
- No, ehm… Ma non credo che le interessi, sono faccende private…
- Sono il Ministro della Magia, devo avere a cuore il benessere di tutti - ribatté Kingsley con fierezza.
Ridatemi Caramell. Ridatemi Scrimgeour. Vi prego, ridatemeli.
Sentendo quella frase, Percy si arrese. Non poteva far nulla per contrastare i buoni sentimenti del Ministro.
Sospirò.
- Va bene. Ecco, il fatto è… ehm… sono un po’ distratto, ultimamente, perché… beh, io e la mia ragazza, uhm…
Si fermò, sperando che Kingsley capisse da solo, con la sua straordinaria intuitività, di cosa Percy stesse parlando. Niente.
Anche il signor Crouch non era poi così male, in effetti. Non sapeva nemmeno come mi chiamassi, ma almeno non dovevo subire interrogatori. A parte quella volta in cui mi hanno torchiato perché non mi ero accorto che era sotto Imperius… ma insomma, era meglio.
- Per farla breve - fece Percy in fretta, - tra qualche mese ci sposeremo, e…
- Oh! - esclamò il Ministro. Fece un gran sorriso, tutto contento. - Auguri! Ma perché non l’hai detto subito? Hai bisogno di un permesso? Siete in piena fase di organizzazione, immagino.
- Ehm, già… Ci sono moltissime cose da definire e… Insomma, ho la testa un po’ piena, in questo periodo.
Kingsley apparve molto comprensivo. - Se ti servono dei giorni liberi, non hai che da chiedere. A proposito, che data avete deciso?
- Beh, ora come ora pensiamo a marzo…
Kingsley approvò la scelta annuendo. - Ottimo. Avrai un permesso anche in quel periodo, ovviamente: immagino che vorrete andare in viaggio di nozze.
- Sì, pensiamo di visitare la Norvegia… se riusciamo a trovare qualcuno che badi per un po’ a Molly. Anche se tra i miei genitori e mia suocera non dovrebbero esserci problemi.
Uh, ecco cosa devo ricordarmi di fare: andare da Madama McClan a cercare mantelli abbastanza pesanti per non morire assiderato in mezzo agli orsi polari. Dannata sia Bennet e le sue idee balorde!
Kingsley pareva molto soddisfatto delle risposte ottenute. - Bene, sono davvero contento per te, Percy; e capisco anche che tu possa avere la testa tra le nuvole ogni tanto, ma magari, quando sei al lavoro, cerca di concentrarti più che puoi su ciò che ti dico, va bene?
Percy non poté fare a meno di sorridere in risposta al Ministro. - Va bene, mi scusi…
- Ti scuso solo se mi mandi un invito al matrimonio. 
Caspita, parlare col Ministro non era poi tanto male, in fondo. Era stato gentile, relativamente poco invasivo, sembrava sinceramente felice per lui… e gli aveva dato anche un sacco di permessi in meno di un minuto.
Forse non rimpiango più così tanto i vecchi Ministri. Forse.
- E ora - sbottò all’improvviso il Ministro, tornando di colpo serio, - vuoi andarmi a prendere questi promemoria o devo ridurmi a mandare gufi incontinenti in giro per il Ministero?!
La faccia terrorizzata di Percy e il suo scatto verso la porta dell’ufficio diedero a Kingsley l’occasione di farsi un’altra sana risata. Godric, come faceva prima senza Percy?
 
 
 
 
 
Al di là delle macchinazioni di Audrey e delle fantasticherie di Percy, qualcun altro non si dava pace per il matrimonio di questi due. Come al solito, per “qualcun altro” si devono intendere la signora Weasley e la signora Bennet.
Di comune accordo, le due aspiranti consuocere avevano stabilito che insistere sui rispettivi figli sarebbe stato inutile; si erano quindi decise per un tentativo “incrociato” di persuasione.
Cose del tipo: “io convinco tua figlia, tu convinci mio figlio”.
La prima mossa l’aveva fatta la signora Bennet, dopo uno dei soliti pranzi domenicali a casa di Roman, esattamente quattro giorni dopo la decisione dei due ragazzi. Aveva insistito perché Percy l’accompagnasse sotto la veranda – il ragazzo aveva dovuto far forza su se stesso per affrontare il freddo dicembrino e accontentare Lucy – e quando fu sicura che fossero soli iniziò a parlargli.
- Allora - disse, come per caso, - come va tra te e Aud?
Percy smise di battere i denti per un momento, giusto il tempo di risponderle. - B-bene. B-beenis-simo…
Lucy sorrise, ignorando l’evidente incompatibilità di Percy alla temperatura esterna. - Mi fa piacere. Sai, non credevo che tra di voi sarebbe davvero durata così tanto…
Lo shock per quell’affermazione fu tale che Percy smise persino di tremare dal freddo. Fissò la signora Bennet basito, aspettando che lei continuasse il discorso.
Sorridendo sorniona, Lucy l’accontentò. - Sai, Aud è una ragazza espansiva, esuberante… difficilmente si lega con forza a qualcuno, in genere preferisce relazioni meno durature… Temo sia colpa della sua situazione familiare, sai, ha perso il papà da piccola, e… Insomma, i legami a lunga scadenza non sono mai stati il suo forte.
Una contrazione della mascella di Percy le fece capire che stava procedendo nella direzione giusta: la gelosia era sempre stata una sua grossa debolezza, e proprio lì la donna stava insistendo.
- Non mi pare - rispose il ragazzo, - che con me si stia comportando come dice lei…
- Oh, ma figurati! Non intendevo mica dire che ti lascerà! Figuriamoci, si vede che ti vuol bene, e poi avete una bambina…
Aveva aggiunto quella frase con una fretta studiata, degna di un’attrice. Stava ottenendo il suo obiettivo: instillare l’insicurezza in Percy.
- Però, sai… magari, se tu le chiedessi, che so, un impegno un po’ più preciso… potresti stare più tranquillo riguardo alla sua costanza, no?
Percy taceva, fissando un punto lontano dalla veranda. Non gli piaceva affatto il discorso della signora Bennet: che diavolo significava “un impegno ben preciso”? La signora Bennet voleva forse dire che…
Fu come se qualcuno avesse infilato una bacchetta nell’orecchio di Percy e avesse detto “Lumos”: ma certo! Lucy stava cercando di convincerlo a chiedere a Audrey di sposarlo!
Fu tentato di mettersi a ridere, ma il suo cervello ormai pienamente attivo lo dissuase dal farlo. Se avesse riso, la signora Bennet avrebbe pensato che lui trovava ridicola l’idea di sposarsi con Audrey, e si sarebbe offesa – oppure avrebbe insistito ancora di più.
Nel dubbio rimase in silenzio. Lucy fece altrettanto per qualche istante, poi tornò all’attacco.
- Ricordo quando stava con Ben… lo conoscevi, no? Beh, anche con lui sembrava dovesse durare per sempre… E invece non ci ha messo molto a dimenticarlo.
Questo fu un colpo piuttosto basso per Percy, che dovette farsi forza per ricordare che Audrey aveva lasciato Ben quando loro si erano conosciuti. La sua quasi-suocera era davvero diabolica: per un istante Percy fu tentato di sbatterle in faccia la verità, che no, lui era qualcosa di più di Ben, e che sì, Audrey era più che capace di prendersi un impegno serio visto che aveva deciso di sposarlo…
… Ma il sorriso sornione ed irritante della signora Bennet lo dissuase dal darle questa soddisfazione. No, non l’avrebbe fatto; quel tentativo di convincerlo a fidanzarsi con Audrey facendo leva sulla sua gelosia era stato fin troppo basso.
Ghignò a sua volta e guardò la signora Bennet negli occhi.
- Non è necessario che si preoccupi: sua figlia è eccezionale, e io mi fido ciecamente di lei. Non ho alcun motivo di essere geloso.
L’espressione delusa della signora Bennet lo fece sentire stranamente soddisfatto; si congedò con cortesia, dopodiché corse a rifugiarsi dentro casa, al caldo.
Lucy invece restò a fissare la porta, sconcertata. Era la prima volta che uno dei suoi piani non funzionava a dovere.
Sarà più dura del previsto.
 
 
I tentativi di persuasione di Molly ebbero un esito piuttosto diverso. La signora Weasley detestava i sotterfugi, che invece erano tanto cari a Lucy: preferiva di gran lunga essere diretta e parlare schiettamente agli interessati, a prescindere dalle loro possibili reazioni. Aveva cresciuto ben sette figli, quindi riteneva di potersi definire a pieno titolo un’esperta in materia di risoluzione dei problemi di qualsiasi tipo.
Senza nemmeno pensarci troppo su, la signora Weasley decise che il momento migliore per tentare di circuire la sua quasi-nuora fosse il bel mezzo della settimanale cena alla Tana – una settimana dopo il fidanzamento ufficioso di Percy e Audrey.
(Sì, le nostre signore hanno scarsa fantasia, purtroppo: o fanno le cose durante le riunioni familiari o non le fanno. Già.)
Si era, dicevamo, quasi a metà pasto, quando Molly approfittò di un raro momento di silenzio per iniziare a parlare.
- Sai, Audrey - interloquì, mentre la ragazza si stava riempiendo voracemente la bocca con una cucchiaiata di riso, - stavo pensando che sarebbe proprio ora di pensare ad un bel vestito per te.
- He vstio, sgnora Wisly? - biascicò Audrey, guadagnandosi un’occhiata di disapprovazione da parte di Percy.
- Ma come, “che vestito”? - insistette Molly. - Il vestito per la cerimonia, è ovvio!
Audrey stava per aprire di nuovo la bocca – piena – e domandare spiegazioni, ma la signora Weasley non glielo consentì. - Penso che potresti rivolgerti alla stessa bottega che si è occupata del vestito di Fleur, fanno un lavoro d’incanto…
Fleur, seduta giusto di fronte a Audrey, drizzò le antenne e capì al volo il discorso di Molly. - Oh, ma scerto! I meliori abiti da sposa che abia mai visto! - commentò con aria sognante.
A Audrey andò di traverso il boccone. Iniziò a tossire e divenne violacea, e fu necessaria una potente pacca sulla schiena da parte di Bill per rimetterla in sesto. Sputacchiando riso e al contempo cercando di riprendere fiato, Audrey guardò verso Molly come se la vedesse per la prima volta.
- Co… Cu… Ma… ha detto abiti da sposa?! - esclamò.
- Oui! Ti piascerebbero, ne hanno di tutti i tipi… Je crois que… Pardon, credo che ne abiano anche di coleuri diversi dal blanche, fatti apposta pour ragazze come toi…
Una strana sfumatura verdognola si era aggiunta al viola che tingeva il viso di Audrey. Il sesto senso di Percy, abituato ormai a prevedere l’arrivo di una fase Banshee piuttosto in anticipo, si attivò subito e lo spinse a intervenire.
- Mamma, Fleur, è molto… gentile da parte vostra, ma a Audrey non serve un vestito del genere… Non ora, almeno - disse in fretta, consapevole dell’inutilità di quella frase.
Molly fu sorpresa dall’intervento del figlio, ma non lo diede a vedere; rise in modo leggero e si rivolse ancora a Audrey. - Beh, non si sa mai; prima o poi potresti averne bisogno, quindi… tanto vale avvantaggiarsi, no?
Audrey era così allibita che non aveva idea di cosa rispondere. Si guardò attorno in cerca di sostegno, ma le facce che la circondavano – quasi tutte maschili, dato che Ginny e Hermione si trovavano a scuola – esprimevano solo curiosità e divertimento.
È un complotto! È un fottuto complotto! Vogliono vedermi crollare!
Si girò verso Percy, ma questi aveva pensato bene di tirarsi fuori da quella situazione e aveva iniziato a imboccare Molly seconda, tanto per fare qualcosa.
- Mi sembra davvero una buon idea - seguitò la signora Weasley. - Perché non ci vai già domani? Così inizi a farti un’idea dei modelli, degli stili…
- Ma io… - pigolò Audrey.
- Potrei accompagnarla io, Mollì, conosco quel luogo comme le mie poches.
- Splendido! Sentito, Audrey? Che te ne pare?
- Io… - cercò di dire di nuovo la ragazza, ma dovette capitolare. Qualsiasi cosa disse in seguito fu considerata completamente inutile da Molly e Fleur.
 
 
Fu quasi inevitabile, più tardi, che Audrey aggredisse verbalmente Percy non appena ebbero messo piede in casa.
- Mi vuoi dire che cavolo è venuto in mente a tua madre?! - sbraitò non appena l’uscio si fu richiuso.
- Che vuoi che ne sappia? È la prima volta che la vedo fare così…
- Le hai detto qualcosa? Dimmi la verità, le hai detto qualcosa?!
- Certo che no! Ti sembro forse pazzo?
Audrey aprì la bocca, ma si contenne e si limitò a sospirare. - Santo cielo… tutto questo non ha senso! Ce l’avrebbe se tua madre sapesse che dobbiamo sposarci…
- … O se cercasse di convincerci a farlo - terminò Percy, pensieroso. In risposta all’occhiata interrogativa di Audrey, le raccontò per filo e per segno tutto quello che la signora Bennet gli aveva detto.
Al termine del breve resoconto, il viso di Audrey aveva assunto di nuovo quell’inquietante sfumatura verdognola.
- Mia madre mi ha dato della ragazza facile?! - sibilò.
- Non distrarti e concentrati sul succo del discorso: quello che…
- Ma come si permette! Come osa!
- Aud, senti… No, posa la bacchetta, posa la bacchetta! Prima finiamo di parlare di questa cosa, poi potrai andare a fare stragi in giro per Londra.
Sbuffando con ferocia, Audrey gettò la bacchetta sul divano; le scintille rosse che ne sprizzarono fuori fecero la felicità della piccola Molly, che si stava godendo l’intera scena dal pavimento dove i genitori l’avevano per un attimo dimenticata.
- Grazie, Bennet.
- Sappi che la strage è solo rimandata.
- Non c’è problema. Dunque. Mi sembra chiaro che entrambe le nostre madri puntano ad un obiettivo ben preciso… giusto?
- Sì. Farmi impazzire. - Furibonda, Audrey si gettò a sedere sul divano. - Ti rendi conto che domani dovrò andare a far compere con Fleur? Fleur!
- Beh… - Percy si grattò la testa. - Potevi sempre rifiutarti, dire che hai un impegno…
- Lo so, ma… non volevo dire di no a tua madre. È che… lì per lì ho pensato che magari si comportava in quel modo per… ecco… cercare di reagire…
Percy la fermò con un gesto della mano: aveva capito cosa intendeva dire.
- Comunque - disse poi, - mi pare chiaro che, in un modo o nell’altro, sia mia madre che la tua stiano mirando a convincerci a sposarci.
Audrey ci pensò su. In effetti, il ragionamento non faceva una grinza. - E quindi?
- Quindi… - Percy soppesò bene le parole. - Non sarebbe il caso… ecco… di dire loro che noi abbiamo già deciso di farlo?
La ragazza sobbalzò. - Ma scherzi? No!
- Però…
- Dopo quello che mia madre ha detto di me, non voglio nemmeno pensare di coinvolgerla nel mio matrimonio!
- Ma non diceva mica sul serio, era solo per…
Ma era tutto inutile: Audrey si era intestardita, e Percy, dopo qualche vana protesta, dovette capitolare e lasciar perdere.
Sospirò stancamente, osservando Audrey che se ne andava in camera ancora furiosa, e poi prese in braccio la bambina.
- Che fatica stare dietro alla mamma… eh, Molly? - sussurrò. - Che dici, prima o poi troveremo il modo per farle passare questo caratteraccio?
“Padre, quando ti sei messo con lei sapevi benissimo com’era fatta, quindi ora non puoi lamentarti. O perlomeno non far pesare su di me le tue lagne, sono troppo piccola per sopportare una cosa simile. Ora, per favore, potresti portarmi a letto? Dovrei essere a nanna da almeno un’ora…”
Percy si riscosse. Diamine, doveva essere veramente stanco quella sera…
 
 
 
Il giorno successivo, giovedì, fu talmente caotico da sembrare quasi un sogno molto vivace. La mattinata era trascorsa in modo relativamente tranquillo, almeno al Ministero, e Percy non avrebbe mai pensato che di lì a poche ore si sarebbe scatenato un gran casino.
Subito dopo la pausa pranzo qualcuno aveva bussato alla porta dell’ufficio del Ministro, dove Percy era appoggiato temporaneamente. La porta si aprì e comparve un sorridente Arthur Weasley.
- Arthur! Qual buon vento? - fece Kingsley andandogli incontro, contento di rivedere l’amico.
- Ero in giro a far firmare qualche scartoffia, e ho pensato di fare un salto. Ciao, Perce.
Percy rispose al saluto e stava per dire qualcosa, quando il Ministro lo precedette.
- Arthur, avrei dovuto mandarti un gufo ma me ne sono completamente dimenticato: congratulazioni! Percy mi ha detto della bella notizia!
Calò il gelo. La mente di Percy iniziò a elaborare qualche via di fuga, ma invano. Arthur aggrottò le sopracciglia.
- Notizia? Che notizia, Percy?
Cavolo!
- Ehm… ecco… ma come quale notizia, papà? Quella… - rispose Percy. Fu una fortuna che Kingsley gli desse le spalle, perché riuscì a fare ad Arthur un cenno che significava “te lo dico dopo”. Arthur capì, ma sembrava ancora confuso.
- Infatti, Arthur: come si fa a scordarsi del matrimonio del proprio figlio? - aggiunse Kingsley, per poi scoppiare a ridere. Arthur era esterrefatto: guardò verso Percy, che rispose con un’occhiata supplice.
Ti prego ti prego reggimi il gioco ti prego ti dico tutto ma adesso non farmi fare figuracce ti prego…
- Ah… Beh… è vero, che stupido che sono - rispose Arthur in fretta con una risatina nervosa. - Troppo lavoro, sai…
- Papà, mi accompagneresti un momento in archivio, per cortesia?
- In archivio? Che devi fare in archivio, Percy?
La domanda del Ministro era più che legittima, ma Arthur fu bravissimo a sviarla. - Certo, andiamo subito - rispose, e uscì dall’ufficio a tutta velocità seguito dal figlio.
 
- Immagino che tu stia per spiegarmi che diavolo è questa storia…
Percy non rispose subito; si infilò in un ufficio abbandonato – buffo, se c’erano tante stanze vuote perché lui non poteva averne una tutta per sé come ai vecchi tempi? – chiuse la porta e poi prese fiato.
Suo padre non sembrava arrabbiato, ma solo estremamente confuso. - Allora?
Percy deglutì a vuoto un paio di volte prima di parlare. - Allora… è così. Audrey e io ci sposiamo.
Tutto il viso di Arthur si distese in un sorriso gigantesco; prima che Percy potesse dire qualcosa si ritrovò stritolato in un abbraccio pieno di entusiasmo.
- Ma è fantastico! Sapevo che ci saresti riuscito!
- Pa’, non respiro…
Arthur si staccò subito, e osservò il suo terzogenito con orgoglio. - Sono veramente felice, Perce. Speravamo tutti che prima o poi ci avreste dato una notizia simile! - Il suo sorriso si fece più piccolo. - Certo, sarebbe stato meglio venirlo a sapere da te che da Kingsley, ma… non importa, sono contento lo stesso.
- Papà, senti…
- Per Merlino, tua madre impazzirà! Aspetta solo che glielo dica…
- No!
Arthur si interruppe. - Come, no?
- No, papà. - Sospirò e pregò mentalmente che suo padre non si arrabbiasse troppo. - Ecco, se Audrey e io abbiamo deciso di non dirvi niente, è proprio perché… beh, insomma, tu conosci mamma…
Come con Kingsley, anche con Arthur le allusioni non funzionavano. Percy attese invano un cenno di comprensione da parte di suo padre, ma fu deluso.
- … quello che voglio dire è che… sia lei che la signora Bennet hanno un po’ la tendenza a… voler monopolizzare gli eventi che riguardano la famiglia, e…
Finalmente Arthur capì, e si fece serio. - Oh. Volete evitare che qualcuno organizzi il matrimonio al posto vostro, insomma.
Percy annuì in fretta. - Ti prego, non dire niente alla mamma, non voglio che ci rimanga male… - disse poi.
Ad Arthur venne quasi da ridere; per un attimo gli apparve davanti agli occhi il ricordo di un Percy bambino che lo supplicava di non dire a Bill che gli aveva rotto la piuma preferita.
- Tranquillo, siete in una botte di ferro - rispose, tornando a sorridere. - Però ti do un consiglio: sbrigati a dare questa notizia a tutti gli altri, li faresti davvero felici.
Percy promise che avrebbe fatto il possibile, dopodiché uscì dall’ufficio col cuore molto più leggero di quando vi era entrato.
 
Siccome aveva detto al Ministro che sarebbe passato in archivio, tanto valeva andarci davvero. Bussò cautamente alla porta del direttore ed entrò quando gli venne dato il permesso.
Il direttore degli Archivi Magici, Ernest Adams, ricopriva quell’incarico da quasi cinque mesi; immagino però che lo conosciate fin troppo bene, quindi non mi dilungherò su di lui.
Tutto ciò che dovete sapere, adesso, è che si trovava praticamente bocconi sulla sua scrivania, scosso dai singulti, mentre davanti a lui sedeva una Audrey livida in volto.
Perfetto. Capito sempre al momento giusto.
Respirando a fatica, Adams si asciugò le ultime lacrime che aveva versato per il troppo ridere e salutò Percy.
- Ex-capo - disse non appena poté, - la tua fidanzata mi farà morire.
- A chi lo dici… - mormorò Percy avvicinandosi a Audrey. - Che ci fai qui? Problemi?
Audrey non gli rispose, ancora offesa per le risate di Adams.
- Lascia stare - disse questi, - le passerà. Tu piuttosto?
- Ero… ehm… in giro da queste parti.
- Sempre questi passatempi tristi, eh, ex-capo?
- Ehm…
- Va beh, già che sei qui parliamo di cose serie. - Adams si alzò in piedi, aggirò la scrivania, vi si appoggiò e incrociò le braccia. - Allora, quand’è che andiamo a scegliere qualche veste da sposo decente?
- ARGH! - gridò Audrey facendo sobbalzare Percy. Adams, invece, scoppiò ancora a ridere.
- Maledizione, ti ho chiesto di non parlarmi di vestiti!
Percy alzò un sopracciglio. - Ho capito. È stata a far compere con mia cognata.
Soffocando la risata, Adams annuì. - Mi stava giusto raccontando com’è andata la sua mattina…
- Com’è andata? Una tragedia!
Audrey si alzò dalla sedia e prese a camminare intorno, furiosa. - Ho passato tre ore – tre! – a guardare Fleur scegliere abiti che su di lei sembravano splendidi, e che addosso a me facevano l’effetto di una vestaglia su un Troll! Ma avete idea di quanto sia umiliante andare per negozi con una come lei? E non parliamo dei commenti! Non so quante volte mi avrà ripetuto che sono bassa, che ho i fianchi troppo larghi, che non posso certo mettere un vestito bianco perché ho avuto fretta di fare una figlia… ARGH!
Audrey era davvero nervosa, ma quel suo modo di sbraitare e camminare era talmente buffo che anche Percy non riuscì a trattenere un sorriso. Per non turbare ancora di più la ragazza, però, tornò subito serio.
- Oh, mi dispiace… Ma alla fine com’è andata? Hai preso qualcosa?
Audrey si fermò, finalmente, e sbuffò. - Certo che no. Non ho intenzione di farmi dare consigli da una così; a scegliere il vestito ci andrò con chi dico io, o magari da sola.
Tornò a sedersi, un po’ più calma; Percy le si avvicinò e le mise una mano sulla spalla. - Dai, non puoi lasciare che Fleur distrugga la tua autostima…
- Bravo, ex-capo, diglielo anche tu. Coraggio, Aud, l’importante è che questa mattinata sia finita, no?
Audrey tirò su col naso. - Sì, avete ragione. La mattinata è passata, e sono ancora viva. - Ci pensò su. - Più che mai consapevole della mia bruttezza, ma ancora viva.
Percy sospirò. Se fosse stato solo con lei avrebbe confermato a parole e a fatti che a lui Audrey piaceva esattamente così com’era, fianchi larghi e tutto; ma non l’avrebbe mai fatto in presenza di Adams. Mai.
- Non dire sciocchezze - disse invece. - E comunque, poteva andare peggio: se avesse saputo che stiamo davvero per sposarci, ti avrebbe obbligata a comprare un vestito; per fortuna, invece, non è andata così.
Quell’argomento rasserenò Audrey del tutto. - Giusto. - Inspirò forte, ormai tranquilla. - Giusto. È una vera fortuna che nessuno sappia nulla…
- Già… Una vera fortuna… - borbottò Percy con aria colpevole, che solo Adams colse.
Per fortuna, però, Adams era Adams, quindi non fece domande.
 
 
 
 
Sarebbe davvero troppo lungo, a questo punto, raccontare degli otto giorni che seguirono. Se dovessimo soffermarci su ciascuno dei patetici ed inutili tentativi di Molly e Lucy di “spingere” i figli verso l’idea del matrimonio, dovremmo impiegare almeno un capitolo per ogni giorno. Visto che le prime due prove non erano bastate, le signore pensarono bene di assediare i ragazzi anche in momenti molto meno opportuni: la signora Bennet passò più e più volte a casa di Audrey e Percy in quei giorni, a qualsiasi orario e con scuse sempre più improbabili, e poco mancò che la signora Weasley si recasse persino in Ministero – e fu una fortuna che non lo fece, perché se avesse scoperto dei sotterfugi del figlio grazie a Kingsley sarebbe stata molto meno comprensiva di Arthur.
(Se poi vi pare strano che la signora Weasley abbia ritrovato di colpo tutte le energie, dopo solo sette mesi da quel famoso due maggio… beh, qui, cari lettori, dobbiamo forse prendere per buone le parole di Audrey: stava solo reagendo. Aggiungeremo: finalmente.)
Insomma, fino al diciotto dicembre i due poveri ragazzi non furono lasciati in pace nemmeno un secondo, in un modo o nell’altro. Eppure riuscirono a resistere senza vacillare nemmeno una volta: il fatto di non svelare nulla alle loro madri era ormai diventata una questione d’orgoglio.
Il quale, come ben saprete, ha un confine fin troppo labile con la testardaggine.
 
 
Venne infine il momento in cui le due signore si stancarono di quella situazione.
- Sono stanca di questa situazione! - esclamò Lucy non appena Molly si fu accomodata sul divano di casa sua. - Non stiamo ottenendo nulla da quelle due teste di rapa! Andrà a finire che non si sposeranno mai!
Si sfogò ancora un po’, mentre Molly l’ascoltava in silenzio, pensierosa. Quando finalmente Lucy ebbe finito di parlare, espose la sua idea.
- Perché - mormorò, - non glielo diciamo apertamente e basta?
- Che cosa dovremmo dire apertamente?
- Che vogliamo che si sposino. - La signora Weasley sembrava più determinata del solito. - Andiamo da loro e glielo diciamo; così saranno costretti a dirci chiaro e tondo se intendono o meno mettere la testa a posto.
Sulle prime alla signora Bennet la proposta non piacque. Non amava parlare in modo diretto, si divertiva molto di più ad insinuare idee negli altri.
Tuttavia, dovette convenire con Molly: i loro metodi “indiretti” stavano fallendo su tutta la linea. Rischiavano di non diventare mai consuocere, se continuavano così.
- E sia - rispose dopo un po’, rassegnata. - Facciamolo. Perlomeno, prima di Natale sapremo che razza di intenzioni hanno.
- A proposito - aggiunse Molly, - per Natale siete invitati tutti da me. Tutti.
Lucy sgranò gli occhi. - T-tutti?! Intendi…
- Già. Tutti.
- Ma… ma lo sai che i Bennet sono…
- Ho voglia di avere tante persone in casa, per Natale. Che vuoi che ti dica? Sono un tipo strano…
La signora Bennet non replicò; si limitò a sorridere, contenta.
 
 
 
 
 
 
La giornata del diciannove dicembre era iniziata troppo bene. Molly Seconda dormiva profondamente e non aveva svegliato i suoi genitori alle sei del mattino come al solito, per cui i due si erano concessi un po’ più di relax del solito.
Fu Audrey la prima ad avere la sensazione che qualcosa sarebbe successo.
- Perce?
- Mh?
- Non trovi che sia tutto troppo… tranquillo?
- Grazie a Merlino è tranquillo. Che vuoi che succeda?
- Non lo so, è che… Sai, da quando le nostre madri hanno iniziato a stressarci, mi sembra sempre che debbano piombarci in casa da un momento all’altro…
Un fragoroso CRACK! svegliò la bambina e fece sobbalzare i due ragazzi, che si guardarono terrorizzati.
- Non hai fatto l’incantesimo anti-intrusi! - strillarono, indicandosi a vicenda.
Un secondo dopo, una mano bussò gentilmente alla porta della stanza.
- Ragazzi, sappiamo che siete lì. Potreste uscire?
- Magari prima rendetevi presentabili!
- Ma dai, Molly, in fondo sono i nostri figli!
- Lo dico per loro, non voglio che si vergognino…
- E di cosa si dovrebbero vergognare, scusa?
- Oh, non conosci Percy, è terribilmente timido…
Percy e Audrey si guardarono di nuovo, sgranando gli occhi. La situazione era assurda, talmente assurda che non ebbero modo di stare a chiedersi perché le loro madri fossero assieme e perché proprio in quel momento. In meno di dieci secondi si rivestirono e uscirono, timorosi.
Nel piccolo salotto la signora Weasley e la signora Bennet li aspettavano sorridendo esageratamente; la prima aveva in mano una specie di paniere.
- Ben svegliati! - trillò. - Ci siamo permesse di portarvi la colazione, visto che è sabato!
- Mamma, cosa… - mormorò Audrey, ma la signora Bennet era già scappata in cucina a preparare il caffè per tutti.
- Mamma, ti ringrazio ma… sono le otto del mattino… - balbettò Percy.
- Hai ragione, Percy, abbiamo fatto un po’ tardi, ma…
Tardi? Tardi?! Oh santo cielo!
Audrey si trattenne a malapena dal dire ciò che aveva pensato. Lasciò che Percy se la vedesse con Molly e seguì sua madre in cucina, in un pallido tentativo di fermarla.
- Mamma, che ci fate qui? E soprattutto: da quand’è che conosci la madre di Percy?
La signora Bennet non rispose subito: trafficò un po’ in giro per la cucina, in cerca della caffettiera. - Sono sicura che questo caos è opera tua: non capisco dov’è che tieni le cose!
Audrey sospirò, allungò una mano e tirò fuori la caffettiera dalla credenza alla sua sinistra. - Allora, vuoi rispondermi? Perché siete qui? Perché siete qui insieme?!
La signora Bennet le fece un gran sorriso, poi si rivolse alla signora Weasley che era appena entrata in cucina insieme a Percy. - Ma sentila, Molly! Secondo Audrey dovremmo avere un motivo per venire a trovare i nostri figli e nostra nipote!
Audrey scosse il capo, rassegnata alla follia della madre. Da parte sua Percy non si capacitava ancora dell’invasione che stavano subendo, e una parte di lui iniziava a sentirsi molto irritata.
- Mamma, insomma, cos’è che volete? - fece bruscamente.
La signora Weasley aveva appena finito di svuotare il paniere, da cui aveva estratto uova, pane e svariate altre cose. Sospirò e scambiò uno sguardo d’intesa con Lucy, poi entrambe incrociarono le braccia e guardarono i loro figli, serie.
- Cosa vogliamo? - fece la signora Bennet. - Pensavamo che aveste inteso bene cosa vogliamo.
- Sono giorni ormai che cerchiamo di farvelo intendere - aggiunse la signora Weasley severa.
- Ma voi siete talmente zucconi che fate finta di non capire!
- Capire cosa? - chiese Audrey ingenuamente.
Molly sgranò gli occhi. - Che vogliamo che voi vi sposiate, è ovvio! Abbiamo cercato di comunicarvelo in tutti i modi, ma voi non volete capirlo…
- … O fingete di non capirlo - concluse Lucy, tagliente. - Ma noi ci siamo stancate. Non intendiamo perdere altro tempo con voi, e soprattutto vogliamo che iniziate a comportarvi da persone adulte e non da ragazzini.
Dopodiché, la signora Bennet iniziò un discorso che aveva tutta l’aria di essere lunghissimo, e a tratti anche la signora Weasley interveniva a dire la sua.
Percy e Audrey deglutirono in sincrono e si guardarono. Era giunto il momento: se non avessero detto alle loro madri che avevano deciso di sposarsi, probabilmente sarebbero andati incontro a guai seri. Poteva esserci di peggio rispetto al subire coercizioni psicologiche e visite mattutine: ad esempio, il senso di colpa.
Che era proprio l’argomento che la signora Bennet stava toccando in quel momento.
- Voi… non avete rispetto per noi! Voi non ci volete bene! Voi…
- Va bene, va bene! Ci arrendiamo! - esclamò Percy, fermando quel fiume in piena in cui si era trasformata la signora Bennet. - Ci arrendiamo, okay?
Lo shock fu tale che all’inizio Lucy non capì. - … voi non ci… cosa?
Percy prese fiato, e al suo fianco Audrey annuì per fargli capire che era d’accordo. - Avremmo dovuto dirvelo prima, lo sappiamo, - incominciò a dire Percy, - e ci dispiace moltissimo, ma… è successo tutto molto in fretta…
- Sì, perché io non ero convinta all’inizio, poi gliel’ho chiesto e… - si intromise Audrey.
- … e quindi ci siamo fidanzati, ma non l’abbiamo detto perché…
- … volevamo un po’ di privacy, sapete…
- … evitare di caricarvi con impegni e preoccupazioni…
- … anche fare un po’ di testa nostra, per una volta, perché no!
- … Comunque…
- … sì, insomma…
- … e questo è quanto.
Le due donne si guardarono, realizzarono di non aver capito nulla di quel discorso e tornarono a rivolgersi ai figli, perplesse.
- Ehm… Non abbiamo capito.
- Che cosa c’è da capire? - dissero contemporaneamente Audrey e Percy. - Ci sposiamo!
Un altro CRACK! coprì il rumore del “Cosa?!” gridato da Lucy e Molly.
- Molly? Sei qui?
- Arthur?! - esclamò la signora Weasley, ormai sopraffatta dalle sorprese di quei minuti.
Il signor Weasley si precipitò in cucina, ignorando il caos che vi regnava. - Eccoti, finalmente! Ciao Percy… Audrey… Signora Bennet…
- Arthur, che cosa ci fai qui? - strillò Molly.
- Cos’è che avete detto? - chiese Lucy alla figlia, ignorando i Weasley.
- Come, che ci faccio qui? Ti stavo cercando! Sei praticamente scomparsa: non eri da nessuna parte, alla Tana, e nessuno sapeva dov’eri andata!
- Abbiamo detto che ci sposiamo, mamma! - esclamò Audrey, superando le voci degli altri due.
- Ah, splendido! - esultò Arthur, lasciando perdere la moglie per un momento. - Finalmente glielo avete detto! Sono arrivato giusto in tempo, insomma!
- Come, finalmente?! Tu lo sapevi?!
- Aaaaaah! Mia figlia si sposa!
Dimenticato per un attimo da tutti gli altri, Percy osservò la scena surreale che gli si parava davanti: Audrey era stata sommersa da un abbraccio di Lucy, che non la finiva più di emettere acuti gioiosi; Arthur stava balbettando qualcosa sul rapporto padre-figlio nel vano tentativo di rabbonire Molly, che da parte sua non si capacitava del fatto che lui sapesse già tutto mentre lei si era dovuta fare in quattro invano per convincere due persone già convinte.
Il tutto divenne ancora più surreale quando le due finalmente future-consuocere si abbracciarono a vicenda e iniziarono a piangere commosse. Fu però un pianto breve, perché due minuti dopo le due donne iniziarono a fantasticare su come, dove e quando organizzare il tanto sospirato evento.
 
 
Solo quando tutto fu un po’ più calmo, Percy e Audrey si resero conto che, alla fine, era successo proprio quello che volevano evitare: l’intromissione delle loro madri in quel matrimonio così desiderato. Tutta la segretezza di cui avevano cercato di circondarsi era stata, in sostanza, inutile.
Eppure, non si sentivano poi tanto dispiaciuti dalla situazione. Anzi, sebbene non sapessero spiegarsi perché, entrambi avevano la sensazione che le cose sarebbero dovute andare così sin dal principio.
Chissà.
Ora dovevano solo aspettare e vedere cosa ne sarebbe stato delle loro nozze.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
- Ah, Audrey, Molly ha invitato tutti quanti a casa Weasley per Natale! Non trovi che sia una splendida idea?
- … Tutti quanti? Intendi forse dire…
- Sì! Allora? Non è fantastico?
... Cosa?!






















 



Buh! Salve a tutti, carissimi!
Mi dispiace per l’enorme lasso di tempo trascorso dall’ultimo aggiornamento. Vi avverto subito, inoltre, che il prossimo capitolo – che secondo i miei calcoli dovrebbe essere il PENULTIMO – arriverà ben dopo Natale, verso gennaio – se tutto va bene.
Ciò detto, ecco le mie NOTE:
 
1) Sì, lo so: questo capitolo potrebbe sembrare inutile. Alla fin fine non dice nulla di più né di meno sulla trama. Potreste pensare che è uno di quei capitoli messi lì per allungare il brodo, giusto per accontentare la curiosità dei lettori e tenerli buoni prima di una lunga attesa. Beh, non è così!
Personalmente mi sono divertita a scrivere il capitolo: volevo inserire qualche difficoltà prima di questo benedetto matrimonio, e cosa c’è di peggio di una coppia di ragazzi incomprensibilmente (perché nemmeno io ho capito bene a che pro fare tutto questo casino…) ostinati a tacere i loro intenti, due mamme fin troppo decise a raggiungere il loro scopo e un Ministro vagamente impiccione?
Insomma, come sapete io scrivo per divertimento, mi sono divertita a inserire questo capitolo e spero che vi siate divertiti almeno un po’ anche voi. Se così non è stato siete liberissimi di dirmelo, ma sappiate che per me la storia va benissimo così.
 
2) Kingsley. Mi sono fatta un sacco di problemi prima di decidermi a inserire un Kingsley così salace e burlone, ma non ne sono affatto pentita. <3
 
3) Se non l’avete fatto la scorsa volta, andate al capitolo 27 e guardatevi la fanart di aGNeSNaPe in fondo.
Adorabile.
 
4) Lo so, c’è una certa isteria dilagante in questo capitolo. Credo sia colpa del periodo: tendo a diventare esuberante e rompipalle quando è dicembre e si avvicina il Natale, e questo influenza un po’ ciò che scrivo. Perdonatemi.
 
5) Visto che non ci sentiremo per un bel po’, vi auguro buon Natale, felice anno nuovo e chi più ne ha più ne metta!
… mi rendo conto adesso che quando pubblicherò il prossimo capitolo, sarà un po’ fuori stagione. Oh, vabbè.
 
Ora perdonatemi ma vado di fretta: sto per partire per Babbanopoli (= il paese del mio Babbano) e non voglio perdere il treno, per cui scappo via. Ammetto di aver riletto poco, quindi se trovate errori per favore fatemelo sapere. Ah, e non preoccupatevi se non rispondo subito alle recensioni, tornerò a casa l'11 sera e allora vi avrò tutti per me!
(... sempre SE a qualcuno andrà di recensire; il che, come sapete, per me è irrilevante.)
Grazie mille di aver letto e sopportato la pazzia totale di questo capitolo! *manda baci*
 
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 29
*** Riempire i vuoti ***


… l’avete vista? Avete visto la scrittina in grassetto, proprio lì, sotto alla tendina dell’elenco dei capitoli?
Quella che dice che questa storia è tra le Scelte del sito?
Ebbene sì. È reale, dal 20 dicembre 2011.
E ancora non me ne capacito.
Grazie ancora – e non solo per questo – a Fata Blu, che ha avuto il coraggio di segnalare la mia storia. Percy ed io te ne saremo grati in eterno.
(Perché Percy? Perché finora questa è l’unica, tra le Scelte, che lo veda figurare come protagonista! Se non sono soddisfazioni queste…)
E grazie a tutti voi, lettori, che inconsapevolmente o no mi avete spinta a continuare questa storia.


Poi: sì, c'è molto buonismo e molta filosofia spicciola in questo capitolo. Lo so.
Poi: niente, se volete altre note andate in fondo ^^






Riempire i vuoti

 

 
Il motivo per cui la signora Weasley, per la vigilia di Natale del millenovecentonovantotto, avesse deciso di invitare alla Tana molte più persone di quante la Tana stessa riuscisse a contenere, rimase per qualche tempo un mistero. Nemmeno Arthur, all’inizio, era riuscito a scucirle una parola in proposito; tutto ciò che Molly aveva detto al riguardo era che “il Natale va passato con le persone importanti della nostra vita, non tra i soliti quattro gatti”.
- Beh, cara - obiettò Arthur quando venne il venti dicembre, - “quattro gatti” non mi sembra proprio il modo giusto di descrivere la nostra famiglia…
Molly non lo stava ascoltando, intenta com’era a sorvegliare la ripulitura del vasto calderone di rame che doveva servire per la più colossale zuppa di pesce della sua vita. Il signor Weasley insistette, un po’ nervoso.
- Insomma, siamo già tanti di nostro! Voglio dire, hai provato a contarci? - Alzò la mano destra e iniziò lui stesso a farlo. - Io e te, Bill e Fleur, Charlie – viene persino Charlie, ti rendi conto? Percy, Audrey e la bambina, Ron, Hermione…
- E i signori Granger.
Arthur sospirò. - Che bisogno c’era di invitare anche loro?
Molly sollevò un attimo gli occhi dal pentolone. - Te l’ho detto: sono importanti.
- Va bene, va bene… Comunque, così siamo già a dodici persone. Se poi consideri che ci sarà anche Harry, tredici. E infine Ginny, George e F…
Il signor Weasley si zittì di botto, colpito da una fitta alla bocca dello stomaco. Sua moglie non parve accorgersene: osservò attentamente la pentola lucidata a dovere, poi, con un colpo di bacchetta, la mise tra quelle che intendeva usare per la sera della vigilia.
- Adesso hai capito perché voglio avere tante persone in casa, a Natale - mormorò dopo qualche secondo, con un sorriso che proprio non riusciva a celare ciò che provava davvero. Arthur annuì, col cuore che batteva a mille.
- Sì, ho capito - rispose, la voce malferma.
Fecero silenzio, guardandosi dritti negli occhi. Non c’era mai stato tanto imbarazzo e al contempo tanta comprensione tra loro, mai.
- Credo che quel pentolone sia troppo piccolo per tutti quanti - disse poi Arthur, piano. - Vado a cercarne uno più grande in soffitta…
E si dileguò, dando modo alla moglie di asciugarsi, non vista, una lacrima solitaria apparsa sul bordo di una palpebra.
 
 
 
 
 
 
Audrey era rimasta assai sorpresa dal fatto che la sua futura suocera avesse davvero invitato i Bennet per la vigilia di Natale; la sorpresa più grande, però, l’ebbe quando scoprì che tutti i suoi parenti avevano accettato l’invito con piacere.
Non ci fu neanche bisogno di insistenze da parte di Lucy: le bastò annunciare con voce forte e chiara, durante il pranzo che si tenne domenica venti dicembre da Roman, che la madre di Percy desiderava che tutti loro fossero ospiti a casa Weasley per la sera della vigilia.
- Ovviamente non ci presenteremo a mani vuote - aggiunse poi minacciosa, squadrando i nipoti. - Saremo una trentina di persone, contando anche i bambini, quindi levatevi dalla testa che la mia consuocera cucini per tutti quanti voi! È chiaro?
La successiva reazione delle donne Bennet fece capire quanto quella precisazione fosse inutile: tutte quante si produssero in un acutissimo ed entusiasta “SÌÌÌÌ!”, prima di iniziare a parlottare eccitate circa le cibarie e i regali che avrebbero portato. Ad esse fecero subito coro gli uomini, che sembravano persino più contenti delle loro mogli e ci tenevano a sottolinearlo con esclamazioni molto più rumorose.
Nessuno – nessuno – pensò di chiedersi perché una perfetta sconosciuta avesse voluto invitarli a Natale: quello, anzi, sembrava un dettaglio del tutto trascurabile. I Bennet, originari e acquisiti, erano gente socievole, allegra e festaiola, e qualsiasi occasione di farsi due risate e incontrare gente nuova era sempre ben accetta.
I soli a non spiccicare parola furono Percy e Audrey; osservarono la scena ammutoliti, e alla fine riuscirono solo a scambiarsi uno sguardo d’intesa.
Sono… sono impazziti! I tuoi parenti sono impazziti!
Vogliono davvero andare tutti da tua madre? TUTTI?!
No, è inconcepibile.
Sono d’accordo. Follia.
Quel raro istante di telepatia durò, appunto, solo un istante; a riscuotere i due fidanzati bastò un’esclamazione di Inge, che col suo potente vocione stava annunciando che avrebbe portato alla signora Weasley dei knödel fatti in casa.
- Mit fero speck von Südtirol, come mia tradizione vuole!
- Ma Inge, tu sei bavarese! Cosa c’entra il…
- Saul, vedi di non portare di nuovo quello schifo di whiskey che ci hai propinato la scorsa volta. Ho vomitato anche l’anima per colpa tua…
- Non l’ho portato io, è stato Jar!
- Cosa?! Non insinuare…
- Non insinuo, è andata così! Me lo ricordo bene!
- Tu, brutto…
Incredula, Audrey si coprì il volto con le mani. Sapeva che sarebbe successo; l’intuito femminile si era risvegliato in lei nel momento stesso in cui sua madre, con la sua solita delicatezza, le aveva schiaffato quella terribile notizia in faccia: la signora Weasley li voleva tutti alla Tana. Tutti.
Quella donna non si rendeva forse conto di quanti fossero i Bennet e di quanto potessero essere esplosivi? In effetti, nessuno avrebbe potuto sospettare la vera natura di quella famiglia, se non conoscendola da vicino. Generalmente, l’idea che si facevano coloro che sentivano solo parlare del clan era: “Ah, beh, sono mezzi nordici, quindi sono di certo altezzosi, freddi e riservati. È ovvio, tutti gli scandinavi sono così: lo sanno anche i bambini!”
Bah; inglesi. Se sapessero invece quanto possono essere pazzoidi i norvegesi, non si fermerebbero a simili sciocchi pregiudizi.
Questioni di sangue a parte, Audrey sentiva che non era decisamente il caso di far conoscere così presto la sua famiglia ai Weasley. Non sapeva esattamente perché, ma… no. Meglio di no.
Per questo, da quando aveva sentito la madre parlare dell’invito alla Tana come se fosse la cosa più figa del mondo, non aveva smesso di sperare che un qualche motivo avrebbe impedito la grande riunione: che so, magari uno dei suoi cugini (insieme alla rispettiva moglie e ai rispettivi marmocchi) poteva essere già impegnato per la sera del ventiquattro dicembre e non sarebbe – purtroppo! – intervenuto.
O magari due cugini. O magari tutti. Non poniamo limiti alla speranza.
Insomma, fino all’ultimo si era augurata di non dover davvero presentare tutti i suoi parenti alla famiglia di Percy, non subito almeno. Non perché si vergognasse di loro, ovvio… ma non si sa mai.
Non si sa mai quello che possono combinarti dieci adulti e sei minorenni tutti assieme. Soprattutto se sanno essere così imbarazzanti.
Tuttavia, nel vedere i suoi zii e i suoi cugini (nonché le loro mogli e figli) felici ed elettrizzati per quella festa improvvisata, Audrey realizzò finalmente quello che avrebbe dovuto capire almeno vent’anni prima: i Bennet non erano una famiglia, ma un’orda; e, da che mondo è mondo, le orde si muovono sempre in massa.
Sempre.
Anche a costo di trasformare una cena di vigilia da quindici persone in una da trenta.
Ma se fossero trecento sarebbe la stessa cosa, per loro.
Oh, santo cielo.
(C’è da dire, ora come ora, che, se davvero Audrey avesse conosciuto la famiglia di Percy quando era ancora completa e al massimo del suo splendore, la semplice preoccupazione che provava in quel momento sarebbe stata sostituita da un vivo terrore, e la ragazza si sarebbe di certo impegnata al massimo per impedire quel cenone.)
 
Da parte sua, Percy non sapeva se sentirsi sconvolto, preoccupato o imbarazzato; alla fine optò per una miscela tra i tre sentimenti. Smise di fissare con insistenza Jarne e Saul che rischiavano di strangolarsi a vicenda e iniziò a pensare.
E così, sua madre l’aveva avuta vinta di nuovo. Per motivi noti solo a se stessa aveva deciso che voleva tante persone attorno, a Natale – anzi, strano che non avesse invitato pure i genitori di Fleur! – e non si era fatta problemi a realizzare quel suo desiderio.
La complicità della signora Bennet, poi, l’aveva aiutata moltissimo.
Dannazione.
Provò ad immaginare cosa sarebbe successo la sera del ventiquattro, e rabbrividì: la sola idea di quel numero immane di persone riunite insieme gli fece scorrere tutta la vita davanti agli occhi, facendolo al contempo pentire di non aver indagato sulle origini e sul background familiare di Audrey prima di decidere di corteggiarla.
Esuberanti i Bennet, completamente folli i Weasley. E a quanto ne sapeva, sua madre non aveva limitato gli inviti a loro, oh no. Figuriamoci!
Sarebbe stata una serata pazzesca, pazzesca.
Tra l’altro, a pensarci bene, questa è la stessa identica situazione in cui ci troveremo al matrimonio: famiglia Weasley, famiglia Bennet e altre persone di varia provenienza, tutte assieme.

… oh no! Che cosa ho fatto?! Sarà… un disastro! Un cataclisma! Sarà il trionfo della gazzarra!
Già, la gazzarra.
Oppure no?
E se invece fosse stato il contrario? Se quell’anno la sua famiglia non fosse stata la solita famiglia, se non fosse stata in grado di festeggiare in allegria per quel motivo?
Diamine. Questo sarebbe decisamente peggio. Un milione di volte peggio. Ed è un’ipotesi talmente verosimile che potrebbe realizzarsi davvero.
D’improvviso sentì un gran bisogno di conforto; guardò di nuovo Audrey, ma lei non lo notò: si era tolta le mani dal viso e le aveva messe attorno alla bocca per amplificare la propria voce.
- Zia! - urlò, cercando di superare il cicaleccio di sottofondo. - Zia Maddie!
Magda era concentrata a parlare con Grace, per cui Audrey dovette chiamarla più volte prima di riuscire a catturare la sua attenzione.
- Cosa c’è, Aud? - gridò in risposta.
- Di’, ma volete davvero venire tutti quanti?!
La zia non riuscì a capire le parole di Audrey, e al suo posto rispose Grace.
- Ma certo che vogliamo, sciocchina! - esclamò ridacchiando. - Non ci perderemmo mai un’occasione del genere! E poi siamo contenti di conoscere i tuoi, Percy: devono essere brave persone, e tua madre è stata gentilissima ad invitarci!
Percy non rispose; riuscì solo ad accennare un sorrisino cortese, che tuttavia non cancellò il colorito giallognolo che il suo viso aveva assunto.
Subito dopo, Audrey ricambiò finalmente il suo sguardo; nonostante la confusione che li circondava e i rumori festosi che riempivano le loro orecchie, il pensiero che inconsciamente si scambiarono fu così chiaro e palese che sembrò essere stato pronunciato ad alta voce.
Andrà male. Malissimo.
 
 
 
 
“Oh, io invece mi divertirò un sacco! Finalmente avrò entrambe le nonne a coccolarmi, e tutti gli zii riuniti in un colpo solo! Se poi eviterete di mollarmi con i bambini come al solito, sarò completamente felice! Peccato che zio Ernie non potrà venire, magari lo possiamo invitare a Capodanno, che ne dite? Che bello! Arriva il Natale! Festa! Non siete contenti?”
La scoppiettante allegria che pervadeva la piccola Molly non rese i suoi genitori più ottimisti. Neanche un po’.
Una cosa del genere, se normalissima per uno come Percy, potrà sembrare strana se rapportata ad un tipo solare come Audrey; beh, invece la situazione era proprio questa: mentre la loro figlia si esibiva in gorgoglii incomprensibili ma entusiastici, accucciata sul tappeto di casa loro, i due neofidanzati sedevano l’uno di fronte all’altra sul divano, piuttosto lugubri.
- Quindi… - esordì Percy, dopo essersi schiarito la voce. - Quindi…
- Sì.
- Quindi… verranno tutti.
- Così pare.
Sospirarono.
- Beh, perlomeno tua madre sarà contenta.
- Oh, sì - gemette Percy. - Almeno lei.
Silenzio.
- Sarà…
- … tremendamente imbarazzante, sì.
- I miei si comporteranno malissimo, ne sono sicura.
- Io non ho idea di ciò che faranno i miei, quindi sono in condizioni peggiori delle tue.
- I miei rovineranno tutto.
- Fidati, non ci sarà nulla da rovinare. Sarà già abbastanza rovinoso di per sé.
Ancora silenzio.
- Scusa, ma… - mormorò Audrey. - Posso chiederti una cosa?
- Certo.
- Sinceramente - chiese Audrey, - perché ti stai lamentando?
Percy sgranò gli occhi. - Come, prego?!
Audrey ci pensò su, cercando il modo di spiegarsi meglio. - Sì, insomma… che io abbia delle riserve sul presentare i miei parenti è chiaro, visto come sono fatti e cosa sono capaci di combinare… ma, ora che ci penso, perché tu dovresti sentirti imbarazzato per la tua famiglia? Voglio dire, tuo padre è fantastico, tua madre è adorabile, e i tuoi fratelli sono…
Percy deglutì e smise di ascoltarla. A parte il fatto che a lui non sembrava per nulla chiaro il perché lei dovesse vergognarsi dei Bennet… era davvero possibile che non capisse? Che non fosse evidente il motivo per cui non desiderava quell’incontro?
Come te lo spiego, Bennet? Da dove comincio?
Dal fatto che mia madre non aveva mai preso un’iniziativa del genere, e questo mi rende ancora più preoccupato sulle sue condizioni?
Dal fatto che i miei fratelli saranno anche fantastici, ma non sono più gli stessi, soprattutto uno?
Dal fatto che è il primo Natale senza Fred e senza tanti altri, e nessuno di noi sa che cosa diremo o faremo quando diventerà inevitabile pensare anche a loro?
Come faccio a dirti che questo sarà il nostro Natale peggiore, e che imporremo la nostra tristezza anche alla tua famiglia?
Eh, Audrey, come faccio?
- … se è a questo che pensi, sai che non ci importa.
Si riscosse. - Cosa, Aud?
Lei fece un mezzo sorriso. - Sai, quello. Il fatto che a un certo punto saremo tutti a disagio e non sapremo cosa dire, perché non si può non pensare a chi manca. Ecco… forse non conosci ancora bene i miei cugini, ma posso assicurarti che sanno bene cos’è la comprensione. E poi… scusa, ma magari è proprio questo che tua madre vuole, no? Avere tante persone accanto a sé per… riempire i vuoti.
Non posso crederci. Tu mi leggi nel pensiero.
Giuro che ti sposo, Bennet.
… ah, già, lo sto per fare comunque.
- Secondo te è possibile, Perce?
Audrey attese una risposta che non arrivò. Meno di un istante dopo si ritrovò stretta un improvviso abbraccio, un abbraccio goffo, ossuto e triste, ma anche caldo e amorevole come non ci si aspetterebbe mai da Percy Weasley.
- Sì, è possibile - mormorò lui. - È possibile.
La ragazza non capì quel gesto, ma non le importò; si limitò a ricambiarlo, molto meno pessimista di prima.
Seduta sul tappeto, felice, Molly seguitava i suoi discorsi entusiastici ma incomprensibili.
 
 
 
 
La mattina del ventiquattro dicembre faceva un freddo tremendo, molto più del solito. Girava voce che a Natale avrebbe nevicato, ma i più non ci credevano; pensavano che sarebbe solo venuto giù un po’ di pioggia, che il gelo avrebbe trasformato in ghiaccio giusto per complicare le cose ai poveri inglesi costretti a muoversi in automobile.
Tutto ciò ovviamente non tangeva affatto i maghi, che quindi non si preoccuparono per nulla delle condizioni atmosferiche.
A parte Percy.
- Ma ho freddo! - protestò, quando Audrey, con un gesto poco gentile, gli sfilò un’orribile sciarpa arancione dal collo.
- Non fa niente, tu questa cosa non la metti.
- Ti prego! Congelerò!
Audrey sbuffò, annoiata. - Dobbiamo solo Materializzarci nel cortile della Tana, non morirai per qualche secondo di aria fredda sul collo.
- Come puoi esserne sicura?! - piagnucolò il ragazzo.
Oh Helga, dammi la forza.
- Se proprio devi conciarti come se andassimo in missione in Groenlandia, almeno metti una sciarpa di un colore decente. Non ne hai altre?
- Sì, ma a questa ci tengo! Era un regalo!
- Ah sì? E da parte di chi?
- Di Pen…
Cosastaidicendofermati! Pazzo! Vuoi che Audrey ti uccida per davvero?
In effetti lo sguardo di Audrey emanava tutto tranne che benevolenza e affetto.
- … di… Perkins, un collega di mio padre.
- … Perkins.
- Ehm. Già, proprio lui. Lo conosco da parecchio, e… ehm… Beh, sai com’è…
Audrey alzò un sopracciglio, con un’espressione severa così simile a quella di lui che Percy si spaventò non poco.
No, cavolo, Perce, non puoi passare dei guai per una storia così vecchia. Sei innocente, del tutto innocente, devi solo convincere Bennet di ciò. Respira, non arrossire e andrà tutto bene. Respira e non arrossire. Non. Arrossire.
- Il pensiero di Perkins ti fa arrossire così tanto, Percy?
Dannazione!
- Ehm… ecco…
Deglutì a vuoto e si preparò a confessare di aver commesso l’orrendo crimine di conservare un vecchio regalo della sua ex; in quella, però, il Fato – impersonato da Lucy Bennet – intervenne a salvargli la pelle (e forse qualcos’altro).
Si sentì scampanellare e bussare alla porta in rapida sequenza. Audrey lanciò un’occhiata di fuoco a Percy, poi andò ad aprire, lasciando entrare una specie di turbine con braccia, gambe e cappotto chiaro.
- Ancora qui? È tardi! Molly ha bisogno di noi, e voi ve ne state qui a cincischiare! - esplose la signora Bennet, preda di un’agitazione senza precedenti. - Non siete ancora pronti, vero? Oh, lo sapevo che non dovevo fidarmi di voi! Adesso faremo tardi e…
- Mamma - rispose Audrey, placidamente, - noi siamo pronti. Aspettavamo te.
La signora Bennet si fermò e osservò i due ragazzi: vestiti di tutto punto, cappotti compresi. Persino la sua nipotina era pronta ad uscire.
- Benissimo - fece, senza scomporsi. - Vediamo allora di darci una mossa. Butta via quello straccio, Aud, e andiamo.
Con un sorriso maligno, Audrey gettò lontano la sciarpa arancione e seguì la madre, mentre alle sue spalle Percy non ebbe il coraggio di protestare ancora.
 
 
 
Per preparare gli addobbi di Natale la signora Weasley non aveva voluto nessun aiuto: aveva provveduto da sola a creare le ghirlande e i festoni che abbellivano l’interno e l’esterno della Tana.
Aveva dovuto però cedere alle insistenze di Lucy, che voleva a tutti i costi darle una mano per preparare l’immenso cenone che li aspettava quella sera. - Più di metà degli invitati appartengono alla mia famiglia, - aveva detto, - e il minimo che possa fare è aiutarti.
Naturalmente l’offerta di aiuto coinvolgeva, non si sa bene per quale motivo, anche Audrey; questa però si era rifiutata di andare alla Tana da sola, trascinando quindi con sé futuro marito e figlia verso le ignote attività che avrebbe svolto quella mattina.
Fu così che, verso le nove del mattino di quel ventiquattro dicembre, si presentarono tutti e quattro alla porta della Tana. Non appena l’uscio si aprì, qualcosa di estremamente familiare colpì i sensi di Percy: non era chiaro cosa fosse, forse un odore particolare, o il calore stesso della casa che lo avvolse in modo diverso dal solito… qualcosa di impalpabile, che però c’era.
C’era, e gli fece subito venire in mente un pensiero felice e triste allo stesso tempo: quello era il primo Natale che passava alla Tana da tre anni a quella parte.
Pensiero felice, perché finalmente era lì, di nuovo, come una volta. Pensiero triste, perché se avesse saputo prima come sarebbero andate le cose non avrebbe sprecato tutto quel tempo, tutti quei giorni, tutti quei Natali. E nulla era più come una volta.
Ricacciò indietro quel pensiero quando vide suo padre avvicinarsi a loro, salutarli e prendere in braccio la bambina. Se Arthur riusciva a resistere alla tristezza che lo attanagliava, anche lui doveva farcela.
Lo doveva a tutti quanti.
- Eccovi qui! - fece una voce poco distante. La signora Weasley era apparsa nell’ingresso, un lungo grembiule addosso e le mani sporche di farina. Diede un grosso bacio alla bambina, che espresse il suo gradimento con gridolini festosi, e poi si fiondò a salutare gli altri.
- Lucy, Audrey, mi dispiace avervi scomodate così, ma…
- Poche ciance, vecchia mia - tagliò corto la signora Bennet. Lasciò il cappotto a Percy, imitata dalla figlia, e seguì la donna in cucina. Rimasto indietro con la scusa di posare i soprabiti, Percy si avvicinò ad Arthur.
- Come sta? - chiese a voce bassissima.
- Se ti dicessi che è rimasta in piedi tutta la notte per creare questi addobbi e all’alba si è messa il grembiule per cucinare, cosa ne dedurresti?
Percy sospirò, già scoraggiato in partenza.
- Perché il Natale viene anche quando non deve? - chiese in un gemito.
Arthur alzò un angolo della bocca. - È ovvio: per ricordarci quello che non dobbiamo dimenticare.
- E cioè?
- Che il tempo passa e ogni vuoto si riempie, prima o poi.
Curioso: aveva già sentito parlare di una cosa del genere, di recente; in quel momento però gli sembrava un’idea molto sciocca. Lì per lì non se la sentì di ribattere a suo padre, di dirgli che tutto quel discorso era una stupidaggine, che ci sono vuoti troppo, troppo profondi per sperare di colmarli in qualche modo, che niente avrebbe ridato a Molly il suo Fred; lo sguardo azzurro di suo padre era stanco, ma pieno di una strana fiducia che Percy non si sentì in diritto di mettere in discussione.
Forse era meglio non farlo. Forse era meglio tenere per sé quel pizzicore che gli era sorto nel petto nel momento stesso in cui aveva messo piede nella casa della sua infanzia.
Meglio, sì. Meglio per tutti gli altri.
Appese i soprabiti all’attaccapanni e si avviò verso la cucina a lunghi passi.
 
Non si poteva dire che Molly non si fosse data da fare, mentre aspettava Lucy e Audrey: più di una pentola gorgogliava già sul fuoco, nonostante mancassero ancora parecchie ore al cenone. Almeno tre odori diversi, divisi tra carne, pesce e chissà cos’altro, si litigavano il predominio dell’aria nella piccola cucina.
- Sono ricette particolari, vanno cotte molto prima di servirle - spiegava Molly alla signora Bennet. - La maggior parte sono segreti di famiglia; è un peccato che a Ginny non interessi la cucina, magari quando sarà più grande…
- A Audrey interessa molto la cucina! - proclamò la signora Bennet, dando una gomitata alla figlia. - Non è vero che ti interessa, tesoro?
Audrey resistette alla tentazione di accasciarsi a terra e ululare dal dolore – perché rimediava sempre gomitate nelle costole? Perché? – e rispose: - S-sì, a volte…
Molly le rivolse un gran sorriso. - Davvero? Mi fa piacere! Ai miei tempi, le ragazze imparavano a cucinare piuttosto presto… ora invece sembra che non sia più di moda.
- Sciocchezze! Mia figlia cucinava già a otto anni! - la interruppe di nuovo Lucy, gonfiando il petto.
Audrey aggrottò le sopracciglia. - Mamma, a quell’età sapevo fare a malapena l’impasto dei cupcakes! - voleva dire, ma stavolta quello che rimediò fu un pestone sul piede, mentre la signora Weasley era distratta.
- Non sai quanto mi rende felice sentirlo - chiocciò questa, voltandosi di nuovo verso Audrey. - Anzi, che ne dici di darmi una mano a preparare tutto quanto? Sarebbe bello vederti all’opera!
Audrey deglutì a vuoto – brutta abitudine copiata da Percy. L’offerta era gentile, così come il tono di voce con cui era stata espressa; e la signora Weasley non era esattamente il tipo di persona che si vorrebbe rischiare di offendere: farlo sarebbe stato come insultare un tenero, indifeso cucciolo di Puffola Pigmea.
E Audrey adorava i cuccioli di Puffola Pigmea.
- Molto volentieri, signora Weasley - rispose, senza nemmeno riflettere sulle conseguenze di quella frase avventata.
- Oh, meraviglioso! - esclamò la signora Bennet. - Vedrai, Molly, non rimarrai delusa… Audrey se la cava benissimo con gli incantesimi domestici!
L’enormità di quella bugia fu tale che Audrey rischiò di urlare “Cosa?!” in faccia a sua madre, ma fu fermata dalla provvidenziale entrata in cucina di Percy e del signor Weasley.
- Arthur! Dov’è la bambina?
- L’ho lasciata a Ginny, non preoccuparti… i ragazzi sono tornati in un questo momento - spiegò con un sorriso. - Ci siamo persi qualcosa?
- Nulla di che - fece la signora Bennet, - Audrey si è offerta di aiutare Molly a cucinare, visto che sa cavarsela molto bene…
Percy sgranò gli occhi e fissò Audrey, incredulo. Lei alzò le spalle e scosse la testa, come a dire “non sono stata io!”.
- Non c’è nessun dubbio su questo, Lucy. - Molly si guardò attorno, poi prese un grosso sacco di patate dal pavimento e lo appoggiò con un tonfo sul tavolo. - Che ne dici se iniziamo con le patate al burro?
Audrey tirò un sospiro di sollievo.
Patate al burro. Facili. So farle benissimo.
Poi la mamma mi spiegherà che diavolo si è messa in testa oggi. Andare a dire alla madre di Percy che so cucinare, e soprattutto che sono brava negli incantesimi! Dev’essere impazzita in modo definitivo.
Beh, ci penseremo dopo. Patate al burro.
Si avvicinò al tavolo, un po’ incerta.
- Ehm… sì… vanno fatte a fette e messe in casseruola, no? - chiese, cercando di riordinare le idee.
- Credo che prima dovresti pelarle, tesoro - scherzò Lucy; Molly e Arthur risero in risposta, Percy no. Per un momento il ragazzo dimenticò il pizzicore e si concentrò su quanto stava accadendo.
Sapeva benissimo che Audrey non sarebbe stata in grado di aiutare sua madre: era una ragazza sveglia, molto dotata per la Trasfigurazione e persino per le Pozioni, ma uno zero assoluto con gli Incantesimi, a parte alcuni. Le rare volte in cui cucinava lo faceva alla maniera Babbana, completamente senza magia, un po’ perché in questo modo si rilassava di più, un po’ perché con la bacchetta avrebbe potuto provocare danni irreversibili alla casa e ai suoi abitanti.
Per tutta questa serie di motivi, era piuttosto improbabile che Audrey si fosse offerta spontaneamente di aiutare la signora Weasley; quindi – ragionò Percy – doveva essere stata spinta a ciò dalla signora Bennet. E siccome la signora Bennet non faceva mai nulla per nulla, doveva esserci uno scopo nascosto dietro tutto ciò.
Ma quale?
(Percy non poteva arrivarci, ma noi sì. Come sappiamo, la filosofia di vita della signora Bennet comprendeva parecchi principi di vecchio stampo: tra questi c’era l’idea che, quando stava per maritarsi, una ragazza dovesse dimostrare di saper badare ad una famiglia ed essere una brava padrona di casa, soprattutto a sua suocera. La signora Bennet voleva cogliere l’occasione di quel cenone per manifestare alla signora Weasley le capacità di sua figlia, pensando così di far bella figura ai suoi occhi ed aiutare Audrey.
Come però potrete vedere, in tutto ciò Lucy non aveva calcolato il piccolo dettaglio dell’imbranataggine di sua figlia. Anche i migliori sbagliano.)
 
- Pelarle? S-sì, certo, è ovvio… - borbottò Audrey.
- Beh, allora fallo! Le patate non si preparano mica da sole! - fece di nuovo Lucy; mentre i coniugi Weasley si scambiavano un sorriso intenerito, la signora Bennet, non vista, lanciò a sua figlia uno sguardo denso di significati che, tradotto nel linguaggio corrente, equivaleva più o meno a:
 “Aud, tesorino di mamma, dimenticati per un istante di essere una totale incapace e dimostra alla tua futura suocera che ti ho insegnato qualcosa di magia domestica. Ti bastano due minuti per sbucciare quel sacco, suvvia...”
Purtroppo, nella fretta di lodare le abilità domestiche di Audrey, la signora Bennet aveva dimenticato di concordare con lei il linguaggio in codice che le avrebbe permesso di comprendere il senso di quella occhiata e, in generale, di tutto quel teatrino. La ragazza, quindi, ignorò il messaggio nascosto nel volto di sua madre e, dopo averci riflettuto su un istante, obbedì nel modo che le venne più spontaneo: con la bacchetta Evocò dal nulla un pelapatate, poi appoggiò la bacchetta accanto a sé, si sedette al tavolo ed estrasse un tubero dal sacco.
 
Nella cucina cadde il gelo.
L’improvvisata di Audrey, che evidentemente non aveva intenzione di eseguire nessun incantesimo, diede il via a diverse reazioni tra i presenti, i quali non si aspettavano affatto quella mossa: Arthur sgranò gli occhi, sorpreso e sconcertato, e iniziò a spostare lo sguardo ora sul pelapatate ora sulla ragazza; Percy, il quale iniziava a capire il senso di tutte quelle manovre, si coprì il volto con una mano e sussurrò qualcosa di inintelligibile ma che somigliava moltissimo a un “Cazzo”; la signora Bennet dismise il largo sorriso e lo sostituì con una smorfia tra il basito e l’omicida.
Tutti e tre aspettavano la reazione della signora Weasley; la quale, però, fu l’unica a non fare una piega. Senza smettere di rivolgersi a lei con dolcezza, disse a Audrey: - Cara, sei gentile, ma non c’è bisogno che ci dimostri di saper sbucciare le patate a mano: non voglio che ti affatichi inutilmente! Usa pure la magia!
Tutti tornarono a respirare, sollevati per la pacatezza di Molly. Audrey invece apparve improvvisamente impaurita e consapevole di ciò che l’aspettava.
Cosa dovrei fare?
… oh no. Fermi tutti. Forse ho capito.
- C-con la m-magia?
- Ma certo. Conosci l’incantesimo, vero?
Alle spalle di Molly, non vista, la signora Bennet scagliò a Audrey un’occhiata raggelante. Qui non c’era bisogno di concordare un codice: il significato era già chiarissimo di per sé.
“Brutta disgraziata, fammi fare una cattiva figura e te ne pentirai amaramente. Io ti ho fatta, io ti disfo.”
Audrey deglutì e tornò a guardare Molly.
- Ehm… Uhm… Certo che lo conosco, signora Weasley - mentì, impassibile.
Il sorriso incoraggiante di Molly si allargò. - Bene, allora perché non ci mostri quanto sei brava?
- Ecco…
- Tra l’altro, sono sicura - abbassò la voce e le fece e le fece l’occhiolino - che a Percy interesserebbe molto vedere come cucini.
- Ehm… Io…
Sì, ho capito bene: mia madre cerca di far credere alla signora Weasley che sono una brava massaia, quando invece sa bene che non è vero.
… Mamma, ti odio! Come puoi pensare che io possa farcela?! L’ultima volta che ho provato questo incantesimo, mi sono tagliata via le sopracciglia! Stavolta potrei uccidermi!
- Io… Ehm…
Volse un rapido sguardo verso Percy, disperata e imbarazzata; fu allora che nel ragazzo si risvegliò un istinto cavalleresco nascosto, che gli impose di accorrere in soccorso della sua compagna prima che fosse troppo tardi.
- Mamma! - declamò pomposamente. - Non mi hai ancora mostrato le nuove decorazioni! Perché non me le fai vedere, mentre Audrey prepara le patate? Sono certo che hai fatto un lavoro meraviglioso come al solito!
Non esisteva modo migliore, per distrarre Molly Weasley, che lusingarla per il suo operato. E Percy non aveva lavorato anni al Ministero senza imparare qualcosa sulle lusinghe.
La sua idea, come previsto, funzionò: Molly lo guardò sorpresa, poi fece un sorriso compiaciuto e prese il figlio sottobraccio. - Oh, come sei caro, Perce. - Guardò Lucy e Audrey come per scusarsi. - Ci metteremo solo un secondo: non vi dispiace, vero?
Lucy e Audrey negarono e scossero la testa, forse un po’ troppo in fretta; la signora Weasley però non si accorse della loro ansia e uscì, scortata dal terzogenito.
La porta della cucina si chiuse alle loro spalle. Cinque secondi dopo, si accese la discussione.
- Testa di rapa!- ringhiò la signora Bennet a bassa voce, non appena fu sicura che la signora Weasley fosse lontana a sufficienza. - Si può sapere che diavolo combini?
- Ma che vuoi da me! - sbraitò Audrey. - Ho solo Evocato un pelapatate!
- Hai solo… Cos’è, vuoi che il mondo intero sappia della tua totale imbranataggine?!
- Ho sempre cucinato senza magia, Percy lo sa benissimo! Non vedo il problema, cara mamma!
- Il problema è che queste persone si aspettano di accogliere una vera strega in famiglia, non la pallida e malriuscita imitazione di una Babbana! - Ormai erano entrambe livide e violacee per la rabbia, e il volume delle loro voci si era sensibilmente alzato. - Ora tu sbuccerai quelle patate con la magia, e subito!
- Non se ne parla! Se Percy accetta il fatto che io non conosca alcuni incantesimi domestici, potranno accettarlo anche gli altri!
- Ehm… - fece una vocina.
- Tu non imporrai la tua incapacità alla tua futura famiglia, è chiaro?
- Signore…
- Tu non imporrai a me di fare ciò che non voglio!
- Per favore, signore…
- Cosa c’è?! - ruggirono madre e figlia in coro; poi tacquero, imbarazzate.
Si erano completamente scordate della presenza del povero Arthur.
- Oh, cavolo… - gemette Audrey, mortificata. - M-mi dispiace tanto, signor Weasley… N-non…
- Tranquilla, Audrey. Ho notato la vostra… ehm… agitazione…
Audrey abbassò gli occhi e arrossì, mentre la signora Bennet si guardò attorno, a disagio. Arthur prese fiato, poi si rivolse alla Lucy.
- Dunque, signora Bennet, di certo non posso parlare a nome di mia moglie, ma credo proprio che alla famiglia Weasley non importi se sua figlia è in grado o meno di pelare le patate con la magia. Nessuno criticherà le sue doti culinarie, a meno che non ci avveleni tutti, è ovvio.
A Audrey scappò una risatina, ma la signora Bennet restò seria.
- Ciò premesso - seguitò Arthur, - essendo che casualmente Percy ha allontanato Molly ed io sono rimasto l’unico testimone della scena, posso giurare e spergiurare che Audrey ha sbucciato ogni singola patata con la magia, se me lo permettete e se lo ritenete così importante.
… Merlino, signor Weasley, credo di amarla! Fuggiamo insieme e al diavolo le patate! Percy se ne farà una ragione, non si preoccupi!
Gli occhi di Audrey brillavano di gratitudine, ma sua madre la fece malamente cadere giù dal suo romantico sogno.
- Le siamo molto grate per la sua disponibilità, signor Weasley, ma non sarà necessario - rispose Lucy con fermezza. - Mia figlia è in grado di farlo e lo farà.
Audrey stava per dirle qualcosa, ma Lucy la fermò. - Tesoro, tu sai farlo. Devi solo avere fiducia in te stessa; è per questo che ti ho portata qui oggi, perché voglio che tutti vedano che sei pronta, e anche tu. Coraggio, Aud.
La ragazza guardò supplichevole prima il signor Weasley, che educatamente si tirò fuori da quella discussione, poi sua madre. La signora Bennet però era irremovibile: Audrey non poté far altro che sbuffare con forza, imprecare tra sé e prendere in mano la bacchetta.
Addio, sopracciglia. Addio, mondo crudele.
 
 
- … Percy, sei sicuro di voler vedere di nuovo le ghirlande all’esterno?
- Certo! Non le ho osservate con l’attenzione che meritano!
- Ma… caro, siamo stati quasi dieci minuti lì fuori! E fa freddo!
- Sì, ma vale la pena di sopportare un po’ di bassa temperatura per…
… aiutare la mia ragazza a tirarsi fuori dai guai!
- … ammirare la bellezza del tuo operato!
- Perce… - la signora Weasley si fermò al centro del salotto, davanti alla porta della cucina, e osservò preoccupata suo figlio. - Sono contenta del tuo entusiasmo, davvero, ma…
- Oh, ma è doveroso! Quale figlio non dovrebbe essere entusiasta di una mamma così brava?
Molly lo osservò intenerita. - Non so cosa ti sia preso, Percy, ma oggi sei decisamente più carino del solito. - Gli diede un buffetto sulla guancia, poi mise una mano sulla maniglia della porta della cucina e fece per aprirla.
- Ma figurati! - fece Percy, prendendole entrambe le mani e allontanandola dalla porta. - È sempre un vero, grande piacere per me!
Si rese conto troppo tardi di aver osato più di quanto dovesse. La signora Weasley non era stupida, e soprattutto aveva cresciuto Percy e lo conosceva meglio di molti altri; le ci volle meno di un secondo per collegare gli strani complimenti di suo figlio con il repentino allontanamento dalla cucina… e meno di un secondo per iniziare a subodorare qualcosa.
- Percy Weasley - disse sospettosa, mettendosi le mani sui fianchi e assumendo il suo classico cipiglio, - perché mi stai tenendo lontana dalla mia cucina?
… ma come diamine ha fatto?!
- Cosa dici, mamma? Non ti sto tenendo lontana dalla cucina! - rispose prontamente il ragazzo, sprizzando innocenza da tutti i pori.
Molly lo scrutò torva; se prima si era lasciata adulare con piacere, ora improvvisamente cercava un qualsiasi segno di colpevolezza in Percy.
- Non ti sei mai interessato agli addobbi natalizi, e per di più non passeresti mai più di dieci minuti all’esterno con questo freddo senza iniziare a lamentarti. Perché tutti questi strani comportamenti proprio adesso?
… Perché sto cercando di dare a quella svampita della mia fidanzata un po’ di tempo per inventare qualcosa! Accidenti!
Di certo non poteva risponderle questo, per cui iniziò a fare ciò che sapeva meglio: arrampicarsi sugli specchi.
- N-Non so… sarà l’aria di casa, il fatto di essere stato tanto tempo lontano da voi… Sai, solo ora inizio a rendermi davvero conto di quanto abbia perso negli anni in cui me ne sono andato…
Fu un lodevole tentativo: stava giocando la carta del “figliol prodigo”, ma purtroppo la stava giocando molto male. Nessuno avrebbe mai creduto ad una scusa simile, visto che ormai i legami erano stati del tutto ricuciti da ben sette mesi.
Per questo Molly lo scrutò, se possibile, ancora più torvamente. Percy deglutì rumorosamente – glup! – e sentì scendere una gocciolina di sudore sulla sua fronte, ma restò imperturbabile e composto.
La signora Weasley seguitò ad esaminarlo attentamente, attenta ad ogni singolo movimento che potesse rivelarle qualche losco piano tramato alle sue spalle. Dopo qualche secondo disse: - Sarà meglio per te che tu non stia combinando nulla, giovanotto. Adulto o no, avrò sempre il diritto di rimproverarti quanto voglio.
Altra gocciolina e altro glup! sonoro, ma Percy non si scompose.
Molly gli rivolse un’ultima minacciosa occhiata, poi aprì velocemente la porta e, prima che Percy potesse fermarla o darle qualche spiegazione, vide ciò che vi accadeva dentro.
- Oh, eccovi, iniziavamo a chiederci quanto ci avreste messo! - cinguettò la signora Bennet, deliziata. Lei e il signor Weasley si erano accomodati su due sedie vicine e osservavano con un certo orgoglio Audrey, la quale, circondata da bucce e con un’espressione assolutamente stupefatta in volto, stava pelando le patate con pochi e decisi colpi di bacchetta.
E sì, aveva ancora le sopracciglia.
 
 
Da quel momento in poi, tutta la giornata andò benissimo. Con calma e incoraggiata da Lucy, Audrey rivelò ciò che nessuno tranne sua madre aveva mai sospettato: se si concentrava, riusciva a cavarsela anche con gli incantesimi domestici.
- Che ti avevo detto? - le bisbigliò la signora Bennet quando terminarono di farcire l’enorme tacchino. Si erano fatte, tra una cosa e l’altra, le cinque del pomeriggio: meno tre ore all’inizio del cenone.
- Non so davvero come ringraziarvi! - disse la signora Weasley commossa, abbracciandole entrambe. - Sarei ancora ad un punto morto se non fosse stato per voi…
L’affermazione era pressoché ridicola, visto che Molly si era data da fare forse più di loro due messe assieme, ma le Bennet non discussero e ricambiarono abbracci e ringraziamenti prima di congedarsi.
- Hai visto che cosa ho fatto? Hai visto?! - esultò Audrey tutta eccitata, quando rimase sola con Percy. - Ho cucinato! Con la magia! Non è meraviglioso?
Prima che Percy potesse risponderle, tornò subito a ciarlare. - Non pensavo di esserne capace! Oh, Merlino, mia madre ha sempre maledettamente ragione! Se solo Vitious mi avesse vista adesso… altro che Desolante! AH!
Sentire Audrey così allegra era un conforto per Percy, un vero conforto. Per tutto il giorno aveva lavorato a sua volta, dando una mano a suo padre nella preparazione degli ultimi regali da impacchettare, e aveva persino chiacchierato un po’ con i ragazzi, soprattutto Hermione, tanto per farsi un’idea di che aria avrebbe tirato.
Pessima, ovviamente. Tutti la pensano come me: invitare degli estranei è stato avventato e non ci farà bene. Solo che gli altri sono ottimisti, io non riesco proprio ad esserlo.
Cercò di non pensarci, e si limitò a riempire Audrey di complimenti più che meritati. La ragazza seguitò a ciarlare ancora, finché non furono dentro casa; lì annunciò al fidanzato che aveva intenzione di uscire.
- Di nuovo? Ma… non vuoi farti una doccia, prepararti…
- Dopo; mi sono dimenticata di una cosa importante.
- Cosa?
- Ne parliamo più tardi. - Lo baciò in fretta e uscì di corsa, diretta chissà dove.
Perfetto. Proprio ciò di cui avevo più bisogno: restare solo con i miei deprimenti pensieri.
“Non sei solo, padre: ci sono qui io!”
L’ideale per prepararsi ad affrontare una serata piena di incognite, di dubbi e preoccupazioni.
“Ehi? Mi vedi? Sono qui, seduta sul tuo braccio col viso a pochi centimetri dalla tua spalla!”
Come faremo? Come sarà possibile non pensare a Fred, al professor Lupin e a tutti gli altri? Come?
“Terra chiama Padre! Terra chiama Padre! Smetti di ignorarmi, santo cielo!”
Qui tutti mi parlano di vuoti da riempire! Ma che…
Senza un motivo apparente, la piccola Molly iniziò a frignare e ad agitarsi tra le braccia di Percy.
- Ehi! Che ti prende adesso?
Ci volle un po’ per calmare la bambina, e il motivo per cui si fosse agitata rimase un mistero per Percy.
 
 
 
 
Erano le otto e un quarto del ventiquattro dicembre millenovecentonovantotto, e alla Tana non c’era ancora nessuno.
Nessun estraneo, intendo.
I Weasley erano già tutti lì, eccetto Charlie, che sarebbe arrivato con qualche minuto di ritardo; i signori Granger non avevano ritenuto opportuno festeggiare il Natale con loro, e Hermione si era adeguata decidendo di passare la sera della vigilia a casa sua.
La partecipazione di George costituiva un’incognita, ma tutti speravano che si sarebbe fatto vivo, più tardi.
- Anche perché, in caso contrario, possiamo sempre sfondargli la porta e rapirlo - commentò Bill ridendo. Percy lo scrutò severamente, ma lui fece spallucce. - Che c’è? È Natale, e noi siamo la sua famiglia. È giusto che stia con noi.
- Oui, sono d’acordo con te, Bill - si aggiunse Fleur che arrivò fluttuando (o così parve a Audrey) verso di loro. Erano in piedi, vicino una parete, a chiacchierare nell’attesa degli altri ospiti della Tana.
- Odrì, - disse ancora Fleur, - quando vuoi tornare alla boutique avvisami, così potremo sceliere un autre vestito pour toi…
Nemmeno morta! Nemmeno sotto tortura! Nemmeno se porti i Dissennatori con te!
- Ma certo, Fleur, ne sarei lieta - rispose invece Audrey, con un sorriso stiracchiato. Fleur sembrava contentissima dell’opportunità di passare del tempo con lei, e per i successivi dieci minuti la imbottì di chiacchiere inframezzate di francesismi che fecero sentire Audrey sempre più spaesata e confusa.
Certo, perché tra le tre lingue che parlo manca PROPRIO il francese, maledizione.
Dopo dieci minuti Audrey iniziò a guardarsi attorno, sperando che qualcuno venisse a salvarla. Ginny si aggirava per la stanza, nervosa perché Harry aveva deciso di andare da Andromeda Tonks e non da lei, e a Audrey non sembrò molto intenzionata a compiere opere di bene. Sua madre e i suoi parenti continuavano a non vedersi.
Ma che diamine stanno facendo? Mezz’ora di ritardo!
In quella, dal camino apparve un fuligginoso Charlie, che si spolverò il mantello senza troppi riguardi per le cose e le persone che lo circondavano. Purtroppo nemmeno lui poté soccorrere Audrey dalla chiacchiera implacabile di Fleur, perché fu letteralmente rapito da Molly e Ginny.
Si avvicinavano le otto e quaranta, e nessun Bennet compariva all’orizzonte. Esasperata, Audrey mollò Fleur con una scusa, lasciandole anche la bambina da tenere in braccio – curioso come quella ragazza dall’aria frivola e vanerella sapesse essere così amorevole verso i bambini! – e si avvicinò alla signora Weasley per scusarsi da parte dei suoi.
Riuscì solo ad aprire la bocca, perché fu fermata subito da un bussare leggero alla porta.
Quasi nessuno sembrò essersene accorto, ma evidentemente la signora Weasley aveva un udito fine – o delle forti aspettative.
- Vado io, devono essere i miei - si offrì Audrey, precipitandosi poi verso la porta. Aveva già in mente le parole esatte che avrebbe detto a quel branco di zotici che osavano definirsi “suoi parenti”, ma si trovò costretta a rimandare a più tardi la sessione di insulti.
- Per Merlino, più ti guardo e meno riesco a credere che tu esista davvero, miss fidanzata-di-Percy - disse George, prima di correre ad abbracciare sua madre.
 
 
 
 
Cinque minuti dopo l’arrivo di George, anche Percy iniziò a perdere la pazienza. Non riusciva a fare a meno di guardarsi attorno e notare segni di malinconia o di vera e propria tristezza.
Più volte aveva sorpreso suo padre a fissare nel vuoto, e ogni volta si era avvicinato a lui con qualche scusa per dargli chiacchiera (anche se l’avrebbe imitato più che volentieri). Veder arrivare George era stato un sollievo, certo, ma… insomma, non si poteva guardarlo senza pensare “E l’altro dov’è?”.
E sarà sempre così.
Cinque minuti dopo l’arrivo di George, Percy iniziò a sentire su di sé il vuoto, quel vuoto, quello che secondo Audrey e Arthur avrebbero dovuto riempire. Ma riempire di cosa? Come? Come puoi colmare una buca se ci sei caduto dentro?
Cinque minuti dopo Percy avrebbe voluto tanto andarsene.
 
Fu un bene che avesse aspettato, perché sei minuti dopo, finalmente, la Tana fu invasa.
Ci si aspettava – chiunque se lo sarebbe aspettato – che i diciassette Bennet sarebbero arrivati un po’ alla volta, scaglionati. Un nucleo familiare alla volta, insomma.
Questo, tuttavia, sarebbe stato possibile se i Bennet fossero stati una famiglia. Come Audrey ormai sapeva, però, i Bennet erano in realtà un’orda, e le orde si muovono sempre in massa.
Fu così che arrivarono alla Tana: in massa.
Dapprima, dal camino acceso di casa Weasley sbucò fuori la testa di Lucy.
- Aud! Ehi, Aud! - strepitò. La ragazza corse a mettersi in ginocchio sul pavimento.
- Mamma! Dove diamine siete? È tardissimo!
- Stiamo arrivando, abbiamo avuto un problema con la Metropolvere… ho sbagliato indirizzo e siamo finiti in una specie di casa infestata. Per questo adesso ho controllato prima di far spostare di nuovo tutti quanti.
Audrey ebbe la tentazione di chiedere come avessero fatto a finire in una casa infestata, ma lasciò perdere.
- Beh, io sono qui, quindi direi che questo è il camino giusto. Vieni?
- Vengo? Arriviamo, vorrai dire!
Con un balzo la signora Bennet uscì dal camino. Pochi istanti dopo ne vennero fuori tutti gli altri Bennet, uno dopo l’altro, con i bambini per mano o in braccio e panieri pieni di chissà cosa; tutti con un sorriso e un sonoro “Buon Natale!” sulla bocca.
L’atmosfera nella casa cambiò all’istante. Tutti furono subito preda del prevedibile giro di presentazioni; ci furono strette di mano, scambi di nomi e un sacco di confusione. I Bennet sembravano ansiosi di conoscere i loro ospiti, parlavano con tutti e ad alta voce. Ci volle poco perché si formassero gruppi di conversazione; Inge e Fleur si ritrovarono coinvolte in un dialogo di cui capirono solo la metà delle frasi scambiate, e George, che era l’unico ad essere rimasto un po’ in disparte, fu letteralmente preso in ostaggio da un Oleg molto su di giri.
- La tua faccia non mi è nuova… - disse infatti, avvicinandosi a George
- La uso da vent’anni, forse è per quello - fece l’altro prontamente.
- Bella battuta, ma a parte questo… - Oleg lo scrutò meglio, poi schioccò le dita. - Tiri Vispi. Lo sapevo che il Rosso aveva qualcosa da nascondermi. - Si avvicinò come se fossero amici di vecchia data, e stranamente George lo lasciò fare. - Dimmi, ragazzo, tu sei davvero parente di… quello spilungone lì con gli occhiali?
- Vuoi la verità o una bugia pietosa?
- La bugia pietosa.
- No, non lo conosco nemmeno. Dev’essere il cane dei vicini, ogni tanto scappa e viene qui. Lo teniamo perché fa ambiente, sai com’è…
Oleg lo osservò compiaciuto. - Fantastico: ti escono davvero spontanee! Allora sei proprio il genio che pensavo!
- Non so a che pensavi, ma sì, sono un genio.
Oleg si sfregò le mani, e George sogghignò. Si erano trovati.
Non fecero che parlare per tutta la sera.
 
 
 
La vigilia di Natale del millenovecentonovantotto non nevicò, e neppure piovve. Al contrario di ciò che tutti pensavano, la notte fu fredda ma limpida e stellata.
Al contrario di ciò che Percy pensava, tutto andò per il meglio. Tutto.
Non ci furono momenti imbarazzanti, né crolli d’umore. I Weasley e i Bennet erano paralleli e al contempo complementari, riuscirono a parlare di qualunque cosa senza problemi e senza incomprensioni.
Per delicatezza nessuno toccò l’argomento “battaglia”, anche perché c’erano ben altre cose di cui parlare. La cucina, innanzitutto; poi i bambini; poi il futuro matrimonio; poi… tanto, tanto altro. Non si parlava che di futuro, in quella tavolata.
Persino George sembrava un altro. Percy lo osservò di sottecchi mentre ascoltava interessato le proposte folli di Oleg circa nuovi marchingegni da mettere in commercio, e non riuscì a non sorridere tra sé.
Tutti i vuoti si riempiono prima o poi. Lentamente, senza fretta.
Si voltò e vide sua madre sorridere ad una battuta di Roman; suo padre teneva banco presso i bambini, rispondendo a tutte le loro domande circa degli strani oggetti di chiara fattura Babbana che avevano trovato nei loro cracker. Nessuno, almeno per il momento, sembrava triste.
Nessuno pensava al vuoto. Nemmeno Percy, in verità.
È nella tua mente. Ma se la tua mente è piena, come può esserci un vuoto?
Sentì la mano di Audrey sfiorargli un ginocchio sotto il tavolo, e sorrise di nuovo.
- Va tutto bene?
- Sì, tutto bene. Perché?
- Sei pensieroso…
- Penso che sta andando tutto bene.
Anche Audrey sorrise. - Hai ragione. Non credevo che i miei sarebbero stati così tranquilli, sai? Immaginavo già che sarebbe stato il trionfo della gazzarra!
Risero insieme, sollevati. Andava bene. Era Natale, e andava bene.
 
 
Più tardi, Arthur raccolse tutto il coraggio che poteva dagli sguardi contenti dei suoi commensali, si fece forza e dedicò un brindisi agli amici assenti.
Quello fu di certo il momento più difficile; non era possibile pensare a nessuna delle persone che avrebbero dovuto festeggiare con loro e non c’erano senza provare una fitta, un dolore, un vuoto.
Come tutti i momenti, però, era destinato a passare. Certo, nulla e nessuno avrebbe potuto impedire alla signora Weasley di uscire dalla stanza quando si pronunciò il nome di Fred durante quel brindisi; ma tutti – anche lei – sapevano che sarebbe passato, che sarebbe tornata indietro per occuparsi dei suoi ospiti, della sua famiglia, del suo presente.
E in fondo è quello che facciamo, che non dobbiamo mai dimenticare.
Il passato è vuoto, ma è passato. Riempiamolo col presente. Col futuro.
Questo fu il pensiero che aleggiò in quella casa per tutta la durata del lungo cenone. Quello non era un Natale di sola tristezza, un Natale di solo ricordo, ma era un Natale ricco, vivo, di amore nonostante tutto; l’idea provvidenziale di Molly Weasley lo aveva salvato e lo aveva reso pieno, pieno di cose da dire, di persone di cui occuparsi. Pieno di presente e di futuro, invece che di passato.
Arthur aveva ragione: tutti i vuoti si riempiono, prima o poi. Non subito, non in una sola vigilia di Natale, non con una sola risata né con un solo sguardo gentile… ma piano piano succede.
E fidatevi, che succede. Basta incominciare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Percy pensava ancora ai vuoti e ai pieni, quando lui e Audrey tornarono finalmente a casa loro, un paio d’ore dopo la mezzanotte.
Soli, finalmente. La signora Weasley aveva insistito con calore perché Molly rimanesse a dormire lì da loro, per quella notte; visto che la bambina già ronfava da ore, Percy e Audrey avevano accettato senza problemi.
- Perlomeno domattina potrò svegliarmi quando voglio - annunciò Audrey prima di esibirsi in un colossale sbadiglio. Si strofinò gli occhi stanchi e poi sorrise a Percy. - Dunque, bilancio della serata?
- Piena.
Audrey rise. Sì, una serata piena. Non poteva trovare una definizione migliore.
Represse un altro sbadiglio e si preparò alla sua sorpresa.
- Bene, adesso che siamo qui posso darti il mio regalo.
Percy era seduto sul letto e si stava sfilando le scarpe, ma si fermò. - Regalo? Ma non aspettiamo domattina?
Audrey scosse la testa. - Domattina ti darò il mio regalo di Natale; quello che voglio darti adesso è il regalo per il nostro anniversario.
Percy sgranò gli occhi e spalancò la bocca.
Anniversario?
Ma…
- Se non ricordo male, - seguitò Audrey, - ci siamo messi insieme proprio la notte di Natale di due anni fa. Di conseguenza, oggi è il nostro anniversario.
Percy si grattò il mento, pensieroso – e non era facile pensare a quell’ora, con lo stomaco pieno da scoppiare di cibo e vino elfico. C’era qualche dettaglio che gli sfuggiva.
- Beh… - disse poi. - Non vorrei deluderti, ma… In realtà il nostro anniversario dovrebbe essere il primo gennaio. Quello è stato il momento in cui ci siamo davvero messi insieme.
Stavolta fu Audrey a restare a bocca aperta; si aspettava di fare una sorpresa a Percy, non di sentirsi contraddire in quel modo!
Insolente!
- Ma… ma no, è comunque iniziato tutto a Natale! - insistette, un po’ seccata. Percy però sembrava convinto di ciò che diceva.
- Sì, è vero, però tecnicamente la data giusta è il primo gennaio.
Sono le due di notte, siamo soli, gli ho detto che ho un regalo per lui… e mi viene a dire che tecnicamente sbaglio! Non è possibile!
Audrey sbuffò. - Senti, se non vuoi il mio regalo basta che tu lo dica, perché ci metto pochissimo a restituirlo!
Percy non riuscì a fare a meno di ridere (strano quanto aveva riso, quella sera). - Va bene, ti chiedo scusa. Allora, che cos’è?
Audrey sospirò, poi aprì l’armadio e frugò in un cassetto.
- Visto che te ne ho privato stamattina, ho pensato di farmi perdonare…
Percy aggrottò le sopracciglia, poi scartò il pacchetto che Audrey gli aveva messo tra le mani. Conteneva una sciarpa di lana morbida, beige.
- Non è stato facile trovare un colore decente che non fosse il solito blu o nero; comunque penso che ti sbatta molto meno di… quell’arancione…
Pronunciò quella parola con una tale nota di disgusto che a Percy venne da ridere forte.
Niente da fare. Possono passare due anni o venti, ma non cambierai mai. Per fortuna.
- Va bene, ho imparato la lezione - replicò ridacchiando. - Mai più arancione, promesso.
- Mai più quella sciarpa, piuttosto - puntualizzò Audrey. - Anzi, facciamo mai più regali da “Perkins”, che ne dici? Mi sembra una soluzione perfetta, no?
Non cambierai mai.
Speriamo che nostra figlia prenda da te.
- Promesso anche questo, anzi, soprattutto questo. Grazie, Bennet.
Grazie di tutto.
 
 
 
 
 
 
E la sciarpa arancione?
Venne buttata via, senza il minimo rimpianto. Un altro vuoto che veniva colmato – definitivamente.
E non ce ne sarebbero stati altri nella loro vita.













































... ed eccomi qua!
Anzitutto: BUON ANNO! Spero che vi siate ripresi dai bagordi e dalle vacanze meglio di quanto mi sia ripresa io.
Poi: sì, questa storia è tra le Scelte. E io ancora non ci credo. Voglio dire, sì, okay, è la mia storia e le voglio tanto bene, ma... ma wow.
Tutto ciò, però, non mi porta solo una grande felicità, ma anche una gran paura: se è stata inserita tra le Scelte significa che qualcuno (non solo tra i lettori ma anche nell'Amministrazione) l'ha ritenuta di un livello medio-alto. Ora, il mio timore è quello di non riuscire a mantenere questo livello.
Se ci sono riuscita non lo so, ma spero di sì.

Parlando del capitolo: è stato limato pochissimo, quindi se trovate errori di battitura, ripetizioni, concordanze verbali o qualsiasi altra natura DITEMELO. In recensione, via messaggio, via mail, sul FB... ovunque, ma ditemelo. Ve ne sarò molto grata.
Il finale fa abbastanza schifo, ma amen. Non escludo che tornerò a metterci le mani.

Ultima cosa: questo è - signore e signori - il PENULTIMO capitolo.
Il che fa del prossimo capitolo l'EPILOGO.
E' un passo difficile per me, perché con le idee che ho potrei inserire ancora un capitolo (o due, o tre...) in questa storia, ma DEVO dare un freno alla mia logorroicità.
E poi, al limite scrivo i missing moments ^^
Quindi, insomma, la prossima volta che ci vedremo sarà l'ultima - almeno per quanto riguarda "Una brezza lieve".
Già.

... Ma non parliamone adesso, che è meglio.


Altre note (in)utili:

- No, NON mi andava di descrivere il Natale dei Weasley come triste, doloroso e luttuoso. Non mi andava. Ho bandito la tristezza da questa ff molto tempo fa. Lo so che la descrizione poteva essere fatta molto meglio, più accuratamente, con un'introspezione migliore... ma non ce l'avrei fatta. Non so parlare di dolore, non ai livelli di profondità che il dolore richiede. Per questo ho evitato. So che poteva essere scritto molto meglio, ma... ho preferito parlare della vigilia - e delle sue implicazioni sui personaggi - in questo modo. Spero non ce l'abbiate con me, ma era il meglio che potessi fare.
- i knödel sono delle specie di grossi gnocchi fatti con pane, latte, uova e speck, e si mangiano preferibilmente col brodo. In italiano si chiamano canederli, sono tipici dell'Alto Adige - Südtirol e sono estremamente :Q________________
- I norvegesi SONO pazzoidi. Guardatevi questa immagine e ve ne renderete conto: in pratica qui si prendono bonariamente in giro gli stemmi di Danimarca, Svezia, Norvegia e Finlandia, ed è inutile dire che l'unico che fa bella figura è quello norvegese.
http://a6.sphotos.ak.fbcdn.net/hphotos-ak-ash4/393659_308405839190628_210696842294862_945981_694894648_n.jpg
- Un po' di storie consigliate per voi ^^
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=918830&i=1
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=901771
http://www.efpfanfic.net/viewstory.php?sid=897468
http://www.efpfanfic.net/viewstoryv.php?sid=919711 


... bene, direi che basta.
Grazie di aver letto, e scusate per eventuali errori.
Fera



... AH NO!
Sto festeggiando il raggiungimento dei 40 PREFERITORI di questa ff! Grazie a tutti quanti, siete meravigliosi!
E grazie anche agli 81 seguitori e agli 11 ricordatori: amore su di voi.
Di nuovo grazie
Fera

Ritorna all'indice


Capitolo 30
*** Epilogo: Tra la fine di una storia e l'inizio di un'altra ***


Anticamente un racconto aveva solo due modi per finire:
passate tutte le prove, l’eroe e l’eroina si sposavano oppure morivano.
Il senso ultimo a cui rimandano tutti i racconti ha due facce:
la continuità della vita, l’inevitabilità della morte.
(Italo Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore)

 
 
 
 
 
 
 
- … E questo cosa significa? Che dovrei morire?
“No, Perce; te l’ho già detto, devi stare tranquillo…”
- Tranquillo? Tranquillo?! Come faccio a stare tranquillo con te? Finora non hai fatto altro che maltrattarmi e mettermi in cattiva luce, sottolineando tutti i miei difetti e le mie manchevolezze… farmi morire sarebbe davvero il minimo, per te!
“Dai, non essere paranoico. Non ti ho trattato così male, anzi ti ho reso anche più simpatico di quanto tu non sia in realtà; guarda che se qualche lettore si è minimamente affezionato a te è solo per merito della sottoscritta!”
- Sì, certo, come no… Vallo a dire alla Rowling…
“Fosse stato per la Rowling saresti rimasto borioso e antipatico, e probabilmente tua moglie sarebbe stata boriosa e antipatica come te. Non vuoi proprio mostrarmi un minimo di riconoscenza?”
- Non credo proprio, dal momento che stai per farmi morire!
“Ma non è vero! Non l’ho mai… Oh, dannazione, adesso mi hai stufato: vieni qui e leggi coi tuoi occhi, se non ci credi.”
- No.
“Come, no? Finora mi hai rotto le scatole all’inverosimile perché volevi controllare e approvare ciò che scrivevo, e adesso che si arriva al finale non vuoi più leggere?!”
- Mi rifiuto per principio, ecco.
“Ma… oh, al diavolo. Ci rinuncio. Fa’ un po’ come cavolo ti pare.”
- …
“…”
- …
“… Ma non sei nemmeno un po’ curioso di vedere come va a finire la tua storia?”
- … Beh, forse, un pochino…
“Oh! Vedi! Dai, allora, vieni qui e leggi.”
- …
“E visto che siamo all’epilogo, in via del tutto eccezionale ti permetto anche di sederti vicino a me.”
- Sul serio?
“Certo! Però devi fare il bravo e stare in silenzio.”
- Promesso! Grazie!
“Ma figurati…”
- …
“…”
- Posso giocare col mouse?
“No.”
 
 
 
 

Epilogo: Tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra

 
 
 
 
- Perce?
La voce proveniva da qualche remoto angolo dell’universo, e non era abbastanza forte da strapparlo al suo profondo sonno.
- Perce?!
Mmm… dai, mamma, ho già finito la relazione sui calderoni, oggi dormo…
- Percy, sei ancora a letto?! Alzati subito!
… cinque minuti, poi prometto che darò una mano a papà con…
- Percy! È tardissimo!
- Scansati mamma, ci penso io.
… va bene, due minuti, poi…
- Fermo, Ron!
SPLASH!
Con uno strillo e un salto, Percy cadde dal letto e si ritrovò a terra, fradicio. Davanti a lui stava Ron, un ghigno enorme in faccia e tra le mani un catino che fino a pochi secondi prima era pieno d’acqua.
- Merlino, ho sempre sognato di farlo… - disse prima di scappare verso le scale, lontano dai rimproveri della madre.
- RON! - stava infatti urlando Molly. - Dovevi proprio… e proprio oggi?!
Le sue urla scossero ancora di più il già debole sistema nervoso di Percy; il ragazzo prese coscienza di trovarsi sul pavimento della sua stanza, e cercò di mettere in ordine i pensieri che gli ballonzolavano in testa.
Che diavolo… perché sono alla Tana? Che succede? Che giorno è oggi?
- … vedrai se non… Oh, Percy caro, come ti senti?
Come se mi avessero pestato. Che diamine…
Percy si rialzò un po’ a fatica dal pavimento, poi si strofinò gli occhi e si stiracchiò. Si sentiva la testa pesante e la bocca impastata, come se…
… come se avessi bevuto. Ma quand’è che avrei bevuto?
E di colpo ricordò tutto. Ricordò perché era alla Tana, quello che aveva fatto la sera prima e quello che avrebbe dovuto fare quel giorno.
13 marzo 1999.
Oh Merlino. È oggi.
Oggi mi sposo.
 
 
 
 
Dopo Natale e Capodanno, i primi mesi del millenovecentonovananove scorsero troppo in fretta. Non c’era quasi tempo per preparare tutte le cose necessarie; finalmente Audrey si rese pienamente conto di quanto assurda fosse stata l’idea di tenere la famiglia sua e quella di Percy fuori dall’organizzazione del matrimonio.
Insomma, come avrebbe fatto senza i consigli di sua madre e i suggerimenti di sua suocera? Come avrebbe potuto fare a meno dell’esperienza di tutte le donne della sua famiglia?
Beh, in realtà non era proprio questo che aveva pensato quel giorno di metà febbraio, quando fu costretta ad andare con tutte le donne della sua famiglia (più Fleur, che dalla sera di Natale si era dimostrata decisissima a fare amicizia con lei) a scegliere l’abito da sposa.
Esattamente ciò che volevo evitare.
Dopo la disastrosa esperienza con Fleur, Audrey aveva giurato a se stessa che non si sarebbe mai più affidata né a lei né a nessun altra persona che non fosse Ginny o Adams. Purtroppo, la prima non avrebbe potuto lasciare la scuola prima del giorno del matrimonio (data per la quale, comunque, aveva ottenuto un permesso speciale assieme a Hermione), quindi Audrey si era rivolta direttamente all’ex collega.
Il quale aveva rifiutato con decisione.
- Assolutamente e categoricamente no - aveva risposto, lasciando Audrey basita.
- Come, no?! Perché? Adams, io…
- Sono cose da donne, Aud. E poi mi sono già impegnato a dare una mano al capo, quindi…
- M-ma… no, ti prego, come faccio senza il tuo aiuto?
- Sei benissimo in grado di scegliere da sola ciò che ti piace.
- Ma questo è un caso diverso! Per favore!
- No, Aud. Per quanto i nostri gusti sessuali possano essere simili, io resto un uomo, e come tale non intendo interessarmi di frivolezze come questa.
- Frivolezze?! Ma il vestito della sposa è una cosa essenziale!
Adams aveva fatto una smorfia ironica. - Ma sentiti: e tu eri quella che odiava i matrimoni!
Audrey aveva sbuffato. - Beh, ormai sono in ballo… e comunque l’abito è una cosa seria. Cosa dovrei fare secondo te, presentarmi in accappatoio?
- Ti assicuro che in pochi protesterebbero. E comunque, lo ripeto: devo aiutare lo sposo. Mi sono impegnato prima con lui, quindi ora non posso scaricarlo per te.
Audrey aveva emesso un gemito disperato; le sembrava di parlare con Adams da ore, e sapeva che alla fine lui l’avrebbe comunque avuta vinta.
- Adams, ti imploro, - aveva detto allora con tono accorato, - non puoi abbandonarmi così! Non dopo tutto quello che abbiamo passato insieme! Lascia perdere Percy e aiuta me, ti prego!
L’uomo non aveva fatto una piega; si era limitato a grattarsi il mento e a sorridere.
- Cara, tu sei una donna e non avrai mai bisogno dei consigli di qualcuno. Il tuo fidanzato, invece, è un uomo; per questo devo aiutare lui e non te. Vedrai che alla fine mi ringrazierai.
E con quella frase aveva chiuso la discussione.
 
Per questo, quel giorno di metà febbraio, tutte le donne Bennet più Fleur avevano invaso l’atelier del signor Daverio per cercare L’Abito.
Che non sarebbe stato bianco, ovviamente.
Dopo tre ore, tutti i vestiti che Audrey aveva indossato e scartato erano di svariate tonalità di rosa. Rosa ovunque, rosa di tutti i tipi. Rosa.
Argh!
- Vi prego, basta! Mi fanno male gli occhi!
- Non essere sciocca, Aud - borbottò sua madre, rimirando l’abito color malva che Audrey indossava. - Ne abbiamo già parlato: il bianco non…
- Ma perché! Questa è una cavolata!
- Odrì - intervenne Fleur, seduta assieme alle altre appena fuori dal camerino, - sai che la tradiscione vuole così…
- Sta’ zitta, Fleur - la rimbeccò Audrey, irritata. Si guardò allo specchio e fece una smorfia: l’abito era oggettivamente bello, ma quel colore le dava i nervi. - Se tu hai avuto un abito bianco, non vedo perché io…
- Perché tu, come tutte noi, hai avuto una vita prima del matrimonio - la interruppe Edna, che si stava limando le unghie in un angolo. - Direi che per noi è tradizione non indossare un vestito bianco al nostro matrimonio.
- Hai ragione. Ricordo che io ne avevo uno giallo…
- Il mio era grigio perla, bellissimo!
- Mio festito era ferde! - esclamò Ingeborg, felice di poter contribuire alla discussione.
Audrey sospirò e chinò il capo, affranta. Niente, non poteva fare niente: qualsiasi protesta era stata inutile – o meglio, inascoltata – e tutto ciò che poteva fare era respingere quei vestiti di un colore assolutamente non adatto a lei.
Sì, ho vissuto col mio uomo e ho avuto una figlia, ma voglio un vestito bianco. È tanto difficile da capire?
I Babbani non fanno più caso a certe scemenze, perché i maghi sì? Che diamine hanno di sbagliato nel cervello?!
Un’inattesa voce maschile la riportò alla realtà.
- Va tutto bene qui, signore?
 
Il signor Daverio, proprietario della bottega di abiti da sposa, non aveva sempre fatto il sarto durante la sua vita. Si diceva anzi che avesse imparato a cucire lavorando nell’obitorio del San Mungo, dove svolgeva l’ingrato compito di richiudere i cadaveri sventrati da esplosioni e maledizioni per prepararli a delle esequie dignitose. Sembrava che proprio questo suo lavoro giovanile gli avesse ispirato la particolare tecnica di cucitura che rendeva i suoi abiti così rinomati.
Leggende metropolitane a parte, il signor Daverio restava un tipo singolare: non più alto di un goblin, occhietti vispi nascosti dietro due enormi lenti tonde e immancabile farfallino sgargiante, aveva una pessima memoria per le clienti ma un ottimo intuito, che gli garantiva l’utile capacità di capire al volo cosa stesse meglio alla persona che aveva davanti.
Nonostante questa capacità, però, di solito il signor Daverio lasciava che le sue clienti scegliessero per conto proprio cosa preferivano, senza immischiarsi a meno che non fossero loro a chiedere consiglio.
Quel giorno nessuno aveva richiesto il parere del signor Daverio; questi però si avvicinò al camerino di Audrey spinto dalla curiosità: data la sua scarsa memoria non ricordava di aver già visto la ragazza a dicembre, ma non poteva fare a meno di chiedersi perché le sue accompagnatrici si ostinassero a scegliere per lei un colore del tutto sbagliato.
- Va tutto bene qui, signore? - domandò, sorridendo a tutte.
Prima che qualcun altro potesse rispondere, Audrey disse: - No, non va per niente bene.
Il signor Daverio divenne serio. Era evidente che quella ragazza non sembrava affatto contenta, e ne aveva ben donde: il malva? Ma andiamo, aveva al massimo ventidue anni! Povera piccina!
- Oh, mi dispiace, signorina - rispose Daverio con un piccolo inchino. - E posso sapere qual è il problema?
Battendo di nuovo sul tempo sua madre, Audrey replicò: - Il colore. Gli abiti sono tutti molto belli, ma…
- Aud, ne abbiamo già parlato - sibilò Lucy guardandola male; poi si rivolse a Daverio. - La scusi, è tesa per il matrimonio e…
Ah! Ecco qual era il problema! Finalmente Daverio capiva: la ragazza voleva un vestito bianco, ma la madre tradizionalista no; l’uomo guardò le altre accompagnatrici e dedusse che dovevano essere tutte parenti della ragazza, perché se fossero state sue amiche sarebbero accorse in sua difesa. Tutte quante, invece, guardavano la madre della giovane e annuivano convinte.
Brutta razza, le parenti delle spose. Bruttissima.
- Se posso permettermi, signora - disse allora Daverio con un altro piccolo inchino, - capita spesso oggigiorno che le ragazze indossino abiti bianchi anche se… beh, ha capito. E poi, se volete fidarvi di un sarto - e fece un altro inchino, - ammetto che la signorina è così graziosa che le starebbe bene qualsiasi abito, purché non largo sui fianchi e non cadente sul davanti, ma che il bianco sia decisamente il suo colore. Sarebbe una sposa incantevole, così.
Sorrise e fece un altro inchino. - Se posso permettermi, signora.
 
Il signor Daverio non interveniva mai quando non era richiesto. Quel giorno, però, riuscì a fare contenta una ragazza, e ne fu molto lieto a sua volta.
(Salvo poi dimenticarsene del tutto qualche giorno dopo.)
 
 
 
 
 
Non esiste cosa più noiosa che descrivere i preparativi per un matrimonio. Eppure, per chi vi è coinvolto direttamente non esiste cosa più stressante.
- Ti vedo stressato - disse Kingsley a Percy, un giorno di inizio marzo.
Percy alzò la testa e cercò di mettere a fuoco il viso del Ministro, riuscendoci per metà: aveva gli occhi decisamente stanchi. - Non dormo molto ultimamente - rispose con un filo di voce.
- Sempre per il matrimonio?
- Anche.
Kingsley fece un sorriso comprensivo, poi con un tonfo chiuse la pratica che Percy stava leggendo. - Va bene, ho capito. Vai a casa, questo lo continuerai domani.
Ormai Percy non protestava nemmeno più per le concessioni del Ministro: si limitava a ringraziare calorosamente e se ne andava dritto di filato a casa. Così fece anche quella volta; prese la borsa e scappò via, strofinandosi gli occhi.
Non aveva dormito quasi nulla per quattro giorni: una volta per colpa del lavoro, un’altra per Adams e qualcosa che riguardava il suo abito, un’altra ancora per la bambina che si era presa non sapeva quale malattia e aveva pianto tutta la notte…
… e la cosa peggiore era il giorno! Se non lavorava era in giro con sua madre, che voleva a tutti i costi coinvolgere lui e Audrey nei preparativi – il che tradotto significava: fare giri infiniti di Diagon Alley assieme a lei e alla signora Bennet, dover discutere ore su dettagli a suo dire insignificanti e veder distruggere le proprie proposte da una sola occhiataccia contemporanea di madre e suocera.
Ovvio che non dormiva bene.
Faen. Con questo sonno non arriverò vivo al tredici. Adesso mi chiudo in casa e se entra qualcuno lo Avado.
Ma era destino che non dovesse dormire nemmeno quel pomeriggio. Non appena sbucò fuori dal camino in cucina, sentì la voce di Audrey dal salotto.
- Dai, riprova: maaaaaa…
- Audrey?
La ragazza era seduta a terra davanti a Molly Seconda, che la fissava intensamente. Perlomeno non piangeva più; doveva essere passato Rhett a vedere cosa aveva e a darle una pozione, povera piccola.
- Ehi! - fece Audrey, allegra. - Sai che prima Molly ha detto qualcosa?
Percy aggrottò le sopracciglia, poi si sfilò il mantello e si sedette a sua volta a terra. - Sul serio?
- Sì, l’ho sentita! Non ne sono sicura, ma sembrava un “mamma”. Sto cercando di farglielo ripetere, ma…
Era così entusiasta che a Percy quasi dispiacque di deluderla. Quasi.
- Aud, - intonò, saccente, - lo sai, vero, che i bambini non iniziano a parlare prima di avere un anno, un anno e mezzo?
No, Audrey non lo sapeva: fece per dire qualcosa, ma si bloccò con una mano a mezz’aria; portò la mano sotto al mento e tornò a guardare la bambina, riflettendo.
Se tu non parli… cosa hai fatto prima? Me lo sono forse sognata?
“Mamma, lascia perdere mio padre: è un uomo, cosa vuoi che ne capisca della vita?”
Giusto.
- Senti Perce, prima ha detto qualcosa; e se anche mi fossi sbagliata tentare non nuoce, no?
Il ragionamento non faceva una grinza; Percy fu costretto ad annuire e lasciar stare la sua fidanzata, che rivolse un enorme sorriso a Molly.
- Allora, pulcino, riproviamo: maaaaaamma!
- Aaaaaaam - rispose Molly.
- Quasi! Dai, un’altra volta: maaaaaamma!
- Mmmmblrg.
- Uff - sbuffò Audrey. Percy trattenne una risata e le diede una lieve pacca sulla spalla.
- Bennet, te l’ho detto, è presto perché inizi a parlare…
- Silenzio, tu. Tua madre mi ha detto che tu parlavi già a dieci mesi, e se ci sei riuscito tu non vedo perché Molly non possa farlo.
Doveva esserci un velato insulto dietro quella frase, ma Percy non lo colse. Ignorando il fidanzato, Audrey tornò a rivolgersi alla bambina. - Va bene, se non riesci a dire “mamma” proviamo con qualcos’altro. Senti qui: Mooooolly.
Il suono sembrò piacere alla bambina, perché rise. - Oooooooy!
- AH! - esultò Audrey. - Hai sentito, uomo di poca fede?
- Aud, ha solo detto “Oy” - bofonchiò Percy, - non ci trovo niente di…
Ma Audrey era troppo contenta per dargli retta. La mia bimba parla, santa Helga! È bellissimo!
- Dai, tesoro, - disse, - ripetilo ancora alla mamma: Molly!
La bambina la guardò in modo strano, come se non avesse capito. Perché la sua mamma non ripeteva ancora quella parola piena di “o” che le piaceva tanto? Cos’era quel verso così breve e sgradevole?
Sapeva che spesso gli adulti che la circondavano la chiamavano così… però in quel momento non le piaceva, quella parola. Non le piaceva affatto.
Molly fece una faccia delusa e chiuse la bocca.
- Che c’è? - chiese Audrey. - Non vuoi più dirlo? Dai, riprova: Molly!
Niente. Anzi, ora la bambina sembrava quasi sul punto di mettersi a piangere. Audrey la osservò in cerca di qualcosa che non andasse, e Percy si grattò il mento.
- Magari - buttò lì - “Molly” è una parola troppo difficile. Prova a farle dire “papà”, chissà che…
- Non essere ridicolo, Perce. - Audrey tornò a guardare la piccola. - Che c’è che non va? Non ti piace “Molly”?
Qualcosa nel viso della piccola le fece capire che aveva ragione. Era davvero strano – e certe volte anche inquietante – che una bambina di quell’età potesse essere così espressiva… ma in fondo era figlia sua e di Percy, quindi non poteva essere una bambina comune.
- Non ti piace il tuo nome? - domandò Audrey lentamente. - Preferisci… Pernille?
Il visetto della bambina si riaccese all’improvviso d’interesse. Che strana, quella parola: aveva un suono un po’ duro, ma piacevole e simpatico alle orecchie di Molly. E poi la bambina sapeva che la mamma la chiamava così quando il papà non c’era, quindi doveva essere qualcosa di speciale.
Sì, quello avrebbe potuto provare a dirlo.
- Dai, tentiamo: Peeeeerniiiiille.
- Inne!
- Cosa?! - fecero in coro Percy e Audrey, mentre Molly rideva soddisfatta. Oh sì, quella parola era decisamente più divertente di tutte le altre, se non altro per l’effetto che produceva sui suoi genitori!
- Perce, hai sentito? Ha detto…
- Aspetta. Ha detto “Inne”, non “Pernille”.
- Beh, ma è già qualcosa! Prova ancora, piccola: Peeeeerniiiiille.
Stavolta Molly ci pensò su prima di ripetere. - Niiine.
- No, è così: Peeee…
- Nini! - buttò finalmente fuori, ridendo contenta.
- No, è…
- Nini!
- No…
- Nini! Nini! Nini!
Niente: ormai quella era la sua parola. La bambina si lanciò in una ripetizione infinita di quelle sillabe, ignorando del tutto le reazioni di mamma e papà.
Audrey aveva gli occhi spalancati: mezz’ora per insegnarle a dire il diminutivo del suo secondo nome?! Né “mamma” né “Molly”, direttamente “Nini”?!
No. Tu non sei decisamente una bambina normale.
Guardò Percy, smarrita, e rimase ancora più smarrita: il ragazzo aveva un sorriso euforico stampato in faccia e uno sguardo estasiato dietro gli occhiali.
Quello che pochi secondi prima era uno scettico rompiscatole si era trasformato, in un baleno, in un ragazzino assolutamente felice.
- Aud… - mormorò, emozionato - … mia figlia parla! Non è meraviglioso?!
 
In seguito Audrey tentò di ricordare a Percy che era grazie a lei che Molly aveva detto la sua prima parola, ma lui l’ignorò sempre.
 
 
 
 
Più il tredici di marzo si avvicinava, più la famiglia Weasley si agitava. Certo, tutti avevano ormai accettato da tempo l’idea che Percy avesse una donna e persino una figlia… ma ora che stava davvero per sposarsi i suoi parenti iniziavano a stupirsi della cosa.
Cioè, non tutti ovviamente. Arthur e Molly erano al settimo cielo: non speravano che avrebbero avuto più modo di festeggiare qualcosa, dopo il due maggio… e invece era così facile, così spontaneo sentirsi contenti per quell’evento. Era come scoprire di avere ancora le mani, i piedi, il naso: sapevano ancora gioire, nonostante avessero pensato che la gioia fosse ormai uscita dalla loro vita.
No, Arthur e Molly erano felici e basta. Quelli che sogghignavano nell’ombra erano i fratelli di Percy.
Ancora il dodici marzo, vigilia del matrimonio, si facevano scommesse su chi dei due sposi sarebbe fuggito a gambe levate prima del “sì”; le maggiori probabilità per il compimento di questo gesto erano state assegnate a Audrey – e c’è da dire che qualcuno ci sperava anche.
Per fortuna nessuna di queste voci giunse ai due interessati, che passarono quindi la sera del dodici marzo alla Tana in completa tranquillità. Più o meno.
- Ancora non capisco - brontolò la signora Weasley dopo cena, servendo il caffè - perché non hai voluto che fosse Charlie a farti da testimone, Percy.
Seduto su una poltrona vicino a suo padre, Percy strinse impercettibilmente più forte la tazzina prima di rispondere. - Te l’ho detto, mamma: avevo già chiesto ad Adams di farlo…
… e comunque non avrei scelto Charlie nemmeno se fosse stato l’ultimo mago rimasto sulla terra. Oh no. Oh no no no.
- Sarà… - rispose Molly, stringendo le spalle. - Però credo che Charlie sarebbe stato una scelta migliore per…
- No, mamma.
- Va bene, come vuoi…
Tacque per un po’, mentre gli altri tornavano a chiacchierare tra loro e a bere il caffè. Come al solito la bambina catalizzava l’attenzione di tutti: da quando poi aveva detto la sua prima parola, gli zii cercavano di insegnarle i propri nomi o quelli di semplici oggetti. Ricevendo però invariabilmente la stessa risposta: “Nini!”.
La signora Weasley sorrise vedendo Fleur fare il solletico a Molly e generare risatine incontrollabili nella piccola, poi tornò a parlare con Percy.
- Per stanotte ti ho preparato il tuo vecchio letto. Credo ci sia ancora un tuo vecchio pigiama da qualche parte, ma non ho avuto tempo di cercarlo, scusami…
Il tempismo della signora Weasley era pari solo a quello della signora Bennet: il caffè che Percy stava bevendo gli si incastrò a metà gola. Tossendo rumorosamente guardò sua madre e chiese:
- C-cosa? Perché… Ma…
Sentendo quelle frasi, anche Audrey si voltò incuriosita verso la signora Weasley.
- Ma certo - spiegò questa, - non vorrete mica… dormire insieme anche la notte prima del matrimonio, no?
I due ragazzi si guardarono, spaesati. In verità avevano entrambi una precisa idea di come passare l’ultima sera da non sposati, e questa idea non includeva affatto il dormire in due case diverse. Anzi.
- Ehm… - provò a dire Audrey. - Veramente, noi…
- Oh, lo so che il vostro è un caso particolare… però, insomma, sarebbe bello se almeno per questo… le tradizioni…
Di nuovo quelle stramaledette tradizioni! A innervosirsi stavolta fu Percy: diamine, sua madre era riuscita a non fare mai storie (beh, quasi mai) sulla sua convivenza… e aveva deciso di incominciare proprio quella sera?
Cose da pazzi! Io stanotte dormirò a casa mia, questo è poco ma sicuro!
Inaspettatamente Bill venne in suo aiuto. - Mamma, - disse infatti, - le tue intenzioni sono nobili, ma… ecco… stanno insieme da parecchio e hanno una figlia, non credo che Audrey abbia ancora qualcosa da nascondergli…
- Lo so, lo so, però… Ecco…
- Molly cara - fece allora Arthur, - lasciali in pace, dai. Sono abbastanza grandi da infischiarsene di certe sciocchezze, no?
- Certo, certo, ma…
Audrey si sentì stringere il cuore. Era evidente che la signora Weasley iniziava a sentirsi dispiaciuta e in imbarazzo; la sua era stata una richiesta un po’ avventata, ma dettata da un sincero desiderio di fare le cose al meglio. Se la stessa proposta fosse stata avanzata da Lucy, Audrey sarebbe andata su tutte le furie; di fronte alla signora Weasley, invece, la ragazza si commosse.
Come, come, come faccio a negarle qualcosa? Io la adoro!
- Non c’è nessun problema, signora Weasley - disse infine Audrey, provocando un gran sorriso sul volto della suocera e lo sganciamento delle mascelle di tutti gli altri. - Percy non ha problemi a rimanere qui; vero, Perce?
Oh Godric. Che ti hanno fatto, Bennet? Ti hanno ipnotizzata? Hanno messo qualcosa nel caffè? Santo cielo!
- M-ma veramente io…
- Anzi, - Audrey guardò l’orologio, - è meglio che io vada subito, è tardi e Nini ha sonno. - Prese in braccio la bambina, che in effetti accusava segni di stanchezza da un po’, e salutò rapidamente tutti quanti. - Ci vediamo domani - disse poi a Percy, prima di dargli un bacio a fior di labbra che lasciò lui molto deluso e gli altri molto divertiti.
- Grazie mille, mamma - mugugnò Percy, non appena Audrey fu sparita nel camino.
Molly non lo ascoltò, troppo impegnata a sentirsi contenta per la brava nuora che aveva trovato. - Oh Perce, - iniziò a dire, già pronta a commuoversi, - Audrey è veramente una cara ragazza, e sono così contenta che tu…
- Sì sì, mamma, le lacrime conservale per domani - la interruppe subito George, che con passo svelto si fiondò sul bracciolo della poltrona di Percy.
- Bene, Perce, - disse poi, - questo è il momento della serata in cui offri da bere ai tuoi cari fratelli. Pronto?
- Cos…
Prima che potesse dire qualcos’altro, Percy fu Smaterializzato a forza in una stradina vuota di Ottery St Catchpole scarsamente illuminata da un lampione moribondo.
- Che diavolo state combinando? - esclamò subito, mentre attorno a lui Ron, George e Bill ridacchiavano. - Dove siamo? Questo… questo è un rapimento!
- Beh, da solo non saresti mai venuto… - rise Arthur, apparendo subito dopo.
- Papà! Ti ci metti anche tu?! Che cosa avete intenzione di fare?
- Te l’ho detto, Prefetto: bere alla tua salute e a tue spese - rispose George, avvicinandosi poi alla porta di un pub. - Suvvia, - fece poi, - l’addio al celibato si fa una sola volta nella vita! O almeno, tu di sicuro lo farai una volta sola, dato che non credo tu abbia una fila di pretendenti…
Sospirando in modo melodrammatico, Percy chinò il capo e si dichiarò sconfitto; poi si lasciò trascinare malvolentieri in quella che si preannunciava una lunga bevuta notturna tra uomini.
Fortuna che non mi ubriaco mai: almeno domani non starò male, a differenza di questi incoscienti.
Che seccatura, però: dovrò trascinarmeli sbronzi fino a casa. Uff.
 
Tre ore dopo, Percy era il più sbronzo del gruppo. Dovettero trascinarlo fino a casa.
 
 
 
 
 
 
 
Oggi mi sposo.
Oggi mi sposo.
Oh merda.
- Che ore sono?! - strillò Percy il mattino del tredici, non appena la sua mente confusa si snebbiò.
- Sono le dodici passate, ci sono ancora…
- … quattro ore, maledizione!
Molly lo osservò mentre si rimetteva in piedi e scattava verso il bagno come se avesse un drago alle calcagna; sorrise tra sé e scosse la testa.
- Valeva la pena averti un’ultima volta qui… - sussurrò, prima di iniziare a fare il letto.
 
Non appena scese, Percy trovò gli altri Weasley malconci quanto lui; le uniche facce pimpanti appartenevano alle ragazze – Ginny e Hermione dovevano essere arrivate quella mattina.
- Toh, guarda chi si vede! - esclamò Ginny per salutarlo, mentre versava altro caffè a Ron.
- Maledetto Salazar, Ginny, devi proprio fare tutto questo chiasso? - la sgridò George, la testa appoggiata sul tavolo e coperta dalle braccia.
- Genio, quand’è che ti decidi a inventare un anti-sbronza? Sarebbe più utile di tante stronzate che riesci a rifilare ai gonzi… - biascicò Bill, che si lasciava massaggiare amorevolmente le tempie da Fleur.
George alzò a fatica la testa. - Ehi, io non rifilo stronzate… e ora che ci penso, ho inventato un anti-sbronza. - Puntò un dito verso l’attaccapanni. - Guarda, se non ci credi ce l’ho proprio lì, nella… diamine, nella tasca del mantello!
Non finì nemmeno di dire la frase: con un salto più agile di quanto si aspettassero, Charlie si fiondò sul mantello e prese la bottiglia di ricostituente, dividendola poi tra tutti i presenti.
Quella pozione fu provvidenziale; senza di essa nessuno di loro avrebbe avuto le forze di star dietro agli ordini di Molly, che aveva abbandonato l’atteggiamento tranquillo dei giorni precedenti e stava iniziando a dare di matto: più si avvicinava l’ora dell’arrivo degli invitati, peggio era.
In verità c’era ben poco da fare ancora: il tendone era montato da giorni, i tavoli già disposti… bisognava solo apparecchiare, fare gli ultimi aggiustamenti, lavarsi e vestirsi.
Eh. Detto così sembra semplice.
 
 
Alle due in punto arrivò Adams, già pronto e con l’abito di Percy appoggiato su un braccio. Un’ora dopo iniziarono ad arrivare gli ospiti: prima i Bennet, ovviamente tutti insieme, poi, pian piano, tutti gli altri.
Un’ora dopo Percy si stava vestendo e contemporaneamente stava entrando nel panico.
- Adams… - disse con un singulto, quando si rese conto che la paura iniziava ad essere proprio tanta. Si trovavano, lui e il suo testimone, nella sua vecchia camera da letto, e tutto gli parlava di passato.
Dopo essersene andato di casa, aveva dormito lì soltanto durante la convalescenza di Audrey nell’ospedale Babbano e la notte prima; in quel momento, guardandosi attorno, si rese conto per la prima volta che non sarebbe davvero tornato mai più a stare lì.
A meno che Audrey non mi cacci di casa, ovvio.
Non sarebbe tornato, mai più. Certo, questa era un’idea che aveva già accettato secoli prima senza la minima difficoltà; era stupido, davvero stupido farsi venire certi pensieri dopo essersene andato di lì per orgoglio, aver trovato una compagna e avuto una figlia: non aveva più un legame con quella stanza e con quella casa già da moltissimo tempo.
Eppure… eppure sentiva che adesso si sarebbe realmente separato dalla sua vecchia vita. Dal tradimento si può tornare indietro, dal matrimonio – per come lui lo concepiva – no.
Stava davvero cambiando tutto.
Sì, lo so, fino a un minuto fa ero felice di questo. Che mi è successo?
Perché devo avere paura proprio ora, maledizione?! Perché?!
- Adams…
- No, capo.
Percy aggrottò le sopracciglia. Adams si stava aggiustando la veste davanti a uno specchio, e osservò il riflesso del ragazzo sopra la propria spalla. - Non ti aiuterò a scappare via, se è questo che vuoi.
Percy respirò forte, poi si sedette sul letto, improvvisamente depresso. - Adams… sto facendo una sciocchezza, vero?
Finito che ebbe di sistemarsi, Adams si preparò mentalmente a svolgere uno dei compiti più ingrati del testimone: confortare lo sposo e impedirgli la fuga.
Si sedette accanto a Percy sul letto e prese fiato. - Perché lo pensi adesso?
- Perché… non lo so. - Percy sospirò e si mise una mano tra i capelli. - Insomma… io ho già una famiglia con Audrey…
- Vero.
- … nonostante non ci fossimo sposati prima…
- Giusto.
- … però… che succede se poi non va bene? Che succede se poi… cambia qualcosa e non posso tornare indietro?
Adams si lisciò il pizzetto. - Percy, qual è la differenza tra un uomo libero e uno sposato?
Percy lo guardò. - Ehm…
- Che lo sposato, nel migliore dei casi, rimane sposato. Giusto?
- Ehm… giusto.
- Mentre il libero è libero. Non ha vincoli che lo tengano legato a una persona, una casa o altro.
- Sì, però…
- Aspetta, fammi finire. Mettiamo che tu oggi decida di non sposarti. Non pensare a quello che potrebbero dire i tuoi, o Audrey… immagina solo che oggi non ti sposi. Ci riesci?
- Io… s-sì.
- Bene. Immagina ora di tornare a vivere come un uomo libero, senza vincoli, senza niente. Ci riesci?
Percy non discusse, e tentò di immaginare ciò che Adams voleva.
Non ci riuscì. Non riusciva proprio a pensare di tornare indietro, a quando non c’era Audrey nella sua vita, né la bambina. Non poteva nemmeno immaginare come sarebbe stato, adesso, essere solo come una volta, senza legami, senza equilibrio. No.
D’improvviso capì cosa voleva dirgli Adams: matrimonio o no, lui era già vincolato; si era già impegnato, impegnato per sempre, e per quanto potesse definirsi libero esisteva già una differenza abissale tra lui e qualsiasi altro scapolo.
Lui si era già sposato, in un certo senso.
- No, Adams, - rispose allora, - non ci riesco.
- Esattamente ciò che volevo sentirti dire.
Adams si alzò e lo osservò dall’alto. - La mia conclusione è: se per te non esiste differenza tra come sei adesso e come sarai tra un’ora, tanto vale dare alla tua famiglia un’occasione di gioia. Non trovi?
Oh sì. Decisamente.
Del tutto rinfrancato, Percy sorrise e si alzò a sua volta. Come, come avrebbe fatto senza Adams?
- Bene, capo, sei pronto?
- Quasi. Io… - pesò bene le parole prima di continuare. - Io… volevo ringraziarti. Mi hai sempre aiutato, più di quanto chiunque abbia mai fatto, e… beh, grazie.
Il sorriso di Adams si fece ancora più largo; diede una pacca sulla spalla a Percy e rise. - A me basta che chiami il tuo prossimo marmocchio Ernest; dopodiché sarò felice.
Risero ancora insieme, poi tornarono seri. Dovevano ripassare le battute di Percy, e questi se le era dimenticate tutte.
 
 
Saul?
 
Mh?
 
Chi è quella biondazza lì?
 
Mmmh… non so, non mi pare una parente. A Natale non c’era.
 
Okay. Sai, vorrei evitare figure imbarazzanti.
 
Capisco. Uh, guarda quella vecchia!
 
Quale v-AHAHAH! Oh Merlino, avrà tremila anni!
 
Sai che mi ricorda un po’ nonno Bunbury?
 
Hai ragione! Speriamo che siano al tavolo assieme, sarebbe bello osservarli mentre si scambiano le dentiere…
 
… e le parrucche…
 
… e i pannoloni!
 
Che diavolo state combinando, voi due?
 
Oh, tranquillo Rhett, ci guardiamo solo un po’ attorno. Vero, Saul?
 
Vero, Oleg.
 
Badate a non mettervi nei pasticci. Se rovinate il matrimonio di Audrey vi Crucio fino a spellarvi.
 
… e TU saresti il nobile ex-Grifondoro? Vergogna su di te!
 
 
Rhett sospirò e si allontanò dai fratelli, che rimasero a ridere tra loro. Mancava mezz’ora all’inizio della cerimonia, e gli ospiti continuavano ad arrivare. Non che fossero molti, a dir la verità: gli invitati di Percy erano limitati ai parenti (comunque numerosi), a qualche vecchio compagno di scuola e a uno scarso numero di colleghi; quelli di Audrey comprendevano un maggior numero di ex studenti di Hogwarts, ma sarebbero stati di più se la ragazza avesse potuto invitare anche i suoi conoscenti Babbani.
Gli unici esseri umani non magici ammessi, invece, erano i nonni Bennet, anche se non sembravano molto contenti di questo privilegio. Fin dal primo istante la nonna Evangeline non fece altro che lamentarsi di qualsiasi cosa, dal sole agli insetti alle scarpe troppo strette, passando per l’aspetto sgradevole degli altri invitati. (Non che criticasse, attenzione! La critica era un’arte riservata esclusivamente a Muriel Prewett. Evangeline Bennet si lamentava e basta.)
Il nonno Bunbury, invece, era un elemento ancora più singolare: di vent’anni più vecchio della moglie, si era subito messo seduto e aveva iniziato a scrutare torvo chiunque capitasse nel suo campo visivo. Lo si sarebbe potuto dire innocuo, se non fosse stato che le sue occhiate erano davvero inquietanti.
Quando Percy e Adams uscirono dalla Tana, una gran folla si riversò su di loro: tutti i Bennet abbracciarono il ragazzo, e una raggiante Lucy in abito turchese lo trascinò a conoscere i nonni adottivi di Audrey.
- Cos’è quello, Bunbury? - domandò a bassa voce Evangeline, vedendo arrivare Percy.
Bunbury smise di osservare un gruppo di maghi e puntò gli occhi da avvoltoio sul ragazzo. - Temo sia lo sposo, Evangeline.
La donna si sistemò meglio il cappellino color vinaccia – intonato al suo tailleur – e sospirò.
- Signori Bennet! - esclamò Lucy contenta. - Che bello vedervi!
- Piacere nostro, cara… - bofonchiò Evangeline, che aveva tutta l’aria di chi ha visto un Ippogrifo fare i bisogni sulla propria Firebolt. Era evidente che non amava molto la sua eccentrica nuora.
- Volevo presentarvi Percy, il mio futuro genero. Percy, loro sono i nonni di Audrey, Evangeline e Bunbury.
Bunbury? Oh faen, è quello che somiglia a zia Muriel! Speriamo bene…
- Molto lieto di conoscervi, signori - disse Percy, sinceramente contento. La sua contentezza si smorzò quando capì che i due anziani non erano intenzionati a rispondergli, o almeno non senza averlo prima esaminato da cima a fondo.
Evangeline iniziò dall’alto: squadrò il ragazzo dalla cima dei suoi capelli – cielo, tutto quel rosso! – alla punta delle scarpe – dozzinali, come minimo di seconda mano! – prima di esalare un sospiro drammatico.
- Perlomeno, sei alto - esalò poi, con l’aria di chi acconsente a concedere un favore a qualcuno con grande sforzo.
Percy deglutì, improvvisamente a disagio. Si volse verso Bunbury, e fu ancora peggio: gli occhietti da rapace del vecchio lo trapassavano senza pietà, e sembrava che quell’esame non dovesse avere mai fine.
Aiuto.
- Bene - trillò Lucy, - è bello che finalmente vi siate conosciuti. Ci vediamo dopo!
E subito trascinò via Percy tirandolo per una manica.
- Non ci credo… - commentò il ragazzo appena furono distanti. - Quelli lì hanno cresciuto Roman e suo marito?
- Oh, non sono sempre stati così. Credo sia stata soprattutto la delusione di essere tagliati fuori dalla vita dei loro figli a renderli… come dire…
- … odiosi?
- Sì.
Lucy guardò Percy e scoppiò a ridere. - Comunque non è andata male, sai? Gli piaci molto.
- Cosa?!
- Ma sì… Bunbury non ha detto una parola, è un buon segno!
E ridendo ancora raggiunse gli altri Bennet, lasciando Percy più spaesato che mai.
 
 
 
Come Merlino volle, mezz’ora dopo la cerimonia ebbe inizio. Prima ancora di poter salutare tutti gli invitati Percy fu nuovamente trascinato via, stavolta da Adams, e portato sotto il tendone.
- Bene, capo, ci siamo. Tutto ciò che devi fare è stare dritto, non vomitare e rispondere di sì a qualsiasi cosa. Chiaro?
- Ehm… sì?
- Ottimo. Audrey sta per arrivare.
Ecco. Quello non andava bene. All’improvviso lo stomaco di Percy decise che non voleva più starsene tranquillo e disteso, e iniziò una serie di volteggi e capriole da far invidia ai migliori atleti Babbani.
No no no. Dai. Sta’ calmo. Eri tu quello che insisteva, no? Eri tu quello che sognava questo momento, no? Ecco, allora adesso sta’ buono e sorridi. Sorridi. Lascia perdere lo stomaco, dannazione.
… mi fa male la gamba.
Con un gesto nervoso Percy si massaggiò la coscia sinistra. Non gli piaceva starsene lì impalato mentre tutti gli invitati si sedevano; gli sarebbe tanto piaciuto fare da spettatore, mescolarsi con la piccola folla – lui, che non amava la folla – da cui invece era escluso.
Tutti che lo guardavano, sorridevano e lo salutavano. Fece una smorfia, abbassò gli occhi e cercò di calmarsi ripetendo tra sé le formule di Aritmanzia immagazzinate anni prima.
Il che lo rese solo più nervoso, quando capì di aver dimenticato anche quelle.
Faen!
 
 
 
- Non ce la faccio.
- Invece sì.
- No, ti dico che non ce la faccio.
- Io ti dico che ti stai comportando da stupida.
Audrey sospirò e si torse le mani. - No, Ginny, non ce la faccio.
Ginny alzò gli occhi al cielo. - Ripeti un’altra volta che non ce la fai e me ne vado.
- No, ti prego! Ho bisogno di te!
- Allora smettila.
- … va bene.
Seduta sul tavolo dell’ingresso, a mezzo metro di distanza, Judith Bennet osservava le due ragazze inarcando un sopracciglio. Se quello doveva essere l’effetto del matrimonio su una donna, tanto valeva rimanere single.
Audrey inspirò ed espirò più volte, camminando avanti e indietro, poi si fermò davanti a Judith.
- Jud… secondo te faccio bene a sposare Percy?
Ahahahahahahahahahahahah! Non smetterò mai di ridere! Ahahahahahahahahahahahah!
- Aud, - rispose la ragazzina, lugubre, - non dire sciocchezze: certo che non fai bene. Io te l’ho detto sin dal primo istante, quel tipo è pazzo e pericoloso e…
- Allora, ci siamo?
Roman si affacciò nel salotto, teso ma sorridente. Audrey lasciò stare Judith e rispose al sorriso.
- Sì zio, sono pronta.
Nessuno fece caso a Judith che, rassegnata, si sbatté una mano sul viso.
 
 
 
 
Bisogna proprio dirlo?
Beh, allora diciamolo: nessuno dei due sposi scappò via, né pensò di farlo.
Lo stomaco di Percy smise di fare salti carpiati nel momento in cui Audrey in abito bianco – comparve nel tendone; lei smise di pensare “non ce la faccio” nell’istante in cui lasciò il braccio di Roman e si mise di fronte a Percy, sorridente come non mai.
Da lì in poi, andò tutto perfettamente.
 
 
 
 
 
Percy conservò ben pochi ricordi precisi di ciò che avvenne immediatamente dopo il suo matrimonio. Non era sposato nemmeno da cinque minuti, che già una folla immensa aveva iniziato a fargli complimenti e a porgli domande cui, lì per lì, non sapeva rispondere.
Si sentiva felice e frastornato, decisamente non lucido; fortuna che accanto a lui c’era Audrey, a stringergli la mano e a rispondere al posto suo, perché da solo non sarebbe riuscito nemmeno a capire cosa gli dicevano tutte quelle persone. Ci pensò lei a parlare del loro viaggio di nozze alle Svalbard, della casa nuova in cui sarebbero andati a vivere di lì a poco (in un nuovo paese magico di recente fondazione, vicino Leeds), della bambina e di un sacco di altre cose; al contrario di Percy, Audrey sembrava più attiva che mai, piena di energia.
- Percy!
Si voltò, trovandosi poi stretto in un abbraccio di suo padre; Arthur sembrava commosso quanto sua moglie, e questo era un evento più unico che raro. Vicino a lui c’era Kingsley, che strinse la mano a Percy e gli fece le congratulazioni per almeno una decina di volte prima di lasciarlo.
Una volta spariti i due, fu il turno di un’altra persona di avvicinarsi al ragazzo.
- Beh, lille, non salutti?
Percy sobbalzò e si voltò subito, raggiante. Grete Skjalgsson era davanti a lui, contenta come non mai.
Non fece in tempo a rispondere al suo saluto, che subito Audrey si materializzò vicino a lui.
… ma come diamine fa? Sente l’odore delle mie ex a distanza?
- Sono così felicce per voi, Percy. E tu…
- Sì, Grete, questa è Audrey. Aud, lei è la signora Skjalgsson, quella che ha mandato il tuo albero genealogico dalla Norvegia.
Il viso di Audrey si illuminò. Finalmente conosceva quella donna! Erano secoli ormai che chiedeva di lei a Percy, di come fare per contattarla; aveva insistito affinché fosse invitata anche lei al matrimonio, e ora… eccola. La persona che, senza chiedere niente in cambio, l’aveva salvata.
- Oh! Signora, io… - iniziò a dire, ma fu subito fermata da un gesto della mano di Grete.
- Niente, kjære, fatto con piacere. Amici si aiutano, no?
E sorridendo felice abbracciò entrambi gli sposi, prima di addentrarsi nei balli.
 
 
 
In tutto ciò, Audrey non aveva dimenticato un dettaglio fondamentale.
Si era più o meno ai due terzi della festa, e l’attenzione generale era concentrata un po’ sui ballerini, un po’ sui parenti degli sposi che, a quanto pareva, avevano deciso di dirimere l’annosa questione del “qual è l’etnia superiore tra quella scandinava e quella celtica” sfidandosi in una competizione alcoolica in cui, al momento, non c’erano né vinti né vincitori.
Il tutto sotto lo sguardo severo di Aberforth, che controllava attentamente l’uso che stavano facendo dei suoi alcoolici.
Fu in quel momento di distrazione generale che Audrey decise. Si avvicinò quatta quatta a Adams e lo trascinò a qualche metro di distanza, vicino alla casa.
- Ehm… Aud…
- Parla piano, o ci sentiranno!
Adams iniziò a ridere. - Senti, so cosa si dice in genere della sposa e del testimone dello sposo, ma sono costretto a declinare l’offerta…
Audrey si fermò vicino al muro della Tana, guardò Adams con tutta la serietà che le riusciva in quel momento e disse: - Allora, adesso vuoi dirmi cosa c’è stato tra te e Ben?
Trattenne una risata quando vide la faccia di Adams: aveva assunto un’espressione di orrore-misto-panico ineguagliabile.
- Ca. Co. Cu. Co. Cosa?!
- Hai capito benissimo. Stavolta devi dirmelo!
Istintivamente Adams si guardò attorno cercando vie di fuga, ma Audrey lo prevenne. - Sappi che questo abito ha una tasca e che in questa tasca ho la bacchetta: posso legarti e torturarti se non mi rispondi di tua volontà.
Adams sospirò. - Audrey, è passato un sacco di tempo! Come vuoi che me ne ricordi?
Dal tendone iniziavano a venire i primi cori ubriachi dei Weasley e dei Bennet. I am going, I am going any which way the wind may be blowing…”
- Beh, tu non ricordi, forse, ma io so benissimo cosa mi hai detto quasi un anno fa. Com’era, aspetta? Ah sì: “quando ti sposerai col capo te lo dirò”. Beh, io ho fatto la mia parte, ora tocca a te!
- La tua p… non mi dirai che ti sei sposata solo per questo!
“I am going, I am going where streams of Firewhiskey are flowing!
- Diciamo che è stato un buon incentivo. Ora sono sposata col capo, quindi posso sapere tutto.
Adams si allargò il collo della veste. Diamine, che situazione.
E dire che Audrey gli era sembrata così… cresciuta, matura. L’aveva vista cambiare dopo la guerra, la maternità e persino nelle poche ore dopo il matrimonio, come se le fosse stato fatto un incantesimo. Invece no.
Era sempre una ragazzina di ventidue anni curiosa come una scimmia.
Diamine. Stavolta non mi mollerà facilmente.
- … non ho più quei ricordi. Sai, i Dissennatori…
- I ricordi succhiati dai Dissennatori riaffiorano non appena si è fuori dal loro raggio d’azione. Allora?
L’uomo sospirò. No, non l’avrebbe mollato.
- Va bene, hai vinto. Saprai ogni cosa.
Guardò un attimo indietro verso il tendone: al coro degli uomini si erano aggiunte alcune coraggiose donne.
If I should fall from grace with Godric and no Healer can relieve me…
- Dunque. Era la notte di Natale del 1996, e…
- Sì, questo lo so. Dimmi di quando ti sei baciato con Ben.
Adams avvampò. - Chi ti ha detto che mi sono baciato con Ben?
Audrey aggrottò le sopracciglia. - Non… non ricordo. So che una mia conoscente vi ha visti insieme e lo ha detto a sua madre, che l’ha detto a mia madre che l’ha detto a me… credo.
- Godric, dammi forza… ecco perché continuavi a insinuare che noi due stessimo insieme!
La ragazza iniziò a non capirci più nulla. - No, frena, aspetta. Se tu davvero non stavi con Ben, perché ti imbarazzava parlarne?
- Perché quella sera è stata imbarazzante!
Adams prese fiato e si decise a raccontare. - Ero in un locale, sai, uno di quelli che a Natale organizzano festicciole e simili, quando ho riconosciuto Ben. Sai, no, ce lo avevi presentato al Ministero… ecco. L’ho salutato, e anche lui si ricordava di me. Abbiamo iniziato a chiacchierare…
- … Lo hai abbordato!
- No! Insomma, vuoi farmi parlare? Dunque, abbiamo chiacchierato, e basta. Il fatto è che quando sono arrivato era già un po’ brillo, e dopo un po’ si è ubriacato del tutto. Capisci?
- … e ci ha provato con te?
- Salazar ballerino, perché pensi sempre a quello? Certo che non ci ha provato! Era solo molto molto malconcio, e… beh, a un certo punto era così ubriaco che mi si è addormentato su una spalla. E russava, capisci? Dev’essere allora che qualcuno ci ha visti, perché in effetti potevamo sembrare una coppietta.
Parlando, il disagio di Adams non era scomparso, anzi. Sembrava vergognarsi sinceramente della situazione in cui era stato coinvolto.
Audrey era sconcertata: quindi lei aveva tribolato per mesi… per sapere che Ben si era solo ubriacato?
- Visto come stavano andando le cose, ho pensato che non potevo lasciar lì quel poveretto; così l’ho preso e l’ho accompagnato fuori, ma al primo vicolo si è dovuto fermare a vomitare. Poi non riuscivo a farmi dire dove abitasse, quindi ho dovuto portarlo a casa mia e metterlo a letto.
La frase avrebbe potuto scatenare svariati doppi sensi, ma Audrey ormai ci aveva rinunciato. Iniziava a capire di essere stata coinvolta in un grosso malinteso.
- Quindi… - mormorò. - Tu… insomma, l’hai solo aiutato? Non è successo nient’altro?
- Beh, no, nient’altro, a parte il fatto che ho dovuto occuparmi di Ben per il resto della notte. E che poi al mattino non ricordava nulla, quindi temeva che l’avessi rimorchiato e sedotto la sera prima.
Santa Helga! Tutto qui?!
- Ora, capirai che una circostanza del genere è difficile da vivere e impossibile da raccontare, ma…
Adams si zittì, perché Audrey aveva cominciato a ridere, ridere, ridere senza ritegno.
Oh cielo! Amico mio, non cambiare mai, perché sei perfetto così!
Rise ancora e ancora, tenendosi la pancia, finché Adams non si arrese e scoppiò a ridere a sua volta.
I don’t care for Muggleborn, I don’t care for Purebloods, I don’t care for Halfbloods too, I don’t care at all!
 
 
 
 
 
Nessuno dei partecipanti lo avrebbe mai ammesso, ma tutti quelli che erano stati presenti anche al matrimonio di Bill non riuscivano a fare a meno di ricordare il modo catastrofico in cui quella festa era terminata.
Alcuni, addirittura, sembravano sorpresi che a fine serata non fossero ancora comparsi Patroni, tipi incappucciati e altre simili amenità; seduta a fianco di Bunbury, zia Muriel non aveva mancato di descrivere al povero Babbano i dettagli più truculenti di quella sera ormai lontana, spiegandogli di come aveva quasi perso un braccio nel tentativo di Smaterializzarsi lontano da lì. Dall’altra parte, Evangeline era assediata da un non più molto sobrio Arthur, che da ore ormai cercava di farsi raccontare con precisione l’uso delle più strampalate invenzioni Babbane.
- Sembra che i nonni si stiano divertendo - commentò Audrey, ricomparsa poco prima al fianco di Percy.
A questi venne da ridere: se era vero, doveva ammettere che i Babbani avevano uno strano concetto di divertimento…
- Nini dov’è? - chiese ancora la ragazza.
- L’ha presa Jarne poco fa. Ormai la chiami solo Nini, eh?
- È lei che l’ha chiesto.
Risero piano. Era tutto così… strano. Perché diamine ci avevano messo tanto per arrivare a quel punto?
Non era evidente fin dall’inizio il modo in cui quella storia sarebbe finita?
Audrey ripensò un momento alla prima volta che aveva visto Percy, alla sua antipatia, al suo scarso senso dell’umorismo…
No, non era evidente. E nemmeno per lui, ne sono certa.
Ad ogni modo, ci erano arrivati. Erano lì, tra la fine di una storia e l’inizio di un’altra. Magari non sarebbe cambiato assolutamente nulla, magari invece già il giorno dopo si sarebbero svegliati diversi… chi poteva dirlo.
Dovevano solo aspettare e vedere cosa sarebbe successo.
Avevano tutta la vita, ormai.
 
 
 
 
... Eh no, aspetta. Qualcosa non deve cambiare affatto.
- Percy…
La musica si era spenta, la festa scemava. I cugini di Audrey iniziarono a salutare tutti e a riportare i bambini a casa, la signora Weasley e la signora Bennet si abbracciarono ridendo e piangendo assieme per darsi la buonanotte, e molti si erano già congedati dai due sposi.
- Percy…
- Sì?
- Posso chiederti una cosa?
- Tutto quello che vuoi.
La spontaneità di quella risposta commosse Audrey più di tutto il resto; era in quei momenti che sentiva maggiormente l’amore che le portava, di cui non avrebbe mai smesso di dubitare.
- Ecco… io adesso non sono più Audrey Bennet, giusto? Sono Audrey Weasley.
- Sì, lo so.
Audrey lo guardò. Quello che stava per dire poteva suonare molto stupido o molto serio. Sperò che lui capisse.
- Quello che voglio chiederti è questo: potresti… non smettere di chiamarmi Bennet, per favore?
Percy restò sorpreso per un istante, poi scoppiò a ridere: la risata più forte e lunga che Audrey avesse mai sentito da lui.
- Aud… non smetterò mai di chiamarti Bennet. Rassegnati.
Un’ultima risata, poi la festa si concluse davvero.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Percy e Audrey vissero insieme ancora per molti, molti anni. La loro prima figlia, Molly – chiamata sempre e comunque Nini, anche da adulta – crebbe sana e felice; fu Caposcuola, come suo padre, e Battitore, come i suoi zii.
Quando Nini compì sei anni, i suoi genitori decisero di regalarle una sorella: fu così che, esattamente due mesi dopo il suo settimo compleanno, nacque la piccola Lucy, destinata a diventare la prima Tassorosso della famiglia e a coltivare un’enorme passione per la Babbanologia – seconda solo a quella di suo nonno Arthur, ovviamente.
Entrambe le figlie di Percy e Audrey, nate dalla strana unione di due persone ancora più strane, ebbero vite piene di momenti più e meno felici, gioie e litigi, amicizie e rivalità…
… ma questa, cari amici, è un’altra storia. La nostra finisce qui.
 
O forse incomincia.































Note del capitolo:
1) Il signor Daverio è ispirato, almeno per il nome e per l’aspetto, a questo signore qui: http://it.wikipedia.org/wiki/Philippe_Daverio
Non so perché, ma quando ho immaginato il proprietario dell’atelier mi è subito venuto in mente lui. Boh.
2) “Salazar ballerino” è una rivisitazione di “Giuda ballerino”, di cui Dylan Dog detiene il copyright
3) Le canzoni che i tipi ubriachi cantano sono versi modificati di queste canzoni:
Streams of whiskey
If I should fall from grace with God 
The grat song of indifference
4) La vera storia di Ben e Adams è una cazzata… ma ehi, cosa vi aspettavate? ^_^
5) Non scriverò mai più un finale così zuccheroso e vomitevole. Mai più.
 
 
… fine?
… ebbene sì!
E allora… vai con la sigla! http://www.youtube.com/watch?v=MrOsHfZsVLk (cliccate con la rotella del mouse oppure click destro e “Apri in un’altra scheda” per ascoltare mentre leggete!)
 
 
 
Eccoci qui. Ho aspettato e temuto questo momento così a lungo che mi sembra strano esserci, finalmente.
Davvero, non ho ancora realizzato che questa long è finita. Probabilmente non lo farò nemmeno quando spunterò la casella “Completo” accanto ad essa.
Forse lo realizzerò domani, o dopodomani, quando penserò “Adesso inizio a ideare qualcosa per il nuovo capitolo!” e mi renderò conto che no, non c’è un nuovo capitolo da pubblicare, e che ho già detto tutto ciò che volevo dire.
Cavolo.
Messa così è piuttosto drammatica. Vediamo allora i lati positivi della vicenda: questa ff, per come la vedevo io, era pronta a restare un aborto incompiuto nel mio profilo autrice, una storia che avevo iniziato e non più terminato.
Invece, un anno fa, spinta da non so cosa l’ho ripresa in mano; ho trovato nuovi lettori che mi hanno incoraggiata e sostenuta, mi sono impegnata di più e… beh, ora sono orgogliosa di questa storia, con tutti i suoi pregi e difetti.
Non è perfetta, non è eccellente, ma le voglio bene. Questa long mi ha accompagnata attraverso molti momenti, mi ha vista ridere e scoraggiarmi, crescere sia come scrittrice sia – e soprattutto – come persona. Ha visto così tanto di me che forse mi conosce meglio di chiunque altro.
No, okay, sto esagerando. Scusatemi, sapete, è l’emozione.
Comunque, voglio bene anche a voi. No, non è un modo per fare la simpatica o la ruffiana: è esattamente ciò che sento.
Sapere che in questi mesi, in questi anni avete letto, aspettato, riso e purtroppo qualche volta pianto assieme a me e ai miei personaggi, mi fa sentire davvero vicina a voi.
Sto scrivendo un mucchio di cazzate, scusatemi. È la prima volta che termino una storia così lunga, e non so esattamente cosa dire.
Spero che l’epilogo abbia soddisfatto le vostre aspettative (se trovate errori fatemelo sapere, anche via messaggio privato se volete). Per me è davvero troppo smielato, ma amen.
Vi ringrazio, dal profondo, per il sostegno che mi avete dato. Credo che avrei abbandonato davvero la storia se non avessi trovato così tante persone che credevano in lei e in me. Grazie, a ciascuno di voi.
 
 
 
 
Bene, miei cari, dopo questo sproloquio Percy ed io siamo pronti a prenderci una luuuuuuunga vacanza (in posti separati, ovviamente!), ma torneremo quanto prima con il seguito, anzi, I SEGUITI a questa long.
Uno è già stato pubblicato, e lo troverete qui: Fuoco fatuo
Ci sono poi un paio di one-shot pronte e una mini-long work in progress, quindi non sarete abbandonati a lungo. Per trovarle vi basterà cercare tra le ff che hanno come protagonista la coppia “Percy/Audrey”, oppure, se volete essere avvisati da me, scrivetemi un messaggio e vi avvertirò appena posto.
E sì, con calma scriverò anche i missing moments. YEAH!
Ora, però, è il momento di congedarsi davvero, miei cari.
Mi inchino dinanzi a voi e vi ringrazio ancora una volta dal profondo del mio cuoricino bisognoso d’affetto, insieme alla miriade di personaggi inventati apposta per questa storia e a quelli che sono stati coinvolti nella strag-ehm, che hanno deciso di intervenire a loro volta.
In particolare voglio ringraziare coloro che hanno ispirato determinate parti di questa long:
 
Jane Austen e il suo “Orgoglio e pregiudizio”: per il cognome di Audrey e le parti citate nel capitolo 15;
Jules Verne e “Viaggio al centro della Terra”: per il cognome Saknussem;
I White Stripes: per il giro di basso iniziale di “Seven Nation Army” (capitolo 4)
Andrea De Carlo e il suo “Due di due”: per la metafora della vetrina (capitoli 8 e 10)
Baden-Powell e il suo “Libro dei Capi”: il capo deve dare l’esempio (capitolo 9)
Alfred Hitchcock e “Psycho”: per la citazione nel capitolo 15
I Queen, i Pink Floyd, i Clash e Chuck Berry: per le citazioni nel capitolo 15
Andrea Camilleri: per il proverbio “Avere un cuore d’asino e uno di leone” (capitolo 17)
Marco Tullio Cicerone: per il detto “mala tempora currunt, sed peiora parantur” (capitolo 18)
Il maestro Socrate: “Il vero sapiente è colui che sa di non sapere” (capitolo 19)
Daniel Defoe e la sua “Moll Flanders”: per avermi dato una spiegazione razionale al perché la prima figlia di Audrey e Percy si chiami Molly che sia diversa da quella, bella ma troppo inflazionata, dell’omaggio alla signora Weasley (capitolo 20);
Fata Blu: per la segnalazione per le Scelte (capitolo 21)
Fred Penner: per la sua versione di “The cat came back” (capitolo 22)
Charme: per “Medieval Struggle” (capitolo 27)
aGNeSNaPe: per la fanart di Adams e Nini (capitolo 27)
Italo Calvino: per la citazione all’inizio di questo capitolo;
Oscar Wilde: per il nome di Adams, nonno Bunbury e molto, molto altro (anche se per anni non abbiamo fatto altro che litigare);
Douglas Adams: per il cognome di Adams e, a prescindere, per la sua Guida Galattica per gli Autostoppisti che mi ha insegnato a “non farmi prendere dal panico” e a non avere paura di creare personaggi folli.
 
Dimentico qualcuno?
Ah, ma certo:
J.K. Rowling, a cui (purtroppo) appartengono tutti i personaggi non originali di questa ff, nonché il background e la storia.
 
 
 
Ciascuno di voi, in verità, meriterebbe una dedica… ma mi conterrò ^^
Di nuovo grazie, e spero di ritrovarvi presto.
Grazie, grazie, grazie.
 
Sempre - sempre! - vostra,
Fera




... merda, lo sto realizzando. HO FINITO!!!

Ritorna all'indice


Questa storia è archiviata su: EFP

/viewstory.php?sid=361062